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Messaggi - memento

#1
È difficile per me fare adesso un punto della situazione. Sono state affrontate molte tematiche nicciane,forse (come mi era effettivamente parso a una prima e superficiale lettura) con eccessiva frettolosità. Io invece ho un approccio diverso,tendo a valutare ogni aspetto singolarmente,con calma e soprattutto con prudenza,senza dover necessariamente trovare una linea interpretativa che dia un senso a tutto ciò che è stato scritto. Si presuppone che si arrivi a una conclusione finale,come fine ultimo di una filosofia,mentre per chi si è immerso abbastanza a fondo nella lettura di Nietzsche non dovrebbe essere scontato prevederlo. Arrischiare una deduzione dovrebbe essere il compito maggiormente pieno di insidie per un pensatore.
Lo Zarathustra ha riscosso immediatamente più attenzioni,essendo il libro che più degli altri sembra indicare tali conclusioni. Ma vorrei dire,contrariamente a ciò che dice Paul,che lo stile che lo contrassegna è unico nella produzione di Nietzsche,che è  dotato anche di una scrittura lucida,chiara e lineare,e di un ottima capacità argomentativa. Argomentazioni,non dimostrazioni,appunto. Delle quali la filosofia può fare tranquillamente a meno (sorrido quando leggo di "filosofie razionali",con tutto il rispetto,ma la ragione segue sempre a un giudizio,una valutazione antecedente,un peso).

Andiamo con ordine nelle varie questioni:

- L'eterno ritorno. Come Green demetr e Garbino,non ho ancora "osato" confrontarmi con il pensiero che Nietzsche stesso ritiene essere "il più abissale". Non credo di essere giunto a un punto tale da avere gli strumenti per comprenderlo nel suo significato più pieno. Però avrei da ridire su certe interpretazioni grossolane. Ad esempio tutti sembrano concordare che eterno ritorno abbia il significato di eterno presente,dove l'uomo vivendo costantemente l'attimo,cioè se stesso,sfugge dai condizionamenti del passato e del futuro. Ebbene,si può ancora parlare di tempo messa in questo modo? E in ogni caso,qui pare prender voce un pregiudizio,un sottile meccanismo che scambia l'interpretazione con il testo. Vi invito allora alla lettura,citandovi due passaggi sull'eterno ritorno:
"«Questa vita, come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione - e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L'eterna clessidra dell'esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello di polvere!». Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: «Tu sei un dio e mai intesi cosa più divina»?" (La Gaia scienza,aforisma 341,"Il peso più grande")
"Consentiste mai alla gioia? Oh, amici, consentiste allora a tutte le pene. Tutte le cose sono concatenate insieme, congiunte dall'amore, – voleste mai che una volta venisse due volte, diceste mai «tu mi piaci, gioia! momento, istante!» voleste allora che tutto tornasse!" (Cosi Parlò Zarathustra,il canto d'ebbrezza)
In entrambi si parla di attimi vissuti nel passato,così grandi da far desiderare il ritorno della sequenza di eventi che è la vita.Ma dopotutto,che senso può avere la parola attimo,se non da una prospettiva passata?

- La morte di Dio. Maral, che Nietzsche usi toni tragici non implica di fatto paura e disperazione. Solo chi ha un animo suggestionabile può essere preso dallo sconforto proprio dove fa capolino la tragedia. Riporto,anche qui,un altro aforisma sulla morte di Dio,di ben altro carattere:
"In realtà, noi filosofi e "spiriti liberi", alla notizia che il vecchio Dio è morto, ci sentiamo come illuminati dai raggi di una nuova aurora; il nostro cuore ne straripa di riconoscenza, di meraviglia, di presentimento, d'attesa, - finalmente l'orizzonte torna ad apparirci libero, anche ammettendo che non è sereno, - finalmente possiamo di nuovo sciogliere​ le vele alle nostre navi, muovere incontro a ogni pericolo; il mare, il nostro mare, ci sta ancora aperto dinanzi, forse non vi è ancora mai stato un mare cosi "aperto" (La gaia scienza,aforisma 343)

- Bene e Male. L'origine dei giudizi di valore è proprio il tema del primo saggio di "Genealogia della morale". Mi stupisco allora che a Garbino sia sfuggito un passaggio tanto fondamentale:
"dato che da molto tempo è ormai abbastanza chiaro quello che io "voglio", quello che voglio proprio con quella formula pericolosa, scritta su misura per il mio ultimo libro: «Al di là del bene e del male»... Per lo meno questo "non" significa, «Al di là del buono e del cattivo»".
Una distinzione del genere non può non essere sottolineata. Perché si rischia di vedere in Nietzsche,a causa della stringente formula "al di là del bene e del male",uno strenuo nemico dei giudizi di valore,quando egli incita a creare PROPRIE tavole di valori. Al di là del bene e del male significa invece essere fuori dalla prospettiva pregiudiziosa di un bene e un male universali. Lascio ancora una volta la parola allo Zarathustra:
"Ma s'è scoperto chi dice: questo è il mio bene e que￾sto è il mio male: con codeste parole egli ha fatto tacere la talpa e il nano che dicono: «Per tutti è bene, per tutti è male».In verità non mi piacciono neppure coloro per i quali tutte le cose son buone, e che chiamano questo mondo il migliore dei mondi. Costoro io chiamo i soddisfatti di tutto.La contentezza che sa gustar ogni cosa, non è il gusto migliore! Io rispetto le lingue e gli stomachi ribelli e di difficile contentatura, che hanno imparato a dire: «Io» e
«sì» e «no»"

Continua..
#2
Citazione di: Garbino il 17 Marzo 2017, 18:15:30 PMX Memento.

Caro Memento, capisco benissimo i tuoi dubbi ( ci sono passato anch' io ), ma per comprendere a fondo il significato stesso della volontà di potenza è necessaria un' attenta lettura dell' aforisma 19 proprio di Al di là del bene e del male, dove appunto la volontà viene destrutturata ed annullata da Nietzsche  ( e se puoi, anche l' aforisma n. 3 Errore di una falsa causalità nel capitolo I Quattro Grandi Errori di Crepuscolo degli Idoli ). La volontà di Nietzsche è qualcosa di molto diverso da ciò che comunemente si intende. Anzi proprio le caratteristiche che Nietzsche le assegna invece di escludere gli organismi semplici li rende i principali soggetti dove la volontà di potenza è sovrana e coincide con il soggetto stesso. Ma non è una volontà che agisce, è una forza irrazionale che spinge l' organismo verso il suo maximum di potenza.
Anche se questo aspetto significa appunto un bruciare le proprie energie senza limiti e portandolo ad una celere fine della sua vita.

Che poi si tratti di una caratteristica di stampo metafisico dipende appunto dal fatto che Nietzsche la pone come data. Anche se non è identificabile, accertabile, raggiungibile dai nostri sensi, dalla nostra esperienza. E' un dogma che necessita di fede.
Nell' aforisma 36, è sufficiente andare alle ultime righe per rendersi conto della possibilità che la mia interpretazione sia accettabile, anche se poi ciascuno interpreta il suo pensiero come meglio crede. Parte finale che dice: ...definire chiaramente ogni forza agente come: volontà di potenza. Il mondo visto dall' interno, il mondo definito e designato secondo il suo carattere intellegibile - esso sarebbe appunto " volontà di potenza" e nulla oltre a questo. - Come puoi constatare non parla di uomo o di organismi superiori, parla di mondo. Tutto il mondo vitale: dal microorganismo all' uomo. Questo il modo in cui interpreto l' argomento: volontà di potenza.

Su Ecce Homo, tutti i primi capitoli rappresentano un' apologia di sé stesso e di come lui si ritenga un genio ( un genio largamente incompreso dai suoi contemporanei contro cui si scaglia ardentemente nella Prefazione ). E di come è riuscito a rinascere e ad elevarsi proprio grazie alla sua decisione di allontanarsi dalla Germania per raggiungere luoghi dove si mangia, si dorme e si respira meglio. In Italia e Francia. Per altro nel par.2 del capitolo Perché sono così accorto, fa proprio riferimento ai luoghi dove il genio in potenza è più avvantaggiato nella possibilità di diventare genio ( Firenze, Atene, La Provenza ). Comunque siamo sempre a disposizione.

Garbino Vento di Tempesta

Proprio lo scorso mese mi ero messo a rileggere "Al di là del bene e del male",quindi l'aforisma a cui fai riferimento ce l'ho bene in mente. Cito un paio di passaggi significativi per la nostra discussione: 
"Il volere mi sembra soprattutto qualcosa di "complicato", qualcosa che soltanto come parola rappresenta una unità, e appunto nell'uso di un'unica parola si nasconde il pregiudizio del volgo, che ha prevalso sulla cautela dei filosofi, in ogni tempo esigua. [...] Al pari dunque del sentire, e, per la verità, di un sentire di molte specie, così, in secondo luogo, anche il pensare deve essere riconosciuto quale ingrediente della volontà: in ogni atto di volontà esiste un pensiero che comanda; e non si deve in alcun modo credere di poter separare questo pensiero dal «volere», come se il volere dovesse poi continuare a sussistere!"
Dal primo passaggio,si evidenzia la molteplice natura che si cela nel termine "volontà" (tant'è che nello stesso aforisma parla di volontà al plurale"),a cui accennavo prima. Il secondo sottolinea lo stretto rapporto che lega pensiero e volontà,tale che l'una può sussistere solo in presenza dell'altro,e in pratica esclude un volere negli esseri privi di intelletto,a differenza di quanto affermi. Ritengo questo passo più esplicito e chiaro della parola "mondo" dell'aforisma 36,troppo generica per esprimere compiutamente qualcosa di specifico. L'aforisma che toglie ogni dubbio è in ogni caso il 127 de "La gaia scienza". Posto che lo ritengo un argomento di poca rilevanza.

Non credo di aver mai detto che la volontà di potenza sia una volontà che "agisce",proprio in virtù del suo non essere una cosa sola,che non può disporsi al fine di un unico modello di comportamento,di un unica morale. 
Il fatto che una teoria non sia accertabile dai sensi non è sufficiente per definirla "dogmatica": non esiste nulla di più impressionabile dei sensi,a cui ognuno fa riferimento come sinonimo di certezza e solidità (ricordi cosa dice Nietzsche sulla scienza in "Genealogia della morale"?). La filosofia non è una scienza: per quanto essa possa aver senza dubbio bisogno di salde fondamenta scientifiche e razionali. Un giudizio di valore,dei quali la filosofia si occupa,non può essere dimostrato,vale come espressione di chi lo creò e lo sentí come necessario e indispensabile. Ma questo non significa che non possa esistere una filosofia non metafisica,ammesso che si sappia distinguere.

Per quanto riguarda Ecce Homo: non avevo inteso che il "genio" in questione fosse Nietzsche medesimo,tutto chiaro adesso.

Mi spiace essermi perso due pagine di discussione anche abbastanza prolisse (e anche un po' fuori tema?),ma in questo momento ho avuto ben altre preoccupazioni che mi hanno distratto dall'argomento Nietzsche. Se posso proverò a scrivere nei prossimi giorni un post "risposta" a quel che è stato scritto sul filosofo di Rocken,più che altro per fare il punto della situazione.
#3
Citazione di: Garbino il 12 Marzo 2017, 16:14:15 PMX Memento.

Se ricordi ho affermato che avevo dei dubbi sul fatto che la volontà di potenza corrispondesse all' individuo. Ed adesso cercherò di far luce su ciò che intendevo. Val la pena riportare che la volontà di potenza, secondo Nietzsche, è una forza irrazionale, noi la chiamiamo anima vitale, che fornisce e rappresenta l' energia stessa di ogni essere vivente, l' energia che stimola la vita e che per molti versi rappresenta la vita stessa. Ricordo inoltre che Nietzsche ne parla e la delinea in opposizione alla volontà di volontà di Schopenhauer. A questo punto posso affermare che posso essere d' accordo con te per le cellule e per tutti gli organismi minori che possiamo trovare in natura ( sulla flora non mi espongo perché non ho riflettuto a sufficienza su di essa ). Ma le cose cambiano, sempre a mio avviso, per tutti gli organismi  a mano a mano che si sale nella scala di complessità degli stessi. E a riguardo vorrei porre l' attenzione sull' argomento genio che Nietzsche tratta a lungo in Ecce Homo.

Infatti lui afferma che coloro che hanno in potenza la possibilità di diventare genio non è detto che riescano a diventarlo a causa dell' ingerenza di numerose variabili come il clima, l' alimentazione e il dormire. Ciò, sempre a mio avviso, significa che la volontà di potenza di tali individui nulla può per il soddisfacimento del diventare genio né tanto meno coincidere con l' individuo nel caso di variabili che influiscano negativamente sul processo. Quello che in definitiva intendo affermare è che le possibilità che la volontà di potenza coincida con l' individuo appartenente a qualsiasi specie sono inversamente proporzionali alla sua complessità. Senza dimenticare che le variabili a livello umano sono tantissime e molto determinanti. Se hai dei dubbi sono come sempre disponibile a discutere qualsiasi opinione contraria.

Penso sia necessario capire quale significato attribuire alla volontà di potenza,prima di far partire qualsiasi riflessione su di essa. Il mio intento era proprio quello di richiamare l'attenzione sul concetto e,visto l'importanza che riveste nell'opera che hai trattato,mi pare indispensabile. È la norma vedere infatti esporre giudizi su Nietzsche sulla base di propri fraintendimenti.

Innanzitutto la volontà di potenza è una volontà? Se lo è,allora dobbiamo escludere,per definizione,tutti quegli organismi che non sono in grado di volere,ovvero che sono incapaci di esercitare il controllo sul proprio agire,e la cui "esistenza" si limita a una serie di riflessi condizionati.La stessa nozione di organismo vivente proviene dalla biologia moderna,e mi riesce difficile credere che Nietzsche possa averla accolta come una spiegazione. Piuttusto è la volontà di potenza a dare un senso a quel fenomeno che prende il nome di "vita" (rileggi a proposito,se puoi,l'aforisma 36 di "Al di là del bene e del male").

Nel primo post sul tema avvertivo circa la possibilità di intendere la volontà di potenza alla maniera di un atomo,unica,indefinita e indivisibile. Non era una precisazione inutile: questa strada riporta dritti alla vecchia superstizione dell'anima,della quale credevamo esserci sbarazzati. Che scherzi possono giocarci le parole quando presentano le cose molto più semplici di come,in realtà,sono! Il fascino delle parole e dei concetti resterà sempre l'ultimo degli argomenti a favore della metafisica. Bisogna però essere più cauti e meno metafisici nella lettura: volontà di potenza è un termine che raccoglie in sé e unifica un complesso di pulsioni,spinte e pressioni contrastanti; osservando questo groviglio,non è possibile stabilire a priori una direzione complessiva,che dipende,come tu dici,da una serie di fattori (dalla morale per esempio) e dal caso. Perciò nego l'idea secondo cui la volontà di potenza indichi un principio metafisico,separato dal corpo e dalle contingenze personali,a partire delle quali invece si va determinando. L'individuo coincide con la (sua) volontà di potenza nel senso che egli è fondamentalmente istinto,nella misura con cui ogni istinto lotta,cresce e aspira alla potenza.

Ho letto Ecce Homo,opera di straordinario valore,essendo il primo tentativo di tracciare un parallelo fra vita e filosofia,che negli altri libri è solo accennato. Personalmente è quella che mi è rimasta più dentro,eppure non ricordo l'argomento "genio" come preponderante (forse è questione di differenti chiavi di lettura,o forse è la memoria che fa cilecca ;D ).
#4
Green demetr,non si tratta di avere personali concezioni di potenza,ma di cosa intende esprimere Nietzsche con quel termine. La potenza di Nietzsche (e non quella di altri) è la padronanza di sé,la capacità di sostenersi su di sé,che assicura alla vita equilibrio,controllo,stabilità,coraggio e nuova forza. Ogni potenza è un'altezza da cui si osserva l'esistenza,e a seconda dei casi la si trova grande o piccola. La potenza dell'uomo,la sua spina dorsale,è rappresentato dai suoi giudizi di valore,da ciò che considera bene e male,che conservano e rendono più vigorosi una certa specie di individui,mentre impediscono lo sviluppo di altri tipi. E appunto per tale motivo la rovina di un altro modo di essere è indispensabile perché una potenza possa fondarsi e durare. Ma la rovina come potenza...è ciò che Nietzsche chiama nichilismo.

Come già dicevo nell'altro post,l'Io è un'utile illusione,perché semplifica,appiattisce aspetti della personalità che è necessario fraintendere per poter godere di noi stessi e agire con buona coscienza. L'io è una grossolana,in quanto superficiale,interpretazione che diamo ai nostri atti per poterli giustificare di fronte a noi stessi a posteriori. Ma che può significare "io sono" o "io non sono" senza la fede nell'io e nel soggetto? Stiamo attenti all'uso delle parole: l'immagine che diamo al divenire (ad esempio il fiume che scorre) non rappresenta o definisce il divenire,che di per sé non è definibile. Anche se sono consapevole che,a causa dell'influenza della metafisica,questo punto è il più duro a comprendersi.


CitazioneE' per questo che dubito persino di interventi come il tuo Memento, in generale sarei molto prono ad accettarli per quel che sembrano, una sano moto ad affidarci alle nostre intuzioni.

Infatti è solo una prima impressione,non era quello che tentavo di comunicare. Un'intuizione è sempre qualcosa di condizionato,dal contesto sociale e dalla situazione in cui la persona si trova,e soprattutto dai bisogni interiori che la spingono a considerarla di immediata semplicità. Perciò non necessita di alcuna preparazione: la quale è ciò che manca ai filosofi del presente. Non a caso ho messo in evidenza il problema dell'educazione e dello stile di vita come fondamentale presupposto. Ma su cosa pensi agisca la morale?

Le pecore nere restano comunque delle pecore: e le pecore si trovano a loro agio nei recinti. Se hanno delle speranze,dei bisogni facilmente soddisfabili,si tratta di persone che appartengono al gregge,anche se dotate di grande cultura (il cosiddetto dotto,altro personaggio che ricorre continuamente nei testi di Nietzsche).
Non comprendo quale passo in avanti nel pensiero ci consentirebbe la tecnologia.
#5
Garbino,non metto fretta,gestisci il topic secondo i tuoi tempi e il tuo modus operandi. La mia critica era volta a capire che direzione stesse prendendo il topic,non era fatta per impazienza. Nella fattispecie,mi trovi d'accordo nell'utilizzare i riassunti come punti di riferimento per eventuali discussioni future,in quanto troppo spesso con Nietzsche si pecca di eccessiva libertà di interpretazione.

Ben tornato Green demetr. Quindi anche per te l'individuo è circoscritto nell'Io? L'Io è solamente un prodotto della morale e,come tale, nient'altro che un'epidermide,un'utile finzione e,in ultima analisi,un travestimento della volontà di potenza. Non avrai fatto alcun passo in avanti nella lettura di Nietzsche finché non avrai afferrato questo. Forse potrebbe esserci stato un fraintendimento,da parte mia non ho evidenziato a sufficienza questo passaggio. Un individuo è molto più profondo di quanto riveli a sé stesso (principio di ogni psicologia): egli contiene una miniera di pulsioni,istinti e pensieri contrapposti che vogliono affermarsi gli uni a discapito degli altri.

La potenza come rendersi possibile di ogni rovina? Giusto,ma è la potenza che Nietzsche invita a guardare,non la rovina (so che non sarai d'accordo,pazienza).

CitazionePoi ripeto a mio avviso ci dovrebbero essere delle aperture, degli enigmi a metà frase, a metà capitolo, che lasciano delle questioni aperte, a cui di solito Nietzche in maniera enigmatica da delle proposte per le quali lo ritengo il più grande filosofo mai esistito e probabilmente visto la cinta di castità morale a cui siamo legati, chissà per quanto tempo ancora lo sarà ancora. Ma questa è per fini intenditori (per ora riguarda sole me, con mio sommo raccapriccio).


I filosofi dell'avvenire,cosi li chiama Nietzsche,avrebbero innanzitutto bisogno di un stile di vita differente per poter conservare e raffinare la loro singolare sensibilità. Ciò finora è stato sempre
impedito,sia per ignoranza che per la barbarie dell'educazione moderna (tema mai adeguatamente trattato,senza ombra di dubbio fondamentale),cosicché oggi nessuno ha per sé la forza di dare vita a nuovi ideali. La cintura di castità di cui parli non è avvertita come tale,ossia come mortificazione della vita,si è troppo impotenti per sentirla come dannosa.
#6
Citazione di: Garbino il 24 Gennaio 2017, 18:18:02 PMCiò è spiegabile se notiamo che in natura tutti gli animali istintivamente hanno in onore di turbarsi per tutti gli ostacoli (*1) che gli impediscano o possano impedirgli il cammino verso l' optimum ( ad un agire più potente e che spesso più che alla felicità rappresenta proprio la via all' infelicità). Ogni animale e perciò anche la bestia filosofica tende parimenti al raggiungimento di quell' optimum di condizioni favorevoli che gli permetta di raggiungere il maximum di potenza.

A questo punto vorrei chiarire cos'è la volontà di potenza,concetto che vedo troppo spesso ingentilito,abbellito,banalizzato e frainteso (come accade con altri punti della sua filosofia,ma questo in particolare ne rappresenta il "cuore" pulsante),e che in quest'opera si rivela in tre forme: nella coscienza del "gregge"; nel gusto superiore di uomini nobili,fondatori di giudizi di valore; e infine,come vedremo in questo saggio,nella crudeltà verso sé stessi,nella malattia,contenuta sotto le spoglie degli ideali ascetici. È proprio l'indagine delle forme in cui si manifesta la volontà di potenza che considero il tema portante di "Genealogia della morale". Perciò fatemi dire due cose a riguardo.

La volontà di potenza non coincide,seppur sia equiparabile,alla volontà di vivere di Schopenhauer,né è in qualche modo riducibile a uno strumento che rientri nell'economia della lotta darwiniana (o dovrei dire "spenceriana"?) per la sopravvivenza. Infatti tendere a uno stato maggiore di potenza non significa mettere in repentaglio e,quindi,in secondo piano l'autoconservazione? In verità c'è una contraddizione fra questi due istinti,che nessuno si è mai preso l'onere di evidenziare. Rimando ad esempio,per chi è in possesso del testo,all'aforisma 349 de "La gaia scienza".  

La volontà di potenza non è principio ultimo,metafisico,come lo era per Schopenhauer,in cui il male dell'individuo si fa universale e viceversa,perché il mondo come lo vede Nietzsche non ha alcuna direzione né mira a alcuno scopo. Un altro significativo fraintendimento è dovuto alla filosofia freudiana e alla sua divisione della psiche umana,in cui l'Io funge da sostrato tra due forze contrapposte,l'es e il super-Io. Ebbene,questo sostrato-Io per Nietzsche non esiste,o piuttosto è il risultato di un processo (il secondo saggio ce ne da un esempio) in cui un istinto,dopo una lunga resistenza,riconosce la potenza di un altro istinto. Negato perciò il libero arbitrio,non ha senso pensare separati l'individuo dalla sua volontà di potenza,come spesso leggo,l'uno e l'altra coincidono.
Infine: è la volontà di potenza unica e indivisibile come l'atomo? O è anch'essa prodotto di molteplici spinte e impulsi? Alla fine ricordiamoci che rimane solo un concetto..

Garbino,il riassunto/commento che stai facendo dell'opera è buono e fedele (forse anche troppo),l'ho seguito costantemente pur senza commentare. Permettimi di dire che ho trovato pochi spunti,non tanto di riflessione (perché ne da tanti) quanto di discussione. Mi piacerebbe vedere questo topic arricchirsi di scambi di vedute sull'argomento,ma il primo ad aprirsi ad un'interpretazione del testo devi essere tu; altrimenti che senso avrà avuto questo topic ? Anticipare o sostituire la lettura dell'opera? Per chi l'ha già letta poi..
#7
Citazione di: maral il 13 Novembre 2016, 23:51:26 PM
La verità filosofica, già in Platone, si presenta non solo come corrispondenza formale istituita dal logos tra ciò che si dice e la realtà, ma anche sulla coerenza che trova la parola del filosofo con la sua vita, nella misura in cui essa si presenta come vera vita. Come dice Michel Foucault nelle sue ultime lezioni, la vera vita assume un'importanza fondamentale per alcune scuole filosofiche che svilupperanno meno il loro impianto teorico ontologico per soffermarsi sugli aspetti esistenziali e morali, in particolare l'Epicureismo e lo Stoicismo, ma soprattutto i Cinici per i quali il tema della "vera vita" diventa fondamentale e portato alle più estreme e provocatorie conseguenze: la filosofia si fa con il proprio stile di vita, con i propri atti ben più che con i discorsi.
Questo principio diventerà però filosoficamente sempre meno praticato, la "vera vita" assumerà con il cristianesimo una connotazione religiosa, anche se debitrice delle idee filosofiche che l'hanno preceduta e la filosofia si indirizzerà verso un'argomentazione sempre più formalmente oggettiva, finché lascerà il campo della verità alla scienza moderna, per la quale il tema della "vera vita" non determina alcunché rispetto al valore oggettivo di verità di una teoria scientifica che si considera del tutto indipendente dai comportamenti dello scienziato - soggetto che la enuncia.
La verità, aletheia, per i Greci è ciò che si presenta non nascosto, non modificato, diritto e immutabile e la vera vita è enunciata secondo questi stessi principi: la vita vera (come il vero amore) non dissimula, non presenta ombre, non è corrotta, mantiene la sua direzione diritta senza disperdersi, è una vita retta che evita i perturbamenti senza cedere ai vizi e che mantiene immutabile la propria identità, perfettamente padrona di se stessa, libera e autonoma. E' una vita che richiede il coraggio di sostenerla, sempre posta in sfida per risultare esemplare senza nulla nascondere.
In tempi in cui le verità metafisicamente stabilite dalle teoresi mostrano la loro inesorabile decadenza, mi chiedo se questo ideale della "vera vita" (quale dovrebbe essere la vita del filosofo) possa venire a costituire un nuovo punto di riferimento che invita a fare filosofia con i propri atti e le proprie prassi ben più che con i propri discorsi e se i termini in cui gli antichi ravvisavano la vita come vera possono essere assunti ancora oggi.

Temo che parli la nostalgia,ovvero il disprezzo verso il presente,in questo tuo discorso: in realtà una "filosofia degli atti" costituirebbe un regresso e un pericolo mortale per la vera filosofia,mentre quella supposta se ne andrebbe in giro nelle piazze e di fronte al grande pubblico a dimostrare che il suo fare vale più di mille ragioni e di discorsi su di esso. Ma con un atto non si dimostra alcunchè. E chi sa a quali presunti esaltati possessori di verità daremmo in mano il diritto di stabilire quel che è giusto e quel che è sbagliato sulla base delle loro azioni. È stato necessario un processo lungo millenni e numerose scuole di pensiero solo per arrivare a mettere a punto delle metodologie,in tutti i campi del sapere,che frenassero la tendenza a accettare le prime impressioni e ad affidarsi a intuizioni personali,ed è questo e SOLO questo che chiamiamo Scienza,e vorremmo tornare a credere alle doti predittive di nuovi santoni. Pensavo che su questo punto fossimo un po' più accorti.

Oltretutto Maral,mi fai partire questa tua riflessione dai Greci,proprio da coloro che prima di tutti posero i presupposti del sapere scientifico. I Greci poi adoravano il teatro,la grande mimica e le belle parole,l'estetica e la semplicità delle forme quale bene più alto. Mentre il significato che dai alla parola aletheia sembra porsi in antitesi a ciò che è esteriore; forse per i Greci il disvelamento è qualcosa di totalmente diverso da come potremmo concepirlo noi,forse per loro è il momento in cui l'eroe entra in scena e pronuncia la sua battuta migliore,in cui l'uomo si fa più stupendamente espressivo e la realtà pittoresca. Non andrebbe quindi inteso come la rivelazione di un senso (in chiave cristiana),ma come perfetta sintesi estetica della propria interiorità.
#8
Tematiche Spirituali / Re:Cristianesimo, religione atea
02 Novembre 2016, 17:05:53 PM
Finalmente un topic interessante (per me) in questa sezione..talmente particolare che infatti non gli appartiene ;D
Ha ragione Paul,avresti dovuto aprirlo nella parte del forum dedicata alle tematiche filosofiche (desacralizzata,per dirla a tema).
Direi che condivido il ragionamento di fondo che ha animato la tua asserzione iniziale,sei stato sufficientemente chiaro per chi avesse intenzione di comprendere la tua posizione. Tuttavia...non sono d'accordo. È infatti sul presupposto della tua tesi che avrei da ridire,ovvero:

CitazioneIl 'concetto' di divinità, quindi di Dio, è strettamente connesso a quello di sacro. Senza il sacro la fede in un Dio non sta in piedi, mancandogli proprio l'elemento fondamentale, poiché la divinità si 'muove', 'agisce' ed è concepibile solo in quest'ambito.


Ma è proprio su questo punto che sta la novità del Cristianesimo: il Dio cristiano è il Dio ebraico che perde la sua alterità,il suo esser-sacro,quando si "fa carne" e scende fra gli uomini per portare il suo verbo,viene crocifisso e infine,quando è ormai moribondo,viene portato di nuovo in alto,viene "resuscitato" per aver adempiuto al sacrificio da egli stesso voluto.
Se non si è capito questo processo,si è frainteso completamente la matrice stessa del Cristianesimo,che ha reso il Dio del popolo ebraico una misericordiosa divinità universale,e in questo modo lo ha avvicinato ai poveri,ai derelitti,agli schiavi,a tutti i discriminati e agli esclusi. Questo non significa che nella religione cristiana sia assente il sacro,bensì che questo nuovo concetto di sacro non separa,poiché rivolge la violenza contro sé stesso (martirio),o per dirla più correttamente,esclude e respinge la barriera,il recinto stesso (quanto è lontano tutto ciò dalle originarie parole di Gesù).

Vittorio,hai letto l'Anticristo? Nietzsche è sempre stato fortemente interessato al pensiero cristiano (ne era uno strenuo oppositore),e ad un certo punto dell'opera parte a definire il filo che lega indissolubilmente l'ebraismo al Cristianesimo. Se non ti fossilizzi su alcuni concetti che carattterizzano la sua filosofia,che potrebbero non interessarti,te lo consiglio ;)
#9
Come può il mio intervento suggerire una vicinanza del pensiero di Nietzsche a quello cartesiano se dico che non esiste separazione fra anima e corpo? ???
È solo una questione di parole? Perché sono ormai abituato ad utilizzare anima come termine onnicomprensivo per esprimere un insieme di concetti come intelletto,personalità,presenza vitale. Dopotutto anche Nietzsche utilizza spesso questa parola in una veste non sacrale,quindi direi che possiamo soprassedere.

Non ho mai ritenuto N. un filosofo "naif",votato solo allo scetticismo,anzi lo considero un pensatore dalle idee chiare,ferme e decise,anti-dialettico per eccelenza. Ma prendere posizione non equivale a pretenderla assoluta,cioè a pretendere che ciò che sia giusto per sé sia giusto in sé. Altrimenti Zarathustra all'inizio del suo cammino sarebbe rimasto a tentare di convincere la plebe al mercato,invece di proseguire oltre. Mi viene in mente il celebre aforisma di Eraclito che afferma la duplice natura del mare,imbevibile e (talvolte) mortale per gli uomini,e contemporaneamente fonte di vita per i pesci. Analogamente ciò che costituisce il sale della vita per i nobili è dannoso e insopportabile per i più deboli,come è ripetuto nel primo saggio di Genealogia della morale. Ha senso parlare di norme etiche?

E dire che sarebbe sufficiente leggere frammenti di opere successive a UTU per averne conferma,quindi non una particolare difficoltà interpretativa. Non è che voglia sminuire UTU,ritengo ogni opera di Nietzsche preziosa,ma senza leggere le altre si rischia di ottenere una visione parziale e deformata del suo pensiero.

Tra l'altro la tua interpretazione mi lascia un interrogativo: come si può comprendere Nietzsche a partire da una base metafisica alla quale fare riferimento?

L'ostilità nei confronti del cristianesimo penso sia innegabile (per chi ha letto l'Anticristo praticamente un punto fermo),ma sostanzialmente nella sua epoca era già in fase calante,ad oggi è stato soppiantato dal nichilismo moderno. Nietzsche si ritrova a confutare non tanto il Cristianesimo,quanto l'ombra della sua autorità,per trarre le conseguenze ultime sulla sua fine.
#11
Green demetr,hai letto Ecce homo? Immagino e spero di si,perché quel testo rappresenta il miglior punto di riferimento che Nietzsche consegna ai postumi per capire più profondamente la sua persona e la sua produzione filosofica,seguendo il percorso che lo ha portato a diventare quello che è. UTU è un gran libro,ricco di spunti interessanti,ma appunto SPUNTI,che non rivelano i reali intenti dell'autore,in verità ancora molto incerti,come tutte le opere pre-Zarathustra. La maturità del pensiero nicciano a mio avviso avviene con lo Zarathustra,perciò ritengo poco fruttuoso giudicare la sua filosofia a partire da opere come "umano,troppo umano".

Fatta questa premessa,devo dire che non mi trovo d'accordo con gran parte delle tue affermazioni. Nietzsche non prende in considerazione presunte norme del bene e del male (praticamente una norma di..altre norme  ;D  ),né fondamenti etici di alcun genere (già il termine etica nicciana è un fraintendimento abbastanza importante), ma ritiene solamente l'agire e l'esperienza diretta del mondo,ossia i modi con cui ci interfacciamo ad esso,come gli unici criteri validi di valutazione. Non c'è separazione o dicotomia tra anima e corpo,per cui "la grande salute" dell'anima non può prescindere da una fisiologia altrettanto forte che la sostenga.

Tra parentesi: se questo punto può essere frainteso da persone di simpatia fascista,nazista,o chicchessia,non penso debba interessarci,soprattutto se questo può rappresentare un ostacolo ad una corretta interpretazione di un autore cosi complesso. Ognuno vede quel che vuol vedere.
Dunque si,l'analisi strettamente fisiologica è preporenderante rispetto agli altri aspetti nella sua filosofia,è la base (ma non ovviamente il succo) delle sue considerazioni.
#12
Citazione di: Socrate78 il 18 Settembre 2016, 13:49:30 PM
Salve, avevo già scritto nel vecchio forum (nel 2014), adesso vorrei proporre questo thread sul rapporto tra la natura e l'uomo, un tema su cui amo riflettere spesso in quanto appassionato di filosofia e di letteratura.
A me sembra che la natura, in quanto tale, non sia affatto orientata al bene dell'individuo, ma anzi lo asservisce ad un sistema in cui il singolo è soltanto una mera pedina, un robot che viene usato e poi gettato quando diventa di intralcio al sistema stesso: il ciclo della nascita, crescita e morte obbedisce sostanzialmente a questa logica che però, per l'uomo dotato di consapevolezza razionale, appare fortemente inumana.
Infatti filosofi come Schopenhauer e poeti come Leopardi (che riprende in parte Schopenhauer) hanno appunto notato il carattere profondamente inumano del sistema-mondo, che non tiene conto dell'aspirazione dell'individuo alla felicità e alla libertà, ma al contrario sembra andare contro questi valori, poiché la "natura" sembra non farsi scrupolo di provocare calamità naturali, malattie e anche una passione apparentemente positiva come l'amore sembra limitare fortemente la libertà dell'uomo, poiché nella passione amorosa la persona appare come una specie di pedina nelle mani dell'altro, pronta ad assecondare l'altro in troppe cose e quindi condizionata al massimo. Tutto ciò provoca comunque illusione e dolore.
Ma c'è dell'altro: il sistema conoscitivo dell'uomo mi sembra molto fallace, poiché tante cose che vengono percepite attraverso i sensi (i colori, i suoni, i sapori) in realtà non esistono concretamente nel mondo esterno, ma sono solo il frutto dell'interpretazione del nostro cervello, ma in definitiva quest'interpretazione è una "menzogna", poiché non corrisponde ad un qualcosa di obiettivo. Ne consegue quindi il carattere relativo e del tutto aleatorio della conoscenza, un cane ad esempio ha una visione del mondo diversa dalla nostra, ma non si può affatto dire che sia sbagliata, semplicemente è differente. Quindi la natura sembra frustrarci anche nel nostro legittimo desiderio di obiettività e verità.
Secondo voi la mia analisi è corretta?

Non credo che la natura abbia dei piani,o progetti in via di sviluppo,essa è semplicemente un' insieme di manifestazioni,talvolta prevedibili e riconducibili a regolarità,altre volte no. La vita,se prendiamo in considerazione l'intero universo,è un fenomeno piuttosto marginale,sorto ed evolutosi in condizioni altrettanto rare ed eccezionali,e di cui attualmente non abbiamo testimonianza altrove. Non vedo come il nostro ciclo vitale (ancor di più la vita di un singolo individuo) sia da considerarsi indispensabile al "sistema-mondo",ammesso che si possa pretendere di ridurre tutte le manifestazioni naturali a un singolo scopo,come ho già detto in partenza.
Schopenhauer e Leopardi (che non hanno esattamente la stessa visione pessimistica della realtà,ma soprassediamo) condannano e imputano come causa dei dispiaceri proprio quel desiderio di libertà e di felicità,che non può mai essere completamente e concretamente soddisfatto e proprio per questo motivo non genera altro se non false illusioni e conseguenti delusioni.
Un mondo che sia totalmente esterno al nostro apparato percettivo (sensi,coscienza,ragione) è inconoscibile e anche,se ci fosse il caso di dirlo,privo di alcuna rilevanza e interesse. 
#13
Citazione di: anthonyi il 16 Agosto 2016, 18:36:36 PM
Rispondo a memento 6

L'affermazione di irrazionalità implica istintivamente una riduzione della spinta a cercare una razionalità, in tal senso riduce le potenzialità cognitive.

L'idea di una religione che si sviluppa tramite una coercizione del pensiero mi convince poco, la coercizione è sicuramente efficace nel mantenimento di tradizioni già affermate nei confronti di parti devianti, ma non possiamo pensare che un solo individuo abbia imposto a tutto un popolo determinate credenze. Al riguardo si può portare l'esempio del faraone Akhenaton, che cerca di cambiare la cultura religiosa Egiziana, e si ritrova ad essere soggetto alla damnatio memoriae. Nel caso delle due religioni che hanno avuto più successo negli ultimi 2000 anni, in entrambi i casi, non vi è coercizione nelle fasi iniziali, ma vi è il tentativo da parte delle religioni preesistenti, di boicottarle.

A volte un potente può usare la fede per consolidare un potere, ma questo vale sempre e comunque per religioni già affermate che quindi vengono opportunisticamente accettate (Parigi val bene una messa). Bisogna però capire tutti quei meccanismi nei quali è il potente stesso che si sottomette alla religione, si potrebbe partire dai generali Romani che dopo il trionfo dovevano salire in ginocchio le scale del tempio di Giove Capitolino, dall'unzione sacra che dovevano ricevere i re d'Israele, per andare all'incoronazione che Re e Imperatori medioevali dovevano ricevere dai vertici della Chiesa. Concordo sul fatto che la religione produce un'identità collettiva e favorisce la formazione istituzionale, ma non a favore di poteri accentrati: "In God We trust" così recita l'incipit della Costituzione Americana, cioè l'atto che ha caratterizzato il primo sovvertimento stabile di un sistema di potere monocratico dai tempi della Repubblica Romana.

Non può esistere razionalità senza ciò che lo contraddice,l'atteggiamento irrazionale. In tal senso una riduzione delle potenzialità cognitive è il prezzo da pagare per poter osservare le cose e le idee con sufficiente distacco critico.

La nascita e l'affermazione di una nuova religione sono eventi di grande portata,certamente è difficile immaginare che un solo uomo possa farsi carico di tutto questo processo. Ma talvolte un singolo può dare origine a questo fenomeno ,intuendo le necessità e le esigenze presenti intorno a lui,formalizzandole all'interno di una concezione del mondo che le esprima in maniera più efficace: è il caso,per fare due esempi famosi,di Paolo di Tarso e Maometto.
Laddove impera una tradizione,la coercizione e l'uso della forza non sono necessari,perciò non compaiono. Quando invece una fede viene a mancare,e la tradizione declina,allora l'oppressione diviene inevitabile (anche come nuova "percezione" dell'autorità.) Potere e uso della forza  sono per me inversamente proporzionali. Si sarà capito quindi cosa intendo per utilità della religione.

Forse non si è compreso un concetto: una religione non consolida il potere di un governante come tale,ma la potenza di un'istituzione,e anche dove si venera un individuo in carne ed ossa,lo si "istituzionalizza",lo si trasforma in legge,verbo,autorità. Il potente che onora e rende servigi al tempio di un dio si riconosce in quei valori di cui quella religione è portatrice,e ne ribadisce la propria fedeltà . Sull'ultimo punto l'esempio che hai fatto mi pare un po' debole,dato che le ragioni che spinsero le colonie americane all'indipendenza non furono di natura religiosa; semmai c'è il solito tentativo di battezzare un novello stato sotto la volontà di Dio.
#14
Citazione di: paul11 il 15 Agosto 2016, 21:17:45 PMmemento
e siamo di nuovo alla spiegazione antropologica della religione, della fede. Ovvero riconduciamo al fenomeno sociale da baraccone,riduciamolo ad un neurone impazzito.
Quella stessa razionalirà scientifica che nemmeno sa spiegare la coscienza dovrebbe riuscirmi a "inquadrare"
mentalmente come un fenomeno?Semplice, lo chiama irrazionale perchè non lo sa spiegare , è fuori dal suo beato dominio. Adatto che non è nemmeno spiegabile psicanaliticamente, perchè la scienza ha ucciso la psicanalisi passando al farmaco o "chattando" con uno psicologo.


Il topic si intitola "osservare razionalmente la fede",non credo di sbagliare se presumo che fosse questo l'approccio richiesto (storico-antropologico).

I fenomeni non sono razionali o irrazionali,le spiegazioni lo sono. 
Gli unici limiti della scienza e della conoscenza in generale sono gli strumenti razionali,che in quanto esseri umani non possiamo rinunciare ad utilizzare,e che concentrano (definendone il dominio),ma al tempo stesso restringono la straordinaria varietà dei fenomeni di cui fare tesoro ed esperienza.

Sull'ultima frase no comment.
#15
Affermare che la fede (la credenza in enti soprannaturali) sia irrazionale o irragionevole non significa implicitamente ritenere che essa rientri nel campo dei fenomeni "inspiegabili",ma che anzi anch'essa possa essere legata a dinamiche sociali,psicologiche e comportamentali ben connotate,riscontrabili in ogni comunità umana fin'ora esistita,forse come condizione necessaria?

Penso sia poco plausibile l'origine della fede come sentimento sorto spontaneamente dall'individuo uomo (anche ritenere che religione e fede siano questioni meramente individuali lascia il tempo che trova..),data la natura effimera delle credenze e superstizioni in genere. Più verosimile è che la fede sia il prodotto di una coercizione del pensiero,per cui un'interpretazione della realtà finisce per predominare sulle altre,a seguito di sacrifici e torture sia fisiche che psicologiche,fino a canonizzarsi e diventare tradizione di un popolo; in questo senso noi osserveremmo solo il momento positivo di una religione,la sua riuscita,che è ciò che poi viene effettivamente tramandato.
Lungi dall'essere priva di connotati politici,la religione è il più efficace strumento di potere in dote a un regnante.L'utilità dell'idea di un dio è proprio quella di rafforzare e rinsaldare uno stato,una legge,un'istituzione,concedendo lei aiuti e privilegi sopra-naturali,davanti ai quali si può solo abbassare lo sguardo prima di inchinare anche la testa...