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Messaggi - Lou

#1
Citazione di: Jacopus il 26 Maggio 2025, 08:46:42 AMM. Nussbaum, filosofa dell'Università di Chicago, propone questa brillante metafora per definire il diritto penale occidentale nel suo complesso.
"Immaginate una società dove gli ascensori si rompono in continuazione, blocchi per assenza di corrente, incidenti, assenza di manutenzione, ma i gestori replicano orgogliosi alle critiche: sì, ma noi puniamo severamente chi non fa manutenzione, i progettisti, i sabotatori".
Il diritto penale si comporta pressapoco allo stesso modo. Non si preoccupa delle condizioni precedenti che sono il preludio della commissione dei reati, fondandosi sulla finzione che tutti i soggetti sottoposti alla legge siano uguali e quindi punisce i rei, senza preoccuparsi dei reali motivi che hanno permesso la commissione dei reati. Motivi che sono da ricercare in molteplici cause, ma tutte riconducibili nella diversa possibilità di accedere alle risorse materiali, culturali, affettive della società di appartenenza.
Molto interessante, si potrebbe aprire un dibattimento su un approccio puramente distributivo o personalistico nell'ambito della giustizia. Nel passo citato, in ogni caso, trovo che la filosofa  auspichi (la necessità di?) una elevazione della giustizia (l'ascensore) in senso più personalizzante e non solo distributivo. Questo è, in sintesi, quello che ne evinco. Tuttavia occorrebbe, domandarsi, forse in senso ampio, quanto e quale sia il significato di "la legge è uguale per tutti", e, banalmente, potrei rilanciare e dire, ma un diritto penale troppo personalizzante non scardinerebbe questo principio? questo è il dubbio che mi si apre, ammettendo la mia semi ignoranza in diritto penale.
#2
Citazione di: doxa il 02 Settembre 2024, 21:16:48 PMLa poetessa polacca Wislawa Szymborska (1923 – 2012), premiata con il Nobel per la letteratura nel 1996,  nella sua composizione in versi titolata "Ad alcuni piace la poesia" l'autrice s'interroga sul valore della poesia e sulla sua funzione.

Ecco il testo:

"Ad alcuni?
cioè non a tutti.
E neppure alla maggioranza, ma alla minoranza.
Senza contare le scuole, dov'è un obbligo,
e i poeti stessi,
ce ne saranno forse due su mille.

Piace?
ma piace anche la pasta in brodo,
piacciono i complimenti e il colore azzurro,
piace una vecchia sciarpa,
piace averla vinta,
piace accarezzare un cane.

La poesia?
ma cos'è mai la poesia?
Più d'una risposta incerta
è stata già data in proposito.

Ma io non lo so, non lo so e mi aggrappo a questo
come all'àncora d'un corrimano"
.

Ironica e provocatoria la riflessione della Szymborska: l'autentico poetare è un dono raro. 

L'autrice pone nella conclusione la domanda fondamentale: "Ma cos'è mai la poesia ?" Ed esprime il suo dubbio, reso dalla ripetizione: "io non lo so, non lo so".  Però Wislawa tramite una metafora ci dà una risposta certa: la poesia è come un corrimano: è sostegno, a cui aggrapparci nelle traversie della vita. Ha una funzione di conforto.

Dice che l'arte poetica non è per tutti, non appartiene alle masse ma all'intimo dell'individuo.

La si studia nelle scuole ma non è detto che piaccia agli studenti, e i veri poeti, afferma Szymborska, sono "due su mille".



Gli giuro che una rosa bianca,
se viene spruzzata di vino, canta.


Forse la poesia è  veritá capace di cantare oppure un canto capace dell''ebrezza della veritá.
 

#3
Citazione di: bobmax il 05 Agosto 2024, 21:08:25 PMSì, Lou, penso anch'io che vi siano sfumature diverse tra i due.
Ma ho l'impressione che ciò dipenda da una qual ritrosia, una esitazione a prendere davvero il toro per le corna.

Così Parmenide insiste sull'"essere è il non essere non è"
Mentre Eraclito osserva che "tutto diviene".

Ma cos'è che resta implicito in entrambi, sebbene non espresso?

Perché nella esistenza, l'essere è tale solo in quanto qualcosa diviene... Mentre il divenire necessita che qualcosa permanga...

E allora?

L'indicibile:
Essere = Nulla

D'altronde questi magnifici pensatori per quale motivo si sono messi a riflettere sul Fondamento?

Secondo me, per l'etica.
È l'etica che li sospinge.

Così almeno capita a me.
Certamente il divenire per Eraclito è ció che permane, altrimenti... non potrebbe "essere-divenire, alla stregua del Parmenide per cui l'essere è l'unico permanere di ogni divenire. Sono affini nella differenza.
Ora, ho una domanda: serve un permanere, un fondamento all'etica? Io son convinta che loro cercassero questo. Ma se in fondo non ci fosse? Torniamo all'essere=nulla, come hai anticipato?
#4
Direi che non c'è nulla di più divino della natura. O nulla di più naturale del divino. Proprio di nulla non si parla. E questo basti a tutti gli dei, le dee e qualunque "Dio" e seguaci  e religioni di ogni specie , e pure l'ateismo o il l panteismo altro.. che non è il punto., Troppo avanti Spinoza in un monismo immanentista talmente potente da far fondere e rabbrividire e dio e la natura, viceversa è lo stesso. Son concetti che esplodono nell'etica spinoziana! Da reinventare, io penso sia questo il punto. Un insegnamento senza pari.
#5
I giochi di magia son terminati.
Come t'avevo detto, quegli attori
erano solo spiriti dell'aria,
ed in aria si son tutti dissolti,
in un'aria sottile ed impalpabile.
E come questa rappresentazione
- un edificio senza fondamenta -
così l'immenso globo della terra,
con le sue torri ammantate di nubi,
le sue ricche magioni, i sacri templi
e tutto quello che vi si contiene
è destinato al suo dissolvimento;
e al pari di quell'incorporea scena
che abbiam visto dissolversi poc'anzi,
non lascerà di sé nessuna traccia.
Siamo fatti anche noi della materia
di cui son fatti i sogni;
e nello spazio e nel tempo d'un sogno
è racchiusa la nostra breve vita.
#6
Citazione di: bobmax il 05 Agosto 2024, 16:42:46 PMIl molteplice e il divenire fondano l'esistere.
Ma l'esistere non è l'Essere.
Ed è questo che facevano notare sia Eraclito sia Parmenide.
Che non erano affatto in contrapposizione, come invece spesso erroneamente interpretati.

Infatti entrambi affermavano l'Uno.
Parmenide facendo notare come l'Essere non potesse essere molteplice.
Eraclito mostrando l'unità sottostante ogni mutamento: vi è sempre e solo l'Uno

"Immortali mortali, mortali immortali, viventi la morte di quelli, morienti la vita di questi"
Sulla distinzione tra essere ed esistere negli autori che citi la trovo una operazione a posteriori, certamente non teorizzata in pieno dagli stessi ( o non consapevole a parlare con le nostre categorie odierne - scusa ma un tot una prospettiva genealogica  ) sebbene sottesa, a mio modo di intendere,nel pensiero presocratico, in ogni caso è fonte di dibattito.
Sulla contrapposizione tra i due sono quasi in totale accordo, con i dovuti distinguo: il mutamento eracliteo non presenta gli stessi caratteri di quello parmenideo. Parlando di "Uno" sotteso diciamo con con Eraclito si sottoscrive una permanenza che è garante dell'impermanenza (perció parlavo di mutamento quale permanere) con Parmenide l'impermanenza pare qualcosa di effimero, trascurabile, come se non avesse nulla a che fare con la realtà.
La citazione finale è immensa, per ció che penso attualmente è il leit motiv che innerva accompagna la filosofia e la poesia da cui siamo nati.

P.s. La mia citazione precedente era per sottolineare come Platone ( non Socrate, o il Socrate di Platone, facciamo così ) rielabori il pensiero eracliteo ( a suo uso e consumo ? ) per sostenere altre tesi, estranee a mio pare, a chi scrisse quel frammento.
#7
Citazione di: iano il 05 Agosto 2024, 16:04:20 PMCiò che non muta è il cambiamento.
Esattamente il mutamento è ciò che permane.
#8
[88 Diels-Kranz ] La stessa cosa sono il vivente e il morto, lo sveglio e il dormiente, il giovane e il vecchio: questi infatti mutando son quelli e quelli mutando son questi.

Eraclito.
#9
Citazione di: Phil il 26 Novembre 2022, 15:05:23 PMSul rapporto fra Kant, giudizi estetici e bellezza rimando a questo breve articolo.
Personalmente, credo che la bellezza sia un'esperienza di riconoscenza più che di conoscenza: non ri-conoscenza in senso di anamnesi platonica, quanto piuttosto riconoscenza come asimmetria nel rapporto con l'oggetto bello, un sentirsi "in debito", nel senso di aver "ricevuto" anche quel plus-valore che è appunto la bellezza, assieme alle altre caratteristiche percettive.
Esemplificando: se guardo un quadro ne percepisco colori, forme, etc. se guardo un bel quadro, oltre a percepirne colori, forme, etc. ne ricevo anche un input di bellezza che, nella sua piacevolezza, mi porta ad essere riconoscente verso l'oggetto, "grato" dell'esperienza vissuta, di quella gratitudine che in generale costituisce un legame piacevole con ciò verso cui si è grati per averci dato in più qualcosa di bello.
In fondo, anche nei rapporti umani la gratitudine è talvolta connessa a qualcosa di "bello", magari un bel gesto, ricevuto da qualcuno; nel caso del rapporto con l'oggetto, l'intrecciarsi di fascinazione e gratitudine è ancora più "pura", in virtù dell'impossibilità del ponderare di "restituire" il plus-valore a ciò che lo produce.
Molto platonico come incipit. (Solo le anime che sono venute a contatto con l'idea della bellezza la ricordano e la riconoscono nel mondo.)
Io trovo un fattore conoscitivo invece nell'esperienza estetica, non solo di riconoscenza. Ma i due aspetti in fondo non si contraddicono, neppur in una loro, eventuale, eccedenza.
#10
@viator che limitazioni poni alla percezione sensibile e alla sensazione del bello. Il tatto di una dolce carezza è una sensazione di una bellezza inesprimibile, sfocia quasi in sublime. Incredibile. Se tu la releghi alla vista o al suono son problemi tuoi di bar sport.
La bellezza primaria è in questo, un sapore, un odore, il tatto che ci fa conoscere anche a noi stessi e la lista è lunga, l'arte la esprime e la narra, ma viene dopo questa originaria predisposizione estetica. Sì c'è dell'incredibile, ma non dell'impercettibile. Sono i sensi la radice estetica,: della conoscenza di sè e degli altri e della bellezza che si percepisce.
#11
@PhyroSpera
Sì, il senso estetico si basa sulla percezione sensibile e la percezione sensibile ( estetica in senso proprio)  è una forma di conoscenza.
Anche Platone fu costretto ad arrendersi a questa evidenza: l'idea del bello è l'unica idea percepibile a livello sensibile.
#12
Citazione di: Socrate78 il 24 Novembre 2022, 17:22:24 PMSpinoza, com'è risaputo, concepisce Dio in maniera panteistica, secondo il detto "Deus sive natura", Dio in pratica E' TUTTO QUELLO CHE ESISTE, anche le pietre e le piante non sono altro se non modi con cui la sostanza Dio si manifesta.
Nella sua Etica Spinoza afferma che il più alto grado di conoscenza è l'amore intellettuale di Dio, che si realizza quando l'intelletto intuisce che ogni ente esistente fa parte della sostanza divina, è Dio esso stesso. Ma di fatto questa conoscenza a quali azioni conduce? Io credo (ma non so se interpreto bene....) che questo amore debba tradursi in una simbiosi della persona con tutta la natura, per cui la persona dovrebbe astenersi dal compiere ogni azione lesiva contro ogni essere vivente e riuscire ad armonizzare la ricerca del proprio utile con quello altrui senza danneggiare alcuno. L'amore intellettuale di Dio dovrebbe poi portare ad essere empatici e compassionevoli con chi soffre e a condividere ogni gioia delle persone che ci circondano, perché esse non sono altro se non una parte di noi e di Dio stesso.
E' corretta la mia deduzione oppure Spinoza intendeva qualcos'altro che mi sfugge?
Più che simbiosi, empatia ( è amore intellettuale, intus, andare dentro leggere...) con ogni essere colto nella sua singolarità e irripetibilità naturata per un verso, e partecipe della stessa identica sostanza naturante allo stesso tempo, perciò in intima connessione collettiva con il tutto. Personalmente ho sempre trovato un afflato sociale nell'amore intellettuale di Dio spinoziano, c'è alla base, a mio parere, una grande importanza data alle emozioni e alla conoscenza che, se unite, in alto grado (come questo tipo di amore) possono ( possono proprio in termini di potenza spinoziana) far raggiungere quel grado di gioia che in quanto condivisa è libertà. In linea di massima mi trovo parecchio in accordo con la tua lettura.
#13
Citazione di: Socrate78 il 06 Novembre 2022, 18:37:09 PMPersonalmente che cosa credete possa esistere dopo la morte fisica? Siete orientati ad escludere totalmente un'ulteriore esistenza oppure pensate ci sia un'altra realtà in un piano diverso da quello terreno? Credete nell'esistenza di un giudizio sulle azioni che l'anima ha compiuto in vita e di conseguenza un purgatorio oppure nella peggiore delle ipotesi un inferno?
Apro questo thread proprio per vedere come voi la pensate.
Per quanto mi riguarda è sempre dalla vita che si osserva, pensa e parla della morte, mi considero meramente un testimone della morte sino ad ora, morte che configuro, dato quanto osservato nei viventi, un evento della vita. Detto questo, in merito al dopo, quando questo evento accadrà a me singolo, direi che posso avere solide basi ( sempre che le osservazioni empiriche lo siano e siano esaustive, questione che apre un mondo nell'aldiqua ;)) perchè questo esso faccia parte della vita di altri, coloro che ne saranno testimoni, nei loro ricordi, nei loro pensieri, nei loro sogni. Per me questo ad ora significa "ulteriore esistenza". Per il resto rimango agnostica.
#14
Tematiche Filosofiche / Prima e dopo il BIG BANG!
15 Settembre 2021, 11:02:40 AM
Citazione di: Eutidemo il 15 Settembre 2021, 07:15:54 AM

Nel mio piccolo, non sono sicuro di aver ben compreso  quello che sostiene Hawking.
Però, a mio sommesso parere,  se è vero (come è inevitabile supporre), che ci sono stati degli eventi avvenuti "prima" del Big Bang, questo vuol dire, anche se non c'è modo di misurare che cosa sia successo,  che il "tempo" esisteva necessariamente anche "allora"; e che, quindi, che il "tempo" non è affatto iniziato con il Big Bang.
O meglio, semmai, si può dire soltanto che "dopo" il Big Bang si è innescato un nuovo ordine temporale.
***
Non scorreva, però. Un tempo che non scorre è ancora tempo?
#15
@Bobmax
No, certo che la natura naturata non è differente sostanzialmente, è inconcepibile nel  sistema monistico spinoziano una prospettiva tale, questo lo avevo sottolineato nel mio precedente intervento. Tuttavia le questioni e le obiezioni che poni sono per me interessantissime e mi danno una grande e ulteriore opportunità di riflessione.
Ogni triangolo che vedo e magari su cui inciampo ( dimmi tu ^^) - naturato - coincide dal pdv dell'estensione con l'ordine geometrico naturante, chiamarlo triangolo o somma degli angoli interni 180 gradi, è lo stesso. In questo senso non c'è differenza. Eppure tra i triangoli naturati, in quanto modi, una differenza tra l'uno e l'altro la riscontriamo e pure verso l'origine, banalmente non sono causa sui. E sì è apparente certo, e tutto ció che appare è, è il grado di realtà a cambiare. Ed è proprio lì che vedi la manifestazione e l'immanenza del principio naturans, nei naturata che pur differenti esprimono l'ordine naturans di cui partecipano, nella loro differenza di causati e non causanti e univocità, in forza dell'origine che fonda e differenzia. Una natura eterogenea che trova la sua radice in una sola natura.
Per me questo è il mondo di Spinoza, necessariamente libero di differenziarsi ed in ció trovare la sua univocità. Non liberi dalla necessità, ma liberi nella necessità.