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Messaggi - Vittorio Sechi

#1
Sempre complesso, poco agevole, davvero difficile definire cosa sia l'arte.
È techne, esclusivamente "saper fare"?
Oppure no! È sentimento in forma di vapore che si traduce in emozione, "saper dire"?
È oggettiva, oppure relativa?
#2
Per suoi limiti congeniti, quasi mai le parole, siano esse espresse in dizione o in grafia, sono adeguate a tradurre le emozioni in maniera compiuta. Ciò in barba al fatto che esse siano il veicolo principe della comunicazione fra umani.
Quando utilizziamo le parole per trasmettere emozioni, difficilmente ci rendiamo conto che eccitiamo due diverse sfere del nostro essere. Due universi paralleli, che scorrono su livelli diversi. L'uno, attivato dalla parola, è quello del raziocinio, del sistema linguistico/semantico, che, in quanto deputato a svolgere il ruolo di connettore fra umani, staziona ad un livello più esterno; l'altro universo, indefinito ed indefinibile anche per la scienza della psiche, è quello del profondo, delle emozioni e dei sentimenti... In definitiva, la nostra essenza più intima e pura, quella che non indossa maschere.
La parola, declinata in significatività semantica, non è normalmente adatta a rappresentare e rendere conto del magmatico universo dell'anima. Per il semplice motivo che, attivando il medesimo cosmo razionale sia in chi la proferisce che in quanti la ricevono, ben difficilmente riesce a penetrare in quel substrato ribollente ove fermentano le emozioni.
Eppure noi umani siamo in gran parte esseri emozionali. Quindi uno sfogo comunicativo quel magma deve pur trovarlo.
L'arte, che si esprime con un metalinguaggio simbolico, che costitutivamente rinuncia alla coerenza e disdegna il principio fermissimo di non contraddizione, è, in effetti, lo strumento più adatto a trasmettere gli stati d'animo, i flash emotivi e i sentimenti... Non per nulla gli innamorati parlano in poesia.
Fra le arti, forse, quelle figurative, come la pittura, e la musica sono le più immediate. Un quadro esalta, commuove, eccita i sensi. Un brano musicale crea un'atmosfera entro cui si naufraga dolcemente. In quei momenti è lo stato d'animo del pittore o del musicista che comunica con l'anima di chi osserva o ascolta.
Fra le arti letterarie senza dubbio è la poesia a svolgere meglio di qualsiasi altra il compito di connettere emotivamente poeta e lettore. I versi sono, in effetti, il racimolo grafico del sentimento, anche momentaneo, del poeta, e lo trascinano fino all'anima del lettore.
Perché scrivo tutto questo?
Mi son chiesto tante volte perché l'arte attragga in misura così prepotente l'attenzione della gente. Non credo si tratti solo di un fatto estetico... Non solo per la bellezza, dunque.
Credo più che altro che sia per questa sua particolarissima caratteristica: parla direttamente all'anima e mette in comunicazione emotivamente persone distanti nel tempo e nello spazio. Persone sconosciute, tra l'altro.
L'arte è a-spaziale e a-temporale.
In tal senso, nessun altro manufatto umano ha questo incredibile potere. Non è un caso, infatti, che nell'antichità classica la si considerasse direttamente ispirata dalla divinità (e non è detto che non sia così): la divina follia.

Questa poesia, bellissima, che conoscevo già, compie con delicatezza questa magica azione: comunica il sentimento dell'autrice al sentimento del lettore. Immagini stupende, delicatissime che trasudano vita, impregnate di vita. Non c'è, in queste strofe, un solo termine eccessivo.

Terra che fiorisci nel mio cuore (di Anna Cristina Serra)
L'autrice mi perdonerà. Spero di non farne scempio.
Emerge con estremo nitore l'immagine della terra che si rinnova, rifiorendo al tepore della primavera. Il suo ridestarsi accompagna il rifiorire del cuore, facendogli da contorno. Anima e terra si stringono in un abbraccio notturno; in simbiosi rinascono..
Terra che stringo tra le mani
e che fiorisci nel mio cuore
come preludio di primavere,
dormi anche stanotte accanto a me.

L'erompere della vita, il suo intrufolarsi in ogni spazio e il suo manifestarsi nell'ansito della Natura che si rinnova, sono affidati al leggero e delicato battito delle farfalle.
Ti racconterò
la favola delle farfalle
che con un battito d'ali
volgono il tempo al buono.

Questo verso, lo confesso, è problematico, di difficilissima comprensione.
Sono evocati la notte e il sonno. Forse perché solo in uno stato di sonno ed incoscienza è consentito all'anima di vagare in spazi aperti, privi di muri ed ostacoli frapposti fra uomo e uomo per impedirne l'incontro. È uno spazio libero quello di cui si è alla ricerca. Uno spazio libero dove rifulga la luce di Dio (il Padrone della luce, con l'iniziale maiuscola).
Dormi, perché da sveglia non conosco
la strada
per la Terra dei muri caduti,
né è in mio potere conoscere
il Padrone della luce.

Simbolica la forma letteraria, simbolica anche l'area entro cui si spazia. Solo in una dimensione onirica è consentito a noi umani, travolti dalle urgenze dello stato di veglia, realizzare la compiutezza della libertà, che è poi l'essenza della brezza. Qui siamo in Sardegna, ed è proprio il vento ciò che più liberamente percorre le valli, i monti e i mari della nostra magnifica terra.
Solo una poesia può descrivere l'isola, la nostra isola, con tanta dolcezza. Le farfalle siamo noi, isolani e nuovi ospiti. Invitati perché nessuno è padrone del vento e della terra. Abbiamo tutto ricevuto in prestito e tutto dobbiamo consegnare ai prossimi invitati. La Sardegna è la nostra casa. L'abbiamo ricevuta in comodato d'uso gratuito dai nostri padri, invitati anch'essi, e dobbiamo riconsegnarla ai prossimi invitati nelle migliori condizioni possibili.
Dormi, perché nel sonno
una brezza libera ci dirà
quante farfalle invitare
a vivere nella nostra casa.

È questa corsa del vento, che liberamente si dispiega dalle coste verso l'interno, che rinnova la Natura, e trasporta con sé i suoni dei paesi, e con essi anche i canti delle genti e i racconti mitici degli anziani. Sardegna, terra di miti e leggende. Terra sempre bambina, come una brezza che sorvola muri oramai caduti, che non si ergono più a separare uomini da altri uomini. Vento che dall'alto osserva e tien conto delle anime raccolte intorno ai focolari accesi, perché mai si spenga il fuoco vivo della vita che anima questa terra che saprà rinnovare se stessa e mai dovrà divenire un deserto di anime spente.
E anch'io sarò
una favola
un battito
una brezza
di muri caduti,
o una bimba
che conta quante braci
rimangono accese nel camino
perché il fuoco
non si spenga
nella notte.

Non ho idea se l'autrice con i suoi versi volesse dire ciò che ci ho letto io. Ma tant'è, io questo ci ho letto, e questo ho scritto.
Ribadisco, stupendo componimento. Un applauso.
#3
Citazione di: anthonyi il 08 Aprile 2019, 06:49:21 AM
Citazione di: Vittorio Sechi il 07 Aprile 2019, 23:07:10 PM

Vittorio, poeticamente sei bravo, ma l'economia si associa male con la poesia. Il mercato non fa vittime, da opportunità e produce beni. Se queste cose a te non piacciono, libero di rifiutarle. L'imperativo di crescere è l'effetto del desiderio umano di avere di più, se gli uomini smettono di volere di più il PIL si adegua. Il problema è che quelli che vogliono di più sono sempre tanti, e io, pur non essendone parte, non credo sia legittimo per quelli come me impedire loro di provarci.
Un saluto.

È vero! L'economia non si nutre di poesia, eppure la poesia nutre il mondo. La specie umana da sempre ha intinto la sua anima nel brodo caldo della bellezza. L'uomo è l'unico animale che crea arte. Ed è forse per via di questa scissione venutasi a creare fra specie umana e bellezza che abbiamo un po' perso il vero senso delle cose ed inseguiamo mondi che un po', sempre più, ci sono alieni, divenendo via via sempre più inospitali.  Siamo spersi fra forre che in origine abbiamo contribuito a creare, ed ora ci rendiamo conto che la lacerazione si accentua ed il mondo bramato si rivolta contro il suo creatore.
Il Pil, il sacro feticcio del travet d'alto bordo, non ammette titubanze: deve crescere, e nella sua inesausta crescita, poco importa, nulla rileva, se lascia stremati, prive di respiro e futuro fette sempre più larghe di popolazione. D'altro canto è noto e risaputo: ogni lavorazione rilascia degli scarti, in questo caso si tratta di vite di scarto, i danni collaterali della teckne.
La tecnologia prescinde dalla volontà dell'uomo. Ha imboccato la strada della generazione spontanea e si riproduce per partenogenesi, creando desideri inconsulti e speranze plastificate, che noi inseguiamo senza intravedere un senso e privi di reale bisogno, mentre dall'altra parte della luna c'è chi paga lo scotto del nostro eccesso. È così che l'economia, la più virtuosa delle 'scienze', d'altra parte, in medio stat virtus, registra un costante equilibrio. Noi siam atterriti ed assediati dall'obesità, per controbilanciare il peso sulla terra, in altri mondi – lontani, affinché i nostri paciosi sentimenti e sonnacchiosi occhi siano preservati – si sopravvive o, se necessario e preteso dall'equilibrio universale, si muore di stenti.
Anche I rapporti fra umani oramai son mediati da scatole di plastica ricche di coltan, da tecnologia che ci consente facili scambi amorevoli.
Questo è davvero il mondo che abbiamo sognato?

#4
Citazione di: anthonyi il 05 Aprile 2019, 20:00:14 PM

Se l'attività economica produce veleni e distrugge l'ambiente vanno introdotti correttivi politici. Se la politica non ha una visione adeguata di questi problemi, non si capisce perché questa visione dovrebbero averla gli imprenditori privati.
Un saluto

Esistono due fronti. Si combattono una guerra le cui giustificazioni e il cui senso sfuggono ad ogni sensata razionalizzazione (vedi i casi in cui ai reietti della terra, le vite di scarto, è preclusa ogni possibilità di riscatto sociale e vivono costretti in ambiti e condizioni di sussistenza in vita). Talvolta accade che alcuni esponenti dell'uno stringono un patto leonino con il demone del capitale. L'uno è rappresentato dai bisogni veri della gente, l'altro dall'insana necessità dell'accumulo sempre più parossistico. La politica non riesce a mediare fra queste due istanze perché è intrisa di motivazioni aliene al suo precipuo compito. Ma se la politica latita non significa che l'etica evapori. Siamo circondati da accumulatori seriali privi di etica ed anche quando le norme son scritte a tutto tondo, troppo spesso sono vissute come un limite all'accumulo che dev'essere aggirato. Non sempre le colpe sono da attribuire alla politica.

In definitiva cos'è poi quest'attività se non uno strumento di mediazione fra le disparate istanze provenienti dai diversi settori della società? Non solo! È anche uno strumento di composizione dei conflitti, e, ponendosi al centro delle esigenze per ricomporle e bilanciarle, persegue la realizzazione del loro equilibrio mantenendole in un rapporto dialettico. Ancor più è uno strumento di governo dei fenomeni. Un complesso processo di gestione dei fattori caratterizzanti la vita sociale di una comunità. Deve amministrarli, governarli, plasmarli e mai subirli. Ma il compito della politica non può esaurirsi nella gestione del presente, non può limitarsi a guardare l'oggi, deve proiettare il proprio sguardo oltre l'angusto spazio delimitato dall'orizzonte degli eventi ed essere proattiva. Deve, quindi, saper programmare e fungere da stimolo e volano di crescita economica, sociale e civile. Tutto ciò fa sì che sia un mezzo e mai un fine; uno strumento dell'uomo, uno dei tanti, per intenderci, che se utilizzato sapientemente funge da regolatore della vita sociale della comunità di riferimento. Per questa sua peculiarità, essa, nel suo estrinsecarsi nella realtà, non può mai trascendere la dimensione umana, non può prescindere dal confrontarsi con questa complessa dimensione, ove ribollono le differenze, come un magma incandescente.  Se lo facesse si ridurrebbe ad un fine, immiserendosi e perdendo di vista il proprio compito, sarebbe asservita al potere ed alla bramosia di conquistarlo. Tutti i fenomeni umani hanno come primo interlocutore la politica, tranne in quei casi in cui l'urgenza impone il silenzio ed esige l'azione.

Avendo questa particolare funzione di ricomporre i conflitti e promuovere l'azione conveniente, estrinseca la sua azione in un ambito umano, quindi limitato e definito, nonché imperfetto. Occupa lo spazio del meglio – il meglio possibile -, non quello della perfezione, che non si confà alle sue caratteristiche. Essendo uno strumento al servizio delle esigenze umane e trovandosi a fare i conti con pulsioni o necessità le più variegate possibili, il suo precipuo ruolo è quello di contemperare queste diverse istanze, diversamente non vi sarebbe il necessario equilibrio e si correrebbe il rischio di scivolare nella dittatura di una parte sull'altra. Contemperare le esigenze diverse significa semplicemente ricercare e trovare il giusto bilanciamento (umanamente giusto, quindi il più giusto possibile, non il giusto assoluto) fra le varie sollecitazioni provenienti dal corpo sociale.

La politica, però, oltre ad essere uno strumento umano, è agita e pensata da umani. Anche l'imprenditoria è uno strumento, un mezzo utile a raggiungere un fine, che altro non è che il bene sociale ed economico dell'imprenditore, e per riflesso della più vasta comunità. È uno strumento che utilizza altri strumenti. Uno dei quali è il capitale. Così dovrebbero funzionare le cose in un mondo equilibrato, forse utopico. Eppure assistiamo alla soverchiante arroganza del capitale, soprattutto finanziario, che fagocita in sé ogni altra esigenza, quasi abbia acquisito vita e volontà proprie, che prescindono da volontà terze. Lastrica il terreno dei suoi bisogni e si allea, volta per volta, con il potere del momento pur di perseguire un fine che è altro rispetto al bene di chi lo possiede e delle comunità che aggredisce.

Siamo vittime un po' tutti di questo parossistico accumulo che pare non abbia un limite. Il Pil è il vero dio che governa, arcigno, le nostre esistenze. E questo dio profano ha un unico imperativo, quello di crescere, di superarsi anno dopo anno, e non si cura delle vite strappate con cui semina il suo campo.


#5
Citazione di: anthonyi il 05 Aprile 2019, 13:26:59 PM
Vittorio, e chi ha detto che tutto è concesso, io non ho mai messo in discussione l'esistenza di regole generali, oltretutto non sono neanche un sostenitore della "ricchezza", se ti parlo di funzione imprenditoriale è perché questa è necessaria ad ogni società, mica solo a quelle di mercato, tu dimostrami che in una società questa funzione è soddisfatta senza proprietà privata, senza libera impresa, senza arricchimento individuale, ed avrai ragione tu.

Hai ragione, non l'hai mai sostenuto, come d'altronde io non mi sogno di ricusare la funzione indispensabile dell'imprenditoria privata in una società complessa come la nostra "Il problema di voi che ragionate con il paradigma marxista è che non avete una cultura della necessità della funzione imprenditoriale nella società."

Non credo che ogni erba costituisca un fascio, ma ritengo il capitale un mostro a cento e più teste che necessiti di ferreo controllo e regole certe.

Le attività umane, sono, giustappunto, attività dell'uomo. Questi non può essere visto e considerato alla stregua di una monade: sufficiente a se stesso, essere a se stesso. È, come prima sua caratteristica essenziale, un essere relazionale. La primissima relazione che instaura una volta che viene al mondo è con l'ambiente circostante. Da questo rapporto polemico (da polemos), quindi spesso conflittuale ed assai dinamico, non può mai prescindere. Può vivere isolato, come un eremita, ma con l'ambiente che lo accoglie e circonda deve pur sempre fare i conti.
La Natura non è sempre una madre benigna, sovente si mostra nelle sue acre vesti di mater matrigna - interessantissime a tal proposito le lezioni di Leopardi -. Da qui la necessità di governarla, modificarla, rimodularla per adattarla alle condizioni genetiche del suo ospite. L'uomo è l'unico essere del creato che nasce totalmente privo di difese naturali: "la scimmia nuda".

Essendo la Natura colei che offre asilo a questa scimmia nuda, è gioco forza che, nel riadattarla alle sue esigenze, l'uomo debba necessariamente portarle assoluto rispetto. Tale rispetto si concretizza nel trovare il giusto equilibrio (il kata metron dell'antica saggezza greca) fra le trasformazioni antropiche e le ragionevoli e ben misurabili capacità di assorbimento che l'ambiente mostra di possedere. Diversamente, se si eccede, si cade nel peccato che sempre una saggezza che precedette quella di Cristo definiva 'tracotanza' (hybris).

L'uomo per vivere ha necessità assoluta di usare l'ambiente, ma senza eccessi ed evitando di apportare modificazioni tali da ridurre a macerie la casa che lo ospita.

Abbiamo e siamo innamorati (me compreso, ovvio) di un unico modello di civiltà. Lo abbiamo brevettato e lo esportiamo convinti che sia l'unico universalmente valido. Abbiamo così soppiantato altri esempi di convivenza fra umani. Sotto l'insegna della croce e della pecunia abbiamo irriso le civiltà del vicino e lontano Oriente - per riscoprirle solo quando il nostro modello ha mostrato vistose crepe ed incrinature -; cancellato quella precolombiana; reso sterile quella paleocristiana; disintegrato quelle animistiche del centro Africa. Senza rispetto e senza ritegno, le abbiamo quasi tutte cancellate. Mai che alla pecunia ed alla mitra sia venuto in mente di affiancare e non sostituire, accostare e non soverchiare, integrare e non assimilare.

Il Capitale e il potere hanno un vocabolario assai ridotto, purtroppo.

Da sempre quest'entità acefala si è servita del potere e il potere di lei. La storia del colonialismo è una storia d'amore fra potere e Capitale. E quest'ultimo conserva in sé, nel proprio Dna proprio il sentore e il sapore di quelle calde e voluttuose notti in cui poté, senza remore e senza freni, addirittura con il consenso festoso della più alta autorità morale del tempo, consumare l'amplesso col suo amato. Ne serba il ricordo e tende a perpetuare questa sua vocazione, prescindendo dall'uomo e dalla Natura, che in questa sarabanda ditirambica sovente appaiono come freni – lacci e laccioli -.

Il Capitale ragiona in termini di colonialismo. Quando non lo fa è giusto perché la politica, quindi l'uomo, non glielo consente – a tal proposito gli esempi sarebbero ridondanti -. Se fino a ieri assumeva volto e sembianze piuttosto rozze, senza curarsi dell'estetica, oggi, epoca in cui anche l'occhio ha le sue pretese, si ammanta delle candide vesti del progresso. Anche quando a questo progresso sarebbe meglio e più saggio rinunciare . Ma il suo volto è sempre arcigno e il suo sorridere scopre denti aguzzi, come quelli delle fiere pronte all'assalto.

Questa naturale alleanza impone che quanti permangono ai suoi margini o relegati oltre il suo perimetro debbano sottostare alle sue ferree regole, che statuiscono l'imperio delle élites sulle masse. La dittatura del Capitale si estrinseca e realizza con la sottrazione alle masse delle opportunità di sviluppo organico ed armonico. È sufficiente dare una scorsa alla storia della Sardegna. Cercare di comprendere cosa sia accaduto con la grande industrializzazione dell'isola - capitale, potere e, purtroppo in quel caso, anche cieco, se non addirittura venduto sindacalismo, uniti all'insegna del progresso -. Una visita guidata a Sarroch, Ottana, Porto Torres, Portovesme è sempre assai didattica. Lì, in quei deserti, fra quelle cattedrali, potranno essere reperite le dotte citazioni che io non includo in questo testo. Se per un solo attimo si ha avuto la sensazione che stia filosofeggiando in maniera astratta, una visita al museo della morte di Porto Torres rasserenerebbe chiunque sulla veridicità di quanto affermo.

Non vi è naturalità nell'operare del Capitale, solo un'inesausta ricerca del profitto. Ciò va a danno, troppo spesso, di tutto quel che entra in conflitto con le sue mire. La Natura non è un'entità amorfa del complesso ecosistema definito terra. Ne è parte viva e pulsante. L'ambiente, intendendo terra, acqua e cielo, elementi primordiali che rinnovano e celebrano ogni giorno i fasti e la sacralità della vita, è elemento vivente. Come tale esposto anche al rischio di essere sopraffatto dalla morte: tutto ciò che vive è esposto alla morte (cit. U. Galimberti e mille altri ancora, ma soprattutto il buon senso).
L'uomo, intendendo con questo termine l'intera umanità, in esso (ambiente) è immerso, da questo è circondato e con questo deve convivere, pena la scomparsa di entrambi.

La Natura, quindi l'ambiente, ha un'enorme capacità di assorbimento delle attività antropiche. La Natura è resiliente. Questo afferma la scienza. In un rapporto osmotico, si modella, modula, adatta e conforma alle modificazioni apportate dall'attività umana. Così è sempre stato. È questo che ha consentito il progredire della tecnica e la crescita del livello e della qualità della vita della comunità umana. Altro che Capitale. Una Natura rigida non avrebbe mai potuto consentire l'antropizzazione del pianeta. Merito assai più elevato rispetto a quello ascrivibile al mercato e al Capitale. Se le cose sono andate in un verso favorevole all'uomo, non è detto che domani possa essere così. O per meglio dire, così è sempre stato fino all'avvento della rivoluzione tecnologica, quella dei tempi coevi... Di oggi. 

Dicevo, l'ambiente ha un'immensa capacità di adattamento. Certo, è risaputo e comprovato, ma è anche scientificamente provato che questa adattabilità ai mutamenti, soprattutto quando indotti in maniera eccessivamente repentina, non è infinita, bensì definita e, mi si passi la tautologia, quindi anche limitata. Il che significa, senza meno, che vi è una soglia (altra sgraditissima tautologia, ma serve per comprendersi), un confine oltre il quale il sempre labile diaframma che separa il rigoglio della vita dal tanfo della morte e del disfacimento si lacera e non sarà più rammendabile con interventi tampone come gli accordi di Kyoto (tali sono, servirebbe ben altro per mettere in sicurezza il bene più prezioso che abbiamo, ovverosia la vita futura nostra, in quanto specie e del pianeta, in quanto ecosistema globale).

Il capitale è figlio di un sistema imprenditoriale che si è sempre nutrito attingendo linfa vitale dall'eco coloniale dei secoli trascorsi. Non si è mai abbeverato ad una fonte che non scaturisse dalla silicea roccia della necessità di rincorrere se stesso. Avendo come unico obiettivo quello di potersi sempre superare (accumulo, in economia), non si è mai nutrito dell'esigenza di operare per un bene più elevato e meno autoreferenziale: quello, per esempio, delle comunità entro cui è andato ad insinuare le sue voraci membra. Ha stretto un patto serrato e pare inscindibile con l'autoremunerazione.

È così diventato alieno alle tematiche di più elevato profilo etico e sociale (se ne fotte, in un francesismo assai più esplicativo). È refrattario a misurarsi in termini di eco-sostenibilità (tutto ciò che entra in contatto con il termine ambiente o ecosistema, assume per lui i connotati dei no global, scordando e non volendo vedere che a Genova nel 2001, per esempio, sfilavano madri di famiglia, padri con prole al seguito, sfilavano pacificamente inseguendo l'utopia di pacificare la Natura con l'umanità che il capitale tende a disumanizzare). Recalcitrante ad ascoltare le voci dissennate (certo, lo sono, tutte le utopie sono dissennate) e dissonanti che pongono sulla linea dell'orizzonte del guadagno fine a se stesso la necessità di espandere le possibilità per costruire i presupposti di un'esistenza migliore, che non sia dunque esclusivo appannaggio di già pingui capitalisti.

Non avendo a cuore altri che se stesso e la sua spiraliforme remunerazione, ha in uggia tutto ciò che tendenzialmente o anche potenzialmente possa recare con sé un gradiente o una screziatura di pericolosità al suo eterno, vano e vacuo indefinito espandersi.

Nel passato i mutamenti erano scanditi da tempi lunghi, non improvvisi e mai eccessivamente invasivi. Compatibili con i tempi di rigenerazione. Gli ecosistemi trovavano il tempo indispensabile per adattarsi e fagocitare, assimilare e metabolizzare i cambiamenti. L'uomo e le sue attività prosperavano (quando prosperavano) e la Natura proseguiva il suo corso.

Mai come oggi abbiamo gli strumenti tecnologici per modificare in maniera repentina ed irrimediabile lo status della Natura. Mai come oggi abbiamo in mano i dispositivi ed i congegni sufficienti per distruggere l'intero pianeta, con noi dentro. Poco rileva che le aspettative di vita siano cresciute fin oltre gli 80 anni, se poi la vera prospettiva rischia di essere solo quella di sopravvivere in un deserto. Questa è la vera unica novità rispetto al passato. Noi siamo in condizione di distruggere il pianeta, abbiamo a disposizione gli strumenti per farlo. E la grande preoccupazione è legata al fatto che questi strumenti siano in massima parte in mano a personaggi come Trump, Putin, Netanyahu o al pazzo nordcoreano di turno.
In Lombardia, nel triangolo industriale Brescia-Bergamo-Milano, il consumo del suolo ha raggiunto e forse superato il punto di non ritorno. Quella è la zona geografica più antropizzata d'Europa. La Natura soffre, non ha il tempo di assimilare e di rigenerarsi e s'impregna della putredine che le cattedrali del progresso riversano indisturbate in foggia di materiali di scarto delle lavorazioni, vuoi di derivazione chimica, oppure organica. Non si tratta di qualche industrialotto che inquina e non rispetta le leggi, si tratta di eccesso antropico.

Il modello di sviluppo che il capitale (soprattutto finanziario) ha imposto al potere (perché nel binomio potere/capitale il soccombente e l'asservito è il primo dei due poli), e di riflesso alle comunità, è sbagliato. Eccessivamente aggressivo, eccessivamente mortifero. Per perpetuare se stesso e sostentarsi sottrae spazi alle attività più naturali e congeneri al territorio. Basti un esempio preclaro ed eclatante (ma ce ne sono migliaia, non quindi casi sporadici): il termodinamico di Gonnosfanadiga (in Sardegna) è ipotizzato in un'area ad elevata vocazione agricola. La sua realizzazione sottrarrebbe suolo alle attività produttive di specie che quei territori sono in grado di esprimere. Nondimeno, nonostante le resistenze mostrate dalle popolazioni del luogo, non vi è una chiusura preconcetta contro il termodinamico, ma solo limitata alla sua localizzazione.

Il buon senso, non la filosofia radical chic, non l'ideologismo che fa rima con psicologismo, vorrebbe ed imporrebbe che per la sua realizzazione sia individuata un'altra ben diversa area geografica. Diversamente, qualora la spoliazione divenisse un dato di fatto, quelle colture sarebbero destinate a sparire o migrare in altre aree, magari meno fertili.

Buon senso, cribbio! Non altro. Non comunismo, non ecologismo, non terrorismo. Purtroppo la volontà acefala del Capitale e del potere ad esso asservito impone altre scelte. Il territorio e le sue comunità insorgono. Mi si spieghi, chi in questo malaugurato esemplificativo caso ha più ragioni? Il Capitale che se ne fotte delle reali esigenze umane o il territorio che chiede gli spazi che più gli si confanno?

Altra caratteristica, forse la più inquietante: il Capitale tende naturalmente e caratterialmente ad soggiogare l'uomo alle sue brame, e per far ciò piega la Natura al suo imperio. Utilizza per i suoi fini il potere, spesso in armi. La Natura, invece, chiede all'uomo il rispetto dei suoi ritmi di vita ed in cambio offre i suoi prodotti, utilizzando per questo fine anche il capitale e l'imprenditoria. Ora, sarà pure un pensiero da soviet, ma credo ed immagino che il bene delle comunità, quindi dell'uomo, risieda proprio in questo rapporto simbiotico, di interscambio: rispetto contro frutti.

Se non adeguatamente governati, i modelli di sviluppo portati ed offerti dal Capitale e dal mercato sono tesi ad ottenere la massimizzazione dei profitti: in pratica sortiscono l'effetto di uccidere la mucca che da' loro il latte, la carne e le pelli, senza attendere che questa si riproduca per perpetuare il ciclo produttivo. Credo che si abbia necessità di nuovi modelli che utilizzino il capitale, la tecnica, la tecnologia, l'imprenditoria e il mercato e che evitino che siano questi a direzionare ed istituire l'organizzazione sociale e i bisogni delle genti. Che siano quindi l'uomo e la comunità umana a dettare le regole e non il Capitale ed il potere.

Il pensiero espresso dal capitale è acefalo e retrogrado. Non porta ad un progresso sociale, se per progresso s'intende crescita armonica della qualità della vita. Porta ad una necrotizzazione dell'ambiente, e il percorso che traccia è contrappuntato da un pullulare di morbilità, che se ben osservata (la morbilità) rappresenta il marchio e la cifra del progressivo divenire della morte.
Bisogna imparare a leggerli questi segnali.

Scusa la lunghezza.
#6
Citazione di: anthonyi il 05 Aprile 2019, 07:22:32 AM
Vittorio, qui nessuno mette in discussione che gli imprenditori sfruttino delle opportunità, e che lo facciano per fini personali. Quello che io contesto è la tua affermazione che tale sfruttamento comporti sottrazione certa di risorse e di opportunità ad altri. E' vero che questa sottrazione a volte avviene, ma siamo in casi particolari di imprenditori criminali, così come nella società in generale ci sono dei ladri che derubano le case, così tra gli imprenditori ci sono dei ladri che possono derubare sia i loro clienti, sia i loro dipendenti. Il problema di voi che ragionate con il paradigma marxista è che non avete una cultura della necessità della funzione imprenditoriale nella società.
Un saluto

L'imprenditoria di rapina non è solo quella che evade le tasse, delocalizza per preservare i profitti o sfrutta i lavoratori. È imprenditoria di rapina anche quella che stpra il territorio, che lo sfrutta fino a lasciarlo esanime. Di questi esempi ne puoi trovare quanti te ne servono per convincerti che in gran misura il capitale è "rapina". Ovvio che non tutti gli imprenditori son criminali.

Il problema di voi che ragionate come se al capitale ed alla ricchezza tutto fosse concesso è che difettate della "cultura dell'altro".
Un saluto
#7
Citazione di: anthonyi il 04 Aprile 2019, 07:39:25 AM
Vittorio, e pensare che io ho sempre creduto che lo sviluppo economico fosse il risultato dell'azione di motivati imprenditori che hanno saputo organizzare e valorizzare le risorse. Adesso scopro che il patrimonio di Zuckerberg non deriva dal fatto di aver creato facebook ma dal fatto che lui è andato a rubarlo a qualche popolo africano!
Un saluto.

"Per questo motivo, sostanzialmente, l'aggressione capitalistica priva di freni e controllo tende a desertificare le aree ove poggia i propri voluttuosi sguardi."

Non vorrai farmi credere che facebook sia nato all'interno di un mercato privo di regole e di controllo?
In ogni caso, almeno nella fase nascente, fb ha sfruttato abbondantemente, se non risorse economiche, sicuramente le persone che inconsapevolmente han prestato la propria fisicità a vantaggio dell'applicativo.
#8
Citazione di: tersite il 04 Aprile 2019, 20:31:31 PM

Contemporaneamente a quel processo di "accumulo di individui" nasceva la scrittura, e per tutto il tempo in cui la scrittura si sviluppava, la tradizione orale non ha mai smesso di essere indispensabile, tanto che la ritroviamo sino ai tempi moderni, e se fossi aggiornato sull'argomento potrei sicuramente citare qualche villaggio dei balcani in cui si ritrovano ancora tracce di una tradizione orale, come del resto ne esistevano ancora da noi in italia.


Cerca su Google "su connottu", in Sardegna. Qualcuno sostiene sia roba d'altri tempi, ma è ancora ben vivo.
#9
Leggevo che l'amore fra umani, il più sublime sentimento che si può provare, sia il rifrangersi dell'amore che Gesù provò per gli uomini. Una sua immagine che, appunto, si esprime in somiglianza.

Leggevo anche che sia solo un espediente della natura in funzione della preservazione della specie. L'amore fra umani esige un investimento energetico che, per l'economia della natura, non può essere dissipato. Per cui la natura stessa avrebbe predisposto gli umani a favore della conservazione al solo scopo di creare le condizioni più vantaggiose per crescere e proteggere la prole. L'amore è causa causante del formarsi di una coppia, la quale, proprio in funzione di questo sentimento, che agisce come spinta inerziale, al fine di non dissipare energie, è stimolata a mantenere una certa coesione nel tempo. E la prole si gioverebbe di questo meccanismo...
La cultura è altra cosa.

L'amore agirebbe, in quest'ultima prospettiva, come il duettare degli uccelli, che assolve proprio alla funzione di costruire una coppia ai fini della procreazione.
#10
Citazione di: Ipazia il 03 Aprile 2019, 08:25:04 AM
Nel mondo in cui viviamo il capitale è motore immobile avendo preso il posto di Dio, delle cui sopravvivenze fantasmatiche si serve comunque per consolidare il suo dominio. I regimi fascisti hanno una spiccata simpatia per le religioni storiche fino ad imporle con la forza. Il che apre la prospettiva su altri motori del mondo.

Novello Erisittone, il capitalismo è massimamente autoreferenziale, proprio perché si nutre di sé stesso e tende a nutrire esclusivamente sé stesso. Non per nulla un antico detto, per nulla popolare, recita: il denaro va dove c'è denaro e ricchezza. Ma la ricchezza non si genera per partenogenesi. Il suo accumulo è sempre, a livello planetario, una sottrazione di mezzi economici e finanziari ad altre parti del mondo. Ricchezze che in quelle zone magari fungono da mero sostentamento. Per questo motivo, sostanzialmente, l'aggressione capitalistica priva di freni e controllo tende a desertificare le aree ove poggia i propri voluttuosi sguardi.

Ciò che il liberismo sfrenato, alleato del capitale, non  può comprendere e non potrà mai accettare è che le regole del mercato non sono dettate semplicemente e solo dalla dinamica domanda/offerta. Il mercato, e con esso l'economia, è un ingrediente imprescindibile della comunità umana. Con essa entra necessariamente in contatto. La troppo spesso mortifera ed onnivora liason domanda-offerta tende sovente ad entrare in conflitto proprio con la comunità umana. Infatti, se e quando si viene a creare un vistoso disequilibrio fra questi due poli (e ciò accade assai spesso), si vengono a determinare conseguenze assai cruente. Ciò ha più volte messo in crisi questa dinamica autoreferenziale, rendendo indispensabile un governo superiore delle forme di economia che al capitalismo, per un verso o per l'altro, fanno riferimento.

In sintesi, la variabile umana, folle e mai pienamente governabile, indipendente sia dal mercato sia dalla volontà del capitale, ha in buona misura condizionato la libera e sfrenata espressione proprio del capitale, spesso imbrigliandolo e asservendolo ai bisogni della comunità (soviettismo, per dirla alla Gramsci?). Più sì che no, questo è avvenuto, quando è avvenuto, allorché il liberismo senza vincoli è stato soggiogato alle urgenze umane ed alla necessità di riscatto di vaste frange della popolazione, soprattutto proletaria e contadina.

Il Capitale ha sottoscritto un accordo di reciproca collaborazione con il potere. Vivono in una condizione di osmosi. Si autosostentano. L'espansione dell'uno significa quasi sempre la crescita dell'altro. Il Capitale si è sempre appoggiato al potere, di solito il più becero e cruento, per alimentare se stesso. La storia dell'uomo è ridondante di questa evidenza. La si veda un po' alla stregua di un quadro eseguito con la tecnica del puntinismo. Non v'è alcuna necessità di dover corredare questa tesi con citazioni, basta aprire un qualsiasi libro di storia, di sociologia, di antropologia per averne piena contezza.

Lo stesso Colombo poté varcare l'Oceano su tre meravigliose barche in grazia e virtù della voluttuosa prospettiva di dar maggior espansione alle brame di ricchezza dei governanti di Spagna. Così fu che popolazioni intere (incivili, cruente etc...) furono sterminate  (c'è necessità di qualche citazione?). La conquista del West fu anch'essa opera sua. La tratta degli schiavi fu una conseguenza della protervia del Capitale. Ma non scordiamo che anche i due massimi e più cruenti conflitti del secolo scorso furono ispirati sempre da questo mostro tentacolare, che se non imbrigliato ed opportunamente asservito rischia oggi, ancora una volta, ma stavolta in maniera definitiva, di soffocare per eccessiva brama l'uomo e la sua umanità.

Certo, fu inoculato in quelle terre selvagge il germe della civiltà. Ma qualcuno è mai andato a domandare se avessero necessità e avvertissero il bisogno di questa nostra civiltà?

L'uomo ha esigenze che il Capitale non può e non potrà mai soddisfare. Potrà forse fornire dei surrogati (come un fiore di plastica), ma mai potrà dare risposte ed indicare la strada verso l'unico vero desiderio umano: quello della felicità.
#11
Citazione di: Ipazia il 02 Aprile 2019, 17:21:28 PM
Visto che qualcuno vuol mettersi ad insegnare la storia si informi su come sono nati i regimi fascisti, prima e dopo la seconda guerra mondiale. Si è sempre trattato di regimi sponsorizzati da stati e singoli capitalisti  per contrastare i movimenti socialisti e di liberazione nazionale. Macchiette sono coloro che non hanno nemmeno capito questa banale verità. Oggi funziona allo stesso modo: laddove lo spread e la corruzione non sono sufficienti a sottomettere paesi refrattari al capitale globalizzato, si sponsorizzano eserciti, squadroni della morte, regimi fantoccio (Iraq, Afghanistan, Libia), stati islamici, e tutto il repertorio della diplomazia di guerra del mondo liberal democratico per sopraffare chi non si adegua alle sue regole. Per cui lo ripeto: il fascismo del ventunesimo secolo non sono i vegliardi di Salò, ma le organizzazioni sovranazionali economiche-politico-militari del capitale globalizzato.

Il capitale e mezzo e strumento o motore immobile del mondo?
#12
Tematiche Filosofiche / Re:Leopardi e il Nulla.
02 Aprile 2019, 22:14:18 PM
In Leopardi son presenti, in un mix inscindibile, sia un profondo nichilismo (Severino sostiene che abbia raggiunto il fondo più abissale del nichilismo) quanto una forte tensione spirituale. La sua è una trascendenza atea, che non dialoga con entità sovrannaturali, e che indugia con stupore (dall'etimo colpire) nel mistero umbratile della morte. Un metafisico che rinuncia al cielo.

"1            Sola nel mondo eterna, a cui si volve
2             Ogni creata cosa,
3             In te, morte, si posa
4             Nostra ignuda natura;
5             Lieta no, ma sicura
6             Dall'antico dolor"

Questa è una dichiarazione tanto perentoria quanto inequivocabile. I primi sei versi sono antinomici. Esiste una sola 'cosa' eterna, mai creata, non soggetta a dissoluzione: la morte, cioè il Nulla, proprio ciò che per antonomasia 'non è', sebbene esista.  Ad essa si volve (un verbo che richiama il moto, quindi il divenire ed il muoversi verso...) ogni creata cosa. Tutto ciò che è vivo è destinato al Nulla. Ciò lascerebbe intendere che il tragitto che si compie verso il nulla sia inframmezzato ed intriso di consistenza e di essere. Ma qui, per fugare ogni dubbio circa l'inconsistente consistenza di questa illusoria increspatura del Nulla, ci viene in aiuto "l'antologia dei pensieri" del recanatese: "Tutto è nulla al mondo, anche la mia disperazione, della quale ogni uomo anche savio, ma più tranquillo, ed io stesso certamente in un'ora più quieta conoscerò, la vanità e l'irragionevolezza e l'immaginario. Misero me, è vano, è un nulla anche questo mio dolore, che in un certo tempo passerà e s'annullerà, lasciandomi in un voto universale, in un'indolenza terribile che mi farà incapace anche di dolermi (Zibaldone, 72 – uno fra I tanti).
Non vi e nulla che sfugga all'imperio protervo del Nulla. Leopardi esprime in prosa e poesia la nullificazione del reale.

Ma è davvero la sua la quintessenza del nichilismo?

Lo sarebbe, forse, se non non fosse anche l'autore di quel capolavoro di "teologia atea" e "filosofia mistica" rappresentato da 'L'infinito".

Non posso esimermi dal riportare l'intero testo:
"Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare."

Questo canto è al tempo stesso un'opera filosofica e un tuffo all'interno dell'anima. Un viaggio nel mondo del surreale che sovente conforta, talvolta addolora. Condotto sulle ali dell'immaginazione, svincolato, pertanto, dalla necessità di dover essere coerente e aderente alla realtà. È un volo leggero che si rende possibile attingendo linfa e nutrimento utilizzando lo scandaglio dell'immaginazione, per connettere il profondo dell'anima con un oltre che affascina e consola. Un'anima dolente, quella del poeta, ripiegata su sé stessa, che recupera da quel fondo abissale la forza vitale indispensabile per superare le distanze e immergersi in un mare che rende dolce il naufragio.

Il fulcro intorno a cui tutto ruota e su cui tutto poggia, la chiave di volta è l'immaginazione: il potere della mente di travalicare gli ostacoli, di andare oltre le siepi e le barriere, superare i monti e guardare oltre.

La siepe e il monte citati sono reali, fanno parte del paesaggio di Recanati. Leopardi si trova ad osservare l'orizzonte; parte di questa visione è impedita da questi due ostacoli. Invece di arrendersi all'impossibilità di osservare il mondo oltre la siepe, il poeta supplisce alla deprivazione sensoriale immergendo il secchio del suo speculare nel profondo pozzo dell'immaginazione. Ed è così che quel limite rappresentato dalla siepe e dal monte Tabor svolge il ruolo di suscitare ed innescare l'attività astrattiva della mente. Un ostacolo reale è istanza e psicopompo di un vagolare dell'anima entro un ambito irreale, o che quantomeno si sottrae ai sensi, stimolando lo spirito.

È un vero capovolgimento di relazione, quello che in questo breve testo viene sontuosamente descritto. Un limite che espande la visione, anziché tarparla. Una visione onirica, certo, ma pur sempre un qualcosa in più rispetto alla ristrettezza della realtà che si offre ai sensi. Inseguendo i pensieri eccitati dalla privazione sensoriale causata dal colle e dalla siepe, egli colma l'assenza attraverso l'attività dell'anima, e si riappropria di quell'immenso spicchio di universo che la concretezza delle cose gli preclude.

È quindi il limite – reale - il vero motore dell'immaginare, perché senza quella barriera che delimita le capacità fisiche e percettive, quelle astrattive non verrebbero innescate. Porsi davanti ad un limite, entrandoci in contatto, accende nell'animo umano la propensione a superarlo. L'intera storia della cultura e del sapere umano è progredita stazionando (singolarissimo, ma sensato, ossimoro) sul margine, è, infatti, una storia di orlo, che si muove sempre sul crinale verso cui convergono il noto e l'ignoto da esplorare. E si esplica facendo leva sulle indubitabili capacità creative della mente che proficuamente s'intrecciano con quelle astrattive dell'anima, quindi, in definitiva con l'immaginazione, che funge da ponte fra percezione dei sensi e quella dell'anima.

Leopardi è inattingibile, non può essere de-finito entro schemi razionali ed unidirezionati; scarta di lato e si sottrae ad ogni definizione e schema. È il significante che significa sé stesso, esaltando il caos che abita l'anima. Perciò non può essere definito univocamente ateo; ricusa Dio ed ogni alterità divina, ritrovandosi solo con sé stesso immerso in un Nulla mistico, che costituisce l'intera religione che la sua anima concepisce.
#13
Tematiche Filosofiche / Re:Leopardi e il Nulla.
01 Aprile 2019, 23:31:56 PM
Oltre Dio non vi è necessariamente il vuoto.

Dio è il fondamento della speranza escatologica. Il Nulla è fondamento dell'uomo qui ed ora. Senza Dio l'uomo è possibile.
#14
Tematiche Filosofiche / Re:Leopardi e il Nulla.
01 Aprile 2019, 22:39:42 PM
L'essenza del nichilismo

G. Leopardi, Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie (l824)

1             Sola nel mondo eterna, a cui si volve
2             Ogni creata cosa,
3             In te, morte, si posa
4             Nostra ignuda natura;
5             Lieta no, ma sicura
6             Dall'antico dolor. Profonda notte
7             Nella confusa mente
8             Il pensier grave oscura;
9             Alla speme, al desio, l'arido spirto
10           Lena mancar si sente:
11           Cosí d'affanno e di temenza è sciolto,
12           E l'età vote e lente
13           Senza tedio consuma.
14           Vivemmo: e qual di paurosa larva,
15           E di sudato sogno,
16           A lattante fanciullo erra nell'alma
17           Confusa ricordanza:
18           Tal memoria n'avanza
19           Del viver nostro: ma da tema è lunge
20           Il rimembrar. Che fummo?
21           Che fu quel punto acerbo
22           Che di vita ebbe nome?
23           Cosa arcana e stupenda
24           Oggi è la vita al pensier nostro, e tale
25           Qual de' vivi al pensiero
26           L'ignota morte appar. Come da morte
27           Vivendo rifuggia, cosí rifugge
28           Dalla fiamma vitale
29           Nostra ignuda natura
30           Lieta no ma sicura;
31           Però ch'esser beato
32           Nega ai mortali e nega a' morti il fato.

(G. Leopardi, Tutte le opere, Sansoni, Firenze, l9885, vol. I, pag. l34)
#15
Citazione di: Elia il 01 Aprile 2019, 12:21:12 PM
No! L'olio di ricino no. Non hai idea di quali proprietà ha quest'olio, non lo sprecherei cosí.

Scherzi a parte, quello
è un metodo di tortura, nessuno qui sta parlando di torture.

Capisco il tuo punto di vista e capendolo non lo condivido.

In primo luogo, proprio come premessa a qualsiasi discussione concernente il tema di specie, varrebbe sempre la pena porsi un quesito, che ritengo ineludibile. Dalla risposta fornita da ciascuno di noi derivano i differenti, confliggenti, probabilmente non mediabili e non riconducibili a sintesi approcci ed angoli di visuale rispetto al problema. Ma non solo, anche qualcosa di molto più profondo.

La domanda è la seguente: «i nostri Padri Costituenti, nello scrivere l'articolo 27 della Costituzione della Repubblica italiana, furono ispirati da insano buonismo (sic!) o da una concezione dell'uomo, dei delitti, delle pene e della società di cui andavano a gettare le fondamenta a largo spettro e con una visione prospettica e progettuale?»

Mi riferisco particolarmente al terzo comma, ove è previsto che: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato».

Devono tendere alla rieducazione del condannato. Da qui dipende la concezione di una società