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Messaggi - donquixote

#1
Attualità / Re: Uccisa per colpire Putin
23 Agosto 2022, 18:22:42 PM
Citazione di: InVerno il 23 Agosto 2022, 16:39:22 PMForse perchè i talebani hanno largamente rivendicato gli attentati, con un certo "comprensibile" orgoglio, ma l'occasione per tirare fuori gli americani, come fossero una sorta di "gold standard" della morale è sempre all'uopo.
I talebani si sono sempre dichiarati estranei agli attentati, e lo sono (nessun afghano fra gli attentatori o i fiancheggiatori, meno che mai talebano), ma dato l'evidente pregiudizio che ti anima e dato che, essendo sempre solitamente informato, mostri in questo caso una palese malafede evitando del tutto di entrare nel merito e facendo processi alle intenzioni, non essendo mio costume alimentare inutili polemiche tolgo volentieri il disturbo.
#2
Attualità / Re: Uccisa per colpire Putin
23 Agosto 2022, 18:12:20 PM
Citazione di: anthonyi il 23 Agosto 2022, 17:15:41 PMLe forze americane d'intervento sono aviotrasportate, 2 settimane sono più che sufficienti per organizzare una guerra contro l'Afghanistan.
Decine di migliaia di persone, migliaia di mezzi corazzati, milioni di munizioni, tutto il supporto logistico, gli ospedali da campo, le cucine da campo, i rifornimenti, gli interpreti eccetera: tutto su una colonna di aerei e in poche ore sono a destinazione. E ovviamente tutti i piani di attacco, l'addestramento, la ricerca e l'individuazione degli obiettivi da colpire, l'individuazione delle basi da installare, le strategie militari da adottare per ogni città o villaggio, l'organizzazione del turnover del personale, la programmazione per il "dopo", la strategia politica, i rapporti con la popolazione eccetera. Neanche in un wargame è possibile, figuriamoci nella realtà.
#3
Attualità / Re: Uccisa per colpire Putin
23 Agosto 2022, 14:27:55 PM
Citazione di: Ipazia il 23 Agosto 2022, 11:03:14 AMConcordo con Inverno che la velocità delle indagini russe contrasta come un gesso stridente sulla lavagna con la facilità con cui una azov ucraina, nel cuore della Santa Russia, è riuscita a collocare una bomba nell'auto di un personaggio così esposto politicamente.

Ma dopo la sceneggiata ONU sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, e la guerra seguitane, non mi stupisco più di nulla.

Come diceva il mio saggio padre non paternalista, né misogino: "la politica è una roba sporca".
Tutti i dubbi sono al momento legittimi, ma tanto per dire mi sembra che l'11 settembre degli USA abbia richiesto un'organizzazione ben diversa e complessa rispetto a quella necessaria all'attentato a Darya Dugina, eppure i servizi segreti USA, che pare non sapessero niente, niente hanno fatto per evitarlo e non sono nemmeno riusciti ad intervenire mentre l'intera operazione era in corso (ed è durata qualche ora, non un attimo), dopo 3 giorni pubblicavano le foto, i filmati delle telecamere di sicurezza, le biografie e i curricula di tutti gli attentatori. Ci hanno addirittura raccontato che il passaporto del "capo", Mohamed Atta, è stato "trovato" mezzo bruciacchiato in un vicolo vicino alle torri gemelle dopo il loro crollo. Dopo 10 giorni si conosceva già il mandante, e dopo meno di un mese dall'attentato (7 ottobre 2001) l'America ha iniziato l'invasione dell'Afghanistan. Se ormai il mondo sa che l'invasione dell'Iraq è stata effettuata sulla scorta di una menzogna planetaria, non ho sentito nessuno invece porsi il problema di quella dell'Afghanistan: eppure a gente con un minimo di cervello e di logica non dovrebbe sembrare possibile e sensato che, dal nulla, si possa pianificare l'invasione di un paese di 25 milioni di abitanti distante 12.000 km dal paese invasore in poco più di due settimane. Da quanto si sa la Russia ha ammassato truppe e mezzi al confine con l'Ucraina per quasi un anno prima di entrare: ed è un paese confinante. Quindi ogni cosa va creduta "cum grano salis", senza dimenticare però che molte (e in alcune circostanze, come questa della guerra in Ucraina, quasi tutte) delle cose che ci raccontano qui da noi e che noi diamo per scontate sono balle clamorose.
#4
Citazione di: Alexander il 13 Settembre 2021, 18:03:12 PM
Ho fatto spesso il facilitatore in gruppi che discutevano. Bisogna sempre lasciare una certa possibilità di "svicolare" sul tema strettamente trattato. E' del tutto normale. Nessuna discussione riesce a procedere rigidamente sulla base dell'impostazione iniziale. Si lascia un pò di libertà espressiva e poi si cerca di rientrare, invitando educatamente, sul tema. Altrimenti, alla prossima riunione, rischi di  trovarti con metà gente. Succede così.
Sottolineo "educatamente" perché vedo che anche qualche moderatore, forse per antipatia, spesso tende a sminuire o svilire le argomentazioni altrui ("tipo: "Se non sei capace...").
Cito il messaggio di Alexander solo per sottolineare il mio accordo con il medesimo.

Per quanto concerne gli argomenti proposti da Eutidemo trovo che manchi la questione principale che ha a mio avviso ispirato il manifesto in questione. Nel momento in cui lo Stato dovesse, per legge, obbligare tutta la popolazione ad un trattamento sanitario, dovrebbe automaticamente assumersi la responsabilità degli eventuali danni che tale trattamento dovesse causare a parte della popolazione. Se invece l'obbligo non esiste significa che l'assunzione del vaccino è tecnicamente "libera e volontaria", e la responsabilità di eventuali problemi causati dal medesimo ricade sul cittadino che ha firmato il cosiddetto "consenso informato", che è una sorta di truffa perchè un normale cittadino non potrà mai essere sufficientemente informato da poter acconsentire all'inoculazione di un vaccino che è ancora in fase di studio e i cui risultati vengono aggiornati periodicamente (studi sulla percentuale di copertura, sulla durata della medesima, su eventuali effetti collaterali eccetera). Dunque il green pass assomiglia, più che ad una licenza per esercitare una professione, ad un ricatto che bisogna subire per poter semplicemente vivere. Il presidente Bush a suo tempo chiese a Saddam Hussein di dimettersi ed al governo iracheno di aprire i propri arsenali militari agli ispettori americani, pena la guerra. Saddam era libero di scegliere, nessuno lo obbligava. Ma siamo sicuri che fosse davvero una scelta? Se fare o meno il vaccino è una facoltà concessa all'individuo allora non deve comportare alcuna differenza nella vita dell'individuo stesso. Se invece lo stato ritiene che sia indispensabile che il 90% o oltre della cittadinanza sia vaccinato e che i vaccini siano sicuri (ed è lo stato che deve deciderlo, perchè ha tutte le informazioni che un cittadino non potrà mai avere) allora si prenda la responsabilità di introdurre l'obbligo, con le conseguenti responsabilità e relative sanzioni per gli inadempienti. Il green pass avrebbe senso se fosse appunto la sanzione prevista per chi non adempie l'obbligo vaccinale ove questo fosse ufficialmente introdotto, ma chiedere ad un cittadino che non ne sa nulla di assumersi la responsabilità di fare un vaccino di cui si conosce ancora molto poco è a dir poco un'assurdità
#5
Attualità / Re:Il valore di un uomo
01 Settembre 2021, 15:09:19 PM
Citazione di: Jacopus il 01 Settembre 2021, 12:58:39 PM
Baylham. Valore/uomo, sorriso/donna. Direi che a stereotipi veteropatriarcali stiamo messi benino. Poi, ok, i problemi sono altri, ma il linguaggio non è mai neutro rispetto ai problemi, anzi è la struttura profonda dei problemi e della loro soluzione.
A me pare che quel motto sia invece la dimostrazione più evidente di quanto il ruolo e la percezione della donna da parte dell'uomo sia ormai completamente ribaltato rispetto a non molto tempo fa. "Valore" infatti in quella frase non è affatto associato al termine "uomo" in sé, non è un attributo maschile a prescindere, ma dipende dalla capacità dell'uomo di suscitare il "sorriso", ovvero più generalmente di "rendere felice", la donna che ha accanto. Se Nietzsche non troppo tempo fa scriveva "L'uomo deve venire educato per la guerra, la donna per il sollievo del guerriero: tutto il resto è follia" adesso si dice (e quella frase vuol dire esattamente quello) "la donna può fare quel che crede e come crede, e l'uomo è stato fatto per accettare supinamente ogni sua decisione, amarla, proteggerla e renderla felice: il suo valore di "uomo" si determina infatti dalla capacità di assolvere al meglio tale compito"

Effettivamente chi l'ha inventata deve essere un ipermaschilista.
#6
Citazione di: bobmax il 04 Luglio 2021, 18:47:22 PM


L'amore, cioè il volere il bene dell'altro, senza alcun altro scopo se non il suo bene, è un'idea incompatibile con come il mondo funziona.



Questa definizione di amore, peraltro incompleta, è del tutto compatibile con il funzionamento del mondo, ma non lo è affatto se si prende in considerazione la sua usuale interpretazione. Se si considera l'interpretazione secondo la quale l'amore è un qualcosa che si deve vedere, che deve essere espresso, che si deve concretizzare in atti e comportamenti  allora la definizione appare incongrua, sbagliata, illogica, inattuabile e insensata. In questo caso infatti se amore è volere, e realizzare, il bene dell'altro non potrebbe in primo luogo esistere l'amore per se stessi, che si chiamerebbe in un altro modo e smentirebbe il famoso comandamento evangelico "ama il prossimo tuo come te stesso"; inoltre è quantomeno presuntuoso (per non dire di peggio) credere di sapere quale sia il bene dell'altro dato che di solito è già piuttosto difficile sapere qual è il nostro bene: al massimo si potranno conoscere i suoi desideri che molto spesso però non coincidono con il suo bene, e il loro soddisfacimento otterrà l'effetto opposto. Anche se, per pura ipotesi, potessimo conoscere il bene dell'altro e noi ci comportassimo in modo da realizzarlo, se l'altro non condividesse le nostre valutazioni non si sentirebbe certo amato, e dirgli che si fa "per il suo bene" qualcosa che non desidera  non sarebbe granchè consolatorio. Un tale genere di "amore" non ha effettivamente riscontri in natura, mentre si è soliti chiamare impropriamente "amore" una serie di istinti del tutto naturali come quello di protezione per i propri "cuccioli" oppure tipicamente umani come il desiderio di possesso esclusivo di una persona per la quale si prova attrazione sessuale, che sono altra cosa.

La definizione citata ha invece senso se prima di tutto al "volere il bene dell'altro" si aggiunge "come di se stesso", e poi se il "volere" rimane tal quale, ovvero una sincera aspirazione al bene proprio e altrui senza che ciò comporti necessariamente azioni conseguenti, soprattutto se ispirate ad un concetto di bene "morale" assolutizzato oppure ad una malintesa interpretazione del bene altrui per cui si pensa che ciò che per noi è bene lo sia anche per altri.

Un esempio chiaro di tale amore è descritto nella parabola del "Buon Samaritano": il samaritano non condivide nulla con l'uomo aggredito, non lo conosce neppure, eppure lo aiuta poichè lo trova in una situazione in cui non è più "sé stesso" e gli consente di "tornare in sé", ovvero di tornare quel che era prima dell'aggressione e di poter perseguire, in prima persona, il proprio bene perchè nessuno meglio di lui può decidere quale questo sia.

L'amore è dunque fondamentalmente un atteggiamento di rispetto verso l'altro (ogni altro ente, non solo un altro essere umano) che consenta al medesimo di perseguire il proprio bene, di essere se stesso, e quindi al contrario di quel che solitamente si crede l'amore, nella stragrande maggioranza dei casi, non contempla alcuna azione e paradossalmente lo si dimostra "non agendo" (non fare ad altri quel che non vorresti fosse fatto a te). Chi si va a cercare in giro per il mondo i derelitti (che poi tra l'altro giudica tali solo confrontando il loro modo di vivere con il proprio, ritenuto "superiore") per poterli "aiutare" non dimostra affatto amore per l'altro, ma ricerca di una gratificazione per il proprio ego e contestuale sfruttamento di una altrui condizione di debolezza.
#7
Citazione di: InVerno il 04 Maggio 2021, 20:48:05 PM

Mors tua vita mea, ma la sofferenza realmente non porta "vantaggio" per nessuno. Gli uomini si pongono determinate domande proprio perchè sono capaci di lenire la sofferenza, anche nel caso pensino che sia necessaria la morte (per esempio quando tentano di trovare i metodi più "efficaci" per somministrare una pena di morte) proprio perchè la ritengono gratuita, soprattutto se la morte deve sopravvenire poco dopo. Chi ha detto che questo mondo non è perfetto? Genesi, chiaramente, e tutto l'AT, praticamente ruotano intorno al problema del male e sono la storia di un popolo cocciuto che non vuol darsi per sconfitto nello spiegarlo, dal preferito dei credenti Giobbe, al meraviglioso eccesso di atarassia di Ecclesiaste, questo mondo non solo è imperfetto ma dannato, sostiene Daniele, posando le fondamenta per il messaggio Gesuano: questo mondo finirà. E ora tu vorresti darci a intendere, che questi sono patemi moderni, di gente che non sa leggere e capire... ma davvero?

Non mi sembra di aver parlato di vantaggio della sofferenza, semmai di vantaggio della morte se da questa qualcuno trae beneficio. In ogni caso la sofferenza (fisica) è stata trattata nel tempo in modi diversi (un tempo si insegnava a sopportarla e imparare da essa, ora si cerca invece - a mio avviso stupidamente - di eliminarla) e se questa è progressivamente diminuita quella psichica è aumentata esponenzialmente; cosa molto diversa è però considerarla un "male", fornirle dignità filosofica, contrapporla al bene e assolutizzare questi concetti ponendoli in perenne lotta tra loro con la prospettiva che uno prevalga sull'altro. Non mi pare che Genesi parli di mondo imperfetto, dato che Dio l'ha creato in questo modo "e vide che era cosa buona", ma ovviamente questa perfezione deve necessariamente essere relativa poichè qualcosa che diviene costantemente non può per definizione essere "assolutamente" perfetto, che è un concetto che nega appunto il divenire.
Comunque non è poi così difficile rendersi conto che il "problema" del male è un problema umano e non certo del mondo, che è indifferente alle elucubrazioni filosofiche umane e prosegue per la sua strada. Se dunque questo è un problema umano è all'interno di se stesso che l'uomo deve risolverlo, e una volta risolto il rapporto con il mondo apparirà sotto altri auspici: non esisteranno più "bene" e "male" ma solo il "Regno di Dio". Siccome fino a prova contraria è l'uomo che dipende dal mondo e non viceversa tentare di intervenire aggredendo e distruggendo una "parte" di mondo per far prevalere quella che alcuni uomini giudicano il suo opposto mi pare un'operazione stupida e suicida. Sarebbe come voler eliminare le tenebre per far prevalere la luce: se dovesse mai accadere scomparirebbe anche la luce poichè non avrebbe più un termine di paragone per essere definita tale. Allo stesso modo se si eliminasse la morte scomparirebbe anche la vita.
#8
E chi l'ha detto che il mondo non è perfetto? Il mondo è quello che è, quello che deve essere, e dato che il mondo non è stato creato dall'uomo quest'ultimo non può ovviamente sapere se questo sia perfetto o meno. Chi crede in Dio non dovrebbe porsi problemi di questo genere poichè per lui dovrebbe essere logico credere che il mondo e l'uomo sono perfetti così come sono, ma per gli altri (fra cui c'è ormai la quasi totalità dei cosiddetti "credenti") esiste il "male"; questo a causa della loro presunzione e della loro superbia che li induce a giudicare l'opera del Creatore e decidere ciò che è bene e ciò che è male solo dal loro esclusivo e limitatissimo punto di vista. Se l'uomo fosse un pesce giudicherebbe il mondo dal punto di vista di un pesce e deciderebbe ciò che è bene o male per un pesce, se fosse una pianta dal punto di vista di una pianta, e così via. Ma il mondo non può essere giudicato da un solo punto di vista dato che ciò che l'uomo ritiene "male" può essere "bene" per qualche altro pezzo di mondo e dunque ciò che l'uomo considera bene non può certamente esserlo per tutto il mondo.
Il bene e il male non sono riscontrabili oggettivamente, non sono uguali per chiunque (non solo non sono uguali per tutto il mondo ma nemmeno per tutti gli uomini), quindi il fatto di considerarli "oggettivi" e indipendenti dal giudizio umano è una allucinazione che non permette una visione chiara della questione. Di oggettivo esiste la sofferenza e la morte, ma questa è comune a tutti gli uomini, a tutti gli animali e probabilmente anche alle piante, ma questa non può essere giudicata "male" poichè ad esempio la sofferenza e la morte di un animale può essere cagione di vita (e quindi di "bene") per un altro animale (o per l'uomo) che grazie a tale sofferenza e a tale morte si può nutrire.
#9
Buongiorno Eutidemo
Riguardo ai tuoi punti a), b), c), d) ed e) si può notare che (tranne il punto d che non mi pare afferente al caso in questione ed è comunque paragonabile all'annegare nell'alcool una delusione amorosa) dato che si parla di serate fra amici in bar o locali da ballo uno non esclude l'altro, e se è vero che molti lo fanno per puro spirito di imitazione o per "sentirsi grandi" lo "scopo" finale è poi sempre quello di "divertirsi": altrimenti cosa va a fare un gruppo di giovani al bar o in discoteca alla sera? Siccome non sembra che in tali locali vengano organizzati simposi filosofici (quantomeno perchè il volume della musica non consentirebbe una lucida discussione) appare ovvio che lo scopo principale (dichiarato o meno) di tale "divertimento" sia quello di interagire con persone del sesso opposto (o del medesimo nei locali a tale scopo adibiti) al fine di concludere la serata copulando.

Riguardo all'art 92 C.P. (il 91 mi pare più un caso di scuola che altro vista la rarità in cui probabilmente si applica) di cui tu mi accusi di non capirne la ratio vorrei farti notare che si tratta di un classico caso di "fictio iuris": io "faccio finta" che tu fossi in grado di intendere e di volere nel momento in cui hai commesso il reato (anche se con tutta evidenza non lo eri poichè sotto gli effetti dell'alcool) poichè "sposto" il giudizio sulla responsabilità dal momento del fatto delittuoso al momento in cui hai "deciso" lucidamente di ubriacarti (ma volendo anche qui ci sarebbe da discutere perchè se io decido di bere un bicchiere non è detto che decida di ubriacarmi. Semplicemente dopo un bicchiere la mia lucidità diminuisce e gli altri seguono spontaneamente e non necessariamente in modo volontario fino all'avvenuto "sballo") e quindi in un momento in cui io non avevo ancora commesso alcun reato, cosa abbastanza originale poichè l'eventuale "incapacità di intendere e volere" la si giudica presente o meno al momento del fatto e non magari ore prima.

Posso comunque anche essere d'accordo con questa impostazione, ma di fatto in questo modo si condanna (non per legge ma moralmente, sottolineando che la morale, al contrario di quel che affermi, non è mai "fine a se stessa", e solo un insipiente come Kant poteva ritenerla tale) la sbronza poichè non considerandola come condizione di "diminuita capacità di intendere e volere" e quindi di ridotta punibilità si afferma implicitamente che ognuno deve sempre essere compos sui e quindi non porsi in condizioni tali da perdere la propria lucidità; giusto, secondo me (ma questo è a tutti gli effetti un un giudizio "morale", recepito dalla legge in modo fittizio), ma ipocrita. E parimenti ipocrita (e in questo caso anche sbagliato) è affermare invece, come nel caso della "vittima" di uno stupro, che la sbronza costituisca, al contrario, condizione di "diminuita capacità di intendere e volere" per cui anche un eventuale consenso espresso non ha validità appunto a causa di questa diminuita capacità di intendere e volere.

E il fatto che questa sia una norma del tutto ipocrita e "politically correct" lo si può vedere dal fatto che in linea generale se un ubriaco, guidando una vettura, investe un pedone o un ciclista altrettanto ubriaco che si aggira ciondolante in mezzo alla strada la sua responsabilità è certamente inferiore rispetto a quella che avrebbe se la vittima fosse stata sobria, e a quest'ultima sarebbe addebitata una parte di responsabilità rispetto all'accaduto. O non si considera scriminante la condizione di "ebbrezza alcolica" per chiunque o altrimenti la si deve considerare sia per i "carnefici" che per le "vittime". E non mi sembra che questo ragionamento sia dotato di logica solo apparente.
Se si vuole prendere per buona la locuzione Causa causae est causa causati bisogna interpretarla anche in senso riflessivo: se io mi ubriaco e poi passeggiando su un muretto cado e mi rompo una gamba non posso chiedere i danni al  proprietario del muretto per non aver considerato la eventuale "diminuita capacità di intendere e volere" indotta da "ebbrezza alcolica" di coloro che ci passano sopra: semplicemente se fossi stato sobrio non sarei caduto, come allo stesso modo molte ragazze che hanno subito rapporti sessuali non consenzienti se fossero state sobrie non li avrebbero subiti.
#10
Caro Eutidemo,
se è vero che le inibizioni e i freni morali sono in questi tempi alquanto decaduti, è però altrettanto vero che mai come in questi tempi i ragazzi assumono sostanze alcoliche (e spesso altre ancora più pericolose) al mero scopo di "divertirsi". Come mai? E cosa significa secondo te quel "divertirsi" se non porre se stessi nelle condizioni di fare cose che in condizioni di lucidità non si sarebbero fatte oppure non in un certo modo? L'assunzione di grandi quantità di alcool o di sostanze stupefacenti sono metodi atti allo "sballo", e quando uno è "sballato" è difficile che si renda conto di quel che sta facendo. O questo sballo è finalizzato alla premeditata commissione di un crimine (e se il crimine verrà effettivamente commesso significa che il reo non era poi così "sballato") o altrimenti come capita di solito uno si sbronza preventivamente, e poi non sa più quel che potrà succedere da quel momento in poi, ma da quel momento in poi non potrà più dirsi, in linea di principio, che lui sia pienamente responsabile di quello che fa. O si vietano e si sanzionano le sbronze tout court o se non lo si fa si prende atto che queste provocano una serie di mine vaganti in giro per le città; bisognerà però trattarle come tali, ovvero come inconsapevoli cagionatori di pericoli, proprio come le mine vaganti. Se io so che non si può guidare in stato di ebbrezza se prevedo di guidare non mi ubriaco; ma se una volta che mi sono ubriacato mi metto alla guida significa che non sono già più in grado di decidere, non mi rendo conto delle mie condizioni e dunque non ho più la lucidità minima necessaria per scegliere responsabilmente, quindi non vi può essere da parte mia "accettazione cosciente" del rischio. Se si pretende che un ubriaco sia talmente cosciente di esserlo da chiamare un taxi per tornare a casa e lasciare la propria macchina al locale, oppure interfacciarsi con una ragazza altrettanto ubriaca e rendersi conto che lo è, e reagire ai suoi eventuali segnali di disponibilità trattenendo responsabilmente i propri istinti e magari chiamare un taxi anche per lei, e perchè no anche difenderla da altri che vorrebbero approfittarne, allora evidentemente siamo nel mondo dei sogni. Rimango convinto che la responsabilità ognuno la deve esercitare innanzitutto nei confronti di se stesso, e più una persona sa che il proprio stato di incoscienza potrebbe fargli correre maggiori pericoli più deve evitare per quanto possibile di  cagionarlo volontariamente.
Per quanto riguarda il fatto in questione anche se affermi il contrario mi pare invece che tu abbia già espresso a tuo modo un giudizio, dato che siccome sappiamo che i protagonisti, per loro stessa dichiarazione, eranno tutti ubriachi e il solo fatto di esserlo annulla, mi par di capire e come dovrebbe logicamente essere, un eventuale consenso delle ragazze espresso in precedenza in condizioni di lucidità e in tal caso la violenza sessuale è presunta ex lege allora la colpevolezza dei quattro appare evidente, e non si capisce bene cosa dovrebbero decidere i giudici e per quale motivo sono stati necessari due anni di indagini per appurare un fatto così giuridicamente lampante.

Lasciami però almeno chiosare sulla più totale assurdità di una società che da una lato esalta l'irrazionalità dei sentimenti e soprattutto delle emozioni che possono e devono essere espresse in ogni occasione e in ogni modo; ogni cosiddetta "dimostrazione d'amore" dev'essere elogiata, e se qualcuno si azzarda ad affermare che gli fa schifo vedere due persone pomiciare in mezzo alla strada con mezzo metro di lingua in bocca, a maggior ragione se sono due vecchi, due omosessuali o una signora col suo cane, deve far fronte ad accuse di sociopatia, anaffettività, omofobia, specismo, assenza di empatia e altre a piacere; e dall'altro lato celebra l'ottusa iperrazionalità  di ogni aspetto della vita, per cui ogni emozione, ogni istinto, ogni pulsione naturale ma anche ogni semplice manifestazione del proprio pensiero deve essere "tarata" e posta sotto controllo sulla base della sensibilità altrui, per cui non si è più in grado di agire spontaneamente perchè ci può sempre essere qualcuno che si "offende", e anche un comune rapporto sessuale occasionale, peraltro totalmente sdoganato dal punto di vista morale, rischierà sempre di più di trasformarsi in un boomerang o un'occasione di ricatto, a meno che uno non si presenti al bar con il proprio avvocato a fianco (e magari anche un paio di testimoni, che non si sa mai).
#11
Queste fredde considerazioni meramente giurisprudenziali mal si attagliano a giudicare un rapporto intimo uomo/donna che spesso sfugge alla pura razionalità per entrare nel campo degli istinti e quindi ben più difficile da valutare: per fare un esempio io ho conosciuto svariate ragazze che chiedevano a propri amici e alle proprie amiche di aiutarle ad ubriacarsi per poter essere più "disinvolte" con un ragazzo che a loro piaceva o anche solo per poter avere la possibilità di "conoscere" qualche ragazzo durante la serata e quindi "divertirsi"; spesso lo chiedevano anche al ragazzo stesso affermando che senza quell'incentivo non sarebbero riuscite a stare con lui, benchè lo volessero. Esistono ancora (io dico fortunatamente, anche se molti non saranno d'accordo) dei "freni" morali e comportamentali che inibiscono determinati comportamenti, e una sbronza è quasi sempre la soluzione più semplice per eliminare o attenuare tali inibizioni. Per questo è molto difficile valutare se la presunta vittima di uno stupro è "consenziente" o meno, dato che fra l'altro il tipo di ragazze cui facevo riferimento in precedenza solitamente il giorno dopo, quando ritornano lucide, si pentono quasi sempre del loro comportamento, e siccome non è facile assumersi le proprie responsabilità, soprattutto quando si fanno sciocchezze del genere, allora si tenta di trovare la responsabilità al di fuori di sé. Qualche anno fa nei pub inglesi erano affissi dei consigli il cui scopo era di evitare situazioni del genere, e nei locali erano disponibili bozze di "consensi informati" che eventuali contraenti di prestazioni sessuali estemporanee potevano utilizzare. Poi hanno lasciato ovviamente perdere perchè le variabili sono innumerevoli, e se anche vi fosse stato un "contratto" sarebbe bastato che durante il rapporto una delle parti cambiasse semplicemente idea per renderlo nullo. Se è oggettivamente riscontrabile una violenza (ma anche in questo caso non si può mai essere certi dato che vi sono tanti amanti del "sesso estremo") nel caso del "rapporto non consenziente" la cosa si fa molto più pelosa, e il giudizio si riduce poi in definitiva ad un atto di fiducia nelle dichiarazioni di una parte o dell'altra, che non mi sembra un modo ottimale per decidere se condannare qualcuno ad anni di galera. Certo la legge ha "risolto" un po' il problema assegnando la responsabilità alla parte maschile quasi "a prescindere", dato che come ad esempio in questo caso neanche il video del "fatto" pare sia dirimente visto che Grillo lo ha consegnato ai magistrati ritenendolo prova dell'innocenza dei ragazzi mentre l'avvocato della presunta vittima pensa al contrario che sia la prova della loro colpevolezza. E se i "nudi fatti" (in qualsiasi senso lo si voglia intendere  ;) ) registrati nel video si possono interpretare sia in un verso che nel verso opposto mi pare che la situazione sia assai ingarbugliata.

Ultimi appunti: ognuno dovrebbe avere la responsabilità prima di tutto nei confronti di se stesso, e pretendere (addirittura per legge!) di comportarsi in modo irresponsabile e contestualmente che altri si assumano la responsabilità che noi non siamo stati in grado di prenderci è una vera e propria assurdità.
La legge da svariati decenni è più indirizzata a conformarsi a determinate ideologie e a determinate "sensibilità" che al perseguimento della giustizia: fra i numerosi esempi che si potrebbero fare la tua citazione degli articoli 92 CP e 186 CdS ne sono una prova chiara: se infatti la condizione di "ebbrezza etilica" rende una persona non più "compos sui" e dunque in certo qual modo non in grado di intendere e di volere è totalmente insensato considerarla in tal modo in alcuni casi e addirittura un'aggravante nel caso di reati diversi; eventualmente un'attenuante, come mi pare fosse prima. Anche se io mi ubriacassi al fine di commettere un reato e precostituirmi una scusa una volta che fossi ubriaco non sarei più in grado di ragionare lucidamente e dunque tutto il mio "piano criminoso" andrebbe a quel paese. Se invece questo fosse realizzato significherebbe che l'ubriachezza non ha inciso per nulla sul medesimo e quindi non andrebbe considerata. A maggior ragione per la guida in stato di ebbrezza dato che in quel caso non si può certo parlere di premeditazione: se prima di ubriacarmi posso rendermi conto che facendolo potrei, guidando l'auto, provocare danni o tragedie una volta che l'ho fatto non sono più in grado di essere lucido come prima, e quindi divento di fatto irresponsabile.


P.S. L' art. 27 c. 2 della Costituzione si riferisce ovviamente all'autorità giudiziaria e alle istituzioni in generale, non certo al comune cittadino che è liberissimo di farsi le sue idee ed esprimere un giudizio di innocenza o colpevolezza, a piacere. Ci mancherebbe che la Costituzione ci imponesse di pensare che se vediamo il nostro vicino uscire da casa nostra con l'argenteria dovremmo considerarlo innocente fino a sentenza passata in giudicato. E se per qualche cavillo procedurale questo dovesse essere assolto ci imponesse anche, magari, di chiedergli scusa e pagargli i danni per averlo diffamato dandogli del ladro.
#12
Citazione di: paul11 il 23 Aprile 2021, 20:33:05 PM


La saggezza è un distillato, un'essenza di ciò che si conosce, che non è un sunto, ma sapere ciò che conta davvero e le sue dinamiche.



Viviamo, in questi tempi, nel regno della quantità, tipico di una visione materialistica del mondo, della storia e dell'uomo.
Talmente materialistica che abbiamo "quantificato" e quindi materializzato anche concetti che non lo sono mai stati per adeguarli ad una visione che considera sic et simpliciter la quantità come tale una "ricchezza". Così abbiamo esaltato il multiculturalismo perchè, si afferma, più culture verranno in contatto con noi e vivranno insieme alla nostra e più aumenterà la nostra "ricchezza" culturale. Abbiamo esaltato la "libertà di pensiero" perchè più pensieri la gente ci vomiterà addosso e più saremo "ricchi" di pensieri. Abbiamo esaltato ogni sorta di stile di vita perchè più ce ne saranno e più noi saremo ricchi perchè potremo scegliere fra tanti stili di vita, e cambiarne magari uno al giorno come le mutande. Abbiamo esaltato la pretesa di ogni e qualsiasi diritto perchè convinti che più questi aumentano in quantità e più noi potremo considerarci parte dei paesi ricchi, e quindi "civili", e via elencando transitando ad esempio per le esperienze amorose (se uno cambia ragazzo/a ogni giorno aumenterà le sue esperienze e quindi diventerà più "ricco/a") o le esperienze di viaggio (si tende a visitare sempre più posti possibili pensando di conoscere un luogo, o chi vi abita, o qualche altro aspetto interessante nel breve volgere di mezza giornata) o le esperienze artistiche. Siamo preda di statistiche di ogni genere, sulla "qualità" della vita, sulla libertà di stampa, sulla corruzione, sulla criminalità, sull'istruzione e in generale su ogni aspetto sociale, basate tutte su parametri esclusivamente quantitativi e che ci assolvono o ci condannano sulla base di "numeri". Ovviamente questo vale a maggior ragione per la conoscenza, che viene valutata anch'essa esclusivamente in senso quantitativo (quanti libri leggi all'anno? Quanti minuti al giorno trascorri su Wikipedia? Quanti anni hai fatto di scuola? Quante lauree hai?)
La qualità si è completamente eclissata, nessuno ormai ne parla più, (e quando se ne parla anch'essa viene valutata quantitativamente: quanto guadagna quello? centomila euro al mese? Allora deve essere uno di qualità) a partire dai responsabili politici che "risolvono" i problemi "quantitativamente", un tanto al chilo: l'istruzione ha un problema perchè gli italiani sono sempre più ignoranti? Stanzio 10 miliardi, assumo 5000 insegnanti e il problema è risolto. Mancano medici anestesisti e infermieri?: stanzio 5 miliardi, assumo 2000 studenti universitari fuori corso e il problema è risolto. Crollano i ponti delle autostrade perchè il "boom edilizio" degli anni '60 ha penalizzato la qualità delle costruzioni? Stanzio 8 miliardi e il problema è risolto. Ognuno può fare migliaia di esempi, ma il fatto che rimane da sottolineare è che se si considera la quantità una ricchezza è del tutto ovvio che applicando questo concetto alla conoscenza non si potrà certo porle un limite, dato che in quel caso significherebbe impoverirsi volontariamente. E il bello è che anche i "professionisti" del pensiero che dovrebbero saper "pensare altrimenti" sono invischiati in questo vortice, totalmente incapaci di intravvedere una via d'uscita.
#13
Tematiche Filosofiche / I limiti della conoscenza.
22 Aprile 2021, 21:23:14 PM
 
Citazione di: paul11 il 21 Aprile 2021, 01:15:25 AM
  Bisognerebbe intendersi cosa si intenda per conoscenza: teoretica, applicativa? Quantitativa, qualitativa?
La conoscenza filosofica non corrisponde con quella scientifica.
Se i limiti dei sensi sono stati ampliati dagli strumenti che hanno ampliato a tutte le frequenze elettromagnetiche le ricezioni di dati, non significa che i dati portino necessariamente conoscenze.
La quantità di informazione che gira per il pianeta Terra ogni giorno, oggi, rispetto ciò che c'era duemila anni fa, non è nemmeno paragonabile. Ma significa che proporzionalmente abbiamo acquisito conoscenze? A me non sembra, spesso è confusione se non errori.
Le applicazioni scientifiche sono tecnologie, tecnica, non  così spesso conoscenze.
Perchè la quantità e le applicazioni non necessariamente consistono in nuove conoscenze.

 

Diceva il saggio Nietzsche: "Una volta per tutte: io non voglio sapere molte cose. La saggezza traccia dei limiti anche alla conoscenza". E i limiti della conoscenza stanno proprio lì, nella saggezza, o sapienza, o sophia, che lungi dall'essere sinonimo di conoscenza (perlomeno come la si intende oggi in senso meramente quantitativo) ne è invece, appunto come afferma Nietzsche, il suo limite e in un certo senso anche il suo opposto. La sapienza è il "sapere" a cui, come diceva Aristotele nell'incipit della Metafisica, l'uomo tende per natura, espressa a tratti nei frammenti di Parmenide e nel Corpus Hermeticum del Trismegisto, e ricercata e ambita da Platone tanto che Giorgio Colli, nel suo scritto La nascita della filosofia, afferma: «Platone guarda con venerazione al passato, a un mondo in cui erano esistiti davvero i "sapienti". D'altra parte la filosofia posteriore, la nostra filosofia, non è altro che una continuazione, uno sviluppo della forma letteraria introdotta da Platone; eppure quest'ultima sorge come un fenomeno di decadenza, in quanto "l'amore per la sapienza" sta più in basso della "sapienza". Amore della sapienza non significava infatti, per Platone, aspirazione a qualcosa di mai raggiunto, ma tendenza a recuperare quello che era già stato realizzato e vissuto». Se la conoscenza è un concetto quantitativo, che si accumula negli uomini e nelle generazioni nel corso dei secoli e che necessariamente ha bisogno di strumenti per poter essere conservata (un tempo i libri e ora i computer), la sapienza è invece un concetto qualitativo, è ciò che all'uomo è necessario e indispensabile sapere per poter leggere correttamente il mondo intorno a sé (quindi le informazioni che la conoscenza fornisce), trovare in esso il proprio posto e giustificare la presenza degli innumerevoli fenomeni che lo circondano e di cui fa quotidianamente esperienza. Se un uomo non può possedere tutta la conoscenza può possedere però tutta la sapienza, e attraverso di quella fornire significato alla propria vita. La conoscenza è un concetto umano, è la "conoscenza del bene e del male" descritta nel libro della Genesi e promessa dal serpente, dal diavolo,  mentre la sapienza è un concetto divino, quindi sovrumano, che infatti appartiene non solo all'uomo (o perlomeno agli uomini in grado di comprenderla) ma a tutte le creature dell'universo, e basta osservarle senza pregiudizi per rendersene conto. La conoscenza è funzionale, serve per sfruttare o modificare la natura (attraverso la tecnica, che è il suo braccio armato) al fine di soddisfare le esigenze umane, la sapienza è invece giustificativa, insegna a rendersi conto che se nel mondo le cose sono come sono è perché è necessario che sia così dato che entità enormemente più potenti e significative dell'uomo hanno deciso che così fosse, e che bisogna rispettare questo volere, e traccia quindi dei limiti (esempi: la famosa übris greca e il peccato originale) alla conoscenza funzionale umana.
Da quando gli "illuminati" del XVII e XVIII secolo hanno dapprima non più compreso e poi semplicemente disconosciuto la sapienza, la conoscenza (funzionale) è rimasto l'unico concetto in occidente a farla da padrone, e lo stupro della natura perseguito sistematicamente attraverso la conoscenza e la tecnica per fornire soddisfazione alle sempre più numerose e complesse esigenze umane ci ha portato alle condizioni attuali.

#14
Citazione di: Socrate78 il 16 Aprile 2021, 21:11:03 PM
@donquixote:  Il racconto biblico infatti parla letteralmente di aver mangiato da un albero definito della conoscenza del bene e del male, ma Dio, nella sua Bontà, secondo te avrebbe voluto quindi che l'uomo restasse ignorante, che non conoscesse e discernesse il bene dal male? Io non credo questo, perché altrimenti avrebbe ragione il cosiddetto "serpente" che inviterebbe l'uomo ad uscire dallo stato di ignoranza per progredire in conoscenza e Dio sarebbe una divinità gelosa che di fatto vorrebbe che l'uomo rimanesse come un animale che non sa che cos'è il bene e il male, magari beato e felice, ma pur sempre in stato di difetto, di ignoranza. Invece con quello che ho scritto sopra, con la teoria dell'ibridazione, le cose tornerebbero di più, poiché in quel caso si spiegherebbe il perché la colpa si trasmetterebbe ai discendenti, infatti è proprio il DNA che si trasmette, ed inoltre la superbia sarebbe spiegata meglio, sarebbe il tentativo di Adamo di creare una propria stirpe escludendo Dio dalla sua discendenza. Inoltre come ho fatto presente prima nella cultura ebraica "serpente" e "diavolo" non sono la stessa cosa, che Adamo avrebbe avuto un'altra moglie di nome Lilith e quindi questi sono indizi in base al quale l'interpretazione classica sembra non funzionare.
Nell'interpretare le parole della Genesi ti lasci trasportare da un pregiudizio ottocentesco che è ormai radicato nella maggioranza della popolazione occidentale e ne distorce il pensiero: quello di considerare l'uomo l'essere "migliore" del Creato, superiore a qualunque altra creatura. Quasi tutti considerano addirittura l'uomo occidentale, liberale, democratico e inventore dei "diritti umani", come superiore anche a tutti gli altri uomini e addirittura a Dio, tanto che sempre più occidentali ne fanno orgogliosamente a meno tacciando di ignoranza, ingenuità o addirittura di stupidità coloro che ancora si ostinano a pensarla diversamente. Questo è esattamente un peccato di superbia di cui anche tu evidentemente sei vittima inconsapevole, dato che parti dal medesimo presupposto non fidandoti delle parole del Libro della Genesi e distorcendole nella tua interpretazione perchè si possa in tal modo giustificare quell'idea. Le Scritture dicono che Dio proibì ad Adamo ed Eva di mangiare i frutti dell'albero della conoscenza del bene e del male, e tu ti rifiuti di prenderne atto affermando che se così fosse avrebbe ragione il serpente e dunque Adamo ed Eva bene hanno fatto a disobbedire all'ordine ricevuto. Cerchi di rimediare a questo pensiero "logico" ma non certo conforme a quel che afferma la tua "fede" trovando una interpretazione assai fantasiosa e che fa acqua da tutte le parti per tentare di far stare insieme la tua idea di Dio con la tua idea di uomo, che altrimenti si troverebbero in una contraddizione insanabile. Non è davvero questo il metodo giusto. Un saggio proverbio recita: onesto è colui che cambia il proprio pensiero per adeguarlo alla Verità, disonesto è colui che cambia la Verità per adeguarla al proprio pensiero. Se tu pensi di essere "credente" ma nel contempo e legittimamente ti aspetti una spiegazione razionale di certi passaggi delle Scritture che ti appaiono apparentemente incomprensibili o contraddittori dovresti almeno partire dal presupposto che se le Scritture sono rimaste tali per migliaia di anni nonostante persone di grandissima intelligenza nel corso dei secoli le hanno analizzate, commentate e criticate significa quantomeno che si dovrebbe prenderle per vere almeno "fino a prova contraria", e partire da quelle per trovare una interpretazione che possa soddisfare sia la fede che la ragione, ovvero che realizzi una concordanza fra quelle parole e la loro spiegazione logica e razionale. Altrimenti ti troverai nell'ampia compagnia dei cosiddetti "non credenti" che dall'alto della loro presunzione dichiarano con supponenza che loro avevano capito che le Scritture sono "sciocchezze per gonzi" quando erano solo adolescenti, affermando implicitamente che tutti coloro che le hanno studiate per anni e anni negli ultimi due millenni erano solo poveri stupidi, o non ancora abbastanza "evoluti" e quindi ancora molto "scimmie", oppure servi del potere che ai loro tempi dominava.
#15
Citazione di: Socrate78 il 15 Aprile 2021, 23:13:28 PM

Che cosa ne pensate di questa mia interpretazione?
Mi pare che questa interpretazione sia già in discussione da qualche anno a seguito di presunte "rivelazioni" che tale don Guido Bortoluzzi asserì ricevute direttamente da Dio "in persona" negli anni '70 del '900. Interpretazione che a me pare del tutto illogica e soprattutto frutto di pregiudizi filodarwiniani (anche se di un darwinismo assai rozzo e volgare) che la rendono ben poco credibile. Il racconto del peccato originale si può spiegare in modo del tutto razionale e anche molto più semplice rimanendo fedeli da un lato al racconto della Genesi, e dall'altro alla dottrina sancita in forma teologica nei documenti del Concilio di Trento che riprendono le parole di San Paolo e Sant'Agostino.
Se l'interpretazione in questione fosse vera si dovrebbe ammettere che gli estensori del libro della Genesi conoscessero già migliaia di anni fa la teoria dell'evoluzione e la leggessero come fa il popolano moderno, cosa che nessuno scienziato appena avveduto ormai fa più. E poi non si peritarono di spiegarla ai loro discendenti lasciando l'uomo nell'ignoranza per migliaia di anni: si tratterebbe proprio di un bel servizio alla Verità.

P.S. dovresti sapere che anche Gesù Cristo è stato di volta in volta definito (e si è definito lui stesso) "figlio di Dio" e "Figlio dell'uomo" dunque una definizione non è in contraddizione con l'altra.