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Messaggi - Vito J. Ceravolo

#1
Ciao a tutti,
solo per segnalarvi che da questa nostra discussione ho tratto un articolo pubblicato oggi su
https://filosofiaenuovisentieri.com/2020/03/15/reazioni-a-pensieri-che-cambiano-inaspettatamente-la-propria-cultura/

Oh, sì... ho poi tralasciato il proseguo del dibattito, non per disinteresse, ma perché mi avevate già dato tantissimi dati su cui riflettere... Spero comunque vi faccia piacere sapere che i nostri pensieri sono stati spunto per un piccolo e umile articolo.

A presto
VjC
#2
È così difficile parlare della vita... guardo la vostra scioltezza e mi galvanizza, a me che riesco a dire una cosa sulla vita ogni 100 pagine di teoretica...
Le forme e i concetti più astratti mi aiutano solo a non perdermi nella grande confusione del caos fenomenico... nella vita, nell'uomo, nella politica sino all'arte, il cuore, ma anche presso la più bruta delle materie.
È un argomento stupefacente la vita. Dovrebbe essere nostro compito disegnarla quanto più bella si possa, senza paura di trovare un limite.
Peccato che io sulla vita ho poche parole.
#3
Ciao,
ho raccolto diverso materiale da questo confronto è spero di riuscire a far emergere una sintesi degna delle note che avete messo in evidenza. Più che chiamarlo "arenato" direi che siamo arrivati a un punto in cui gli argomenti principali sono stati scandagliati; e mi scuso se ci sono stati alcuni vostri argomenti che ho guardato solo da lontanto... In ogni caso, per adesso vi ringrazio tutti nessuno escluso.

P.S. peccato che non c'è più la formattazione del testo... l'espressione filosofica ne risente.



Se questo che segue fosse un sillogismo...

Paul: L'uomo appartiene alla natura
Lou: La natura non appartiene all'uomo
Jean: Il pensiero dell'uomo non appartiene alla natura

...accogliendo le premesse di Paul e Lou, la conclusione di Jean, cercando soluzioni, dovrebbe essere che il pensiero dell'uomo è un'evoluzione della naturale che acquista capacità artificiali, cioè con capacità di assemblare la natura in modo non adattivo (naturale) ma adattandola (artificiale).
Se questo fosse un sillogismo...



Ciao Niko,
letto con piacere e condividendo in gran parte i tuoi passaggi, ringraziandoti per la premura, arrivo alla fine del tuo discorso dove però devi scusarmi se mi distanzio:

Il nulla relativo è pur sempre un essere che in quanto essere non può divenire un non-essere.
Il nulla assoluto non è un sottoinsieme del nulla relativo né viceversa, poiché non-essere.
Quindi è vero che fra i due esiste solo il nulla relativo, che quindi è un essere, mentre il nulla assoluto non esiste, quindi non è.

Il paradosso che ne deriva e di cui parli alla fine... esiste e fa parte dei problemi del fondamento e io non parlo qui del fondamento, ma è un problema formalmente e semanticamente risolto in "Infinito. Principi supremi" (un  libro). Ma non importa: sospendiamo qui il discorso, scusandomi se qui e ora mi fermo alla sola discussione del paradigma in esame, evitando ogni discorso intorno al fondamento.



Ciao Ipazia,
letto con piacere la tua risposta. 



A presto
VjC
#4
SULLA VERITÀ
Senza alcuna critica al tema iniziato da Sampitura, mi limito a ripetere la mia panoramica generale sulla verità... un misero contributo a margine, perché credo anche io che «per evitare fraintendimenti, occorra tener presente l'osservazione di Ipazia e distinguere le varie "tipologie" di verità» (cit. Phill).
Come detto ho questo quadro della verità: oggettiva (naturale); intersoggettiva (sociale); soggettiva (personale ). Oppure: assoluta; relativa. O ancora: noumenica; fenomenica. Oppure... https://www.azioniparallele.it/30-eventi/atti,-contributi/174-verita-realismo-costruttivismo.html Il tutto in una sorta di patto reciproco di non contraddittorietà.
Da questo quadro faccio queste 2 considerazioni:
• Si dice che perdendo un quadro oggettivo entro cui porre la soggettività muore tanto la verità oggettiva quanto quella soggettiva, ritrovandoci prima o poi sulla filosofia della post-verità (se l'oggetto non fosse il soggetto oggettivamente non sarebbe, si sgretolerebbe...). Cioè «senza una verità manca il referente assoluto» (cit. Paul11) manca la possibilità di dire qualcosa di vero sul soggetto;
• Se abbiamo una verità che è l'Uno, l'inizio (cit. Boomax), abbiamo che se è vero l'inizio è vero anche ciò che accade da esso. E che qualcosa accada neanche uno scettico lo nega; e che questo accadere non sia nulla lo comprende chi sa che il nulla non può accadere; e che l'Uno non sia Niente, qui andiamo al fondamento e mi fermo perché non parlo del fondamento.

Per il conflitto immanente-trascendente, scusatemi se vi rifletto su questa formula:
A(B)  A={B}

Per ora vi sto solo leggendo...



Ciao Ipazia,
lì non c'è alcuna dimostrazione sull'assiomatica della ragione in sé, ma ti riporto "a braccio" quanto è presente in altri articoli e nel libro in merito al problema che avanzi. Sì... confronto sull'attendibilità della ragione in sé. 

Assumiamo tale assioma, necessariamente innegabile per non contraddirci:
1.   Ciò che appare necessità di ciò da cui apparire il quale conseguentemente non può apparire ma dal quale conseguentemente si dà quell'apparire.
Qui si intravede «la pretesa genetica [della ragione in sé sul fenomeno] (cit. Ipazia, domanda)»

Assumiamo la ragione in sé come quel sovrasensibile da cui appare il sensibile.
2.   Ratio efficiens (ragione efficiente) come causa dell'ordine sovrasensibile.
Qui si intravede come l'immateriale agisce sul materiale, cioè il concetto causale della ragione in sé da cui il suo adequatio all'effetto fenomenico che ne deriva.

Quindi per quanto sia vero che qualsiasi cosa appaia è un fenomeno e mai la ragione in sé, ciononostante, tutto ciò che appare ha un adequatio con la ragione per cui è tale; tale che:
3.   La ragione si rileva dal suo adequatio rispetto alle osservazione (dati) e alle previsioni (ricerca).
Qui si intravede come la scienza naturale non può sondare il sovrasensibile noumeno, ma può sondare ogni effetto sensibile che attribuiamo a tale ratio efficiens.

Secondo me la cosa più difficile è capire la semplicità della ragione in sé. L'altra cosa più difficile è capire che con la ragione in sé si arriva necessariamente a un punto letteralmente cieco, invisibile, e lì non si può far altro che credere oppure no. Ma in fondo questo è un problema presente da tutte le parti... credere alle invisibili ragioni espresse tramite le proprie sensibili spiegazioni, discorsi, pensieri etc... La terza cosa che è invece difficile da capire per me è: come proseguiamo? dove vi è manchevole tale introduzione?



Ciao Sampitura,
sincero, stavo cercando di essere simpatico, solo che la mia "simpatia" non risulta agli altri poi così tanto divertente. Serio: ho letto proprio volentieri il tuo post sopra il mio precedente post... e ne ho letto anche la fine, anche quelle cinque righe dopo il tuo accenno a Gödel.
Vediamo: so cosa sono gli indicibili e non ho corretto Gödel. Però mi sono spesso chiesto...
(1) se quelle mie forme sono logicamente corrette
(2) e se esse sono capaci di contenere il sistema di Gödel come da lui "profetizzato"
(3) allora è un teorema di coerenza e completezza.

Io comunque, ripeto, non ho corretto Gödel. Ciò che ho fatto è risolvere alcuni blocchi logici errati (es. A può dimostrare se B ha A o A) così cambiando alcune possibilità formali. Oppure ho formalizzato alcune definizioni (es. gli indicibili) così aprendo un diverso sistema formale. In entrambi i casi non ho mai corretto Gödel, gli ho solo messo sopra nuove possibilità formali. Forme che a me pare, correttezza permettendo, abbiano un'elevata ampiezza. In ogni caso, se mi hai solo chiesto perché non è un articolo puramente logico... boh, difficile per me ora fare un lavoro del genere.
Credo di aver letto qualcosa della tua prima citazione, mentre sono sicuro di non aver letto quel libro di Cassiser. Controllo...


Ciao Lou,
solo un saluto.



P.S. Da me non c'è più l'intera formattazione del testo: bold, italico, allineamenti etc ... 
#5
 In sequenza Sampitura e Ipazia, Boomax, Nico, Pauli11 e Phil
 
Ciao Sampitura (e Ipazia),
alla tua affermazione «L'autorità definisce la 'verità'», contrappongo quella di Ipazia «La verità dell'universo antropologico non è la verità dell'universo fisico». Lo faccio perché dobbiamo riconoscere diversi livelli di verità (es. oggettiva, intersoggettiva, soggettiva)  e che tu nei hai parlato a livello di categoria politica, ma poi appunto c'è anche la verità come categoria naturale e poi... io qui parlo di tali distinzioni di verità: cap. 8  https://www.azioniparallele.it/30-eventi/atti,-contributi/174-verita-realismo-costruttivismo.html
"Mondo = Luogo come risultato di leggi universali e particolari" Dizionario Vito
 
Ciao boomax,
«Ma la Verità assoluta non ha alcun condizionamento. Non necessita di alcuna falsità da negare [e non l'ha]».
 
Ciao Nico,
ti segnalo questo tuo errore: «Non se ne esce, se il nulla non ha determinazioni ha almeno una determinazione, quella di non avere determinazioni, ed è il fantasma dello sfero di Parmenide.» L'errore sta in questo:
 
Con la proprietà A posso dimostrare se B ha la proprietà A oppure no ØA.
Quindi, con la determinazione A posso dire se B è determinabile A o indeterminabile ØA.
"Determinare che è indeterminabile", "determinare che non è determinabile", significa pertanto "non essere in grado di determinarlo", "non essere determinabile".
Cfr:
cap. 3 https://filosofiaenuovisentieri.com/2019/04/14/unificazione-generale-della-logica-classica-e-non-classica/
cap. 5 https://filosofiaenuovisentieri.com/2017/05/14/teoremi-di-coerenza-e-completezza-epimenide-godel-hofstadter/
 
Il tuo presupposto, di determinare il niente, decade. Quindi decade il discorso che ne derivi, anche se poi ci puoi aver detto dentro cose intelligenti, decade comunque il tuo discorso.
Questa è la "quinta" forma con cui ti rispondo, permettimi quindi di invitarti a leggere qualcuno dei miei articolo di questo "gioco" (quelli sopra sono formali), così alziamo il tenore della discussione e mi eviti copiaincolla.
 
 
Ciao Paul11,
«Guarda che paradossalmente, anche la filosfia più astratta e lontanta dalla realtà naturale incide pragmaticamente, con motivazioni, atteggiamenti, modi di vivere.»
Già, anche la più lontana.
 
 
Ciao Phil,
stavo leggendo la tua "filosoficamente corretta" quando... mi sono fermato alla fine e mi sono rifiutato di leggere il finale, da quando hai scritto: "coerenza e consistenza (ma non completezza)". Scherzi a parte. Guarda questo:
https://filosofiaenuovisentieri.com/2017/05/14/teoremi-di-coerenza-e-completezza-epimenide-godel-hofstadter/
E immagina questo gioco formale...

Contro il proprio Teorema di Incompletezza, Gödel, in estrema sintesi, avvertì della possibilità di un Teorema di Completezza in cui ogni proposizione risultasse decidibile da un'asserzione vera sull'estensione del sistema. Cioè un'asserzione che affermasse «è vero che, è vero o falso o una via di mezzo fra vero e falso o sia vero che falso o né vero né falso». E chi meglio di Gödel poteva sapere dove la sua incompletezza poteva crollare?
Qui adottiamo alcune forme capaci di contenere e trasformare la sua (Gödel) "interpretazione di incompletezza" dei dati in una interpretazione di coerenza e completezza. Le formalizzazioni che ci permettono questo evento sono le seguenti:
 
1) Valore di verità - vero o falso
Se quando affermo o nego una frase essa non si contraddice, allora ha un valore di verità.
 
2) Valore paradossale - né vero né falso
Se quando affermo una frase essa si contraddice e si contraddice anche quando la nego, allora la stessa non ha un valore di verità.
3) Principio di dimostrazione
Per ogni predicato A, posso dimostrare se il soggetto B ha il predicato A oppure no.
 
4) Verità teorematica
Per ogni A, è vero che abbia valore di verità oppure no.
 
5) Principio di Coerenza
La coerenza di A equivale al fatto che predica la propria dimostrabilità o indimostrabilità all'interno del sistema. Oppure, un sistema è coerente quando ogni sua asserzione, quando ben interpretata, risulta vera (cfr. 4).
 
6) Principio di Completezza
La completezza di A equivale al fatto che, la sua affermazione e negazione appartengono alle dimostrazioni del sistema.
 
7) Primo principio di Coerenza e Completezza
La coerenza di A equivale al fatto che è dimostrabile o indimostrabile nel sistema. La sua completezza equivale a dimostrare tale coerenza tramite gli enunciati stessi del sistema.
 
8 ) Teoria del Primo
Il Primo A è ciò da cui si dà, da sé e in sé, tutta la sua formalità possibile e non.
 
9) Teoria dell'Ultimo
Se il posizionamento del Primo "A" dipende dal posizionamento delle sue conseguente, e se ciò che in ultimo riassume tutte le sue conseguenze è ancora se stesso A, cioè se l'inizio e la fine coincidono, allora si parla di A come pienamente completo: l'autosufficienza.
 
10) Secondo principio di Coerenza e Completezza
Se A è coerente allora tale coerenza è dimostrabile da sé, completamente.
Adottate queste forme, il teorema di Gödel si trasforma nel nostro Teorema di Coerenza e Completezza.
#6
per Niko, Phill, Paul11
 
Ciao Niko
Quando dico "non c'è niente sul tavolo" mi riferisco al vuoto fisico, qualcosa al cui interno succede qualcosa: non esiste alcun nulla assoluto nel mondo naturale, ci può essere la mancanza di qualcosa ma non la mancanza di tutto.
Questo"non c'è niente sul tavolo" si chiama "nulla relativizzato" il quale non è altro che un qualcosa di esistente, ed è solo il nulla relativizzato ad avere determinazioni, non mai il nulla assoluto.
Cioè, quando parlate di tale "nulla relativizzato", assegnandoli determinazioni di qual si voglia genere od ogni volta che assegnate determinazioni a qualocsa, voi in verità parlate di un essere. E io parlo molto e sotto molti aspetti della differenza fra il nulla assoluto e il nulla relativo (cfr. Mondo, ed. Il Prato 2016).
 
Ciao Phil e Paul11,
Da me, distanziandomi da Severino e dalle altre ontologie, "se A=A allora nonA": l'accettazione dell'identità porta a ciò che l'identità non è.
Questa formalizzazione logica A=A porta dunque una temporalità intrinseca da cui il divenire: AàØA 
 (cfr. Libertà, ed. IfPress 2018, p. 23)
L'appunto di Phil si risolve dunque così:
Nulla si crea e nulla si distrugge (A=A), tutto si trasforma (à ØA)
Ho affermato "AàØA" come forma del divenire (della fisica e delle pratiche) al capitolo 8 di: https://filosofiaenuovisentieri.com/2017/11/12/unificazione-della-relativita-e-della-fisica/
 
Ciao Paul11,
Non voglio ingabbiare la vita dentro le forme, ma considero le forme come un mezzo di conoscenza della vita, una delle vie per la pratica e per vivere. In ogni caso ho trovato note piacevoli nel discorso intorno all'istinto, l'intuito, la razionalità, il pensiero. 
#7
Rispettivamente per paul11, viator, green, niko

Ciao Paul11 e Viator
A me sembra che ci siamo mossi su queste tre problematiche (mente, intuito, pensiero):

1)  mente-cervello:

  • In alcuni casi l'attività razionale (intellettiva, di pensiero etc) è la consecuzione di un'evoluzione fisica (meccanica, quantistica etc) e vitale (istintiva etc);
  • Il punto sensibile di tale evoluzione fisico-vitale è la costituzione di un apparato neurale, un sistema nervoso centrale, un cervello.
  • Quindi, in alcuni casi, l'apparato fisico cerebrale è ciò che cova la possibilità di pensiero, cioè «riconosciamo il cervello quale fonte fisica del pensiero» (cfr. cap 4 https://filosofiaenuovisentieri.com/2017/07/16/dieci-argomenti-di-filosofia/) o come scrive Paul11«La mia tesi è che il cervello è il ponte fisico fra il sensibile e la mente nell'uomo»
N.B. Noi non sappiamo se esistono altre possibilità per il pensiero, ma sappiamo che ci sono apparati fisici che presumibilmente lo permettono. Ciò non toglie che le misurazioni fisiche delle attività cerebrali siano miserabili nella spiegazione delle più complesse attività psichiche.

2) Intuito-Concetto:

  • L' Intuito è a razionalità spenta, passivo, inconscio, puro, senza schemi concettuali (oltreché extrasensoriale). Il Concetto è a razionalità accesa, attivo, conscio, relazionato, con schemi personali (benché extrasensoriale);
  • L'intuito è primordiale sul concetto, tale che al sorgere di una psiche essa sia inconscia, fino ad accendersi nel conscio in certi casi evolutivi;
  • L'intuito, l'inconscio, sono la manifestazione psichica primordiale che prelude la possibilità di pensiero, sono lo strumento psichico di base per relazionarsi astrattamente con le ragioni in sé.

3) Pensiero-Linguaggio:
Una possibilità: dallo stadio spento (inconscio) della psiche si passa al suo stadio acceso (conscio) tramite le schematizzazioni del concetto, che ponendo le ragioni dentro certi segni (parole suoni simboli) permette di sentire il pensiero, cosicché il pensiero sia un astratto fatto carne dal linguaggio con cui si conduce.

Giusto per fare una quadra larga dei nostri discorsi... C'è ancora molta confusione vero? E poi questa mente... questo scarto sovrasensibile non misurabile fisicamente in maniera soddisfacente... ?


Ciao Green,
Ma sai che di questa cosa che dici «l'intento [di Niezsche] è de-sogettivare la sua volontà di potenza»... di questa cosa me ne sono accorto pur io... Però la sua de-sogettivazione a me non sembra mirare a resuscitare la cosa in sé... Se proprio mira alla negazione anche del soggetto... mentre io miro all'affermazione di tutto. Quindi sì, ho notato anche io questa tua giusta obiezione.


Ciao Niko,.
ti segnalo queste tue due contraddizioni

1. Quando affermi"l'essere se stesso del non essere è l'essere"... e invece la mia ontologia dice:

  • (nulla è nulla) = (nulla non è);
  • La forma dell'essere è, linguisticamente la copula (è), matematicamente l'uguale (=). Tale forma è neutra e non cambia il valore degli elementi ("nulla" o altro) che relazione;
  • Da cui, l'essere se stesso del nulla è il nonEssere.
Il tuo affermare (l'essere se stesso del nulla è l'essere) mi è dunque ontologicamente e formalmente contraddittorio. Mentre questa mia forma ontologica non si contraddice: se il nulla non è, allora il suo essere ciò che è, è il suo non essere:se "nulla = non essere" allora "nulla non è".
(cfr. Mondo, 2018, cap. 3 L'essere)

2. Quando affermi "A = (A e non A)"... e invece la mia logica formale dice:

  • Prendi qualsivoglia soggetto P e attributo 1: "P è 1 o non1".
  • Se 1 è 1, allora non1 può essere uguale a uno di questi valori:
  • 0;
  • 0<1 (una via di mezzo fra 1 e 0);
  • 1 e 0;
  • né 1 né 0.
(cfr. cap. 1 https://filosofiaenuovisentieri.com/2019/04/14/unificazione-generale-della-logica-classica-e-non-classica/)
Ciò vuol dire che qualcosa di diverso da A può essere uguale ad A e non A, mentre nessun A può essere uguale ad A e non A, poiché ogni cosa è uguale a se stessa e non ad altro. Il tuo affermare "A=(A e nonA)" mi è contraddittorio .

Oltretutto da me il niente non deriva dall'essere, da me il niente assolutamente non esiste, non può esistere, non è mai esistito, quindi non deriva e non può derivare da alcun che, tantomeno portare possibilità di determinazione. Certo che siete strani voi, vi piace a tutti i costi contraddirvi... ;) burla a parte: ho un'ontologia diversa (Mondo, 2016); risolvo il conflitto finito-infinito del principio primo (Infinito. Principi supremi, 2018) e scorgo assurdità presso la vostra arcaica visione del mondo. Però per ora mi fermo qui, perché le mie sopra forme già ti impegneranno non poco Niko per capire questo diverso vedere.
#8
Ciao, in sequenza Ipazia, Green Paul11
 
Problema storico. Visto da qui il nichilismo è un dogma, una religione legata tanto al declassamento della realtà in sé quanto, conseguentemente, alla morte di Dio,  tanto alla trasvalutazione dei valori quanto a tutto ciò che discorsivamente nega l'oggetto. Può assumere la forma della filosofia post-verità o assumere il fondamento dell'esserci (heidegger) o... non importa in che forma esso appaia, poiché qualunque forma diate al nichilismo esso è sempre la naturale conclusione della presa di potere del soggetto sull'oggetto. Negate quest'ultimo "italico" e negherete l'iniziale sintesi generalissima presente nell'articolo Scalata critica al nichilismo, se non negate ciò il vostro è un insistere pari alla quadratura del cerchio. E ora, a dispetto di Ipazia: guardate che non è mia intenzione sminuire Niezsche, quest'uomo che si è lasciato alle spalle tutta la filosofia precedente facendo ciò che nessuno era riuscito prima, uccidere Dio. Dico invece che il nichilismo è contraddittorio (quindi di bassa astrazione), privo di buone previsioni (quindi di bassa naturalezza) e odiante (poiché nullifica l'essere); oltre a essere il completamento della supremazia filosofica del soggetto sull'oggetto.
 
Per un naturalista, Green, è strano parlare di un nulla fondante che non avviene ed è impossibile avvenga in natura (nulla pneumatico); o magari per "nulla" intendete ciò che avviene in natura così che il nulla sia qualcosa... E se queste appena dette contraddizioni (naturale e formale) per voi sono "sciocchezze", da me sono motivo sufficiente per chiamare una tesi "inconsistente".
Ora portate la visione naturalista in questo"nuovo mondo": la natura (fenomeno) è l'oggetto primario di indagine per la verifica delle nostre affermazioni sul mondo: noi confermiamo le ragioni in sé che presupponiamo (espresse tramite razionalità, pensiero, linguaggio etc) attraverso la mediazione fenomenica che ne è l'aspetto naturale.
In fin dei conti un naturalista ha vita più comoda presso la ragione in sé che fra le dogmatiche contraddizioni di un nulla naturale (fisicamente impossibile) o di un nulla extranaturale come base naturalista.
 
E diteglielo ai materialisti che qui la ragione in sé è l'unione fra estensione e pensiero. E qui ha ragione Paull11:«siete completamente avulsi alla ragione in sé». Tanto da non vedere come essa semplicemente sia l'ordine sovrasensibile dalle cui diverse possibilità e combinazioni conseguono o fisicità meccaniche (classica, quantistica etc) o vitalità istintive o culture razionali. (cfr. Libertà, 2018)
 
A proposito Paull11, l'aspetto fisico linguistico è proprio anche delle aree cerebrali preposte al linguaggio... abbiamo qui un primo approdo al problema del pensiero astratto legato indissolubilmente al linguaggio sensibile con cui si compie. Per il resto non chiamerei "errore" le costruzioni puramente astratte  e considererei ogni cosa già come «in sé e fenomeno» assieme.
 
Io vi invito, per chi non l'avesse ancora fatto, a verificare le possibilità di tale pensiero attraverso i suoi articoli: piuttosto che continuare a presupporre cosa si possa o non possa fare, guardate cosa è stato fatto, le possibilità. Se le possibilità sono attendibili, esse aprono a un'altra filosofia.
#9
Ciao Paol11,
allora abbiamo questo problema: lo strumento astratto del pensiero si svolge con linguaggio sensibile (parole, suoni, simboli); poiché è solo tramite linguaggio sensibile che noi sentiamo i pensieri; come se il pensiero fosse un astratto fatto carne dal linguaggio con cui si conduce. Bel rompicapo. Come facciamo?
(In verde tu,nero io)
La voce è riproducibile perfettamente, il pensiero no.
Per dirti che hai ragione tu, ricordo che le scariche cerebrali o le l'attività dei neuroni o del sistema nervoso centrale, sono una misura fisica miserabile alla spiegazione delle attività del pensiero.
Il linguaggio denotando qualcosa; sposta l'oggetto,quel qualcosa, dal sensibile e lo segna(con una parola, con un suono, con un simbolo ecc), lo significa portandolo nel pensiero.
Allora è possibile che la funzionalità cosciente della razionalità (il concetto, per sua natura schematizzante) presupponga la costruzione di segni (parole suoni simboli) tramite cui conseguentemente si sente il pensiero?
 
Note a margine (In verde tu, nero io):
L'in sé come ragione è accessibile immediatamente solo con uno strumento razionale inconscio, passivo, spento, cioè capace di entrare in contatto con le ragioni in sé senza gli schemi concettuali del soggetto, senza interferenza dell'osservatore sull'osservato, oltreché in misura extrasensoriale. Noi conosciamo l'intuito quale strumento di tale tipo. Per quanto riguarda i materialisti invece, per impedire questa filosofia devono prima di tutto negare di affidarsi a delle ragioni sovrasensibili per spiegare la materia. Una volta che hanno capito che non possono negare ciò, si ricorda loro che un presupposto di correttezza di questa filosofia è la sua coerenza naturalistica: nel senso di coerenza materiale a ciò che descrive... e che questo paradigma, riconoscendo la verità dei fenomeni, presuppone la coerentizzazione della relatività. 
La soluzione è la via che stai tentando, unificando le antitesi, le dialettiche, le dualità, i contrapposti.
E tu che fai? Perché questo "nuovo mondo" è grande da costruire e mi pare che tu ti trovi anche tu qua, soprattutto in previsione di quando vedi: «ogni teoria filosofica ha implicazioni teoriche e pratiche e la modalità in cui relaziona i concetti, soprattutto quelli paradigmatici, decidono la morale, l'etica,la politica, l'economia, insomma la nostra vita»
#10
Ciao Pauli11,
grazie per la cura. Quando tu dici «rimango perplesso su diversi concetti e riformulazioni» ... ciò lascia presagire un miglioramento, o di maggiore consolidamento o di migliore riformulazione. Quando tu dici «lo definisco [l'in sé] come regola, come ordine che si dà come ragione,che si manifesta come insiemi di vite, linguaggi, fenomeni naturali, pensiero, che appartengono tutti a quell'in sé» .... io rispondo "certo".  Quando tu dici «sono pienamente d'accordo con te riguardo il nucleo sull in-sè come ragione»... io dico "bene!".
 
Rispondo alla tua critica costruttiva (in rosso la mia tesi, in verde la tua antitesi, in nero la mia sintesi) 

 #1 è dove hai colto che io separo l'essere dal divenire se ho invece scritto che sono inscindibili?
Se l'in sé è la ragione soprasensibile e il sensibile è ciò che appare, l 'essere non è riducibile all'apparire e sparire: questo è nichilismo.
Da me in assoluto l'essere è il divenire perfetto di sé, cioè all'infinito l'essere diviene simultaneamente ogni cosa, l'Immobilità. Non c'è alcun sparire nel nonEssere presso la mia ontologia, ma, all'assoluto, un restare eterno dato dal perfetto divenire di tutte le possibilità. «Principio di immobilità: il divenire perfetto di sé» (cfr. Mondo, 2016, p. 124). La mia ontologia è diversa dalla vostra. Il mio piano ontologico si trova nel libro appena citato (Mondo, 2016)
Se per inscindibili,invece, si intende non contrapposti, ma comunque inseriti nell'insieme in cui l'essere si fa esistenza, 11allora sono d'accordo.

Inscindibilità può essere fra non contrapposti quanto fra contrapposti, benché inseriti nell'insieme che dici tu.


#2 come già detto la forma logica dell'idealismo è la stessa del nichilismo, essendo quest'ultimo una conseguenza diretta del primo, una sua implicazione resa visibile da Nietzsche. In entrambi i casi, da Kant sino ad oggi, tutta la filosofia occidentale si è mossa sull'inesistenza della realtà in sé, cioè sulla forma A=non-A. Per quanto riguarda il realismo, invece, quindi da Platone sino a Kant, tutta la filosofia dominante si è mossa sulla forma parmenidea A=A e non può esser non-A, senza però essere in grado di giustificare tale forma (cfr. problemi parmenidei) e quindi con la conseguente caduta del sistema ingenuo realista.
Nietzsche a tuo parere pensa bene di Hegel e di Kant, se assumiamo che Nietzsche ne sia il continuatore?
Che c'èntra? L'odio che si prova non è segno di discontinuità.
La forma dialettica di Hegel, seguendo le tue terminologie, è soprasensibile(astratto) e sensibile(concreto) mediati dalla coscienza attraverso l'intelletto. Hegel, Kant e Nietzsche sono tre filosofi ben distinti.
Sì.
L' in sé kantiano non è la ragione e il suo soggettivismo è nella gnoseologia, l'in sé hegeliano è quando un concetto astratto o fenomeno sensibile sono in-sè-e-per sé, ovvero senza la mediazione della coscienza che trasporta la percezione sensibile nell'astratto concettuale con l'intellegibile; l'in sé di Nietzsche non c'è proprio e non vuole nemmeno chiederselo, il suo nichilismo è la distruzione della tradizione.  
Da solo queste definizioni io scherzosamente leggo: Kant costringe la realtà alle categorizzazioni soggettive, hegel ricorda che la realtà in sé non è accessibile con categorie, Nietzsche la uccide. Io direi una bella consecuzione.
Platone crede sia all'Essere (Uno) degli eterni che al divenire delle apparenze.
«Di Platone si racconta che disse "Eterni, ma salviamo le apparenze!" Tutti lo applaudirono e poi uccisero le apparenze. Di Kant si racconta che disse "Soggetto, ma salviamo la cosa in sé!" Tutti lo applaudirono e poi uccisero la cosa in sé.» Questa storiella te l'ho raccontata per dire che c'è qualcosa di più profondo in una filosofia: sono le fondamenta che portano poi a determinati omicidi. E le fondamenta kantiane di sollevamento del soggetto sull'oggetto hanno portato al parricidio nietzscheniano dell'in sé.
Parmenide sì, è vero ritiene l'essere non poter non-essere (a=a) e quindi ritene non possa esserci il divenire, ma è l'unico a sostenerla.
Parmenide non sa.

#3 Da me il dualismo è sepolto nel momento stesso che ciò che appare è conforme alla ragione per cui appare e viceversa
Quindi non c'è bene o male, giusto o sbagliato e le controversie, il pensare diversamente fra umani è giusto e quindi...tutto vada così poiché ogni cosa che appare è ragione in sè? Questo è una forma del relativismo..
Se il meccanismo della ragione lascia aperte le possibilità di caso e libertà, allora rimangono vive le controversie etc. Di questa possibilità ne parlo nel libro Libertà (2018) e la sintetizzo ogni volta che dico che la ragione è l'ordine sia del razionale che dell'irrazionale.
Dalla tua filosofia spariscono termini semantici, mi pare volutamente, fondamentali nella costruzione filosofica, o che diventano ridotti in quanto significazione. Mi pare la filosofia non del "così è se vi pare", ma del così è e basta.

Vi vedo così distanti che per ora non ho tempo di strutturare le frasi lasciando spazio anche al dubbio. Quello ce lo puoi mettere da solo... dubitare. Per me ora è importante mostrare le possibilità di questa filosofia.
Se il pensiero è sensibile, quindi la geometria ,la matematica, li troviamo nei boschi e il pensiero è visibile al microscopio? Ci sono proprietà ,attributi umani che hai anche ben descritto che non appartengono alla natura, la natura non è un'interpretante che si fa domande e cerca risposte costruendo filosofie, si compie ed è bastevole a se medesima ripetendosi.
La tua domanda è come se tu mi chiedessi perché, se la voce è sensibile, allora non la vedo al microscopio... Ogni cosa sensibile ha il suo modo di sensibilizzarsi. La sensibilità del pensiero si manifesta nella  lingua adottata per svolgerlo, di cui ne puoi sentire il suono, le parole... e tutto quello che si sente è sensibile.  Una più giusta critica, invece, secondo me si svolge su queste domande: esiste un pensiero sciolto da un linguaggio? il linguaggio è sensibile?
Il linguaggio è il tramite per cui il sensibile è possibile interpretarlo in segni, sensi, significati e per poterlo fare non può essere solo all'interno del sensibile per quanto razionale possa essere un concetto che ne faccia sintesi. E questo non è dualismo "forte".
Il linguaggio è il tramite per cui il sovrasensibile e il sensibile possono essere interpretati in segni. Se poi vuoi dire che il pensiero deve avere un piede anche nell'astratto... mi va bene, lo trovo vero, il pensiero ha componenti astratte, ma devi argomentare meglio tanto il problema quanto le soluzioni...  
La sintesi avviene sempre nel soprasensibile, quello di cui il linguaggio razionale sensibile "non può dire" secondo Wittgenstein
In Linguaggio e noumeno argomento invece che non c'è nulla di cui non si possa dire... quindi posso parlare anche della cosa in sé, in quanto ragione è definibile, ma ne posso parlare solo attraverso alcuni schemi e non altri, schemi anche veri sì, ma non coprenti la totalità delle verità che si possono dire. Voglio dire: posso parlare della ragione in sé, definirla adeguatamente, dirne verità, anche se essa rimarrà sempre qualcosa di altro dalla pochezza descrittiva dei miei schemi concettuali, qualcosa di oltre qualunque nostro linguaggio, concetto e sensibilità.
Se rimanesse nel sensibile razionale il pensiero avrebbe ragione Wittgenstein che non può infatti inserirci il mistico.
Non ho capito.
 
Grazie Pauli11, con la pari conoscenza degli articoli abbiamo alzato di gran tenore il confronto.



Ciao green,
non credo che sia... dico invece che se regge, questo paradigma è un antidoto al nichilismo tanto quanto il nichilismo è un veleno a più alte astrazioni e a più ampie previsioni. 

  • Come si raggira il nichilismo? Il primo passo è assumere non solo la possibilità di una realtà oggetto, ma anche la possibilità di accedervi e successivamente di comunicarla;
  • Come si raggira il realismo? Il primo passo è assumere la verità dei fenomeni come mappatura della realtà in sé, quindi un "caos" (fenomenico)non come improprio ma come  seconda fase dell'ordine iniziale.
 
Mi chiedi se «ho elaborato possibili piani di fuga [da] quel mare in tempesta come scrive heidegger che si chiama nichilismo»? Bene: tutti gli articoli legati a questo gioco sono vie di fuga dal nichilismo, ognuno a suo modo, o meglio, ognuno a suo modo descrive un aspetto o più aspetti di questo nuovo paradigma: dalla teoria della conoscenza a quella della percezione e della mente (dieci argomenti di filosofia), sulle forme logiche etc. Perché io concordo con te quando dice che una teoria della conoscenza non   può dare tutte le risposte necessarie agli altri campi conoscitivi... essa però è comunque una via, a cui si deve risposta, (e a farmi domande di teoria della conoscenza lo hai fatto tu). Negli articoli e nei libri trovi i piani da cui la via di fuga...
 
Attenzione quando dici che la mia è una posizione dogmatica, perché pongo le condizioni di verificazione della ragione in sé,  mediatamente tramite le sue conseguenze sensibili e di coerenza formale, quindi ponendo interesse alle relazioni sino agli oggetti tramite cui la relazione si dà.
 
Fra le funzioni razionali abbiamo il concetto (attivo - razionalità accesa) e l'intuito (passivo - razionalità spenta):

  •  La problematicità del concetto è quella di concettualizzare l'oggettotramite linguaggi diversi, osservazioni diverse, intenzioni diverse, categorie proprie, etc (tale problematicità concettuale la affronto in Linguaggio e noumeno, dove la ragione in sé è indifferente al fenomeno che la manifesta);
  • La problematicità dell'intuito non credo che si concentri nel rispondere a certe tue domande di religiosità che non so (parlo dell'intuito in Guida mistica al noumeno cap. 6).
Però si, concetto attivo e intuito passivo.

Per ora mi fermo qui, Green. A presto.
#11
Ciao green demetr,
effettivamente attingo dall'idealismo e dal realismo, per poi unirli in questo paradigma così negandoli entrambi. Credo tuttavia che alcune tue obbiezioni svaniscano cogliendo le seguenti sfumature capaci di declinare il nostro discorso in altro modo.  


Io affermo la "ragione" come in sé, distinguendola dalla razionalità intesa invece come strumento astratto di accesso all'astratta ragione in sé delle cose, uno strumento presente negli esseri psichici, intellettuali; mentre la ragione in sé è l'ordine sovrasensibile proprio sia della psiche che della natura.
Così inquadrando si supera la problematica cartesiana: sia l'estensione (sensibile) che il pensiero (sensibile nel momento che si compie tramite linguaggio) hanno in comune la stessa unità di fondo che li lega e per cui si danno, la ragione in sé (sovrasensibile).
 
Ne segue, contrariamente a Kant, che non è la ragione la facoltà dell'intelletto bensì la razionalità. La ragione in sé è invece la realtà sottostante, l'oggetto, quel sovrasensibile sensibilmente insondabile, presente in sé sia in ambito psichico che non psichico. In questo modo si supera una problematica kantiana: la ragione in sé, sovrasensibile, è intelligibilmente accessibile. (Kant non definiva la cosa in sé, al contrario della ragione qui detta, per questo credo la sua incapacità a fornire una teoria della conoscenza esaustiva).
 
Ponendo la ragione in sé come ordine sovrasensibile da cui consegue l'ordine sensibile dei fenomeni e viceversa... da qui si supera il problema epistemologico/esperienziale: della cosa in sé si ha riscontro analitico mediato dalle sue conseguenze sensibili (p.s. lungo i vari sviluppi e implicazioni che si ritrovano intorno a questo passaggio, qui la problematica analitica).
 
Problematica kantiana:
Quando Kant afferma come scrivi tu che il problema della realtà in quanto noumeno è fuori dalla [razionalità], bisogna considerare che per mantenere tale posizione Kant ha dovuto sforzare il concetto di intuito, affermando appunto che non esiste un intuito intellettuale ma solo sensibile, poiché se esistesse l'intuito intellettuale esso potrebbe accedere a un noumeno intelligibilepoiché in grado di entrare in contatto con la realtà sottostante senza ricorrere alle classificazioni concettuali del soggetto, senza passare attraverso i ragionamenti concettuali, senza interferenze dell'osservatore sull'osservato.
 
Nella mia filosofia la psiche intellettuale ha due facoltà: una astratta razionale (preposta alle ragioni in sé) e una concreta corporea (preposta al fisico).Qui parliamo della facoltà astratta razionale divisa fra intuito (a razionalità spenta 0) e concetto (a razionalità accesa 1). In questo modo, tramite l'intuito intellettivo, diventa di principio possibile l'accesso immediato alla realtà in sé senza le interferenze dell'osservatore.  Naturalmente, poi, ogni descrizione di tale ragione in sé passa attraverso concettualizzazioni, le quali invece sono strumenti intellettuali a razionalità accesa (conscia), che quindi mediano personalmente l'universalità dell'in sé (p.s. il problema linguistico in merito a tale mediazione è superato in Linguaggio e noumeno).
 
Quindi lungi da me affermare cose come quelle hegelliane (tutto è razionale), in quanto la realtà può essere tanto razionale quanto irrazionale, essendo sia il razionale che l'irrazionale tali per la ragione in sé  per cui si dicono tali: la ragione in sé è l'ordine sia del razionale che dell'irrazionale (n.b. da qui possiamo convenire a casi di determinazione e altri di probabilità).
 
Il problema dello spirito lo possiamo condensare così: se vi è una ragione in sé (linguisticamente un senso) allora vi è un'unità, un ordine universale, uno spirito cosmologico (da intendersi diversamente dall'archetipo junghiano indicante invece un inconscio  patrimonio collettivo della specie umana). Tale "spirito cosmologico" non significa però conferire coscienza o mente propria alle cose (come una lampadina è tale per le ragione per cui è tale senza però essere cosciente), questo significa invece che vi è un ordine sovrasensibile in sé da cui consegue l'ordine sensibile.
 Il concetto di psiche, intesa come anima "individuale" e "cosciente", giunge invece negli esseri dotati di intelletto e razionalità, o come scrivi tu "dotati di mente propria". Allora si parlerà di psiche individuale (riferita a un soggetto pensate con mente propria), psiche collettiva (archetipo junghiano), psiche cosmologica (riferita brutalmente all'universale ragione in sé).
 
Il dibattito sui dati di cui la mente dispone, lo tratto un po' in questo articolo: Dieci argomenti di filosofia. Dove lo affronto sia dal punto di vista del "come li possiede?", "da dove li attinge?" etc.
 
Lo schema sopra condensato (da approfondire presso gli articoli) è così immune ad alcune tue obiezioni, green demetr, sotto questa sintesi:
1) Realtà di fondo, ragione in sé, sovrasensibilmente accessibile per via esclusivamente intelligibile (cfr. Cap. 1, Critica al nichilismo);
2) Razionalità come strumento di accesso alla ragione in sé, la quale ragione è razionalmente accessibile immediatamente attraverso l'intuito e mediatamente attraverso il concetto (cfr. Guida mistica al noumeno);
3) Analiticamente abbiamo l'affermazione epistemologica delle sovrasensibili ragioni in sé attraverso la mediazione del mondo sensibile che ne è una rappresentazione;
4) L'indifferenza della ragione in sé alle interferenze linguistiche che la comunicano o ai fenomeni che la manifestano (cfr. linguaggio e noumeno)
 
Per adesso io invece mi fermo qui, Green, sospendendo le tue chiare questioni su "attivo-passivo", "[pensiero] puro-pratico", (forse anche sul "materiale") perché penso che le stesse possano ricollocarsi una volta colta la delicatezza della struttura sopra presentata (p.s. la quale già da di per sé richiede un notevole sforzo di rimappatura  delle possibilità).


Grazie molte per adesso
#12
Mi sembra che la prima 0nda d'urto delle vostre obiezioni principali sia stata contenuta; avete quantomeno visto le possibilità per cui tale nuovo paradigma può dirsi attendibile. Ora sembra rimanga di esaminarlo. Mi permetto solo di riassumere alcune problematiche evidenziate da voi:

Il problema metafisico  (in 10 argomenti d filosofia):
Nel momento che esiste una cosa fuori di sé inizia il calvario metafisico, che inizia a placarsi quando si portano i valori della cosa fuori di sé dentro di sé.

Il problema soggetto-oggetto (in 10 argomenti d filosofia):
La compartecipazione fra l'oggetto sovrasensibile come ordine in sé delle cose (ragione in sé) e il soggetto sensibile come ordine apparente delle cose (fenomeno) in un'unica unità, senza duplicazione di realtà, inscindibili ma distinguibili, il primo come generale l'altro come particolare.
O={S} <--> O(S)

Il problema forma-materia:
Non dico che non ci sia di più oltre la forma ma che questo "di più" non nega la forma, così come la forma non nega esso. Per questo codesto paradigma si pone di giustificare le proprie asserzioni in forma coerente sia formalmente a sé che materialmente alle cose che descrive. E questa è una posizione ragguardevole e di distinguo.

Veduta filosofica (in Scalata critica al nichilismo):
Immaginate da dove vi guardo io... Parmenide pone il problema dell'essere che subito dopo si mostra essere finito-infinito; e non potendo (dicevan loro) essere contemporaneamente finito e infinito allora era finito o infinito:

  • La filosofia realista conserva l' oggetto e perde il soggetto, è la corrente implicitamente tendente al finito, determinato, oggettivo, universale, assoluto. L'incipiente di tale filosofia è Platone, la massima espressione filosofica di questa corrente è il realismo.Fra i suoi membri: Pitagora, Parmenide, Aristotele, scolastica, Spinoza, Severino, etc;
  • La filosofia nichilista conserva il soggetto e perde l'oggetto, è la corrente implicitamente tendente all'infinito, indeterminato, soggettivo, particolare, relativo. L'incipiente di tale filosofia è Kant, la massima espressione filosofica di questa corrente è il nichilismo. Fra i suoi membri: sofisti, Eraclito, Hobbes, Heidegger, Nietzsche etc.
L'incipiente è colui che contiene le possibilità, in questo caso consolida le forme che permettono una filosofia: già ai tempi di Platone esistevano "nichilisti inconsapevoli" che erano i sofisti, atomisti etc, i quali però non riuscivano a consolidarsi perché le problematiche platoniche erano più forti... fino all'arrivo di Kant, in cui le cose si invertirono e adesso è il realista che  non riesce più a consolidarsi perché le problematiche kantiane sono più forti. E qui giungo io, che supero il diverbio antico consolidando problematiche più forti: YO!

Differenza fisica-vita-psiche e meccanica-istinto-razionalità (in Guida mistica al noumeno e Dieci argomenti di filosofia):
Qui, la sede dell'istinto sono gli esseri viventi, la sede della razionalità sono gli esseri psichici. La razionalità consta dello strumento intuitivo, inconscio a razionalità spenta, e dello strumento concettuale, conscio a razionalità accesa.
Sembra che la possibilità degli esseri viventi stia entro i 5 sensi, mentre la possibilità degli esseri psichici entro sistemi nervosi centrali.

Qui inerente trovate:
2 articoli filosofici (Dieci argomenti di filosofia; Scalata critica al nichilismo)
2 articoli logici (Teoremi di coerenza e completezza; Unificazione generale della logica)
1 articolo linguistico (Linguaggio e noumeno)
1 articolo mistico (Guida mistica al noumeno)
1 articolo antico (Verità. Unione fra realismo e costruttivismo)
2 libri (Mondo. Strutture portanti. Dio, conoscenza ed essere, 2016; Libertà, 2018)

Se non ho risposto a qualcosa, scusate, è possibile non abbia visto o inteso come problema.
Per ora... GRAZIE
#13
Ciao a tutti,
lo scontro assoluto-relativo... sì appunto: questo paradigma di riconoscimento della verità sia del fenomeno che dell'in sé, dove il soggetto fenomenico discende dal particolare relativo (individuale) e l'oggetto noumenico discende  dal generale assoluto (universale)... Tale scontro ha sì un il suo "perché" appunto perché né una tendenza né l'altra sciolte l'un l'altra (assoluto-relativo) sono in grado di non entrare in contraddizione con le proprie affermazioni o con ciò che descrivono, allora, in questo atavico scontro, "ognuno sceglie ciò che per sé è il meno peggio, ciò le cui contraddizioni sono le più accettabili".
Mai dissi che Kant è l'origine del nichilismo (solo il suo incipiente) ma si che possiamo ben aggiungere che il nichilismo trae oltremodo nutrimento dall'essere parmenideo, dalla mancanze di portare coerenza formale all'essere parmenideo, fra il suo essere assieme finito-infinito, il quale dilemma irrisolto ci ha posti davanti alla scelta fra due mondi: fra l'assoluto (propria della determinazione totale) e il relativo (propria dell'indeterminazione infinita); fra il diniego diveniente di Zenone e il diniego dell'immobilità eracliteo; fra il dominio platonico e gli schiacciati sofisti etc... Sì, tutto questo è sempre stato nella filosofia, fin dall'inizio, in questo atavico scontro che nell'una e nell'altra parte ha preso forme  e sviluppi diversi nel corso dei secoli e millenni. Quando scrissi "classificazione generalissima fra realismo e nichilismo" assegnando all'uno la perdita del soggetto e all'altro quella dell'oggetto...  in questo  passaggio voglio includere tutta la filosofia, senza riferirmi specificatamente a questo o quel filosofo di una o l'altra fazione, poiché all'una o all'altra prospettiva appartiene ogni filosofo occidentale. Però ho detto in senso "generalissimo".  
Ora immaginate un principio unico nel contempo finito-infinito senza contraddirsi formalmente, ma anzi necessariamente così. Se ne avrebbe che non si dovrebbe più scegliere fra immobilità-divenire, assoluto-relativo, fenomeno-noumeno, oggetto-soggetto etc giacché entrambi verità coesistenti benché diverse. Ciò che prima era un aut aut (o uno o l'altro) qui diviene una accettazione di entrambi, senza bisogno di scegliere ma con la capacità di armonizzare.
 
No viator, non hai bisogno di "saluti" perché mai ho affermato la sede dell'intuito in qualcosa di diverso dalla psiche. Mentre affermo la sede dell'istinto in ciò che viene chiamato "essere vivente": gli esseri viventi rilevano attività istintive, senza che questi abbiano necessariamente coscienza psicologica di tale istintualità né apparati centrali nervosi. Le piante superiori, dico, non i frutti, né i pezzi di legno morti... questi esseri vivi si compiono con istinto di sopravvivenza ("cosa è vivo?"). La rilevazione di questo fatto porta l'istinto a dislocarsi ma un mero aspetto psicologico (per quanto dalla psiche possa essere "manipolato") e a presenziarsi appunto in diversi esseri dotati di vita. Ora le cose sono due: o si nega il fatto di istintutalità negli esseri viventi; o l'attuale teoria di istinto proprio della psiche decade al pari delle idee cartesiana di urla animali solo come riscontro meccanico. Poi capisco il tuo disappunto su "esseri meccanici", ma puoi cambiare il termine se vuoi in "esseri fisici". Questa "meccanicità o fisicità" è la mia scelta terminologica  per identificare tutti gli esseri che si compiono senza instintualità vitale e intuitività psicologica, dai corpi macroscopici a quelli subatomici in semplici reazioni-azioni fisiche. A questo punto so bene che viene più facile giustificare l'istinto vivente come "nullo" per mantenere la teoria corrente di istinto come attività psichica, ciò comunque non toglie che la natura vivente (non meramente meccanica, fisica) continuerà a comportarsi con questi "strani" istinti di sopravvivenza, e di conseguenza voi (cioè questa vostra strana teoria di "istinto fisico nella psiche astratta") proseguirete con teorie di una certa confusione che faranno un giro immenso per provare a dire qualcosa con un adeguato riscontro naturale. Io, intendo, vedo tanta confusione in questa teoria attualmente dominante.
#14
Ciao Viator,
non ho capito su cosa volevi sorvolare se avevo già avvisato che stavo correggendo... E fammi capire anche un'altra cosa, cosicché io possa adeguarmi a chi sei tu, esattamente: io dovrei sorvolare a risponderti con chiarezza perché tu appari qui per la prima volta? Qual onorevole persona sei tu per cui io non ti debba rispondere?  Anche perché non è che hai sbagliato a fare 2+2, ma una comune problema fra psiche e biologia. Qui, per entrare nel dettaglio corretto, sto parlando degli studi di neurobiologia vegetativa, dove si riscontra che le piante si compiono, oltre che meccanicamente, anche attraverso i 5 sensi udito, olfatto, gusto, vista, tatto. Naturalmente in forma diversa da come accade negli animali e diversa da come accade anche nell'uomo, ma pur sempre in forma istintuale (cfr. U. Castiello, La mente delle piante). L'emozione riguarda invece proprio il rilevamento nei vegetali delle basilari sensazioni primitive, come terrore o gioia (per la differenza fra emozioni e sentimenti cfr. A. Damasio, Alla ricerca di spinoza). Questo comportamento istintivo attraverso i sensi non è invece presente negli esseri prettamente meccanici, come le particelle, mentre il comportamento intuitivo non è mai stato rilevato in esseri privi di apparato nervoso centrale (per usare il tuo linguaggio). La sequenza è consequenziale: meccanica-reazioni; biologia-istinto; psiche-intuito.

Se tu ora vuoi continuare con certi toni da bar, per me era già sufficiente il tuo "buon viaggio" di un tempo. Diversamente il tuo schema è interessante, ciò non toglie però che in natura si riscontrano comportamento istintuali al di fuori di apparati psichici. Poi magari è corretta la tua giustificazione: ciò avviene per i semplici legami ad aspetti genetici, ma ciò non toglie, per quei casi, che un apparato neurologico centrale non è condizione necessaria a un comportamento istintivo. Mi ricordo che anche Cartesio, a suo modo, ci aveva costretto a credere ad animali senza anima... no, lui non aveva detto piante senza istinto.
#15
Nel mio sopra commento ho erroneamente scritto "sistema neurale delle piante superiori". È sbagliato, mi stavo riferendo alla neurobiologia vegetativa che non significa "sistema nervoso centrale". Ciononostante, pur questa loro mancanza, le piante hanno comunque comportamenti istintuali: "sentono, provano emozioni (non sentimenti), operano coi sensi..." Ci sono diversi libri che pongono il problema: "come è possibile che le piante abbiamo comportamenti istintuali pur non avendo una psiche propriamente detta?". Non mi sembra però di aver mai letto delle soluzioni in merito, solo appunto il rilevamento di tale problema: "la presenza dell'istinto al di fuori della sede psichica".
Con questo ho corretto l'errore scritto sopra e nuovamente mi scuso: no "sistema neurale" ma sistema "neurobiologico vegetativo".
In questo senso, la soluzione proposta in Guida mistica al noumeno, è quella appunto di conferire alla biologia la sede istintuale e alla psiche la sede intuitiva. Così facendo si cancella la confusione (anch espressa da viator ma presente in generale ) fra istinto e intuito, oltreché rispondere coerentemente al comportamento delle cose.
 
Ciao viator, 
buon viaggio a te. Se ti dovessi poi trovare con delle risposte che credi interessanti, sono sicuro tornerai.