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Il testamento

Aperto da Koba, 04 Maggio 2025, 11:35:01 AM

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Koba

La notizia della morte di mio zio, un ex gesuita, mi fu comunicata ai primi di marzo dall'avvocato che aveva ricevuto l'incarico di consegnarmi il suo lascito testamentario. Nessuno dei miei familiari si era preso la briga di avvertirmi della sua fine. La cosa non mi sorprese: tutti in realtà si vergognavano di lui. All'inizio, da giovane missionario, vanto della famiglia, poi, in seguito, a causa della scomunica, l'innominabile.
Il giorno dopo mi recai nello studio dell'avvocato che, stranamente, aveva sede in uno dei quartieri più periferici della città, quasi a ridosso delle autostrade.
Sulla sua scrivania c'era una piccola cassa di legno scuro. Mi fece firmare alcune carte e me la consegnò. Mi disse che era sigillata e che per aprirla sarebbe stato necessario forzarla.
A casa, dopo alcuni tentativi con un cacciavite, riuscii a sollevare la parte superiore. Iniziai a esaminarne il contenuto.
C'erano delle fotografie. Alcune facevano parte della stessa sequenza che ritraeva gli scontri etnici del '94, ai tempi della sua missione in Africa: un uomo armato di machete che ne rincorre un altro. Poi, nell'istantanea successiva, lo colpisce, oppure l'inseguito scivola, non si capisce bene. Infine nell'ultima foto si vede l'arma conficcata  nella testa della vittima, ancora impugnata dall'assassino.
Nella prima inquadratura si nota una cosa, che è forse la ragione per cui lo zio le ha conservate: i due uomini sono molto simili. Età, altezza, corporatura, anche i vestiti sono quasi identici. Indistinguibili, eppure appartenenti ad una differente etnia – cosa che ha segnato il loro assurdo incontro.
Altre foto: il reparto pediatrico di un ospedale fatiscente; dei cacciatori sorridenti con i piedi sul cadavere del loro trofeo: un vecchio leone; una ragazzina che in strada tiene per mano un uomo sulla cinquantina e sembra accompagnarlo all'interno di un motel.
Sotto le foto c'era un taccuino nero. Lo aprii. Era il suo diario. La prima pagina era datata settembre dell'anno precedente. L'ultima, due giorni prima della sua morte.
Ecco il contenuto dell'ultimo brano:

"... il Dio dell'amore esiste, ed è per questo che possiamo scrivere di Lui – e in realtà, per un paio di millenni, non abbiamo fatto altro: mettendo insieme tutto ecco una biblioteca vastissima, come una grande metropoli, un immenso labirinto, che parla solo di Lui – ma sarebbe tempo sprecato invocarlo, perché non è il nostro Dio, non è il Dio della nostra specie, non può sentire le nostre preghiere.
Queste le conclusioni a cui sono arrivato: indubitabilmente esiste, il nostro intuito non si sbaglia. Ma non può ascoltarci. Forse è in attesa delle sue creature, che verranno tra qualche milione di anni. O forse si sono già estinte in epoche remote, chissà, magari proprio per mano di homo sapiens, e Lui è rimasto a ricordo di una possibilità che la natura ha già consumato. Insieme agli infiniti orribili tentativi evolutivi, forse c'è stata anche quella di un animale angelico.
Il nostro vero Dio invece è il Dio della morte. Non il Diavolo, né l'Anticristo. Nessuna divinità malvagia, oscura. Ma un Dio capace di accogliere il desiderio inconscio della nostra specie: il desiderio della fine. Niente più orrori. Niente più supplizi. Solo la pace del nulla, l'abbandono, il sollievo di vedere le civiltà umane – edificate tutte, senza eccezioni, sul dolore delle vittime – finalmente scomparire per sempre. Senza lasciare traccia.
Le accuse di satanismo che mi sono state rivolte dai miei nemici di Roma sono ridicole, del tutto infondate.
Ho solo deciso di aprire gli occhi. A quel punto non potevo continuare a trattenere la nostalgia per un Dio che non ci appartiene.
Ho iniziato allora a pregare il nostro vero Dio. Tutto è diventato più chiaro, più sensato. Il nostro compito, di sacerdoti, non è quello di illudere i fedeli su un'improbabile vita eterna, ma quello di accompagnarli verso la propria morte mostrando loro che non c'è nulla di cui temere, che ci attende finalmente la pace. La vera pace!
Proprio oggi, ancora una volta, ho ripensato a quel mio vecchio compagno di studi della Gregoriana. Lui, argentino, poco prima di entrare nell'Ordine, all'ultimo anno di liceo, come tanti ragazzi pensava fosse suo dovere opporsi, in qualche modo, alla dittatura militare. Aveva così partecipato all'occupazione della propria scuola. Lì, la sera tenevano delle riunioni, discutevano. Niente di particolarmente sovversivo. Fino al giorno in cui fece irruzione l'esercito, che arrestò tutti. Proprio quella sera lui arrivò in ritardo: la sua salvezza. Di quei ragazzi, dei suoi amici, non si è saputo più nulla per trent'anni. Poi, alla fine, la verità è venuta fuori: erano stati portati in una base militare, caricati su un aereo e poi gettati nell'oceano in volo da cinque mila metri di altezza.
Questa è l'immagine che ha dominato la sua vita.
Nella storia, miliardi di individui dominati da immagini simili, di puro orrore.
Che Dio, il nostro vero Dio, ci liberi da questo flagello, strappandoci via, compassionevolmente, dalla vita!"

Oltre al taccuino e alle fotografie c'era un orologio, un coltellino e due piccole statuine in legno: forse rappresentavano delle divinità della foresta che lo zio, ormai impazzito, credeva fossero manifestazioni storiche di quello che lui diceva essere il vero Dio degli uomini.
Rimisi tutto nella cassa, andai in giardino, scavai una buca e la sotterrai.


[Con questo breve racconto si chiude la mia partecipazione al forum: buona fortuna a tutti]

Ninag

Buonasera Koba, il tuo testo racconta le miserie umane, non sempre è facile.
Come mai vuoi lasciare il forum? Sono qua da poco e leggo volentieri quello che viene scritto.