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Paesaggio

Aperto da doxa, 23 Maggio 2023, 09:10:44 AM

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Nel nostro tempo consideriamo il paesaggio la fisionomia di una parte di territorio,  determinata dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni.

Ma questo sostantivo ci arriva da lontano, dal latino "pagus" (= villaggio): dietro l'apparente semplicità si nasconde la stratificazione lessicale elaborata nei secoli fino a giungere al sostantivo "paese",  da cui deriva "paesaggio": questa parola la troviamo per la prima volta attestata in una lettera scritta l'11 ottobre 1522 dal noto pittore Tiziano Vecellio e indirizzata a Filippo II di Spagna (1527 – 1598), figlio dell'imperatore Carlo V. Il neologismo entrò nell'uso della lingua italiana.

Nell'ambito artistico la diffusione del paesaggio nella pittura moderna cominciò con Giorgione (1478 circa – 1510).  Non più sfondi monocromatici  ma colline, case, alberi, ecc..

Precursori furono Leonardo da Vinci (con il disegno del 1473 titolato "Paesaggio con fiume") e gli acquerelli di Albrecht Dürer negli anni '90 del '400.

Adesso vi faccio vedere il dipinto di Giorgione titolato "Tempesta", considerato il primo esempio nella storia dell'arte occidentale moderna. 

Giorgione, Tempesta, tempera e olio, 1503 circa, Gallerie dell'Accademia, Venezia.

Questo dipinto ha suscitato varie ipotesi interpretative. Rappresenta un  paesaggio con figure.

Sulla sinistra, in primo piano un uomo in piedi, con abito rinascimentale; con la mano destra regge un'asta di legno, il suo sguardo è diretto verso un albero. Dietro di lui ci sono arbusti, un alto muro ed uno più basso, di circa un metro, con sopra due tronchi di colonne petrose.

A destra, è raffigurata una donna seminuda, con la mantella sulle spalle,  seduta su un lenzuolo sul prato, nell'atto di allattare il figlio. Lo sguardo della donna è rivolto verso un immaginario osservatore.

Al centro della scena c'è il fiume, sovrastato da un ponte. Sul fondo  si vedono gli edifici  di una città, alcune case-torre, un campanile e alberi.

Il plumbeo cielo che minaccia pioggia è attraversato da un fulmine.
 
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Leonardo da Vinci,  Paesaggio con fiume, disegno, 1473, Gabinetto dei disegni e delle stampe, Galleria degli Uffizi, Firenze.

In alto, sulla sinistra,  c'è scritto: "Dì de  Sta Maria della Neve/ Adì 5 daghosto 1473". E' la più antica opera datata di Leonardo. Sul disegno c'è anche  il suo autografo con la mano sinistra, perché era mancino.

Nella moderna arte occidentale è  considerato il primo disegno con paesaggio,  senza il vincolo con un soggetto sacro o profano.

Sullo sfondo si vedono montagne, vicine colline, su una delle quali, sulla sinistra, c'è un castello;  la parte valliva è attraversata da un fiume. Ci sono alberi, arbusti, campi coltivati. 
 
Forse il disegno  era lo schizzo preparatorio di un paesaggio in un'opera più complessa, oppure  un esercizio del giovane artista, in quel periodo allievo di Andrea del Verrocchio.

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Albrecht Dürer.  Nel suo diario scrisse: "Ogni parte deve essere eseguita con la massima diligenza possibile nelle cose più piccole come nelle più grandi. Perciò osserva scrupolosamente la natura, attieniti ad essa e non allontanartene arbitrariamente". Era il suo approccio estetico alla dimensione naturalistica.

Fu il primo ad usare la moderna tecnica pittorica dell'acquerello su carta. In particolare durante i suoi viaggi. Li considerava studi, da confluire in parte nei suoi dipinti.

In epoca rinascimentale oltre a Dürer  anche Peter Paul Rubens, Rembrandt e Anthony Van Dick usarono gli acquerelli.


Albrecht Dürer, Il mulino, acquerello e guazzo su carta, 1489,  Staatlichen Museen, Berlino.

Per vedere bene alcuni particolari del paesaggio consiglio di cliccare sul link

https://www.analisidellopera.it/wp-content/uploads/2021/01/Albrecht_Durer_il_mulino-1536x1032.jpg

Questo acquerello è una delle prime immagini dell'arte europea interamente dedicata al paesaggio, ma si colloca in una dimensione ancora medievale: infatti, le singole costruzioni e i gruppi di alberi non sono disegnati prospetticamente, ma gli uni sopra gli altri.  Della prospettiva il giovane Dürer, a quell'epoca, non aveva ancora sentito parlare.

Il paesaggio è a ovest di Norimberga, con il piccolo fiume Pegnitz che scorre attraverso la città.

Il disegnatore era in piedi sull'alta riva nord e guardava verso sud oltre il Pegnitz, dove l'orizzonte è segnato dalle cime delle montagne presso Schwabach.

Gli alberi in primo piano a sinistra appartengono al parco delle Hallerwiesen.

Le case con le travature a traliccio ai due lati del fiume, disegnate con precisione, costituivano il nucleo del "quartiere industriale", poiché ospitavano delle botteghe in cui si lavorava il metallo servendosi del Pegnitz come fonte di energia. 

In primo piano, in terra si vedono delle tavole e l'edificio del mulino ad  acqua, che utilizza l'energia meccanica prodotta dalla corrente del fiume. Una mola o macina (la bianca ruota petrosa) è poggiata all'esterno dell'edificio.

Sulla destra ci sono le abitazioni; una passerella in legno traversa il canale. In prossimità del ponticello, un contadino a cavallo sembra pescare all'interno nell'acqua che scorre.

Da un sentiero sulla sinistra un uomo cammina con il sacco in spalla e il bordone. Forse è un contadino che porta il grano a macinare.

Oltre il canale, i prati sono recintati da bassi steccati in legno e si alternano ad abitazioni circondate da alberi. 

In alto, a sinistra, si  vede in lontananza un villaggio, la chiesa con il campanile. Un altro edificio religioso è sulla destra.

Due montagne chiudono l'orizzonte.

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I pittori Giovanni Bellini e Giorgione  furono determinanti per la formazione artistica di  Tiziano Vecellio negli anni giovanili.

Prima di Tiziano il paesaggio  non aveva una  propria connotazione,  invece con lui  diventa più di un semplice sfondo,  può avere un ruolo di primo piano.

Dei tre pittori citati pongo alla vostra visione tre dipinti: la "Crocifissione in un cimitero ebraico",  di Giovanni Bellini,  'La prova" di Giorgione,  'La sacra conversazione' di Tiziano.

Comincio con il  pittore veneziano Giovanni Bellini (1430 circa – 1516), considerato l'iniziatore del Rinascimento a Venezia.


Giovanni Bellini, crocifissione in un cimitero ebraico, olio su tavola - 1501-1503 circa, collezione della  Banca Popolare di Vicenza.

Fu realizzato in un periodo di controversie religiose, che indussero all'espulsione da Vicenza  della comunità ebraica.
E' un'opera simbolica con numerosi dettagli.

La crocifissione di Gesù avviene in un cimitero ebraico, non ci sono i due ladroni né persone dolenti, costituisce un unicum iconografico; la croce occupa totalmente il centro della composizione.

Il primo piano, dietro la croce, ci sono  teschi, lapidi con iscrizioni in ebraico disposte in un giardino brullo e roccioso. 


dettaglio

Al di là, il  declivio con prato, l'alveo di un fiume che alimenta la ruota di un mulino, alcune case, e alberi; dietro la croce si vede  un rigoglioso albero di alloro, simbolo di vittoria sulla morte e di resurrezione; un altro albero è  il salice, su un ramo c'è una colomba, simbolo di pace.


dettaglio

Il salice è una pianta molto cara agli ebrei. Ricorda loro l'esilio babilonese: "Sui fiumi di Babilonia, là sedevamo piangendo al ricordo di Sion. Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre" (Sal 137, 1-2), come segno di tristezza, ma  i salici diventano anche segno di ritorno in patria, di vittoria e di rinascita.



Nel sentiero tangente il cimitero  si vede un viandante che cammina verso  la composita la città: le mura difensive merlate,  le torri, le case;  alcuni edifici sono identificabili:  il duomo e la torre di piazza di Vicenza, il campanile di Santa Fosca a Venezia, la chiesa  veronese di San Zeno: fu vescovo della città, è noto per aver combattuto l'eresia ariana ed è famoso per aver fermato le inondazioni causate dal fiume Adige;  sul fondo  si vede il campanile e la cupola della cattedrale di Ancona, dedicata a San Cirillo.

E' un assemblaggio di vari monumenti  localizzati in luoghi diversi.

La sintetica  visione include la natura: ci sono  prati, alberi, le colline, l'azzurro cielo con  le nuvole in arrivo.

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Giorgione.


Giorgione, Mosè alla prova del fuoco,  olio su tavola, 1505 circa, Galleria degli Uffizi, Firenze

Questo dipinto fu realizzato dall'artista in età giovanile, ma ci sono discordanze sull'attribuzione dell'intera opera.
Furono da lui realizzati il paesaggio e le figure sulla sinistra, mentre le figure a destra sono di altra mano. Le differenze stilistiche rilevate sono da ascrivere a un suo collaboratore o forse ai restauri. 

L'episodio raffigurato non è nell'Antico Testamento ma desunto dalle medievali bibbie rimate di Geofroy de Paris e di Herman de Valenciennes che trattano della vita di Mosè.

La vicenda. Nell'Antico Testamento la figlia del faraone d'Egitto non è citata per nome. Il Midrash la chiama Bithia per la compassione con la quale salvò Mosè dal fiume Nilo. Viene descritta come una donna pia e affettuosa.

Bithia mentre era vicina al padre con in braccio il neonato, questo con la mano fa cadere la corona dalla testa del faraone. Turbato e timoroso che in futuro quel bambino potrebbe  usurpare la ricchezza e il potere, fa porre davanti al pargolo due contenitori: uno con i carboni ardenti, l'altro con le  monete d'oro. L'infante  deve scegliere cosa prendere. La sua manina prende un carbone e lo mette in bocca ma si si brucia la lingua. La scelta tranquillizza il faraone della sua innocenza.

La scena: Il faraone d'Egitto è seduto sull'alto trono, formato dal basamento rettangolare, sopra il quale c'è la marmorea base decorata con fregio. Un tappetto rosso è disteso su gran parte della struttura.  Intorno al faraone ci sono varie figure, anche con abiti esotici.

Davanti a lui, in basso,  c'è sua figlia  con il neonato Mosé che si protende verso uno dei due contenitori portati da due paggi.

Sullo sfondo il paesaggio: a sinistra alti alberi, a destra  un corso d'acqua, una torre con cinta muraria, alcune case, poi colline e la catena montuosa che chiude l'orizzonte.

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Tiziano Vecellio


Tiziano, Sacra conversazione Balbi (dal nome del precedente possessore: il marchese Balbi di Piovera, Genova), olio su tela, 1513 circa, Fondazione Magnani-Rocca, Traversetolo  (prov. di Parma).

Questo dipinto è una delle opere più significative di Tiziano in età giovanile. Raffigura la Madonna con il Bambino, santa Caterina di Alessandria, San Domenico,  un donatore.

La Vergine in trono, col Bambino in grembo, si volta verso il donatore, in ginocchio, con le mani giunte in preghiera,  introdotto da san Domenico,  con la tonaca bianca e la cappa nera.

Gesù bambino ha un panno bianco sulle spalle ed  ha il capo rivolto verso santa Caterina d'Alessandria.

La "michelangiolesca" Madonna indossa la  sontuosa veste rossa e il mantello blu.

Nell'iconografia il rosso simboleggia il potere, l'autorità, il sangue di Cristo sulla croce, invece il blu rappresenta la trascendenza (Maria portatrice della divinità, Gesù, nella sua umanità), è il colore del cielo.

La bionda e riccioluta santa Caterina d'Alessandria (d'Egitto) è seduta su un architrave, volta di profilo verso il donatore; sopra lo scollato camice bianco indossa una veste  color lilla e il mantello verde scuro che dalla spalla sinistra le scende fino a terra.

Il fondale è diviso in due parti. Quello sulla sinistra è una parete nera, mette in risalto le donne con il Bambino;

sulla destra, alle spalle di San Domenico, c'è un declivio con alberi, arbusti e case rustiche; 

all'altezza della fronte del donatore si vedono prati, un tratto del letto di un fiume; 

in lontananza alberi e una chiesa con il campanile, le montagne, il cielo leggermente velato dalle bianche nuvole.

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Estetica del paesaggio


Capri vista da Punta Campanella


Nei post precedenti vi ho proposto la visione di dipinti con paesaggio, adesso voglio argomentare sull'estetica del paesaggio.

Cos'è l'estetica e cos'è il paesaggio.

Gli antichi Greci non conoscevano il sostantivo estetica.

Usavano la parola "àisthesis", che significa sensazione,  da cui l'aggettivo "aisthetikòn" = capace di sentire.

Il termine "estetica" che oggi usiamo nacque  come neologismo ideato dal filosofo  tedesco Gotlieb Alexander Baumgarten (1714 – 1762)  per il suo elaborato titolato: "Meditationes philosophicae de nonnullis ad poema pertinentibus" (= Meditazioni filosofiche su argomenti concernenti la poesia), pubblicato nel 1735.

Si dedicò  anche all'elaborazione di un trattato filosofico (rimasto incompiuto) che titolò  "Aesthetica". Il primo volume lo pubblicò nel 1750, il secondo nel 1758.

Ebbe  la necessità di definire la "teoria della conoscenza" ed introdusse il termine "gnoseologia".

La "cognitio sensitiva" (= conoscenza sensibile) ha una sua specificità, è poliedrica e polisemantica.

La "sensibilità estetica" denota  sia l'esperienza sensibile del bello sia la teoria che ne codifica i criteri tramite il giudizio estetico, incentrato sulla conoscenza della bellezza naturale e artistica.

Baumgarten  nel primo paragrafo del suo trattato definisce l'estetica l'arte del pensare bello. La bellezza è connessa all'arte, alla percezione del bello, all'immaginazione.

L'estetica è lo studio del bello nelle sue varie forme, la teoria dell'arte.

Sul termine estetica argomentarono successivamente altri filosofi, a cominciare da Immanuel Kant, che usò il sostantivo "giudizio" in ambito estetico (giudizio estetico)   per giudicare "bello" uno spettacolo della natura o una visione.

Tralascio gli altri filosofi per non annoiarvi; i filosofi oltre che noiosi sono mentalmente contorti; rendono difficili i concetti facili per considerarsi "intellettuali" ....

Accenno soltanto al sociologo e filosofo tedesco George Simmel  (1858 – 1918). Nel 1913 pubblicò  un libro titolato "Filosofia del paesaggio": è una raccolta di suoi  saggi pubblicati tra il 1911 e il 1913 dedicati al paesaggio.

Le sue riflessioni sono un tentativo di definire il paesaggio, la sua dimensione estetica, il  rapporto tra l'attività creatrice dell'uomo e quella della natura, che nel paesaggio assume forma visibile e cristallizzata, e sul rapporto tra il paesaggio reale e quello artistico nei dipinti.

Per Simmel nel paesaggio  non sono  i singoli elementi (l'albero, una montagna, il mare, la costa ecc.) a creare il paesaggio, ma la sua visione complessiva, che viene percepita ed elaborata mentalmente dall'osservatore.

Infatti il paesaggio è una costruzione mentale, una organizzazione di elementi. Ognuno di noi compie questa operazione spontaneamente nel suo apprezzamento del paesaggio, ma è solo nella pratica artistica che tale operazione raggiunge il massimo grado.

Il pittore paesaggista compie ciò in maniera consapevole, evidenziando nella composizione i tratti più  salienti, giungendo a sintetizzarne le qualità al punto da comporre paesaggi anche immaginari,  come esito  della costruzione  mentale  estetica e non di una pittura dal vero.

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Gli studiosi  attribuiscono a  Francesco Petrarca (1304-1374) la prima descrizione di un paesaggio, dedotta da una sua lettera: "Ascesa al Monte Ventoso", indirizzata  a Dionigi di Borgo San Sepolcro, teologo e frate agostiniano che gli aveva donato una copia delle "Confessioni" di Sant'Agostino.

Durante la lettura di questo libro meditò sulla seguente frase: "Et eunt homines admirari alta montium et ingentes fluctus maris et latissimos lapsus flumininum et oceani ambitum et giros siderum, et reliquunt se ipsos" (= E vanno gli uomini ad ammirare gli alti monti e le alte onde del mare, i lunghi corsi dei fiumi, la grandezza dell'oceano e i movimenti degli astri,   ma dimenticano sé stessi" ).  

La suddetta  proposizione  invita alla riflessione e a dare poca importanza alle cose terrene,  fa capire al poeta l'importanza del cambiamento interiore e dell'impegno necessario per vincere "terrenis impulsibus appetitus", i "desideri suscitati dalle passioni terrene".

L'allegorica lettera narra la scalata del Mont Ventoux, in Provenza, compiuta dal poeta e dal fratello Gherardo tra il 24 e il 26 aprile 1336.

E' un monologo interiore, suscitato dalla scelta del fratello di diventare monaco. Petrarca s'interroga sul significato simbolico e metaforico della sua esperienza di salire sulla cima della montagna e  sul paesaggio che ha visto durante l'ascesa, come forma esteticamente rilevante.


Veduta del Monte Ventoso

La contemplazione di un paesaggio, l'ascolto di una sinfonia, la  bellezza di fiore, l'ammirazione suscitata da un dipinto, sono esperienze che determinano in noi il godimento, perché piace.  Ma non tutto ciò che piace  può essere definito bello.

Il sociologo e filosofo tedesco George Simmel  (1858 – 1918). Nel 1913 pubblicò  un libro titolato "Filosofia del paesaggio": è una raccolta di suoi  saggi pubblicati tra il 1911 e il 1913 dedicati al paesaggio.

Le sue riflessioni sono un tentativo di definire il paesaggio, la sua dimensione estetica, il  rapporto tra l'attività creatrice dell'uomo e quella della natura, che nel paesaggio assume forma visibile e cristallizzata, e sul rapporto tra il paesaggio reale e quello artistico nei dipinti.

Per Simmel nel paesaggio  non sono  i singoli elementi (l'albero, una montagna, il mare, la costa ecc.) a creare il paesaggio, ma la sua visione complessiva, che viene percepita ed elaborata mentalmente dall'osservatore.

Infatti il paesaggio è una costruzione mentale, una organizzazione di elementi. Ognuno di noi compie questa operazione spontaneamente tramite la percezione del paesaggio, ma è solo nella pratica artistica che tale operazione raggiunge l'optimum.

Il pittore paesaggista in modo consapevole  evidenzia nella composizione i tratti più  salienti della veduta,   ne sintetizza le qualità, compone paesaggi anche immaginari,  come esito  della costruzione  mentale  estetica e non di una pittura dal vero.

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Cos'è il paesaggio?

È l'insieme  degli elementi  che caratterizzano un luogo.

Il paesaggio varia  nel tempo come conseguenza dei fenomeni naturali e dell'intervento dell'uomo.

Il paesaggio è composto da elementi naturali (laghi, fiumi, montagne, ecc.) e da elementi antropici (città, abitazioni, strade, ecc.). Infatti è possibile distinguere due distinte tipologie di paesaggio: paesaggio naturale e paesaggio antropico.

Il paesaggio naturale è quello plasmato dalla natura, dove l'uomo non ha costruito, non è stato modificato dall'azione dell'antropos (= uomo), come il deserto, la foresta tropicale, ecc..
La sua forma e le caratteristiche sono il prodotto dell'interazione dei suoi componenti climatici, geologici ed ecologici.


Columbia River Gorge (Pacific Northwest, Stati Uniti). La gola del fiume Columbia è uno spettacolare canyon fluviale


Il paesaggio antropico (o antropizzato = umanizzato) è quello modificato  dall'uomo: case, ponti, gallerie, fabbriche, paesaggi rurali, industriali, urbani (città).


paesaggio antropizzato della costiera amalfitana



Milano,  zona Portanuova, sulla destra la torre Unicredit. Questo grattacielo nel centro direzionale è alto 231 metri alla guglia. E' il più alto in Italia.

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#9
Non bisogna confondere il paesaggio con l'ambiente:  questo sostantivo deriva dal latino "ambiens", participio presente del verbo ambire (= andare attorno, circondare).

L'ambiente naturale  è tutto ciò che ci sta intorno, che ci circonda, come l'ambiente subacqueo circonda un pesce.  E'  un sistema complesso, formato da fattori fisici, elementi chimici e biologici, che permettono  l'interazione tra gli esseri viventi.

Invece è paesaggio anche  un locus amoenus: frase usata in letteratura con riferimento ad un  luogo ameno, piacevole, fra piante, alberi, vicinanza di una fonte o di un ruscello, il cinguettio degli uccelli.


Thomas Cowperthwait Eakins, Arcadia, olio su tela, 1883, Metropolitan Museum di New York.

Nel bucolico (= pastorale)  paesaggio il giovane in piedi suona il doppio flauto; il bambino sdraiato suona il flauto di Pan; la ragazza dai lunghi capelli raccolti sulla nuca è distesa di spalle, poggiata sul fianco destro sopra un lenzuolo sul prato e ascolta la musica.

Arcadia è il toponimo di un territorio montuoso della Grecia, nel Peloponneso. Era ed è  frequentata dai pastori  per la transumanza  degli ovini.

Nella  trasfigurazione letteraria e nella poesia l'Arcadia è considerata un luogo idilliaco: questo aggettivo fa riferimento  al vivere con serenità nella natura agreste e generosa che dona il necessario per vivere.

Secondo la mitologia greca, l'Arcadia era possedimento di Pan, divinità non dell'Olimpo, dall'aspetto di satiro, protettore della pastorizia ed altro.  Era compagno di Dioniso e  di ninfe,  amava la danza e la musica, era un "viveur": gli piaceva la vita mondana, i divertimenti e le  avventure amorose con le ninfe: divinità immortali di vari tipi, collegate alla natura,  per esempio,  Oreadi (= ninfe di montagna);  Nereidi (= ninfe di mare); Naiadi (= ninfe delle fonti) Driadi (=  ninfe degli alberi).  Compagne della bella dea Artemide (dai Romani denominata Diana), quando Pan suonava il flauto le ninfe danzavano e cantavano in modo melodioso. Spesso partecipavano ai cortei di  Dioniso,  ma anche di Hermes, di Pan e della cacciatrice Artemide.

La mitologia greca narra che le ninfe erano bellissime, eternamente giovani, corteggiate da uomini mortali e da eroi.

Tornando all'Arcadia, debbo dirti che è soggetto artistico sin dall'antichità, sia nelle arti visuali, sia in letteratura.

Le immagini di bellissime ninfe che giocano e corrono in una rigogliosa foresta sono state frequenti fonti di ispirazione per pittori e scultori.



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Paesaggio o panorama?


Lago Carezza, in Val d'Ega: è un lago alpino in provincia di Bolzano

In un precedente post ho scritto che il paesaggio è formato dall'insieme degli elementi che caratterizzano un luogo.  Sono elementi  sia naturali (mare, laghi, fiumi, montagne, ecc.)  sia antropici (abitazioni, strade, ferrovie, ecc.).

Invece il panorama è ...., un nome di origine greca, composto da "pan" (=  tutto ) + "hòrama"  (= visione); allude alla veduta  di un luogo, che può  offrire un'emozione e un'esperienza estetica.

Da quanto detto è evidente che paesaggio e panorama non sono sinonimi, eppure spesso li usiamo come tali, forse perché nel panorama  è insito il paesaggio ?

Esistono panorami brutti o belli, ma non paesaggi brutti o belli, perché  ogni paesaggio rappresenta un'identità culturale e territoriale.

Tutti vediamo le cose nella stessa maniera, ma le percepiamo in modo personale, spesso diverso gli uni dagli altri.


Vasto, faro di Punta Penna e la chiesa di Santa Maria di  Pennaluce su un promontorio davanti il Mare Adriatico

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Tu ce l'hai un luogo dell'anima ?

 
Brisighella, torre dell'orologio
 
 Un bel panorama suscita emozioni, influenza il nostro stato d'animo.
 
 Il panorama che amo è anche il mio metaforico paesaggio o luogo dell'anima, in cui ci sono punti di riferimento significativi della mia vita.
 
 La poetessa milanese Alda Merini (1931 – 2009) nella sua poesia titolata: "Tra le tue braccia", così lo descrive:
 
 
"C'è un posto nel mondo dove il cuore batte forte,
 dove rimani senza fiato,
 per quanta emozione provi;
 dove il tempo si ferma e non hai più l'età;
 quel posto è tra le tue braccia
 in cui non invecchia il cuore,
 mentre la mente non smette mai di sognare...
 Da lì fuggir non potrò
 poiché la fantasia d'incanto risente il nostro calore e no...
 non permetterò mai ch'io possa rinunciare...
 a chi d'amor mi sa far volare".
 (Alda Merini)

 
 "Quel posto è tra le tue braccia" dice la Merini. E' vero, abbracciarsi è un atto di affetto, di amore, ci permette la connessione tattile con chi si vuole bene.
 Le braccia della persona amata è il luogo che ci permette di dimenticare il resto del mondo, anche se per pochi secondi.
 
 Il luogo dell'anima non si sceglie, si riconosce, fa stare bene, dona la sua bellezza, suscita piacevoli ricordi.
 
 La descrizione di un paesaggio è un metodo di scrittura che permette di esporre le proprie emozioni e sentimenti, la dimensione dell'immaginario.

 
 


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Genius loci e paesaggio



genius loci =  nume tutelare di un luogo, di una città, di un paesaggio.

Genius è il nome proprio della divinità, oggetto di culto nella religione romana.

Locus in latino veniva utilizzato per indicare un luogo riconoscibile nello spazio  per la sua peculiare forma, le sue caratteristiche che lo delimitano e lo identificano.



"Nullus locus sine genio est" (= Nessun luogo è senza un Genio) sostiene nel IV sec. a. C.  il retore latino Servio Mario Onorato nei "Commenti all'Eneide" di Virgilio.

Oggi, nel linguaggio dei paesaggisti, architetti ed artisti il "genius loci" è un concetto che riassume il carattere tipico di un luogo, la sua essenza, l'architettura e le tradizioni.

L'architetto norvegese  Christian Norberg-Schulz (1926 – 2000) fu docente di teoria dell'architettura all'università di Oslo e scrisse numerosi saggi, fra i quali "Genius loci. Paesaggio ambiente architettura". In questo libro riflette sull'architettura, il suo modo di inserirsi in un territorio e le modalità con le quali questa può trasformarlo in un luogo con una precisa identità, sempre riconoscibile.

Come conciliare la bellezza e la protezione di un paesaggio?

Argomentare sul paesaggio significa confrontarsi con la storia e la geografia, l'economia e la cultura, il modo di vivere delle persone in una località.

I paesaggi riflettono estetica ed etica, l'operosità umana, l'attiva interazione tra ambiente e società.

L'invadenza selvaggia dell'urbanizzazione e della cementificazione hanno trasformato o stanno, trasformando il paesaggio della nostra penisola, alterando, irrimediabilmente, non solo il suo aspetto, ma anche il rapporto fra individuo e natura instaurato in millenni.

Dalla concezione del paesaggio in senso soggettivo (vedutistica e pittorica) al paesaggio oggettivo, inteso come identità ambientale trasformata dall'attività umana. Identità bisognosa di essere salvaguardata da stravolgimenti.

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 "Quod natura relinquit imperfectum, ars perficit"  (=  "ciò che la natura ha lasciato imperfetto, lo compie l'arte") .

Sarebbe stato meraviglioso il pianeta Terra se soltanto l'arte naturale avesse avuto la possibilità di plasmarlo e volgerlo al bello. Ma non servirebbe. E' meglio antropizzato... ma degradato...

Lo psicoanalista e filosofo svizzero Carl Gustav Jung (1875 – 1961) nel suo libro titolato: "Ricordi, sogni, riflessioni", scrisse: "L'uomo è indispensabile al compimento della creazione, è addirittura il secondo creatore del mondo. La coscienza umana ha creato l'esistenza obiettiva e il significato, e così l'uomo ha trovato il suo posto indispensabile nel grande processo dell'essere. Questo è il significato cosmico della coscienza!"
 
Purtroppo lo scempio edilizio, il sovraffollamento, le favelas (baraccopoli alle periferie del Sud America e in Oriente), ecc., hanno fatto avanzare il degrado.
 

 
E che dire delle costruzioni selvagge che hanno devastato le coste italiane dagli anni '60 dello scorso secolo ?
 
L'edilizia si mangia 8 km di coste italiane all'anno.
 
Su più della metà (precisamente il 51%) delle coste italiane sono stati costruiti palazzi, alberghi e ville. La percentuale è destinata a crescere.
 
Solo il 19% della costa (1.235 chilometri) è sottoposta a vincoli di tutela. Inoltre un terzo delle spiagge è interessato da fenomeni erosivi in espansione.
 
L'habitat e l'ambiente marino sono costantemente in pericolo: il 25% degli scarichi cittadini ancora non sono stati depurati (in alcune località la percentuale sale 40%).
 
Le ragioni della fragilità delle aree costiere italiane sono causate da problemi idrogeologici e sono la conseguenza dell'urbanizzazioni, legali e abusiva, in posti spesso a rischio dissesto.
 
Alcuni fenomeni meteorologici si stanno ripetendo con intensità e frequenza nuove e anomale. Si tratta delle avvisaglie dei cambiamenti climatici che rendono le coste italiane più fragili e mettono in pericolo le persone. Il recente caso della Romagna insegna.
 
Più di un terzo delle nostre spiagge è in erosione e in futuro sembra prospettarsi un cambiamento, in vista dell'innalzamento del livello del mare e dell'intensificarsi dei fenomeni climatici estremi. Da poco si utilizza la tecnica del ripascimento dei litorali che sembra aver avuto un'efficacia maggiore rispetto agli interventi precedenti.
 
Natura sive Deus
 
Il fattore naturale e quello umano sono in correlazione. I vincoli paesaggistici  dovrebbero servire per il decente compromesso con le esigenze sociali., invece...
 
Nelle grandi metropoli il paesaggio naturale spesso non si vede, l'elemento antropico prevale prepotentemente: questo paesaggio urbano  può essere detestato o gradito, a chi piace la cosiddetta "vita frenetica", la presenza delle aziende multinazionali, delle sedi finanziarie e commerciali,  il fascino del lusso, delle boutique griffate, dei ristoranti gourmet e degli alberghi a cinque stelle, mentre le periferie sono spesso desolate e tristi, le case in "casermoni", i quartieri emarginati come dormitori  sovraffollati.
 

 
Per consolarci possiamo pensare che senza l'intervento umano la natura sa essere un'artista straordinaria, come nel caso del Gran Canyon, la lunga "gola" (di circa 446 km, profonda fino a 1857 metri, con larghezza variabile dai 500 metri fino a 29 km)  creata dal fiume Colorado nel Nord Arizona.  Ci sono picchi rocciosi plasmati dagli eventi atmosferici, dal fiume e dal tempo.
 

 

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Paesaggi Italia

Paesaggi italiani: noti o sconosciuti, naturali o artificiali, rurali o urbani, artistici, ecc., comunque da proteggere, come detta l'articolo 9  della Costituzione, modificato l'11 febbraio 2022 per estendere la tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico della nazione all'ambiente, alla biodiversità e agli ecosistemi.

Paesaggio è ciò che si vede, ma  ha anche un valore culturale, sociale e identitario.

Il paesaggio culturale è un insieme di cose belle che suscitano ammirazione: opere d'arte, chiese, abbazie, castelli, le rovine dell'antichità, ecc..

Alcuni  siti eccezionali sono nella lista del patrimonio mondiale dell'Unesco.

In Italia sono numerosi i patrimoni culturali  tutelati da quell'ente.  Uno è Aquileia: per la sua architettura proto-romana è considerato "patrimonio mondiale dell'umanità".


Aquileia, basilica di Santa Maria Assunta


Il paesaggio amato da Giacomo Leopardi (1798 – 1837)  è descritto nella sua famosa poesia titolata "L'infinito".

E' un paesaggio ispirato dalla concezione panteistica della natura;  la realtà scompare, non c'è lo scorrere del tempo, tutto è immobile,  l'infinito irrompe nella finitudine, la quale trascende sé stessa nella visione dell'assoluto.

Il poeta guarda e immagina quello che non si vede,  perché  è nascosto dietro "la siepe che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude". In questo idillio il paesaggio evoca l'infinito, il superamento della realtà rappresentata dalla siepe.

L'infinito

"Sempre caro mi fu quest'ermo colle, e questa siepe,
che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno, e le morte stagioni, e la presente
e viva,
e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare".

(Giacomo Leopardi)

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