La mia pittura e la pittura per me

Aperto da Caramello, 11 Settembre 2025, 22:58:06 PM

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Caramello

Buonasera, sono un pittore emergente che utilizza la pittura come pratica per una ricerca filosofica (meglio, cerco di leggere la pittura italiana contemporanea in termini filosofici).
Ho frequentato l'Accademia di Venezia e studio filosofia.
Ho scritto un paio di testi lunghi (circa 200 facciate) ma vi riassumo qui il mio pensiero, perché vorrei tanto un confronto, dato che non ho colleghi pittori che abbiano voglia di pensare un po' più a fondo...
Se vi fa piacere posso allegarli!  :)


La mia riflessione sulla pittura nasce dalla consapevolezza di un errore che attraversa gran parte del pensiero occidentale: l'aver ridotto la pittura a oggetto concluso, da contemplare come feticcio o da studiare come documento storico. In questo modo si perde la sua natura originaria: la pittura come evento, come accadere nel presente. Ogni dipinto, per me, non è un'opera chiusa ma un frammento di un linguaggio che vive nel divenire, sempre aperto all'interpretazione e mai definitivo.
Da pittore, e osservando i giovani pittori italiani che come me cercano nuove vie, ho trovato in questa pratica non soltanto un mestiere ma un esercizio filosofico: un modo per interrogare la pittura stessa su ciò che essa è, al di là del gesto o del soggetto. Dipingere diventa allora una ricerca ontologica volta a mostrare che l'essere e il divenire coincidono nell'atto stesso della pittura, che resiste e si manifesta nel presente come esperienza viva.

Fatemi sapere se può interessarvi questo argomento!
Grazie mille!!

iano

#1
Interessa, certamente.
Io non sono un filosofo e neanche un pittore, però penso e ho anche dipinto.
Dipingere era una fatica che mi dava soddisfazione, ma alla fine ha prevalso la mia pigrizia, una pigrizia tale che se potessi smetterei anche di pensare, ma non potendolo fare, a questo, giocoforza, mi sono dedicato.
Tu sei pittore e critico d'arte, e nella mia breve esperienza ho capito che non si può essere critici d'arte senza sporcarsi le mani, critica quindi che si esercita in primis sui propri dipinti passati, il che equivale a prendere coscienza della propria evoluzione pittorica.
Dirai allora, come ho potuto io dipingere quella crozza, di cui tanto andavo fiero?
Elevando la tua cultura tenderai a disprezzare gli altri, il che non è bello, ma almeno in questo caso chi disprezza e che viene disprezzato sei sempre tu, e  proverai vergogna al posto del senso di colpa.
L'esaltazione di ciò che si è diventati viene annullata dalla vergogna di ciò che si era, il che aiuta a mantanere un certo equilibrio.
 
Ci siamo, o ci facciamo?
Gran parte dell'usufruizione delle opere d'arte mi pare si riduca a un ''io c'ero'', piuttosto che a un ''io ci faccio''.
Che senso ha guardare una partita di calcio?
Ha senso se a calcio ci hai giocato.
O comunque ha un senso diverso.

Dipingere è pensare con le mani.
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

Koba

Interessante. La pittura come ricerca ontologica i cui risultati sono però mai definitivi, che dà luogo così ad un'opera aperta: secondo me è una cosa che si può vedere anche nella scienza. In fondo una teoria scientifica è anche un atto estetico con cui si cerca di rivelare l'ordine là dove regna l'informe.
Naturalmente la scienza ricerca l'efficacia, il controllo, così come la pittura la bellezza della forma, ma in entrambe, se c'è consapevolezza dell'assenza del Fondamento, dell'assenza di una Realtà ultima da rivelare, allora l'atto creativo, il gioco con i rispettivi strumenti, può essere visto come se si fermasse l'immagine di una danza là dove sembrava esserci solo caos.

fabriba

Citazione di: Caramello il 11 Settembre 2025, 22:58:06 PMFatemi sapere se può interessarvi questo argomento!
L'argomento interessa, e leggerò avidamente la discussione, però il massimo del contributo che mi sento di dare è qualche domanda, sperando non sia troppo ingenua almeno quella!

Citazione di: Caramello il 11 Settembre 2025, 22:58:06 PMn errore che attraversa gran parte del pensiero occidentale: l'aver ridotto la pittura a oggetto concluso, da contemplare come feticcio o da studiare come documento storico. In questo modo si perde la sua natura originaria: la pittura come evento, come accadere nel presente.
ho memoria di aver visto qualcosa nella tradizione giapponese che chiaramente mostrava "la pittura come evento, come accadere nel presente" , ma nient'altro.

Hai qualche esempio interessante da condividere?

Ipazia

Pitture e incisioni rupestri sono le prime manifestazioni del trascendentale umano; in quanto tali meritano attenzione culturale al netto di feticismi. Ciò vale ovunque, in oriente e in occidente,  al di là di tale scolastica distinzione. L'arte è linguaggio antropologico universale,  logos, porta spalancata nell'universo filosofico che non si nutre solo di concetti sapiens,  ma pure di realizzazioni faber.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Caramello

Citazione di: iano il 12 Settembre 2025, 01:31:57 AMInteressa, certamente.
Io non sono un filosofo e neanche un pittore, però penso e ho anche dipinto.
Dipingere era una fatica che mi dava soddisfazione, ma alla fine ha prevalso la mia pigrizia, una pigrizia tale che se potessi smetterei anche di pensare, ma non potendolo fare, a questo, giocoforza, mi sono dedicato.
Tu sei pittore e critico d'arte, e nella mia breve esperienza ho capito che non si può essere critici d'arte senza sporcarsi le mani, critica quindi che si esercita in primis sui propri dipinti passati, il che equivale a prendere coscienza della propria evoluzione pittorica.
Dirai allora, come ho potuto io dipingere quella crozza, di cui tanto andavo fiero?
Elevando la tua cultura tenderai a disprezzare gli altri, il che non è bello, ma almeno in questo caso chi disprezza e che viene disprezzato sei sempre tu, e  proverai vergogna al posto del senso di colpa.
L'esaltazione di ciò che si è diventati viene annullata dalla vergogna di ciò che si era, il che aiuta a mantanere un certo equilibrio.
 
Ci siamo, o ci facciamo?
Gran parte dell'usufruizione delle opere d'arte mi pare si riduca a un ''io c'ero'', piuttosto che a un ''io ci faccio''.
Che senso ha guardare una partita di calcio?
Ha senso se a calcio ci hai giocato.
O comunque ha un senso diverso.

Dipingere è pensare con le mani.
Capisco bene quello che dici, e condivido l'idea che dipingere sia pensare con le mani. Anch'io ho sempre rifiutato la separazione tra chi dipinge e chi giudica, perché la critica più autentica nasce proprio nel farsi della pittura, nel guardare indietro alle proprie opere e vederle non come errori da disprezzare, ma come tappe necessarie di un processo che non finisce mai. In questo senso, una ricerca come decostruzione e reinterpretazione derridiana ma non di un testo di un terzo, ma proprio.
Io però non credo nella vergogna del passato: se un quadro oggi mi appare "superato", non lo vedo come una macchia da cancellare, ma come un frammento di quel divenire che mi ha reso quello che sono. La pittura per me è un linguaggio in continuo mutamento, e ogni tela, anche quella più ingenua, rimane un fotogramma indispensabile.
Per questo non penso che l'evoluzione porti necessariamente al disprezzo, ma piuttosto a una riconciliazione: accettare che ciò che ero, con tutti i limiti, è ancora in me e continua a parlare. In fondo, se il senso dell'arte fosse solo "io c'ero", si ridurrebbe a testimonianza; ma per me è piuttosto un "io divengo", un atto che continua a scorrere anche dopo la tela.

Citazione di: Kob il 12 Settembre 2025, 16:47:17 PMInteressante. La pittura come ricerca ontologica i cui risultati sono però mai definitivi, che dà luogo così ad un'opera aperta: secondo me è una cosa che si può vedere anche nella scienza. In fondo una teoria scientifica è anche un atto estetico con cui si cerca di rivelare l'ordine là dove regna l'informe.
Naturalmente la scienza ricerca l'efficacia, il controllo, così come la pittura la bellezza della forma, ma in entrambe, se c'è consapevolezza dell'assenza del Fondamento, dell'assenza di una Realtà ultima da rivelare, allora l'atto creativo, il gioco con i rispettivi strumenti, può essere visto come se si fermasse l'immagine di una danza là dove sembrava esserci solo caos.
Sono molto d'accordo: sia nella pittura che nella scienza non c'è un Fondamento ultimo da svelare, solo forme provvisorie che si danno e si disfano. Per me la pittura è proprio questo: non un tentativo di fissare una verità, ma di mostrare ciò che resiste nel flusso, un frammento di essere che prende forma pur sapendo che cambierà.
Il paragone con la scienza è illuminante e lo sento molto "mio": una teoria scientifica è in effetti un modello che ordina l'informe, un modo di vedere. La pittura, allo stesso modo, è un linguaggio che apre possibilità, non una conclusione. In entrambe le vie, la consapevolezza dell'assenza di una realtà ultima non porta al nichilismo, ma alla danza che dici tu: un gioco serio, che sa che il caos non è da negare, ma da attraversare.
Alla fine la bellezza e l'efficacia non sono che due modi di chiamare lo stesso gesto: l'atto creativo che prova a dare forma a ciò che, per sua natura, non smetterà mai di trasformarsi.

Citazione di: Ipazia il 12 Settembre 2025, 21:01:49 PMPitture e incisioni rupestri sono le prime manifestazioni del trascendentale umano; in quanto tali meritano attenzione culturale al netto di feticismi. Ciò vale ovunque, in oriente e in occidente,  al di là di tale scolastica distinzione. L'arte è linguaggio antropologico universale,  logos, porta spalancata nell'universo filosofico che non si nutre solo di concetti sapiens,  ma pure di realizzazioni faber.
Nei testi che ho scritto parlo proprio di questo! L'arte è un linguaggio antropologico universale: per me non nasce come "decorazione" ma come primo gesto filosofico, un modo per dire "sono" nel mondo. Le pitture rupestri, infatti, non sono semplici immagini, ma l'inizio di una riflessione sull'essere: la mano impressa sulla roccia è già coscienza del tempo, già segno di un rapporto con l'invisibile. Scambiate per semplice propiziazione, erano invece un far accadere un evento!
Quello che mi interessa è proprio questo: la pittura come ontologia incarnata. Non un concetto astratto, ma un linguaggio che resiste e attraversa epoche e culture. Logos, sì, ma non solo come parola: logos come immagine, come traccia che continua a parlarci anche quando non sappiamo più il "perché" di quel gesto.

Citazione di: fabriba il 12 Settembre 2025, 17:06:59 PMho memoria di aver visto qualcosa nella tradizione giapponese che chiaramente mostrava "la pittura come evento, come accadere nel presente" , ma nient'altro.

Hai qualche esempio interessante da condividere?
L'esempio della pittura giapponese è azzeccato, però io cerco di dare soprattutto una lettura della giovane pittura italiana, una critica mirata a coglierne limiti e possibilità. Per quanto possa sembrare un critico, non pretendo di conoscere davvero l'arte che non vivo quotidianamente. La mia analisi nasce dal confronto diretto con ciò che vedo e faccio ogni giorno.
 Ogni domanda è ben accetta, grazie!

iano

#6
Citazione di: Caramello il 21 Settembre 2025, 00:20:54 AMNei testi che ho scritto parlo proprio di questo! L'arte è un linguaggio antropologico universale: per me non nasce come "decorazione" ma come primo gesto filosofico, un modo per dire "sono" nel mondo.
In una realtà in continuo divenire, siccome la fotografia come l'atto conoscitivo richiedono tempo, come fa una a produrre  foto non mosse e l'altro le cose in se?
Se sulla parete della caverna vedo ciò che non c'è, lo posso ''ricalcare''. Tutti adesso possono riconoscere sulla parete un cervo che non è un cervo, perchè condividono il meccanismo della visione del cervo.
Il cervo che vedo non è un cervo, perchè è un simbolo, che a rigore richiederebbe un accordarsi preventivamente sul fatto che quel simbolo corrisponda un cervo.
Quando il simbolo smetterà di essere un cervo l'accordo si renderà necessario.
Abbiamo così reso necessario ciò che a priori non lo era.
Somiglia a quella barzelletta in cui i pazzi ridono pronunciando un numero.

Ridurre il cervo a immagine è come negarlo, perchè l'immagine non è il cervo.
Ridurre l'immagine a simbolo è una seconda negazione, in una successione di astrazioni senza un limite preciso.
Un processo di successive astrazioni, che,  ripercorse all'indietro, non ci fanno più ritrovare il concreto punto di partenza, e il processo inverso si ferma solo se fissiamo in accordo un ipotesi.
Non abbiamo detto nulla della verità, perchè in effetti è stata un catalizzatore del processo che non si ritrova fra i componenti finali della reazione.
La condivisione, o la tensione ad essa, è sempre stata presente invece, palesandosi a priori, o da ricercare a posteriori per dare al tutto un senso.

Qual'è il senso dell'uomo?
Nessuno. E' il condividere un senso a farci uomini.
E' invertendo le priorità che si formulano domande senza senso.
 

Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

iano

#7
L'uomo non ha un senso, perchè è la condivisione di un senso a farci uomini.
Non è l'estetica a farci uomini, anche se  questa potrebbe essere una affermazione semplicistica, perchè magari è proprio il perseguire un senso a darci forma.
Chi non pratica l'arte può credere che sia una questione di estetica, ma l'estetica e la tappa  di un processo faticoso quanto soddisfacente, che non si arresta, in cui ci ferma ogni tanto , come per ammirare un tramonto, senza conoscere tutto il lavoro che c'è dietro.
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

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