Nel mondo antico si viveva circondati dai personaggi del mito: rappresentati all'interno delle case in articolate composizioni parietali o sulle gemme che impreziosivano i gioielli, o ancora sulle casse dei sarcofagi o all'interno delle tombe.
Le numerose leggende che circolavano in età romana furono in parte raccolte nelle "Metamorphosĕon" (=Metamorfosi), poema epico-mitologico di Ovidio.
Il fenomeno della metamorfosi è interessante, nel nostro tempo lo chiamiamo anche "gender fluidity", al quale dedicherò il prossimo post.
Adesso vi propongo questo dipinto
(https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/a/a3/Pallade_col_Centauro%2C_Sandro_Botticelli_%281482%29.jpg/500px-Pallade_col_Centauro%2C_Sandro_Botticelli_%281482%29.jpg)
Sandro Botticelli, Pallade e il centauro, tempera su tavola, 1480 – 1485 circa, Gallerie degli Uffizi, Firenze.
"Pallade", epiteto di Atena: l'appellativo deriverebbe dal nome di una ninfa chiamata Pallade, una compagna di giochi della giovane Atena, che la uccise per errore mentre simulavano un combattimento. Atena prese quindi il nome di Pallade in segno di lutto per dimostrare il suo rimorso.
Ed ora un po' d'iconografia.
Questo quadro ha come sfondo un paesaggio lacustre.
Atena, patrona di Atene (per la mitologia romana, Minerva) è raffigurata come una giovane donna, in piedi, con la lunga capigliatura di colore ramato; sul capo ha una corona formata con rametti di ulivo, serti di ulivo (simbolo di pace), sono anche sparsi sul suo abito trasparente. Ci sono pure ricami che raffigurano anelli intrecciati, ognuno con diamante e con il motto "Deo amante" ("A dio devoto"), ma non visibile.
La dea, con il braccio e la mano sinistra regge un'alabarda, con la mano destra trattiene per i capelli un centauro arciere, con arco e faretra, metà uomo (dalla vita in su) e metà cavallo (dalle anche in giù).
I centauri simboleggiano la dualità umana: razionale e irrazionale, ragione e istinto, perciò questo dipinto di Botticelli è da intendersi come un'allegoria della virtù che frena l'impeto.
La scena complessiva potrebbe essere considerata come l'Allegoria della Ragione, di cui è simbolo la dea che vince sull'istintualità raffigurata dal centauro.
I colori tersi e contrastanti, accentuano i gesti e le torsioni delle figure.
Roberta Scorranese, giornalista del Corriere della Sera, ha recentemente pubblicato il libro titolato: "Fluido. Corpi mutevoli e instabili nell'arte" (edit Giunti), in 11 capitoli spiega i "passaggi di genere e forma".
"Per quanto diversi siano i sessi, nel genere umano ci sono oscillazioni da un sesso all'altro. Spesso sono soltanto gli abiti a mostrare le sembianze maschili o femminili, con complicazioni e confusioni che ne derivano", scrisse nel 1928 Virginia Woolf in "Orlando".
Nel nostro tempo la fluidità, quella "di genere", o "gender fluidity", fa parte della nostra quotidianità.
Le persone gender fluid, dette anche "non binarie", si identificano in un'identità di genere che non è fissa ma può cambiare nel tempo o a seconda delle circostanze, dondolando tra maschile, femminile, entrambi o nessuna delle due. Questo significa che la percezione del proprio genere è "fluida", non legata a categorie rigide e può manifestarsi con diverse espressioni, come l'abbigliamento. La fluidità di genere, o transgender, è un aspetto dell'identità di genere, non dell'orientamento sessuale o del sesso biologico.
Comunque non è soltanto una questione di definizione o di autodefinizione, ma anche di rappresentazione. E' la storia a raccontare persone e "tipi" (reali, immaginari, mitologici) che vivono nell'indefinitezza, nella variabilità, come tra Apollo e Dioniso, tra Afrodite e Atena (per la mitologia romana, Minerva, dea della Sapienza).
Passaggi di genere e di forma hanno popolato la fantasia di artisti e scrittori: dall'Epopea di Gilgames all'indiano Mahabharata, alle "Metamorfosi" narrate da Ovidio, da Artemide a Narciso, divinità sospese tra gli opposti, androginia e travestimenti, o altre rappresentazioni: "Difficile o dea, riconoscerti quando t'incontra un mortale, anche se è molto saggio: tu prendi tutti gli aspetti": così Ulisse, l'eroe dell'Odissea, si rivolge, sconsolato, ad Atena, protagonista di trasformazioni, come anche suo padre, Zeus, di identità fittizie.
Atena, la dea della guerra e della strategia bellica, nacque da una gravidanza maschile. Il mito narra che Zeus mise incinta Metis, una figlia di Oceano, ma poi, spaventato dal pensiero che lei potesse generare un figlio più forte e più intelligente di lui, la colse di sorpresa e la divorò.
La gestazione avvenne nel suo corpo maschile e divino. Atena uscì dalla testa di Zeus già adulta, già guerriera, dotata di elmo, scudo e corazza.
Famosi pittori la rappresentarono nelle sue molte forme e caratteristiche
Metamorfosi, la meraviglia e l'orrore del cambiamento.
La trasformazione fa parte della nostra vita, a cominciare dalle cellule del nostro corpo, che si rigenerano.
Nella mitologia e nelle fiabe è consueta la trasformazione di un essere vivente o di un oggetto per volere delle divinità o per magia.
(https://i0.wp.com/www.ilgiardinodellacultura.com/wp-content/uploads/2022/03/Sleeping_Hermaphroditus_Louvre_Museum.jpg?resize=768%2C307&ssl=1)
Ermafrodito dormiente, gruppo scultoreo in marmo, Museo del Louvre, Parigi.
La marmorea statua, di epoca romana, è la copia di un originale ellenistico in bronzo.
Fu rinvenuta nel 1608 a Roma durante i lavori per la costruzione della chiesa dedicata a Santa Maria della Vittoria, in via XX Settembre.
Nel 1620 venne affidata a Gian Lorenzo Bernini per reintegrarne il piede sinistro e per realizzare un materasso con cuscino in marmo dove adagiare la statua. La grande abilità dell'artista nel rappresentare le pieghe del materasso era tale che il pubblico credeva che fosse un letto vero.
Il personaggio mitologico di Ermafrodito, figlio di Ermes (messaggero degli dei) e della dea Afrodite, dea dell'amore, presenta caratteristiche fisiche sia maschili che femminili.
Il giovane, nell'arte greco-romana, è spesso raffigurato come figura femminile con genitali maschili.
(https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/e/eb/Hermaphroditus_lady_lever.jpg/250px-Hermaphroditus_lady_lever.jpg)
statua ellenistica di Ermafrodito, divinità della fertilità e dell'androginia.
Con androgino si intende una persona che ha attributi o caratteristiche maschili e femminili, aspetti esteriori, sembianze o comportamenti propri di entrambi i sessi.
Il mito greco offre esempi di trasformazioni e travestimenti di divinità in esseri di genere diverso dal proprio, sperimentarono un cambiamento sessuale, come Tiresia, Ceneo ed altri.
Dal V sec. a.C. la statuaria greca propose immagini di divinità bisessuate, come l'Afrodite barbuta, talvolta chiamata Afrodito, secondo Macrobio (Sat. 3,8,2-3), che attribuisce quest'appellativo al commediografo Aristofane: "A Cipro c'è anche una statua con la barba..., ritengono che sia maschio e femmina nello stesso tempo. Aristofane la chiama Aphroditos, al maschile".
Il mito dell'androgino è presente nel celebre dialogo platonico "Simposio" che si propone di trattare l'immortale tema dell' amore.
Dopo l'esposizione di Fedro, Pausania di Atene ed Erissimaco, inizia a parlare Aristofane, che sceglie il mito per esprimere la sua opinione su Eros. Nel passato dice questo poeta, non esistevano, come adesso, soltanto due sessi (il maschile e il femminile), ma tre, oltre a quelli già citati, c'era il sesso androgino, con caratteristiche maschili e femminili.
In quel tempo, tutti gli esseri umani avevano due facce orientate in direzione opposta e una sola testa, quattro braccia, quattro mani, quattro gambe e due organi sessuali. Erano superbi e tentarono di salire sul monte Olimpo per spodestare gli dei. Ma intervenne Zeus e li divise, a colpi di saetta. Poi disse: "Credo di aver trovato il modo perché gli uomini possano continuare ad esistere rinunciando però, una volta diventati più deboli, alle loro insolenze. Adesso li taglierò in due uno per uno, e così si indeboliranno e nel contempo, raddoppiando il loro numero, diventeranno più utili a noi" (Platone, Simposio 190 c-d).
(https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/1/1d/Androgynous_Rebis.jpg/330px-Androgynous_Rebis.jpg)
raffigurazione dell'androgino, nel manoscritto alchemico "Rosarium philosophorum".
In questo modo gli esseri umani furono divisi in due metà e s'indebolirono. Ed è da quel momento - spiega Aristofane - che essi sono alla ricerca della loro antica unità e della perduta forza che possono ritrovare soltanto unendosi sessualmente. Da questa divisione in parti, infatti, nasce negli umani il desiderio di ricreare la primitiva unità.
Zeus per evitare l'estinzione dell'umanità inviò Eros per far idealmente ritrovare a uomini e donne l'unità perduta tramite il ricongiungimento fisico: "Dunque al desiderio e alla ricerca dell'intero si dà nome amore" (Platone, Simposio, 192 e – 193 a).
La caratteristica interessante del discorso di Aristofane è nel fatto che la relazione erotica fra due esseri umani non è messa in atto per giungere a un fine quale potrebbe essere la procreazione, ma ha valore per sé stessa, prescindendo dalle conseguenze.
L'antica letteratura greca e latina contribuì alla fortuna di personaggi connotati da questa ambivalenza sessuale, pur trattandosi di un argomento complesso e problematico dal punto di vista culturale e sociale rispetto alla tradizionale suddivisione dei ruoli, attivi e passivi, tra uomo e donna, che costituiva il nucleo della riflessione antica sulla sessualità.
Ermafrodito, androgino: dal greco androgynos, parola composta da "aner" = uomo (al genitivo andros) + "gyne" = donna.
In biologia per androgino si intende un individuo che ha entrambi i sessi; in questo senso è usato come sinonimo del più corretto ermafrodito.
Androgino ed ermafrodito alludono a miti che hanno contenuti, tempi e modi differenti, pur nel comune interesse per la natura bisessuale negli esseri umani.
Diversamente dal Simposio platonico, un diverso approccio all'argomento è quello narrato dal poeta latino Ovidio nel IV libro delle Metamorfosi (vv. 285-388), cui si aggiunge un'ulteriore breve menzione quasi alla fine del poema (15, 319), che rievoca e consolida il mito.
Platone propone una trattazione di carattere descrittivo, dal tono serio ma pervaso di arguzia, mentre Ovidio, usa la forma narrativa, varia i toni seguendo le fasi della vicenda, passando da uno stato d'animo inizialmente sereno a sensazioni inquietanti ed infine ad una visione drammatica dovuta agli eventi.
Emergono anche interessanti affinità, soprattutto un comune atteggiamento positivo, rispettoso verso gli androgini da parte di Platone ed emotivamente partecipe Ovidio, anche se i due autori trattano la bisessualità in modi diversi e quasi opposti.
Il tema della duplice natura sessuale compare nella letteratura latina con l'efficace contributo di Ovidio, l'unico che crea la leggenda di Ermafrodito, divenuta modello per i successori come Marziale (in 6,68,9 e 10,4,6) e Stazio (in Silv. 1,5,21).
Il racconto ovidiano è affidato a una voce femminile, ad Alcitoe, una delle tre sorelle figlie di Minia, re di Orcòmeno ed antenato di Giasone, che rifiutavano di celebrare la festa di Bacco preferendo continuare a filare e a narrarsi reciprocamente racconti, ma vennero punite con la trasformazione in pipistrelli.
Ovidio pone la natura bisessuale del protagonista, Ermafrodito, non come condizione iniziale della fabula, bensì come punto di arrivo e risultato di una metamorfosi. Per la sua narrazione si ispira a Platone. Infatti, così come Aristofane aveva usato il mito dei tre generi sessuali per spiegare l'origine e la causa dell'amore umano, anche Alcitoe nelle Metamorfosi spiega con un mito l'origine del malefico potere "effeminante" della fonte Salmace, situata nei pressi di Alicarnasso (era una città-Stato greca nel territorio attualmente della Turchia), capace di fiaccare il corpo dei maschi.
Secondo la mitologia greca Salmace era anche il nome della ninfa naiade che abitava la fonte e che rifiutò l'obbligo della verginità, proprio del culto della dea Diana, per amore verso Ermafrodito, adolescente bello, di genere maschile, connotato dall'insolito "nomen", derivante dalla fusione dei nomi dei suoi genitori divini, Ermes e Afrodite.
Ovidio inizialmente non nomina Ermafrodito, ma usa perifrasi, tipo: "Mercurio puerum diva Cythereide natum" (= un fanciullo nato dal dio Mercurio dalla dea di Citera), e narra l'infanzia del ragazzo, trascorsa sul monte Ida (nell'attuale Turchia), da cui, divenuto adolescente, partì per viaggiare, fino a giungere in un "locus amoenus" con un laghetto limpido, luogo ideale per la seduzione del giovane da parte della ninfa Salmace.
Quando Ermafrodito giunse presso la fontana, Salmace ne fu attratta e lo abbracciò. Il discorso che la ninfa rivolse a Ermafrodito ricorda le parole di Ulisse, rivolte a Nausicaa. Il giovane ha pudico rossore e respinge l'offerta di amore e matrimonio. Salmacide finge di ritirarsi ma, mentre il giovane nuota nudo nel lago, lei lo avvolge nell'acqua per il coito. Poi chiese agli dei di poter restare eternamente con lui. Gli dei esaudirono la sua richiesta unendo Ermafrodito e Salmace in un unico corpo.
(https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/a/ae/NAVEZ_Francois_Joseph_The_Nymph_Salmacis_And_Hermaphroditus.jpg/500px-NAVEZ_Francois_Joseph_The_Nymph_Salmacis_And_Hermaphroditus.jpg)
François-Joseph Navez (pittore belga), La ninfa Salmace ed Ermafrodito, olio su tela, 1829
Dalla fusione tra Salmacide ed Ermafrodito, che avvenne anche per volontà e complicità di dèi favorevoli alla ninfa, nacque una nuova ed unica figura con gli attributi di entrambi i generi.
Ovidio accentua l'aspetto involontario della condizione bisessuale di Ermafrodito, causata da una trasformazione forzata. Al giovane, consapevole di essere diventato da "vir" un "semimas" "un maschio a metà", maledice la fonte.
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