Ho appena finito di leggere il libro di Guido Tonelli: "Genesi. Il grande racconto delle origini".
La teoria che accoglie per spiegare la nascita dell'universo è quella di Guth, detta, teoria cosmica inflazionaria.
https://it.wikipedia.org/wiki/Inflazione_(cosmologia)Questa teoria permette di correggere alcuni problemi innescati dalla teoria originaria del "big bang" ed è fondata sulla ipotesi, che l'equilibrio fra le forze fondamentali (gravità, elettromagnetica, interazione forte e debole) e tra materia e antimateria, sia stata rotta quantisticamente in un momento preciso, attorno a 15 miliardi di anni fa. Prima del "big bang", secondo questa teoria vi era il vuoto, concetto da non confondere con il nulla filosofico. Con vuoto si intende uno spazio in cui le particelle di cui è composto si annicchiliscono a vicenda, producendo un ambiente neutro e uniforme, ma dove sono già presenti le quattro forze fondamentali.
Vi possono essere, nel corso dell'interazione fra queste forze, nell'ambiente precedente al big bang, leggeri disavanzi fra energia positiva e negativa, ma che vengono subito riequilibrati.
L'ipotesi è che, in un preciso momento, grazie ad un evento del tutto "casuale", cioè quantistico, la compensazione non sia potuta avvenire. Il potenziale negativo non è stato corretto dal corrispettivo potenziale positivo e da questo sbilanciamento si è sviluppato il big bang e il mondo fisico così come noi oggi lo conosciamo.
Tonelli fa l'esempio dello sciatore, che scende verso valle regolarmente (è questo l'ambiente pre-big bang). Se lo sciatore trova una cunetta, la sua discesa trova un intoppo che non permette quella distribuzione regolare di velocità e massa che vi era precedentemente. Dovrà quindi adoperarsi per uscire dalla cunetta e riprendere la sua discesa. Se la "cunetta" applicata al big bang è sufficientemente grande, il processo di riequilibrio fra forze fondamentali viene meno, le forze positive "tracimano" da quell'ambiente uniforme e regolarissimo e danno vita al big bang, creando così il mondo fisico.
Spero di aver capito, almeno in modo approssimativo i concetti di base di questa teoria, che è quella attualmente più accreditata.
Ed è meraviglioso pensare che tutto questo sia stato prodotto da un evento del tutto casuale e quantistico, prima del quale vi era un ambiente, che non è possibile considerare neppure nel senso di universo precedente, ma esattamente nel senso di "vuoto perfettamente ordinato".
Un ordine che si ripresenta nel nostro universo fisico. Infatti, quello che dice Tonelli è che se si dovessero sommare tutte le energie presenti nell'universo e sommare, con una seconda operazione, tutta la forza gravitazionale dell'universo, avremo due cifre enormi ma uguali. Così come è stato dimostrato che ogni luogo dell'Universo, sia esso la nostra galassia, che la più lontana appena scoperta, ha la stessa temperatura media di appena 2 virgola 7 gradi Kelvin. Dalla verifica, in questo caso sperimentale, di questa temperatura media omogenea, è stato possibile accertare come vera l'ipotesi del big bang.
https://astronomicamens.wordpress.com/2013/01/28/la-temperatura-delluniverso-di-mezza-eta/Insomma, al di là di ogni altra considerazione, l'indagine sull'universo è davvero un campo pieno di sorprese meravigliose, rispetto alle quali, tra l'altro, non credo che il pensiero filosofico possa restare indifferente.
Mi scuso per le inesattezze da me scritte ma si tratta di un campo che mi affascina, pur non avendo le competenze sufficienti per manovrarlo con tranquillità. In realtà si tratta solo di un invito a spiegarmelo meglio ;D .
Anch' io mi oriento male e a fatica in queste questioni scientifiche ultraspecialsitiche.
Filosoficamente rilevante é secondo me soprattutto il fatto che questa versione attualmente prevalente della cosmologia nega un inizio dal nulla (che fra l' altro a mio parere sarebbe uno pseudoconcetto autocontraddittorio senza senso) della realtà fisica (é autentica "cosmologia" razionale, scientifica; e non "cosmogonia" inevitabilmente irrazionale, religiosa, parareligiosa o mitologica; come erano invece varie precedenti versioni); ma invece postula un eterno divenire naturale ordinato "da sempre e per sempre ed ovunque" secondo modalità universali e costanti.
Le quali non sono le leggi naturali vigenti dopo il "Big bang", ma invece le "metaleggi" quantistiche secondo il divenire ordinato stabilito da sempre e per sempre ed ovunque dalle quali, il "Big bang", come infiniti altri analoghi eventi, sarebbe accaduto.
Veramente Tonelli, proprio per evitare malintesi, specifica che il big bang è stato un evento unico e mai più ripetibile, a differenza di altre teorie minoritarie che pensano che i big bang siano ciclici, come un cuore enorme che pulsa ogni tot miliardi di anni. Secondo Tonelli, che riprende la teoria cosmica standard attuale, l'universo attuale continuerà ad espandersi e le singole galassie si allontaneranno sempre di più l'una dall'altra, non essendoci forza gravitazionale sufficiente per invertire il processo.
Citazione di: Jacopus il 24 Aprile 2020, 20:18:41 PM
Veramente Tonelli, proprio per evitare malintesi, specifica che il big bang è stato un evento unico e mai più ripetibile, a differenza di altre teorie minoritarie che pensano che i big bang siano ciclici, come un cuore enorme che pulsa ogni tot miliardi di anni. Secondo Tonelli, che riprende la teoria cosmica standard attuale, l'universo attuale continuerà ad espandersi e le singole galassie si allontaneranno sempre di più l'una dall'altra, non essendoci forza gravitazionale sufficiente per invertire il processo.
Io ho letto l' articolo di WP che hai linkato (non so se é questo cui ti riferisci qui), e lì si afferma che il cosiddetto "vuoto quantistico" é sempre esistito e dalle sue fluttuazioni regolate da leggi quantistiche "eterne" (sono sempre state quelle) "é saltato fuori" il "nostro" universo (in seguito al "nostro" Big bang) con le sue leggi, diverse da quelle di tanti altri universi (infiniti); il tutto (l' autentico "universo") divenendo comunque (da sempre; senza un' assurdo inizio dal nulla) secondo le "metaleggi" (questo termine me lo sono inventato io per esprimere con chiarezza e proprietà di linguaggio quanto secondo me un po' vagamente e confusamente affermato) quantistiche di validità universale nel vero senso della parola, dal momento che quello che sarebbe nato dal "nostro" Big bang, come qualsiasi altro prevedibile in base alle (meta-) leggi delle fluttuazioni quantistiche del cosiddetto "vuoto quantistico", solo molto impropriamente (e a ben vedere autocontradditoriamente; una pretesa "totalità fra altre totalità"! sic!) potrebbe essere denominato "universo".
Quindi il Big bang sarebbe un evento "unico e mai più ripetibile" allo stesso modo in cui lo é la formazione ed esistenza (fino alla sua dissoluzione) di questo particolare "nostro" sistema solare, proprio con questi pianeti, satelliti, comete e quant' altro (non uno di più, non uno di meno, non uno con qualche chilo di massa in più o in meno o con una distanza media dal sole di qualche metro maggiore o minore, ecc); il tutto però secondo inderogabili leggi "di validità parziale" (nel caso del sistema solare) o metaleggi di validità universale (nel caso del "nostro impropriamente detto "universo") del divenire ordinato, veramente universali e costanti, valide (le metaleggi) per sempre ed ovunque e regolanti l' esistenza degli "pseudouniversi parziali" con le loro diverse leggi "generali" nel loro ambito ma non propriamente "universali e costanti".
Mi sembra inequivocabilmente affermato ed anzi enfatizzato che il cosiddetto "vuoto quantistico" non é affatto il "nulla", ma anzi, al contrario é invece il "tutto" (l' universo vero e proprio); l' autentico tutto che da sempre e per sempre (e dovunque nello spazio) si trasforma ordinatamente facendo "nascere", "vivere" e forse, almeno in qualche caso "morire", in qualche altro forse no, secondo le leggi universali e costanti del suo divenire, infiniti impropriamente detti "universi".
Una grande rivincita postuma per Giordano Bruno!
Veramente il link l'ho postato un po' a caso. Ho riportato la teoria del libro di Tonelli, che non si esprime rispetto ai multiversi di altre teorie, e che accetta una teoria di un vuoto precedente al big bang (che non è nulla), che si è trasformato in un vuoto diverso, a causa di un evento improbabile che però è accaduto, di mantenimento di energia positiva, senza suo annichilimento immediato. Da ciò è scaturita tutta la materia esistente, espansasi nello spazio, inizialmente ad una velocità di molto superiore a quella della luce. Ciò detto per sottolineare la straordinarietà del fenomeno. Tonelli, per quanto si parli di astrofisica, mi sembra attenersi ad una piattaforma molto cauta rispetto alle ipotesi. In fondo si tratta solo di un libro divulgativo.
Resta comunque possibile domandarsi da dove provengano le quattro interazioni fondamentali esistenti prima del big bang. Perché c'erano quelle forze (interazione gravitazionale, elettromagnetica, forte (atomica) e debole subatomica) e da dove scaturivano. Forze che sono comunque tuttora presenti, anche se l'universo è radicalmente cambiato rispetto a quello del pre big bang. In ogni caso il big bang non è più messo in discussione dalla comunità scientifica. Si da per certo come la teoria della relatività.
Salve Jacopus. Apprezzo lo sforzo didattico senza condividere l'entusiasmo. Basandomi sul fatto che l'astrofisica è una scienza e la cosmologia soltanto un insieme di speculazioni miscelanti scienza, teoria ed ipotesi, vorrei commentare alla mia maniera alcuni dei concetti (che so benissmo non tuoi) che hai riportato. Perciò estraggo dal testo propostoci, inserendo in grassetto le mie osservazioni :
"........secondo questa teoria vi era il vuoto, concetto da non confondere con il nulla filosofico. Con vuoto si intende uno spazio in cui le particelle [materiali ?] di cui è composto si annicchiliscono [che significa annichilirsi ?] a vicenda, producendo un ambiente neutro e uniforme [quindi privo di materia perchè annichilitasi, ma privo anche di radiazione elettromagnetica=energia ?], ma dove sono già presenti le quattro forze fondamentali [quindi un vuoto che non è il nulla ma che è popolato da energia in ben quattro stati diversi?].[Naturalmente io non capisco nulla di fisica quantistica, cioè di una complicatissima TEORIA - PURA TEORIA che sarebbe in grado di ipotizzare e dimostrare solo ciò che aprioristicamente pone e presume alla base della propria costruzione].
L'ipotesi è che, in un preciso momento, grazie ad un evento del tutto "casuale", cioè quantistico, [Infatti il "caso" che per la quantistica rappresenta un effetto privo di cause, se lo possono permettere solo le TEORIE] etc. etc. etc.l
Spero di aver capito, almeno in modo approssimativo i concetti di base di questa teoria, che è quella attualmente più accreditata.
Ed è meraviglioso pensare che tutto questo [se risultasse scientificamente dimostrabile] sia sarebbe stato [- in tal caso -] prodotto da un evento del tutto casuale e quantistico [se si è trattato di un EVENTO (=successione di una causa e del relativo effetto) esso non avrà potuto essere privo - appunto - di causa, quindi non sarà certo stato casuale], prima del quale vi era un ambiente, che non è possibile considerare neppure nel senso di universo precedente, ma esattamente nel senso di "vuoto perfettamente ordinato" [ma se c'era il vuoto, l'ordine cosa riguardava ? La perfezione poi - se raggiunta - può riguardare solo il TUTTO, non una qualsiasi sua parte, il nulla od il vuoto].
Un ordine che si ripresenta nel nostro universo fisico. Infatti, quello che dice Tonelli è che se si dovessero sommare tutte le energie presenti nell'universo e sommare, con una seconda operazione, tutta la forza gravitazionale dell'universo, avremo due cifre enormi ma uguali. [ovvia e nota conferma, del principio plurisecolare di Lavoisier]. Così come è stato dimostrato che ogni luogo dell'Universo, sia esso la nostra galassia, che la più lontana appena scoperta, ha [nel caso in cui l'energia totale dell'universo si "spalmasse" ovunque in modo rigorosamente omogeneo, si troverebbe ad avere......] la [identica ed ubiquitaria] stessa temperatura di appena 2 virgola 7 gradi Kelvin. Dalla verifica, in questo caso sperimentale [? ma che dici ?], di questa temperatura media omogenea, è stato possibile accertare come vera l'ipotesi del big bang.
Naturalmente la teoria quantistica potrebbe anche risultare dimostrabile (a parte il fatto che attualmente essa sia diventata anche "moda culturale", venendo addirittura "piegata" all'interpretazione anche di ciò che sarebbe indagabile in altri modi), ma resta il fatto che, all'attualità, essa è solamente un corpo di ipotesi. Saluti.
Salve Jacopus. Novità a spron battuto, vedo. "In ogni caso il big bang non è più messo in discussione dalla comunità scientifica. Si da per certo come la teoria della relatività".
Non sapevo che la comunità scientifica usasse gli stessi criteri della scuola italiana nel "promuovere". Causa coronavirus si chiude e tutti promossi in automatico.
Così basterebbe "dar per certa" una teoria per promuoverla a verità scientifica, senza (nel caso del big bang) fornire dimostrazione e senza assiomatizzazione attraverso una qualche "legge fisica". Boh !. Sara anche questa un'alta voga culturale. Saluti.
Viator. Effettivamente è una materia ostica. Speriamo che si trovi qualcuno fra i forumisti che la sappia spiegare meglio di me. Ti posso solo rispondere in merito alla temperatura media dell'universo.
Rispetto alla misurazione della temperatura del vuoto cosmico a 2,7 gradi Kelvin, in modo del tutto omogeneo, in tutto l'universo, è la prova che il big bang sia davvero avvenuto, poiché significa che la temperatura si é raffreddata in modo omogeneo e che quindi in un preciso momento era ad una temperatura molto più elevata ed in un unico punto, visto che l'universo si sta espandendo in ogni direzione (questo anche è dato per certo, grazie all'effetto doppler). Provo a postare un altro link sull'argomento che mi sembra ben fatto. Una cosa va tenuta presente. Se cerchiamo di misurare la temperatura di una galassia ad un miliardo di anni luce, non avrà la temperatura attuale, ma la temperatura di un miliardo di anni fa poiché quella immagine che noi vediamo (essendo luce, cioè visibile) ha impiegato un miliardo di anni per viaggiare dal luogo fisico dove si trova fino alla nostra pupilla.http://gaianews.it/scienza-e-tecnologia/spazio/misurata-la-temperatura-delluniverso-conferma-la-teoria-del-big-bang-34658.html#.XqNNmlOpU0N
È emblematico come il pensiero lasciato a se stesso, cioè libero di pensare ciò che gli pare, possa contraddirsi senza alcuna remora.
La teoria del Big bang postula l'inizio del tempo e l'inizio dello spazio. Ma poiché la mente rifugge istintivamente il nulla, se non viene tenuta ferma, coerente con se stessa, finisce con l'immaginare cosa c'era prima... e l'ipotizzare un vuoto dove non c'è alcuno spazio...
Questo succede quando latita le fede nella Verità.
È una ipotesi bobomax. Tonelli infatti non mi sembra un venditore di frottole. Si attiene ai fatti, secondo un metodo scientifico e infatti afferma che la certezza si ferma al momento del Big bang, che è avvenuto secondo certe modalità perché ne abbiamo prove sufficienti.
Su cosa ci fosse prima esistono solo ipotesi. La differenza rispetto alle ipotesi religiose o filosofiche, risiede in una diversa impostazione metodologica, che personalmente ritengo più corretta ( la verità deve essere provata e non può derivare da un ragionamento interiore, né dalla tradizione).
Potrei rovesciare le tue stesse parole sulla filosofia che comunichi nei tuoi interventi, visto che la tua verità parte da un fondamento che potrei anch'io definire illusorio. Ma non credo che sia giusto fare così. Tu ci tieni al tuo metodo ed io al mio. Siamo stati entrambi irrevocabilmente determinati in ciò (provo ad interpretare tuo pensiero) e pertanto accetto il tuo punto di vista, che in determinate dimensioni della mia vita potrebbe anche arricchirmi , come minimo allargando i miei orizzonti e rendendomi consapevole che esistono altri punti di vista.
Citazione di: Jacopus il 24 Aprile 2020, 22:19:03 PM
Veramente il link l'ho postato un po' a caso. Ho riportato la teoria del libro di Tonelli, che non si esprime rispetto ai multiversi di altre teorie, e che accetta una teoria di un vuoto precedente al big bang (che non è nulla), che si è trasformato in un vuoto diverso, a causa di un evento improbabile che però è accaduto, di mantenimento di energia positiva, senza suo annichilimento immediato. Da ciò è scaturita tutta la materia esistente, espansasi nello spazio, inizialmente ad una velocità di molto superiore a quella della luce. Ciò detto per sottolineare la straordinarietà del fenomeno. Tonelli, per quanto si parli di astrofisica, mi sembra attenersi ad una piattaforma molto cauta rispetto alle ipotesi. In fondo si tratta solo di un libro divulgativo.
Resta comunque possibile domandarsi da dove provengano le quattro interazioni fondamentali esistenti prima del big bang. Perché c'erano quelle forze (interazione gravitazionale, elettromagnetica, forte (atomica) e debole subatomica) e da dove scaturivano. Forze che sono comunque tuttora presenti, anche se l'universo è radicalmente cambiato rispetto a quello del pre big bang. In ogni caso il big bang non è più messo in discussione dalla comunità scientifica. Si da per certo come la teoria della relatività.
Cominciando dalla fine rilevo che la cosmologia geocentrica "non é (stata) più messa in discussione dalla "comunità scientifica" per ben mille anni e più, ma ciononostante sembra sia appurato che Arisatarco di Samo (pur commettendo errori comunque molto meno grossolani, ben più "venali" di quelli della "comunità scientifica") avesse sostanzialmente ragione contro la "comunità scientifica".La cosa più scientifica che possa darsi é il non fidarsi acriticamente di nessuno, nemmeno della "comunità scientifica" e sottoporre "spietatamente" ogni teoria al vaglio della critica razionale. (ed en passant rilevo che in questa drammatica emergenza Covid-19 la così pomposamente detta e orgogliosamente sedicente "comunità scientifica", tra isteriche meschine polemiche personali e sparate poco o punto fondate e spesso in clamorosa reciproca contraddizione, sta dando di sé ben misera esibizione).Da "filosofa naif" quale sono, arrivando a quanto tu illustri della teoria di Tonelli rilevo (secondo me ne é l' aspetto filosoficamente più importante, quello più rilevante dal punto di vista del carattere generale complessivo e cioé "ontologico" del mondo fisico materiarle; che per me non esaurisce la realtà in toto) che "una teoria di un vuoto precedente al big bang (che non è nulla), che si è trasformato in un vuoto diverso, a causa di un evento improbabile che però è accaduto, di mantenimento di energia positiva, senza suo annichilimento immediato" implica che universalmente e costantemente (
da sempre; senza un inizio; oltre che ovunque) accade un divenire non irregolarmente caotico ma invece ordinato, secondo modalità generali astratte (astraibili mentalmente) le quali hanno determinato (per lo meno "debolmente", se si tratta di modalità di tipo stocastico, come sono secondo l' interpretazione conformistica; ma quest' ultima almeno non affatto unanime nemmeno nella "c.s."; dato che, anzi, recentemente sta perdendo qualche colpo) un evento improbabile (cioé non casuale, per lo meno non in senso "forte") che però è accaduto, di mantenimento di energia positiva, senza suo annichilimento immediato, ovvero la nascita del "nostro" impropriamente detto "universo"; caratterizzato quest' ultimo da leggi generali astratte del suo divenire ordinato forse almeno in parte diverse da quelle del vuoto quantistico che ne ha preceduto e determinato l' esistenza e che perciò (se così é) ben si possono denominare "metaleggi".
Ora, ciò che diviene ordinatamente secondo queste "metaleggi", contrariamente a ciò che mutasse casualmente, caoticamente, disordinatamente, non può (per definizione) dare origine ad un "unicum assoluto" (il "nostro" cosiddetto "universo" nato dal Big bang), ma casomai a una pluralità di "unica relativi" (come lo sono, nel "nostro universo" gli innumerevoli sistemi stellari, tutti relativamente diversi fra loro per numero, masse, distanze, ecc. di pianeti, satelliti, comete, ecc., ma tutti ordinati secondo un unico, medesimo schema generale universale astratto). Quindi che esistano altri (impropriamente detti) "universi" oltre al "nostro", relativamente diversi per molte caratteristiche fra le quali magari (forse) le rispettive modalità generali astratte del divenire, ma tutti ineccepibilmente determinati nel loro accadere dalle "metaleggi" dell' autentico universo é una conseguenza (filosofica) inevitabile; anche se Tonelli non la rileva (la rilevano gli estensori dell' articolo di WP)Per la cronaca, non posso esimermi dal proclamare di nuovo entusiasticamente la rivincita postuma di Giordano Bruno!Quindi il nostro universo non é nulla di "miracoloso" (é un fenomeno per nulla straordinario).Le domande "da dove provengano le quattro interazioni fondamentali esistenti prima del big bang. Perché c'erano quelle forze (interazione gravitazionale, elettromagnetica, forte (atomica) e debole subatomica) e da dove scaturivano. Forze che sono comunque tuttora presenti, anche se l'universo è radicalmente cambiato rispetto a quello del pre big bang" secondo me non hanno senso.
Infatti nel cercare spiegazioni di ciò che é reale inevitabilmente si possono considerare tre modi fondamentali.
Uno é il regresso all' infinito: sempre, per qualsiasi spiegazione cui si sia giunti (attualmente circa la realtà materiale naturale la scienza ci dice: le quattro forze fondamentali) c' è bisogno di un ulteriore spiegazione; ma in questo modo un' autentica spiegazione non si trova mai, non c'é.Un altro é la circolarità: una catena più o meno lunga di spiegazioni di eventi da parte di altri eventi (al minimo tre) nella quale a un certo punto un explanans pretende di spiegare un preteso explanandum che a sua volta più o meno indirettamente (attraverso la più o meno lunga catena di eventi considerata) ne sarebbe a sua volta spiegato; ma anche in questo modo si avrebbe una successione di spiegazioni parziali impossibilitata a giungere (sia pur circolarmente, comunque attraverso reiterazioni infinite di spiegazioni parziali) ad alcuna spiegazione generale complessiva (che é ciò che si cercava e che erroneamente, falsamente si pretenderebbe di aver trovato).Il terzo é il fermarsi arbitrariamente a una "causa prima" (o a un "explanans primo" e complessivo preteso non bisognoso di explanandum); una "scorrettissima (nella ricerca di spiegazioni) mossa ad hoc", la patente violazione della pretesa di cercare una spiegazione a "tutto" (il "tutto" preteso essere spiegato é in realtà "il tutto" meno la spiegazione del tutto"; e dunque soltanto una parte del tutto)."Tutte e tre le risposte sono dunque insoddisfacenti, fallaci.E questo per il semplice fatto che sono pretese risposte a una pretesa domanda mal posta.Infatti ha senso chiedersi il "perché?" di qualcosa di strumentale, di qualche mezzo che sia tale per un qualche scopo (che ne é per l' appunto la spiegazione).Ma, anche a prescindere dal fatto che propriamente dovrebbe essere un problema limitato ad agenti intenzionali (che di fatto sembra siano solo l' uomo e altri animali; cioé anche se anziché una spiegazione "causalmente finalistica" ci limitiamo a cercare una spiegazione "efficientisticamente causalistica", come correttamente ci si dovrebbe limitare a fare a proposito del "tutto naturale"), questa non può darsi di una "totalità", oltre alla quale per definizione non può darsi null' altro che ne possa essere per l' appunto spiegazione (uno scopo, nel caso di antropomorfa spiegazione finalistica). Può invece darsi, ma solo in caso di divenire ordinato, di una parte della totalità, essendone possibile spiegazione un' altra parte; precisamente di un evento particolare concreto (per esempio la nascita del cosiddetto "nostro universo") da parte di altri eventi particolari concreti e delle modalità generali astratte del loro susseguirsi (nell' esempio le quattro interazioni fondamentali esistenti anche prima del Big bang); mentre in caso di mutamento caotico non avrebbe nemmeno senso la ricerca di "spiegazioni" di alcun evento: tutto si succederebbe, accadrebbe senza alcun criterio di "spiegabilità".Citando Viator:L'ipotesi è che, in un preciso momento, grazie ad un evento del tutto "casuale", cioè quantistico, [Infatti il "caso" che per la quantistica rappresenta un effetto privo di cause, se lo possono permettere solo le TEORIE] etc. etc. etc.giopap:Non so se é ciò che intendi con le virgolette ("casuale"; sembrerebbe di no, da quello che scrivi dopo), ma ci terrei a precisare comunque che gli eventi quantistici (anche nella accezione conformistica della meccanica quantistica, la quale é -la teoria; e non: l' accezione- é "più che dimostrata", che peraltro non é unica, sola, esclusiva) non sono del tutto casuali; sono invece deterministici in senso debole id est indeterministici (casuali; non "del tutto" ma solo) in senso debole: casuali individualmente ma deterministici nelle proporzioni della loro distribuzione statistica complessiva fra i diversi singoli casi individuali.Citazione di bobmax:La teoria del Big bang postula l'inizio del tempo e l'inizio dello spazio. Ma poiché la mente rifugge istintivamente il nulla, se non viene tenuta ferma, coerente con se stessa, finisce con l'immaginare cosa c'era prima... e l'ipotizzare un vuoto dove non c'è alcuno spazio...Questo succede quando latita le fede nella Verità.giopap:In realtà nella versione di Tonelli la teoria non postula alcun inizio, anzi lo nega inequivocabilmente affermando la preesistenza al Big bang delle leggi quantistiche del vuoto (senza alcuna determinazione di tempo e di spazio, ergo: "per sempre ed ovunque").Preteso inizio di "qualcosa di reale" dal "nulla (di reale)" che é una pseudolocuzione autocontraddittoria, senza senso, dal momento che nel nulla (di reale) nemmeno il tempo può darsi, e dunque non può accadere alcun mutamento (nemmeno il passaggio dal nulla di reale al qualcosa di reale).
Jacopus, qui non si tratta di metodo ma di logica.
Non può esservi alcun metodo che prescinde dalla logica.
La logica non è la Verità, ma deve essere rispettata!
E se si entra in contraddizione occorre fermarsi.
E accettare il limite, che non si può superare.
Se invece di fronte a quel nulla, che è il limite stesso, non si resiste, allora si fa come lo struzzo che non vuol vedere.
Ma questo non è certo un metodo.
Viator ha sollevato questioni, denunciando contraddizioni evidenti.
Ma per chi non vuol vedere non c'è verso.
Manca infatti la fede nella Verità.
Se poi Tonelli non conferma la teoria del Big bang ma ne inventa una sua, bene, un altro buon motivo per evitarlo.
Basterebbe chiedersi infatti quali dimensioni avrebbe mai avuto il vuoto preesistente.
Almeno Rovelli, altro Solone, a questo (una sua teoria) non mi pare sia ancora arrivato...
La cosmogonia non si è mai schiodata dalla sua posizione epistemica di ipotesi. Si lancia la freccia verso un buio abissale e non si sa se la freccia è arrivata al bersaglio o ha toppato di brutto.
Fino a poco dopo il bigbang (qualsiasi cosa esso sia) ci arrivano con buona credibilità scientifica le nostre protesi tecniche. La teoresi matematica cerca nei calcoli gli anelli mancanti del reale, ma fino all'experimentum crucis resta tutto a livello di ipotesi di cui al massimo si può sottolineare la coerenza logica e la bellezza estetica ("for taylors", come disse giustamente Einstein). La stessa relatività dovette passare sotto le forche caudine sperimentali per essere universalmente accreditata.
Però va ammesso che, come ai tempi antichi, anche oggi la centratura del bersaglio cosmogonico richiede grandi conoscenze scientifiche che sappiano fare sofisticati bilanci di energia e monitoraggi di materia. Insomma, non roba per comuni mortali, che delle ricerche fondamentali possono solo godere il grande spettacolo. Senza aggiungere ad esso nulla di stupefacente.
E' vero che si tratta di una posizione minoritaria, ma raccontata da Roger Penrose vale pena anche ascoltare l'altra campana (CCC), sia perchè ne è l'ideatore sia per la pacatezza e l'eleganza di esposizione..
La realtà è semplice, talmente semplice che è davvero difficile avvicinarvisi.
Lo sforzo dei ricercatori animati dalla fede nella Verità è ammirevole.
Ma un grave errore sarebbe il considerare gli scienziati come dei necessari intermediari tra noi e la Verità.
Un errore non dissimile dalla pretesa della Chiesa di essere l'intermediario tra l'uomo e Dio...
Che la realtà sia semplice, lo si può avvertire studiando a fondo un argomento qualsiasi, per coglierne l'essenza.
L'essenza è sempre semplice, ma quanta fatica per coglierla...
Le equazioni di Maxwell, per esempio, sono straordinariamente semplici. Una semplicità, tuttavia, davvero difficile da cogliere.
Il nulla da un senso a ciò che è da un punto di vista filosofico.
Il vuoto da un senso a ciò che è da un punto di vista fisico.
La scienza è un viaggio dal nulla al vuoto.
Paradossalmente la fisica attuale apparirebbe più solidamente fondata se postulasse il nulla invece del caso.
Mi pare di saper dire meglio cosa sia il nulla ,infatti , che non il caso.
Il nulla è dato una volta per tutte e parimenti è dato una volta per tutte ciò che il nulla definisce , l'essere.
Gli enti della fisica però sono definiti dal vuoto ereditando tutte le possibilità di cui esso è pieno ,ma non così pieno da non lasciare nulla al caso.
Prima del big bang c'era il vuoto , che è cosa ben diversa dal nulla , dal punto di vista della fisica.
Sembra inevitabile che qualunque cosmologia abbia basi filosofiche.
Quelle antiche erano basate sul nulla.
Quelle attuali sul vuoto.
Erano più solide quelle basate sul nulla? 😊
Da un punto di vista operativo , quello della fisica , nulla sembra più ingessato è rigido del nulla.
Nel passaggio dal nulla al vuoto il concetto dell'essere solido si è frantumato rendendo mobile il confine dell'essere nello spazio e nel tempo.
Forse una interessante riflessione filosofica è la seguente.
Non è possibile intaccare il confine spaziale dell'essere senza intaccare quello temporale.
Mi pare si possano così caratterizzare le evoluzioni della cosmologia da un punto di vista filosofico.
Citazione di: iano il 25 Aprile 2020, 13:48:26 PM
Sembra inevitabile che qualunque cosmologia abbia basi filosofiche.
Quelle antiche erano basate sul nulla.
Quelle attuali sul vuoto.
Erano più solide quelle basate sul nulla? 😊
Da un punto di vista operativo , quello della fisica , nulla sembra più ingessato è rigido del nulla.
Manco per il cavolo. Quelle antiche erano basate su elementi, animali, dei. Quelle moderne su "qualcosa". Il nulla/vuoto è una congettura umana, alla quale vedo che Bobmax e una miriade di metafisici (ma non di filosofi della natura) prima di lui hanno bruciato incenso dopo che del
qualcosa si è appropriata la scienza, conservando e rilanciando il cammino delle antiche cosmogonie. Il nulla/vuoto resta lo sfondo epistemico della nostra ignoranza e la sua consistenza ontologica finisce qua.
La cosmogenesi ha lo stesso problema della biogenesi: se si ipotizza un universo finito di spazio omogeneo e privo di materia in cui a un certo punto "avviene" il big bang, per postulare che il big bang sia un evento "unico", bisogna prima spiegare come l'avvento del big bang eroda, sempre di più, nello spazio precedente, la possibilità di un altro big bang, in modo tale che più il big bang si "consolida" come evento produttivo di conseguenze, più improbabile diventa l'eventuale "gemello" del big bang; esattamente come alcune teorie sulla biogenesi, che postulano che la biogenesi, come evento che si verifica a un certo punto sulla terra, eroda la probabilità stessa che la biogenesi avvenga ancora, in modo tale che la probabilità che la vita nasca da vita, "si mangia", con il suo stesso esistere e continuare, la probabilità che la vita nasca da materia inanimata, determinando così uno stato evoluto tardo e stabile, in cui è pressoché certo che una vita individuata nello stato tardo sia nata da vita, e pressoché impossibile che sia nata da materia inanimata. Il nostro ambiente terrestre è un ambiente in cui la vita non nasce dalla materia inerte, anche e soprattutto perché è un ambiente già modificato dalla vita: lo stato "antico" della terra, da cui la vita poteva sorgere spontaneamente, è stato definitivamente distrutto e trasformato da una serie di eventi, tra cui l'evento della vita stessa, per cui non ha senso chiedersi quanto le germinazione spontanea sia intrinsecamente probabile, ma quanto sia probabile in alcune condizioni date piuttosto che in altre.
Per quanto riguarda il discorso sulla ripetibilità o meno del big bang, ipotizzando che il big bang avvenga in un qualche tipo limitato di "spazio" precedente, è esattamente lo stesso: più il big bang ha prodotto conseguenze sullo stato omogeneo precedente, più è probabile che un secondo big bang non avvenga, determinando uno stato temporale tardo, in cui noi effettivamente siamo ed esistiamo (principio antropico, per cui questo stato tardo è un punto di osservazione privilegiato per noi), in cui è pressoché certo affermare che il big bang sia unico, è pressoché demenziale affermare che sia ripetibile, esattamente come le probabilità statistiche che adesso come adesso ci sono che un batterio dei giorni nostri, individuato nei giorni nostri, sia nato da un altro batterio, confrontate con quelle che lo stesso batterio sia nato a casaccio da un goccia d'acqua (certezza assoluta da una parte, contro impossibilità assoluta, dall'altra).
Se invece ipotizziamo uno spazio infinito, o molto più grande, e un tempo infinito, o molto più grande, in cui possa a un certo momento e in un certo punto avvenire il big bang, abbiamo, grazie alla maggior grandezza di questo spazio e di questo tempo, la "non connessione" causale necessaria tra regioni ed ere lontanissime, perché il big bang possa ri-avvenire, o anche la biogenesi, possa ri-avvenire; ovvero per quanto la probabilità di un big bang eroda la probabilità dell'altro big bang, e per quanto la vita eroda la probabilità dell'altra vita, ci sono sempre, alzando lo sguardo all'infinito, regioni distanti di spazio, ed ere distanti di tempo, "vergini", in cui questa erosione, di una probabilità sull'altra, che nasce da un punto preciso e si espande, non ha mai fatto, ne mai farà, alcun effetto, e allo stesso tempo quelle regioni possono essere "scosse", dalla loro "inerzia", possono "vedere la luce", della vita o della cosmogenesi, solo da un'altra biogenesi spontanea, o da un altro big bang ulteriore ad uno già avvenuto, perché la vita meramente "portata in giro" da altra vita, o l'ordinamento dello spazio meramente "portato" dall'espansione decentrantesi a partire da un punto, non le raggiungerà mai. Pensare che il big bang possa riavvenire, è come pensare che un pianeta diverso dalla terra possa avere vita intelligente, cosciente ed evoluta, come conseguenza del suo stesso assetto come pianeta, e senza una colonizzazione aliena o terrestre a giustificare l'origine e/o l'evoluzione: altissimamente improbabile in uno spazio e in un tempo piccoli, con una quantità di materia presa in considerazione piccola, ma se pensiamo all'abisso dello spazio e del tempo, alla quantità inimmaginabile di pianeti, l'improbabilità si assottiglia, e diventa probabilità: ugualmente a seconda di quanto spazio e quanto tempo siamo disposti ad immaginare abbia a disposizione per esistere e per "essere", anche in senso filosofico, l'universo, o meglio il multiverso, il big bang può essere considerato un evento unico, o al contrario, ripetibile.
L'universo è una forma di vuoto, ma è immensamente differente dal vuoto (pensato come interno) che esso stesso come universo contiene, e dal vuoto (pensato come esterno) che lo contiene o lo potrebbe contenere (lo spazio prima del big bang, o lo spazio in cui si espande l'universo che si espande): il "resto" del vuoto, il vuoto non identico all'universo, non contiene, ovviamente, il nostro universo nella sua realtà e totalità, ma la generica probabilità, in quanto vuoto in cui possono "accadere" delle cose, di (ri)generare l'universo, o quantomeno un universo: quanto sia bassa questa probabilità, esprime quanto sia raro l'universo, o un universo, e più vuoto "c'è", e perdura nello spazio e nel tempo, più gli universi sono ripetibili.
Se tutto il vuoto non è uniformemente la stessa "cosa", ma al contrario alcuni tipi di vuoto sono diversi e diversamente probabili da alcuni altri, l'estensione del vuoto nello spazio e nel tempo, quanto "vuoto" inteso come cosa in comune a tutti i vuoti in assoluto c'è, determina il ritmo, ovvero la frequenza, finita o infinita, con cui le varie tipologie di vuoto si alternano e si sovrappongono tra di loro, tipologie di cui il nostro universo è solo una tra le tante; e questo ritmo e frequenza, determina la risposta alla domanda se l'universo sia o no unico, se ve ne siano in numero finito, o se siano infiniti.
Nel mio ultimo intervento, già fin troppo lungo (solo il mio sfrenato ottimismo mi consente di coltivare qualche barlume di speranza che almeno qualcuno l' abbia letto interamente), ho omesso di indicare una spiegazione al sorgere delle domande (di cui credo di aver dimostrato l' insensatezza) circa la spiegazione "ultima" della realtà (fisica materiale in particolare):
Le domande "da dove provengano le quattro interazioni fondamentali esistenti prima del big bang. Perché c'erano quelle forze (interazione gravitazionale, elettromagnetica, forte (atomica) e debole subatomica) e da dove scaturivano".
Secondo me la spiegazione é che queste domande nascono dalla confusione fra due reciprocamente ben diversi concetti; e cioé quello di "essere" nel senso di "essere realmente", di realmente accadere (che lo si pensi, che lo si sappia o meno) e invece quello "essere" nel senso di "essere concettualmente", di essere passibile di venir pensato, ipotizzato, postulato, ecc. (che ne esista una denotazione o estensione reale -oltre all' inevitabile; per la definizione di "concetto", di "oggetto o contenuto di pensiero", connotazione o intensione cogitativa).
La differenza é esemplificabile grossolanamente ma "illuminantemente" fra il modo in cui si può dire che é (realmente) un uomo oppure un cavallo effettivamente esistente, che lo si pensi o meno, e il ben diverso modo in cui si può dire che é (concettualmente) un centauro non effettivamente esistente (come estensione o denotazione reale) ma solo come intensione o connotazione "cogitativa", immaginativa di una parola, di un dipinto, una scultura, ecc.
Ciò che é realmente semplicemente é (realmente; "e basta"), e per definizione in ambito reale (nella realtà) non può non essere realmente (per la definizione di "essere" e "non essere", ovvero di negazione, ovvero per il principio di non contraddizione: la "base più elementare in assoluto della logica"); può bensì essere pensato (falsamente) non essere realmente.
Invece ciò che é concettualmente, ciò che é pensato può sia essere (anche) realmente (avere un denotato o estensione reale: caso del cavallo oppure dell' uomo), sia (in altri casi, alternativamente) non essere (anche) realmente (caso del centauro).
Per questo motivo (il suo -del suo denotato o estensione- potere essere realmente oppure anche in alternativa non essere realmente) per ciò che é concettualmente, di ciò che é pensato si può porre la questione se e perché sia o non sia, ovvero si può sensatamente cercare un principio di ragion sufficiente (una spiegazione, una ragione per l' essere realmente anziché non essere realmente; o viceversa).
Invece, per il motivo che non può non essere realmente, per ciò che é realmente tale questione non si può porre (sensatamente).
Ora la realtà di fatto (in toto) é realmente; e dunque in quanto tale non ha senso porsi la questione se e perché sia o non sia, ovvero non si può sensatamente cercarne un principio di ragion sufficiente.
Ma é anche passibile di essere concettualmente (di essere pensata); e in questo caso (in questo senso; e solo in questo senso) ha senso porsi la questione se e perché sia o non sia realmente, ovvero si può sensatamente cercarne un principio di ragion sufficiente.
Dunque ha senso porsi il problema del perché la realtà (in toto) sia realmente in quanto la si pensa, nel caso la si pensi, considerandola come ipotesi mentale; ma non indipendentemente dal pensarla o meno, non in quanto realmente é (e "basta").
In conclusione: ha senso chiedersi perché la realtà in quanto da noi considerata realmente é (ovvero perché si pensa, perché si considera teoricamente la realtà; e infatti il fatto che si consideri teoricamente, che si pensi la realtà -anche- in toto é una parte di ciò che realmente avviene, una parte della realtà stessa); ma invece non ha senso chiedersi perché realmente é la realtà in quanto realmente é (non potendo "far altro che" realmente essere, senza bisogno di ragioni ulteriori rispetto al principio di non contraddizione, senza del quale non potremmo nemmeno ragionarci su; e infatti la realtà -in toto- é la totalità del reale, oltre alla quale altro non può essere reale che le possa fare da spiegazione).
Citazione di: Ipazia il 25 Aprile 2020, 17:21:53 PM
Citazione di: iano il 25 Aprile 2020, 13:48:26 PM
Sembra inevitabile che qualunque cosmologia abbia basi filosofiche.
Quelle antiche erano basate sul nulla.
Quelle attuali sul vuoto.
Erano più solide quelle basate sul nulla? 😊
Da un punto di vista operativo , quello della fisica , nulla sembra più ingessato è rigido del nulla.
Manco per il cavolo. Quelle antiche erano basate su elementi, animali, dei. Quelle moderne su "qualcosa". Il nulla/vuoto è una congettura umana, alla quale vedo che Bobmax e una miriade di metafisici (ma non di filosofi della natura) prima di lui hanno bruciato incenso dopo che del qualcosa si è appropriata la scienza, conservando e rilanciando il cammino delle antiche cosmogonie. Il nulla/vuoto resta lo sfondo epistemico della nostra ignoranza e la sua consistenza ontologica finisce qua.
Per la verità le teorie del Big bang "classiche", senza cicli, senza realtà preesistente (e inevitabilmente "metaleggi" del suo divenire nel caso non "vigessero" pur sempre le "ordinarie leggi" del divenire del "nostro universo" derivato dal Big bang), postulanti una realtà (pretesa essere) succeduta al nulla (ontologico, non lo strapienissimo "vuoto quantistico"!) sono letteralmente nient' altro che cosmogonie (teorie sulla nascita dell' universo, secondo lo schema delle antiche superstizioni e religioni).
Ma il (pretendere di) pensare che qualcosa di reale possa succedere al nulla di reale (assoluto, filosofico,
non lo strapienissimo "vuoto quantistico") é semplicemente un' assurda successione di pretesi simboli verbali senza senso (autocontraddittoria), dal momento che, stante il nulla di reale, nemmeno il tempo può esserci, e dunque al nulla non può succedere (venire ad essere successivamente reale) alcunché: il nulla non può avere futuro, può solo essere eternamente presente per una necessità logica.La "antica" (almeno relativamente) filosofia di Giordano Bruno mi sembra molto più solidamente basata (razionalmente), su fatti e proposizioni sensate circa i fatti che queste versioni "classiche" senza realtà preesistente del Big bang.
Citazione di: giopap il 25 Aprile 2020, 17:58:07 PM
Citazione di: Ipazia il 25 Aprile 2020, 17:21:53 PM
Citazione di: iano il 25 Aprile 2020, 13:48:26 PM
Sembra inevitabile che qualunque cosmologia abbia basi filosofiche.
Quelle antiche erano basate sul nulla.
Quelle attuali sul vuoto.
Erano più solide quelle basate sul nulla? 😊
Da un punto di vista operativo , quello della fisica , nulla sembra più ingessato è rigido del nulla.
Manco per il cavolo. Quelle antiche erano basate su elementi, animali, dei. Quelle moderne su "qualcosa". Il nulla/vuoto è una congettura umana, alla quale vedo che Bobmax e una miriade di metafisici (ma non di filosofi della natura) prima di lui hanno bruciato incenso dopo che del qualcosa si è appropriata la scienza, conservando e rilanciando il cammino delle antiche cosmogonie. Il nulla/vuoto resta lo sfondo epistemico della nostra ignoranza e la sua consistenza ontologica finisce qua.
Ma il (pretendere di) pensare che qualcosa di reale possa succedere al nulla di reale (assoluto, filosofico, non lo strapienissimo "vuoto quantistico") é semplicemente un' assurda successione di pretesi simboli verbali senza senso (autocontraddittoria), dal momento che, stante il nulla di reale, nemmeno il tempo può esserci, e dunque al nulla non può succedere (venire ad essere successivamente reale) alcunché: il nulla non può avere futuro, può solo essere eternamente presente per una necessità logica.
Concordo. Il nulla genera solo il nulla.
Rimane solo la possibilità che il nulla coesista con qualcosa di diverso dal nulla.
Qualcosa che allora confina col nulla , e quel confine definisce quel qualcosa e il nulla stesso.
Quel qualcosa e quel nulla condividono allora un qualcosa di solido e di rigido , immutabile ,secondo la mia intuizione .
Un quadro ingessato in cui sembra impossibile raccontare una qualunque evoluzione.
Mi pare infatti che quel nulla abbia iniziato a perdere consistenza nel momento che quel qualcosa , la materia , abbia iniziato a perdere solidità sotto la spinta della ricerca scientifica , che pure su quella solidità ha fondato la sua ricerca.
Anche la cosmologia , che vive della luce riflessa di quella esperienza , ne ha quindi risentito.
Il vuoto si addice meglio alla realtà di questa esperienza in quanto ad esso si addice anche concettualmente una origine operativa.
Esso nasce dall'operazione del levare , la quale porterebbe al nulla solo se conoscessimo e fossimo in grado di togliere tutto quanto sia da levare.
Sarebbe questa immotivata presunzione , che pure fino a un certo punto abbiamo coltivato.
Ma ciò alla fine rimanda alla madre di tutte le presunzioni che è quella di poter separate la filosofia della fisica.
La presunzione di poter separare quel nulla , come appare a volte la filosofia , da quel qualcosa , come a volte appare essere la fisica.
Ma la filosofia non coincide col nulla come la fisica non coincide con quel qualcosa.
Sono come Peppone e Don Camillo. Litigano , ma quando uno ha bisogno l'altro è sempre pronto a soccorrerlo.
@Ipazia.
Si hai ragione.
Ho schematizzato troppo la questione nel parlare di cosmologie antiche e moderne .
In una di queste cosmologie comunque il tutto si origina dal nulla che in questo parto si "annichilisce".
La scienza ci dice che ciò è impossibile , e col senno di poi ci appare anche cosa impensabile.
Non c'è più il nulla di una volta , e neanche ciò che complicemente gli faceva da sponda come solida materia.
Il vuoto non definisce in modo netto la materia , e viceversa.
In cambio abbiamo una situazione più fluida e meglio adattabile al racconto dei fatti della esperienza , e anche la cosmologia sembra trarne profitto.
@Giopap.
Tutti pecchiamo di lunghezza nei post.
Quando me ne ricordo a volte mi limito a un periodo.
Magari tu usi anche troppe parentesi per prevenire comprensibilmente critiche.
Ma le critiche poi magari inizi a sospettare non arrivino per altri motivi.
Pace.
Già il fatto che la temperatura del "vuoto" sia di 2 e rotti gradi K, dimostra che qualcosa c'è: una vibrazione fossile con un contenuto energetico non annichilito. E che forse non lo sarà mai. Un "mai" possibile nell'in(de)finito possibile che Anassimandro chiamava apeiron e i moderni chiamano universo.
La constatazione della isotropia della radiazione cosmica di fondo è a fondamento della teoria del Big bang.
Secondo la quale non vi era alcun vuoto preesistente. In quanto lo spazio è generato dallo stesso Big bang.
Se vi fosse stato un vuoto preesistente, noi ci troveremmo proprio nel punto, di quel vuoto, in cui è avvenuto il Big bang! In quanto la radiazione cosmica di fondo risulta isotropa.
Un caso davvero eccezionale! Di tutte la galassie e pianeti dell'universo proprio il nostro sarebbe nel suo centro!
Molto ma molto più probabile che non vi sia stato nessun vuoto. Più semplicemente, ogni punto dell'universo è il suo centro!
Quindi anche dove noi siamo.
Ma anche qui, per farsene una ragione occorrerebbe prima considerare che il vuoto non c'entra niente con il nulla.
Il vuoto c'è, il nulla non c'è.
Non c'è... perché è!
Citazione di: bobmax il 26 Aprile 2020, 17:05:53 PM
La constatazione della isotropia della radiazione cosmica di fondo è a fondamento della teoria del Big bang.
Secondo la quale non vi era alcun vuoto preesistente. In quanto lo spazio è generato dallo stesso Big bang.
Molto ma molto più probabile che non vi sia stato nessun vuoto. Più semplicemente, ogni punto dell'universo è il suo centro!
Quindi anche dove noi siamo.
Ma anche qui, per farsene una ragione occorrerebbe prima considerare che il vuoto non c'entra niente con il nulla.
Il vuoto c'è, il nulla non c'è.
Non c'è... perché è!
Ma se il nulla é, nemmeno il cambiamento, nemmeno
il tempo é (in ciò che "non c' é" rientrano anche queste cose, in quanto vi rientra ogni e qualsiasi cosa, nessuna esclusa); e allora il nulla non può mutarsi in alcunché di altro dal nulla, é eternamente il nulla.E dunque nessun Big bang, nessun universo può succedergli.
Se ogni punto dell' universo é il suo centro, allora (in accordo con la cosmologia Giordano Bruno e contro le moderne la cosmogonia del Big bang come da te intesa) l' universo é infinito nello spazio(tempo).
@Giopap
Dove tu sei, lì è il centro dell'universo.
Questo dice la teoria del Big bang.
L'universo si sta ampliando, ma non in un vuoto preesistente.
Di modo che l'universo è finito ma illimitato. Perché non c'è niente che lo limiti.
Non esiste un "fuori".
Non essendoci altro, l'universo non può neppure essere considerato un qualcosa.
Perché il qualcosa è tale solo perché vi è altro.
Perciò il Tutto non è un qualcosa!
Può sembrare assurdo, ma il Tutto è solo un'idea aperta.
Un'idea che si concretizza nel mondo fisico con l'universo.
L'infinito non c'è.
Attualizzarlo, renderlo presente, reale, è uno dei più gravi fraintendimenti della nostra epoca.
Dove si crede di poter usare l'infinito trattandolo come cosa tra le cose!
Mentre l'infinito non è affatto qualcosa. E ciò che non è qualcosa, non c'è.
Ed è in questo senso che secondo me va inteso Giordano Bruno.
L'infinito è un'idea di apertura, non un qualcosa.
Occorre tuttavia considerare che l'Essere non può esserci. Ossia non può apparire come qualcosa.
E ciò che non è qualcosa non esiste.
Di modo che l'Essere coincide con il Nulla.
Giustamente tu dici che nulla può venire dal nulla.
E infatti questa è l'essenza di ciò che c'è, di ogni possibile qualcosa: puro Nulla.
E questo è l'unico antidoto al nichilismo.
Perché il Nulla è la fonte di infinite possibilità.
bobmax:
@Giopap
Dove tu sei, lì è il centro dell'universo.
Questo dice la teoria del Big bang.
L'universo si sta ampliando, ma non in un vuoto preesistente.
Di modo che l'universo è finito ma illimitato. Perché non c'è niente che lo limiti.
Non esiste un "fuori".
giopap:
Nel tuo precedente intervento sei tu che hai definito "infinito" e non "illimitato" l' universo, credo rifrendoti all' ipotesi che la sua curvatura sia "zero", ovvero che sia piatto, ipotesi piuttosto "forte" fra i cultori della materia.
Un simile universo, se in esso ogni e qualsiasi punto ne é il centro, come da te affermato, allora proprio come quello di Giordano Bruno (al di là di differenze ovvie a quattro secolo di distanza) non solo é illimitato ma anche infinitamente esteso nello spazio.
bobmax:
Non essendoci altro, l'universo non può neppure essere considerato un qualcosa.
Perché il qualcosa è tale solo perché vi è altro.
Perciò il Tutto non è un qualcosa!
Può sembrare assurdo, ma il Tutto è solo un'idea aperta.
Un'idea che si concretizza nel mondo fisico con l'universo.
giopap:
Il tutto per definizione é la realtà (ciò che é reale) considerata complessivamente, senza distinguerne parti ed evitando di considerare solo parti di essa.
Dunque non é "qualcosa" solo se per "qualcosa" si intende "una parte del tutto". Non si può dire che il tutto sia qualcosa per definizione, per le regole o convenzioni semiotiche secondo le quali si parla; ma é ben reale; anzi é più "quantitativamente" reale di qualsiasi altra cosa che si potrebbe considerare, di cui si potrebbe parlare.
Il concetto di "tutto" ha una connotazione o intensione cogitativa, ma con ogni evidenza, indubbiamente ha anche una denotazione o estensione reale.
Mentre, dal momento che esiste "qualcosa di reale" (anche complessivamente considerabile "in toto", come "il tutto che é reale", il concetto di "nulla (senza ulteriori precisazioni o determinazioni) " ha solo una connotazione o intensione cogitativa ma nessuna denotazione o estensione reale.
Le connotazioni o intensioni cogitative dei due concetti sono definite (come lo sono tutte le connotazioni o intensioni di qualsiasi concetto) relativamente a quelle di altri concetti (per questo tutto ciò che può essere pensato, conosciuto, di cui si può parlare necessariamente é relativo; se anche fosse reale qualcosa di assoluto non se ne potrebbe pensare, non se ne potrebbe dire alcunché, non lo potremmo sapere).
Questo ci consente di parlare sensatissimamente, oltre che di ciò che é reale (tutto o sue parti), che é reale oltre che pensato, anche del nulla, pur essendo questo solo pensato e non reale (esattamente come si può parlare sensatissimamente di realissimi uomini e cavalli, ma anche di irrealissimi centauri).
Quindi (si può pensare che) l' universo é un "qualcosa" perché si può pensare anche ad altro (il nulla) malgrado il fatto che questo altro ("il nulla") non sia reale.
bobmax:
L'infinito non c'è.
Attualizzarlo, renderlo presente, reale, è uno dei più gravi fraintendimenti della nostra epoca.
Dove si crede di poter usare l'infinito trattandolo come cosa tra le cose!
Mentre l'infinito non è affatto qualcosa. E ciò che non è qualcosa, non c'è.
Ed è in questo senso che secondo me va inteso Giordano Bruno.
L'infinito è un'idea di apertura, non un qualcosa.
giopap:
Quello di "infinito" é un concetto astratto avente una precisa connotazione o intensione cogitativa (la definizione nei vocabolari); la sua eventuale estensione o denotazione reale (come caratteristica astratta; del "tutto", l' universo in toto o di sue parti) é inverificabile di fatto da noi umani, ma pensabile.
E con Giordano Bruno e con altre cosmologie, comprese alcune versioni del Big bang come mi sembra evidente vadano intese quelle implicanti un preesistente "pienissimo", realissimo, assolutamente diverso dal nulla vuoto quantistico (non con alcuna cosmogonia, comprese altre varianti del Big bang) ritengo presenti anche una (anzi più; anzi infinite, dal momento che é un concetto astratto) denotazione o estensione reale.
E le cosmologie mi sembrano ipotesi sensate, contrariamente alle cosmogonie che secondo me, implicando un "nulla" precedente un "qualcosa" e pure il "tutto" che comprende ogni qualcosa), sono autocontraddittorie: mere sequenze di insignificanti pretesi simboli verbali che tali in realtà non sono in quanto complessivamente privi di qualsiasi connotazione o intensione cogitativa.
bobmax:
Occorre tuttavia considerare che l'Essere non può esserci. Ossia non può apparire come qualcosa.
E ciò che non è qualcosa non esiste.
Di modo che l'Essere coincide con il Nulla.
Giustamente tu dici che nulla può venire dal nulla.
E infatti questa è l'essenza di ciò che c'è, di ogni possibile qualcosa: puro Nulla.
E questo è l'unico antidoto al nichilismo.
Perché il Nulla è la fonte di infinite possibilità.
giopap:
"Essere" é con "non essere" il concetto più generale in assoluto considerabile (pensabile), in quanto essi (la loro intensione o connotazione cogitativa) sono definiti mettendo in relazione il minimo "sindacale" possibile di altri concetti (ciascuno dei due l' altro dei due: come ben sapeva Spinoza, "omnis determinatio est negatio").
Come ogni concetto sensato possono essere pensati (in quanto tali), possono esserci in quanto connotazioni o intensioni cogitative di concetti.
Per le loro definizioni non possono essere reali entrambi contemporaneamente, non possono esserci le denotazioni o estensioni reali di entrambi contemporaneamente; ma deve necessariamente esserci alternativamente quella dell' uno oppure quella dell' altro.
E per definizione, se il reale diviene ordinatamente e non caoticamente (quindi se é scientificamente conoscibile; e se ha senso qualsiasi eventuale considerazione etica sull' operato di agenti intenzionali), allora per definizione il nulla (di reale) non può essere la fonte di alcunché (di reale).
Quindi men che meno potrebbe essere un antidoto al nichilismo, per lo meno se per "antidoto del nichilismo" si intende qualcosa di non meramente possibile, ma invece di sicuramente reale.
Citazione di: giopap il 27 Aprile 2020, 08:55:13 AM
Nel tuo precedente intervento sei tu che hai definito "infinito" e non "illimitato" l' universo, credo rifrendoti all' ipotesi che la sua curvatura sia "zero", ovvero che sia piatto, ipotesi piuttosto "forte" fra i cultori della materia.
Un simile universo, se in esso ogni e qualsiasi punto ne é il centro, come da te affermato, allora proprio come quello di Giordano Bruno (al di là di differenze ovvie a quattro secolo di distanza) non solo é illimitato ma anche infinitamente esteso nello spazio.
Non mi pare di aver scritto che l'universo è infinito, non è questo ciò che penso, posso comunque essermi sbagliato a scrivere.
Se è così ti prego di dirmi dove, in modo che possa verificare e stare più attento a quanto scrivo.
Se mi si attribuisce un'affermazione che contraddice quanto invece vorrei dire, mi si fa un favore così posso correggermi, ma devo poterlo verificare..
Concorderai con me che la chiarezza di intenti è indispensabile per un autentico dialogo.
Non c'è bisogno di scomodare Giordano Bruno. Ogni punto è il centro non perché l'universo è infinito, difatti è finito, ma in quanto appunto non vi è alcun vuoto preesistente.
Questo è quanto dice la teoria del Big Bang originale, proprio in quanto la radiazione cosmica di fondo è isotropa.
Poi uno può inventarsi quello che vuole. Ma in questo caso si discute sul niente.
Citazione di: giopap
Quindi (si può pensare che) l' universo é un "qualcosa" perché si può pensare anche ad altro (il nulla) malgrado il fatto che questo altro ("il nulla") non sia reale
....
Quello di "infinito" é un concetto astratto avente una precisa connotazione o intensione cogitativa (la definizione nei vocabolari); la sua eventuale estensione o denotazione reale (come caratteristica astratta; del "tutto", l' universo in toto o di sue parti) é inverificabile di fatto da noi umani, ma pensabile.
Che il nulla e l'infinito possano essere pensati è solo un'illusione.
Infatti il pensiero o è determinato o non è.
Si può pensare solo ciò che è un "qualcosa"
L'infinito non è un qualcosa e quindi non può essere pensato.
E allora come mai compare questa idea dell'infinito?
Semplicemente in quanto negazione del finito.
Penso a ciò che è finito e poi provo a negarne la finitezza. Ci provo soltanto... perché il pensiero inevitabilmente si arresta.
Se poi qualcuno dichiara di riuscirci, chapeau! Ma non mi convince.
L'infinito è perciò una necessità logica. Trae la sua essenza nella negazione del finito, da nient'altro. Ed essendo esclusivamente una negazione... non c'è!
Lo stesso dicasi del nulla: Non può essere pensato.
Se ci provo, è solo perché sto negando la possibilità di ciò che potrebbe esserci.
Ma sto pensando al non esserci di qualcosa, non al Nulla!
La famosa domanda "Perché c'è qualcosa invece che il nulla?" non è affatto fondamentale come si è voluto far credere.
Perché il nulla non può proprio esserci! E' una questione di logica.
L'esserci è esserci di qualcosa. E il non esserci è il non esserci di qualcosa che avrebbe potuto esserci.
Il qualcosa è sempre indispensabile!
Mentre il Nulla non ha niente a che vedere con l'esserci o il non esserci (che alludono sempre a qualcosa).
Che il nulla sia impensabile lo si può cogliere vivendo l'horror vacui. Allora si può ben vedere che il pensiero non c'entra per niente.
Lo stesso "caso" non è pensabile. Però compare come possibilità in quanto negazione della necessità.
Provare a pensare un evento davvero casuale... fa venire le vertigini! Il Caos si avventa sulla nostra mente che a stento fugge terrorizzata.
giopap:
Nel tuo precedente intervento sei tu che hai definito "infinito" e non "illimitato" l' universo, credo rifrendoti all' ipotesi che la sua curvatura sia "zero", ovvero che sia piatto, ipotesi piuttosto "forte" fra i cultori della materia.
Un simile universo, se in esso ogni e qualsiasi punto ne é il centro, come da te affermato, allora proprio come quello di Giordano Bruno (al di là di differenze ovvie a quattro secolo di distanza) non solo é illimitato ma anche infinitamente esteso nello spazio.
bobmax:
Non mi pare di aver scritto che l'universo è infinito, non è questo ciò che penso, posso comunque essermi sbagliato a scrivere.
Se è così ti prego di dirmi dove, in modo che possa verificare e stare più attento a quanto scrivo.
Se mi si attribuisce un'affermazione che contraddice quanto invece vorrei dire, mi si fa un favore così posso correggermi, ma devo poterlo verificare..
Concorderai con me che la chiarezza di intenti è indispensabile per un autentico dialogo.
giopap:
Ho ricontrollato (e mi corre l' obbligo inderogabile di ammettere fermamente che) hai proprio ragione tu.
Chissà perché mi ero erroneamente convinta che avessi scritto che l' universo é infinito (cosa che invece hai inequivocabilmente negato! Sic!) e ogni suo punto ne é il centro ...sorry!
bobmax:
Non c'è bisogno di scomodare Giordano Bruno. Ogni punto è il centro non perché l'universo è infinito, difatti è finito, ma in quanto appunto non vi è alcun vuoto preesistente.
Questo è quanto dice la teoria del Big Bang originale, proprio in quanto la radiazione cosmica di fondo è isotropa.
Poi uno può inventarsi quello che vuole. Ma in questo caso si discute sul niente.
giopap:
Beh, si può discutere certamente anche sul Big bang "originale".
E mi sembra che la teoria del vuoto preesistente ne possa superare l' assurdità costituita dalla successione al nulla di reale dell' universo.
giopap:
Quindi (si può pensare che) l' universo é un "qualcosa" perché si può pensare anche ad altro (il nulla) malgrado il fatto che questo altro ("il nulla") non sia reale.
Quello di "infinito" é un concetto astratto avente una precisa connotazione o intensione cogitativa (la definizione nei vocabolari); la sua eventuale estensione o denotazione reale (come caratteristica astratta; del "tutto", l' universo in toto o di sue parti) é inverificabile di fatto da noi umani, ma pensabile.
bobmax:
Che il nulla e l'infinito possano essere pensati è solo un'illusione.
Infatti il pensiero o è determinato o non è.
Si può pensare solo ciò che è un "qualcosa"
L'infinito non è un qualcosa e quindi non può essere pensato.
E allora come mai compare questa idea dell'infinito?
Semplicemente in quanto negazione del finito.
Penso a ciò che è finito e poi provo a negarne la finitezza. Ci provo soltanto... perché il pensiero inevitabilmente si arresta.
Se poi qualcuno dichiara di riuscirci, chapeau! Ma non mi convince.
L'infinito è perciò una necessità logica. Trae la sua essenza nella negazione del finito, da nient'altro. Ed essendo esclusivamente una negazione... non c'è!
giopap:
Infatti, "omnis determinatio est negatio" (Spinoza): infinito é ciò che non é finito (e viceversa), e in quanto tale é una entità concettuale, la connotazione o intensione ben reale (in quanto tale!) di un sensatissimo concetto; ovviamente non é verificabile empiricamente di alcun aspetto della realtà (e in questo modo non é provabile che il concetto abbia anche una denotazione o estensione reale), essendo qualsiasi osservatore umano finito, vivendo tutti noi per un tempo finito (inattingibilità empirica dell' infinito in atto?).
Tuttavia può essere logicamente dimostrato del tempo della realtà in toto per il fatto che essa non potrebbe essere preceduta dal nulla, al quale non può succedere alcunché (realtà e conoscibilità dell' infinito in potenza? Non conosco a sufficienza Aristotele per rispondere?.
bobmax:
Lo stesso dicasi del nulla: Non può essere pensato.
Se ci provo, è solo perché sto negando la possibilità di ciò che potrebbe esserci.
Ma sto pensando al non esserci di qualcosa, non al Nulla!
La famosa domanda "Perché c'è qualcosa invece che il nulla?" non è affatto fondamentale come si è voluto far credere.
Perché il nulla non può proprio esserci! E' una questione di logica.
L'esserci è esserci di qualcosa. E il non esserci è il non esserci di qualcosa che avrebbe potuto esserci.
Il qualcosa è sempre indispensabile!
Mentre il Nulla non ha niente a che vedere con l'esserci o il non esserci (che alludono sempre a qualcosa).
Che il nulla sia impensabile lo si può cogliere vivendo l'horror vacui. Allora si può ben vedere che il pensiero non c'entra per niente.
Lo stesso "caso" non è pensabile. Però compare come possibilità in quanto negazione della necessità.
giopap:
Del nulla non può dirsi lo stesso che dell' infinito (che sia pensabile e anche reale).
Pensabile lo é: come negazione dell' esistenza reale di qualsiasi "cosa" (ente o evento), di tutto ciò che potrebbe essere pensato essere reale (oppure potrebbe essere pensato non essere reale): sensatissima connotazione o intensione cogitativa di un concetto effettivamente tale.
Invece che sia reale, stante la realtà di tutto ciò che realmente é/accade, di ogni ente o evento reale (che é constatata empiricamente), non può essere: il concetto di "nulla", contrariamente a quello di "infinito" non ha, oltre a una connotazione o intensione cogitativa, anche una denotazione o estensione reale.
Sulla questione per la quale la famosa domanda: "perché c' é quel che c' é anziché non esserci alcunché" non può avere risposta essendo malposta ho già ampiamente argomentato per parte mia che essa nasce dalla confusione fra la possibilità (necessitante di ragion sufficiente perché se ne dia denotato o estensione reale) propria del pensabile e la necessità propria del reale (non necessitante di alcuna ragion sufficiente oltre al fatto di accadere realmente -"esserci"- e al mero fondamentalissimo principio logico di non contraddizione).
Che il nulla non può proprio esserci (realmente; non cogitativamente, come oggetto di pensiero) é una questione empirica risolta sinteticamente a posteriori, dall' osservazione empirica dell' esserci di qualcosa; analiticamente a priori invece non é provabile per via logica, non essendo contraddittorio ma invece logicamente più che corretto, il pensiero, l' ipotesi che nulla sia.
Esso (il "nulla") allude al non esserci realmente o meno -di fatto meno- di qualsiasi cosa, al non darsi di alcuna denotazione o estensione cogitativa di tutti i connotati o intensioni cogitative di ogni e qualsiasi concetto si possa pensare, immaginare.
Perciò il "qualcosa di reale" (l' estensione o denotazione reale di qualche concetto; contrariamente alla sua intenzione o connotazione cogitativa, senza la quale non sarebbe un concetto per definizione) non é "sempre indispensabile" nel senso di "necessario a priori" (impensabile la sua negazione), essendo pensabilissimo il nulla, il non essere reale di alcunché, di tutto.
Poichè (mi sembra che tutti in questa discussione concordino su questo; però il clamoroso abbaglio di averti erroneamente attribuito l' infinità dell' universo mi impone qualche dubbio) il "vuoto" non é affatto "nulla" ma invece "qualcosa" credo che l' horror vacui" non sia (...per nulla!) rilevante in proposito.
Per tutte le considerazioni di semeiotica suddette il caso é altrettanto pensabile della necessità deterministica (per esempio, pur ritenendo errate e false le accezioni conformistiche ovvero maggioritarie, dell' indeterminazione quantistica, per parte mia non credo proprio se ne possa negare la sensatezza; contrariamente alla verità).
@Giopap
Il vuoto preesistente renderebbe altamente improbabile un radiazione cosmica di fondo isotropa.
Se vi fosse stato un vuoto preesistente, per rilevare l'isotropia della radiazione dovremmo noi trovarci nel punto dove è avvenuto il Big bang, o in sua prossimità.
Cioè prossimi all'unico centro dell'universo materiale.
Un caso davvero improbabile!
Viceversa, non essendoci un vuoto preesistente, qualunque punto è il centro. Quindi anche dove noi siamo.
So che è difficile afferrarlo, perché siamo condizionati dai qualcosa.
Se lo si afferra però, non può che nascere la meraviglia! E il nulla ritorna a giocare il suo ruolo.
Che la realtà sia nulla è lo scotto che bisogna pagare per superare il nichilismo.
Il nichilismo consiste nel convincimento che nulla ha valore.
La risposta, è nella constatazione che è invece il mondo fisico ad essere puro nulla!
Con questa constatazione, il gioco che il nichilismo chiudeva si riapre!
Citazione di: bobmax il 27 Aprile 2020, 18:36:41 PM
Infatti il pensiero o è determinato o non è.
Si può pensare solo ciò che è un "qualcosa"
L'infinito non è un qualcosa e quindi non può essere pensato.
E allora come mai compare questa idea dell'infinito?
Semplicemente in quanto negazione del finito.
Penso a ciò che è finito e poi provo a negarne la finitezza. Ci provo soltanto... perché il pensiero inevitabilmente si arresta.
Se poi qualcuno dichiara di riuscirci, chapeau! Ma non mi convince.
L'infinito è perciò una necessità logica. Trae la sua essenza nella negazione del finito, da nient'altro. Ed essendo esclusivamente una negazione... non c'è!
Lo stesso dicasi del nulla: Non può essere pensato.
Se ci provo, è solo perché sto negando la possibilità di ciò che potrebbe esserci.
Ma sto pensando al non esserci di qualcosa, non al Nulla!
"............."
Lo stesso "caso" non è pensabile. Però compare come possibilità in quanto negazione della necessità.
Provare a pensare un evento davvero casuale... fa venire le vertigini! Il Caos si avventa sulla nostra mente che a stento fugge terrorizzata.
Sono sostanzialmente d'accordo , ma....
Se l'universo fosse infinito potremmo associare ad esso il numero uno.
Un universo infinito.
Ma se l'universo è finito che numero possiamo associargli ?
Si potrebbe pensare che non occorra conoscere questo numero.Basti sapere che è un numero.
Il non saperlo però comporta che quando parliamo di finito stiamo sempre escludendo qualcosa.
Quindi mi pare che il finito non sia adatto a descrivere quell'universo che tutto include., non meno dell'infinito .
Dovremmo parlare di finiti più che di finito , perché i finiti sono tanti mentre solo l'infinito è singolare.
Dire che esiste qualcosa giustifica la sua negazione , che esiste nulla.
Suggerisco però di considerare che il nulla non si opponga all'essere , in quanto esso stesso è, ma al qualcosa.
Il nulla e l'infinito sono figli della genericità.
La realtà ci appare come multipla , come l'insieme di tanti finiti , e quell'insieme è uno come uno è l'infinito.
Sarà un caso?
L'infinito è singolare ,mentre il "finito è plurale" .
Forse da ciò si comprende meglio la sua natura che non da una negazione.
Citazione di: iano il 28 Aprile 2020, 02:17:13 AM
Citazione di: bobmax il 27 Aprile 2020, 18:36:41 PM
Infatti il pensiero o è determinato o non è.
Si può pensare solo ciò che è un "qualcosa"
L'infinito non è un qualcosa e quindi non può essere pensato.
E allora come mai compare questa idea dell'infinito?
Semplicemente in quanto negazione del finito.
Penso a ciò che è finito e poi provo a negarne la finitezza. Ci provo soltanto... perché il pensiero inevitabilmente si arresta.
Se poi qualcuno dichiara di riuscirci, chapeau! Ma non mi convince.
L'infinito è perciò una necessità logica. Trae la sua essenza nella negazione del finito, da nient'altro. Ed essendo esclusivamente una negazione... non c'è!
Lo stesso dicasi del nulla: Non può essere pensato.
Se ci provo, è solo perché sto negando la possibilità di ciò che potrebbe esserci.
Ma sto pensando al non esserci di qualcosa, non al Nulla!
"............."
Lo stesso "caso" non è pensabile. Però compare come possibilità in quanto negazione della necessità.
Provare a pensare un evento davvero casuale... fa venire le vertigini! Il Caos si avventa sulla nostra mente che a stento fugge terrorizzata.
Sono sostanzialmente d'accordo , ma....
Se l'universo fosse infinito potremmo associare ad esso il numero uno.
Un universo infinito. Si , ma infinito quanto? Ovviamente questa domanda non ha senso.
Ma se l'universo è finito che numero possiamo associargli ?
Finito quanto , è lecito chiedersi.
Si potrebbe pensare che non occorra conoscere questo numero.Basti sapere che è un numero.
Il non saperlo però comporta che quando parliamo di finito stiamo sempre escludendo qualcosa.
Quindi mi pare che il finito non sia adatto a descrivere quell'universo che tutto include., non meno dell'infinito .
Dovremmo parlare di finiti più che di finito , perché i finiti sono tanti mentre solo l'infinito è singolare.
Dire che esiste qualcosa giustifica la sua negazione , che esiste nulla.
Suggerisco però di considerare che il nulla non si opponga all'essere , in quanto esso stesso è, ma al qualcosa.
Il nulla e l'infinito sono figli della genericità.
La realtà ci appare come multipla , come l'insieme di tanti finiti , e quell'insieme è uno come uno è l'infinito.
Sarà un caso?
L'infinito è singolare ,mentre il "finito è plurale" .
Forse da ciò si comprende meglio la sua natura che non da una negazione.
@Iano
Il ritenere che l'infinito sia singolare, sia uno, è la trappola in cui cade il pensiero razionale!
Per il quale esiste solo ciò che è qualcosa.
E così riduce ogni idea a qualcosa, anche ciò che è pura negazione.
L'infinito non è singolare, non ce n'è uno. Perché l'uno indica qualcosa. Non ce n'è né uno né molti. E qui la mente razionale si perde, perché non ha a che fare con qualcosa.
Se volessi tagliare una linea infinita, non vi riuscirei. Provandoci, le mie forbici svanirebbero!
La considerazione che ogni punto dell'universo finito sia il suo centro, ci conduce al limite del pensiero razionale.
Dove occorre resistere alla tentazione di risolvere l'enigma forzando il gioco, ipotizzando un qualcos'altro. Non vi è alcun qualcosa!
En passant, il finito che tanto ci rassicura, se lo guardiamo da vicino... sfuma nell'infinito!
Finito e infinito sono necessari per il nostro inoltrarci nel mondo, ma sono solo due fantasmi. Uno rimanda all'altro in un gioco senza fine. Ma di per sé stessi non esistono.
Sono due scogli tra i quali dobbiamo navigare, per andare oltre, ma su cui non possiamo approdare perché non ci sono.
Quindi concordo con te. Ciò che occorre mettere in discussione è proprio il qualcosa.
@Giopap
Riguardo all'horror vacui... mi sa che non ci intendiamo.
Nonostante il nome, poco ha a che vedere con il vuoto. Non si tratta di una agorafobia...
Ma ben altro!
Solo provandolo si può averne un'idea.
Non so se augurarlo comunque, sebbene sia, mi sa, necessario.
Citazione di: bobmax il 27 Aprile 2020, 23:05:14 PM
@Giopap
Il vuoto preesistente renderebbe altamente improbabile un radiazione cosmica di fondo isotropa.
Se vi fosse stato un vuoto preesistente, per rilevare l'isotropia della radiazione dovremmo noi trovarci nel punto dove è avvenuto il Big bang, o in sua prossimità.
Cioè prossimi all'unico centro dell'universo materiale.
Un caso davvero improbabile!
Viceversa, non essendoci un vuoto preesistente, qualunque punto è il centro. Quindi anche dove noi siamo.
So che è difficile afferrarlo, perché siamo condizionati dai qualcosa.
Se lo si afferra però, non può che nascere la meraviglia! E il nulla ritorna a giocare il suo ruolo.
Che la realtà sia nulla è lo scotto che bisogna pagare per superare il nichilismo.
Il nichilismo consiste nel convincimento che nulla ha valore.
La risposta, è nella constatazione che è invece il mondo fisico ad essere puro nulla!
Con questa constatazione, il gioco che il nichilismo chiudeva si riapre!
Cominciando dalla fine, credo che il nichilismo conoscitivo si superi con considerazioni logiche e gnoseologiche razionali.Le quali portano a mio avviso allo scetticismo.Il quale, contrariamente alla confusione che alcuni ingenuamente ne fanno, é l' esatto contrario del relativismo gnoseologico: quest' ultimo essendo la pretesa che tutte le possibili e reali teorie sono altrettanto sicuramente vere (anche quelle che sono reciprocamente contraddittorie: le tante "verità di questo e di quello", i tanti "saperi", al plurale, tutti ugualmente buoni...); quello invece é la consapevolezza che nessuna teoria é certamente vera, che nessuna conoscenza di come é o non é la realtà é esente dal possibile dubbio (teorico; dovendoci così accontentare di credere, se vogliamo, e comunque di agire in pratica per lo meno "come se lo credessimo", a quelle che siano certe soltanto "al di là di ogni ragionevole dubbio" pratico).Invece il relativismo etico non si supera con ragionamenti (dato che dall' "essere" non é possibile ricavare i "dover essere", dal come é la realtà (la cui conoscenza é comunque in linea teorica di principio sempre dubitabile) non é possibile dimostrare come debba essere (cosa fare in essa); ma invece irrazionalmente avvertendo "dentro di sé" imperativi morali che di fatto (e non di "diritto", non perché li si possa dimostrare) in una certa misura (nei loro aspetti più generale astratti), in conseguenza della storia naturale o evoluzione biologica, sono universalmente presenti in ogni uomo (e per qualche embrionale, limitatissimo aspetto anche in altri animali), mentre in altra misura (più particolare e concreta), in conseguenza della cultura o storia umana, sono limitati a gruppi e settori sociali più o meno grandi, variando col tempo e nello spazio.Secondo le teorie cosmogoniche e/o cosmologiche correnti la radiazione di fondo, isotropa, si é originata "un bel po' dopo" il Big bang, mentre il vuoto quantistico, per quelle che negano il nulla precedente il B. b stesso, ci sarebbe sempre stato, sarebbe sempre divenuto secondo le leggi "eterne" della meccanica quantistica.Peraltro devo dire (cosa che non ho fatto, forse per timidezza, nei precedenti interventi) che per parte mia trovo per lo meno problematica se non decisamente assurda l' ipotesi che un vuoto quantistico ("pienissimo" di enti ed eventi, per quanto "virtuali", ma comunque in quanto tali realissimi), contrariamente al nulla (autenticamente "vuotissimo" -per parlare metaforicamente, sia ben chiaro!- di qualsiasi ente o evento, di qualsiasi cosa), possa esistere (possa essere esistito prima del B.b.) in assenza di "circostanti e più o meno distanti" enti ed eventi reali (e non "virtualmente tali"!) che vi generino campi di forza.Quindi nemmeno le versioni "infinitistiche" nel tempo e nello spazio" delle cosmologie correnti mi convincono.Ma ancor meno quelle cosmogoniche correnti che ritengo inficiate dal paradosso, anzi alla contraddizione insanabile di postulare un nulla a cui segua qualcosa di reale.Da razionalista conseguente, piuttosto di accordare la mia fede a teorie che conducono a palesi contraddizioni logiche, ovvero insensate, preferisco sospendere il giudizio: come sia stato l' universo fisico materiale in un passato che non sia alquanto "prossimo" non lo so, ma tributo la mia credenza soltanto a ciò che la scienza mi dice (ragionevolmente, senza contraddizioni e nonsensi) del divenire della natura in un passato "non troppo remoto" e per il futuro. Altro non so (e non credo).Nella consapevolezza che ciò é vero solo alla condizione (indimostrabile) che il divenire naturale stesso sia ordinato, regolare, che segua modalità generali astratte (astraibili da parte del pensiero dagli eventi particolari concreti) universali e costanti.Non sarebbe la prima volta che teorie sostenute "quasi all' unanimità" dalla "comunità scientifica", magari per secoli, si rivelassero prima o poi errate e false.
@Giopap
Le teorie scientifiche non possono mai essere considerate Verità.
Il considerarle tali è superstizione. Superstizione scientifica non dissimile da ogni altra superstizione.
Di modo che pure il Nulla non può essere considerato un punto d'arrivo, una conclusione. Piuttosto il Nulla rappresenta il "limite" di fronte al quale occorre fermarsi e... resistere!
Il relativismo, a maggior ragione se etico, è indispensabile.
Perché il relativismo, se tenuto fermo, resistendo alla tentazione di abbracciare una "verità" che lo liberi dall'angoscia e allo stesso tempo evitando di piombare nel nichilismo (che è comunque anch'esso una "verità"), ci fornisce un'occasione unica.
Perché il relativista autentico, che non deflette costi quello che costi dal proprio relativismo, si ritrova inevitabilmente ad affrontare il Nulla.
Questo Nulla non è un qualcosa, se lo fosse sarebbe infatti un'altra "verità".
E' invece il limite.
E il limite, quando avvertito come tale, quando accettato come Nulla, ha un effetto prodigioso sullo stesso relativista.
Respingendo infatti ogni sua possibilità di aggrapparsi a qualcosa, lo costringe a rivolgersi a se stesso.
"Conosci te stesso!"
E' l'invito che il limite inevitabilmente rivolge a chi cerca la Verità.
In questo modo, il relativista si ritrova a dover essere proprio lui! In perfetta solitudine a cercare in se stesso, a cercare se stesso!
Per affermare se il Bene davvero è.
Citazione di: bobmax il 28 Aprile 2020, 12:54:01 PM
@Giopap
Le teorie scientifiche non possono mai essere considerate Verità.
Il considerarle tali è superstizione. Superstizione scientifica non dissimile da ogni altra superstizione.
Di modo che pure il Nulla non può essere considerato un punto d'arrivo, una conclusione. Piuttosto il Nulla rappresenta il "limite" di fronte al quale occorre fermarsi e... resistere!
Il relativismo, a maggior ragione se etico, è indispensabile.
Perché il relativismo, se tenuto fermo, resistendo alla tentazione di abbracciare una "verità" che lo liberi dall'angoscia e allo stesso tempo evitando di piombare nel nichilismo (che è comunque anch'esso una "verità"), ci fornisce un'occasione unica.
Perché il relativista autentico, che non deflette costi quello che costi dal proprio relativismo, si ritrova inevitabilmente ad affrontare il Nulla.
Questo Nulla non è un qualcosa, se lo fosse sarebbe infatti un'altra "verità".
E' invece il limite.
E il limite, quando avvertito come tale, quando accettato come Nulla, ha un effetto prodigioso sullo stesso relativista.
Respingendo infatti ogni sua possibilità di aggrapparsi a qualcosa, lo costringe a rivolgersi a se stesso.
"Conosci te stesso!"
E' l'invito che il limite inevitabilmente rivolge a chi cerca la Verità.
In questo modo, il relativista si ritrova a dover essere proprio lui! In perfetta solitudine a cercare in se stesso, a cercare se stesso!
Per affermare se il Bene davvero è.
Dissento su tutta la linea.Dal nichilismo gnoseologico, in quanto, da razionalista (per una scelta inevitabilmente irrazionale; rendersi conto della qual cosa significa essere più conseguentemente razionalista che ignorarlo illudendosi di esserlo per una scelta razionale), credo che la verità, la conoscenza vera in generale sia possibile, anche se non certa; e che la conoscenza scientifica in particolare sia possibile alla condizione della verità di un "minimo sindacale" di condizioni indimostrabili (essere vere, ma pure essere false); in particolare l' intersoggettività del mondo fenomenico materiale naturale, la sua misurabilità secondo proporzioni quantitative espresse da numeri e il suo divenire ordinato secondo modalità astratte (astraibili mentalmente dai fatti particolari concreti) universali e costanti esprimibile mediante equazioni algebriche.Invece superstizione é per me credere acriticamente vero non solo questo "minimo sindacale" di indimostrabile (che coincide fra l' altro con ciò cui a quanto pare qualsiasi persona comunemente ritenuta sana di mente di fatto per lo meno si comporta come se lo credesse), e inoltre nella chiara consapevolezza della suddetta indimostrabilità (e delle condizioni se fosse dimostrata la verità delle quali sarebbe dimostrata la verità di tutte le conoscenze credute); ma invece credere acriticamente "di tutto e di più" senza preoccuparsi circa la sua dimostrabilità in quanto verità (o magari in alternativa falsità) o meno.Dal nichilismo etico in quanto ritengo che, malgrado dall' "essere" non sia possibile ricavare il "dover essere", dal come é la realtà non sia possibile dimostrare come debba essere (che cosa si debba fare in essa), tuttavia tutti avvertono "dentro di sé" imperativi morali che di fatto (e non di "diritto", non perché li si possa dimostrare) in una certa misura (nei loro aspetti più generale astratti), in conseguenza della storia naturale o evoluzione biologica, sono universalmente presenti in ogni uomo (e per qualche embrionale, limitatissimo aspetto anche in altri animali), mentre in altra misura (più particolare e concreta), in conseguenza della cultura o storia umana, sono limitati a gruppi e settori sociali più o meno grandi, variando col tempo e nello spazio.Nessuno più e meglio del razionalista (negando il relativismo gnoseologico) avverte i limiti del conoscere (compresa l' indimostrabilità in ultima analisi della sua verità e i motivi di questa indimostrabilità di principio; men che meno il relativista gnoseologico per il quale qualsiasi pretesa "verità" (comprese quelle reciprocamente contraddittorie) sarebbe comunque ugualmente certa, ugualmente valida per l' appunto relativamente a ciascuno dei diversi soggetti di diversa credenza.Nessuno più e meglio del razionalista (negando il relativismo etico) coglie i limiti dell' agire, in relazione (e non nella relativistica pretesa di ignorare le relazioni) con l' agire degli altri.Nessuno più e meglio del razionalista può conoscere il senso del limite in generale, confrontarsi con il concetto del nulla e con la realtà della morte e conoscere se stesso, come qualsiasi altra cosa, riducendo in proposito al "minimo sindacale" le credenze in ciò che é degno di dubbio e dunque potrebbe benissimo essere falso.A tratti mi é venuto peraltro il dubbio che tu per "relativismo" intenda quello che secondo me comunemente si intende per "razionalismo (secondo la definizione che ne ho dato all' inizio di questo intervento), che stiamo dicendo el stesse cose con diverse parole.Ma probabilmente così non é, dal momento che affermi che il limite, in quanto avvertito come tale, sia da accettarsi come Nulla (avendo così un effetto prodigioso sullo stesso relativista).
Infatti il negare il limite (= avvertirlo come nulla; mi perdonerai, ma non conosco il concetto di "Nulla" con l' iniziale maiuscola; che così "a prima vista" mi sembrerebbe peraltro alquanto poco relativista) é effettivamente relativismo in generale.E in particolare negare il limite della certezza delle conoscenze é relativismo gnoseologico, negare il limite della soddisfacibilità, della "liceità" dei desideri e dei diritti propri (talora detto "volontà di potenza") é relativismo etico.
@Giopap
Il relativismo in realtà è uno solo: è sempre etico.
Il Nulla non è "negazione del limite" ma suo riconoscimento. Appunto, in quanto limite invalicabile.
Ed è invalicabile razionalmente.
E' emblematico come le implicazioni della teoria del Big bang vengano costantemente ignorate dal pensiero che si dichiara razionalista. Così come qualsiasi prospettiva, scientifica, etica, spirituale, che porti ad affrontare il limite.
E' infatti tipico del razionalista scartare tutto quello che non può comprendere in quanto non razionalizzabile.
Ritengo di parlare a ragion veduta riguardo al pensiero logico/razionale, avendo guadagnato il pane per una vita proprio nell'uso della logica. Cioè sul campo, dove le soluzioni devono poi funzionare davvero. Diversamente da quanti che ne vantano la competenza, acquisita però soltanto teoricamente...
Ho già spiegato il significato che do ai termini che scrivo in maiuscolo.
Immagino che per te, in quanto dichiarata razionalista, questo significato sia oscuro, proprio in quanto il razionalista non può cogliere le implicazioni del limite, ma non ci posso far niente.
D'altronde, da parte mia incontro difficoltà a seguire le tue argomentazioni. Che mi ritrovo a dover leggere più volte per non perdere il filo. Senza riuscire a giungere ad una soddisfacente chiarezza.
Citazione di: bobmax il 28 Aprile 2020, 18:20:29 PM
D'altronde, da parte mia incontro difficoltà a seguire le tue argomentazioni. Che mi ritrovo a dover leggere più volte per non perdere il filo. Senza riuscire a giungere ad una soddisfacente chiarezza.
Condivido. @giopap mi ricorda un altro utente, peraltro della mia stessa fede politica, con un avatar, diciamo "ingombrante", a cui io stessa raccomandai di non eccedere in parentesi e digressioni. In un forum di una mia precedente vita in rete c'era uno strumento utilissimo denominato
spoiler, in cui uno poteva chiudere le sue parentesi e digressioni, lasciando all'interlocutore la facoltà di accedervi o no.
Salve bobmax. Citandoti : "E' infatti tipico del razionalista scartare tutto quello che non può comprendere in quanto non razionalizzabile".
Hai ragione. Infatti tu che fai ? Non scarti ciò che non comprendi ma ti affretti a farlo golosamente tuo ?. Saluti.
bobmax:
Il relativismo in realtà è uno solo: è sempre etico.
Il Nulla non è "negazione del limite" ma suo riconoscimento. Appunto, in quanto limite invalicabile.
Ed è invalicabile razionalmente.
giopap:
Stavolta credo proprio di non essermi sbagliata nell' attribuirti la negazione del limite; copio/incollo (scritto da te)
<<Questo Nulla non è un qualcosa, se lo fosse sarebbe infatti un'altra "verità". E' invece il limite. E il limite, quando avvertito come tale, quando accettato come Nulla, ha un effetto prodigioso sullo stesso relativista.">>
Dire che "nulla é il limite" e ribadire che (il) nulla "va accettato come limite" in italiano significa negare il limite, dire che il limite non esiste.
bobmax:
E' emblematico come le implicazioni della teoria del Big bang vengano costantemente ignorate dal pensiero che si dichiara razionalista. Così come qualsiasi prospettiva, scientifica, etica, spirituale, che porti ad affrontare il limite.
E' infatti tipico del razionalista scartare tutto quello che non può comprendere in quanto non razionalizzabile.
giopap:
Sempre in lingua italiana queste affermazioni mi sembrano con tutta evidenza negare la razionalità (= affermare l' irrazionalità) delle teorie cosmogoniche del Big bang con precedente nulla: su questo concordo convintamente!
Al contrario che su quella per cui il razionalismo escluderebbe il limite: al contrario!
bobmax:
Ritengo di parlare a ragion veduta riguardo al pensiero logico/razionale, avendo guadagnato il pane per una vita proprio nell'uso della logica. Cioè sul campo, dove le soluzioni devono poi funzionare davvero. Diversamente da quanti che ne vantano la competenza, acquisita però soltanto teoricamente...
giopap:
Immodestamente (senza falsa modestia) penso di non essere da meno.
bobmax:
Ho già spiegato il significato che do ai termini che scrivo in maiuscolo.
Immagino che per te, in quanto dichiarata razionalista, questo significato sia oscuro, proprio in quanto il razionalista non può cogliere le implicazioni del limite, ma non ci posso far niente.
giopap:
Tutto al contrario: proprio perché solo il razionalista può coglierle.
bobmax:
D'altronde, da parte mia incontro difficoltà a seguire le tue argomentazioni. Che mi ritrovo a dover leggere più volte per non perdere il filo. Senza riuscire a giungere ad una soddisfacente chiarezza.
giopap:
Purtroppo é il mio modo di argomentare (e in proposito chiedo scusa anche ad Ipazia, poiché a quanto pare con le parentesi ho gli stesse problemi di quel suo vecchio compagno; di idee mi pare evidente).
No, Viator, non è così.
Qui non è questione di accettare o rifiutare.
Stiamo di fronte al limite!
Accettare cosa? Rifiutare cosa?
Occorre invece fare appello alla propria fede nella Verità.
E questo significa non forzare il gioco. E lo si forza ogni volta che si mente a se stessi.
Cioè ignorando volutamente che si tratta di un limite, oppure inventando soluzioni arbitrarie e quasi sempre contraddittorie (come il vuoto preesistente...).
La fede nella Verità ci obbliga invece a resistere!
A resistere di fronte al Nulla che pur abbiamo davanti.
Che non è certo limitato a considerazioni scientifiche, anzi...
Infatti, tipico caso di situazione in cui ci troviamo di fronte al limite è la morte. La morte della persona cara.
Se evitiamo di razionalizzare l'evento a tutti i costi, svuotandone in questo modo il pathos, così come non ci lasciamo andare alla disperazione dove tutto è perduto, ci possiamo trovare davanti il limite.
E il limite è lo sguardo della Medusa che ci interroga: "E adesso?"
E' il Nulla che ci vuole stanare.
Vedi che torniamo sempre alla fede nella Verità?
@Giopap
Questo giochino che fai con il Nulla e il limite è voluto o semplicemente una tua svista, simile a quando mi attribuivi di aver detto che l'universo è infinito?
Il limite rimanda al Nulla!
Mi sembra lapalissiano.
Se non è una svista possiamo chiudere qui.
Citazione di: bobmax il 28 Aprile 2020, 19:50:00 PM
@Giopap
Questo giochino che fai con il Nulla e il limite è voluto o semplicemente una tua svista, simile a quando mi attribuivi di aver detto che l'universo è infinito?
Il limite rimanda al Nulla!
Mi sembra lapalissiano.
Se non è una svista possiamo chiudere qui.
Io nutro sempre molto rispetto per gli interlocutori, che non significa far finta di ignorare "diplomaticamente" le divergenze e minimizzare gli errori che ritengo facciano, come ovviamente ne commetto io stessa, e spero non vengano "diplomaticamente" ignorati ma francamente evidenziati e corretti; rispetto che impone anzi di esprimersi con franchezza.
Perciò "giochini" con te o con latri qui nel forum non ne ho mai fatti; oltre che per il rispetto verso ogni interlocutore anche per un altro importante motivo, e cioé che non aiutano a ricercare la verità, che é lo scopo che mi prefiggo, in particolare in questo forum.
In uno sforzo di "traduzione" mi sembra di capire che tu, secondo me con un lessico tutto tuo personale, forse per "niente" ovvero "niente di reale" intendi il "limite che determina" concettualmente il "qualcosa di reale", nel senso che, poiché "omnis determinatio est negatio" (Spinoza), il senso di "qualcosa di reale" si stabilisce (per lo meno anche) in rapporto di negazione - opposizione (contrario) a quello di "nulla di reale".
A questo proposito (e se così é) rilevo che in realtà "nulla di reale" é negazione - opposizione assoluta (é il contrario) di "tutto di reale" e non di "qualcosa di reale"
(con cui é invece in rapporto di negazione soltanto relativa, non assoluta; ovvero non ne é il contrario); mentre
negazione - opposizione assoluta (il contrario) di "qualcosa di reale é "qualcosa (d' altro) di non reale".A qualcosa di reale (e qualcos' altro di non reale) che diviene nel tempo può logicamente (ed eventualmente anche realmente) darsi (anzi: per definizione di "divenire" necessariamente deve) che succeda nel tempo qualcos' altro di reale rispetto a ciò che reale era prima e qualcosa di non reale altro rispetto a ciò che non era reale prima.Mentre al nulla di reale, che non può implicare per definizione alcun divenire (oltre che alcun permanere), alcun tempo, alcun successivo futuro, non può succedere alcunché.
Il "nulla", ovvero il non essere (assolutamente indeterminato), il non essere di alcunché, proprio esattamente come l' "essere" di Parmenide (l' essere assolutamente indeterminato, l' essere di tutto), é per definizione fisso, immutabile, non ne segue alcunché di diverso da esso stesso.
In entrambi i casi si tratta di concetti dei quali non esiste alcuna denotazione o intensione reale.
Infatti empiricamente si constata che esiste qualcosa di mutevole nel tempo.
Cara Giopap,
ritengo di essere stato anch'io un tempo un razionalista. Ero davvero entusiasta del pensiero logico/razionale, perché ero convinto che in definitiva tutto fosse razionale e ciò che non era ancora stato compreso, lo sarebbe stato senz'altro in futuro.
Bastava impegnarsi, sfruttare al meglio la propria intelligenza e i progetti anche più visionari potevano infine realizzarsi!
Poi la vita ha bussato alla mia porta mostrandomi ciò che ancora ignoravo, o meglio, che cercavo di ignorare.
E adesso sono ancora qui, incoerente con la via che so dovrei seguire.
Senza decidermi a accettare ciò che devo: l'umiltà.
Come posso parlare del Nulla, se nelle mie parole non ne vivo per davvero l'annichilimento?
Provo allora, con umiltà, a chiarire alcuni punti.
Citazione di: giopap
poiché "omnis determinatio est negatio" (Spinoza), il senso di "qualcosa di reale" si stabilisce (per lo meno anche) in rapporto di negazione - opposizione (contrario) a quello di "nulla di reale".
La determinazione di qualcosa non è negazione del nulla, ma di ciò che quel qualcosa non è.
La determinazione di A, consiste nel negare tutto quello che A non è. Cioè B, C, D,...
Il "nulla" non ha alcun bisogno di essere negato.
La negazione è sempre rivolta a qualcosa. A si fonda sulla negazione di tutto
ciò che non è A.
Ed è in quel "ciò" che la negazione ha tutta la sua ragion d'essere, negandolo.
Non importa se ciò che è negato sia qualcosa di reale o immaginato o addirittura neppure pensato. Ma che sia qualcosa!
Citazione di: giopap
A qualcosa di reale (e qualcos' altro di non reale) che diviene nel tempo può logicamente (ed eventualmente anche realmente) darsi (anzi: per definizione di "divenire" necessariamente deve) che succeda nel tempo qualcos' altro di reale rispetto a ciò che reale era prima e qualcosa di non reale altro rispetto a ciò che non era reale prima.
Mentre al nulla di reale, che non può implicare per definizione alcun divenire (oltre che alcun permanere), alcun tempo, alcun successivo futuro, non può succedere alcunché.
Infatti!
Occorre però considerare che il permanere (essere) e il divenire non sono verità assolute.
Perché a ben guardarli, di per se stessi non esistono.
L'essere ha infatti senso solo in quanto diveniente. Un essere che non divenga in continuazione, anche nel periodo di tempo più breve, è un non senso.
E lo stesso dicasi del divenire. Che ha senso solo rispetto a un pur minimo qualcosa che permanga. Mentre nulla permane...
L'essere e il divenire sono fondamentali per la nostra visione del mondo, sono le fondamenta su cui si svolge il gioco della nostra vita, ma di per se stessi non esistono!
Questo Parmenide e Eraclito lo avevano ben compreso.
Entrambi infatti dicevano la medesima cosa. Uno focalizzandola sull'essere, l'altro sul divenire.
Ma il messaggio è lo stesso.
Viviamo nel mondo deli opposti, il mondo stesso nasce dalla loro contrapposizione!
La stessa verità (minuscolo) vive solo in contrapposizione con la falsità.
Infatti il vero è tale solo perché nega il falso.
La negazione della falsità è condizione necessaria per la verità.
Il nostro mondo è fondato sugli opposti.
essere – divenire, finito- infinito, materia-vuoto, vero – falso...
Ma se ci rivolgiamo alla Verità (maiuscolo) allora non vi è più opposizione che tenga. Siamo alla coincidenza degli opposti!
E non essendoci più opposizione, non è possibile alcuna definizione.
La Verità, l'Assoluto, il Bene, l'Essere... sono sempre il medesimo Nulla.
Per averne una idea, comunque sempre insufficiente, direi che il Nulla è:
Negazione della negazione.
L'Assoluto è la negazione di ogni possibile negazione.
Salve bobmax. Mi permetto una piccolo approfondimento analitico della tua seguente osservazione : "L'essere ha infatti senso solo in quanto diveniente. Un essere che non divenga in continuazione, anche nel periodo di tempo più breve, è un non senso.
E lo stesso dicasi del divenire. Che ha senso solo rispetto a un pur minimo qualcosa che permanga".
Gli oggetti enti) materiali hanno tutti tre dimensioni (LxPxH). I concetti (enti immateriali) hanno tutti una sola dimensione (P, cioè la Profondità con cui vengono pensati).
L'essere (il persistere materiale) ed il divenire (il mutare energetico) sono le due dimensioni di ciò che appunto è unicamente bidimensionale perchè rappresenta la rotazione vorticosa delle due separate ma insieme contigue ed indistinguibili FACCE della medesima cosa, cioè della relazione tra le cause e la loro trasformazioni in effetti. Saluti.
Sì, Viator, vi sono solo eventi.
La freccia di Zenone raggiunge il bersaglio. Ma solo perché la freccia in sé non esiste.
Se esistesse davvero, come oggetto determinato, non potrebbe muoversi.
E così è la vita, un susseguirsi di storie di vita, senza che vi sia nessuno che viva...
Caro bobmax, mi piace innanzitutto manifestare la mia soddisfazione per il fatto che, dopo qualche leggero e veniale sbandamento, la discussione sia tornata su binari di pacatezza e perfino cordialità grazie a qualche sforzo di entrambi.
Secondo me razionalità é anche e forse soprattutto consapevolezza dei limiti, "senso del limite".
Dunque credo che non sia razionalistico, ma invece irrazionalistico, pretendere che tutto sia razionale, integralmente comprensibile (a noi umani) e men che meno praticamente dominabile (qui si cadrebbe addirittura nel delirio di onnipotenza; o nella delirante volontà di potenza).
Per me il razionalismo é molto umile, consapevole dei suoi propri limiti; a cominciare dal fatto di non essere un atteggiamento razionalmente dimostrabile essere "giusto" o "da assumersi", ma invece irrazionalisticamente assunto d parte di chi lo assuma.
Concordo che La determinazione di qualcosa non é (precisamente) negazione del nulla, ma negazione di ciò che quel qualcosa non è (io ho scritto "di qualcos' altro" che mi sembra lo stesso concetto espresso con altre parole); la negazione del nulla (di reale) é invece la determinazione definitoria di "tutto" (di reale).
La negazione della realtà non sempre necessariamente é rivolta a qualcosa di parziale, a una qualche parte (del reale e/o del pensato); può benissimo essere riferita anche alla totalità (del reale e/o del pensato), e in questo caso definisce, determina concettualmente il "nulla".
Secondo me il permanere (essere) e il divenire non sono verità assolute di fatto, ***se*** é vera la conoscenza scientifica della natura materiale (che per me non esaurisce la realtà in toto); infatti conditio sine qua non (indimostrabile logicamente, né empiricamente constatabile) ne é il divenire ordinato, ovvero il mutamento "eracliteo" nei particolari concreti e la fissità "parmenidea" delle astratte modalità universali e costanti.
Secondo me di per sé, come meri concetti o "contenuti di pensiero a prescindere dalla realtà" sia l' essere che il non essere integrali, assoluti hanno senso, conferito loro dalla loro reciproca negazione (Parmenide errava, secondo me, perché l' empiria ne falsificava le tesi, ma non diceva assurdità insensate, autocontraddittorie).
Così come non é un' assurdità autocontraddittoria, insensata l' ipotesi di un mutamento assoluto integrale, caotico; il cui non accadere realmente é conditio sine qua non della conoscibilità scientifica del mondo materiale naturale, ma non solo non é impensabile in modo sensato, logicamente corretto come ipotesi, ma nemmeno é dimostrabile non accadere (né accadere, per fortuna!) realmente.
Concordo che La stessa verità (minuscolo) vive solo in contrapposizione con la falsità. Infatti il vero è tale solo perché nega il falso. La negazione della falsità è condizione necessaria per la verità.
E' quanto lucidamente evidenziato da Spinoza: "omnis determinatio est negatio".
Ma nella mia pignoleria credo che si possa dire che Il nostro mondo è fondato sugli opposti (essere – divenire, finito- infinito, materia-vuoto, vero – falso...) solo nel senso de "il mondo in quanto da noi conosciuto", ovvero "ciò che possiamo conoscere del mondo", potendone sensatamente parlare, predicare l' esistenza reale o meno (credo che apprezzerai l' umiltà razionalistica, il senso del limite di questa pignola precisazione).
Nel discorso sulla Verità con l' iniziale maiuscola, da razionalista impenitente non posso seguirti.
Comunque il nulla (non realtà di alcunché) é un concetto sensato dal momento che non é assoluto ma relativo a, determinato dalla, negazione del concetto di tutto (realtà di ogni e qualsiasi cosa; di ogni e qualsiasi cosa pensabile e di ogni e qualsiasi cosa effettivamente reale).
Citazione di: giopap il 30 Aprile 2020, 10:16:35 AM
Secondo me di per sé, come meri concetti o "contenuti di pensiero a prescindere dalla realtà" sia l' essere che il non essere integrali, assoluti hanno senso, conferito loro dalla loro reciproca negazione (Parmenide errava, secondo me, perché l' empiria ne falsificava le tesi, ma non diceva assurdità insensate, autocontraddittorie).
Così come non é un' assurdità autocontraddittoria, insensata l' ipotesi di un mutamento assoluto integrale, caotico; il cui non accadere realmente é conditio sine qua non della conoscibilità scientifica del mondo materiale naturale, ma non solo non é impensabile in modo sensato, logicamente corretto come ipotesi, ma nemmeno é dimostrabile non accadere (né accadere, per fortuna!) realmente.
Sono viceversa dell'idea che il pensiero di Parmenide sia auto contraddittorio, così come contraddittoria è pure l'idea di un divenire assoluto.
Questo però non significa che Parmenide ed Eraclito avessero torto... anzi, tutt'altro.
Perché è proprio il Principio di non contraddizione ad essere messo in discussione!
Nello specifico la sua formulazione più semplice: il Principio d'identità.
Il principio d'identità è a fondamento del nostro pensare determinato.
Tuttavia, questo principio non soddisfa la realtà empirica.
Ed è proprio la sua incompatibilità con la realtà che viene denunciata da Parmenide e da Eraclito.
L'A = A è indispensabile per il pensare.
Difatti il pensiero necessita di negare continuamente che A possa essere diverso da A.
Se cedesse, se ammettesse la possibilità che A è pure non A, il caos si impadronirebbe della mente, e nessun pensiero intellegibile sarebbe più possibile.
Tuttavia la realtà non sottostà all'A = A.
Zenone, discepolo di Parmenide, con i suoi paradossi metteva in discussione proprio quel A = A.
Attenzione! Diceva, la freccia raggiunge il bersaglio perché la freccia, che siamo abituati ad intendere come un oggetto in sé, determinato, non esiste.
Se davvero Freccia = Freccia, nessun movimento sarebbe possibile.
A non è mai uguale a A.
E lì è la liberazione...
Citazione di: bobmax il 30 Aprile 2020, 19:34:17 PM
Citazione di: giopap il 30 Aprile 2020, 10:16:35 AM
Secondo me di per sé, come meri concetti o "contenuti di pensiero a prescindere dalla realtà" sia l' essere che il non essere integrali, assoluti hanno senso, conferito loro dalla loro reciproca negazione (Parmenide errava, secondo me, perché l' empiria ne falsificava le tesi, ma non diceva assurdità insensate, autocontraddittorie).
Così come non é un' assurdità autocontraddittoria, insensata l' ipotesi di un mutamento assoluto integrale, caotico; il cui non accadere realmente é conditio sine qua non della conoscibilità scientifica del mondo materiale naturale, ma non solo non é impensabile in modo sensato, logicamente corretto come ipotesi, ma nemmeno é dimostrabile non accadere (né accadere, per fortuna!) realmente.
Sono viceversa dell'idea che il pensiero di Parmenide sia auto contraddittorio, così come contraddittoria è pure l'idea di un divenire assoluto.
Questo però non significa che Parmenide ed Eraclito avessero torto... anzi, tutt'altro.
Perché è proprio il Principio di non contraddizione ad essere messo in discussione!
Nello specifico la sua formulazione più semplice: il Principio d'identità.
Il principio d'identità è a fondamento del nostro pensare determinato.
Tuttavia, questo principio non soddisfa la realtà empirica.
Ed è proprio la sua incompatibilità con la realtà che viene denunciata da Parmenide e da Eraclito.
L'A = A è indispensabile per il pensare.
Difatti il pensiero necessita di negare continuamente che A possa essere diverso da A.
Se cedesse, se ammettesse la possibilità che A è pure non A, il caos si impadronirebbe della mente, e nessun pensiero intellegibile sarebbe più possibile.
Tuttavia la realtà non sottostà all'A = A.
Zenone, discepolo di Parmenide, con i suoi paradossi metteva in discussione proprio quel A = A.
Attenzione! Diceva, la freccia raggiunge il bersaglio perché la freccia, che siamo abituati ad intendere come un oggetto in sé, determinato, non esiste.
Se davvero Freccia = Freccia, nessun movimento sarebbe possibile.
A non è mai uguale a A.
E lì è la liberazione...
Ma non si può stabilire attraverso constatazioni empiriche a posteriori la validità o meno di un principio logico a priori che nulla dice della realtà, ma solo del corretto modo di ragionare, pensare logicamente, parlare; attraverso constatazioni empiriche a posteriori si può invece stabilire la verità o meno di ma invece di giudizi sintetici circa come é o non é la realtà.In particolare il principio di identità/non contraddizione, arbitrariamente stabilito a priori nelle definizioni di "negazione" e di "essere" e "non essere" non può essere falsificato da alcuna osservazione empirica circa la realtà, né può esserne verificato o altrimenti dimostrato semplicemente perché nulla dice (di verificabile o falsificabile empiricamente a posteriori) circa la realtà, ma invece stabilisce una regola a priori del discorso corretto (sensato).In Parmenide (di cui non sono particolarmente esperta) non colgo alcuna contraddizione; semplicemente trovo l' ignoranza, e anzi la negazione errata, falsa del dato empirico del divenire nel tempo della realtà: l' essere non può non essere (e fin qui sono d' accordo); però si constata a posteriori che il mutamento c' é, che l' essere a un determinato tempo t0, oltre a non potere non essere al medesimo tempo t0, può benissimo non essere in qualsiasi altro tempo ...t-3, t-2, t-1, t+1, t+2, t+3...I paradossi di Zenone secondo me sono invece veri e propri paralogismi, ragionamenti logicamente scorretti, contrariamente alle tesi del suo maestro che vorrebbero sostenere.Il loro errore fondamentale a tutti comune é di dividere tratti di spazio e lassi di tempo finiti in un numero infinito di parti per affermare che a velocità finita non potrebbero essere percorsi un tempo finito; ma senza rendersi conto che tali parti di spazio (distanze) e di tempo di numero infinito (ricavate dividendo all' infinito, in infinite parti segmenti e lassi di tempo finito) sono anche infinitamente piccole (brevi), oltre che infinitamente numerose; di modo che inevitabilmente l' infinito loro numero (al numeratore) si elide con l' infinita brevità di ciascuno di loro (al denominatore), ridando distanze finite, percorse a velocità finite (da frecce, Achilli piè veloci, ecc.) in tempi finiti.
Sì, Giopap, in effetti ho esagerato parlando di "contraddizione" in Parmenide e in Eraclito...
Perché seguendo il loro pensiero non si tratta proprio di andare "contro" il principio di non contraddizione, ma di andarvi "oltre".
Leggendo Il Parmenide di Platone, possiamo secondo me seguire il pensiero logico che giunge al proprio limite. Dove il pensiero stesso cessa, e non vi è più contraddizione possibile, nessuna negazione possibile, e quindi alcuna determinazione.
Il poeta Platone, e gli autentici poeti sono senz'altro dei massimi logici, ci conduce al cospetto dell'Uno.
Almeno sino a limite del logicamente possibile. E lo fa con una lucidità ammirevole.
Occorre riuscire a vedere l'impossibilità del molteplice. E cioè la sua intrinseca contraddittorietà. Proprio attraverso lo stesso principio di identità!, facendolo giungere al dissolvimento.
Il molteplice riguarda sia l'essere sia il divenire.
Fisicamente la determinazione, quindi la scissione, è sia spaziale sia temporale. Ma è un atto arbitrario, anche se indispensabile, per la nostra comprensione del mondo.
Parmenide con il suo "l'essere è il non essere non è" negava che ciò che è, potesse non essere. Ossia negava il divenire: nessuna cosa diviene.
Mentre Eraclito con il suo "Non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume" negava che vi fosse qualcosa che permanesse.
Ma la sostanza del messaggio è la stessa: Non vi è nessuna cosa!
Emanuele Severino, buon'anima, ha molto approfondito Parmenide.
Ma è rimasto ancorato a quel "essere è, il non essere non è".
Secondo lui, e pure secondo me, la fede nel divenire è all'origine del nichilismo.
Una fede erronea, a suo e mio parere, perché niente in realtà diviene.
Negava perciò il divenire, e così si è inventato gli "eterni"...
Evitando però così affrontare il secondo corno della questione: l'essere molteplice.
Ho avuto modo di confrontarmi più volte con lui. Perché non vi è solo la fede nel divenire, ma pure quella nel molteplice a dar linfa al nichilismo.
Comunque non si è schiodato, restando fermo, nonostante i tanti saggi che ha scritto, a quanto detto in Essenza del nichilismo 50 anni fa.
Zenone non è banale come si potrebbe pensare ad un primo acchito.
Neppure la fisica degli infinitesimi riesce a risolvere il paradosso.
Paradosso che è tutto racchiuso nella inconciliabilità di finito con infinto.
Tutti e due sono necessari, ma insieme si contraddicono a vicenda.
Zenone non negava l'evento "freccia che raggiunge il bersaglio", ci mancherebbe altro.
Negava che la freccia, considerata distinta dal tutto il resto, cioè "finita" potesse davvero muoversi.
E' il qualcosa, distinto da tutto il resto, che Zenone negava.
Il problema, cara Giopap, è proprio il qualcosa...
Caro bobmax, senza troppe pretese di convincerti dal momento che non si possono razionalmente confutare credenze irrazionali ma al massimo se ne può evidenziale l' assurdità, l' essere autocontradddittorie, insensate, soprattutto allo scopo di una reciproca migliore comprensione nei limiti del possibile, espongo pignolescamente i miei notevolissimi dissensi.
bobmax:
Sì, Giopap, in effetti ho esagerato parlando di "contraddizione" in Parmenide e in Eraclito...
Perché seguendo il loro pensiero non si tratta proprio di andare "contro" il principio di non contraddizione, ma di andarvi "oltre".
Leggendo Il Parmenide di Platone, possiamo secondo me seguire il pensiero logico che giunge al proprio limite. Dove il pensiero stesso cessa, e non vi è più contraddizione possibile, nessuna negazione possibile, e quindi alcuna determinazione.
giopap:
E nemmeno alcuna affermazione possibile.
bobmax:
Il poeta Platone, e gli autentici poeti sono senz'altro dei massimi logici, ci conduce al cospetto dell'Uno. Almeno sino a limite del logicamente possibile. E lo fa con una lucidità ammirevole.
giopap:
Secondo me i poeti raramente sono logici eccellenti, nel fare poesia, potendone in molti casi farne a meno almeno in qualche misura; anche se in teoria nulla vieta che lo siano.
bobmax:
Occorre riuscire a vedere l'impossibilità del molteplice. E cioè la sua intrinseca contraddittorietà. Proprio attraverso lo stesso principio di identità!, facendolo giungere al dissolvimento.
giopap:
Questo più che Platone mi sembra Parmenide.
Il quale scrisse in versi la sua opera maggiore, purtroppo quasi interamente perduta, facendo un uso propriamente mnemonico della scrittura in versi stessa che é proprio del genere "didascalico" anticamente molto diffuso probabilmente anche per ovviare alla difficoltà di produrre molteplici stesure scritte di opere scientifiche o filosofiche in assenza della tecnica della stampa; un esempio sublime ne é il De rerum natura di Lucrezio, "del tutto casualmente" (non era per niente inevitabile che lo fosse) anche di elevatissimo, inestimabile valore estetico (poetico nel senso in cui si intende anche oggi la poesia), oltre che scientifico o meglio filosofico; esteticamente buone, anche se non a tale livello né a quello dell' Eneide, sono le Georgiche e le Bucoliche di Virgilio, nelle quali si insegnava l' agricoltura e la pastorizia (ma la stessa Eneide aveva un intento didascalico, di esposizione storica, per quanto encomiasticamente, propagandisticamente assai distorto, ideologicamente celebrativo, nel modo, assai poco critico e scientifico, nel quale la storiografia era allora concepita).
bobmax:
Il molteplice riguarda sia l'essere sia il divenire. Fisicamente la determinazione, quindi la scissione, è sia spaziale sia temporale. Ma è un atto arbitrario, anche se indispensabile, per la nostra comprensione del mondo. Parmenide con il suo "l'essere è il non essere non è" negava che ciò che è, potesse non essere. Ossia negava il divenire: nessuna cosa diviene. Mentre Eraclito con il suo "Non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume" negava che vi fosse qualcosa che permanesse. Ma la sostanza del messaggio è la stessa: Non vi è nessuna cosa!
giopap:
Al contrario!
A me par proprio che entrambi affermassero che vi é qualcosa; più veracemente descrivendo il "qualcosa reale" nella sua complessità, nei suoi aspetti più generali astratti Eraclito, molto più falsamente Parmenide; come empiricamente constatabile a posteriori.
bobmax:
Emanuele Severino, buon'anima, ha molto approfondito Parmenide. Ma è rimasto ancorato a quel "essere è, il non essere non è".
Secondo lui, e pure secondo me, la fede nel divenire è all'origine del nichilismo. Una fede erronea, a suo e mio parere, perché niente in realtà diviene. Negava perciò il divenire, e così si è inventato gli "eterni"...
giopap:
Queste mi paiono proprio tesi empiricamente falsificate al di là di ogni ragionevole dubbio.
Il nichilismo non é affatto professato da una moltitudine di credenti nel divenire naturale (credenti correttamente, veracemente; al contrario di Parmenide e di Severino).
La falsità delle tesi dei due fissisti, antico e moderno, é empiricamente provata, anche se pretende di fondarsi su un paralogismo, su un logicamente scorrettissimo e falsissimo giudizio analitico a priori, banalissimo, direi anzi penoso (alla faccia della presunzione dei suddetti personaggi e del largo seguito di cui godono fra i "professori di filosofia"; che é concetto ben diverso da quello di "filosofi"); precisamente su una petizione di principio per la quale il demostrandum (l' incompatibilità del mutamento e dunque del tempo con la realtà, con ciò che é realmente, l' "essere") é implicitamente assunto come demostratum, ciò che si deve provare essere vero é scorrettamente usato come prova della verità di se stesso.
bobmax:
Evitando però così affrontare il secondo corno della questione: l'essere molteplice. Ho avuto modo di confrontarmi più volte con lui. Perché non vi è solo la fede nel divenire, ma pure quella nel molteplice a dar linfa al nichilismo. Comunque non si è schiodato, restando fermo, nonostante i tanti saggi che ha scritto, a quanto detto in Essenza del nichilismo 50 anni fa.
giopap:
Il divenire del reale non lo si crede per fede (credo che di fatto nessuno l' abbia mai fatto, anche se sarebbe teoricamente possibile; ma del tutto irrilevante).
Idem per quanto riguarda la molteplicità del reale.
Entrambi fatti reali li si constata empiricamente.
Nè l' uno né l' altra portano alcuna acqua al mulino del nichilismo, o linfa al nichilismo stesso.
Tant' é vero che vi sono tantissimi sostenitori della valenza etica dell' agire umano (e forse in qualche misura non solo) che, come la stragrande maggioranza delle persone di buonsenso, credono nel divenire e nella molteplicità del reale.
Almeno il buon vecchio Parmenide ci risparmiava quest' ulteriore assurdissima pretesa...
bobmax:
Zenone non è banale come si potrebbe pensare ad un primo acchito. Neppure la fisica degli infinitesimi riesce a risolvere il paradosso.
Paradosso che è tutto racchiuso nella inconciliabilità di finito con infinto. Tutti e due sono necessari, ma insieme si contraddicono a vicenda. Zenone non negava l'evento "freccia che raggiunge il bersaglio", ci mancherebbe altro. Negava che la freccia, considerata distinta dal tutto il resto, cioè "finita" potesse davvero muoversi. E' il qualcosa, distinto da tutto il resto, che Zenone negava. Il problema, cara Giopap, è proprio il qualcosa...
giopap:
Penso di aver brillantemente confutato il pur non banale Zenone nell' intervento precedente.
Che una freccia che non si muove dall' arco sito in un luogo distante da quello del bersaglio (entrambi ovviamente finiti e distinti da tutto il resto) possa raggiungere il bersaglio medesimo mi sembra un paralogismo dei più sgangheratamente contraddittori ed assurdi (oltre che la negazione dei fatti empiricamente verificabilissimi sinteticamente a posteriori).
@Giopap
Direi che ci siamo chiariti.
Non siamo d'accordo neppure in cosa consista il "dimostrare".
Ritengo che proseguire sarebbe solo tempo perso.
Inoltre, il banalizzare antichi pensatori tuttora insuperati, così come il trascurare la profondità della poesia, è per me un ostacolo pressoché insormontabile per un'autentica comunicazione.
Per inciso, Il Parmenide è un'opera di Platone.
Buona continuazione.
Citazione di: bobmax il 01 Maggio 2020, 20:01:14 PM
@Giopap
Direi che ci siamo chiariti.
Non siamo d'accordo neppure in cosa consista il "dimostrare".
Ritengo che proseguire sarebbe solo tempo perso.
Inoltre, il banalizzare antichi pensatori tuttora insuperati, così come il trascurare la profondità della poesia, è per me un ostacolo pressoché insormontabile per un'autentica comunicazione.
Per inciso, Il Parmenide è un'opera di Platone.
Buona continuazione.
Anche se per parte mia distinguerei fra banalizzzazione e dissenso radicale espresso senza peli sulla lingua e delicatezza diplomatica, concordo col fatto che ci siamo già chiaramente illustrate le rispettive divergenti convinzioni ottenendo entrambi utili informazioni ed auspicabilmente interessanti spunti di riflessione.
Grazie per la disponibilità e le pazienza.
Citazione
Dalla verifica, in questo caso sperimentale, di questa temperatura media omogenea, è stato possibile accertare come vera l'ipotesi del big bang.
Insomma, al di là di ogni altra considerazione, l'indagine sull'universo è davvero un campo pieno di sorprese meravigliose, rispetto alle quali, tra l'altro, non credo che il pensiero filosofico possa restare indifferente.
Riesumo questo argomento relativamente vecchio: non tanto per sottolineare la provvisorietà della "accertata verità dell'ipotesi del big bang", che già altri hanno ricordato: la provvisorietà e la parzialità delle conferme scientifiche sono il bello della scienza, anche se questo la limita. E oltre tale limite c'è appunto la filosofia, così come la scienza inizia là dove finisce l'opinione e la preferenza personale (che può essere più o meno condivisa ma non per questo confermata maggiormente rispetto alle questioni scientifiche), allo stesso modo la fosofia non può essere smentita dalle conferme della scienza. Non la filosofia vista come un mero commento di altro (come la filosofia della scienza ad esempio), ma la filosofia intesa come tensione rigorosa, ampia ed estrema verso il massimo sviluppo possibile, in ogni direzione (cioè con molteplici forme di concatenazione logica, anche opposte tra loro), partendo da presupposti che devono essere anch'essi sacrificabili in tali sviluppi logici. "Vince" la concatenazione più duratura, che comunque finirà nello stesso modo delle altre: si arresterà per assenza di spiegazioni definitive, o per ricorsioni che in fondo indicano una medesima assenza. Oltre la quale, dopo un momento quasi ineffabile non sempre avvertito, c'è solo la ridiscesa alle questioni sperimentali e alle opinioni, o anche più giù, alle emozioni e sensazioni e alle vicissitudini più corporali. Il tutto vissuto in modo diverso, dopo la salita e la ridiscesa. O meglio, vissuto per la prima volta per come si presenta, più che per come volevamo.
La scienza non può invece sacrificare i propri presupposti, per lo meno non quelli che la rendono quella che è (e che sono più filosofici che scientifici), e che sono stati posti a fondamento della scienza per scopi diversi dalla verità: la scienza la si vuole funzionale, non veritiera, anche se ideologicamente si può scambiare la funzionalità con la verità e con la realtà.
Per questo, a differenza di quanto detto alla fine del post di apertura citato, il pensiero filosofico può restare per lo più indifferente verso le conferme scientifiche, sempre provvisorie, come quelle sul big bang. Non certo perché non siano affascinanti e grandiose, ma perché si basano su presupposti già indagati e risolti dalla filosofia, se per "risolti" si intende l'averli portati alle estreme conseguenze, e averne constatato l'inconsistenza.
Ad esempio: la casualità con cui l'uniforme e ribollente vuoto ordinato si rompe in un certo momento, dando così sviluppo al relativo disequilibrio di forze chiamato universo.
Casualità... Ma in un crogiolo di forze opposte che si scontrano in molteplici modi, anche se la maggioranza di tali modi porta ad un equilibrio istantaneo che permette una uniformità generalizzata, ci sarà necessariamente un'infinità di eccezioni, tra cui quella che fa apparire il nostro universo. È una necessità, una conseguenza spontanea ed ovvia se le condizioni erano quelle descritte: un ribollire di scontri senza particolari limiti. Il caso, nel senso che eccezioni all'uniformità ribollente potevano non esserci, non ha senso, non se tale condizione dinamica non ha particolari limitazioni o condizioni prestabilite. Se può avvenire un disequilibrio, e non tutte le condizioni equilibrate sono sufficienti ad impedirlo, esso accadrà. Tutt'al più può esserci casualità nel determinare quale specifico disequilibrio si svilupperà. Ma neanche, perché anch'esso sarà quello con le caratteristiche più appropriate a farsi spazio, almeno "momentaneamente", tra i suoi simili (un momento che può corrispondere alla durata di questo universo.
Questa non è la descrizione di un determinismo assoluto: il tutto infatti avviene in un sottofondo quantistico pieno di probabilità multiple comunque presenti, molte delle quali potranno svilupparsi prima o poi o in qualche altra maniera "parallela". Ma, soprattutto, non si tratta di un determinismo assoluto perché non c'è una causa precedente all'apparire dell'universo. Neanche il ribollente sostrato uniforme è infatti la causa della rottura di equilibrio con cui appare l'universo, perché non c'è un tempo che possa determinare il passaggio dall'uniformità quantistica al disequilibrio inflazionistico. La schiuma del "vuoto" è infatti nella scala di Plank (seguo quel che ricordo dei testi di fisica non scolastica né universitaria), in cui anche lo spazio ed il tempo ribollono, ed in cui quindi non c'è linearità e continuità temporale. Da questo punto di vista, non c'è nessun passaggio temporale dalla schiuma quantistica all'universo inflazionato ordinario. È come cercare di determinare quando è sorta la casa dai mattoni. Non c'è stato un passaggio dai mattoni alla casa, i mattoni rimangono mattoni prima, durante e dopo l'evento chiamato casa, e la casa non ha un inizio identificabile, non c'è un momento durante la sua costruzione che può essere indicato dicendo "ecco, questa ora è una casa", al massimo può essere detto convenzionalmente quando la costruzione è considerabile come abitabile o quando si sono completati sufficientemente anche i dettagli desiderati, considerazioni non altrettanto ben applicabili all'universo, che non è visto dalla magiioanza della scienza come un luogo finalizzato ad una qualche finalità (come appunto l'abitabilità) e che si trova in continuo mutamento.
Parlando più in astratto ma ancor più in aderenza con la scienza a cui si adatta bene proprio il linguaggio matematico, è come voler cercare l'inizio della numerazione, o il passaggio da 0 a 1, cercando tra gli infinitesimi: quale è il numero infinitesimale da cui cominciano i numeri naturali? Non c'è: nonostante gli infinitesimali siano alla base dei numeri naturali, la caratteristica degli infinitesimali è proprio quella di essere indefinitamente decrescenti, sono riducibili a piacere, senza limite. Non importa quanti infinitesimali aggiungi allo zero, non raggiungerai mai pienamente l'uno. Per passare da 0 a 1 devi aggiungere 1, l'intero. Per passare da nessun universo ad un universo, devi considerare l'universo intero, non una sua frazione infinitesimale (nonostante tu possa guardare l'universo-intero dal punto di vista della totalità degli infinitesimali, ma a questo punto sei nei transfiniti, non più negli infinitesimali, e neanche più negli interi naturali).
Non c'è il tempo zero, o il punto primo, da cui si è passati dalla quantistica alla fisica ordinaria. L'universo ha un inizio ma non è rintracciabile, perché ha un sostrato infinitesimale non commensurabile al suo apparire esteso: il suo inizio è il suo limite nel tempo, non un suo apparire nel tempo.
CitazioneNon importa quanti infinitesimali aggiungi allo zero, non raggiungerai mai pienamente l'uno.
Mi auto-cito per fare una specificazione, quasi una, correzione: è ovvio che se aggiungo per due volte, ad esempio, 0,5, ho già ottenuto 1. Ma il punto è che affidarsi agli infinitesimali rende arbitrario a quale ordine di grandezza (anzi, di piccolezza) bisogna guardare per determinare da dove comincerebbe l'1, l'intero. È arbitrario perché non si potrà mai trovare il "numero più piccolo", negli infinitesimali. Questo in matematica.
Nella fisica si potrebbe pensare che le cose stanno diversamente. Ma, per poter dire che è così, bisognerebbe trovare il "mattone fondamentale", e, a meno che non abbia ragione la teoria delle stringhe, che pone come mattone dei filamenti di poco più grandi della misura di Plank (senza però saper dire, credo, quale sarebbe la causa dell'esistenza di tali oggetti), alla scala di Plank non c'è più la possibilità di trovare una unità fondamentale con una misura stabilita, a causa del ribollimento quantistico. Il risultato è quindi simile a quello della matematica: non c'è una unità fondamentale, una "unità più piccola di tutte", se si va nell'infinitesimo.
Citazione di: bobmax il 25 Aprile 2020, 03:42:20 AM
È emblematico come il pensiero lasciato a se stesso, cioè libero di pensare ciò che gli pare, possa contraddirsi senza alcuna remora.
La teoria del Big bang postula l'inizio del tempo e l'inizio dello spazio. Ma poiché la mente rifugge istintivamente il nulla, se non viene tenuta ferma, coerente con se stessa, finisce con l'immaginare cosa c'era prima... e l'ipotizzare un vuoto dove non c'è alcuno spazio...
Questo succede quando latita le fede nella Verità.
Non direi proprio, la fede in qualsiasi Verità, a parte che bisognerebbe capire di cosa si tratta, porta solo alla latitanza della ragione.
Sono d'accordo sull'insensatezza logica delle varie teorie del tutto, ma non le attribuisco a mancanza di fede, ma anzi proprio a una inopportuna fede nelle possibilità della scienza e della ragione in generale, in contraddizione con la ragione stessa.
Nonostante questa insensatezza di fondo, che porta a immancabili paradossi e contraddizioni, non sottovaluto il valore delle ricerche e delle speculazioni che solo come effetto collaterale, come abuso, portano ad indebite cosmologie che appartengono al campo della metafisica e non della scienza.
Citazione di: Aumkaara il 14 Ottobre 2020, 02:15:28 AM
La scienza non può invece sacrificare i propri presupposti, per lo meno non quelli che la rendono quella che è (e che sono più filosofici che scientifici), e che sono stati posti a fondamento della scienza per scopi diversi dalla verità: la scienza la si vuole funzionale, non veritiera, anche se ideologicamente si può scambiare la funzionalità con la verità e con la realtà.
Per questo, a differenza di quanto detto alla fine del post di apertura citato, il pensiero filosofico può restare per lo più indifferente verso le conferme scientifiche, sempre provvisorie, come quelle sul big bang. Non certo perché non siano affascinanti e grandiose, ma perché si basano su presupposti già indagati e risolti dalla filosofia, se per "risolti" si intende l'averli portati alle estreme conseguenze, e averne constatato l'inconsistenza.
Concordo, mi sembra un atteggiamento corretto ed equilibrato. Purtroppo sembra che si stia invece rafforzando una tendenze positivista che pretenderebbe di attribuire alla scienza quello che compete alla filosofia, rivendicando in sostanza alla scienza il monopolio della conoscenza. Una tendenza, oltre che fallace, intellettualmente, culturalmente e socialmente pericolosa.
Citazione di: Donalduck il 24 Dicembre 2020, 16:20:41 PM
... non sottovaluto il valore delle ricerche e delle speculazioni che solo come effetto collaterale, come abuso, portano ad indebite cosmologie che appartengono al campo della metafisica e non della scienza.
Se per cosmologia intendiamo, come da tradizione, lo studio sulle origini di quello che la scienza moderna chiama :
universo, non vedo proprio come questo ente, fisico per sua natura, possa appartenere al campo della metafisica (e non della scienza). A meno che per metafisica non si intenda la
filosofia naturale. Ma in tal caso la questione è semantica, epistemologica, ma non certo di natura ontologica, richiedendo ogni cosmologia fondata un suo corollario dimostrativo sperimentale, ovvero scienza.
Citazione di: Donalduck il 24 Dicembre 2020, 16:20:41 PM
Citazione di: bobmax il 25 Aprile 2020, 03:42:20 AM
È emblematico come il pensiero lasciato a se stesso, cioè libero di pensare ciò che gli pare, possa contraddirsi senza alcuna remora.
La teoria del Big bang postula l'inizio del tempo e l'inizio dello spazio. Ma poiché la mente rifugge istintivamente il nulla, se non viene tenuta ferma, coerente con se stessa, finisce con l'immaginare cosa c'era prima... e l'ipotizzare un vuoto dove non c'è alcuno spazio...
Questo succede quando latita le fede nella Verità.
Non direi proprio, la fede in qualsiasi Verità, a parte che bisognerebbe capire di cosa si tratta, porta solo alla latitanza della ragione.
Sono d'accordo sull'insensatezza logica delle varie teorie del tutto, ma non le attribuisco a mancanza di fede, ma anzi proprio a una inopportuna fede nelle possibilità della scienza e della ragione in generale, in contraddizione con la ragione stessa.
Nonostante questa insensatezza di fondo, che porta a immancabili paradossi e contraddizioni, non sottovaluto il valore delle ricerche e delle speculazioni che solo come effetto collaterale, come abuso, portano ad indebite cosmologie che appartengono al campo della metafisica e non della scienza.
Probabilmente è solo una questione di intendersi sul significato di alcuni termini.
Ve ne sono infatti che suscitano una qual diffusa idiosincrasia.
Ma mi sembra di tutta evidenza che fondamento della scienza sia la fede nella Verità.
Rinuncia al possesso della Verità e fede in essa!
Questo è ciò che anima la scienza.
Tant'è vero che qualsiasi scienziato, degno di questo nome, ha necessariamente fede nella Verità.
Rinuncia al possesso e fede, la Verità equivale infatti al Nulla.
Riguardo poi alla fede...
Che non è credenza in qualcosa...
Mi pare di altrettanta evidenza che la fede è indispensabile per lo stesso pensiero.
Senza fede non si pensa.
Citazione di: Ipazia il 24 Dicembre 2020, 17:00:59 PM
Citazione di: Donalduck il 24 Dicembre 2020, 16:20:41 PM
... non sottovaluto il valore delle ricerche e delle speculazioni che solo come effetto collaterale, come abuso, portano ad indebite cosmologie che appartengono al campo della metafisica e non della scienza.
Se per cosmologia intendiamo, come da tradizione, lo studio sulle origini di quello che la scienza moderna chiama : universo, non vedo proprio come questo ente, fisico per sua natura, possa appartenere al campo della metafisica (e non della scienza). A meno che per metafisica non si intenda la filosofia naturale. Ma in tal caso la questione è semantica, epistemologica, ma non certo di natura ontologica, richiedendo ogni cosmologia fondata un suo corollario dimostrativo sperimentale, ovvero scienza.
Qui giova ricordare quello che in genere si intende per metafisica in senso, ovviamente, filosofico. La definizione di Wikipedia mi sembra abbastanza centrata:
Citazione
La metafisica è quella parte della filosofia che, andando oltre gli elementi contingenti dell'esperienza sensibile, si occupa degli aspetti più autentici e fondamentali della realtà, secondo la prospettiva più ampia e universale possibile.
Meno centrata, nella mia prospettiva, quella dell'enciclopedia Treccani:
Citazione
Branca della filosofia che, tradizionalmente, mira a individuare la natura ultima e assoluta della realtà al di là delle sue determinazioni relative, oggetto delle scienze particolari.
Una definizione certamente corretta, ma che mette l'accento sull'obiettivo (puramente asintotico, quindi impossibile da raggiungere, a mio avviso) piuttosto che sull'ambito di indagine e speculazione.
La mia prospettiva si discosta un po' da quella canonica, tradizionale. Per me non c'è nessuna natura ultima e assoluta ma soltanto il compito di costruire un "sistema dei sistemi" della conoscenza umana in cui ogni sottosistema (uno dei quali è la scienza) trovi un suo posto coerente e le sue giuste relazioni con l'insieme e con gli altri elementi dell'insieme.
L'epistemologia o filosofia della scienza (al di là delle sottili distinzioni che alcuni fanno tra i due termini) si occupa appunto di stabilire i rapporti che la conoscenza scientifica ha con gli altri sistemi di conoscenza, tra cui quello puramente intuitivo, esperienziale (delle percezioni, sensazioni, e altre acquisizioni di informazione non interpretate da codici creati dall'uomo). Si potrebbe dire che l'epistemologia cerca di chiarire il ruolo e i limiti della scienza nel contesto in cui opera.
La scienza non si occupa della realtà (quella che chiamiamo realtà). Si occupa di entità scientifiche astratte definite dalla scienza stessa nell'ambito di modelli. Modelli costruiti per creare delle mappe di alcuni aspetti della realtà, e quindi da essi dipendenti, ma non certo identificabili con essi. Il tempo della fisica e quello dell'esperianza non sono affatto la stessa cosa, idem per lo spazio. Nelle teorie scientifiche gli spazi possono avere quante dimensioni si vuole, mentre lo spazio dell'esperienza si limita a tre dimensioni, son cose diverse, affini e collegate tra loro, ma anche per certi versi indipendenti.
L'epistemologia si occupa principalmente di individuare e definire le relazioni esistenti tra le entità e le teorie scientifiche e il "mondo dell'esperienza", che comprende anche altri sistemi di conoscenza e definisce un contesto più ampio.
La confusione e l'abuso nascono quando si pretende di sganciare la scienza da tutto il resto e porla addirittura come fondamento di tutto il resto. Un po' come voler invertire il rapporto tra mappa e territorio, come se si pensasse che è il mappamondo a contenere il mondo e non il contrario, oppure che il mappamondo dia una rappresentazione del mondo più "reale", più "vera" del mondo stesso.