Avrei una domanda per esperti di fisica.
C'è una cosa che non riesco a capire che riguarda la teoria della relatività. Si tratta del famoso esperimento concettuale in cui si ha un osservatore A nel sistema di riferimento X e un osservatore B nel sistema di riferimento Y. L'osservatore B si muove a una certa velocità mentre l'osservatore A è fermo.
La teoria dice, per quanto ho capito, che per l'osservatore B il tempo "scorre più lentamente" nel senso che, supponendo che entrambi siano dotati di due orologi perfettamente sincronizzati finché A e B non sono in moto relativo (ossia sono nello stesso sistema di riferimento spaziotemporale, quindi X e Y coincidono), quando B è in moto l'ora misurata dall'orologio di B, per A va più lentamente del suo, quindi sarà "in ritardo".
La domanda è questa: dato che la scelta del sistema di riferimento è arbitraria, se scegliamo il sistema di riferimento X in cui si trova A, B sarà in moto. Ma se scegliamo come sistema di riferimento Y, sarà A ad essere in moto relativo e quindi dovrebbe essere il suo orologio ad andare "più lentamente". Ossia per A il tempo di B sarebbe più lento, ma anche per B il tempo di A dovrebbe essere più lento, quindi in sostanza le due "velocità di scorrimento del tempo" non avrebbero un'esistenza "oggettiva", ma sarebbero riferibili solo all'esperienza soggettiva di A e B. In altre parole non ci sarebbe una differenza di "velocità del tempo" oggettiva, e le due differenze soggettive si contraddirebbero (dal punto di vista di un ipotetico "riferimento assoluto") e si annullerebbero a vicenda.
Avendo una conoscenza solo scolastica e divulgativa della fisica, forse nel mio ragionamento manca qualche nozione necessaria, qualcosa che non ho considerato e che invece giustifica il modo in cui questo aspetto della teoria viene generalmente presentato. Qualcuno saprebbe rispondermi?
Ciao Donald Duck (paperino), i sistemi non sono intercambiabili, i due gemelli all'inizio hanno un qualsiasi moto relativo rispetto a tutti gli altri oggetti dell'Universo. Accellerando uno dei due gemelli, il suo moto relativo aumenta rispetto a tutti questi oggetti, mentre quello dell'altro resta immutato. Per l'accelerazione devi iniettare energia nel gemello che accelera, mentre l'altro non riceve nessuna iniezione di energia.
Saluti
Salve Donalduck. Ti risponde un profano impertinente. Il fatto è che il tempo accelera o no....a seconda dei tuoi gusti.
Se scegli di aderire alle formulazioni matematiche e fisiche convenzionali (post-relatività) e credi che esse costituiscano una oggettiva rappresentazione della realtà...........allora nella realtà di chi crede in ciò il tempo può scorrere più o meno velocemente in modi (appunto !!) relativistici.
Se invece credi che le verità oggettive non siano da noi afferrabili, che tutto risulti relativo.....OVVIO CHE LA RELATIVITA' SIA RELATIVA, e dietro a quella lo sia la scienza, il tempo, la fisica e la matematica.........................
In realtà il tempo non è altro che "la nostra soggettiva percezione della "densità" (cioè della frequenza combinata con la loro intensità) degli eventi che ci riguardano percepibilmente".
Se, data una nostra capacità percettiva ed un certo qual ambito spaziale in cui questa può esercitarsi...........al loro interno si verificano molti eventi (cioè - in pratica - molti scambi ebergetici).........ecco che ci parrà di avvertire un certo scorrere del tempo, una sua qual specifica "velocità".
A parità di nostra capacità di percepire e di spazio percepibile che ci circondi, una volta che aumentino gli eventi trarremo la sensazione di una aumentata veocità del trascorrere di ciò che chiamiamo "tempo".
Corrispondentemente, il diminuire della "densità" di eventi da noi percepibili provocherà la sensazione di rallentamento.
Infatti, nel caso di un mondo soggettivo (o comunque percepibile) al cui interno nulla accade..............semplicemente, IL TEMPO CESSA DI ESISTERE.
Quindi, ancor più semplicemente, dobbiamo dire che "il tempo non è altro che la modalità con la quale - a livello soggettivo quindi psichico - noi percepiamo gli effetti dell'esistenza dell'energia (cioè degli eventi da essa generati, cioè del filosofico "divenire")".
Per completamento, possiamo poi anche affermare che l'omologo del tempo (lo spazio, legato al tempo all'interno della superdimensione della velocità) a sua volta altro non è che "la modalità con la quale - a livello soggettivo quindi psichico - noi percepiamo gli effetti dell'esistenza della materia (cioè dello "stare" in cui essa consiste, cioè del filosofico "essere").
A questo punto mi ritiro lasciando spazio a chi magari cercherà di dimostrarti L'ASSOLUTA realtà e concretezza della teoria della RELATIVITA'. Saluti.
Citazione di: anthonyi il 21 Dicembre 2019, 19:14:28 PM
Ciao Donald Duck (paperino), i sistemi non sono intercambiabili, i due gemelli all'inizio hanno un qualsiasi moto relativo rispetto a tutti gli altri oggetti dell'Universo. Accellerando uno dei due gemelli, il suo moto relativo aumenta rispetto a tutti questi oggetti, mentre quello dell'altro resta immutato. Per l'accelerazione devi iniettare energia nel gemello che accelera, mentre l'altro non riceve nessuna iniezione di energia.
Saluti
Apeiron aveva dato un link che mi ripromettevo di andare a vedere e adesso non trovo.
Immagino comunque che la tua risposta sottintenda una diversa accelerazione che permane in tutto l'arco di tempo (un gemello orbita attorno all'altro ,con velocità angolare costante, ad esempio ) e che quindi si parla di variazione del vettore velocità.
Parlare quindi di diversa velocità, sottintendendo il solo valore scalare , come comunemente si fa' , è una semplificazione , che genera l'apparente paradosso di cui discutiamo.
Sarebbe più corretto dire che un gemello è in accelerazione rispetto all'altro.
O più in generale che sono soggetti a risultanti di forze diverse.
La differenza è che seppur il gemello sulla terra sia soggetto a una maggiore forza di gravità , questa viene però controbilanciata dalla reazione della terra (principio di azione e reazione ) .
Il gemello astronauta invece , seppur soggetto a minore forza di gravità, secondo l'inverso del quadrato della distanza , non ha vincoli reattivi.
Quindi i gemelli sono soggetti a diverse accelerazioni ,perché su essi agiscono risultati di forze diverse , e non perché posseggono diverse velocità.
Si potrebbe dire allora , con pari imprecisione semplificativa , che nel caso di un gemello in orbita geostazionaria , il tempo passa meno veloce se stai più in alto.?
Ma se le cose stanno così non sarà che ai divulgatori scientifici piace stupire con spiegazioni di " prestigiazione" ?
Chissa' cosa ne pensa il nostro Eutidemo.😄
Riassumendo , se ho capito bene , nell'esempio dei due gemelli si da' per scontato che il riferimento sia la terra , che però non è un punto qualsiasi dello spazio euclideo , dove un punto vale l'altro , ma dello spaziotempo di Einstein , dove le masse fanno la differenza fra un punto e l'altro.
Parliamo cioè di uno spazio fisico , e non di un puro spazio matematico dove usare un riferimento o l'altro equivale.
Citazione di: anthonyi il 21 Dicembre 2019, 19:14:28 PM
Ciao Donald Duck (paperino), i sistemi non sono intercambiabili, i due gemelli all'inizio hanno un qualsiasi moto relativo rispetto a tutti gli altri oggetti dell'Universo. Accellerando uno dei due gemelli, il suo moto relativo aumenta rispetto a tutti questi oggetti, mentre quello dell'altro resta immutato. Per l'accelerazione devi iniettare energia nel gemello che accelera, mentre l'altro non riceve nessuna iniezione di energia.
Saluti
Ciao Anthonyi, ti ringrazio per la risposta, ma temo che sia soggetta a diverse obiezioni:
1) Tutti i corpi celesti, a quanto pare, si muovono costantemente di moto relativo rispetto a tutti gli altri corpi celesti dell'universo. Non ci sono corpi che possano essere considerati "fermi" se non scegliendo un sistema di riferimento solidale col corpo ossia un sistema in cui il corpo risulta in quiete. Ma in tale sistema, tutto il resto dell'universo risulterà in moto.
2) L'accelerazione non è altro che una variazione di velocità e/o di direzione-verso e vale la stessa relatività (nel senso comune del termine): se A accelera rispetto a B, B accelera rispetto ad A.
Riporto la descrizione della "dilatazione del tempo" da Wikipedia (italiano):
CitazioneL'evento E, misurato da un osservatore O che si trova nel sistema di riferimento S solidale a E (in quiete rispetto a E) ha durata (https://wikimedia.org/api/rest_v1/media/math/render/svg/b8ef3297a641d8fe205a75ebc6d4e82435359f9c) (tempo proprio), che risulta essere la durata minima possibile. Un osservatore O' che si trovi nel sistema di riferimento S' con velocità relativa v rispetto a S misurerà per lo stesso evento E una durata (https://wikimedia.org/api/rest_v1/media/math/render/svg/8c28867ecd34e2caed12cf38feadf6a81a7ee542) maggiore, data dalla relazione
(https://wikimedia.org/api/rest_v1/media/math/render/svg/04ec7e9f0fc159d9c29a785c0b8d8935b2cb177b)
dove (https://wikimedia.org/api/rest_v1/media/math/render/svg/8c28867ecd34e2caed12cf38feadf6a81a7ee542) è l'intervallo di tempo misurato dall'osservatore O' nel sistema di riferimento S',(https://wikimedia.org/api/rest_v1/media/math/render/svg/b8ef3297a641d8fe205a75ebc6d4e82435359f9c) è il tempo proprio, l'intervallo di tempo misurato dall'osservatore O in S,
(https://wikimedia.org/api/rest_v1/media/math/render/svg/8e023cc2f36072a65187bbad8f1ebb83fabae901) è il fattore di Lorentz
(https://wikimedia.org/api/rest_v1/media/math/render/svg/64d24975584ef76d9a7d40e351aa3b330f67f915) se (https://wikimedia.org/api/rest_v1/media/math/render/svg/a45672b5ad4d998225e1692ecd752d20f62fdece) e (https://wikimedia.org/api/rest_v1/media/math/render/svg/5682ebb86d6f024a15f4a2c1c7cb08412720bcaf) solo se i due sistemi di riferimento S ed S' sono in quiete uno rispetto all'altro),v è la velocità relativa tra i due sistemi di riferimento S ed S',c è la velocità della luce nel vuoto.
Si può notare che nella formula non c'è nulla che giustifichi una differenza tra un corpo che "riceve energia" e un'altro che non ne riceve. E anche l'articolo di Wikipedia sembra confermarlo:
CitazioneVa notato che, essendo v la velocità relativa tra i due sistemi, il fenomeno è reciproco. Risulta del tutto equivalente assumere che S (in cui si trovano E e O in quiete uno rispetto all'altro) sia fermo e che S' si muova con velocità v oppure che S' sia fermo mentre S (e quindi anche E e O) si muove rispetto a S' con velocità relativa v.
Nell'articolo in lingua inglese, tuttavia, c'è una frase che sembra avvalorare la tesi da de esposta:
CitazioneThe reciprocity of the phenomenon also leads to the so-called twin paradox where the aging of twins, one staying on Earth and the other embarking on a space travel, is compared, and where the reciprocity suggests that both persons should have the same age when they reunite. On the contrary, at the end of the round-trip, the traveling twin will be younger than his brother on Earth. The dilemma posed by the paradox, however, can be explained by the fact that the traveling twin must markedly accelerate in at least three phases of the trip (beginning, direction change, and end), while the other will only experience negligible acceleration, due to rotation and revolution of Earth. During the acceleration phases of the space travel, time dilation is not symmetric.
Ma l'argomentazione appare insoddisfacente e ingiustificata. Come dicevo, nella formula non vedo nulla che giustifichi 1) la "non simmetria" della dilatazione temporale in caso di accelerazione di uno solo dei due corpi 2) Il fatto che si possa parlare di accelerazione in assoluto, e non soltanto in relazione a un sistema di riferimento arbitrario (e quindi variabile)
Citazione di: viator il 21 Dicembre 2019, 21:41:58 PM
Salve Donalduck. Ti risponde un profano impertinente. Il fatto è che il tempo accelera o no....a seconda dei tuoi gusti.
......
Ciao Viator. In effetti la mia domanda riguardava solo il punto di vista della fisica, non quello filosofico.
Ma se vogliamo parlarne, la mia personale convinzione, che mi sembra non si discosti troppo dalla tua, è che il tempo e lo spazio della fisica che possono dilatarsi e restringersi (nel caso dello spazio si parla di "inflazione" mentre per il tempo di "dilatazione") non sono affatto la stessa cosa del tempo e dello spazio dell'esperienza. L'ambiguità e la confusione derivano dal fatto che la fisica dà i concetti di spazio e tempo come intuitivi (quindi non li definisce, né è in grado di farlo), per poi smentire i dati intuitivi con formule matematiche (confermate da misurazioni effettive).
Io dico che questa discrepanza mostra soltanto che la fisica è partita dal tempo e lo spazio dell'esperienza, dell'intuizione, per poi arrivare ad altre entità che sono in relazione col tempo e lo spazio dell'esperienza, ma non sono le stesse entità, gli stessi concetti. Un tempo (esperienziale) che "scorre a diverse velocità" è semanticamente insensato, il tempo non è un oggetto che si muove o scorre (casomai può variare la percezione soggettiva della quantità di tempo trascorsa tra un istante e un altro, ma questa è un'altra storia). Come è semanticamente insensato uno spazio che si dilata. Un corpo si dilata quando occupa uno spazio maggiore. Ma uno spazio che occupa più spazio è un nonsenso, come lo è un tempo che ha una velocità (termine che implica movimento nello spazio), o addirittura un "inizio", considerando che il concetto di "inizio" è un concetto prettamente temporale, ossia presuppone già l'esistenza del tempo. E' come dire il peso del peso, o la lunghezza della lunghezza, puro nonsenso.
In effetti la relatività non è per niente ovvia. Richiede, almeno da parte mia, un continuo sforzo intellettuale.
Ritengo comunque di averne compreso qualche concetto di base, pur non essendo un fisico.
Non vi è alcun tempo assoluto.
Tuttavia il tempo è oggettivo.
Sia il tempo nel sistema di riferimento X dell'osservatore A, sia il tempo nel sistema di riferimento Y sempre per A.
Sono tutti tempi oggettivi, non soggettivi. Sebbene non assoluti.
Sono oggettivi perché il comportamento di ogni cosa che esiste riflette il suo stato di moto. E quindi il proprio sistema di riferimento.
La forza di Lorentz, per esempio, la constata l'osservatore A per ogni carica in moto. Questa forza è dovuta al fatto che nel sistema della carica in moto vi sono cariche elettriche, che viceversa sono neutre nel sistema di riferimento di A.
Non esiste uno spazio tempo assoluto.
L'assoluto è il Nulla. E la luce ne è messaggera.
CitazioneSi potrebbe dire allora , con pari imprecisione semplificativa , che nel caso di un gemello in orbita geostazionaria , il tempo passa meno veloce se stai più in alto.?
Ovviamente sì. Il tempo è piegato, oltre che dalla velocità anche dalla massa. I nostri precisi navigatori satellitari sono dotati di meccanismi di correzione di calcolo proprio perché vi è una differenza infinitesima di velocità del tempo fra il tempo sulla terra a livello dell'autostrada e il tempo a 42.000 km di altezza, dove devono essere collocati i satelliti geostazionari . Una differenza che esiste ( e credo che sia stata misurata) anche fra tempo al livello del mare e tempo a 3000 metri di altezza.
@Jacopus
Se non ricordo male , è stata misurata anche fra pavimento e piano di un tavolo.
Proprio su questo ricordo ho cercato di ricostruire il possibile quadro.
Allora mi pare già tanto che i divulgatori scientifici usino l'esempio dell'austronauta.
Per semplificare meglio potrebbero usare babbo Natale🎅 😊
Ciao @Donalduck,
per eseguire il confronto tra ciò che è stato misurato da A e ciò che è stato misurato da B, uno dei due deve subire una accelerazione e quindi si deve introdurre una non-inerzialità.
Le trasformazioni di Lorentz valgono nel contesto di sistemi di riferimento inerziali, non non-inerziali, ovvero accelerati (nota anche che anche una variazione della direzione della velocità è una accelerazione...). Quindi, in questa situazione non si applicano.
(purtroppo, non mi ricordo più il link che ho postato di cui parla @iano - che saluto ;) )
Citazione di: Donalduck il 22 Dicembre 2019, 02:23:48 AM
Citazione di: viator il 21 Dicembre 2019, 21:41:58 PM
Salve Donalduck. Ti risponde un profano impertinente. Il fatto è che il tempo accelera o no....a seconda dei tuoi gusti.
......
Ciao Viator. In effetti la mia domanda riguardava solo il punto di vista della fisica, non quello filosofico.
Ma se vogliamo parlarne, la mia personale convinzione, che mi sembra non si discosti troppo dalla tua, è che il tempo e lo spazio della fisica che possono dilatarsi e restringersi (nel caso dello spazio si parla di "inflazione" mentre per il tempo di "dilatazione") non sono affatto la stessa cosa del tempo e dello spazio dell'esperienza. L'ambiguità e la confusione derivano dal fatto che la fisica dà i concetti di spazio e tempo come intuitivi (quindi non li definisce, né è in grado di farlo), per poi smentire i dati intuitivi con formule matematiche (confermate da misurazioni effettive).
Io dico che questa discrepanza mostra soltanto che la fisica è partita dal tempo e lo spazio dell'esperienza, dell'intuizione, per poi arrivare ad altre entità che sono in relazione col tempo e lo spazio dell'esperienza, ma non sono le stesse entità, gli stessi concetti. Un tempo (esperienziale) che "scorre a diverse velocità" è semanticamente insensato, il tempo non è un oggetto che si muove o scorre (casomai può variare la percezione soggettiva della quantità di tempo trascorsa tra un istante e un altro, ma questa è un'altra storia). Come è semanticamente insensato uno spazio che si dilata. Un corpo si dilata quando occupa uno spazio maggiore. Ma uno spazio che occupa più spazio è un nonsenso, come lo è un tempo che ha una velocità (termine che implica movimento nello spazio), o addirittura un "inizio", considerando che il concetto di "inizio" è un concetto prettamente temporale, ossia presuppone già l'esistenza del tempo. E' come dire il peso del peso, o la lunghezza della lunghezza, puro nonsenso.
Il modo in cui percepiamo la realtà non è necessariamente il modo in cui la realtà è.
Anzi azzarderei che sicuramente non lo è.
Quindi il fatto che percepiamo il tempo non significa che il tempo esiste , ma che esiste presumibilmente una causa di questa percezione.
Si potrebbe affermare che il tempo esiste se possiamo misurarlo , ma ciò che possiamo dimostrare è solo che esistono gli orologi e l'esperienza ci dice che ognuno va' per fatti suoi.
Possiamo ricrederci e dire che il tempo esiste , a patto di ammettere che non è assoluto.
Quindi possiamo trattenere , e considerare ancora come moneta corrente in fisica , parte di ciò che percepiamo.
Comunque non è il tempo che accelera , ma al massimo gli orologi , dei quali quelli classici sono oggetti in movimento.
Quindi misuriamo il movimento di un corpo in relazione al movimento di un altro corpo , in sostanza.
E ciò che ne risulta è una certa coerenza , anche se non esprimibile in modo semplice , come nel caso della percezione del tempo , da cui siamo partiti.
Anzi a dire il vero non siamo in grado di esprimerlo in alcun modo , e men che meno semplice , questo tempo della percezione , che quindi ormai abbiamo capito essere solo presunto e tale resta.
Tutti lo percepiscono ,ma nessuno sa dire cosa sia , come diceva S.Agostino.
Tutti invece sanno dire cosa sia un orologio , oltre al fatto di percepirlo.
Se però nella divulgazione scientifica vogliamo fare appello pieno alla nostra percezione del tempo , saremo poi costretti a cadere nei paradossi semantici da te evidenziati.
Il punto è che la nostra percezione ha uno scopo , che noi pensiamo sia rivelarci la realtà.
Se fosse così sarebbe uno scopo bello e nobile e soddisfacente , ma a pensarci bene anche un po' vuoto.
Forse lo scopo è un altro quindi anche se noi non lo conosciamo , ma immagino sia uno scopo parallelo a quello della scienza , che al pari della percezione non ci restituisce la realtà per quel che è.
Percezione e scienza invece , ognuna per la sua specie , ci permettono di interagire con la realtà, anche senza conoscerla.
La perfetta conoscenza della realtà, anche quando non avesse un puro valore estetico, cosa che potrebbe soddisfarci pure tutti , ha un costo economico insostenibile.
Se questo fosse lo scopo per cui siamo qui avremmo già fallito in partenza.
La nostra percezione non è mai "corretta" , ma non per questo è gratuita.
Il fatto che percepiamo tempo come assoluto non è la realtà, ma non è neanche un caso.
Per la vita di tutti i giorni un tempo assoluto è una ottima ipotesi , così buona che se non ci fosse bisognerebbe inventarlo.
E questo in sostanza è un buon indizio della causa della nostra percezione.
Percezione e scienza sono invenzioni , ma non gratuite.
Una agisce in piena incoscienza , l'altra no.
Il confine fra l'una e l'altra comunque è mobile , e nella misura in cui la scienza apprende , portandoli a coscienza i meccanismi della percezione , la scienza progredisce.
Questa nuova consapevolezza mi pare stia indicando la strada alla nuova ricerca scientifica.
Non c'è molto da inventare , perché quasi tutto sembra essere già stato inventato dalla natura.
Basta solo copiare ... senza farsene accorgere dal maestro.😁
Il quadro di una percezione come ingannevole può essere deludente. Ma la percezione è un vero mistero e miracolo.
È fare scienza senza sapere come. , e il tempo è uno dei suoi prodotti.
Si può fare scienza anche sapendo come fare , ma ogni metodo ha i suoi prodotti che possono considerarsi scambiabili accidentalmente , ma per lo più di fatto impropriamente.
Citazione di: Apeiron il 22 Dicembre 2019, 12:21:21 PMper eseguire il confronto tra ciò che è stato misurato da A e ciò che è stato misurato da B, uno dei due deve subire una accelerazione e quindi si deve introdurre una non-inerzialità.
Le trasformazioni di Lorentz valgono nel contesto di sistemi di riferimento inerziali, non non-inerziali, ovvero accelerati (nota anche che anche una variazione della direzione della velocità è una accelerazione...). Quindi, in questa situazione non si applicano.
La prima definizione che vien fuori da una ricerca su google di "sistema di riferimento inerziale" (da www.youmath.it) dice:CitazioneUn sistema di riferimento inerziale (o sistema inerziale) è un sistema che si muove di moto rettilineo uniforme rispetto a un altro.
Quindi siamo sempre lì: che il sistema di riferimento sia inerziale o no dipende da un altro sistema di riferimento da cui viene osservato.Inoltre, posto che la trasformazione di Lorentz è valida solo per sistemi inerziali, cosa si applica a sistemi non inerziali? Qual'è la formula che giustifica l'asserzione che la presenza o meno di accelerazione determina un'asimmetria che si ripercuote sulla "velocità del tempo" e quindi annulla la reciprocità del rallentamento tra A e B? E ancora, cosa fa sì che si possa dire che B è in accelerazione e A e fermo (o in stato inerziale) e non che A e B sono pariteticamente in stato di reciproca accelerazione, sulla base di quali leggi fisiche e quali formule matematiche, considerando che tutti i concetti relativi al moto dipendono (la cui stessa esistenza dipende) dal sistema di riferimento? E come possiamo dire che A è fermo e B si muove di moto accelerato se non usando il sistema di riferimento X di A?In sostanza, mi pare che la non reciprocità o asimmetria in questione presupponga un sistema di riferimento assoluto, che non mi risulta possa esistere.
Citazione di: iano il 22 Dicembre 2019, 22:40:16 PMIl modo in cui percepiamo la realtà non è necessariamente il modo in cui la realtà è.
Anzi azzarderei che sicuramente non lo è.
Qui si va su una questione che ho cercato in passato di sollevare, senza, a mio parere, alcun risultato rilevante. Il tema è la definizione di "realtà" e/o "esistenza" (che siano considerati sinonimi o no).
Quello che continuo a notare è che tutti continuano a parlare di realtà ed esistenza senza poter definire (in sostanza senza davvero conoscere) i significati di questi termini, che si danno per scontati su base intuitiva.
Ma, secondo me, sono invece tutt'altro che scontati, e sono indispensabili per poter distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è (sempre che si ammetta, in ambito ontologico, la non-esistenza).
Il mio punto di vista, in estrema sintesi, è che è reale qualsiasi cosa venga percepita in qualsiasi modo da un soggetto (ossia qualsiasi cosa sia un oggetto per un soggetto), e che non ha alcun senso ontologico dire che qualcosa non è reale o non esiste. Si può solo definire la
modalità di esistenza di qualsiasi cosa di cui si parli che, anche solo per il fatto che se ne parli, esiste comunque, e determinare la sua condivisibilità (intersoggettività).
E i diversi modi di vedere la realtà non si escludono a vicenda, e non c'è nulla che sia più o meno reale di qualcos'altro (sempre in senso ontologico, ossia nel senso più fondamentale).
Salve Donalduck : proseguendo il tuo ultimo discorrere : .................................e quindi risulta sancita la completa relatività-soggettività di qualsiasi realtà e di qualsiasi modalità eistenziale.
La realtà consiste nel divenire basato sull'essere, in quanto in mancanza di percezione della realtà noi non possiamo stabilire l'essere di qualcosa.
L'essere a sua volta, come ormai stancamente vo ripetendo tra l'indifferenza generale, altro non è che "la condizione per la quale le cause generano degli effetti".
Se convinti di ciò, risulterà ovvio quindi il comprendere il legame biunivoco tra realtà ed esistenza. Saluti.
Citazione di: Donalduck il 23 Dicembre 2019, 20:09:34 PMQuindi siamo sempre lì: che il sistema di riferimento sia inerziale o no dipende da un altro sistema di riferimento da cui viene osservato.
Ciao
@Donalduck,in realtà questo non è vero*. L''inerzialità' ha un significato fisico ben preciso: è la situazione di un corpo non soggetto a forze. Affinché un corpo si muova di moto
accelerato, è necessaria la presenza di forze (ed è importante notare che la variazione di velocità possa essere anche solo una variazione di
direzione...). Questo è il punto fondamentale che deve essere compreso.
Nella meccanica newtoniana, la presenza di accelerazioni si manifesta nel riferimento accelerato con la presenza delle cosiddette 'forze inerziali' o 'forze apparenti' (come la famosa 'forza centrifuga'), che violano le leggi di Newton, che sono invarianti per le 'trasformazioni di Galileo' l'analogo newtoniano delle trasformazioni di Lorentz.
Certamente, è possibile introdurre 'riferimenti accelerati' in relatività ristretta, ma è piuttosto complesso. L'analogo relativistico di un moto rettilineo uniformemente accelerato è un riferimento dove valgono le coordinate di Rindler (Wikipedia inglese:
https://en.wikipedia.org/wiki/Rindler_coordinates link in italiano:
http://scienzematfisnaturali.altervista.org/la-metrica-di-rindler/?doing_wp_cron=1577204285.8601279258728027343750). Per questo motivo, fare una dimostrazione matematica della risoluzione del paradosso dei Gemelli (che di fatto, se non ti fraintendo, sembra essere lo scenario che hai in mente) in relatività ristretta è un lavoro molto complesso, perché non c'è una regola 'semplice' come quella di Lorentz per i riferimenti non-inerziali.
*Sopra non ho considerato, per semplicità, la relatività
generale. Nella relatività generale, le cose cambiano nuovamente, visto che la gravità è vista come la curvatura dello spazio-tempo in quella teoria.
Nella relatività generale, quando un corpo è soggetto alla sola gravità, segue una traiettoria nello spazio-tempo chiamata 'geodetica'. In assenza di gravità, non c'è curvatura e si ritorna al sistema inerziale della relatività ristretta. In effetti, direi che il moto lungo una geodetica nella relatività generale possa essere considerato l'analogo dell''inerzialità', infatti nella relatività generale, un corpo che segue una geodetica non è soggetto a forze non-gravitazionali.
Ci sono alcune teorie alternative alla relatività einsteniana che postulano un riferimento privilegiato e una simultaneità assoluta. In queste teorie, in assenza di violazioni delle predizioni della relatività, tale riferimento privilegiato risulta
inosservabile. Rinnovo gli auguri di buon Natale a tutto l'Hotel Logos :)
Citazione di: Donalduck il 23 Dicembre 2019, 20:19:58 PM
Citazione di: iano il 22 Dicembre 2019, 22:40:16 PMIl modo in cui percepiamo la realtà non è necessariamente il modo in cui la realtà è.
Anzi azzarderei che sicuramente non lo è.
Qui si va su una questione che ho cercato in passato di sollevare, senza, a mio parere, alcun risultato rilevante. Il tema è la definizione di "realtà" e/o "esistenza" (che siano considerati sinonimi o no).
Quello che continuo a notare è che tutti continuano a parlare di realtà ed esistenza senza poter definire (in sostanza senza davvero conoscere) i significati di questi termini, che si danno per scontati su base intuitiva.
Ma, secondo me, sono invece tutt'altro che scontati, e sono indispensabili per poter distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è (sempre che si ammetta, in ambito ontologico, la non-esistenza).
Il mio punto di vista, in estrema sintesi, è che è reale qualsiasi cosa venga percepita in qualsiasi modo da un soggetto (ossia qualsiasi cosa sia un oggetto per un soggetto), e che non ha alcun senso ontologico dire che qualcosa non è reale o non esiste. Si può solo definire la modalità di esistenza di qualsiasi cosa di cui si parli che, anche solo per il fatto che se ne parli, esiste comunque, e determinare la sua condivisibilità (intersoggettività).
E i diversi modi di vedere la realtà non si escludono a vicenda, e non c'è nulla che sia più o meno reale di qualcos'altro (sempre in senso ontologico, ossia nel senso più fondamentale).
No , in effetti non mi riferivo a ciò.
Credo nella realtà sulla fiducia.
Credo che l'interazione con la realtà produca cose come ad esempio la percezione del tempo , tempo che però non è parte della realtà , se non in quanto percezione.
Nulla di ciò che percepiamo direttamente o indirettamente (attraverso la scienza) è parte della realtà, se non come prodotto della nostra interazione con la realtà.
Ritengo ingenuo , col senno di poi , pensare che siccome percepisco il tempo allora il tempo è parte della realtà, se non nella misura in cui la mia percezione ne è parte.
Ritengo inoltre che vi sia sempre in noi una parte di ingenuità innocua entro certi limiti , che viene alla luce quando i limiti vengono superati.
Non si tratta ovviamente di un superamento facile , comodo , e sopratutto piacevole.
Veniamo infatti invitati a rivedere la nostra visione ingenua , ma comoda , del mondo , senza che poi ne' la vecchia ne' la nuova visione corrispondano alla realtà in se' .
È ingenuo forse ancora pensare anche che la realtà in se' sia approssimabile , anche se non raggiungibile , attraverso questo susseguirsi di nuove visioni aggiustate.
Credo sia ingenuo perché non credo sia possibile definire esattamente cosa intendiamo con l'espressione "realtà in se' " anche se la percepiamo.
Non si può dimostrare che la realtà esiste , ma ciò dimostra solo che ogni nostra conoscenza si costruisce , consciamente o inconsciamente , a partire da ipotesi non dimostrabili.
Questo suggerisce perché la matematica sia così potente nel costruire "immagini della realtà " , mappe utili , che non sono però mai la realtà è dire che possano approssimarla non ha senso , perché la mappa non è la realtà , ma solo una sua parte.
Però non è certo comodo andare in giro sempre con una mappa davanti gli occhi , perché ciò crea disagio , così la facciamo sparire chiamandola realtà.
BUON NATALE A TUTTI.
Prendiamo , per restare in tema , lo spazio assoluto , il quale è percepito , senza evidentemente esistere.
Complice di questa percezione è la lontananza delle stelle fisse , effettivamente considerabili tali a causa della loro distanza , dove niente è più facile di immaginare sistemi inerziali Newtoniani.
Le masse però permeano l'universo e una non così lontana è sotto i nostri piedi.
Così lo spazio euclideo dove un "punto vale punto" mutuando una espressione attuale della nostra politica , esiste solo nella nostra mente.
Infine , se non l'universo , la sua percezione si fa' uomo , e muta con esso.
E si fanno uomo quelle "leggi dell'universo" che pensiamo essere dell'universo , ma che sono dell'uomo , e anzi sono uomo , e solo in quanto tali dell'universo.
Dio può farsi uomo se vuole , ma l'uomo non può farsi universo , restandone al massimo parte pregiata , e non ci si può sorprendere quindi se non sembra a volte soggetto alle leggi dell'universo che egli stesso crea.
Infine.
La nostra percezione muta ,e per quanto riguarda il mutamento della percezione dello spazio sembra sia storicamente documentata
La realtà è ingenua finché non ci vai a sbattere contro. Meglio fare fisica che metafisica sulla realtà. La percezione è perfettamente riducibile alla sua fenomenologia biochimicofisica. Se togliamo la super-stizione metafisica noumenica, originata dalla super-stizione metafisica dell'Essere, rimane la fenomenologia dei fatti reali in tutta la loro circoscrivibile evidenza: lo spazio dei dati di fatto (Tatsachenraum) empiricamente esperibili.
Citazione di: Donalduck il 22 Dicembre 2019, 01:54:34 AM
Citazione di: anthonyi il 21 Dicembre 2019, 19:14:28 PM
Ciao Donald Duck (paperino), i sistemi non sono intercambiabili, i due gemelli all'inizio hanno un qualsiasi moto relativo rispetto a tutti gli altri oggetti dell'Universo. Accellerando uno dei due gemelli, il suo moto relativo aumenta rispetto a tutti questi oggetti, mentre quello dell'altro resta immutato. Per l'accelerazione devi iniettare energia nel gemello che accelera, mentre l'altro non riceve nessuna iniezione di energia.
Saluti
Ciao Anthonyi, ti ringrazio per la risposta, ma temo che sia soggetta a diverse obiezioni:
1) Tutti i corpi celesti, a quanto pare, si muovono costantemente di moto relativo rispetto a tutti gli altri corpi celesti dell'universo. Non ci sono corpi che possano essere considerati "fermi" se non scegliendo un sistema di riferimento solidale col corpo ossia un sistema in cui il corpo risulta in quiete. Ma in tale sistema, tutto il resto dell'universo risulterà in moto.
2) L'accelerazione non è altro che una variazione di velocità e/o di direzione-verso e vale la stessa relatività (nel senso comune del termine): se A accelera rispetto a B, B accelera rispetto ad A.
Riporto la descrizione della "dilatazione del tempo" da Wikipedia (italiano):
CitazioneL'evento E, misurato da un osservatore O che si trova nel sistema di riferimento S solidale a E (in quiete rispetto a E) ha durata (https://wikimedia.org/api/rest_v1/media/math/render/svg/b8ef3297a641d8fe205a75ebc6d4e82435359f9c) (tempo proprio), che risulta essere la durata minima possibile. Un osservatore O' che si trovi nel sistema di riferimento S' con velocità relativa v rispetto a S misurerà per lo stesso evento E una durata (https://wikimedia.org/api/rest_v1/media/math/render/svg/8c28867ecd34e2caed12cf38feadf6a81a7ee542) maggiore, data dalla relazione
(https://wikimedia.org/api/rest_v1/media/math/render/svg/04ec7e9f0fc159d9c29a785c0b8d8935b2cb177b)
dove (https://wikimedia.org/api/rest_v1/media/math/render/svg/8c28867ecd34e2caed12cf38feadf6a81a7ee542) è l'intervallo di tempo misurato dall'osservatore O' nel sistema di riferimento S',(https://wikimedia.org/api/rest_v1/media/math/render/svg/b8ef3297a641d8fe205a75ebc6d4e82435359f9c) è il tempo proprio, l'intervallo di tempo misurato dall'osservatore O in S,
(https://wikimedia.org/api/rest_v1/media/math/render/svg/8e023cc2f36072a65187bbad8f1ebb83fabae901) è il fattore di Lorentz
(https://wikimedia.org/api/rest_v1/media/math/render/svg/64d24975584ef76d9a7d40e351aa3b330f67f915) se (https://wikimedia.org/api/rest_v1/media/math/render/svg/a45672b5ad4d998225e1692ecd752d20f62fdece) e (https://wikimedia.org/api/rest_v1/media/math/render/svg/5682ebb86d6f024a15f4a2c1c7cb08412720bcaf) solo se i due sistemi di riferimento S ed S' sono in quiete uno rispetto all'altro),v è la velocità relativa tra i due sistemi di riferimento S ed S',c è la velocità della luce nel vuoto.
Si può notare che nella formula non c'è nulla che giustifichi una differenza tra un corpo che "riceve energia" e un'altro che non ne riceve. E anche l'articolo di Wikipedia sembra confermarlo:
CitazioneVa notato che, essendo v la velocità relativa tra i due sistemi, il fenomeno è reciproco. Risulta del tutto equivalente assumere che S (in cui si trovano E e O in quiete uno rispetto all'altro) sia fermo e che S' si muova con velocità v oppure che S' sia fermo mentre S (e quindi anche E e O) si muove rispetto a S' con velocità relativa v.
Nell'articolo in lingua inglese, tuttavia, c'è una frase che sembra avvalorare la tesi da de esposta:
CitazioneThe reciprocity of the phenomenon also leads to the so-called twin paradox where the aging of twins, one staying on Earth and the other embarking on a space travel, is compared, and where the reciprocity suggests that both persons should have the same age when they reunite. On the contrary, at the end of the round-trip, the traveling twin will be younger than his brother on Earth. The dilemma posed by the paradox, however, can be explained by the fact that the traveling twin must markedly accelerate in at least three phases of the trip (beginning, direction change, and end), while the other will only experience negligible acceleration, due to rotation and revolution of Earth. During the acceleration phases of the space travel, time dilation is not symmetric.
Ma l'argomentazione appare insoddisfacente e ingiustificata. Come dicevo, nella formula non vedo nulla che giustifichi 1) la "non simmetria" della dilatazione temporale in caso di accelerazione di uno solo dei due corpi 2) Il fatto che si possa parlare di accelerazione in assoluto, e non soltanto in relazione a un sistema di riferimento arbitrario (e quindi variabile)
Ciao DonaldDuck, ho difficoltà a seguire le tue obiezioni perché le mie conoscenze in materia sono intuitive. Comunque se ho capito bene la tua obiezione al punto 1 tu fai di una semplificazione necessaria per poter ragionare (Cioè l'ipotesi che vi sia solo un punto fermo e un punto in movimento), l'ipotesi che ti permette di sostenere la tua tesi, perché poi sostieni che potresti invertire il discorso supponendo fermo l'altro punto.
Il tuo discorso però non funziona perché la semplificazione presuppone un universo nel quale ci sono solo i due gemelli. Probabilmente le equazioni che riporti si fondano su questa ipotesi, necessaria per poter rappresentare la teoria della relatività. E' infatti chiaro che se tu sposti un oggetto nello spazio lo muovi in relazione a tutti gli oggetti che sono nello spazio, e quindi avresti bisogno di equazioni di lunghezza infinita.
Un saluto
Citazione di: iano il 26 Dicembre 2019, 01:52:10 AMCredo nella realtà sulla fiducia...
Mmmm.... Hai fatto un lungo discorso sulla realtà, dimenticandoti di dire cosa intendi con questo termine, e neppure si capisce da quello che scrivi. E' proprio il problema che ho enunciato e risolto, per quanto mi riguarda, nel modo che ho descritto. Non trovo invece nulla di intelligibile e neppure intuibile nel tuo modo di presentare la tua visione di questa fantomatica "realtà". Purtroppo non possiamo affatto contare su una intuizione comune, dato che da parte mia trovo decisamente fuorviante e fallimentare il modo in cui si usa generalmente questo termine in filosofia.
Citazione di: Ipazia il 26 Dicembre 2019, 07:22:53 AM
La realtà è ingenua finché non ci vai a sbattere contro. Meglio fare fisica che metafisica sulla realtà. La percezione è perfettamente riducibile alla sua fenomenologia biochimicofisica. Se togliamo la super-stizione metafisica noumenica, originata dalla super-stizione metafisica dell'Essere, rimane la fenomenologia dei fatti reali in tutta la loro circoscrivibile evidenza: lo spazio dei dati di fatto (Tatsachenraum) empiricamente esperibili.
Appunto, quindi tutto di tutto: quello che normalmente chiamiamo realtà in senso stretto più quello che chiamiamo immaginazione, sogno, fantasia, allucinazione, impressione, sensazione, intuizione, pensiero, sentimento e tutto quello che mai possa essere in qualche modo nominato, più tutto quello che non si riesce a nominare. Tutto quello che una coscienza può esperire.
Citazione di: Apeiron il 24 Dicembre 2019, 17:36:10 PMin realtà questo non è vero*. L''inerzialità' ha un significato fisico ben preciso: è la situazione di un corpo non soggetto a forze. Affinché un corpo si muova di moto accelerato, è necessaria la presenza di forze
Qui si presenta la problematica nozione di forza. Una cosa che non capisco è come possa esistere un corpo non soggetto a forze. Il concetto di forza è legato a quello di energia, e la fisica ci dice che l'energia è tutto ciò che esiste (sempre restando nell'ambito della fisica, s'intende) essendo la massa in fin dei conti un particolare modo di essere dell'energia. Un'altra cosa che non capisco è come si possa parlare di forze senza assumere un riferimento spaziotemporale preciso.
CitazionePer questo motivo, fare una dimostrazione matematica della risoluzione del paradosso dei Gemelli (che di fatto, se non ti fraintendo, sembra essere lo scenario che hai in mente) in relatività ristretta è un lavoro molto complesso
Per complessa che sia tale dimostrazione dovrebbe essere possibile formalizzarla (o indicare una fonte in cui sia rintracciabile questa formalizzazione), anche se magari un non specialista come me non sarebbe in grado di comprenderla, se non eventualmente nelle sue linee concettuali essenziali (che è quello che a me interessa).
CitazioneNella relatività generale, le cose cambiano nuovamente, visto che la gravità è vista come la curvatura dello spazio-tempo in quella teoria.
Ma in che modo supera il problema della relatività del sistema di riferimento e dalla reciprocità di cui si parlava?
CitazioneCi sono alcune teorie alternative alla relatività einsteniana che postulano un riferimento privilegiato e una simultaneità assoluta. In queste teorie, in assenza di violazioni delle predizioni della relatività, tale riferimento privilegiato risulta inosservabile.
Da come le enunci, si direbbe che postulino qualcosa di analogo al noumeno in filosofia, che può solo essere oggetto di fede. Comunque, in prima istanza vorrei più che altro chiarirmi il punto di vista della fisica "ortodossa".
Salve. La realtà consiste nell'insieme degli effetti umanamente percepibili, categoria dalla quale - naturalemente - sono escluse tutte le cause degli effetti umanamente percepibili. Saluti.
Citazione di: viator il 26 Dicembre 2019, 12:18:06 PMSalve. La realtà consiste nell'insieme degli effetti umanamente percepibili, categoria dalla quale - naturalemente - sono escluse tutte le cause degli effetti umanamente percepibili. Saluti.
Quindi le cause degli effetti umanamente percepibili non sono reali. Ossia la realtà è causata da qualcosa di irreale. Come dire: il tutto è causato dal nulla. Francamente mi sembrano solo giochi di parole che non illuminano.
Ciao
@Donalduck,Citazione di: Donalduck il 26 Dicembre 2019, 12:11:29 PM
Citazione di: Apeiron il 24 Dicembre 2019, 17:36:10 PMin realtà questo non è vero*. L''inerzialità' ha un significato fisico ben preciso: è la situazione di un corpo non soggetto a forze. Affinché un corpo si muova di moto accelerato, è necessaria la presenza di forze
Qui si presenta la problematica nozione di forza. Una cosa che non capisco è come possa esistere un corpo non soggetto a forze. Il concetto di forza è legato a quello di energia, e la fisica ci dice che l'energia è tutto ciò che esiste (sempre restando nell'ambito della fisica, s'intende) essendo la massa in fin dei conti un particolare modo di essere dell'energia. Un'altra cosa che non capisco è come si possa parlare di forze senza assumere un riferimento spaziotemporale preciso.
Non potrai trovare alcuna risposta 'soddisfacente' da questo scambio se non accetti (almeno a livello 'provvisorio') le
premesse sulle quali si deve impostare il discorso.
L''inerzialità' è un concetto effettivamente astratto, così come è un'astrazione parlare di 'assenza di attrito'. Anche sul ghiaccio, effettivamente, c'è attrito seppur
meno che sull'asfalto (asciutto). Tuttavia, l'assenza di attrito è una astrazione utile ed intuitiva. Stesso discorso per l''inerzialità'.
Anche a me il concetto di 'particella libera' sembra solo un'astrazione ma è possibile avere un'idea intuitiva di essa: portando, per esempio, molto lontano una carica elettrica da un'altra, si nota che l'attrazione o la repulsione tra le due diminuisce. Ad un certo punto, si può immaginare che tale attrazione o tale repulsione diventi trascurabile.
Riguardo al tuo secondo punto, invece, direi che, invece, è possibile parlare di 'forze' indipendentemente da un particolare riferimento. Nell'esempio di due cariche elettriche, l'interazione tra le due è dovuta alla presenza delle cariche elettriche stesse.
(Per quanto mi riguarda, ritengo che non esistano 'particelle libere'...)
Ad ogni modo, anche il concetto di 'energia' è alquanto 'poco chiaro'... Secondo Richard Feynman (fonte:
https://it.wikipedia.org/wiki/Legge_di_conservazione_dell%27energia) :
Citazione«C'è un fatto, o se volete, una legge, che governa i fenomeni naturali sinora noti. Non ci sono eccezioni a questa legge, per quanto ne sappiamo è esatta. La legge si chiama "conservazione dell'energia", ed è veramente una idea molto astratta, perché è un principio matematico: dice che c'è una grandezza numerica, che non cambia qualsiasi cosa accada. Non descrive un meccanismo, o qualcosa di concreto: è solo un fatto un po' strano: possiamo calcolare un certo numero, e quando finiamo di osservare la natura che esegue i suoi giochi, e ricalcoliamo il numero, troviamo che non è cambiato...» (Fisica di Feynman, Vol I)
Su questo punto aggiungo che il criterio 'scientifico' per stabilire, o meno, la validità delle varie astrazioni, i vari assiomi, le varie idealizzazioni è sempre lo stesso: la compatibilità con ciò che viene osservato in laboratorio. Niente di più, niente di meno. Questo è il criterio direttamente 'dettato' dalla
pratica scientifica. Ciò significa che, in realtà, dal punto di vista 'puramente' scientificoquando si è nell'ambito di 'validità' della meccanica newtoniana (ovvero, dove si possono trascurare effetti relativistici, dove si possono ignorare effetti quantistici ecc), ambito stabilito a sua volta
sperimentalmente, si possono usare tranquillamente le astrazioni della meccanica newtoniana. Quindi, è discutibile affermare che la meccanica newtoniana è 'sbagliata' senza qualificazioni perché in certe situazioni non riesce a fornire le predizioni corrette. Meglio affermare che è valida in un certi ambiti e non valida in altri, sempre tenendo conto di ciò che viene effettivamente osservato in laboratorio.
Con questo non voglio dire che non si 'può' riflettere sul 'significato' delle teorie fisiche e così via. Anzi. Quello che però tendo a precisare è che non ci dobbiamo dimenticare il carattere 'sperimentale' della fisica perché, in fin dei conti, è esso il criterio con cui si deve stabilire, da un punto di vista della
pratica scientifica, la validità o meno di una teoria :)
Citazione di: Donalduck il 26 Dicembre 2019, 12:11:29 PM
CitazionePer questo motivo, fare una dimostrazione matematica della risoluzione del paradosso dei Gemelli (che di fatto, se non ti fraintendo, sembra essere lo scenario che hai in mente) in relatività ristretta è un lavoro molto complesso
Per complessa che sia tale dimostrazione dovrebbe essere possibile formalizzarla (o indicare una fonte in cui sia rintracciabile questa formalizzazione), anche se magari un non specialista come me non sarebbe in grado di comprenderla, se non eventualmente nelle sue linee concettuali essenziali (che è quello che a me interessa).
Se vuoi, c'è una spiegazione relativamente semplice della risoluzione del 'paradosso dei gemelli' (in inglese), qui:
https://www.cpp.edu/~ajm/materials/twinparadox.html.
Il caso trattato nella spiegazione è esso stesso piuttosto ideale. Però, spero che renda l'idea (due giorni fa non mi è venuto in mente che con i diagrammi di Minkowski, in effetti, la spiegazione non è troppo complessa...).
Citazione di: Donalduck il 26 Dicembre 2019, 12:11:29 PM
CitazioneNella relatività generale, le cose cambiano nuovamente, visto che la gravità è vista come la curvatura dello spazio-tempo in quella teoria.
Ma in che modo supera il problema della relatività del sistema di riferimento e dalla reciprocità di cui si parlava?
CitazioneCi sono alcune teorie alternative alla relatività einsteniana che postulano un riferimento privilegiato e una simultaneità assoluta. In queste teorie, in assenza di violazioni delle predizioni della relatività, tale riferimento privilegiato risulta inosservabile.
Da come le enunci, si direbbe che postulino qualcosa di analogo al noumeno in filosofia, che può solo essere oggetto di fede. Comunque, in prima istanza vorrei più che altro chiarirmi il punto di vista della fisica "ortodossa".
Ci sono delle analogia, diciamo, 'formali' con il noumeno (immagino tu intenda quello 'kantiano'). Però, è meglio non dimenticare che
a priori l'analogia formale potrebbe essere fuorviante. Mi spiego meglio...
Nella filosofia kantiana, il noumeno si contrappone al fenomeno, dove per 'fenomeno' si intende la realtà 'empirica' 'adeguatamente' formata dalle forme della mente. In altre parole, la 'fenomenologia' kantiana riguarda l'esperienza cosciente (realtà 'empirica' nel senso, appunto, di realtà come appare ad un soggetto conoscente).
Invece, la fenomenologia scientifica riguarda prima di tutto le osservazioni (e le predizioni di osservazioni) sperimentali.
Volendo, si può discutere se questa analogia 'formale' implica una somiglianza più profonda tra le due fenomenologie, ma
a priori sono due cose diverse...e mettersi a discutere di ciò può anche creare confusione :)
Salve donalduck. Non capisci come la nozione di forza possa astrarre dal concetto di energia. Certo...hai ragione.....nessuno può capirlo se resta nel punto di vista dal quale sta esaminando fisicamente un fenomeno. Non si può capire se non si compie un salto che ci trascini fuori della RELATIVITA' della quale è intessuta ogni e qualsiasi grandezza scientifica e percettiva.
Nessuna delle dimensioni fisiche fondamentati del mondo può venir compresa in sè medesima (la dimensione in sè in fondo è anche la cosa in sè) poichè la complessiva compiutezza del mondo risiede negli ONNIPRESENTI RAPPORTI tra le "dimensioni", mancando anche solo uno dei quali viene a crollare il senso "fisico" del mondo stesso.
Epperò ciò di cui dobbiamo negare la possibilità di isolata esistenza, possiamo appunto CONCEPIRLO facendo il salto dalla scienza alla filosofia, dalla FISICA a quella che potremo chiamare la METAFISICA CONCETTUALE (per distinguerla dalla metafisica spiritualistica).
In effetti quindi, un corpo fisico non soggetto a forze (che non può esistere ma è tranquillamente concepibile) è appunto un corpo in sè privo di fisicità. Saluti.
Citazione di: Apeiron il 26 Dicembre 2019, 15:44:17 PMSe vuoi, c'è una spiegazione relativamente semplice della risoluzione del 'paradosso dei gemelli' (in inglese), qui: https://www.cpp.edu/~ajm/materials/twinparadox.html.
Il caso trattato nella spiegazione è esso stesso piuttosto ideale. Però, spero che renda l'idea (due giorni fa non mi è venuto in mente che con i diagrammi di Minkowski, in effetti, la spiegazione non è troppo complessa...).
Grazie per il link. Il fatto è che anche questa "spiegazione" non mi sembra rispondere alla mia obiezione. L'articolo, in apparenza, prende in considerazioni i due punti di riferimento, quello del gemello che resta a terra (EBT) e quello del gemello che viaggia (TT), ma in realtà il sistema di riferimento è sempre quello di EBT. Se prendo il sistema di riferimento di TT, è la terra che si allontana e accelera insieme a EBT, ed è lui TT a lanciare 10 segnali e a riceverne solo 8. O almeno, non trovo nulla che smentisca questa visione delle cose.
Per chiarire meglio il mio punto di vista, dirò quali sono le mie motivazioni: ho notato che, in ambito scientifico, mentre abbondano le affermazioni categoriche (per certuni "scientifico" è quasi sinonimo di "certo", "inoppugnabile", anche se tra scienziati di alto livello queste convinzioni sono assai poco diffuse), non sono rare le "distrazioni" in cui punti essenziali vengono ignorati (quello che il grande Douglas Adams definiva la sindrome del "not my problem" che rendeva possibile il fatto che un divano materializzatosi improvvisamente nel bel mezzo di un campo da cricket passasse del tutto inosservato, perché troppo in conflitto con la "normalità"). Questo in particolare quando dalla scienza vera e propria (che ha a che fare con modelli e non direttamente con la realtà esperienziale) si passa, a volte inavvertitamente, alla filosofia, dando interpretazioni arbitrarie di fatti scientificamente accertati.
La cosa assume un particolare rilievo quando ci si trova di fronte ai paradossi, come quello dei gemelli, o quelli della fisica quantistica, o anche quelli antichi come quelli di Zenone. In questi casi tendo a pensare che si tratti di una fallacia ontologica, in cui si scambiano concetti (scientifici o no) con esperienze, pensando che siano impunemente intercambiabili. Come ho già scritto, ritengo che il tempo della fisica e quello dell'esperienza non siano la stessa cosa, pur essendo in relazione tra loro, e così lo spazio. E mi pare anche che le pretese ontologiche della scienza siano soltanto velleitarie. Fermo restando il diritto di ogni scienziato, come di ogni altro individuo, di occuparsi di filosofia, se cerca di farlo con i soli strumenti della scienza, sono abbastanza convinto che sia altrettanto ben equipaggiato di chi vada in guerra armato di temperino.
Tornando al caso in questione, non avendo abbastanza conoscenze per confermare o smentire la mia ipotesi relativamente al caso, cerco di acquisire tutte le informazioni possibili al riguardo.
Velleitario è pretendere che la scienza si occupi di cose che non la riguardano come, ad esempio, il significato della chiusura temporale della vita individuale umana: il tempo antropologico. Il tempo fisico funziona perfettamente nella relazione che si converte in una multa per eccesso di velocità. In tal caso la sua ontologia fenomenologica funziona così bene che si può perfino addestrare una macchina a calcolarla. Così come funziona perfettamente nella determinazione del campo di esistenza del battito cardiaco e del soggetto di quel battito. Inclusi i fenomeni fisiologici correlati. Ontologia purissima.
Citazione di: Ipazia il 28 Dicembre 2019, 15:00:30 PM
Velleitario è pretendere che la scienza si occupi di cose che non la riguardano come, ad esempio, il significato della chiusura temporale della vita individuale umana: il tempo antropologico. Il tempo fisico funziona perfettamente nella relazione che si converte in una multa per eccesso di velocità. In tal caso la sua ontologia fenomenologica funziona così bene che si può perfino addestrare una macchina a calcolarla. Così come funziona perfettamente nella determinazione del campo di esistenza del battito cardiaco e del soggetto di quel battito. Inclusi i fenomeni fisiologici correlati. Ontologia purissima.
No, no, la scienza non dovrebbe proprio occuparsi di questioni che riguardano la filosofia, ma purtroppo a volte alcuni lo fanno e, incuranti dello sconfinamento, pretendono di imporre ontologicamente il punto di vista della scienza (o meglio quello che spacciano per tale, cioè un loro personale punto di vista fondato unicamente sulle loro conoscenze e speculazioni scientifiche). Come quelli che parlano di "inizio del tempo" o sostengono che "il tempo non esiste" o considerano lo spaziotempo come se fosse un oggetto.
E' ovvio che il tempo fisico
funziona, nella scienza sopravvive solo quello che funziona, ma funzionare ed illuminarci sulle questioni fondamentali di questo mistero inintaccato dalla scienza che è l'esistenza sono cose assai diverse.
Se uno è interessato solo al funzionare o non funzionare, niente da dire, ma l'ontologia non è lo studio del funzionamento delle cose. E comunque a me interessa anche altro, anche restando soltanto nel campo della razionalità.
E non confondiamo le diverse accezioni del termine "ontologia", che indica anche un'entità informatica oltre che, se vogliamo (ma è la prima volta che lo vedo usato in questo modo), cose come il "campo di esistenza del battito cardiaco", ma che in filosofia è altra cosa, riguarda i fondamenti di tutto il nostro sistema di pensiero.
Citazione di: Donalduck il 28 Dicembre 2019, 13:06:27 PM
Citazione di: Apeiron il 26 Dicembre 2019, 15:44:17 PMSe vuoi, c'è una spiegazione relativamente semplice della risoluzione del 'paradosso dei gemelli' (in inglese), qui: https://www.cpp.edu/~ajm/materials/twinparadox.html. Il caso trattato nella spiegazione è esso stesso piuttosto ideale. Però, spero che renda l'idea (due giorni fa non mi è venuto in mente che con i diagrammi di Minkowski, in effetti, la spiegazione non è troppo complessa...).
Grazie per il link. Il fatto è che anche questa "spiegazione" non mi sembra rispondere alla mia obiezione. L'articolo, in apparenza, prende in considerazioni i due punti di riferimento, quello del gemello che resta a terra (EBT) e quello del gemello che viaggia (TT), ma in realtà il sistema di riferimento è sempre quello di EBT.
Ciao
@Donalduck,da quello che capisco io il problema che poni va oltre il caso specifico del 'tempo'. La vera questione che sollevi è, in realtà, sui sistemi di riferimento.
Nel mio post precedente, ho cercato di spiegare, come potevo, la differenza tra inerzialità e non-inerzialità a livello sperimentale.
Ho anche detto che, in realtà, il riferimento 'inerziale' è una idealizzazione in quanto il concetto di 'particella libera' è esso stesso una idealizzazione. Ti suggerisco di vedere la cosa in questi termini:
è vero che la 'particella libera' (ovvero non soggetta a forze) è un'astrazione ma possiamo stabilire situazioni in cui ci sono più o meno 'forze' e, quindi, si è più o meno distanti dall'idealità. Riprendiamo il caso dei corpi carichi del mio post precedente. Poniamo che siano appoggiati su un supporto che ci permette di 'ignorare' il disturbo dato dalla gravità. Si vede sperimentalmente che all'aumentare della distanza, la velocità di entrambi i corpi cambia sempre di meno.
Tu mi dirai: ma come faccio io, osservatore, a pensare di non essere in un riferimento accelerato? A rigore, in effetti, non lo so! Però, è chiaro che quando avevo davanti i due corpi carichi ravvicinati, essi erano, per così dire, accelerati in modo maggiore di me!
Se poi uno di essi lo faccio cadere dal supporto, mentre la sua traiettoria sembra essere modificata dall'influenza dell'altro, vedrò una nuova variazione della sua velocità. E così via.
Ergo, dall'
osservazione sperimentale sembra che si possa stabilire che alcuni oggetti fisici siano soggetti a più, per così dire, variazioni del moto rispetto ad altri. Quindi,
provo a fare la seguente approssimazione: l'accelerazione a cui è soggetto il mio laboratorio è 'trascurabile' rispetto a quella dei due corpi carichi quando essi sono vicini e/o quando sono sottoposti alla gravità. Siccome è 'trascurabile'
rispetto alle altre,
provo a porla uguale a zero. Certo, è una idealizzazione. Tuttavia, se io voglio 'fare fisica' sono
costretto a fare 'idealizzazioni', a semplificare il problema.
Finché l'idealizzazione mi permette di fare buone predizioni che non si discostano dall'osservazione sperimentale, posso mantenerle. Non ho però 'garanzia' che esse siano, in effetti, che potrò sempre basarmi su di esse. Né, tantomeno, che tali idealizzazioni siano le uniche possibili. Ma a priori, non avrei alcuna 'garanzia' che il metodo scientifico 'funzioni'. Il fatto che noi riusciamo a predire così bene le osservazioni sperimentali non è per nulla 'garantito' - se vogliamo è una sorta di 'miracolo'! Perché i fenomeni dovrebbero 'presentare' regolarità che ci permettono di fare predizioni così accurate?
D'altra parte, però, sembrano
ragionevoli in quanto sembrano
in accordo con quanto viene osservato in laboratorio. Dove 'in accordo', alla fine, è un'espressione da intendersi sempre allo stesso modo: in accordo significa che esse permettono di fare buone predizioni di ciò che è osservato. Niente di più, niente di meno.
Per questo io dicevo che se non accetti
almeno provvisoriamente le idealizzazioni, secondo me, nessuna risposta che ti darò ti soddisferà. 'Almeno provvisoriamente' perché non è necessario, per così dire, 'attaccarsi fortemente' ad esse.
Nello specifico, direi che l'evidenza sperimentale ci suggerisce che i due sistemi di riferimento
non sono equivalenti. E mentre il gemello che rimane sulla Terra potrà osservare una '
buona' compatibilità tra le predizioni della relatività ristretta e quello che osserva, il gemello che compie il viaggio dovrà ammettere che la compatibilità con le predizioni di tale teoria nel suo riferimento non è 'buona'.
In modo analogo, per basse velocità, il gemello sulla Terra vedrà che le sue osservazioni sembrano compatibili con le predizioni delle tre leggi di Newton. D'altra parte, se il gemello sulla Terra vede un suo amico su una giostra rotante e gli chiede se le sue osservazioni sono compatibili con le tre leggi di Newton, dirà che non lo sono affatto.
Come dicevo, il principale banco di prova è sempre lo stesso: l'osservazione sperimentale.
Riguardo al tempo 'fisico' e alla sua relazione con il tempo 'soggettivo', qui si aprirebbe una questione assai complessa. Per quanto mi riguarda, concordo che sono diversi ma direi anche che sono legati.
In fin dei conti, l'osservazione sperimentale fatta in laboratorio, in realtà, 'deriva', per così dire, da una osservazione che ci riguarda ancora più da vicino: l'osservazione empirica dell'esperienza cosciente stessa. Concetti come 'distanza', 'durata' ecc in fin dei conti sono concetti che utilizziamo nella nostra esperienza cosciente.
Come dicevo, le due fenomenologie sono 'a priori' diverse ma quando si indaga, probabilmente, si trovano legami più profondi (ma al tempo stesso, è importante anche non dimenticarsi che 'a priori' sono diverse...) :)
Con tempo 'fisico', intendo il tempo come è definito nella pratica sperimentale... La mia posizione filosofica è che il tempo inteso come 'dimensione' 'in cui' avvengono gli eventi non esiste.
Citazione di: Apeiron il 28 Dicembre 2019, 17:01:06 PMTi suggerisco di vedere la cosa in questi termini: è vero che la 'particella libera' (ovvero non soggetta a forze) è un'astrazione ma possiamo stabilire situazioni in cui ci sono più o meno 'forze' e, quindi, si è più o meno distanti dall'idealità.
Ma questo a che fare con una scelta arbitraria, dal punto di vista scientifico, del sistema di riferimento. Per ragioni di convenienza, come ragione e buonsenso suggeriscono, scegliamo il sistema di riferimento in cui la descrizione dei fenomeni risulta più semplice e agevole da elaborare. Ma buonsenso e necessità razionale o necessità scientifica non sono la stessa cosa. Quelle suggerite dal rasoio di Occam sono solo libere opzioni, non necessità, e solo le necessità ci illuminano sui fondamenti di ciò che è (se intuisci quel che voglio dire).Citazionese non accetti almeno provvisoriamente le idealizzazioni, secondo me, nessuna risposta che ti darò ti soddisferà
Non è questione di accettare e o non accettare, ma di verificare fino a che punto e come si può giustificare, da un punto di vista ontologico, quello che il paradosso dei gemelli racconta. Finora la mia ipotesi che i due punti di riferimento siano entrambi paritetici, anche se soggetti a diverse condizioni, non è stato smentita (da quello che so e ho capito, ovviamente). In particolare non vedo niente che metta in relazione, da un punto di vista formale (quindi matematico) le differenze di condizione dei due gemelli con la necessità di assumere il suo sistema di riferimento e considerarlo come "veritiero", mentre l'altro risulterebbe in qualche modo "fallace" o "illusorio".CitazioneE mentre il gemello che rimane sulla Terra potrà osservare una 'buona' compatibilità tra le predizioni della relatività ristretta e quello che osserva, il gemello che compie il viaggio dovrà ammettere che la compatibilità con le predizioni di tale teoria nel suo riferimento non è 'buona'.
E' proprio questo il punto. Io non trovo niente che si opponga all'ipotesi che i due gemelli, ognuno dal suo sistema di riferimento, misurino esattamente le stesse cose, in disaccordo con quello che misura l'altro gemello ma in accordo con la teoria. Il che ovviamente è paradossale, ma è appunto di un paradosso che si parla.CitazioneRiguardo al tempo 'fisico' e alla sua relazione con il tempo 'soggettivo', qui si aprirebbe una questione assai complessa. Per quanto mi riguarda, concordo che sono diversi ma direi anche che sono legati.
E' esattamente quello che ho affermato: sono in relazione ma non sono la stessa cosa.
Apeiron:
CitazioneLa mia posizione filosofica è che il tempo inteso come 'dimensione' 'in cui' avvengono gli eventi non esiste.
Questa asserzione merita una trattazione a parte, essendo fuori dal tema iniziale, anche perché, detta così, è alquanto sibillina.
Cosa vuoi dire? Qual è la tua concezione del tempo?
Citazione di: Apeiron il 28 Dicembre 2019, 17:01:06 PM
Riguardo al tempo 'fisico' e alla sua relazione con il tempo 'soggettivo', qui si aprirebbe una questione assai complessa. Per quanto mi riguarda, concordo che sono diversi ma direi anche che sono legati.
In fin dei conti, l'osservazione sperimentale fatta in laboratorio, in realtà, 'deriva', per così dire, da una osservazione che ci riguarda ancora più da vicino: l'osservazione empirica dell'esperienza cosciente stessa. Concetti come 'distanza', 'durata' ecc in fin dei conti sono concetti che utilizziamo nella nostra esperienza cosciente.
Come dicevo, le due fenomenologie sono 'a priori' diverse ma quando si indaga, probabilmente, si trovano legami più profondi (ma al tempo stesso, è importante anche non dimenticarsi che 'a priori' sono diverse...) :)
Certamente sono legati e non è certo la differenza relativistica ad influenzare il tempo di vita degli umani quanto le condizioni del sistema sanitario. Tutto ciò che è filtrato dalla mente è profondamente radicato nella natura ma ha peculiarità derivanti dall'autocoscienza di ciò che sta accadendo, per cui ...
CitazioneCon tempo 'fisico', intendo il tempo come è definito nella pratica sperimentale... La mia posizione filosofica è che il tempo inteso come 'dimensione' 'in cui' avvengono gli eventi non esiste.
... a differenza del tempo fisico il tempo antropologico una sua "dimensione" in cui avvengono gli eventi (storia) ce l'ha. Ma anche quello fisico, secondo Einstein, mi pare ...
Citazione di: Donalduck il 28 Dicembre 2019, 15:35:22 PM
Se uno è interessato solo al funzionare o non funzionare, niente da dire, ma l'ontologia non è lo studio del funzionamento delle cose. E comunque a me interessa anche altro, anche restando soltanto nel campo della razionalità.
E non confondiamo le diverse accezioni del termine "ontologia", che indica anche un'entità informatica oltre che, se vogliamo (ma è la prima volta che lo vedo usato in questo modo), cose come il "campo di esistenza del battito cardiaco", ma che in filosofia è altra cosa, riguarda i fondamenti di tutto il nostro sistema di pensiero.
Mi spiace ma l'ontologia delle cose reali è da un bel po' che è transitata armi e bagagli nel campo della scienza. Alla filosofia restano neppure tutti i "fondamenti di tutto il nostro sistema di pensiero" ma quelli su cui le neuro e psicoscienze non hanno nulla da dire. Praticamente soltanto l'etica a livello professionale (e non è mica poca cosa). Mettiamoci pure la logica, l'estetica e tutta la sfera del desiderio e delle sue invenzioni, fuori dal'ontologia scientifica. Ma oltre questa peculiare ontologia antropologica la scienza è l'unico sapere ontologico affidabile.
Si può continuare ad avvitarsi nei vortici dell'Essere metafisico, ma non si va oltre un livello velleitario, per non dire hobbistico, di speculazione filosofica. Rimestando riflessioni antiquarie che hanno fatto il loro tempo, la cui "velocità" continua a segnare il passo.
Salve. Il tempo è dimensione quantitativa. Non posssiede alcuna qualità diversa da quelle che caratterizzano gli eventi che ne generano - appunto - l'esistenza. Nessun evento, nessuna qualità "eventuale", nessun tempo. Tanti eventi, tanto tempo. L'insieme di tutti gli eventi altro non è che l'eternità. Cioè la totalità del tempo.
Essendo grandezza quantitativa, esso si presta meravigliosamente ad ogni genere di di soggettività e di manipolabilità, come infatti di esso avviene in campo scientifico. Saluti.
Citazione di: Ipazia il 28 Dicembre 2019, 19:56:24 PM
Mi spiace ma l'ontologia delle cose reali è da un bel po' che è transitata armi e bagagli nel campo della scienza. Alla filosofia restano neppure tutti i "fondamenti di tutto il nostro sistema di pensiero" ma quelli su cui le neuro e psicoscienze non hanno nulla da dire. Praticamente soltanto l'etica a livello professionale (e non è mica poca cosa). Mettiamoci pure la logica, l'estetica e tutta la sfera del desiderio e delle sue invenzioni, fuori dal'ontologia scientifica. Ma oltre questa peculiare ontologia antropologica la scienza è l'unico sapere ontologico affidabile.
Si può continuare ad avvitarsi nei vortici dell'Essere metafisico, ma non si va oltre un livello velleitario, per non dire hobbistico, di speculazione filosofica. Rimestando riflessioni antiquarie che hanno fatto il loro tempo, la cui "velocità" continua a segnare il passo.
Certo se uno usa i termini a suo piacimento, se ad esempio in per ontologia intendo mio cugino, potrò speculare quanto voglio, ma sarà difficile il confronto con qualsiasi altrui pensiero.
Ho verificato che anche le più diffuse fonti online danno al termine alcune solo il significato filosofico, le più aggiornate aggiungono il significato nel senso informatico. Ma forse fai parte di un'avanguardia e le tue concezioni non sono ancora giunte al grande pubblico, bisogna solo pazientare.
Resta il fatto che anche le tue presunte "ontologie" in sensi per quanto mi riguarda tutti da chiarire, sarebbero comunque tutt'altra cosa dell'ontologia in senso filosofico e no, non sono intercambiabili: non puoi sostituire il lavandino con un bidet. E' soprattutto questo tipo di mancanza di discernimento che distingue la filosofia saccente da salotto dalla sincera curiosità del ricercatore.
Ta onta, ovvero "le cose che sono" è l'origine dell'esperienza conoscitiva qualunque essa sia. In origine la conoscenza si identificava col la philo-sofia e la conoscenza degli onta naturali era oggetto di studio della
filosofia naturale.
Il dilatarsi del significato degli enti naturali e della loro fenomenologia ha occupato via via sempre più l'ambito di studio degli onta (onto-logia), lasciando alla filosofia moderna solo il dominio della riflessione metodologica (logica, epistemologia), dell'etologia umana (per la parte
etica) e della fede religiosa (teologia). Tutto il resto - piaccia o non piaccia - se lo è pappato la filosofia naturale divenuta scienza.
Citazione di: Ipazia il 29 Dicembre 2019, 09:36:02 AM
Ta onta, ovvero "le cose che sono" è l'origine dell'esperienza conoscitiva qualunque essa sia. In origine la conoscenza si identificava col la philo-sofia e la conoscenza degli onta naturali era oggetto di studio della filosofia naturale.
Il dilatarsi del significato degli enti naturali e della loro fenomenologia ha occupato via via sempre più l'ambito di studio degli onta (onto-logia), lasciando alla filosofia moderna solo il dominio della riflessione metodologica (logica, epistemologia), dell'etologia umana (per la parte etica) e della fede religiosa (teologia). Tutto il resto - piaccia o non piaccia - se lo è pappato la filosofia naturale divenuta scienza.
La scienza ha assai poco da dire sui fondamenti dell'essere e della conoscenza, in sostanza sul mistero dell'esistenza che, pur essendo impenetrabile alla razionalità, ha molto da insegnare nel cammino che si compie nel cercare di svelarlo. E' chiaro che non si può arrivare a "fondamenti ultimi" perché non possiamo concepire nulla che non richieda a sua volta una spiegazione (quindi anche le "teorie del tutto" non possono che essere velleitarie). Ma una cosa che si può fare in questo cammino è sbarazzarsi di tutti i miti e i pregiudizi che riguardano tali fondamenti. Come che la scienza abbia qualche risposta in proposito. Non ce l'ha. La scienza si occupa di costruire modelli e applicarli al mondo dell'esperienza. Ma stabilire le relazioni tra i modelli e il mondo dell'esperienza è affar suo solo per quanto riguarda le applicazioni pratiche, la tecnologia. Stabilire le relazioni concettuali è compito della filosofia, ossia richiede lo spostamento su un altro piano, su un altro contesto, un'altra dimensione del pensiero. Inoltre la scienza è sostanzialmente intrinsecamente incapace di sondare e indagare il mondo della psiche (e parlo di mondo perché è vissuto come tale dalla coscienza, unico nostro sicuro e ineliminabile punto di riferimento), che rappresenta la metà dell'esperienza umana. Pensieri, sensazioni, sentimenti sono scatole nere per la scienza, che può solo indagare sulle tracce lasciate da tali fenomeni nel mondo fisico. La scienza, che ha bisogno sempre di qualcosa di misurabile, non ha i mezzi per addentrarsi nel mondo della psiche . Quindi non posso che dissentire totalmente: da un punto di vista ontologico la scienza è autoreferenziale. Può fornire informazioni utili alla speculazione ontologica, ma non può sostituirla in alcun modo.
Citazione di: Donalduck il 29 Dicembre 2019, 10:26:35 AM
La scienza ha assai poco da dire sui fondamenti dell'essere e della conoscenza, in sostanza sul mistero dell'esistenza che, pur essendo impenetrabile alla razionalità, ha molto da insegnare nel cammino che si compie nel cercare di svelarlo.
Opinabile. Le scienze cognitive hanno molto da dire sulla conoscenza e la conoscenza stessa è sinonimo di scienza. Per quanto riguarda i "fondamenti" ...
CitazioneE' chiaro che non si può arrivare a "fondamenti ultimi" perché non possiamo concepire nulla che non richieda a sua volta una spiegazione (quindi anche le "teorie del tutto" non possono che essere velleitarie). Ma una cosa che si può fare in questo cammino è sbarazzarsi di tutti i miti e i pregiudizi che riguardano tali fondamenti. Come che la scienza abbia qualche risposta in proposito. Non ce l'ha. La scienza si occupa di costruire modelli e applicarli al mondo dell'esperienza.
... la filosofia ha tentato una resistenza da parte dell'ultimo giapponese della metafisica ontologica che teorizzò la cosa in sè (das Ding an sich), il noumeno, contrapponendola alla sua manifestazione fenomenica. Tale strategia si è rivelata fallace e già Schopenauer si rese conto che tutto il nostro sapere, e non solo quello della scienza naturale, "si occupa di costruire modelli e applicarli al mondo dell'esperienza"
CitazioneMa stabilire le relazioni tra i modelli e il mondo dell'esperienza è affar suo solo per quanto riguarda le applicazioni pratiche, la tecnologia. Stabilire le relazioni concettuali è compito della filosofia, ossia richiede lo spostamento su un altro piano, su un altro contesto, un'altra dimensione del pensiero.
Anche qui direi che le scienze umane hanno eroso non poco del terreno filosofico puro: logica e semantica sono discipline già abbondantemente emancipate dall'approccio metafisico classico al loro oggetto di studio. Nella cui pertinenza e vicinanza si trovano pure le scienze della psiche:
CitazioneInoltre la scienza è sostanzialmente intrinsecamente incapace di sondare e indagare il mondo della psiche (e parlo di mondo perché è vissuto come tale dalla coscienza, unico nostro sicuro e ineliminabile punto di riferimento), che rappresenta la metà dell'esperienza umana. Pensieri, sensazioni, sentimenti sono scatole nere per la scienza, che può solo indagare sulle tracce lasciate da tali fenomeni nel mondo fisico.
"Pensieri, sensazioni, sentimenti" sono scatole nere anche per la filosofia classica ormai frustrata da millenni di lotte serrate con un concetto particolare, l'Essere. Frustrazione ben contenuta nello "
stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus". Ultimo frammento ontologico duramente conteso nella
sostanza dalla botanica, nell'
essenza odorosa dalla chimica e nella simbologia e iconografia dall'ispirazione artistica
CitazioneLa scienza, che ha bisogno sempre di qualcosa di misurabile, non ha i mezzi per addentrarsi nel mondo della psiche
Neppure questa proposizione è vera. Esiste un coacervo di scienze descrittive che si occupano di fenomeni qualitativi non misurabili. O semimisurabili attraverso algoritmi di tipo logico-probabilistico.
CitazioneQuindi non posso che dissentire totalmente: da un punto di vista ontologico la scienza è autoreferenziale. Può fornire informazioni utili alla speculazione ontologica, ma non può sostituirla in alcun modo.
Dire "referenziale" non significa nulla se non si delimita il campo di esistenza del referente. Anche la filosofia è autoreferenziale. Il suo problema è che ha dovuto cedere sovranità sul suo campo applicativo che, come dicevo sopra, rimane comunque importante nel manipolare quelle scatole nere ontologiche di cui la scienza non si è (ancora) impossessata. E su alcune forse non lo farà mai. Ma non riguardano l'ontologia, bensì la teleologia. La causa finale. E il significato, piuttsto che la natura, delle cose.
Ciao
@Donalduck,
Citazione di: Donalduck il 28 Dicembre 2019, 18:24:34 PM
Citazione di: Apeiron il 28 Dicembre 2019, 17:01:06 PMTi suggerisco di vedere la cosa in questi termini: è vero che la 'particella libera' (ovvero non soggetta a forze) è un'astrazione ma possiamo stabilire situazioni in cui ci sono più o meno 'forze' e, quindi, si è più o meno distanti dall'idealità.
Ma questo a che fare con una scelta arbitraria, dal punto di vista scientifico, del sistema di riferimento. Per ragioni di convenienza, come ragione e buonsenso suggeriscono, scegliamo il sistema di riferimento in cui la descrizione dei fenomeni risulta più semplice e agevole da elaborare. Ma buonsenso e necessità razionale o necessità scientifica non sono la stessa cosa. Quelle suggerite dal rasoio di Occam sono solo libere opzioni, non necessità, e solo le necessità ci illuminano sui fondamenti di ciò che è (se intuisci quel che voglio dire).
Credo di aver afferrato quello che intendi dire. Il punto è che nella scienza, secondo me, non si segue una vera e propria 'certezza' (intendo 'certezza matematica'). D'altra parte, si segue comunque la ragione. Visto che la scienza ha una natura empirica e si muove secondo quanto viene scoperto empiricamente, non si può applicare ad essa il criterio della 'necessità logica'. A mio giudizio, inoltre, sembra difficile 'affrancarsi' completamente del fatto che si è in una precisa 'prospettiva' (che siamo 'situati' usando un'espressione del filosofo Bitbol).
Inoltre, un'altra possibile limitazione è data dal fatto che i nostri sistemi concettuali potrebbero non fornirci una 'mappatura' completamente fedele, e così via (si potrebbe andare avanti parlando delle limitazioni tecnologiche dei nostri strumenti di misura, potrei inoltre argomentare che vi è una somiglianza tra percezione e osservazione sperimentale e così via...).
Certo, tutto questo ci porta a dire che la conoscenza scientifica è limitata ecc.
D'altra parte, però, funziona. La posizione per cui la scienza ci descrive
in modo approssimato la 'realtà così come è' e che tale 'realtà così come è' abbia regolarità comunque ha il vantaggio di rendere più 'naturale' il fatto che la scienza funzioni ecc.
Difficile, secondo me, è arrivare ad una conclusione nel tentativo di stabilire la relazione tra la conoscenza scientifica e la 'realtà'. Certo, la posizione per cui la conoscenza scientifica potrà darci una 'esatta' descrizione della realtà sembra molto difficile da sostenere. Ma se si rigetta ciò, ci sono varie posizioni che si possono prendere.
Per esempio, la corrente filosofica per cui la conoscenza scientifica
non rispecchia la 'realtà così come è' ma è 'utile' ha certamente il 'pregio' di essere 'liberante' di rendere i loro sostenitori meno 'attaccati' alle teorie e così via, ma ha anche il 'difetto' di non saper giustificare il 'funzionamento' della scienza stessa.
Il problema di cui parli è estremamente generale. Apprezzo il tuo spirito d'indagine, ma non credo che sia facile trovare una risposta davvero soddisfacente a tale domanda. Questo, ovviamente, non significa che devi smettere d'indagare! Però, ti dico solo che, per quanto mi riguarda, il problema mi sembra assai complesso e trovare una soluzione mi pare assai difficile. :)
Nel caso specifico, concordo che l''arbitrarietà' di cui parli c'è. Ma d'altra parte, è anche vero che è innegabile l'incredibile 'funzionamento' della relatività e delle altre teorie.
Citazione di: Donalduck il 28 Dicembre 2019, 18:24:34 PM
Citazionese non accetti almeno provvisoriamente le idealizzazioni, secondo me, nessuna risposta che ti darò ti soddisferà
Non è questione di accettare e o non accettare, ma di verificare fino a che punto e come si può giustificare, da un punto di vista ontologico, quello che il paradosso dei gemelli racconta. Finora la mia ipotesi che i due punti di riferimento siano entrambi paritetici, anche se soggetti a diverse condizioni, non è stato smentita (da quello che so e ho capito, ovviamente). In particolare non vedo niente che metta in relazione, da un punto di vista formale (quindi matematico) le differenze di condizione dei due gemelli con la necessità di assumere il suo sistema di riferimento e considerarlo come "veritiero", mentre l'altro risulterebbe in qualche modo "fallace" o "illusorio".
Come dicevo prima, posso concordare con te su questo punto. Però, d'altra parte, è innegabile il fatto che la relatività ristretta funzioni estremamente bene e la relatività ristretta si basa sulla distinzione tra sistema di riferimento inerziale e non-inerziale e basandosi su tale teoria si è 'costretti' a pensare ad uno dei gemelli come 'approssimativamente inerziale' e l'altro no.
Citazione di: Donalduck il 28 Dicembre 2019, 18:24:34 PM
CitazioneE mentre il gemello che rimane sulla Terra potrà osservare una 'buona' compatibilità tra le predizioni della relatività ristretta e quello che osserva, il gemello che compie il viaggio dovrà ammettere che la compatibilità con le predizioni di tale teoria nel suo riferimento non è 'buona'.
E' proprio questo il punto. Io non trovo niente che si opponga all'ipotesi che i due gemelli, ognuno dal suo sistema di riferimento, misurino esattamente le stesse cose, in disaccordo con quello che misura l'altro gemello ma in accordo con la teoria. Il che ovviamente è paradossale, ma è appunto di un paradosso che si parla.
Qui però mi permetto di dissentire. Nella relatività ristretta, vi è una asimmetria nella situazione dei due gemelli che segue dagli assiomi della teoria (assiomi che, come dicevo, sono costruiti da considerazioni
empiriche, non puramente 'razionalistiche'*- ovviamente non solo empiriche, ma la parte empirica è ineliminabile). Ognuno è liberissimo di criticare gli assiomi di una teoria. Ma nel contesto della teoria, la situazione è asimmetrica.
*Con 'razionalistiche' intendo considerazioni basate sul 'puro ragionamento'.
Citazione di: Donalduck il 28 Dicembre 2019, 18:24:34 PM
CitazioneRiguardo al tempo 'fisico' e alla sua relazione con il tempo 'soggettivo', qui si aprirebbe una questione assai complessa. Per quanto mi riguarda, concordo che sono diversi ma direi anche che sono legati.
E' esattamente quello che ho affermato: sono in relazione ma non sono la stessa cosa.
Nuovamente, si può dire che il tempo 'soggettivo' è quello di cui abbiamo 'esperienza diretta' (in quanto, direi che il 'tempo soggettivo' è parte della nostra 'esperienza vissuta'). Considerando che, in ultima analisi, sembra che siamo 'costretti' a partire dall''esperienza vissuta', sembra che, in ultima analisi, ogni concetto che utilizziamo nell'ambito scientifico sia in qualche modo 'legato' ad essa.
Su
come siano legati, non lo so :)
Citazione di: Donalduck il 28 Dicembre 2019, 18:29:47 PM
Apeiron:
CitazioneLa mia posizione filosofica è che il tempo inteso come 'dimensione' 'in cui' avvengono gli eventi non esiste.
Questa asserzione merita una trattazione a parte, essendo fuori dal tema iniziale, anche perché, detta così, è alquanto sibillina.
Cosa vuoi dire? Qual è la tua concezione del tempo?
Riguardo alla questione della 'dimensione' (qui spero di rispondere anche all'osservazione di
@Ipazia che richiamava il fatto che anche per Einstein il tempo è una 'dimensione'), intendo dire al tempo pensato in modo analogo a come si pensa, solitamente, alle dimensioni spaziali.
L'intuizione sembra farci pensare allo spazio* come una sorta di 'contenitore' (analogia ovviamente limitata ma spero chiara) nel quale ci sono gli 'oggetti'. Questa era più o meno l'immagine dello spazio 'assoluto' pre-relativistico.
Nella relatività, lo spazio e il tempo 'assoluti' vengono sostituiti dallo 'spazio-tempo' e la 'divisione' in spazio e tempo dipende (in parte) dal riferimento (in modo descritto dalla struttura della teoria, quindi non 'a caso'...). Visto che il formalismo sembra suggerirci che ciò che è 'reale' sia lo 'spazio-tempo' quadri-dimensionale, c'è una innegabile tendenza a pensare allo 'spazio-tempo' in modo analogo allo 'spazio assoluto' e, quindi, si pensa che l'universo sia un 'blocco' quadridimensionale, dove ogni evento è equamente reale e, quindi, la distinzione tra passato, presente e futuro è totalmente illusoria (leggevo che lo stesso Einstein sembra aver sostenuto questa ipotesi, tant'è che, se non ricordo male l'aneddoto, il filosofo Popper lo chiamava 'Parmenide').
Ritengo che vedere il tempo 'spazializzato' in questo modo sia dovuto ad una errata 'reificazione'. Il tempo non è una 'dimensione' 'dove' 'avvengono' gli eventi. E l'universo non è un 'blocco' quadridimensionale.
Ritengo, invece, che il tempo sia estremamente legato al 'mutamento'. Non ritengo che in assenza di mutamento che il tempo sia 'qualcosa' che esisterebbe comunque.
Inoltre, ritengo l'ordinamento temporale (prima, poi ecc) come espressione delle
relazioni tra gli eventi.
*Simili considerazioni, secondo me, valgono anche per lo spazio. Leggiti, se ti va, le considerazioni del fisico David Bohm che ritengo, per così dire, sulla 'strada giusta' citate in questo post:
https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/fisica-e-tempo/msg37587/#msg37587. Anche il fisico Carlo Rovelli sembra avere una idea simile di spazio e tempo.
Ad ogni modo, tempo e spazio sono per me qualcosa di molto misterioso...
Detto questo, colgo l'occasione per augurare a tutto l'Hotel Logos un buon 2020 :)
Apeiron scrive:
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Nuovamente, si può dire che il tempo 'soggettivo' è quello di cui abbiamo 'esperienza diretta' (in quanto, direi che il 'tempo soggettivo' è parte della nostra 'esperienza vissuta'). Considerando che, in ultima analisi, sembra che siamo 'costretti' a partire dall''esperienza vissuta', sembra che, in ultima analisi, ogni concetto che utilizziamo nell'ambito scientifico sia in qualche modo 'legato' ad essa.
Su come siano legati, non lo so :)
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Il tempo forse esiste e forse no , ma esiste comunque la "percezione del tempo" e il processo che ha prodotto questa percezione ,per quanto a noi ignoto , penso faccia impallidire il più ardito processo di produzione scientifica di successo.
C'è quindi un legame di sudditanza , anche se si è soliti credere il contrario , della scienza rispetto alla percezione.
Il legame che c'e' fra allievo e maestro , dove il maestro pero' insegna solo con l'esempio.
E il "prodotto tempo" è l'esempio che ci da' il mondo percettivo di ciò che noi stiamo cercando nel mondo parallelo scientifico . Qualcosa che unifichi tutte le conoscenze in un solo "acchiappo" rendendole magicamente semplici , figlie di un solo ordine, proprio come avviene nel mondo della percezione grazie al tempo.
Ma il parallelo del tempo non credo sia il tempo.
La scienza cerca qualcosa di simile al tempo che non può essere il tempo.
Come sappiamo tale ricerca è tutto meno che semplice , e ciò indica il gap che la scienza deve ancora colmare nel comprendere il parallelo mondo della percezione.
Non è facile perché vogliamo portare a livello conscio un meccanismo che per funzionare non abbisogna in se' di coscienza.
Nel momento in cui riuscissimo nell'intento allora sapremmo come fare a costruire oggetti come il tempo , e che al pari del tempo sono specchio della realtà senza esserlo.
Forse non è un caso che Lee Smolin dopo aver collaborato con Rovelli cerchi adesso di riabilitare il tempo rimettendolo al centro della scienza.
Il centro della scienza al momento in effetti è vuoto , ma potrebbe essere occupato dal tempo solo se la scienza arrivasse a coincidere , avendone svelato tutti i meccanismi , con la percezione , andando così a convergere le due parallele.
Ma se così fosse a cosa ci sarebbe servito esplicitare i nostri processi di conoscenza , se non per portarli oltre ?
La strada però sembra ancora ben lunga.
La percezione è per noi , in quanto esseri senzienti ancora un mistero che stiamo solo iniziando a svelare .
Vogliamo impadronirci dei suoi meccanismi per capire come si fa' a produrre oggetti simili al tempo .
Non esiste ma nulla ci è più utile di esso .
Si comprende quindi come non sia facile abbandonarlo , anche quando per trovare di meglio.
E comunque sia .... buon anno nuovo a tutti.😄
PS
Non andrebbe dimenticato nel procedere parallelo dei due processi che il silente maestro ci mostra la condivisione come punto nodale del processo.
Perché nessuno sa dire cosa è il tempo , ma TUTTI sanno cos' è.
La novità del processo parallelo scienza è che tutti dovrebbero sapere cos'è che sia , sapendolo dire.
Che al centro di tutto ci sia l'utilita' sarà vero , ma l'utilita' in se' non necessita di semplicità, specie quando si può delegare i processi produttivi ai computer.
Se parliamo di utilita' allora forse la scienza è alla ricerca di qualcosa che non serve più?
Ci basterà poter accedere tutti a computer simili?
Ci basterà condividere questo comodato d'uso?
Il punto è qual'e' e quale vogliamo che sia il ruolo della coscienza.
La usiamo quando serve e quando non serve la mettiamo da parte?
La usiamo per costruire computer i cui processi non saranno parte della nostra coscienza?
A cercarli i paralleli non mancano e vanno in un senso e nell'altro.
In fondo a pensarci non sempre sappiamo bene cosa stiamo facendo , anche quando ci diciamo scienziati.
Un continuo rimando , non sempre cosciente , fra coscienza e incoscienza.
Ed è in questo continuo gioco delle parti che nel passato nacque il tempo , e nel puffuro puffera' un puffo.😅
E comunque questo concetto di utilita' , che io spesso tiro in ballo , è bello puffoso pure lui , per non dire che lascia il tempo che trova , mentre forse noi stiamo cercando altro , senza sapere cosa , perché non ci è dato avere sempre piena coscienza del processo cui partecipiamo.
La coscienza è un mezzo o un fine?
Temo solo un mezzo.
Sarebbe bello poter dire che è un fine perché ci farebbe sentire al centro del processo , ma ovviamente questo non è un buon motivo per dirlo.
Ma se la scienza in qualcosa è stata maestra è stato proprio nell'insegnarci che i centri esistono solo per poterli abbandonare in piena coscienza , per poter andarne ad occupare in piena incoscienza un altro , e sembra che questo sia un progresso.
A cosa serve tutto ciò è forse improprio chiedersi , perché sarebbe utile a chi è a cosa?
A sentirsi sempre al centro?
Citazione di: Donalduck il 26 Dicembre 2019, 11:17:31 AM
Citazione di: iano il 26 Dicembre 2019, 01:52:10 AMCredo nella realtà sulla fiducia...
Mmmm.... Hai fatto un lungo discorso sulla realtà, dimenticandoti di dire cosa intendi con questo termine, e neppure si capisce da quello che scrivi. E' proprio il problema che ho enunciato e risolto, per quanto mi riguarda, nel modo che ho descritto. Non trovo invece nulla di intelligibile e neppure intuibile nel tuo modo di presentare la tua visione di questa fantomatica "realtà". Purtroppo non possiamo affatto contare su una intuizione comune, dato che da parte mia trovo decisamente fuorviante e fallimentare il modo in cui si usa generalmente questo termine in filosofia.
Semplicemente non c'è modo di dimostrare che una realtà fuori di noi esista , quindi siamo liberi di crederci o meno e io scelgo di crederci.
Non possiamo contare su una intuizione comune come prova di esistenza.
Non possiamo dire che il rosso esiste perché tutti lo percepiamo. Sappiamo che esiste una frequenza che corrisponde al rosso , ma il rosso ,oggetto comune della nostra percezione non esiste.
E come percepiamo il rosso così percepiamo il tempo.
Hai ragione a criticarmi . Spesso metto sulla tastiera i pensieri come vengono.
Citazione di: iano il 30 Dicembre 2019, 23:52:34 PM
Citazione di: Donalduck il 26 Dicembre 2019, 11:17:31 AM
Citazione di: iano il 26 Dicembre 2019, 01:52:10 AMCredo nella realtà sulla fiducia...
Mmmm.... Hai fatto un lungo discorso sulla realtà, dimenticandoti di dire cosa intendi con questo termine, e neppure si capisce da quello che scrivi. E' proprio il problema che ho enunciato e risolto, per quanto mi riguarda, nel modo che ho descritto. Non trovo invece nulla di intelligibile e neppure intuibile nel tuo modo di presentare la tua visione di questa fantomatica "realtà". Purtroppo non possiamo affatto contare su una intuizione comune, dato che da parte mia trovo decisamente fuorviante e fallimentare il modo in cui si usa generalmente questo termine in filosofia.
Semplicemente non c'è modo di dimostrare che una realtà fuori di noi esista , quindi siamo liberi di crederci o meno e io scelgo di crederci.
Non possiamo contare su una intuizione comune come prova di esistenza.
Non possiamo dire che il rosso esiste perché tutti lo percepiamo. Sappiamo che esiste una frequenza che corrisponde al rosso , ma il rosso ,oggetto comune della nostra percezione non esiste.
E come percepiamo il rosso così percepiamo il tempo.
Hai ragione a criticarmi . Spesso metto sulla tastiera i pensieri come vengono.
Sulle bufale "percepite" dal politicamente ed epistemologicamente "corretto" relative alla percezione forse è il caso di cominciare a fare debunking.
Che la percezione non sia illusoria basta a dimostrarlo la capacità di coordinare spazio, massa, tempo, onde luminose e operatore nella semplice manovra di posteggio di un'auto tra due auto parcheggiate. L'oggettività del risultato - fausto o infausto che sia - falsifica qualsiasi volo pindarico di tipo metafisico.
E poichè nell'operazione di sbufalamento non vogliamo farci mancare nulla, riusciamo anche a correggere i limiti percettivi di chi ha deficit visivi con
artifici predisposti ad hoc, che non funzionerebbero minimamente se non avessimo compreso l'oggettività del processo visivo e le leggi naturali che lo regolano.
In definitiva, non solo la (cono)scienza non è illusoria, ma è così ben congegnata da potenziare millemilavolte i limiti evoluzionistici naturali della nostra percezione, liberandola pure dalle indebite attenzioni della metafisica.
@Ipazia.
La percezione non è la realtà , ma neanche una bufala inaffidabile.Tuttaltro.
Anzi è il modello a cui la scienza deve ispirarsi, per poterlo integrare/superare ,laddove la scienza ci rende "diversamente percepienti".
Illusorietà non è il termine giusto da usare quindi.
L'unica illusione è quella di una realtà in se' conoscibile.
Certamente conoscere i meccanismi della percezione aiuta a correggere i deficit percettivi , cosa che il cervello in verità fa' da solo riorganizzando e ottimizzando le sue risorse in caso di accidentale menomazione sensoriale.
Il cervello è sempre "diversamente abile" perché capace con grande plasticità di modificarsi in base al contesto e alle risorse disponibili al momento.
Anche l'uso del termine deficit quindi è improprio.
Il cervello fa' quel che può con le risorse che ha e queste risorse , poche o tante che siano , integre o menomate che dir si voglia ,non sono mai infinite .
La percezione non usa metafisica , ma noi , quando parliamo di realtà in se' , senza saper dire di cosa stiamo parlando.
Quando osservo "cio' che mi sta intorno " mi pare un tale miracolo che non è pensabile , fino a prova contraria , che ciò che osservo non sia la realtà in se'.
La prova contraria pero' c'è.
Citazione di: iano il 31 Dicembre 2019, 21:56:22 PM
@Ipazia.
La percezione non è la realtà , ma neanche una bufala inaffidabile.Tuttaltro.
Anzi è il modello a cui la scienza deve ispirarsi, per poterlo integrare/superare ,laddove la scienza ci rende "diversamente percepienti".
Illusorietà non è il termine giusto da usare quindi.
L'unica illusione è quella di una realtà in se' conoscibile.
L'unica illusione (metafisica) è la
realtà in sè.
CitazioneCertamente conoscere i meccanismi della percezione aiuta a correggere i deficit percettivi , cosa che il cervello in verità fa' da solo riorganizzando e ottimizzando le sue risorse in caso di accidentale menomazione sensoriale.
Il cervello è sempre "diversamente abile" perché capace con grande plasticità di modificarsi in base al contesto e alle risorse disponibili al momento.
Anche l'uso del termine deficit quindi è improprio.
Il cervello fa' quel che può con le risorse che ha e queste risorse , poche o tante che siano , integre o menomate che dir si voglia ,non sono mai infinite.
Il deficit è scientificamente circoscrivibile. L'occhio umano è sensibile ad un range di frequenze limitate. La biochimica del carbonio sopporta condizioni ambientali molto limitate rispetto ai range di temperatura, pressione e condizioni chimico-fisiche presenti nell'universo. E così via. Sono tutte cose che ci sono note senza scomodare la "cosa in sè" e tali deficit possono essere superati usando artifici tecnici scientificamente provati.
CitazioneLa percezione non usa metafisica , ma noi , quando parliamo di realtà in se' , senza saper dire di cosa stiamo parlando. Quando osservo "cio' che mi sta intorno " mi pare un tale miracolo che non è pensabile, fino a prova contraria , che ciò che osservo non sia la realtà in se'. La prova contraria pero' c'è.
E' un problema che la ricerca scientifica supera agevolmente sapendo quello che sa e quello che non sa. Quello che non sa, tipo la "cosa in sè", lo lascia volentieri alla metafisica e se ne occuperà solo quando ne saprà qualcosa, attraverso la ricerca. La realtà, per la scienza, è l'insieme dei fatti esperiti e le teorie non falsificate che questi fatti riescono a spiegare. Quando la teoria riesce a prevedere il risultato finale di una sequenza di fatti siamo in presenza di realtà. Non occorre nemmeno una laurea ad Harvard per produrre proposizioni reali: "tutti gli uomini sono mortali" ha piena corrispondenza con la realtà.
Salve Ipazia. Comunque non se ne esce, quindi andiamo tranquillamente avanti a battibeccare. Ad esempio (citandoti) : "Il deficit è scientificamente circoscrivibile. L'occhio umano è sensibile ad un range di frequenze limitate"........afferma solamente che le frequenze impercepibili esistono solamente per la scienza, cioè per un punto di vista e "modo di (non) essere reale" che altro non è che una costruzione mentale, convenzionale, concettuale, immateriale che vorrebbe "descrivere" e "definire" la realtà stando - OVVIAMENTE E NECESSARIAMENTE - al di fuori della realtà stessa !. (Dal momento che tu sai benissimo che non è possibile descrivere oggettivamente qualcosa restando al suo interno). Buon anno.
@Ipazia.
Con tutto il rispetto , mi pare che fai un uso disinvolto del termine realtà.
Però mi pare che nella sostanza siamo d'accordo.
Io credo nell'esistemza di una realtà in se' che assumo per ipotesi.
È ciò da cui si parte , non ciò a cui si arriva.
Le costruzioni della scienza e della percezione sono "utili" , ma non vere , cioè vere nel senso che sono sulla strada della conoscenza della realtà in se' , perché ciò non ha senso.
È un punto di vista il mio che può risultare deludente , ma ha risvolti positivi per chi affronta la professione scientifica , spazzando via ogni metafisica.
Per contro potrebbe essere un punto di vista che non incentiva a intraprendere la professione.
Ma non sono necessari incentivi.Basta preservare la libertà di scelta.E' sufficiente non creare disincentivi ad arte.
Chi non capisce la scienza deve sapere che non può capirla se non intraprendendo il mestiere.
È un problema tecnico e non di geniale illuminazione.
La divulgazione scientifica fa' parecchi danni perché parte dalla percezione per spiegare la scienza , dimenticando che nel pacchetto della percezione è incluso un "senso di realtà " che poi la gente si aspetta di ritrovare nel pacchetto scienza , restando disorientata perché quel senso continua a non trovarlo.
E finché non lo trova dirà che non ha capito.
Ma in effetti ci sono molte cose da sapere e da sperimentare , ma nulla da capire.
Citazione di: viator il 01 Gennaio 2020, 20:57:07 PM
Salve Ipazia. Comunque non se ne esce, quindi andiamo tranquillamente avanti a battibeccare. Ad esempio (citandoti) : "Il deficit è scientificamente circoscrivibile. L'occhio umano è sensibile ad un range di frequenze limitate"........afferma solamente che le frequenze impercepibili esistono solamente per la scienza, cioè per un punto di vista e "modo di (non) essere reale" che altro non è che una costruzione mentale, convenzionale, concettuale, immateriale che vorrebbe "descrivere" e "definire" la realtà stando - OVVIAMENTE E NECESSARIAMENTE - al di fuori della realtà stessa !. (Dal momento che tu sai benissimo che non è possibile descrivere oggettivamente qualcosa restando al suo interno). Buon anno.
Manco per nulla. Significa che noi abbiamo intelligenza e strumenti per
fare entrare nella realtà anche ciò che non ci è immediatamente percepibile. Per esempio: sappiamo tutto dell'aria, pur essendo essa invisibile, incolore, inodore, insapore. E la distinguiamo dall'ossido di carbonio che ha le stesse caratteristiche organolettiche, ma effetti del tutto opposti sul nostro organismo. La scienza ha dilatato la realtà oltre il livello del percepibile e l'ha fatto realmente, non farloccamente come la pseudoscienza, o convenzionalmente come se la realtà fosse una fiction.
Citazione di: iano il 30 Dicembre 2019, 23:52:34 PM
Citazione di: Donalduck il 26 Dicembre 2019, 11:17:31 AM
Citazione di: iano il 26 Dicembre 2019, 01:52:10 AMCredo nella realtà sulla fiducia...
Mmmm.... Hai fatto un lungo discorso sulla realtà, dimenticandoti di dire cosa intendi con questo termine, e neppure si capisce da quello che scrivi. E' proprio il problema che ho enunciato e risolto, per quanto mi riguarda, nel modo che ho descritto. Non trovo invece nulla di intelligibile e neppure intuibile nel tuo modo di presentare la tua visione di questa fantomatica "realtà". Purtroppo non possiamo affatto contare su una intuizione comune, dato che da parte mia trovo decisamente fuorviante e fallimentare il modo in cui si usa generalmente questo termine in filosofia.
Semplicemente non c'è modo di dimostrare che una realtà fuori di noi esista , quindi siamo liberi di crederci o meno e io scelgo di crederci.
Non possiamo contare su una intuizione comune come prova di esistenza.
Non possiamo dire che il rosso esiste perché tutti lo percepiamo. Sappiamo che esiste una frequenza che corrisponde al rosso , ma il rosso ,oggetto comune della nostra percezione non esiste.
E come percepiamo il rosso così percepiamo il tempo.
Hai ragione a criticarmi . Spesso metto sulla tastiera i pensieri come vengono.
Il punto non è la critica, ma cercare di arrivare al nocciolo della questione, e mi pare che ancora non ci siamo. Per evitare fraintendimenti e cavilli, stabiliamo che "realtà" ed "esistenza" sono sinonimi, stanno a indicare che qualcosa "è". Quindi non vale dire che qualcosa è reale se esiste e non è reale se non esiste. Bisogna spiegare cose significano quel "esiste" e quel "non esiste". Definire rigorosamente l'esistenza è impossibile, ma si può cercare di capire cosa vogliamo dire se proviamo a spiegare cosa significa che qualcosa "non esiste". A mio parere è del tutto arbitrario, immotivato e in ultima analisi senza senso dire cose come "il rosso non esiste" o "il tempo non esiste" ma anche, più in generale, dire che qualsiasi cosa "non esiste", se non in riferimento a un ben definito contesto, quindi mai in senso assoluto. Ad esempio: Babbo Natale non esiste in quanto essere umano o superumano, ma esiste come prodotto dell'immaginazione, con tanto di raffigurazioni iconiche e mito (ossia descrizione di aspetto e comportamento). Quindi se come contesto scelgo l'insieme degli esseri umani, o degli esseri senzienti, Babbo Natale non esiste (non appartiene all'insieme preso in considerazione). Se prendo invece l'insieme delle entità mitiche Babbo Natale esiste. Bisogna sempre riferirsi a un preciso contesto, un insieme di entità e una "dimensione o modalità di esistenza" un certo "spazio" a cui l'insieme fa riferimento (una pietra e un pensiero non non appartengono alla stessa "dimensione di esistenza", allo stesso "spazio" in senso lato) per affermare che qualcosa esiste o non esiste senza che questa asserzione resti sospesa nel vuoto dell'insignificante. E, ripeto, non c'è nulla di cui si possa dire "non esiste" in assoluto.
Ancora più privo di significato mi appare il pensiero "credere che la realtà esista". Come si può credere a qualcosa se non si sa cosa questo qualcosa significa? E che differenza farebbe credere o non credere nella realtà in generale?
Riguardo al rosso: "rosso" e "onda elettromagnetica di una certa frequenza e intensità" non sono affatto la stessa cosa. Sono due fenomeni legati, in stretta relazione, ma non coincidono. Colore e frequenza (o lunghezza d'onda) della luce sono legati da precise relazioni, ma non vanno confusi l'uno con l'altro, cosa che invece viene fatta comunemente. Si può dire che la sensazione del rosso è generata dall'elaborazione da parte del sistema biopsichico "organismo umano" delle onde luminose (o meglio dell'informazione che portano con sé) ed è legata a una certa fascia di frequenze, ma sarebbe un grosso errore dire che "luce di frequenza compresa tra x e y" e "rosso" indicano la stessa cosa. Tra l'altro è possibile che la sensazione del rosso compaia in sogni o allucinazioni, o anche semplici immaginazioni, quindi anche senza la percezione ed elaborazione di segnali luminosi. Che senso avrebbe dire che "il rosso come oggetto della nostra percezione non esiste"? Esiste appunto come oggetto della nostra percezione, e, tra l'altro, per noi non c'è nessun riferimento più immediato e fondamentale della nostra percezione, tutte le nostre conoscenze si basano su di essa. Ribadisco, che senso ha dire che "non esiste", cosa vorrebbe dire?
Concordo con l'ultimo post di "paperino" e mi pare possa anche completare la mia sintetica risposta a viator.
Sull'aspetto epistemologico delle cui affermazioni trovo un paio di inesattezze:
1) Il fatto che gli strumenti ci permettano di accedere ad aspetti della realtà non percepibili ad occhio nudo non fonda una realtà "convenzionale" ma dilata la realtà "reale". I microbi visti al microscopio o gli anelli di saturno visti al telescopio sono reali, ed erano tali anche prima che li vedessimo e pure se non li avessimo visti mai.
2) Vedere la realtà "da dentro" o "da fuori" mi pare un inutile tormentone metafisico. La conoscenza del pianeta Terra non è certo più completa vista da una sonda spaziale che da una miniera o batiscafo. Sono modi diversi e complementari di conoscere che cosa è il pianeta Terra. Da dentro e da fuori.
Salve. Per donalduck ed Ipazia : "Bisogna spiegare cose significano quel "esiste" e quel "non esiste". Definire rigorosamente l'esistenza è impossibile".
Beh, certo, quasi tutti devono arrestarsi di fronte all'ostacolo tautologico. Io ci ho provato qui dentro già diverse volte, formulando sempre : "l'Essere : la condizione per la quale le cause producono i loro effetti" e senza mai leggere commenti, contestazioni, rettifiche, alternative da parte di altri utenti.
D'altra parte ciò dimostra che è possibilissimo continuare a vivere ignorando cosa l'essere possa essere.
Quando Ipazia afferma che la scienza provvede ad includere nuova realtà a quella sino a quel monento nota e percepibile, sta solo facendo confusione tra i concetti di "osservabilità" e "percezione", i quali possono anche sovrapporsi ma non coincidono, in quanto l'osservabilità include la percezione ma va oltre, occupandosi e consistendo anche della interpretazione - in modi immateriali, convenzionali, mentali, come già detto a proposito della scienza - di ciò che entra all'interno DEL SOGGETTO OSSERVANTE ED ESTRANEO A CIO' CHE STA OSSERVANDO.
Il "principio di indeterminazione" dice qualcosa a qualcuno circa il presente argomento ?. Saluti.
Citazione di: viator"Bisogna spiegare cose significano quel "esiste" e quel "non esiste". Definire rigorosamente l'esistenza è impossibile".
Beh, certo, quasi tutti devono arrestarsi di fronte all'ostacolo tautologico. Io ci ho provato qui dentro già diverse volte, formulando sempre : "l'Essere : la condizione per la quale le cause producono i loro effetti" e senza mai leggere commenti, contestazioni, rettifiche, alternative da parte di altri utenti.
Una definizione alquanto sibillina, che comunque presuppone che "causa" ed "effetto" siano più fondamentali dell'essere stesso, dal momento che servono a definirlo.
Citazione di: viatorD'altra parte ciò dimostra che è possibilissimo continuare a vivere ignorando cosa l'essere possa essere.
Se è per questo si può continuare a vivere benissimo anche senza saper né leggere né scrivere. Del resto ho affermato che definire rigorosamente l'essere è impossibile, quindi se quel che dici fosse falso saremmo tutti morti, o non saremmo mai esistiti. Invece, riflettere sul significato che diamo all'"essere", senza la velleità di arrivare a conclusioni definitive, serve soprattutto a sbarazzarci di pregiudizi e semplicistici luoghi comuni.
Citazione di: viatorIl "principio di indeterminazione" dice qualcosa a qualcuno circa il presente argomento?
Immagino che ti riferisca al principio della fisica quantistica. Per quanto mi riguarda è solo una conferma che ogni ontologia dipende dal punto di vista, che non esiste un punto di vista assoluto e che niente può fare a meno del concetto di relazione e di conseguenza ogni tentativo di definire, concettualizzare una "realtà in sé" indipendente da un soggetto interpretante è destinata per sua natura al fallimento.
Citazione di: Donalduck il 02 Gennaio 2020, 11:24:11 AM
Citazione di: iano il 30 Dicembre 2019, 23:52:34 PM
Citazione di: Donalduck il 26 Dicembre 2019, 11:17:31 AM
Citazione di: iano il 26 Dicembre 2019, 01:52:10 AMCredo nella realtà sulla fiducia...
Mmmm.... Hai fatto un lungo discorso sulla realtà, dimenticandoti di dire cosa intendi con questo termine, e neppure si capisce da quello che scrivi. E' proprio il problema che ho enunciato e risolto, per quanto mi riguarda, nel modo che ho descritto. Non trovo invece nulla di intelligibile e neppure intuibile nel tuo modo di presentare la tua visione di questa fantomatica "realtà". Purtroppo non possiamo affatto contare su una intuizione comune, dato che da parte mia trovo decisamente fuorviante e fallimentare il modo in cui si usa generalmente questo termine in filosofia.
Semplicemente non c'è modo di dimostrare che una realtà fuori di noi esista , quindi siamo liberi di crederci o meno e io scelgo di crederci.
Non possiamo contare su una intuizione comune come prova di esistenza.
Non possiamo dire che il rosso esiste perché tutti lo percepiamo. Sappiamo che esiste una frequenza che corrisponde al rosso , ma il rosso ,oggetto comune della nostra percezione non esiste.
E come percepiamo il rosso così percepiamo il tempo.
Hai ragione a criticarmi . Spesso metto sulla tastiera i pensieri come vengono.
Il punto non è la critica, ma cercare di arrivare al nocciolo della questione, e mi pare che ancora non ci siamo. Per evitare fraintendimenti e cavilli, stabiliamo che "realtà" ed "esistenza" sono sinonimi, stanno a indicare che qualcosa "è". Quindi non vale dire che qualcosa è reale se esiste e non è reale se non esiste. Bisogna spiegare cose significano quel "esiste" e quel "non esiste". Definire rigorosamente l'esistenza è impossibile, ma si può cercare di capire cosa vogliamo dire se proviamo a spiegare cosa significa che qualcosa "non esiste". A mio parere è del tutto arbitrario, immotivato e in ultima analisi senza senso dire cose come "il rosso non esiste" o "il tempo non esiste" ma anche, più in generale, dire che qualsiasi cosa "non esiste", se non in riferimento a un ben definito contesto, quindi mai in senso assoluto. Ad esempio: Babbo Natale non esiste in quanto essere umano o superumano, ma esiste come prodotto dell'immaginazione, con tanto di raffigurazioni iconiche e mito (ossia descrizione di aspetto e comportamento). Quindi se come contesto scelgo l'insieme degli esseri umani, o degli esseri senzienti, Babbo Natale non esiste (non appartiene all'insieme preso in considerazione). Se prendo invece l'insieme delle entità mitiche Babbo Natale esiste. Bisogna sempre riferirsi a un preciso contesto, un insieme di entità e una "dimensione o modalità di esistenza" un certo "spazio" a cui l'insieme fa riferimento (una pietra e un pensiero non non appartengono alla stessa "dimensione di esistenza", allo stesso "spazio" in senso lato) per affermare che qualcosa esiste o non esiste senza che questa asserzione resti sospesa nel vuoto dell'insignificante. E, ripeto, non c'è nulla di cui si possa dire "non esiste" in assoluto.
Ancora più privo di significato mi appare il pensiero "credere che la realtà esista". Come si può credere a qualcosa se non si sa cosa questo qualcosa significa? E che differenza farebbe credere o non credere nella realtà in generale?
Riguardo al rosso: "rosso" e "onda elettromagnetica di una certa frequenza e intensità" non sono affatto la stessa cosa. Sono due fenomeni legati, in stretta relazione, ma non coincidono. Colore e frequenza (o lunghezza d'onda) della luce sono legati da precise relazioni, ma non vanno confusi l'uno con l'altro, cosa che invece viene fatta comunemente. Si può dire che la sensazione del rosso è generata dall'elaborazione da parte del sistema biopsichico "organismo umano" delle onde luminose (o meglio dell'informazione che portano con sé) ed è legata a una certa fascia di frequenze, ma sarebbe un grosso errore dire che "luce di frequenza compresa tra x e y" e "rosso" indicano la stessa cosa. Tra l'altro è possibile che la sensazione del rosso compaia in sogni o allucinazioni, o anche semplici immaginazioni, quindi anche senza la percezione ed elaborazione di segnali luminosi. Che senso avrebbe dire che "il rosso come oggetto della nostra percezione non esiste"? Esiste appunto come oggetto della nostra percezione, e, tra l'altro, per noi non c'è nessun riferimento più immediato e fondamentale della nostra percezione, tutte le nostre conoscenze si basano su di essa. Ribadisco, che senso ha dire che "non esiste", cosa vorrebbe dire?
Giusta critica.Ho peccato di omissione.
Ok.Realta' ed esistenza sono sinonimi.
Ma alla fine non ho capito se sei soddisfatto delle risposte ai tuoi quesiti?
I sistemi inerziali , il rosso , lo spazio e il tempo esistono , ma limitatamente alla nostra percezione , che è parte della realtà, mentre io semplificando escludevo il campo percettivo da quello della realtà.
È una semplificazione che ha il suo motivo però.
Ogni volta che dico che i sistemi inerziali esistono , devo specificare solo nella mia immaginazione , al pari del rosso , dello spazio e del tempo.
Eppero' tutte queste costruzioni del cervello hanno una importante funzione che ci permette di rapportarci con la presunta realtà posta fuori dal campo della percezione.
Anche la geometria Euclidea che postula uno spazio omogeneo ( dove un punto vale l'altro ) esiste solo nella nostra immaginazione , mentre nella considerazione comune fino a ....ieri... essa descriveva la realtà dello spazio.
Fino a ....ieri ....ciò che era dentro di noi sembrava coincidere almeno in parte con ciò che si suppone sia fuori di noi.
Immagino il tuo quesito nasca dall'essere rimasto invischiato in una vecchia concezione di spazio.
Quello Newtoniano assoluto.
Nello spazio "attuale" , cioè come lo immaginiamo oggi , un orologio posto sul pavimento e uno posto sul tavolo segnano un tempo diverso .
Se ci riferiamo alle velocità sembra strano.Infatti sono entrambi fermi uno rispetto all'altro.
Ma questi orologi stanno descrivendo orbite diverse attorno a una massa che è la terra , quindi sono sottoposti a diverse accelerazioni , trovandosi su orbite non coincidenti.
Il tuo quesito era anche il mio da un po' , e proprio in questa discussione io ho trovato la risposta.
E tu?
È la massa che fa' la differenza e relega lo spazio assoluto , dove un sistema di riferimento vale l'altro , solo dentro la nostra immaginazione .
Spero di essere stato sufficientemente chiaro , anche se è inevitabile una certa approssimazione , voluta o meno , nel linguaggio.😊
Il linguaggio è imperfetto per natura , perché parte della nostra immaginazione , ma è questa imperfezione che lo rende utile in quanto malleabile , e adattabile alla nostra evoluzione nel rapportarci con la realtà fuori di noi , che per contro possiamo immaginare perfetta , cioè immutabile nella sua essenza.
In effetti possiamo immaginarla come ci pare , posto che non potremo mai descriverla col nostro imperfetto linguaggio.
Per assurdo se acquisissimo l'essenza della realtà fuori di noi , non potremmo comunicarla ad altri.
Basterebbe ciò per certificare che la possibilità di conoscere la realtà in se' è una fantasia.
Citazione di: Ipazia
Citazione di: Donalduck
La scienza ha assai poco da dire sui fondamenti dell'essere e della conoscenza, in sostanza sul mistero dell'esistenza che, pur essendo impenetrabile alla razionalità, ha molto da insegnare nel cammino che si compie nel cercare di svelarlo.
Opinabile. Le scienze cognitive hanno molto da dire sulla conoscenza e la conoscenza stessa è sinonimo di scienza. Per quanto riguarda i "fondamenti" ...
CitazioneE' chiaro che non si può arrivare a "fondamenti ultimi" perché non possiamo concepire nulla che non richieda a sua volta una spiegazione (quindi anche le "teorie del tutto" non possono che essere velleitarie). Ma una cosa che si può fare in questo cammino è sbarazzarsi di tutti i miti e i pregiudizi che riguardano tali fondamenti. Come che la scienza abbia qualche risposta in proposito. Non ce l'ha. La scienza si occupa di costruire modelli e applicarli al mondo dell'esperienza.
... la filosofia ha tentato una resistenza da parte dell'ultimo giapponese della metafisica ontologica che teorizzò la cosa in sè (das Ding an sich), il noumeno, contrapponendola alla sua manifestazione fenomenica. Tale strategia si è rivelata fallace e già Schopenauer si rese conto che tutto il nostro sapere, e non solo quello della scienza naturale, "si occupa di costruire modelli e applicarli al mondo dell'esperienza"
CitazioneMa stabilire le relazioni tra i modelli e il mondo dell'esperienza è affar suo solo per quanto riguarda le applicazioni pratiche, la tecnologia. Stabilire le relazioni concettuali è compito della filosofia, ossia richiede lo spostamento su un altro piano, su un altro contesto, un'altra dimensione del pensiero.
Anche qui direi che le scienze umane hanno eroso non poco del terreno filosofico puro: logica e semantica sono discipline già abbondantemente emancipate dall'approccio metafisico classico al loro oggetto di studio.
Che le scienze cognitive abbiano qualcosa da dire sul processo di conoscenza non lo metto in dubbio, anche se è tutto da stabilire quanto siano o possano essere effettivamente utili e in quali contesti. Idem per le cosiddette scienze umane. Bisogna comunque precisare che man mano che ci si muove dalle scienze "hard" a quelle "soft", il metodo scientifico empirico-sperimentale-matematico ha sempre meno presa sugli ambiti d'indagine delle scienze stesse, quindi esse risultano tanto più vaghe, imprecise e opinabili quanto più "soft".
Comunque, non ho negato tutto questo, parlavo dei fondamenti, che ricadono in ambito filosofico, al di fuori del dominio di qualunque scienza. Tu stessa, mi pare, hai ammesso che l'epistemologia ha un senso e una ragion d'essere e non può essere inglobata nella scienza (cosa che certe tendenze in ambito scientifico rivendicano).
Quello che non mi risulta è che i progressi nelle scienze, in tempi recenti, ossia dopo che la filosofia si è sbarazzata, con l'aiuto della stessa scienza, di pregiudizi e tabù fideistici, abbiano "sottratto terreno" alla filosofia, in particolare all'ontologia-metafisica (che trovo preferibile considerare come un tutt'uno). Sarebbe utile qualche esempio.
Non è che la scienza costruisca modelli e la filosofia no, ma in ogni caso bisogna costantemente tener presente la distinzione tra modello e referente del modello, che invece certi scienziati e divulgatori tendono a confondere. Il compito della filosofia della scienza è stabilire le relazioni tra il modello scientifico e il modello esperienziale (o altro modello, eventualmente). In alcuni casi queste relazioni sono pressoché implicite nel modello scientifico stesso. Ad esempio se ho una distanza e una velocità media di un veicolo posso calcolare il tempo di percorrenza (e posso verificarlo sperimentalmente), quindi in questo ambito e a questo fine posso applicare il modello, ossia considerare certi elementi della realtà esperienziale come elementi del modello scientifico. In altri casi, come quelli dei
concetti di spazio e tempo, la mappatura è assai più problematica, ci si imbatte in paradossi ed è necessaria una visione più ampia (trascendente) di quella fornita dal modello. E' necessaria, in particolare, anche una profonda riflessione su cosa sia (come viene vissuto, considerato e usato) il referente esperienziale del modello scientifico (ad esempio il tempo esperienziale).
La "cosa in sé" non trova posto in questa discussione. Ho già chiarito che considero la ricerca di "fondamenti ultimi" o "realtà ultime" una missione impossibile sia per la scienza che per la filosofia, anche se la ricerca a domande che non avranno mai una risposta definitiva stimola la riflessione e ci aiuta soprattutto a sbarazzarci di credenze infondate, pregiudizi e superficiali luoghi comuni.
Se uno scienziato mi venisse a raccontare (come accade che si faccia) che "il tempo non esiste" o il tempo e lo spazio hanno avuto un "inizio" e addirittura mi fornisse approssimativamente la data di nascita, pretendendo di trasferire pari pari questa narrazione dal contesto in cui è nata (la teoria scientifica) al mondo dell'esperienza, gli farei osservare:
1) Che sta sconfinando dal suo ambito scientifico in cui è un esperto, a un ambito filosofico che è, per come la penso, di "pubblico dominio" e di pubblica competenza, in cui ha voce in capitolo, in linea di principio, quanto chiunque altro.
2) Che il concetto di inizio presuppone senza possibilità di elusione un preesistente contesto spaziotemporale, quindi sta dicendo in partenza cose senza senso. Qualsiasi cosa che abbia un inizio sta già in uno spaziotempo. Impossibile definire e dare un senso al concetto di inizio senza appoggiarsi ai concetti di spazio e tempo. Se vuole applicare la teoria al mondo dell'esperienza, dovrà trovare altri concetti e altri termini. Come ad esempio uno spaziotempo che ne contiene un altro. Non che questo concetto non sia problematico, ma almeno permette un possibile aggancio col mondo dell'esperienza, nel quale lo spazio non può avere confini, il tempo non può avere limiti né inferiori (passato) né superiori, il passato non può tornare e neppure possiamo tornare nel passato. Se il tempo e lo spazio della scienza non hanno queste caratteristiche, non si tratta di modificare le concezioni del tempo e dello spazio esperienziale (che sono elementi primari dell'esperienza), ma di stabilire i nessi tra il tempo e lo spazio della fisica e il tempo e lo spazio dell'esperienza. Io direi che lo spaziotempo dell'esperienza si potrebbe configurare come una sorta di metaspaziotempo rispetto a quello della fisica, che ammette una finitezza e regole non compatibili con quelle "incorporate" nella comune percezione-concezione di questi elementi primari. Lo spaziotempo è trattato dalla fisica come una sorta di oggetto, ha una sua "materialità" che non c'è affatto nello spaziotempo dell'esperienza.
Insomma la scienza non ha e non può avere l'ultima parola sull'applicazione dei concetti della disciplina a quelli dell'esperienza generica, e qualunque scienziato che si esprima in merito sta dismettendo le vesti dello scienziato per indossare quelle del filosofo. C'è invece una preoccupante tendenza, in ambito scientifico, a ritenere di poter sostituire la filosofia con la scienza impadronendosi di tutta la "filiera" del sapere e in sostanza spacciando il suo punto di vista per "il" punto di vista, quello "vero", e non "un" punto di vista, aprendo la strada al pensiero unico fondato su una Scienza divinizzata (che piace tanto anche ai potentati economici e politici, quando non abbiano una religione a cui appoggiarsi per affermare la loro indiscutibile autorità).
Un'altra considerazione che va fatta è che la scienza, come la conoscenza in generale, è ben lontana dall'essere unitaria. E' invece frammentaria e si fatica a mettere in relazione i vari ambiti o addirittura le diverse teorie negli stessi ambiti. Quindi risulta ancora più arduo, da parte della scienza, il compito di attuare questa unificazione, che per ora non riesce ad attuare neppure all'interno delle singole discipline, in tutti gli ambiti che attualmente stanno a notevole distanza tra loro. Soprattutto non si capisce su quali basi e in che modo dovrebbe realizzare questo oneroso compito. Posso ammettere che tale compito possa esser visto (dalla filosofia o al limite anche da una scienza che riesca, modificando sé stessa, a inglobare anche la filosofia) come una lontana meta, ma a sentire certi scienziati si direbbe che siamo a un passo dal trovare la chiave di interpretazione che ci svelerà ogni "segreto dell'esistenza", cosa a mio parere falsissima.
Citazione di: Ipazia
CitazioneInoltre la scienza è sostanzialmente intrinsecamente incapace di sondare e indagare il mondo della psiche (e parlo di mondo perché è vissuto come tale dalla coscienza, unico nostro sicuro e ineliminabile punto di riferimento), che rappresenta la metà dell'esperienza umana. Pensieri, sensazioni, sentimenti sono scatole nere per la scienza, che può solo indagare sulle tracce lasciate da tali fenomeni nel mondo fisico.
"Pensieri, sensazioni, sentimenti" sono scatole nere anche per la filosofia classica ormai frustrata da millenni di lotte serrate con un concetto particolare, l'Essere. Frustrazione ben contenuta nello "stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus". Ultimo frammento ontologico duramente conteso nella sostanza dalla botanica, nell'essenza odorosa dalla chimica e nella simbologia e iconografia dall'ispirazione artistica
La frustrazione è originata da un vizio di fondo: la mania di voler trovare una realtà fondamentale da cui dipendono unidirezionalmente, ossia derivano, tutte le altre realtà (che diventano illusorie). La mania di mettere ogni punto di vista in contrapposizione agli altri, anche quando non c'è nessun necessario conflitto. Che porta a pensare cose come: o esiste il pensiero, l'idea
e quindi il mondo fisico è un'illusione,
o (esclusivo) esiste la materia
e quindi il pensiero, la psiche, la coscienza sono illusioni (o, eufemisticamente e pressapochisticamente parlando,
epifenomeni). O nel migliore dei casi: o viene prima il pensiero che poi genera la realtà fisica o viene prima la realtà fisica che genera quella psichica. Cosa impedisce di pensare che entrambe le "realtà" siano su un piano paritario e siano magari due facce di una stessa medaglia? Tutti i monismi si basano sul prevalere di qualcosa su qualcos'altro e sulla negazione del dualismo (o di un qualsiasi pluralismo). E alla fine tutto si basa sul solito tentativo di arrivare ai "fondamenti ultimi" che a me più che altro evoca l'immagine dell'asino e la carota.
Si tratta di una visione delle cose ben radicata nella mentalità della gran maggioranza delle persone, non solo filosofi e scienziati. E anche il concetto ponziopilatesco di
proprietà emergente, inventato per far fronte all'evidente sovrapposizione di "piani di realtà" interdipendenti ma ben distinti che si intrecciano nel mondo dell'esperienza senza rinunciare al monismo (che spesso coincide col riduzionismo materialista), resta alquanto lacunoso e privo di contenuto informativo. Lo "stato di realtà" di queste proprietà emergenti, che possono poi formare interi sistemi relativamente indipendenti, rimane indefinito e il problema viene sistematicamente eluso.
Questa esigenza di un ordine gerarchico assoluto, che evoca sia l'assolutismo in politica che il monoteismo in ambito teologico è anche alla base della tendenza imperialista della scienza (di certi settori della comunità scientifica) che vorrebbe fagocitare ogni altra forma di conoscenza, diventando così partner naturale, simbionte, di un potere politico assolutista, come lo è la religione monoteista.
Citazione di: Ipazia
CitazioneLa scienza, che ha bisogno sempre di qualcosa di misurabile, non ha i mezzi per addentrarsi nel mondo della psiche
Neppure questa proposizione è vera. Esiste un coacervo di scienze descrittive che si occupano di fenomeni qualitativi non misurabili. O semimisurabili attraverso algoritmi di tipo logico-probabilistico.
A questo bisogna mettersi d'accordo su cosa si intende per scienza, altrimenti si finisce per inserire tra le scienze anche la critica d'arte, o le arti stesse. Il punto è che solo la misurazione, la quantificazione permette l'uso della matematica e un criterio di verifica sufficientemente univoco e replicabile. E sono questi elementi che consentono in diversi campi alla scienza di rivendicare una superiorità metodologica che si concretizza in superiorità nei risultati rispetto ad altri sistemi di conoscenza. E quanto agli algoritmi probabilistici, bisogna vedere come vengono usati e se il loro uso porta a qualcosa di plausibile e affidabile, o solo a un castello di carte. Il mio parere è che discipline come la psicologia o, per focalizzare meglio un ambito specifico, la psicanalisi, non sono scienze, o sono scienze per modo di dire. Ossia usano
anche il metodo scientifico (ma questo può essere vero anche per la più umanistica delle discipline) in qualche caso e in qualche misura, ma non sono affatto fondate su di esso. Sono basate su sistemi teorici in varia misura e in vario modo arbitrari, concepiti nell'immaginazione e non verificabili scientificamente (a meno che non si decida che il fatto che il paziente sia migliorato dimostri che l'impianto teorico è valido, ma questa sarebbe logica da strapazzo).
Il mondo psichico può essere esplorato nel modo in cui si esplora quello fisico: osservandolo direttamente e imparando a distinguerne le entità, a individuare le proprietà delle entità e le relazioni tra le entità, e su queste basi descriverne i fenomeni e le relazioni tra fenomeni. Ma questo non va confuso col misurare l'intensità delle correnti elettriche che scorrono attraverso il sistema nervoso o le aree del cervello che risultano più o meno attive in determinate circostanze. Questo riguarda le tracce che l'attività psichica lascia nel mondo fisico (o nel lato fisico del mondo, se preferiamo quest'espressione). Dati che possono essere utili e possono anche essere messi in relazione con i dati rilevati
dall'interno, ma che possono fornire solo un supporto ausiliario all'osservazione diretta. L'esplorazione diretta è quella che in vari contesti viene chiamata
meditazione, ed è un'attività del tutto diversa dalla prassi scientifica corrente, anche se pure in queste attività è possibile usare in qualche misura il metodo scientifico, in particolare nella costruzione di un sistema basato sulle osservazioni fatte. E' probabile che nozioni come i chakra o i meridiani dell'agopuntura siano nati appunto dall'osservazione interiore e dal tentativo di sistematizzazione di queste osservazioni (a prescindere dal credito che si voglia dare a queste nozioni e ai sistemi di cui fanno parte). Sono convinto che ci sia molto da fare in questo senso, e che la psicologia manchi di concretezza perché sostanzialmente manca la pratica sistematica dell'osservazione diretta e la sistematizzazione delle informazioni ricavate da essa. Tutto è in genere fondato su assiomi indimostrati o su misurazioni degli effetti fisici e misurabili dell'attività psichica, che però forniscono solo informazioni indirette e marginali.
Citazione di: Ipazia
CitazioneQuindi non posso che dissentire totalmente: da un punto di vista ontologico la scienza è autoreferenziale. Può fornire informazioni utili alla speculazione ontologica, ma non può sostituirla in alcun modo.
Dire "referenziale" non significa nulla se non si delimita il campo di esistenza del referente. Anche la filosofia è autoreferenziale. Il suo problema è che ha dovuto cedere sovranità sul suo campo applicativo che, come dicevo sopra, rimane comunque importante nel manipolare quelle scatole nere ontologiche di cui la scienza non si è (ancora) impossessata. E su alcune forse non lo farà mai.
Dicendo che la scienza è autoreferenziale
dal punto di vista dell'ontologia intendevo dire che la scienza, di per sé, non ci dà una mappa della realtà . La mappa la costruisce l'ontologia (filosoficamente intesa) avvalendosi sia della scienza che di altri metodi di conoscenza, mettendo in relazione, come già detto altrove, gli elementi della scienza (in generale del sistema di conoscenza) con gli elementi dell'esperienza (i dati della coscienza).
Citazione di: IpaziaMa non riguardano l'ontologia, bensì la teleologia. La causa finale. E il significato, piuttosto che la natura, delle cose.
Sulla teleologia bisogna innanzitutto notare che la scienza non se ne occupa e che la esclude volutamente dal suo campo d'indagine. Il che va bene finché non si pretende che questa visione diventi norma, come fa Monod nel suo
Il caso e la necessità, un vero manifesto del pensiero riduzionista-materialista. Monod sostiene esplicitamente l'esigenza di un'"etica della conoscenza" basata sul "rifiuto sistematico" di considerare ogni chiave interpretativa di stampo teleologico (o teleonomico, come dice lui). Insomma un rifiuto arbitrario e aprioristico che tanto ricorda fenomeni come il razzismo o la caccia alle streghe. A parte il fatto che viene ribaltato il rapporto tra etica e conoscenza (non un'etica basata sulla conoscenza, ma una conoscenza basata su un'etica arbitraria), l'operazione nel suo insieme ricorda i sotterfugi della commedia dell'arte: prima la scienza autolimita il suo ambito di ricerca a tutto ciò che non riguarda cause finali, poi rivendica il monopolio della conoscenza e, dato che ha eliminato per sua scelta le cause finali, pretende che queste spariscano dall'orizzonte della conoscenza nel suo insieme.
Parlando invece di "natura" e "significato" ho qualche difficoltà a utilizzarli come rappresentanti di "causa in senso stretto" e "causa finale" o semplicemente "fine". Tutto il nostro sistema di conoscenza è basato sui segni. O, come si diceva prima, sulla creazione di modelli che vengono applicati all'esperienza. Ma i modelli sono costruiti con segni e di segni è costituito, in fin dei conti, anche il mondo dell'esperienza. E la "natura" temo che anch'essa non possa che essere costituita da segni. Io, in genere, soprattutto quando le cose si fanno confuse, uso come chiave interpretativa privilegiata l'informazione e i concetti ad essa correlati. Un segno si può considerare come un anello di una catena informativa, un componente di un flusso informativo coerente, individuabile e isolabile. Sia la natura che il significato, usando i tuoi termini, sia la causa che il fine fanno parte di un flusso informativo, ossia di catene di significanti che diventano significati (o che manifestano significati) dopo che sono stati interpretati con l'applicazione di un codice. Ora, la "natura" come la posso intendere? Direi che individuare la natura di qualcosa significa individuare il significante che ha veicolato quel qualcosa come significato. O, più realisticamente, l'insieme di significanti che hanno veicolato l'insieme di significati che hanno formato quel qualcosa (in effetti, in questo contesto bisognerebbe anche inserire il codice e la possibilità di usare diversi codici che determinano significati differenti, ma evitiamo di complicare le cose). Ma quei significanti che costituiscono la "natura" del nostro qualcosa sono a loro volta significati da qualche altro significante. Quello che distingue la causa dal fine non è la posizione (prima o dopo il nostro qualcosa) nella catena dei significanti-significati, ma il verso del flusso d'informazione. Mentre la causa efficiente determina un effetto senza preoccuparsi delle conseguenze, la causa finale si occupa proprio dalle conseguenze, che sono
volute, pianificate, preconcepite, e cerca di determinare una sequenza di cause-effetti che portano ad esistenza quelle conseguenze. Questa inversione è ciò che induce a dire che le cause finali si posizionano temporalmente nel futuro, mentre le cause in senso stretto stanno nel passato o nel presente. Ma quello che sembra mettere maggiormente in difficoltà gli scienziati sembra essere la natura necessariamente psichica della causa finale, dato che non possiamo attribuirgli una realtà fisica e non possiamo prescindere dai concetti di volontà e intenzionalità. Mentre non hanno difficoltà ad ammettere le ripercussioni psichiche dei fenomeni fisici, sono estremamente riluttanti ad ammettere che il mondo psichico sia anch'esso un "mondo delle cause" con pari diritto di quello fisico. E ancora di più ad ammettere che possano esistere principi psichici immanenti all'intera realtà, immanenti come lo sono le forze o interazioni fondamentali e gli altri costituenti basilari del modello fisico. Non mi risulta facile capire questa presa di posizione aprioristica, tanto meno giustificarla, ma così è, a quanto pare. Permane nel mondo scientifico la tendenza ad avere una visione fantasmatica della psiche, qualcosa che non ha vera consistenza, vera "realtà", perché non sarebbe in grado di determinare effetti (a dispetto di ogni evidenza). E quello che costituisce un problema è che c'è una forte tendenza, nel mondo scientifico, a voler imporre questa arbitraria e sostanzialmente irrazionale visione delle cose in tutti gli ambiti del pensiero.
Citazione di: Donalduck il 02 Gennaio 2020, 20:53:37 PM
Che le scienze cognitive abbiano qualcosa da dire sul processo di conoscenza non lo metto in dubbio, anche se è tutto da stabilire quanto siano o possano essere effettivamente utili e in quali contesti. Idem per le cosiddette scienze umane. Bisogna comunque precisare che man mano che ci si muove dalle scienze "hard" a quelle "soft", il metodo scientifico empirico-sperimentale-matematico ha sempre meno presa sugli ambiti d'indagine delle scienze stesse, quindi esse risultano tanto più vaghe, imprecise e opinabili quanto più "soft".
Comunque, non ho negato tutto questo, parlavo dei fondamenti, che ricadono in ambito filosofico, al di fuori del dominio di qualunque scienza. Tu stessa, mi pare, hai ammesso che l'epistemologia ha un senso e una ragion d'essere e non può essere inglobata nella scienza (cosa che certe tendenze in ambito scientifico rivendicano).
Quello che non mi risulta è che i progressi nelle scienze, in tempi recenti, ossia dopo che la filosofia si è sbarazzata, con l'aiuto della stessa scienza, di pregiudizi e tabù fideistici, abbiano "sottratto terreno" alla filosofia, in particolare all'ontologia-metafisica (che trovo preferibile considerare come un tutt'uno). Sarebbe utile qualche esempio.
Non è che la scienza costruisca modelli e la filosofia no, ma in ogni caso bisogna costantemente tener presente la distinzione tra modello e referente del modello, che invece certi scienziati e divulgatori tendono a confondere. Il compito della filosofia della scienza è stabilire le relazioni tra il modello scientifico e il modello esperienziale (o altro modello, eventualmente). In alcuni casi queste relazioni sono pressoché implicite nel modello scientifico stesso. Ad esempio se ho una distanza e una velocità media di un veicolo posso calcolare il tempo di percorrenza (e posso verificarlo sperimentalmente), quindi in questo ambito e a questo fine posso applicare il modello, ossia considerare certi elementi della realtà esperienziale come elementi del modello scientifico. In altri casi, come quelli dei concetti di spazio e tempo, la mappatura è assai più problematica, ci si imbatte in paradossi ed è necessaria una visione più ampia (trascendente) di quella fornita dal modello. E' necessaria, in particolare, anche una profonda riflessione su cosa sia (come viene vissuto, considerato e usato) il referente esperienziale del modello scientifico (ad esempio il tempo esperienziale).
Il guaio per la filosofia è che anche sul fronte della paradossalità di tempo e spazio il là viene dalla scienza, non dalla filosofia. E viene attraverso teorie scientifiche che hanno ottenuto il crisma della verifica sperimentale come la relatività e la quantistica che finiscono col coinvolgere anche il sancta sanctorum dell'ontologia filosofica...
CitazioneLa "cosa in sé" non trova posto in questa discussione. Ho già chiarito che considero la ricerca di "fondamenti ultimi" o "realtà ultime" una missione impossibile sia per la scienza che per la filosofia, anche se la ricerca a domande che non avranno mai una risposta definitiva stimola la riflessione e ci aiuta soprattutto a sbarazzarci di credenze infondate, pregiudizi e superficiali luoghi comuni.
... in cui ogni proposizione sulle cose - incluse le proposizioni di carattere filosofico - origina dalle scoperte che su di esse ci vengono dal mondo della ricerca scientifica.
CitazioneSe uno scienziato mi venisse a raccontare (come accade che si faccia) che "il tempo non esiste" o il tempo e lo spazio hanno avuto un "inizio" e addirittura mi fornisse approssimativamente la data di nascita, pretendendo di trasferire pari pari questa narrazione dal contesto in cui è nata (la teoria scientifica) al mondo dell'esperienza, gli farei osservare:
1) Che sta sconfinando dal suo ambito scientifico in cui è un esperto, a un ambito filosofico che è, per come la penso, di "pubblico dominio" e di pubblica competenza, in cui ha voce in capitolo, in linea di principio, quanto chiunque altro.
2) Che il concetto di inizio presuppone senza possibilità di elusione un preesistente contesto spaziotemporale, quindi sta dicendo in partenza cose senza senso. Qualsiasi cosa che abbia un inizio sta già in uno spaziotempo. Impossibile definire e dare un senso al concetto di inizio senza appoggiarsi ai concetti di spazio e tempo. Se vuole applicare la teoria al mondo dell'esperienza, dovrà trovare altri concetti e altri termini. Come ad esempio uno spaziotempo che ne contiene un altro. Non che questo concetto non sia problematico, ma almeno permette un possibile aggancio col mondo dell'esperienza, nel quale lo spazio non può avere confini, il tempo non può avere limiti né inferiori (passato) né superiori, il passato non può tornare e neppure possiamo tornare nel passato. Se il tempo e lo spazio della scienza non hanno queste caratteristiche, non si tratta di modificare le concezioni del tempo e dello spazio esperienziale (che sono elementi primari dell'esperienza), ma di stabilire i nessi tra il tempo e lo spazio della fisica e il tempo e lo spazio dell'esperienza. Io direi che lo spaziotempo dell'esperienza si potrebbe configurare come una sorta di metaspaziotempo rispetto a quello della fisica, che ammette una finitezza e regole non compatibili con quelle "incorporate" nella comune percezione-concezione di questi elementi primari. Lo spaziotempo è trattato dalla fisica come una sorta di oggetto, ha una sua "materialità" che non c'è affatto nello spaziotempo dell'esperienza.
Qui i discorso si complica. Il concetto di tempo è questione squisitamente filosofica fin dalle origini del "tempo antropologico", della nostra storia e riflessione su di essa. L'approccio alla funzione "tempo" della fisica e della scienza della natura in generale, è di tipo specialistico, misurabile come dici nel post successivo. Perfezionando il metodo di misura ci si è accorti che tutti i nostri strumenti danno come risultato una variabile dipendente da altre grandezze (massa, velocità) e non una costante come
tutta la koinè precedente era convinta. Questo ha avuto ricadute su fisica e metafisica. E come accade ormai costantemente anche in questo caso il là è venuto da una scoperta scientifica. Con esiti addirittura grotteschi quando un esperimento di fisica, affetto da un errore di calcolo legato appunto al tempo relativistico, ha indotto una politicante nazionale a gridare al miracolo del superamento della velocità della luce nell'italico "tunnel" tra Ginevra e Gran Sasso.
Sul
tempo antropologico si può lavorare filosoficamente. Basta farsi avanti e dimostrare che esiste pure un'ontologia dell'universo antropologico non colonizzabile dalla big science. Senza timori reverenziali, che raggiungono l'apice quando si tratta di confutare la montagna pseudoscientifica che assoggetta la funzione tempo (antropologico) ad usum regni nella teologia economica in salsa capitalistica.
CitazioneInsomma la scienza non ha e non può avere l'ultima parola sull'applicazione dei concetti della disciplina a quelli dell'esperienza generica, e qualunque scienziato che si esprima in merito sta dismettendo le vesti dello scienziato per indossare quelle del filosofo. C'è invece una preoccupante tendenza, in ambito scientifico, a ritenere di poter sostituire la filosofia con la scienza impadronendosi di tutta la "filiera" del sapere e in sostanza spacciando il suo punto di vista per "il" punto di vista, quello "vero", e non "un" punto di vista, aprendo la strada al pensiero unico fondato su una Scienza divinizzata (che piace tanto anche ai potentati economici e politici, quando non abbiano una religione a cui appoggiarsi per affermare la loro indiscutibile autorità).
Riferendomi a quanto ho detto sopra, la filosofia dovrebbe anche servire a sbufalare la scienza adattata ad interessi di parte. Ma tale è anche interesse della scienza e poichè il martello demolitore delle teodicee scientiste necessita di carburante scientifico non vedo altra alternativa che nella figura del filosofo-scienziato, che conosca vizi e virtù di entrambi gli approcci epistemo/gnoseologici. Di un
sapiente di stile antico, che contrasti l'andazzo che segue ...
CitazioneUn'altra considerazione che va fatta è che la scienza, come la conoscenza in generale, è ben lontana dall'essere unitaria. E' invece frammentaria e si fatica a mettere in relazione i vari ambiti o addirittura le diverse teorie negli stessi ambiti. Quindi risulta ancora più arduo, da parte della scienza, il compito di attuare questa unificazione, che per ora non riesce ad attuare neppure all'interno delle singole discipline, in tutti gli ambiti che attualmente stanno a notevole distanza tra loro. Soprattutto non si capisce su quali basi e in che modo dovrebbe realizzare questo oneroso compito. Posso ammettere che tale compito possa esser visto (dalla filosofia o al limite anche da una scienza che riesca, modificando sé stessa, a inglobare anche la filosofia) come una lontana meta, ma a sentire certi scienziati si direbbe che siamo a un passo dal trovare la chiave di interpretazione che ci svelerà ogni "segreto dell'esistenza", cosa a mio parere falsissima.
... rendendosi però conto della necessità, quanto dei limiti, anche etici, della specializzazioni entro un mondo del sapere talmente vasto da non potersi evolvere senza competenze specialistiche, corrette filosoficamente almeno fino ad un sapere capace di superare lo stadio infantile del tifo - e ignoranza - da stadio.
Compito evolutivo che richiama pressantemente in scena la figura del filosofo-scienziato.
Citazione di: Donalduck il 03 Gennaio 2020, 13:10:54 PM
La frustrazione è originata da un vizio di fondo: la mania di voler trovare una realtà fondamentale da cui dipendono unidirezionalmente, ossia derivano, tutte le altre realtà (che diventano illusorie). La mania di mettere ogni punto di vista in contrapposizione agli altri, anche quando non c'è nessun necessario conflitto. Che porta a pensare cose come: o esiste il pensiero, l'idea e quindi il mondo fisico è un'illusione, o (esclusivo) esiste la materia e quindi il pensiero, la psiche, la coscienza sono illusioni (o, eufemisticamente e pressapochisticamente parlando, epifenomeni). O nel migliore dei casi: o viene prima il pensiero che poi genera la realtà fisica o viene prima la realtà fisica che genera quella psichica. Cosa impedisce di pensare che entrambe le "realtà" siano su un piano paritario e siano magari due facce di una stessa medaglia? Tutti i monismi si basano sul prevalere di qualcosa su qualcos'altro e sulla negazione del dualismo (o di un qualsiasi pluralismo). E alla fine tutto si basa sul solito tentativo di arrivare ai "fondamenti ultimi" che a me più che altro evoca l'immagine dell'asino e la carota.
Si tratta di una visione delle cose ben radicata nella mentalità della gran maggioranza delle persone, non solo filosofi e scienziati. E anche il concetto ponziopilatesco di proprietà emergente, inventato per far fronte all'evidente sovrapposizione di "piani di realtà" interdipendenti ma ben distinti che si intrecciano nel mondo dell'esperienza senza rinunciare al monismo (che spesso coincide col riduzionismo materialista), resta alquanto lacunoso e privo di contenuto informativo. Lo "stato di realtà" di queste proprietà emergenti, che possono poi formare interi sistemi relativamente indipendenti, rimane indefinito e il problema viene sistematicamente eluso.
Questa esigenza di un ordine gerarchico assoluto, che evoca sia l'assolutismo in politica che il monoteismo in ambito teologico è anche alla base della tendenza imperialista della scienza (di certi settori della comunità scientifica) che vorrebbe fagocitare ogni altra forma di conoscenza, diventando così partner naturale, simbionte, di un potere politico assolutista, come lo è la religione monoteista.
Almeno su questo aspetto la specializzazione e frammentazione del sapere
sub specie scientiae sarebbe indicatore di saggezza. Chiamare
emergente la vita dalla materia inorganica e l'autocoscienza dalla materia organica non mi pare bassamente "ponziopilatesco", ma l'apposizione di un segno su un confine misterioso di cui nessuno ha saputo dire meglio.
CitazioneCitazione di: Ipazia
...Esiste un coacervo di scienze descrittive che si occupano di fenomeni qualitativi non misurabili. O semimisurabili attraverso algoritmi di tipo logico-probabilistico.
A questo bisogna mettersi d'accordo su cosa si intende per scienza, altrimenti si finisce per inserire tra le scienze anche la critica d'arte, o le arti stesse. Il punto è che solo la misurazione, la quantificazione permette l'uso della matematica e un criterio di verifica sufficientemente univoco e replicabile. E sono questi elementi che consentono in diversi campi alla scienza di rivendicare una superiorità metodologica che si concretizza in superiorità nei risultati rispetto ad altri sistemi di conoscenza. E quanto agli algoritmi probabilistici, bisogna vedere come vengono usati e se il loro uso porta a qualcosa di plausibile e affidabile, o solo a un castello di carte. Il mio parere è che discipline come la psicologia o, per focalizzare meglio un ambito specifico, la psicanalisi, non sono scienze, o sono scienze per modo di dire. Ossia usano anche il metodo scientifico (ma questo può essere vero anche per la più umanistica delle discipline) in qualche caso e in qualche misura, ma non sono affatto fondate su di esso. Sono basate su sistemi teorici in varia misura e in vario modo arbitrari, concepiti nell'immaginazione e non verificabili scientificamente (a meno che non si decida che il fatto che il paziente sia migliorato dimostri che l'impianto teorico è valido, ma questa sarebbe logica da strapazzo).
Si va per tentativi e ogni tanto si azzecca qualche risultato che soddisfa il metodo scientifico (mensurabilità e riproducibilità). In mancanza di meglio funzionano anche gli algoritmi, che combinano dati scientifici in correlazioni probabilistiche. Dalla registrazione dei fatti e affinamento dei parametri talvolta si giunge anche per via algoritmica ad un controllo "scientifico" sulla realtà. Tale metodologia è estendibile anche a discipline come arte, filosofia, storia e scienze umane varie perfezionando lo strumentario ermeneutico...
CitazioneIl mondo psichico può essere esplorato nel modo in cui si esplora quello fisico: osservandolo direttamente e imparando a distinguerne le entità, a individuare le proprietà delle entità e le relazioni tra le entità, e su queste basi descriverne i fenomeni e le relazioni tra fenomeni. Ma questo non va confuso col misurare l'intensità delle correnti elettriche che scorrono attraverso il sistema nervoso o le aree del cervello che risultano più o meno attive in determinate circostanze. Questo riguarda le tracce che l'attività psichica lascia nel mondo fisico (o nel lato fisico del mondo, se preferiamo quest'espressione). Dati che possono essere utili e possono anche essere messi in relazione con i dati rilevati dall'interno, ma che possono fornire solo un supporto ausiliario all'osservazione diretta. L'esplorazione diretta è quella che in vari contesti viene chiamata meditazione, ed è un'attività del tutto diversa dalla prassi scientifica corrente, anche se pure in queste attività è possibile usare in qualche misura il metodo scientifico, in particolare nella costruzione di un sistema basato sulle osservazioni fatte. E' probabile che nozioni come i chakra o i meridiani dell'agopuntura siano nati appunto dall'osservazione interiore e dal tentativo di sistematizzazione di queste osservazioni (a prescindere dal credito che si voglia dare a queste nozioni e ai sistemi di cui fanno parte). Sono convinto che ci sia molto da fare in questo senso, e che la psicologia manchi di concretezza perché sostanzialmente manca la pratica sistematica dell'osservazione diretta e la sistematizzazione delle informazioni ricavate da essa. Tutto è in genere fondato su assiomi indimostrati o su misurazioni degli effetti fisici e misurabili dell'attività psichica, che però forniscono solo informazioni indirette e marginali.
... a cui anche la meditazione e i riscontri intuitivi possono dare un loro contributo. Concordo che osservazione e registrazione
dei fatti siano all'origine della conoscenza.
CitazioneDicendo che la scienza è autoreferenziale dal punto di vista dell'ontologia intendevo dire che la scienza, di per sé, non ci dà una mappa della realtà . La mappa la costruisce l'ontologia (filosoficamente intesa) avvalendosi sia della scienza che di altri metodi di conoscenza, mettendo in relazione, come già detto altrove, gli elementi della scienza (in generale del sistema di conoscenza) con gli elementi dell'esperienza (i dati della coscienza).
Possiamo anche chiamare la scienza una metafisica sui generis, filosofia della natura. Così è nata e così si è evoluta mentre piantava le sue bandierine sull'ontologia naturale disvelandone i misteri meglio di qualsiasi metafisica "dualistica"
forte, per gran parte dell'universo di cui siamo, inclusa la nostra mente, parte.
CitazioneSulla teleologia bisogna innanzitutto notare che la scienza non se ne occupa e che la esclude volutamente dal suo campo d'indagine. Il che va bene finché non si pretende che questa visione diventi norma, come fa Monod nel suo Il caso e la necessità, un vero manifesto del pensiero riduzionista-materialista. Monod sostiene esplicitamente l'esigenza di un'"etica della conoscenza" basata sul "rifiuto sistematico" di considerare ogni chiave interpretativa di stampo teleologico (o teleonomico, come dice lui). Insomma un rifiuto arbitrario e aprioristico che tanto ricorda fenomeni come il razzismo o la caccia alle streghe. A parte il fatto che viene ribaltato il rapporto tra etica e conoscenza (non un'etica basata sulla conoscenza, ma una conoscenza basata su un'etica arbitraria), l'operazione nel suo insieme ricorda i sotterfugi della commedia dell'arte: prima la scienza autolimita il suo ambito di ricerca a tutto ciò che non riguarda cause finali, poi rivendica il monopolio della conoscenza e, dato che ha eliminato per sua scelta le cause finali, pretende che queste spariscano dall'orizzonte della conoscenza nel suo insieme.
Non ho letto Monod e mi devo fidare di quello che dici, ma condivido la preoccupazione
etica e
gnoseologica di non subordinare la realtà al principio, tipica di ogni paradigma finalistico. Vizio che ha danneggiato, nei secoli dei secoli, non poco la possibilità di produrre conoscenza. Ogni teleologia naturale si deve guadagnare sul campo della ricerca sperimentale i suoi galloni e pare che qualcosina stia uscendo fuori. Ma qualunque cosa esca la teleologia dell'unico dualismo (debole) evidente: la volontà umana autocosciente, è altra cosa.
CitazioneParlando invece di "natura" e "significato" ho qualche difficoltà a utilizzarli come rappresentanti di "causa in senso stretto" e "causa finale" o semplicemente "fine". Tutto il nostro sistema di conoscenza è basato sui segni. O, come si diceva prima, sulla creazione di modelli che vengono applicati all'esperienza. Ma i modelli sono costruiti con segni e di segni è costituito, in fin dei conti, anche il mondo dell'esperienza. E la "natura" temo che anch'essa non possa che essere costituita da segni. Io, in genere, soprattutto quando le cose si fanno confuse, uso come chiave interpretativa privilegiata l'informazione e i concetti ad essa correlati. Un segno si può considerare come un anello di una catena informativa, un componente di un flusso informativo coerente, individuabile e isolabile. Sia la natura che il significato, usando i tuoi termini, sia la causa che il fine fanno parte di un flusso informativo, ossia di catene di significanti che diventano significati (o che manifestano significati) dopo che sono stati interpretati con l'applicazione di un codice. Ora, la "natura" come la posso intendere? Direi che individuare la natura di qualcosa significa individuare il significante che ha veicolato quel qualcosa come significato. O, più realisticamente, l'insieme di significanti che hanno veicolato l'insieme di significati che hanno formato quel qualcosa (in effetti, in questo contesto bisognerebbe anche inserire il codice e la possibilità di usare diversi codici che determinano significati differenti, ma evitiamo di complicare le cose). Ma quei significanti che costituiscono la "natura" del nostro qualcosa sono a loro volta significati da qualche altro significante. Quello che distingue la causa dal fine non è la posizione (prima o dopo il nostro qualcosa) nella catena dei significanti-significati, ma il verso del flusso d'informazione. Mentre la causa efficiente determina un effetto senza preoccuparsi delle conseguenze, la causa finale si occupa proprio dalle conseguenze, che sono volute, pianificate, preconcepite, e cerca di determinare una sequenza di cause-effetti che portano ad esistenza quelle conseguenze. Questa inversione è ciò che induce a dire che le cause finali si posizionano temporalmente nel futuro, mentre le cause in senso stretto stanno nel passato o nel presente.
La scienza della "natura" si occupa di cause efficienti e poi le assembla razionalmente in catene causali finalizzate a risultati tecnici. La mente umana è il medium meta-fisico di tale processo di manipolazione teleologica della realtà naturale. La catena dei segni (
significante-significato) è tutta nella nostra mente, ma la sua operatività è rivolta ai
referenti naturali alla ricerca delle cause efficienti che li muovono e correlano. Questa operazione a ritroso (inversione), concordo:
CitazioneMa quello che sembra mettere maggiormente in difficoltà gli scienziati sembra essere la natura necessariamente psichica della causa finale, dato che non possiamo attribuirgli una realtà fisica e non possiamo prescindere dai concetti di volontà e intenzionalità. Mentre non hanno difficoltà ad ammettere le ripercussioni psichiche dei fenomeni fisici, sono estremamente riluttanti ad ammettere che il mondo psichico sia anch'esso un "mondo delle cause" con pari diritto di quello fisico. E ancora di più ad ammettere che possano esistere principi psichici immanenti all'intera realtà, immanenti come lo sono le forze o interazioni fondamentali e gli altri costituenti basilari del modello fisico. Non mi risulta facile capire questa presa di posizione aprioristica, tanto meno giustificarla, ma così è, a quanto pare. Permane nel mondo scientifico la tendenza ad avere una visione fantasmatica della psiche, qualcosa che non ha vera consistenza, vera "realtà", perché non sarebbe in grado di determinare effetti (a dispetto di ogni evidenza). E quello che costituisce un problema è che c'è una forte tendenza, nel mondo scientifico, a voler imporre questa arbitraria e sostanzialmente irrazionale visione delle cose in tutti gli ambiti del pensiero.
, mette in crisi la dogmatica scientista fino al punto di negare l'evidenza, ovvero tutto un mondo
artificiale/tecnologico non previsto dall'evoluzione naturale. Oppure no, ma ancora una volta non possiamo che chiamare in causa il deus ex machina dell'"emergenza" apparentemente dal nulla. Di fronte al cui procedere lo scientista deve quantomeno prendere atto di un sempre maggior grado di libertà dei prodotti evolutivi fino a livelli indeterministici che si sottraggono beffardamente ad ogni tentativo di misura e riproduzione.
Salmo che finirebbe in gloria se le retroazioni di tale libertà non riconducessero inesorabilmente alla causa efficiente (limitata) frustrando quella finale (illimitata). Ma è un gioco talmente bello che vale la pena di giocarlo fino in fondo, nel rispetto dell'avversario (natura) e nel mancato rispetto dei caifa di tutte le religioni sacre o profane.
Salve. Citando da uno dei più importanti utenti del Forum : ".....Esiste un coacervo di scienze descrittive che si occupano di fenomeni qualitativi non misurabili."
La mia beffarda osservazione sarebbe : "Quale è la differenza tra fenomeni quantitativi non misurabili e fenomeni qualitativi non misurabili ?".
E mi rispondio : nessuna, poichè noi usiamo chiamare "qualità" delle cose l'insieme delle relazioni in sè quantificabili (non importa se da noi non quantificate per nostra scelta o per nostra impossibilità) che connettono le caratteristiche intrinseche di quella tal cosa.
Ad esempio.....la bellezza non è una qualità. Essa consiste in una certa variabile quantità di armonia presentata da ciò che troviamo bello. E l'armonia in sè viene espressa dalla quantità di ordine presente in ciò che osserviamo o pensiamo. E la quantità di ordine consiste in precisabili (in sè) rapporti tra i contenuti materiali e quelli energetici di quella tal cosa.
Ah, se avessi più pazienza nello scrivere ! ............................. Quali profonde favole mi divertirei a raccontarvi ! Saluti.
Citazione di: viator il 03 Gennaio 2020, 21:46:56 PM
La mia beffarda osservazione sarebbe : "Quale è la differenza tra fenomeni quantitativi non misurabili e fenomeni qualitativi non misurabili ?"
Che quelli quantitativi sono misurabili per definizione, i qualitativi in maniera molto opinabile e solitamente farsesca. Le scienze descrittive quali botanica, geologia, mineralogia, zoologia, astronomia, antropologia, ... aggregano i loro oggetti di studio su parametri qualitativi, non quantitativi.
Salve Ipazia. Il tuo linguaggio è lessicalmente sempre all'altezza ma la tua replica a mio parere ha contenuti logico-filosofici insufficienti. Essa verrà trovata soddisfacente solo a una lettura poco acuminata. E scusami se leggi queste mie "trombonate". Sono gli esordi della mia senescenza.
Per trasferirsi dal livello opinabilissimo di un attributo (convenzionalmente) immateriale quale la bellezza................Il colore, ad esempio, secondo te è attributo qualitatiivo (cioè, secondo il senso comune. estraneo alla quantificabilità) oppure quantitativo (misurabile o generato da grandezze quantificabili) ?.
Comunque la mia domanda alla quale manca tuttora risposta era se vi fosse differenza riconoscibile tra ciò che viene convenzionalmente trovato non misurabile perchè estraneo al concetto di misura (la qualità delle cose) e ciò che invece risulta di natura quantitativa. Saluti.
@viator
Se non hai bisogno di un colorimetro per distinguere un umano di pelle bianca da uno di pelle nera significa che il colore è un attributo qualitativo.
Salve Ipazia. Secondo me invece il colore viene generato dalla quantità di vibrazioni per secondo degli impulsi luminosi (la frequenza) combinata con la distanza tra i picchi d'onda (l'ampiezza), il rapporto percentuale tra la quantità di radiazione assorbita e quella riflessa dal corpo del quale stiamo percependo la colorazione. Saluti.
Da qualunque cosa derivi il colore la differenza tra un bianco e un nero, un cane e un gatto, un liberista e un comunista, ... é qualitativa.
In chimica esistono l'analisi qualitativa e quantitativa. Vaglielo a spiegare tu che si sbagliano.
Salve Ipazia. Ma dai !!!!!........lo sai meglio di me che la qualificazione (di ciò che non possiamo o vogliamo quantificare, o non riusciamo a concepire come quantificabile, o che troviamo noioso il dover quantificare) presenta un sacco di vantaggi sia pratici che formali :
- evita di dover dimostrare di saper far di conto:
- evita di incorrere in banali errori di conteggio:
- permette di dichiarare come materiale, metafisico, spiritualistico, anche ciò che non lo è:
- permette di impedire agli altri di "prendere le misure" circa il quanto valiamo veramente (basterà nasconderci dietro nostre autoasserite "qualità").
E' anche vero però che anche in chimica i grandi misteri connessi alle qualità di un elemento vengono minimamente svelati sapendo interpretare numeri atomici e caselle della Tavola Periodica. Benedetto Mendeleev, appunto uno dei Padri Nobili della quantificazione ! Salutoni.
Ooooops! Scusami....stavo omettendo una precisazione importante : a proposito di "la differenza tra........................................................un liberista e un comunista, ... é qualitativa".
Scusami ma il tuo è stato un vero e proprio infortunio " NON ESISTE DIVERSIFICAZIONE QUANTITATIVA PIU' NETTA E CHIARA DI QUELLA CHE CORRE TRA UN LIBERISTA ED UN COMUNISTA". SI CHIAMA REDDITO. Saluti.
La differenza qualitativa, anche restando sul piano metafisico, ha una primogenitura ontologica rispetto alla componente quantitativa. Anche nel platonismo la forma viene prima della misura. Un cerchio può avere la stessa area di un quadrato, ma Platone inorridirebbe se li confondessimo con la loro area.
Pure tra viator e ipazia: potremmo avere la stessa età, statura, peso, reddito, ma rimane una difference qualitativa invalicabile.
Anche tra capitalista e comunista la differenza deriva da una appartenenza di classe e ideale che viene prima di ogni quantificazione reddituale. E non sempre il più povero è il comunista: il Mercato è un cannibale che non risparmia neppure i suoi fedeli.
Tuttavia la differenza qualitativa rimanda ad una differenza di sostanza.
Vi deve necessariamente essere una differenza sostanziale, perché vi sia una oggettiva differenza qualitativa.
In caso contrario la differenza sarebbe solo soggettiva.
Ma la differenza sostanziale non può che essere, in ultima analisi, una differenza quantitativa...
Save Ipazia. Dal mio punto di vista tu hai ragione una volta su due , ma sempre ti trovo ricreativa. Circa la FORMA, essa non è altro che la QUALITA' della QUANTITA'. Come vedi, io ne ho un altissimo concetto.
Quindi io non ho mai negato l'importanza di concetti diversi dalla QUANTITA', solamente li pongo in una certa precisa gerarchia : La quantità alla radice, la qualità nel tronco, la forma nelle foglie.
Infine, circa viator ed Ipazia, non oso chiedere quale mai possa essere l'invalicabile diversità qualitativa che ci divide. Anche se ho qualche sospetto. Saluti.
Salve bobmax. In effetti il "quid" della questione sta nell'espressione "in ultima (cioè estrema) analisi". Saluti.
Sì, Viator, ma la differenza quantitativa si fonda sulla quantità di qualcosa.
E questo qualcosa, è tale solo perché diverso qualitativamente da ogni altro qualcosa...
Una differenza qualitativa che a sua volta non può che fondarsi su di una differente quantità...
Di modo che, in estrema analisi, occorre supporre che la reale differenza sia una differenziazione del Nulla.
Tanto nel ragionamento scientifico che nella vita comune la differenza tra qualità e quantità é evidente. L'essenza e forma di un ente rimandano alla qualità, gli aspetti misurabili alla quantità. Che la quantità si muti in qualità lo scoprí la dialettica hegeliana, ma non di meno i due concetti restano distinti.
La qualità piú importante è quella della vita: relativa, storicamente determinata, sommatoria di ingredienti qualitativi e quantitativi assai variabili nel tempo.
La distinzione tra i due concetti rimane epistemologicamente fondata. Ma pure eticamente, per proteggerci dagli aspetti più deteriori del mensuralismo:
"che cosa sia un uomo non so, conosco solo il suo prezzo" (cit)