Aristotele e i rapporti di reciproca umana dipendenza, tra Evo antico e moderno.

Aperto da PhyroSphera, 21 Maggio 2024, 18:11:03 PM

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PhyroSphera

Si suole generalmente indicare Aristotele come il massimo teorico della schiavitù. In verità io penso che ci sarebbero da fare due osservazioni. La prima, essenziale, riguarda lo stesso concetto di schiavitù: io penso che Aristotele, ugualmente a tutti gli altri greci, non ne avesse proprio uno, intendendo egli solo riferirsi a chi in condizioni di relativa non capacità e quindi nella sola possibilità di adiuvare dovendo provvedere anch'egli a fare qualcosa. Questa incapacità Aristotele la poneva soprattutto in rapporto al potere politico: la politica cioè crea divari, tra chi ne è autore e chi esecutore. Questa differenza — qui vengo alla seconda osservazione — Aristotele non la poneva sul piano di un essere di natura ma solamente di un fare per natura (e non di natura!), cioè non per costituzione ma per organizzazione. L'umanità cioè ha bisogno di dividersi i còmpiti tra autori ed esecutori politici e non in ragione della differenza degli esseri umani ma in considerazione delle loro situazioni. Questa distinzione autore/esecutore veniva poi declinata secondo le varie situazioni: tra greci, tra greci e non-greci, tra onesti e reprobi...

In particolare, si trattava di mondo ellenico, nel quale vigeva sorta di regime civile, essendo la grecità degli elleni dipendente dalla stessa civiltà greca. Di fatto mancavano le distinzioni, note attraverso l'Antico Testamento, tra padroni e servi e tra liberi e schiavi, che sono contenute rispettivamente nelle descrizioni della società tribale ebraica e nel racconto della precedente permanenza degli ebrei in Egitto. Quella tipica romana era tra cittadino e non cittadino; quella diffusa nell'antico Impero Romano era tra libero e schiavo; nel Medio Evo germanico tra padrone e servo. Quest'ultima nella modernità è stata sostituita da quella di non collaboratore / collaboratore, mentre la distinzione hegeliana-marxiana tra borghese e proletario non appare di per sé realmente corrispondente, perché possono in realtà esistere anche i borghesi proletari e perché il proletario non è mai un semplice esecutore e semmai potrebbe esserlo il borghese. Piuttosto corrisponde quella, pure marxista ma non solo, tra proprietario / non proprietario. Il pensiero capitalista talvolta usa invece quella tra imprenditore / non imprenditore.

Non sono mancati studiosi che hanno negato che tra i greci esistesse la schiavitù e anzi è stato detto che nella società greca non ci fosse posto neppure per la servitù (così come oggi comunemente intesa), data la vocazione estrema alla autorealizzazione. Nel mondo ellenista la società era mista, non solo greca, e ciò creava il coesistere di abitudini greche e non greche, permanendo una divisione; il che forse faceva sembrare che i greci praticassero la schiavitù e che lo stesso Aristotele la avesse diffusa oppure giustificata per il tramite di Alessandro Magno.
Che cosa dire? Che la profonda differenziazione della società greca risulta per altre società impossibile senza schiavitù; e dunque il pensiero di Aristotele risulta a queste società una giustificazione della schiavitù pur non costituendone... E la esigenza di un assoluto egualitarismo politico riduce la distinzione tra esecutore e non esecutore a reciproca alternanza, designificandola, quindi certe volte accantonandola. Eppure Aristotele la contemplava nella forma democratica — che d'altronde riteneva solo raramente possibile.
Inoltre Aristotele che io sappia non si pose il problema del rovesciamento dei poteri. La sua descrizione politica era statica. A fronte del suo dire, ci si potrebbe domandare: chi deve essere esecutore, e chi non? Questa problematica è tipicamente moderna, facendo perno sulla riflessione e pratica delle rivoluzioni, fenomeno tipico della nostra epoca. Ciononostante la scomparsa di Alessandro durante l'Evo Antico aveva lasciato un vuoto tale che già allora era in essere la questione non solo della successione anche del cambiamento dei poteri.
La cosmologia aristotelica con i cerchi ideali degli astri e la politologia piramidale corrispondente funzionavano realisticamente finché sarebbero durate le osservazioni di Tolomeo ed erano sorta di legge finché Alessandro era presente a governare col suo potere assoluto. Secoli più tardi invece si raccontò negli scritti del cosiddetto Pseudo Dionigi di un fenomeno celeste inusitato anzi sconvolgente che testimoniava un intervento salvifico-riparatore di Dio; ma già da prima ci si domandava cosa dovesse succedere al mondo con l'intervenire dell'assenza di Alessandro e del suo potere, che significava necessariamente anche molto altro. L'universo intero era sembrato, per un lungo periodo, tanto uguale, un mondo davvero era rimasto identico... Fuori dal vero e proprio ambiente greco, questa costanza era per alcuni un incubo, giacché i rapporti di schiavitù in esso presenti si annunciavano destinati a durare e troppo!

La verità è che la mancanza da parte di Aristotele di una teoria del rivolgimento politico rende per gli estranei al suo mondo il suo pensiero esposto a una giustificazione dello status quo, che tra i greci elleni era però radicalmente diverso. La modalità di pensiero di Aristotele assunta senza le dovute precauzioni dal mondo giudaico non greco per i propri accadimenti diventa scusa per una giustificazione della schiavitù, per via di un diverso status quo...
Quindi "Aristotele teorico della schiavitù" è una proiezione culturale, di come funziona il suo pensiero se assunto senza riformularlo adeguatamente, una espressione soggettiva, realistica ma non veritiera. Purtroppo molte volte si è stati costretti a usarla e senza il minimo consentimento.


Mauro Pastore

Ipazia

Aristotele considera la schiavitù e l'inferiorità dla donna e della prole un fatto naturale, come tutta la civiltà antica prima e dopo di lui. Non si pone minimamente la questione etica ma analizza il dato da un punto di vista "fenomenologico" concludendo che chi non ha mezzi propri di sopravvivenza è assimilabile all'animale domestico che dipende dal padrone per la sua sopravvivenza. Dopodiché si inoltra nel concetto di organon, strumento, applicabile sia al bestiame, che all'attrezzo, che allo schiavo.

La società classista non è un'invenzione di Marx.

All'epoca i subalterni si risparmiavano almeno la condizione di cavie.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

PhyroSphera

Citazione di: Ipazia il 21 Maggio 2024, 19:45:34 PMAristotele considera la schiavitù e l'inferiorità dla donna e della prole un fatto naturale, come tutta la civiltà antica prima e dopo di lui. Non si pone minimamente la questione etica ma analizza il dato da un punto di vista "fenomenologico" concludendo che chi non ha mezzi propri di sopravvivenza è assimilabile all'animale domestico che dipende dal padrone per la sua sopravvivenza. Dopodiché si inoltra nel concetto di organon, strumento, applicabile sia al bestiame, che all'attrezzo, che allo schiavo.

La società classista non è un'invenzione di Marx.

All'epoca i subalterni si risparmiavano almeno la condizione di cavie.
Aristotele diceva assieme di umani, bestie e cose in quanto enti, cioè ontologicamente, inoltre faceva riferimento alla politica secondo gli esempi che gli fornivano i suoi luoghi e tempi.
Col mio testo si potrebbe avviare una lettura di Aristotele fuori dai luoghi comuni, a patto che uno voglia mettere in discussione le proprie e altrui certezze basate su convenzioni imposte e non veramente significanti.

Mauro Pastore

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