Al termine "populismo" sono stati attribuiti diversi significati.
Per me la definizione più semplice e diretta è quella del lingusta Noam Chomsky: "populismo significa
appellarsi alla popolazione. Chi detiene il potere vuole invece che la popolazione venga tenuta lontana
dalla gestione degli affari pubblici". Una buona definizione, ma per me ancora insufficiente.
Con questa accezione infatti il termine "populismo" è indistinguibile dalla specifica forma politica
della democrazia, per cui ritengo occorra un altro "passaggio" esplicativo.
Questo passaggio ulteriore è per me ravvisabile proprio a partire dal termine "popolazione", che in teoria altro
non significa che: "insieme delle persone viventi in un dato territorio" (Treccani). E che è molto
diverso dal significato del termine "popolo", che invece significa (o dovrebbe significare): "collettività
culturalmente omogenea".
Ecco, quindi per me "populismo" significa propriamente: "appellarsi al popolo (chi detiene il potere vuole
invece che il popolo venga tenuto lontano dalla gestione degli affari pubblici)".
Ma perchè questa distinzione, a mio avviso dirimente, fra "popolazione" e "popolo"?
Per un motivo che non ha nulla a che vedere con rigurgiti nazionalistici o xenofobi che, comunque, sempre
sono possibili e che sempre il "populista" dovrà temere come estremizzazione della sua idea originaria
(su questo punto occorre essere onesti e riconoscere la possibilità di questa deriva).
Il motivo fondamentale è che un "diritto", come complesso di norme giuridiche, può sorgere solo e soltanto
all'interno di una collettività culturalmente omogenea, cioè di un "popolo".
Non può sorgere all'interno di una "popolazione", cioè di un insieme di residenti, perchè quello che nella
"popolazione" sorge non è il "diritto", ma è semmai la "libertà" così come intesa dalla filosofia anglosassone.
Perchè succede questo? Essenzialmente perchè all'interno di un insieme di residenti non viene condivisa
nessuna etica comune. Non vi è. ovvero, un "sostrato" culturale comune che permette il sorgere di regole etiche
comuni (vi è solo e soltanto il perseguimento dell'interesse, che porta appunto alla "libertà anglosassone").
Il fallimento delle società "multiculturali" (questo termine sarebbe da specificare) è lì a dimostrarlo.
Questo non significa necessariamente che il "populismo" debba prendere posizioni politiche "escludenti" (non
significa cioè che si debbano necessariamente innalzare muri).
Significa però che il "residente", se vuol diventare parte del "popolo", deve necessariamente e tassativamente
condividerne gli aspetti etico/morali più importanti.
saluti
Ciao 0xdeadbeef, mi sembra tu veda il populismo dal punto di vista di chi sta al potere(populista o meno che sia), io sono invece convinto che l'importante è guardare ai cittadini e ai meccanismi di scelta politica che li muovono. Nel populismo i cittadini vedono le classi dirigenti tradizionali come distanti e traditrici delle loro istanze, non credono nella complessità della politica e sono convinti che vi siano soluzioni semplici che potrebbe prendere qualsiasi cittadino, per questo hanno fiducia in chi sembra somigliargli di più e parla un linguaggio più semplice.
Un saluto.
Se guardiamo all'Italia, o all'Europa nel suo complesso, non possiamo parlare di 'popoli' ormai , ma di popolazioni che vivono in un medesimo territorio, sottoposte alle stesse leggi, ma che non condividono etiche e valori comuni. Abbiamo solamente pseudo-etiche e pseudo-valori condivisi da 'gruppi' di popolazione anche molti distanti le une dalle altre.
Per me il populismo è quindi quella forma di politica che parla non al popolo, ma che si rivolge in modo che vorrebbe essere diretto, a ciò che accomuna le diverse popolazioni. Si rivolge cioè a ciò che è percepito come più condiviso in questo momento storico: la paura , la rabbia e l'insicurezza data dallo sbriciolamento della comunità e dalla sua 'molecolarizzazione'.
Genericamente si dice così che il populismo parla "alla pancia della gente". Pancia che viene intesa come luogo dell'irrazionalità e delle passioni più 'basse'.
Viene da chiedersi però se l'angoscia dell'epoca moderna, del nostro vissuto da 'isolati', abbia realmente una risposta nel populismo, ossia nel tentare di 'sopprimere' la paura e non invece in uno sforzo di capire le ragioni di questa paura, che viene alimentata proprio dal senso di isolamento, di separazione ("Aiutati che nessuno t'aiuta").
Ma come sentirsi di nuovo comunità quando la stessa comunità 'di base', ossia la famiglia, si è sgretolata? Quando all'interno della stessa famiglia non si condividono più gli stessi valori e le stesse etiche'? Quando questa frammentazione è percepita come un 'progresso' umano in nome di una non bene definita 'libertà'? Come si può ritenere che, su queste basi, su queste premesse, si possa ricostituire una sorta di 'popolo' e non invece delle popolazioni sempre più frammentate e individualizzate quasi? Quando una persona è sola è sempre più esposta alla paura, all'insicurezza e alla rabbia e quindi vedremo sempre più furbi che cavalcheranno questa paura data dallla "post-modernità".
Il populismo, nell'attuale catechismo politico, é la categoria ideologica utilizzata da chi il popolo lo intende solo attraverso lo sfruttamento economico/politico che vi esercita. Populista diventa pertanto ogni azione politica tendente a liberare il popolo dallo sfruttamento.
Ciao Sariputra
Se non possiamo più parlare di "popolo" allora rassegniamoci al trionfo del mercatismo globale e delle elites
che da esso emergono (e che non vi emergono certo in maniera democratica...).
Certo, vedo bene anch'io che non vi è più un'etica; che non vi sono più valori e principi condivisi; che il
trionfale risultato elettorale dei partiti "populisti" è stato causato più dalla paura e dall'insicurezza che da
"profonde" considerazioni filosofico-politiche, ma qual'è l'alternativa?
Affermi: " non possiamo parlare di 'popoli' ormai , ma di popolazioni che vivono in un medesimo territorio,
sottoposte alle stesse leggi, ma che non condividono etiche e valori comuni".
Ti chiedo quali possano mai essere queste "leggi", visto che la "legge" nasce e trae autorità dall'etica e dal
valore comunemente intesi...
Nel mio intervento d'apertura dicevo che quello che sorge dalla "popolazione" (l'insieme dei residenti) non è
il "diritto" così come inteso dalla filosofia "continentale", ma la "libertà" così come intesa dalla filosofia
anglosassone (pur se sarebbe opportuno fare importanti distinguo).
Ecco, le "leggi" di cui parli non possono essere che quelle di cui la filosofia anglosassone parla come di
"naturali evidenze" (per essa, in origine, erano il diritto alla vita, alla libertà ed alla proprietà, con
tutto il resto del "diritto" lasciato al perseguimento dell'utile individuale).
In parole povere, le "leggi" che sorgono all'interno di una popolazione che non è "popolo" sono quelle della
classica visione utilitaristica ed individualistica (ma ancor peggio, visto che bene o male in quella visione,
quella anglosassone, si sono sedimentati nei secoli degli "anticorpi" che ne hanno limitato i devastanti effetti).
saluti
@Oxdeadbeef
Condivido ampiamente la tua diagnosi dei mali della nostra società, mentre non vedo come il populismo ne sia la cura. Io non ho cure immediate. Sono consapevole che processi storici che si sono dipanati attraverso decenni ( se non secoli) non si possono invertire in breve tempo. Il loro "karma" stesso lo impedisce... :(
Soltanto seminando ogni giorno nuovi semi privi di tutto quell'egoismo che ci ha portati a questo punto ci saranno, amio parere, reali possibilità di cambiamento in meglio per un futuro che è impossibile da stabilire. Forse non è nemmeno veramente realizzabile questo mutamento, non sono particolarmente ottimista in proposito...
Con il prevalere dell'avidità, ecco che il mondo è stato trasformato in un mercato globale, dove le persone sono state ridotte allo stato di consumatori, addirittura di merci, e le risorse vitali del nostro pianeta sono state e vengono depredate senza alcuna considerazione per le generazioni future. Con il prevalere dell'avversione, ecco che le diversità nazionali ed etniche divengono terreno di coltura del sospetto e dell'inimicizia, esplodendo spesso in autentica violenza. L' illusione sostiene le altre due radici insane con convinzioni erronee e ideologie politiche, elaborate per giustificare comportamenti motivati da avidità e avversione.
Parlando da una prospettiva buddhista ( mi sia concesso, per oggi...), vorrei dire che ciò di cui c'è più bisogno, al di sopra di ogni altra cosa, è una rinnovata modalità di percezione, una consapevolezza universale che possa farci contemplare gli altri come non essenzialmente diversi da noi stessi. Per quanto difficile possa essere, dobbiamo imparare a disidentificarci dalla voce insistente del proprio interesse egoico, ed elevarci ad una prospettiva universale, secondo la quale il benessere di tutti appare tanto importante quanto il proprio bene. Vale a dire, dobbiamo liberarci dalle attitudini egocentriche ed etnocentriche cui siamo legati in questo momento, ed abbracciare un'"etica universo-centrica", che assegni priorità al benessere di tutti.
Lo so che appare utopistico. Mi si dirà che la politica è il prevalere di determinate forze sociali su altre. Ma questo istinto di prevaricazione non ci farà mai uscire dal cerchio dell'interesse egoico distruttivo, sia a livello individuale che di gruppo sociale...
Però ripeto: non sono ottimista...potente è la radice dell'avidità umana, alimentata di continuo dalle illusioni che coltiviamo noi tutti...(lo vedo ogni giorno anche in me stesso).
Ciao
Citazione di: Sariputra il 14 Gennaio 2019, 09:15:48 AM
@Oxdeadbeef
Parlando da una prospettiva buddhista ( mi sia concesso, per oggi...), vorrei dire che ciò di cui c'è più bisogno, al di sopra di ogni altra cosa, è una rinnovata modalità di percezione, una consapevolezza universale che possa farci contemplare gli altri come non essenzialmente diversi da noi stessi. Per quanto difficile possa essere, dobbiamo imparare a disidentificarci dalla voce insistente del proprio interesse egoico, ed elevarci ad una prospettiva universale, secondo la quale il benessere di tutti appare tanto importante quanto il proprio bene. Vale a dire, dobbiamo liberarci dalle attitudini egocentriche ed etnocentriche cui siamo legati in questo momento, ed abbracciare un'"etica universo-centrica", che assegni priorità al benessere di tutti.
Lo so che appare utopistico. Mi si dirà che la politica è il prevalere di determinate forze sociali su altre. Ma questo istinto di prevaricazione non ci farà mai uscire dal cerchio dell'interesse egoico distruttivo, sia a livello individuale che di gruppo sociale...
Però ripeto: non sono ottimista...potente è la radice dell'avidità umana, alimentata di continuo dalle illusioni che coltiviamo noi tutti...
Ciao
E' concesso sempre, mi auguro. Ma io resto comunque basita di fronte al karma di una filosofia che riesce a tenere insieme, anche oggi, il più iniquo sistema castale con "
una prospettiva universale, secondo la quale il benessere di tutti appare tanto importante quanto il proprio bene. Vale a dire, dobbiamo liberarci dalle attitudini egocentriche ed etnocentriche cui siamo legati in questo momento, ed abbracciare un'"etica universo-centrica", che assegni priorità al benessere di tutti." Non vorrei fosse il solito ritornello alla Menenio Agrippa in cui nell'armonica "prospettiva universale" c'è chi fa il cervello e chi lo sfintere anale.
Populismo indica quei movimenti politici che confondono una parte del popolo, un partito, con il popolo.
Da ciò conseguono le tendenze antidemocratiche, totalitarie dei movimenti populisti.
Citazione di: Ipazia il 14 Gennaio 2019, 09:29:53 AM
Citazione di: Sariputra il 14 Gennaio 2019, 09:15:48 AM@Oxdeadbeef Parlando da una prospettiva buddhista ( mi sia concesso, per oggi...), vorrei dire che ciò di cui c'è più bisogno, al di sopra di ogni altra cosa, è una rinnovata modalità di percezione, una consapevolezza universale che possa farci contemplare gli altri come non essenzialmente diversi da noi stessi. Per quanto difficile possa essere, dobbiamo imparare a disidentificarci dalla voce insistente del proprio interesse egoico, ed elevarci ad una prospettiva universale, secondo la quale il benessere di tutti appare tanto importante quanto il proprio bene. Vale a dire, dobbiamo liberarci dalle attitudini egocentriche ed etnocentriche cui siamo legati in questo momento, ed abbracciare un'"etica universo-centrica", che assegni priorità al benessere di tutti. Lo so che appare utopistico. Mi si dirà che la politica è il prevalere di determinate forze sociali su altre. Ma questo istinto di prevaricazione non ci farà mai uscire dal cerchio dell'interesse egoico distruttivo, sia a livello individuale che di gruppo sociale... Però ripeto: non sono ottimista...potente è la radice dell'avidità umana, alimentata di continuo dalle illusioni che coltiviamo noi tutti... Ciao
E' concesso sempre, mi auguro. Ma io resto comunque basita di fronte al karma di una filosofia che riesce a tenere insieme, anche oggi, il più iniquo sistema castale con "una prospettiva universale, secondo la quale il benessere di tutti appare tanto importante quanto il proprio bene. Vale a dire, dobbiamo liberarci dalle attitudini egocentriche ed etnocentriche cui siamo legati in questo momento, ed abbracciare un'"etica universo-centrica", che assegni priorità al benessere di tutti." Non vorrei fosse il solito ritornello alla Menenio Agrippa in cui nell'armonica "prospettiva universale" c'è chi fa il cervello e chi lo sfintere anale.
Forse stai parlando del sistema castale hindu. La filosofia buddhista è da sempre contraria ad ogni casta e disuguaglianza sociale. Già 2.500 anni fa il Buddha storico accettava nel Sangha monastico (la comunità dei 'mendicanti') i senza casta e le donne. Per questo la prospettiva buddhista è universalistica e si è sviluppata presto al di fuori dell'India, a differenza dell'induismo o neobrahmanesimo che dir si voglia, ancora fortemente radicato nell'etnia identitaria locale...Non vedo quindi punti in comune con la 'filosofia' di Menenio Agrippa... :)
Citazione di: Sariputra il 13 Gennaio 2019, 14:22:20 PM
Quando una persona è sola è sempre più esposta alla paura, all'insicurezza e alla rabbia e quindi vedremo sempre più furbi che cavalcheranno questa paura data dallla "post-modernità".
E' così Sari, l'origine del populismo è certamente nella paura e nell'insicurezza, la quale però non ha fondamenti razionali perché le società di oggi sono assai più sicure di quelle del passato. Certo sono anche società statiche, nelle quali non si conosce lo stesso sviluppo e la stessa opportunità di crescita che c'era un tempo.
La rabbia poi è un altro discorso, perché la rabbia è una bomba che deve essere gestita con attenzione per produrre risultati politici, ed è comunque un'arma a doppio taglio, non dimentichiamoci della lezione della rivoluzione francese dove nessuno dei leader muore di morte naturale.
Un saluto.
@sari
Mi sorprende comunque che la "buona novella" faccia così fatica ad attecchire laddove essa è nata ed anzi ne abbia i riscontri più negativi. Tal quale nel mondo cristiano. Forse non basta l'ideologia per cambiare il mondo, come non basta la matematica per sollevarlo.
Citazione di: Ipazia il 14 Gennaio 2019, 10:08:37 AM@sari Mi sorprende comunque che la "buona novella" faccia così fatica ad attecchire laddove essa è nata ed anzi ne abbia i riscontri più negativi. Tal quale nel mondo cristiano. Forse non basta l'ideologia per cambiare il mondo, come non basta la matematica per sollevarlo.
Beh!..Effettivamente, da quel che possiamo vedere, l'avidità e l'avversione/odio umani l'hanno cambiato e lo cambiano in modo assai più efficace...comunque tra Buddha e Salvini dò ancora una "leggera" preferenza al primo... :) Ciao
Citazione di: Sariputra il 14 Gennaio 2019, 10:24:30 AM
Beh!..Effettivamente, da quel che possiamo vedere, l'avidità e l'avversione/odio umani l'hanno cambiato e lo cambiano in modo assai più efficace...comunque tra Buddha e Salvini dò ancora una "leggera" preferenza al primo... :)
Il paragone è fuorviante. Buddha lo devi confrontare con Cristo e Salvini con i politici indiani. Parecchi scheletri nell'armadio ce li aveva pure la teocrazia buddista tibetana.
(https://d1yhils6iwh5l5.cloudfront.net/charts/resized/57665/large/10.01.2018_Europe_econ_tour_cartoon.png)
(da Icebergfinanza)
Intanto, mentre si discute su populismo sì populismo no, o se Salvini è meglio di Narendra Modi, tutti i dati macro danno l'Europa all'inizio di una nuova recessione economica...nuova linfa per i partiti definiti ( o che si autodefiniscono) populisti? Però diversi di questi sono anche al potere adesso (Italia, Austria, Ungheria,Polonia).; riusciranno a navigare nell'eventuale crisi recessiva? Ai posteri...
il populismo lo intendo come atteggiamento direttamente implicato e implicante con il totalitarismo. Qualunque forza politica si voglia presentare come "vera rappresentante del popolo", magari in contrapposizione alle altre forze, che invece rappresenterebbero le odiate (e soprattutto invidiate...) elites, mostra di avere una concezione del tutto falsata del "popolo", che tanto retoricamente esaltano come primario riferimento della loro politica. Di fatto, creano una confusione tra il "popolo" inteso come l'insieme dei loro sostenitori, con il "popolo" inteso come totalità dei cittadini, tutti uguali di fronte alla legge al di là delle differenze di ceto, di sesso, di opinioni religiose o politiche.. In pratica, la parte viene presa come fosse il tutto, chi non appoggia le politiche delle forze populiste finisce con l'essere visto quasi (anche quando in modo non così diretto o esplicito) come un corpo estraneo che andrebbe spazzato via, non fa parte davvero del "popolo", che invece viene fatto coincidere con la rappresentazione che ne hanno i populisti. Il populismo snatura il corretto rapporto tra comunità di popolo e istituzione statale. Invece di considerare il popolo come un complesso variegato di differenti interessi economici, e soprattutto di differenti sensibilità ideologiche, politiche, culturali, etiche ecc. e la politica come strumento di mediazione fra queste diversità, al fine di includere più persone possibili nell'azione di tutela dei diritti fondamentali, evitando entro i limiti del possibile ogni discriminazione, ne si fa una caricatura, identificandolo con un modello su misura dell'ideologia della parte politica populista, modello che inevitabilmente taglia fuori tutte quelle componenti che l'ideologia avverte come ostili, e che finiscono per diventare figlie di un dio minore, agli occhi di una politica che invece di farsi umile strumento del benessere della comunità pretende di plasmarla sulla base di un concetto di "giustizia" arbitrario che viene imposto come l'unico possibile. Lo stato non è più un arbitro imparziale che si limita al rispetto delle regole costituzionali, ma diviene parte in causa, con un proprio particolare concetto, non più giuridico, del tutto ideologica e moralista di "popolo" più ristretta della effettiva e reale comunità di cui dovrebbe essere chiamato a fare gli interessi. Esempio tipico di questa impostazione è l'atteggiamento di Salvini, che invece di calarsi con coerenza nel ruolo di ministro degli interni, rappresentante delle istituzioni e di tutti gli italiani, si comporta come fosse in campagna elettorale permanente, non riesce a distaccarsi dal ruolo di leader di una parte (che vede come il vero "popolo", la vera "gente") perdendo tempo a polemizzare continuamente con tutti coloro che a vario titolo contestano il suo operato. Mentre nella corretta visione della dialettica società-politica, il pluralismo dei partiti riguarda principalmente una differenza di metodi e di programmi che però non mette in discussione la condivisione dell'obiettivo, cioè la tutela del benessere e della libertà della società nel suo complesso, nella retorica populista le differenze partitiche non riguardano solo i metodi, ma l'obiettivo stesso: solo il populista è sinceramente interessato al benessere della "gente", tutti gli altri partiti mirano in combutta con qualche potere occulto (l'Europa, le lobby demoplutocratiche, gli ebrei, la massoneria ecc.), mirano a tutelare interessi diversi da quelli del popolo, sono degli irriducibili nemici, che andrebbero spazzati via. Ecco il nesso populismo-totalitarismo: fintanto che con i partiti avversarsi del mio si dissente sulla razionalità e l'efficacia dei programmi possiamo sempre discutere, contestarci, ma nel rispetto dovuto al pensiero che il loro obiettivo è lo stesso del mio, la forza della ragione consente la possibilità di arrivare a una certa sintesi nell'azione politica, se invece essi perseguono intenzionalmente un obiettivo diverso e contrapposto, allora non sono più interlocutori con cui confrontarsi, ma solo nemici da distruggere, eliminare, l'unico partito legittimo è quello che vuole il bene del popolo, e il "popolo" è solo chi aderisce alla mia visione.
Lo Stato neutrale esiste solo nel mondo delle idee platoniche.
Citazione di: davintro il 14 Gennaio 2019, 16:40:22 PM
il populismo lo intendo come atteggiamento direttamente implicato e implicante con il totalitarismo. Qualunque forza politica si voglia presentare come "vera rappresentante del popolo", magari in contrapposizione alle altre forze, che invece rappresenterebbero le odiate (e soprattutto invidiate...) elites, mostra di avere una concezione del tutto falsata del "popolo", che tanto retoricamente esaltano come primario riferimento della loro politica. Di fatto, creano una confusione tra il "popolo" inteso come l'insieme dei loro sostenitori, con il "popolo" inteso come totalità dei cittadini, tutti uguali di fronte alla legge al di là delle differenze di ceto, di sesso, di opinioni religiose o politiche.. In pratica, la parte viene presa come fosse il tutto, chi non appoggia le politiche delle forze populiste finisce con l'essere visto quasi (anche quando in modo non così diretto o esplicito) come un corpo estraneo che andrebbe spazzato via, non fa parte davvero del "popolo", che invece viene fatto coincidere con la rappresentazione che ne hanno i populisti. Il populismo snatura il corretto rapporto tra comunità di popolo e istituzione statale. Invece di considerare il popolo come un complesso variegato di differenti interessi economici, e soprattutto di differenti sensibilità ideologiche, politiche, culturali, etiche ecc. e la politica come strumento di mediazione fra queste diversità, al fine di includere più persone possibili nell'azione di tutela dei diritti fondamentali, evitando entro i limiti del possibile ogni discriminazione, ne si fa una caricatura, identificandolo con un modello su misura dell'ideologia della parte politica populista, modello che inevitabilmente taglia fuori tutte quelle componenti che l'ideologia avverte come ostili, e che finiscono per diventare figlie di un dio minore, agli occhi di una politica che invece di farsi umile strumento del benessere della comunità pretende di plasmarla sulla base di un concetto di "giustizia" arbitrario che viene imposto come l'unico possibile. Lo stato non è più un arbitro imparziale che si limita al rispetto delle regole costituzionali, ma diviene parte in causa, con un proprio particolare concetto, non più giuridico, del tutto ideologica e moralista di "popolo" più ristretta della effettiva e reale comunità di cui dovrebbe essere chiamato a fare gli interessi. Esempio tipico di questa impostazione è l'atteggiamento di Salvini, che invece di calarsi con coerenza nel ruolo di ministro degli interni, rappresentante delle istituzioni e di tutti gli italiani, si comporta come fosse in campagna elettorale permanente, non riesce a distaccarsi dal ruolo di leader di una parte (che vede come il vero "popolo", la vera "gente") perdendo tempo a polemizzare continuamente con tutti coloro che a vario titolo contestano il suo operato. Mentre nella corretta visione della dialettica società-politica, il pluralismo dei partiti riguarda principalmente una differenza di metodi e di programmi che però non mette in discussione la condivisione dell'obiettivo, cioè la tutela del benessere e della libertà della società nel suo complesso, nella retorica populista le differenze partitiche non riguardano solo i metodi, ma l'obiettivo stesso: solo il populista è sinceramente interessato al benessere della "gente", tutti gli altri partiti mirano in combutta con qualche potere occulto (l'Europa, le lobby demoplutocratiche, gli ebrei, la massoneria ecc.), mirano a tutelare interessi diversi da quelli del popolo, sono degli irriducibili nemici, che andrebbero spazzati via. Ecco il nesso populismo-totalitarismo: fintanto che con i partiti avversarsi del mio si dissente sulla razionalità e l'efficacia dei programmi possiamo sempre discutere, contestarci, ma nel rispetto dovuto al pensiero che il loro obiettivo è lo stesso del mio, la forza della ragione consente la possibilità di arrivare a una certa sintesi nell'azione politica, se invece essi perseguono intenzionalmente un obiettivo diverso e contrapposto, allora non sono più interlocutori con cui confrontarsi, ma solo nemici da distruggere, eliminare, l'unico partito legittimo è quello che vuole il bene del popolo, e il "popolo" è solo chi aderisce alla mia visione.
Condivido in pieno il ragionamento, davintro, con l'aggiunta che il populismo modifica la democrazia, che è fatta di molti partiti in dialettica tra loro, proprio perché non può stare nella dialettica, non può sostenere il confronto con il vaglio critico, concepisce la comunicazione politica solo come propaganda da un palco o da un balconcino.
Il populismo non può avere congressi politici e non vuole confrontarsi con la dialettica parlamentare, compresa quella degli stessi parlamentari della sua parte politica.
Questo intervento si occuperà del populismo esclusivamente dal lato della storia delle idee, tralasciando il campo delle applicazioni pratiche, avendo però a mente che il campo delle idee, se ben analizzato ci permette di capire più a fondo proprio le applicazioni pratiche.
Il populismo è il tentativo di unire in matrimonio logos e mythos. Per questo motivo resterà fra di noi ancora a lungo. Per spiegarmi occorre tornare indietro di 3000 anni, allorquando nell'antica Grecia al pensiero religioso/mitologico si aggiunse il pensiero razionale, alla base del pensiero scientifico moderno. Quel pensiero scaturiva dalle discussioni fra isonomoi, guerrieri alla pari che non dovevano inchinarsi né a un tiranno né a un Dio. Dalla dialettica, dalla esposizione di argomenti, dalla condivisione di un metodo emergeva una nuova concezione del mondo, universale e egalitaria. La stessa che influenzò, attraverso il cristianesimo, la religione monoteistica degli ebrei.
Da allora in poi quel tarlo del : "siamo tutti uguali", non ci ha più abbandonato, fino alle sue esposizioni più radicali e assolute ( marxismo).
L'altra visione del mondo, quella religioso/mitologica, ha sempre sottolineato la distinzione noi/loro, alla base della quale non è possibile alcun "siamo tutti uguali". Ancora più indietro nel tempo, la radice di quel pensiero è quello dei cacciatori/raccoglitori, divisi in clan e popoli di circa 1000 membri. All'interno del clan vigeva un livello di rispetto e di condivisione altissimo, pagato con la micidiale violenza nei confronti degli altri clan, portatori di altri miti, altri amuleti, altre religioni. Il nostro cervello più antico continua a condividere questo modello tribale che ci ha forgiato per 100.000/150.000 anni, mentre il logos compie appena 3000 anni ed ha dovuto sovrapporsi duramente ad un modello preesistente.
Molti sono stati i modi di conciliare queste due diverse visioni del mondo. Cito a titolo di esempio la filosofia scolastica ma potrei continuare a lungo.
Ebbene se il nostro cervello più arcaico è tribale (senza alcuna accezione negativa al termine) ma il nostro pensiero culturale ha fatto questa straordinaria scoperta del logos isonomico, il populismo non è altro che il tentativo talvolta coronato dal successo di mistificare una entità molto grande come uno stato, che necessita di valori universali, come se fosse una tribù. Basti pensare all'accoglienza di Salvini, tributata a Battisti: un chiarissimo esempio di regressione al tribalismo.
Citazione di: davintro il 14 Gennaio 2019, 16:40:22 PM
il populismo lo intendo come atteggiamento direttamente implicato e implicante con il totalitarismo.
Ciao Davintro
A parere mio analisi come la tua non tengono nel debito conto di quella crisi della democrazia che è cominciata ben
prima dell'apparire dei partiti cosiddetti "populisti".
Che bisogno c'è di appellarsi al popolo, alla popolazione o all'insieme dei votanti che dir si voglia se già si
sa qual'è la politica da perserguire? Non appare forse spesso anche qui, sulla pagine di questo forum, la figura
(inquietante, se permettete) del "competente"? E chi è che decide della "competenza" quando i legittimi eletti
vengono rimossi con autentici colpi si stato (seppur "soft", come nel caso di Berlusconi)?
Lo decide forse quella "scienza economica" che ha eletto, in quel caso, il "competente" rettore dell'Università Bocconi?
Era forse necessario attendere Salvini e Di Maio per accorgersi dell'indistinguibilità di quelle che una volta erano
la destra e la sinistra? E perchè mai quelle forze politiche sono diventate, nel tempo, indistinguibili?
Qualcuno vuol chiedersi il perchè, prima dell'avvento dei partiti "populisti" (su molti aspetti dei quali il mio
giudizio non differisce molto dal vostro), la gente era schifata dalla politica e non votava più?
Per il momento (per il momento, certo, perchè come dicevo anch'io penso che certe derive siano possibili) a me sembra
che il "totalitarismo" riguardi più la politica cosiddetta "liberale" che il populismo.
Il tentativo c'è stato, molto serio ed ancora in corso, di "pacificare" (nel senso "romano" del termine...) il mondo
sotto l'egida del "mercato"; qualcuno fra gli "intellettuali" ha addirittura profetizzato la "fine della storia" sotto
quel patrocinio.
A volte però la storia replica "duramente" e inaspettatamente, come diceva Hegel...
saluti
Citazione di: Jacopus il 15 Gennaio 2019, 08:55:27 AM
Questo intervento si occuperà del populismo esclusivamente dal lato della storia delle idee, tralasciando il campo delle applicazioni pratiche, avendo però a mente che il campo delle idee, se ben analizzato ci permette di capire più a fondo proprio le applicazioni pratiche.
Ciao Jacopus
Condivido molti aspetti del tuo intervento (che trovo brillante). Però a mio parere manchi di approfondire un
passaggio che trovo dirimente...
"Se il nostro cervello più arcaico è tribale (pur se il nostro pensiero culturale ha scoperto il logos isonomico)",
come affermi, allora il tentativo di creare una società mondiale sotto l'egida del mercato equivale ad innescare
una bomba.
Non sfugga, da questo punto di vista, il completo fallimento della società "multiculturale" (o per meglio dire
il tentativo di annullare le diversità culturali nell'abbraccio della cultura dei fast food e dei centri commerciali).
saluti
Citazione di: davintro il 14 Gennaio 2019, 16:40:22 PM
il populismo lo intendo come atteggiamento direttamente implicato e implicante con il totalitarismo. Qualunque forza politica si voglia presentare come "vera rappresentante del popolo", magari in contrapposizione alle altre forze, che invece rappresenterebbero le odiate (e soprattutto invidiate...) elites, mostra di avere una concezione del tutto falsata del "popolo", che tanto retoricamente esaltano come primario riferimento della loro politica. Di fatto, creano una confusione tra il "popolo" inteso come l'insieme dei loro sostenitori, con il "popolo" inteso come totalità dei cittadini, tutti uguali di fronte alla legge al di là delle differenze di ceto, di sesso, di opinioni religiose o politiche.. In pratica, la parte viene presa come fosse il tutto, chi non appoggia le politiche delle forze populiste finisce con l'essere visto quasi (anche quando in modo non così diretto o esplicito) come un corpo estraneo che andrebbe spazzato via, non fa parte davvero del "popolo", che invece viene fatto coincidere con la rappresentazione che ne hanno i populisti. Il populismo snatura il corretto rapporto tra comunità di popolo e istituzione statale. Invece di considerare il popolo come un complesso variegato di differenti interessi economici, e soprattutto di differenti sensibilità ideologiche, politiche, culturali, etiche ecc. e la politica come strumento di mediazione fra queste diversità, al fine di includere più persone possibili nell'azione di tutela dei diritti fondamentali, evitando entro i limiti del possibile ogni discriminazione, ne si fa una caricatura, identificandolo con un modello su misura dell'ideologia della parte politica populista, modello che inevitabilmente taglia fuori tutte quelle componenti che l'ideologia avverte come ostili, e che finiscono per diventare figlie di un dio minore, agli occhi di una politica che invece di farsi umile strumento del benessere della comunità pretende di plasmarla sulla base di un concetto di "giustizia" arbitrario che viene imposto come l'unico possibile. Lo stato non è più un arbitro imparziale che si limita al rispetto delle regole costituzionali, ma diviene parte in causa, con un proprio particolare concetto, non più giuridico, del tutto ideologica e moralista di "popolo" più ristretta della effettiva e reale comunità di cui dovrebbe essere chiamato a fare gli interessi. Esempio tipico di questa impostazione è l'atteggiamento di Salvini, che invece di calarsi con coerenza nel ruolo di ministro degli interni, rappresentante delle istituzioni e di tutti gli italiani, si comporta come fosse in campagna elettorale permanente, non riesce a distaccarsi dal ruolo di leader di una parte (che vede come il vero "popolo", la vera "gente") perdendo tempo a polemizzare continuamente con tutti coloro che a vario titolo contestano il suo operato. Mentre nella corretta visione della dialettica società-politica, il pluralismo dei partiti riguarda principalmente una differenza di metodi e di programmi che però non mette in discussione la condivisione dell'obiettivo, cioè la tutela del benessere e della libertà della società nel suo complesso, nella retorica populista le differenze partitiche non riguardano solo i metodi, ma l'obiettivo stesso: solo il populista è sinceramente interessato al benessere della "gente", tutti gli altri partiti mirano in combutta con qualche potere occulto (l'Europa, le lobby demoplutocratiche, gli ebrei, la massoneria ecc.), mirano a tutelare interessi diversi da quelli del popolo, sono degli irriducibili nemici, che andrebbero spazzati via. Ecco il nesso populismo-totalitarismo: fintanto che con i partiti avversarsi del mio si dissente sulla razionalità e l'efficacia dei programmi possiamo sempre discutere, contestarci, ma nel rispetto dovuto al pensiero che il loro obiettivo è lo stesso del mio, la forza della ragione consente la possibilità di arrivare a una certa sintesi nell'azione politica, se invece essi perseguono intenzionalmente un obiettivo diverso e contrapposto, allora non sono più interlocutori con cui confrontarsi, ma solo nemici da distruggere, eliminare, l'unico partito legittimo è quello che vuole il bene del popolo, e il "popolo" è solo chi aderisce alla mia visione.
Concordo assai su questa disanima, del resto mi pare che la stessa affermazione del premier Conte a una domanda mossagli da un giornalista tempo fa su cui si discusse anche su questo forum, rappresenti la presa della parte per il tutto. E ciò è indice, da un lato di un certo ideologismo di base e, dall'altro diviene latrice o, quantomeno, elemento che acuisce disgregazione sociale e comunitaria.
Caro Oxdeadbeef,
mi sa che le tue domande cadono nel vuoto. Forse non si può o non si vuole rispondere perché farlo comporterebbe per molti un esame di coscienza con relativo mea culpa, troppo duro da digerire quando si è convinti di aver agito sempre bene e nell'interesse della patria. Errare è umano, un concetto sgradevole e difficile da accettare, soprattutto quando si agisce con ottime intenzioni.
D'altra parte, se i governanti e i vari analisti/commentatori politici in auge si fossero posti un bel po' di tempo prima le tue domande, non saremmo arrivati a questo punto.
Il populismo infatti non nasce oggi e non sarebbe giusto darne tutta la responsabilità ai neopolitici, come se l'avessero tirato fuori dal cappello per intortare gli elettori sprovveduti.
Secondo me nel nostro Paese c'è sempre stato, nell'aria e nella cultura.
C'entra anche molto la religione, nel senso che il cattolicesimo ha sempre avuto un forte connotato populista, malgrado la Chiesa temporale abbia formato una solida struttura antidemocratica simile a quella feudale.
https://www.tempi.it/omalley-la-chiesa-non-e-una-democrazia-ma-la-volonta-di-dio/
Vale la pena poi di riflettere sul fatto che gli isonomoi greci e le caste sacerdotali ebraiche erano un'élite colta e preziosa all'interno di società fra le più classiste che si possano immaginare. Anche se in passato il classismo era la norma, questo non rappresenta una giustificazione.
Il concetto d'uguaglianza e di agape, quando viene sostenuto dalle gerarchie sacerdotali, suona come un ossimoro. Direi che come minimo è stato concepito ad uso e consumo del popolo più ingenuo e irriflessivo, perché a parole si dichiara che i fedeli sono tutti uguali agli occhi del Signore, ma poi nei fatti qualcuno ai suoi occhi è più uguale ( e meritevole di rispetto) degli altri. Qualcosa allora non torna...
Anche nell'antica Atene, dove il Logos sostituiva Yaweh, esisteva di fatto uno sbarramento sociale fra i grandi pensatori e i personaggi mediocri e insipienti, che non partecipavano mai ai dibattiti nei ginnasi. Vi erano escluse pure le donne e gli schiavi, che svolgevano tutti i pesanti e noiosi lavori domestici mentre i loro mariti e padroni si sollazzavano con la filosofia.
I filosofi fra una coppa di vino e un'altra si occupavano del mondo, delle società umane, della mente umana, ma non di tutti, perché in realtà non ammettevano che gli esseri umani fossero uguali e avessero pari diritti e doveri, di certo non lo pensavano per quelli appartenenti ai ceti più umili.
Ecco perché questa mi sembra la sostanza dell'autentico populismo: fingere che il popolo conti moltissimo quando si parla e straparla di lui e con lui, ma dentro di sé credere (e fare) tutt'altro.
Una buona base per una tirannia mascherata da regime democratico.
In che senso sostieni che il Logos sostituiva Yaweh, nell' "antica Atene", everlost?
Mi riferivo al fatto che Jacopus ha parlato di filosofia greca e di monoteismo ebraico.
Per essere precisa e corretta avrei dovuto dire, in effetti, non nell'antica Atene ma "presso gli antichi filosofi greci" il Logos era fondamento e legge dell'esistenza, come Yaweh lo era presso gli ebrei. In Grecia le persone colte non sentivano necessità di inventarsi un Dio padre, creatore e regolatore di ogni cosa, ma riconoscevano la legge suprema del pensiero, della ragione.
Tant'è vera - per me- questa analogia con la religione monoteistica derivata dalla Bibbia che il cristianesimo, nel Vangelo di Giovanni, ha cercato di trasfondere il significato di Logos in Dio stesso. Non ho mai capito però perché i cattolici lo abbiano tradotto come 'Verbo'. Mi sembra riduttivo, non penso che renda bene il significato originario.
« In principio era il Logos
e il Logos era presso Dio
e Dio era il Logos
Questi era in principio presso Dio.
Tutto è venuto ad essere
per mezzo di Lui,
e senza di Lui
nulla è venuto ad essere
di ciò che esiste.
In Lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini
e questa luce splende ancora nelle tenebre
poiché le tenebre non riuscirono ad offuscarla. » (Giovanni 1:1-5 )
Forse perchè Verbo é la traduzione letterale latina di Logos. Certo che dire "in principio era il Discorso" suona anche peggio. Sembra roba da politicanti.
Salve Ipazia. "In principio era il Verbo". Ma il Verbo è la Parola. Io interpreto che sia da intendere come la Parola per antonomasia. Che è "Essere". Radice di ogni possibilità espressiva vocale. Quindi "In principio era la Parola". "In principio era l'Essere". In principio era Dio il quale era ed è il Verbo". Da cui "Io sono Colui che E'", versione maliziosamente ed egoisticamente antropizzata di "Sono ciò che E'".
Quest'ultima è secondo me la defizione definitiva (ahimè, irrimediabilmente tautologica allo scopo di permettere ai filosofi di aver lavoro per l'eternità) dell'Essere il quale, da un mio punto di vista assai più casalingo, consiste ne "la condizione per la quale le cause producono degli effetti". Saluti.
Citazione di: viator il 15 Gennaio 2019, 22:59:01 PM
Salve Ipazia. "In principio era il Verbo". Ma il Verbo è la Parola. Io interpreto che sia da intendere come la Parola per antonomasia. Che è "Essere". Radice di ogni possibilità espressiva vocale. Quindi "In principio era la Parola". "In principio era l'Essere". In principio era Dio il quale era ed è il Verbo". Da cui "Io sono Colui che E'", versione maliziosamente ed egoisticamente antropizzata di "Sono ciò che E'".
Quest'ultima è secondo me la defizione definitiva (ahimè, irrimediabilmente tautologica allo scopo di permettere ai filosofi di aver lavoro per l'eternità) dell'Essere il quale, da un mio punto di vista assai più casalingo, consiste ne "la condizione per la quale le cause producono degli effetti". Saluti.
Concordo. Così suona meglio. E' la Parola il principio della specificità antropologica, l'origine della sua trascendenza che ha popolato uno mondo parallelo di discorsi e di numi.
Citazione di: everlost il 15 Gennaio 2019, 19:48:31 PM
Caro Oxdeadbeef,
mi sa che le tue domande cadono nel vuoto. Forse non si può o non si vuole rispondere perché farlo comporterebbe per molti un esame di coscienza con relativo mea culpa, troppo duro da digerire quando si è convinti di aver agito sempre bene e nell'interesse della patria. Errare è umano, un concetto sgradevole e difficile da accettare, soprattutto quando si agisce con ottime intenzioni.
D'altra parte, se i governanti e i vari analisti/commentatori politici in auge si fossero posti un bel po' di tempo prima le tue domande, non saremmo arrivati a questo punto.
Il populismo infatti non nasce oggi e non sarebbe giusto darne tutta la responsabilità ai neopolitici, come se l'avessero tirato fuori dal cappello per intortare gli elettori sprovveduti.
Secondo me nel nostro Paese c'è sempre stato, nell'aria e nella cultura.
C'entra anche molto la religione, nel senso che il cattolicesimo ha sempre avuto un forte connotato populista, malgrado la Chiesa temporale abbia formato una solida struttura antidemocratica simile a quella feudale.
Ciao Everlost
Diceva (giustamente) G.Sartori che il potere politico o è democratico o è autocratico: non vi è una "terza via" (in
realtà sulla scia di Machiavelli: "nella storia si son visti o repubbliche o principati").
Per cui io questa storia dei "competenti" non solo non la capisco; ma non capisco come facciano persone
indubitabilmente intelligenti ed acute a tirarla sempre in ballo (assieme ad una presunta "complessità" di cui questi
"competenti" sarebbero i soli sacerdoti possibili...).
Evidentemente siamo al platoniano "governo dei filosofi", una espressione che la storia ha ben dimostrato essere
null'altro che un ossimoro.
Perchè il filosofo, come il competente, non governa; ma governa il "potente" (come diceva quel tale: "è necessario
rendere giusto il forte, perchè rendere forte il giusto è molto più difficile").
In realtà questa storia dei "migliori"; dei "filosofi"; oggi dei "competenti" è servita e serve per tener buono il "popolo",
ed asservirlo con le buone ai propri scopi particolari.
Bisogna dunque sempre e comunque andare dietro ai mal di pancia del popolo? No, nel tempo abbiamo "inventato" la democrazia
rappresentativa proprio per ovviare a questo. Ma prendo atto che neppure più questo basta ai sostenitori della
"competenza"...
Mi permetto allora un suggerimento: si dica chiaramente che da domattina non si vota più, che avendo trovato la "scienza"
definitiva ed indubitabile della politica e dell'economia il "debolismo" del voto "popolare" risulta ormai superfluo.
Sarà un passaggio magari crudo, ma ci eviterebbe tutto questo mare di ipocrisia.
saluti
Anche se mi prenderete in giro io sono fautore di un socialismo dhammico buddhista, come terza via:
...Non credere che il socialismo è morto! Questo è solo la propaganda degli irriducibili capitalisti neo-conservatori.
Il vero socialismo non è mai stato provato su larga scala.Il socialismo è la prospettiva e l'orientamento che considera il bene della società nel suo complesso come centrale, piuttosto che il bene personale, individualista. Così, il socialismo è l'opposto dell' individualismo con cui siamo irretiti oggi. Per i buddhisti impegnati, il socialismo deve essere radicato nel Dhamma. Così, si parla di " socialismo dhammico".Non si tratta dello stalinismo dittatoriale. Il socialismo Dhammico non è servile conformismo, in quanto rispetta e nutre gli individui. Tuttavia, lo scopo della vita dell'individuo non può essere solo il proprio piacere di successo. Nel socialismo dhammico, lo scopo e il significato della vita dell'individuo va al di là del nostro piccolo "io" e si ritrova nella società, nella natura, e nel Dhamma.Il socialismo Dhammico è l'espressione di due fatti fondamentali: uno di questi è che noi siamo inevitabilmente e ineluttabilmente esseri sociali che devono vivere insieme in una forma di società che dà la priorità all' interrelazione, alla cooperazione, e all' aiuto vicendevole, per risolvere il problema della sofferenza. Pertanto, il principio della giusta relazione o giusta inter-parentela è il cuore di una tale società.
Tan Ajarn concepì questa forma di società come essere il vero significato del socialismo, che può differire dalla comprensione di scienziati e politici marxisti.
Tan Ajarn amava utilizzare certe parole a modo suo e noi lo fraintendiamo se non ci rendiamo conto di questo. Sangkom-niyom, la parola thailandese per socialismo, letteralmente significa "preferenza per la società", o "a favore della società", piuttosto che favore dei singoli (cioè l'individualismo), come è stato spesso il caso in Occidente o nella società capitalista e del consumismo.
Il suo socialismo si radica nel fatto che noi dobbiamo vivere insieme, e quindi per sopravvivere si deve dare importanza alle strutture e ai meccanismi della società che ci permetteranno di farlo nelle maniere più idonee.
Siamo tutti responsabili per la promozione, e la cura di questi mezzi.
Questo è il nostro modo di comprendere il socialismo.
l secondo fatto è che il socialismo può andare storto. Ci sono stati diversi approcci al socialismo, e alcuni sono stati incorretti, hanno assunto forme autoritarie, violente e corrotte. Ajarn Buddhadasa insiste sul fatto che il socialismo deve essere modificato dal Dhamma buddhista per tenerlo onesto, morale, e non violento.
Così, si parla di socialismo Dhammico. Non vogliamo un socialismo che è principalmente materialistico o economico. Esso non sposa l'idea di un socialismo basato sul conflitto di classe o sulla vendetta.
Piuttosto, crediamo in quel socialismo che è in armonia con il Dhamma.
Per essere in armonia con il Dhamma significa che esso si deve basare sulla realizzazione dell' interdipendenza umana.
In altre parole, il nostro socialismo deve essere morale, radicato nel siladhamma (moralità, normalità). Il Siladhamma consiste in relazioni e attività che non opprimono o si approfittano di nessuno, incluso se stessi, e che sono volte al reciproco beneficio, di noi stessi, degli altri, e del collettivo.
... l'oppressione sociale è radicata nella personale e strutturale presenza dei kilesa, che è l'egoismo.
L'eliminazione di questo egoismo è il compito del siladhamma, della religione, e del socialismo dhammico.
Se il nostro socialismo può andare oltre il livello morale e realizzare una società in cui tutti sono liberi non solo da un comportamento egoista, ma anche da un attitudine egoistica non deve essere discusso in questa sede.
Credo che sia sufficiente per ora concentrarsi sullo sviluppo di una società in cui il comportamento egoistico è ridotto al minimo.
...La gente richiede una visione che mostra come la felicità sta nel socialismo dhammico e in una società nibbanica, piuttosto che nell' egoismo, nel consumismo, nel materialismo, e simili.
Da "Quali possibilità per il socialismo dhammico", di Santikaro Bhikkhu (2009)
per Ipazia
la politica è prassi, e come ogni prassi consiste nel tentativo di adeguare la realtà fattuale ad un modello ideale di "società giusta", e quindi anche ad un modello di stato il più possibile efficace a garantire benessere e diritto alla comunità. Che tale modello ideale sia impossibile da realizzare compiutamente nella storia non gli impedisce di poter fungere come ideale regolativo a cui la prassi politica si ispira, e senza il quale sarebbe cieco affannarsi senza alcuna prospettiva, allo stesso modo di come l'inesistenza dell'idea di "cavallinità" non inficia la necessità che ogni giudizio in cui riconosco di avere di fronte un singolo reale cavallo presuppone come criterio trascendentale l'idea di "cavallo in sé" come parametro a cui raffrontare i reali cavalli particolari. Allo stesso modo, ogni giudizio sul valore dell'azione statale implica l'assunzione di un ideale sul "cosa" e "come" dovrebbe essere uno stato, in base a cui valutare il grado di adeguazione dell'effettiva realtà dello stato, n assenza di questo ideale ogni giudizio di valore e ogni conseguente esigenza di trasformazione sarebbe insensata e l'unica cosa logica sarebbe la passiva accettazione dei fatti. Poi, possiamo discutere nel merito della validità dell'ideale liberale dello "stato neutro", ma le eventuali critiche andrebbero poste su un piano diverso rispetto all'accusa di "idealismo", che sulla base di quanto detto sopra, dovrebbe essere rivolta non solo alla visione liberale, ma in generale ad ogni ideologia o dottrina politica (compreso il marxismo, credo) che si ponga come modello fondativo di giudizi di valore sulla società
Per Oxdeadbeef
il costante richiamo alla centralità del popolo sovrano che fa il populismo è solo un artificio retorico, una falsificazione nella quale il concetto di "popolo" non esprime più il significato che dovrebbe assumere in una democrazia, "popolo" come totalità giuridica dei cittadini, ma un significato ristretto, escludente, proiezione dell'ideologia del populista, per il quale il popolo può essere rappresentato, a secondo della natura di tale ideologia, come un determinato ceto sociale, una determinata confessione religiosa, una determinata etnia, l'insieme di coloro che seguono una specifica etica, uno specifico orientamento politico (ovviamente lo stesso di quello della forza populista). E tutti coloro che stanno al di fuori della rappresentazione particolare, sono anche esclusi dal popolo, diventano "elite", nemici del popolo, privati della legittimità a sentirsi depositari degli stessi diritti e doveri di coloro che invece si rispecchiano nel concetto di "popolo" nella mente del populista", a sentirsi parte integrante della stessa comunità. Che bisogno ci sarebbe di richiamare ossessivamente il fatto di essere rappresentanti del popolo da parte del populista, se per "popolo" si intendesse, come dovrebbe intendersi" la totalità giuridica dei cittadini"? Lo si dovrebbe dare per scontato... il popolo si esprime eleggendo il parlamento, e da quel momento in poi ogni atto politico esprime un mandato e una rappresentanza popolare... se si sente la necessità di continuare a richiamare in modo così retorico e sistematico il "popolo" è chiaro segno che con questo termine non si intende la comunità giuridica nel suo complesso, ma un concetto caricato di un peso politico parziale, il popolo nella particolare visione del mondo etica/economica/religiosa/filosofica del populista, che però non può esaurire l'effettiva realtà della comunità nel suo insieme. In pratica, una mistificazione. La verità è che il popolo non è un monolite, a immagine e somiglianza del populista, ma un unità composta da differenze di ogni ordine, che le istituzioni sono chiamate a rappresentare e soddisfare (entro i limiti del possibile) in modo più comprensivo possibile, ed è a questo punto che arriviamo alla necessità della "competenza". Per competenza andrebbe intesa la capacità di una adeguata classe dirigente politica di saper sviluppare in modo più razionale ed efficace possibile una sintesi che tenga conto il più possibile della molteplicità delle differenti esigenze in seno al popolo, differenze di tipo economico e culturale, che nei fatti non produrrà mai un mondo perfetto per tutti, ma che è l'unico modo per avvicinarci a una società che massimizzi nel modo più equo possibile il benessere e la rappresentanza. Ecco la necessità dello stato imparziale come luogo di mediazione tra le esigenze della comunità e la traduzione in termini di azione politica tesa a soddisfarle, in assenza di questo filtro, contro cui si scaglia la retorica populista, il popolo verrebbe lasciato a se stesso, nell'irrazionalità di un conflitto interno fra le diverse componenti da cui non potrà che derivare la legge del più forte, delle parti materialmente più potenti che schiacciano le più deboli, oppure la dittatura della maggioranza, nel quale il potere politico populista che identifica il "popolo" con la maggioranza politica che lo sostiene, si sente legittimato a discriminare o perseguitare la minoranza.
Vorrei soffermarmi un attimo su questo discorso della "competenza", per togliermi un sassolino dalla scarpa (ora non sto polemizzando con Oxdeadbeef o con un altro utente in particolare, ma con una certa linea di pensiero che ogni tanto emerge), Mi viene da pensare in particolare all'esempio del topic sulla chiusura domenicale dei centri commerciali, dove alla posizione liberale per cui ogni limitazione della libertà individuale (compresa quella di voler lavorare o consumare in un centro commerciale di domenica) è illegittima, fintanto che non limita direttamente la libertà degli altri, veniva opposta l'idea, che molti dei desideri (e dunque delle libertà di soddisfarli) delle persone non siano davvero genuini, ma il portato di condizionamenti sociali, di cui la maggior parte delle persone non si renderebbero conto, ma che possono essere smascherati da dei sociologi, magari orientati in una certa direzione ideologica, che potrebbero insegare a tutti quali sono i desideri naturali che meriterebbero di essere soddisfatti e quali invece frutto della manipolazione sociale/comunicativa, da rimuovere. Le conseguenti implicazioni di tali premesse sono evidenti: una volta rimossa l'idea del libero arbitrio e della responsabilità individuale e considerate le persone alla stregua di come bambini incapaci di discernere il loro "vero bene", e la loro "vera libertà", ecco la necessità ci creare una ELITE COMPETENTE di sociologi o intellettuali, che alla luce della loro cultura provvederanno a stabilire per tutti la lista dei desideri esprimenti la "vera natura" delle persone, da soddisfare (come può essere ad esempio, quello di comprare i loro libri), e la lista dei desideri fittizi, (come quello di andare al centro commerciale di domenica), che paternalisticamente, "per il nostro bene" andrebbero repressi, perché non rispecchianti la "vera natura delle persone", natura che essi presumerebbe di conoscere meglio degli individui a cui tale natura appartiene. A questo punto mi chiedo: non è paradossale e ipocrita accusare il liberalismo di voler sottrarre spazi di sovranità ai popoli in favore di elite tecnocratiche, quando poi l'accusa viene da proprio da degli antiliberali che pensano che le persone siano incapaci di conoscere la loro vera libertà e che i loro desideri debbano essere approvati da dei sociologi che stabiliscono quando essi provengono davvero dalla loro personalità, e quando invece sono veicolati dai mezzi di comunicazione? Non è forse doppiopesismo contestare la tecnocrazia quando si parla di scelte economiche che i governi farebbero in contrapposizione alle esigenze sentite dai popoli, per poi farla rientrare dalla finestra quando si pensa che la sociologia (come se questa fosse una scienza più esatta e rigorosa dell'economia...) sia capace di decifrare meglio del sentire diretto delle singole persone comuni, l'autenticità dei desideri, e dunque di ispirare una serie di impedimenti moralistici al soddisfacimento dei desideri etichettati come inautentici? Al contrario Il liberalismo, proprio in quanto pone la libertà individuale come valore supremo, è la dottrina politica in cui è necessariamente più forte il richiamo al principio di autodeterminazione e di autconsapevolezza delle proprie esigenze degli individui, e conseguentemente dei popoli, che nella concretezza del loro contenuto, altro non sono che insiemi di individui
A Davintro
La tua è una immagine fra le tante del populismo; una immagine che certamente possiede una propria legittimità
(mi sento di condividere alcune tue osservazioni) ma che non esaurisce di certo la tematica.
Alla tua immagine potrei, ad esempio, opporre quella di Chomsky che dicevo in apertura, così come diverse altre
(compresa immodestamente la mia, che sostituisce il termine "popolo" alla "popolazione" di Chomsky).
Naturalmente, e lo dicevo, non mi sfugge che il cosiddetto "populismo" possa avere delle pericolose derive
(soprattutto xenofobe), come del resto le possono avere tutte le forme che la politica può assumere.
Da questo punto di vista, più che polemizzare sterilmente per le uscite di Salvini o di Di Maio (sulle quali
il mio giudizio non è certamente molto difforme dal tuo), riterrei fruttuoso un confronto sul come il populismo
sia potuto riemergere così prepotentemente; ed allora, forse, ad affiorare potrebbero essere certe pesantissime
responsabilità delle classi dirigenti "liberali"...
Affermi: "Per competenza andrebbe intesa la capacità di una adeguata classe dirigente politica di saper sviluppare
in modo più razionale ed efficace possibile una sintesi che tenga conto il più possibile della molteplicità delle
differenti esigenze in seno al popolo".
Io non vedo affatto "competenze" che vanno in tal senso. Vedo invece "competenze" che con il liberalismo classico
non hanno più o quasi nulla a che vedere (vedi anche il mio post: "Il sistema - capitalismo e mercatismo").
Nel liberalismo classico il potere statuale aveva ancora un ruolo (tanto che J.Stuart Mill poteva parlare di uno
stato "redistributore" della ricchezza prodotta dal mercato); nella dimensione ontologica e totalizzante assunta
oggi dal mercato lo stato, e con esso la società o la comunità, non hanno alcun potere di reindirizzare le orrende
storture che la selvaggia competizione mercatistica globale produce.
Oggi non esiste (diciamo...almeno per alcuni paesi) una classe dirigente politica che tiene conto delle differenti
esigenze in seno al popolo. Oggi esiste una classe dirigente politica che serve solo ad attuare le direttive che
altri prendono (in genere i potentati economici e finanziari). E queste direttive consistono essenzialmente nell'
eliminazione progressiva di qualsiasi statualità (globalizzazione) e di qualsiasi corpo sociale intermedio (ad
esempio il sindacato), riducendo la società ad un insieme di individui le cui relazioni interpersonali sono
regolate da un "contratto" di tipo privatistico.
Così come ad esempio ha fatto il governo di A.Tzipras in Grecia, che ha ridotto in braghe di tela il proprio paese
per permettere ai colossi tedeschi di mangiarselo.
Oggi persino Juncker recita il "mea culpa" ributtando indietro molte responsabilità sul Fondo Monetario
Internazionale; ma era evidente a tutti che quei provvedimenti erano irrazionali e sbagliati prima ancora di essere
socialmente ingiusti.
Con ciò non intendo certamente aprire una discussione in merito (la situazione Greca è molto complessa ed articolata),
ma intendo almeno un attimino far riflettere su questi "competenti" e sul come essi gestiscono la "cosa pubblica".
Oggi, parlare di liberalismo nei termini classici è come parlare di comunismo senza avvertire che c'è stata la fine
dell'URSS e il crollo di tutti i regimi nell'Europa dell'est...
saluti
Citazione di: davintro il 16 Gennaio 2019, 16:28:29 PM
Vorrei soffermarmi un attimo su questo discorso della "competenza", per togliermi un sassolino dalla scarpa (ora non sto polemizzando con Oxdeadbeef o con un altro utente in particolare, ma con una certa linea di pensiero che ogni tanto emerge), Mi viene da pensare in particolare all'esempio del topic sulla chiusura domenicale dei centri commerciali, dove alla posizione liberale per cui ogni limitazione della libertà individuale (compresa quella di voler lavorare o consumare in un centro commerciale di domenica) è illegittima, fintanto che non limita direttamente la libertà degli altri, veniva opposta l'idea, che molti dei desideri (e dunque delle libertà di soddisfarli) delle persone non siano davvero genuini, ma il portato di condizionamenti sociali, di cui la maggior parte delle persone non si renderebbero conto, ma che possono essere smascherati da dei sociologi, magari orientati in una certa direzione ideologica, che potrebbero insegare a tutti quali sono i desideri naturali che meriterebbero di essere soddisfatti e quali invece frutto della manipolazione sociale/comunicativa, da rimuovere. Le conseguenti implicazioni di tali premesse sono evidenti: una volta rimossa l'idea del libero arbitrio e della responsabilità individuale e considerate le persone alla stregua di come bambini incapaci di discernere il loro "vero bene", e la loro "vera libertà", ecco la necessità ci creare una ELITE COMPETENTE di sociologi o intellettuali, che alla luce della loro cultura provvederanno a stabilire per tutti la lista dei desideri esprimenti la "vera natura" delle persone, da soddisfare (come può essere ad esempio, quello di comprare i loro libri), e la lista dei desideri fittizi, (come quello di andare al centro commerciale di domenica), che paternalisticamente, "per il nostro bene" andrebbero repressi, perché non rispecchianti la "vera natura delle persone", natura che essi presumerebbe di conoscere meglio degli individui a cui tale natura appartiene. A questo punto mi chiedo: non è paradossale e ipocrita accusare il liberalismo di voler sottrarre spazi di sovranità ai popoli in favore di elite tecnocratiche, quando poi l'accusa viene da proprio da degli antiliberali che pensano che le persone siano incapaci di conoscere la loro vera libertà e che i loro desideri debbano essere approvati da dei sociologi che stabiliscono quando essi provengono davvero dalla loro personalità, e quando invece sono veicolati dai mezzi di comunicazione? Non è forse doppiopesismo contestare la tecnocrazia quando si parla di scelte economiche che i governi farebbero in contrapposizione alle esigenze sentite dai popoli, per poi farla rientrare dalla finestra quando si pensa che la sociologia (come se questa fosse una scienza più esatta e rigorosa dell'economia...) sia capace di decifrare meglio del sentire diretto delle singole persone comuni, l'autenticità dei desideri, e dunque di ispirare una serie di impedimenti moralistici al soddisfacimento dei desideri etichettati come inautentici? Al contrario Il liberalismo, proprio in quanto pone la libertà individuale come valore supremo, è la dottrina politica in cui è necessariamente più forte il richiamo al principio di autodeterminazione e di autconsapevolezza delle proprie esigenze degli individui, e conseguentemente dei popoli, che nella concretezza del loro contenuto, altro non sono che insiemi di individui
Hai così ben argomentato che, per un attimo, mi hai quasi convinto. 8)
Caspita, mi son detto, come è possibile che sia d'accordo con Davintro che sta sostanziando un punto di vista che, da tempo immemore, è contrario al mio modo di vedere le cose?
Bè, a mio modo di vedere, nella tua pur convincente analisi non hai considerato la prospettiva, decisiva, di chi mette in condizioni le persone di vivere il liberalismo che hai sostenuto. Non si tratta dunque di interpretare e governare i desideri delle persone (anche se due parole sul marketing andrebbero spese....) bensì di non obbligare altri a creare le condizioni per la loro soddisfazione. Nel senso che per tenere aperti gli esercizi la domenica si costringono diverse persone a lavorare. Ma sono disposto a discutere anche di questo (potresti sostenere che i benefici ripagano questo sacrificio tutto sommato, ma solo apparentemente, modesto); quello che però non sarei tanto propenso a prendere in esame è l'incontrovertibile valenza simbolica che questi comportamenti creano: lavorare 24 ore al giorno per 7 giorni alla settimana è cosa buona e giusta. Non esistono più spazi vietati al lavoro ed il feticcio della produttività regna sovrano. Il vero dio del nostro tempo. Ma come, sostengono i fautori di questa mentalità, si offre un servizio a tante persone, si fa girare l'economia, si crea allegria!
Non credo. Penso, piuttosto, che sia l'inizio del pensiero unico. Lavorare, consumare, crepare. Ecco la trinità del mondo moderno. Uscire di casa solo per fare una di queste cose qua.
Citazione di: davintro il 16 Gennaio 2019, 16:28:29 PM
per Ipazia
la politica è prassi, e come ogni prassi consiste nel tentativo di adeguare la realtà fattuale ad un modello ideale di "società giusta", e quindi anche ad un modello di stato il più possibile efficace a garantire benessere e diritto alla comunità.
Ma sempre intesa come comunità reale, non ideale. La democrazia ateniese escludeva le donne e gli schiavi. Quella borghese, fino al 900 inoltrato, escludeva le donne e chi era sotto un certo censo. E così via. Nessuna neutralità
nella prassi.
Citazione
Che tale modello ideale sia impossibile da realizzare compiutamente nella storia non gli impedisce di poter fungere come ideale regolativo a cui la prassi politica si ispira, e senza il quale sarebbe cieco affannarsi senza alcuna prospettiva, allo stesso modo di come l'inesistenza dell'idea di "cavallinità" non inficia la necessità che ogni giudizio in cui riconosco di avere di fronte un singolo reale cavallo presuppone come criterio trascendentale l'idea di "cavallo in sé" come parametro a cui raffrontare i reali cavalli particolari.
Perfino nell'orwelliana fattoria degli animali qualcuno era più uguale degli altri. Proprio perchè lo stato è un artefatto sociale concreto non può essere neutrale ma rispecchierà, anche nell'ideale, l'idealità dei gruppi dominanti. Almeno su questo i comunisti non si faccevano illusioni e la chiamavano, com'è del resto quella borghese fondata sul Capitale (i fenomeni Berlusconi, Trump,... non sono nati da dispute filosofiche),
dittatura (del proletariato).
Citazione
Allo stesso modo, ogni giudizio sul valore dell'azione statale implica l'assunzione di un ideale sul "cosa" e "come" dovrebbe essere uno stato, in base a cui valutare il grado di adeguazione dell'effettiva realtà dello stato, n assenza di questo ideale ogni giudizio di valore e ogni conseguente esigenza di trasformazione sarebbe insensata e l'unica cosa logica sarebbe la passiva accettazione dei fatti. Poi, possiamo discutere nel merito della validità dell'ideale liberale dello "stato neutro", ma le eventuali critiche andrebbero poste su un piano diverso rispetto all'accusa di "idealismo", che sulla base di quanto detto sopra, dovrebbe essere rivolta non solo alla visione liberale, ma in generale ad ogni ideologia o dottrina politica (compreso il marxismo, credo) che si ponga come modello fondativo di giudizi di valore sulla società
Le critiche vanno poste su quello che concretamente è sempre stato lo Stato: come dice il suo nome, la
sistematizzazione di uno stato sociale di fatto, con le sue differenze sociali assunte a ideale giuridico e politico.
Finora di stati realmente democratici non se ne sono mai visti, al di fuori di qualche piccola comunità spazzata via dalla "civiltà". Quando ci saranno dovranno governare mediando tra istanze popolari diverse che ci saranno sempre. Ma dovranno essere cavalcavia, non montagne sociali invalicabili, perchè questo
Stato ideale e neutro si possa realizzare e possa essere credibile. In ogni caso non sarà più un sovrano, ma diventerà un amministratore.
Sì, Davintro, argomenti benissimo!
Solo non credo che l'obiettivo della chiusura domenicale (poi che fine avrà fatto la proposta ?) fosse di tipo moralistico-rieducativo come pensi tu. Se sì, avresti naturalmente ragione.
Secondo me però teneva conto di questioni più pratiche, come il diritto dei lavoratori domenicali di stare in famiglia, considerando che la maggior parte di loro sono mamme giovani con figli in tenera età. Poi si preoccupava anche dei piccoli negozi che non possono rimanere aperti e soffrono per la concorrenza impari dei colossi distributivi.
Va benissimo favorire la libertà individuale, ma non a tutti i costi, sacrificando e calpestando i diritti altrui: se no diventa illiberalismo. Io non voglio che qualcuno stia male per permettere a me di divertirmi e fare shopping trenta giorni su trenta...mi sentirei in colpa.
L'autodeterminazione si esercita nel migliore dei modi possibile permettendo alle persone di votare da casa, come si fa in Svizzera, ad esempio.
Non sarebbe male, oltre a leggere la solita sfilza quotidiana di mail e messaggini, occuparsi ogni tanto della propria comunità con un voto o, se la legge italiana non lo permette, con una consultazione su qualche sito governativo.
Se poi la maggioranza insisterà come in questo caso a volere aperti i centri commerciali anche la domenica e i giorni festivi, voterà a favore della proposta e il governo dovrà adeguarsi.
Altre scelte mi parrebbero poco democratiche e anche illiberali.
Citaz. da Freedom:Citazionequello che però non sarei tanto propenso a prendere in esame è l'incontrovertibile valenza simbolica che questi comportamenti creano: lavorare 24 ore al giorno per 7 giorni alla settimana è cosa buona e giusta. Non esistono più spazi vietati al lavoro ed il feticcio della produttività regna sovrano. Il vero dio del nostro tempo. Ma come, sostengono i fautori di questa mentalità, si offre un servizio a tante persone, si fa girare l'economia, si crea allegria!
Non credo. Penso, piuttosto, che sia l'inizio del pensiero unico. Lavorare, consumare, crepare. Ecco la trinità del mondo moderno. Uscire di casa solo per fare una di queste cose qua.
Quoto completamente.
Citazione di: everlost il 15 Gennaio 2019, 21:51:44 PM
Mi riferivo al fatto che Jacopus ha parlato di filosofia greca e di monoteismo ebraico.
Per essere precisa e corretta avrei dovuto dire, in effetti, non nell'antica Atene ma "presso gli antichi filosofi greci" il Logos era fondamento e legge dell'esistenza, come Yaweh lo era presso gli ebrei. In Grecia le persone colte non sentivano necessità di inventarsi un Dio padre, creatore e regolatore di ogni cosa, ma riconoscevano la legge suprema del pensiero, della ragione.
Tant'è vera - per me- questa analogia con la religione monoteistica derivata dalla Bibbia che il cristianesimo, nel Vangelo di Giovanni, ha cercato di trasfondere il significato di Logos in Dio stesso. Non ho mai capito però perché i cattolici lo abbiano tradotto come 'Verbo'. Mi sembra riduttivo, non penso che renda bene il significato originario.
« In principio era il Logos
e il Logos era presso Dio
e Dio era il Logos
Questi era in principio presso Dio.
Tutto è venuto ad essere
per mezzo di Lui,
e senza di Lui
nulla è venuto ad essere
di ciò che esiste.
In Lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini
e questa luce splende ancora nelle tenebre
poiché le tenebre non riuscirono ad offuscarla. » (Giovanni 1:1-5 )
"En archê ên ho Lógos"
Il significato originario è per certi versi, intraducibile.
Grazie per la risposta.
Citazione di: Freedom il 16 Gennaio 2019, 17:50:48 PMCitazione di: davintro il 16 Gennaio 2019, 16:28:29 PMVorrei soffermarmi un attimo su questo discorso della "competenza", per togliermi un sassolino dalla scarpa (ora non sto polemizzando con Oxdeadbeef o con un altro utente in particolare, ma con una certa linea di pensiero che ogni tanto emerge), Mi viene da pensare in particolare all'esempio del topic sulla chiusura domenicale dei centri commerciali, dove alla posizione liberale per cui ogni limitazione della libertà individuale (compresa quella di voler lavorare o consumare in un centro commerciale di domenica) è illegittima, fintanto che non limita direttamente la libertà degli altri, veniva opposta l'idea, che molti dei desideri (e dunque delle libertà di soddisfarli) delle persone non siano davvero genuini, ma il portato di condizionamenti sociali, di cui la maggior parte delle persone non si renderebbero conto, ma che possono essere smascherati da dei sociologi, magari orientati in una certa direzione ideologica, che potrebbero insegare a tutti quali sono i desideri naturali che meriterebbero di essere soddisfatti e quali invece frutto della manipolazione sociale/comunicativa, da rimuovere. Le conseguenti implicazioni di tali premesse sono evidenti: una volta rimossa l'idea del libero arbitrio e della responsabilità individuale e considerate le persone alla stregua di come bambini incapaci di discernere il loro "vero bene", e la loro "vera libertà", ecco la necessità ci creare una ELITE COMPETENTE di sociologi o intellettuali, che alla luce della loro cultura provvederanno a stabilire per tutti la lista dei desideri esprimenti la "vera natura" delle persone, da soddisfare (come può essere ad esempio, quello di comprare i loro libri), e la lista dei desideri fittizi, (come quello di andare al centro commerciale di domenica), che paternalisticamente, "per il nostro bene" andrebbero repressi, perché non rispecchianti la "vera natura delle persone", natura che essi presumerebbe di conoscere meglio degli individui a cui tale natura appartiene. A questo punto mi chiedo: non è paradossale e ipocrita accusare il liberalismo di voler sottrarre spazi di sovranità ai popoli in favore di elite tecnocratiche, quando poi l'accusa viene da proprio da degli antiliberali che pensano che le persone siano incapaci di conoscere la loro vera libertà e che i loro desideri debbano essere approvati da dei sociologi che stabiliscono quando essi provengono davvero dalla loro personalità, e quando invece sono veicolati dai mezzi di comunicazione? Non è forse doppiopesismo contestare la tecnocrazia quando si parla di scelte economiche che i governi farebbero in contrapposizione alle esigenze sentite dai popoli, per poi farla rientrare dalla finestra quando si pensa che la sociologia (come se questa fosse una scienza più esatta e rigorosa dell'economia...) sia capace di decifrare meglio del sentire diretto delle singole persone comuni, l'autenticità dei desideri, e dunque di ispirare una serie di impedimenti moralistici al soddisfacimento dei desideri etichettati come inautentici? Al contrario Il liberalismo, proprio in quanto pone la libertà individuale come valore supremo, è la dottrina politica in cui è necessariamente più forte il richiamo al principio di autodeterminazione e di autconsapevolezza delle proprie esigenze degli individui, e conseguentemente dei popoli, che nella concretezza del loro contenuto, altro non sono che insiemi di individui
Hai così ben argomentato che, per un attimo, mi hai quasi convinto. 8) Caspita, mi son detto, come è possibile che sia d'accordo con Davintro che sta sostanziando un punto di vista che, da tempo immemore, è contrario al mio modo di vedere le cose? Bè, a mio modo di vedere, nella tua pur convincente analisi non hai considerato la prospettiva, decisiva, di chi mette in condizioni le persone di vivere il liberalismo che hai sostenuto. Non si tratta dunque di interpretare e governare i desideri delle persone (anche se due parole sul marketing andrebbero spese....) bensì di non obbligare altri a creare le condizioni per la loro soddisfazione. Nel senso che per tenere aperti gli esercizi la domenica si costringono diverse persone a lavorare. Ma sono disposto a discutere anche di questo (potresti sostenere che i benefici ripagano questo sacrificio tutto sommato, ma solo apparentemente, modesto); quello che però non sarei tanto propenso a prendere in esame è l'incontrovertibile valenza simbolica che questi comportamenti creano: lavorare 24 ore al giorno per 7 giorni alla settimana è cosa buona e giusta. Non esistono più spazi vietati al lavoro ed il feticcio della produttività regna sovrano. Il vero dio del nostro tempo. Ma come, sostengono i fautori di questa mentalità, si offre un servizio a tante persone, si fa girare l'economia, si crea allegria! Non credo. Penso, piuttosto, che sia l'inizio del pensiero unico. Lavorare, consumare, crepare. Ecco la trinità del mondo moderno. Uscire di casa solo per fare una di queste cose qua.
beh, peccato per quel "quasi" nel tuo convincimento! Scherzo...
Arrivare a lavorare 24 ore al giorno tutti i giorni o quasi, non la trovo una prerogativa specifica della società liberale, può tranquillamente essere un'imposizione di un regime totalitario collettivista, ed in questo caso i lavoratori, che anzi, a differenza che nella società liberale, non avrebbero strumenti giuridici per opporsi, non esisterebbe un datore di lavoro alternativo e concorrente al regime titolare dei mezzi di produzione che potrebbe loro offrire condizioni ben migliori. Il punto è che il liberalismo non è portatore di alcuna peculiare concezione etica, l'unico valore a cui si richiama è il rispetto delle libertà individuale, cioè di ciascuna persona di perseguire una vita coerente con i propri valori personali fintanto che non intralciano quelli altrui, e dunque non ha senso accusarlo di ispirare una determinata concezione morale come appunto può essere quella del lavoro come aspetto totalizzante della vita. Personalmente mi considero (magari rivisto un po' a modo mio), simpatizzante del liberalismo e al contempo sono lontanissimo dal moralismo che sostiene che "chi non lavora non mangia", "senza lavoro non c'è dignità" o che il "lavoro nobiliti l'uomo", perché per me la dignità è un dato innato e ontologico che attiene a ogni persona in base al suo modo d'essere, a prescindere dal modo in cui assume un ruolo sociale tramite il lavoro. Cioè, per me il lavoro può essere, a certe condizioni, ambito di espressione esteriore della dignità dell'uomo, insieme ad altri ambiti, ma non principio che la fonda intrinsecamente. E anzi, sono assolutamente convinto che queste due cose si leghino fortemente tra loro: l'idea che la persona possieda una dignità sulla base del suo essere anziché sulla base di come tramite il lavoro si rende utile alla società la trovo molto più legittimata sulla base di una visione liberale, giusnaturalista, umanista, per la quale è la società che esiste in funzione dei diritti naturali che gli individui possiedono a livello essenziale, innato, piuttosto che in una concezione illiberale, collettivista, materialista, nella quale l'individuo si riduce a valere solo nella misura in cui è una ruota dell'ingranaggio del sistema, una funzione, un ruolo, senza poter rivendicare alcun rispetto nella sua sfera intima e autonoma, e se considerati asociali o "buoni a nulla" possono essere distrutti o spazzati via. Stachanov era presentato come modello non certo dai liberali, ma dall'Urss stalinista, e a chiamarsi "laburisti", cioè esaltatori del "lavoro" sono partiti che si rifanno all'ideologia socialista, non certo liberale. Tutto ciò non va ovviamente estremizzato cadendo nell'errore opposto, cioè pensare che il liberalismo disprezzi il lavoro, penso che una concezione che pone la libertà come valore sommo debba tendere a una società nel quale lavorare sia sempre più qualcosa che si fa non spinti da un'urgenza materiale, biologica, ma espressione delle nostre passioni e della nostra personalità, qualcosa che si fa per piacere cioè indice di libertà. Questo però sarà possibile tramite, da un lato, un avanzato sviluppo tecnologico che limiti la necessità dei lavori più meccanici, alienanti, liberando tempo ed energie per attività più intellettuali, creativi, più liberamente gestibili sulla base del tempo della nostra vita, delle relazioni umane, della cura di sé. Il presupposto perché si vengano a determinare queste condizioni non può che essere la produttività, presupposto di tale rivoluzione tecnologica. Quindi associare la necessità oppressiva del lavoro alla produttività non è del tutto esatto, sarebbe come dire che rinunciando alla produttività, tornando in agricoltura dal trattore all'aratro pesante si emanciperebbero più persone dal lavoro, quando in realtà è l'esatto contrario. Poi, immagino, sarà necessario escogitare forme di sussidio per tutelare il reddito di quelle persone che rischierebbero di perdere il posto di lavoro a causa della tecnologizzazione, e un vero liberale non dovrebbe trovare nulla da contestare. Il liberalismo può contestare lo stato sociale col suo sistema di sussidi solo sulla base di motivazioni pragmatiche di contabilità, ma non su questioni di principio etico, del tipo "chi non lavora non mangia", proprio perché l'essenza del liberalismo sta nella distinzione tra giudizio di opportunità politica e giudizio etico. Il liberalismo contesta l'invadenza dello stato quando interferisce pesantemente a livello burocratico nei rapporti sociali tra individui, ma non può avere nulla in contrario per quegli interventi tramite cui si tutela la libertà delle persone, offrendo loro un'alternativa alla costrizione di dover accettar lavori sgraditi. Non è un caso, mi pare ma potrei dire inesattezze, che una sorta di corrispettivo del cosiddetto "reddito di cittadinanza" fosse già stato teorizzato dal liberista Milton Friedman, ministro e collaboratore di Reagan
@Davintro
il problema del liberismo però, a mio parere, è quello di creare enormi diseguaglianze sociali, come stiamo vedendo un pò dappertutto. Se anche si dà l'"elemosina" ( reddito di cittadinanza) a tutti quelli che, progressivamente, con la tecnologizzazione, l'industria 4.0, l'IA, ecc. perderanno via via il lavoro questo non basterà a creare una società nemmeno minimamente coesa. Avere un reddito minimale che al massimo ti potrà permettere di placare la fame, senza che i tuoi figli possano nemmeno aspirare...che so... a studi superiori perché troppo costosi e quindi a carriere professionali retribuite decorosamente, creerà un malcontento sociale che via via aumenterà fino a determinare una situazione esplosiva ( e qualche avvisaglia, vedi Francia, comincia a manifestarsi...). Il liberismo deve essere controbilanciato da politiche sociali (l'avidità si dovrebbe almeno limitare...sappiamo benissimo che, al contario di quel che si crede, i top manager vengono retribuiti in maniera mostruosa anche se portano al fallimento, da incompetenti avventurieri, le loro banche o aziende...questa è un'aberrazione tipica del liberismo/mercatismo economico odierno, che non premia le capacità ma ben altro, ossia la speculazione finanziaria selvaggia).
Le paghe odierne sono molto basse nella maggior parte dei paesi. In molti sono vergognosamente basse. Il lavoro è così difficile da trovare per un giovane, che alla fine lo si costringe ad accettare lavori temporanei mal pagati, festivi, con contributi pensionistici minimi che saranno causa della sua sicura povertà futura, da anziano. Quasi la metà dei giovani sono senza lavoro e l'altra metà si 'arrangia', spesso migrando...Non è questione di 'far la morale' ma certo che un minimo criterio di giustizia sociale mi sembra necessario affinche il liberismo non diventi semplicemente, come per me sta avvenendo, la "libertà dei ricchi di diventare ancor più ricchi"... :(
Ciao
Citazione di: davintro il 17 Gennaio 2019, 00:13:33 AM
Il liberalismo contesta l'invadenza dello stato quando interferisce pesantemente a livello burocratico nei rapporti sociali tra individui, ma non può avere nulla in contrario per quegli interventi tramite cui si tutela la libertà delle persone, offrendo loro un'alternativa alla costrizione di dover accettar lavori sgraditi. Non è un caso, mi pare ma potrei dire inesattezze, che una sorta di corrispettivo del cosiddetto "reddito di cittadinanza" fosse già stato teorizzato dal liberista Milton Friedman, ministro e collaboratore di Reagan
No non sbagli davintro, l'idea di un reddito garantito in moneta ha proprio origine nel pensiero liberale, ti dirò di più anche nel partito di Almirante sono state portate avanti proposte analoghe. L'antitesi rispetto al reddito garantito è invece proprio in una certa cultura labourista che fa dei diritti dei lavoratori il centro della socialità.
Un saluto
A Davintro
Perdonami la schiettezza ma quest'idea così, "naive", che tu hai del liberalismo sarebbe andata bene per un
opuscolo di propaganda anticomunista degli anni 50...
Di poco posteriore a tale data (mi sembra 1962) è l'idea dell'"imposta negativa", che M.Friedman formulò
probabilmente proprio per motivi politici e propagandistici (spero si ammetterà che quella fu un'idea ben
singolare sulla bocca di chi pronunciò il celebre: "in economia non esistono pasti gratis").
Il liberalismo che tu tratteggi è quello tipico dei J.Stuart Mill, dei F.D.Roosevelt, cioè un liberalismo nel
quale il potere politico è ancora preminente su quello economico (esemplare, dicevo in un intervento precedente,
è l'idea di J.Stuart Mill di uno stato che redistribuisce secondo criteri di giustizia sociale la ricchezza
prodotta dal mercato secondo criteri economicistici), ma non è più così ormai da un pezzo...
Con ogni evidenza il liberalismo, oggi, è profondamente cambiato. Ed è cambiato essenzialmente da quando si
è avuta una commistione fra la teoria classica (Smith, Spencer etc.) e la teoria della Scuola Marginalista.
All'interno della Scuola Marginalista infatti abbiamo quello che a parer mio è il "cantore massimo" del
liberalismo moderno, quel F.A.Von Hayek che pubblicò quell'opuscolo, "Liberalismo", cui G.Urbani curò la
traduzione in italiano in occasione della nascita di "Forza Italia" (1994).
La tesi (filosofica) centrale di Von Hayek è lo "spontaneismo", cioè il movimento di interscambio fra
individui che crea, esso, il diritto, quindi la "politica" e le istituzioni statuali.
Su questa base, Von Hayek teorizza un "laissez faire" radicale, che deregola ogni cosa e tutto lascia
alla contrattazione privata, con lo "stato" ridotto a garante della sola sicurezza e validità dei contratti
(come nello "stato minimo" teorizzato dal filosofo del diritto R.Nozick).
Queste, in breve sintesi, sono le basi da cui sorge l'esigenza di eliminare qualsiasi statualità (con la
globalizzazione); qualsiasi corpo sociale intermedio (ad esempio il sindacato) che potrebbe frapporsi
nella contrattazione privata fra individui.
Ma, soprattutto, questa è la base per cui oggi sempre più è l'economia che detta le regole alla politica...
Non comprendere la mutazione cui è andato incontro il liberalismo dalla fine della Guerra Fredda vuol dire
non comprendere lo stesso liberalismo e, per quel che qui ci interessa, non comprendere perchè è sorto
il "populismo" come movimento di reazione all'estremismo liberale.
saluti
Finchè la società umana si reggerà sul lavoro umano il lavoro sarà una discriminante antropologica insuperabile. Il superamento del lavoro e l'avvento dell'otium è auspicato da tutte le visioni del mondo umanistiche, marxismo compreso, il quale si spinge oltre predicando una equa divisione del sacrificio lavorativo tra tutti gli umani. A differenza della società liberale/liberista, in cui il fine sociale è l'accumulazione capitalistica ottenibile solo attraverso la crescita infinita del lavoro e della merce, nel comunismo non esiste l'alternativa tra morire di lavoro o di disoccupazione. Nell'umanesimo marxista il lavoro è un mezzo, non un fine. E neppure una fine. Esso serve solo nella misura in cui è necessario alla riproduzione della vita umana nei modi che lo sviluppo tecnoscientifico e l'ambiente naturale consentono. In una società a misura d'uomo, e non di capitale, la supervalorizzazione del lavoro è fondata solo quando vi sono grandi gap sociali da colmare, come nella Russia post zarista o nella Cina maoista e in qualsiasi situazione di superamento di calamità naturali o sociali.
Citazione di: Ipazia il 17 Gennaio 2019, 14:04:17 PM
Finchè la società umana si reggerà sul lavoro umano il lavoro sarà una discriminante antropologica insuperabile. Il superamento del lavoro e l'avvento dell'otium è auspicato da tutte le visioni del mondo umanistiche, marxismo compreso, il quale si spinge oltre predicando una equa divisione del sacrificio lavorativo tra tutti gli umani. A differenza della società liberale/liberista, in cui il fine sociale è l'accumulazione capitalistica ottenibile solo attraverso la crescita infinita del lavoro e della merce, nel comunismo non esiste l'alternativa tra morire di lavoro o di disoccupazione. Nell'umanesimo marxista il lavoro è un mezzo, non un fine. E neppure una fine. Esso serve solo nella misura in cui è necessario alla riproduzione della vita umana nei modi che lo sviluppo tecnoscientifico e l'ambiente naturale consentono. In una società a misura d'uomo, e non di capitale, la supervalorizzazione del lavoro è fondata solo quando vi sono grandi gap sociali da colmare, come nella Russia post zarista o nella Cina maoista e in qualsiasi situazione di superamento di calamità naturali o sociali.
"Invidio" l' ottima, sintetica esposizione (é contro il regolamento del froum, ma mi é proprio scappato)
Citazione di: Ipazia il 17 Gennaio 2019, 14:04:17 PM
A differenza della società liberale/liberista, in cui il fine sociale è l'accumulazione capitalistica ottenibile solo attraverso la crescita infinita del lavoro e della merce,
Ipazia, una società liberale (Se è veramente liberale) non ha fini propri ma rispetta i fini specifici delle persone, se poi queste persone hanno fini capitalistici, allora l'accumulazione sarà un fine, ma non certo per effetto della liberalità.
Anche in una società comunista pianificata l'accumulazione può essere un fine, basta che questo sia il desiderio dello Stalin di turno.
Si potrebbe cominciare a dire cosa non è il populismo .. non è un movimento anticapitalista/antiliberalista , non è un revanscismo fascista/marxista , non è un nuovo modo di intendere il rapporto cittadino/eletto (soprattutto nuovo) , non è una rivisitazione del populismo sudamericano (spiace per Moretti?), non è giacobismo rrivoluzionario e in ogni caso non è né la resurrezione delle proprie idee storicamente fallite o i propri mostri che si pensavano curati. Beppe Grillo , genio istrionico la cui capacità di lettura sociale verrà capita solo post mortem , l ha inteso meglio di tutti (o forse il suo deceduto compare) e noi italiani per questo partiamo avvantaggiati nel capirlo. E ha a che fare intrinsecamente con internet ( altro elemento vastamente sottovalutato nonostante i profluvi di analisi non ancora minimamente sufficienti ) e con il post modernismo. L idea che ogni analisi della realtà abbia valore unita alla possibilità tecnica di esprimerla urbi et orbi. Spiace per chi ci vede la rivincita di qualche mostro del passato, ma è quanto di più moderno e futuribile a nostra disposizione.
Citazione di: anthonyi il 19 Gennaio 2019, 06:43:49 AM
Citazione di: Ipazia il 17 Gennaio 2019, 14:04:17 PM
A differenza della società liberale/liberista, in cui il fine sociale è l'accumulazione capitalistica ottenibile solo attraverso la crescita infinita del lavoro e della merce,
Ipazia, una società liberale (Se è veramente liberale) non ha fini propri ma rispetta i fini specifici delle persone, se poi queste persone hanno fini capitalistici, allora l'accumulazione sarà un fine, ma non certo per effetto della liberalità.
Citazione
Perfetto esempio di ideologia (= falsa coscienza)
Anche in una società comunista pianificata l'accumulazione può essere un fine, basta che questo sia il desiderio dello Stalin di turno.
Citazione
Prescindendo dal riferimento personale (o meglio storico; che richiederebbe la valutazione di numerosi, intricatissimi fattori ed eventi), in linea teorica l' affermazione é vera.
Infatti rapporti di produzione comunistici sono solo la conditio sine qua non (necessaria, non sufficiente) del libero sviluppo di ciascuno come condizione del libero sviluppo di ciascun altro, della liberazione dal lavoro come condanna allo sfruttamento e all' alienazione (che é invece oggettivamente del tutto incompatibile con rapporti di produzione capitalistici e classistici in generale; appunto per questo quella liberale é un' ideologia).
Così come d' altra parte anche di una pianificazione complessiva delle attività produttive e consumative umane che sia sufficientemente parsimoniosa e prudente da assicurare il rispetto degli equilibri naturali necessari alla sopravvivenza della nostra specie fino alla sua inevitabile estinzione naturale (alla prosecuzione della storia umana come "caso peculiare" nell' ambito della storia naturale).
Citazione di: InVerno il 19 Gennaio 2019, 10:17:55 AM
Si potrebbe cominciare a dire cosa non è il populismo .. non è un movimento anticapitalista/antiliberalista , non è un revanscismo fascista/marxista , non è un nuovo modo di intendere il rapporto cittadino/eletto (soprattutto nuovo) , non è una rivisitazione del populismo sudamericano (spiace per Moretti?), non è giacobismo rrivoluzionario e in ogni caso non è né la resurrezione delle proprie idee storicamente fallite o i propri mostri che si pensavano curati. Beppe Grillo , genio istrionico la cui capacità di lettura sociale verrà capita solo post mortem , l ha inteso meglio di tutti (o forse il suo deceduto compare) e noi italiani per questo partiamo avvantaggiati nel capirlo. E ha a che fare intrinsecamente con internet ( altro elemento vastamente sottovalutato nonostante i profluvi di analisi non ancora minimamente sufficienti ) e con il post modernismo. L idea che ogni analisi della realtà abbia valore unita alla possibilità tecnica di esprimerla urbi et orbi. Spiace per chi ci vede la rivincita di qualche mostro del passato, ma è quanto di più moderno e futuribile a nostra disposizione.
Costanza e mutamento sono aspetti complementari, entrambi sempre presenti, almeno in una qualche minima misura, nella storia umana come nella storia naturale.
L' importante (e quasi sempre assai difficile) é saper discernere, onde comprendere e negli stretti limiti del possibile "dominare" consapevolmente, intenzionalmente i fatti reali.
Per la cronaca: di Beppe Grillo, senza ignorarne i tutt' altro che irrilevanti limiti ho anch' io una certa stima; non così del suo defunto compare.
Citazione di: sgiombo il 19 Gennaio 2019, 11:08:58 AM
(che é invece oggettivamente del tutto incompatibile con rapporti di produzione capitalistici e classistici in generale; appunto per questo quella liberale é un' ideologia).
Sgiombo, io non ho capito ne cosa tu intendi per ideologia, ne la ragione per la quale sostieni che "la società liberale è ideologica". Quando poi parli di rapporti di produzione classicistici direi che rappresenti qualcosa di ben lontano da una società liberale.
E' vero che i rapporti di forza generati dalla proprietà privata creano meccanismi classistici nelle società che conosciamo, ma da una parte tali meccanismi non hanno rapporto con il pensiero liberale, o almeno con la sua versione veramente liberale, che ha ampiamente dimostrato l'indipendenza tra le attribuzioni originarie dei diritti di proprietà, e l'efficienza del risultato economico, dall'altra questi stessi rapporti sono proprio il risultato di questa efficienza (Efficienza non è altro che la definizione tecnica di quella che tu definisci "emancipazione dalla gravosità del lavoro) che è differenziata tra individuo ed individuo.
Citazione di: anthonyi il 19 Gennaio 2019, 13:26:49 PM
Citazione di: sgiombo il 19 Gennaio 2019, 11:08:58 AM
(che é invece oggettivamente del tutto incompatibile con rapporti di produzione capitalistici e classistici in generale; appunto per questo quella liberale é un' ideologia).
Sgiombo, io non ho capito ne cosa tu intendi per ideologia, ne la ragione per la quale sostieni che "la società liberale è ideologica". Quando poi parli di rapporti di produzione classicistici direi che rappresenti qualcosa di ben lontano da una società liberale.
E' vero che i rapporti di forza generati dalla proprietà privata creano meccanismi classistici nelle società che conosciamo, ma da una parte tali meccanismi non hanno rapporto con il pensiero liberale, o almeno con la sua versione veramente liberale, che ha ampiamente dimostrato l'indipendenza tra le attribuzioni originarie dei diritti di proprietà, e l'efficienza del risultato economico, dall'altra questi stessi rapporti sono proprio il risultato di questa efficienza (Efficienza non è altro che la definizione tecnica di quella che tu definisci "emancipazione dalla gravosità del lavoro) che è differenziata tra individuo ed individuo.
La mia convinzione é che in presenza di rapporti di produzione classisti pretendere che sia possibile (realmente) la libera affermazione delle capacità personali di ognuno (con connessa diversa "
efficienza del risultato economico", se si ammette -ma personalmente non lo concedo- che sia più efficiente in generale e ceteris paribus l' iniziativa economica privata rispetto a un' inizativa economica sociale collettiva) sia irrealistico; e che crederlo possibile sia falso.Non é mai esistita realmente da nessuna parte una società del tipo di quella vagheggiata dal pensiero liberale, con proprietà privata dei mezzi di produzione e pretesa indipendenza tra le attribuzioni originarie dei diritti di proprietà, e l'efficienza del risultato economico.Una società fondata sulla proprietà privata dei mezzi di produzione é già classista in sé (anche solo per definizione); semmai vi si creano meccanismi che tendono ad esacerbare le differenze di classe (in assenza di controtendenze, come dimostrano gli effetti qui in Occidente e nel fu "terzo mondo" del "socialismo reale", finché é stato tale).
Liberale e liberista sono le due facce della stessa medaglia borghese. Storicamente è socialmente la libertà liberal/liberista riguarda solo l'elite borghese e non gli schiavi toutcourt o salariati che lavorano per un padrone liberale/liberista nella sua veste economica di capitalista.
Concordo con InVerno sulla demagogia contenuta nella propaganda mainstream quando interpreta l'antagonismo sociale attuale con i modelli del populismo storico. Ma forse semplicemente hanno realizzato che dopo la sosta post '89 la storia ha ripreso a girare. E quindi non resta loro che agitare fantasmi. Teniamo conto peró che dispongono sempre dell'artiglieria pesante finanziaria per contrastare il "populismo".
Citazione di: sgiombo il 19 Gennaio 2019, 14:59:45 PM
pretesa indipendenza tra le attribuzioni originarie dei diritti di proprietà, e l'efficienza del risultato economico.
Sgiombo non è una pretesa, è una dimostrazione formale, oltretutto con conclusioni che potrebbero portare acqua proprio al tuo mulino, perché toglie legittimazione a priori a uno stato di diritto preesistente. Essa dice che in teoria sarebbe possibile redistribuire la ricchezza ed ottenere gli stessi risultati di efficienza preesistenti, perché l'efficienza dipende dal meccanismo (concorrenza, mercato, etc.), e non dalle attribuzioni individuali. E' un modo per farti capire quello che secondo me è un errore metodologico del tuo ragionamento che mette insieme il sistema liberale e lo stato di diritto. Tu puoi pensare che lo stato di diritto non sia equo, ma la stessa affermazione riferita al sistema liberale non ha senso, perché se anche osserviamo dei risultati iniqui, questi sono il prodotto dello stato di diritto.
per Everlost
A livello individuale non trovo abbia senso provare sensi di colpa perché andando al centro commerciale di domenica si costringerebbe il centro commerciale a tenere aperto e a far lavorare le persone. I responsabili, i dirigenti di un'attività commerciale non hanno la palla di vetro, non stabiliscono gli orari di apertura potendo prevedere le persone che effettivamente verranno, come se, nel caso, la singola persona non verrà il negozio resterà chiuso. Mi è capitato spesso di recarmi un negozio e trovarlo chiuso, non è certo rimasto aperto ad aspettarmi. Tenendo aperto in un determinato momento il centro commerciale si limita a determinare una possibilità di consumo, ma ciò non implica la realizzazione effettiva di questo, questo resta alla libertà e disponibilità dei singoli clienti. Se fosse vero che le scelte in fatto di orari di apertura dei negozi fossero determinate dalla volontà dei consumatori, allora sarebbe inconcepibile la possibilità di fallimento di ogni attività commerciale, Ogni negozio potrebbe prevedere il flusso effettivo dei clienti e stabilire gli orari migliori, o addirittura se è il caso o meno di aprire l'attività commerciale, valutando se i ricavi supereranno le spese di gestione, ogni apertura di un'attività commerciale sarebbe un investimento sicuro, perché la si potrebbe operare a perfetta ragion veduta. Ovviamente, non è così, l'esperienza ci mostra purtroppo tanti esempi di negozi falliti, dovuti proprio al margine di imprevedibilità delle scelte dei consumatori rispetto alle aspettative di partenza dei responsabili dell'attività.
Portando il discorso su un piano più sociale e generale, è certamente vero che i comportamenti dei consumatori, intesi non come singoli individui ma coma totalità della massa, determinano le scelte dei negozi ed anche il loro destino, quindi dovremmo chiedersi quali sarebbero le conseguenze di una minore attitudine al consumo sulle persone sul lavoro delle persone. Rinunciando a consumare di domenica e demotivando il centro commerciale a tenere aperto quel giorno, credo che l'effetto principale consisterebbe nel disincentivarlo a progettare una redistribuzione del carico di orario lavorativo tramite turni e forme di part time: quanto più il tempo di apertura è ampio tanto più sarà possibile far lavorare più persone con orario ridotto, per cui chi sceglie di lavorare di domenica potrebbe restare libero in giorni infrasettimanali e viceversa. Forse ad oggi, ciò non si realizza, ma resta comunque una possibilità che finirebbe con l'essere ancor più inpraticabile, nel momento in cui si sceglie di operare una sorta di illogico boicottaggio teso a condurre l'attività commerciale a diminuire il tempo di apertura complessivo. Tale diminuzione sarebbe in realtà controproducente in relazione alla ricerca di carichi lavorativi meno opprimenti nella vita delle persone, in quanto proprio una più possibile ampia apertura oraria è ciò che può consentire un minor carico lavorativo per i singoli lavoratori, il cui minor contributo in carico di tempo lavorativo andrebbe meno a impattare sulla produttività, che ciò che perderebbe facendo lavorare meno il singolo lavoratore, lo recuperebbe allargando le possibilità di consumo complessive stando aperti più tempo possibile (senza contare gli ovvi benefici per i consumatori...). Continuo a pensare che la strategia migliore per l'obiettivo di far sì che più persone possibili possano svolgere il lavoro che più risponde alle loro esigenze resti quello di rafforzare ulteriormente il carattere concorrenziale del mercato del lavoro, con un'offerta sempre più variegata, di modo da stimolare i datori di lavoro, consapevoli della possibilità che un suo lavoratore che si sente sfruttato abbia tutte le possibilità di dimettersi per andare a lavorare in un'ente concorrente che gli possa offrire condizioni ben migliori, a fornire, per evitare che ciò accada, a sua volta condizioni di rapporto retribuzione/carico orario sostenibile migliori possibili, cosa che va in una direzione opposta rispetto a ciò che accadrebbe in un sistema collettivista/monopolista.
per Oxdeadbeef
a quel che so, il liberalismo non nasce come dottrina economica, ma come concezione giuridico-politica ispirata al giusnaturalismo, penso in particolare a Locke, cioè all'idea che gli individui possedessero diritti e una dignità naturale, presociale, mentre gli stati e le società esistono solo in funzione degli interessi degli individui che li fondano, senza avere alcuna legittimità morale instrinseca, sia essa di origine laica o religiosa. Mi pare che il liberismo economico sia la lineare conseguenza di questa impostazione, cioè l'economia, intesa come libera interazione e scambi tra individui e libera gestione delle risorse sulla base dei differenti interessi, come appannaggio della responsabilità dei singoli, senza un'imposizione governativa che gestisca la società sulla base di convincimenti morali, che altro non sarebbero che arbitrari e soggettivi assunti dei governanti, che finirebbero con l'essere imposte dall'alto. L'amoralità (non immoralità) della visione dell'economia fa sì che il liberismo non possa aver nulla da opporre a garantire una certa protezione sociale a chi ne ha bisogno, dato che l'autonomia dell'economia dalla politica non consiste in una presa di posizione morale di tipo economicista e materialista per il quale il valore delle persone coinciderebbe con la loro capacità di arricchirsi tramite il lavoro, che i poveri sarebbero tali per mancanza di meriti e operosità, e andrebbero lasciati al loro destino senza alcun supporto. Un'impostazione di tal genere, sarebbe a mio avviso, un'altra rappresentazione di "stato etico" (seppur di tipo ideologicamente antitetico a quello di tipo collettivista), che in base a una determinata concezione morale, cioè chi si arricchisce vale, chi non ci riesce non merita alcun tipo di aiuti, sulla base del sceglie di agire, o anche di NON AGIRE. Non mi trovo d'accordo sul fatto la rappresentanza dei corpi intermedi come i sindacati sia inconcepibile all'interno di una società liberale/liberista. Anzi, è proprio nel momento in cui la società viene concepita come complesso di diversi interessi, che allora ha senso pensare a degli organi di mediazioni che rappresentino istanze di determinate categorie di individui, che, liberamente, appunto possono trovare la loro condizione come non soddisfacente all'interno dei luoghi di lavori, e possono intervenire, per il tramite di persone competenti nella contrattazione, per migliorare la loro situazione. Invece, proprio nel momento, in cui, come nei regimi illiberali e totalitari, si pone una totale coincidenza fra chi offre lavoro e la comunità dei lavoratori, gli organi di mediazione tra parti diverse non hanno più senso di esistere, per il semplice motivo che non esistono più "parti diverse" tra cui mediare. Lo stato, unico proprietario dei mezzi di produzione, e dunque unico possibile datore di lavoro coincide con la collettività dei lavoratori, che così non potrebbero più auspicare alcuna modifica in senso migliorativo della loro condizione, in quanto i loro interessi, vengono, artificiosamente, fatti coincidere con quelli di chi il lavoro lo dà. Di qui la sostanziale staticità sociale dei modelli politico/economici totalitari. Tornando in topic, è invece proprio il populismo il modello in cui i corpi intermedi sono annientati: il populista fa coincidere se stesso e le sue idee con il "popolo" nella sua totalità, ed è chiaro che stando così le cose, non ha alcun senso mediare nulla, dato che viene posta una coincidenza diretta e immediata tra politica e popolo, mentre ogni differenza o dissenso viene considerata come del tutto esterna al "popolo", e dunque indegna di ogni forma di rappresentatività.
Per Ipazia
l'espressione "equa divisione del sacrificio lavorativo tra tutti gli uomini" è quella che mi mette più in sospetto, perché mi pare confermi dei presupposti che non posso condividere, perché consistenti in una visione non solo sociologica ma prima di tutto antropologica, di tipo materialista e "oggettivista" che trovo quantomeno molto discutibile. Il principio per cui l'equa distribuzione del benessere dovrebbe coincidere con un eguale possesso di ricchezza o con un eguale tempo di lavoro, avrebbe senso nel momento in cui il benessere soggettivo delle persone viene fatto coincidere con delle oggettive e standardizzate condizioni oggettive, come un' oggettiva quantità di tempo o ricchezze, non tenendo conto della diversità delle personalità individuali, da cui discendono diverse esigenze di quantità di beni materiali, e ancor più di lavoro, a seconda che il lavoro sia gradito o meno, sulla base delle differenti passioni o interessi, tramite cui lo stesso identico lavoro può risultare piacevole a un singolo e spiacevole all'altro. Accettando invece la diversità degli interessi e delle personalità, non avrebbe alcun senso mirare a raggiungere una media di orari di lavoro uguale per tutti, in quanto quella media risulterebbe inevitabilmente ancora troppo ampia per chi non ama quel lavoro, e troppo ristretta per chi non lo apprezza e preferirebbe lavorare ancora meno, senza contare tutte le persone che preferirebbero lavorare senza rigidi vincoli di orario, e quindi sarebbero maggiormente orientati al libero professionismo anziché al lavoro dipendente. In pratica permarrebbe, se non aumenterebbe, un'insoddisfazione e un'infelicità complessiva. Perché si riesca ad esaudire in modo più ottimale possibile le istanze di benessere di tutti, sulla base della realtà delle differenti preferenze individuali, il lasciare gli individui liberi di operare in modo spontaneo le loro scelte di vita, senza imposizioni aprioristiche e omologanti di uno stato totalitario programmatore, incapace di tener conto di tutte le diversità individuali, resta dunque l'orientamento più adeguato. Non è per fare un libello propagandistico anticomunista, mi spiace se i miei interventi risultino eccessivamente e superficialmente astiosi o polemici, comunque non è mia intenzione, è propria una consequenzialità logica che mi porta a pensare che questo egualitarismo applicato dall'altro presupponga una visione dell'essere umano tutta esteriorista e materialista, cioè l'idea di poter dedurre il livello di benessere interiore sulla base dell'osservazione della condizione sociale esterna in cui l'individuo vive, senza che una libera soggettività interiore, che nessuno meglio dell'individuo stesso può conoscere in quanto la vive in se stesso, possa intervenire a relativizzare il giudizio, rielaborando e reinterpetando il dato materiale oggettivo, che invece appare così del tutto vincolante e "appiattente"
Citazione di: anthonyi il 19 Gennaio 2019, 17:47:15 PM
Citazione di: sgiombo il 19 Gennaio 2019, 14:59:45 PM
pretesa indipendenza tra le attribuzioni originarie dei diritti di proprietà, e l'efficienza del risultato economico.
Sgiombo non è una pretesa, è una dimostrazione formale, oltretutto con conclusioni che potrebbero portare acqua proprio al tuo mulino, perché toglie legittimazione a priori a uno stato di diritto preesistente. Essa dice che in teoria sarebbe possibile redistribuire la ricchezza ed ottenere gli stessi risultati di efficienza preesistenti, perché l'efficienza dipende dal meccanismo (concorrenza, mercato, etc.), e non dalle attribuzioni individuali. E' un modo per farti capire quello che secondo me è un errore metodologico del tuo ragionamento che mette insieme il sistema liberale e lo stato di diritto. Tu puoi pensare che lo stato di diritto non sia equo, ma la stessa affermazione riferita al sistema liberale non ha senso, perché se anche osserviamo dei risultati iniqui, questi sono il prodotto dello stato di diritto.
Ma, ammesso che concorrenza e mercato siano più efficienti di una pianificazione generale (ma dipende da: per quali scopi? Aumento del PIL o piena occupazione? Tanto per fare un esempio banalissimo di finalità per lo meno in buona misura reciprocamente incompatibili), si rimarrebbe comunque nell' ambito di una società classista.
Nel capitalismo reale (e non immaginario) la proprietà si eredita; casomai nel socialismo (o per lo meno in caso di proprietà pubblica: che peraltro dopo l' '89 -chissà perché?- nel capitalismo "latita") ci si potrebbe invece vedere attribuita la gestione di un' impresa per "merito" indipendente dal DNA (sia pure secondo criteri discutibilissimi; fosse pure quello della "fedeltà allo Stalin di turno", che comunque non sarebbe alla portata esclusivamente dei figli dello stesso con esclusione di tutti gli altri).
E infatti mi vengono in mente tre esempi (e tieni conto che non mi interesso affatto delle dinastie dei "capitani d' industria") assai istruttive circa le capacità e la competenza di gestori di imprese (in quanto proprietari ereditari) di proprietà privata: Edoardo Agnelli (probabilmente troppo un buon uomo per potere efficacemente comandare in FIAT e "provvidenzialmente suicidatosi" se non "siucidato"- con parenti e azionisti che hanno tirato un sospiro di sollievo); Andrea Rizzoli (fallimento in pochi anni); e Vittorio Cecchi Gori (idem).
A me interessano non le teorie sulla carta (che formalmente dimostrano senza ombra di dubbio che la misticissima e trascendentissima "mano invisibile" di Adam Smth porta benessere e ricchezza a tutti, ma i fatti reali, che invece di tutti sono sotto gli occhi di fatto.
Ciao Davintro
Naturalmente non c'è bisogno che io ti spieghi come il liberalismo politico emerga dal sostrato filosofico
anglosassone; un sostrato che già da G.d'Ockham pone al centro della riflessione l'importanza della singolarità
(tanto che non è peregrino pensare che il celebre "rasoio" rappresenti la prima enunciazione di "economia" nel
senso moderno di questo termine).
In sostanza, tutta la storia del mondo anglosassone, e più in generale del mondo protestante, è la storia del
progressivo emergere dell'individuo. Un individuo, fra l'altro, non "libero" nel senso della filosofia "continentale"
e del cattolicesimo (l'individuo anglosassone è un individuo fortemente necessitato, cioè privo di quel libero
arbitrio che connota la visione cattolica).
In forza (o in debolezza...) di ciò l'individuo così come inteso dalla tradizione anglosassone è un individuo
sostanzialmente "buono" (tranne che in rari casi, come ad es. in Hobbes); un individuo che la "simpatia" lega
agli altri individui (in definitiva l'uomo è, come in Spinoza, "homo homini, deus").
Questa scandalosa sintesi per illustrare che già sono presenti tutti quegli elementi che Adam Smith adopererà
nella sua teoria filosofica ed economica; una teoria che ancor oggi rappresenta il fondamento assoluto del
"liberismo" e che è così riassumibile: l'utile individuale coincide con l'utile collettivo.
Sono questi gli elementi che F.A.Von Hayek usa nella sua grandiosa costruzione teoretica (da fiero avversario
ne riconosco comunque il valore). Questi e molti altri, naturalmente...
Von Hayek sostiene che le "entità collettive", semplicemente, non esistono. E' chiara l'influenza della negazione
ockhamiana degli universali come di tutta la tradizione filosofica anglosassone; esse esistono solo negli individui
che le pensano; perciò sono loro, gli individui, le solo entità che possiedono una esistenza "reale".
Ogni "entità collettiva" è il frutto del continuo relazionarsi degli individui; è dall'intescambio fra questi che
nascono gli stati, le leggi ed ogni corpo di intermediazione.
La seconda tesi fondamentale di Von Hayek è, dicevo, lo "spontaneismo". Ogni cosa che nasce "spontaneamente" dall'
interscambio fra gli individui è la migliore possibile (naturalmente perchè, come in Smith, l'utile individuale
coincide con l'utile collettivo), per cui bisognerà adoperarsi affinchè questo sorgere spontaneo delle cose non
sia disturbato da pretese "costruttiviste" (la filosofia continentale, per Von Hayek, è appunto "costruttivista").
Insomma, ho cercato in poche righe di sintetizzare la radice filosofica di quegli elementi che oggi ritroviamo
nell'ideologia mercatista e liberista.
I "corpi intermedi", come ad esempio i sindacati, vengono sempre più tagliati fuori da una contrattazione che è
sempre più fra parti "private" (vedasi come i contratti nazionali di lavoro sono sempre meno importanti). Le stesse
leggi e gli stessi stati, in quanto "entità collettive", sempre più vengono sopravanzati da politiche deregolative
e globali.
Il "mercato" ha ormai assunto connotati ontologici e, direi, totalitari. La tendenza a che esso sempre più sia
"libero" trova la sua evidente radice nella convinzione che ciò che emerge spontaneamente dall'interscambio
fra individui sia la sintesi migliore fra quelle possibili.
Francamente trovo inquietante come un pensatore del calibro di Von Hayek, che non esito a definire come il padre
della modernità, sia così poco conosciuto.
Tutto ci parla di lui, dai programmi di insegnamento delle più prestigiose facoltà di economia ai toni sussiegosi
dei più alti dirigenti economici e politici mondiali. Ma molto altro ci sarebbe da dire...
saluti
Caro Mauro (Oxdeadbeef)
Trovo in gran parte condivisibile quanto scrivi.
Rilevo però che non si deve troppo esagerare nello stabilire (come fanno spesso i marxisti superficiali; ma non é il tuo caso, soprattutto ma non solo per quanto riguarda l' aggettivo) rapporti immediati fra ideologia e "materialità sociale" (sovrastrutture e struttura).
La concezione degli universali di Ockam e prima ancora di altri nominalisti ha solo vaghi rapporti con l' individualismo delle ideologie borghesi capitalistiche; mentre a mio parere é oggettivamente "verità in sé e er sé" costituendo, oltre che un valore fine a se stesso, uno strumento utile di dominio della realtà per chiunque voglia agirvi efficacemente, a pro dei privilegiati e sfruttatori (anche promuovendo ideologie individualistiche), ma anche a pro degli oppressi e sfruttai (anche promuovendo ideologie socialistiche e collettivistiche).
Inoltre mi sembra che, soprattutto col venir meno della forza economica e ideale dell' URSS e del "socialismo reale", già alla metà degli anni '70 del secolo scorso (e ovviamente molto peggio dopo l' '89), I "corpi intermedi", come ad esempio i sindacati, siano stati ben disposti per così dire "in prima persona" o " molto di buon grado" a venire sempre più tagliati fuori da una contrattazione che è sempre più fra parti "private", a limitarsi a un meschinissimo ruolo simile a quello delle peggiori esperienze delle Trade Unions o adirittura dell' AFL-CIO.
Citazione di: sgiombo il 19 Gennaio 2019, 20:00:03 PM
Citazione di: anthonyi il 19 Gennaio 2019, 17:47:15 PM
Citazione di: sgiombo il 19 Gennaio 2019, 14:59:45 PM
pretesa indipendenza tra le attribuzioni originarie dei diritti di proprietà, e l'efficienza del risultato economico.
Sgiombo non è una pretesa, è una dimostrazione formale, oltretutto con conclusioni che potrebbero portare acqua proprio al tuo mulino, perché toglie legittimazione a priori a uno stato di diritto preesistente. Essa dice che in teoria sarebbe possibile redistribuire la ricchezza ed ottenere gli stessi risultati di efficienza preesistenti, perché l'efficienza dipende dal meccanismo (concorrenza, mercato, etc.), e non dalle attribuzioni individuali. E' un modo per farti capire quello che secondo me è un errore metodologico del tuo ragionamento che mette insieme il sistema liberale e lo stato di diritto. Tu puoi pensare che lo stato di diritto non sia equo, ma la stessa affermazione riferita al sistema liberale non ha senso, perché se anche osserviamo dei risultati iniqui, questi sono il prodotto dello stato di diritto.
Ma, ammesso che concorrenza e mercato siano più efficienti di una pianificazione generale (ma dipende da: per quali scopi? Aumento del PIL o piena occupazione? Tanto per fare un esempio banalissimo di finalità per lo meno in buona misura reciprocamente incompatibili), si rimarrebbe comunque nell' ambito di una società classista.
Nel capitalismo reale (e non immaginario) la proprietà si eredita; casomai nel socialismo (o per lo meno in caso di proprietà pubblica: che peraltro dopo l' '89 -chissà perché?- nel capitalismo "latita") ci si potrebbe invece vedere attribuita la gestione di un' impresa per "merito" indipendente dal DNA (sia pure secondo criteri discutibilissimi; fosse pure quello della "fedeltà allo Stalin di turno", che comunque non sarebbe alla portata esclusivamente dei figli dello stesso con esclusione di tutti gli altri).
E infatti mi vengono in mente tre esempi (e tieni conto che non mi interesso affatto delle dinastie dei "capitani d' industria") assai istruttive circa le capacità e la competenza di gestori di imprese (in quanto proprietari ereditari) di proprietà privata: Edoardo Agnelli (probabilmente troppo un buon uomo per potere efficacemente comandare in FIAT e "provvidenzialmente suicidatosi" se non "siucidato"- con parenti e azionisti che hanno tirato un sospiro di sollievo); Andrea Rizzoli (fallimento in pochi anni); e Vittorio Cecchi Gori (idem).
A me interessano non le teorie sulla carta (che formalmente dimostrano senza ombra di dubbio che la misticissima e trascendentissima "mano invisibile" di Adam Smth porta benessere e ricchezza a tutti, ma i fatti reali, che invece di tutti sono sotto gli occhi di fatto.
Ciao Sgiombo, sono proprio gli esempi che hai fatto che dicono che non esistono aristocrazie per il mercato, ti faccio un altro esempio, un abruzzese di origine popolare emigrato in Canada, che studia Filosofia e Diritto e poi si specializza in scienze manageriali e che salva nel 2004 la FIAT e qualche anno dopo la Chrysler, acquisendo un tale prestigio negli Stati Uniti che Obama lo mette nella sua campagna elettorale per il secondo mandato.
Poi certo con società classista tu puoi intendere il fatto che la società sia ineguale ed è cosi, lo è per tante ragioni, legali, biologiche, sociali, ma non è con una eguaglianza economica formale che risolvi queste differenze, se anche tu appiattisci l'economia la società rimane organizzazione, stato, e quindi c'è chi comanda e chi obbedisce, c'è chi ha il potere di condannare ed arrestare, c'è chi ha il potere esclusivo di usare le risorse di proprietà pubblica, risorse che dovrebbe usare nell'interesse collettivo, ma l'esperienza concreta ci dice che l'interesse individuale devia questo uso, anche quando non c'è mercato. E se vuoi controllare e sanzionare queste deviazioni devi dare a qualcuno il potere di definire le regole dell'interesse collettivo fino al più piccolo particolare, e a qualcun altro il potere di sanzionare chi devia. Poi c'è il problema di chi controlla i pianificatori e i controllori.
L'idea di un socialismo realmente egualitario è appunto solo un'idea.
Un saluto.
Citazione di: anthonyi il 20 Gennaio 2019, 09:08:52 AM
Citazione di: sgiombo il 19 Gennaio 2019, 20:00:03 PM
A me interessano non le teorie sulla carta (che formalmente dimostrano senza ombra di dubbio che la misticissima e trascendentissima "mano invisibile" di Adam Smth porta benessere e ricchezza a tutti, ma i fatti reali, che invece di tutti sono sotto gli occhi di fatto.
Ciao Sgiombo, sono proprio gli esempi che hai fatto che dicono che non esistono aristocrazie per il mercato, ti faccio un altro esempio, un abruzzese di origine popolare emigrato in Canada, che studia Filosofia e Diritto e poi si specializza in scienze manageriali e che salva nel 2004 la FIAT e qualche anno dopo la Chrysler, acquisendo un tale prestigio negli Stati Uniti che Obama lo mette nella sua campagna elettorale per il secondo mandato.
Poi certo con società classista tu puoi intendere il fatto che la società sia ineguale ed è cosi, lo è per tante ragioni, legali, biologiche, sociali, ma non è con una eguaglianza economica formale che risolvi queste differenze, se anche tu appiattisci l'economia la società rimane organizzazione, stato, e quindi c'è chi comanda e chi obbedisce, c'è chi ha il potere di condannare ed arrestare, c'è chi ha il potere esclusivo di usare le risorse di proprietà pubblica, risorse che dovrebbe usare nell'interesse collettivo, ma l'esperienza concreta ci dice che l'interesse individuale devia questo uso, anche quando non c'è mercato. E se vuoi controllare e sanzionare queste deviazioni devi dare a qualcuno il potere di definire le regole dell'interesse collettivo fino al più piccolo particolare, e a qualcun altro il potere di sanzionare chi devia. Poi c'è il problema di chi controlla i pianificatori e i controllori.
L'idea di un socialismo realmente egualitario è appunto solo un'idea.
Un saluto.
Resta per me un mistero impenetrabile come il fatto che degli incapaci e semimentecatti ereditino (e distruggano) imprese floridissime e più o meno "gloriose" possa dimostrare che "non esistono aristocrazie per il mercato".Quel tale abruzzese (da me non compianto) ha acquisito due grandissime imprese plurisalvate ripetutamente dai rispettivi governi (soprattutto quella italiana) a spese dei rispettivi contribuenti (senza di che non avrebbe avuto proprio niente da acquisire e su cui lucrare sulla pelle dei lavoratori da lui sfruttati con imposizioni di tipo letteralmente schiavistico, e anche andando in Inghilterra per non pagar le tasse). Una società classista non é solo ineguale (in una ragionevole misura lo erano anche i paesi del "socialismo reale" e lo saranno -se, come mi ostino a sperare ce ne saranno- i futuri socialismi per ora non reali), ma iniquamente diseguale: in essa le diseguaglianze (peraltro di entità decisamente scandalosa, assolutamente sproporzionatissime rispetto a qualsiasi pretesa "meritocrazia" anche nei decisamente pochissimi casi che costituiscono eccezioni confermanti la regola) non dipendono quasi mai dal merito (per l' appunto questa é casomai l' eccezione -rarissima- che conferma la regola), ma dalla fortuna nei casi migliori, da imbrogli, ruberie, violenze, estorsioni in quelli -di gran lunga più numerosi- peggiori.Che ci sia chi comanda e chi obbedisce, distinti (fatto salvo l' ineliminabile "fattore culo") in base a capacità e impegno oppure in base a privilegio dinastico o mancanza di scrupoli nel fregare il prossimo fa una bella differenza! IL socialismo é stato almeno in qualche misura realizzato, sia pure pesantemente condizionato dalle continue aggressioni capitalistiche di tutti i tipi e non solo letteralmente belliche (e, malgrado non trascurabili difetti ed errori, a quanto pare anche dai sondaggi-bidone decisamente tendenziosi degli attuali detentori del potere é sempre più rimpianto dalla "gente" che l' ha conosciuto, e successivamente sta sempre meglio conoscendo il capitalismo reale).
Ciao Sgiombo
Certamente non voglio con ciò arruolare G.d'Ockham fra i padri del liberismo...
Però trovo interessante ricercare come una cultura o modo di vedere le cose del mondo venga a costituirsi così
com'è e non in altra maniera.
Da questo punto di vista la filosofia di Ockham (ma prima ancora direi del Francescanesimo) mi sembra uno snodo
cruciale della storia del pensiero anglosassone (così come quella tomista lo è della filosofia continentale).
Naturalmente poi la storia è stata molto lunga, e molti sono stati i momenti cruciali che hanno determinato
un certo evolversi piuttosto che un altro (su tutti, come dicevo, l'ancora attualissimo pensiero di A.Smith).
Sulla tempistica cui accenni non saprei. Sicuramente il pensiero liberale (che in economia noi italiani chiamiamo
"liberista" - ma è la stessa cosa) ha attraversato forti cambiamenti di prospettiva, e da ormai più di un secolo
è andato sempre più strutturandosi sulle posizioni del Marginalismo; ma chiaramente l'ingombrante presenza dell'
URSS ne ha, per motivi propagandistici, impedito lo "scoprirsi" di quegli aspetti più, diciamo, "ferini" che invece
oggi vediamo chiaramente esplicati.
saluti
Citazione di: sgiombo il 19 Gennaio 2019, 11:15:32 AMCostanza e mutamento sono aspetti complementari, entrambi sempre presenti, almeno in una qualche minima misura, nella storia umana come nella storia naturale.
L' importante (e quasi sempre assai difficile) é saper discernere, onde comprendere e negli stretti limiti del possibile "dominare" consapevolmente, intenzionalmente i fatti reali.
Il punto è che vi ostinate a vederci motivazioni economiche, e anche se è vero che una discretta fetta degli elettori "populisti" vivono condizioni economiche precarie e di sfuttamento (il cosidetto "popolo degli abissi" come giustamente li chiama Sapelli), soprattutto al populismo più destrorso (che in Italia
non esiste, essendo Salvini un
semplice nazionalsocialista) partecipa in realtà una vasta fetta di popolazione "borghese" che non ha nessun reale reclamo di natura economica, quanto un bisogno di identità politica e direi anche personale e filosofica, nel mare magnum della confusione postmodernista (di cui "uno vale uno" è la sintesi più pacchiana ma anche efficace). Il populismo è il risultato della quarta grande rivoluzione dell'informazione, a cui la sperequazione sociale aggiunge gravose richieste di riequilibrio, ma non è a mio avviso l'origine prima di un movimento tellurico che sta investendo l'intero globo al di la di condizioni sociali, ma invece la riedizione del vecchio mito della torre di Babele, la reazione uguale e contraria al relativismo, il ritorno scassato alla mal parata della "verità" di cui con tanta audacia - ma anche infantilismo - pensavamo di non aver più bisogno.
cit. inVerno:Il punto è che vi ostinate a vederci motivazioni economiche, e anche se è vero che una discretta fetta degli elettori "populisti" vivono condizioni economiche precarie e di sfuttamento (il cosidetto "popolo degli abissi" come giustamente li chiama Sapelli), soprattutto al populismo più destrorso (che in Italia non esiste, essendo Salvini un semplice nazionalsocialista) partecipa in realtà una vasta fetta di popolazione "borghese" che non ha nessun reale reclamo di natura economica, quanto un bisogno di identità politica e direi anche personale e filosofica,"
Se non ricordo male, all'indomani delle elezioni politiche si tentò un'analisi del voto e quasi tutti gli 'esperti' valutarono il successo del M5S costruito sui voti dei delusi dal PD e quello della Lega/Salvini come una cannibalizzazione di Sforza l'Italia del Berlusca. In realtà i veri reietti dell'altro pianeta (parafrasando U.K.Le Guin) sembra che, nella maggior parte dei casi, non siano nemmeno andati a votare, talmente sfiduciati e disillusi e ( proprio perché reietti) con l'olfatto ormai talmente sviluppato ad 'annusare' piuttosto che a magnare da non credere più molto alle varie promesse di chicchessia...Il populismo come movimento della classe media borghese impoverità dal mercatismo finanziario selvaggio e impaurita dall'arrivo dei nuovi 'saraceni' (Alla "mamma li turchi!")?
Condivido ampiamente la tua analisi.
Citazione di: InVerno il 20 Gennaio 2019, 11:24:03 AM
Citazione di: sgiombo il 19 Gennaio 2019, 11:15:32 AMCostanza e mutamento sono aspetti complementari, entrambi sempre presenti, almeno in una qualche minima misura, nella storia umana come nella storia naturale.
L' importante (e quasi sempre assai difficile) é saper discernere, onde comprendere e negli stretti limiti del possibile "dominare" consapevolmente, intenzionalmente i fatti reali.
Il punto è che vi ostinate a vederci motivazioni economiche, e anche se è vero che una discretta fetta degli elettori "populisti" vivono condizioni economiche precarie e di sfuttamento (il cosidetto "popolo degli abissi" come giustamente li chiama Sapelli), soprattutto al populismo più destrorso (che in Italia non esiste, essendo Salvini un semplice nazionalsocialista) partecipa in realtà una vasta fetta di popolazione "borghese" che non ha nessun reale reclamo di natura economica, quanto un bisogno di identità politica e direi anche personale e filosofica, nel mare magnum della confusione postmodernista (di cui "uno vale uno" è la sintesi più pacchiana ma anche efficace). Il populismo è il risultato della quarta grande rivoluzione dell'informazione, a cui la sperequazione sociale aggiunge gravose richieste di riequilibrio, ma non è a mio avviso l'origine prima di un movimento tellurico che sta investendo l'intero globo al di la di condizioni sociali, ma invece la riedizione del vecchio mito della torre di Babele, la reazione uguale e contraria al relativismo, il ritorno scassato alla mal parata della "verità" di cui con tanta audacia - ma anche infantilismo - pensavamo di non aver più bisogno.
A parte il fatto che non vedo come questa tirata possa costituire un' obiezione alle mie generalissime e astrattissime considerazioni, a me pare invece che l' esperienza confermi sempre di più che determinanti in ultima analisi negli eventi sociali e politici siano i fattori economici; anche se i mutamenti culturali non sono certo irrilevanti, e le novità -quelle positive e quelle negative- degli ultimi decenni nel campo della (ma per lo più -la dis-) informazione hanno contribuito alla ripresa e sviluppo dei cosiddetto "populusmo"; che però esistevano già a fine ottocento; uno dei primi scritti di Lanin é intitolato "Chi sono gli amidi del popolo e come lottano contro i socialdemocratici").
A Inverno e Sariputra
Mi sembra di rilevare che la classe media, la borghesia, sia scomparsa o perlomeno che vada scomparendo.
Quindi non mi sembrerebbe molto vero che essa non ha nessun reale reclamo di natura economica...
Poi è chiaro che le motivazioni del populismo non sono soltanto economiche, come già dicevo in apertura.
C'è un forte bisogno di identità culturale, di etica comune, di sicurezza cui la sinistra storica, con la
sua visione eccessivamente spostata sull'economicismo, non sa dare risposte.
Ma il reclamo di natura economica c'è eccome, e sarebbe grave miopia non vederlo. Come hanno votato le
periferie degradate? E' forse curioso che partiti (cosiddetti...) "di sinistra" abbiano preso quei pochi
voti cha hanno preso nei centri cittadini dove abitano i più benestanti?
E' forse inspiegabile il perchè C.Calenda stia di fatto proponendo un fronte di tutti i partiti europeisti
e liberali contro la "minaccia" populista?
saluti
Citazione di: 0xdeadbeef il 20 Gennaio 2019, 13:17:49 PM
A Inverno e Sariputra
Mi sembra di rilevare che la classe media, la borghesia, sia scomparsa o perlomeno che vada scomparendo.
Quindi non mi sembrerebbe molto vero che essa non ha nessun reale reclamo di natura economica...
Poi è chiaro che le motivazioni del populismo non sono soltanto economiche, come già dicevo in apertura.
C'è un forte bisogno di identità culturale, di etica comune, di sicurezza cui la sinistra storica, con la
sua visione eccessivamente spostata sull'economicismo, non sa dare risposte.
Ma il reclamo di natura economica c'è eccome, e sarebbe grave miopia non vederlo. Come hanno votato le
periferie degradate? E' forse curioso che partiti (cosiddetti...) "di sinistra" abbiano preso quei pochi
voti cha hanno preso nei centri cittadini dove abitano i più benestanti?
E' forse inspiegabile il perchè C.Calenda stia di fatto proponendo un fronte di tutti i partiti europeisti
e liberali contro la "minaccia" populista?
saluti
La classe media sparisce perchè sono spariti i corpi intermedi che la rappresentavano, ma questo non è un problema della sinistra storica (sempre che non intendi per storica, quella post-89) ma è un problema di valore dell'intermediazione, che nella società postmoderna non ha appunto valore. Il silenzio delle anime che vedo nella società, che poi presa dal panico (perchè il silenzio è assordante e terribile) si lancia su chi urla più forte - a patto che sappia porre termine al silenzio -, è lo stesso che vedo nelle facoltà di "scienze umanistiche" dove il fatto si è consumato già da tanto tempo (derrida,foucalt,etc). Mio dio, ho partecipato ad alcune lezioni pubbliche di critica letteraria, e il professore si chiedeva perchè nessuno avesse domande al di la delle date degli esami, una riga di zombie dove "uno vale uno" senza alcuna voglia di prevalere e di cercare la verità. Di quanti soldi avranno bisogno per essere felici? Milioni di milardi non basteranno.. A che servono i corpi intermedi se ognuno intermedia se stesso? Questo, è il frutto finale e maturo del materialismo, di cui liberisti e socialisti sono solo due mele cadute dallo stesso albero, rotolate poco più in la in direzioni opposte. Il populismo riporta in auge il non-materiale, fregnacce e balle per la maggior parte (anche per colpa di pessimi interpreti) ma la richiesta è chiara: dalla politica vogliamo speranze, sogni, progetti .. in barba ai trattati, al debito\PIL, e a tutta quella "realtà" che "le elite" pensano possa frenare il nostro irrazionale. Le elite se la ridacchiano, sanno che la realtà li frenerà ancora (insegnerà a votare) ma non si rendono conto che ad ogni sconfitta i "populisti" alzano la posta in gioco, e presto la loro domanda di irrazionale sarà più forte di quei "vincoli" che di materiale non hanno assolutamente nulla, e che scompaiono nel momento che cessano di essere creduti.
Ciao Inverno
Diciamo che la classe media sparisce innanzitutto per motivi di ordine economico/ideologico (e solo indirettamente
perchè spariscono i corpi intermedi che la rappresentano).
Se, ovvero, il "motore primo" è l'utile individuale allora l'accumulo capitalistico che ne consegue, non "regolato",
porta necessariamente ad una sempre maggior polarizzazione fra chi possiede molto e chi molto poco.
In altre parole, la classe media è/era il frutto della "regolazione", attuata dal potere politico, dell'accumulo
capitalistico.
saluti
Invece l'economia c'entra alla grande perché si è inceppata l'illusione dell'ascensore sociale in una società classista che per un po' di tempo ci ha politicamente marciato sopra, facendo gran mitologia e propaganda sui self made men (i partiti "progressisti", le "riforme" rivelatesi garrote sociali).
Si è inceppata per operai e ceti medi congiuntamente risucchiati in una proletarizzazione sempre più pauperistica appena tamponata dalle pensioni dei nonni e dagli ultimi lavori a tempo indeterminato dei genitori. Per inciso, nella tromba dell'ascensore rotto, molti operai disoccupati e imprenditori falliti ci hanno lasciato pure la vita. Tutte cose che un sindacalista non può non vedere.
Ciao Ipazia
Sì concordo. E, diciamo la verità, i sindacati hanno da tempo spostato il loro "core business"; sono diventati
delle agenzie di gestione (soprattutto dei fondi pensione privati) e consulenza, mantenendo il tesseramento
dei soli statali e dei pensionati (per gli altri ormai non ha senso l'iscrizione ad un sindacato).
Hanno seguito mansueti l'onda "riformatrice" della nuova sinistra liberale, che hanno appoggiato oltre ogni
limite alla decenza, ed hanno miseramente perso (anche, e forse soprattutto, la faccia...).
saluti
Risposta a Davintro.
Chiedo scusa a tutti per l'OT, ma prometto di essere breve (ci provo ).
Parlando di questioni pratiche, bisognerebbe ascoltare chi le vive sulla propria pelle.
Non ho dubbi che per certi imprenditori e certi clienti sia vantaggioso tenere aperti i negozi 24 ore su 24. Però, per sentito dire, l'orario flessibile, i turni e il part time creano ai lavoratori dipendenti più problemi di quanti ne dovrebbero risolvere; agevolare i desideri della maggioranza va benissimo, se si tiene conto anche di chi si troverebbe in difficoltà: ad esempio, genitori single o separati, con familiari anziani o malati. Che forse sono più di quanto si pensi.
CitazioneContinuo a pensare che la strategia migliore per l'obiettivo di far sì che più persone possibili possano svolgere il lavoro che più risponde alle loro esigenze resti quello di rafforzare ulteriormente il carattere concorrenziale del mercato del lavoro, con un'offerta sempre più variegata, di modo da stimolare i datori di lavoro, consapevoli della possibilità che un suo lavoratore che si sente sfruttato abbia tutte le possibilità di dimettersi per andare a lavorare in un'ente concorrente che gli possa offrire condizioni ben migliori, a fornire, per evitare che ciò accada, a sua volta condizioni di rapporto retribuzione/carico orario sostenibile migliori possibili, cosa che va in una direzione opposta rispetto a ciò che accadrebbe in un sistema collettivista/monopolista.
Per adesso, nel mondo a noi noto, la possibilità di cambiare lavoro trovandone un altro più soddisfacente e meglio retribuito è solo virtuale per la gran parte dei lavoratori dipendenti, anche nelle società capitaliste per eccellenza dove la concorrenza e la libertà imprenditoriale vengono esaltate allo spasimo. Dubito che aumentarle sia una strategia valida se non cambiano altre condizioni sociali ed economiche, soprattutto nel nostro paese ma anche in altri.
Con questo non credo neppure nei sistemi collettivisti attuali, sia chiaro.
Forse un buon modello sarebbe il liberalsocialismo (Rosselli & co.). Ma non so perché, appena ci penso mi appare l'immagine di un minotauro; è che mi piacerebbe molto poter mettere insieme il meglio di liberalismo e socialismo però, dati i risultati grotteschi raggiunti finora da chi ha tentato di farlo, temo di nutrire vane speranze.
D'altra parte, constatiamo che neppure il marxismo applicato ha dato di sé prove strabilianti, per cui delle due l'una, o siamo tutti illusi e fissati perché cerchiamo rimedi sociali che in realtà non possono esistere, oppure i tentativi messi in atto finora (neppure tanti se li vogliamo contare) sono falliti per mancanza di uomini adeguati al posto e al momento giusto.
Per uomini naturalmente intendo esseri umani. Finora nella storia le donne hanno comandato troppo poco, limitandosi per lo più a seguire leader maschi con grande zelo e fedeltà, ma scarsa autonomia propositiva. Mi auguro che contribuiscano di più, anche considerato che esistono, almeno nel mondo occidentale, molte brave laureate in scienze politiche.
@ Davintro
Ho risposto
qui
Non credo che alla base del populismo vi sia solo la solita lotta di classe. I meccanismi sono più complessi e coinvolgono anche la cosiddetta sovrastruttura, fino a ridurre in poltiglia le stesse basi della conoscenza. E' come se ai piani alti si fosse deposto ogni sogno pedagogico, che per quanto paternalista poteva avere anche un anelito di miglioramento del mondo e ai piani bassi si stia rispondendo rivendicando spazi di libertà sempre maggiori anche nel mondo simbolico della cultura, come compensazione del disinteresse e della disparità. Ovviamente c'è chi fiuta l'affare politico e lo traduce in posti parlamentari.
E' tutto spiegato molto bene qui:
https://www.youtube.com/watch?v=Zh3Yz3PiXZw&feature=youtu.be&fbclid=IwAR07ovvdSdhSrcG9quXyvTWp_j5EksUzcGT4xZ-be0THtAAFrmdj9wJsiZo
Splendido esempio di POLITICAMENTE CORRETTO, E NON DI POPULISMO (casomai l' esatto contrario).
Il dirigente scolastico - manager sembra il perfetto ritratto di quel merdoso nemico del popolo piddino (non a caso!) aspirante schiavizzatore di insegnanti che é il preside della scuola di mia moglie (potesse mai finire sulla ghigliottina!).
Devo convincere mia moglie (insegnate) a mandarlo a TUTTE le colleghe che può contattare!
Grazie mille, più altre mille (== ventiduemila)!
La lotta d classe comprende come sua importantissima componente le sovrastrutture ideologiche.
Citazione di: sgiombo il 22 Gennaio 2019, 08:45:50 AM
Splendido esempio di POLITICAMENTE CORRETTO, E NON DI POPULISMO (casomai l' esatto contrario).
Devo convincere mia moglie (insegnate) a mandarlo a TUTTE le colleghe che può contattare!
Grazie mille, più altre mille (== ventiduemila)!
La lotta d classe comprende come sua importantissima componente le sovrastrutture ideologiche.
Nel frattempo gli "eredi" della lotta di classe (quella che oserei chiamare "vera" e non l'invidia sociale) mettevano su un po di sano egualitarismo nella classe accanto :)
https://www.youtube.com/watch?v=iKcWu0tsiZM
Quanto linkato da Jacopus invece è sul punto, forse le addizioni sono ancora salve (per quanto?) ma la direzione è propria quella. Mi sorprendo solo che Jacopus abbia appena aperto un elogio all'individualismo, quando esso è proprio il motivo per cui ognuno può chiedere il proprio risultato personalizzato alle addizioni!!
Strasottolineo le virgolette:
Che i pretesi eredi "piddini e affini (portatori d' acqua di Rifondazione Anticomunista et similia)" di un goloriso, lontanissimo passato (altro che spazio-tempo relativistico: centinaia di migliaia di "anni-cultura"!) siano i peggiori nemici del popolo "da trattamento alla Robespierre - Stalin" già lo sapevo da un bel pezzo!
Comunque splendido anche quest' altro gioiellini di satira (populistica?) del politicamente corretto.
Dove li trovi?
Grazie!
Citazione di: InVerno il 22 Gennaio 2019, 09:05:06 AM
Citazione di: sgiombo il 22 Gennaio 2019, 08:45:50 AM
Splendido esempio di POLITICAMENTE CORRETTO, E NON DI POPULISMO (casomai l' esatto contrario).
Devo convincere mia moglie (insegnate) a mandarlo a TUTTE le colleghe che può contattare!
Grazie mille, più altre mille (== ventiduemila)!
La lotta d classe comprende come sua importantissima componente le sovrastrutture ideologiche.
Nel frattempo gli "eredi" della lotta di classe (quella che oserei chiamare "vera" e non l'invidia sociale) mettevano su un po di sano egualitarismo nella classe accanto :)
https://www.youtube.com/watch?v=iKcWu0tsiZM
Quanto linkato da Jacopus invece è sul punto, forse le addizioni sono ancora salve (per quanto?) ma la direzione è propria quella. Mi sorprendo solo che Jacopus abbia appena aperto un elogio all'individualismo, quando esso è proprio il motivo per cui ognuno può chiedere il proprio risultato personalizzato alle addizioni!!
Citazione
Quello di Jacopus per me é un elogio di un corretto collettivismo, conditio sine qua non di ogni possibile valorizzazione degli individui.
E che é quasi l' esatto contrario di "differenzialismo", genderismo" e così via politicamente correggendo a vantaggio del distorto e patologico individualismo capitalistico.
Se il politicamente corretto sfocia ai livelli del video, allora si sviluppa una evidente connessione con il populismo. Se tutti i valori hanno pari dignità, e tutti possono rivendicare il loro sistema di riferimento per quanto idiota possa essere, l'unico metodo per gestire un tale tipo di società è l'autoritarismo, non più fondato sul tiranno, o sul re assoluto, che dall'alto della sua posizione poteva permettersi di far fiorire l'arte e la cultura. E neppure fondato sul culto della personalità, almeno non solo. Questo autoritarismo è fatto di indifferenza rispetto ai valori e alle argomentazioni, di apparente omologazione del potere con l'uomo della strada, di cialtroneria che rifiuta ogni sguardo competente sulla base del criterio che siamo tutti uguali, tutti medici, ingegneri, professori, politici, generali. Una democratizzazione delle competenze, senza competenze. In una situazione del genere è inevitabile che si tenda a riscoprire come modello regolatore la semplice forza: das Macht, come dicono i tedeschi, che la contrappongono al Gewalt.
Citazione di: everlost il 21 Gennaio 2019, 18:17:26 PMo siamo tutti illusi e fissati perché cerchiamo rimedi sociali che in realtà non possono esistere, oppure i tentativi messi in atto finora (neppure tanti se li vogliamo contare) sono falliti per mancanza di uomini adeguati al posto e al momento giusto.
Ciao Everlost
Come si suol dire "registro" che fino alla caduta del socialismo reale (1989) le democrazie occidentali
erano ben diverse (pensa che riuscivano persino ad essere "socialdemocrazie")...
"Annoto" che le politiche perseguite allora, secondo i parametri attuali, avrebbero dovuto condurre al disastro...
Eppure non cè stato nessun "crack"; nessun "default": chissà come mai...
Trovo incredibile come la gente (non solo dei sempliciotti qualsiasi, ma anche persone sicuramente intelligenti,
acute e discretamente "colte") riesca a credere a certe palesi bischerate. Probabilmente (ahi, ahi, ahi...)
agiscono, "guicciardianamente", "per lo proprio interesse particolare"...
Altro che illusi, cara mia...
saluti
Citazione"Annoto" che le politiche perseguite allora, secondo i parametri attuali, avrebbero dovuto condurre al disastro...
Non sono un economista. E' un ramo dello scibile umano che mi manca, ma credo che i parametri di allora non siano sovrapponibili ai parametri di oggi e l'economia non essendo una scienza esatta, ovviamente ne deve tener conto. Le politiche economiche di allora erano motivate da una situazione geopolitica molto diversa, sia all'interno delle cosiddette socialdemocrazie che all'esterno. Con questo ovviamente non voglio essere frainteso. Oggi la situazione è peggiore da molti punti di vista. Le diseguaglianze sono aumentate in modo geometrico e il futuro non è assolutamente roseo, ma non vedo molte alternative: o il modello capitalistico trova gli strumenti per modificarsi ancora una volta, come ha sempre fatto per affrontare le difficoltà, oppure non ci aspettano anni sereni, almeno per chi non abita nelle uptowns. E francamente non è attraverso questi modelli populistici che il modello socialdemocratico può essere ricostruito. L'alternativa è l'incremento di violenza, che non si è ancora verificata, secondo me, per l'attuale curva demografica: le rivoluzioni o le più modeste rivolte, sono state sempre fatte in nazioni con alti tassi di popolazione in età giovanile.
Citazione di: Jacopus il 22 Gennaio 2019, 22:48:20 PM
Non sono un economista.
Non serve esserlo per comprendere ciò che il buon senso e la sensibilità rivelano sempre. Così come non è necessario essere un letterato per commuoversi ascoltando una poesia. O un musicista per essere rapito in estasi da un brano musicale. O sentire scaturire l'emozione guardando un dipinto. A me capita di vivere il percorso opposto. E cioè che dopo aver provato quel non so che di fronte a qualcosa mi viene voglia di approfondirne anche l'aspetto tecnico.
E dunque, quando parliamo di economia, quello che conta è il suo scopo principale cioè il soddisfare i bisogni umani primari e poi gli altri.
E, purtroppo, in economia vince il più forte. Laddove il più forte, ahimè, non è il è più bravo ma il più forte tout court.
Citazione di: Jacopus il 22 Gennaio 2019, 22:48:20 PM
ma credo che i parametri di allora non siano sovrapponibili ai parametri di oggi e l'economia non essendo una scienza esatta, ovviamente ne deve tener conto. Le politiche economiche di allora erano motivate da una situazione geopolitica molto diversa, sia all'interno delle cosiddette socialdemocrazie che all'esterno.
Vedi che pur non essendo un economista, più avanti, rilevi, giustissimamente, una situazione macroeconomica del tutto differente rispetto al passato recente (diciamo prima dell' 89) che è indubbiamente importante: l'attuale decremento demografico europeo. Importantissima ma non decisiva. Decisivo fu il crollo del comunismo che fece da spauracchio per tutto il novecento impaurendo le élite e "costringendole", ecco lo snodo fondamentale, a concessioni così grandi, ma così grandi, che consentirono alle classi dominate una vera e propria età dell'oro. Certamente il decremento demografico non aiuta ma sarebbe superabile. Così come "lo dice il mercato." Così come tutti i "totem" che ci fanno bere.
Questi insistiti attacchi al mercato, come sistema di relazioni economiche umane, confermano la mia ipotesi che il populismo sia una ideologia totalitaria, oltretutto velleitaria, ancor peggio della pianificazione sovietica: incapace di fornire qualunque alternativa al mercato, si critica il ramo su cui si sta seduti. Infatti il populismo tace sulle relazioni economiche economiche che debbono intercorrere tra i cittadini che fanno parte del popolo.
Siccome l'economia è formata di contrattazioni, di scambi, di relazioni economiche tra singoli uomini, il mercato appunto, che ha già millenni di storia alla spalle, continuerà bellamente finché durerà la specie umana, mentre le teorie populiste anti mercato saranno relitte o estinte.
Citazione di: baylham il 23 Gennaio 2019, 10:50:39 AM
Questi insistiti attacchi al mercato, come sistema di relazioni economiche umane, confermano la mia ipotesi che il populismo sia una ideologia totalitaria, oltretutto velleitaria, ancor peggio della pianificazione sovietica: incapace di fornire qualunque alternativa al mercato, si critica il ramo su cui si sta seduti. Infatti il populismo tace sulle relazioni economiche economiche che debbono intercorrere tra i cittadini che fanno parte del popolo.
Siccome l'economia è formata di contrattazioni, di scambi, di relazioni economiche tra singoli uomini, il mercato appunto, che ha già millenni di storia alla spalle, continuerà bellamente finché durerà la specie umana, mentre le teorie populiste anti mercato saranno relitte o estinte.
Infatti si attacca il Mercato capitalistico delle merci (inclusi gli umani) e dei capitali, che è un sistema
particolare di relazioni umane, non certo l'interscambio di beni tra umani che può assumere le più variegate forme sociali e giuridiche.
Citazione di: Ipazia il 23 Gennaio 2019, 11:05:18 AM
Citazione di: baylham il 23 Gennaio 2019, 10:50:39 AMQuesti insistiti attacchi al mercato, come sistema di relazioni economiche umane, confermano la mia ipotesi che il populismo sia una ideologia totalitaria, oltretutto velleitaria, ancor peggio della pianificazione sovietica: incapace di fornire qualunque alternativa al mercato, si critica il ramo su cui si sta seduti. Infatti il populismo tace sulle relazioni economiche economiche che debbono intercorrere tra i cittadini che fanno parte del popolo. Siccome l'economia è formata di contrattazioni, di scambi, di relazioni economiche tra singoli uomini, il mercato appunto, che ha già millenni di storia alla spalle, continuerà bellamente finché durerà la specie umana, mentre le teorie populiste anti mercato saranno relitte o estinte.
Infatti si attacca il Mercato capitalistico delle merci (inclusi gli umani) e dei capitali, che è un sistema particolare di relazioni umane, non certo l'interscambio di beni tra umani che può assumere le più variegate forme sociali e giuridiche.
Infatti vorrei passare dalla critica del capitalismo, di cui son capaci molti, all'alternativa al capitalismo, di cui son capaci ben pochi. Se l'alternativa è la fine del mercato allora il capitalismo non avrà problemi di concorrenza.
Citazione di: baylham il 23 Gennaio 2019, 11:14:39 AM
Citazione di: Ipazia il 23 Gennaio 2019, 11:05:18 AM
Citazione di: baylham il 23 Gennaio 2019, 10:50:39 AMQuesti insistiti attacchi al mercato, come sistema di relazioni economiche umane, confermano la mia ipotesi che il populismo sia una ideologia totalitaria, oltretutto velleitaria, ancor peggio della pianificazione sovietica: incapace di fornire qualunque alternativa al mercato, si critica il ramo su cui si sta seduti. Infatti il populismo tace sulle relazioni economiche economiche che debbono intercorrere tra i cittadini che fanno parte del popolo. Siccome l'economia è formata di contrattazioni, di scambi, di relazioni economiche tra singoli uomini, il mercato appunto, che ha già millenni di storia alla spalle, continuerà bellamente finché durerà la specie umana, mentre le teorie populiste anti mercato saranno relitte o estinte.
Infatti si attacca il Mercato capitalistico delle merci (inclusi gli umani) e dei capitali, che è un sistema particolare di relazioni umane, non certo l'interscambio di beni tra umani che può assumere le più variegate forme sociali e giuridiche.
Infatti vorrei passare dalla critica del capitalismo, di cui son capaci molti, all'alternativa al capitalismo, di cui son capaci ben pochi. Se l'alternativa è la fine del mercato allora il capitalismo non avrà problemi di concorrenza.
Secondo me, anche se non sono un esperto in materia, basterebbe mettere un freno alle speculazioni selvagge che hanno stravolto il mercato stesso. Adesso non è la finanza che vive sulla ricchezza creata dal mercato, ma il mercato che si espande e si contrae in base a previsioni finanziarie che diventano quasi sempre autoavveranti...Ci vorrebbe la volontà politica di bloccare la possibilità di emettere derivati, titoli subordinati, opzioni, ecc. Sarebbe necessario stabilire un massimo d'indebitamento possibile. Bisognerebbe scorporare le banche d'affari da quelle territoriali, ecc. Questa politica non c'è perché non c'è più una necessità di tutela sociale e di relazioni eque tra la gente e tra le nazioni. Non avendo questo sistema finanziario nessun reale nemico esterno, non si rende conto di doversi porre dei limiti. L'effetto è il malcontento crescente e il populismo che però non ha una forza propositiva tale da contrastare in profondità questo sistema. Lo "gratta" in superficie con provvedimenti estemporanei e un pò demagogici,,,che devono essere essi stessi contrattati con la finanza e le commissioni varie, rientrando così nel grande alveo comune dell'interesse finanziario. Non è questa l'alternativa. Penso che bisognerebbe andare non verso la fine del mercato (impossibile, concordo con Baylham...) ma verso un mercato più "equo e solidale" ( cosa che si tenta di fare , ma per adesso è poca cosa...).
Citazione di: Jacopus il 22 Gennaio 2019, 22:48:20 PMNon sono un economista. E' un ramo dello scibile umano che mi manca, ma credo che i parametri di allora non siano sovrapponibili ai parametri di oggi e l'economia non essendo una scienza esatta, ovviamente ne deve tener conto. Le politiche economiche di allora erano motivate da una situazione geopolitica molto diversa,
Ciao Jacopus
Beh, che i parametri di allora non siano sovrapponibili ai parametri di oggi e che le politiche economiche di allora
erano motivate da una situazione geopolitica molto diversa sono cose che dovresti andare a dire, che so, alle riunioni
di Davos, del Fondo Monetario o alle lezioni della Bocconi...
E' infatti in questi luoghi che si predicano cose come la "teoria del perfetto equilibrio dei mercati"; come la teoria
delle economie di scala ed altre "perle" ritenute scientificamente inappuntabili...
Tutte cose, si badi bene, molto antecedenti il 1989. Ed alcune così indiscutibili che, nonostante siano passati
diversi secoli, sono state riesumate e riproposte in tutto il loro splendore (come la teoria classica di A.Smith;
oggi "teoria neoclassica").
Che vogliamo farci? Non è forse questo nostro il tempo delle "riforme"...
Che altro dire? Annoto e registro come, forse, se la gente (evitiamo per una volta il termine "popolo") sapesse
recuperare qualche "virtù maschia" andata perduta i "parametri" forse cambierebbero, e con essi la "situazione
geopolitica"...
A proposito di alternative: io non mi capacito di come si tiri in ballo sempre e comunque il marxismo, come se
la sola alternativa possibile a questo stato di cose fosse il rovesciarlo completamente.
Nella mia insignificanza mi permetto di suggerire che forse un rovesciamento non è la miglior soluzione...
Io mi accontenterei di vedere la politica che si riprende il primato sull'economia, e che gli impone (all'economia)
"parametri e situazioni geopolitiche" diverse...
saluti
Per Ox. Ripeto non sono un economista Ma non credo che tutti gli economisti siano incantati da una visione matematico-geometrica dell'economia politica. Per quanto non credo nell'applicazione pratica nel marxismo proprio a causa della sua visione assolutistica, questa teoria ha sottolineato l'importanza della storia e quindi della geopolitica, nel forgiare le dinamiche e le relazioni economiche e questa lezione non la dimenticherei.
Ciao Jacopus
I potentati economici stanno prescrivendo a tutti la medesima "ricetta": più austerità; più mercato; meno regole.
Tempo addietro l'economista (si fa per dire...) tedesco D.Gros si chiedeva come mai la "cura" che aveva dato buoni
risultati per il Portogallo non aveva fatto altrettanto per la Grecia...
Chissà, forse i "parametri" e la "situazione geopolitica" (per dire delle variabili non prese in considerazione)
c'entreranno qualcosa?
Oggi tutti fanno "mea culpa" per la Grecia (persino quell'ubriacone di Juncker, figuriamoci); e domani?
Domani, tanto per fare un esempio, qualcuno si accorgerà che la nostra economia non cresce perchè la gente non
spende (e non spende perchè non ha soldi)? E che facciamo per ovviare a questo? Il niente che stiamo facendo?
Il popolo lo si tiene buono dandogli "panem et circenses" (lo dico io che sono populista...), ma il "panem" sta
"scarseggiandum", e i potentati che reggono le sorti del mondo ritengono di non doversene ancora preoccupare...
Il "populismo" non nasce così, per un capriccio. La gente non seguì i rivoluzionari degli anni 70 perchè lo
stato dava "panem" a sufficienza, e la saggezza popolare (altro che bassi istinti...) ritenne non
opportuno inbarcarsi in quella avventura temeraria, ma adesso?
Qualcuno vuol aprire gli occhi e vederla, questa realtà attuale?
saluti
Citazione di: baylham il 23 Gennaio 2019, 10:50:39 AM
Questi insistiti attacchi al mercato, come sistema di relazioni economiche umane, confermano la mia ipotesi che il populismo sia una ideologia totalitaria, oltretutto velleitaria, ancor peggio della pianificazione sovietica: incapace di fornire qualunque alternativa al mercato, si critica il ramo su cui si sta seduti. Infatti il populismo tace sulle relazioni economiche economiche che debbono intercorrere tra i cittadini che fanno parte del popolo.
Siccome l'economia è formata di contrattazioni, di scambi, di relazioni economiche tra singoli uomini, il mercato appunto, che ha già millenni di storia alla spalle, continuerà bellamente finché durerà la specie umana, mentre le teorie populiste anti mercato saranno relitte o estinte.
Devo dire che ti sono state date risposte condivisibili sulle obiezioni che hai formulato ma , se vuoi, possiamo andare più in profondità.
Posto che il problema non è l'abolizione del mercato (e chi l'ha mai scritto?) ma la regolamentazione di esso p
ossiamo, per esempio chiederci: che razza di mercato è quello bancario italiano? Se l'organo di controllo (Banca d'Italia), il cosiddetto Regolatore è posseduto dai maggiori Istituti di Credito italiani (Intesa San Paolo, Unicredit. etc.) cosa potrà mai regolare? E infatti gli scandali bancari italiani che hanno depredato piccoli risparmiatori a iosa sono numerosissimi e sotto gli occhi di tutti. Ma ancora una volta, le classi dominanti, genialmente, hanno creato una forma mentis collettiva per la quale, spesso, i turlupinati sono i più strenui difensori di questa realtà.Potremmo andare avanti analizzando la Borsa Valori italiana ed il suo organo di controllo, il cosiddetto Regolatore, la Consob e rilevare, negli anni, da chi sono state rivestite le poltrone di comando e, soprattutto, la scarsissima efficacia dei controlli. E' sotto gli occhi di tutti la indecente irregolarità di parecchi titoli quotati. Altro che insider trading e aggiotaggio, qua siamo ai livelli di Banda della Magliana.Ma potremmo anche continuare analizzando la disgustosa e criminale gestione dei derivati. E qui la delinquenza è a livelli inimmaginabili e mondiali. Non voglio essere noioso e stucchevole ma se qualcuno è interessato sono pronto a farlo e a spiegare come l'intera finanza mondiale è un gigantesco gioco delle tre carte. Ma qui, il compito degli organi di controllo cioè del Regolatore è veramente cialtronesco: i contratti cosiddetti OTC (over the counter) che regolano LA FINANZA DI TUTTO IL PIANETA TERRA sono cosiddetti Gentlemen's Agreement. Patti tra gentiluomini! Proprio fior di galantuomini......E la quotazione di 'sta roba qua (non quantificabile ma qualcuno azzarda con volumi nozionali pari a 60/70 volte il PIL mondiale) non avviene su mercati quotati ma è fatta dagli stessi Istituti emittenti! So che è difficile da credere ma è la pura verità.Mi fermo perchè poi diventa noioso ma quante cose, brutte cose ci sarebbero ancora da aggiungere..........
Citazione di: Sariputra il 23 Gennaio 2019, 11:55:44 AM
Secondo me, anche se non sono un esperto in materia, basterebbe mettere un freno alle speculazioni selvagge che hanno stravolto il mercato stesso. Adesso non è la finanza che vive sulla ricchezza creata dal mercato, ma il mercato che si espande e si contrae in base a previsioni finanziarie che diventano quasi sempre autoavveranti...Ci vorrebbe la volontà politica di bloccare la possibilità di emettere derivati, titoli subordinati, opzioni, ecc. Sarebbe necessario stabilire un massimo d'indebitamento possibile. Bisognerebbe scorporare le banche d'affari da quelle territoriali, ecc.
Ciao Sari, quello che tu dici non è altro che quell'insieme di principi prudenziali che tipicamente già funzionano nel sistema finanziario, e che vengono applicati nella maggior parte dei casi. Tutti i titoli finanziari sono soggetti a leggi rigorose, ad autorizzazioni e controlli che permettono alla gran parte delle istituzioni finanziarie di funzionare bene.
Nonostante questo l'attività finanziaria è comunque caratterizzata da un alto rischio ineliminabile. Considera il caso delle banche Italiane fallite o in forte crisi, sono tutte, con l'eccezione di MPS, banche a riferimento territoriale, ma soprattutto sono tutte entrate in crisi per ragioni gestionali, non per l'attività finanziaria (Tipicamente l'acquisizione del controllo di altre attività finanziarie) che ha favorito il fallimento di MPS e le difficoltà di Carige, per questo la tanto sbandierata separazione tra banche d'Affari (Che poi in Italia ne abbiamo sempre avuto solo una, cioè Mediobanca) e banche ordinarie, non ha alcun senso.
Un saluto.
Citazione di: Jacopus il 22 Gennaio 2019, 12:05:34 PM
Se il politicamente corretto sfocia ai livelli del video, allora si sviluppa una evidente connessione con il populismo. Se tutti i valori hanno pari dignità, e tutti possono rivendicare il loro sistema di riferimento per quanto idiota possa essere, l'unico metodo per gestire un tale tipo di società è l'autoritarismo, non più fondato sul tiranno, o sul re assoluto, che dall'alto della sua posizione poteva permettersi di far fiorire l'arte e la cultura. E neppure fondato sul culto della personalità, almeno non solo. Questo autoritarismo è fatto di indifferenza rispetto ai valori e alle argomentazioni, di apparente omologazione del potere con l'uomo della strada, di cialtroneria che rifiuta ogni sguardo competente sulla base del criterio che siamo tutti uguali, tutti medici, ingegneri, professori, politici, generali. Una democratizzazione delle competenze, senza competenze. In una situazione del genere è inevitabile che si tenda a riscoprire come modello regolatore la semplice forza: das Macht, come dicono i tedeschi, che la contrappongono al Gewalt.
Giuste osservazioni, ma la storia non è recente, parte da qualche decennio fa.
Con il tuo link mi hai offerto lo spunto per parlare un po' dell'istruzione, con cui ho avuto sempre un rapporto di odio-amore. ;D
La nostra scuola pubblica, senza arrivare ai livelli di quella - chiaramente paradossale- espressa nel video del tuo link, è ormai impregnata marcia di populismo a partire dai primi anni sessanta.
Ricordo come fosse oggi quando fu sostituita la vecchia scuola media con la nuova media unica. Ci fu allora un boom d'iscrizioni alle superiori, tanto da dover aggiungere sezioni fino alla lettera P.
I poveri presidi degli istituti magistrali ammonivano invano i genitori a non iscrivere più i loro figli perché non avrebbero potuto trovare lavoro...macché, era come parlare col muro. La gente si trovava finalmente tra le mani il passaporto per il benessere borghese tanto sognato e mica poteva farselo scappare!
Tutti volevano i figli maestri, professori, medici, avvocati, ingegneri...e infatti il passo successivo fu l'università per tutti, con le aule stracolme fino a scoppiare, esami collettivi e il diciotto garantito (con le buone o con le cattive).
Questa fu per le masse la rivoluzione del sessantotto, altro che idealismi e arzigogoli da figli di papà. Mi ero illusa anch'io che alla base dei moti studenteschi ci fosse una vera, profonda pulsione a una sana rivoluzione sociale, in parte c'era senz'altro ma non fu quella ad emergere: anzi fu addomesticata e ridotta in uno squallido piano populista perseguito dalle classi dominanti dell'epoca.
I politici di allora sapevano benissimo cosa sarebbe successo, perché l'avevano programmato a tavolino.
Infatti l'opera fu completata permettendo l'accesso a tutte le facoltà universitarie con qualsiasi diploma di scuola superiore (compresi gli istituti tecnici e i professionali, purché si aggiungesse il quinto anno integrativo :-\ ).
Nella scuola elementare furono aboliti i voti numerici, divenuti ormai troppo politicamente scorretti, e addio anche alla vecchia maestra unica, considerata retaggio ottocentesco, sostituendola con un team pedagogico di cinque o sei insegnanti dalle disparate attitudini (ottima soluzione per occupare i sovrabbondanti diplomati di cui parlavo prima).
Capitava così, per assurdo, che un maestro molto versato in matematica dovesse insegnare le meno amate e conosciute storia e geografia perché un collega più anziano rivendicava per sé l'ambito matematico, anche se di solito l'ambito linguistico era il top delle ambizioni e il vero pomo della discordia.
All'interesse vero degli studenti, cioè quello di ricevere il miglior insegnamento possibile, non pensava nessuno. I presidi cercavano di mediare, ma non volevano fastidi, specie con le famiglie e coi docenti di serie A.
Ci fu l'epoca del "giudizio", in pratica una pappardella moralistica condita di psicologismo a buon mercato che diceva tutto e niente sulle reali competenze dello scolaro, ma permetteva ai docenti (o meglio a quello d'italiano che, generalmente, comandava su tutti) di emettere apodittiche quanto superficiali valutazioni sull'intelligenza, le capacità, la socialità e il carattere di ogni ragazzo senza averlo sottoposto ad alcun tipo di test.
E via via, ogni governo gattopardesco cambiava qualcosa senza cambiare niente: grembiulino sì, grembiulino no, pagella cartacea, registro digitale, A, B, C, D, E, F....no, Ottimo, Distinto, ecc. (tranne Eccellente, mai previsto forse per un residuo di pudore).
Non può essere un caso se oggi uno dei due partiti al governo intende ripristinare l'insegnante unico, anzi, vuole un prof che segua gli alunni dalle elementari alle superiori ( naturalmente sarà quello d'italiano) mentre gli altri docenti rimarranno solo figure satellitari di scarso rilievo formativo.
Sembra un provvedimento rivoluzionario, invece si tratta sempre di populismo (l'altra faccia della medaglia) che non risolverà i reali problemi della scuola. Ai quali non ha mai voluto né potuto rimediare nessuno.
Citazione di: anthonyi il 23 Gennaio 2019, 17:54:42 PMCiao Sari, quello che tu dici non è altro che quell'insieme di principi prudenziali che tipicamente già funzionano nel sistema finanziario, e che vengono applicati nella maggior parte dei casi. Tutti i titoli finanziari sono soggetti a leggi rigorose, ad autorizzazioni e controlli che permettono alla gran parte delle istituzioni finanziarie di funzionare bene.
Nonostante questo l'attività finanziaria è comunque caratterizzata da un alto rischio ineliminabile. Considera il caso delle banche Italiane fallite o in forte crisi, sono tutte, con l'eccezione di MPS, banche a riferimento territoriale, ma soprattutto sono tutte entrate in crisi per ragioni gestionali, non per l'attività finanziaria (Tipicamente l'acquisizione del controllo di altre attività finanziarie) che ha favorito il fallimento di MPS e le difficoltà di Carige, per questo la tanto sbandierata separazione tra banche d'Affari (Che poi in Italia ne abbiamo sempre avuto solo una, cioè Mediobanca) e banche ordinarie, non ha alcun senso.
Un saluto.
Ciao Anthony
Perdonami la schiettezza ma non è possibile leggere cose come queste che scrivi.
Sei ben informato, quindi sai meglio di me (che adesso non lo ricordo) di quanto "scoperto" possono fare
le banche (comunque si tratta di decine di volte il capitale posseduto). E, chiaramente, fanno scoperto
perchè sanno bene che alla fine non verranno mai lasciate fallire...
Tu le chiami "crisi per ragioni gestionali", altri "crediti inesigibili"; io li chiamo "finanza"; come
chiamo "finanza" ogni singolo euro (o altra moneta) che non corrisponde ad un "bene" (che cioè non è
"pagabile a vista al portatore").
Torni quindi la distinzione fra tutela del risparmio e credito alle aziende (con vincoli, naturalmente)
da una parte (e possibilmente gestito da istituti di diritto pubblico) e speculazione/spericolazione
dall'altra (e ci si divertano e falliscano in piena libertà...).
Non lo dico io, populista, ma il liberale Paul Krugman ("Il ritorno dell'economia della depressione e la crisi del 2008").
saluti
Citazione di: 0xdeadbeef il 23 Gennaio 2019, 19:51:09 PM
Ciao Anthony
Perdonami la schiettezza ma non è possibile leggere cose come queste che scrivi.
Sei ben informato, quindi sai meglio di me (che adesso non lo ricordo) di quanto "scoperto" possono fare
le banche (comunque si tratta di decine di volte il capitale posseduto). E, chiaramente, fanno scoperto
perchè sanno bene che alla fine non verranno mai lasciate fallire...
Tu le chiami "crisi per ragioni gestionali", altri "crediti inesigibili"; io li chiamo "finanza"; come
chiamo "finanza" ogni singolo euro (o altra moneta) che non corrisponde ad un "bene" (che cioè non è
"pagabile a vista al portatore").
Torni quindi la distinzione fra tutela del risparmio e credito alle aziende (con vincoli, naturalmente)
da una parte (e possibilmente gestito da istituti di diritto pubblico) e speculazione/spericolazione
dall'altra (e ci si divertano e falliscano in piena libertà...).
Non lo dico io, populista, ma il liberale Paul Krugman ("Il ritorno dell'economia della depressione e la crisi del 2008").
saluti
Ciao 0xdeadbeef, per una banca è normale avere debiti oltre il valore del capitale di rischio con un moltiplicatore che è intorno alla decina e che è vincolato a un certo massimo. E' normale anche che le banche finanzino le imprese, d'altronde se non le finanziano cosa ci fanno con i soldi raccolti? solo titoli di stato (Che hanno anch'essi una rischiosità, vedi Argentina) e mutui immobiliari (E non può andare in crisi anche il mercato immobiliare?).
L'azione di finanziamento delle imprese, poi, è essenziale per lo sviluppo economico di un paese. Quando nel 2004 la FIAT stava fallendo Marchionne elaborò un'architettura "finanziaria" alla quale parteciparono le principali banche italiane e la FIAT venne salvata. Non so cosa tu ne pensi, ma io credo che allora quelle banche italiane fecero bene a finanziare il progetto di Marchionne. Naturalmente quel progetto era fondato su garanzie di carta, la carta del piano industriale, e la carta delle partecipazioni azionarie che le banche avrebbero acquisito se la FIAT non avesse onorato i debiti.
Io condivido l'idea che le speculazioni/spericolazioni sono da evitare in ogni caso, ma questo lo si fa appunto con i controlli che già ci sono, che dovrebbero essere rafforzati, ma che comunque non comportano cambiamenti di sistema. Rigetto completamente l'idea delle banche di proprietà pubblica, sostituire il rischio della spericolatezza privata, comunque mitigata dal fatto che il privato spericolato mette a rischio anche il suo capitale, con la certezza di una spericolatezza politica, perché il politico non ha alcun capitale personale nella banca e quindi non si capisce perché dovrebbe essere prudente non mi sembra una buona soluzione.
Pubblico questa lettera appena letta sulla Repubblica di oggi.
E' paradossale rilevare che Repubblica stessa difende strenuamente il maggior partito responsabile della legge Fornero e, addirittura, non solo del varo ma dell'ideazione del jobs act.
Tertium non datur: o ci fanno o ci sono!
E poi dice che arriva il populismo........
Questa lettera è di Ruggero Caracciolo
"Sono un plurilaureato con 25 anni di esperienza nel settore cantieristico e armatoriale. Ho lavorato fino al 2015 solo per primarie aziende svolgendo qualificate mansioni. Dopo più di un decennio di lavoro presso l'Eni di San Donato Milanese ho deciso di abbandonare 'la regia società' in quanto questa aveva deciso di dismettere il ramo trasporto via mare degli idrocarburi. Ho trovato nuovo impiego in un'azienda cantieristica leader mondiale del settore della costruzione navale. Moderai le mie pretese economiche pur di rientrare nella mia città, Genova, per essere di aiuto a mia madre nell'assistenza a mio padre ammalato cronico. Dopo otto anni a Genova accettai un trasferimento a La Spezia".
"Lì per 5 anni ho coperto la funzione di caposervizio garanzia e assistenza clienti su oltre 31 navi.
Nel 2015 il mio datore di lavoro, per motivi non noti, ha lanciato contro il mio ufficio una campagna di indagine senza esclusione di mezzi (intercettazioni, pedinamenti, individuazione posizioni e contatti in orario extra lavorativi) nulla trovando a carico di nessuno. Tuttavia, sulla base di presunti errori procedurali sono state avanzate della contestazioni disciplinari che, nonostante le mie puntuali risposte, hanno portato al mio licenziamento. Con me per simili ragioni sono stati licenziati alcuni miei giovani collaboratori ed è stato costretto alle dimissioni il mio più fresco superiore".
"Impugnato il licenziamento dopo 13 mesi il giudice del lavoro ha dichiarato la non applicabilità della giusta causa, ma, grazie alla legge Fornero, niente reintegrazione e condanna l'azienda a un modesto risarcimento (14 mensilità)".
"I media non si occupano dei licenziamenti come il mio e dei nuovi disoccupati che questa iniqua legge sta provocando. Nessuno pubblica i dati INPS sull'aumento esponenziale dei licenziamenti disciplinari dove sembra preclusa secondo legge ogni proporzionalità fra il fatto commesso (se esiste) e la sanzione. Né si parla di una legge che prima del Jobs Act ha messo per strada migliaia di lavoratori allontananti per i più futili motivi. Legge che ha fatto retrocedere i diritti dei lavoratori a una condizione inferiore a quella sancita da codice di procedura civile del 1940-42 (non lo Statuto dei lavoratori del 1970)".
"Una legge che non disincentiva il licenziamento velleitario in quanto al massimo la ditta potrebbe essere chiamata a risarcire il lavoratore da 5 a 24 mensilità, dopo molti anni. Fornero non è solo pensione ritardata e esodati. E' dire anche sì al licenziamento velleitario. Ora ho 57 anni. Sono stato dichiarato invalido al 75% nel 2018 in ragione dell'insorgenza del Morbo di Parkinson. Sono iscritto al collocamento mirato. Collaboro a titolo gratuito con uno studio di ingegneria".
Insomma, se uno volesse essere "puntiglioso" potrebbe tranquillamente far notare ad Anthonyi che la già SCARSA regolamentanzione che portò alla crisi del 2008 è rimasta praticamente invariata nonostante un collasso catastrofico, che il tutto (compreso la tenuta dei governi) è ancora affidato ad agenzie di rating private con interessi a dir poco opachi e che fanno il bello e cattivo tempo in relazioncine di una pagina (che poi alcuni ripetono a pappagallo) , e tante altre amenità tra l'assurdo e il faceto che farebbero mettere da parte un po di questo "candido" (nel senso di ottimista) fatalismo. Io personalmente lascerei perdere, perchè continuo a pensare che il populismo non si capisca nei libri di economia. Sarei invece molto curioso di sapere se qualcuno volesse portare sul tavolo un capolavoro della letteratura italiana, per capirci un attimino di più, che va generalmente con il nome di "Pinocchio" , per come la vedo io, non basterebbero una decina di pagine per esaurire l'argomento.
Citazione di: InVerno il 25 Gennaio 2019, 14:37:42 PM
Insomma, se uno volesse essere "puntiglioso" potrebbe tranquillamente far notare ad Anthonyi che la già SCARSA regolamentanzione che portò alla crisi del 2008 è rimasta praticamente invariata nonostante un collasso catastrofico, che il tutto (compreso la tenuta dei governi) è ancora affidato ad agenzie di rating private con interessi a dir poco opachi e che fanno il bello e cattivo tempo in relazioncine di una pagina (che poi alcuni ripetono a pappagallo) , e tante altre amenità tra l'assurdo e il faceto che farebbero mettere da parte un po di questo "candido" (nel senso di ottimista) fatalismo.
Sì. Sono talmente tante le irregolarità, le mancanze di regolamentazione che ci si scorda di elencarle tutte. Perdonami se mi allaccio al tuo post per colmare, almeno un pochino, la lacuna.
Io, per esempio, mi ero dimenticato di citare uno degli episodi più cialtroneschi (a pensar bene) o più banditeschi (a pensar male) della storia della finanza mondiale: il quattordici settembre 2008 una delle tre agenzie di rating mondiali, mi sembra di ricordare Moody's, aveva assegnato a Lehman Brothers la singola "A". Cioè una classifica di solvibilità elevatissima. Superiore ad essa c'è solo la doppia "A" e la tripla "A".
Il giorno dopo, Lehman Brothers ricorse al Chapter 11 cioè la procedura di fallimento e diede inizio al più grande crack della storia della finanza mondiale. Si scatenarono imponenti fallimenti a catena e per alcuni giorni il mondo intero restò col fiato sospeso: tutta l'impalcatura economica del mondo intero sembrava stesse per crollare. E, secondo testimoni oculari rilevantissimi come alcuni CEO delle maggiori istituzioni finanziarie Usa e area € e il ministro del Tesoro americano, tanto per citarne alcuni, affermarono che il mondo stava per crollare. Solo la lungimiranza della FED ed una buona dose di fortuna impedirono al sistema di collassare. Non so se esserne soddisfatto o meno ma so che una sciocchezza così grande come quella tolse credibilità, io credo per sempre, alle agenzie di rating.
Eppure i panieri dei benchmark di tutto il pianeta cioè i pesci pilota degli squali della finanza vengono ancora oggi composti in ragione dei giudizi assegnati dalle agenzie di rating.
Eh bè, lo dice il mercato.
Citazione di: InVerno il 25 Gennaio 2019, 14:37:42 PM
Insomma, se uno volesse essere "puntiglioso" potrebbe tranquillamente far notare ad Anthonyi che la già SCARSA regolamentanzione che portò alla crisi del 2008 è rimasta praticamente invariata nonostante un collasso catastrofico, che il tutto (compreso la tenuta dei governi) è ancora affidato ad agenzie di rating private con interessi a dir poco opachi e che fanno il bello e cattivo tempo in relazioncine di una pagina (che poi alcuni ripetono a pappagallo) , e tante altre amenità tra l'assurdo e il faceto che farebbero mettere da parte un po di questo "candido" (nel senso di ottimista) fatalismo. Io personalmente lascerei perdere, perchè continuo a pensare che il populismo non si capisca nei libri di economia. Sarei invece molto curioso di sapere se qualcuno volesse portare sul tavolo un capolavoro della letteratura italiana, per capirci un attimino di più, che va generalmente con il nome di "Pinocchio" , per come la vedo io, non basterebbero una decina di pagine per esaurire l'argomento.
Ciao Inverno, sulla questione dei rating sono d'accordo con te. Credo che ha BCE avrebbe una sufficiente autorevolezza per predisporli lei, e per imporre che quanto meno gli operatori della UE si basino sui suoi rating. Sarei proprio curioso di sapere quale rating darebbe al debito federale USA (Quando nel 2011 una delle agenzie gli tolse la tripla A Obama fece fuoco e fulmini). Non credo saremmo più protetti dalle cattive sorprese, ma almeno elimineremmo una condizione di sudditanza rispetto al sistema finanziario Anglo-Americano.
Comunque le mie opinioni sulla regolamentazione sono soprattutto riferite al sistema Italiano, sugli altri non discuto perché non ne so abbastanza.
I collassi catastrofici, poi, fanno parte della storia dell'economia, quello del 2008 non è stato il primo, e non sarà l'ultimo e prima di quel collasso i sistemi finanziari hanno garantito agli USA una crescita economica costante dal 1991. Poi certo il populismo sa dove puntare il dito per far crescere la rabbia. A Pinocchio ci avevo pensato anch'io, non so perché ma il Gatto e la Volpe mi fanno pensare tanto a due personaggi di vertice della nostra attuale politica.
Un saluto, e W l'Italia.
Non so se è già stato scritto ma vorrei sottolineare che gli stratagemmi architettati dalla politica per contenere le crisi sono destinati a sommarsi alle continue crisi di questo turbocapitalismo. Perché la sua anima è dentro il denaro come unico Dio da venerare, l'unica Supercosa rispetto alla quale tutto è servitù e tutto è oggetto. Un totalitarismo pervasivo e dolce.
Di fronte all'esclusione sempre più estesa di popolazione dalla promessa della ricchezza, questa stessa popolazione reagisce in un modo umano: non posso entrare al vostro desco? Bene ecco che invito al desco un convitato rude e privo delle Vs raffinatezze, e fuori dalla porta scalciano altri convitati ancora più barbarici. Questo è il populismo: sostituzione del potere economico cristallizzato con potere politico che rimovimenta la speranza in un mondo diverso. Ovviamente ciò non significa che davvero il populismo sia un avversario del Dio denaro.
Citazione di: anthonyi il 25 Gennaio 2019, 19:57:17 PMCiao Inverno, sulla questione dei rating sono d'accordo con te. Credo che ha BCE avrebbe una sufficiente autorevolezza per predisporli lei, e per imporre che quanto meno gli operatori della UE si basino sui suoi rating. Sarei proprio curioso di sapere quale rating darebbe al debito federale USA (Quando nel 2011 una delle agenzie gli tolse la tripla A Obama fece fuoco e fulmini). Non credo saremmo più protetti dalle cattive sorprese, ma almeno elimineremmo una condizione di sudditanza rispetto al sistema finanziario Anglo-Americano.
Posto che credo anche io sarebbe un miglioramento, io onestamente mi preoccupo più di un altra cosa, ovvero di una schiera di soldatini che le note delle agenzie di rating le prende come testo di propaganda politica da copiare paro paro, la pravda del mattino. E sono TANTI, basta avere la premura di leggersi queste dannate note e vedere che qualcuno il giorno dopo che escono va a ripeterle in televisione (e ci fa campagna politica finchè non ne esce una nuova). Peggio se provengono dal sistema angloamericano anzichè europeo, ma partiamo da un presupposto: l'analisi di un agenzia di rating (e gli interessi degli investitori a cui scrive) non può essere la stessa di un politico che si appresta a governare un paese. Per forza di cose, perchè un uomo di stato non governa un popolo di investitori, ma di esseri umani (con dei bisogni ben più complessi dell'interesse sui bot). Allora è facile capire perchè i populisti, forse sguaiatamente, diano dei "venduti" a certi politici, o dei "amici delle banche" e altre accuse magari strampalate ma che sottolineano un problema di fondo.. se queste persone si apprestano a fare gli interessi di un popolo, non possono dire le stesse cose che dicono accrocchi di brokers, e quando questo accade significa che qualcosa si è rotto nella rappresentanza politica.
Citazione di: InVerno il 26 Gennaio 2019, 09:41:11 AM
Citazione di: anthonyi il 25 Gennaio 2019, 19:57:17 PMCiao Inverno, sulla questione dei rating sono d'accordo con te. Credo che ha BCE avrebbe una sufficiente autorevolezza per predisporli lei, e per imporre che quanto meno gli operatori della UE si basino sui suoi rating. Sarei proprio curioso di sapere quale rating darebbe al debito federale USA (Quando nel 2011 una delle agenzie gli tolse la tripla A Obama fece fuoco e fulmini). Non credo saremmo più protetti dalle cattive sorprese, ma almeno elimineremmo una condizione di sudditanza rispetto al sistema finanziario Anglo-Americano.
Posto che credo anche io sarebbe un miglioramento, io onestamente mi preoccupo più di un altra cosa, ovvero di una schiera di soldatini che le note delle agenzie di rating le prende come testo di propaganda politica da copiare paro paro, la pravda del mattino. E sono TANTI, basta avere la premura di leggersi queste dannate note e vedere che qualcuno il giorno dopo che escono va a ripeterle in televisione (e ci fa campagna politica finchè non ne esce una nuova). Peggio se provengono dal sistema angloamericano anzichè europeo, ma partiamo da un presupposto: l'analisi di un agenzia di rating (e gli interessi degli investitori a cui scrive) non può essere la stessa di un politico che si appresta a governare un paese. Per forza di cose, perchè un uomo di stato non governa un popolo di investitori, ma di esseri umani (con dei bisogni ben più complessi dell'interesse sui bot). Allora è facile capire perchè i populisti, forse sguaiatamente, diano dei "venduti" a certi politici, o dei "amici delle banche" e altre accuse magari strampalate ma che sottolineano un problema di fondo.. se queste persone si apprestano a fare gli interessi di un popolo, non possono dire le stesse cose che dicono accrocchi di brokers, e quando questo accade significa che qualcosa si è rotto nella rappresentanza politica.
Il punto è, Inverno, che questi brokers sono anche accreditati di una certa competenza. Poi certo si sbagliano anche loro, o peggio ancora possono dire cose al servizio di un interesse privatistico. Per questo la mediazione politica è utile, ma c'è una differenza abissale tra il politico che valuta criticamente (Anche perché magari è capace di farlo perché capisce qualcosa di Economia), e il populista che non capisce nulla di Economia e favoleggia di boom e di crescite dei posti di lavoro immaginari usando le note dei broker come bersaglio per le freccette.
Un saluto e W l'Italia.
Citazione di: Jacopus il 26 Gennaio 2019, 08:30:49 AM
Non so se è già stato scritto ma vorrei sottolineare che gli stratagemmi architettati dalla politica per contenere le crisi sono destinati a sommarsi alle continue crisi di questo turbocapitalismo. Perché la sua anima è dentro il denaro come unico Dio da venerare, l'unica Supercosa rispetto alla quale tutto è servitù e tutto è oggetto. Un totalitarismo pervasivo e dolce.
Duemila anni fa e oltre non c'era il turbocapitalismo, ma, stranamente, molti facevano gli stessi ragionamenti sul denaro e sulla ricchezza.
In genere da chi sente la mancanza di denaro e di ricchezza, da chi vorrebbe averne.
Citazione di: InVerno il 26 Gennaio 2019, 09:41:11 AM
Citazione di: anthonyi il 25 Gennaio 2019, 19:57:17 PMCiao Inverno, sulla questione dei rating sono d'accordo con te. Credo che ha BCE avrebbe una sufficiente autorevolezza per predisporli lei, e per imporre che quanto meno gli operatori della UE si basino sui suoi rating. Sarei proprio curioso di sapere quale rating darebbe al debito federale USA (Quando nel 2011 una delle agenzie gli tolse la tripla A Obama fece fuoco e fulmini). Non credo saremmo più protetti dalle cattive sorprese, ma almeno elimineremmo una condizione di sudditanza rispetto al sistema finanziario Anglo-Americano.
Posto che credo anche io sarebbe un miglioramento, io onestamente mi preoccupo più di un altra cosa, ovvero di una schiera di soldatini che le note delle agenzie di rating le prende come testo di propaganda politica da copiare paro paro, la pravda del mattino. E sono TANTI, basta avere la premura di leggersi queste dannate note e vedere che qualcuno il giorno dopo che escono va a ripeterle in televisione (e ci fa campagna politica finchè non ne esce una nuova). Peggio se provengono dal sistema angloamericano anzichè europeo, ma partiamo da un presupposto: l'analisi di un agenzia di rating (e gli interessi degli investitori a cui scrive) non può essere la stessa di un politico che si appresta a governare un paese. Per forza di cose, perchè un uomo di stato non governa un popolo di investitori, ma di esseri umani (con dei bisogni ben più complessi dell'interesse sui bot). Allora è facile capire perchè i populisti, forse sguaiatamente, diano dei "venduti" a certi politici, o dei "amici delle banche" e altre accuse magari strampalate ma che sottolineano un problema di fondo.. se queste persone si apprestano a fare gli interessi di un popolo, non possono dire le stesse cose che dicono accrocchi di brokers, e quando questo accade significa che qualcosa si è rotto nella rappresentanza politica.
Trovo più affidabili le valutazioni di esperti del settore finanziario rispetto a quelle di ignoranti in materia come gli esponenti principali del nuovo governo populista ed i loro consiglieri economici.
Le istituzioni finanziarie giustamente si basano su quelle per la concessione del credito. Gli errori di valutazione fanno parte della normale attività, sono inevitabili, il rischio e l'incertezza sono la normale condizione dell'economia, di qualunque economia. Il conflitto di interessi è altrettanto ineliminabile: ad esempio le politiche di questo governo, che sono di corto respiro, le prossime elezioni europee, sottolineo europee.
Proprio non capisco come (anche a prescindere dalla loro indubbia malafede al servizio del potere -che condividono con i connessi iniquissimi privilegi- e dell' ingiustizia) ci si possa fidare degli economisti (specie se "bocconiani") che non ne imbroccano mai una che é una, nemmeno per isbaglio, non dico piutosto che di populisti al governo meno, ma anche semplicemente del primo che passa per strada.
Ma vi rendete conto dell' obbrobrio anche tecnico, non solo (anti-) etico e (dis-) umanitario (un autentico, letterale crimine contro l' umanità) perpetrato dall' abominevole Fornero con la "creazione egli esodati"?
Citazione di: anthonyi il 26 Gennaio 2019, 13:44:50 PM
Il punto è, Inverno, che questi brokers sono anche accreditati di una certa competenza. Poi certo si sbagliano anche loro, o peggio ancora possono dire cose al servizio di un interesse privatistico. Per questo la mediazione politica è utile, ma c'è una differenza abissale tra il politico che valuta criticamente (Anche perché magari è capace di farlo perché capisce qualcosa di Economia), e il populista che non capisce nulla di Economia e favoleggia di boom e di crescite dei posti di lavoro immaginari usando le note dei broker come bersaglio per le freccette.
Un saluto e W l'Italia.
Il punto era diverso, sia tu che Baylham mi dite che le agenzie sono più affidabili rispetto al populista, e va bene (forse), io dico che il populista presume un fatto molto più semplice, cioè che un uomo di stato non può dire quello che dice un agenzia di rating, perchè ha interessi e prospettive completamente diversi. Siete d'accordo con questo rilievo "populista"? Similarmente a quanto sarebbe sospetto se un capo di stato copiasse i discorsi da un altro capo di stato, il populista non è tanto li per fornirvi la soluzione ai vostri problemi economici, lui indica col dito "lesa maestà", e lo fa da una posizione che era vacante da tempo alla corte del capitalismo: il giullare. E' inutile aspettarsi un dottore da un giullare, il suo scopo non è quello di curare o governare, ma quello di smascherare l'ipocrisia. Sia prima Grillo, che i suoi migliori emuli (Trump in primis) si sono presentati tutti come dei giullari venuti a curare un sistema incapace di autocritica, stagnante, dove la metafisica è diventata cosi densa da tagliarsi col coltello, dove non c'è più libertà davanti alle leggi del PIL..
Citazione di: Freedom il 25 Gennaio 2019, 15:13:04 PM
... il quattordici settembre 2008 una delle tre agenzie di rating mondiali, mi sembra di ricordare Moody's, aveva assegnato a Lehman Brothers la singola "A". Cioè una classifica di solvibilità elevatissima. Superiore ad essa c'è solo la doppia "A" e la tripla "A".
La competenza dei dottori della fede capitalistica, gli economisti, si limita ad una professione di fede.
Citazione di: InVerno il 27 Gennaio 2019, 08:20:40 AM
E' inutile aspettarsi un dottore da un giullare, il suo scopo non è quello di curare o governare, ma quello di smascherare l'ipocrisia.
Il punto è che poi il giullare al governo diventa più ipocrita di quelli di prima. Io le bugie di Di Maio ormai non le conto più. In particolare a me disturba la disonestà intellettuale con la quale si attaccano Monti e la Fornero, persone che si sono messe al servizio dell'Italia, in uno dei momenti più delicati, e hanno dovuto fare dei provvedimenti che non sarebbero piaciuti a nessuno, perché altrimenti sarebbe stato molto peggio per tutti gli Italiani.
Un saluto.
Il mestiere di sicario è davvero duro. Alla fine solo maledizioni e nessun riconoscimento.
Si confondono i sicari: la riforma di Elsa Fornero salvaguarda un sistema previdenziale, sulla base di principi non assistenziali, quella attuale lo distrugge.
I sicari del sistema previdenziale pubblico sono quindi i populisti demagoghi attuali, ma siccome la maggioranza dei cittadini italiani ha una scarsa conoscenza di economia , si rovescia la realtà, capitalistica ovviamente, con la fantasia. Basta attendere uno, due anni al massimo per vederne gli effetti.
Ovviamente nulla vieta che i lavoratori italiani ed i cittadini in genere siano ben disposti a trasferire una parte crescente dei loro redditi a favore dei pensionati attraverso le imposte, pensionati che di per sé non considero parte della popolazione povera del paese, basta essere chiari ed onesti.
Ovviamente i populisti con la fantasia fanno miracoli: le loro politiche hanno il potere di avvantaggiare tutte le classi ed i ceti sociali, di fare il benessere e la ricchezza del popolo intero. Ovviamente la competizione del mercato, il nucleo del liberismo, scompare per incanto, come il conflitto di classe, il nucleo del marxismo, come la concorrenza sulle risorse, il nucleo del darwinismo. L'economia scompare per incanto di fronte alla politica.
I giullari sono normalmente al servizio del padrone di turno, come gli artisti, sono molto ipocriti.