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LOGOS - Argomenti => Tematiche Culturali e Sociali => Discussione aperta da: Eretiko il 02 Febbraio 2017, 16:53:39 PM

Titolo: Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Eretiko il 02 Febbraio 2017, 16:53:39 PM
In una discussione su questo forum, in un post di donquixote, mi ha particolarmente colpito la seguente proposizione (non riporto tutto il post, eventualmente consultarlo per farsi un'idea del contesto dal quale è stata estratta):
 
Citazione di: donquixote il 31 Gennaio 2017, 23:34:38 PM
L'Europa ha compiuto negli ultimi secoli un suicidio culturale che l'ha progressivamente disgregata

Personalmente non riesco a vedere una disgregazione (forse delle smagliature, questo sì), e soprattutto non riesco a capire quando, come e dove sarebbe iniziato un processo di suicidio culturale e in cosa esso consista.
Mi rivolgo quindi in primis all'autore della citata proposizione, nella speranza che abbia la pazienza di argomentare la sua tesi, e comunque a chiunque ritenga che effettivamente l'Europa è oggi disgregata (culturalmente, socialmente).     
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Phil il 02 Febbraio 2017, 21:14:50 PM
In attesa di donquixote, suggerirei (in veste di Sancho Panza ;D ), per meglio comprendere la disgregazione, di partire dal considerare come era l'"aggregato" prima di iniziare a disgregarsi e soprattutto se c'è tale aggregato; esiste un'unità socio-culturale che ha iniziato a frammentarsi? Il "suicidio" è solitamente il gesto di un singolo, ma qui c'è un davvero un singolo? Tutte le perplessità sull'identità dell'Europa (dotta giustificazione per finalità commerciali?) non possono restare sullo sfondo: forse nemmeno ai tempi dell'impero romano c'era una identità "europea", e il successivo proliferare di culture e nazioni, l'avvicendarsi di guerre (siano state esse più o meno "mondiali") con la crescente contaminazione di altre culture (per ultima temporalmente, come già ricordato da donquixote, quella americana, se vogliamo sospendere per ora il giudizio su quella islamica), rende davvero difficile, secondo me (e non solo) parlare di una identità europea storicamente affermata (e ridurre tutta la complessità della storia dell'Europa alle sue radici greco-giudaiche mi sembra un po' troppo semplicistico, poiché banalizza gli "intrecci" dei più di duemila anni di storia successivi).
Per cui il "disgregarsi" e il "suicidarsi" sembrerebbero mancare del soggetto di riferimento; l'Europa continua ad essere, come mi pare sia sempre stata, un "crogiolo (geografico) di razze e culture" (tanto per usare una frase fatta), che magari vengono da più lontano che in passato (v. cinesi), ma non compromettono una presunta identità unitaria... tuttavia, come sempre, resta una questione di "messa a fuoco" del contesto: se parliamo in ottica interplanetaria, allora si può legittimamente porre anche un'identità unica del pianeta terra e dei terrestri come ben differente dall'identità di marte e dei marziani (eppure "zoomando", la distanza socio-culturale fra un lappone e un sardo è paragonabile a quella fra un sardo e un cinese, anche se il lappone e il sardo pagano con la stessa moneta...).

P.s. Il titolo del topic allude all'occidente, ma la citazione in questione parla solo di Europa... e gli americani che fine fanno? ;D
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Fharenight il 03 Febbraio 2017, 02:19:58 AM
E' naturale che le contaminazioni con le altre culture od altre etnie avvengano, così come è avvenuto nei secoli e millenni passati, ed è una contaminazione che di norma si è realizza in maniera molto blanda e graduale in periodi di pace, in maniera più incisiva e cruenta in periodi post bellici.
Un processo si contaminazione normale tra due o più culture dovute alle reciproche influenze comprende anche il mescolamento delle lingue e tradizioni dalle quali tutte possono trarre arricchimento reciproco. Questo processo di contaminazione-assimilazione, dunque, quando non è forzato, si realizza nell'arco di parecchi decenni secoli. C'è da osservare, tuttavia, che gli uomini tendono ad assimilarsi e contaminarsi più agevolmente tra popoli che presentano caratteristiche razziali (differenziazioni biologiche genetiche), culturali e religiose molto simili tra loro. Così come il singolo individuo ha bisogno della propria identità che si esplica attraverso il riflettersi nell'altro per riconoscere la propria individualità e quindi specificità', allo stesso modo anche un popolo, una comunità, una società ha bisogno della propria identità che si realizza nel vivere con individui quanto più simili tra loro sia etnicamente che culturalmente.

Purtroppo, cari miei sinistroidi, la natura si fonda sulla diversità, e diverso significa distinguersi dall'altro, essere anche opposto all'altro. Anche noi in questo contesto esprimiamo idee molto differenti gli uni dagli altri nonostante siamo nati e cresciuti sullo stesso humus culturale. Le differenze sono essenziali in natura e per il proseguimento dell'evoluzione.

Non saprei immaginarla un'unica società mondiale multirazziale, con l'andare del tempo cosa accadrebbe? Svanirebbero le differenze? Oppure si realizzerebbero ulteriori assetti che separerebbe nuovamente i gruppi umani?


I cinesi hanno già sconvolto e degradato alcune aree d'Italia. Sotto il profilo economico il distretto industriale, volano dell'economia toscana, ha subito in questi ultimi anni profonde trasformazioni. Da polo della produzione tessile di rilevanza nazionale, il distretto ha visto progressivamente declinare il proprio comparto manifatturiero, fino a toccare i minimi storici.

L'Identità ( e quindi l'identità europea) nasce dunque dalle nostre radici, dall'idea che siamo il prodotto di una terra, di un lignaggio e di una storia come l'anello di una catena.

L'identità europea nasce come eredità e trasmissione ed è la base delle tradizioni popolari, delle lingue, degli usi e dei costumi ed è l'accettazione e la presa di conoscenza di un passato comune che ci unisce e la volontà di vivere assieme come comunità nei tempi a venire.

L'identità è la celebrazione della vita, è il ricordo dei nostri morti, un modo di concepire il mondo e di raccontarlo, basato su di una comune memoria culturale, etnica e spirituale.
L'identità di ogni popolo rende quest'ultimo incomparabile, inimitabile ed unico.
Seppur siamo tutti uomini, ogni uomo è diverso dall'altro e nessuno è mai uguale a qualcun altro; lo stesso avviene dunque anche per le nazioni ed i popoli. L'identità è plurale e si articola su più livelli: l'identità locale (Lombarda, Sicula, Piemontese, Sarda ecc), l'identità storica (Italiana in tutte le sue forme) e quella di civiltà (Europea). Queste identità sono complementari e mai in conflitto tra loro. Una persona può sentirsi, ad esempio, Piemontese, Italiano ed Europeo, oppure Catalano, Spagnolo ed Europeo, oppure ancora Bavarese, Tedesco ed Europeo. Ciascuna di queste identità rafforza l'altra e costituisce un insieme organico coerente.


Uno dei fondamenti della Civiltà europea sono le sue radici greco-romane, ma il filo conduttore che l'ha unita tutta donandole un profilo umanizzante (che ha sublimato anche nell''arte) verso sé stessa e verso il resto del mondo sono le sue radici cristiane.... E al di là di tutti i pretesti che vogliono riportare alla memoria tutti  i conflitti che sono accaduti anche nella cristiana Europa; purtroppo errare humanum est, ma la qualità derivante dall'humus cristiano c'è e si vede.




Più che "progressisti", definirei più propriamente molti sinistroidi attuali: Sfascisti.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: paul11 il 03 Febbraio 2017, 10:50:32 AM
Condivido pienamente il concetto di suicidio culturale dell'Europa, ma come prodotto storico dell'inautentico avvenuto come scelta nella filosofia greca e divenuta storia dell'Occidente.
Il suicido avviene per effetto di una colpa e la colpa storica è aver creduto che l' episteme fosse nel divenire.
Un concetto fondamentale della filosofia è l'identità (A= A) esplicata in termini logici nella predicazione aristotelica e in quella proposizionale delgli stoici e ripresa da Frege in poi nella contempraneità.

L'argomento è vasto già filosoficamente, in quanto finito il tempo della scuola peripatetica (aristotelica), appare l'umanesimo come fine del Medioevo e apertura a quella modernità filosofica dove l'episteme fuoriuscirà nel contraddittorio dalla filosofia per farsi scienza galileana e newtoniana.Il divenire si fossilizzerà nelle apparenze e manifestazioni fenomeniche e per secoli i filosofi e pensatori si schiereranno dall'una e dall'altra parte.

Il nichilismo è il prodotto storico dell'inautentica contraddizione di quella primaria identità logica che si esplicherà nell'identità umana e culturale. Chi porrà le problematiche del nichilismo e della contraddizione porrà il problema della "coscienza".
Lo pone Hegel in "Fenomenologia dello spirito" come coscienza infelice contro il prodotto epistemico della scienza naturale,; lo porrà Nietzsche, lo porrà già nelle prime pagine Heidegger in "Essere e tempo", di nuovo contro la scienza naturale e problematizzando l'Essere come senso e significato esistenziale.Quindi tutto l'esistenzialismo di Schopenauer di Kierkegaard.

La contraddizione dell' Umanesimo fu di mettere il metodo scientifico al centro del suo sistema e non l'uomo, L'effetto è che l'uomo è schiavo della tecnica.

Gli effetti sono la decadenza, l'alienazione, l'ipocrisia e quella colpa originaria che non trovando una sublimazione logica si vota al nichilismo del suicidio. Lo è per la Germania post-nazista, per incapacità di razionalizzare il processo antinomico fra progresso con la tecnica e antimodernità prodotti dal fascismo/nazismo, comunismo e cristianesimo. Quest itre ultimi movimenti rappresentano la distanza fra la coscienza infelice rappresentata dalla cultura borghese positiivsta del progresso per inautenticità e mediocrità..

Le altre culture non hanno questa contraddizione identitaria alla base dell'alienazione dell'inautentico: loro credono ancora , investono il loro essere nel pensiero e azione..

Le nostre vestigie  culturali che si esplicano nelle ISTITUZIONI, sono il correlato, il precipitato della dicotomia fra metafisica originaria e pragmatica.Ma della metafisica hanno preleveto "l'IMAGO" non l'autentico identitario , per cui l'istituzione è immagine retorica della persuasione.

La scienza politica, le scienze umane, sono il prodotto della filosofia politica ,della filosofia morale e di nuovo di quella separazione che ha prodotto l'episteme nell'immagine, nella manifestazione delle apparenze. Il precipitato, il correlato pratico è il diritto privato e pubblico, di nuovo la separazione nelle differenze.

Cosa accadrà? Gli americani sono il prodotto della cultura europea di stampo anglo sassone influiti da Oxford e Cambridge, di scuola pragmatica e analitica, innestato sul calvinismo/protestantesimo: difenderanno a riccio il loro potere pragmatico la loro morale è la finalità dell'azione, non è il senso o il principio motivazionale. Sono loro i primi a mutare il pensiero in funzione di nuove finalità, di nuove teleologie, E' tipico di chi non ha più identità, in quanto privo di postulati fondamentali, di paradigmi.Questa è la cultura "liquida", trasformistica ed opportunistica.
Ho già detto della Germania e della sua colpa nazista non sublimata. La Francia, culla della cultura marxista,ricettacolo del pensiero europeo di sinistra, vive appunto delle forti contraddizioni dei suoi pensatori che hanno prodotto:... il nulla.Guardate oggi i grandeur culturali : hanno fallito i loro intellettuali. Gli inglesi...sono dei postcolonialisti e fin quando alla City arriverà denaro dal petroldollaro arabo, fingeranno con bombetta ed ombrello continueranno ad essere residuo storico di un tempo che l'Occidente uccide come divenire.
Intanto il suicidio per ora è eutanasia.  Dietro a quella istituzione retorica ,chiamata tolleranza, si nasconde la precisa volontà demografica di non dare futuro ai figli europei, non procreando; ci penseranno i nuovi barbari .
Ma accadrà un aspetto importante.
Prima, un tempo fa, il vincitore si prendeva tutto dei vinti , ma non la sua identità.I codici di cavalleria erano codici morali.
Accadeva così che i barbari prendessero la cultura dei vinti.
Domani i nuovi barbari, del dopodomani europei, quale cultura abbandoneranno e quale civiltà preleveranno, per diventare cosa?
Preleverranno il virus del suicidio culturale
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: InVerno il 03 Febbraio 2017, 13:09:02 PM
Citazione di: paul11 il 03 Febbraio 2017, 10:50:32 AMLe altre culture non hanno questa contraddizione identitaria alla base dell'alienazione dell'inautentico: loro credono ancora , investono il loro essere nel pensiero e azione..
Sono tredicimila anni che l'uomo preannuncia il suicidio della società alla quale appartiene, persino insospettabili razionalisti si danno volentieri alle profezie, Newton aveva stabilito sarebbe accaduto nel 2060 per esempio, dimostrando di appartenere ad una categoria di antichi profeti-astronomi, quelli che avevano la premura di specificare la data esatta per intenderci. La spinta è cosi forte che capita persino di imbattersi in "apocalissi inverse" accadute precedentemente, come il diluvio universale. Più modernamente, questa abitudine a voler vedere collassare il mondo insieme alle proprie spoglie ormai consunte, si è "imbarbarita". Mentre prima l'apocalisse era di carattere universale o perlomeno planetaria, uno spiraglio di speranza ci viene dato dal profeta moderno attraverso la citazione di "altre culture" adamantine che se la caverebbero benissimo di fronte a questi problemi. Nel caso in questione, si tratta peraltro di culture già morte, o soggiogate e che piangono giorno per giorno la propria sconfitta, incoscienti della loro primigenia qualità salvifica e resiliente nascosta dal "dominio della tecnica" dei corrotti di turno. Sarebbe comunque interessante esplicitare nomi e cognomi di queste culture che "credono ancora", perlomeno perchè se ci troveremo "invasi" da esse non ci confonderemo nel parlare di "barbari" ma faremo di loro invece i nostri leaders.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: donquixote il 03 Febbraio 2017, 14:32:38 PM
La cultura, antropologicamente parlando, è un insieme di idee, di pratiche e di modelli che costituiscono l'identità in cui un popolo si riconosce: religione, mitologia, filosofia, scienza, economia, letteratura, musica, architettura, alimentazione e un sacco di altre discipline nel complesso formano la cultura, e tutte queste discipline sono fra loro collegate in modo tale da costituire parti necessarie di un modello che ogni popolo ha elaborato nel tempo e ha tramandato di generazione in generazione adattandolo progressivamente ai cambiamenti che intervenivano nell'ambiente e nella mente umana. Se dunque la cultura è un modello, questo veniva elaborato partendo da un'idea di base, da una "filosofia", da un pensiero sul mondo e sull'uomo, e poi strutturato in modo che tale filosofia pervadesse tutta la comunità e ogni sua manifestazione ne evocasse i principi fondanti. La cultura induista, ad esempio, ha come base i principi vedici, e questi sono poi stati adattati alle varie popolazioni presenti nel continente indiano e hanno dato vita alle varie comunità (o subculture) che si differenziano per molti aspetti pratici ma nell'essenza si richiamano tutte ai medesimi principi di base; se dunque la cultura induista è nelle sue innumerevoli espressioni estremamente variegata è comunque possibile risalire da ognuna ai principi di riferimento e ricostruire da questi il modello che ogni popolo ha elaborato per sé, e comprendere inoltre come tali modelli siano intrinsecamente coerenti di modo che ogni manifestazione culturale trovi la propria giustificazione all'interno di ognuno di essi. Queste osservazioni sono valide per ogni cultura tradizionale e hanno dato luogo alla teoria antropologica del "relativismo culturale", che afferma appunto che ogni cultura trova le proprie giustificazioni in se stessa e nel suo modello, per cui non ha alcun senso affermare che una cultura è superiore ad un'altra o addirittura universalizzare delle espressioni culturali come sono ad esempio le norme morali. Tutte le culture tradizionali hanno sempre avuto una visione organica del mondo, che deriva dalla comprensione dell'intima unità di tutte le cose in un principio superiore e poi le giustifica ai livelli inferiori ponendo ogni cosa al suo posto. Questa operazione viene compiuta con la mitologia, la cosmologia, l'epica, l'arte, la filosofia, la letteratura e tutti gli altri metodi che si ritenevano utili per giustificare agli occhi e alla mente degli uomini i fenomeni del mondo, la presenza di tante specie animali e vegetali, i fiumi, i mari e le montagne, e anche i comportamenti umani. La tendenza di base, come dicevo, è quella di fornire una giustificazione accettabile, comprensibile e soddisfacente per ciò che già c'era, per ciò che chiunque poteva vedere, poiché lo scopo non era quello di modificare l'esistente ma di accettarlo come opera di un'entità infinitamente superiore all'uomo (del resto basta guardare il cielo per rendersi conto di quanto l'uomo sia infinitamente piccolo) che se aveva creato il mondo in quella maniera era così che avrebbe dovuto rimanere (e ad esempio nella cultura greca uno dei concetti più significativi era quello di hybris che stigmatizzava il tentativo dell'uomo di usurpare le prerogative degli dei). Le comunità umane si strutturavano quindi come degli organismi microcosmici che imitavano nel loro ambito il macrocosmo universale, con le sue gerarchie, le sue dinamiche e le sue ciclicità, e al proprio interno riconoscevano ognuno come parte necessaria del tutto (ricordo il famoso apologo di Menenio Agrippa) creando dei meccanismi che consentissero  all'uomo  di relazionarsi  armonicamente  con l'ambiente  in  cui vive,  fornire  significato alla  sua  esistenza e  permettergli  fra l'altro  di  conciliarsi con  la  sofferenza, la  malattia  e  la morte,  sua  e dei  suoi  cari, e  provare  compassione per  gli  altri e solidarizzare con loro.  Come avevo scritto in un altro messaggio le comunità umane sono simili ad alberi che ad ogni stagione cambiano le foglie e spesso anche qualche ramo ma il tronco rimane sempre il medesimo, e se vogliono rimanere culturalmente vitali e unite è necessario che le radici siano sempre ben piantate nella terra che, in una cultura, sono i principi sui quali si basa per strutturarsi.
Se questa dunque è la cornice di riferimento di una cultura bisogna vedere in cosa, e da quando, l'Europa ha iniziato ad edificare la sua cultura su basi completamente differenti, opposte  a quelle precedenti, costruendo quindi nei fatti una controcultura (o una non-cultura) che ovviamente non avrebbe potuto che, col tempo, portare ad una disgregazione. Senza voler fare la storia della cultura europea mi limito ad evidenziare che nella sostanza sono state quattro le idee che a mio avviso sono a fondamento della disgregazione culturale: la prima è la riscoperta e l'esaltazione dell'antropocentrismo con il secondo umanesimo (il primo fu quello greco classico), ovvero l'idea che l'uomo sia l'ente principe dell'universo e quest'ultimo dovesse e potesse essere piegato ai desiderata umani. La seconda è il ribaltamento del sillogismo aristotelico con la conseguente prevalenza del metodo induttivo come modo per raggiungere la conoscenza, e di conseguenza la progressiva dipartita del concetto di verità come "fondamento". La terza e la quarta sono la libertè e l'egalitè proclamate dalla Rivoluzione Francese ma già in voga dai secoli precedenti che hanno introdotto l'ideologia dell'individualismo, la convinzione che nessun uomo fosse superiore (o inferiore) agli altri ma ognuno era comunque più importante della comunità di cui fa parte, dando quindi luogo alla teoria del "contratto sociale" come modello di aggregazione umana e agli stati costituzionali moderni (la costituzione è appunto il "contratto") che hanno trasformato le comunità in società, e «La teoria della società riguarda una costruzione artificiale, un aggregato di esseri umani che solo superficialmente assomiglia alla comunità, nella misura in cui anche in essa gli individui vivono pacificamente gli uni accanto agli altri. Però, mentre nella comunità gli esseri umani restano essenzialmente uniti nonostante i fattori che li separano, nella società restano essenzialmente separati nonostante i fattori che li uniscono» come annotava Tonnies nella frase che sintetizza alla perfezione i due concetti. Se l'unione della comunità è culturale, quella della società è strumentale; se nella prima prevale lo spirito comunitario, nella seconda prevale l'interesse; se nella prima il valore prevalente è quello dell'organismo comunitario e l'individuo è considerato in quanto parte necessaria di tale organismo (e finché lo è), nella seconda l'interesse prevalente è quello dell'individuo e la macchina sociale (si noti la differenza sostanziale fra la visione organica in un caso, che si sviluppa dall'interno verso l'esterno manifestandosi progressivamente e poi riproducendosi, e quella meccanicistica nel secondo che si sviluppa dall'esterno verso l'interno e ha dato quindi luogo a società come gli Stati Uniti d'America) dovrà mettersi a sua disposizione ogni volta che questo manifesterà delle esigenze che, se troverà gruppi d'interesse sufficientemente agguerriti che le condividano, riuscirà anche a trasformare in "diritti". La comunità ha una finalità che la supera per realizzarsi nel mondo e in prospettiva nell'universo, mentre la società non ha alcun valore intrinseco che vada al di là di essa e nessun oggetto sociale da perseguire, ma è solo uno strumento al servizio degli individui che ne fanno parte. Questo modello non può che portare alla frammentazione di una collettività, alla sua polverizzazione in "atomi culturali" (altro che "società liquida": il liquido ha comunque una forma, un principio di unità e un senso in sé, qualità che invece la polvere non possiede) il cui unico scopo sarà quello di perseguire e salvaguardare i propri interessi, che essendo di questi tempi prevalentemente materiali non potranno che causare una interminabile serie di conflitti di tutti contro tutti per il loro soddisfacimento, dato che la materia è finita e se qualcuno ne vuole possedere di più lo può fare solo a scapito di altri. Tutte queste idee e le prassi che ne sono seguite non sono state importate da qualche landa lontana, non sono venuti i "barbari" ad imporcele con la forza, ma è stata l'Europa stessa, i suoi intellettuali, i suoi letterati, i suoi filosofi ad elaborarle e a orgogliosamente esaltarle come la luce finalmente visibile in fondo al tunnel dell'oscurantismo. Per questa ragione mi sembra ovvio parlare di suicidio culturale, e di sostituzione di un qualcosa che assomigliava da vicino ad una cultura con qualcosa che la distrugge, con una negazione della stessa. Siccome ho già scritto molto ma mi rendo conto che molte cose sono rimaste in sospeso, spero possano emergere nel corso della discussione (sempre se qualcuno avrà interesse a portarla avanti, s'intende).
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Fharenight il 03 Febbraio 2017, 15:58:57 PM
Citazione di: donquixote il 03 Febbraio 2017, 14:32:38 PM
La cultura, antropologicamente parlando, è un insieme di idee, di pratiche e di modelli che costituiscono l'identità in cui un popolo si riconosce: religione, mitologia, filosofia, scienza, economia, letteratura, musica, architettura, alimentazione e un sacco di altre discipline nel complesso formano la cultura, e tutte queste discipline sono fra loro collegate in modo tale da costituire parti necessarie di un modello che ogni popolo ha elaborato nel tempo e ha tramandato di generazione in generazione adattandolo progressivamente ai cambiamenti che intervenivano nell'ambiente e nella mente umana. Se dunque la cultura è un modello, questo veniva elaborato partendo da un'idea di base, da una "filosofia", da un pensiero sul mondo e sull'uomo, e poi strutturato in modo che tale filosofia pervadesse tutta la comunità e ogni sua manifestazione ne evocasse i principi fondanti. La cultura induista, ad esempio, ha come base i principi vedici, e questi sono poi stati adattati alle varie popolazioni presenti nel continente indiano e hanno dato vita alle varie comunità (o subculture) che si differenziano per molti aspetti pratici ma nell'essenza si richiamano tutte ai medesimi principi di base; se dunque la cultura induista è nelle sue innumerevoli espressioni estremamente variegata è comunque possibile risalire da ognuna ai principi di riferimento e ricostruire da questi il modello che ogni popolo ha elaborato per sé, e comprendere inoltre come tali modelli siano intrinsecamente coerenti di modo che ogni manifestazione culturale trovi la propria giustificazione all'interno di ognuno di essi. Queste osservazioni sono valide per ogni cultura tradizionale e hanno dato luogo alla teoria antropologica del "relativismo culturale", che afferma appunto che ogni cultura trova le proprie giustificazioni in se stessa e nel suo modello, per cui non ha alcun senso affermare che una cultura è superiore ad un'altra o addirittura universalizzare delle espressioni culturali come sono ad esempio le norme morali. Tutte le culture tradizionali hanno sempre avuto una visione organica del mondo, che deriva dalla comprensione dell'intima unità di tutte le cose in un principio superiore e poi le giustifica ai livelli inferiori ponendo ogni cosa al suo posto. Questa operazione viene compiuta con la mitologia, la cosmologia, l'epica, l'arte, la filosofia, la letteratura e tutti gli altri metodi che si ritenevano utili per giustificare agli occhi e alla mente degli uomini i fenomeni del mondo, la presenza di tante specie animali e vegetali, i fiumi, i mari e le montagne, e anche i comportamenti umani. La tendenza di base, come dicevo, è quella di fornire una giustificazione accettabile, comprensibile e soddisfacente per ciò che già c'era, per ciò che chiunque poteva vedere, poiché lo scopo non era quello di modificare l'esistente ma di accettarlo come opera di un'entità infinitamente superiore all'uomo (del resto basta guardare il cielo per rendersi conto di quanto l'uomo sia infinitamente piccolo) che se aveva creato il mondo in quella maniera era così che avrebbe dovuto rimanere (e ad esempio nella cultura greca uno dei concetti più significativi era quello di hybris che stigmatizzava il tentativo dell'uomo di usurpare le prerogative degli dei). Le comunità umane si strutturavano quindi come degli organismi microcosmici che imitavano nel loro ambito il macrocosmo universale, con le sue gerarchie, le sue dinamiche e le sue ciclicità, e al proprio interno riconoscevano ognuno come parte necessaria del tutto (ricordo il famoso apologo di Menenio Agrippa) creando dei meccanismi che consentissero  all'uomo  di relazionarsi  armonicamente  con l'ambiente  in  cui vive,  fornire  significato alla  sua  esistenza e  permettergli  fra l'altro  di  conciliarsi con  la  sofferenza, la  malattia  e  la morte,  sua  e dei  suoi  cari, e  provare  compassione per  gli  altri e solidarizzare con loro.  Come avevo scritto in un altro messaggio le comunità umane sono simili ad alberi che ad ogni stagione cambiano le foglie e spesso anche qualche ramo ma il tronco rimane sempre il medesimo, e se vogliono rimanere culturalmente vitali e unite è necessario che le radici siano sempre ben piantate nella terra che, in una cultura, sono i principi sui quali si basa per strutturarsi.
Se questa dunque è la cornice di riferimento di una cultura bisogna vedere in cosa, e da quando, l'Europa ha iniziato ad edificare la sua cultura su basi completamente differenti, opposte  a quelle precedenti, costruendo quindi nei fatti una controcultura (o una non-cultura) che ovviamente non avrebbe potuto che, col tempo, portare ad una disgregazione. Senza voler fare la storia della cultura europea mi limito ad evidenziare che nella sostanza sono state quattro le idee che a mio avviso sono a fondamento della disgregazione culturale: la prima è la riscoperta e l'esaltazione dell'antropocentrismo con il secondo umanesimo (il primo fu quello greco classico), ovvero l'idea che l'uomo sia l'ente principe dell'universo e quest'ultimo dovesse e potesse essere piegato ai desiderata umani. La seconda è il ribaltamento del sillogismo aristotelico con la conseguente prevalenza del metodo induttivo come modo per raggiungere la conoscenza, e di conseguenza la progressiva dipartita del concetto di verità come "fondamento". La terza e la quarta sono la libertè e l'egalitè proclamate dalla Rivoluzione Francese ma già in voga dai secoli precedenti che hanno introdotto l'ideologia dell'individualismo, la convinzione che nessun uomo fosse superiore (o inferiore) agli altri ma ognuno era comunque più importante della comunità di cui fa parte, dando quindi luogo alla teoria del "contratto sociale" come modello di aggregazione umana e agli stati costituzionali moderni (la costituzione è appunto il "contratto") che hanno trasformato le comunità in società, e «La teoria della società riguarda una costruzione artificiale, un aggregato di esseri umani che solo superficialmente assomiglia alla comunità, nella misura in cui anche in essa gli individui vivono pacificamente gli uni accanto agli altri. Però, mentre nella comunità gli esseri umani restano essenzialmente uniti nonostante i fattori che li separano, nella società restano essenzialmente separati nonostante i fattori che li uniscono» come annotava Tonnies nella frase che sintetizza alla perfezione i due concetti. Se l'unione della comunità è culturale, quella della società è strumentale; se nella prima prevale lo spirito comunitario, nella seconda prevale l'interesse; se nella prima il valore prevalente è quello dell'organismo comunitario e l'individuo è considerato in quanto parte necessaria di tale organismo (e finché lo è), nella seconda l'interesse prevalente è quello dell'individuo e la macchina sociale (si noti la differenza sostanziale fra la visione organica in un caso, che si sviluppa dall'interno verso l'esterno manifestandosi progressivamente e poi riproducendosi, e quella meccanicistica nel secondo che si sviluppa dall'esterno verso l'interno e ha dato quindi luogo a società come gli Stati Uniti d'America) dovrà mettersi a sua disposizione ogni volta che questo manifesterà delle esigenze che, se troverà gruppi d'interesse sufficientemente agguerriti che le condividano, riuscirà anche a trasformare in "diritti". La comunità ha una finalità che la supera per realizzarsi nel mondo e in prospettiva nell'universo, mentre la società non ha alcun valore intrinseco che vada al di là di essa e nessun oggetto sociale da perseguire, ma è solo uno strumento al servizio degli individui che ne fanno parte. Questo modello non può che portare alla frammentazione di una collettività, alla sua polverizzazione in "atomi culturali" (altro che "società liquida": il liquido ha comunque una forma, un principio di unità e un senso in sé, qualità che invece la polvere non possiede) il cui unico scopo sarà quello di perseguire e salvaguardare i propri interessi, che essendo di questi tempi prevalentemente materiali non potranno che causare una interminabile serie di conflitti di tutti contro tutti per il loro soddisfacimento, dato che la materia è finita e se qualcuno ne vuole possedere di più lo può fare solo a scapito di altri. Tutte queste idee e le prassi che ne sono seguite non sono state importate da qualche landa lontana, non sono venuti i "barbari" ad imporcele con la forza, ma è stata l'Europa stessa, i suoi intellettuali, i suoi letterati, i suoi filosofi ad elaborarle e a orgogliosamente esaltarle come la luce finalmente visibile in fondo al tunnel dell'oscurantismo. Per questa ragione mi sembra ovvio parlare di suicidio culturale, e di sostituzione di un qualcosa che assomigliava da vicino ad una cultura con qualcosa che la distrugge, con una negazione della stessa. Siccome ho già scritto molto ma mi rendo conto che molte cose sono rimaste in sospeso, spero possano emergere nel corso della discussione (sempre se qualcuno avrà interesse a portarla avanti, s'intende).

Tutta questa analisi  andava BENISSIMO nel topic "Multiculturalismo e multirazzialità" ed è perfettamente in tema molto piú delle digressioni sugli errori di comunismo e capitalismo in cui si stava affossando il topic aperto da me.

Mi dispiace che "puzziate" quasi tutti di snobismo, altrimenti non si capisce perché  sia nato il desiderio di spostare un argomento MOLTO attinente e consecutivo al mio, mentre invece si è lasciato indugiare su argomenti davvero ot per cui sarebbe stato piú oppotuno aprire un altro filone.

Che tristezza...
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: InVerno il 04 Febbraio 2017, 11:13:58 AM
Rispondo a Donquixote non tanto per vincere l'argomento retorico di cui mi frega poco, ma per aggiungere carne al fuoco e dare qualche spunto di approfondimento tra parentesi.


La supposta armonia organica in cui vivevano le società tradizionali non fa altro che parte di una delle fasi identitarie degli "stati nascenti" (Alberoni). L'età dell'oro dove le utopie sono realizzate, l'evento dirompente che corrompe la società, e la susseguente creazione di uno "stato nascente" (e le profezia di sventura in caso dalla nascita si passi ad un aborto spontaneo). L'ipotesi di un età dell'oro è necessaria per chiunque voglia ipotizzare un nuovo sistema ordinato ed è funzionale a questo scopo più che ad altro. Prive o quasi ne sono le culture orientali per via del dispotismo imperante nelle stesse di origine millenaria (Wittfogel) e questo spesso incanta l'osservatore occidentale senza considerare i contrappesi che mantengono l'ordine di una società scarsa di "agenti corruttori" e incapace di rigenerazione (per questo rigida e instabile). Gli studi antropogeografici degli ultimi decenni hanno fatto luce riguardo a una moltitudine di concause che hanno delineato il decesso di gran parte delle culture "tradizionali" legandole inesorabilmente (ma non unicamente) alla loro incapacità di interpretare la propria esistenza in coesione con il territorio (Diamond). E mentre il vecchio continente è rimasto generalmente vigoroso per via della sua vastità, ogni volta che una civiltà tradizionale ha colonizzato un sistema isolato, l'ha completamente disintegrato fino ad autoannientarsi (es. Isola di Pasqua) o a rendersi succube del vicino. Solamente attraverso "sacche di territori vergini" disponibili solo in grandi territori, siamo sopravvissuti all'inettitudine alla coesione con la natura di ogni cultura tradizionale. (sebbene è vero che le società antiche conoscessero la valenza di queste "riserve-sacche"). Gli stessi Elleni e il loro hybris diedero il colpo finale alla desertificazione anatolico-siriana di cui Petra potrebbe essere oggi un simbolico monito(so che è fuori confine), ma che era cominciata già millenni prima come testimoniato da vari templi protoagricoli. La nascita stessa dell'agricoltura un tempo incensata dai positivisti oggi appare come la conseguenza diffusa e costretta di un approccio completamente sbilanciato verso le risorse naturali e in particolare quelle animali nel periodo di espansione post glaciale e di un impoverimento sistemico che ci ha "piegato alla terra e ai sovrani" (Harris). Ma anche le società che si sono rifiutate di coltivare (es. Mongoli) hanno lentamente ma certamente disintegrato il loro loro habitat fino al crollo. E mentre è possibile e certamente valido avvocare la causa dalle loro "buona volontà" nel tentare un approccio organicista, rimane quasi certo che essi non avessero gli strumenti necessari da applicare a questa visione ad una realtà complessa e inadatta all'uomo senza che l'artificialità la bonifichi. Sarei propenso a sostenere che solo attraverso lo sviluppo della tecnica e il dominio della natura, oggi possediamo la conoscienza tale da poter attuare nei fatti una relazione con il mondo organica, ma sopratutto funzionante, e non avremmo mai potuto ottenere questo senza passare per il disincantamento (Weber) che oggi alcuni vorrebbero far passare come il vertice del nostro distacco emotivo dal naturale (es. Teosofisti). Questo non significa che la sfrutteremo. L'occidente imperialista, che rifiuta la conseguenza diretta di quello stesso atteggiamento di dominio militare verso il mondo, ovvero la globalizzazione dei propri valori (Huntington) è l'occidente che affronta una crisi morale (Chomsky) più che una crisi migratoria, e se vogliamo identitaria. E' l'occidente che tutto ad un tratto rilegge il De Bello Gallico ed anziché sentirsi tronfio, lo riconosce come il libro nero di un genocidio (Canfora). Ma siamo "questi qui" come dicono alcuni, le nostre radici sono queste, anche se siamo diventati "troppo umani per non provarne ripugnanza" (Goethe). Il relativismo culturale (che i "non politically correct" tanto amati bollano come "becero terzomondismo"), tanto piacque che oggi chi può dirsi franco e salvo dall'accusa di orientalismo formulata quarant'anni or sono (E.Said)? Nel '92 Fukuyama scriveva "la storia è finita, gli occidentali hanno vinto e ci annoiamo a morte" chissà se avrebbe mai immaginato la corsa furiosa di tantissimi "vittoriosi" a suonare le campane a morto. Ma le campane suonano si per allarmare il paese, ma sopratutto per conveire un messaggio, una sorta di imperialismo uditivo che dal paesello dovrebbe raggiungere i villaggi "barbari", perchè la campana funziona ancora benissimo e ne sono convinti anche quelli che dicono "che non funziona più niente". L'istinto di sopravvivenza ha varie forme, anche nei bramamorte. Di sicuro sempre Hungtinton lo avvertì (litigarono duramente), lo scontro di civiltà sarebbe avvenuto e l'occidente avrebbe perso il proprio dominio per via della modernizzazione dei "barbari", che avveniva sotto gli occhi troppo accecati dal nostro universalismo, per non riconoscere la modernizzazione solo perchè essa non si esplicava sotto spoglie occidentali. Eh già, mentre il dito indica il migrante (problema universalista), la luna (mezza luna) si converte dal fossile al rinnovabile, e gli states puntano al carbone e a cercare petrolio negli anfratti (problema culturale). Nel mentre avvenne il furto del secolo, il furto di una singola e semplice parola : globalizzazione. Motto di ogni internazionale e sindacato, la finanza la rapì e la stuprò ripetutamente in una stanza piena di soldi, la libera circolazione delle persone e l'integrazione degli uomini, divenne la libera circolazione del capitale e l'integrazione dei mercati. Boom. Ma come tu sei di sinistra e proteggi il sistema principe dell'impoverimento e della diseguaglianza? Che cosa bisognava rispondere, quella parola suonava cosi bene, era la nostra, ci eravamo tanto affezionati, le volevamo bene.. ma che cosa voleva dire? Non c'è solitudine peggiore di quella di uomo a cui è stata mozzata la lingua, un uomo senza lingua è un uomo senza patria (Cioran) e invece che diventare cittadino del mondo ne diventa il vagabondo.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: maral il 04 Febbraio 2017, 13:08:28 PM
A parte l'assurdità di riportare le diversità culturali e i problemi che esse generano a differenze razziali biologiche (non occorre essere intellettuali sinistroidi per sapere che un norvegese può differenziare geneticamente da un ottentotto ben di più di quanto non si differenzi dal suo vicino di casa, norvegese pure lui da generazioni, basta informarsi un minimo sui risultati delle ricerche genetiche ormai ampiamente diffuse e accessibili a chiunque non voglia mantenersi analfabeta in biologia per tutelare i propri preconcetti), non capisco proprio il motivo di tutto questo dovere assoluto a preservarsi nella purezza delle proprie radici. Non capisco come non ci si renda conto del fatto che questa purezza è del tutto immaginaria, frutto magari di necessità esistenziali che vanno comprese, ma che resta sempre immaginaria, quindi è una pretesa che cerca fondamento nell'immaginazione. E' immaginaria nella storia di qualsiasi cultura che è sempre il risultato di incontri tra modi di vivere e di praticare il mondo diversamente: la cultura occidentale è il risultato dell'incontro di popolazioni recanti tradizioni estremamente diverse, pur nel comune modo di sentire umano, di antropologie diverse. Gli antichi popoli mediterranei non erano gli Achei che venivano, come tutti i popoli indoeuropei, dagli altopiani iranici e dal cui incontro nacque quella cultura greca che poniamo all'inizio della storia culturale europea e che fu preservata nei regni islamici che si stabilirono in Spagna, mentre l'Europa tutta veniva distrutta da altri popoli di diversa cultura: i Germanici, provenienti dalle propaggini nord orientali del continente. Il cristianesimo, altro grande contrassegno della cultura europea, è anch'esso il risultato di una contaminazione culturale, proveniente dal Medio Oriente che si fuse con la tradizione greca e raccolse poi in sé le tradizioni di quegli stessi selvaggi germanici che ridiedero vigore al percorso culturale europeo, lo trasformarono nel corso di secoli di storia.
Anche la cultura vedica è il frutto di un'ibridazione e così ogni cultura, perché ogni cultura che si isola per mantenersi pura è da sempre una cultura che si autodistrugge, inevitabilmente.

I punti che Donquixote assume come inizio della disgregazione dell'Occidente sono certo accadimenti che mutarono la visione del mondo e delle cose, ma non hanno nulla di radicalmente o ontologicamente sbagliato di per sé, sono invece conseguenze inevitabili di una storia, di un'archeologia i cui effetti si riflettono continuamente nei significati vissuti producendo degli spostamenti, per cui il mondo cambia e non può più essere come prima. E certo ci si potrà trovare spaesati e angosciati quando questo accade, ma non accade per errore o follia di esseri malvagi, accade per necessità, ove la necessità sta in quello che si fa e si riconosce fattibile. Non è che il passaggio dall'armonia del tempo ciclico del greco all'hybris del tempo progressivo e salvifico del cristiano contaminato da testi semitici, all'umanesimo rinascimentale fino (scandalo di ogni scandalo) al pensiero illuministico della ragione sufficiente sia il percorso di una follia crescente a cui si può pensare di porre rimedio ripercorrendo la storia a ritroso in nome del sogno di una purezza originaria e arcaica, tanto rassicurante, ma mai esistita e men che meno si può dire "ognuno a casa propria" a crepare con la porta ben chiusa e il muro alto attorno all'orto, perché nessun uomo dall'inizio dell'antropocene, è mai stato a casa propria, ogni uomo si è sempre sentito chiamato dall'altrove e proprio e solo per questo il genere umano, nel bene e nel male fino a oggi non si è estinto.
Poi è chiaro che l'incontro culturale è sempre rischioso, è sempre anche scontro come ogni incontro, che il cambiamento è angosciante, perché ogni volta siamo chiamati a ritrovarci e riconoscerci daccapo e può essere quanto mai faticoso e doloroso. Ma questo significa solo cercare di attuarlo gestendolo, per quanto ci è consentito, nel modo meno impattante possibile, non nell'evitarlo a tutti i costi, perché di là dal riparo dell'illusione dei muri fisici e mentali la forza dell'impatto cresce e crescendo finirà per travolgerci tutti, quando l'illusione del riparo all'improvviso svanirà e noi non saremo per nulla pronti.
Lo impararono già i Cinesi quasi 2 millenni or sono quando si illusero di ripararsi dai Mongoli con la Grande Muraglia per ritrovarsi con l'essere governati da sovrani Mongoli e i Romani con i loro valli il cui risultato fu finire sotto imperatori Germanici: i muri fisici o mentali che siano non servono assolutamente a nulla, si aggirano, si demoliscono e si disgregano sempre.
Il problema non è la liquidità, il problema è come ritrovarsi nella liquidità inevitabile delle cose, senza sognare di mantenersi ben fissi su solidità imperturbabili ed eterne.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: paul11 il 04 Febbraio 2017, 19:05:08 PM
Inverno
come al solito non hai capito l'essenza del discorso. Almeno impara ad argomentare Attenderò PrimaVera-

Donquixote

La prima fase della società, o come vuoi chiamarla comunità, in quanto la differenzi, è tipica praticamente di tutte le tradizioni.E' un ordine come giustamente argomenti che è dentro un'altro ordine(micro e macrocosmo,ma si può
denotarlo in altri modi).Giustamente dichiari le modalità del suo funzionamento.

Aggiungo io; questa è la società deduttiva e chiusa, perchè il micro è derivato dal macro.

Il salto culturale che compie l'Occidente, e lo fa solo l'Occidente , è proprio quello che chiami conoscenza induttiva.Ma due cose devono essere chiarite: perchè lo fa e le altre culture no e perchè lascia alla fine il "mondo deduttivo".Capire queste due ragioni è fondamentale per correlare le altre culture che non hanno le discipline scientifiche che portano alla tecnica e al potere tecnologico, vera differenza e caratteristica dell'Occidente,

L'Europa non decade per interessi e valori, perchè sono comunque sempre motivazioni ad esistere ,a pensare ed agire.

L' errore è dimenticare l'agente conoscitivo, l'uomo che sposta l'episteme storicamente.Non avere il soggetto, signifca perdere di vista la sua coscienza e implicitamente il sistema epistemologico.
Noi, in realtà agiamo siamo induttivamente ,come le scienze naturali moderne(ma quì sarebbe da discutere anche sull'epistemologia avversa fra Popper e Feyerabend), che deduttivamente, vale a dire spostiamo  e relazioniamo il micro al macro e poi il macro al micro, il particolare al tutto e il tutto al particolare.
La razionalità scientifica, quella che certa epistemologia definisce razionale, forma le leggi universali come matematica, quindi sposta l'osservazione fisica nel dominio metafisico(piaccia o non piaccia ma la matematica non è un sasso) e si ferma quì, perdendo tutto il dominio che  rende l'uomo, umano.

La prima fase storica è stata deduttiva e caratterizzava un modo di costruire le relazioni sociali.
La seconda fase storica , attualmente in corso, è induttiva e si caratterizza all'opposto.
La terza fase......" ha da venì"

La società liquida, che definisco come trasformista e opportunista, è contrapposta alla solidità.
Perchè il liquido non ha  forma fisica, prende la forma del contenitore, in questo caso culturale in cui è immersa.

E' ciò che è ancora umano nell'uomo che si contrappone psichicamente spiritualmente e chi riesce a definirlo, concettualmente alla modalità al prodotto storico di un uomo prigioniero della sua stessa cultura.

Non approfondisco di più.o ci sono valide analisi o è meglio tacere che essere capito male.
Quindi dipende dal livello del dibattito.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: InVerno il 04 Febbraio 2017, 20:39:17 PM
Citazione di: paul11 il 04 Febbraio 2017, 19:05:08 PMInverno
come al solito non hai capito l'essenza del discorso. Almeno impara ad argomentare Attenderò PrimaVera-
Io non ho niente in contrario se hai voglia di parlare di storia della filosofia, ma è quando teorizzi presente futuro e passato di tutte le nazioni Europee + un virus del suicidio culturale in incubazione dai tempi di Aristotele in una manciata di righe che mi inchino alle tue doti per l'argomentazione. Hai imparato dai pellerossa?
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: paul11 il 05 Febbraio 2017, 00:15:48 AM
Citazione di: InVerno il 04 Febbraio 2017, 20:39:17 PM
Citazione di: paul11 il 04 Febbraio 2017, 19:05:08 PMInverno
come al solito non hai capito l'essenza del discorso. Almeno impara ad argomentare Attenderò PrimaVera-
Io non ho niente in contrario se hai voglia di parlare di storia della filosofia, ma è quando teorizzi presente futuro e passato di tutte le nazioni Europee + un virus del suicidio culturale in incubazione dai tempi di Aristotele in una manciata di righe che mi inchino alle tue doti per l'argomentazione. Hai imparato dai pellerossa?
Lo dico in termini pacati, da bon ton come impone il forum.
Come al solito fai battute per mancanza di argomentazioni, mostrandoti per quello che sei, e spero per te che quel che mostri non sia veramante tu.
Se ritieni, come troppi, che sia all'interno dell'attuale scienza, che sia la pollitica, sociologia, antropoogia, la possibilità di costruire una seria analisi si fa apologia dell'attuale potere culturale,anche quando si è contrari. Questa cultura ha delle radici e caratteristiche, o si è in grado di capire dove sono e quali sono oppure la medicina sarà sempre funzionale alla malattia, perchè interna al dominio stesso.
Chiarisco per la seconda  volta a te. Non ho mai detto che le società primiitive siano migliori, Ma quelle popolazioni  hanno delle certezze, che siano vere o presunte è un'altro paio di maniche, che le rendono serene per molti versi, sanno cosa accettare e sanno cosa cambiare, ma sempre dentro un loro ordine culturale.
Noi ,inteso come occidentali, ma prodotto storico di una cultura che è sumerico/accadica, egiziana, ebrea, fenicia, greca, ecc. siamo attitudinalmente diversi dal resto delle culture che si sono "fermate".Lo si vede dalla tecnica e la tecnologia. Se lle nostre caratteristiche sono queste e non ci siamo fermati come loro, dovremmo chiederci il perchè. Noi siamo diventati storia lineare, mentre altri non hanno questo tipo di storia,
Se allora diciamo che l' Europa è suicida, almeno per me, lo intendo come prodotto storico in cui vi sono costanti e determinanti culturali che la spingono, la motivano per questa strada. Se la caratteristica è la tecnica e la tecnologia, implica la capacità di categorizzare, organizzare, conoscenze in una determinata finalità focalizzando metodi e fini. Il capitalismo, tanto per intenderci, non può nascere in quelle tradizioni ferme.
Il capitalismo si sposa benissimo con forme democratiche e allora dobbiamo intenderci cosa veramente siano capitalismo e democrazia.Perchè i nemici del capitalismo e positivismo cuturale sono stati nazismo, fascismo, comunismo, cristianesimo?Perchè pur con ovvie differenze sono ideologie e in quanto tali mettono in discussione l'ordine scelto esplicato nella modernità  e la natura, quindi l'ambito e il significato dell'esistenza umana.
Le ideologie sono ancora deduttive, perchè esiste una storia come premessa,certo è un'interpretazione diversa per ogni forma deduttiva, ma viene discusso una forma di ordine con contenuti e significati diversi dal sistema induttivo. Si richiamano tutte a forme che sono proprie del sistema deduttivo e non induttivo,che implica il focus sul fenomeno in sè e solo su questo,anche se  si contraddice.
Insomma, se le ideologie hanno fallito è perchè l'occidentale attuale ha scelto il mondo induttivo e si affida alle scienze, non più alle filosofie o religioni. Gli scontri culturali non sono date dalle razze , ma dalle interpretazioni delle tradizioni. Le scienze, come la tecnica e per ricaduta le tecnologie, danno il potere "fisico" delle armi,danno la volontà di potenza a continuare  e proseguire.Le altre culture o si riducono a nicchia o saranno ineluttabilmente invase, o dovranno migrare.Si dovranno occidentalizzare, perchè questa è la regola della terra : il più forte vince.

Questo uomo forte occidentale lo è davvero? Le popolazioni asiatiche e africane sono nettamente superiori a quella occidentale.L'uomo occidentale induttivo si è relativizzato, non procede più per certezze scientifiche e nemmeno per assoluti.E' destinato a soccombere dal più debole, ma quel debole imparerà la nostra cultura e sarà il prossimo europeo.
Se mi sono fatto capire, non dò giudizi di valore se sia giusta la tradizione ferma  e chiusa, o quella in evoluzione culturale e aperta. Entrambe hanno limiti che sono nella coscienza del soggetto umano.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: donquixote il 05 Febbraio 2017, 09:38:49 AM
Citazione di: InVerno il 04 Febbraio 2017, 11:13:58 AMLa supposta armonia organica in cui vivevano le società tradizionali non fa altro che parte di una delle fasi identitarie degli "stati nascenti" (Alberoni). L'età dell'oro dove le utopie sono realizzate, l'evento dirompente che corrompe la società, e la susseguente creazione di uno "stato nascente" (e le profezia di sventura in caso dalla nascita si passi ad un aborto spontaneo). L'ipotesi di un età dell'oro è necessaria per chiunque voglia ipotizzare un nuovo sistema ordinato ed è funzionale a questo scopo più che ad altro.

Se questa supposta "fase identitaria" dura da diecimila anni forse bisognerebbe rivedere la tesi e chiamarla diversamente (equilibrio?) E l'ipotesi (se di ipotesi si tratta) dell'età dell'oro è una normale deduzione e non certo un punto di partenza per l'invenzione di tutte le utopie da essa ispirate, e questa "ipotesi" esiste eccome anche nelle culture orientali, anzi molto probabilmente Esiodo l'ha mutuata da esse che la descrivono come  la prima dei quattro "yuga".  Inoltre anche il "paradiso terrestre"  presente nel libro della  Genesi è un'altra immagine dell'età dell'oro perduta, e anche questo viene da oriente. Per il resto è difficile commentare una serie di affermazioni fuori contesto che nel loro insieme si possono riassumere in "tutti dobbiamo morire", culture comprese ovviamente (Spencer). Ma comunque anche se tutti dobbiamo morire un conto è farlo a 60 anni dopo aver trascorso una vita serena e significativa lasciando la tua casa così come l'hai trovata, un altro è farlo a 20 anni drogato marcio dopo aver distrutto ciò che ti sta intorno e ammazzato tutti i tuoi vicini in una serie di impeti di follia o crisi d'astinenza.


Citazione di: maral il 04 Febbraio 2017, 13:08:28 PMA parte l'assurdità di riportare le diversità culturali e i problemi che esse generano a differenze razziali biologiche (non occorre essere intellettuali sinistroidi per sapere che un norvegese può differenziare geneticamente da un ottentotto ben di più di quanto non si differenzi dal suo vicino di casa, norvegese pure lui da generazioni, basta informarsi un minimo sui risultati delle ricerche genetiche ormai ampiamente diffuse e accessibili a chiunque non voglia mantenersi analfabeta in biologia per tutelare i propri preconcetti), non capisco proprio il motivo di tutto questo dovere assoluto a preservarsi nella purezza delle proprie radici. Non capisco come non ci si renda conto del fatto che questa purezza è del tutto immaginaria, frutto magari di necessità esistenziali che vanno comprese, ma che resta sempre immaginaria, quindi è una pretesa che cerca fondamento nell'immaginazione. E' immaginaria nella storia di qualsiasi cultura che è sempre il risultato di incontri tra modi di vivere e di praticare il mondo diversamente: la cultura occidentale è il risultato dell'incontro di popolazioni recanti tradizioni estremamente diverse, pur nel comune modo di sentire umano, di antropologie diverse. Gli antichi popoli mediterranei non erano gli Achei che venivano, come tutti i popoli indoeuropei, dagli altopiani iranici e dal cui incontro nacque quella cultura greca che poniamo all'inizio della storia culturale europea e che fu preservata nei regni islamici che si stabilirono in Spagna, mentre l'Europa tutta veniva distrutta da altri popoli di diversa cultura: i Germanici, provenienti dalle propaggini nord orientali del continente. Il cristianesimo, altro grande contrassegno della cultura europea, è anch'esso il risultato di una contaminazione culturale, proveniente dal Medio Oriente che si fuse con la tradizione greca e raccolse poi in sé le tradizioni di quegli stessi selvaggi germanici che ridiedero vigore al percorso culturale europeo, lo trasformarono nel corso di secoli di storia. Anche la cultura vedica è il frutto di un'ibridazione e così ogni cultura, perché ogni cultura che si isola per mantenersi pura è da sempre una cultura che si autodistrugge, inevitabilmente.

A parte il fatto che sono esistiti popoli che per migliaia e migliaia di anni hanno vissuto senza alcun contatto con culture aliene (avranno magari avuto dei vicini ma erano sicuramente molto simili a loro, come i romani coi sabini o i Sioux coi Cheyenne) prima che qualcuno decidesse di attraversare gli oceani per andare dalla Patagonia alla Papuasia a divulgare al mondo il verbo razionalista appena scoperto e renderli partecipi della scienza occidentale (e magari qualcuno si sarà anche chiesto come potessero essere ancora al mondo uomini che non avevano mai potuto godere dei benefici delle scoperte occidentali, e forse la risposta che si è dato è che non potevano ovviamente essere uomini, tanto che di conseguenza cominciarono a trattarli da animali) e a parte il fatto che determinate differenze sono evidenti di per sé e non c'è alcun bisogno di ricerche biologiche che le confermino o le smentiscano (che l'uomo bianco caucasico sia sempre stato più portato all'azione che al pensiero è un fatto, non un'opinione: basta vedere, già nel pensiero stesso, la grande quantità di azione che ha espresso con miliardi di volumi  rispetto alla minima qualità che ne è risultata) e comunque affidarsi alle ricerche della biologia in campo genetico per fare valutazioni sulle diversità culturali è, ancora una volta, andare alla ricerca della ghiandola pineale chiamandola con un altro nome e dunque essere vittime di un pregiudizio materialista, la questione non è l'ibridazione in sé, che indubbiamente è sempre avvenuta fra popoli che entravano in contatto fra loro, ma la spontaneità e la volontarietà di tale ibridazione, e soprattutto la compatibilità di ciò che si acquisisce con la cultura già in essere. Un conto è cambiare un simbolo o adottare una diversa manifestazione culturale perchè le si ritiene un'espressione migliore della cultura che si possiede, e farlo volontariamente, altro è invece subire l'imposizione violenta di culture "altre" (o di parti di esse) incomprensibili dal popolo e incompatibili con la visione del mondo e l'organizzazione sociale vigenti, che ovviamente non potranno arricchire ma solo disgregare una cultura. Inoltre è fondamentale considerare il tempo in cui tutto ciò avviene, che deve essere tale da consentire al popolo di assimilare le "novità" senza creare scompensi, salvaguardando così l'equilibrio interno.


Citazione di: maral il 04 Febbraio 2017, 13:08:28 PMI punti che Donquixote assume come inizio della disgregazione dell'Occidente sono certo accadimenti che mutarono la visione del mondo e delle cose, ma non hanno nulla di radicalmente o ontologicamente sbagliato di per sé, ma sono conseguenze inevitabili di una storia, di un'archeologia i cui effetti si riflettono continuamente nei significati vissuti producendo degli spostamenti, per cui il mondo cambia e non può più essere come prima.

Dato che "panta rei" nessuno si sogna di auspicare una immobilità "pratica" (che peraltro viene perseguita più qui da noi che altrove con le nostre costituzioni e le nostre innumerevoli leggi scritte), ma ciò che è auspicabile (e fondamentale) è l'immobilità dei fondamenti (che se sono tali devono essere anche immobili). Un popolo può cambiare alcune abitudini culturali se quelle nuove sono più confacenti alla sua mutata mentalità e più comprensibili dalle persone di quelle precedenti, ma queste devono essere comunque riconducibili ai principi su cui la propria cultura si basa e devono essere compatibili e coerenti con una visione unitaria della stessa, quindi devono in qualche modo "migliorare" una cultura e non distruggerla. I quattro punti che ho indicato in precedenza sortiscono l'effetto opposto dell'unità, e più questi verranno applicati con costanza e rigore più alimenteranno la disunione, la frammentazione, la polverizzazione. Una cultura che ha quelle come basi significa che è una cultura ove tutti sono uniti sul fatto che bisogna essere tutti divisi, perché se non esiste un punto di riferimento superiore all'ego individuale a cui questo possa essere "sacrificato" ogni individuo si sentirà naturalmente il centro del mondo e della sua società alimentando le proprie pretese (i "diritti") senza dar nulla in cambio. Se dunque la cultura di un popolo è ciò in cui lo stesso si riconosce questa cultura è esattamente l'opposto, poiché ognuno si riconosce solo in se stesso e il "popolo" (ovvero la società, lo stato) dovrà essere a sua disposizione per garantire il soddisfacimento di ogni sua pretesa, anche la più insensata, e le linee di tendenza già citate sono quindi, dal punto di vista "culturale", radicalmente e ontologicamente sbagliate. Che poi si possano considerare conseguenze inevitabili della storia e che non si possa cambiare la situazione è altra questione che non attiene il giudizio su di esse, che rimane il medesimo.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Eretiko il 05 Febbraio 2017, 11:52:52 AM
Citazione di: donquixote il 03 Febbraio 2017, 14:32:38 PM
Se questa dunque è la cornice di riferimento di una cultura bisogna vedere in cosa, e da quando, l'Europa ha iniziato ad edificare la sua cultura su basi completamente differenti, opposte  a quelle precedenti, costruendo quindi nei fatti una controcultura (o una non-cultura) che ovviamente non avrebbe potuto che, col tempo, portare ad una disgregazione.

Galileo Galilei affermava (giustamente) che il sillogismo Aristotelico rischiava di essere una tautologia quando applicato alla filosofia naturale (oggi diremmo alle scienze naturali), e noto che dopo 4 secoli ancora non siamo convinti di questo.
Per non restare sulla sterile retorica faccio un esempio concreto, mutuato da Galileo, relativo alla sua scoperta che il pianeta Venere presentava le fasi così come il pianeta Luna; il ragionamento è il seguente:
A - se il sistema planetario fosse eliocentrico, allora Venere ci presenterebbe le fasi (proposizione vera a priori)
B - Venere presenta le fasi, quindi il sistema planetario è eliocentrico.
Ovviamente la proposizione B non è corretta secondo la logica formale (come fece notare ironicamente Russel), in base alla quale la proposizione B corretta sarebbe:
BB - il sistema planetario è eliocentrico, quindi Venere presenta le fasi.
Credo non bisogna aggiungere altro per capire che la versione corretta BB non aggiunge nulla alla conoscenza, perchè ammette vera a priori l'ipotesi che il sistema planetario è eliocentrico.
E forse vale la pena sottolineare che nel ragionamento di Galilei non si usa semplicemente il metodo induttivo, ma un misto induttivo-deduttivo che sicuramente scandalizzò i teologi scolastici.
E' proprio questo sottile uso misto che è difficile da accettare, come hanno dimostrato e continuano a dimostrare molti filosofi ancora convinti che esista una conoscenza che trascenda le scienze naturali, e forse è per questo che ancora oggi la società occidentale sembra frantumarsi, stretta tra miti mediorientali, tecnologia, scienza e trascendenza, dimostrando semmai la non raggiunta maturità piuttosto che la disgregazione.
E lo dimostra il fatto che ancora stiamo a discutere di illuminismo, di Rivoluzione Francese, di materialismo, di meccanicismo, di razionalismo, di individualismo e liberalismo, come se ci fosse un "prima" bello, e un "dopo" orrendo, con la scienza che fa da spartiacque.
Se questo è il suicidio culturale, sono contento di essermi suicidato, sommessamente ricordando che non sono stati certo i miti mediorientali e il cristianesimo (dove molti pretendono ancora di porre le nostre radici) a farci scrivere la carta dei diritti fondamentali dell'uomo, e che prima ancora di esportare il nostro "sapere razionale" abbiamo esportato, con esiti tragici, il nostro "sapere irrazionale" nella convinzione di avere una "missione" nel mondo.

Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: InVerno il 05 Febbraio 2017, 12:35:32 PM
Citazione di: paul11 il 05 Febbraio 2017, 00:15:48 AM
Citazione di: InVerno il 04 Febbraio 2017, 20:39:17 PM
Citazione di: paul11 il 04 Febbraio 2017, 19:05:08 PMInverno
come al solito non hai capito l'essenza del discorso. Almeno impara ad argomentare Attenderò PrimaVera-
Io non ho niente in contrario se hai voglia di parlare di storia della filosofia, ma è quando teorizzi presente futuro e passato di tutte le nazioni Europee + un virus del suicidio culturale in incubazione dai tempi di Aristotele in una manciata di righe che mi inchino alle tue doti per l'argomentazione. Hai imparato dai pellerossa?
Lo dico in termini pacati, da bon ton come impone il forum.
Come al solito fai battute per mancanza di argomentazioni, mostrandoti per quello che sei, e spero per te che quel che mostri non sia veramante tu.
Se ritieni, come troppi, che sia all'interno dell'attuale scienza, che sia la pollitica, sociologia, antropoogia, la possibilità di costruire una seria analisi si fa apologia dell'attuale potere culturale,anche quando si è contrari. Questa cultura ha delle radici e caratteristiche, o si è in grado di capire dove sono e quali sono oppure la medicina sarà sempre funzionale alla malattia, perchè interna al dominio stesso.
Chiarisco per la seconda  volta a te. Non ho mai detto che le società primiitive siano migliori, Ma quelle popolazioni  hanno delle certezze, che siano vere o presunte è un'altro paio di maniche, che le rendono serene per molti versi, sanno cosa accettare e sanno cosa cambiare, ma sempre dentro un loro ordine culturale.
Noi ,inteso come occidentali, ma prodotto storico di una cultura che è sumerico/accadica, egiziana, ebrea, fenicia, greca, ecc. siamo attitudinalmente diversi dal resto delle culture che si sono "fermate".Lo si vede dalla tecnica e la tecnologia. Se lle nostre caratteristiche sono queste e non ci siamo fermati come loro, dovremmo chiederci il perchè. Noi siamo diventati storia lineare, mentre altri non hanno questo tipo di storia,
Se allora diciamo che l' Europa è suicida, almeno per me, lo intendo come prodotto storico in cui vi sono costanti e determinanti culturali che la spingono, la motivano per questa strada. Se la caratteristica è la tecnica e la tecnologia, implica la capacità di categorizzare, organizzare, conoscenze in una determinata finalità focalizzando metodi e fini. Il capitalismo, tanto per intenderci, non può nascere in quelle tradizioni ferme.
Il capitalismo si sposa benissimo con forme democratiche e allora dobbiamo intenderci cosa veramente siano capitalismo e democrazia.Perchè i nemici del capitalismo e positivismo cuturale sono stati nazismo, fascismo, comunismo, cristianesimo?Perchè pur con ovvie differenze sono ideologie e in quanto tali mettono in discussione l'ordine scelto esplicato nella modernità  e la natura, quindi l'ambito e il significato dell'esistenza umana.
Le ideologie sono ancora deduttive, perchè esiste una storia come premessa,certo è un'interpretazione diversa per ogni forma deduttiva, ma viene discusso una forma di ordine con contenuti e significati diversi dal sistema induttivo. Si richiamano tutte a forme che sono proprie del sistema deduttivo e non induttivo,che implica il focus sul fenomeno in sè e solo su questo,anche se  si contraddice.
Insomma, se le ideologie hanno fallito è perchè l'occidentale attuale ha scelto il mondo induttivo e si affida alle scienze, non più alle filosofie o religioni. Gli scontri culturali non sono date dalle razze , ma dalle interpretazioni delle tradizioni. Le scienze, come la tecnica e per ricaduta le tecnologie, danno il potere "fisico" delle armi,danno la volontà di potenza a continuare  e proseguire.Le altre culture o si riducono a nicchia o saranno ineluttabilmente invase, o dovranno migrare.Si dovranno occidentalizzare, perchè questa è la regola della terra : il più forte vince.

Questo uomo forte occidentale lo è davvero? Le popolazioni asiatiche e africane sono nettamente superiori a quella occidentale.L'uomo occidentale induttivo si è relativizzato, non procede più per certezze scientifiche e nemmeno per assoluti.E' destinato a soccombere dal più debole, ma quel debole imparerà la nostra cultura e sarà il prossimo europeo.
Se mi sono fatto capire, non dò giudizi di valore se sia giusta la tradizione ferma  e chiusa, o quella in evoluzione culturale e aperta. Entrambe hanno limiti che sono nella coscienza del soggetto umano.
Quello che ha cominciato con le battute e il dibattito "non a livello" non sono io, cosa descrivono di te? Ma guarda che io non me la prendo con la tua tesi centrale e le tue interpretazioni di storia della filosofia, in linea generale sono pure d'accordo seppure mi continui a sembrare un approccio semplificativo. Quello con cui non sono d'accordo sono innanzitutto le "certezze" foriere di "serenità" delle popolazioni primitive, e ho chiesto nomi e cognomi, per vedere se c'è materiale per "chiedere a loro" come vivono questa "serenità", almeno evitiamo di farne una questione personale. A me pare roba da bancarella new age, e ho vissuto in prima persona alcune di queste società primitive, ma magari sbaglio ed erano già corrotti "dal virus", il che appunto non si capisce come tenga in piedi la chiosa
popolazioni asiatiche e africane sono nettamente superiori a quella occidentale.L'uomo occidentale induttivo si è relativizzato, non procede più per certezze scientifiche e nemmeno per assoluti.E' destinato a soccombere dal più debole, ma quel debole imparerà la nostra cultura e sarà il prossimo europeo.

Ma quali popolazioni africane? I boscimani?I beduini? Tutta l'africa\asia è declinata all'occidentalizzazione postcoloniale (ancora di più se si tratta di una mera differenza induttiva\deduttiva). Ho citato Fukuyama proprio per rimarcare questo, seppure la tesi sia evidentemente provocatoria, il mondo rimasto "non occidentale" finito il colonialismo è un mondo residuale e minimo, chiuso in riserve. Ma pensi che ci siano i boscimani sui barconi che vengono a farsi instillare il virus occidentale? Prendi un mappamondo fallo girare, fermalo con il dito dove vuoi tu e dimmi : non sono occidentali? Per me la risposta non è chiarissima, perchè l'occidente è una questione complessa e ramificata, ma prendiamo per buono il tuo "virus induttivo". Lo hanno già o no? La risposta si, ovunque il tuo dito si fermerà, persino in groenlandia. Non c'è nessuna popolazione che viene a varsi appestare, le abbiamo già appestate tutte. E' un virus del suicidio? Potrebbe, ci sono teorie che vedono all'intelligenza (definita dalla nostra prospettiva etnocentrica-induttiva) come un fattore ostativo alla sopravvivenza, ma a quel punto l'età dell'oro non è rapprensentata dalle società primitive, ma dai batteri.

Citazione
Se questa supposta "fase identitaria" dura da diecimila anni forse bisognerebbe rivedere la tesi e chiamarla diversamente (equilibrio?) E l'ipotesi (se di ipotesi si tratta) dell'età dell'oro è una normale deduzione e non certo un punto di partenza per l'invenzione di tutte le utopie da essa ispirate, e questa "ipotesi" esiste eccome anche nelle culture orientali, anzi molto probabilmente Esiodo l'ha mutuata da esse che la descrivono come  la prima dei quattro "yuga".  Inoltre anche il "paradiso terrestre"  presente nel libro della  Genesi è un'altra immagine dell'età dell'oro perduta, e anche questo viene da oriente. Per il resto è difficile commentare una serie di affermazioni fuori contesto che nel loro insieme si possono riassumere in "tutti dobbiamo morire", culture comprese ovviamente (Spencer). Ma comunque anche se tutti dobbiamo morire un conto è farlo a 60 anni dopo aver trascorso una vita serena e significativa lasciando la tua casa così come l'hai trovata, un altro è farlo a 20 anni drogato marcio dopo aver distrutto ciò che ti sta intorno e ammazzato tutti i tuoi vicini in una serie di impeti di follia o crisi d'astinenza.
E' certamente una forma di equilibrio, seppur basato sul mutamento dei paradigmi invece che sulla staticità. Che questo sia presente anche in oriente io non sarei convinto, o almeno non ne è convinto Alberoni le cui spiegazioni a riguardo ti rimando se vorrai. Anche se il paradiso terrestre fosse migrato da oriente (oriente rispetto alla siria suppongo), sarebbe un oriente protoagricolo e non caratterizzato da quel dispotismo che ad avviso di alcuni, ha bloccato poi successivamente questo tipo di archetipo. Dove è oggi, lo stesso archetipo in oriente? Non siamo destinati tutti a morire, ma siamo destinati a contraddirci parecchie volte, e attraverso istanze perlomeno assurde da un punto di vista oggettivo. Per esempio questo vittimismo occidentale che ci vede suicidi inconsapevoli, era una volta una bandiera di certi ambiti, oggi a quanto pare è cosa per conservatori.. Ho come l'impressione che ci sia sempre questo "virus induttivo" che ci tenda agguati e ci costringa a trasporre la morte di alcuni valori (personali, familistici, partitici) in senso assoluto, continentale...
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: paul11 il 05 Febbraio 2017, 14:31:36 PM
Inverno, 
finalmente almeno chiarisci qualcosa e non solo come un puzzle di citazioni.
Certo, quelle culture sono sempre più accerchiate, residuali ,nicchie come le ho caratterizzate.
Sono quelle tribù non ancora urbanizzate in Africa e in Asia.Non ancora idustrializzate dagli standard occidentali e costruite sul consumismo.Sono sempre meno, e come ho scritto saranno invase dal batterio occidentale.
Ma loro,quelle culture, non invadevano, non imponevano, non "rompevano i coglioni".
Sono la freccia dell'indigeno lanciata contro un elicottero.La misura di differenze culturali e tecnologiche.
Non sono da santificare, non sono a noi superiori, semplicemente hanno una dignità come esistenza, perchè sono al mondo come noi. noi siamo a loro superiori per tecnica e tecnologia, e li vinceremo, perchè la regola della terra e della natura è la forza bruta o l'artificio tecnologico della bomba.

Questi sono fatti, non elucubrazioni antropologiche per vendere libri..

Il nostro induttivismo, non ha possiblità di costruire un ordine , perchè lo abbiamo perso uscendo dalla comunità/società deduttiva. Noi abbiamo scelto di esplorare l'ignoto, e abbiamo fatto scoperte e invenzioni e ci siamo accorti di essere forti e superiori, ma non pr cultura, ma per forza bruta.
La nostra storia è sangue ed arena, sotterfugio, competizione allo spasimo.le guerre  le battaglie sono fondamento della nostra cultura, come spartiacque di nuovi nomi, nuove casate, nuovi potenti , di nuove civiltà che hanno vinto non sul pino culturale ma prima con frecce e spade e poi con bombe sofisticate.
Ma noi no sappiamo più il rapporto fra il divino, la natura e la società,non essendoci nessun pensiero che li lega, anzi decostruiamo e distruggiamo il passato,come un passaggio in giudicato entrato nei libri di storia, E allora i nuovi potenti interpretano la storia a loro modo.Perchè non è vero che nel relativismo vi sia più libertà, più uguaglianza, chi vince impone il modello e cancella immediatamente il passato .

Chi è contento di questa società è perchè sta bene materialmente, è un privilegiato,Oppure può essere un privilegiato ,ma ancora con "sale in zucca".
Ma dobbiamo anche sapere che se la regola della terra è la forza tutti hanno il diritto di violentare e uccidere, compresi quegli originari inermi che si rivoltano.
Perchè se la nostra cultura ha appiattito all'opinione il significato della propria esitenza, c'è chi la pensa diversamente e hanno imparato il peggio di noi.Ci invaderanno fisicamente, come noi abbiamo prima invaso per interessi la loro cultura contaminandola.Gli abbiamo insegnato, consciamente o incosciamente che è allettante avere potere e denaro e che per farlo bisogna fregare il prossimo.

Se non vogliamo capire dai sintomi dell'<occidente quale sia la malattia, correremo continuamente dietro ai problemi culturali, economici e sociali che giornalmente da qualche parte ogni giorno puntualmente i nostri mass media ci informano.

Sarà mia considerazione personale, ma l'uomo occidentale oggi è un malato di coscienza ,psichica e spirituale, i linguaggi non utilizzati dalla tecnica e dalla tecnologia, è ferito nei sentimenti nella sua propria identità come persona, nella regola di ognuno per sè e nessun Dio per tutti.Nessuno può consolarci, Nemmeno una cultura, una credenza una fiducia in qualcosa. Ogni individuo ha ormai personalizzato la propria idea di società, di giustizia, di relazione sentimentale, non essendoci limiti, non essendoci regole che abbiano senso. Tutto è fatto oggi per essere di nuovo decostruito e distrutto domani, dagli oggetti di consumismo, dai suicidi, dagli alcolizzati, dai problemi mentali e familiari,dalla società che impone di competere dal cercare lavoro, dall'essere primi della classe, perchè gli ultimi sono "out", sono già derelitti e i vecchi non sono produttivi, sono un costo sociale pensionistico , sono un costo sanitario. Sono socialmente inutili, evviva l'eutanasia!.

Ma quanto e come devo descrivere questa società per  far capire che il nostro desiderio culturale è finire?Per mano nostra o per mano altrui.Andiamo avanti per inerzia,giorno dopo giorno scongiurando la morte e contraddicendola con il desiderio stesso di finire. Tanto più una cultura cerca con la volontà soluzioni di una eterna giovinezza bandendo la malattie e tanto più è malata nel profondo di Sè, perchè non sa accettare la regola della vita, non sa più vivere.

Io credo in  una società in cui la coscienza umana sappia armonizzare il deduttivo e l'induttivo, il micro con il macro.Che sappia che le cose più importanti nella vita sono le relazioni sociali, saper stare in famiglia, in società.Sapersi accettare come limite, saper sfidare il proprio limite per questa è la vera competetizione con noi stessi,Sapere ancora stare attorno ad un cammino, neri, gialli, bianchi di pelle con un calumet, se vuoi, o semplicemente con un buon bicchiere di vino e sapere ascoltare e parlare.
Noi abbiamo perso la semplicità, complicando il mondo,Quando le cose essenziali passano fra ragione e sentimenti e toccano i nostri nervi.
Io vedo un mondo di animali che ha costruito artificiosamente una società che rispecchia per metafora la giungla,Questa umanità è bestiale, non animale, perchè non prova nemmeno più compassione, ha imparato ad anestetizzare i propri sentimenti perchè questa società di forti vuole uomini forti che poi sono ignoranti, astuti nella loro finalità disumana, spregevoli nei loro sentimenti, ipocondriaci nelle loro fobie.
Io vedo malattia ovunque mi giro,ogni tanto barlumi di verità in essenziali gesti ancora umani,ultimo residuo di un baluardo di un uomo ancora umano.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Sariputra il 05 Febbraio 2017, 15:28:35 PM
L'"Occidente" è un aggregato? Ogni aggregato, per sua natura, non può che disgregarsi. La disgregazione si può subire o cercare di guidarla verso una nuova aggregazione più positiva. Consci che si disgregherà ulteriormente.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Eretiko il 05 Febbraio 2017, 15:32:32 PM
Scusa Paul11, ma queste civiltà ideali dove tutti vivevano nell'amore e nella reciproca sussistenza, in armonia con una natura che tutto donava gratis, stanno solo in qualche arcaico mito mediorientale. Tanto è vero che in breve hanno dovuto fare inversione ad U per scoprire che non esiste nessun eden, ma solo una natura ostile dove nessun pasto è gratis, e tanto è vero che ancora stanno cercando la "terra dove scorre latte e miele", ovviamente senza trovarla (anche se qualcuno vuole prendersi terre non sue proprio perché qualcuno ha scritto che niente di meno che il padre eterno in persona ha promesso...).
Qui continuiamo ancora a parlare di metodo deduttivo o induttivo come se 400 anni fossero passati invano, come se Galileo, Newton, Kant, Einstein non fossero esistiti. E' la filosofia che ha abdicato al suo compito, quello di tentare di trovare le risposte, ma risposte coerenti con quello che la scienza scopre. Invece no, continuiamo ad arrovellarci la testa su questioni trascendentali, continuiamo a dire "scienza si" o "scienza no", continuiamo a pensare che l'uomo e l'umanità è qualcosa di profondamento diverso dall'universo che lo ha generato, continuiamo il gioco di costruire castelli mentali (trascendenti) incoerenti con la nostra natura e il nostro essere.
Usiamo la tecnologia, ci rallegriamo della migliore qualità della vita che ci ha permesso, ma rifiutiamo quel percorso culturale che ci ha condotto a questo. Continuiamo a dire che noi siamo i cattivi e gli altri sono i buoni, ma non capisco perché lo affermiamo solo come conseguenza di un potere tecnologico, dimenticando che molto prima di farlo in nome di una ipotetica supremazia culturale lo abbiamo fatto in nome di una presunta divinità.
Invadere il mondo in nome di Cristo va bene (anzi si deve fare), ma invaderlo con la tecnologia è sbagliato?
   
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: donquixote il 05 Febbraio 2017, 18:04:49 PM
Citazione di: paul11 il 04 Febbraio 2017, 19:05:08 PMLa prima fase della società, o come vuoi chiamarla comunità, in quanto la differenzi, è tipica praticamente di tutte le tradizioni.E' un ordine come giustamente argomenti che è dentro un'altro ordine(micro e macrocosmo,ma si può denotarlo in altri modi).Giustamente dichiari le modalità del suo funzionamento. Aggiungo io; questa è la società deduttiva e chiusa, perchè il micro è derivato dal macro. Il salto culturale che compie l'Occidente, e lo fa solo l'Occidente , è proprio quello che chiami conoscenza induttiva.Ma due cose devono essere chiarite: perchè lo fa e le altre culture no e perchè lascia alla fine il "mondo deduttivo".Capire queste due ragioni è fondamentale per correlare le altre culture che non hanno le discipline scientifiche che portano alla tecnica e al potere tecnologico, vera differenza e caratteristica dell'Occidente, L'Europa non decade per interessi e valori, perchè sono comunque sempre motivazioni ad esistere ,a pensare ed agire. L' errore è dimenticare l'agente conoscitivo, l'uomo che sposta l'episteme storicamente.Non avere il soggetto, signifca perdere di vista la sua coscienza e implicitamente il sistema epistemologico. Noi, in realtà agiamo siamo induttivamente ,come le scienze naturali moderne(ma quì sarebbe da discutere anche sull'epistemologia avversa fra Popper e Feyerabend), che deduttivamente, vale a dire spostiamo e relazioniamo il micro al macro e poi il macro al micro, il particolare al tutto e il tutto al particolare. La razionalità scientifica, quella che certa epistemologia definisce razionale, forma le leggi universali come matematica, quindi sposta l'osservazione fisica nel dominio metafisico(piaccia o non piaccia ma la matematica non è un sasso) e si ferma quì, perdendo tutto il dominio che rende l'uomo, umano. La prima fase storica è stata deduttiva e caratterizzava un modo di costruire le relazioni sociali. La seconda fase storica , attualmente in corso, è induttiva e si caratterizza all'opposto. La terza fase......" ha da venì" La società liquida, che definisco come trasformista e opportunista, è contrapposta alla solidità. Perchè il liquido non ha forma fisica, prende la forma del contenitore, in questo caso culturale in cui è immersa. E' ciò che è ancora umano nell'uomo che si contrappone psichicamente spiritualmente e chi riesce a definirlo, concettualmente alla modalità al prodotto storico di un uomo prigioniero della sua stessa cultura. Non approfondisco di più.o ci sono valide analisi o è meglio tacere che essere capito male. Quindi dipende dal livello del dibattito.

La storia del pensiero occidentale è, nelle sue linee generali, una immensa confessione di ignoranza. Da quando si situa storicamente il suo inizio, con i presocratici (che erano fisici, non metafisici, come notava Aristotele), e tranne le dovute eccezioni che come al solito confermano la regola, per il resto la "ricerca del sapere" da sempre perseguita dall'uomo ha espresso in occidente una innumerevole quantità di ipotesi che si sono rivelate della solidità della carta velina, e l'istituzione di una disciplina come la storia della filosofia che viene insegnata nelle scuole mostra chiaramente la resa dell'occidente di fronte alla propria ignoranza. Se la filosofia è la ricerca della verità, e la verità viene ricercata per poterla porre a fondamento di tutto ciò che le sta sotto che ne è solo un frammento costantemente in divenire, è necessario che un sistema di pensiero che non viene considerato verità o che sia altamente ambiguo debba essere accantonato, eliminato, poichè la sua sussistenza non potrà che creare confusione nella mente delle persone, che non sono tutti Platone per poterlo giudicare (anche se Kant magari pensava che lo fossero). La scienza, che viene unanimemente considerata l'unica espressione di verità in occidente, fa esattamente questo, elimina tutte le ipotesi e le teorie che secondo la comunità scientifica si sono dimostrate false e lascia solo quelle che invece vengono considerate vere; tanto è vero che la scienza si studia nelle scuole a partire dalle ultime "verità" e non esiste la "storia della scienza" che elenca tutti i suoi errori, ovvero le ipotesi e le teorie che si sono susseguite nel corso dei secoli e che poi sono state accantonate. Se dunque la filosofia, secondo la sua "storia", risulta essere un'accozzaglia di pensieri senza capo né coda e quindi la ricerca del sapere non ha condotto a nulla, o meglio ha condotto al nulla ovvero al nichilismo, e il sapere archetipico è stato quindi bollato come "inconoscibile" (già, se non riusciamo noi a conoscerlo nessun altro ci deve poter riuscire) e sostituito con il sapere individuale attraverso il quale ognuno potrà costruire una propria filosofia, una propria utopia e applicarla nella prassi, la scienza l'ha sostituita con il "saper fare", con gli strumenti che ci consentono di modificare la materia in modo da consentire ad ognuno di costruire il proprio personale "paradiso terrestre"; e se per fare questo si dovrà conculcare la possibilità ad altri di costruire il proprio, o li si dovrà sfruttare a nostro vantaggio, o si dovrà fare terra bruciata di tutto ciò che sta intorno al nostro paradiso a nessuno importa. E se una volta raggiunto tale obiettivo ci accorgessimo che non è il paradiso che credevamo (vedi comunismo) allora ricominceremo da capo a distruggere, con gli  strumenti della scienza e della tecnica, quello che eventualmente sarà rimasto in piedi, con il corollario che avendo perso tempo a perseguire obiettivi sbagliati dovremmo fare sempre più in fretta per raggiungere quelli "giusti". Dunque, a mio avviso, se l'occidente abbandona il metodo deduttivo lo fa prima di tutto per ignoranza, per incapacità di comprendere l'assoluto che di volta in volta ha sostituito con una innumerevole serie di "relativi" assolutizzandoli indebitamente (l'ultimo esempio di questo genere sono i "diritti umani") e costruendo su di essi i propri sistemi che inevitabilmente, come un casa costruita sulle sabbie mobili, cedevano; e in secondo luogo per l'indole essenzialmente attiva e non riflessiva che ha sempre avuto. L'uomo occidentale è un uomo del fare, non del pensare, e se il pensiero non riesce più a giustificare l'azione allora decide che l'azione si deve giustificare da sé.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: paul11 il 05 Febbraio 2017, 23:40:05 PM
Citazione di: Eretiko il 05 Febbraio 2017, 15:32:32 PM
Scusa Paul11, ma queste civiltà ideali dove tutti vivevano nell'amore e nella reciproca sussistenza, in armonia con una natura che tutto donava gratis, stanno solo in qualche arcaico mito mediorientale. Tanto è vero che in breve hanno dovuto fare inversione ad U per scoprire che non esiste nessun eden, ma solo una natura ostile dove nessun pasto è gratis, e tanto è vero che ancora stanno cercando la "terra dove scorre latte e miele", ovviamente senza trovarla (anche se qualcuno vuole prendersi terre non sue proprio perché qualcuno ha scritto che niente di meno che il padre eterno in persona ha promesso...).
Qui continuiamo ancora a parlare di metodo deduttivo o induttivo come se 400 anni fossero passati invano, come se Galileo, Newton, Kant, Einstein non fossero esistiti. E' la filosofia che ha abdicato al suo compito, quello di tentare di trovare le risposte, ma risposte coerenti con quello che la scienza scopre. Invece no, continuiamo ad arrovellarci la testa su questioni trascendentali, continuiamo a dire "scienza si" o "scienza no", continuiamo a pensare che l'uomo e l'umanità è qualcosa di profondamento diverso dall'universo che lo ha generato, continuiamo il gioco di costruire castelli mentali (trascendenti) incoerenti con la nostra natura e il nostro essere.
Usiamo la tecnologia, ci rallegriamo della migliore qualità della vita che ci ha permesso, ma rifiutiamo quel percorso culturale che ci ha condotto a questo. Continuiamo a dire che noi siamo i cattivi e gli altri sono i buoni, ma non capisco perché lo affermiamo solo come conseguenza di un potere tecnologico, dimenticando che molto prima di farlo in nome di una ipotetica supremazia culturale lo abbiamo fatto in nome di una presunta divinità.
Invadere il mondo in nome di Cristo va bene (anzi si deve fare), ma invaderlo con la tecnologia è sbagliato?

Non sono Tommaso Campanella, non ho idealizzato nulla.
Daccapo, le comunità o società erano il riflesso di un ordine superiore, per questo le definisco, ma è una mia personale considerazione, deduttive.Significa che il particolare era riconducibile ad un tutto in cui i vari ordini sono concentrci a quello superiore che lo contiene.
Ogni individuo sa che uscire dall'ordine avrà un contrappasso,come la sa la comunità.Il limite è superiore alla legge umana, quest'ultima si può ingannare o frodare, non il credere che vi sia un ordine superiore che ha il governo dell'intero sistema, compresa la vita umana., la natura, il destino.

Chi ha fatto l'inversione a U?
Perchè noi abbiamo vinto la povertà e la schiavitù materiale?
Aristotele scrisse che vi sono tre servitù: di famiglia, di guerra, economica. Dimmi dove noi ci siamo evoluti in due mila anni di storia?
La filosofia ha appoggiato inizialmente la scienza, illudendosi che avremmo trovato la panacea dei nostri mali.
Ci siamo evoluti nell'organizzazione della tecnica e della tecnologia, nelle conoscenze frammentate in discipline scientifiche, ma ci siamo anche accorti che è illusione che noi sapremo tutto e non abbiamo nemmeno certezze nei metodi: e intanto si nasce si vive e si muore.Duemila anni di illusione e ancora non abbiamo capito?

Daccapo, negli ordini deduttivi l'ordine della terra rispecchia quello del cielo e quindi dell'universo, è il fondamento di tutte le tradizioni, oggi noi andiamo come truppe cammellate in ordine sparso in ogni disciplina a cercare di acquisire conoscenza QUANTITATIVA, NON QUALITATIVA. Tu parli di qualità della vita, io dico quantità di vita, ma relativamente. Visto che ci sono centenari proprio lontano dagli stress postmodernisti, dei cibi industriali.

Io non rifiuto, ma contesto se permetti il modo il genere di vita in cui sono immerso condizionato.
Potrebbe essere un passaggio che porterà a ripensare sia la cultura deduttiva che induttiva,ribadisco è parte della consapevolezza e coscienza umana se vorrà perire per propria mano.
Noi non abbiamo mai vinto terremoti ,eruzioni vulcaniche o meteore che girano minacciose presso il pianeta Terra.
Noi non vinceremo mai il nostro destino,facciamocene una ragione Oppure finirà l'uomo e diventerà clone robot, automazione cerebrale. Io direi dei decerebrati e alcuni sintomi li vedo nei comportamenti.

Ma lai letta o studiata la Bibbia? Cosa ha detto il Cristo? Sfruttate il prossimo ,fatte guerre in nome mio?
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: maral il 05 Febbraio 2017, 23:50:37 PM
Citazione di: donquixote il 05 Febbraio 2017, 09:38:49 AM
A parte il fatto che sono esistiti popoli che per migliaia e migliaia di anni hanno vissuto senza alcun contatto con culture aliene (avranno magari avuto dei vicini ma erano sicuramente molto simili a loro,
Questo non ha mai escluso che tra vicini ci si ammazzasse anche con più gusto che tra lontani. D'altra parte i Romani non dovevano certo attraversare continenti per incontrare i Germanici, come i Cinesi per incontrare i Mongoli e l'humus culturale di questi popoli era ben diverso, anche se erano vicini e spesso anche conviventi. Quanto a Sioux e Cheyenne non mi pare che, pur forse condividendo una cultura simile, non si prendessero a mazzate volentieri, non è che prima dell'arrivo dell'uomo bianco nelle Americhe regnasse la pace e l'armonia, basti pensare alla fine che facevano i nemici degli Aztechi catturati in battaglia (ragion per cui quelle popolazioni trovarono molto più conveniente unirsi a Cortez, come peraltro nell'America Settentrionale Francesi, Inglesi e Americani a turno seppero sfruttare molto bene gli atavici odi tra le popolazioni indigene di quelle regioni che pur condividevano culture simili). Ma è sufficiente anche considerare la storia patria per scoprire quanto tra vicini e parenti, cresciuti insieme al riparo delle stesse mura, ci si ammazzi e scotenni volentieri, la vicinanza aiuta a odiarsi molto più della lontananza.
Detto questo è indubbio che, soprattutto dopo l'affermarsi del cristianesimo in Europa l'uomo bianco si è sentito il portatore di un grande disegno salvifico (la prima grande scoperta dell'Occidente, da esportare urbi et orbi, è stato il disegno salvifico di un unico Dio per ogni individuo, che lo volesse o  meno),  oltre che di grandi interessi di sfruttamento commerciale e in ragione sinergica dell'uno con gli altri è partito alla conquista del mondo. Il disegno salvifico è proseguito sotto il segno della razionalità e del progresso tecnico senza che nulla di nuovo dovesse venire inventato, fino a diventare utopia di redenzione dalla barbarie, utopie presto trasformatisi in ideologie che hanno messo a ferro e fuoco il mondo intero. Si doveva stare a casa? Forse, diciamo noi oggi (dopo aver patito per primi le conseguenze terribili di quelle ideologie, soprattutto quando hanno assunto i colori nefandi dei nazionalismi e abominevoli delle razze), il fatto però è che la visione di questa parte del mondo implicava strettamente quella necessità. L'essere umano non è libero di agire indipendentemente dalla cultura e dalle pratiche in cui vive.
CitazioneUn conto è cambiare un simbolo o adottare una diversa manifestazione culturale perchè le si ritiene un'espressione migliore della cultura che si possiede, e farlo volontariamente, altro è invece subire l'imposizione violenta di culture "altre" (o di parti di esse) incomprensibili dal popolo e incompatibili con la visione del mondo e l'organizzazione sociale vigenti, che ovviamente non potranno arricchire ma solo disgregare una cultura. Inoltre è fondamentale considerare il tempo in cui tutto ciò avviene, che deve essere tale da consentire al popolo di assimilare le "novità" senza creare scompensi, salvaguardando così l'equilibrio interno.
Temo che siano stati ben pochi storicamente i casi di cambiamenti volontari di simboli di riferimento, se i simboli avevano ancora una valenza. E' vero che oggi non abbiamo più simboli, ma i simboli non si creano dal nulla a volontà, né si riprendono da quelli caduti in disuso. Sono loro che si impongono quando sorgono e il modo di imporsi può essere tutt'altro che piacevole. Oggi abbiamo piuttosto delle grandi illusioni tecniche da offrire e quelle funzionano benissimo, si impongono da sole nel bene che si vede subito, corrispondente alla comodità e al godimento, e nel male che non si vede, ma non tarda ad affiorare.

CitazioneDato che "panta rei" nessuno si sogna di auspicare una immobilità "pratica" (che peraltro viene perseguita più qui da noi che altrove con le nostre costituzioni e le nostre innumerevoli leggi scritte), ma ciò che è auspicabile (e fondamentale) è l'immobilità dei fondamenti (che se sono tali devono essere anche immobili).
Purtroppo non ci sono nemmeno fondamenta immobili, neppure se le si auspica è possibile trovarle, forse un tempo, quando il tempo marciava lento era ancora possibile crederci non vedendo a occhio nudo i piccoli slittamenti che avvenivano nelle fondamenta, finché il crollo non si manifestava. E purtroppo non si può nemmeno decidere cosa e come cambiare, si cambia, tutti insieme in modo diverso, ma si cambia sempre che lo si voglia o no. La tecnologia accellera enormemente questi cambiamenti, ci rende quindi sempre inadeguati ed è questo che ci angoscia terribilmente, siamo inadeguati a quello che facciamo e quello che facciamo non ci corrisponde più, ma questo non ha nulla a che fare con le altre culture (le poche che sopravvivono alternative alla nostra e di cui l'Islam è forse l'esempio più eclatante, ma anch'esso già ampiamente corroso).
Il difetto che tu vedi sta nella centralità dell'individuo, eppure questo è stato proprio il punto cardine da cui si è sviluppata la cultura occidentale, fondamentalmente antropologica (anche se oggi è proprio questa centralità antropologica che la scienza mette particolarmente in discussione), che certo pone una problematicità evidente che l'Occidente, già dai tempi di Parmenide, ha tentato di risolvere non ricorrendo a principi di assoluta trascendenza che impongono le leggi dell'assoluto, ma nel confronto pubblico, tra individui capaci di un dialogo razionale su cui sia possibile ragionare e convenire tra pari, dato che ogni presa di posizione in nome di superiori sapienze alla fine risulta sempre arbitraria a una critica razionale e se si abbandona questa critica non resta altro che farsi a pezzi in nome dei propri principi di riferimento trascendente che si esigono unici. Quei punti che tu indichi sono inscritti nella necessità della nostra storia che non possiamo abbandonare a piacere, essi derivano dal modo greco di pensare. Volerli sopprimere significa affidarsi ad altre storie culturali che purtroppo non ci sono più, dato che comunque, la cultura dell'Occidente ha conquistato l'intero pianeta e non possiamo di certo farci islamici per ristabilire la potenza di una trascendenza in cui è diventato sempre più impossibile credere (e anche gli Islamici, sedotti dalla potenza della tecnica, finiranno per crederci sempre meno, è inevitabile).
Poi ogni giudizio potrà essere lecito, ma non lascia che sogni nostalgici di visioni di armonie trascendentali che solo oggi si possono nutrire, alla luce delle esperienze che pratichiamo, non certo nei tempi e nei luoghi in cui il nostro bisogno e la nostra immaginazione le colloca.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Eretiko il 05 Febbraio 2017, 23:51:41 PM
Citazione di: donquixote il 05 Febbraio 2017, 18:04:49 PM
La storia del pensiero occidentale è, nelle sue linee generali, una immensa confessione di ignoranza. Da quando si situa storicamente il suo inizio, con i presocratici (che erano fisici, non metafisici, come notava Aristotele), e tranne le dovute eccezioni che come al solito confermano la regola, per il resto la "ricerca del sapere" da sempre perseguita dall'uomo ha espresso in occidente una innumerevole quantità di ipotesi che si sono rivelate della solidità della carta velina

Con la rottamazione di 3000 anni di pensiero occidentale, di cui sembra che salvi il solo Aristotele, benemerito padre nobile della "logica", è finalmente chiaro che non esiste nessuna disgregazione dell'Europa e nessun suicidio culturale: sulla base delle tue osservazioni sembra che non sia mai esistita una cultura occidentale degna di questo nome, ergo non è mai esistita nessuna Europa.
Concordo pienamente con la critica sulla didattica seguita nella scuola italiana: la scienza nelle scuole superiori viene trattata come un inutile fardello, un insieme nozionistico da ingoiare a forza, e la matematica ha sempre riempito di incubi le giornate dei poveri studenti italiani. Ovviamente il risultato non è incoraggiante, se le statistiche dicono il vero siamo tra gli ultimi per rendimento nelle discipline scientifiche, e si vede chiaramente.
Mi rallegro del fatto che malgrado questo limite c'è una fiducia completa, quasi una fede religiosa, per la logica formale, per il famoso "metodo deduttivo", che secondo te e molti altri dovrebbe essere l'unica arma in nostro possesso per giungere alla "Verità Assoluta" (con la V e la A maiuscole): peccato che alcuni pensatori, non a parole, ma con le "certe dimostrazioni" (quelle matematiche), hanno scoperto che la "ragione" è limitata, e quindi la "logica" non può portarci ad alcuna Verità Assoluta, e porsi certi obiettivi è impresa inutile, ma sono convinto che tu questo lo sai già.
Non mi sorprende quindi che tu bocci senza riserve la cultura occidentale: tu sai benissimo che la conoscenza è un processo che assomiglia allo scalare una montagna, dove non si riesce a vedere la vetta, ma volgendosi in basso si riesce a vedere benissimo tutto quello che sta sotto; tu lo sai, ma a te importa solo la tua tesi finale.
Mi viene semplicemente da farti notare che se scriviamo su questo forum utilizzando questa macchina aliena che si chiama "elaboratore elettronico" è grazie ai presocratici, grazie ad Aristotele, grazie a Galilei, a Newton, a Maxwell, a Lorentz, Einstein, Heisemberg, Dirac, De Forest, Feynmann, etc...etc...etc...: grazie cioè a tutti (nessuno escluso) quelli che secondo te hanno formulato ipotesi di carta velina, teorie oggi vere e domani false, che la comunità scientifica ha accantonato o fatte sue in base a chissà quale strambo criterio. E' difficile capire il cammino della conoscenza, soprattutto quando questa non si fonda sulle "deduzioni" bensì sulle "dimostrazioni".

Non è vero che l'unica conoscenza in occidente è la "scienza": ma non è colpa della scienza se non è supportata dalla filosofia, nel momento in cui spiega come funziona il mondo naturale, se pur con verità relative e che non pretendono di essere esatte; sono i filosofi che hanno abdicato.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: paul11 il 05 Febbraio 2017, 23:54:00 PM
Citazione di: Sariputra il 05 Febbraio 2017, 15:28:35 PM
L'"Occidente" è un aggregato? Ogni aggregato, per sua natura, non può che disgregarsi. La disgregazione si può subire o cercare di guidarla verso una nuova aggregazione più positiva. Consci che si disgregherà ulteriormente.

Lessi anni fa Spinelli, un intellettuale politico che credeva nell'Europa, e ci credevo anch'io
Hanno costruito un Europa al contrario, voluta alla fine del muro di Berlino per togliere confini, dogane e liberare risorse finanziarie, merci, uomini, a sua volta figlia di quella stupenda globalizzazione che standardizzerà il cervello dell'intera umanità nel pensiero unico.Hanno piegato la politica al voler delle multinazionali, del capitalista.
Hanno reso una farsa l democrazia hanno toloto poteri sovrani, creando la grande ammucchiata e non bastandogli richiamando dal terzo mondo sotto le mentite spoglie di profughi nuove braccia da sfruttare, mettendo d'accordo le potenti lobby della Chiesa con la sua mano lunga che va dall'Opus Dei alle Caritas, le cooperative mafiose, i politici che firmano trattati senza il volere del popolo rappresentato, a loro volti piccoli borghesi servi della grande borghesia,E in basso uno sciame di schiavi che ogni giorno mantengono un'intera sistema e non hanno coscienza del loro potere.
Un aggregato, un coacervo di storie nazionali con antichi odi e ferite mai sopite, come fra Francia  e Inghilterra dalle guerre napoleoniche, come la Germania nazista.Si doveva prima attuare l'unità politica come federalismo di Stati,sul modello USA.Non vogliono farlo, perchè sarebbe dare potere alla politica che eserciterebbe il controllo sul capitalismo. Il liberismo non vuole gli Stati affinchè la finanza viaggi allo stato brado, inosservata, speculata, sulla testa dei popoli.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Eretiko il 06 Febbraio 2017, 00:07:16 AM
Citazione di: paul11 il 05 Febbraio 2017, 23:40:05 PM
Ma lai letta o studiata la Bibbia? Cosa ha detto il Cristo? Sfruttate il prossimo ,fatte guerre in nome mio?

L'ho letta tutta, studiata a fondo (VT e NT), molti anni fa (la memoria può iniziare a fare brutti scherzi).
Ovviamente Gesù ha detto "andate e predicate": ovviamente è quello che è stato fatto, spesso con le armi, spesso in quelle civiltà tradizionali di cui tu parli, con esiti tragici, e prima ancora che ci arrivasse il modernismo. Ma questo sarebbe un altro discorso.
L'inversione ad U l'hanno fatta gli estensori della Genesi biblica, che prima sognano un ipotetico eden e poi si ritrovano a dover fare i conti con la dura terra (va bene lo so, è tutto funzionale al patto tradito, almeno nel giudaismo), ma era per contestare la tua ipotesi di un presunto passato idilliaco che io ho l'impressione non sia mai esistito.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: paul11 il 06 Febbraio 2017, 00:16:55 AM
Donquoxote,
 mi sembra ovvio dire che nei fondamentali la pensiamo in modo simile, per cui mi soffermo solo sulle differenze.
Penso che in buona fede,certo per ignoranza nel senso che non poteva sapere a cosa lo avrebbe condotto, la filosofia costruisce gli strumenti logici e il pensiero che potrà proiettare l'uomo verso la modernità.
Ho scritto che infatti noi siamo il prodotto storico di civiltà agguerrite, quindi fondate sull'azione, lo siamo attitudinalmente.Ho la segreta speranza che la nostra civiltà sappia riflettere spero prima che poi che credere che il razionalismo sposato al solo induttivismo lo porti al baratro, ci arriveremo in fretta data la progressione della tecnica e tecnologia perchè ormai è globale, armi atomiche batteriologiche li hanno praticamente molti, troppi e noi non abbiamo la cultura atta a gestire il rischio, perchè è contraddittoria e ormai è talmente visibile che solo i ciechi mentali non la percepiscono.

Epistemologicamente la penso peggio di te. Feyerebend dice verità anti popperiane.
Non è vero che una verità scientifica 8 se possiamo intenderla per verità) supera le precedenti teorie o pratiche, 
Semplicemente ognuna utilizza quella che le è consona.
Essite la meccanica newtoniana, la teoria della relatività, la quantistica, Ognuno sceglie le formulazioni che crede opportune per la sua disciplina per la sua progettazione.
Esistono tre geometrie: euclidea, sferica, iperbolica, daccapo ognuno utilizza quella che è consona.

Quindi e ti dò  ragione, l'azione traina il pensiero e lo giustifica, la pragmatica è al livello più alto della teoria
ed è tipico del pensiero statunitense.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: donquixote il 06 Febbraio 2017, 11:51:15 AM
Citazione di: Eretiko il 05 Febbraio 2017, 23:51:41 PMCon la rottamazione di 3000 anni di pensiero occidentale, di cui sembra che salvi il solo Aristotele, benemerito padre nobile della "logica", è finalmente chiaro che non esiste nessuna disgregazione dell'Europa e nessun suicidio culturale: sulla base delle tue osservazioni sembra che non sia mai esistita una cultura occidentale degna di questo nome, ergo non è mai esistita nessuna Europa. Concordo pienamente con la critica sulla didattica seguita nella scuola italiana: la scienza nelle scuole superiori viene trattata come un inutile fardello, un insieme nozionistico da ingoiare a forza, e la matematica ha sempre riempito di incubi le giornate dei poveri studenti italiani. Ovviamente il risultato non è incoraggiante, se le statistiche dicono il vero siamo tra gli ultimi per rendimento nelle discipline scientifiche, e si vede chiaramente. Mi rallegro del fatto che malgrado questo limite c'è una fiducia completa, quasi una fede religiosa, per la logica formale, per il famoso "metodo deduttivo", che secondo te e molti altri dovrebbe essere l'unica arma in nostro possesso per giungere alla "Verità Assoluta" (con la V e la A maiuscole): peccato che alcuni pensatori, non a parole, ma con le "certe dimostrazioni" (quelle matematiche), hanno scoperto che la "ragione" è limitata, e quindi la "logica" non può portarci ad alcuna Verità Assoluta, e porsi certi obiettivi è impresa inutile, ma sono convinto che tu questo lo sai già. Non mi sorprende quindi che tu bocci senza riserve la cultura occidentale: tu sai benissimo che la conoscenza è un processo che assomiglia allo scalare una montagna, dove non si riesce a vedere la vetta, ma volgendosi in basso si riesce a vedere benissimo tutto quello che sta sotto; tu lo sai, ma a te importa solo la tua tesi finale. Mi viene semplicemente da farti notare che se scriviamo su questo forum utilizzando questa macchina aliena che si chiama "elaboratore elettronico" è grazie ai presocratici, grazie ad Aristotele, grazie a Galilei, a Newton, a Maxwell, a Lorentz, Einstein, Heisemberg, Dirac, De Forest, Feynmann, etc...etc...etc...: grazie cioè a tutti (nessuno escluso) quelli che secondo te hanno formulato ipotesi di carta velina, teorie oggi vere e domani false, che la comunità scientifica ha accantonato o fatte sue in base a chissà quale strambo criterio. E' difficile capire il cammino della conoscenza, soprattutto quando questa non si fonda sulle "deduzioni" bensì sulle "dimostrazioni". Non è vero che l'unica conoscenza in occidente è la "scienza": ma non è colpa della scienza se non è supportata dalla filosofia, nel momento in cui spiega come funziona il mondo naturale, se pur con verità relative e che non pretendono di essere esatte; sono i filosofi che hanno abdicato.

Io salvo dal disastro le "dovute eccezioni" come ho scritto, fra le quali non annovero certo Aristotele. Se lo cito è perchè ha semplicemente codificato il metodo che si usa per schematizzare e comunicare i concetti e che con opportune variazioni è utilizzato da tutti gli uomini. E non ho mai detto che il metodo deduttivo possa portare da qualche parte, ma solo che (nell'ambito della logica) è l'unico che possa esprimere (non raggiungere, ma esprimere, quindi comunicare agli esseri umani) una verità. La ragione, la matematica, la logica, sono solo metodi per elaborare o esprimere una verità, non certo per comprenderla o raggiungerla. E non sono per niente d'accordo sul fatto che  la conoscenza è un processo ascensionale che porta dalla base alla vetta, ma è invece una "illuminazione" che ti mostra la vetta da cui si vede tutto quel che sta sotto. Non contesto, anzi me ne rendo perfettamente conto, il fatto che qualcuno sia arrivato in qualche modo ad un punto più alto della base della montagna e da lì abbia visto ciò che sta sotto, ma solo il fatto di scambiare troppo spesso il punto in cui è arrivato con la vetta. E il fatto che si scriva sul computer (che tranquillamente smetterei di usare) non mi consola affatto e non certo per questa ragione dovrei onorare i personaggi che hai citato, ma mi sconforta molto di più invece il fatto di essere costretto ad utilizzare un mezzo di questo genere per trovare forse un centinaio di persone in Italia che siano interessate a determinati argomenti (se si escludono i "professionisti" che sono spesso più interessati al successo e al portafogli che ad altro), mentre dovrebbero essere infinitamente di più, anzi praticamente tutte. L'invenzione del computer è una ulteriore dimostrazione del loro fallimento perchè se, come diceva sempre Aristotele (lo cito ancora ma è solo per comodità e solo quando afferma delle tautologie) "l'uomo per natura tende al sapere" il fatto che tutta questa gente anzichè il sapere ci abbia tramandato il computer e tutta una serie di altri giocattoli che servono solo a distrarre da esso lo mostra chiaramente.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: InVerno il 06 Febbraio 2017, 13:17:27 PM
Citazione di: paul11 il 05 Febbraio 2017, 14:31:36 PM
Inverno,
finalmente almeno chiarisci qualcosa e non solo come un puzzle di citazioni.
Certo, quelle culture sono sempre più accerchiate, residuali ,nicchie come le ho caratterizzate.
Sono quelle tribù non ancora urbanizzate in Africa e in Asia.Non ancora idustrializzate dagli standard occidentali e costruite sul consumismo.Sono sempre meno, e come ho scritto saranno invase dal batterio occidentale.
Ma loro,quelle culture, non invadevano, non imponevano, non "rompevano i coglioni".
Sono la freccia dell'indigeno lanciata contro un elicottero.La misura di differenze culturali e tecnologiche.
Non sono da santificare, non sono a noi superiori, semplicemente hanno una dignità come esistenza, perchè sono al mondo come noi. noi siamo a loro superiori per tecnica e tecnologia, e li vinceremo, perchè la regola della terra e della natura è la forza bruta o l'artificio tecnologico della bomba.

Questi sono fatti, non elucubrazioni antropologiche per vendere libri..

Il nostro induttivismo, non ha possiblità di costruire un ordine , perchè lo abbiamo perso uscendo dalla comunità/società deduttiva. Noi abbiamo scelto di esplorare l'ignoto, e abbiamo fatto scoperte e invenzioni e ci siamo accorti di essere forti e superiori, ma non pr cultura, ma per forza bruta.
La nostra storia è sangue ed arena, sotterfugio, competizione allo spasimo.le guerre  le battaglie sono fondamento della nostra cultura, come spartiacque di nuovi nomi, nuove casate, nuovi potenti , di nuove civiltà che hanno vinto non sul pino culturale ma prima con frecce e spade e poi con bombe sofisticate.
Ma noi no sappiamo più il rapporto fra il divino, la natura e la società,non essendoci nessun pensiero che li lega, anzi decostruiamo e distruggiamo il passato,come un passaggio in giudicato entrato nei libri di storia, E allora i nuovi potenti interpretano la storia a loro modo.Perchè non è vero che nel relativismo vi sia più libertà, più uguaglianza, chi vince impone il modello e cancella immediatamente il passato .

Chi è contento di questa società è perchè sta bene materialmente, è un privilegiato,Oppure può essere un privilegiato ,ma ancora con "sale in zucca".
Ma dobbiamo anche sapere che se la regola della terra è la forza tutti hanno il diritto di violentare e uccidere, compresi quegli originari inermi che si rivoltano.
Perchè se la nostra cultura ha appiattito all'opinione il significato della propria esitenza, c'è chi la pensa diversamente e hanno imparato il peggio di noi.Ci invaderanno fisicamente, come noi abbiamo prima invaso per interessi la loro cultura contaminandola.Gli abbiamo insegnato, consciamente o incosciamente che è allettante avere potere e denaro e che per farlo bisogna fregare il prossimo.

Se non vogliamo capire dai sintomi dell'<occidente quale sia la malattia, correremo continuamente dietro ai problemi culturali, economici e sociali che giornalmente da qualche parte ogni giorno puntualmente i nostri mass media ci informano.

Sarà mia considerazione personale, ma l'uomo occidentale oggi è un malato di coscienza ,psichica e spirituale, i linguaggi non utilizzati dalla tecnica e dalla tecnologia, è ferito nei sentimenti nella sua propria identità come persona, nella regola di ognuno per sè e nessun Dio per tutti.Nessuno può consolarci, Nemmeno una cultura, una credenza una fiducia in qualcosa. Ogni individuo ha ormai personalizzato la propria idea di società, di giustizia, di relazione sentimentale, non essendoci limiti, non essendoci regole che abbiano senso. Tutto è fatto oggi per essere di nuovo decostruito e distrutto domani, dagli oggetti di consumismo, dai suicidi, dagli alcolizzati, dai problemi mentali e familiari,dalla società che impone di competere dal cercare lavoro, dall'essere primi della classe, perchè gli ultimi sono "out", sono già derelitti e i vecchi non sono produttivi, sono un costo sociale pensionistico , sono un costo sanitario. Sono socialmente inutili, evviva l'eutanasia!.

Ma quanto e come devo descrivere questa società per  far capire che il nostro desiderio culturale è finire?Per mano nostra o per mano altrui.Andiamo avanti per inerzia,giorno dopo giorno scongiurando la morte e contraddicendola con il desiderio stesso di finire. Tanto più una cultura cerca con la volontà soluzioni di una eterna giovinezza bandendo la malattie e tanto più è malata nel profondo di Sè, perchè non sa accettare la regola della vita, non sa più vivere.

Io credo in  una società in cui la coscienza umana sappia armonizzare il deduttivo e l'induttivo, il micro con il macro.Che sappia che le cose più importanti nella vita sono le relazioni sociali, saper stare in famiglia, in società.Sapersi accettare come limite, saper sfidare il proprio limite per questa è la vera competetizione con noi stessi,Sapere ancora stare attorno ad un cammino, neri, gialli, bianchi di pelle con un calumet, se vuoi, o semplicemente con un buon bicchiere di vino e sapere ascoltare e parlare.
Noi abbiamo perso la semplicità, complicando il mondo,Quando le cose essenziali passano fra ragione e sentimenti e toccano i nostri nervi.
Io vedo un mondo di animali che ha costruito artificiosamente una società che rispecchia per metafora la giungla,Questa umanità è bestiale, non animale, perchè non prova nemmeno più compassione, ha imparato ad anestetizzare i propri sentimenti perchè questa società di forti vuole uomini forti che poi sono ignoranti, astuti nella loro finalità disumana, spregevoli nei loro sentimenti, ipocondriaci nelle loro fobie.
Io vedo malattia ovunque mi giro,ogni tanto barlumi di verità in essenziali gesti ancora umani,ultimo residuo di un baluardo di un uomo ancora umano.
Non parli con un "radical-chic" (oddio l'ho detto) che vive in un attico a Milano e pontifica sulle società primitive. Non che ci sarebbe qualcosa di sbagliato a priori, ma senza fare biografie, sono un agricoltore ed un curioso di società primitive da anni, e la curiosità cela sempre una certa invidia che non nascondo e che ho cercato di soddisfare per quanto possibile nelle mie scelte di vita. Detto questo, che magari ti aiuterà a vedermi meno come un "nemico", è importante nel tuo ragionamento, che ripeto, in linea di massima condivido (ma che tu mi sembra voglia addobbare di una sorta di morale, cosa che non condivido) bisogna arrivare al "micro" per vedere se esiste una coesione con il reale. Perchè è importante stabilire la prospettiva riguardo alle società primitive? Perchè ne definisce la qualità, se esse siano un "alternativa" o semplicemente un iterazione sostanzialemte equivalente che diverge semplicemente nella forma.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: donquixote il 06 Febbraio 2017, 16:26:40 PM
Citazione di: InVerno il 06 Febbraio 2017, 13:17:27 PM

  • Come a fai a dire che le società primitive siano formate da individui principalmente deduttivi? Lasciando perdere la differenza a volte abissale tra società e società, e cercando di immaginare una mediana tra di esse, io continuo a credere si tratti di società profondamente induttive, ma che demandino certe fasi della vita sociale alla deduzione, in una proporzione simile alle società moderne. Questa storia che nell'occidente le ideologie sono "cadute" onestamente a me non convince, penso che si siano semplicemente "allargate" a tal punto che la frattura tra di esse sia cosi lontana da non vederla. Facile vedere il nazismo seguendo i confini germanici, ma il capitalismo? è cosi diffuso che per vederlo come una ideologia e trovarne i limiti bisogna andare ai confine del mondo. L'universalismo, l'idea che i nostri principi siano "universali"etc ettc. Non sono ideologie? Il punto sta comunque nel perchè tu pensi che le società primitive siano esenti da ragiomento induttivo, che onestamente non capisco.
Mi permetto di intervenire anch'io, se consentite. Non mi sembra che Paul abbia detto che le società primitive sono formate da individui "deduttivi"; le società primitive (nella quasi totalità) non fanno altro che custodire, praticare e tramandare la cultura, gli usi, i costumi, i riti e le abitudini che hanno ricevuto a loro volta dai loro antenati e che sono stati elaborati chissà quanto tempo addietro. Hanno raggiunto un equilibrio e ritenendolo soddisfacente lo mantengono. Ma se si guarda nel complesso il modo di fare e di comportarsi di quelle società (anche se non si ha occasione di parlare con i loro sapienti o i loro "filosofi") si può vedere che tutto ciò che fanno è ad evocazione e imitazione della natura ed armonico con essa, che è rispettata, amata e se del caso temuta in tutti i suoi aspetti. Da cui si può comprendere che la loro cultura è stata elaborata deduttivamente assegnando alla comunità umana una posizione gerarchica inferiore rispetto alla natura  (la quale a sua volta è inferiore al divino, al sacro, allo spirituale, ove questo sia ancora chiaramente presente ed espresso dalla cultura). Loro semplicemente si adattano al mondo (e in particolare al loro ambiente) e non fanno di tutto per adattare il mondo alle proprie esigenze. La loro è una conoscenza giustificativa per cui qualsiasi fenomeno che accade può essere giustificato tranquillamente con una favola, un mito, una leggenda in quanto deve placare la naturale curiosità umana che chiede: perchè? La nostra è invece essenzialmente una conoscenza funzionale poichè la conoscenza del fenomeno deve essere finalizzata al suo controllo e al suo sfruttamento allo scopo di piegarlo alle nostre esigenze, ai nostri desideri, e dunque noi non siamo più interessati al perchè ma solamente al come.
Quando, da piccolo, mi capitava di andare per funghi con qualche parente, ero sempre negativamente sorpreso dal fatto che vi fosse l'abitudine di distruggere i funghi velenosi che si incontravano nei boschi e si insegnava agli altri a farlo. Si ragionava induttivamente pensando che siccome questi erano velenosi per l'uomo allora dovessero essere eliminati anche per salvaguardare altre persone che avrebbero potuto non riconoscerli come velenosi. Nelle società primitive invece pensano (deduttivamente) che siccome l'uomo non è solo sulla terra e questa non è a sua disposizione quei funghi, essendo stati creati da altri, avevano sicuramente una loro ragione per esserci e sarebbero stati magari ottimo nutrimento per innumerevoli altre specie del bosco, e anzichè insegnare a distruggerli insegnavano a chiunque a riconoscerli e rispettarli.
La gran parte della letteratura antropologica, essendo stata generata nel periodo positivista, è viziata da un grande pregiudizio occidentale, a cominciare dal "Ramo d'Oro", e se i popoli ivi descritti avessero potuto leggerla e comprenderla non vi si sarebbero mai riconosciuti, come capitò del resto (e come ancora capita) quando qualche "professorone" nostrano scrive di filosofia induista o commenta i testi sacri dell'induismo. Credo tu conosca un libretto che si chiama "Papalagi" che riproduce il racconto che un capo villaggio delle isole Samoa fece dell'uomo bianco (appunto il papalagi) al suo popolo dopo aver visitato l'Europa di inizio '900. Credo che questo documento illustri molto bene, sia pur in maniera magari ingenua, spesso ironica ma sicuramente disincantata e sincera, la vera fenomenologia della paranoia. Se invece non lo conosci al link qui di seguito ne trovi una riproduzione.

http://freaknet.org/martin/libri/Papalagi/papalagi.html
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: InVerno il 06 Febbraio 2017, 17:53:42 PM
Citazione di: donquixote il 06 Febbraio 2017, 16:26:40 PM
Citazione di: InVerno il 06 Febbraio 2017, 13:17:27 PM

  • Come a fai a dire che le società primitive siano formate da individui principalmente deduttivi? Lasciando perdere la differenza a volte abissale tra società e società, e cercando di immaginare una mediana tra di esse, io continuo a credere si tratti di società profondamente induttive, ma che demandino certe fasi della vita sociale alla deduzione, in una proporzione simile alle società moderne. Questa storia che nell'occidente le ideologie sono "cadute" onestamente a me non convince, penso che si siano semplicemente "allargate" a tal punto che la frattura tra di esse sia cosi lontana da non vederla. Facile vedere il nazismo seguendo i confini germanici, ma il capitalismo? è cosi diffuso che per vederlo come una ideologia e trovarne i limiti bisogna andare ai confine del mondo. L'universalismo, l'idea che i nostri principi siano "universali"etc ettc. Non sono ideologie? Il punto sta comunque nel perchè tu pensi che le società primitive siano esenti da ragiomento induttivo, che onestamente non capisco.
Mi permetto di intervenire anch'io, se consentite. Non mi sembra che Paul abbia detto che le società primitive sono formate da individui "deduttivi"; le società primitive (nella quasi totalità) non fanno altro che custodire, praticare e tramandare la cultura, gli usi, i costumi, i riti e le abitudini che hanno ricevuto a loro volta dai loro antenati e che sono stati elaborati chissà quanto tempo addietro. Hanno raggiunto un equilibrio e ritenendolo soddisfacente lo mantengono. Ma se si guarda nel complesso il modo di fare e di comportarsi di quelle società (anche se non si ha occasione di parlare con i loro sapienti o i loro "filosofi") si può vedere che tutto ciò che fanno è ad evocazione e imitazione della natura ed armonico con essa, che è rispettata, amata e se del caso temuta in tutti i suoi aspetti. Da cui si può comprendere che la loro cultura è stata elaborata deduttivamente assegnando alla comunità umana una posizione gerarchica inferiore rispetto alla natura  (la quale a sua volta è inferiore al divino, al sacro, allo spirituale, ove questo sia ancora chiaramente presente ed espresso dalla cultura). Loro semplicemente si adattano al mondo (e in particolare al loro ambiente) e non fanno di tutto per adattare il mondo alle proprie esigenze. La loro è una conoscenza giustificativa per cui qualsiasi fenomeno che accade può essere giustificato tranquillamente con una favola, un mito, una leggenda in quanto deve placare la naturale curiosità umana che chiede: perchè? La nostra è invece essenzialmente una conoscenza funzionale poichè la conoscenza del fenomeno deve essere finalizzata al suo controllo e al suo sfruttamento allo scopo di piegarlo alle nostre esigenze, ai nostri desideri, e dunque noi non siamo più interessati al perchè ma solamente al come.
Quando, da piccolo, mi capitava di andare per funghi con qualche parente, ero sempre negativamente sorpreso dal fatto che vi fosse l'abitudine di distruggere i funghi velenosi che si incontravano nei boschi e si insegnava agli altri a farlo. Si ragionava induttivamente pensando che siccome questi erano velenosi per l'uomo allora dovessero essere eliminati anche per salvaguardare altre persone che avrebbero potuto non riconoscerli come velenosi. Nelle società primitive invece pensano (deduttivamente) che siccome l'uomo non è solo sulla terra e questa non è a sua disposizione quei funghi, essendo stati creati da altri, avevano sicuramente una loro ragione per esserci e sarebbero stati magari ottimo nutrimento per innumerevoli altre specie del bosco, e anzichè insegnare a distruggerli insegnavano a chiunque a riconoscerli e rispettarli.
La gran parte della letteratura antropologica, essendo stata generata nel periodo positivista, è viziata da un grande pregiudizio occidentale, a cominciare dal "Ramo d'Oro", e se i popoli ivi descritti avessero potuto leggerla e comprenderla non vi si sarebbero mai riconosciuti, come capitò del resto (e come ancora capita) quando qualche "professorone" nostrano scrive di filosofia induista o commenta i testi sacri dell'induismo. Credo tu conosca un libretto che si chiama "Papalagi" che riproduce il racconto che un capo villaggio delle isole Samoa fece dell'uomo bianco (appunto il papalagi) al suo popolo dopo aver visitato l'Europa di inizio '900. Credo che questo documento illustri molto bene, sia pur in maniera magari ingenua, spesso ironica ma sicuramente disincantata e sincera, la vera fenomenologia della paranoia. Se invece non lo conosci al link qui di seguito ne trovi una riproduzione.

http://freaknet.org/martin/libri/Papalagi/papalagi.html
Specifico: mi rendo conto di aver espresso malissimo riguardo agli "individui deduttivi", intendevo semplicemente come prodotti di una cultura deduttiva (e non discuto se l'uomo sia o meno il prodotto della sua cultura altrimenti non si finisce più). Conosco Papalagi, ma questa simpatica rappresentazione soffre di un problema fondamentale.
Il fatto è che proprio un errore "positivitista" (atteggiamento grandemente corretto nell'ultimo secolo) quello di considerare come rappresentatative le poche società rimaste a disposizione di un "primo contatto" negli ultimi secoli. E se vogliamo, un errore di ragionamento induttivo. Queste società erano inevitabilmente piegate a se stesse per il fatto stesso che fossero state fino ad allora inacessibili. Non si può prendere una tribù relegata alle paludi amazzoniche o a un isolotto del pacifico e non considerare che la cultura che rappresenta non sia stata inevitabilmente resa "autarchica" ed in un certo senso "ecologica" dal confinamento stesso che ha subito. Chi aveva le praterie ed i cavalli ha raso al suolo l'Europa intera, l'Età del Bronzo non sappiamo perchè è finita ma di sicuro la popolazione globale umana ne è uscita decimata, un misto di desertificazione e guerre della fame (e primi migranti climatici su barconi). E' per questo che bisogna chiamare in causa l'antropoarcheologia, perchè la maggior parte delle società primitive non erano confinate su isolotti, e per il fatto stesso si comportavano in maniera molto diversa. E allora vale la pena ricordare tutte le invasioni, i genocidi, i danni ecologici, etc che con molta fatica si prova a documentare nelle società primitive ma che inevitabilmente ci sono stati e raccontano di un uomo a cui si possono attribuire le migliori intenzioni, ma  incapace di rapportare il suo bisogno di articialità al territorio in equilibrio. Il ragionamento induttivo fa parte della nostra natura umana, deriva probabilmente dal pollice opponibile, e in seguito dal linguaggio, che poi questo sia una sorta di rincorsa ad un monolito nero (kubrikianamente parlando) è un archetipo antico, ma che in nessun modo ci può liberare dalle catene della nostra natura, anche se essa è frenata da una cultura deduttiva. Se non esiste un alternativa (a patto di vivere su isolotti e fondare piccole Libertalia, idea romantica ammetto), ha senso parlarne? E sopratutto ha davvero senso incolpare l'occidente per aver perseguito l'unica strada in maniera più efficiente degli altri? Io credo di no, e solamente il fatto che siamo qui a parlare se la mentalità induttiva sia il virus mortale che potrebbe essere, significa che il metodo induttivo ha funzionato, siamo ipoteticamente in grado di fare un autocritica a riguardo. Hanno la stessa possibilità le società primitive, che spesso e volentieri si estinguono senza conoscerne la ragione? Non so, mi sembra stucchevole parlare del buon selvaggio in un topic sull'occidente, forse colpa mia che ci continuo a dare martellate, ma i chiodi non mancano eh!
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: donquixote il 06 Febbraio 2017, 19:37:03 PM
Citazione di: InVerno il 06 Febbraio 2017, 17:53:42 PMNon so, mi sembra stucchevole parlare del buon selvaggio in un topic sull'occidente, forse colpa mia che ci continuo a dare martellate, ma i chiodi non mancano eh!

Infatti qui non si parlava delle società primitive e dei presunti genocidi o disastri ecologici che anche alcune di esse avrebbero compiuto (come se dire "lui è come me" o "lui è peggio di me" assolvesse dalle proprie colpe),  anche se è intellettualmente disonesto citare la popolazione dell'isolotto ai confini del mondo e tralasciare ad esempio che gli aborigeni australiani vivevano in un luogo immenso con praterie e cavalli ma il loro modo di vita era molto simile a quello degli "isolotti", così come le popolazioni del nordamerica che non hanno mai utilizzato l'agricoltura e molto probabilmente non lo farebbero nemmeno ora se non fossero state sterminate. O della Cina che dopo aver avuto uno sviluppo tecnico e tecnologico durato mille anni e immensamente superiore a quello dell'occidente nel XV secolo l'hanno arrestato: forse avevano capito qualcosa? E se vuoi anche dell'Europa che dopo il crollo dell'Impero romano d'occidente per quasi mille anni ha arrestato l'espansione imperiale per perseguire un equilibrio continentale, riprendendola poi subito dopo il crollo di quella che, unica nella storia d'Europa,  possedeva i lineamenti della vera cultura. E Colombo non aveva praterie o cavalli ma pericolosi oceani davanti, eppure non si fermò, e nemmeno i suoi epigoni lo fecero. Comunque qui si parlava appunto di cultura, di cosa si può definire tale e di cosa invece rappresenta la sua negazione. Se la cultura unisce il suo opposto divide, e i valori "non negoziabili" dell'occidente non fanno altro che dividere popolo da popolo, famiglia da famiglia, padre dal figlio. Non mi interessa dare giudizi morali su nessuna cultura o presunta tale, ma i difensori di questa cultura occidentale che da un lato esalta e alimenta la competitività di tutti contro tutti  e dall'altro tenta di frenarla con sempre maggiori lacci, maggiori leggi, maggiori regole che non hanno alcun senso logico poichè non sono giustificate da nessuna ragione condivisa (che ragione ci sarebbe per "proteggere" il debole, l'handicappato, il misero, il povero, se non quella di andare, una volta di più, contronatura?) ma solo da una esibizione di potere di chi lo detiene in quel momento dovrebbero considerare se questa non possa definirsi, a tutti gli effetti, la cultura della schizofrenia o della dissociazione.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Eretiko il 06 Febbraio 2017, 20:24:06 PM
Citazione di: donquixote il 06 Febbraio 2017, 11:51:15 AM
Io salvo dal disastro le "dovute eccezioni" come ho scritto, fra le quali non annovero certo Aristotele. Se lo cito è perchè ha semplicemente codificato il metodo che si usa per schematizzare e comunicare i concetti e che con opportune variazioni è utilizzato da tutti gli uomini. E non ho mai detto che il metodo deduttivo possa portare da qualche parte, ma solo che (nell'ambito della logica) è l'unico che possa esprimere (non raggiungere, ma esprimere, quindi comunicare agli esseri umani) una verità. La ragione, la matematica, la logica, sono solo metodi per elaborare o esprimere una verità, non certo per comprenderla o raggiungerla.

Confesso che non ho compreso quali sono le "dovute eccezioni"; dato che avevi nominato alcuni elementi che sembravano posizionare attorno al XV/XVI secolo l'inizio del suicidio, ho erroneamente dedotto (senza ironia) che tutto ciò, o quasi, che precedeva non andava buttato in pattumiera. E anche se per certi versi comprendo la tua visione, pur essendo io su posizioni molto distante dalle tue, questo punto continua a sfuggirmi.
Continuo a non condividere la tua posizione sul "metodo deduttivo": le deduzioni esprimono verità a partire da altre le verità, a loro volta dedotte, a ritroso, da postulati indimostrabili (tanto per citare nuovamente Aristotele: il motore primo), ma questo, essendo io refrattario a dogmi di qualsiasi natura, lo ammetto che è un mio limite.
Per il resto capisco che detesti la modernità, la tecnologia, la scienza che l'ha prodotta, la materia di cui siamo composti, la borghesia, il capitalismo, i mercati, l'illuminismo, la rivoluzione industriale (probabilmente anche il protestantesimo, deduco), il comunismo, i proletari, gli stati, la destra e la sinistra, l'Europa, la società di oggi (non so se detesti anche le religioni: io si, detesto le religioni giudaica e derivate). Molto condivisibile l'ammirazione per quelle civiltà che vivono (o hanno vissuto) in armonia con la natura, anche se temo che non siano mai esistite.

Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: paul11 il 06 Febbraio 2017, 21:43:54 PM
Inverno,
non ti ho mai percepito come "nemico".semplicemente non argomentavi tagliando su un giudizio come battuta di spirito.

Una comunità/società deduttiva la intendo come esistenza dentro un ordine in cui ogni particolare è interpretato nella sintesi di un Tutto,di un principio originario,di una cosmogenesi a sua volta interpretativa.
In quella comunità ogni segno anche naturale è letto come evocazione divina.

Nella società estensivamente e numericamente allargata come la nostra attuale, la cultura è induttiva, e il particolare è al massimo sintetizzabile in una legge fisica, in sè e per sè. La nostra scienza ha ricreato il tabù questa volta senza un totem.perchè oltre non bisogna andare, non è dimostrabile. Il disegno, il modello è monco.
Qualunque concetto ha perso autorevolezza arrendendosi all'autorità come vestigia istituzionale , che al limite è da abbattere, da sostituire con altre autorità, economiche, politiche, scientifche.Saltati i paradigmi saltano i riferimenti e allora perchè e contro chi combattere pacificamente, esercitare una critica se tanto cade nel nulla, nell'insignificazione in quanto ogni segno ha perso i significati?

Il capitalismo non è un'ideologia, semmai c'è un'apologia ideologica che la sorregge, ma nacque per contrastare le ideologie che per loro natura sono deduttive.

Ho una mia personale idea, avendo letto testi di antropologia, sociologia, ecc.
Per forma mentis si arrestano agli effetti,
Ad esempio molti sociologi sono stati marxisti, a detta loro, ma Marx era un pensatore oltre la sociologia.
Nessuno ha avuto fra i marxisti, la capacità di Marx di essere anche filosofo, per certi versi.
Si sono limitati, seppur in maniera anche perspicace e avolte originale, agli effetti culturali, economic e politici.
Ma Marx anticipa la storia,non gli corre dietro, perchè studia la struttura culturale, economica, sociale come relazioni concomitanti che formano le modalità produttive e le classi sociali.
Quindi vanno  bene le discipline scientifiche umanistiche, ma devono avere una visione più profonda e allo stesso tempo più allargata.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: donquixote il 06 Febbraio 2017, 23:11:21 PM
Citazione di: maral il 05 Febbraio 2017, 23:50:37 PMQuesto non ha mai escluso che tra vicini ci si ammazzasse anche con più gusto che tra lontani. D'altra parte i Romani non dovevano certo attraversare continenti per incontrare i Germanici, come i Cinesi per incontrare i Mongoli e l'humus culturale di questi popoli era ben diverso, anche se erano vicini e spesso anche conviventi. Quanto a Sioux e Cheyenne non mi pare che, pur forse condividendo una cultura simile, non si prendessero a mazzate volentieri, non è che prima dell'arrivo dell'uomo bianco nelle Americhe regnasse la pace e l'armonia, basti pensare alla fine che facevano i nemici degli Aztechi catturati in battaglia (ragion per cui quelle popolazioni trovarono molto più conveniente unirsi a Cortez, come peraltro nell'America Settentrionale Francesi, Inglesi e Americani a turno seppero sfruttare molto bene gli atavici odi tra le popolazioni indigene di quelle regioni che pur condividevano culture simili). Ma è sufficiente anche considerare la storia patria per scoprire quanto tra vicini e parenti, cresciuti insieme al riparo delle stesse mura, ci si ammazzi e scotenni volentieri, la vicinanza aiuta a odiarsi molto più della lontananza.

Io non ho mai espresso il pregiudizio della non violenza. La violenza ha sempre fatto parte della storia non solo dell'uomo ma della natura in generale. La natura si sviluppa attraverso i conflitti ("Polemos è padre di tutte le cose" diceva Eraclito) e quindi la guerra non è, per me come per chiunque nella storia tranne l'occidente odierno, un tabù, ma spesso l'aggressività e la violenza venivano ritualizzate, controllate, canalizzate attraverso forme simboliche. Poi quando c'era la guerra vera la si faceva, ma anche in quella vi era un'etica, una moralità, che con la modernità sono andate perdute. Abbiamo letteratura epica di ogni parte del mondo che racconta di guerre memorabili, e anche il più grande poema dell'induismo, testo sacro di uno dei popoli meno guerrafondai della storia, utilizza la storia di una guerra per raccontare Dio, l'uomo e il mondo. Ora la guerra, che ha perso ogni caratteristica etica, romantica, eroica, epica, umana,  si fa sparando missili coi droni controllati da diecimila chilometri di distanza contro uomini armati di machete, e il bello è che questi ultimi non sono solo i nemici, come sono sempre stati, ma sono anche i "cattivi" ai quali non si può concedere l'onore delle armi ma bisogna processare se li si fa prigionieri. Solo uno come Kant poteva scrivere, del resto, un libretto intitolato "Per la pace perpetua", che ricorda tanto il "riposo eterno".

Citazione di: maral il 05 Febbraio 2017, 23:50:37 PM
Detto questo è indubbio che, soprattutto dopo l'affermarsi del cristianesimo in Europa l'uomo bianco si è sentito il portatore di un grande disegno salvifico (la prima grande scoperta dell'Occidente, da esportare urbi et orbi, è stato il disegno salvifico di un unico Dio per ogni individuo, che lo volesse o meno)

Quando è iniziato il colonialismo delle americhe il Cristianesimo era già in declino, in Europa, da un paio di secoli almeno, e nessun sovrano europeo (nemmeno il Papa) ha mai armato degli eserciti con l'obiettivo di esportare il cristianesimo, anche se al seguito degli eserciti andavano i missionari a distruggere (sia pur in buona fede, al contrario dei soldati) ciò che le armi avevano risparmiato.

Citazione di: maral il 05 Febbraio 2017, 23:50:37 PM
Temo che siano stati ben pochi storicamente i casi di cambiamenti volontari di simboli di riferimento, se i simboli avevano ancora una valenza. E' vero che oggi non abbiamo più simboli, ma i simboli non si creano dal nulla a volontà, né si riprendono da quelli caduti in disuso. Sono loro che si impongono quando sorgono e il modo di imporsi può essere tutt'altro che piacevole. Oggi abbiamo piuttosto delle grandi illusioni tecniche da offrire e quelle funzionano benissimo, si impongono da sole nel bene che si vede subito, corrispondente alla comodità e al godimento, e nel male che non si vede, ma non tarda ad affiorare.


In Europa i Romani hanno prima acquisito volontariamente molta parte della cultura greca, poi si sono convertiti al Cristianesimo che ha una struttura dottrinale completamente diversa. Poi tutti i popoli del nord Europa si sono volontariamente cristianizzati. In Asia il Buddhismo è stato abbracciato volontariamente da numerose popolazioni senza essere imposto con la violenza. Se i simboli si impongono da sé significa che sono convincenti e funzionali, se invece vengono imposti con la forza sarà molto difficile integrarli in una cultura e la distruggeranno.[/quote]



Citazione di: maral il 05 Febbraio 2017, 23:50:37 PMPurtroppo non ci sono nemmeno fondamenta immobili, neppure se le si auspica è possibile trovarle, forse un tempo, quando il tempo marciava lento era ancora possibile crederci non vedendo a occhio nudo i piccoli slittamenti che avvenivano nelle fondamenta, finché il crollo non si manifestava. E purtroppo non si può nemmeno decidere cosa e come cambiare, si cambia, tutti insieme in modo diverso, ma si cambia sempre che lo si voglia o no. La tecnologia accellera enormemente questi cambiamenti, ci rende quindi sempre inadeguati ed è questo che ci angoscia terribilmente, siamo inadeguati a quello che facciamo e quello che facciamo non ci corrisponde più, ma questo non ha nulla a che fare con le altre culture (le poche che sopravvivono alternative alla nostra e di cui l'Islam è forse l'esempio più eclatante, ma anch'esso già ampiamente corroso). Il difetto che tu vedi sta nella centralità dell'individuo, eppure questo è stato proprio il punto cardine da cui si è sviluppata la cultura occidentale, fondamentalmente antropologica (anche se oggi è proprio questa centralità antropologica che la scienza mette particolarmente in discussione), che certo pone una problematicità evidente che l'Occidente, già dai tempi di Parmenide, ha tentato di risolvere non ricorrendo a principi di assoluta trascendenza che impongono le leggi dell'assoluto, ma nel confronto pubblico, tra individui capaci di un dialogo razionale su cui sia possibile ragionare e convenire tra pari, dato che ogni presa di posizione in nome di superiori sapienze alla fine risulta sempre arbitraria a una critica razionale e se si abbandona questa critica non resta altro che farsi a pezzi in nome dei propri principi di riferimento trascendente che si esigono unici. Quei punti che tu indichi sono inscritti nella necessità della nostra storia che non possiamo abbandonare a piacere, essi derivano dal modo greco di pensare. Volerli sopprimere significa affidarsi ad altre storie culturali che purtroppo non ci sono più, dato che comunque, la cultura dell'Occidente ha conquistato l'intero pianeta e non possiamo di certo farci islamici per ristabilire la potenza di una trascendenza in cui è diventato sempre più impossibile credere (e anche gli Islamici, sedotti dalla potenza della tecnica, finiranno per crederci sempre meno, è inevitabile). Poi ogni giudizio potrà essere lecito, ma non lascia che sogni nostalgici di visioni di armonie trascendentali che solo oggi si possono nutrire, alla luce delle esperienze che pratichiamo, non certo nei tempi e nei luoghi in cui il nostro bisogno e la nostra immaginazione le colloca.

Le fondamenta ci sono, e sono immobili, e il fatto che il tempo sia lento o meno non conta visto che esse si trovano di là dal tempo e non sono condizionate da questo. Poi che le cose stanno come stanno, che sempre meno persone possono comprendere queste fondamenta e che la tecnica (e quindi l'ignoranza di cui è il sostituto) domini e dominerà il mondo sono cose che in sé non impediscono di vedere che si sta viaggiando veloci verso l'autodistruzione che già migliaia di anni fa era prevista e descritta da coloro che sapevano guardare lontano e non erano affetti dalla terribile miopia dell'uomo moderno.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: InVerno il 07 Febbraio 2017, 12:06:05 PM
Citazione di: donquixote il 06 Febbraio 2017, 19:37:03 PM
Citazione di: InVerno il 06 Febbraio 2017, 17:53:42 PMNon so, mi sembra stucchevole parlare del buon selvaggio in un topic sull'occidente, forse colpa mia che ci continuo a dare martellate, ma i chiodi non mancano eh!

Infatti qui non si parlava delle società primitive e dei presunti genocidi o disastri ecologici che anche alcune di esse avrebbero compiuto (come se dire "lui è come me" o "lui è peggio di me" assolvesse dalle proprie colpe),  anche se è intellettualmente disonesto citare la popolazione dell'isolotto ai confini del mondo e tralasciare ad esempio che gli aborigeni australiani vivevano in un luogo immenso con praterie e cavalli ma il loro modo di vita era molto simile a quello degli "isolotti", così come le popolazioni del nordamerica che non hanno mai utilizzato l'agricoltura e molto probabilmente non lo farebbero nemmeno ora se non fossero state sterminate. O della Cina che dopo aver avuto uno sviluppo tecnico e tecnologico durato mille anni e immensamente superiore a quello dell'occidente nel XV secolo l'hanno arrestato: forse avevano capito qualcosa? E se vuoi anche dell'Europa che dopo il crollo dell'Impero romano d'occidente per quasi mille anni ha arrestato l'espansione imperiale per perseguire un equilibrio continentale, riprendendola poi subito dopo il crollo di quella che, unica nella storia d'Europa,  possedeva i lineamenti della vera cultura. E Colombo non aveva praterie o cavalli ma pericolosi oceani davanti, eppure non si fermò, e nemmeno i suoi epigoni lo fecero. Comunque qui si parlava appunto di cultura, di cosa si può definire tale e di cosa invece rappresenta la sua negazione. Se la cultura unisce il suo opposto divide, e i valori "non negoziabili" dell'occidente non fanno altro che dividere popolo da popolo, famiglia da famiglia, padre dal figlio. Non mi interessa dare giudizi morali su nessuna cultura o presunta tale, ma i difensori di questa cultura occidentale che da un lato esalta e alimenta la competitività di tutti contro tutti  e dall'altro tenta di frenarla con sempre maggiori lacci, maggiori leggi, maggiori regole che non hanno alcun senso logico poichè non sono giustificate da nessuna ragione condivisa (che ragione ci sarebbe per "proteggere" il debole, l'handicappato, il misero, il povero, se non quella di andare, una volta di più, contronatura?) ma solo da una esibizione di potere di chi lo detiene in quel momento dovrebbero considerare se questa non possa definirsi, a tutti gli effetti, la cultura della schizofrenia o della dissociazione.
Onestamente non sono preparato di storia cinese, o perlomeno so poco del secolo XV e non saprei se mettere li un paletto alla loro crescita (in senso assoluto, non relativo all'Europa). Conosco però il colonialismo, la guerra dell'oppio, etc. Provocatoriamente avevo infatti precedentemente parlato di Giappone, la cui cultura non si dirà certo occidentale (con tutte le recenti compenetrazioni, è comunque difficile intenderla cosi) e che deve il proprio successo a come i lacci coloniali siano stati strappati (allo stesso modo degli States\UK, nessuna novità). Riguardo al mondo Islamico suppongo vi rifacciate a Renan? Mi sembra una posizione ambigua. Riguardo alla rivalutazione del medioevo Europeo, a me sembra onestamente mitologica, o per meglio dire letteraria, basata più sulle chanson che su quello che l'Europa stava realmente vivendo? Mi trovi d'accordo invece quando parli di indiani ed agricoltura. A mio avviso il punto sta proprio li (a dimostrazione che tutti abbiamo un età dell'oro di riferimento), l'agricoltura sancisce non il dominio dell'uomo sulla natura (a mio avviso inevitabile) ma il suo dominio sugli altri uomini, l'autorità, inevitabile nelle società agricole. Paradossale no? Stesso riferimento, ma conclusioni opposte. E' anche vero che il punto sta nella definizione di cultura, ma anche e sopratutto di "occidentale", i cui confini vanno a seconda dell'osservatore da globali (Fukuyama) a continentali (Hungtinton), che avevo non a caso citato nel "puzzle di citazioni".
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: donquixote il 07 Febbraio 2017, 14:14:25 PM
Citazione di: InVerno il 07 Febbraio 2017, 12:06:05 PMOnestamente non sono preparato di storia cinese, o perlomeno so poco del secolo XV e non saprei se mettere li un paletto alla loro crescita (in senso assoluto, non relativo all'Europa). Conosco però il colonialismo, la guerra dell'oppio, etc. Provocatoriamente avevo infatti precedentemente parlato di Giappone, la cui cultura non si dirà certo occidentale (con tutte le recenti compenetrazioni, è comunque difficile intenderla cosi) e che deve il proprio successo a come i lacci coloniali siano stati strappati (allo stesso modo degli States\UK, nessuna novità). Riguardo al mondo Islamico suppongo vi rifacciate a Renan? Mi sembra una posizione ambigua. Riguardo alla rivalutazione del medioevo Europeo, a me sembra onestamente mitologica, o per meglio dire letteraria, basata più sulle chanson che su quello che l'Europa stava realmente vivendo? Mi trovi d'accordo invece quando parli di indiani ed agricoltura. A mio avviso il punto sta proprio li (a dimostrazione che tutti abbiamo un età dell'oro di riferimento), l'agricoltura sancisce non il dominio dell'uomo sulla natura (a mio avviso inevitabile) ma il suo dominio sugli altri uomini, l'autorità, inevitabile nelle società agricole. Paradossale no? Stesso riferimento, ma conclusioni opposte. E' anche vero che il punto sta nella definizione di cultura, ma anche e sopratutto di "occidentale", i cui confini vanno a seconda dell'osservatore da globali (Fukuyama) a continentali (Hungtinton), che avevo non a caso citato nel "puzzle di citazioni".

Per quanto riguarda la storia cinese faccio riferimento alla monumentale opera di J. Needham intitolata "Scienza e civiltà in Cina" che, cosa alquanto rara per un autore occidentale in oriente, anche in Cina è stata apprezzata e divulgata, e il XV secolo coincide con l'arresto di uno sviluppo scientifico e tecnologico durato svariati secoli che allo stesso autore è apparso inspiegabile. I giapponesi sono molto più simili, come indole aggressiva, agli occidentali di quanto non lo fossero i cinesi (e gli indiani) in quanto la cultura scintoista (a differenza di quelle taoiste, confuciane, buddiste e induiste che sono più propriamente "orientali" in quanto più indirizzate alla prevalenza del pensiero rispetto all'azione) esalta la guerra e il militarismo e  proprio i cinesi ne sono stati troppo spesso le vittime designate. Per quanto riguarda invece gli indiani d'America la loro cultura considerava l'agricoltura come una violenza alla terra, ovvero una usurpazione della volontà del "Grande Spirito" che si manifestava con la crescita spontanea dei frutti della terra piegandola ai voleri dell'uomo; sulla medesima linea nel libro della Genesi, nato in un luogo ove sono sorte le prime comunità umane stanziali e agricole, si legge che Dio rifiutò i doni sacrificali di Caino, agricoltore, mentre accettò quelli di Abele, allevatore (e credo sia difficile pensare a contatti e scambi culturali fra gli estensori della Bibbia e gli indiani nordamericani, in quell'epoca). Gli aborigeni australiani e la maggior parte delle comunità primitive, pur vivendo in villaggi e avendo superato il nomadismo non coltivavano la terra, ma costruendo i propri villaggi nei pressi dei corsi d'acqua la naturale fertilità della terra circostante (oltre alla caccia e alla pesca) permetteva loro di avere di che sopravvivere. L'agricoltura quindi sancisce la prima cesura fra l'uomo e la natura che deve essere piegata ai desideri e ai bisogni umani, poichè l'autorità e la gerarchia è presente in ogni comunità primitiva, e i ruoli sono molto più rigidi di quanto lo siano nelle società moderne (la "mobilità sociale" è invenzione stupida e assai recente). Il Medioevo è stato per trecento anni quel che il nazismo è negli ultimi 60: un qualcosa da cancellare, da denigrare, da ridicolizzare, da diffamare, tanto che tutte le scienze medievali sono sparite o trasformate nelle loro caricature (tipo ad esempio l'alchimia e l'astrologia) e solo negli ultimi decenni Le Goff in Francia e Cardini in Italia hanno provato a rendere un poco di giustizia a quel periodo che, ribadisco è stato l'unico degli ultimi 2500 anni in Europa a poter essere definito "cultura" tanto che sarebbe molto più corretto definire "secoli bui" quelli che sono venuti in seguito. L'aggettivo "occidentale" riferito alla cultura è ovviamente applicabile solo all'attualità, e credo che si possa a buon diritto definire "occidente" in senso culturale tutto ciò che è fondato sulla prevalenza della materia rispetto allo spirito, sulla prevalenza dell'azione rispetto al pensiero, sulla prevalenza dell'uomo rispetto all'ambiente, sulla prevalenza dell'utilità rispetto alla verità, sulla prevalenza dell'interesse rispetto alla giustizia, sulla prevalenza della competizione rispetto alla collaborazione, sulla prevalenza dell'individuo rispetto alla comunità, sulla prevalenza dell'uguaglianza rispetto alla gerarchia.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: InVerno il 07 Febbraio 2017, 16:18:07 PM
Citazione di: donquixote il 07 Febbraio 2017, 14:14:25 PM
Citazione di: InVerno il 07 Febbraio 2017, 12:06:05 PMOnestamente non sono preparato di storia cinese, o perlomeno so poco del secolo XV e non saprei se mettere li un paletto alla loro crescita (in senso assoluto, non relativo all'Europa). Conosco però il colonialismo, la guerra dell'oppio, etc. Provocatoriamente avevo infatti precedentemente parlato di Giappone, la cui cultura non si dirà certo occidentale (con tutte le recenti compenetrazioni, è comunque difficile intenderla cosi) e che deve il proprio successo a come i lacci coloniali siano stati strappati (allo stesso modo degli States\UK, nessuna novità). Riguardo al mondo Islamico suppongo vi rifacciate a Renan? Mi sembra una posizione ambigua. Riguardo alla rivalutazione del medioevo Europeo, a me sembra onestamente mitologica, o per meglio dire letteraria, basata più sulle chanson che su quello che l'Europa stava realmente vivendo? Mi trovi d'accordo invece quando parli di indiani ed agricoltura. A mio avviso il punto sta proprio li (a dimostrazione che tutti abbiamo un età dell'oro di riferimento), l'agricoltura sancisce non il dominio dell'uomo sulla natura (a mio avviso inevitabile) ma il suo dominio sugli altri uomini, l'autorità, inevitabile nelle società agricole. Paradossale no? Stesso riferimento, ma conclusioni opposte. E' anche vero che il punto sta nella definizione di cultura, ma anche e sopratutto di "occidentale", i cui confini vanno a seconda dell'osservatore da globali (Fukuyama) a continentali (Hungtinton), che avevo non a caso citato nel "puzzle di citazioni".

Per quanto riguarda la storia cinese faccio riferimento alla monumentale opera di J. Needham intitolata "Scienza e civiltà in Cina" che, cosa alquanto rara per un autore occidentale in oriente, anche in Cina è stata apprezzata e divulgata, e il XV secolo coincide con l'arresto di uno sviluppo scientifico e tecnologico durato svariati secoli che allo stesso autore è apparso inspiegabile. I giapponesi sono molto più simili, come indole aggressiva, agli occidentali di quanto non lo fossero i cinesi (e gli indiani) in quanto la cultura scintoista (a differenza di quelle taoiste, confuciane, buddiste e induiste che sono più propriamente "orientali" in quanto più indirizzate alla prevalenza del pensiero rispetto all'azione) esalta la guerra e il militarismo e  proprio i cinesi ne sono stati troppo spesso le vittime designate. Per quanto riguarda invece gli indiani d'America la loro cultura considerava l'agricoltura come una violenza alla terra, ovvero una usurpazione della volontà del "Grande Spirito" che si manifestava con la crescita spontanea dei frutti della terra piegandola ai voleri dell'uomo; sulla medesima linea nel libro della Genesi, nato in un luogo ove sono sorte le prime comunità umane stanziali e agricole, si legge che Dio rifiutò i doni sacrificali di Caino, agricoltore, mentre accettò quelli di Abele, allevatore (e credo sia difficile pensare a contatti e scambi culturali fra gli estensori della Bibbia e gli indiani nordamericani, in quell'epoca). Gli aborigeni australiani e la maggior parte delle comunità primitive, pur vivendo in villaggi e avendo superato il nomadismo non coltivavano la terra, ma costruendo i propri villaggi nei pressi dei corsi d'acqua la naturale fertilità della terra circostante (oltre alla caccia e alla pesca) permetteva loro di avere di che sopravvivere. L'agricoltura quindi sancisce la prima cesura fra l'uomo e la natura che deve essere piegata ai desideri e ai bisogni umani, poichè l'autorità e la gerarchia è presente in ogni comunità primitiva, e i ruoli sono molto più rigidi di quanto lo siano nelle società moderne (la "mobilità sociale" è invenzione stupida e assai recente). Il Medioevo è stato per trecento anni quel che il nazismo è negli ultimi 60: un qualcosa da cancellare, da denigrare, da ridicolizzare, da diffamare, tanto che tutte le scienze medievali sono sparite o trasformate nelle loro caricature (tipo ad esempio l'alchimia e l'astrologia) e solo negli ultimi decenni Le Goff in Francia e Cardini in Italia hanno provato a rendere un poco di giustizia a quel periodo che, ribadisco è stato l'unico degli ultimi 2500 anni in Europa a poter essere definito "cultura" tanto che sarebbe molto più corretto definire "secoli bui" quelli che sono venuti in seguito. L'aggettivo "occidentale" riferito alla cultura è ovviamente applicabile solo all'attualità, e credo che si possa a buon diritto definire "occidente" in senso culturale tutto ciò che è fondato sulla prevalenza della materia rispetto allo spirito, sulla prevalenza dell'azione rispetto al pensiero, sulla prevalenza dell'uomo rispetto all'ambiente, sulla prevalenza dell'utilità rispetto alla verità, sulla prevalenza dell'interesse rispetto alla giustizia, sulla prevalenza della competizione rispetto alla collaborazione, sulla prevalenza dell'individuo rispetto alla comunità, sulla prevalenza dell'uguaglianza rispetto alla gerarchia.
Ho paura che molto difficilmente troveremo un punto di contatto riguardo al medioevo, credo che vedresti le mie argomentazioni come "propaganda antinazista". Mi viene solo in mente quella bella filastrocca medievale che intimava al bambino di morire nel sonno per evitare di vivere quella vita (seguita poi probabilmente dalla comune pratica del soffocamente al seno).. ma suppongo non facesse parte dei codici cavallereschi. E' un po come la diatriba se l'uomo sia o meno un prodotto della sua cultura, che ho volutamente evitato ma ripropongo. Generalmente chi propone che l'uomo sia un prodotto della sua cultura è perchè immagina se stesso come modellatore della storia (Marx passò da una versione all'altra nel corso della sua vita). Allo stesso modo chi rivaluta il medioevo si emoziona probabilmente all'idea di una fervente vita di convento o in armatura scintillante, non molto all'idea di bollire il letame per cena, ma la pura statistica di un possibile "viaggio nel tempo" vi vedono svantaggiati per 99 a 1, attenzione.

Riguardo all'agricoltura, in realtà il mito genesiaco ha poco senso(una cantonata deduttiva), l'allevamento è una forma ancora più intensiva di agricoltura dove le proteine fanno il "giro lungo" per arrivare "raffinate" sotto forma di carne. Ad oggi infatti il problema ecologico principale legato allo sfruttamento del suolo, è l'allevamento. Anche supponendo che la demografia non costringa all'allevamento intensivo, avere dei pascoli significa deforestazione massiva ed eradicazione della fauna concorrente\predatrice per estensioni anche dieci volte superiori (l'anatolia e la siria, ma anche la sardegna, non erano semidesertiche una volta). Ma suppongo il mito abbia più a che fare con l'archetipo del sacrificio animale che con l'ecologismo. La caccia\raccolta è un altro discorso ma è sostenibile solamente a basse demografie, e come fai a controllare le nascite senza controllare la natura? (quando per deduzione, una nascita è sempre un evento positivo) Il motivo per cui gli indiani hanno avuto il lusso di poterla mantenere cosi a lungo si deve a una qualche forma di controllo demografico, probabilmente molte incrociate, infanticidio, malattie e una sana dose di mazzate. Oppure ci hanno ragionato su "induttivamente" e hanno tenuto a bada i pisellini.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Eretiko il 07 Febbraio 2017, 20:13:18 PM
Una volta scoperto che l'intestino dell'uomo è relativamente lungo, dovremmo ragionevolmente "dedurre" che esso non è adatto alla digestione della carne (causa fermentazione della stessa), da cui potremmo "dedurre" che forse l'alimentazione più consona è costituita da frutta e verdura (e pesce), un po' come succede con le scimmie di darwiniana memoria (ma non relativamente al pesce). Un risultato che forse gli uomini arcaici avevano già intuito, e di cui oggi siamo certi a causa della stregonerie moderne.

Donquixote, mi hai risposto indirettamente, quindi grazie lo stesso: adesso conosco cosa salvi degli ultimi 3.000 anni europei. Comunque se per caso l'orrida tecnologia riesce a costruire una macchina del tempo, non vorrò mai fare un viaggio in quel periodo (medioevo) che tu apprezzi, soprattutto perché non so stare zitto, e in quel periodo chi si professava ateo finiva sulla graticola.   
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: paul11 il 08 Febbraio 2017, 00:03:40 AM
Mah,....
Nelle scienze antiche un granello di sabbia era relazionato al significato dell'intero universo, oggi al massimo al regno minerale.Io vedo una conoscenza prolificata per differenze incapace di dare senso ,
Un tempo esisteva il saggio, il sapiente, oggi dov'è finito?
Oggi non essendoci identità riconosciuta che ci leghi, esiste l'incomunicabilità, la divisione, il timore di salutare, ogni persona è un ignoto mondo insondabile, a chi si chiede aiuto? IL padre uccide la moglie e poi i figli...." era una persona buona e cortese, salutava quando lo incontravo, ma mai avrei pensato che....."
Ci sono sintomi netti e profondi di un malessere incomunicabile e profondo che ha perso conoscenza con e insieme gli altri che è permessa solo da elementi identificativi che costruiscono quella solidarietà  e fratellanza che l'individualismo , l'atomismo hanno posto come l'altrui anche se  dirimpettaio nel proprio stabile come sconosciuto, costruzione di diffidenze che hanno preso il posto della cordialità.
Ci si chiude a riccio perchè il sistema competitivo e  quindi individualistico ci coglie come differenze come esplicazione sociale di una cultura.
Dipende in cosa noi crediamo per vita,per significati, per umanità, allora diamo giudizi sulle culture, sulla società.
Di una cosa sono certo, è impossibile socialmente fare qualcosa senza elementi di coesione identificativi.

Si può fare a meno di un sacco di comodità spacciate come surrogati affettivi, simboli sociali di consumo,
ma non si può fare a meno del calore umano quella  unica medicina che permette di non far esplodere  anime perse nelle turbolenti correnti di questo tempo dell'acciaio, nella solitudine isolazionista.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: baylham il 08 Febbraio 2017, 10:31:44 AM
A Eretiko,

Il giro lungo delle proteine a cui si riferiva InVerno presumo sia la catena alimentare, ecologia, non l'apparato digerente, biologia. O forse entrambi? Ad InVerno la risposta.

A Paul11 e donquixote

In sintesi, avete introdotto il concetto di cultura o comunità come un concetto stabile, ben definito, che ha un plurale, le culture, le comunità. Nel plurale avete distinto le culture, comunità induttive da quelle deduttive, esprimendo la vostra preferenza per quelle deduttive. Avete giudicato sbagliate, errate le culture induttive, fondate sull'individuo, che non conta, se non all'interno di principi superiori, la cultura, la comunità appunto.

Primo problema, già sollevato da Sariputra: come è possibile, come avviene il cambiamento di una cultura, la sua disgregazione,  il trapasso da una cultura ad un'altra? Quali sono le dinamiche? Mi sembra il problema della filosofia strutturalista.

Secondo problema: l'induzione e la deduzione sono principi del ragionamento e della logica umana, ma entrambi sono fallaci, difettosi. Personalmente all'opzione netta tra i due preferisco un ragionamento, una logica, circolare, che li applichi entrambi, un processo simile a quello scientifico. In ogni caso l'induzione e la deduzione sono applicate dal singolo uomo, da me, da Paul11, donquixote, Eretiko, InVerno, .... Se anche la cultura, la comunità fosse una mente (alla Bateson), il singolo non potrebbe conoscerla.

Terzo problema: se esistono culture, comunità, induttive e deduttive significa che i principi deduttivi, le fondamenta di donquixote, che presiedono alla culture, comunità deduttive, non sono le vere fondamenta, i veri principi, perché c'è un principio superiore che le deduce entrambe.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: InVerno il 08 Febbraio 2017, 12:14:28 PM
Citazione di: paul11 il 08 Febbraio 2017, 00:03:40 AMUn tempo esisteva il saggio, il sapiente, oggi dov'è finito?
Ti consiglio di guardare il film "F come Falso" di Orson Welles (se non l'avessi già fatto). E' la storia di un falsario di quadri scritta da un falsario di biografie registrata in un film a tratti dichiaratamente falso. La sfida è capire cosa è vero in tutto ciò, e quale esperto (o saggio) riesca a stabilirlo, considerato che già i saggi delle gallerie erano già stati bellamente gabbati tutti quanti. E quale sia il rapporto tra il vero e l'arte, ma a questo punto, anche l'arte della vita.
Onestamente non riesco a trovare la quadra di come da un lato invochiate una verità dall'alto (veicolata inevatibilmente tramite umani), e dall'altra facciate apologie delle società prestatuali, non ha onestamente molto senso. L'onere del saggio era la conservazione della memoria non scritta, la sua valenza è andata a scemare proporzionalmente alle nostra capacità di conservare le nostre memorie al di fuori dei nostri cervelli. Il "saggio di biblioteca" è un saggio molto diverso dal "saggio di una cheferie", il loro scopo era quello di essere la biblioteca, non tanto quanto quella di interpretarla. Lo stesso rapporto tra il saggio e l'autorità è estremamente complesso e diversificato, ma la coincidenza delle due è fatta di un rapporto molto diverso da quello che oggi noi intendiamo per un "saggio guida".

Riguardo invece al "giro lungo", si mi riferivo al percorso percorso nella catena alimentare (ecologico).
Però, non fate l'errore "positivista" di considerare l'ecologia come una branca a se dell'universo, il rapporto con il territorio è fondamentale e determinante e simbiotico per le persone che ci vivono, una pessima gestione del territorio porta inevitabilmente a condizioni di vita pessime, conflitti, etc..
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: paul11 il 08 Febbraio 2017, 13:47:57 PM
Rispondo ad entrambi, Baylham ed inverno.

Nei post precedenti tovi le risposte alle tue domande Baylham, comunque....

Preferire è già, dividere, direi propendo, e non è solo un gioco semantico lessicale. Non ho ma idetto che questa società attuale "induttiva" è tutto da buttare e quella "deduttiva" è tutta da santificare; sia perchè in entrambi non c'è una "perfezione", ma soprattutto a mio parere entrambi hanno una contraddizione conoscitiva che è alla base della costituzione della coscienza.
Parli di effetti, si stabilità nell'una e l'individualismo nell'altra.
 la stabilità nella prima è data dall'ordine che costruisce si signifcati e sensi che relazionano ogni particolare al tutto, quindi il filo d'erba ha signifcato dentro l'universale, il cerchio che racchiude il tutto. La stabilità è data proprio da circuito di relazione chiuso, ogni essente ha una relazione, non trovano necessità di farsi altri perchè, va bene così. Ecco perchè  sono società chiuse e stabili.

Personalmente sostengo che la fuoriuscita da quell'ordine della società induttiva poteva farlo solo chi temerariamente avesse una propensione attitudinale ad oltrepassare quell'ordine, oggi diremmo qualcuno ha superato il primo tabù e così ha demolito la relazione di quel tabù al totem. Perchè accade che quella parte di umanità (sono le nostre precedenti civiltà che si sono storicamente passate il testimone) che decise di oltrepassare la soglia si accorse che la conoscenza è potente, ma solo per sè e contro qualcosa, non come nuova forma epistemica di verità.  Quella conoscenza gli dava potere sulla natura e sull'altra parte di umanità attraverso la tecnica e la tecnologia.Non gli costruiva più coscienza, anzi si apre la dicotomia e la contraddizione storica. La spinta verso la tecnica, vers ole scienze natural ie fisiche , è la spinta verso il ragionamento induttivo L'uomo classifica, categorizza costruisce gerghi linguistici e divide e si divide.Questo è spingersi sui particolari e abbandona la civiltà della deduzione che aveva l'ordine, ormai superata ,ma anzi messa in discussione.
Sono d,accordo e l'ho scritto che entrambi i ragionamenti vanno utilizzati, sia il deduttivo che l'induttivo, ma è centrale la coscienza umana, la volontà, la mente.Oggi in cui è il ragionamento induttivo delle scienze naturali e fisiche che ha il potere culturale, come s ifa a riportare questa cultura dentro un'ordine che la comprende, in cui daccapo ogni particolare della scienza è relazionato ad un principio del tutto.

Forse non si vuol capire che la nostra cultura ha ucciso Dio è la cultura deduttiva, spostando la verità nella dimostrazione evidente del fenomeno. noi crediamo in quello che vediamo e proviamo sperimentalmente dice la giustifcazione di verità dell'attuale cultura.
Non risponde a nessuna problematizzazione esistenziale, da dove veniamo, che significato ha esistere, che senso ha la vita, dove andremo alla fine? Se l'uomo tronca, recide una parte del suo ragionamento perchè ha deciso che non esistono verità, ma opinioni perchè regna l'epistemologia popperaina della falsificazione.
Allora non ci sono verità, ma solo opinioni e tutto ciò che linguisticamente o come filosofia metafisica è essere, essente, sparisce nell'assiomatizzazione delle tautologie, ma basate su un metodo scientifico induttivo.Quindi è importante il filo d'erba perchè è evidente, punto, fine,stop. Se ogni cosa è per sè e in sè la coscienza umana ne soffre razionalmente e spiritualmente ( se volete psichicamente), perchè non trova risposte alle sue domande di senso.

Ma ora voglio ulteriormente porre un paio di considerazioni. 

Se la saggezza fosse memoria, sappi che l'uomo ha chiuso, non ha più senso da quando ha creato i computer.
Il saggio è colui che interpreta i segni che guarda la terra in cui è il filo d'erba e il cielo in cui osserva le stelle e dà una risposta di senso ad ogni manifestazione .Quelle società chiuse deduttive hanno sempre una risposta di senso,cosa che non esiste più nella nostra.

Ma la replica sarebbe, loro credono a cose che appartengono ad un mondo per noi superato, ignorante dal punto di vista conoscitivo, superato dalla nostra storia.
Attenzione: lui crede e voi no e non importa se crede a "baluba". Questa è la sua forza perchè lui ha l'intera narrazione di senso nella sua esistenza, lui crede in un suo ordine che non riuscirete mai ad abbattergli perchè lui ragiona dentro un altro modello rappresentazionale che è assoluto mentre il nostro è relativo ai tempi e falsificabile.

Daccapo se noi non siamo certi di nulla, noi diciamo che colui che crede in baluba dice falsità. 
Ma Inverno cosa ha importanza sapere nella nostra cultura cosa è vero o falso , se tanto non è certo?
La differenza la fa allora la coscienza quando non la fa più la conoscenza, perchè la sua forza è interiore e si espande nell'ordine esteriore  che la comprende ed è potente quanto lo è la nostra tecnica.

La seconda considerazione: ditemi il valore aggiunto dell'uomo rispetto ad un robot i n questa cultura 
I robot, i computer hanno sostituito e sostituiscono il lavoro umano, poi sostituiranno l'uomo stesso,perchè l'uomo ha limiti
ascrivbili in questa contraddittoria cultura nello stesso dominio in cui è collocato il computer e il robot, anzi lui li fa meglio, più veloce e senza errori. Se l'uomo  perde anche il valore aggiunto della coscienza ha chiuso davvero:tanti auguri fra un paio di generazioni.
E non pensate che è l'uomo che crea i computer, algoritmi e ragionamenti euristici ormai sono in grado e lo saranno sempre più di autoprodurlo. Se l'uomo è  solo calcolo e ragionamento induttivo con una conoscenza estensiva e quantitativa . ci batteranno. e la fantascienza diverrà ancora una volta realtà. Saremo, come già lo siamo schiavi dei nostri artifici, della tecnica e tecnologia.

C'è gente che fa triple turnazioni, lavora il sabato, la domenica, e magari pure a Natale, abbiamo inventato la luce elettrica per lavorare anche di notte, instancabilmente e ininterrottamente con processi continui industriali , ma non abbiamo ancora capito che la tecnica ormai  risponde a se stessa e noi non la stiamo affatto dominando, perchè la tecnica è figlia indissolubile di questa cultura.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: InVerno il 09 Febbraio 2017, 11:43:22 AM
Citazione di: paul11 il 08 Febbraio 2017, 13:47:57 PM
Rispondo ad entrambi, Baylham ed inverno.

Nei post precedenti tovi le risposte alle tue domande Baylham, comunque....

Preferire è già, dividere, direi propendo, e non è solo un gioco semantico lessicale. Non ho ma idetto che questa società attuale "induttiva" è tutto da buttare e quella "deduttiva" è tutta da santificare; sia perchè in entrambi non c'è una "perfezione", ma soprattutto a mio parere entrambi hanno una contraddizione conoscitiva che è alla base della costituzione della coscienza.
Parli di effetti, si stabilità nell'una e l'individualismo nell'altra.
la stabilità nella prima è data dall'ordine che costruisce si signifcati e sensi che relazionano ogni particolare al tutto, quindi il filo d'erba ha signifcato dentro l'universale, il cerchio che racchiude il tutto. La stabilità è data proprio da circuito di relazione chiuso, ogni essente ha una relazione, non trovano necessità di farsi altri perchè, va bene così. Ecco perchè  sono società chiuse e stabili.

Personalmente sostengo che la fuoriuscita da quell'ordine della società induttiva poteva farlo solo chi temerariamente avesse una propensione attitudinale ad oltrepassare quell'ordine, oggi diremmo qualcuno ha superato il primo tabù e così ha demolito la relazione di quel tabù al totem. Perchè accade che quella parte di umanità (sono le nostre precedenti civiltà che si sono storicamente passate il testimone) che decise di oltrepassare la soglia si accorse che la conoscenza è potente, ma solo per sè e contro qualcosa, non come nuova forma epistemica di verità.  Quella conoscenza gli dava potere sulla natura e sull'altra parte di umanità attraverso la tecnica e la tecnologia.Non gli costruiva più coscienza, anzi si apre la dicotomia e la contraddizione storica. La spinta verso la tecnica, vers ole scienze natural ie fisiche , è la spinta verso il ragionamento induttivo L'uomo classifica, categorizza costruisce gerghi linguistici e divide e si divide.Questo è spingersi sui particolari e abbandona la civiltà della deduzione che aveva l'ordine, ormai superata ,ma anzi messa in discussione.
Sono d,accordo e l'ho scritto che entrambi i ragionamenti vanno utilizzati, sia il deduttivo che l'induttivo, ma è centrale la coscienza umana, la volontà, la mente.Oggi in cui è il ragionamento induttivo delle scienze naturali e fisiche che ha il potere culturale, come s ifa a riportare questa cultura dentro un'ordine che la comprende, in cui daccapo ogni particolare della scienza è relazionato ad un principio del tutto.

Forse non si vuol capire che la nostra cultura ha ucciso Dio è la cultura deduttiva, spostando la verità nella dimostrazione evidente del fenomeno. noi crediamo in quello che vediamo e proviamo sperimentalmente dice la giustifcazione di verità dell'attuale cultura.
Non risponde a nessuna problematizzazione esistenziale, da dove veniamo, che significato ha esistere, che senso ha la vita, dove andremo alla fine? Se l'uomo tronca, recide una parte del suo ragionamento perchè ha deciso che non esistono verità, ma opinioni perchè regna l'epistemologia popperaina della falsificazione.
(2)Allora non ci sono verità, ma solo opinioni e tutto ciò che linguisticamente o come filosofia metafisica è essere, essente, sparisce nell'assiomatizzazione delle tautologie, ma basate su un metodo scientifico induttivo.Quindi è importante il filo d'erba perchè è evidente, punto, fine,stop. Se ogni cosa è per sè e in sè la coscienza umana ne soffre razionalmente e spiritualmente ( se volete psichicamente), perchè non trova risposte alle sue domande di senso.

Ma ora voglio ulteriormente porre un paio di considerazioni.

(1)Se la saggezza fosse memoria, sappi che l'uomo ha chiuso, non ha più senso da quando ha creato i computer.
Il saggio è colui che interpreta i segni che guarda la terra in cui è il filo d'erba e il cielo in cui osserva le stelle e dà una risposta di senso ad ogni manifestazione .Quelle società chiuse deduttive hanno sempre una risposta di senso,cosa che non esiste più nella nostra.

Ma la replica sarebbe, loro credono a cose che appartengono ad un mondo per noi superato, ignorante dal punto di vista conoscitivo, superato dalla nostra storia.
Attenzione: lui crede e voi no e non importa se crede a "baluba". Questa è la sua forza perchè lui ha l'intera narrazione di senso nella sua esistenza, lui crede in un suo ordine che non riuscirete mai ad abbattergli perchè lui ragiona dentro un altro modello rappresentazionale che è assoluto mentre il nostro è relativo ai tempi e falsificabile.

Daccapo se noi non siamo certi di nulla, noi diciamo che colui che crede in baluba dice falsità.
Ma Inverno cosa ha importanza sapere nella nostra cultura cosa è vero o falso , se tanto non è certo?
La differenza la fa allora la coscienza quando non la fa più la conoscenza, perchè la sua forza è interiore e si espande nell'ordine esteriore  che la comprende ed è potente quanto lo è la nostra tecnica.

(3)La seconda considerazione: ditemi il valore aggiunto dell'uomo rispetto ad un robot i n questa cultura
I robot, i computer hanno sostituito e sostituiscono il lavoro umano, poi sostituiranno l'uomo stesso,perchè l'uomo ha limiti
ascrivbili in questa contraddittoria cultura nello stesso dominio in cui è collocato il computer e il robot, anzi lui li fa meglio, più veloce e senza errori. Se l'uomo  perde anche il valore aggiunto della coscienza ha chiuso davvero:tanti auguri fra un paio di generazioni.
E non pensate che è l'uomo che crea i computer, algoritmi e ragionamenti euristici ormai sono in grado e lo saranno sempre più di autoprodurlo. Se l'uomo è  solo calcolo e ragionamento induttivo con una conoscenza estensiva e quantitativa . ci batteranno. e la fantascienza diverrà ancora una volta realtà. Saremo, come già lo siamo schiavi dei nostri artifici, della tecnica e tecnologia.

C'è gente che fa triple turnazioni, lavora il sabato, la domenica, e magari pure a Natale, abbiamo inventato la luce elettrica per lavorare anche di notte, instancabilmente e ininterrottamente con processi continui industriali , ma non abbiamo ancora capito che la tecnica ormai  risponde a se stessa e noi non la stiamo affatto dominando, perchè la tecnica è figlia indissolubile di questa cultura.

(1) No no, io non ho mai detto che la saggezza è memoria, ma semplicemente ho cercato di distinguere diversi tipi di "saggio", per ricordare che quello primitivo era fondamentalmente memoria (più vicino quindi ad un moderno computer). Il modello umano che invece sembra venir avvocato non ha nulla a che fare con le società primitive (di qui, il paradosso) e parla di un uomo "teocratico" che mescola diverse funzioni delle società primitive ma che in realtà non è mai esistito prima delle società statuali dove l'autorità gli ha permesso di legare a se la guida, la conoscenza e l'interpretazione del mondo (capo\anziano\sciamano non erano quasi mai figure sovrapposte, e Montesquieu era li da venire) solo l'autorità può costringere la commistione delle competenze in questa buffa chimera antimeritocratica, quando c'è di mezzo la sopravvivenza immediata le buffonate portano alla morte immediata, non ci sono servi della gleba da mandare al macello al proprio posto.

(2) Ma non è vero, questa è una visione iperiduttiva di indagine a camere stagne. Cionondimeno, sarebbe necessario porsi le domande giuste prime di attendere la risposta, se aspettiamo la risposta a "che senso ha la vita" ho proprio paura che attenderemo invano, o ci acconteteremo di risposte cucite a misura di domanda.

(3)Ora, io personalmente ritengo che la questione della singolarità sia semplicemente ridicola. E' dagli anni 60 che al MIT annunciano (minacciano in realtà) che entro 6 mesi avranno un computer capace di emulare perfettamente un essere umano. Mi sembrano sopratutto a caccia di fondi, ma comuque sarebbe un discorso ampio. Finchè cercheremo di renderli più intelligenti, puoi dormire tranquillo, è quando cercheremo di farli più stupidi, quando dubiteranno del risultato di una divisione, che dovrai preoccuparti. Ciò che invece importante notare, è che da quando ci sono i computer ad aiutarci con la memoria, il mercato del lavoro ha completamente smesso di cercare "uomini memoria" ma ha cominciato a cercare persone capaci di fare relazioni, collegamenti, indagini, sensate tra le diverse memorie. La memoria ha perso grandemente di valore economico, la capacità di inventiva, di relazione, di organizzazione, ne ha grandemente beneficiato. Il mio giudizio è che questo rispetti maggiormente la nostra "eccezionalità umana" e meno le nostre qualità di pappagalli ma potrei sbagliarmi.

A proposito di pappagalli
La mia compagna che lavora in una nota agenzia di stampa, ha una dote. Parlando di attualità con le persone riesce con precisione quasi millimetrica a individuare da quali giornali si "riforniscano" abitualmente, se l'argomento di discussione non è sufficientemente "colorito" almeno non i nomi ma perlomeno l'area editoriale e nel caso anche geografica, in generale a quale "echo-chamber" appartengano. Fa sempre un certo effetto per noi "liberi pensatori" essere messi a nudo in maniera cosi drastica davanti ai nostri limiti di pappagalli, ma la pluralità di opinioni ci aiuta a coltivare le relazioni, infatti è quasi impossibile fare lo stesso esercizio con lei che viene bombardata dall'intera informazione giornalmente, il suo assomiglia quasi ad un libero pensiero, grazie alla pluralità. La Verità (come la Pravda), è un allevatrice di pappagalli, non di uomini. Che poi i pappagalli vivano meglio perchè necessitano solo di becchime, sonno e defecare, è tutto un altro paio di maniche.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: paul11 il 09 Febbraio 2017, 13:15:25 PM
Inverno, 
è inutile discutere se non sei in grado idi dare serie argomentazioni.

1) basterebbe studiarsi il rito dello sciamano per capire qualcosa di quelle culture
2) attenzione a non trovarsi "....anime contadine in volo per il mondo..." con una cintura  in vita di bombe, che sa cosa vuole, che sa qual' è il senso della vita, incazzato con i decerebrati occidentali che attendono la morte nel baccanale e bivaccamento  certo a modo magari tutto suo, ma ce l'ha, a ricordarci un attimo prima di esplodere  insieme a lui cos'è il senso della vita": tanti auguri.
3) e qual'è la ragione del precariato, disoccupazione, job act? Tutti già ora sono fisicamente mutanti e replicanti ,costi sociali sull'altare , fuori uno e dentro l'altro , o meglio fuori uno e dentro un automatismo,dell'efficienza ed efficacia della ltecnica. la politica non può gestire gli effetti creati dall'economia ,perchè è dentro la stessa cultura, è funzionale ad essa e gerarchicamente sottomessa: 
Di nuovo tanti auguri
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: InVerno il 09 Febbraio 2017, 14:48:58 PM
Citazione di: paul11 il 09 Febbraio 2017, 13:15:25 PM
Inverno,
è inutile discutere se non sei in grado idi dare serie argomentazioni.

1) basterebbe studiarsi il rito dello sciamano per capire qualcosa di quelle culture
2) attenzione a non trovarsi "....anime contadine in volo per il mondo..." con una cintura  in vita di bombe, che sa cosa vuole, che sa qual' è il senso della vita, incazzato con i decerebrati occidentali che attendono la morte nel baccanale e bivaccamento  certo a modo magari tutto suo, ma ce l'ha, a ricordarci un attimo prima di esplodere  insieme a lui cos'è il senso della vita": tanti auguri.
3) e qual'è la ragione del precariato, disoccupazione, job act? Tutti già ora sono fisicamente mutanti e replicanti ,costi sociali sull'altare , fuori uno e dentro l'altro , o meglio fuori uno e dentro un automatismo,dell'efficienza ed efficacia della ltecnica. la politica non può gestire gli effetti creati dall'economia ,perchè è dentro la stessa cultura, è funzionale ad essa e gerarchicamente sottomessa:
Di nuovo tanti auguri
Quando il proprio pensiero porta a fare apologie di bombaroli che pensano di vivere in un videogioco, uno potrebbe anche porsi delle domande, se il risultato delle tue corse nei verdi campi del noumeno è questo, auguri a te, e auguri alla filosofia.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: paul11 il 09 Febbraio 2017, 15:46:45 PM
Citazione di: InVerno il 09 Febbraio 2017, 14:48:58 PM
Citazione di: paul11 il 09 Febbraio 2017, 13:15:25 PMInverno, è inutile discutere se non sei in grado idi dare serie argomentazioni. 1) basterebbe studiarsi il rito dello sciamano per capire qualcosa di quelle culture 2) attenzione a non trovarsi "....anime contadine in volo per il mondo..." con una cintura in vita di bombe, che sa cosa vuole, che sa qual' è il senso della vita, incazzato con i decerebrati occidentali che attendono la morte nel baccanale e bivaccamento certo a modo magari tutto suo, ma ce l'ha, a ricordarci un attimo prima di esplodere insieme a lui cos'è il senso della vita": tanti auguri. 3) e qual'è la ragione del precariato, disoccupazione, job act? Tutti già ora sono fisicamente mutanti e replicanti ,costi sociali sull'altare , fuori uno e dentro l'altro , o meglio fuori uno e dentro un automatismo,dell'efficienza ed efficacia della ltecnica. la politica non può gestire gli effetti creati dall'economia ,perchè è dentro la stessa cultura, è funzionale ad essa e gerarchicamente sottomessa: Di nuovo tanti auguri
Quando il proprio pensiero porta a fare apologie di bombaroli che pensano di vivere in un videogioco, uno potrebbe anche porsi delle domande, se il risultato delle tue corse nei verdi campi del noumeno è questo, auguri a te, e auguri alla filosofia.

Inverno,
sei anche uno strumentalizzatore, perchè non credo più alla buona fede,
per cortesia non rivolgerti più con il sottoscritto.

Grazie
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: donquixote il 09 Febbraio 2017, 17:01:21 PM
Citazione di: InVerno il 09 Febbraio 2017, 14:48:58 PMQuando il proprio pensiero porta a fare apologie di bombaroli che pensano di vivere in un videogioco, uno potrebbe anche porsi delle domande, se il risultato delle tue corse nei verdi campi del noumeno è questo, auguri a te, e auguri alla filosofia.

InVerno, cerca di lasciare da parte per un momento i tuoi pregiudizi e soffermati a riflettere un secondo, visto che in qualche occasione hai mostrato di saperlo fare. Come si fa a ribaltare completamente la realtà e scrivere che il "bombarolo" pensa di vivere in un videogioco? Forse non ce l'ha una famiglia? degli amici? una fidanzata? magari dei figli? dei sentimenti? delle prospettive? Forse che tutte queste cose non sono importanti per lui, magari più di quanto lo siano per noi? Forse che non sacrifica tutto questo per qualcosa che ritiene superiore addirittura alla propria vita? Dici che si rivolge contro obiettivi civili e non militari? Chi furono a teorizzare, per primi, i bombardamenti "a tappeto" di Lipsia e Dresda, privi di obiettivi militari, per "fiaccare la resistenza del popolo tedesco"? Quali obiettivi militari avevano le bombe atomiche sganciate sul Giappone? E il napalm in Vietnam? Chi furono dunque i primi terroristi se con questa parola si intende chi sparge terrore fra i civili in modo da causare panico, insicurezza e sommosse popolari? Chi pensa di vivere in un videogioco: il "bombarolo" che si fa esplodere in prima persona o il sottufficiale che davanti ad una console manovra un drone con il joystick e ammazza qualche decina di persone concludendo la giornata ubriacandosi di birra e magnificando le proprie imprese "eroiche"? Qual è il "senso della vita" di costui? Anzi, qual è la "vita tout court" di costui? Fino a non molti anni fa avremmo esaltato colui che, consapevolmente, si immolava per qualcosa che riteneva superiore alla sua stessa vita, anche se non ne condividevamo le ragioni. Adesso chiamiamo costoro "vigliacchi" mentre il manovratore di joystick a 10.000 km. di distanza dal "bersaglio" è un eroe, un difensore del bene. Anche queste cose, pur se in misura inferiore a quelle già nominate, sono dimostrazione di quanto non solo la nostra cultura non sia più degna di essere chiamata tale, ma di come abbiamo anche abdicato al ruolo puro e semplice di "esseri umani", trasformandoci in vermi privi di spina dorsale e completamente dipendenti dalle macchine che, per forza di cose, non potranno che superarci non tanto per la loro perfezione tecnica quanto per la nostra diminuita e quasi annullata "umanità". Cosa insegnano le culture a proposito dell'uomo (tutte, compresa la nostra prima questa era)? insegnano a coltivare il coraggio, la lealtà, il senso dell'onore e del dovere, il senso del rispetto e della giustizia , il senso di responsabilità nei confronti di Dio, della Patria, della famiglia e di noi stessi, in rigoroso ordine gerarchico. Cosa insegna la nostra "cultura" attuale? a coltivare ed esaltare le debolezze; a soffocare i nostri istinti; ad essere orgogliosi di avere paura; a non vergognarci di piangere in pubblico; a mostrare i nostri sentimenti (solo quelli buoni, s'intende); a non farci turbare da una ragazza in minigonna perchè anche se lei ce la mostra sotto il naso ne ha tutto il diritto e noi abbiamo il dovere di non avere reazioni, come le macchine; a non prendere in giro, da ragazzini,  il diverso, l'handicappato, il nero, il debole, il gay perchè poverini ci possono rimanere male; a sostituire l'intelligenza con l'istruzione per diventare come macchine sempre più prevedibili e controllabili; a mortificare tutto ciò che è forza e virilità (anche dal punto di vista intellettuale) , ed esaltare il femminile, il sentimentale, l' emotivo, l'empatico (quindi, dal punto di vista intellettuale, il dubbioso e lo scettico), e se ci penso un po' potrei andare avanti una buona mezz'ora a scrivere. In buona sostanza a sostituire la nostra umanità con la meccanizzazione, in modo da rendere davvero chiunque uguale  a chiunque altro riducendo tutti al livello della parte inferiore della massa, e a questo punto la nostra meccanizzazione, necessariamente imperfetta, sarà sostituita da quella molto più perfetta delle macchine che nascono già per essere tali.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Freedom il 09 Febbraio 2017, 21:45:07 PM
Non ho rilevato nessuna apologia di bombaroli. Tutt'altro. Semmai il timore che i bombaroli posano entrare in azione. Paura assolutamente attuale poichè i conflitti, montanti oramai in ogni parte del mondo occidentale, si stanno dimostrando in forte e rapida crescita. Non tutti lo avvertono perchè i media, del tutto asserviti al potere, lo nascondono. Ma quando la contraddizione insanabile e irrisolvibile comincia a riguardare il mio parente, il mio amico, il mio vicino di casa, etc. allora non c'è oscuramento mediatico che tenga: lo scontro divampa incontrollabile e mi tocca da vicino. Rendendomene, in qualche modo, partecipe. Non so se torneranno le Brigate Rosse o i Nar ma certamente bisogna considerare la probabilissima eventualità che la società si prepari a scontri importanti e diffusi. Di cui, fra parentesi, i più attenti osservatori ne ravvisano già le prime avvisaglie.

Per quanto riguarda il confinare la vita del proprio interlocutore ad un videogioco, mi dispiace, ma non è una gran figura. Specialmente in considerazione del fatto che questa discussione è tra le più dotte e approfondite che si siano mai viste in questo Forum. Un peccato svilirla.

Per quanto concerne l'oggetto del thread consentitemi un'entrata "gordiana" e sciogliere il nodo con una brutale ma verace affermazione: questa civiltà fa schifo e la nostra vita lo rappresenta egregiamente. Una frustrazione, un obbrobrio che non si può spiegare. E vale per tutti. Chi non lo rileva è perchè non vuole rilevarlo. Le comodità, gli agi, le medicine, le scoperte scientifiche insomma lo straordinario progresso tecnologico e quant'altro non fanno che rendere questa infelicità universalmente diffusa la prova del più grande tradimento della storia umana. Avremmo tutto per essere felici (diciamo quasi perchè certe problematiche esistenziali sono affrontabili solo spiritualmente) e siamo invece infelici. Che amarezza!
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: maral il 09 Febbraio 2017, 22:18:31 PM
Citazione di: donquixote il 06 Febbraio 2017, 23:11:21 PM
Io non ho mai espresso il pregiudizio della non violenza. La violenza ha sempre fatto parte della storia non solo dell'uomo ma della natura in generale. La natura si sviluppa attraverso i conflitti ("Polemos è padre di tutte le cose" diceva Eraclito) e quindi la guerra non è, per me come per chiunque nella storia tranne l'occidente odierno, un tabù, ma spesso l'aggressività e la violenza venivano ritualizzate, controllate, canalizzate attraverso forme simboliche. Poi quando c'era la guerra vera la si faceva, ma anche in quella vi era un'etica, una moralità, che con la modernità sono andate perdute. Abbiamo letteratura epica di ogni parte del mondo che racconta di guerre memorabili, e anche il più grande poema dell'induismo, testo sacro di uno dei popoli meno guerrafondai della storia, utilizza la storia di una guerra per raccontare Dio, l'uomo e il mondo. Ora la guerra, che ha perso ogni caratteristica etica, romantica, eroica, epica, umana,  si fa sparando missili coi droni controllati da diecimila chilometri di distanza contro uomini armati di machete, e il bello è che questi ultimi non sono solo i nemici, come sono sempre stati, ma sono anche i "cattivi" ai quali non si può concedere l'onore delle armi ma bisogna processare se li si fa prigionieri. Solo uno come Kant poteva scrivere, del resto, un libretto intitolato "Per la pace perpetua", che ricorda tanto il "riposo eterno".
E' vero che combattere con le spade e i bastoni è diverso che combattere con i missili e i droni teleguidati, è vero che la guerra non sappiamo più cosa sia, tanto da chiamare missioni di pace le guerre che si fanno altrove, ma questo non toglie che anche un tempo le guerre non fossero balletti simbolici. Né i Romani né i Barbari o i Mongoli (ma neanche Greci, Persiani e Ittiti) quando si combattevano e devastavano le città inscenavano rappresentazioni simboliche della violenza, la praticavano con gusto e ferocia. I Crociati fecero un massacro orrendo a Gerusalemme e così i cavalieri teutonici con le croci sul petto nelle loro crociate contro gli Slavi. Ci furono battaglie in passato dove furono massacrate intere legioni e migliaia di combattenti anche se solo con picche, spade e coltellacci. E' vero piuttosto che in passato la guerra era celebrata come una specie di grande festa crudele in cui l'elemento simbolico era sempre presente e forse questo fa la differenza principale, ma l'elemento simbolico non tramuta la violenza in rappresentazione, l'esatto contrario, almeno finché il simbolo vive e vivere per un simbolo significa annunciare l'assoluto che dirompe, altrimenti anche una croce è solo una X, letteralmente niente. L'uomo dei tempi andati non era di certo migliore di quello attuale in termini di violenze e i pii e buoni contadinelli e pastorelli di un Arcadia felice stanno solo nei sogni.  

Citazione di: maral il 05 Febbraio 2017, 23:50:37 PM
Quando è iniziato il colonialismo delle americhe il Cristianesimo era già in declino, in Europa, da un paio di secoli almeno, e nessun sovrano europeo (nemmeno il Papa) ha mai armato degli eserciti con l'obiettivo di esportare il cristianesimo, anche se al seguito degli eserciti andavano i missionari a distruggere (sia pur in buona fede, al contrario dei soldati) ciò che le armi avevano risparmiato.
Prima, molto prima e proprio nel cuore dell'Europa. I Sassoni pagani furono quasi sterminati dai Franchi cristiani che godevano dell'amicizia e dei solleciti papali, per non parlare degli Slavi pagani, cacciati come bestie dai cavalieri teutonici, per non parlare dei "Dio lo vuole!" pronunciati da pii fondatori di ordini monastici, per non parlare delle feste con rogo e torture in piazza, per non parlare dei Catari e degli Albigesi, per non parlare di vescovi e papi che non solo sobillavano e tramavano, come di antico uso tra ecclesiasti, ma che indossavano pure mazze e armature (e ben venga!). Certo, la religione era spesso un pretesto, ma quel pretesto forniva il simbolo e il simbolo che rappresenta il Dio unico e salvifico per tutti ha sempre diviso nel modo più feroce, scatenando gli odi più devastanti. Perché il simbolo o è tutto o è nulla. Quando si rimpiangono i vecchi valori, le sacrosante tradizioni, si ha una minima idea del prezzo pagato in sangue e dolore che quei valori e tradizioni portano con sé?

CitazioneIn Europa i Romani hanno prima acquisito volontariamente molta parte della cultura greca, poi si sono convertiti al Cristianesimo che ha una struttura dottrinale completamente diversa. Poi tutti i popoli del nord Europa si sono volontariamente cristianizzati. In Asia il Buddhismo è stato abbracciato volontariamente da numerose popolazioni senza essere imposto con la violenza. Se i simboli si impongono da sé significa che sono convincenti e funzionali, se invece vengono imposti con la forza sarà molto difficile integrarli in una cultura e la distruggeranno.
Il Cristianesimo si impose nell'impero, per ragioni politiche, oltretutto ai tempi i cristiani erano fortemente divisi in sette tra loro ostili, i Romani pagani erano disgustati dalla litigiosità rissosa di quelle sette che metteva di continuo a repentaglio l'ordine pubblico. Il Cristianesimo ecumenico era stata certamente un'idea geniale di Paolo (un rabbino ebreo), occorre riconoscerglielo e nel tempo finì con l'innestarsi sulla cultura ellenica, ma all'inizio non fu certo così. Teodosio, l'imperatore che per primo dichiarò il Cristianesimo religione di stato, chiuse definitivamente la scuola di Atene, non fu certo una fusione. Quanto ai barbari del Nord Europa il problema era corrompere e convertire i principi, i popoli si adeguavano, in caso contrario venivano massacrati dai loro stessi capi tribù o da altri barbari che non aspettavano altro, come fu il caso dei Sassoni. Soprattutto nelle campagne la conversione non fu certo facile né tanto meno pacifica.

CitazioneLe fondamenta ci sono, e sono immobili, e il fatto che il tempo sia lento o meno non conta visto che esse si trovano di là dal tempo e non sono condizionate da questo. Poi che le cose stanno come stanno, che sempre meno persone possono comprendere queste fondamenta e che la tecnica (e quindi l'ignoranza di cui è il sostituto) domini e dominerà il mondo sono cose che in sé non impediscono di vedere che si sta viaggiando veloci verso l'autodistruzione che già migliaia di anni fa era prevista e descritta da coloro che sapevano guardare lontano e non erano affetti dalla terribile miopia dell'uomo moderno.
Le fondamenta possono pure esserci, ma quali? E chi le proclama, chi proclama l'assoluto fondamento lo mente sempre, di qualsiasi assoluto si tratti e poiché qualsiasi assoluto è solo pretesa di assoluto (anche se fosse la pretesa di un relativo assoluto, o di una razionalità assoluta o di una scienza tecnica o etica assoluta) si rivela prima o poi menzogna e per sostenere la menzogna occorre la forza di una fede di violenza assoluta contro gli altri e pure contro se stessi. La miopia dell'uomo moderno non nasce di punto in bianco con l'uomo moderno, ha una storia e una necessità che viene da molto lontano, forse nasce con l'uomo stesso. Nessuno di noi ci vede più degli antichi e nessun antico in fondo vedeva più di noi. L'essere umano tramonterà, forse già non c'è più e nessuno se ne è accorto, forse stiamo cominciando ad accorgercene e questo ci getta nella più profonda angoscia: cosa siamo allora? Cosa possiamo essere ancora?
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: donquixote il 10 Febbraio 2017, 12:22:21 PM
Curioso che continui a raccontare (a modo tuo ovviamente), episodi di storia europea mentre io confrontavo i popoli europei (e in parte anche quelli mediorientali) con altre etnie che non hanno la stessa natura aggressiva. Gli europei si sono sempre combattuti fra loro anche quando la religione era la medesima (e la nascita del Cristianesimo riformato è stata una ulteriore scusa per combattersi ancora più ferocemente) e il fatto che in quei secoli in Europa si sia svolto uno scontro costante fra chi sosteneva la supremazia dell'imperatore e chi invece quella del papato significa che non si è mai compresa la corretta gerarchia dei poteri e delle autorità e quindi non si è mai raggiunta una vera stabilità. Ma se questi sono problemi peculiari dell'Europa e degli europei (che si sarebbero presi a mazzate qualunque fosse la cultura dominante) il modello culturale che l'Europa ha acquisito, sviluppato e poi consolidato dopo la fine dell'impero Romano e fino al cosiddetto "Rinascimento" era molto più aderente al concetto di cultura come modello di senso in cui riconoscersi e all'interno del quale poter rendere ragione dei fenomeni del mondo, della sofferenza umana, della vita e della morte.

Citazione di: maral il 09 Febbraio 2017, 22:18:31 PMLe fondamenta possono pure esserci, ma quali? E chi le proclama, chi proclama l'assoluto fondamento lo mente sempre, di qualsiasi assoluto si tratti e poiché qualsiasi assoluto è solo pretesa di assoluto (anche se fosse la pretesa di un relativo assoluto, o di una razionalità assoluta o di una scienza tecnica o etica assoluta) si rivela prima o poi menzogna e per sostenere la menzogna occorre la forza di una fede di violenza assoluta contro gli altri e pure contro se stessi. La miopia dell'uomo moderno non nasce di punto in bianco con l'uomo moderno, ha una storia e una necessità che viene da molto lontano, forse nasce con l'uomo stesso. Nessuno di noi ci vede più degli antichi e nessun antico in fondo vedeva più di noi. L'essere umano tramonterà, forse già non c'è più e nessuno se ne è accorto, forse stiamo cominciando ad accorgercene e questo ci getta nella più profonda angoscia: cosa siamo allora? Cosa possiamo essere ancora?

L'accusa di mentire rivolta a coloro che proclamano l'assoluto fondamento è solitamente l'opinione di chi non riesce a comprenderlo, e anzichè ammettere il proprio limite lo vuole indebitamente estendere a chiunque, ma anche se un popolo basasse la propria cultura su di una menzogna è ovvio che lo farebbe perchè crede che questa sia la verità. Non mi pare che ci sia mai stato popolo, nemmeno quelli immaginati nei romanzi utopistici, che abbia fondato la sua vita e la sua cultura sulla menzogna sapendo bene che questa era certamente tale; l'unico è proprio quello moderno, che basandosi sul sapere induttivo non potrà mai, per definizione, acquisire alcuna certezza e quindi tutto il suo sapere è pura menzogna che può essere evidenziata in ogni istante. Ma è comunque costretto a chiamare "verità" questa menzogna, altrimenti  non potrebbe vivere e getterebbe i popoli nella più profonda disperazione. Dunque un popolo che si basa su un assoluto "falso" non dovrebbe fare alcuna violenza nei confronti di se stesso, ma va considerato che se l'assoluto è il fenomeno, il fatto (come nella cultura scientifica) questo si sgretola in un attimo mentre se l'assoluto comprende una porzione sufficientemente grande della realtà potrà avere una giustificazione intellettuale più duratura. L'ambiente, la natura, non è certo un assoluto, ma essendo un concetto molto più ampio non solo di un popolo o una cultura ma anche di tutta la specie umana il fatto di porlo come assoluto poichè dal suo mantenimento e dal suo rispetto dipende tutto ciò che chiamiamo "vita" in senso biologico ha un senso. Il sole non è un assoluto, ma essendo la sua luce e il suo calore a rendere possibile la vita sulla terra lo rende "più assoluto" ancora della natura. Poi gerarchicamente viene tutto ciò che da questo dipende ove ciò che è più stabile sarà anche più importante di ciò che è più effimero, più evanescente. Le culture eliocentriche o ecocentriche non si basano su assoluti, ma comunque su valori durevoli, che fra l'altro sono affidabili poichè sia il sole che la natura sono prevedibili nella loro ciclicità, e inoltre non ha alcun senso l'imposizione violenta di questi "assoluti" poichè si impongono già da sé, e l'uomo non può fare le veci della natura o del sole, mentre le culture antropocentriche, etnocentriche o addirittura economicocentriche, oltre ad essere molto più instabili poichè basate su valori molto più relativi si scontreranno con altri relativismi simili dovendo imporre la propria superiorità ad esempio sulla natura che essendo considerata gerarchicamente inferiore dovrà essere piegata all'assoluto umano, o razziale, o economico.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: InVerno il 10 Febbraio 2017, 17:43:10 PM
Ho poco tempo per rispondere la violenza delle frasi è dovuta a questo, cercherò di farlo

a) Non si tratterà di apologia vera e propria ma il contrasto tra i "decerebrati occidentali" (da cui ovviamente l'autore si esclude) e i bombaroli che "hanno capito il senso della vita" è evidente e lo inserisco in un contesto più ampio di discussione.

b) Avrà famiglia e tutto quello che vuole, si tratta comunque di pedine, e l'avvocato che si era incaricato di difendere il sopravissuto di parigi ha parlato (e io cito) di "imbecilli completi che pensano di vivere in un videogioco, incapaci di riconoscere la destra dalla sinistra se non gli viene ordinato" E gli altri casi a vedere le biografie non si discostano, e non ci sarebbe da meravigliarsi, stiamo parlando di pedine che non hanno nulla a che fare con la questione.
Peraltro, quando si parla di terrorismo recente generalmente si parla di attentatori occidentali che hanno colpito in occidente, nati e vissuti in occidente alcuni da generazioni che hanno semplicemente trovato un pretesto per fare "la cazzata della vita" e non conoscono un acca della cultura islamica fuori dalle loro puerili letture su wikipedia.


d) Il virus occidentale, in Italia sublimato alla perfezione nella frase "chiagni e fotti" è sempre tra noi (il terrorismo poi è la cristallina dimostrazione di questa crisi morale). La globalizzazione può essere usata al contrario, come una patente pirandelliana, si prende un aereo e si emigra nei paradisi del senso della vita. Se la società attuale non combacia con i propri desideri il trivio è semplice, si cambia società, si cambia la società, o si cambia i propri desideri. Preferiamo vivere in un dramma di Ibsen, Hedda prende il manoscritto del marito scrittore dove lo stesso aveva enunciato come sarebbe finita l'umanità e lo getta nella stufa, nel terribile atto di privare l'umanità di conoscere il proprio destino. E' bello immaginare che ci sia una Hedda per ognuno di noi, e che il dramma si consumi nella stufa invece che "li fuori". Ma non è cosi, il dramma è li fuori, tangibile e ha bisogno di risposte.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Phil il 10 Febbraio 2017, 19:39:46 PM
Citazione di: donquixote il 10 Febbraio 2017, 12:22:21 PM
Non mi pare che ci sia mai stato popolo, nemmeno quelli immaginati nei romanzi utopistici, che abbia fondato la sua vita e la sua cultura sulla menzogna sapendo bene che questa era certamente tale; l'unico è proprio quello moderno, che basandosi sul sapere induttivo non potrà mai, per definizione, acquisire alcuna certezza e quindi tutto il suo sapere è pura menzogna che può essere evidenziata in ogni istante. Ma è comunque costretto a chiamare "verità" questa menzogna
Credo che pensare la postmodernità significhi proprio cogliere e valorizzare lo spazio che c'è fra la verità assoluta e la falsità assoluta, conferendo dignità teoretica ai "protocolli aperti", alle "ipotesi di lavoro", ai "lavori in corso" e alle "certezze fino a prova contraria". Sostenere che il pensiero debole è un pensiero che sa di essere falso e non se ne cura (radicalizzo volutamente il tuo spunto), comporta il  rischio di fraintendere il disincanto postmetafisico con la mancata ricerca (e questo sarebbe uno sgarbo a tutti coloro che hanno invece "aggiornato" la proprie modalità di ricerca).
Se si studia un fluido conviene usare un paradigma calibrato sulla fluidità, se invece se ne usa uno adatto allo studio dei solidi, si possono facilmente ottenere conclusioni anomale; parimenti, la nostra società richiede di essere letta con paradigmi adeguati al suo attuale dinamismo, altrimenti viene fraintesa, distorta e travisata. Leggerla con paradigmi di un'epoca precedente, non può che comportare disagio, complicazioni e, talvolta, nostalgia (reazione tipica quando c'è una inadeguatezza fra una chiave di lettura "inattuale" e una realtà che impone di rimodellare tale chiave altrimenti la "lettura" non funziona...).

In fondo molti elementi contro cui si punta il dito oggi, sono vecchi come l'uomo: la violenza, la corruzione, l'abuso (in tutte le sue forme), i problemi relazionali, le domande esistenziali, etc. hanno una nuova veste (la storia non si ferma), ma non sono certo creazioni della tecnologia o di una società che ha scoperto che il cielo è vuoto di dei...  altri elementi più recenti, possono invece essere considerati come il prodotto storico di ciò che li ha preceduti: il biasimato individualismo non è una forma di tutela della tanto osannata libertà di pensiero? Che ciò comporti l'imbattersi in chi la pensa diversamente da noi (ed ha un diverso modo di argomentare) è un effetto collaterale di tutte le lotte fatte in passato per maggiori libertà-al-plurale (ed essere nostalgici di quando queste non c'erano, significa appunto leggere la storia con categorie "inattuali"... e non c'è nulla di male a farlo, ognuno legge come vuole!). La stessa demonizzata tecnologia (informatica o meno) è figlia della storia della "techne", del saper fare alimentato per millenni da idee, fallimenti e successi; e se la "techne" attuale ci pare eccessiva o alienante, dovremmo chiederci se ci fa piacere alzarci la notte per andare in bagno senza dover accendere una fiaccola, uscire di casa alle intemperie, magari armati per proteggerci da eventuali animali randagi, e dirigerci verso la latrina, sperando di non ammalarci perché la medicina offre solo martellate e infezioni... se il prezzo da pagare per rinunciare a questa passeggiata notturna, è avere un cellulare, imparare a difenderci dal cyber-bullismo, non avere una divinità a cui affidarci, avere un vicino di casa di un'altra religione, leggere sul web le sconsolanti notizie di stragi o cataclismi da tutto il mondo, ed educarci a vivere in una realtà dai mille volti e dai tempi rapidi, ognuno può valutare se per lui ne valga la pena o meno, ma comunque sia, indietro non si torna (almeno per ora...).


P.s.
Come hai osservato (@donquixote), in principio furono i fisici presocratici, poi vennero i metafisici, ed ora, per ironia del destino o forse per chiusura del cerchio, direi che stiamo tornando ai fisici (anche se la "nuova fisica", forgiata proprio dalle vicissitudini metafisiche, ha lo sconsolato aspetto di una scienza povera di fantasia e di epos). La critica al nuovo, secondo me, può essere anche il sintomo (una sorta di "proiezione") del disagio nell'affrontarlo piuttosto che autentica povertà qualitativa di ciò che è l'attualità (fermo restando la relatività dei paradigmi interpretativi possibili che delineano tale "qualità"...).
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: paul11 il 10 Febbraio 2017, 20:06:36 PM
Apologia vuol dire difendere e se questo termine è utilizzato allusivamente in un atto di un bombarolo, o lo si dimostra o è diffamare.
C'è l'intera discussione a provare che il sottoscritto non ha mai dato giudizi di valore sulle differenze culturali, tant'è che avevo scritto che l'una non va santificata e l'altra non va demonizzata,ognuna ha limiti.
L'esempio dell'uomo bomba è un fatto da anni, non un allusione  o l'invenzione di una trama fantasiosa dove si mettono in bocca ad altri fatti e giudizi supposti,strumentalizzando non una frase ,ma tutti post di una discussione precedenti.

Allora specifico un concetto implicito nel "crudo" esempio.
La cultura induttiva ha portato la forza tecnica e tecnologica, ma ha perso nella convinzione umana.
La forza delle comunità/società deduttive, come le ho chiamate, è che la vita stessa di ogni individuo è vissuta in un  DESTINO(parola chiave per capire le differenze). vale a dire la vita ha un significato dentro un ordine più grande, indipendentemente che questo ordine sia ritenuto vero o falso giusto o sbagliato il paradigma di quell'ordine  Il fatto di credere come propria esistenza in qualcosa motiva molto di più  di chi si arrovella a pigiare tastiere di smartphone per scrivere stupidaggini su Facebook (questi sono i decerebrati),che nascondono bullismo, istinti persecutori,irrisioni.

il sottoscritto non crede di essere fuori dallla decadenza e degenerazione occidentale, ci vivo dentro ,ho per forza relazioni. Posso solo costruirmi contenuti ,forme che aumentino la mia personale consapevolezza, vale a dire alazare il sistema immunitario
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Eretiko il 10 Febbraio 2017, 20:57:30 PM
Citazione di: donquixote il 10 Febbraio 2017, 12:22:21 PM
...il modello culturale che l'Europa ha acquisito, sviluppato e poi consolidato dopo la fine dell'impero Romano e fino al cosiddetto "Rinascimento" era molto più aderente al concetto di cultura come modello di senso in cui riconoscersi e all'interno del quale poter rendere ragione dei fenomeni del mondo, della sofferenza umana, della vita e della morte.

Nei 1.000 anni da te citati c'era sicuramente un unico modello culturale: quello plasmato dalla religione che si è dimostrata molto utile per gli scopi di re, signori, signorotti e feudatari. Onestamente non mi sembra un eccellente modello culturale quello dove la sofferenza reale viene giustificata in vista di un ideale premio futuro post-morte; "gli ultimi saranno i primi", ma soltanto dopo: intanto qui, sulla terra, rimani ultimo, adesso. Un modello unico dove i fenomeni del mondo venivano ricondotti e spiegati solo in funzione di una divinità importata dal medio oriente, dove gli sforzi intellettuali, nel migliore dei casi, erano rivolti a dimostrare l'esistenza di qualcosa impossibile da dimostrare, e nel peggiore dei casi a interrogarsi se Gesù avesse o meno sfondato le sfere cristalline nella sua ascesa al cielo.       

Citazione di: donquixote il 10 Febbraio 2017, 12:22:21 PM
L'accusa di mentire rivolta a coloro che proclamano l'assoluto fondamento è solitamente l'opinione di chi non riesce a comprenderlo, e anzichè ammettere il proprio limite lo vuole indebitamente estendere a chiunque

Ti sbagli. Il limite consiste proprio nel fatto che la ragione umana diventa inconsistente quando tenta di addentrarsi nei terreni paludosi degli "assoluti": lo hanno dimostrato i greci, lo ha dimostrato Kant, lo ha dimostrato Goedel, lo ha dimostrato Tarski, eppure qualcuno ancora è convinto che si possa parlare di "assoluti".

Citazione di: donquixote il 10 Febbraio 2017, 12:22:21 PM
Non mi pare che ci sia mai stato popolo, nemmeno quelli immaginati nei romanzi utopistici, che abbia fondato la sua vita e la sua cultura sulla menzogna sapendo bene che questa era certamente tale; l'unico è proprio quello moderno, che basandosi sul sapere induttivo non potrà mai, per definizione, acquisire alcuna certezza e quindi tutto il suo sapere è pura menzogna che può essere evidenziata in ogni istante.

Ancora con questa storia del "sapere induttivo", che poi non si comprende che cosa vuol dire. Il fatto sconcertante è che si continua a non (voler) capire che il ragionamento logico, e quindi il linguaggio che ne è sua espressione, è si coerente quando segue determinate regole formali, ma lo fa sempre e soltanto partendo da postulati che si assumono veri quando si parla di oggetti reali (o perché derivano da altre proposizioni corrette), ma che diventano indimostrabili quando si parla di oggetti o concetti trascendentali.
 
Citazione di: donquixote il 10 Febbraio 2017, 12:22:21 PM
Ma è comunque costretto a chiamare "verità" questa menzogna, altrimenti  non potrebbe vivere e getterebbe i popoli nella più profonda disperazione. Dunque un popolo che si basa su un assoluto "falso" non dovrebbe fare alcuna violenza nei confronti di se stesso, ma va considerato che se l'assoluto è il fenomeno, il fatto (come nella cultura scientifica) questo si sgretola in un attimo mentre se l'assoluto comprende una porzione sufficientemente grande della realtà potrà avere una giustificazione intellettuale più duratura.

La cultura scientifica fornisce conoscenze approssimate ma almeno queste possono essere definite veramente "cattoliche", nel senso di universali, perché non ci sono trucchi, sotterfugi, inganni linguistici, visto che il linguaggio che viene utilizzato (quello matematico) è universale e tutti quelli che lo sanno usare lo comprendono. Dunque dove sarebbe la menzogna?
Il problema della nostra società è che non abbiamo cultura scientifica: usiamo la tecnologia (e rischiamo di venirne travolti), ma non sappiamo da dove viene e come viene.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: acquario69 il 11 Febbraio 2017, 06:03:00 AM
Nell'idea di una certa "inattualità" che riguarderebbe il voler "tornare al passato" ce l'errore,oltreche il preguidizio,che non consente di ravvedersi dalla disgregazione ma al contrario di aumentarla e in maniera accelerata ed esponenziale.
Infatti non si tratta ne di tornare indietro e ne tantomeno avanti perché e' cio che sta al di la del tempo e che non e' nel tempo,ed e' percio perennemente valida, qualunque siano le diverse modificazioni successive contingenti.
ma nel momento che mi sgancio da questo principio,in se eterno ed immutabile,allora tali modificazioni saranno soltanto disgreganti fino a raggiungere il suo logico esito terminale.

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Una persona a me molto vicina,per via del lavoro che fa,mi racconta delle cose che trovano perfetta corrispondenza a quanto scritto sopra (anche se probabilmente molti non ci vedranno nessun tipo di collegamento)
Nel suo lavoro -manager di un enorme sala cinematografica- multisale e multiservizi che infatti non ci avrebbero proprio nulla a che fare nell'andarsi a vedere un film ma creati solo ed esclusivamente per i "consumatori" ..e al pari della stessa "qualità" dei film proiettati,con inerente lavaggio del cervello.

Insomma venti anni di "customer service" a tutti i livelli e mi racconta che in questi ultimissimi anni non sembra più avere a che fare con persone ma con qualcosa che si potrebbe definire come la loro ombra medesima, o magari una "virtualità",dove le loro reazioni sono la riproduzione più o meno inanimata e percio meccanica,dovuta in primo luogo all'uso ormai intensivo di internet.
In sostanza la gente ha perso appunto quelle capacita che si può dire non la rendono più umana..ad esempio non ha più pazienza e cio che e' ancora più grave, non arriva più a capire quando può capitare il momento di averne, abituata come' a ritrovarsi sola davanti a un monitor, (gli basta un click per cambiare o cancellare pagina se questa non gli piace o se non rientra nei suoi schemi..che pero sono gli stessi che gli vengono "offerti" cosi che si sentirà pure "libero" di scegliere!) e che di fatto non consente alcun dialogo reale, cioe che corrisponde alla realtà dei fatti e di un preciso e logico momento...

e' l'IO e basta!..il TU (o altro dall'IO) e' praticamente abolito, cancellato dalla mente e da qualsiasi visione.

Un altro effetto che mi dice e' che non esiste più il concetto di "integrazione" o anche di "visione complessiva" per cui ognuno, in questo caso anche dei suoi subordinati,tendera' ad isolarsi e a deresponzabilizzarsi,ma non per evitare il lavoro in se,in fondo quelli ci sono sempre stati,ma proprio perché e' l'unica maniera che ora viene concepita,sicche nel momento che capita un inconveniente, un problema improvviso,nessuno e' veramente più in grado di capirlo e ad arrivarne a capo..se non per vie lunghe e traverse e tra l'altro solo grazie a quei pochi rimasti che detengono un bagaglio esperenziale che gli proviene da lontano quando ancora era consentito e possible l'uso autonomo del cervello,insieme e coerente ad una più ampia personalità.

se fosse percio solo questione di adeguarsi a dei paradigmi come sarebbero appunto quelli "attuali" di sicuro ne viene fuori un esito catastrofico e di totale caos e da tutti i punti di vista.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Phil il 11 Febbraio 2017, 16:17:25 PM
Citazione di: acquario69 il 11 Febbraio 2017, 06:03:00 AMNell'idea di una certa "inattualità" che riguarderebbe il voler "tornare al passato" ce l'errore,oltreche il preguidizio,che non consente di ravvedersi dalla disgregazione ma al contrario di aumentarla e in maniera accelerata ed esponenziale.
Direi che, al contrario, è proprio partendo dalla consapevolezza della "disgregazione" (ammesso e non concesso che sia tale, ma prendiamola per assodata) che bisogna adeguare i propri paradigmi e non, inversamente, adeguarsi ad essi: se alcune generazioni fa la realtà sociale era comprensibile con alcune categorie, oggi bisogna ripensare tali categorie alla luce della società attuale, altrimenti è inevitabile o l'incomprensione o la nostalgia... ad esempio, oggi c'è un proliferare di associazioni benefiche, onlus, volontariato etc. mai visto in precedenza; come valutarlo? Aggiornando i propri paradigmi di lettura del sociale, considerando pregi e difetti, rischi e opportunità insite in tale dilagare di apparente filantropia nella trama sociale attuale. Se provassimo a valutare questo fenomeno dell'impegno sociale con categorie rinascimentali, non riusciremmo a capirlo fino in fondo, perché all'epoca c'era magari il mecenatismo ma non l'assistenzialismo laico, ovvero i paradigmi di strutturazione e lettura della società erano totalmente differenti (è un esempio drastico, lo so, ma spero mi aiuti a spiegare ciò che intendo...).

Citazione di: acquario69 il 11 Febbraio 2017, 06:03:00 AMInfatti non si tratta ne di tornare indietro e ne tantomeno avanti perché e' cio che sta al di la del tempo e che non e' nel tempo,ed e' percio perennemente valida, qualunque siano le diverse modificazioni successive contingenti. ma nel momento che mi sgancio da questo principio,in se eterno ed immutabile,allora tali modificazioni saranno soltanto disgreganti fino a raggiungere il suo logico esito terminale.
La fede in un principio eterno ed immutabile appartiene ad un paradigma antico (è una constatazione, non un giudizio negativo!), ma proprio il pluralismo e il relativismo, che tale principio critica aspramente, lo rendono ancora attuale e addirittura lo tutelano (pur non venendo ripagati con la stessa moneta  ;D ). La possibilità di leggere l'attualità con categorie di epoche passate è sempre percorribile, ma il contraccolpo può essere lo scoramento nel verificare l'incompatibilità fra tali categorie e il mondo che adesso gli si oppone (o sono loro a fare anacronistica opposizione al mondo?).
L'affermazione
Citazione di: acquario69 il 11 Febbraio 2017, 06:03:00 AMdi sicuro ne viene fuori un esito catastrofico e di totale caos e da tutti i punti di vista.
lascia intendere un pessimismo storico fondato sulla sfiducia nel presente, a sua volta radicata in una lettura dell'attualità come degenerazione del passato, ma il giudizio di valore (passato=meglio, presente=peggio) è appunto innestato in un paradigma precedente all'epoca attuale, per cui è quasi inevitabile il pessimismo. Fra il serio e il faceto si potrebbe ricordare che da sempre i nonni di ogni generazione dicono "ai miei tempi c'erano i valori giusti, adesso ci sono cattive abitudini, la società è allo sbando... magari avevamo di meno ma avevamo dei principi!" e non lo dicono perché sono bisbetici o brontoloni, ma perché, dopo una certa età, aggiornare il paradigma è davvero arduo, poiché non sono solo le articolazioni corporee a perdere di elasticità... 

P.s. 
Ovviamente non sto dando del "nonno" ad acquario69, né sto condannando il suo modo di leggere la realtà, lo uso solo come spunto per proporre considerazioni...
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: InVerno il 11 Febbraio 2017, 19:03:42 PM
Io capisco bene il contesto delle cose, ciò che è a mio avviso è più preoccupante è una sorta di chiaroscura invidia\simpatia per il "fattore efficienza" delle società verticistiche\assolutistiche per cui l'oggetto diventa irrilevante. Credano in quel che credano, perlomeno sono più efficienti(soddisfatti, felici etc) questa non è onesta intellettuale, è utilitarismo morale e spirituale. Se voglio la massima efficienza militare e organizzativa (e la produzione di invasati) è ovvio che voglio una società totalitarista, non c'è nessun segreto vodoo dietro. E ci sono contesti storici in cui questo è persino giustificabile, durante l'intervento degli states nella seconda guerra mondiale, gli stessi avevano contratto i gangli della società a tal punto da poter essere considerati uno stato totalitario. Stavano subendo un fortissimo stress economico, sociale, industriale, senza una trasformazione temporanea dell'apparato sociale si sarebbero disciolti sotto il peso del loro intervento stesso. E questo è solo un esempio estremo, ma è perfettamente normale che una società si contragga nel momento in cui essa viene sottoposta a stress enormi. Questo non significa tuttavia che questo sia lo stato sociale "desiderabile", non tanto per chi governa che tende per natura del potere ad accentrarlo, quanto per chiunque altro che la componga, principalmente i suoi cittadini, che hanno a mio avviso il dovere di indagare la liceità dell'autorità ogni volta sia loro possibile per contrastare l'accentramento di potere che avviene naturalmente, basta stare zitti (ma questo è un punto di vista anarchico che volutamente fin ora ho evitato di mettere in campo, anche se poi bisorrebbe parlare del salariato e la liceità di quella autorità).

Prima di considerare le società arabe come "superiori" sarebbe necessario fare un analisi storica invece che porre la questione come una mera emergenza culturale, l'autoderminazione dei popoli è un povero e meschino sogno infantile. (banalità in arrivo) Ci sono evidenze enormi riguardo a come i processi democratici dei paesi arabi siano stati bloccati costantemente nell' ultimo secolo, sarebbe una dimenticanza ridicola non ricordare che chi comanda questi stati e da a loro forma, nella maggior parte dei casi ce lo abbiamo messo noi e ci fa comodo esattamente cosi, se si democratizzassero avremmo gravi difficoltà a controllare le loro risorse. Esistono pochissimi casi di stati assoluti che non rispondono alle necessità dell'occidente, forse si parla solamente della Nord Korea e l'Iran se consideriamo la Russia come "non occidentale", tutti gli altri devono la loro "divina situazione" al vassallaggio che gli abbiamo imposto e che occasionalmente ci sfugge di mano, compresi i wahabiti ispiratori del jihadismo moderno della Saudi Arabia, famiglia al potere piazzata da noi. Alcuni di questi stati usano il potere ideologico come catalizzatore per uscire dal vassallaggio (vedi Cina) ma non sono gli stati che ci preoccupano maggiormente. Occasionalmente ci ricordiamo che avremmo bisogno di nuovi acquirenti per i nostri prodotti e guardiamo speranzosi alle primavere arabe. Stesso vale per l'Africa, di cui si può fare un esempio che non siano i classici medio orientali che penso annoierebbero giustamente. Il Congo, nazione che per ricchezza complessiva di ogni parametro (compreso quello culturale) aveva tutte le carte in regola per trasformarsi nel volano dell'intero continente negli anni 60 stava avviando un processo democratico di eccellente qualità terminato nell'elezione di Patrice Lumumba. Il candidato venne ovviamente brutalmente assassinato (squartato) dai belgi e venne messo al suo posto Mobutu che mise a ferro e fuoco il paese per trent'anni. Ora nel 2017 guardiamo il Congo e diciamo "ah vedi te che cosa produce la loro cultura!" e ne diamo un giudizio positivo\negativo, ma la storia non è un optional che si può attivare\disattivare premendo su una spunta.

Che l'occidente manchi di utopie di riferimento è acclarato, ma è altrattanto acclarato che chi era responsabile per sognarle si è messo a fare altro, ed è allo stesso modo acclarato che anche i progetti già disponibili sono guardati con sospetto. Parliamo delle meccanizzazione, di certo è un fattore che destabilizza l'economia, ma non tanto per il fatto in se quanto per il fatto che la società non è pronta e non ha alcuna intenzione di prepararsi perchè è ancora sottomosse all'ideologia della virtù della "fatica-lavoro". E questo quando già un secolo fa Bertrand Russel auspicava il dimezzamento dell'orario di lavoro proprio per contrastare la disoccupazione meccanizzata. Paradossalmente la meccanizzazione riporta il lavoro a noi che sappiamo produrre quelle macchine invece che lasciarlo nel terzo mondo dove le stesse non esistono. E per quanto i posti di lavoro siano bassi è sicuramente meglio di averli in Bangladesh, sia dal punto di vista dei nostri posti di lavoro che dell'autodeterminazione del Bangladesh. E chi non hai mai sognato di cucire scarpe otto ore al giorno? Ringraziamo le macchine (le stesse che ci curano negli ospedali, verso le quali le ribellioni sono brusii assai soffusi) e cerchiamo sistemi che le integrino nel nostro contesto economico? Parliamo dei problemi del lavoro salariato in generale "jobs act" o che dir si voglia, e parliamo della totale cecità di una classe politica. Lincoln oltre a fare ciò che tutti sappiamo ha fatto fece una fortissima battaglia contro il lavoro salariato chiamato "chattel slavery" (schiavitù mobile). Guardate di cosa si preoccupano i repubblicani di oggi (e non importa l'inversione di schieramento) e capite di quale cecità sto parlando. E ho detto Lincoln non Bakunin o Rosa Luxemburg.Pensate che non ci siano ideologie oggi giorno? Provate ad andare in pubblico e dire "il lavoro salariato è schiavitù mobile" come Lincoln stesso disse, e guardate che risposte avrete, la violenza , quella col sangue negli occhi. E poi ci preoccupiamo di non avere ideologie! Di sicuro se si comincia a parlare di "schiavitù mobile" parlare di "precariato\mobilità" connessa ad esso ha tutto un altro sapore, sbaglio?
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: donquixote il 11 Febbraio 2017, 22:53:58 PM
Citazione di: Phil il 10 Febbraio 2017, 19:39:46 PMCredo che pensare la postmodernità significhi proprio cogliere e valorizzare lo spazio che c'è fra la verità assoluta e la falsità assoluta, conferendo dignità teoretica ai "protocolli aperti", alle "ipotesi di lavoro", ai "lavori in corso" e alle "certezze fino a prova contraria". Sostenere che il pensiero debole è un pensiero che sa di essere falso e non se ne cura (radicalizzo volutamente il tuo spunto), comporta il rischio di fraintendere il disincanto postmetafisico con la mancata ricerca (e questo sarebbe uno sgarbo a tutti coloro che hanno invece "aggiornato" la proprie modalità di ricerca). Se si studia un fluido conviene usare un paradigma calibrato sulla fluidità, se invece se ne usa uno adatto allo studio dei solidi, si possono facilmente ottenere conclusioni anomale; parimenti, la nostra società richiede di essere letta con paradigmi adeguati al suo attuale dinamismo, altrimenti viene fraintesa, distorta e travisata. Leggerla con paradigmi di un'epoca precedente, non può che comportare disagio, complicazioni e, talvolta, nostalgia (reazione tipica quando c'è una inadeguatezza fra una chiave di lettura "inattuale" e una realtà che impone di rimodellare tale chiave altrimenti la "lettura" non funziona...). In fondo molti elementi contro cui si punta il dito oggi, sono vecchi come l'uomo: la violenza, la corruzione, l'abuso (in tutte le sue forme), i problemi relazionali, le domande esistenziali, etc. hanno una nuova veste (la storia non si ferma), ma non sono certo creazioni della tecnologia o di una società che ha scoperto che il cielo è vuoto di dei... altri elementi più recenti, possono invece essere considerati come il prodotto storico di ciò che li ha preceduti: il biasimato individualismo non è una forma di tutela della tanto osannata libertà di pensiero? Che ciò comporti l'imbattersi in chi la pensa diversamente da noi (ed ha un diverso modo di argomentare) è un effetto collaterale di tutte le lotte fatte in passato per maggiori libertà-al-plurale (ed essere nostalgici di quando queste non c'erano, significa appunto leggere la storia con categorie "inattuali"... e non c'è nulla di male a farlo, ognuno legge come vuole!). La stessa demonizzata tecnologia (informatica o meno) è figlia della storia della "techne", del saper fare alimentato per millenni da idee, fallimenti e successi; e se la "techne" attuale ci pare eccessiva o alienante, dovremmo chiederci se ci fa piacere alzarci la notte per andare in bagno senza dover accendere una fiaccola, uscire di casa alle intemperie, magari armati per proteggerci da eventuali animali randagi, e dirigerci verso la latrina, sperando di non ammalarci perché la medicina offre solo martellate e infezioni... se il prezzo da pagare per rinunciare a questa passeggiata notturna, è avere un cellulare, imparare a difenderci dal cyber-bullismo, non avere una divinità a cui affidarci, avere un vicino di casa di un'altra religione, leggere sul web le sconsolanti notizie di stragi o cataclismi da tutto il mondo, ed educarci a vivere in una realtà dai mille volti e dai tempi rapidi, ognuno può valutare se per lui ne valga la pena o meno, ma comunque sia, indietro non si torna (almeno per ora...). P.s. Come hai osservato (@donquixote), in principio furono i fisici presocratici, poi vennero i metafisici, ed ora, per ironia del destino o forse per chiusura del cerchio, direi che stiamo tornando ai fisici (anche se la "nuova fisica", forgiata proprio dalle vicissitudini metafisiche, ha lo sconsolato aspetto di una scienza povera di fantasia e di epos). La critica al nuovo, secondo me, può essere anche il sintomo (una sorta di "proiezione") del disagio nell'affrontarlo piuttosto che autentica povertà qualitativa di ciò che è l'attualità (fermo restando la relatività dei paradigmi interpretativi possibili che delineano tale "qualità"...).


Il pensiero, per avere un senso, deve pensare la verità e guidare l'azione. Il pensiero è lo strumento che l'uomo utilizza per sopperire alla propria ignoranza sul mondo e trovare il proprio posto in esso, dunque se questo si riduce ad un mero esercizio intellettuale volto a enunciare ipotesi potenzialmente false (o "vere fino a prova contraria" che è lo stesso) perde di qualsiasi utilità e quindi anche di significato. Se poi diventa un orpello estetico come troppo spesso è accaduto negli ultimi secoli al pari delle cosiddette "opere d'arte" che da rappresentazioni simboliche ed evocative dell'inesprimibile, forme di linguaggio destinate agli analfabeti (che non è per niente sinonimo di non intelligenti o ignoranti ma frequentemente è il suo opposto) e che raccontano molto più di quanto non riesca a fare un testo scritto si sono ridotte a banali stimoli sentimentali o emotivi, o tutt'al più a espressioni personali dell'autore (una sorta di facebook ante litteram)  che al popolo non dovrebbe interessare per nulla, allora il pensiero diventa, come del resto è diventato,  una effimera spirale di congetture edificata attorno al proprio ombelico,  una esibizione di erudizione fine a se stessa, una grossa e colorata bolla di sapone che al momento suscita meraviglia ma un attimo dopo è svanita nel nulla. Più che pensare il mondo ora si pensa il pensiero (solitamente quello altrui) e di questo se ne pensa solo una parte di cui si fa oggetto di ricerca perdendo di vista obiettivo, contesto e tutto l'essenziale di cui questa minimo frammento è parte, in sé, insignificante. Tutti gli "aggiornamenti" delle modalità di ricerca cui tu alludi (che non siano immediatamente applicabili alla materia per modificarla secondo le esigenze, di volta in volta diverse, dell'uomo) sono solo narcisismi intellettuali buoni per ottenere una pubblicazione, o un'apparizione di cinque minuti in tv, o mezz'ora di "lectio magistralis" al festival tal dei tali. Ora non si pensa più cosa (e se) fare, ma si pensa solo "come" fare qualunque cosa; certo poi vi è sempre qualcuno che porrà la famosa "questione etica", ma questa essendo nei fatti inesistente in quanto sganciata da qualunque principio si ridurrà solo a ritardare di un poco qualcosa, qualsiasi cosa, che comunque si farà, come è sempre accaduto negli ultimi decenni. La ricerca odierna è la ricerca del fare, e il pensiero si è ridotto da guida dell'azione a sua giustificazione. Non è più il pensiero che guida la vita ma la vita determina il pensiero, l'essere (inteso in senso relativo) prevale sul dover essere, il fare sul dover fare, e dunque il pensiero è diventato talmente libero da essere anche totalmente inutile, una vana perdita di tempo che non ha più alcuna ragione di sussistere, in ossequio al famoso rasoio. "Se l'uomo può fare qualcosa, prima o poi la farà", disse un giorno Carlo Rubbia; perché dunque perdere tempo a pensare quando questo può essere impiegato più proficuamente dal fare?  Che senso avrà mai? "entia non sunt moltiplicanda praeter necessitatem" diceva Guglielmo da Occam. Dunque perché mai tenere in vita l'ente "pensiero" se la sua necessità è venuta meno? Hanno quindi ragione coloro che esaltano la cosiddetta "cultura del fare", poiché questo mondo è nei fatti tutto qui, nella interminabile agitazione intorno al nulla, nella ininterrotta costruzione e decostruzione di qualunque cosa, nel keynesiano "scava la buca, riempi la buca" per raggiungere la "piena occupazione"  e nel contempo dimenticare di vivere, o perlomeno di vivere in modo umano. Quindi di quali "chiavi di lettura" si va cianciando? Cosa ci sarà mai da leggere? Non c'è più niente da leggere poiché prima di aver finito di leggere il mondo davanti a noi è cambiato e tocca reiniziare da capo, e così via, in un vortice senza fine. Molto meglio allora produrre, consumare e crepare, facendo attenzione che non rimangano cinque minuti liberi che, chissà mai, possa sorgere il dubbio che forse non si sta vivendo una vita da uomini, e nemmeno da animali, ma da "bruti" danteschi.
 
P.S. Ho affermato che in principio furono i fisici intendendo con "principio" il periodo in cui convenzionalmente si indica l'inizio della cultura occidentale, ma quello era già un periodo di decadenza, come notato anche da Platone in più occasioni. Giorgio Colli, nel suo libro intitolato "La nascita della filosofia", afferma infatti: «Platone guarda con venerazione al passato, a un mondo in cui erano esistiti davvero i "sapienti". D'altra parte la filosofia posteriore, la nostra filosofia, non è altro che una continuazione, uno sviluppo della forma letteraria introdotta da Platone; eppure quest'ultima sorge come un fenomeno di decadenza, in quanto "l'amore per la sapienza" sta più in basso della "sapienza". Amore della sapienza non significava infatti, per Platone, aspirazione a qualcosa di mai raggiunto, ma tendenza a recuperare quello che era già stato realizzato e vissuto».
Quindi i metafisici erano venuti ben prima dei fisici ellenistici, e successivamente vi fu un periodo in cui la metafisica ebbe una reviviscenza per poi, con il cosiddetto "Rinascimento" (mai vocabolo fu più tragicamente ironico di questo), tornare ad esaltare la decadenza antica e portarla a compimento.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: acquario69 il 11 Febbraio 2017, 23:58:57 PM
Citazione di: Phil il 11 Febbraio 2017, 16:17:25 PM
Citazione di: acquario69 il 11 Febbraio 2017, 06:03:00 AMNell'idea di una certa "inattualità" che riguarderebbe il voler "tornare al passato" ce l'errore,oltreche il preguidizio,che non consente di ravvedersi dalla disgregazione ma al contrario di aumentarla e in maniera accelerata ed esponenziale.
Direi che, al contrario, è proprio partendo dalla consapevolezza della "disgregazione" (ammesso e non concesso che sia tale, ma prendiamola per assodata) che bisogna adeguare i propri paradigmi e non, inversamente, adeguarsi ad essi: se alcune generazioni fa la realtà sociale era comprensibile con alcune categorie, oggi bisogna ripensare tali categorie alla luce della società attuale, altrimenti è inevitabile o l'incomprensione o la nostalgia... ad esempio, oggi c'è un proliferare di associazioni benefiche, onlus, volontariato etc. mai visto in precedenza; come valutarlo? Aggiornando i propri paradigmi di lettura del sociale, considerando pregi e difetti, rischi e opportunità insite in tale dilagare di apparente filantropia nella trama sociale attuale. Se provassimo a valutare questo fenomeno dell'impegno sociale con categorie rinascimentali, non riusciremmo a capirlo fino in fondo, perché all'epoca c'era magari il mecenatismo ma non l'assistenzialismo laico, ovvero i paradigmi di strutturazione e lettura della società erano totalmente differenti (è un esempio drastico, lo so, ma spero mi aiuti a spiegare ciò che intendo...).

Citazione di: acquario69 il 11 Febbraio 2017, 06:03:00 AMInfatti non si tratta ne di tornare indietro e ne tantomeno avanti perché e' cio che sta al di la del tempo e che non e' nel tempo,ed e' percio perennemente valida, qualunque siano le diverse modificazioni successive contingenti. ma nel momento che mi sgancio da questo principio,in se eterno ed immutabile,allora tali modificazioni saranno soltanto disgreganti fino a raggiungere il suo logico esito terminale.
La fede in un principio eterno ed immutabile appartiene ad un paradigma antico (è una constatazione, non un giudizio negativo!), ma proprio il pluralismo e il relativismo, che tale principio critica aspramente, lo rendono ancora attuale e addirittura lo tutelano (pur non venendo ripagati con la stessa moneta  ;D ). La possibilità di leggere l'attualità con categorie di epoche passate è sempre percorribile, ma il contraccolpo può essere lo scoramento nel verificare l'incompatibilità fra tali categorie e il mondo che adesso gli si oppone (o sono loro a fare anacronistica opposizione al mondo?).
L'affermazione
Citazione di: acquario69 il 11 Febbraio 2017, 06:03:00 AMdi sicuro ne viene fuori un esito catastrofico e di totale caos e da tutti i punti di vista.
lascia intendere un pessimismo storico fondato sulla sfiducia nel presente, a sua volta radicata in una lettura dell'attualità come degenerazione del passato, ma il giudizio di valore (passato=meglio, presente=peggio) è appunto innestato in un paradigma precedente all'epoca attuale, per cui è quasi inevitabile il pessimismo. Fra il serio e il faceto si potrebbe ricordare che da sempre i nonni di ogni generazione dicono "ai miei tempi c'erano i valori giusti, adesso ci sono cattive abitudini, la società è allo sbando... magari avevamo di meno ma avevamo dei principi!" e non lo dicono perché sono bisbetici o brontoloni, ma perché, dopo una certa età, aggiornare il paradigma è davvero arduo, poiché non sono solo le articolazioni corporee a perdere di elasticità...

P.s.
Ovviamente non sto dando del "nonno" ad acquario69, né sto condannando il suo modo di leggere la realtà, lo uso solo come spunto per proporre considerazioni...

Ribadisco che non si tratta di leggere l'attualita con categorie di epoche passate e nemmeno di riproporre di tornare indietro nel tempo.
sono i Valori e Principi che sono sempre validi perché permanentemente attuali che andrebbero recuperati proprio perché sono imprescindibili, sono cio da cui poi tutto dipende e tutto il resto a venire non potrebbe nemmeno esserci...sono percio la base e il fondamento a cui fare sempre ovvio riferimento,ed e' l'unica maniera possibile per qualsiasi tipo di "aggiornamento" (parola questa che forse andrebbe a mio avviso anche rivisitata) e che al contrario significa davvero tornare indietro, ma nel senso regressivo del termine.
Mutare solo per mutare oltre a non avere senso, non corrisponde alla realtà...a me fa venire in mente l'immagine del criceto che gira a vuoto sulla ruota rimanendo sempre fermo sullo stesso punto
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Phil il 12 Febbraio 2017, 00:26:20 AM
Citazione di: donquixote il 11 Febbraio 2017, 22:53:58 PMIl pensiero, per avere un senso, deve pensare la verità e guidare l'azione. Il pensiero è lo strumento che l'uomo utilizza per sopperire alla propria ignoranza sul mondo e trovare il proprio posto in esso, dunque se questo si riduce ad un mero esercizio intellettuale volto a enunciare ipotesi potenzialmente false (o "vere fino a prova contraria" che è lo stesso) perde di qualsiasi utilità e quindi anche di significato.
Se "il pensiero deve pensare la verità" (cit.) allora è un pensiero privo di ricerca, consolatorio, solido, autoritario, ma povero di domande e di autentico lavorio mentale; è un pensiero dogmatico, legittimo e certamente appetibile (che propone la verità, non la trova...), Ma credo possa esserci anche (e al suo fianco, se siamo pluralisti) un pensiero indagatore, che prima di "guidare l'azione" (cit.) si interroga con onestà intellettuale ed umiltà, senza fare appello a ricette già scritte per preparare una verità storicamente affermata. Se il pensiero rifiuta a priori "ipotesi potenzialmente false" (cit.), se ha paura di sbagliare o di esitare, allora, secondo me, non è pensiero filosofante, ma citazione o adesione dogmatica (che resta una prospettiva percorribile e non esecrabile). Inoltre non scommetterei sul fatto che un pensiero operoso, indagante e fallibile, con paradigmi aperti ed in fieri finisca con il "perdere qualsiasi utilità e anche significato"(cit.), sarebbe come dire che avere una matita ed una gomma è inutile perché bisogna usare solo penna indelebile (è un questione di metodo e di gusti, no?  ;) ).

Citazione di: donquixote il 11 Febbraio 2017, 22:53:58 PMTutti gli "aggiornamenti" delle modalità di ricerca cui tu alludi (che non siano immediatamente applicabili alla materia per modificarla secondo le esigenze, di volta in volta diverse, dell'uomo) sono solo narcisismi intellettuali buoni per ottenere una pubblicazione, o un'apparizione di cinque minuti in tv, o mezz'ora di "lectio magistralis" al festival tal dei tali. 
Probabilmente non mi sono espresso chiaramente: gli aggiornamenti di cui parlo sono proprio volti ad essere sincronizzati con la realtà attuale per poter operare al suo interno, contestualizzando le scelte e le "letture" di ciò che accade... sono aggiornamenti (faticosi, difficili e fallibili) che evitano proprio la chiusura in una dotta speculazione che non guarda all'accadere, al mondo che la circonda, a ciò che intendo con "attualità". Non sono aggiornamenti di nozionismo, ma aggiornamenti del proprio paradigma prima interpretativo poi operativo (e non certo per cultura personale!).

Citazione di: donquixote il 11 Febbraio 2017, 22:53:58 PMQuindi di quali "chiavi di lettura" si va cianciando? Cosa ci sarà mai da leggere? Non c'è più niente da leggere poiché prima di aver finito di leggere il mondo davanti a noi è cambiato e tocca reiniziare da capo, e così via, in un vortice senza fine.
Pensare significa, secondo me, "leggere" e interpretare ciò che ci circonda (quindi direi che c'è sempre molto, anzi, troppo, da leggere) e se si trova scoraggiante il provare a "leggere" una realtà dinamica, mutevole e complessa, allora ci sono risposte e paradigmi preconfezionati che hanno una loro utilità, sostituendosi alla "lettura individuale" come delle "istruzioni per l'uso" che forniscono risposte, non domande (e usare tali istruzioni, fidarsi di loro, è una scelta rispettabilissima, una scorciatoia semplificata più che legittima, ma che non trovo attraente).

Citazione di: acquario69 il 11 Febbraio 2017, 23:58:57 PM
sono i Valori e Principi che sono sempre validi perché permanentemente attuali che andrebbero recuperati proprio perché sono imprescindibili, sono cio da cui poi tutto dipende e tutto il resto a venire non potrebbe nemmeno esserci...sono percio la base e il fondamento a cui fare sempre ovvio riferimento,ed e' l'unica maniera possibile per qualsiasi tipo di "aggiornamento"
Questi Valori e Principi sono indubitabili, eterni ed imprescindibili all'interno del paradigma che essi stessi fondano, ma è oggettivamente così, oppure è possibile pensare ed agire secondo altri paradigmi in cui tali Principi e Valori sono differenti o non eterni o dubitabili? Che appoggiarsi a loro sia "l'unica maniera possibile per qualsiasi tipo di "aggiornamento"" è davvero inconfutabile o ci sono anche altre maniere per "aggiornare" la propria visione del mondo? Secondo me valori e principi ermeneutici (di interpretazione del mondo e del "senso") possono cambiare (a differenza dei principi della fisica, direi), ma ciò non toglie che sia comunque possibile ricorrere agli stessi principi e valori per tutta una vita...
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: acquario69 il 12 Febbraio 2017, 07:13:57 AM
Citazione di: Phil il 12 Febbraio 2017, 00:26:20 AM
Citazione di: acquario69 il 11 Febbraio 2017, 23:58:57 PM
sono i Valori e Principi che sono sempre validi perché permanentemente attuali che andrebbero recuperati proprio perché sono imprescindibili, sono cio da cui poi tutto dipende e tutto il resto a venire non potrebbe nemmeno esserci...sono percio la base e il fondamento a cui fare sempre ovvio riferimento,ed e' l'unica maniera possibile per qualsiasi tipo di "aggiornamento"
Questi Valori e Principi sono indubitabili, eterni ed imprescindibili all'interno del paradigma che essi stessi fondano, ma è oggettivamente così, oppure è possibile pensare ed agire secondo altri paradigmi in cui tali Principi e Valori sono differenti o non eterni o dubitabili? Che appoggiarsi a loro sia "l'unica maniera possibile per qualsiasi tipo di "aggiornamento"" è davvero inconfutabile o ci sono anche altre maniere per "aggiornare" la propria visione del mondo? Secondo me valori e principi ermeneutici (di interpretazione del mondo e del "senso") possono cambiare (a differenza dei principi della fisica, direi), ma ciò non toglie che sia comunque possibile ricorrere agli stessi principi e valori per tutta una vita...

Io credo che cio a cui tu arrivi comunque a riferirti, seppur in diversi modi, rimane solo nell'ambito del sensibile e dell'esperibile e allora le diverse "regole" possono modificarsi e cambiare, ma rimarrebbe un cambiamento fine a se stesso, quindi ritengo che sia proprio questo il paradigma chiuso..ovvio che se non ritieni nemmeno concepibile il fatto che noi non siamo soltanto qualcosa che sia solo in relazione a tale dimensione fenomenica (non mi viene un altro termine di paragone) sarà' piuttosto difficile che riesca a intravedere altre possibilità.

Quindi mi viene da aggiungere che non ce veramente niente da aggiornare ma solo da comprendere ed io penso (e lo esprimo come mi viene meglio) che sia fondamentalmente questo il motivo di tale disgregazione, nel momento che si sarebbe verificato un inversione in tal senso.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: paul11 il 12 Febbraio 2017, 12:20:37 PM
Non si vuol capire che senza punti di riferimento è impossibile confrontarsi, accettare o contestare che sono alla base del crescere.
L'assiomatizzazione delle scienze non ha comportato maggior libertà, ma proliferazione di opinioni.
La società induttiva non ha basi paradigmatiche di confronto, si pensa di esseri liberi,,,,,per non cambiare nulla.
Il bambino ha  bisogno di figure come i genitori per crescere affettivamente e concettualmente.Ha bisogno di un'autorità e autorevolezza da imitare prima, da confrontarsi dopo e infine  anche da contestare per crescere, ma
comunque necessità di punti di riferimento.
L'assiomatizzazione delle scienze naturali fisiche ha traslato i suoi metodi nelle scienze umane,
La filosofia non ha compito, finisce il suo mandato umano, se non ripensa alla radice il sistema culturale dandone un ordine, perchè la disgregazione è figlia del disordine.

Un tempo il popolo credeva che sull'Olimpo vivessero gli dei e dava oblazioni e faceva sacrifici per averne benevolenza .
Oggi si pagano  le tasse ad un ente che non è più credibile come lo Stato che vive di autorità perchè ha il monopolio della violenza e impone ingiunge al popolo obblighi.
Se non si capisce, o almeno intuisce che ciò che sovraintende al sistema organizzato umano sono ENTI , vale a dire ISTITUTI   ormai retorici, che hanno autorità , ma non autorevolezza perchè hanno perso rappresentatività e credibilità in quanto contraddittori sia per le basi culturali delle scienze contemporanee, sia perchè ormai vestigia di un passato culturale non solo dimenticato, ma "ucciso" ,il risultato è il totale disorientamento per mancanza di punti fermi con cui accettare, confrontare, contestare, per crescere. la libertà è un vuoto non senso se non posso cambiare, perchè c'è mancanza di un confronto su cui misurarsi:manca il paradigma e si discutono di effeti su effetti senza mai giungere alla base culturale che mantiene l'attuale cultura contemporanea.

Non si tratta di tornare al passato o arrivare al concetto di democrazia o dittatura, hanno poco senso perchè derivano dal vuoto culturale, sono ancora effetti di una cultura  e  si agisce senza il raccordo di un orizzonte progettuale che leghi passato presente  futuro,Mai come in questa epoca c'è una proliferazione di immagini, di scritture e di parole..... per non cambiare nulla
Oggi ogni disciplina teorica  e sorattutto le pragmatiche dell'economia e della politica sono autoreferenziali come si sistemi logici. I valori morali ed etici essendo relativizzati divenute opinioni su concetti utilitaristici e funzionali sono strumenti di chi ha il potere che esercita con la forza e l'inganno. Non siamo mai stati cosi individualistici come morale del fardasè, pensiero del fardasè, pensando che questa sia libertà. E' impossibile avere identità culturali se quella identità non è un paradigma culturale condiviso.Siamo quindi ai paradossi sociali, mai stati così liberi e nello stesso tempo condizionati e e poco utili  da non riuscire negli istituti democratici e sociali controllarli, parteciparvi, mutarli, quando la pratica è ormai imposizione dall'alto do organismi non trasparenti che si muovono dietro il palcoscenico del potere .
A tutti, al popolo è abbastanza chiaro il problema sociale eppure nessuno è in grado di mutarlo.
Forse prima bisogna riflettere bene alla radice ,l cause culturali, vale a dire su cosa si regge la cultura del nostro tempo, perchè vedo che o non si vuol capire o non si è grado di capire la differenza fra la comunità deduttiva e la società induttiva che metaforicamente potrei dire la società dei padri, la prima da accettare e contestare; la società senza padri, chi accettiamo o contestiamo per andare e dove e come facciamo  a capire se stiamo regredendo o evolvendo?
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Eretiko il 12 Febbraio 2017, 12:41:58 PM
Lancio una provocazione: non e' che quella che molti chiamano "disgregazione" sia in realta' la reazione ad un processo di decostruzione che tenta di liberarci da tutte quelle sovrastrutture che per secoli il pensiero occidentale ha costruito?
Ad esempio il libero arbitrio, messo in crisi da una parte dal meccaniscismo deterministico, a dall'altra dalle "sensate esperienze" che hanno dimostrato che il 90% delle nostre azioni e' inconscio.
Oppure la convinzione cartesiana che solo l'animale puo' essere simulato da una macchina, mentre e' accaduto il contrario: la razionalita' puo' essere simulata (e riprodotta) da una macchina, mentre l'animale no.
L'elenco potrebbe essere lungo.
Nessuno nega che questa decostruzione sia dolorosa, ma forse dobbiamo iniziare a pensare seriamente che essa e' necessaria.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: donquixote il 12 Febbraio 2017, 13:01:19 PM
Citazione di: Phil il 12 Febbraio 2017, 00:26:20 AMSe "il pensiero deve pensare la verità" (cit.) allora è un pensiero privo di ricerca, consolatorio, solido, autoritario, ma povero di domande e di autentico lavorio mentale; è un pensiero dogmatico, legittimo e certamente appetibile (che propone la verità, non la trova...), Ma credo possa esserci anche (e al suo fianco, se siamo pluralisti) un pensiero indagatore, che prima di "guidare l'azione" (cit.) si interroga con onestà intellettuale ed umiltà, senza fare appello a ricette già scritte per preparare una verità storicamente affermata. Se il pensiero rifiuta a priori "ipotesi potenzialmente false" (cit.), se ha paura di sbagliare o di esitare, allora, secondo me, non è pensiero filosofante, ma citazione o adesione dogmatica (che resta una prospettiva percorribile e non esecrabile). Inoltre non scommetterei sul fatto che un pensiero operoso, indagante e fallibile, con paradigmi aperti ed in fieri finisca con il "perdere qualsiasi utilità e anche significato"(cit.), sarebbe come dire che avere una matita ed una gomma è inutile perché bisogna usare solo penna indelebile (è un questione di metodo e di gusti, no? ;) ).


Il pensiero che pensa la verità è privo di ricerca? Ma da dove viene sta sciocchezza? I filosofi presocratici che ricercavano l'arché, il principio primo da cui tutto deriva, non stavano forse pensando la verità (al di là dei risultati ottenuti)? E cosa c'era di dogmatico nel loro pensiero? E gli scienziati moderni che vanno ricercando la "particella di Dio" non hanno forse lo stesso obiettivo? Ognuno può pensare la verità, ed effettuare in tal senso la sua ricerca, e in questo non vi è niente di dogmatico. Tu quando pensi lo fai forse per cercare una menzogna, una falsità o cosa? Certo la verità è stata annunciata da uomini di tutti i tempi, ma questo non impedisce a nessuno di pensarla. La si può accettare a priori (credendo, non pensando, che sia la verità) oppure la si può rifiutare a priori (credendo, non pensando, che non sia la verità); poi chi è in grado di farlo la può pensare daccapo, partendo dal semplice concetto di verità come fondamento, come arché, perchè fondare la propria vita su di una menzogna (comunque la si chiami) non è esattamente l'obiettivo dell'uomo (o perlomeno non è mai stato esplicitamente dichiarato). Diceva Gandhi: "prima credevo che Dio fosse la verità, ora so che la verità è Dio": in mezzo a queste due affermazioni si trova tutto il lavoro del pensiero, che potrà portare qualcuno a conclusioni diverse da quelle di Gandhi (come quando a scuola ti danno il medesimo problema o la medesima equazione da risolvere ma i risultati sono diversi) ma in tutto questo lavoro non c'è niente di dogmatico, di consolatorio e meno che mai di autoritario. C'è invece il talento e la capacità di pensare l'universale anzichè limitarsi ad osservare il proprio ombelico e far orbitare il resto intorno ad esso.


Citazione di: Phil il 12 Febbraio 2017, 00:26:20 AMProbabilmente non mi sono espresso chiaramente: gli aggiornamenti di cui parlo sono proprio volti ad essere sincronizzati con la realtà attuale per poter operare al suo interno, contestualizzando le scelte e le "letture" di ciò che accade... sono aggiornamenti (faticosi, difficili e fallibili) che evitano proprio la chiusura in una dotta speculazione che non guarda all'accadere, al mondo che la circonda, a ciò che intendo con "attualità". Non sono aggiornamenti di nozionismo, ma aggiornamenti del proprio paradigma prima interpretativo poi operativo (e non certo per cultura personale!).

Se la "realtà attuale" è costantemente mutevole (e il mutamento è tanto più veloce quanto più si riduce il punto di osservazione) quanto deve essere "grande" il contesto per poterlo considerare sensato ed inserirvi gli "aggiornamenti"? Qual è il paradigma da considerare come fondamento (a quanto pare anch'esso potenzialmente mutevole) per leggere e pensare il mondo e fornire senso alla vita di un uomo? Le ideologie (l'umanismo, il marxismo, il razionalismo e l'empirismo, il meccanicismo, il nazionalismo, il liberalismo, l'utilitarismo eccetera) sono dei paradigmi in cui inserire la lettura dei fenomeni: ma quanto sono durate? quale senso hanno dato alla vita dell'uomo? quanto hanno contribuito al suo equilibrio, alla sua serenità, alla sua eudaimonia? e soprattutto quanto sono state in grado di pensare il mondo nel suo complesso? Eppure questi "contesti" sono abbastanza ampi; ma essendo sempre relativi non potranno costituire alcun fondamento su cui edificare un sapere duraturo e significativo, e soprattutto un sapere "vero" dato che, come diceva anche Hegel, "il vero è l'intero".

Citazione di: Phil il 12 Febbraio 2017, 00:26:20 AMPensare significa, secondo me, "leggere" e interpretare ciò che ci circonda (quindi direi che c'è sempre molto, anzi, troppo, da leggere) e se si trova scoraggiante il provare a "leggere" una realtà dinamica, mutevole e complessa, allora ci sono risposte e paradigmi preconfezionati che hanno una loro utilità, sostituendosi alla "lettura individuale" come delle "istruzioni per l'uso" che forniscono risposte, non domande (e usare tali istruzioni, fidarsi di loro, è una scelta rispettabilissima, una scorciatoia semplificata più che legittima, ma che non trovo attraente).

Leggere e interpretare lo si fa alla luce di uno schema di pensiero in cui sono inseriti (e giudicati) i fenomeni che accadono. Ma questo schema di pensiero deve necessariamente essere "creduto" vero e porsi come assoluto, perchè se non lo fosse ogni "lettura" o interpretazione" perderebbe di significato. Qualcuno ritiene sbagliato lo stupro dei bambini perchè il suo paradigma lo porta a leggere questo fenomeno come "male". Sei disposto ad accettare e a conferire pari dignità intellettuale ad un paradigma che afferma invece al proprio interno che lo stupro dei bambini è "bene"? Quindi a non condannare qualcuno che lo fa dato che lui crede di fare il bene? Se arriviamo al punto che ognuno può costruire da sé il proprio paradigma ed adeguare a quello la propria vita e il proprio agire allora si arriverà naturalmente al punto ove "tutto è permesso" perchè  ogni azione potrà essere giustificata: e se ogni azione diventa lecita che senso ha giustificarla con un pensiero? Se il mio "pensare" mi porta ad elaborare un paradigma che mi impone di perseguire i miei desideri, la mia soddisfazione, la mia "felicità" al di sopra di tutto il resto, e se la mia "verità" consiste in questo, ogni pensiero e ogni azione successiva sarà solo funzionale all'adeguamento a questa "verità", che confliggerà con tutte le altre "verità" di questo tipo determinando la situazione che abbiamo sotto gli occhi. E ogni regola, ogni norma, ogni legge che verrà emanata sarà un ostacolo alla "verità" in quanto impedimento al suo perseguimento. Io credo che il paradosso più evidente della modernità sia proprio quello di rovesciare completamente il senso delle cose, e una palese evidenza di questo rovesciamento sta nel fatto che i metafisici sono accusati di compiere "voli pindarici" verso l'infinito e lo spirito, di pensare l'inutile o l'inesistente, mentre hanno un senso della realtà molto più sviluppato di coloro che invece hanno sempre gli occhi e la mente attaccata al terreno. Tutti i paradigmi della modernità vanno contro la realtà, la negano, la stuprano, la rifiutano, la vogliono modificare e adeguare a sé e alla loro visione. La metafisica invece guarda la realtà così com'è adeguandosi ad essa e senza alcuna pretesa di cambiarla prer renderla simile al paradigma che si è "pensato". Uno dei paradigmi attuali afferma che "tutti gli uomini sono uguali" Ma dove? Ma quando mai? La metafisica invece vede che tutti gli uomini sono diversi (ti sfido a trovare un uomo, solo uno, uguale, cioè identico, ad un altro. Nemmeno i gemelli monozigoti lo sono. Ma se anche per un impossibile miracolo dovesse accadere questo dimostrerebbe forse che "tutti" sono uguali?). L'illuminismo afferma con Kant "sapere aude" credendo che tutti gli uomini, se lasciati liberi di pensare, si sarebbero emancipati. E poi vediamo che il mondo non ha mai visto tanti servi quanto quello odierno, mentre la metafisica vede che alcuni uomini sono più adatti a comandare e altri ad obbedire, perchè quella è la loro natura. Un paradigma moderno afferma il principio secondo il quale tutti sono adatti a fare tutto (è sufficiente la cosiddetta "istruzione") e la "mobilità sociale" è un must della modernità. La metafisica invece vede che alcuni sono più adatti a fare gli avvocati e altri i contadini, alcuni  gli intellettuali e i filosofi mentre altri gli artigiani; il paradigma secondo cui l'ultimo dei miserabili potrà essere eletto presidente degli Stati Uniti poichè per diventarlo non è richiesta alcuna qualità particolare ma solo l'elezione popolare è l'opposto di cià che afferma la metafisica, che invece vede che alcuni sono più adatti di altri a governare uno stato poichè avranno le qualità di sapienza, di equilibrio, di temperanza e di intelligenza per farlo, mentre altri sono completamente inadatti e potranno combinare solo guai. Un paradigma moderno afferma che se entrano in Italia un milione di stranieri e a questi si fornisce una casa e un lavoro l'integrazione è compiuta. La metafisica invece vede che un uomo non è una macchina, non è solo casa e lavoro, ma è anche e soprattutto cultura e quindi più le culture che si incontrano saranno disomogenee e meno sarà possibile l'integrazione. E potrei andare avanti per ore con questi esempi. Chi ha dunque più senso della realtà?
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Phil il 12 Febbraio 2017, 13:29:40 PM
@Eretiko
Non so se sia necessaria (è un giudizio impegnativo, seppur condivisibile), ma quantomeno in atto: i "maestri del sospetto" (Nietzsche, Marx, Freud), le tre "umiliazioni narcisistiche" (eliocentrismo, evoluzionismo, teoria dell'inconscio), etc. ci indicano chiaramente che bisogna iniziare a fare i conti con istanze di cambiamento, forse traumatiche, ma quantomeno rilevanti...


Per chiarire a cosa alludo con "aggiornare il paradigma", propongo (da "Il postmoderno" di G. Chiaruzzi) uno schema di Hassan (mi scuso se non l'ho trovato in italiano e premetto che non rappresenta il mio paradigma, nè tantomeno è il paradigma da prendere a modello ideale, è solo un esempio di "aggiornamento"):

(https://thegreatwildherring.files.wordpress.com/2013/12/hassan-list.png)
(ecco il link: https://thegreatwildherring.files.wordpress.com/2013/12/hassan-list.png)

La colonna di sinistra presenta alcune delle categorie tipiche della modernità, quella di destra, alcune tipiche della postmodernità. Se "leggiamo" l'attualità con le categorie di sinistra, essa ci risulta inevitabilmente corrotta, iniqua e deteriorata (ed ecco comparire il disappunto e la nostalgia "dei bei vecchi tempi in cui c'erano valori sani, o almeno si sapeva con chiarezza quali erano!"); se invece leggiamo il presente con quelle di destra, ci risulta probabilmente più comprensibile (ed il relativismo, la tecnologia, l'individualismo non sono più demoniache trombe dell'apocalisse), e solo nel momento in cui l'abbiamo adeguatamente compresa, secondo me, possiamo valutarla con pertinenza.
Come sottolineato più volte, non intendo screditare chi fa ricorso alla colonna di sinistra, e quando definisco quel paradigma  "vecchio" non voglio essere offensivo, ma solo denotativo: di fatto, ce n'è anche uno più recente, più "nuovo" (quindi privo del consolidato fascino del radicamento storico), se questo sia meglio o peggio, ognuno lo valuta in base alla sua prospettiva; l'interessante credo sia prendere atto che c'è la possibilità di leggere l'attualità anche con un ulteriore paradigma, che tenta di metterne a fuoco le peculiarità prima di passare al giudizio. 

P.s.
Inevitabilmente, secondo me, una realtà impermanente richiede paradigmi impermanenti, quindi "dinamici" (senza assiomi troppo rigidi, come in metafisica), quindi "aperti" (qualcuno direbbe "deboli"), quindi plurali (ovvero relativi, ma senza ricadere nella caricatura fumettistica del relativista assoluto che muore di fame in gelateria perché "tutto è relativo!" e non riesce ad ordinare nulla... i relativisti reali non sono annichiliti, non muoiono di inedia, piuttosto si muovono circospetti sul sentiero della ricerca, sapendo che ogni passo non è mai l'ultimo, non è perfetto, e, in fondo, poteva essere fatto diversamente poiché alcuni passeggiatori già ne fanno di diversi, ma non per questo egli smette di farne altri...).

P.p.s.
@donquixote
Avevo inteso la tua frase "il pensiero deve pensare la verità"(cit.) come viziata dal presupposto che la verità sia una, perfetta, immutabile, etc. presupposto che ha portato ad una serie storicamente ricca di casi in cui tale verità, pur di essere trovata, veniva inserita arbitrariamente in un circolo vizioso dogmatico (in senso laico o meno). Oggi forse la "plausibilità" può essere un'alternativa lecita alla verità assoluta, sia nelle scienze che in altri campi, ma quest'ottica è incompatibile con un paradigma metafisico classico (vedi schema citato ad esempio sopra) per cui non è certo universalmente condivisibile.
Sulla verità fai-da-te come edonismo solipsista, vorrei ricordare che gli individui, a prescindere dal paradigma che usano, vivono solitamente in una società regolata da leggi coercitive (quindi "il tutto è permesso" è escluso a priori), per cui è sempre necessaria (o solo assennata) una mediazione fra l'individuo e il contesto sociale  ;)
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Duc in altum! il 12 Febbraio 2017, 14:03:56 PM
**  scritto da Eretiko:
CitazioneAd esempio il libero arbitrio, messo in crisi da una parte dal meccaniscismo deterministico, a dall'altra dalle "sensate esperienze" che hanno dimostrato che il 90% delle nostre azioni e' inconscio.
Penso, secondo me, che sia meglio che si facciano esempi, per questa discussione, senza chiamare in causa la metafisica, giacché fin quando il determinismo e l'inconscio che dirige le nostre azioni saranno nient'altro che supposte ipotesi possibili, ma niente di sicuro, il libero, arbitrio, per accidente o per volere divino, sarà sempre ciò che determina chi siamo e chi desideriamo essere, ed eventualmente (in un discorso spirituale) l'unica nostra facoltà a dover essere giudicata.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: paul11 il 12 Febbraio 2017, 16:01:17 PM
Citazione di: Eretiko il 12 Febbraio 2017, 12:41:58 PMLancio una provocazione: non e' che quella che molti chiamano "disgregazione" sia in realta' la reazione ad un processo di decostruzione che tenta di liberarci da tutte quelle sovrastrutture che per secoli il pensiero occidentale ha costruito? Ad esempio il libero arbitrio, messo in crisi da una parte dal meccaniscismo deterministico, a dall'altra dalle "sensate esperienze" che hanno dimostrato che il 90% delle nostre azioni e' inconscio. Oppure la convinzione cartesiana che solo l'animale puo' essere simulato da una macchina, mentre e' accaduto il contrario: la razionalita' puo' essere simulata (e riprodotta) da una macchina, mentre l'animale no. L'elenco potrebbe essere lungo. Nessuno nega che questa decostruzione sia dolorosa, ma forse dobbiamo iniziare a pensare seriamente che essa e' necessaria.




Accetto la provocazione Eretiko e anche  di Phil.
Vi avviso che sono già culturalmente passato per le vostre tesi, le ho già pensate, masticate, elaborate e riflettute.
La mia tesi è che non siamo in grado di gestirlo questo passaggio culturale, perchè è proprio contraddittorio quello che descrive Phil. Se le tesi sono metatesi se il pensiero si riduce a meta pensiero in quanto incapace di dare verità, quale cultura gestisce l'attuale problematica in attesa che l'umanità dal decostruzionismo ponga un'idea costruttiva? Non c'è attualmente nessuna filosofia in grado nè di gestire il cambiamento nè di darci la rotta di un'approdo, ammesso che ci indichi anche verso dove andremmo. Perchè è tutto in divenire il contraddittorio, non c'è tempo di pensare, il pensiero ferma il tempo, l'autista che-non-c'è  della postmodernità dice che le nostre sono solo chiacchiere non avendo fondamenta veritative e quindi prosegue una rotta che non è nemmeno una rotta, è una meta-rotta. Non so se capite la metafora.E' impossibile dall'attuale cultura uscirne, questa è la VERA trappola,perchè ha smesso di pensare che vi sia una verità, Accetta la probabilità, l'incertezza come limite del non-limite del dominio in cui si muove e ogni movimento è coordinato o scoordinato solo dai punti di vista autoreferenti del sistema stesso. Oggi vincono i poteri traslati dalla natura alì'artifiicio organizzativo umano,
Vince l'autorità scientifica, l'autorità politica, fatta di mutanti e replicanti persone che si succedono via via senza lasciar traccia di sè, priva di una memoria, in quanto siamo già risucchiati nel domani che ha già macinato l'ieri.
E' la nostra cultura che soffre dell'epistemologia falsifcazionale di Popper o dell'autoreferenzialità di Godel, è incapace di porsi al di fuori del sistema stesso,Vivendo e pensando dal di dentro noi vediamo le contraddizioni esistenziali, ma non siamo in grado se la prospettiva è interna a uscirne. E' finito il tempo dell'universalità in questa cultura, che farà cadere ad una ad una tutte  le contraddizoni interne, gli ENTi gli ISTITUTI i VALORI, LE MORALI, ilDIRITTO stesso come derivato dalla filosofia morale  politica da quando sono divenute scienze.
Questo uomo vive fra le macerie di una entificazione come prodotto millenario che non sono più sorrette dal nostro NON-PARADIGMA contemporaneo.

Il mio modello anarchico sarebbe che l'uomo può vincere l'attuale sistema solo se introiettasse l'ordine dentro di sè e non un ordine fuori di sè che oggi è percepito come "peso condizionante". Perchè significherebbe che l'uomo sarebbe capace di sapere cos' è giustizia, libertà, uguaglianza, come limite interiore del rispetto, quella legge dentro di sè che permetterebbe che nessuna condizione fosse fuori di sè, esteriore a sè.
Ma l'uomo oggi è capace di maturare un tale ordine, di evolvere una propria responsabilità da capire i limiti dei domini fra sè i suoi simili, il suo prossimo , la natura, la cultura?
Chiama in gioco se l'uomo è una scimmia intelligente, ma sempre scimmia, e se la nostra vita il nostro concetto di esistenza ha un senso dentro un progetto condiviso. Perchè una tale maturità umana farebbe cessare le guerrra immediatamente, lo sfruttamento fra uomini e il rapporto innaturale con la natura.
Ma daccapo, cosa dovrebbe spingere l'uomo a credere in se stesso se questa cultura gli ha detto che è limitato e un derivato evolutivo di n'animale, Dove costruire la propria fiducia?

O avete altri pensieri? Altri percorsi, progetti?

n.b. Phil togliti il preconcetto di nostalgici, la vita non si vive solo di ricordi e domattina devo andare di nuovo a lavorare per tirare avanti. I tuoi problemi sono i miei problemi, perchè condividiamo lo stesso spazio/tempo o partiamo da questo o tutto è contraddittoriamente incomunicabile nel tempo delle comunicazioni
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: donquixote il 12 Febbraio 2017, 16:07:17 PM
Citazione di: Phil il 12 Febbraio 2017, 13:29:40 PMPer chiarire a cosa alludo con "aggiornare il paradigma", propongo (da "Il postmoderno" di G. Chiaruzzi) uno schema di Hassan (mi scuso se non l'ho trovato in italiano e premetto che non rappresenta il mio paradigma, nè tantomeno è il paradigma da prendere a modello ideale, è solo un esempio di "aggiornamento"):


È interessante notare come nell'esempio di questo paradigma (che credo sia una schematizzazione sociologico/statistica e quindi non sia da condividere o meno, ma solo da prenderne atto in linea di tendenza) i "valori" che determinano il post-modernismo siano quasi tutti connotati negativamente. Quando non esiste un valore condiviso o una serie di valori che formano un "paradigma" che possa prevalere nella società allora ognuno se li elaborerà da sé costruendo ognuno il proprio paradigma, e questa estrema frammentazione impedisce una prevalenza di uno sull'altro costringendo gli "studiosi" a enunciare "valori negativi" come comuni alla società nel suo complesso. Dunque ciò non fa altro che confermare la disgregazione e il suicidio culturale, dato che la cultura nel senso in cui la si intende qui appartiene ad un popolo e non ad un individuo (o a un individuo solo in quanto appartenente ad un determinato popolo, ad una determinata "cultura"), per il quale si potrà parlare tutt'al più di erudizione.


Citazione di: Phil il 12 Febbraio 2017, 13:29:40 PMP.p.s. @donquixote Avevo inteso la tua frase "il pensiero deve pensare la verità"(cit.) come viziata dal presupposto che la verità sia una, perfetta, immutabile, etc. presupposto che ha portato ad una serie storicamente ricca di casi in cui tale verità, pur di essere trovata, veniva inserita arbitrariamente in un circolo vizioso dogmatico (in senso laico o meno). Oggi forse la "plausibilità" può essere un'alternativa lecita alla verità assoluta, sia nelle scienze che in altri campi, ma quest'ottica è incompatibile con un paradigma metafisico classico (vedi schema citato ad esempio sopra) per cui non è certo universalmente condivisibile. Sulla verità fai-da-te come edonismo solipsista, vorrei ricordare che gli individui, a prescindere dal paradigma che usano, vivono solitamente in una società regolata da leggi coercitive (quindi "il tutto è permesso" è escluso a priori), per cui è sempre necessaria (o solo assennata) una mediazione fra l'individuo e il contesto sociale ;)

La verità è certamente una, perfetta e immutabile, ma contavo sul tuo aiuto per evitare di precisare che nell'espressione e nella comunicazione di questa verità si riscontrano tutti i difetti del mediatore, che è l'uomo, per cui alcuni uomini l'avranno saputa esprimere meglio di altri, e alcuni uomini l'avranno capita meglio di altri, e viceversa. Altra cosa è poi l'applicazione in campo dottrinale e sociale in cui le variabili sono ancora maggiori. Quindi se uno è in grado di pensare la può pensare da sé e poi magari alla fine del percorso potrà giudicare da sé quali uomini siano stati in grado di esprimere tale verità in modo più corretto dato che, in sé, è inesprimibile (come del resto qualunque altra realtà che non sia inventata direttamente dall'uomo). Per quanto concerne la "plausibilità" ognuno può ritenere "plausibile" ciò che gli fa più comodo, dunque ritenere più plausibile il perseguimento di ogni e qualsiasi proprio desiderio e interesse rispetto alla plausibilità di qualunque altra considerazione (la Corte di Cassazione ha emanato poche settimane fa una sentenza in cui considera lecito, quindi decisamente plausibile, licenziare le persone per salvaguardare l'ammontare dei profitti aziendali.) e quindi non vedo alcuna differenza, nell'ambito dell'agire quotidiano delle persone, fra la plausibilità e la certezza e dato che non vi è modo di valutare percentualmente la plausibilità di una tesi rispetto ad un'altra ognuno si farà naturalmente guidare dalla propria convenienza, dal proprio paradigma.  Per quanto concerne invece la questione delle leggi se l'individuo adotta un paradigma in contrasto con le regole e le leggi appare ovvio che vedrà queste ultime come ostacoli alla sua espressione personale e alla realizzazione del suo paradigma (che considerà verità, sia pur "plausibile") e quindi sorgerà un conflitto con la società e le sue istituzioni per cui lo "stato" verrà considerato nemico e si tenterà di "fregarlo" in tutte le maniere (gli esempi abbondano) oltre  a provocare un aumento dei conflitti fra individui che saranno inoltre sempre più aspri,  e che le istituzioni non sono in grado di gestire e comporre. Le leggi dovrebbero gestire le eccezioni, e la "normalità", in una comunità degna di tal nome, dovrebbe essere garantita dalla cultura, dai principi e dai valori che si condividono e dai quali si deduce naturalmente e conformemente l'organizzazione sociale e il comportamento da adottare da parte dei cittadini, che si comportano in un certo modo perchè sono convinti che sia buono e giusto farlo (e per un sacco di altre buone ragioni)  e non per paura della guardia che viene a bussare. Quale serenità potrà mai avere una persona che deve difendersi quotidianamente da suoi concittadini che hanno una visione della vita diversa dalla sua (e il cui perseguimento lo porta magari a subire danni senza aver fatto niente di male) e dall'altro lato deve guardarsi da uno stato che aggiorna quotidianamente i propri paradigmi per cui non sai mai se quello che hai fatto fino a ieri è ancora legale oppure no (ho sentito oggi ad esempio che sono cambiate le regole sui seggiolini delle auto per i bambini: quelli vecchi saranno illegali)? E capita quindi che uno viva la propria vita tranquillamente e si ritrovi domani o ad essere o sul lastrico perchè la concorrenza (legale, sia ben chiaro) lo ha fatto fallire oppure un delinquente a sua insaputa. E costui cosa se ne fa di tutti i suoi paradigmi? Quindi il contrasto fra il "tutto è permesso" che l'ideologia moderna incoraggia e il "niente è permesso" che la legge impone creerà cortocircuiti tali da provocare tensioni sempre crescenti, fino alla completa disgregazione e polverizzazione delle cosiddette "società aperte" di popperiana definizione.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: InVerno il 12 Febbraio 2017, 18:18:06 PM
Quando si parla di occidente ci si dimentica sempre dell'elefante nella stanza, il sud-america, che tra alti e bassi sta vivendo nell'ultimo decennio un periodo di ascesa sotto tantissimi punti di vista, proporzionato a quanto si sia liberato dai lacci coloniali (Messico, Cile etc ancora sulle corde). Non mancano i drammi sociali ovviamente come è normale che sia (prima che qualcuno vi faccia riferimento) ma sta comunque ottenendo risultati su larga scala eccezionali, tra le quali l'indipendenza dopo 500 anni (non mi risulta una singola base americana in sud america) e si è trasformato velocemente in una fucina di nuovi paradigmi sociali. Farne l'elenco sarebbe estenuante, ma visto che si è parlato per tutto il topic di società primitive, per la prima volta nella storia esse in quasi tutti gli stati sud americani hanno ora una rappresentanza parlamentare a scongiurare auspicabilmente altri sfruttamenti\genocidi. E hanno ottenuto questo progresso e questa vitalità fertile di idee senza piegarsi troppo al feticcio dell'uomo forte, ma anzi puntando sul sociale.L'argomento può tranquillante terminare qui per alcuni, si tratta di paesi in via di sviluppo e che quindi hanno maggiore libertà d'azione dovuta all'atto stesso di svilupparsi. Comunque si tratta di paesi occidentali in ascesa, quindi la generalizzazione iniziale "occidente in disgregazione" è innanzitutto fallace perchè dimentica metà continente americano che si sta in realtà aggregando e consolidando. Ma finisce davvero qui? Perchè alcuni paradigmi Europei sono culturalmente inamovibili, perchè la difesa degli stessi è cosi strenua da rendere refrattario il vecchio continente allo sviluppo di nuovi cagionando la vitalità culturale del continente? Perchè non ci sentiamo più "in via di sviluppo?" Questo ha molto a che fare con le "Verità di riferimento" tanto care ad alcuni, ma il mio non vuole che essere uno spunto di riflessione.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Phil il 12 Febbraio 2017, 18:22:35 PM
Citazione di: paul11 il 12 Febbraio 2017, 16:01:17 PM
n.b. Phil togliti il preconcetto di nostalgici, la vita non si vive solo di ricordi e domattina devo andare di nuovo a lavorare per tirare avanti. I tuoi problemi sono i miei problemi, perchè condividiamo lo stesso spazio/tempo o partiamo da questo o tutto è contraddittoriamente incomunicabile nel tempo delle comunicazioni
I nostri problemi sono i medesimi? Se per problemi non alludi ai bisogni primari, non posso proprio sapere se siano gli stessi, ma nel tuo paradigma la risposta è già "si"... condividiamo lo stesso spazio/tempo? Certo, ma lo leggiamo (probabilmente) in modo differente, e non è affatto un dettaglio da poco... sulla nostalgia (forse parola ambigua), ne respiro un soffio quando leggo di una cultura che "ha smesso di pensare che vi sia una verità"(cit. corsivo mio) ed "è finito il tempo dell'universalità di questa cultura"(cit. corsivo mio) per cui "questo uomo vive fra le macerie"(cit. corsivo mio)... se non si è un po' nostalgici (e non è una malattia!) alcune critiche all'attualità perdono di senso (qui non mi riferisco più a te, dico in generale); se invece non si è nostalgici, l'aggiornamento di paradigma risulta più facile e il pessimismo cosmico per il futuro prossimo non ha ragion d'essere...


Citazione di: donquixote il 12 Febbraio 2017, 16:07:17 PM
È interessante notare come nell'esempio di questo paradigma [...] i "valori" che determinano il post-modernismo siano quasi tutti connotati negativamente.
La negazione (che non è la negatività  ;) ) che ricorre in alcune categorie dello schema ("quasi tutte" mi pare eccessivo) mi sembra perlopiù una questione linguistica che non va sovrainterpretata come un giudizio di valore o una connotazione: dire "anti-forma" o semplicemente "fluidità" (Bauman) è equivalente, anche se il primo termine ci suona più negazione rispetto al secondo, etc.
Quello che viene letto come "suicidio" dal "paradigma moderno", viene letto come "differenziazione" (o "contaminazione", o "disseminazione" o altro), dal paradigma postmoderno; resta sempre una questione di lettura paradigmatica; e in questo caso la negatività (supponendo che il suicidio sia gesto negativo) è dovuta all'inattualità del paradigma usato.

Citazione di: donquixote il 12 Febbraio 2017, 16:07:17 PMLa verità è certamente una, perfetta e immutabile
Certezza squisitamente moderna  ;D  

Citazione di: donquixote il 12 Febbraio 2017, 16:07:17 PMPer quanto concerne la "plausibilità" ognuno può ritenere "plausibile" ciò che gli fa più comodo, dunque ritenere più plausibile il perseguimento di ogni e qualsiasi proprio desiderio e interesse
Se si riflette seriamente (facciamo gli ottimisti, no?), il "plausibile" è un risultato, non un istinto o un capriccio, e in quanto risultato (seppur provvisorio) non si può scegliere a priori: non posso scegliere di ritenere plausibile che sul mio tetto ci siano parcheggiate le renne di babbo natale, o che andare in giro a derubare i passanti sia una buona idea (anche se potrebbe farmi comodo per autofinanziare la cena di San Valentino  ;D ), etc.

Citazione di: donquixote il 12 Febbraio 2017, 16:07:17 PMPer quanto concerne invece la questione delle leggi se l'individuo adotta un paradigma in contrasto con le regole e le leggi appare ovvio che vedrà queste ultime come ostacoli alla sua espressione personale e alla realizzazione del suo paradigma (che considerà verità, sia pur "plausibile") e quindi sorgerà un conflitto con la società e le sue istituzioni per cui lo "stato" verrà considerato nemico e si tenterà di "fregarlo" in tutte le maniere
Se lo stato, con le sue leggi, ha un'impostazione che non condivido, non per questo diventerò necessariamente un fuori-legge (che comunque, se non erro, ci sono sempre stati, non è una questione di paradigmi deboli o di individualismo postmoderno; salvo credere che in passato ci fossero comunità di virtuosi che quasi non avevano bisogno di leggi... come accennavo, le caricature da "argomento fantoccio", o "straw man", non giovano al discorso, per quanto simpatiche  :) ).

Citazione di: donquixote il 12 Febbraio 2017, 16:07:17 PMQuindi il contrasto fra il "tutto è permesso" che l'ideologia moderna incoraggia e il "niente è permesso" che la legge impone creerà cortocircuiti tali da provocare tensioni sempre crescenti, fino alla completa disgregazione e polverizzazione delle cosiddette "società aperte"
L'ideologia moderna (al singolare) credo non esista, ci sono piuttosto molteplici ideologie (e forse non è nemmeno il termine adatto, ma riutilizzo il tuo linguaggio) e la legge, almeno da quel che accade in europa e dintorni (ma direi anche più in là), non impone affatto "il niente è permesso"... che l'individuo debba poi adattarsi alla sua società, e che ciò comporti dissenso, disagi, illegalità e persino ribellioni, mi sembra una situazione vecchia almeno come la storia dell'uomo da quando è diventato stanziale (non è certo un'invenzione della postmodernità).
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: maral il 12 Febbraio 2017, 19:01:16 PM
Citazione di: donquixote il 10 Febbraio 2017, 12:22:21 PM
Curioso che continui a raccontare (a modo tuo ovviamente), episodi di storia europea mentre io confrontavo i popoli europei (e in parte anche quelli mediorientali) con altre etnie che non hanno la stessa natura aggressiva. Gli europei si sono sempre combattuti fra loro anche quando la religione era la medesima (e la nascita del Cristianesimo riformato è stata una ulteriore scusa per combattersi ancora più ferocemente) e il fatto che in quei secoli in Europa si sia svolto uno scontro costante fra chi sosteneva la supremazia dell'imperatore e chi invece quella del papato significa che non si è mai compresa la corretta gerarchia dei poteri e delle autorità e quindi non si è mai raggiunta una vera stabilità. Ma se questi sono problemi peculiari dell'Europa e degli europei (che si sarebbero presi a mazzate qualunque fosse la cultura dominante) il modello culturale che l'Europa ha acquisito, sviluppato e poi consolidato dopo la fine dell'impero Romano e fino al cosiddetto "Rinascimento" era molto più aderente al concetto di cultura come modello di senso in cui riconoscersi e all'interno del quale poter rendere ragione dei fenomeni del mondo, della sofferenza umana, della vita e della morte.
Bè, la storia è sempre stata raccontata nel modo in cui ogni epoca l'ha interpretata (dacché la "storia ha avuto un senso, la qualcosa è piuttosto recente). In genere comunque si può osservare che ovunque (non certo solo in Europa) i popoli meno aggressivi o sono stati cancellati da quelli più aggressivi, oppure se la loro civiltà era più complessa e organizzata, è stata assimilata almeno per certi elementi per dar vita e vigore a una nuova forma di civiltà, spesso più aggressiva e organizzata. Oggi il problema è più complesso, perché essendosi ridotte le distanze, la cosa non coinvolge più solo realtà locali tra loro lontane, ma il mondo intero, un mondo in cui, che lo vogliamo o no, siamo già tutti vicini ed è proprio nella vicinanza, non nella lontananza, che l'aggressività si manifesta nei suoi modi più distruttivi.  

CitazioneL'accusa di mentire rivolta a coloro che proclamano l'assoluto fondamento è solitamente l'opinione di chi non riesce a comprenderlo, e anzichè ammettere il proprio limite lo vuole indebitamente estendere a chiunque,

L'accusa di mentire è da parte di chiunque vede solo il proprio fondamento assoluto e non riconosce quello altrui (giacché per tutti è sempre l'altro che mente, non io). La proclamazione dell'assoluto mete sempre proprio perché nessuno, proprio in quanto lo pretende assoluto, quindi per tutti, non intende assolutamente riconoscerne il limite che si manifesta nel momento stesso in cui in qualche modo lo si definisce con la volontà che valga per tutti.  
E' chiaro che nel momento in cui qualcosa appare come principio assoluto in quel qualcosa ci si crede e da quel qualcosa si può anche procedere per via deduttiva in merito alle conseguenze regolatrici dell'esistenza, ma è altrettanto vero che la via deduttiva non può avere di per sé alcuna validità quando quel principio a priori non si manifesta e, se non si manifesta, è del tutto inutile evocarne con grandi rimpianto i modi in cui si è manifestato in passato. Una volta che Dio è morto (per dirla alla Nietzsche), è morto, riproporlo per come era significa solo esporne il cadavere mummificato esigendo ubbidienza.
Ogni assoluto muore, ogni vessillo prima o poi diventa solo un pezzo di materia inerte più o meno colorata, non perché gli uomini sono stupidi o cattivi, ma semplicemente perché questo è il destino dell'assoluto, è sempre una parzialità in atto che si disgrega incontrando prima o poi la sua verità che c'è prima di ogni sua pretesa.
Il meccanismo induttivo non nasce in contrasto con quello deduttivo, ma per tentare di puntellare il principio da cui si procedeva per deduzione quando questo barcolla, ristabilire una corrispondenza, ma ovviamente non serve a nulla poiché la disgregazione comunque procede, proprio in virtù della verità che sta sotto di essa. Non c'è altro modo che seguire questa disgregazione fino in fondo, convivere con l'angoscia e il terrore che genera l'opacità fondamentale dell'esistenza, poiché dopotutto si è sempre in cammino e solo in questo essere in cammino è la verità che a volte inaspettatamente si manifesta per poi subito dileguarsi, lasciando tracce discontinue di un percorso che si è compiuto, ma che sempre, in qualche modo, continua a compiersi nelle nostre esistenze.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Eretiko il 12 Febbraio 2017, 19:10:00 PM
Citazione di: Duc in altum! il 12 Febbraio 2017, 14:03:56 PMPenso, secondo me, che sia meglio che si facciano esempi, per questa discussione, senza chiamare in causa la metafisica, giacché fin quando il determinismo e l'inconscio che dirige le nostre azioni saranno nient'altro che supposte ipotesi possibili, ma niente di sicuro, il libero, arbitrio, per accidente o per volere divino, sarà sempre ciò che determina chi siamo e chi desideriamo essere, ed eventualmente (in un discorso spirituale) l'unica nostra facoltà a dover essere giudicata.

Nessuna metafisica: il determinismo e' legato alla causalita' delle leggi di natura, e noi siamo composti dagli stessi elementi che compongono l'universo (ma ovviamente nessuno e' cosi' ingenuo da pensare che le nostrte azioni sono semplicemente predeterminate), fatto che ha dato l'inizio alla discussione sul libero arbitrio (sia a livello filosofico che biologico).
Nelle neuroscienze mi riferivo in particolare ai numerosi esperimenti effettuati da Benjamin Libet, Daniel Wegner, Daniel Kahneman (per citare i piu' famosi), esperimenti noti e divulgati, e possiamo farci un'idea delle problematiche sollevate.

Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: maral il 12 Febbraio 2017, 19:25:56 PM
In fondo da sempre l'umanità ha camminato tra macerie, resti di momenti di grazia. Il problema ora è che il cammino si è reso più veloce e le rovine paiono subito non lasciare tracce, questo ci fa pensare di procedere più liberi e spediti senza pagare tributi, ma nello stesso tempo ci fa sentire continuamente angosciati e dispersi, non c'è luce, non c'è dove andare e le nostre rovine restano mute nel loro così rapido sbriciolarsi.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Eretiko il 12 Febbraio 2017, 19:40:08 PM
Citazione di: donquixote il 12 Febbraio 2017, 16:07:17 PMLe leggi dovrebbero gestire le eccezioni, e la "normalità", in una comunità degna di tal nome, dovrebbe essere garantita dalla cultura, dai principi e dai valori che si condividono e dai quali si deduce naturalmente e conformemente l'organizzazione sociale e il comportamento da adottare da parte dei cittadini, che si comportano in un certo modo perchè sono convinti che sia buono e giusto farlo (e per un sacco di altre buone ragioni)  e non per paura della guardia che viene a bussare.

Certo, sarebbe bellissimo se potesse essere in questo modo, ma temo che non e' mai stato e mai sara'. In linea di massima posso anche condividere che per raggiungere uno scopo cosi' elevato si possano fondare principi e valori del tutto esterni a noi e addirittura esterni all'universo nel quale viviamo, ma alla fine pero' con quell'universo dobbiamo farci i conti, compresa la nostra umana costituzione forgiata da millenni di evoluzione. E anche in quelle culture che, ad esempio, avevano principi religiosi come collante comunitario, alla fine sempre in leggi (orali prima e scritte poi) codificavano il corretto funzionamento della comunita'. Ed esiste sempre il "rischio" che ci sia qualcuno, in questa comunita', che inizi a chiedersi se quei principi fondanti siano effettivamente tali ed universali, indipendentemente dal fatto che essi funzionano.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Duc in altum! il 12 Febbraio 2017, 20:29:50 PM
**  scritto da Eretiko:
CitazioneNessuna metafisica: il determinismo e' legato alla causalita' delle leggi di natura, e noi siamo composti dagli stessi elementi che compongono l'universo (ma ovviamente nessuno e' cosi' ingenuo da pensare che le nostrte azioni sono semplicemente predeterminate), fatto che ha dato l'inizio alla discussione sul libero arbitrio (sia a livello filosofico che biologico).
E' proprio questo che cercavo di dire: non è scritto da nessuna parte che le leggi causali della natura siano casuali, forse, chissà. Quindi oggi, in terra, la legge non ammette ignoranza, e giudica il libero arbitrio, che determina ogni fenomeno umano, anche la disgregazione dell'occidente, come se l'oriente, il sud o il nord, poi, non si starebbero smantellando.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Duc in altum! il 12 Febbraio 2017, 20:36:19 PM
**  scritto da donquixote:
CitazioneLe leggi dovrebbero gestire le eccezioni, e la "normalità", in una comunità degna di tal nome, dovrebbe essere garantita dalla cultura, dai principi e dai valori che si condividono e dai quali si deduce naturalmente e conformemente l'organizzazione sociale e il comportamento da adottare da parte dei cittadini, che si comportano in un certo modo perchè sono convinti che sia buono e giusto farlo (e per un sacco di altre buone ragioni)  e non per paura della guardia che viene a bussare.
Il problema è che quei valori e principi differenziano da l'organizzazione sociale e il comportamento adottato dai cittadini in conformità con la fede personale, ecco perché senza un valore e principio extraterrestre non ci omogeneizzeremo mai politicamente o eticamente. Le persone si lamentano di Trump o di Assad, ma perché è civile quello che sta accadendo politicamente, da 4 anni, nella pseudo-democrazia italiana? Eppure: ma che ce frega, ma che ce 'mporta...
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: paul11 il 12 Febbraio 2017, 22:11:49 PM
Citazione di: Phil il 12 Febbraio 2017, 18:22:35 PM
Citazione di: paul11 il 12 Febbraio 2017, 16:01:17 PM
n.b. Phil togliti il preconcetto di nostalgici, la vita non si vive solo di ricordi e domattina devo andare di nuovo a lavorare per tirare avanti. I tuoi problemi sono i miei problemi, perchè condividiamo lo stesso spazio/tempo o partiamo da questo o tutto è contraddittoriamente incomunicabile nel tempo delle comunicazioni
I nostri problemi sono i medesimi? Se per problemi non alludi ai bisogni primari, non posso proprio sapere se siano gli stessi, ma nel tuo paradigma la risposta è già "si"... condividiamo lo stesso spazio/tempo? Certo, ma lo leggiamo (probabilmente) in modo differente, e non è affatto un dettaglio da poco... sulla nostalgia (forse parola ambigua), ne respiro un soffio quando leggo di una cultura che "ha smesso di pensare che vi sia una verità"(cit. corsivo mio) ed "è finito il tempo dell'universalità di questa cultura"(cit. corsivo mio) per cui "questo uomo vive fra le macerie"(cit. corsivo mio)... se non si è un po' nostalgici (e non è una malattia!) alcune critiche all'attualità perdono di senso (qui non mi riferisco più a te, dico in generale); se invece non si è nostalgici, l'aggiornamento di paradigma risulta più facile e il pessimismo cosmico per il futuro prossimo non ha ragion d'essere...


Citazione di: donquixote il 12 Febbraio 2017, 16:07:17 PM
È interessante notare come nell'esempio di questo paradigma [...] i "valori" che determinano il post-modernismo siano quasi tutti connotati negativamente.
La negazione (che non è la negatività  ;) ) che ricorre in alcune categorie dello schema ("quasi tutte" mi pare eccessivo) mi sembra perlopiù una questione linguistica che non va sovrainterpretata come un giudizio di valore o una connotazione: dire "anti-forma" o semplicemente "fluidità" (Bauman) è equivalente, anche se il primo termine ci suona più negazione rispetto al secondo, etc.
Quello che viene letto come "suicidio" dal "paradigma moderno", viene letto come "differenziazione" (o "contaminazione", o "disseminazione" o altro), dal paradigma postmoderno; resta sempre una questione di lettura paradigmatica; e in questo caso la negatività (supponendo che il suicidio sia gesto negativo) è dovuta all'inattualità del paradigma usato.

Citazione di: donquixote il 12 Febbraio 2017, 16:07:17 PMLa verità è certamente una, perfetta e immutabile
Certezza squisitamente moderna  ;D  

Citazione di: donquixote il 12 Febbraio 2017, 16:07:17 PMPer quanto concerne la "plausibilità" ognuno può ritenere "plausibile" ciò che gli fa più comodo, dunque ritenere più plausibile il perseguimento di ogni e qualsiasi proprio desiderio e interesse
Se si riflette seriamente (facciamo gli ottimisti, no?), il "plausibile" è un risultato, non un istinto o un capriccio, e in quanto risultato (seppur provvisorio) non si può scegliere a priori: non posso scegliere di ritenere plausibile che sul mio tetto ci siano parcheggiate le renne di babbo natale, o che andare in giro a derubare i passanti sia una buona idea (anche se potrebbe farmi comodo per autofinanziare la cena di San Valentino  ;D ), etc.

Citazione di: donquixote il 12 Febbraio 2017, 16:07:17 PMPer quanto concerne invece la questione delle leggi se l'individuo adotta un paradigma in contrasto con le regole e le leggi appare ovvio che vedrà queste ultime come ostacoli alla sua espressione personale e alla realizzazione del suo paradigma (che considerà verità, sia pur "plausibile") e quindi sorgerà un conflitto con la società e le sue istituzioni per cui lo "stato" verrà considerato nemico e si tenterà di "fregarlo" in tutte le maniere
Se lo stato, con le sue leggi, ha un'impostazione che non condivido, non per questo diventerò necessariamente un fuori-legge (che comunque, se non erro, ci sono sempre stati, non è una questione di paradigmi deboli o di individualismo postmoderno; salvo credere che in passato ci fossero comunità di virtuosi che quasi non avevano bisogno di leggi... come accennavo, le caricature da "argomento fantoccio", o "straw man", non giovano al discorso, per quanto simpatiche  :) ).

Citazione di: donquixote il 12 Febbraio 2017, 16:07:17 PMQuindi il contrasto fra il "tutto è permesso" che l'ideologia moderna incoraggia e il "niente è permesso" che la legge impone creerà cortocircuiti tali da provocare tensioni sempre crescenti, fino alla completa disgregazione e polverizzazione delle cosiddette "società aperte"
L'ideologia moderna (al singolare) credo non esista, ci sono piuttosto molteplici ideologie (e forse non è nemmeno il termine adatto, ma riutilizzo il tuo linguaggio) e la legge, almeno da quel che accade in europa e dintorni (ma direi anche più in là), non impone affatto "il niente è permesso"... che l'individuo debba poi adattarsi alla sua società, e che ciò comporti dissenso, disagi, illegalità e persino ribellioni, mi sembra una situazione vecchia almeno come la storia dell'uomo da quando è diventato stanziale (non è certo un'invenzione della postmodernità).
Phil
 ti stai appoggiando sulle argomentazioni altrui per non riuscire a darmi risposte? Ho accettato la sfida ,sono dentro il NON-PARADIGMA dammi tu delle ragioni per cui crederci e averne fiducia.
Dammi la META-VERITA' che permette ad un popolo di identificarvisi.

Sono solo io che vedo leggi liberticide sul lavoro come il job-act? Sono solo io che vedo governi di replicanti?
Sono solo io che vedo un Europa disgregarsi e un USA sulle difensive nazionalistiche?

Insomma sono solo io , Donquoxote e pochi altri nella popolazione a nutrire sfiducia sulle meta-edificazioni culturali ? Il brexit è un sogno  o realtà?
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Phil il 12 Febbraio 2017, 23:32:08 PM
Di solito cito i post altrui perché mi servono per non dimenticare gli spunti importanti, per seguire un certo ordine, per non scrivere "a ruota libera" e... proprio per cercare di non saltare le domande! ;D
Non sono esattamente sicuro di quale "sfida" parli, magari mi hai confuso con Eretiko che parlava di "provocazione"?
Per "non-paradigma" intendi il paradigma postmoderno a cui mi riferivo? Se così fosse però non sarebbe affatto corretto parlare di "meta-verità" (che in quel paradigma non ha un posto), né di identificazione di un popolo; quindi non capisco bene quali risposte mi chiedi... puoi esplicitarmi le domande?

Su "governi di replicanti" e continenti in "disgregazione", posso ribadire che sono valutazioni dipendenti dal paradigma con cui li si interpreta e, scusa se mi ripeto, non valuto negativamente chi (si tratti di due persone o due milioni di persone) li interpreta in un modo piuttosto che in un altro (sfiducia vs ottimismo, etc...). Su leggi e scelte come la "brexit" direi invece che sono dati di fatto, ma se vogliamo valutarle (per semplificare: "giuste", "sbagliate" o altro) allora chiamiamo ancora in causa i nostri paradigmi interpretativi (che aprono differenti scenari...).
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Eretiko il 12 Febbraio 2017, 23:48:16 PM
Citazione di: Duc in altum! il 12 Febbraio 2017, 20:29:50 PME' proprio questo che cercavo di dire: non è scritto da nessuna parte che le leggi causali della natura siano casuali, forse, chissà. Quindi oggi, in terra, la legge non ammette ignoranza, e giudica il libero arbitrio, che determina ogni fenomeno umano, anche la disgregazione dell'occidente, come se l'oriente, il sud o il nord, poi, non si starebbero smantellando.

Io non ho mai usato la parola "casuale": ho detto che il determinismo e' conseguenza delle leggi di natura che sono CAUSALI, non "casuali". Se poi tu ti riferisci alla "casualita'" della teoria dell'evoluzione, dovresti precisare meglio la questione perche' in questo caso si  tratta di un processo di variazione genetica (di natura casuale) filtrato dall'ambiente (processo deterministico).
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: InVerno il 13 Febbraio 2017, 00:14:07 AM
Solo io vedo dei non sequitur tra i principi valoriali che vengono messi in campo (e la loro ipotetica caduta etc) e gli eventi sociali che vengono citati quasi a caso (altrimenti non si spiega) ogni tanto? In ogni caso le sette pagine di discussione ruotano tutte intorno ad un singolo punto, e i panegirici per girarci intorno non lo nascondo minimamente a tal punto che forse l'arbitro dovrebbe fischiare off topic, qui non si sta parlando di caduta dell'occidente ma di caduta del cattolicesimo, aggiungere acqua al brodo non cambia la sostanza, il baricentro della discussione sta li, lo dico esponendomi alla critica visto che il re non è ancora nudo (o non si sente nudo) ma almeno me ne tiro fuori.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Duc in altum! il 13 Febbraio 2017, 00:42:44 AM
**  scritto da Eretiko:
CitazioneIo non ho mai usato la parola "casuale": ho detto che il determinismo e' conseguenza delle leggi di natura che sono CAUSALI, non "casuali".
Benissimo, lo so che tu non hai detto casuali, questo l'ho aggiunto io, ma era soltanto per meglio confutare il fatto di ritenere obsoleto il libero arbitrio, poiché credere che il determinismo sia davvero il fondamento delle leggi naturali, senza avere anch'esso una causa o un effetto principale, è lo stesso che credere che le stesse leggi siano volute o accidentali. Ciò che cambia è il "soggetto" basilare.

Inoltre non è che l'occidente si sta disgregando, è la "dimensione umana terrestre" che si sta uniformando per adempiere alle leggi esoteriche delle sacre scritture: non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Eretiko il 13 Febbraio 2017, 00:44:04 AM
Citazione di: paul11 il 12 Febbraio 2017, 16:01:17 PM
Accetto la provocazione Eretiko e anche  di Phil.

Ma daccapo, cosa dovrebbe spingere l'uomo a credere in se stesso se questa cultura gli ha detto che è limitato e un derivato evolutivo di n'animale, Dove costruire la propria fiducia?

Ti assicuro che la "provocazione" era volta semplicemente a discutere su una possibile inversione della chiave di lettura, anche se implicitamente io ho gia' dato la mia risposta.
Non e' corretto dire che "questa cultura gli ha detto (all'uomo, nota mia) che e' limitato": in qualche modo lo avevano gia' detto i greci antichi, lo ha dimostrato Kant riguardo al pensiero (in modo farraginoso, sicuramente, ma lo ha dimostrato), lo ha dimostrato Goedel (matematicamente) riguardo a un qualsiasi sistema formale (come la matematica, o il linguaggio). E il limite, attenzione, riguarda il fatto che il pensiero diventa inconsistente quando parla di concetti al limite (come quelli trascendenti). Ma tu non devi prendere per buone le mie parole:  e' sufficiente leggere "critica della ragion pura" (Kant) o le dimostrazioni di Goedel (nominato, chissa' perche', "uomo del secolo"). Poi se queste dimostrazioni non ti convincono, o non ti piacciono, o pensi che non e' cosi' perche' vuoi avere altri punti fermi, allora il problema diventa tuo e non della cultura che ha prodotto questi risultati.
L'occidente per almeno 1.000 anni ha oltrepassato questo limite spesso e volentieri, speculando su questioni trascendentali talvolta interessanti talvolta semplicemente ridicole e prive di buon senso, con il risultato di mettere al centro di tutto solo e soltanto la religione e giustificando e spiegando tutto sempre e soltanto alla luce delle scritture e della letteratura patristica. Quando si e' iniziato a "scoprire qualche piccolo lembo del grande velo" (come diceva Einstein) sono iniziati i problemi, per un motivo semplicissimo: un conto parlare di questioni trascendentali, un conto parlare di leggi di natura, e lo scontro ragione/fede e' stato inevitabile, raggiungendo il suo apice, come era lecito attendersi, sull'evoluzione.
Quale problema ci pone il fatto che noi siamo parte della natura? Mi sembra un concetto meraviglioso. E ancor di piu' sembra meraviglioso sapere che nell'universo esiste una razionalita', un "logos", e che questo logos si sia realmente incarnato nell'uomo.
Ecco perche' io dico che e' necessario decostruire, togliere le (inutili e dannose) incrostazioni prodotte in 10 secoli, iniziare a comprendere la cultura scientifica (che non e' il diavolo), evitare di fare insensati discorsi sull' "Essere" (dato che qualcuno ha dimostrato che e' insensato parlare di cio'), accettare che i principi e i valori stanno proprio in noi stessi, e non ci provengono da qualche entita' trascendente (e questo non e' individualismo).
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Eretiko il 13 Febbraio 2017, 00:52:55 AM
Citazione di: InVerno il 13 Febbraio 2017, 00:14:07 AM
Solo io vedo dei non sequitur tra i principi valoriali che vengono messi in campo (e la loro ipotetica caduta etc) e gli eventi sociali che vengono citati quasi a caso (altrimenti non si spiega) ogni tanto? In ogni caso le sette pagine di discussione ruotano tutte intorno ad un singolo punto, e i panegirici per girarci intorno non lo nascondo minimamente a tal punto che forse l'arbitro dovrebbe fischiare off topic, qui non si sta parlando di caduta dell'occidente ma di caduta del cattolicesimo, aggiungere acqua al brodo non cambia la sostanza, il baricentro della discussione sta li, lo dico esponendomi alla critica visto che il re non è ancora nudo (o non si sente nudo) ma almeno me ne tiro fuori.

Concordo in pieno, era chiaro fin dalle prime battute, anche se non e' stato detto in modo esplicito. Ma io sarei piu' radicale: il cristianesimo ha scoperto che esiste la legge di caduta libera.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Duc in altum! il 13 Febbraio 2017, 01:01:48 AM
**  scritto da Eretiko:
Citazioneaccettare che i principi e i valori stanno proprio in noi stessi, e non ci provengono da qualche entita' trascendente (e questo non e' individualismo).
E come puoi accettarlo senza fede, visto che non ci sono prove accertate? E' da un paio di riflessioni che provo a dirtelo, essendo in tematiche culturali e sociali, di non comporre esempi metafisici, poiché la fede è inevitabile, poi, per trarre conclusioni.

CitazioneMa io sarei piu' radicale: il cristianesimo ha scoperto che esiste la legge di caduta libera.
La caduta libera (nel senso voluta grazie al personale libero arbitrio) esiste solo per chi non s'accorge (pseudo-cristianesimo incluso) che il mondo gira, gira e gira sempre più veloce, mentre l'unica cosa fissa, resta sempre quella croce.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: acquario69 il 13 Febbraio 2017, 06:49:07 AM
Ripropongo il bellissimo articolo qui sotto che...     "dovrebbe"  :-\      ...fare estrema chiarezza sulle molte cose discusse in questo argomento

http://www.riflessioni.it/discorsi-di-dharma/la-verita-e-l-amore.htm
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Sariputra il 13 Febbraio 2017, 08:21:01 AM
Citazione di: acquario69 il 13 Febbraio 2017, 06:49:07 AMRipropongo il bellissimo articolo qui sotto che... "dovrebbe" :-\ ...fare estrema chiarezza sulle molte cose discusse in questo argomento http://www.riflessioni.it/discorsi-di-dharma/la-verita-e-l-amore.htm

Conosco personalmente Lama Geshe e , pur non condividendo del tutto alcune sue posizioni filosofiche sulla dottrina buddhista , devo dire che lo trovo una persona con un approccio alla spiritualità del tutto non settario e profondamente inclusivo, oltre che molto simpatico e alla mano con tutti. Nei suoi incontri si cerca sempre di approfondire ciò che unisce e non ciò che divide. La frase: "la Verità è sempre Soggetto e mai oggetto e deve essere realizzata più che conosciuta", che è anche un approccio tipicamente "orientale" , la condivido in pieno. Mi ha fatto molto piacere vedere che tiene una rubrica per riflessioni.it...
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: acquario69 il 13 Febbraio 2017, 08:33:34 AM
Citazione di: Sariputra il 13 Febbraio 2017, 08:21:01 AM
Citazione di: acquario69 il 13 Febbraio 2017, 06:49:07 AMRipropongo il bellissimo articolo qui sotto che... "dovrebbe" :-\ ...fare estrema chiarezza sulle molte cose discusse in questo argomento http://www.riflessioni.it/discorsi-di-dharma/la-verita-e-l-amore.htm

Conosco personalmente Lama Geshe e , pur non condividendo del tutto alcune sue posizioni filosofiche sulla dottrina buddhista , devo dire che lo trovo una persona con un approccio alla spiritualità del tutto non settario e profondamente inclusivo, oltre che molto simpatico e alla mano con tutti. Nei suoi incontri si cerca sempre di approfondire ciò che unisce e non ciò che divide. La frase: "la Verità è sempre Soggetto e mai oggetto e deve essere realizzata più che conosciuta", che è anche un approccio tipicamente "orientale" , la condivido in pieno. Mi ha fatto molto piacere vedere che tiene una rubrica per riflessioni.it...


Io credo che nella frase in questione si intenda dire che non vi e' reale separazione tra soggetto ed oggetto...(cosa che al contrario viene concepita dalla modernità in poi...non a caso il titolo riguarda "disgregazione") e quindi realizzazione come "com-prensione" - prendere a se',fare un tutt'Uno diciamo..che e' diverso dal capire semplicemente
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Sariputra il 13 Febbraio 2017, 08:44:01 AM
Citazione di: acquario69 il 13 Febbraio 2017, 08:33:34 AM
Citazione di: Sariputra il 13 Febbraio 2017, 08:21:01 AM
Citazione di: acquario69 il 13 Febbraio 2017, 06:49:07 AMRipropongo il bellissimo articolo qui sotto che... "dovrebbe" :-\ ...fare estrema chiarezza sulle molte cose discusse in questo argomento http://www.riflessioni.it/discorsi-di-dharma/la-verita-e-l-amore.htm
Conosco personalmente Lama Geshe e , pur non condividendo del tutto alcune sue posizioni filosofiche sulla dottrina buddhista , devo dire che lo trovo una persona con un approccio alla spiritualità del tutto non settario e profondamente inclusivo, oltre che molto simpatico e alla mano con tutti. Nei suoi incontri si cerca sempre di approfondire ciò che unisce e non ciò che divide. La frase: "la Verità è sempre Soggetto e mai oggetto e deve essere realizzata più che conosciuta", che è anche un approccio tipicamente "orientale" , la condivido in pieno. Mi ha fatto molto piacere vedere che tiene una rubrica per riflessioni.it...
Io credo che nella frase in questione si intenda dire che non vi e' reale separazione tra soggetto ed oggetto...(cosa che al contrario viene concepita dalla modernità in poi...non a caso il titolo riguarda "disgregazione") e quindi realizzazione come "com-prensione" - prendere a se',fare un tutt'Uno diciamo..che e' diverso dal capire semplicemente

Aggiungerei interdipendenza di soggetto e oggetto. La com-prensione di questa interdipendenza diventa quindi la comprensione dell'interdipendenza di tutte le creature tra di loro...la presenza cioè di una interdipendenza naturale che rende catastrofico e illusorio il concetto di separazione...
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: acquario69 il 13 Febbraio 2017, 09:03:34 AM
Citazione di: Sariputra il 13 Febbraio 2017, 08:44:01 AM
Citazione di: acquario69 il 13 Febbraio 2017, 08:33:34 AM
Citazione di: Sariputra il 13 Febbraio 2017, 08:21:01 AM
Citazione di: acquario69 il 13 Febbraio 2017, 06:49:07 AMRipropongo il bellissimo articolo qui sotto che... "dovrebbe" :-\ ...fare estrema chiarezza sulle molte cose discusse in questo argomento http://www.riflessioni.it/discorsi-di-dharma/la-verita-e-l-amore.htm
Conosco personalmente Lama Geshe e , pur non condividendo del tutto alcune sue posizioni filosofiche sulla dottrina buddhista , devo dire che lo trovo una persona con un approccio alla spiritualità del tutto non settario e profondamente inclusivo, oltre che molto simpatico e alla mano con tutti. Nei suoi incontri si cerca sempre di approfondire ciò che unisce e non ciò che divide. La frase: "la Verità è sempre Soggetto e mai oggetto e deve essere realizzata più che conosciuta", che è anche un approccio tipicamente "orientale" , la condivido in pieno. Mi ha fatto molto piacere vedere che tiene una rubrica per riflessioni.it...
Io credo che nella frase in questione si intenda dire che non vi e' reale separazione tra soggetto ed oggetto...(cosa che al contrario viene concepita dalla modernità in poi...non a caso il titolo riguarda "disgregazione") e quindi realizzazione come "com-prensione" - prendere a se',fare un tutt'Uno diciamo..che e' diverso dal capire semplicemente

Aggiungerei interdipendenza di soggetto e oggetto. La com-prensione di questa interdipendenza diventa quindi la comprensione dell'interdipendenza di tutte le creature tra di loro...la presenza cioè di una interdipendenza naturale che rende catastrofico e illusorio il concetto di separazione...


Condivido  :) ....essenzialmente (e questo credo sai un altro esempio) ci stiamo sempre riferendo alla non dualita del Principio stesso.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: donquixote il 13 Febbraio 2017, 09:07:41 AM
Citazione di: InVerno il 13 Febbraio 2017, 00:14:07 AM
Solo io vedo dei non sequitur tra i principi valoriali che vengono messi in campo (e la loro ipotetica caduta etc) e gli eventi sociali che vengono citati quasi a caso (altrimenti non si spiega) ogni tanto? In ogni caso le sette pagine di discussione ruotano tutte intorno ad un singolo punto, e i panegirici per girarci intorno non lo nascondo minimamente a tal punto che forse l'arbitro dovrebbe fischiare off topic, qui non si sta parlando di caduta dell'occidente ma di caduta del cattolicesimo, aggiungere acqua al brodo non cambia la sostanza, il baricentro della discussione sta li, lo dico esponendomi alla critica visto che il re non è ancora nudo (o non si sente nudo) ma almeno me ne tiro fuori.

Complimenti per la sagacia! Si è fatto del nostro meglio per nascondere che la disgregazione è essenzialmente determinata dalla mancanza di religione (che è ciò che unisce gli appartenenti ad un popolo fra di loro e tutti insieme con un'entità che li trascende, da re-ligare) ma tu ci hai clamorosamente sgamato! La crisi dell'occidente è dovuta alla crisi del Cristianesimo in quanto questa è (stata) la religione dell'occidente, se ne avesse avuta un'altra si sarebbe parlato di crisi di quell'altra. In tutti i popoli, in tutto il mondo e in tutti i tempi la religione è sempre esistita e ha sempre avuto il posto preponderante nelle culture, anzi le determina e le definisce, e se solo ora e solo in questa parte del mondo questa viene considerata un accessorio alla stregua del coprivolante in peluche o un retaggio dell'idiozia scimmiesca che l'evoluzione darwiniana non si è ancora occupata di spazzare via bisognerebbe considerare questo fatto e domandarci quale incidenza ha avuto dal punto di vista sociale, perchè la religione è un fatto sociale, non individuale (semmai è la spiritualità ad avere connotazione individuale, ma la religione o è sociale o non è).  Quindi è ovvio (almeno per chi conosce un po' queste cose) domandarsi, dato che l'occidente ha espulso la religione dai suoi orizzonti,  se sia riuscito a sostituirla con un altro principio unificatore in cui i popoli occidentali si riconoscano e riconoscano se stessi fra di loro, e trovino in esso o attraverso di esso il senso della propria vita in modo tale da consentir loro un'esistenza felice e serena in armonia con se stessi, gli altri e il mondo. Di questo si tentava di discutere, e coloro che ritengono che la crisi del Cristianesimo sia coincisa con un periodo di rinascita dell'occidente che ha finalmente sostituito le verità "false" del Cristianesimo con le verità "vere" che sono venute dopo (posto che nessun uomo baserebbe la propria vita sulla menzogna che riconosce come tale) dovrebbe incaricarsi di mostrare, dato che si vuole contestare il concetto di "disgregazione dell'occidente", come e su quali basi queste abbiano "unito" i popoli occidentali (e i singoli cittadini di ogni popolo fra di loro) anzichè dividerli, e di come abbiano integrato anzichè disgregare.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: InVerno il 13 Febbraio 2017, 09:38:38 AM
Citazione di: donquixote il 13 Febbraio 2017, 09:07:41 AM
Citazione di: InVerno il 13 Febbraio 2017, 00:14:07 AM
Solo io vedo dei non sequitur tra i principi valoriali che vengono messi in campo (e la loro ipotetica caduta etc) e gli eventi sociali che vengono citati quasi a caso (altrimenti non si spiega) ogni tanto? In ogni caso le sette pagine di discussione ruotano tutte intorno ad un singolo punto, e i panegirici per girarci intorno non lo nascondo minimamente a tal punto che forse l'arbitro dovrebbe fischiare off topic, qui non si sta parlando di caduta dell'occidente ma di caduta del cattolicesimo, aggiungere acqua al brodo non cambia la sostanza, il baricentro della discussione sta li, lo dico esponendomi alla critica visto che il re non è ancora nudo (o non si sente nudo) ma almeno me ne tiro fuori.

Complimenti per la sagacia! Si è fatto del nostro meglio per nascondere che la disgregazione è essenzialmente determinata dalla mancanza di religione (che è ciò che unisce gli appartenenti ad un popolo fra di loro e tutti insieme con un'entità che li trascende, da re-ligare) ma tu ci hai clamorosamente sgamato! La crisi dell'occidente è dovuta alla crisi del Cristianesimo in quanto questa è (stata) la religione dell'occidente, se ne avesse avuta un'altra si sarebbe parlato di crisi di quell'altra. In tutti i popoli, in tutto il mondo e in tutti i tempi la religione è sempre esistita e ha sempre avuto il posto preponderante nelle culture, anzi le determina e le definisce, e se solo ora e solo in questa parte del mondo questa viene considerata un accessorio alla stregua del coprivolante in peluche o un retaggio dell'idiozia scimmiesca che l'evoluzione darwiniana non si è ancora occupata di spazzare via bisognerebbe considerare questo fatto e domandarci quale incidenza ha avuto dal punto di vista sociale, perchè la religione è un fatto sociale, non individuale (semmai è la spiritualità ad avere connotazione individuale, ma la religione o è sociale o non è).  Quindi è ovvio (almeno per chi conosce un po' queste cose) domandarsi, dato che l'occidente ha espulso la religione dai suoi orizzonti,  se sia riuscito a sostituirla con un altro principio unificatore in cui i popoli occidentali si riconoscano e riconoscano se stessi fra di loro, e trovino in esso o attraverso di esso il senso della propria vita in modo tale da consentir loro un'esistenza felice e serena in armonia con se stessi, gli altri e il mondo. Di questo si tentava di discutere, e coloro che ritengono che la crisi del Cristianesimo sia coincisa con un periodo di rinascita dell'occidente che ha finalmente sostituito le verità "false" del Cristianesimo con le verità "vere" che sono venute dopo (posto che nessun uomo baserebbe la propria vita sulla menzogna che riconosce come tale) dovrebbe incaricarsi di mostrare, dato che si vuole contestare il concetto di "disgregazione dell'occidente", come e su quali basi queste abbiano "unito" i popoli occidentali (e i singoli cittadini di ogni popolo fra di loro) anzichè dividerli, e di come abbiano integrato anzichè disgregare.
No nessuna sagacia, penso che qualsiasi partecipante \ lettore della discussione l'avesse compreso, ma vedi bene che bastava metterlo per scritto per arrivare al punto. Faccio notare che forse è la prima volta che viene nomitato, si è preferito usare "le culture primitive" o discussioni riguardo la "forma mentis" come improbabili fantocci di rappresentanza piuttosto che scrivere Cristianesimo. A onor del vero inizialmente l'ho persino apprezzato, almeno si è evitato che il topic deragliasse nel "solito scontro", ma a questo punto mi pare che si sia ottenuto il risultato opposto, dove appunto eventi sociali vengono citati a sproposito solo per mettere altro peso sulla bilancia della propria sete di vendetta verso una sconfitta storica, che non ha nulla a che fare con un analisi serena e oggettiva del "declino dell'occidente", di cui non si ci è posti ancora il dubbio se si tratti di declino o meno, perchè questione di secondo piano rispetto alle proprie mire e alla propria voglia di vedere il declino per corrispondere i propri personali bisogni e desideri.

P.s. La cultura scientifica ci ha dato un infinità di entità che ci potrebbero re-ligare, il fatto che non lo accettiamo o non ci "sottomettiamo ad esse" solamente perchè non praticano miracoli di interesse personale, o non hanno proprietà magiche, o non parlano attraverso crisi epilettiche, insomma non sono delle versioni potenziate di noi stessi, non fa altro che confermare la nostra natura scimmiesca.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: donquixote il 13 Febbraio 2017, 11:15:32 AM
Citazione di: InVerno il 13 Febbraio 2017, 09:38:38 AMNo nessuna sagacia, penso che qualsiasi partecipante \ lettore della discussione l'avesse compreso, ma vedi bene che bastava metterlo per scritto per arrivare al punto. Faccio notare che forse è la prima volta che viene nomitato, si è preferito usare "le culture primitive" o discussioni riguardo la "forma mentis" come improbabili fantocci di rappresentanza piuttosto che scrivere Cristianesimo. A onor del vero inizialmente l'ho persino apprezzato, almeno si è evitato che il topic deragliasse nel "solito scontro", ma a questo punto mi pare che si sia ottenuto il risultato opposto, dove appunto eventi sociali vengono citati a sproposito solo per mettere altro peso sulla bilancia della propria sete di vendetta verso una sconfitta storica, che non ha nulla a che fare con un analisi serena e oggettiva del "declino dell'occidente", di cui non si ci è posti ancora il dubbio se si tratti di declino o meno, perchè questione di secondo piano rispetto alle proprie mire e alla propria voglia di vedere il declino per corrispondere i propri personali bisogni e desideri. P.s. La cultura scientifica ci ha dato un infinità di entità che ci potrebbero re-ligare, il fatto che non lo accettiamo o non ci "sottomettiamo ad esse" solamente perchè non praticano miracoli di interesse personale, o non hanno proprietà magiche, o non parlano attraverso crisi epilettiche, insomma non sono delle versioni potenziate di noi stessi, non fa altro che confermare la nostra natura scimmiesca.

Hai clamorosamente mancato il bersaglio, caro il mio uomo. Prima di tutto perchè per quanto concerne il sottoscritto non sono mai stato cristiano (forse lo sarei potuto essere mille anni fa, ma non certo ora), e condivido molte delle critiche al Cristianesimo attuale che sono state mosse da Nietzsche nei suoi scritti (ma non certo quelle di Hitchens, Dawkins, Odifreddi, Mancuso, Kung e altri insipienti del genere) e fosse per me lo abolirei domani a cominciare da questo Pontefice indegno di occupare il posto che occupa, e poi perchè il fatto che il Cristianesimo sia stato senza alcun dubbio un elemento culturale unificante dell'occidente, anzi l'unico, è un fatto di cui, in una discussione sulla sua disgregazione, non si può non tenere conto. E parlare di revanscismo nei confronti di una sconfitta avvenuta ormai sei/sette secoli orsono è quantomeno ridicolo. Se si utilizzano altri concetti e se dunque si fa riferimento agli elementi che unificano le altre culture è solo perchè si parla in generale e si utilizzano concetti più generici, non certo per vergogna di usare il termine "religione" che è comunque quello più adatto. Mostrami cosa non c'è di sereno e di distaccato nelle analisi che ho tentato di fare e vedrò di correggere il tiro, ma siccome al contrario di tanti altri (te compreso, a quanto pare, visto il livore che mostri) non ho pregiudizi (né quello religioso e nemmeno quello scientifico) e nemmeno "personali bisogni e desideri" da soddisfare (e anche fosse non verrei certo a soddisfarli qui sopra) cerco solo esprimere la realtà che vedo, e non quella che voglio vedere.

P.S. Il tuo post scriptum è estremamente significativo e connotante, poichè sulla falsariga di quello che scriverebbero i tifosi di un partito che ha perso le elezioni e accusa gli elettori che hanno votato i loro avversari di essere idioti o corrotti, perchè se fossero stati onesti e intelligenti avrebbero votato tutti dalla loro parte. Tu dici che la cultura scientifica ci ha dato un'infinità di entità che ci potrebbero re-ligare. Bene. E allora perchè non l'hanno fatto? Perchè (tranne me e quelli che la pensano come me) siamo ancora scimmie, è la tua risposta. Appunto.  In un altro messaggio parlavo del senso di realtà: la tua affermazione dimostra che questo modo di ragionare ne prescinde completamente. Se noi siamo ancora scimmie bisogna trovare un modo per re-ligare le scimmie, e non per re-ligare un essere ideale che è solo nella mente, nelle speranze e nelle aspirazioni di qualcuno e che probabilmente non apparirà mai all'onor del mondo. Anche Kant, come dicevo nell'altro messaggio, aveva probabilmente un uomo ideale a cui gridare "sapere aude!", ma se questo non esiste anche il suo grido non ha alcun senso. Tutta la modernità è impregnata di questa idealizzazione, di questa aspirazione alla costruzione di un uomo-macchina identico a qualsiasi altro, prevedibile, controllabile e manipolabile, e tutta l'azione è indirizzata in questo senso. E prescinde dall'uomo che invece esiste, che vive qui e ora, e scimmia o meno è quello con cui bisogna fare i conti. E questa è un'altra dimostrazione di quanto questa cultura moderna sia, fra le altre cose, anche profondamente disumana.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: InVerno il 13 Febbraio 2017, 13:57:01 PM
In tutta onestà io ho parlato di argomento celato ma non volevo sottindere malizia nell'atto in se, ho infatti detto che inizialmente l'ho inteso come un sincero tentativo di elevare la discussione al di la delle solite discussioni di brigata. Ne sono tuttavia rimasto deluso dai risultati. La tua posizione personale è legittima, ma i pregiudizi son di tutti, e il "livore che mostro" è generalizzato a qualsiasi doppia morale e politica dei due forni, è solo "un caso" (dovuto alla residenza geografica degli iscritti e ai loro interessi) che si vada sempre a picchiare sul cristianesimo, ma non ho i poster dei "nuovi atei" in camera e onestamente nemmeno li sopporto tanto (come vedi i pregiudizi son di tutti).
Kant diceva "la scienza è la conoscenza organizzata, la sapienza è la vita organizzata" , non c'è nulla che renda la religione più facilmente assimilabile al nostro "scimmiesco" rispetto alla scienza, se non come essa è organizzata. Non vorrei essere costretto a usare questa prospettiva dell' "efficienza" ma visto che insisti ...Solo recentemente (paragonato alla religione, una frazione millesimale) la cultura scientifica ha abbandonato i comparti stagni di inizio novecento e ha cominciato a mostrare l'uomo in tutta la sua interdipendenza, tanto che sono ancora viventi almeno due generazioni che vedono alla scienza come all'evidenza del filo d'erba "e stop". E solo lo sviluppo di questa visione complessiva ha cominciato a solleticare i bassi istinti umani (tra i quali anche la semplice sopravvivenza) dove prima invece sembrava puro diletto accademico. Solo recentemente abbiamo avuto "divulgatori scientifici" che colmassero il gap culturale e rendessero fruibile la conoscenza, e mai abbiamo avuto evidenze che quel "diletto accademico" avesse a che fare con noi, e che sostituissero i miracoli nell'avvicinarci a quelle realtà immense.. Stiamo paragonando una cultura in fascie con una cultura a tre gambe e talare da almeno 6 millenni.. Quale sorpresa? Credere a qualsiasi costo, qualsiasi sia l'oggetto, pur di domare i nostri istinti, non è il mio motto "realistico". E voglio credere che non sia il motto dei miei compagni di viaggio, voglio vederli più romantici di cosi, disposti anche all'atto estremo della morte pur di rispettare il proprio intelletto. Altrimenti che senso avrebbe avuto vivere tutto questo? Se bisogna morire da scimmie, tanto vale che l'uomo non sia mai esistito.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: donquixote il 13 Febbraio 2017, 17:24:51 PM
Se noi siamo ancora scimmie allora è semplicemente un fatto che l'uomo non è mai esistito, se non nella mente di qualche scimmia, così come nella mente degli autori di fantascienza e di fumetti esistono ogni sorta di alieni o di uomini con poteri straordinari come Superman o l'Uomo Ragno. Comunque quello che posso arguire da quel che scrivi è che a parte la citazione di Kant che condivido solo parzialmente o che comunque andrebbe meglio precisata e discussa è che la scienza sta compiendo dei passi verso l' "unificazione" della conoscenza riconoscendo l'interdipendenza degli enti (che paradigmaticamente ha affermato con la famosa storiella del battito d'ali della farfalla in Amazzonia). Ma queste sono cose che una qualsiasi persona che si guardi attorno senza pregiudizi può vedere, e millenni orsono le persone lo sapevano vedere perfettamente. Quindi abbiamo perso secoli (e altri a quanto pare ne perderemo) per arrivare ad avere una scienza che al termine del proprio viaggio non potrà fare altro che confermare (solo con un altro linguaggio) quel che gli uomini sapevano già migliaia di anni fa. Forse però non riuscirà a compiere il "salto ontologico" che le permetterà di giustificare il divenire connettendolo con l'essere (poichè questo non è sottoponibile a sperimentazione) e si fermerà magari ad Eraclito. Nel frattempo le "piccole verità" scientifiche consentiranno all'uomo, attraverso la tecnica, di distruggere quello che rimane da distruggere (comunità comprese) e se questo è il prezzo da pagare per arrivare ad una conoscenza che già abbiamo mi sembra un tantino eccessivo. Senza contare che, come accade già oggi, il 99% degli uomini, da brave "scimmie", crede (e crederà) in quel che raccontano gli scienziati così come un tempo "credeva" in quel che gli raccontavano i religiosi. Quanti sono quelli che veramente "sanno" e non hanno alcun bisogno di credere? In ogni caso e per tornare all'argomento in discussione non posso che sottolineare che il tuo messaggio conferma una volta di più che siamo ancora nella fase "destruens" della "nuova conoscenza", e dunque in ossequio al significato questo fatto non può che provocare disgregazione.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Phil il 13 Febbraio 2017, 18:19:30 PM
Siamo in una tappa rapida, ripida, ruvida e radicale di un cambiamento perenne che in fondo non s'è mai arrestato (chiamato "storia umana"); ma se la "distruzione" fosse invece strutturazione (del "nuovo") e la "disgregazione" risultasse integrazione (di ciò che prima era estraneo)?
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Eretiko il 13 Febbraio 2017, 19:26:18 PM
Citazione di: donquixote il 13 Febbraio 2017, 17:24:51 PM
[...] la scienza sta compiendo dei passi verso l' "unificazione" della conoscenza riconoscendo l'interdipendenza degli enti (che paradigmaticamente ha affermato con la famosa storiella del battito d'ali della farfalla in Amazzonia). Ma queste sono cose che una qualsiasi persona che si guardi attorno senza pregiudizi può vedere, e millenni orsono le persone lo sapevano vedere perfettamente.

Vero, infatti la scienza moderna si basa su semplici e intuitivi concetti che i presocratici avevano individuato: mondo composto da enti reali, separati nello spazio e nel tempo, e che interagiscono tra loro quando sono sufficientemente vicini (ma la storiella della farfalla è relativa ad un'altra questione sulla qual è inutile soffermarsi qui). Nessuno nega che già in quell'epoca esistesse la scienza, così come credo che tu non puoi negare che nel frattempo la conoscenza è progredita notevolmente. O ritieni che dai tempi dei paradossi di Zenone la scienza ha solo perso tempo e in fondo è da millenni che noi abbiamo le stesse conoscenze che abbiamo oggi?
Tu dici che la tecnica sta distruggendo la società, ma io sinceramente non capisco da dove deriva questa tua certezza (in relazione alla tecnica e quindi indirettamente alla scienza), a parte il fatto che la disprezzi.
Poi io farei attenzione all'uso della parola "credere": la scienza non è un atto di fede, le sue piccole verità possono essere verificate da chiunque abbia gli strumenti per poterlo fare, e se permetti è ben diverso dal "credere" ai roveti che parlano alle persone.   
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: InVerno il 13 Febbraio 2017, 20:31:44 PM
Citazione di: donquixote il 13 Febbraio 2017, 17:24:51 PMMa queste sono cose che una qualsiasi persona che si guardi attorno senza pregiudizi può vedere, e millenni orsono le persone lo sapevano vedere perfettamente.
Perfettamente? A me pareva di aver già smentito questa "perfezione" quando citasti il mito di Caino e Abele e l'evidente castroneria insita nel mito stesso, potrei anche citare un bel po di culture che avendo preferito lo smodato consumo di carne all'agricoltura (attraverso altri miti certamente) hanno cagionato la loro stessa fine, e potremmo anche parlare di decine di altri miti contenti castronerie anche più grandi (tra le tante, tutti i miti che vedono alla nalità come un fattore positivo assoluto). Questa "perfezione" è più mitologica dei miti stessi che la giustificano, e se è vero come è vero che alcuni problemi sono emergenziali e correlati allo sviluppo della tecnica, è anche vero che alcuni sarebbero completamente insolvibili senza di essa, ed è anche vero che siamo sopravvissuti agli errori del passato solo perchè la scala su cui potevano essere effettuati era minuta rispetto ad oggi.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Duc in altum! il 13 Febbraio 2017, 20:54:41 PM
**  scritto da Eretiko:
CitazionePoi io farei attenzione all'uso della parola "credere": la scienza non è un atto di fede, le sue piccole verità possono essere verificate da chiunque abbia gli strumenti per poterlo fare, e se permetti è ben diverso dal "credere" ai roveti che parlano alle persone.
Infatti, la scienza non crea la verità ma la scopre; pertanto, prima di essere scoperta, essa esiste in sé (cit. Agostino d'Ippona), dunque la scienza può solo dirci il come, ma, per adesso, mai il perché delle cose, quindi è più che logico che non può sostituire, per adesso, il roveto ardente individuale che ognuno s'inventa, inevitabilmente, per colmare quel perché che quotidianamente tarla la scienza umana.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: donquixote il 13 Febbraio 2017, 21:23:48 PM
Citazione di: InVerno il 13 Febbraio 2017, 20:31:44 PMPerfettamente? A me pareva di aver già smentito questa "perfezione" quando citasti il mito di Caino e Abele e l'evidente castroneria insita nel mito stesso, potrei anche citare un bel po di culture che avendo preferito lo smodato consumo di carne all'agricoltura (attraverso altri miti certamente) hanno cagionato la loro stessa fine, e potremmo anche parlare di decine di altri miti contenti castronerie anche più grandi (tra le tante, tutti i miti che vedono alla nalità come un fattore positivo assoluto). Questa "perfezione" è più mitologica dei miti stessi che la giustificano, e se è vero come è vero che alcuni problemi sono emergenziali e correlati allo sviluppo della tecnica, è anche vero che alcuni sarebbero completamente insolvibili senza di essa, ed è anche vero che siamo sopravvissuti agli errori del passato solo perchè la scala su cui potevano essere effettuati era minuta rispetto ad oggi.

Per "carità di patria" non avevo replicato alla questione di Caino e Abele e dei sacrifici, e dato che tu affermasti

Citazione di: InVerno
Riguardo all'agricoltura, in realtà il mito genesiaco ha poco senso(una cantonata deduttiva), l'allevamento è una forma ancora più intensiva di agricoltura dove le proteine fanno il "giro lungo" per arrivare "raffinate" sotto forma di carne. Ad oggi infatti il problema ecologico principale legato allo sfruttamento del suolo, è l'allevamento. Anche supponendo che la demografia non costringa all'allevamento intensivo, avere dei pascoli significa deforestazione massiva ed eradicazione della fauna concorrente\predatrice per estensioni anche dieci volte superiori (l'anatolia e la siria, ma anche la sardegna, non erano semidesertiche una volta). Ma suppongo il mito abbia più a che fare con l'archetipo del sacrificio animale che con l'ecologismo.

mi sembrava offensivo per l'intelligenza dei lettori puntualizzare l'ovvio, che consiste nel comprendere che quando fu redatta la Bibbia (o comunque tramandati oralmente i racconti che la compongono) l'agricoltura non era utilizzata per produrre mangime per animali, quindi gli animali da allevamento (e in quei luoghi principalmente e quasi esclusivamente le pecore) si cibavano dell'erba spontanea che cresceva nei campi, che fra l'altro erano molto più numerosi e rigogliosi rispetto ad oggi (non per niente quei luoghi erano noti come "mezzaluna fertile"). Quindi il mito (e il rifiuto delle offerte di Caino) stigmatizza la modifica dello stato della terra forzandone la naturale spontaneità nel produrre i propri frutti per piegarla a fini esclusivamente umani, mentre al contempo permette l'allevamento che non incide per nulla su tale spontaneità (e tra le altre cose anche gli indiani d'America non praticavano l'agricoltura ma certamente una forma ridotta di allevamento di pecore e capre). Non vedo quindi alcuna cantonata o castroneria, mentre sono sicuramente castronerie i paragoni fra l'allevamento di migliaia di anni fa e quello di oggi, anche perchè ai tempi la dieta umana era estremamente più varia di quella di oggi e fra l'altro la caccia, la pesca e la raccolta di frutti o vegetali selvatici erano comunque sempre praticate e non era affatto necessario avere migliaia di capi di bestiame dato che degli animali si utilizzava tutto e non, come oggi, solo la "fettina" mentre il resto viene eliminato.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: paul11 il 13 Febbraio 2017, 22:20:46 PM
Citazione di: Eretiko il 13 Febbraio 2017, 00:44:04 AM
Citazione di: paul11 il 12 Febbraio 2017, 16:01:17 PM
Accetto la provocazione Eretiko e anche  di Phil.

Ma daccapo, cosa dovrebbe spingere l'uomo a credere in se stesso se questa cultura gli ha detto che è limitato e un derivato evolutivo di n'animale, Dove costruire la propria fiducia?

Ti assicuro che la "provocazione" era volta semplicemente a discutere su una possibile inversione della chiave di lettura, anche se implicitamente io ho gia' dato la mia risposta.
Non e' corretto dire che "questa cultura gli ha detto (all'uomo, nota mia) che e' limitato": in qualche modo lo avevano gia' detto i greci antichi, lo ha dimostrato Kant riguardo al pensiero (in modo farraginoso, sicuramente, ma lo ha dimostrato), lo ha dimostrato Goedel (matematicamente) riguardo a un qualsiasi sistema formale (come la matematica, o il linguaggio). E il limite, attenzione, riguarda il fatto che il pensiero diventa inconsistente quando parla di concetti al limite (come quelli trascendenti). Ma tu non devi prendere per buone le mie parole:  e' sufficiente leggere "critica della ragion pura" (Kant) o le dimostrazioni di Goedel (nominato, chissa' perche', "uomo del secolo"). Poi se queste dimostrazioni non ti convincono, o non ti piacciono, o pensi che non e' cosi' perche' vuoi avere altri punti fermi, allora il problema diventa tuo e non della cultura che ha prodotto questi risultati.
L'occidente per almeno 1.000 anni ha oltrepassato questo limite spesso e volentieri, speculando su questioni trascendentali talvolta interessanti talvolta semplicemente ridicole e prive di buon senso, con il risultato di mettere al centro di tutto solo e soltanto la religione e giustificando e spiegando tutto sempre e soltanto alla luce delle scritture e della letteratura patristica. Quando si e' iniziato a "scoprire qualche piccolo lembo del grande velo" (come diceva Einstein) sono iniziati i problemi, per un motivo semplicissimo: un conto parlare di questioni trascendentali, un conto parlare di leggi di natura, e lo scontro ragione/fede e' stato inevitabile, raggiungendo il suo apice, come era lecito attendersi, sull'evoluzione.
Quale problema ci pone il fatto che noi siamo parte della natura? Mi sembra un concetto meraviglioso. E ancor di piu' sembra meraviglioso sapere che nell'universo esiste una razionalita', un "logos", e che questo logos si sia realmente incarnato nell'uomo.
Ecco perche' io dico che e' necessario decostruire, togliere le (inutili e dannose) incrostazioni prodotte in 10 secoli, iniziare a comprendere la cultura scientifica (che non e' il diavolo), evitare di fare insensati discorsi sull' "Essere" (dato che qualcuno ha dimostrato che e' insensato parlare di cio'), accettare che i principi e i valori stanno proprio in noi stessi, e non ci provengono da qualche entita' trascendente (e questo non e' individualismo).
Eretiko,
grazie della risposta e scusa se non ti rispondo punto per punto.
La discussione si è arenata sui pregiudizi.
A me interessava arrivare alla coscienza dopo aver argomentato sulle forme conoscitive deduttive e induttive,in simbiosi con le forme sociali,
La coscienza prima di essere laica o religiosa è umana.
Mii interessava arrivare a  come la coscienza umana attraverso le forme conoscitive può evolvere o involvere, come le forme linguistiche,esplicazioni delle forme conoscitive riformulano la coscienza individuale-sociale- culturale.
L'ambiente, vale a dire una tribù sociale o il globalismo, per estremizzare il concetto non doveva essere il rapporto fra anti-religione o anti scienza: una contrapposizione.Questi sono sue domini che appartengono alla coscienza come luogo dell'esperienza conoscitiva. La vita, l'esistenza trova segni linguistici e significazioni che o rinchiudono in sè la coscienza individuale o la aprono alla comunità sociale,proprio come forme conoscitive di esperienze.
Diversamente perchè si immolarono per le lotte d'indipendenza risorgimentali, perchè i partigani nella Resistenza, perchè nelle lotte dei diritti sociali? Allora la religione diventa religiosità, fino all'ideale, al concetto che può anche essere laicissimo in cui la libertà .la dignità è così sentita nella coscienza da immolare il proprio corpo fisico ,materia,e il proprio istinto di sopravvivenza.
Quindi era anche capire se ritenessimo questa fase storica disgregante , la cultura si contraddice nel sociale e l'uomo si chiude nell'individualismo, oppure aggregante, l'individuo percepisce elementi comuni sociali che trascendono l'individuo, la parte trova senso dentro la comunità poichè la cultura proietta un concetto fortemente identitario.
Permettimi solo una ennesima puntualizzazione sul termine trascendere.
Quando si utilizza un simbolo, ad esempio nella logica booleana, ma direi anche nella semplice parola che esprime unita ad altre sintatticamente e semanticamente un concetto, trascende il dominio naturale poichè lo trasporta dal dominio naturale a quello mentale/coscienza, per descrivere a sua volta o lo stesso dominio naturale o un'altro dominio.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: InVerno il 14 Febbraio 2017, 00:30:44 AM
Citazione di: donquixote il 13 Febbraio 2017, 21:23:48 PM
Citazione di: InVerno il 13 Febbraio 2017, 20:31:44 PMPerfettamente? A me pareva di aver già smentito questa "perfezione" quando citasti il mito di Caino e Abele e l'evidente castroneria insita nel mito stesso, potrei anche citare un bel po di culture che avendo preferito lo smodato consumo di carne all'agricoltura (attraverso altri miti certamente) hanno cagionato la loro stessa fine, e potremmo anche parlare di decine di altri miti contenti castronerie anche più grandi (tra le tante, tutti i miti che vedono alla nalità come un fattore positivo assoluto). Questa "perfezione" è più mitologica dei miti stessi che la giustificano, e se è vero come è vero che alcuni problemi sono emergenziali e correlati allo sviluppo della tecnica, è anche vero che alcuni sarebbero completamente insolvibili senza di essa, ed è anche vero che siamo sopravvissuti agli errori del passato solo perchè la scala su cui potevano essere effettuati era minuta rispetto ad oggi.

Per "carità di patria" non avevo replicato alla questione di Caino e Abele e dei sacrifici, e dato che tu affermasti

Citazione di: InVerno
Riguardo all'agricoltura, in realtà il mito genesiaco ha poco senso(una cantonata deduttiva), l'allevamento è una forma ancora più intensiva di agricoltura dove le proteine fanno il "giro lungo" per arrivare "raffinate" sotto forma di carne. Ad oggi infatti il problema ecologico principale legato allo sfruttamento del suolo, è l'allevamento. Anche supponendo che la demografia non costringa all'allevamento intensivo, avere dei pascoli significa deforestazione massiva ed eradicazione della fauna concorrente\predatrice per estensioni anche dieci volte superiori (l'anatolia e la siria, ma anche la sardegna, non erano semidesertiche una volta). Ma suppongo il mito abbia più a che fare con l'archetipo del sacrificio animale che con l'ecologismo.

mi sembrava offensivo per l'intelligenza dei lettori puntualizzare l'ovvio, che consiste nel comprendere che quando fu redatta la Bibbia (o comunque tramandati oralmente i racconti che la compongono) l'agricoltura non era utilizzata per produrre mangime per animali, quindi gli animali da allevamento (e in quei luoghi principalmente e quasi esclusivamente le pecore) si cibavano dell'erba spontanea che cresceva nei campi, che fra l'altro erano molto più numerosi e rigogliosi rispetto ad oggi (non per niente quei luoghi erano noti come "mezzaluna fertile"). Quindi il mito (e il rifiuto delle offerte di Caino) stigmatizza la modifica dello stato della terra forzandone la naturale spontaneità nel produrre i propri frutti per piegarla a fini esclusivamente umani, mentre al contempo permette l'allevamento che non incide per nulla su tale spontaneità (e tra le altre cose anche gli indiani d'America non praticavano l'agricoltura ma certamente una forma ridotta di allevamento di pecore e capre). Non vedo quindi alcuna cantonata o castroneria, mentre sono sicuramente castronerie i paragoni fra l'allevamento di migliaia di anni fa e quello di oggi, anche perchè ai tempi la dieta umana era estremamente più varia di quella di oggi e fra l'altro la caccia, la pesca e la raccolta di frutti o vegetali selvatici erano comunque sempre praticate e non era affatto necessario avere migliaia di capi di bestiame dato che degli animali si utilizzava tutto e non, come oggi, solo la "fettina" mentre il resto viene eliminato.
Hai citato ma non hai letto ciò che ho scritto, lo stato brado dell'allevamento allevia solamente parzialmente la questione (anzi, sotto certi punti di vista la peggiora) dell'antropomorfizzazione del territorio, che è comunque grandemente superiore rispetto all'agricoltura. Non mi dilungo a spiegarti il perchè offtopic, ma ti dico un altra cosa. Ho vissuto per un mese in tenda in Mongolia,una delle pochissime popolazioni al mondo che non ha mai vangato un solo centimetro di terra e ha sempre vissuto di pastorizia. Negli ultimi dieci anni sono "stati costretti" all'agricoltura e rappresentano uno dei pochissimi esempi presenti di questo tipo di conversione e di sussistenza di entrambi i sistemi contemporaneamente di cui uno in fase emergente. Sai chi ha scelto Dio? Il più ricco, di gran lunga. Che fosse il punto pivotale della scelta è interpretativo, come tutto il resto, ognuno ci vede ciò che gli pare, è questo il problema. E con questo concludo, aspettando che si torni (o si arrivi) a parlare di occidente nella sua interezza..
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Eretiko il 14 Febbraio 2017, 11:05:57 AM
Citazione di: Duc in altum! il 13 Febbraio 2017, 20:54:41 PM
Infatti, la scienza non crea la verità ma la scopre; pertanto, prima di essere scoperta, essa esiste in sé (cit. Agostino d'Ippona), dunque la scienza può solo dirci il come, ma, per adesso, mai il perché delle cose, quindi è più che logico che non può sostituire, per adesso, il roveto ardente individuale che ognuno s'inventa, inevitabilmente, per colmare quel perché che quotidianamente tarla la scienza umana.

Giusto, il "perché delle cose" esula dal dominio di indagine della scienza, ma il non conoscere il "perché" non tarla la scienza in sé stessa ma l'animo individuale dell'uomo, e visto che da millenni cerchiamo i "perché" senza trovarli forse dovremmo arrivare alla conclusione che essi non esistono, e che forse continuare a chiedersi "perché" come fanno i bambini è privo di senso.
Fermo restando che ognuno, individualmente, può continuare a farsi quella domanda, e può trovare la risposta che più lo soddisfa, sia anche in roveti ardenti o voci interne, ma con la consapevolezza che non possono essere risposte universali proprio perché individuali e non riproducibili da chiunque e in ogni luogo. E aggiungo che la pretesa di estendere universalmente tali risposte individuali, se pur in un primo momento ha agito da collante e da elemento identitario, alla lunga ha mostrato il suo limite intrinseco, ed ecco perché quello che a ad alcuni oggi appare come una "disgregazione" a me sembra una "decostruzione" in una società che sta appunto cercando di trovare nuovi punti fermi, uno dei quali potrebbe appunto essere la "cultura scientifica" in quanto, almeno quella, può chiamarsi "cattolica".
Ma a parte questa considerazione, del tutto personale, trovo assurdo addossare allo sviluppo del pensiero occidentale degli ultimi secoli (o non-pensiero, come qualcuno sembra suggerire) la responsabilità di questa presunta disgregazione, come se fosse possibile ingabbiare il pensiero in una stretta morsa solo perché "funziona" (o ha funzionato per un periodo), o solo perché risponde a visioni del mondo individuali che si ritiene di poter estendere a tutti gli individui.
     
 
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: cvc il 14 Febbraio 2017, 11:11:24 AM
Credo che in questa discussione possa trovare spazio una riflessione sul "Tramonto dell'occidente" di Oswald Spengler su cui avevo – senza successo – aperto il topic "dalla retorica al giornalismo".
Cito wikipedia « Nell'antichità si aveva la retorica, nell'Occidentesi ha il giornalismoe, invero, al servigio di quella cosa astratta che rappresenta la potenza della civilizzazione, il danaro. »
Spengler fa un'analisi sociologica, in particolare della cività antica e di quella occidentale contemporanea, dove definisce la prima apollinea e concentrata sul hic et nunc, e l'altra dionisiaca sempre tesa al futuro. Questa tensione al futuro è qualcosa che caratterizza fortemente il mondo attuale sclerotizzato, dominato dalla finanza – che è una proiezione futura del presente – e dalla tecnologia – che vede il presente come un'attualizzazione dell'innovazione progressiva .
Qui c'è poi a mio avviso un grosso equivoco che deriva da un'errata interpretazione del carpe diem, che originariamente non significa affatto il "cogli l'attimo fuggente" cui spesso si allude, bensì – come suggeriscono Orazio e Lorenzo de' Medici – che bisogna concentrarsi sul presente perchè è l'unica cosa che è in nostro possesso. Tempo fa lessi un libro di un economista che aveva programmato tutta la sua vita per vivere senza lavorare, e poi, quando ci è riuscito, gli è occorso un brutto male che l'ha tolto anzitempo della vita.
Dunque, questa nostra concentrazione tesa al futuro sfuggente potrebbe essere la nostra vera maledizione, dove le stime future sul pil e quelle dei rating, basate sul futuro incerto, si riflettono in catastrofi certe nel presente. Così quando il futuro incerto partorisce disgrazie inattese (vedi terremoti e slavine) non abbiamo i mezzi per fronteggiarle. Perchè questa morboso e paranoica tensione al futuro si riflette sul presente in tagli delle risorse che impediscono di far fronte alle catastrofi imminenti,.

Occorre recuperare il senso del presente, anche per essere più preveggenti.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Duc in altum! il 14 Febbraio 2017, 11:39:56 AM
**  scritto da CVC:
CitazioneDunque, questa nostra concentrazione tesa al futuro sfuggente potrebbe essere la nostra vera maledizione, dove le stime future sul pil e quelle dei rating, basate sul futuro incerto, si riflettono in catastrofi certe nel presente. Così quando il futuro incerto partorisce disgrazie inattese (vedi terremoti e slavine) non abbiamo i mezzi per fronteggiarle. Perchè questa morboso e paranoica tensione al futuro si riflette sul presente in tagli delle risorse che impediscono di far fronte alle catastrofi imminenti,.

Occorre recuperare il senso del presente, anche per essere più preveggenti.
Ma il senso del presente esiste: mors tua, vita mea ...o sarà che lo noto solo io?
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: cvc il 14 Febbraio 2017, 11:52:47 AM
Citazione di: Duc in altum! il 14 Febbraio 2017, 11:39:56 AM
**  scritto da CVC:
CitazioneDunque, questa nostra concentrazione tesa al futuro sfuggente potrebbe essere la nostra vera maledizione, dove le stime future sul pil e quelle dei rating, basate sul futuro incerto, si riflettono in catastrofi certe nel presente. Così quando il futuro incerto partorisce disgrazie inattese (vedi terremoti e slavine) non abbiamo i mezzi per fronteggiarle. Perchè questa morboso e paranoica tensione al futuro si riflette sul presente in tagli delle risorse che impediscono di far fronte alle catastrofi imminenti,.

Occorre recuperare il senso del presente, anche per essere più preveggenti.
Ma il senso del presente esiste: mors tua, vita mea ...o sarà che lo noto solo io?
Non so da quali premesse giungi a questa conclusione, ma il senso del presente cui alludo è quello di vivere serenamente il tempo che ci è dato liberi dalle preoccupazioni angoscianti del futuro o perlomeno, se non si possono evitare tutte, congedandoci almeno da quelle non strettamente necessarie e - se e quando possibile - nella misura in cui  non siano eccessivamente invasive sull'oggi.
Qui ci sarebbe il tema della precarietà dell'esistenza che è, a mio avviso, una sorta di equilibrio. Nel senso che se si avverte troppa precarietà si vive nell'ansia, ma se si pretende di annullarla completamente ci si allontana dalla realtà che ha sempre un qualche grado di incertezza. Questione di equilibrio che, in un'ottica sbilanciata sul futuro, manca perchè manca la cura spirituale, perchè se usciamo dal presente usciamo dalla spiritualità che esiste in funzione del presente.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: acquario69 il 14 Febbraio 2017, 11:53:48 AM
Citazione di: cvc il 14 Febbraio 2017, 11:11:24 AM
Credo che in questa discussione possa trovare spazio una riflessione sul "Tramonto dell'occidente" di Oswald Spengler su cui avevo – senza successo – aperto il topic "dalla retorica al giornalismo".
Cito wikipedia « Nell'antichità si aveva la retorica, nell'Occidentesi ha il giornalismoe, invero, al servigio di quella cosa astratta che rappresenta la potenza della civilizzazione, il danaro. »
Spengler fa un'analisi sociologica, in particolare della cività antica e di quella occidentale contemporanea, dove definisce la prima apollinea e concentrata sul hic et nunc, e l'altra dionisiaca sempre tesa al futuro. Questa tensione al futuro è qualcosa che caratterizza fortemente il mondo attuale sclerotizzato, dominato dalla finanza – che è una proiezione futura del presente – e dalla tecnologia – che vede il presente come un'attualizzazione dell'innovazione progressiva .
Qui c'è poi a mio avviso un grosso equivoco che deriva da un'errata interpretazione del carpe diem, che originariamente non significa affatto il "cogli l'attimo fuggente" cui spesso si allude, bensì – come suggeriscono Orazio e Lorenzo de' Medici – che bisogna concentrarsi sul presente perchè è l'unica cosa che è in nostro possesso. Tempo fa lessi un libro di un economista che aveva programmato tutta la sua vita per vivere senza lavorare, e poi, quando ci è riuscito, gli è occorso un brutto male che l'ha tolto anzitempo della vita.
Dunque, questa nostra concentrazione tesa al futuro sfuggente potrebbe essere la nostra vera maledizione, dove le stime future sul pil e quelle dei rating, basate sul futuro incerto, si riflettono in catastrofi certe nel presente. Così quando il futuro incerto partorisce disgrazie inattese (vedi terremoti e slavine) non abbiamo i mezzi per fronteggiarle. Perchè questa morboso e paranoica tensione al futuro si riflette sul presente in tagli delle risorse che impediscono di far fronte alle catastrofi imminenti,.

Occorre recuperare il senso del presente, anche per essere più preveggenti.


E' la concezione (erronea) del tempo lineare che si proietta come una freccia dal passato al futuro, ma in Natura le cose non stanno affatto cosi e questo significa un vero e proprio sfasamento o vera e propria separazione dalla Realtà con tutte le conseguenze che hai descritto tu.

Sul carpe diem io penso che riguarderebbe anche qualcos'altro di più profondo....ossia il presente che non fa riferimento solo al tempo stesso ma a quell' "istante" che non si situa nel tempo e che e'  "eternamente presente"


Citazione
Tempo fa lessi un libro di un economista che aveva programmato tutta la sua vita per vivere senza lavorare, e poi, quando ci è riuscito, gli è occorso un brutto male che l'ha tolto anzitempo della vita.


Ce' una storiella molto significativa...a me la raccontarono quando ero molto giovane e non credo sia stato per caso visto che facevo un lavoro che non mi lasciava mai tempo!...

sul molo di un piccolo villaggio,un turista si ferma e si avvicina ad una piccola imbarcazione di un pescatore del posto. Si complimenta con il pescatore per la qualità del pesce e gli chiede quanto tempo avesse impiegato per pescarlo.
Pescatore: 'Non ho impiegato molto tempo'
Turista: 'Ma allora, perché non è stato di più, per pescare di più?'
Il Pescatore gli spiega che quella esigua quantità era esattamente ciò di cui aveva bisogno per soddisfare le esigenze della sua famiglia.
Turista: 'Ma come impiega il resto del suo tempo?'
Pescatore: 'Dormo fino a tardi, pesco un po, gioco con i miei bimbi e faccio la siesta con mia moglie. La sera vado al villaggio, ritrovo gli amici, beviamo insieme qualcosa, suono la chitarra, canto qualche canzone, e via così, trascorro appieno la vita.'
Turista: 'La interrompo subito, sa sono laureato ad Harvard, e posso darle utili suggerimenti su come migliorare. Prima di tutto lei dovrebbe pescare più a lungo, ogni giorno di più. Così logicamente pescherebbe di più. Il pesce in più lo potrebbe vendere e comprarsi una barca più grossa. Barca più grossa significa più pesce, più pesce significa più soldi, più soldi più barche! Potrà permettersi un'intera flotta!!
Quindi invece di vendere il pesce all'uomo medio, potrà negoziare direttamente con le industrie della lavorazione del pesce, potrà a suo tempo aprirsene una sua. In seguito potrà lasciare il villaggio e trasferirsi a Mexico City o a Los Angeles o magari addirittura a New York!! Da lì potrà dirigere un'enorme impresa!...
Pescatore: 'ma per raggiungere questi obiettivi quanto tempo mi ci vorrebbe?'
Turista: '25 anni forse' Pescatore: '....e dopo?' Turista: 'Ah dopo, e qui viene il bello, quando i suoi affari avranno raggiunto volumi grandiosi, potrà vendere le azioni e guadagnare miliardi!!!!!!!
Pescatore:'...miliardi?.......e poi?'

Turista: 'Eppoi finalmente potrà ritirarsi dagli affari, e concedersi di vivere gli ultimi 5/10 anni in un piccolo villaggio vicino alla costa, dormire fino a tardi, giocare con i suoi bimbi, pescare un po' di pesce, fare la siesta, passare le serate con gli amici bevendo e giocando in allegria!'
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Eretiko il 14 Febbraio 2017, 11:55:02 AM
Paul11,
non credo di avere pre-giudizi, e quello che io ho detto non è in funzione di una insensata battaglia scienza/fede ma semplicemente nel riconoscere limiti ed ambiti di entrambe, almeno in linea di principio. Io continuo a sostenere che la fede è un fatto privato, e anche dove ha funzionato come elemento culturale identificativo della comunità (una volta istituzionalizzato in religione), non necessariamente promuove la fede stessa a concetto universale.
Credo che anche tu sarai d'accordo sul fatto che a vedere la scienza come un nemico sia stato soprattutto, in occidente, il cattolicesimo ed in misura molto minore il protestantesimo (e sarebbe interessante analizzare i motivi), e credo che anche tu sarai d'accordo nel constatare che non c'è stato conflitto tra scienza e religioni orientali (per quel che io conosco).
Riconoscendo ambiti e scopi diversi a scienza e fede, io non vedo alcuna contrapposizione, ma solo scelte individuali. Ovviamente trovo assurdo ed erroneo che la scienza si occupi di questione di fede, così come trovo assurdo ed erroneo che la fede si possa occupare di questioni di scienza, se non altro perché la prima si occupa di ciò che è osservabile e sperimentabile da tutti, mentre la seconda si occupa di ciò che è sperimentabile solo a livello individuale.
Il passaggio travagliato dell'occidente è quindi quello di passare da una fede istituzionalizzata ad una più individualista, passaggio molto più difficile e traumatico nei paesi cattolici che non nei paesi a maggioranza protestante.
Se poi spostiamo i riflettori sulle problematiche relative al capitalismo, al lavoro, alla sempre crescente importanza della finanza, alle problematiche legate alla tecnologia che va a doppia velocità, al problema dell'alienazione dell'individuo, allo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, alla natura e al suo rispetto, ai conflitti, allo sfruttamento delle risorse del pianeta, al consumismo, allora il problema non è più solo occidentale e non possiamo limitarci a una riflessione che riguarda esclusivamente il pensiero occidentale.
       
   
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: cvc il 14 Febbraio 2017, 12:02:58 PM
Citazione di: acquario69 il 14 Febbraio 2017, 11:53:48 AM
Citazione di: cvc il 14 Febbraio 2017, 11:11:24 AM
Credo che in questa discussione possa trovare spazio una riflessione sul "Tramonto dell'occidente" di Oswald Spengler su cui avevo – senza successo – aperto il topic "dalla retorica al giornalismo".
Cito wikipedia « Nell'antichità si aveva la retorica, nell'Occidentesi ha il giornalismoe, invero, al servigio di quella cosa astratta che rappresenta la potenza della civilizzazione, il danaro. »
Spengler fa un'analisi sociologica, in particolare della cività antica e di quella occidentale contemporanea, dove definisce la prima apollinea e concentrata sul hic et nunc, e l'altra dionisiaca sempre tesa al futuro. Questa tensione al futuro è qualcosa che caratterizza fortemente il mondo attuale sclerotizzato, dominato dalla finanza – che è una proiezione futura del presente – e dalla tecnologia – che vede il presente come un'attualizzazione dell'innovazione progressiva .
Qui c'è poi a mio avviso un grosso equivoco che deriva da un'errata interpretazione del carpe diem, che originariamente non significa affatto il "cogli l'attimo fuggente" cui spesso si allude, bensì – come suggeriscono Orazio e Lorenzo de' Medici – che bisogna concentrarsi sul presente perchè è l'unica cosa che è in nostro possesso. Tempo fa lessi un libro di un economista che aveva programmato tutta la sua vita per vivere senza lavorare, e poi, quando ci è riuscito, gli è occorso un brutto male che l'ha tolto anzitempo della vita.
Dunque, questa nostra concentrazione tesa al futuro sfuggente potrebbe essere la nostra vera maledizione, dove le stime future sul pil e quelle dei rating, basate sul futuro incerto, si riflettono in catastrofi certe nel presente. Così quando il futuro incerto partorisce disgrazie inattese (vedi terremoti e slavine) non abbiamo i mezzi per fronteggiarle. Perchè questa morboso e paranoica tensione al futuro si riflette sul presente in tagli delle risorse che impediscono di far fronte alle catastrofi imminenti,.

Occorre recuperare il senso del presente, anche per essere più preveggenti.


E' la concezione (erronea) del tempo lineare che si proietta come una freccia dal passato al futuro, ma in Natura le cose non stanno affatto cosi e questo significa un vero e proprio sfasamento o vera e propria separazione dalla Realtà con tutte le conseguenze che hai descritto tu.

Sul carpe diem io penso che riguarderebbe anche qualcos'altro di più profondo....ossia il presente che non fa riferimento solo al tempo stesso ma a quell' "istante" che non si situa nel tempo e che e'  "eternamente presente"


Citazione
Tempo fa lessi un libro di un economista che aveva programmato tutta la sua vita per vivere senza lavorare, e poi, quando ci è riuscito, gli è occorso un brutto male che l'ha tolto anzitempo della vita.


Ce' una storiella molto significativa...a me la raccontarono quando ero molto giovane e non credo sia stato per caso visto che facevo un lavoro che non mi lasciava mai tempo!...

sul molo di un piccolo villaggio,un turista si ferma e si avvicina ad una piccola imbarcazione di un pescatore del posto. Si complimenta con il pescatore per la qualità del pesce e gli chiede quanto tempo avesse impiegato per pescarlo.
Pescatore: 'Non ho impiegato molto tempo'
Turista: 'Ma allora, perché non è stato di più, per pescare di più?'
Il Pescatore gli spiega che quella esigua quantità era esattamente ciò di cui aveva bisogno per soddisfare le esigenze della sua famiglia.
Turista: 'Ma come impiega il resto del suo tempo?'
Pescatore: 'Dormo fino a tardi, pesco un po, gioco con i miei bimbi e faccio la siesta con mia moglie. La sera vado al villaggio, ritrovo gli amici, beviamo insieme qualcosa, suono la chitarra, canto qualche canzone, e via così, trascorro appieno la vita.'
Turista: 'La interrompo subito, sa sono laureato ad Harvard, e posso darle utili suggerimenti su come migliorare. Prima di tutto lei dovrebbe pescare più a lungo, ogni giorno di più. Così logicamente pescherebbe di più. Il pesce in più lo potrebbe vendere e comprarsi una barca più grossa. Barca più grossa significa più pesce, più pesce significa più soldi, più soldi più barche! Potrà permettersi un'intera flotta!!
Quindi invece di vendere il pesce all'uomo medio, potrà negoziare direttamente con le industrie della lavorazione del pesce, potrà a suo tempo aprirsene una sua. In seguito potrà lasciare il villaggio e trasferirsi a Mexico City o a Los Angeles o magari addirittura a New York!! Da lì potrà dirigere un'enorme impresa!...
Pescatore: 'ma per raggiungere questi obiettivi quanto tempo mi ci vorrebbe?'
Turista: '25 anni forse' Pescatore: '....e dopo?' Turista: 'Ah dopo, e qui viene il bello, quando i suoi affari avranno raggiunto volumi grandiosi, potrà vendere le azioni e guadagnare miliardi!!!!!!!
Pescatore:'...miliardi?.......e poi?'

Turista: 'Eppoi finalmente potrà ritirarsi dagli affari, e concedersi di vivere gli ultimi 5/10 anni in un piccolo villaggio vicino alla costa, dormire fino a tardi, giocare con i suoi bimbi, pescare un po' di pesce, fare la siesta, passare le serate con gli amici bevendo e giocando in allegria!'
Si potrebbe sintetizzare dicendo che a chi non basta il poco non basta nulla. Cito Seneca
CitazioneTienti stretta ogni ora, dipenderai meno dal domani se ti impadronirai dell'oggi
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Eretiko il 14 Febbraio 2017, 12:11:01 PM
CVC,
non saprei cosa dire riguardo alle tue osservazioni. Nel caso specifico italiano in qualche modo paghiamo anche il fatto che nel passato abbiamo vissuto, appunto, serenamente il presente (di allora). E' un discorso un po' circolare in cui la mancanza di equilibrio nel presente  può causare situazioni tragiche nel futuro. In fondo negli anni '80 abbiamo creato le premesse per il tempo attuale, con scarsa lungimiranza, e ci ritroviamo con scarsi strumenti di manovra attuali, con il pericolo di una spirale pericolosa.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Duc in altum! il 14 Febbraio 2017, 12:12:19 PM
**  scritto da Eretiko:
CitazioneGiusto, il "perché delle cose" esula dal dominio di indagine della scienza, ma il non conoscere il "perché" non tarla la scienza in sé stessa ma l'animo individuale dell'uomo, e visto che da millenni cerchiamo i "perché" senza trovarli forse dovremmo arrivare alla conclusione che essi non esistono, e che forse continuare a chiedersi "perché" come fanno i bambini è privo di senso.
Come non tarla la scienza, basta osservare come la bio-etica credente in altro che Dio, impone le proprie convinzioni senza conoscere il perché; impazzendo, giacché per sfortuna o grazie a Dio non può che fallire (per adesso), nel ricercare risposte plausibili senza dover ricorrere alla fede che davvero sia così.
E questo non comporta la disgregazione solo dell'Occidente, ma lo smarrimento sempre più accentuato in ogni essere umano (ecco perché non condivido il pensiero che sia solo l'Occidente a sgretolarsi, ma il pianeta intero) di coordinate salde nella condivisione del Tutto, giacché confuso dalla religione del relativismo, dall'ideologia dell'autodeterminazione, e dal conformarsi con i personaggi líder fallaci, facendo divenire, per le generazioni presenti e future, l'ipocrisia e l'opportunismo virtù da applaudire.

CitazioneFermo restando che ognuno, individualmente, può continuare a farsi quella domanda, e può trovare la risposta che più lo soddisfa, sia anche in roveti ardenti o voci interne, ma con la consapevolezza che non possono essere risposte universali proprio perché individuali e non riproducibili da chiunque e in ogni luogo.
E' inevitabile non farsi quella domanda, poiché dalla risposta ognuno sceglie e decide, e mai il contrario; anche essendo consapevoli che la certezza assoluta si conoscerà solo post-mortem, ma nel frattempo sopravviviamo pensando che sia universalmente vera, altrimenti non attueremmo in conseguenza a essa (alla risposta che abbiamo preferito).

CitazioneE aggiungo che la pretesa di estendere universalmente tali risposte individuali, se pur in un primo momento ha agito da collante e da elemento identitario, alla lunga ha mostrato il suo limite intrinseco, ed ecco perché quello che a ad alcuni oggi appare come una "disgregazione" a me sembra una "decostruzione" in una società che sta appunto cercando di trovare nuovi punti fermi, uno dei quali potrebbe appunto essere la "cultura scientifica" in quanto, almeno quella, può chiamarsi "cattolica".
Ma non c'è bisogno di estenderle universalmente, è la propria coscienza che ci convince o ci persuade che sia così. E qui si stoppa la scienza, che può portare cultura, ma non pace e allegria costanti; per conseguire queste oggettive ricchezze esistenziali (per adesso) i punti fermi, nuovi o antichi, sono solo la speranza e la fiducia nella metafisica, nel trascendente, nella spiritualità.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Duc in altum! il 14 Febbraio 2017, 12:31:25 PM
**  scritto da CVC:
CitazioneNon so da quali premesse giungi a questa conclusione, ma il senso del presente cui alludo è quello di vivere serenamente il tempo che ci è dato liberi dalle preoccupazioni angoscianti del futuro o perlomeno, se non si possono evitare tutte, congedandoci almeno da quelle non strettamente necessarie e - se e quando possibile - nella misura in cui  non siano eccessivamente invasive sull'oggi.
Qui ci sarebbe il tema della precarietà dell'esistenza che è, a mio avviso, una sorta di equilibrio. Nel senso che se si avverte troppa precarietà si vive nell'ansia, ma se si pretende di annullarla completamente ci si allontana dalla realtà che ha sempre un qualche grado di incertezza. Questione di equilibrio che, in un'ottica sbilanciata sul futuro, manca perchè manca la cura spirituale, perchè se usciamo dal presente usciamo dalla spiritualità che esiste in funzione del presente.
Ti ringrazio perché hai risposto da solo alla domanda che mi hai posto: perchè manca la cura spirituale.

Senza la cura spirituale (meditazione seria, sincera introspezione, preghiera profonda, autentica auto-valutazione del nostro comportamento sociale e individuale) il mors tua vita mea non solo esiste nel male che si vede quotidianamente, ma si sta propagando, in maniera irreversibile, secondo me, soprattutto per il bene che non facciamo.

Senza dimenticare che saranno sempre di più le persone povere, affamate (di tutto) ed emarginate, quindi che sapranno sempre meno cosa significa trascorrere del tempo spensieratamente o serenamente.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: acquario69 il 14 Febbraio 2017, 12:36:53 PM
CitazioneFermo restando che ognuno, individualmente, può continuare a farsi quella domanda, e può trovare la risposta che più lo soddisfa, sia anche in roveti ardenti o voci interne, ma con la consapevolezza che non possono essere risposte universali proprio perché individuali e non riproducibili da chiunque e in ogni luogo.


E' inevitabile non farsi quella domanda, poiché dalla risposta ognuno sceglie e decide, e mai il contrario; anche essendo consapevoli che la certezza assoluta si conoscerà solo post-mortem, ma nel frattempo sopravviviamo pensando che sia universalmente vera, altrimenti non attueremmo in conseguenza a essa (alla risposta che abbiamo preferito).



La certezza "E" (esiste) non e' individuale ma universale e lo testimoniano la concomitanza di tutte le Tradizioni nonostante lontane tra di loro nei tempi e nei luoghi .. e per conoscerla non bisogna aspettare il post mortem, come se questa fosse solo una scommessa.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: acquario69 il 14 Febbraio 2017, 12:40:15 PM
Citazione di: cvc il 14 Febbraio 2017, 12:02:58 PM
Si potrebbe sintetizzare dicendo che a chi non basta il poco non basta nulla. Cito Seneca
CitazioneTienti stretta ogni ora, dipenderai meno dal domani se ti impadronirai dell'oggi

Si avverte in giro, sotto le rutilanti bellurie che ogni giorno ci vengono ammannite per placare la nostra ansia, un desolante 'sensus finis'. Non parlo qui dell'Italia che un tempo, molti secoli fa, fu un luogo importante e oggi è ridotta a uno sputo nell'universo mondo. Parlo dell'Occidente inteso non però in senso tecnico (del resto che cosa sia realmente l'Occidente, termine inquietantemente orwelliano, nessuno è mai stato in grado di precisarlo) ma come modello di sviluppo economico e sociale che ormai coinvolge il mondo intero, da New York agli Urali alla muraglia cinese al Gange. La grande Rivoluzione che ha cambiato la storia del mondo ha preso le mosse circa otto secoli fa proprio dall'Italia quando si afferma per la prima volta come forte classe sociale la figura del mercante (oggi detto imprenditore) fino ad allora collocata, in tutte le culture d'oriente e di occidente, all'ultimo gradino della gerarchia umana, inferiore, perlomeno eticamente, persino allo schiavo. È la rivoluzione della percezione del tempo. Si passa dal quieto e statico presente al dinamico e allettante futuro. Lo storico Piero Camporesi esprime così, nel dualismo contadino/mercante, povero/ricco, questo diverso atteggiamento esistenziale: "L'affannoso tempo storico e lineare del mercante misurato sui ritmi della partita doppia, dei tassi di interesse e dell'investimento produttivo, non era il tempo dei contadini, serpentino, ciclico, ritmato dalle stagioni, dai soli e dalle lune... Il povero coniuga i verbi al presente, non conosce le lusinghe ingannevoli del futuro, contrariamente al ricco che costruisce strategie nel tempo tracciando precari piani e ipotetiche prospettive ('Cultura popolare e cultura d'elite fra Medioevo ed età moderna'). 
Per otto secoli abbiamo inseguito questo futuro orgiastico con accelerazioni sempre più parossistiche che passano per la Rivoluzione industriale e l'odierna globalizzazione che ha coinvolto, per amore o per forza, anche culture che non ne volevano sapere. Ed ora questo futuro è finalmente arrivato. È qui. E si presenta sotto forme spaventose. Un modello che ha puntato tutto sull'economico, rendendo marginali tutte le altre e complesse componenti dell'essere umano, provocando stress, angoscia, nevrosi, depressione, anomia, dipendenza da ogni sorta di droga per avere la forza di tirare avanti, fallisce anche, e proprio, sull'economico. Le crisi si succedono alle crisi. E, invece di rifletterci su, vengono tamponate al solito modo: immettendo nel sistema denaro inesistente, cioè un'ipoteca su un ulteriore futuro tanto sideralmente lontano da essere solo una Fata Morgana. Ma un giorno, vicino, questo trucchetto da magliari non reggerà più. La gente, sia pur confusamente, lo avverte. Un modello basato sulle crescite infinite, che esistono solo in matematica, cioè nell'astrazione, quando non potrà più espandersi imploderà su se stesso provocando una catastrofe planetaria. 
(Massimo Fini)
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Duc in altum! il 14 Febbraio 2017, 12:54:45 PM
**  scritto da acquario69:
CitazioneLa certezza "E" (esiste) non e' individuale ma universale e lo testimoniano la concomitanza di tutte le Tradizioni nonostante lontane tra di loro nei tempi e nei luoghi .. e per conoscerla non bisogna aspettare il post mortem, come se questa fosse solo una scommessa.
Anche per me "E" speranza certa adesso, solo che non tutti giungiamo a essa, e non tutti vi giungiamo allo stesso tempo, l'esperienza è personalissima, quindi il post-mortem e la scommessa sono i mezzi per farmi comprendere da chi non ha la mia stessa fede cattolica.

Pace & Bene
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: cvc il 14 Febbraio 2017, 13:12:43 PM
Citazione di: Eretiko il 14 Febbraio 2017, 12:11:01 PM
CVC,
non saprei cosa dire riguardo alle tue osservazioni. Nel caso specifico italiano in qualche modo paghiamo anche il fatto che nel passato abbiamo vissuto, appunto, serenamente il presente (di allora). E' un discorso un po' circolare in cui la mancanza di equilibrio nel presente  può causare situazioni tragiche nel futuro. In fondo negli anni '80 abbiamo creato le premesse per il tempo attuale, con scarsa lungimiranza, e ci ritroviamo con scarsi strumenti di manovra attuali, con il pericolo di una spirale pericolosa.
Infatti io non dico che non bisogna essere lungimiranti,non voglio passare da un estremo all'altro. Ma se è vero come mi pare sia vero che la finanza s'è mangiata l'economia, ebbene questa è la differenza fra economia e finanza: la prima è tesa al migliore impiego delle risorse (scarse), la seconda è rivolta a far si che un euro domani valga più di un euro oggi. In ciò dovrebbe essere implicito cosa intendo per morbosa tensione al futuro
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: cvc il 14 Febbraio 2017, 13:15:43 PM
Citazione di: acquario69 il 14 Febbraio 2017, 12:40:15 PM
Citazione di: cvc il 14 Febbraio 2017, 12:02:58 PM
Si potrebbe sintetizzare dicendo che a chi non basta il poco non basta nulla. Cito Seneca
CitazioneTienti stretta ogni ora, dipenderai meno dal domani se ti impadronirai dell'oggi

Si avverte in giro, sotto le rutilanti bellurie che ogni giorno ci vengono ammannite per placare la nostra ansia, un desolante 'sensus finis'. Non parlo qui dell'Italia che un tempo, molti secoli fa, fu un luogo importante e oggi è ridotta a uno sputo nell'universo mondo. Parlo dell'Occidente inteso non però in senso tecnico (del resto che cosa sia realmente l'Occidente, termine inquietantemente orwelliano, nessuno è mai stato in grado di precisarlo) ma come modello di sviluppo economico e sociale che ormai coinvolge il mondo intero, da New York agli Urali alla muraglia cinese al Gange. La grande Rivoluzione che ha cambiato la storia del mondo ha preso le mosse circa otto secoli fa proprio dall'Italia quando si afferma per la prima volta come forte classe sociale la figura del mercante (oggi detto imprenditore) fino ad allora collocata, in tutte le culture d'oriente e di occidente, all'ultimo gradino della gerarchia umana, inferiore, perlomeno eticamente, persino allo schiavo. È la rivoluzione della percezione del tempo. Si passa dal quieto e statico presente al dinamico e allettante futuro. Lo storico Piero Camporesi esprime così, nel dualismo contadino/mercante, povero/ricco, questo diverso atteggiamento esistenziale: "L'affannoso tempo storico e lineare del mercante misurato sui ritmi della partita doppia, dei tassi di interesse e dell'investimento produttivo, non era il tempo dei contadini, serpentino, ciclico, ritmato dalle stagioni, dai soli e dalle lune... Il povero coniuga i verbi al presente, non conosce le lusinghe ingannevoli del futuro, contrariamente al ricco che costruisce strategie nel tempo tracciando precari piani e ipotetiche prospettive ('Cultura popolare e cultura d'elite fra Medioevo ed età moderna').
Per otto secoli abbiamo inseguito questo futuro orgiastico con accelerazioni sempre più parossistiche che passano per la Rivoluzione industriale e l'odierna globalizzazione che ha coinvolto, per amore o per forza, anche culture che non ne volevano sapere. Ed ora questo futuro è finalmente arrivato. È qui. E si presenta sotto forme spaventose. Un modello che ha puntato tutto sull'economico, rendendo marginali tutte le altre e complesse componenti dell'essere umano, provocando stress, angoscia, nevrosi, depressione, anomia, dipendenza da ogni sorta di droga per avere la forza di tirare avanti, fallisce anche, e proprio, sull'economico. Le crisi si succedono alle crisi. E, invece di rifletterci su, vengono tamponate al solito modo: immettendo nel sistema denaro inesistente, cioè un'ipoteca su un ulteriore futuro tanto sideralmente lontano da essere solo una Fata Morgana. Ma un giorno, vicino, questo trucchetto da magliari non reggerà più. La gente, sia pur confusamente, lo avverte. Un modello basato sulle crescite infinite, che esistono solo in matematica, cioè nell'astrazione, quando non potrà più espandersi imploderà su se stesso provocando una catastrofe planetaria.
(Massimo Fini)
Infatti paradossalmente il povero si gusta più serenamente la sua zuppa, perchè sa che è ciò che gli basta, piuttosto che l'agiato che si gusta il filetto nel timore di non poter mangiare ancora meglio un domani
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: paul11 il 14 Febbraio 2017, 15:28:26 PM
Citazione di: Eretiko il 14 Febbraio 2017, 11:55:02 AM
Paul11,
non credo di avere pre-giudizi, e quello che io ho detto non è in funzione di una insensata battaglia scienza/fede ma semplicemente nel riconoscere limiti ed ambiti di entrambe, almeno in linea di principio. Io continuo a sostenere che la fede è un fatto privato, e anche dove ha funzionato come elemento culturale identificativo della comunità (una volta istituzionalizzato in religione), non necessariamente promuove la fede stessa a concetto universale.
Credo che anche tu sarai d'accordo sul fatto che a vedere la scienza come un nemico sia stato soprattutto, in occidente, il cattolicesimo ed in misura molto minore il protestantesimo (e sarebbe interessante analizzare i motivi), e credo che anche tu sarai d'accordo nel constatare che non c'è stato conflitto tra scienza e religioni orientali (per quel che io conosco).
Riconoscendo ambiti e scopi diversi a scienza e fede, io non vedo alcuna contrapposizione, ma solo scelte individuali. Ovviamente trovo assurdo ed erroneo che la scienza si occupi di questione di fede, così come trovo assurdo ed erroneo che la fede si possa occupare di questioni di scienza, se non altro perché la prima si occupa di ciò che è osservabile e sperimentabile da tutti, mentre la seconda si occupa di ciò che è sperimentabile solo a livello individuale.
Il passaggio travagliato dell'occidente è quindi quello di passare da una fede istituzionalizzata ad una più individualista, passaggio molto più difficile e traumatico nei paesi cattolici che non nei paesi a maggioranza protestante.
Se poi spostiamo i riflettori sulle problematiche relative al capitalismo, al lavoro, alla sempre crescente importanza della finanza, alle problematiche legate alla tecnologia che va a doppia velocità, al problema dell'alienazione dell'individuo, allo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, alla natura e al suo rispetto, ai conflitti, allo sfruttamento delle risorse del pianeta, al consumismo, allora il problema non è più solo occidentale e non possiamo limitarci a una riflessione che riguarda esclusivamente il pensiero occidentale.
       


Eretiko,
sono d'accordo che entrambe abbiano dei limiti, lo avevo specificato in post precedenti che  se siamo usciti dalla comunità deduttiva per approdare alla società induttiva è perchè comunque  non era bastevole , ma sopratutto la coscienza aveva necessità di altra conoscenza.. Ma quella deduttiva ha una caratteristica che è un punto di forza ,che  la vita umana ha un senso, perchè il particolare è implicito dentro il "tutto", quella induttiva invece nega il Tutto.

Il cristianesimo è dentro l'Occidente, non è possible estraniarlo nel bene o nel male ,giusto  o sbagliato.
Qualunque cultura deduttiva crea problemi individuali di disagio nel momento in cui viene in contatto con quella induttiva, lo estania.
che sia induismo, panteismo  , animismo, Si crea uno strano sincretismo, direi endemismi sociali l'incontro fra cultura occidentale che è soprattutto prassi con il mondo indiano, cinese.

Saremo fra non molto otto miliardi di individui, Eretiko, è impensabile anche per l'esponenzialità temporale di compatibilità culturali l'integrazione in così breve tempo Ci vorrebbero generazioni, si è visto in Italia con l'urbanizzazione dal contado all'industria, dal Sud al Nord e che siamo tutti italiani. La velocità del mutamento non è sincronizzata alla strutture socio-culturali , guarda la politica che non sta dietro all'economia, i problemi sono strutturali e infrastrutturali.
La scienza non si occupa di problemi di fede, perchè  non è nella sua implicita forma conoscitiva. la coscienza i sentimenti sono fuori dal suo ambito, non può riconoscere ciò che non può dimostrare. Ma questo riduce il concetto di senso della vita nell'uomo, vale  a dire  che la scienza si sottrae dalla forma deduttiva e adatto che si è sottratta anche la filosofia, personalmente non dò colpa alla scienza che si è trovata il compito salvifico, perchè l'uomo si affida alla scienza. E' altrettanto ovvio che non essendoci un cemento culturale ognuno segue il fardasè spirituale, entra nel supermercato della  spiritualità e consuma

Tu hai molta speranza negli individui, riponi davvero così tanta fiducia?
Se togli la legalità ad una società vedresti che ci ammazzeremmo un'ora dopo.Bada bene che anch'io ci credo, ma oggi non è assolutamente attuabile, addirittura vedo derive di comportamenti umani. Come ci siamo già detti i nalcune discussioni sulla libertà questa presuppone il senso di responsabilità. ma attenzione, se la morale è relativizzata, quale istituto ha il poter edi autorevolezza?
Nessuno, ci vuole un'autorità armata che costruisce la legalità affinchè una società sussista (l'invenzione delloStato)

Io mi illusi decenni fa che la scolarizzazione , maggiore conoscenza  delle nuove generazioni avrebbe potuto conseguentemente portare ad una maturità della coscienza: individuale e pure  sociale  tutt'altro ha aumentato l'ego a dismisura.ma non dò colpa ai giovani, dovrebbe far riflettere  il contesto famigliare, sociale, culturale: la disgregazione.

Credimi, mi auguro di cuore che sia decostruzione, ma daccapo io non vedo le premesse nemmeno ai livelli culturali più alti .


Le società che ho chiamate deduttive, dal lungo elenco che hai posto di problematiche, hanno un piccolo, ma importante contenuto: ognuno sa quale è la posizione dentro la comunità  Perchè il rampantismo, la mobilità sociale ,basata sull'invidia e avidità è caratteristica della nostra umanità occidentale.

Eretiko, io temo che non ci sia più da inventarsi nulla, se non una maturità umana e quindi di coscienza.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: donquixote il 14 Febbraio 2017, 16:46:18 PM
Citazione di: Eretiko il 14 Febbraio 2017, 11:05:57 AMGiusto, il "perché delle cose" esula dal dominio di indagine della scienza, ma il non conoscere il "perché" non tarla la scienza in sé stessa ma l'animo individuale dell'uomo, e visto che da millenni cerchiamo i "perché" senza trovarli forse dovremmo arrivare alla conclusione che essi non esistono, e che forse continuare a chiedersi "perché" come fanno i bambini è privo di senso. Fermo restando che ognuno, individualmente, può continuare a farsi quella domanda, e può trovare la risposta che più lo soddisfa, sia anche in roveti ardenti o voci interne, ma con la consapevolezza che non possono essere risposte universali proprio perché individuali e non riproducibili da chiunque e in ogni luogo. E aggiungo che la pretesa di estendere universalmente tali risposte individuali, se pur in un primo momento ha agito da collante e da elemento identitario, alla lunga ha mostrato il suo limite intrinseco, ed ecco perché quello che a ad alcuni oggi appare come una "disgregazione" a me sembra una "decostruzione" in una società che sta appunto cercando di trovare nuovi punti fermi, uno dei quali potrebbe appunto essere la "cultura scientifica" in quanto, almeno quella, può chiamarsi "cattolica". Ma a parte questa considerazione, del tutto personale, trovo assurdo addossare allo sviluppo del pensiero occidentale degli ultimi secoli (o non-pensiero, come qualcuno sembra suggerire) la responsabilità di questa presunta disgregazione, come se fosse possibile ingabbiare il pensiero in una stretta morsa solo perché "funziona" (o ha funzionato per un periodo), o solo perché risponde a visioni del mondo individuali che si ritiene di poter estendere a tutti gli individui.

Solo gli ignoranti e gli insipienti cercano il "perchè delle cose", e coloro che credono di averlo trovato di solito lo presuppongono ai propri fini. Si tratta invece di trovare il "perchè" di noi stessi, la ragione per la quale noi siamo in questo mondo e cosa ci stiamo a fare, perchè le montagne, i mari, le piante e gli animali lo sanno bene e non dobbiamo certo arrivare noi per insegnarglielo (forse il "perchè" degli elefanti è lavorare nei circhi? o il "perchè" dei cavalli è quello di fare le corse ad ostacoli? o il "perchè" delle rose è quello di essere regalate a San Valentino? O il "perchè" delle montagne è quello di far divertire scalatori e sciatori o fungere da trampolino per i parapendisti?). Le culture tradizionali non hanno mai cercato questi perchè, limitandosi a rispettare ogni cosa partendo dalla convinzione che se le "cose" esistono una ragione ci deve essere (anche se solo Dio può conoscerla), mentre è stata proprio la scienza moderna ad ipotizzarli e volerli conoscere (trasformando il  sacrosanto "principio di ragione" nel diabolico "principio di ragione sufficiente" ove la sufficienza o meno del "perchè" veniva valutata dall'uomo che decideva se vi fosse una ragione sufficiente perchè qualcosa esistesse, e se questa non veniva trovata lo si poteva eliminare) ma non riuscendovi o non essendo soddisfatta delle proprie risposte si è poi accontentata di scoprire il "come" in modo da intervenirvi con la tecnica per modificarlo e renderlo funzionale alle esigenze dell'uomo. È invece il "perchè" dell'uomo che è necessario trovare, ma non quello della "specie umana", bensì quello intrinseco ad ogni uomo, che deve cercare e trovare da sé ("conosci te stesso" - Oracolo di Delfi) per poi adeguarvisi ("diventa ciò che sei" - Pindaro). 
Se la "cultura scientifica" nei fatti non è altro che un modo di conoscere alcune cose per poterle modificare e assoggettare agli interessi, ai bisogni e ai desideri umani anche se fosse condivisa da tutto un popolo non potrebbe mai essere un principio unificatore, prima di tutto poichè la scienza è un metodo, non un principio o un valore, poi perchè questa conoscenza delle cose è estremamente frammentaria (la "scienza" si divide in innumerevoli discipline: qual è la gerarchia fra di esse?), quindi perchè ognuno privilegerebbe (a seconda dei propri bisogni ed interessi) la conoscenza di alcune cose rispetto ad altre individualizzandola, poi perchè essendo "esterna" rispetto all'oggetto conosciuto è sempre opinabile e ogni cosa non si potrà conoscere per intero come effettivamente è ma sempre e solo parzialmente, e infine perchè essendo per definizione "oggettiva" quindi neutra da essa non è possibile trarre una morale e quindi definire cosa sia bene o cosa sia male per un popolo o per tutta l'umanità. Ma anche ammesso e non concesso che ci fosse la maniera di risolvere questi problemi sarebbe comunque necessario che tutti riconoscessero la comunità scientifica come l'unica detentrice della conoscenza, e anche l'unica che avrebbe il diritto di modificarla e aggiornarla. La comunità scientifica diventerebbe quindi la nuova Chiesa con il diritto di censurare (come del resto fa già ora) chiunque esprima un pensiero non conforme. Cosa cambierebbe dunque rispetto alla Chiesa che abbiamo conosciuto fino a pochi secoli fa?
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Eretiko il 14 Febbraio 2017, 19:49:39 PM
Citazione di: donquixote il 14 Febbraio 2017, 16:46:18 PM
Si tratta invece di trovare il "perchè" di noi stessi, la ragione per la quale noi siamo in questo mondo e cosa ci stiamo a fare, perchè le montagne, i mari, le piante e gli animali lo sanno bene e non dobbiamo certo arrivare noi per insegnarglielo

Non mi riferivo solo alle "cose", ma anche agli esseri umani: forse chiedersi perché l'uomo esiste è una domanda che non ha risposta, e non è detto che sia una domanda sensata per il semplice motivo che noi possiamo farla.
Certo che gli animali lo sanno il motivo: riprodursi e sopravvivere, anche se non possono porsi la domanda di cui sopra.

Citazione di: donquixote il 14 Febbraio 2017, 16:46:18 PM
Le culture tradizionali non hanno mai cercato questi perchè, limitandosi a rispettare ogni cosa partendo dalla convinzione che se le "cose" esistono una ragione ci deve essere (anche se solo Dio può conoscerla), mentre è stata proprio la scienza moderna ad ipotizzarli e volerli conoscere (trasformando il  sacrosanto "principio di ragione" nel diabolico "principio di ragione sufficiente" ove la sufficienza o meno del "perchè" veniva valutata dall'uomo che decideva se vi fosse una ragione sufficiente perchè qualcosa esistesse, e se questa non veniva trovata lo si poteva eliminare) ma non riuscendovi o non essendo soddisfatta delle proprie risposte si è poi accontentata di scoprire il "come" in modo da intervenirvi con la tecnica per modificarlo e renderlo funzionale alle esigenze dell'uomo.

Non so se l'uomo ha iniziato a chiedersi prima il "come" e poi il "perché" del funzionamento del mondo, ma sicuramente fin da tempi antichissimi ha imparato a "modificare" la natura, con le coltivazioni, con l'allevamento, con la selezione artificiale di vegetali ed animali.
E secondo me invece le culture tradizionali si sono interrogate molto sui "perché", altrimenti quale sarebbe il senso della nascita delle religioni che individuano appunto una risposta in un "Essere" più o meno trascendentale e più o meno antropomorfo? Ma lascio a te la riflessione su questo punto.
La scienza moderna indaga solo su "come va il mondo" (cioè sulle leggi di natura), e non ha mai avuto la pretesa di cercare risposte sui "perché", lasciando questo gravoso compito alla filosofia e alla fede. Ma se tu hai degli esempi in cui la scienza ha invaso un campo non suo ti prego di evidenziarli, non sono un fideista assoluto.
Ovviamente le teorie scientifiche pongono spunti di riflessione alla filosofia e alle religioni, perché qualche volta possono provocare la revisione di concetti che sembravano acquisiti, ma qui non si può certo imputare una responsabilità alla scienza stessa, o a un pensiero che avvia il suo suicidio
Se poi tu, riguardo ai "perché", ti riferisci a sconfinamenti fatti da singoli scienziati, soprattutto in base alla teoria dei quanti, allora concordo con te: indebita invasione di ambiti non pertinenti.

Citazione di: donquixote il 14 Febbraio 2017, 16:46:18 PM
È invece il "perchè" dell'uomo che è necessario trovare, ma non quello della "specie umana", bensì quello intrinseco ad ogni uomo, che deve cercare e trovare da sé ("conosci te stesso" - Oracolo di Delfi) per poi adeguarvisi ("diventa ciò che sei" - Pindaro).

Ormai sai come la penso, credo che non c'è alcun "perché" a livello di specie umana, se non quello che ci accomuna a tutte le altre specie. Ma condivido che deve esserci una ricerca individuale.

Citazione di: donquixote il 14 Febbraio 2017, 16:46:18 PM
Se la "cultura scientifica" nei fatti non è altro che un modo di conoscere alcune cose per poterle modificare e assoggettare agli interessi, ai bisogni e ai desideri umani anche se fosse condivisa da tutto un popolo non potrebbe mai essere un principio unificatore, prima di tutto poichè la scienza è un metodo, non un principio o un valore, poi perchè questa conoscenza delle cose è estremamente frammentaria (la "scienza" si divide in innumerevoli discipline: qual è la gerarchia fra di esse?), quindi perchè ognuno privilegerebbe (a seconda dei propri bisogni ed interessi) la conoscenza di alcune cose rispetto ad altre individualizzandola, poi perchè essendo "esterna" rispetto all'oggetto conosciuto è sempre opinabile e ogni cosa non si potrà conoscere per intero come effettivamente è ma sempre e solo parzialmente, e infine perchè essendo per definizione "oggettiva" quindi neutra da essa non è possibile trarre una morale e quindi definire cosa sia bene o cosa sia male per un popolo o per tutta l'umanità.

La conoscenza può anche essere fine a se stessa, rispondendo semplicemente alla curiosità umana, non è necessariamente qualcosa indirizzato al suo sfruttamento tecnologico.
Quale sfruttamento può avere la teoria della relatività? Forse nel futuro qualcuno potrà avere una qualche idea per sfruttarla per qualche nostra esigenza, ma al momento le uniche applicazioni pratiche sono: la sincronizzazione dei satelliti GPS, calcolare precisamente la precessione dell'orbita di Mercurio, alcune misure sulla struttura dell'universo. Non molto per una teoria che ha richiesto 10 anni di lavoro ed un secolo di osservazioni ed esperimenti.
Forse Maxwell quando teorizzò le onde elettromagnetiche pensava che un giorno si sarebbero sfruttare per le telecomunicazioni?
Come tu stesso hai sottolineato, la scienza nel suo complesso è un metodo, ma non ci sono gerarchie: il metodo è uno ed uno solo, ed è un processo che fornisce conoscenza. Poi ci sono le varie discipline, che utilizzano le conoscenze, ad esempio la Medicina e l'Ingegneria, per produrre beni (talvolta inutili) atti a soddisfare i nostri bisogni (talvolta superflui), ma sono processi distinti: da una parte un metodo che fornisce conoscenza, dall'altra l'eventuale sfruttamento pratico di tale conoscenza.
Riguardo al problema dell'etica io non ho risposte, ma è ovvio che comunque le scoperte scientifiche hanno indebolito i presupposti che, ad esempio nel cristianesimo, davano all'etica ragione di esistere.
Basta pensare al sistema copernicano, che rivoluzionava un sistema del mondo fatto proprio dal cristianesimo, o la teoria dell'evoluzione che ha ridotto la creazione biblica a un mito.
Credo che la vera crisi però si consumerà quando cadranno gli ultimi baluardi sui quali si fonda un'implicita distinzione tra l'uomo e il resto dell'universo. Le neuroscienze sono sul punto di svelare i meccanismi più profondi della vita, mostrando come questi non abbiano nulla di trascendentale e possano essere spiegati in base alle stesse leggi fisiche che regolano l'universo (comprese le cose inanimate).
Cosa accadrà quando la scienza dimostrerà che anche i processi cerebrali alla base delle facoltà intellettive, compresa la coscienza e il libero arbitrio, sono spiegabili con leggi fisiche?
Non lo dico perché sono contento che sia così, o perché faccio il tifoso, o per arroganza  ateista, ma stiamo scoprendo che questo è, e una riflessione sulle implicazioni etiche la dobbiamo fare, in modo costruttivo e senza demonizzazioni.

Citazione di: donquixote il 14 Febbraio 2017, 16:46:18 PM
Ma anche ammesso e non concesso che ci fosse la maniera di risolvere questi problemi sarebbe comunque necessario che tutti riconoscessero la comunità scientifica come l'unica detentrice della conoscenza, e anche l'unica che avrebbe il diritto di modificarla e aggiornarla. La comunità scientifica diventerebbe quindi la nuova Chiesa con il diritto di censurare (come del resto fa già ora) chiunque esprima un pensiero non conforme. Cosa cambierebbe dunque rispetto alla Chiesa che abbiamo conosciuto fino a pochi secoli fa?

Premesso che anche la comunità scientifica, composta di uomini, è soggetta a partenze per la tangente, ad atteggiamenti meschini, a truffe, a rivalità, al richiamo del portafogli e a sotterfugi, occorre distinguere quelle che sono semplici ipotesi (magari anche plausibili) da quelle che sono teorie verificate e verificabili.
In base al metodo l'unica conoscenza che raggiuge lo status di verità è quella nella quale una teoria è coerente e verificabile da ognuno, replicabile da chiunque in ogni luogo e in ogni tempo. Le ipotesi, per quanto plausibili, rimangono pur sempre delle ipotesi. A questo serve la comunità scientifica, anche se al suo interno vengono consumati misfatti: a produrre conoscenza (scientifica) certificata.
A me non sembra esattamente una "chiesa".
Poi, potresti farmi notare che la conoscenza scientifica non è "la conoscenza" (unica), ma solo una sua fetta. Ma qui ci vorrebbe una discussione a parte.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Freedom il 15 Febbraio 2017, 11:11:07 AM
Non amo il quotidiano La Repubblica e nemmeno Ezio Mauro mi pare questo grande Maìtre a penser.
Pur tuttavia questo Editoriale mi pare che possa aiutare la discussione. Quantomeno nel senso di riconoscere che la disgregazione dell'Occidente affermata dall'autore del thread è assolutamente reale, riconoscibile, condivisibile. http://www.repubblica.it/politica/2017/02/15/news/titolo_non_esportato_da_hermes_-_id_articolo_6041344-158332626/?ref=HREA-1

Quanto alle soluzioni l'editorialista pensa che una nuova sinistra possa essere d'aiuto. Ma questo, oltre che non necessariamente sottoscrivibile, non mi pare sia attinente al Topic.

Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: cvc il 15 Febbraio 2017, 11:43:20 AM
La politica propone idee per cambiare il mondo in meglio, il che presuppone che l'abbia prima capito. Ora – a questo mi pare alluda l'articolo – si pone il problema che la politica non riesce più a capire il mondo – o la parte di mondo – che dovrebbe rappresentare, quindi come si può migliorare qualcosa che non si comprende? Secondo la 'legge delle conseguenze non intenzionali' promossa da Adamo Smith, che pare anche difficilmente confutabile ancor più alla luce delle nuove applicazioni scientifiche statistico-probabilistiche, la notizia sarebbe che capire il mondo non è nemmeno necessario: è sufficiente che ognuno realizzi se stesso nel miglior modo possibile – seguendo quindi il proprio egoismo – perchè i miglioramenti del singolo si traducano in miglioramenti per la collettività. Questa è la giustificazione morale del capitalismo: accumulo ricchezza che oltre a far stare bene me si tradurrà (o si tradurrebbe) in più tasse pagate, più soldi immessi nell'economia, più posti di lavoro, ecc. Il problema ora è che questo meccanismo si è rotto, nel senso che l'accumulo di capitale si concentra sempre più in poche persone, ma queste montagne di capitale non agiscono più per migliorare l'economia reale. L'accumulo di capitale è diventato un meccanismo fine a se stesso, che non produce effetti positivi sull'economia reale. Non si tratta più di trovare il miglior modo possibile di impiegare il capitale, ma di garantire a chi lo possiede di assicurarlo dai rischi. Il capitalista o l'imprenditore che non si prende più rischi non produce più ricchezza, perchè l'attività economica reale non può prescindere dal rischio. Ma forse il problema è che l'attività economica è diventata troppo rischiosa perchè si sono rotti gli equilibri con la finanza, che ora guida il gioco.

Il sogno più o meno dissimulato è quello di ripetere il boom economico, ciò che ha fatto uscire dalla miseria e disperazione delle due grandi guerre e che ha riempito la gente di sogni. Purtroppo non ci sono più le condizioni, perchè l'economia per crescere ha bisogno di stablità (oltre di responsabilità dei paesi con più pil che investano per aiutare chi è più indietro, cosa che accadeva col piano Marshall e che non accade nell'UE). Allora la stabilità era data dalla stabilità monetaria assicurata dal sistema dei cambi fissi che ancorava le valute al dollaro ed il dollaro all'oro, e dalla distinzione del ruolo delle banche finanziarie e di investimento. Purtroppo la sindrome della guerra preventiva portò gli USA a dissanguarsi per l'inutile guerra del Vietnam, da cui di necessità l'addio all'ancoraggio del dollaro all'oro, al sistema dei cambi fissi, al vero ruolo delle banche. L'inizio della fine, la fine degli accordi di Bretton Woods, 1971, anno della mia nascita.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Eretiko il 15 Febbraio 2017, 13:09:01 PM
CVC

Paradossalmente oggi alcuni, in Italia, suggeriscono di tornare a quel sistema (cambi molto flessibili, uso della svalutazione per favorire le esportazioni, innalzamento delle barriere doganali) che favorì la grande crisi del 1929. E paradossalmente gli stessi suggeriscono di uscire da quel sistema di cambi fissi (euro) molto simile a quello istituito nel 1944 (sebbene in questo caso non abbiamo una moneta locale con banda di oscillazione). Ricordando sommessamente che se tutti vogliamo esportare, ci deve essere qualcuno che importa. Sarebbe interessante aprire una discussione su queste tematiche.
 
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: acquario69 il 15 Febbraio 2017, 14:22:26 PM
bisognerebbe considerare la cosa piu ovvia e banale e Cioe Che in un pianeta limitato non puo rientrarci nessun sistema di tipo economico perche questo si basa Sulla crescita e lo sviluppo.
In questi anni poi si parla di sviluppo sostenibile (altro ossimoro)


No Ancora non viene Capito che e' proprio la mentalita di tipo "economico" Che non dovrebbero piu esistere,tutte Le alternative dettate da questo paradigma sono solo un buco nell'acqua
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: donquixote il 15 Febbraio 2017, 15:32:58 PM
Citazione di: Eretiko il 14 Febbraio 2017, 19:49:39 PMCerto che gli animali lo sanno il motivo: riprodursi e sopravvivere, anche se non possono porsi la domanda di cui sopra

Questa è una presunzione umana, come dicevo più sopra. Cosa ne sappiamo noi se gli animali vogliono solo sopravvivere e riprodursi? Tutti quei cani che si lasciano morire accanto al padrone morto rifiutandosi di mangiare vogliono solo sopravvivere e riprodursi? Tutti gli animali che si lasciano morire accanto ai cuccioli morti vogliono solo sopravvivere e riprodursi? Probabilmente uno studioso di zoologia o un documentarista ti potrebbe fare molti altri esempi, ma noi abbiamo adottato questo paradigma di lettura, molto semplice e banale, perchè abbiamo cartesianamente ridotto gli animali a macchine assegnando all'uomo un posto di supremazia: ma se invece le cose stessero diversamente? In Cina sono decenni che si cerca con sforzi immani (e tecnologie di tutti i tipi) di convincere i panda giganti a riprodursi per salvarli dall'estinzione: ma se invece loro volessero semplicemente estinguersi? Cosa ne sappiamo? Uno degli errori più grandi che ha fatto la scienza è stato quello di proiettare i desideri umani anche nelle altre specie, prima degradandoli a semplici ammassi di reazioni istintuali e desideri basici e ora assegnandogli caratteristiche sempre più umane (un essere umano che impicca un cane per divertimento non è essenzialmente diverso da quello che lo porta dal toelettatore tutti i giorni, lo nutre con patè e filetto e lo veste di broccato e brillanti). Ogni specie ha un suo posto e un suo "destino" nel mondo, e ogni elemento di tale specie anche, quindi il miglior comportamento da adottare nei loro confronti è di rispettarli per quello che sono, e non per quello che noi pensiamo che siano o che vorremmo che fossero.

Citazione di: Eretiko il 14 Febbraio 2017, 19:49:39 PMNon so se l'uomo ha iniziato a chiedersi prima il "come" e poi il "perché" del funzionamento del mondo, ma sicuramente fin da tempi antichissimi ha imparato a "modificare" la natura, con le coltivazioni, con l'allevamento, con la selezione artificiale di vegetali ed animali. E secondo me invece le culture tradizionali si sono interrogate molto sui "perché", altrimenti quale sarebbe il senso della nascita delle religioni che individuano appunto una risposta in un "Essere" più o meno trascendentale e più o meno antropomorfo? Ma lascio a te la riflessione su questo punto. La scienza moderna indaga solo su "come va il mondo" (cioè sulle leggi di natura), e non ha mai avuto la pretesa di cercare risposte sui "perché", lasciando questo gravoso compito alla filosofia e alla fede. Ma se tu hai degli esempi in cui la scienza ha invaso un campo non suo ti prego di evidenziarli, non sono un fideista assoluto. Ovviamente le teorie scientifiche pongono spunti di riflessione alla filosofia e alle religioni, perché qualche volta possono provocare la revisione di concetti che sembravano acquisiti, ma qui non si può certo imputare una responsabilità alla scienza stessa, o a un pensiero che avvia il suo suicidio Se poi tu, riguardo ai "perché", ti riferisci a sconfinamenti fatti da singoli scienziati, soprattutto in base alla teoria dei quanti, allora concordo con te: indebita invasione di ambiti non pertinenti.

Per quanto riguarda l'agricoltura ho scritto in altri messaggi per cui non ripeto qui, mentre per quanto concerne le culture tradizionali le cose sono molto diverse da come le descrivi. Faccio un esempio: se un popolo si ciba di un particolare animale che scava le proprie tane sotto un particolare tipo di alberi allora questa conoscenza gli sarà utile per cacciarlo, ma non gli interessa né il "come" scavi le tane e nemmeno il "perchè" lo faccia, mentre se tu guardi sull'enciclopedia alla voce relativa troverai le risposte della scienza sul "come" scava le tane e anche sul "perchè" (ovviamente presunto) lo fa proprio lì e non altrove. Se un popolo si ciba di un particolare frutto e "vede" che questo cresce e matura a partire dal fiore non si chiede qual è il processo che da fiore lo trasforma in frutto, ma si limiterà a prenderne atto. Se vede che in primavera le api ronzano attorno ai fiori e dopo questi si trasformano in frutti mentre l'anno dopo non vede più le api e nemmeno i frutti collegherà il lavoro delle api con la fruttificazione dell'albero, e se questa non avverrà tenderà ad attribuirne la responsabilità a qualche proprio comportamento non conforme a natura o particolarmente disdicevole (essendo abituati a guardare prima la trave nel loro occhio che la pagliuzza in quello altrui) mentre magari a qualche centinaio di chilometri una fabbrica di prodotti chimici ha ucciso tutte le api dei dintorni. Le culture tradizionali guardano il mondo così com'è, e si limitano a rispettarne le dinamiche e i cicli, e non si chiedono nè il come e nemmeno il perchè questi siano come sono e non diversamente, e quando lo fanno l'unica risposta che si danno, la più semplice, più banale se vuoi ma anche l'unica vera, è perchè "Dio (o il Grande Spirito) ha voluto così" e loro si adeguano a tale volontà che percepiscono ovviamente come immensamente più grande di loro. Poi siccome l'uomo si chiede comunque il "perchè" delle cose (e molto spesso più il bambino che l'uomo) sono state inventate una miriade di storie, di leggende, di favole, di miti di ogni genere per spiegare qualunque cosa: ma tutte queste hanno in comune l'obiettivo di "giustificare" il perchè le cose vanno in un certo modo alla naturale curiosità infantile (che spesso è presente anche negli adulti), ma non certo quello di intervenire per modificarne l'andamento, perchè se così fosse non avrebbero usato tutta quella fantasia ma un diverso linguaggio e una diversa concretezza.  Tutta la loro struttura culturale parte dalla consapevolezza di una volontà immensa che "fa" e "disfa" le cose del mondo e viene compresa, elaborata, espressa e simboleggiata sulla base della mera osservazione e a cui deve logicamente seguire il comportamento umano adeguandosi a tale volontà, che si esprime quotidianamente nelle dinamiche già citate. La religione è dunque quella struttura culturale umana che partendo dalla consapevolezza dell'unità del mondo in una volontà superiore che si esplica a partire dal movimento dei pianeti fino alla crescita del filo d'erba aiuta un popolo (e ogni appartenente ad esso) a prenderne coscienza,  farsene una ragione (con l'aiuto, se necessario, delle storie già citate) e adeguare  le proprie dinamiche in conformità ad essa.

Tu dici (e questa è una toppata clamorosa) che la scienza non ha mai avuto la pretesa di cercare le risposte sui perchè: e allora come mai se digiti un qualunque "perchè" (da "perchè il fuoco brucia" a "perchè l'acqua bagna") su Google trovi solo le risposte della scienza? Perchè mai escono periodicamente libroni e riviste scientifiche (o pseudo-tali, vedi Focus) che ti spiegano ogni e qualsiasi perchè che derivano sempre da "ricerche scientifiche"? Perchè mai qualunque scienziato dopo il "come" si sente sempre in dovere di spiegare anche il "perchè" di qualcosa? Certo spesso si confonde il "come" con il "perchè" ma ad esempio per quanto riguarda gli animali e la biologia in generale ci si sente sempre in dovere ad esempio di spiegare perchè il pavone ha quella coda, perchè i felini hanno le unghie retrattili e milioni di altri "perchè" che non sono assimilabili al "come"


Citazione di: Eretiko il 14 Febbraio 2017, 19:49:39 PMLa conoscenza può anche essere fine a se stessa, rispondendo semplicemente alla curiosità umana, non è necessariamente qualcosa indirizzato al suo sfruttamento tecnologico. Quale sfruttamento può avere la teoria della relatività? Forse nel futuro qualcuno potrà avere una qualche idea per sfruttarla per qualche nostra esigenza, ma al momento le uniche applicazioni pratiche sono: la sincronizzazione dei satelliti GPS, calcolare precisamente la precessione dell'orbita di Mercurio, alcune misure sulla struttura dell'universo. Non molto per una teoria che ha richiesto 10 anni di lavoro ed un secolo di osservazioni ed esperimenti. Forse Maxwell quando teorizzò le onde elettromagnetiche pensava che un giorno si sarebbero sfruttare per le telecomunicazioni? Come tu stesso hai sottolineato, la scienza nel suo complesso è un metodo, ma non ci sono gerarchie: il metodo è uno ed uno solo, ed è un processo che fornisce conoscenza. Poi ci sono le varie discipline, che utilizzano le conoscenze, ad esempio la Medicina e l'Ingegneria, per produrre beni (talvolta inutili) atti a soddisfare i nostri bisogni (talvolta superflui), ma sono processi distinti: da una parte un metodo che fornisce conoscenza, dall'altra l'eventuale sfruttamento pratico di tale conoscenza. Riguardo al problema dell'etica io non ho risposte, ma è ovvio che comunque le scoperte scientifiche hanno indebolito i presupposti che, ad esempio nel cristianesimo, davano all'etica ragione di esistere. Basta pensare al sistema copernicano, che rivoluzionava un sistema del mondo fatto proprio dal cristianesimo, o la teoria dell'evoluzione che ha ridotto la creazione biblica a un mito. Credo che la vera crisi però si consumerà quando cadranno gli ultimi baluardi sui quali si fonda un'implicita distinzione tra l'uomo e il resto dell'universo. Le neuroscienze sono sul punto di svelare i meccanismi più profondi della vita, mostrando come questi non abbiano nulla di trascendentale e possano essere spiegati in base alle stesse leggi fisiche che regolano l'universo (comprese le cose inanimate). Cosa accadrà quando la scienza dimostrerà che anche i processi cerebrali alla base delle facoltà intellettive, compresa la coscienza e il libero arbitrio, sono spiegabili con leggi fisiche? Non lo dico perché sono contento che sia così, o perché faccio il tifoso, o per arroganza ateista, ma stiamo scoprendo che questo è, e una riflessione sulle implicazioni etiche la dobbiamo fare, in modo costruttivo e senza demonizzazioni.

La conoscenza fine a se stessa non potrà mai essere una base sulla quale fondare la vita dell'uomo. L'uomo ha sempre cercato la conoscenza per poterla usare, e non per non farsene niente. Se l'uomo è sempre andato, come diceva Aristotele, alla ricerca del sapere, è perchè percepiva evidentemente una mancanza, ma se tu gli fornisci una conoscenza che non serve a nulla tale mancanza non potrà mai essere colmata. La conoscenza deve servire all'uomo per comprendere il mondo, trovare in esso il proprio posto e fornire attraverso ciò un senso alla sua esistenza;  una conoscenza che non serve a questo non fa il suo mestiere, tanto è vero che la conoscenza scientifica che non è applicabile tecnicamente viene sfruttata per fare bella figura nei consessi accademici, oppure per risolvere le parole crociate, o magari per partecipare ad un telequiz. Un modo per occupare la mente di tante cose inutili.


Citazione di: Eretiko il 14 Febbraio 2017, 19:49:39 PMPremesso che anche la comunità scientifica, composta di uomini, è soggetta a partenze per la tangente, ad atteggiamenti meschini, a truffe, a rivalità, al richiamo del portafogli e a sotterfugi, occorre distinguere quelle che sono semplici ipotesi (magari anche plausibili) da quelle che sono teorie verificate e verificabili. In base al metodo l'unica conoscenza che raggiuge lo status di verità è quella nella quale una teoria è coerente e verificabile da ognuno, replicabile da chiunque in ogni luogo e in ogni tempo. Le ipotesi, per quanto plausibili, rimangono pur sempre delle ipotesi. A questo serve la comunità scientifica, anche se al suo interno vengono consumati misfatti: a produrre conoscenza (scientifica) certificata. A me non sembra esattamente una "chiesa". Poi, potresti farmi notare che la conoscenza scientifica non è "la conoscenza" (unica), ma solo una sua fetta. Ma qui ci vorrebbe una discussione a parte.

Non è questione di uomini più o meno meschini, corrotti e truffatori. Ammettiamo pure che la comunità scientifica sia tutta formata da uomini integerrimi sotto ogni punto di vista. La questione è che in ossequio al principio di realtà solo una estrema minoranza di uomini avrà il tempo, la voglia, i mezzi tecnici e la preparazione per verificare le affermazioni della comunità scientifica, e la quasi totalità si avvarrà del noto "principio di autorità" per organizzare la propria vita. Anche nella Chiesa chiunque avesse avuto la voglia, il tempo, l'intelligenza e la preparazione necessarie (mezzi tecnici non sono previsti, a differenza della scienza che per esempio se non disponi di un microscopio elettronico, di un megatelescopio o di un acceleratore di particelle come quello del CERN non puoi contestare la veridicità di un sacco di teorie; e chi ce li ha?) avrebbe potuto discutere e se del caso contestare le sue affermazioni, come del resto è accaduto, e dunque siccome il 99 e rotti per cento delle persone non verificherà da sé ma si appoggerà al principio di autorità già citato la comunità scientifica, come la Chiesa a suo tempo, diverrà l'unica detentrice del "sapere", che fra l'altro non è nemmeno un sapere certo in nessun caso poichè essendo applicato alla materia che è costantemente in divenire  non è affatto detto che sia valido in ogni luogo e in ogni tempo (se non cambia il fatto che esista ed esisterà sempre la forza di gravità, che ovviamente è nota a tutti da sempre, non è detto che sia sempre la stessa dovunque e in ogni tempo, per cui gli studi che servono per far volare un aereo oggi sulla terra lo farebbero magari crollare fra mille anni, oppure anche oggi ma su un altro pianeta) mentre il sapere della Chiesa essendo prevalentemente metafisico (il sapere "fisico" o "scientifico" della chiesa è molto spesso una deduzione del metafisico e quindi può variare col variare delle condizioni e quindi l'adozione che hai citato prima del sistema tolemaico da parte della Chiesa antica è frutto di una errata deduzione dai testi sacri) quindi non condizionato dal divenire è veramente valido in ogni luogo (intendo anche nella più lontana delle galassie) e in ogni tempo (intendo 100.000 anni fa come fra 100.000 anni). Immagino l'obiezione: "Ma la Chiesa fonda il suo sapere sui testi sacri mentre la scienza no". Sbagliato. Anche la scienza si fonda su di un sapere di gente che è venuta prima e si fida di quello, mica lo verifica tutto ogni volta da zero (perchè sarebbe materialmente impossibile farlo) e quindi "dà per scontato" un sapere e lo sviluppa o lo reinterpreta alla luce delle nuove scoperte (esattamente come la Chiesa). Solo che il sapere metafisico e quindi essenziale della Chiesa è ripensabile da chiunque da zero (poi certo non si possono ripensare e riverificare tutte le deduzioni che ne sono state tratte) mentre quello della scienza, già frammentario dalle origini in diverse discipline, no.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Duc in altum! il 15 Febbraio 2017, 20:16:33 PM
**  scritto da Eretiko:
CitazioneCosa accadrà quando la scienza dimostrerà che anche i processi cerebrali alla base delle facoltà intellettive, compresa la coscienza e il libero arbitrio, sono spiegabili con leggi fisiche? Non lo dico perché sono contento che sia così, o perché faccio il tifoso, o per arroganza ateista, ma stiamo scoprendo che questo è, e una riflessione sulle implicazioni etiche la dobbiamo fare, in modo costruttivo e senza demonizzazioni.
Ossia, cosa accadrà quando (forse è più appropriato un se...) la scienza dimostrerà, incontrovertibilmente, al 100%, senza nessun margine di errore, che non siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio? Nulla, giacché la stragrande maggioranza degli abitanti terrestri già vivono, volenti o nolenti, in questo evento.

Questo è il vero motivo della disgregazione della dignità umana, non solo di quella occidentale: senza Dio tutto è permesso.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: paul11 il 16 Febbraio 2017, 01:40:20 AM
Niente come il capitalismo rappresenta  nella prassi della matrice originaria dell'attuale cultura, Uno che lo ha capito era un certo Marx, ma non era un semplice economista, era pensatore, in certo qual modo filosofo.la nostra cultura induttiva , io direi solo induttiva, perchè questo è il suo problema, l'incapacità di porre relazioni fra domini formulando quindi altre forme conoscitive, come quella deduttiva ripudiata, indaga sulla natura, su ciò che appare e si manifesta sensorialmente.
Il capitalismo è la tipica rappresentazione interpretata del dominio della natura nelle forme organizzate umane.
Semantiche e sintassi sono troppo simili per non vederne analogie.ciclo, sviluppo,crisi, le borse "toro" o "orso"(rialzisti,ribassisti).contrazione, espansione.
Ma il capitalismo vive sull'iniquità, sull'avidità, su sviluppi ineguali, su processi di produzione e ridistribuzioni delle risorse differenti, sia nazionalmente che globalmente.
La natura ha ordini interni che funzionano come orologi che tendono sempre al riequilibrio,L'erbivoro non può nutrirsi  di carne, il virus ha un ciclo di vita velocissimo, prolifica moltissimo applica mutagenesi veloci, il grande carnivoro vive molto prolifica poco e tende ad una stabilità e più l'animale ha parvenze di intelligenza più i cuccioli vengono accuditi temporalmente di più.Persino i cicli cell'acqua, carbonio, azoto, del passaggio fra materiale organico ad inorganico e relativi batteri. sembra davvero che ognuno sappia cosa deve fare e vuol star bene per quello che è .

Brevemente sulle teorie monetarie tanto di moda di cui ho già scritto altrove .
In uno Stato autarchico chiuso all'import/export è praticabile stampare quantità di moneta nazionale fino a coprire l'intero fabbisognovfinanziario dello Stato,si può benissimo fare a meno delle entrate tributarie, abolizione del fisco.
Funziona finchè il denaro nazionale non entra nel sistema monetario internazionale e quindi diventa valuta rapportata alle altre monete e quì nascono gli squilibri.
Allora la teoria scelta dall'Europa può avere una sua giustificazione. In un sistema globale multipolare dove si sono affacciati nuovi grandi Stati come potenze economiche il livello di competizione è rappresentato anche dal potere monetario delle singole valute.Un 'economia capitalistica che è fondata sul debito come generatore del frutto del capitale, l'interesse che si tramuta in saggio di capitalizzazione e saggio del profitto,tutti stanno temendo di perdere il controllo delle economie interne, tanto più in una Europa con una unica moneta ma con Stati indipendenti, non essendoci una unità politica come una federazione ad esempio di Stati(esempio USA).

Non ci sono ricette strutturali per contraddizione culturali, la poltica gestisce gli effetti in subordine dell'economia, mai le cause diversamente non sarebbe libero mercato come lo si vuol far passare e capitalismo come formazione del plusvalore nel profitto. In realtà, ed è quello che penso è impossibile non avere gestioni di controllo comuni a livello globale, perchè ognuno sta attendendo le mosse degli altri e si cercano molti trattati internazionali (è di oggi quello fra Europa e Canada) e intanto stanno riordinando le economie interne per essere pronti allo sviluppo che riapre alla competizione, in quanto materie prime minerarie e alimentari, materie energetiche sono sotto pressione ne i prezzi come la domanda mondiale si alza e genera inflazione.
Chi ha problemi strutturali interni, e l'italia è una di quelle, rischia di non avere sotto controllo il sistema nel momento in cui si riaprisse uno sviluppo internazionale
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Eretiko il 16 Febbraio 2017, 10:38:46 AM
Citazione di: Duc in altum! il 15 Febbraio 2017, 20:16:33 PM
Questo è il vero motivo della disgregazione della dignità umana, non solo di quella occidentale: senza Dio tutto è permesso.

Spero veramente che tu non sia convinto di questa affermazione, anche perché è indimostrabile oltre che pretestuosa.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Duc in altum! il 16 Febbraio 2017, 10:53:39 AM
"I politici greci, che vivevano in un governo popolare, riconoscevano nella virtù l'unica forza capace di sostenerlo. I politici d'oggi ci parlano solo di manifatture, di commercio, di finanze, di ricchezze, perfino di lusso. Quando viene a cessare questa virtù, entra l'ambizione nei cuori pronti a riceverla, e l'avidità di tutti. I desideri mutano d'oggetto: ciò che una volta si amava, non lo si ama più; si era liberi con le leggi, lo si vuole essere contro di esse. Ogni cittadino pare uno schiavo fuggito dalla casa del padrone."
~ Montesquieu, "Lo spirito delle leggi", III, 3
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: cvc il 16 Febbraio 2017, 10:54:56 AM
Citazione di: paul11 il 16 Febbraio 2017, 01:40:20 AM
Niente come il capitalismo rappresenta  nella prassi della matrice originaria dell'attuale cultura, Uno che lo ha capito era un certo Marx, ma non era un semplice economista, era pensatore, in certo qual modo filosofo.la nostra cultura induttiva , io direi solo induttiva, perchè questo è il suo problema, l'incapacità di porre relazioni fra domini formulando quindi altre forme conoscitive, come quella deduttiva ripudiata, indaga sulla natura, su ciò che appare e si manifesta sensorialmente.
Il capitalismo è la tipica rappresentazione interpretata del dominio della natura nelle forme organizzate umane.
Semantiche e sintassi sono troppo simili per non vederne analogie.ciclo, sviluppo,crisi, le borse "toro" o "orso"(rialzisti,ribassisti).contrazione, espansione.
Ma il capitalismo vive sull'iniquità, sull'avidità, su sviluppi ineguali, su processi di produzione e ridistribuzioni delle risorse differenti, sia nazionalmente che globalmente.
La natura ha ordini interni che funzionano come orologi che tendono sempre al riequilibrio,L'erbivoro non può nutrirsi  di carne, il virus ha un ciclo di vita velocissimo, prolifica moltissimo applica mutagenesi veloci, il grande carnivoro vive molto prolifica poco e tende ad una stabilità e più l'animale ha parvenze di intelligenza più i cuccioli vengono accuditi temporalmente di più.Persino i cicli cell'acqua, carbonio, azoto, del passaggio fra materiale organico ad inorganico e relativi batteri. sembra davvero che ognuno sappia cosa deve fare e vuol star bene per quello che è .

Brevemente sulle teorie monetarie tanto di moda di cui ho già scritto altrove .
In uno Stato autarchico chiuso all'import/export è praticabile stampare quantità di moneta nazionale fino a coprire l'intero fabbisognovfinanziario dello Stato,si può benissimo fare a meno delle entrate tributarie, abolizione del fisco.
Funziona finchè il denaro nazionale non entra nel sistema monetario internazionale e quindi diventa valuta rapportata alle altre monete e quì nascono gli squilibri.
Allora la teoria scelta dall'Europa può avere una sua giustificazione. In un sistema globale multipolare dove si sono affacciati nuovi grandi Stati come potenze economiche il livello di competizione è rappresentato anche dal potere monetario delle singole valute.Un 'economia capitalistica che è fondata sul debito come generatore del frutto del capitale, l'interesse che si tramuta in saggio di capitalizzazione e saggio del profitto,tutti stanno temendo di perdere il controllo delle economie interne, tanto più in una Europa con una unica moneta ma con Stati indipendenti, non essendoci una unità politica come una federazione ad esempio di Stati(esempio USA).

Non ci sono ricette strutturali per contraddizione culturali, la poltica gestisce gli effetti in subordine dell'economia, mai le cause diversamente non sarebbe libero mercato come lo si vuol far passare e capitalismo come formazione del plusvalore nel profitto. In realtà, ed è quello che penso è impossibile non avere gestioni di controllo comuni a livello globale, perchè ognuno sta attendendo le mosse degli altri e si cercano molti trattati internazionali (è di oggi quello fra Europa e Canada) e intanto stanno riordinando le economie interne per essere pronti allo sviluppo che riapre alla competizione, in quanto materie prime minerarie e alimentari, materie energetiche sono sotto pressione ne i prezzi come la domanda mondiale si alza e genera inflazione.
Chi ha problemi strutturali interni, e l'italia è una di quelle, rischia di non avere sotto controllo il sistema nel momento in cui si riaprisse uno sviluppo internazionale
Non credo che l'accumulo di capitale abbia una accezione esclusivamente negativa. Senza concentrazione di capitale non ci sarebbero le strutture su cui si sorregge la nostra civiltà. L'epoca in cui in Grecia sorse la filosofia e le radici dell'attuale scienza fu possibile grazie ad un periodo di floridità, in cui uomini di intelletto poterono dedicarsi a qualcosa che trascende le strette occupazioni necessarie. Non conosceremmo nulla del mondo antico se concentrazioni di capitale non avessero permesso l'edificazione dei grandi edifici, dei momumenti, delle opere d'arte. Anche la nascita delle prime biblioteche è conseguenza di un certo accentramento della ricchezza. Secondo me il problema è proprio quello di stabilire cos'è la ricchezza oggi. Nella "ricchezza delle nazioni" Smith scriveva che la ricchezza è la capacità di produrre lavoro. Adesso che il lavoro viene sempre più delegato alla tecnologia, si potrebbe dire che la ricchezza è data dal possesso della tecnologia. Ma la tecnologia non sono solo web, smartphone, computer, software, robot. La tecnologia sono anche le formule finanziarie che guidano l'andamento del denaro, che è il simbolo o la sintesi della ricchezza. Per quel poco che ne capisco i mezzi di investimento finanziario sono tutti incentrati sui derivati, che sono grossomodo scommesse che generano coperture su tali scommesse, e poi altre coperture delle coperture. Un labirinto di algoritmi dove per ricavarci qualcosa bisogna masticare termini come diversificazione, gestione del rischio, armonizzazione del portafoglio, arbitraggio, random walk, black and schole, ecc. Fino a qui tutto bene, uno potrebbe dire 'ma che il diavolo se la porti sta cavolo di finanza'. Il problema è che poi ti accorgi che in questo marasma di scommesse e algoritmi ci stanno dieci volte i soldi dell'economia reale e che, alla faccia di Keynes, l'economia vera è diventata la coda del cane. Quindi se la ricchezza non è più la capacità di produrre lavoro, ma è rappresentata da scommesse algoritmiche, c'è da chiedersi se ci stiamo capendo qualcosa
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Duc in altum! il 16 Febbraio 2017, 13:42:05 PM
**  scritto da Eretiko:
CitazioneSpero veramente che tu non sia convinto di questa affermazione, anche perché è indimostrabile oltre che pretestuosa.
Perché è forse dimostrabile che l'uomo da solo, soprattutto nel suo privato, non è moralmente disgregato? Quindi non è un pretesto, ma una ragione di fede.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: paul11 il 16 Febbraio 2017, 19:02:23 PM
Citazione di: cvc il 16 Febbraio 2017, 10:54:56 AM
Citazione di: paul11 il 16 Febbraio 2017, 01:40:20 AM
Niente come il capitalismo rappresenta  nella prassi della matrice originaria dell'attuale cultura, Uno che lo ha capito era un certo Marx, ma non era un semplice economista, era pensatore, in certo qual modo filosofo.la nostra cultura induttiva , io direi solo induttiva, perchè questo è il suo problema, l'incapacità di porre relazioni fra domini formulando quindi altre forme conoscitive, come quella deduttiva ripudiata, indaga sulla natura, su ciò che appare e si manifesta sensorialmente.
Il capitalismo è la tipica rappresentazione interpretata del dominio della natura nelle forme organizzate umane.
Semantiche e sintassi sono troppo simili per non vederne analogie.ciclo, sviluppo,crisi, le borse "toro" o "orso"(rialzisti,ribassisti).contrazione, espansione.
Ma il capitalismo vive sull'iniquità, sull'avidità, su sviluppi ineguali, su processi di produzione e ridistribuzioni delle risorse differenti, sia nazionalmente che globalmente.
La natura ha ordini interni che funzionano come orologi che tendono sempre al riequilibrio,L'erbivoro non può nutrirsi  di carne, il virus ha un ciclo di vita velocissimo, prolifica moltissimo applica mutagenesi veloci, il grande carnivoro vive molto prolifica poco e tende ad una stabilità e più l'animale ha parvenze di intelligenza più i cuccioli vengono accuditi temporalmente di più.Persino i cicli cell'acqua, carbonio, azoto, del passaggio fra materiale organico ad inorganico e relativi batteri. sembra davvero che ognuno sappia cosa deve fare e vuol star bene per quello che è .

Brevemente sulle teorie monetarie tanto di moda di cui ho già scritto altrove .
In uno Stato autarchico chiuso all'import/export è praticabile stampare quantità di moneta nazionale fino a coprire l'intero fabbisognovfinanziario dello Stato,si può benissimo fare a meno delle entrate tributarie, abolizione del fisco.
Funziona finchè il denaro nazionale non entra nel sistema monetario internazionale e quindi diventa valuta rapportata alle altre monete e quì nascono gli squilibri.
Allora la teoria scelta dall'Europa può avere una sua giustificazione. In un sistema globale multipolare dove si sono affacciati nuovi grandi Stati come potenze economiche il livello di competizione è rappresentato anche dal potere monetario delle singole valute.Un 'economia capitalistica che è fondata sul debito come generatore del frutto del capitale, l'interesse che si tramuta in saggio di capitalizzazione e saggio del profitto,tutti stanno temendo di perdere il controllo delle economie interne, tanto più in una Europa con una unica moneta ma con Stati indipendenti, non essendoci una unità politica come una federazione ad esempio di Stati(esempio USA).

Non ci sono ricette strutturali per contraddizione culturali, la poltica gestisce gli effetti in subordine dell'economia, mai le cause diversamente non sarebbe libero mercato come lo si vuol far passare e capitalismo come formazione del plusvalore nel profitto. In realtà, ed è quello che penso è impossibile non avere gestioni di controllo comuni a livello globale, perchè ognuno sta attendendo le mosse degli altri e si cercano molti trattati internazionali (è di oggi quello fra Europa e Canada) e intanto stanno riordinando le economie interne per essere pronti allo sviluppo che riapre alla competizione, in quanto materie prime minerarie e alimentari, materie energetiche sono sotto pressione ne i prezzi come la domanda mondiale si alza e genera inflazione.
Chi ha problemi strutturali interni, e l'italia è una di quelle, rischia di non avere sotto controllo il sistema nel momento in cui si riaprisse uno sviluppo internazionale
Non credo che l'accumulo di capitale abbia una accezione esclusivamente negativa. Senza concentrazione di capitale non ci sarebbero le strutture su cui si sorregge la nostra civiltà. L'epoca in cui in Grecia sorse la filosofia e le radici dell'attuale scienza fu possibile grazie ad un periodo di floridità, in cui uomini di intelletto poterono dedicarsi a qualcosa che trascende le strette occupazioni necessarie. Non conosceremmo nulla del mondo antico se concentrazioni di capitale non avessero permesso l'edificazione dei grandi edifici, dei momumenti, delle opere d'arte. Anche la nascita delle prime biblioteche è conseguenza di un certo accentramento della ricchezza. Secondo me il problema è proprio quello di stabilire cos'è la ricchezza oggi. Nella "ricchezza delle nazioni" Smith scriveva che la ricchezza è la capacità di produrre lavoro. Adesso che il lavoro viene sempre più delegato alla tecnologia, si potrebbe dire che la ricchezza è data dal possesso della tecnologia. Ma la tecnologia non sono solo web, smartphone, computer, software, robot. La tecnologia sono anche le formule finanziarie che guidano l'andamento del denaro, che è il simbolo o la sintesi della ricchezza. Per quel poco che ne capisco i mezzi di investimento finanziario sono tutti incentrati sui derivati, che sono grossomodo scommesse che generano coperture su tali scommesse, e poi altre coperture delle coperture. Un labirinto di algoritmi dove per ricavarci qualcosa bisogna masticare termini come diversificazione, gestione del rischio, armonizzazione del portafoglio, arbitraggio, random walk, black and schole, ecc. Fino a qui tutto bene, uno potrebbe dire 'ma che il diavolo se la porti sta cavolo di finanza'. Il problema è che poi ti accorgi che in questo marasma di scommesse e algoritmi ci stanno dieci volte i soldi dell'economia reale e che, alla faccia di Keynes, l'economia vera è diventata la coda del cane. Quindi se la ricchezza non è più la capacità di produrre lavoro, ma è rappresentata da scommesse algoritmiche, c'è da chiedersi se ci stiamo capendo qualcosa
cvc,
il processo di accumulazione è dato da un incremento di produttività.
Esemplificazione banale: 10 persone lavorano e raccolgono la quantità bastante per loro stessi
Se raccolgono di più di quello che raccolgono lo immagazzinano e si ha l'accumulazione che libera risorse.
Queste risorse liberate possono essere gestite in molti modi. Nel tuo esempio che è dentro l'analisi marxista delle società raccoglitrici si liberarono dal lavoro attivo scribi e sacerdoti.
Ma allora c'è una divisione sociale del lavoro funzionale ai ruoli? Perchè implica anche la divisone dei saperi.
Se a ognuno fa piacere rimanere lavoratore, scriba. sacerdote e mettiamoci i filosofi, allora l'equilibrio sociale è pacificato, perchè chi lavora fisicamente la terra riconosce che gli altri hanno talenti superiori ai soui, ma soprattuo che  li aiuta, che lo scriba, il sacerdote e il filosofo aiutano chi lavora. Non penso che ciò fosse al tempo dei filosofi greci, penso che fossero al guado fra società virtuose e divaricazione dei ruoli con relativo sfruttamento.
Nella società virtuosa chi governa l ofa per chi lavora. i lavoratore dà fisicamente il raccolto, in cambio riceve la capacità di governo, la capacità di tenere la contabilità, la saggezza. Ognuno sa dove stare e quindi è in ordine.

Ci sembra così oggi? Lo sfruttamento che ha caratteristiche intensive e non estensive non è più un mettere a frutto.
L'industrializzazione è talmente chiara che gli indicatori economici del processo produttivo erano orientati all'efficienza. Il taylorismo, la suddivisione del procedimento lavorativo in fasi e il fordismo, per un lavoro cretino scelgo una persona cretina, sono chiaramente tecniche che dimostrano che la struttura produttiva è la forma organizzata umana che replica la divisone sociale della conoscenza e della ricchezza che si riflette nel sociale persino nell'urbanistica del del borgo dei ricchi, di quello degli operai, ecc.

Ma ti potrei dire, ritoranndo all'esempio precedente, che i dieci lavoratori aumentando la produttività decidono di dividersi equamente il raccolto in più, oppure decidono di lavorare meno, non vogliono accumulare vogliono più tempo per loro passioni e meno per il lavoro.

Ora spostalo nei sistemi organizzati dei processi ad alta tecnologia, e vedrai che la contraddizione che si evidenzierà sempre più è che pochi lavorano molto e mantengono molti che non lavorano.
ma soprattutto sempre in quell'esempio, chi dice che magari fra chi lavora attivamente ha un talento per un sapere ,ma gli è precluso.Quanti potenziali filosofi ha perso l'umanità, quanti geni avremmo potuto avere in più?
Allora uno dei problemi è la giustizia nella prassi dove la meritocrazia deve necessariamente avere una base di partenza uguale per tutti, ma sappiamo che non è così. perchè un'altro problema è il principio ereditario, per cui si ereditano privilegi, ma non è detto che si abbiano le stesse qualità del padre, nonno, ecc.
Il principio ereditario ha costruito "la rendita di posizione"che è iniqua come concetto di giustizia.

Il paradosso capitalistico fu il luddismo inglese della prima fase .Ludd ruppe la macchina perchè gli "rubava" il alvoro. Questo paradosso è insito più che mai oggi nella costituzione della formazione di ricchezza .
La tecnologia che soppianta il lavoro in una soietà dove il reddito è legato al lavoro è il fattore più importante della sostituzione e cancellaizone del lavoro= reddito da lavoro(salario, stipendio).
Una società "normale" invece se la tecnologia incrementa la produttività, allora  diminuiscono la ore lavorate a parità di stipendio e si mantiene lo stesso numero di occupati,Ma il capitalista è l'ultima cosa che darebbe, piuttosto aumenta gli stipendi perchè sa che i costi maggiori di incremento degli stipendi li scarica sui prezzi finali e immediatamente inflaziona gli aumenti dati azzerandoli, Oppure furbescamente dice ai rappresentanti dei lavoratori che c'è competizione per cui aumentando i prezzi finali rischia che il consumatore non acquista più i suoi prodotti e si inventa nuovi investimenti che dovrebbero aumentare l'occupazione.
E quì siamo alla cecità politica assoluta. Quando i politicanti dicono che si ripartirà se gli imprenditori investiranno e sono d'accodo anche i sindacati dei lavoratori, o mentono sapendo di mentire, o sono ignoranti. 
Qualunque nuova attivtà data da un investimento è già progettata per avere meno lavoro possible e alta tecnologia, oppure gli investimenti sono sostitutivi di vecchie linee di produzione o per rnuove progetti di produzione, ma sempre e comunque quel dire che si investirà come se proporzionalmente si creerà occupazione sarà sempre più una menzogna al crescere delle tecnologie che non solo tendono a sostituire il avoro, ma ad integrare i processi stessi.Una mietitrebbia, fa almeno due lavori, tanto per apirci e magari fa anche la rotoballa di fieno  che si vedono nei campi.Voi in autostrada vedete un sacco di gente che lavora nei campi?
Nelle risaie si livellano le defluenze delle acque con trattori al laser con tanto  di gps per la trigonometria.

Questo sistema socialmente è destinato al collasso grazie anche alla globalizzazione.Se poi sarà pacifico o meno è un'altro discorso.

La finanza ha avuto sempre più potere proprio grazie agli incrementi di produttività intensivi che si traducevano in accumulazione che poi sono profitti e risparmi. Ma ribadisco, l'invenzione dell'interesse è decisivo anche per il passaggio delle culture, si passa dal circolo virtuoso al circolo utilitaristico, Io non faccio più una cosa per un'altro che oggi si chiama favore, pondero utilitaristicamente  il mio comportamento persino dentro le famiglie è così.
I profitti e risparmi sono capitali che gnerano interesse che va poi a far parte del capitale, in ciclo infinito.
Se oggi nessuno al mondo producesse un chiodo o un kg. di pane, gli interessi sui capitali salgono ugualmente in funzione di tassi che il mercato in generale stabilisce. Significa che la carta moneta crea a dismisura giorno dopo giorno costruendo interesse sull'interesse,Non hanno importanza i nomi esotici che l'ingegneria finanziari crea loro sanno che ogni debito, da un mutuo ad un prestito per un viaggio, o per le ferie, si genera un interesse loro prendono quindi i debiti li chiamano con un nome esotico e li spediscono sul mercato globale, Tu che investi non sai che stai speculando sul nome esotico ingegnerizzato della finanza che è un mutuo, un finanziamento che una società immobiliare dell' Arkansas ha contratto con un lavoratore precario. L'agente immobiliare sta facendo bella figura con il suo capo e il suo capo vede un sacco di denaro ed è felice. Il precario perde il posto di lavoro, c'è crisi e insieme a lui lo perdono molti altri. In economia bancaria esiste il termine "fido" per cui prima di contrarre un 'ipoteca sul mutuo si deve vedere la situazione finanziari di chi accede al mutuo se è in grado o meno di farlo, quindi il fido è una tecnica per abbassare la probabilità di rischio che non venga pagato il mutuo contratto.
Accade che il mutuo non vine pagato si pignora la casa, ma essendoci crisi si sono pignorate mole case, per cui i prezzi delle case calano e la società immobiliare chiude l'attività o comunque è in perdita. L'italiano che ha comprato l'esotico nome finanziario che l'agente bancario gli ha propinato perchè il suo capo  ha saputo dal suo capo che ha saputo dagli strateghi della sede centrale della banca che hanno pezzi di carta privi di valore e devono liberarsene il più presto possible, ecco il risparmiatore infinocchiato da anni di lavoro accumulato.
Non c'è possibilità di salvaguardare economicamente in questo sistema,l'intervento dello Stato a mio parere non avrebbe nemmeno dovuto esserci, nè per le banche e nemmeno per i risparmiatori, perchè li paga tutta la cittadinanza italiana tramite il fisco.
il normale risparmiatore non avrà mai il potere dell'informazione di chi specula, può vedere solo gli indicatori dei mercati e il suo specifico investimento come sta andando.
Quando il sistema finanziario è molto più potente da tempo rispetto al sistema produttivo significa che il sistema in generale è già in squilibrio. i risparmi  dal stipendiato all'imprenditore sono tramutabili in lavoro ad esempio ,perchè sono surplus che qualcuno ha deciso non andassero reinvestiti nelle produzioni. ma quì il discorso si farebbe complesso.Ti faccio un esempio concreto, A inizio anni Ottanta quando l'inflazione in Italia era altissima, il saggio di profitto era inferiore ai tassi dei BOT e CCT. L'imprenditore i suoi guadagni non li reinvestiva produttivamente, ma comprava appunto BOT e CCT che rendevano di più. Ma quì entriamo appunto sul come Stati e poteri forti gestiscono o no  l'intero sistema, dove le  Banche Centrali come la Federal Reserve ola BCE hanno enormi poteri sulla gestibilità attraverso l'innalzamento o riduzione del costo del capitale.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: InVerno il 17 Febbraio 2017, 15:00:59 PM
Citazione di: donquixote il 15 Febbraio 2017, 15:32:58 PM
Tu dici (e questa è una toppata clamorosa) che la scienza non ha mai avuto la pretesa di cercare le risposte sui perchè: e allora come mai se digiti un qualunque "perchè" (da "perchè il fuoco brucia" a "perchè l'acqua bagna") su Google trovi solo le risposte della scienza? Perchè mai escono periodicamente libroni e riviste scientifiche (o pseudo-tali, vedi Focus) che ti spiegano ogni e qualsiasi perchè che derivano sempre da "ricerche scientifiche"? Perchè mai qualunque scienziato dopo il "come" si sente sempre in dovere di spiegare anche il "perchè" di qualcosa? Certo spesso si confonde il "come" con il "perchè" ma ad esempio per quanto riguarda gli animali e la biologia in generale ci si sente sempre in dovere ad esempio di spiegare perchè il pavone ha quella coda, perchè i felini hanno le unghie retrattili e milioni di altri "perchè" che non sono assimilabili al "come"
E tu toppi clamorosamente nel pensare che i "popoli primitivi" non si chiedessero il perchè e il per come, lasciando perdere i veri popoli primitivi che in tal caso non avrebbero sviluppato alcuna mitologia e nemmeno avrebbero sviluppato la civiltà. Ma anche solo parlando di quelli rimasti nelle riserve odierne, si parla di popolazioni che non hanno alcuna remore nel rispondere a questi quesiti e hanno classificato tramite una rudimentale tassonomia migliaia di specie viventi, in tantissimi casi proprio dal punto di vista comportamentale e degli spiriti che rappresentano (che rispondono al "perchè"). La loro conoscenza è tuttavia "nozionistica" diremmo oggi, scollegata da una visione sistemica, contradditoria in molti casi, tramandamile difficilmente perchè orale. Etc. Ma anche supponendo per assurdo che tu abbia ragione, non si capisce come questo possa portare ad una migliore simbiosi naturale. L'uomo per sua natura non sottostà ai normali equilibri che regolano il resto del "creato", la sua stessa esistenza è in contraddizione a questo, l'unico modo che ha per raggiungere un ipotetico "impatto 0" è quello di ricreare un sistema simil-biologico artificiale, dove il suo impatto è controbilanciato da spinte uguale e contrarie meticolosamente messe a punto. Questo è ovviamente impossibile senza la scienza. L'intera mitologia del buon selvaggio si esaurisce davanti ad una semplice prova ampiamente documentata. Le popolazioni primitive odierne hanno raffazzonato un certo grado di equilibrio nel corso di millenni di sopravvivenza tecnologicamente stantia, se fosse la loro cultura a produrre questa conservazione del risultato, avverrebbero una di queste due cose di fronte ad un progresso tecnologico. A) lo rifiuterebbero B) usandolo manterrebbero gli equilibri fino ad ora instaurati. Non mi sovviene un singolo caso documentato di una popolazione primitiva, che venuta in possesso di maggiore capacità tecnologica e incisività sul sistema, lo rifiuti o non ne abusi. Forse si parla solamente di alcune popolazioni neozelandesi che abbandorono l'uso dell'arco, ma questo era probabilmente dovuto al fatto che avevano sterminato tutti i grandi animali dell'isola. Qualche anno fa invece sono state sequestrate tutte le ascie\machete di metallo a una serie di tribù amazzoniche. Ne erano venuti in possesso con scambi commerciali, e il tempo per tagliare un albero rispetto alle ascie di pietra era drasticamente diminuito, facendo si che gli stessi si prodigassero in deforestazione indiscriminata. Forse il loro grande spirito li aveva mal consigliati, o forse erano semplicemente esseri umani e non sapevano che dall'altra parte del globo la Disney si divertisse a fantasticare su di loro.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: InVerno il 17 Febbraio 2017, 15:20:17 PM
Citazione di: paul11 il 16 Febbraio 2017, 19:02:23 PMcvc,
il processo di accumulazione è dato da un incremento di produttività.
Esemplificazione banale: 10 persone lavorano e raccolgono la quantità bastante per loro stessi
Se raccolgono di più di quello che raccolgono lo immagazzinano e si ha l'accumulazione che libera risorse.
Queste risorse liberate possono essere gestite in molti modi. Nel tuo esempio che è dentro l'analisi marxista delle società raccoglitrici si liberarono dal lavoro attivo scribi e sacerdoti.
Ma allora c'è una divisione sociale del lavoro funzionale ai ruoli? Perchè implica anche la divisone dei saperi.
Se a ognuno fa piacere rimanere lavoratore, scriba. sacerdote e mettiamoci i filosofi, allora l'equilibrio sociale è pacificato, perchè chi lavora fisicamente la terra riconosce che gli altri hanno talenti superiori ai soui, ma soprattuo che  li aiuta, che lo scriba, il sacerdote e il filosofo aiutano chi lavora. Non penso che ciò fosse al tempo dei filosofi greci, penso che fossero al guado fra società virtuose e divaricazione dei ruoli con relativo sfruttamento.
Nella società virtuosa chi governa l ofa per chi lavora. i lavoratore dà fisicamente il raccolto, in cambio riceve la capacità di governo, la capacità di tenere la contabilità, la saggezza. Ognuno sa dove stare e quindi è in ordine.
La finanza ha furbamente modellato il sistema affinchè la politica "segua" e le singole persone sono bloccate dal reagire per via del loro individualismo, sono d'accordo. Purtuttavia il collasso del sistema è il tipico caso del "male che non viene per nuocere". Se le forze politiche avessero le redini, probabilmente tenderebbero solamente a rallentare il processo (questo fanno già ora quando le sfiorano con le dita), non c'è (oppure venga indicata) una direzione verso la quale svoltare per evitare il collasso del lavoro e del denaro, la briglia può essere solo tirata per rallentare, questa è la mia impressione. Però a questo punto il filosofo come si pone? A me pare allo stesso modo della politica, provi a rallentare la corsa anzichè a immaginare il "dopo". Io penso che un buon filosofo (pour parler, non giudico) dovrebbe già essere oltre al collasso, dovrebbe già parlare di come il sistema dovrà essere ricalibrato successivamente. Dove sono i filosofi che provano a immaginare un sistema dove il denaro non ha più valore intriseco, o dove il lavoro non è più la forza regolatrice delle relazioni sociali? E' tutta qui la forza di pensiero del filosofo? Che senso ha di esistere un filosofo, se si trasforma in un mero analista del presente, per cui ci sono persone altamente più specializzate di lui? E' cosi sorprendente che poi la laurea in filosofia dia accesso alle casse dei supermercati, o produca dei Fusaro? Analisi del presente, nostalgie assurde del feudalismo o di società primitive, diatribe terminologiche, mezzi di analisi che si trasformano nei fini dell'analisi..A questa società mancano sogni, ipotesi, utopie, traguardi, e nessuno si interessa di forgiarne. Il rischo vero, è che anche dopo il collasso ci ritroveremo in un sistema similare cambiato solo in termini, perchè nessuno si è preoccupato di pensarci prima.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Eretiko il 17 Febbraio 2017, 19:53:43 PM
Citazione di: paul11 il 16 Febbraio 2017, 19:02:23 PM
Quando il sistema finanziario è molto più potente da tempo rispetto al sistema produttivo significa che il sistema in generale è già in squilibrio. i risparmi  dal stipendiato all'imprenditore sono tramutabili in lavoro ad esempio ,perchè sono surplus che qualcuno ha deciso non andassero reinvestiti nelle produzioni. ma quì il discorso si farebbe complesso.Ti faccio un esempio concreto, A inizio anni Ottanta quando l'inflazione in Italia era altissima, il saggio di profitto era inferiore ai tassi dei BOT e CCT. L'imprenditore i suoi guadagni non li reinvestiva produttivamente, ma comprava appunto BOT e CCT che rendevano di più. Ma quì entriamo appunto sul come Stati e poteri forti gestiscono o no  l'intero sistema, dove le  Banche Centrali come la Federal Reserve ola BCE hanno enormi poteri sulla gestibilità attraverso l'innalzamento o riduzione del costo del capitale.

Per analizzare seriamente la questione occorre uscire un attimo da questa favola che disegna la "finanza" malvagia e iniqua e i "poteri forti" che comandano sugli stati sovrani. Nel 1988 accompagnai mia nonna in banca per sottoscrivere un bot annuale da 10 milioni di lire, e lei ricevette, al netto delle tasse e delle commissioni bancarie, poco più di un milione di lire. Per quale motivo un imprenditore che si ritrovava diciamo un surplus di 100 milioni di lire non avrebbe dovuto anche lui sottoscrivere un bot? Moltiplichiamo adesso per tutti i "nonni" e per tutti coloro che comunque disponevano di una certa liquidità, e cerchiamo di farci un'idea di quanti soldi, in quell'epoca felice in cui molti sognano di ritornare, furono letteralmente "sottratti" agli investimenti produttivi per alimentare il debito pubblico: le banche invece di utilizzare i depositi per fare prestiti agli imprenditori e ai privati, prestavano soldi allo stato. Vuoi vedere che anche mia nonna, poverina, faceva parte della "finanza iniqua e malvagia" e dei "poteri forti"? Comunque l'imprenditore (pubblico o privato che fosse) invece di investire in rinnovamento tecnologico, in ristrutturazione, in formazione (dove tutti dicevano che avrebbe dovuto investire se voleva avere un futuro), preferì finanziare lo stato il quale ringraziò con le solite politiche di svalutazione competitiva, nell'ingenua convinzione che tanto di soldi se ne possono stampare quanti ne vogliamo, e continuando quell'italica tragica tradizione di "produzione senza innovazione e senza ricerca" (che fino agli anni 70 aveva funzionato) e di "capitalismo all'italiana" (super-drogato) che pensava di poter continuare lo sviluppo con prodotti di bassa qualità e di scarso contenuto innovativo.
Poi un giorno ci siamo svegliati ed abbiamo amaramente scoperto che cinesi e indiani ci facevano la concorrenza. Benvenuti nella superstrada della deindustrializzazione italiana  e della spirale nella quale, euro o non euro, noi siamo caduti: perché nel frattempo è anche successo che le banche italiane hanno accumulato 200 miliardi di euro di debito privato, che nessuno potrà ripagare (le famose "sofferenze"), e che ricadranno su tutti noi tramite aumento del debito pubblico.
   
   
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Eretiko il 17 Febbraio 2017, 20:31:25 PM
Citazione di: donquixote il 15 Febbraio 2017, 15:32:58 PM
Anche la scienza si fonda su di un sapere di gente che è venuta prima e si fida di quello, mica lo verifica tutto ogni volta da zero (perchè sarebbe materialmente impossibile farlo) e quindi "dà per scontato" un sapere e lo sviluppa o lo reinterpreta alla luce delle nuove scoperte (esattamente come la Chiesa). Solo che il sapere metafisico e quindi essenziale della Chiesa è ripensabile da chiunque da zero (poi certo non si possono ripensare e riverificare tutte le deduzioni che ne sono state tratte) mentre quello della scienza, già frammentario dalle origini in diverse discipline, no.

Credo che la discussione, relativamente a questo tema, si è ormai arenata: peraltro io non voglio convincere nessuno, e le nostre posizioni sono troppo diverse per continuare un confronto che alla fine sarebbe solo sterile. Le persone usano, e continueranno ad usare, i prodotti derivati della "scienza" e a goderne i benefici senza porsi domande, esattamente come continueranno a professare un culto senza porsi domande, e in entrambi i casi questo è negativo. Ti faccio solo notare che, ritornando ad una questione che avevo sollevato all'inizio di questa discussione, il sapere metafisico di cui tu parli parte sempre e comunque da premesse che sono postulati indimostrabili.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Eretiko il 17 Febbraio 2017, 20:46:29 PM
Citazione di: Duc in altum! il 16 Febbraio 2017, 13:42:05 PM
Perché è forse dimostrabile che l'uomo da solo, soprattutto nel suo privato, non è moralmente disgregato? Quindi non è un pretesto, ma una ragione di fede.

Vedi, io non discuto sul fatto che tu trovi la ragione della tua moralità nella fede, ognuno segue le sue strade e ritengo che questa diversità sia una delle meraviglie del mondo. Però trovo insopportabile questo giudizio secco che tu dai, come se la strada da te scelta sia l'unica possibile, e trovo insopportabile che tu indirettamente dai un voto di "moralità" a chi non ha la (tua) fede.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: donquixote il 17 Febbraio 2017, 21:19:52 PM
Citazione di: Eretiko il 17 Febbraio 2017, 20:31:25 PMCredo che la discussione, relativamente a questo tema, si è ormai arenata: peraltro io non voglio convincere nessuno, e le nostre posizioni sono troppo diverse per continuare un confronto che alla fine sarebbe solo sterile. Le persone usano, e continueranno ad usare, i prodotti derivati della "scienza" e a goderne i benefici senza porsi domande, esattamente come continueranno a professare un culto senza porsi domande, e in entrambi i casi questo è negativo. Ti faccio solo notare che, ritornando ad una questione che avevo sollevato all'inizio di questa discussione, il sapere metafisico di cui tu parli parte sempre e comunque da premesse che sono postulati indimostrabili.

Chi legge si farà, se crede, le sue idee e le sue opinioni su questo specifico tema; ma a parte il fatto che ogni sapere parte da premesse e postulati indimostrabili (si tratta solo di valutare "l'autoevidenza" di queste premesse), ai fini di questa discussione si trattava solo di vedere quale fosse il sapere sulla base del quale è possibile unire un popolo e quindi fondare su di esso una cultura e quale invece lo divida e lo frammenti e costituisca quindi una controcultura. Siccome si è convenuto definire la comunità basata sul sapere metafisico "deduttiva" (o chiusa, o organicistica)  e la società basata sul sapere scientifico "induttiva" (o aperta, o meccanicistica) ognuno potrà valutare, da come si è svolta la discussione, quale di esse sia più simile alla cultura occidentale moderna e se questa abbia unito i popoli dell'occidente oppure li abbia divisi e quindi disgregati.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: paul11 il 17 Febbraio 2017, 22:23:08 PM
Temo che o non si vuol capire la tesi di Donquixote ,della quale concordo e mi complimento con lui perchè nemmeno gli attuali filosofi di professione, tranne Severino che segue un suo percorso di logica dialettica,, compiono più, 

Si sono asserviti a questa cultura moderna, post moderna accettando supinamente i paradossi che la stessa epistemologia scientifica( direi un tipo di epistemologia) si è data.ma il paradosso del paradosso è che se nulla è certo, vince la forza,non la razionalità.Oggi vince la persuasione, il plagio, convincere con immagine retoriche, indirizzare mentalmente le masse con pubblicità, slogan economici e politici.Il popolo non ha capito che in queste condizioni culturali più nulla ha autorevolezza nella  forza del ragionamento, se oggi si costruisce per decostruire un secondo dopo e si regge per autorità,Ma daccapo è un paradosso.perchè se basta credere per avere ragione perchè nulla è stabilmente vero da essere certo,sarebbe bastato avere coscienza che nell'incertezza  di una cultura che nulla ha più di certo ,basta credere anche ad una certezza illusoria per vincere,tanto se non c'è certezza sulla base di cosa si puà giudicare vero dal falso e reale da illusione? Non sarebbe cambiato nulla culturalmente nel vuoto involucro che tutto contiene. Insomma  Il giorno in cui un popolo si sveglia e decide di cambiare il proprio destino può farlo,ricambiando le regole del gioco, perchè nessun paradigma di questo concetto culturale che regge il tutto ha una seria autorevole certezza.

Per quanto mi riguarda il mio personale, modestissimo contributo, è far riflettere.
Pochi, molto pochi, capiscono i meccanismi dell'economia e seguono i medesimi movimenti della filosia ad esempio. Non sono i paroloni che devono spaventare, sono i meccanismi che bisogna capire, da dove nascono e gli effetti che producono.
Io dico che tutto si regge per grande ignoranza del popolo che crede anche di essere furbo e intelligente.
Il potere forte c'è,ma non è una regia al di sopra di tutti che tutto controlla: è impossible soprattuto nell'ormai evidente esapnsione globale, ormai non parliamo del controllo di uno Stato, di un'area geografica, ma dell'intero pianeta. Questo potere sa che non è la politica e nemmneo l'economia e nessuna delle singole discipline sccientifiche che possono cotituirne la propria forza, ma vivono proprio su lrelativismo culturale.
Se dieci persone si radunano ad un tavolo e discutono di economia, o di politica o di filosofia, nessuna opinione, perchè sono solo opinioni oggi, può uscirne razionalmente vincente, vince l'opinione di chi è già forte politicamente, economicamente.Tutto si regge su equilibri fondati da rapporti di forza.Hanno inventato il negoziato ,se si rompe il tavolo della trattativa si passa alla forza della lotta, della guerra. Oggi i mutamenti, ma cosa dico, da secoli sono solo rappresentati da battaglie, da vincitori e vinti che hanno riscritto la storia in funzione di chi vinceva.E non capire che questo è figlio di una cultura, di un modo di pensare e di agire, beh questo sta alla singola conoscenza e coscienza farsene una ragione.

Ho cercato  di fare una banale e superficiale analisi esplicativa per far capire, ma ne dubito, che se qualcuno sìarricchisse davvero, al netto di inflazioni e svalutazioni, in qualche parte del mondo, da qualche altra parte la sommatoria zero della vera ricchezza dà per risultante che qualcun altro si è impoverito.
I meccanismi del solo denaro, delle monete a corso forzoso come si suol dire, sono manipolativi e palgianti quanto la nostra benamata cultura che tutto sovrasta, dalla scienza all'economia. Uno Stato, un 'imprenditore come un'imbonitore di coscienze, un pusher dello spirito  può far credere di essere e più ricchi oggi stampando altra moneta, o dando aumenti, poi sarà l'inflazione e la svalutazione a togliere denaro, diritti e finte ricchezze, aumentando i prezzi, alzando imposte dirette e indirette.
Il popolo ha perso quando ha scelto materialmente di possedere, ed essere proprietario di qualunque cosa e di pensare al futuro dei propri figli, Si dividevano e s'invidiavano fra loro, dventavano individualisti, e la forza del capitalismo ha un'enorme capacità di plagiare coscienze. Personalmente vi leggo le medesime ma in modo crudele logiche contraddittorie culturali.
Penso che il compito del filosofo oggi sia di mettere a nudo i meccanismi fondamentali della cultura, e di riflettere e far pensare le persone, poi ognuno si farà la propria coscienza.La stragrande maggioranza si lamenterà un giorno sì e il giorno dopo pure  "piove governo ladro" e intanto supinamente seguirà la grande corrente culturale, economica, politica.

Usciamo pure dalla finanza malvagia e dai poteri forti, se si è capace di serie analisi economiche, ma dobbiamo sapere che non è il barbone che dorme alla stazione o l'operatore macchina che fa il turnista in fabbrica e come loro troppi a detenere le redini dell'economia, diversamente cadiamo nella contraddizione fatalistica tipica della mentalità del "è sempre stato così e sempre sarà così". E' questa mentalità da destituirne potere e forza che ha reso la gente passiva. O diciamo chi ha responsabilità o fingiamo che Trump nella democrazia è uguale al clochard.

Lo Stato? Oggi che ruolo ha, e quale dovrebbe avere? Quanto è grande la differenza fra il dover essere e l'essere?
Chi ha creato lo Stato, qual è la sua origine storica e su cosa si costituisce? L'economia deve necessariamente vivere con un interesse e un capitale, non si tratta di semplice semantica, le banche quando nacquero quale funzione avevano e quale è invece oggi il suo ruolo ? Se si vuole rendere più funzionale una cultura basta cambiare anche solo le virgole nelle proposizioni, se si vuole cambiare una cultura bisogna metterne in discussione l'intera sintassi.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Duc in altum! il 17 Febbraio 2017, 22:37:08 PM
**  scritto da Eretiko:
CitazioneVedi, io non discuto sul fatto che tu trovi la ragione della tua moralità nella fede, ognuno segue le sue strade e ritengo che questa diversità sia una delle meraviglie del mondo. Però trovo insopportabile questo giudizio secco che tu dai, come se la strada da te scelta sia l'unica possibile, e trovo insopportabile che tu indirettamente dai un voto di "moralità" a chi non ha la (tua) fede.
Non discuti perché non ci sono argomentazioni valide se non un'altra ragione di fede che genera una morale differente. Purtroppo non tutti vivono senza certezze: "...sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno..." (Vg)- ecco perché non riesci a tollerare un giudizio secco, forse anche questo potrebbe essere un motivo della disgregazione.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Eretiko il 18 Febbraio 2017, 11:09:10 AM
Citazione di: donquixote il 17 Febbraio 2017, 21:19:52 PM
Chi legge si farà, se crede, le sue idee e le sue opinioni su questo specifico tema; ma a parte il fatto che ogni sapere parte da premesse e postulati indimostrabili (si tratta solo di valutare "l'autoevidenza" di queste premesse), ai fini di questa discussione si trattava solo di vedere quale fosse il sapere sulla base del quale è possibile unire un popolo e quindi fondare su di esso una cultura e quale invece lo divida e lo frammenti e costituisca quindi una controcultura. Siccome si è convenuto definire la comunità basata sul sapere metafisico "deduttiva" (o chiusa, o organicistica)  e la società basata sul sapere scientifico "induttiva" (o aperta, o meccanicistica) ognuno potrà valutare, da come si è svolta la discussione, quale di esse sia più simile alla cultura occidentale moderna e se questa abbia unito i popoli dell'occidente oppure li abbia divisi e quindi disgregati.

La separazione netta che tu fai tra "sapere metafisico deduttivo" e "sapere scientifico induttivo" è proprio quello che sto contestando dall'inizio di questa discussione; ancor più contesto l'affermazione che il sapere scientifico sia (esclusivamente) induttivo. Se lo scopo della discussione è fornire spunti di riflessione allora è bene, ancor prima di giungere alla tesi finale che ognuno, liberamente, potrà elaborare, partire da ipotesi iniziali condivise (invece anche su queste siamo, sembra, irrimediabilmente divisi).
In particolare, come ho già affermato in altri post, ho l'impressione che ci sia in molte persone un approccio sbagliato nei confronti del metodo scientifico, che si continua ad identificare erroneamente in un puro e semplice metodo induttivo (che era quello della scienza antica) e che mai potrebbe produrre una "verità" perché non si può ovviamente "indurre" una legge universale dall'osservazione ingenua di un fenomeno contingente (come metaforicamente faceva notare Russel a proposito del "tacchino induttivista"). Per questo avevo invocato una maggior cultura scientifica, intesa come comprensione di fondo della metodologia base del metodo scientifico, proprio per sgombrare il campo definitivamente da questo infondato pre-giudizio negativo.         
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Eretiko il 18 Febbraio 2017, 11:13:52 AM
Citazione di: Duc in altum! il 17 Febbraio 2017, 22:37:08 PM
Non discuti perché non ci sono argomentazioni valide se non un'altra ragione di fede che genera una morale differente. Purtroppo non tutti vivono senza certezze: "...sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno..." (Vg)- ecco perché non riesci a tollerare un giudizio secco, forse anche questo potrebbe essere un motivo della disgregazione.

Solo tu capisci cosa vuoi dire; io ho le mie certezze, probabilmente diverse dalle tue, ma non per questo ho la presunzione di credere di stare su un piedistallo, al contrario di te.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Eretiko il 18 Febbraio 2017, 12:33:58 PM
Citazione di: paul11 il 17 Febbraio 2017, 22:23:08 PM
Ho cercato  di fare una banale e superficiale analisi esplicativa per far capire, ma ne dubito, che se qualcuno sìarricchisse davvero, al netto di inflazioni e svalutazioni, in qualche parte del mondo, da qualche altra parte la sommatoria zero della vera ricchezza dà per risultante che qualcun altro si è impoverito.
I meccanismi del solo denaro, delle monete a corso forzoso come si suol dire, sono manipolativi e palgianti quanto la nostra benamata cultura che tutto sovrasta, dalla scienza all'economia. Uno Stato, un 'imprenditore come un'imbonitore di coscienze, un pusher dello spirito  può far credere di essere e più ricchi oggi stampando altra moneta, o dando aumenti, poi sarà l'inflazione e la svalutazione a togliere denaro, diritti e finte ricchezze, aumentando i prezzi, alzando imposte dirette e indirette.

Questa è una visione un po' ingenua perché se è vero che, a un certo istante di tempo, la "ricchezza globale" è una costante, è anche vero che tale ricchezza è una funzione variabile del tempo. Se l'umanità dovesse fare affidamento esclusivamente sulle risorse naturali così come esse vengono rinnovate nel ciclo naturale, noi saremmo ridotti a piccoli gruppi non troppo numerosi, e concentrati solo in quelle zone del pianeta dove potremmo trovare pasti gratis o quasi gratis. Ovviamente si può pensare che sarebbe un bene, tutti perfettamente integrati nel ciclo naturale in un perfetto equilibrio dominato esclusivamente dagli eventi. Ovviamente saremmo, in totale, qualche milione (forse), e non certo qualche miliardo di individui, e forse ora saremmo addirittura estinti come specie.
Noi sfruttiamo le risorse sia in modo non rinnovabile (esempio: idrocarburi), sia in modo rinnovabile a corto e medio termine (esempio: agricoltura, allevamento) e lungo termine (esempio: legname) e questa è la nostra ricchezza totale, che varia al passare del tempo, ricchezza alla quale convenzionalmente si assegna un valore simbolico e che deve inglobare anche il lavoro necessario per produrla. Poco importa se questo valore simbolico è espresso ad esempio in "kilogrammi di grano" o in "numero di pesci", o in "euro": il principio è sempre lo stesso. Anche quando gli scambi commerciali erano fondati sul baratto c'era un accordo (spesso raggiunto con il conflitto armato) sul valore di cambio di una certa merce o di un dato servizio, e lo stesso accade oggi con il denaro, che rimane legato alla ricchezza complessiva che un popolo può produrre.
Quindi non è vero che se c'è qualcuno che si arricchisce necessariamente c'è qualcuno che diventa povero: dipende se la ricchezza globale nel frattempo è aumentata o diminuita o è rimasta costante, e dal modo con il quale essa viene redistribuita.
Non necessariamente la modalità di redistribuzione è imposta da qualcuno (iniquità, malvagità, egoismo, sfruttamento): se io produco riso teoricamente divento ricco, ma solo nella misura in cui riesco a barattare riso ad esempio con galline con un cambio favorevole che mi permette di stoccare riso e magari anche galline (e divento capitalista). Altrimenti uso parte del riso per la mia sussistenza, ma l'eccedenza, finché non riesco a barattarla in modo favorevole, è solo un capitale che si svaluta. E se aumentano le richieste di riso io lo baratterò con un numero sempre maggiore di galline (inflazione), raggiungendo una situazione di equilibrio con chi alleva galline, almeno fino a quando la mia voracità provocherà iperinflazione e nessuno vorrà barattare il mio riso. A quel punto limiterò le mie pretese e dovrò barattare il mio riso con un numero sempre minore di galline (deflazione).


Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: paul11 il 18 Febbraio 2017, 15:44:38 PM
Citazione di: Eretiko il 18 Febbraio 2017, 12:33:58 PM
Citazione di: paul11 il 17 Febbraio 2017, 22:23:08 PMHo cercato di fare una banale e superficiale analisi esplicativa per far capire, ma ne dubito, che se qualcuno sìarricchisse davvero, al netto di inflazioni e svalutazioni, in qualche parte del mondo, da qualche altra parte la sommatoria zero della vera ricchezza dà per risultante che qualcun altro si è impoverito. I meccanismi del solo denaro, delle monete a corso forzoso come si suol dire, sono manipolativi e palgianti quanto la nostra benamata cultura che tutto sovrasta, dalla scienza all'economia. Uno Stato, un 'imprenditore come un'imbonitore di coscienze, un pusher dello spirito può far credere di essere e più ricchi oggi stampando altra moneta, o dando aumenti, poi sarà l'inflazione e la svalutazione a togliere denaro, diritti e finte ricchezze, aumentando i prezzi, alzando imposte dirette e indirette.
Questa è una visione un po' ingenua perché se è vero che, a un certo istante di tempo, la "ricchezza globale" è una costante, è anche vero che tale ricchezza è una funzione variabile del tempo. Se l'umanità dovesse fare affidamento esclusivamente sulle risorse naturali così come esse vengono rinnovate nel ciclo naturale, noi saremmo ridotti a piccoli gruppi non troppo numerosi, e concentrati solo in quelle zone del pianeta dove potremmo trovare pasti gratis o quasi gratis. Ovviamente si può pensare che sarebbe un bene, tutti perfettamente integrati nel ciclo naturale in un perfetto equilibrio dominato esclusivamente dagli eventi. Ovviamente saremmo, in totale, qualche milione (forse), e non certo qualche miliardo di individui, e forse ora saremmo addirittura estinti come specie. Noi sfruttiamo le risorse sia in modo non rinnovabile (esempio: idrocarburi), sia in modo rinnovabile a corto e medio termine (esempio: agricoltura, allevamento) e lungo termine (esempio: legname) e questa è la nostra ricchezza totale, che varia al passare del tempo, ricchezza alla quale convenzionalmente si assegna un valore simbolico e che deve inglobare anche il lavoro necessario per produrla. Poco importa se questo valore simbolico è espresso ad esempio in "kilogrammi di grano" o in "numero di pesci", o in "euro": il principio è sempre lo stesso. Anche quando gli scambi commerciali erano fondati sul baratto c'era un accordo (spesso raggiunto con il conflitto armato) sul valore di cambio di una certa merce o di un dato servizio, e lo stesso accade oggi con il denaro, che rimane legato alla ricchezza complessiva che un popolo può produrre. Quindi non è vero che se c'è qualcuno che si arricchisce necessariamente c'è qualcuno che diventa povero: dipende se la ricchezza globale nel frattempo è aumentata o diminuita o è rimasta costante, e dal modo con il quale essa viene redistribuita. Non necessariamente la modalità di redistribuzione è imposta da qualcuno (iniquità, malvagità, egoismo, sfruttamento): se io produco riso teoricamente divento ricco, ma solo nella misura in cui riesco a barattare riso ad esempio con galline con un cambio favorevole che mi permette di stoccare riso e magari anche galline (e divento capitalista). Altrimenti uso parte del riso per la mia sussistenza, ma l'eccedenza, finché non riesco a barattarla in modo favorevole, è solo un capitale che si svaluta. E se aumentano le richieste di riso io lo baratterò con un numero sempre maggiore di galline (inflazione), raggiungendo una situazione di equilibrio con chi alleva galline, almeno fino a quando la mia voracità provocherà iperinflazione e nessuno vorrà barattare il mio riso. A quel punto limiterò le mie pretese e dovrò barattare il mio riso con un numero sempre minore di galline (deflazione).

Cosa vuol dire visione ingenua, che prendi per seria l'attuale versione interpretata di come ci si organizza per vivere? Ma andiamo! Bisogna avere la capacità di uscire dai circoli viziosi culturali che fanno credere quello che han voglia di propinarci per vero, ma pur non essendo certo.
Ma guarda la contraddizione di questa cultura, la tecnologia invece di venirci incontro socialmente distrugge posti di lavoro: ma riflettiamoci un attimo è un assurdo!
Il ciclo naturale agricolo è saltato grazie alle serre, significa che posso avere produzioni quando servono, ma il capitalismo non ha interesse ad avere piena occupazione, che non ci siano poveri che non ci siano differenze.
Il ciclo armonico, significherebbe che ciò che di cui ho bisogno dalla terra, deve ritornare a sua volta nel ciclo della terra.nei tempi giusti. Non posso sfruttare la terra più velocemente di quanto possa rigenerare coni suoi cicli. le società primitive questo lo sanno senza scienza ingenua occidentale, ma per saggezza,  perchè la nostra cultura è semmai ingenua e scellerata. La nostra società è fondata sul produrre ricchezza sempre più dell'anno prima sia per gli Stati sia per gli imprenditori, la sua idea di progresso  tecnico ,socio-economico è il motore della nostra storia contemporanea che ci porterà inequivocabilmente ad un disastro, potenti e deboli, vinti e vincitori,ma proprio perchè è implicita culturalmente.
Nella società del baratto era impossibile tesaurizzare l'interesse economico, è questo che ti sfugge ancora come principio economico. Se ti dico che ogni giorno il denaro, che è un simbolo se ci pensi bene e oggi più che mai visto che non c'è corrispondenza con l'oro delle banche centrali e quindi soggetto solo alla speculazione del mercato, genera altro denaro senza fare nulla e chi ne ha di più ne genera di più aumentando le differenze sociali e appiattendo il super ricco e dall'altra la miseria, e tutto questo fuori dal sistema produttivo ,dal processo della formazione della ricchezza.
il paradigma contemporaneo contraddittorio economico è che la produzione e finanza sono completamente scollegati, ma dove la finanza ha un'enorme potere contrattuale sulla produzione così come nella filiera dalla materia prima al semilavorato ,al prodotto finito, sono i clienti finali e non il produttore iniziale ad avere il potere contrattuale. Oggi guadagna il supermercato o la banca, non l'agricoltore o l'industriale o l'artigiano.E più questa filiera è lunga fra produttore e consumatore finale e più l'intermediazione "succhia" valore aggiunto: questo è il successo attuale di amazon o ebay abbattere l'intermediazione e costruire reti logistiche efficaci, ma sono comunque anche loro dentro la stessa logica dello sfruttare.
La finanza ha sempre più potere sul produttore, perchè la composizione dei costi produttivi è mutata radicalmente negli investimenti produttivi. Se si investono in processi automatizzati e in macchine a controllo numerico , significa che c'è meno costo del lavoro e più costo impiantistico, vuol dire che i costi fissi sono  nettamente superiori ai costi variabili,Diventa allora fondamentale la scelta strategica dell'investimento da parte del top dell'azienda, anche se poi pagheranno i lavoratori.

Ma tu credi davvero che nello scambio economico la somma algebrica delle parti è superiore a zero? Questa è propria la contraddizione del progresso.Noi civiltà occidentale siamo evoluti in tecnologia che abbatte i costi e rende i prodotti fruibili dalla massa, E' solo in questo il nostro progresso. Quando costruirono le prime automobili di massa calcolarono quanti stipendi dello stesso operaio della  catena di montaggio ci volessero per pagarsi con le cambiali l'automobile che producevano.La tecnologia sì che è potente ,perchè l'obbiettivo è il rendimento fra efficacia ed efficienza, il problema culturale e sociale  è che la utilizziamo all'opposto di quello che socialmente ed economicamente avrebbe dovuto e potuto essere.

Il baratto, o comunque uno scambio, ha come premessa che io dia un mio surplus a te e tu dia il tuo surplus a me.Vale a dire noi diamo qualcosa che abbiamo in più e non ci serve quanto quello che ha l'altro per cui lo scambiamo, e fin quì nulla di strano. Ma non siamo,noi, ed è questo che ti sfugge, nell'economia di mercato a costruire i prezzi. Quindi il riso e la gallina non sono equipollenti, ma sono decisi come prezzi di mercato ,che eludono  il nostro baratto.Questi prezzi, mi sembra quasi inutile dirtelo, seguono da una parte un andamento "naturale", ma sono sempre più speculativi. Allora si capisce il perchè i surplus agricoli vengono calpestati dal trattore come agrumi  o pomodori, per mantenere i prezzi alti, Quando il petrolio  ha prezzi bassi nessuno fa ricerca di nuovi pozzi, costa troppo. Quando i prezzi salgono, allora diventano competitivi  i costi estrattivi anche in Texas e si fa ricerca nell'intero globo.ma questi prezzi non rappresentano mai la reale capacità estrattiva del pianeta intero, sono attenti che la produzione mondiale non superi la domanda mondiale, creare scorte oggi costa moltissimo. Sta sfuggendo a troppe persone  che da almeno tret'anni  non si produce a caso, ma si produce e si vende in funzione di una domanda. quindi si aspetta la richiesta del consumatore o cliente e poi si produce la quantità giusta per soddisfare la domanda.

Eretiko il tuo ragionamento è ingenuo.
Non c'è multinazionale oggi, Stati compresi, che non controllano l'intera filiera della formazione del prezzo e dei processi produttivi.Controllano dalla piantagione in Africa fino al cliente finale.A loro interessa guadagnare dalla asincronia fa domanda e produzione tenendo sotto controlli costi finanziari e logistici. Se acquisisco il prodotto al tempo 1 in cui costi erano bassi e rivendo quando la domanda si alza,al tempo 2 e quindi si alzano i prezzi se non ci sono alte scorte, guadagno molto di più che nel tempo 1..Non si producono più quindi surplus ed è per questo che i processi produttivi sono elastici e i lavoratori sono precari o comunque con orari elastici annuali, perchè lavorano solo sotto la spinta delle domanda, della richiesta di prodotto.
Trai delle conseguenze visibili, l'uomo essendo anche economicamente un lavoratore a meno che campi di rendita, è funzionale alla domanda e quindi lavora tanto o poco in funzione di questa. Quindi è dipendente dal mercato. ma in questa cultura in quante cose siamo dipendenti e non centrali?Ma sarà mica una società "seria".

In generale e il forum me lo conferma, c'è un sacco di gente che ancora crede possible arricchirsi , e che culturalmente basta fare ritocchi perchè tutto funzioni.
Primo è una visione comunque individualista, secondo se non funzionano i ritocchi come lo dimostra la storia significa che cìè da salire il gradino logico razionale dell'analisi e forse valutare se questa cultura è razionale ,come la si vuol far passare, o contraddittoria come la penso io.

Allora dovrebbe farci pensare che, da buon vicinato io ti dà il riso in cambio della tua gallina o viceversa), felici entrambi di essere soddisfatti nei bisogni, e se permettete anche umanamente, perchè vedo che anche tu sei felice e ci beviamo un bicchiere da buon amic, Daccapo, ma non ci rendiamo conto che la fiamma dell'amicizia, dello stare insieme è contraria alle logiche di interezze, individualismo dove questa società ci conduce? quante famiglie si "rompono" per motivi economici?
Eretiko, ma a tutto il forum, a me interessa essere felice ma sapendo che anche gli altri devono esserlo  e ne hanno il diritto. per me vivere in comunità è proprio questo.Chi ha la fortuna allora di avere un talento non lo sfrutta sui suoi simili ma lo mette a frutto aiutando il prossimo e ricavandone affetto, comprensione, stima ,vicinanza.
Perchè tutto torna lla fine.
Io cerco i significati della vita. il potere e il denaro lo lascio agli insipienti schiavi dell'avere ,odiati e invidiati,io cerco l'essere non l'avere e non li invidio i potenti e i super ricchi, li compatisco .
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: cvc il 18 Febbraio 2017, 17:33:42 PM
Secondo me ha ragione Paul. Inizialmente il denaro era costituto dalle monete che rappresentano il valore del peso del metallo con cui erano fatte. Infatti i nomi delle vecchie valute indicano unità di peso. Poi il denaro è diventato una cosa sempre più astratto fino ad arrivare al bitcoin. Poi c'è l'effetto del moltiplicatore. Vale a dire che se porto 10000€ in banca questi sono miei in quando correntista, della banca in quanto depositaria, del signor x che richiede un prestito sotto forma di contanti. Ma non basta. Una banca che concede finanziamenti poniamo abbia un capitale di rischio di cento milioni di euro (dico cosi per dire), e che abbia erogato finanziamenti per un valore pari a tale cifra ad un tasso medio del 3%. Raggiunto il capitale di rischio non può più concedere finanziamenti. Poi arriva il fondo d'investimento xyz che dice alla banca: Ti liquido tutto più l'uno % di interesse (sicuro) e tu mi vedi tutti i tuoi mutui al 3%. Morale: il fondo ci guadagna il 2% (3-1), la banca guadagna l'uno % e in più azzera il capitale di rischio perciò può ricominciare a concedere mutui. Quindi tutti questi uni con interminabili fila di zero cosa rappresentano? Dove andiamo a prendere i metalli per tutte quelle monetine? Che cosa garantisce il valore? Davvero crediamo in un futuro in cui tutti gli stati (o perlomeno i più importanti) rifonderanno il loro debito. Magari nel futuro viaggeremo tutti a bitcoin, poi arriverà qualche buontempone che stacca la corrente e.... dove sono finiti i nostri soldi? Forse era meglio quando si sapeva che un bue valeva quattro pecore, una pecora dieci galline.
Credere nell'attuale finanza è proprio un atto di fede, con tanto di dogma. Bisogna accettare senza tentare di capire, demandare tutto ai burocrati supertecnici masticatori di complicati algoritmi. I quali, se va bene son dei fenomeni, e se va male... una qualche scusa la trovano. Tanto chi ci capisce niente?
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Eretiko il 18 Febbraio 2017, 18:30:26 PM
Citazione di: cvc il 18 Febbraio 2017, 17:33:42 PM
Secondo me ha ragione Paul. Inizialmente il denaro era costituto dalle monete che rappresentano il valore del peso del metallo con cui erano fatte. Infatti i nomi delle vecchie valute indicano unità di peso. Poi il denaro è diventato una cosa sempre più astratto fino ad arrivare al bitcoin. Poi c'è l'effetto del moltiplicatore. Vale a dire che se porto 10000€ in banca questi sono miei in quando correntista, della banca in quanto depositaria, del signor x che richiede un prestito sotto forma di contanti. Ma non basta. Una banca che concede finanziamenti poniamo abbia un capitale di rischio di cento milioni di euro (dico cosi per dire), e che abbia erogato finanziamenti per un valore pari a tale cifra ad un tasso medio del 3%. Raggiunto il capitale di rischio non può più concedere finanziamenti. Poi arriva il fondo d'investimento xyz che dice alla banca: Ti liquido tutto più l'uno % di interesse (sicuro) e tu mi vedi tutti i tuoi mutui al 3%. Morale: il fondo ci guadagna il 2% (3-1), la banca guadagna l'uno % e in più azzera il capitale di rischio perciò può ricominciare a concedere mutui. Quindi tutti questi uni con interminabili fila di zero cosa rappresentano? Dove andiamo a prendere i metalli per tutte quelle monetine? Che cosa garantisce il valore? Davvero crediamo in un futuro in cui tutti gli stati (o perlomeno i più importanti) rifonderanno il loro debito. Magari nel futuro viaggeremo tutti a bitcoin, poi arriverà qualche buontempone che stacca la corrente e.... dove sono finiti i nostri soldi? Forse era meglio quando si sapeva che un bue valeva quattro pecore, una pecora dieci galline.
Credere nell'attuale finanza è proprio un atto di fede, con tanto di dogma. Bisogna accettare senza tentare di capire, demandare tutto ai burocrati supertecnici masticatori di complicati algoritmi. I quali, se va bene son dei fenomeni, e se va male... una qualche scusa la trovano. Tanto chi ci capisce niente?

Credo che lo sai benissimo che il valore simbolico del denaro è legato all'economia reale di un paese (perché legarlo ad esempio alle riserve auree è un bel problemino...). Sulle banche ti sei dimenticato di dire che il famoso moltiplicatore (o leva finanziaria) è la possibilità che è stata concessa al sistema creditizio di prestare N volte quello che hanno in deposito (esempio: deposito = 100, capacità di prestito fino a 1.000 o 2.000 o più). Non sto adesso a discutere se questo è un bene o un male, ma è proprio questo che consente che il totale dei titoli finanziari mondiali a un certo istante possa essere M volte il pil mondiale e che consente a molti di pensare (erroneamente) che il denaro possa essere "creato dal nulla": pia illusione che diventerebbe tragica realtà se nello stesso momento tutti i detentori di titoli finanziari volessero tramutare questi ultimi in moneta.
Nessuno ha obbligato con la pistola alla testa qualcuno a fare "scommesse" elaborate con "complicati algoritmi" (se non amplificando il miraggio del guadagno facile e minimizzando il rischio), mettendo a rischio il risparmio e creando debito privato che alla fine diventerà debito pubblico.   
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: cvc il 18 Febbraio 2017, 19:05:19 PM
Citazione di: Eretiko il 18 Febbraio 2017, 18:30:26 PM
Citazione di: cvc il 18 Febbraio 2017, 17:33:42 PM
Secondo me ha ragione Paul. Inizialmente il denaro era costituto dalle monete che rappresentano il valore del peso del metallo con cui erano fatte. Infatti i nomi delle vecchie valute indicano unità di peso. Poi il denaro è diventato una cosa sempre più astratto fino ad arrivare al bitcoin. Poi c'è l'effetto del moltiplicatore. Vale a dire che se porto 10000€ in banca questi sono miei in quando correntista, della banca in quanto depositaria, del signor x che richiede un prestito sotto forma di contanti. Ma non basta. Una banca che concede finanziamenti poniamo abbia un capitale di rischio di cento milioni di euro (dico cosi per dire), e che abbia erogato finanziamenti per un valore pari a tale cifra ad un tasso medio del 3%. Raggiunto il capitale di rischio non può più concedere finanziamenti. Poi arriva il fondo d'investimento xyz che dice alla banca: Ti liquido tutto più l'uno % di interesse (sicuro) e tu mi vedi tutti i tuoi mutui al 3%. Morale: il fondo ci guadagna il 2% (3-1), la banca guadagna l'uno % e in più azzera il capitale di rischio perciò può ricominciare a concedere mutui. Quindi tutti questi uni con interminabili fila di zero cosa rappresentano? Dove andiamo a prendere i metalli per tutte quelle monetine? Che cosa garantisce il valore? Davvero crediamo in un futuro in cui tutti gli stati (o perlomeno i più importanti) rifonderanno il loro debito. Magari nel futuro viaggeremo tutti a bitcoin, poi arriverà qualche buontempone che stacca la corrente e.... dove sono finiti i nostri soldi? Forse era meglio quando si sapeva che un bue valeva quattro pecore, una pecora dieci galline.
Credere nell'attuale finanza è proprio un atto di fede, con tanto di dogma. Bisogna accettare senza tentare di capire, demandare tutto ai burocrati supertecnici masticatori di complicati algoritmi. I quali, se va bene son dei fenomeni, e se va male... una qualche scusa la trovano. Tanto chi ci capisce niente?

Credo che lo sai benissimo che il valore simbolico del denaro è legato all'economia reale di un paese (perché legarlo ad esempio alle riserve auree è un bel problemino...). Sulle banche ti sei dimenticato di dire che il famoso moltiplicatore (o leva finanziaria) è la possibilità che è stata concessa al sistema creditizio di prestare N volte quello che hanno in deposito (esempio: deposito = 100, capacità di prestito fino a 1.000 o 2.000 o più). Non sto adesso a discutere se questo è un bene o un male, ma è proprio questo che consente che il totale dei titoli finanziari mondiali a un certo istante possa essere M volte il pil mondiale e che consente a molti di pensare (erroneamente) che il denaro possa essere "creato dal nulla": pia illusione che diventerebbe tragica realtà se nello stesso momento tutti i detentori di titoli finanziari volessero tramutare questi ultimi in moneta.
Nessuno ha obbligato con la pistola alla testa qualcuno a fare "scommesse" elaborate con "complicati algoritmi" (se non amplificando il miraggio del guadagno facile e minimizzando il rischio), mettendo a rischio il risparmio e creando debito privato che alla fine diventerà debito pubblico.   
Il valore simbolico del denaro è legato all'economia di un paese, la quale è rappresentata da pil in valuta. Quindi mi sembra un discorso circolare.
Certo nessuno costringe con la pistola il pensionato a comprare obbligazioni subordinate di banca Etruria di cui già non ci capisce niente... figuriamoci altri prodotti finanziari dai nomi esotici che altro non sono se non contenitori di derivati. Certo non bisogna per forza pensare che "derivato finanziario" sia una brutta parola. Esistono da tempi antichissimi, si sa. Nemmeno mi sogno di contestare la scienza finanziaria in quanto tale, figuriamoci se ne avrei i mezzi. Però ad un livello molto basso (il mio) un paio di cose non mi tornano. Se gran parte della gente aspetta lo stipendio per pagare il saldo della carta di credito, significa che lo stipendio l'ha speso prima di riceverlo. Significa che l'economia promuove che ciò avvenga. E se, come è vero, gli algoritmi finanziari sono volti a minimizzare il rischio, bisogna anche dire che ciò avviene a fronte di una diversificazione degli investimenti. Ora il problema è che solo chi ha tanti soldi può diversificare. Quindi l'evoluzione della finanza è fortemente responsabile della concentrazione della ricchezza. E succede che chi ha capitali (tanti soldi, mica bruscolini) piuttosto che rischiarli in attività produttive - assai più utili - preferisce, in virtù della sua capacità di diversificare, investirli nella finanza. Poi ci dicono tante balle, come che l'ingegneria finanziaria serve perché evita i rischi che altrimenti ciascuno di noi dovrebbe accollarsi. In realtà la finanza con la gestione tecnica del rischio sta accentrando sempre più i soldi. Perché più soldi hai più sei al riparo dal rischio. Mentre chi ha poco o niente si trova di fronte a situazioni di rischio (investimenti, inizio di attività imprenditoriali) talmente svantaggiose da non lasciare scampo.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: donquixote il 18 Febbraio 2017, 19:25:45 PM
Se cortesemente riusciste a inserire questo interessante dibattito nel contesto più ampio del confronto fra modelli diversi di culture e magari evidenziare in quale senso la priorità assegnata all'economia contribuisca alla disgregazione dell'occidente oppure viceversa alla sua unità sarebbe certamente più in tema. Grazie per la collaborazione.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: paul11 il 19 Febbraio 2017, 00:16:10 AM
Rispondo a Donquoxote,
le disicplne scientifche sono relazionate nei loro fondamenti al cappello culturale che li contiene.
Il modo di teorizzare e praticare l'economia è fondamentale per capire il modo sociale dello "stare insieme" di una società, di cementarla o disgregarla. Sono quindi, le condizioni economiche, le premesse per costruire una società virtuosa che fa emergere l'umanità solidale, fraterna, oppure individualistica ,dell"altrui" del "diverso" perchè tutti sono contro tutti.
Se fondo sul principio edonistico, individualistico, egoistico, l'economia da cui discende il principio di utilità e se la teoria dei giochi applicata alle teorie della scelta continua a perseguirne le logiche,si mostra , si vuole evidenziare e manifestare quella parte di umanità che è essenzialmente animale e in cui il contesto economico segue artificiosamente il contesto naturale, ma dove la natura però non specula, non crea artefici, come inflazione, deflazione, svalutazione o ingegnerizzazione del debito: perchè non esiste un debito  o credito in natura ,tutto è immediatamente a sommatoria algebrica zero.

Evidenzierei un paio di aspetti importanti in economia. tanto per rifletterci.
Il valore del denaro è il valore reale? Per cui quando l'Europa ha ricattato la Grecia e l'Italia il valore del denaro circolante in questi Paesi era gonfiato, in quanto erano in deficit, il denaro non rispecchiava la reale ricchezza.
Ma chi conosce il valore dell'Acropoli di Atene? Chi conosce il valore del Monte Bianco e Pantelleria? Chi conosce il valore della natura ,arte, cultura di questi Paesi? Sono in bilancio?
Quanto vale l'intero Louvre, o Pompei o gli Uffizi?

Allora cosa vuol dire valore reale rispetto alla ricchezza di uno Stato, Cosa significa ricchezza?
O entriamo nei paradigmi per constatare le contraddizioni fondamentali di questa scienza fasulla che è l'economia, ma così fondamentale nelle esistenze e condizionanti, oppure seguiamo la marea di "scienziati" economici che accettano il principio di valore secondo un loro paradigma e fanno o non sono più in grado come i filosofi attuali di trovare ricette alternative alla globalizzazione ingestibile.

Loro, gli economisti, guardano  i movimenti, le transazioni economiche e i valori commerciali.
Come ci dicemmo tempo fa con Donquixote, se sparisse l'industria, le banche, finanza e ognuno di noi fosse autosufficiente con un orto e una stalla, energia fotovoltaica o eloica, quindi dipendessimo poco o niente dall'esterno, una forma autarchica personalizzata, la nostra economia secondo loro è a reddito zero.Eppure campiamo tranquillamente lavorando orto e stalla,autosufficienti.Quindi gli economisti si interessano dei beni non autosufficienti che si aprono al commercio esterno, il trattore, le macchine agricole, automobili.
Ma ad esempio le comunità dei Mormoni e simili cercano allora come comunità di dividersi  i compiti interni e di scambiare il meno possible con l'esterno.
Ed è così che non possono quantificare una comunità  primitiva, africana, amazzonica, aborigeni australiani, sono totalmente fuori dai nostri schemi culturali.

Una postilla che penso Donquixote sappia. Il passaggio dalla scienza antica alla scienza moderna, mutò i linguaggi, segni, simboli significazioni, infatti l'etimologia è la storia evolutiva di una parola. Ma avvenne anche che quelle scienze antiche si chiusero in autodifesa, divennero ermetiche ed esoteriche e passarono trasversalmente alle culture  e nella nostra storia come segreti non divulgabili. Avvenne non per paura di divulgarla al popolo che era spesso analfabeta, ma che i potenti della nuova cultura potessero interpretarla e la utilizzassero per fini propri,che non erano i fini di quella precedente scienza antica.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: InVerno il 19 Febbraio 2017, 00:59:47 AM
Citazione di: paul11 il 19 Febbraio 2017, 00:16:10 AM
Come ci dicemmo tempo fa con Donquixote, se sparisse l'industria, le banche, finanza e ognuno di noi fosse autosufficiente con un orto e una stalla, energia fotovoltaica o eloica, quindi dipendessimo poco o niente dall'esterno, una forma autarchica personalizzata, la nostra economia secondo loro è a reddito zero.Eppure campiamo tranquillamente lavorando orto e stalla,autosufficienti.Quindi gli economisti si interessano dei beni non autosufficienti che si aprono al commercio esterno, il trattore, le macchine agricole, automobili.
Ma ad esempio le comunità dei Mormoni e simili cercano allora come comunità di dividersi  i compiti interni e di scambiare il meno possible con l'esterno.
Ed è così che non possono quantificare una comunità  primitiva, africana, amazzonica, aborigeni australiani, sono totalmente fuori dai nostri schemi culturali.
Non c'è bisogno di aspettare l'armageddon per farlo, io lo faccio, ma non sono un autarchico, sono uno stronzo. La tecnologia necessaria per questo tipo di progetto è interamente dovuta a quel malevolo e meschino ambiente di "movimenti finanziari". Suvvia, credete che solo il trattore? Pannelli fotovoltaici.. già, sotto le foglie d'autunno. Stalle.. già, crescono se bagnate il terreno. Ed i Mormoni sono fintamente autarchici nella stessa maniera. Ah, l'economia calcola con avidità anche l'orto. L'invito è quello di provare invece di bagnarvi di sogni notturni, i terreni e i fabbricati in zona rurale si svendono in questo momento, vi posso tranquillamente indicare una decina di terreni e fabbricati che potete portarvi a casa con una decina di mensilità.. Ma poi? Le teorie di Massimo Fini "vorrei essere un morto di fame del Sudan" e poi non trova mai il biglietto per partire..
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: paul11 il 19 Febbraio 2017, 01:14:38 AM
Citazione di: InVerno il 19 Febbraio 2017, 00:59:47 AM
Citazione di: paul11 il 19 Febbraio 2017, 00:16:10 AMCome ci dicemmo tempo fa con Donquixote, se sparisse l'industria, le banche, finanza e ognuno di noi fosse autosufficiente con un orto e una stalla, energia fotovoltaica o eloica, quindi dipendessimo poco o niente dall'esterno, una forma autarchica personalizzata, la nostra economia secondo loro è a reddito zero.Eppure campiamo tranquillamente lavorando orto e stalla,autosufficienti.Quindi gli economisti si interessano dei beni non autosufficienti che si aprono al commercio esterno, il trattore, le macchine agricole, automobili. Ma ad esempio le comunità dei Mormoni e simili cercano allora come comunità di dividersi i compiti interni e di scambiare il meno possible con l'esterno. Ed è così che non possono quantificare una comunità primitiva, africana, amazzonica, aborigeni australiani, sono totalmente fuori dai nostri schemi culturali.
Non c'è bisogno di aspettare l'armageddon per farlo, io lo faccio, ma non sono un autarchico, sono uno stronzo. La tecnologia necessaria per questo tipo di progetto è interamente dovuta a quel malevolo e meschino ambiente di "movimenti finanziari". Suvvia, credete che solo il trattore? Pannelli fotovoltaici.. già, sotto le foglie d'autunno. Stalle.. già, crescono se bagnate il terreno. Ed i Mormoni sono fintamente autarchici nella stessa maniera. Ah, l'economia calcola con avidità anche l'orto. L'invito è quello di provare invece di bagnarvi di sogni notturni, i terreni e i fabbricati in zona rurale si svendono in questo momento, vi posso tranquillamente indicare una decina di terreni e fabbricati che potete portarvi a casa con una decina di mensilità.. Ma poi? Le teorie di Massimo Fini "vorrei essere un morto di fame del Sudan" e poi non trova mai il biglietto per partire..

Capisco, il problema è che sei interno al sistema e non puoi sfuggirne le logiche, come lo sono anch'io.
Non si tratta di avere un idillio con il passato ed essere anti a questo sistema, a mio modesto parere, ci sono cose positive  negative in entrambi, si tratta di coglierne il meglio, ma soprattutto in un altro tipo di cultura.
Questa cultura disgrega per forma conoscitiva e lo fa con gli oggetti fenomenici come con l'uomo
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: donquixote il 19 Febbraio 2017, 05:39:01 AM
Citazione di: InVerno il 19 Febbraio 2017, 00:59:47 AMNon c'è bisogno di aspettare l'armageddon per farlo, io lo faccio, ma non sono un autarchico, sono uno stronzo. La tecnologia necessaria per questo tipo di progetto è interamente dovuta a quel malevolo e meschino ambiente di "movimenti finanziari". Suvvia, credete che solo il trattore? Pannelli fotovoltaici.. già, sotto le foglie d'autunno. Stalle.. già, crescono se bagnate il terreno. Ed i Mormoni sono fintamente autarchici nella stessa maniera. Ah, l'economia calcola con avidità anche l'orto. L'invito è quello di provare invece di bagnarvi di sogni notturni, i terreni e i fabbricati in zona rurale si svendono in questo momento, vi posso tranquillamente indicare una decina di terreni e fabbricati che potete portarvi a casa con una decina di mensilità.. Ma poi? Le teorie di Massimo Fini "vorrei essere un morto di fame del Sudan" e poi non trova mai il biglietto per partire..

Ognuno utilizza le armi dialettiche che ha a disposizione, e questa supponenza denota probabilmente una carenza di argomentazioni più convincenti. Quando con Paul si parlava di queste cose lo si faceva citando coloro che esaltano la globalizzazione affermando che questa ha "fatto uscire dalla povertà" milioni di persone nei cosiddetti paesi in via di sviluppo. Nei fatti però lungi dal fare questo la globalizzazione ha solamente "urbanizzato" milioni di contadini che campavano con l'economia di sussistenza inserendoli in una economia di mercato che si misura con il movimento di denaro e quindi fornisce solo l'apparenza di una maggiore ricchezza e di un maggiore "benessere" (e non può peraltro quantificare ciò che è andato perduto in termini di rapporti umani, distruzione dell'humus culturale, aumento della solitudine, incremento di stress e malattie psicosomatiche e così via) poichè li renderà dipendenti dal volere di altri uomini (siano essi datori di lavoro o clienti) che non potranno mai rendere più sicura e serena la vita di qualcuno poiché tenderanno sempre ad approfittarsi di loro e a sfruttarli per i loro scopi, e si sa che gli uomini non sono certo affidabili e sinceri come la natura. Una volta che è stato perso l'equilibrio precedente legato ai cicli della terra e delle stagioni si entra letteralmente in un altro mondo, nella spirale della crescita esponenziale dei bisogni, delle speranze e dei desideri da cui poi non si riesce ad uscire. Se in campagna più o meno tutti vivono allo stesso modo nelle metropoli si "tocca con mano" l'american dream (e le sue distorsioni), si vive fianco a fianco con uno che guadagna (e spende) in un mese quello che tu non riusciresti a guadagnare in una vita e inevitabilmente viene da pensare "ma se ce l'ha fatta lui che magari è anche un po' cretino perché mai non dovrei farcela io che sono anche più intelligente?". Così si rimane schiavi dell'idea che "prima o poi" verrà anche il tuo momento, e ogni sia pur piccolo progresso nel tenore di vita illude che ve ne siano sempre di più non essendo previsto un limite (che invece in natura esiste e lo si può verificare vivendoci). Si crea quindi una dipendenza pari a quella delle droghe da cui è molto difficile uscire: l'orto ti fornisce frutta e verdura e la stalla latte, formaggi e carne, e questi beni sono indispensabili per sopravvivere e deperiscono se non utilizzati; il lavoro invece fornisce un reddito, ovvero un bene non deperibile che può essere accumulato indefinitamente ed essere scambiato con beni non indispensabili alla sopravvivenza. Questo fatto ingenera l'idea del futuro, ovvero di un tempo lontano in cui con tutto il reddito accumulato oggi si potrà in seguito vivere bene senza lavorare, o si potrà trasferirlo ai figli per permettere a loro di non lavorare. Ma anche questa idea si sta perdendo perché il sistema si regge solo se continua a correre, come una bicicletta che se si ferma perde l'equilibrio, e quindi si è costretti a procrastinare "il futuro" sempre più in là fino ad annullarlo. Si vive dunque nell'illusione di un futuro sereno che non vi sarà mai mentre il presente viene sacrificato sull'altare di questa illusione. Solo pochissimi si rendono conto dell'assurdità di questa condizione che a detta dei loro sostenitori dovrebbe generare "benessere" per tutti (o per il maggior numero) e tenteranno quindi di perseguire un equilibrio e mantenerlo (che certo non si può fare all'interno di questo sistema in cui "chi si ferma è perduto") mentre la stragrande maggioranza si roderà il fegato tentendo di "vendersi" come schiavi a ogni sorta di padrone che si servirà di loro finché questo gli garberà e poi li eliminerà come scarpe vecchie. La stragrande maggioranza degli uomini occidentali (o occidentalizzati) e urbanizzati sono come animali che avendo perso ogni capacità di procurarsi il cibo da sé sono costretti ad elemosinare il cibo dalla "generosità" altrui (e, come dicono gli inglesi, "non esiste un pasto gratis") perdendo dunque la propria indipendenza, la propria libertà, il proprio onore, la propria dignità, la propria cultura e quindi, tutto sommato, la propria umanità.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Jacopus il 20 Febbraio 2017, 01:22:43 AM
Interessante discussione. Entro quando le forme e le fazioni sono ormai ben definite.
Vorrei partire dalla definizione di Occidente. L'Europa è l'Occidente che si contrappone all'Oriente. Uno dei primi miti chiama Europa la figlia di un Re fenicio, che viene con l'inganno rapita da Zeus e portata a Creta, dove generera' fra gli altri Minosse e Radamanto, il giudice degli Inferi. I suoi fratelli arriveranno dalla Fenicia in Grecia per cercarla e fra questi Cadmo, che fondo' Tebe e trasmise la conoscenza dell'alfabeto. Insomma tutto questo per dire che la nascita dell'Occidente fu probabilmente il risultato di una prima migrazione e fusione fra la civiltà fenicia e quella greca.
In questa discussione la disgregazione viene addebitata talvolta al pensiero scientifico (induttivo), talvolta alla morte di Dio, talvolta al relativismo. In sostanza parliamo di un'unica causa: la sostituzione del pensiero mitico con il pensiero razionale, con il benedetto logos.
In questo senso credo che la disgregazione dell'Occidente sia già concepibile ai suoi albori, quindi ancor prima dell'avvento di Bacone e Galilei, i quali diedero al processo una spinta sensazionale. La disgregazione dell'Occidente avviene già in Edipo. E' vero il regno di Tebe (ancora lui) era in preda ad una carestia e solo conoscere una terribile verità l'avrebbe salvata, ma Edipo in fondo poteva non chiedere a Tiresia quel terribile segreto, che l'avrebbe condotto alla rovina, eppure lo fa, non tanto credo per salvare Tebe, ma per sete di conoscenza. E' la sete di conoscenza che differenzia la cultura occidentale da molte altre culture. Una conoscenza che diventa presto "sapere" al servizio del potere, che parcellizza il sapere stesso e lo rende un sistema di dominio.
Un sapere che crea anche una gerarchia di saperi e una assolutizzazione degli stessi. In questo senso non vedo differenze rilevanti fra la religione metafisica e quella scientifica. Intendo dire che la scienza ha prodotto dei mutamenti straordinari e dei miglioramenti delle condizioni di vita ma è anche vero che ci ha chiuso in gabbia. Le considerazioni che qualcuno ha fatto sulla scienza che ci rende più stupidi sono da prendere sul serio. Una gabbia fondata sulla assenza di un senso alternativo. Viviamo in un mondo dove la verità è scientifica e il senso delle cose è dato dal denaro. Non esiste più nient'altro. Il monoteismo è stato un importante trisavolo di questa forma di pensiero. In questo modo è stata creata l'identità chiusa dell'uomo occidentale, pronto a rendere strumenti anche gli altri uomini, un tempo per ordine di Dio, ora per ordine della Scienza o della sua ancella pratica, il Denaro.
E' come se vi fosse stato un cammino delle idee, che consequenzialmente ci ha portato dove siamo ora. Abbiamo in mano un potere immenso nelle nostre mani, ma questo potere forse ci ha trasformati, ci ha reso inerti, sedati e ipnotizzati, pronti ad assolutizzare un principio, un'idea, un valore e pronti anche a considerare il "relativismo" un male.
Ma è proprio il relativismo a farci comprendere il mondo secondo una visione non paranoica, perchè io-sono-con-gli-altri che sono diversi da me. Solo il relativismo ci rende capaci di non sottomettere il pensiero altrui al costo della cacofonia di cui questa discussione è un esempio lampante.
Eppure anche se l'Occidente nasconde dentro di sè i semi della sua autodistruzione, direi che conserva anche ampie doti di recupero. Starà a noi dimostrare se quella idea era vincente oppure se dobbiamo riconsegnarci a qualcuno che ci metterà la gabella attorno al collo, ovvero un bussolotto di legno, al quale attingevano gli esattori passando per le campagne o che ci obbligherà ad andare a messa alla domenica, sotto pena di essere fustigato nella pubblica piazza in caso contrario.
Non credo esista una ricetta univoca. La stessa storia delle religioni e del pensiero è ambigua e piena di contraddizioni. La stessa mentalita' occidentale è quella che ha sviluppato la maggiore sensibilità sul tema dei diritti umani e sulla corresponsabilità. E' il pensiero occidentale che è diventato maggiorenne ed ha interpretato la storia come freccia e non come circolo (come ben raffigurato dalla storia del Vangelo).
Il problema odierno credo che dipenda anche dalla impossibilità di confrontarsi con un altro modello, ora che quello sovietico è scomparso. Una hybris di potenza a stento contenuta dalla ricerca di nemici improbabili e pezzenti, e una inquietudine derivante da un modello che apparentemente non permette soluzioni di riserva.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: InVerno il 20 Febbraio 2017, 18:50:01 PM
Citazione di: donquixote il 19 Febbraio 2017, 05:39:01 AM
Citazione di: InVerno il 19 Febbraio 2017, 00:59:47 AMNon c'è bisogno di aspettare l'armageddon per farlo, io lo faccio, ma non sono un autarchico, sono uno stronzo. La tecnologia necessaria per questo tipo di progetto è interamente dovuta a quel malevolo e meschino ambiente di "movimenti finanziari". Suvvia, credete che solo il trattore? Pannelli fotovoltaici.. già, sotto le foglie d'autunno. Stalle.. già, crescono se bagnate il terreno. Ed i Mormoni sono fintamente autarchici nella stessa maniera. Ah, l'economia calcola con avidità anche l'orto. L'invito è quello di provare invece di bagnarvi di sogni notturni, i terreni e i fabbricati in zona rurale si svendono in questo momento, vi posso tranquillamente indicare una decina di terreni e fabbricati che potete portarvi a casa con una decina di mensilità.. Ma poi? Le teorie di Massimo Fini "vorrei essere un morto di fame del Sudan" e poi non trova mai il biglietto per partire..

Ognuno utilizza le armi dialettiche che ha a disposizione, e questa supponenza denota probabilmente una carenza di argomentazioni più convincenti. Quando con Paul si parlava di queste cose lo si faceva citando coloro che esaltano la globalizzazione affermando che questa ha "fatto uscire dalla povertà" milioni di persone nei cosiddetti paesi in via di sviluppo. Nei fatti però lungi dal fare questo la globalizzazione ha solamente "urbanizzato" milioni di contadini che campavano con l'economia di sussistenza inserendoli in una economia di mercato che si misura con il movimento di denaro e quindi fornisce solo l'apparenza di una maggiore ricchezza e di un maggiore "benessere" (e non può peraltro quantificare ciò che è andato perduto in termini di rapporti umani, distruzione dell'humus culturale, aumento della solitudine, incremento di stress e malattie psicosomatiche e così via) poichè li renderà dipendenti dal volere di altri uomini (siano essi datori di lavoro o clienti) che non potranno mai rendere più sicura e serena la vita di qualcuno poiché tenderanno sempre ad approfittarsi di loro e a sfruttarli per i loro scopi, e si sa che gli uomini non sono certo affidabili e sinceri come la natura. Una volta che è stato perso l'equilibrio precedente legato ai cicli della terra e delle stagioni si entra letteralmente in un altro mondo, nella spirale della crescita esponenziale dei bisogni, delle speranze e dei desideri da cui poi non si riesce ad uscire. Se in campagna più o meno tutti vivono allo stesso modo nelle metropoli si "tocca con mano" l'american dream (e le sue distorsioni), si vive fianco a fianco con uno che guadagna (e spende) in un mese quello che tu non riusciresti a guadagnare in una vita e inevitabilmente viene da pensare "ma se ce l'ha fatta lui che magari è anche un po' cretino perché mai non dovrei farcela io che sono anche più intelligente?". Così si rimane schiavi dell'idea che "prima o poi" verrà anche il tuo momento, e ogni sia pur piccolo progresso nel tenore di vita illude che ve ne siano sempre di più non essendo previsto un limite (che invece in natura esiste e lo si può verificare vivendoci). Si crea quindi una dipendenza pari a quella delle droghe da cui è molto difficile uscire: l'orto ti fornisce frutta e verdura e la stalla latte, formaggi e carne, e questi beni sono indispensabili per sopravvivere e deperiscono se non utilizzati; il lavoro invece fornisce un reddito, ovvero un bene non deperibile che può essere accumulato indefinitamente ed essere scambiato con beni non indispensabili alla sopravvivenza. Questo fatto ingenera l'idea del futuro, ovvero di un tempo lontano in cui con tutto il reddito accumulato oggi si potrà in seguito vivere bene senza lavorare, o si potrà trasferirlo ai figli per permettere a loro di non lavorare. Ma anche questa idea si sta perdendo perché il sistema si regge solo se continua a correre, come una bicicletta che se si ferma perde l'equilibrio, e quindi si è costretti a procrastinare "il futuro" sempre più in là fino ad annullarlo. Si vive dunque nell'illusione di un futuro sereno che non vi sarà mai mentre il presente viene sacrificato sull'altare di questa illusione. Solo pochissimi si rendono conto dell'assurdità di questa condizione che a detta dei loro sostenitori dovrebbe generare "benessere" per tutti (o per il maggior numero) e tenteranno quindi di perseguire un equilibrio e mantenerlo (che certo non si può fare all'interno di questo sistema in cui "chi si ferma è perduto") mentre la stragrande maggioranza si roderà il fegato tentendo di "vendersi" come schiavi a ogni sorta di padrone che si servirà di loro finché questo gli garberà e poi li eliminerà come scarpe vecchie. La stragrande maggioranza degli uomini occidentali (o occidentalizzati) e urbanizzati sono come animali che avendo perso ogni capacità di procurarsi il cibo da sé sono costretti ad elemosinare il cibo dalla "generosità" altrui (e, come dicono gli inglesi, "non esiste un pasto gratis") perdendo dunque la propria indipendenza, la propria libertà, il proprio onore, la propria dignità, la propria cultura e quindi, tutto sommato, la propria umanità.
Io sono d'accordo in via generale con il sentimento delle vostre opinioni (non riguardo all'urbanizzazione dei contadini, avvenuta molto prima della globalizzazione). Detto questo, il paradosso è che se qualcuno come me riesce a farcela oggi giorno.. è proprio per la globalizzazione. Paradosso ancora più grande, è che il tema del ritorno al naturale nasce proprio nel substrato dell'american dream (Thoreau etc). Vorrei andare nei dettagli di questo tipo di argomentazione, ma sarebbe probabilmente  un altro offtopic quindi evito. Io ho una passione nella vita, demolire le "idealizzazioni" come fonti di ideologie, tentare di mostrare la contaminazione insita in ogni storia, la merda sotto gli stivali di ogni generale sceso da cavallo. E' una missione satirica in un certo senso, ma una missione che ha come unico nemico il puritanesimo, inteso non come movimento religioso, ma ideologia della purezza. Se c'è una cosa che il contatto con la natura insegna è che non esistono binomi, non esistono categorie perfette, e sopratutto come diceva il poeta (Dylan ha sdoganato?) "Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori". Ho prurito per i cercatori di diamanti, perchè spendono la loro  vita a cercare terreni asettici e infertili, terreni di fobia e repressione, deserti di morte. Se voglio un mondo in cui vivere, deve essere pieno di letame, e parte di questo lezzo fecale è anche il fatto che senza la globalizzazione quelle poche realtà agricole sarebbero morte in una maniera ancora più rapida a seguito dell'industrializzazione. La parte meno nota, è che oggi grazie a quel letamaio della globalizzazione, i pochi e fortunati che riescono a gestirsi un microscopico regno agricolo, vivono di una qualità della vita nettamente superiore, e potete voi fantasticare sull'installazione di pannelli solari. Per questo mi definisco stronzo, nel senso di parassita, ma a buon rendere, anche il mio modello ha qualcosa da offrire, e molti se ne stanno accorgendo. Tempo al tempo, senza fretta, come dici tu "ritornare a seguire il ritmo delle stagioni", ne fa parte anche l'aspettare che i corsi e ricorsi storici degli uomini si compiano.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Duc in altum! il 20 Febbraio 2017, 19:18:25 PM
**  scritto da Inverno:
CitazioneSe c'è una cosa che il contatto con la natura insegna è che non esistono binomi, non esistono categorie perfette, e sopratutto come diceva il poeta (Dylan ha sdoganato?) "Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori".
Meno per la natura "uomo", infatti è l'unica che distrugge, anche senza motivo, la natura. E' l'uomo che ha dato vita alla menzogna, quindi è imperfetto.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: donquixote il 20 Febbraio 2017, 21:52:13 PM
Citazione di: Eretiko il 18 Febbraio 2017, 11:09:10 AMLa separazione netta che tu fai tra "sapere metafisico deduttivo" e "sapere scientifico induttivo" è proprio quello che sto contestando dall'inizio di questa discussione; ancor più contesto l'affermazione che il sapere scientifico sia (esclusivamente) induttivo. Se lo scopo della discussione è fornire spunti di riflessione allora è bene, ancor prima di giungere alla tesi finale che ognuno, liberamente, potrà elaborare, partire da ipotesi iniziali condivise (invece anche su queste siamo, sembra, irrimediabilmente divisi). In particolare, come ho già affermato in altri post, ho l'impressione che ci sia in molte persone un approccio sbagliato nei confronti del metodo scientifico, che si continua ad identificare erroneamente in un puro e semplice metodo induttivo (che era quello della scienza antica) e che mai potrebbe produrre una "verità" perché non si può ovviamente "indurre" una legge universale dall'osservazione ingenua di un fenomeno contingente (come metaforicamente faceva notare Russel a proposito del "tacchino induttivista"). Per questo avevo invocato una maggior cultura scientifica, intesa come comprensione di fondo della metodologia base del metodo scientifico, proprio per sgombrare il campo definitivamente da questo infondato pre-giudizio negativo.

Tutti sanno perfettamente che chiunque (di qualunque cultura) utilizza entrambi i metodi (deduttivo e induttivo) per elaborare il proprio sapere, ma se uno vuol fare una sintesi schematica la fa sulla base della prevalenza (o meglio della gerarchia) di uno rispetto all'altro. Se guardi i messaggi che ho scritto questo l'ho evidenziato, anche se magari in modo indiretto. Ma visto che è così difficile capirsi proverò ad essere più chiaro: immagina un puzzle formato da 20 miliardi di pezzi tutti sparsi alla rinfusa davanti a un rappresentante della cultura deduttiva o metafisica (che per comodità chiamerò "tradizionale") e uno uguale sparso innanzi ad un rappresentante della cultura induttiva o scientifica (che per comodità chiamerò "moderna"); il primo sa, perché gliel'hanno insegnato i suoi avi i quali a loro volta l'hanno imparato dai loro e così via (anche se non è affatto escluso che ci possa arrivare anche da solo), che quella montagna di pezzi sono tutti parte di un unico disegno, anche se non sa di che disegno si tratti perché non l'ha fatto lui e nessuno glielo ha mostrato. Il secondo invece, negando l'insegnamento dei suoi genitori e dei suoi nonni e affidandosi solo ai suoi sensi, rifiuta a priori l'idea che vi sia un disegno complessivo e vuole guardarci dentro da solo, e osservando con i suoi occhi vede che ogni pezzo del puzzle ha un disegno, una figura, e crede che quello sia esattamente e solo quello che è (o meglio che lui ha deciso che sia), indipendente da tutti gli altri pezzi, come fosse una cosa a sé.
Mentre il rappresentante della cultura tradizionale sa, perché gliel'hanno insegnato, che anch'egli e ogni  suo simile è parte di quel disegno anche se gli risulterà difficile trovare i tasselli che lo riguardano e metterli nella giusta posizione all'interno del quadro complessivo, quello della cultura moderna non lo sa poiché pensa di essere un'altra cosa, separata, rispetto alla montagna di pezzi che ha davanti (da qui l'invenzione della "conoscenza oggettiva"); si ritiene anzi  il "dominus" di quei tasselli perché in fin dei conti è stato lui a conoscerli, a nominarli, come il personaggio del Piccolo Principe si credeva il padrone delle stelle perché era stato il primo a contarle.
La tradizione si rende conto della piccolezza dell'uomo dinnanzi all'immensità dell'universo, che rispetta e teme poiché sa che questa può schiacciarlo quando vuole, mentre alla modernità basta sottomettere qualche animale con l'allevamento oppure piantare ordinatamente qualche seme convincendosi di essere lui e non la natura a controllarne la crescita, per illudersi di poter controllare, col tempo, tutto ciò che vi è in cielo e sulla terra. La tradizione è convinta che siccome l'uomo è un prodotto dell'universo come tutti gli altri animali dovrà limitare (osservando appunto quel che fanno gli animali) la propria conoscenza induttiva e "funzionale" ai tasselli del mondo che gli serviranno a garantire la propria sopravvivenza (basta leggere seri trattati di antropologia per vedere come molti popoli possedessero una tassonomia solo per le piante che ritengono utili all'uomo in qualche modo, mentre tutte le altre le chiamano semplicemente "piante"), mentre la modernità classifica qualunque cosa vede, utile o non utile, illudendosi che la conoscenza di quanti più frammenti possibile lo possa condurre a scoprire il disegno completo del puzzle.
Da quando Cartesio, nel tentativo di ripensare da capo tutta la filosofia precedente, proclamò il famoso "cogito ergo sum" sottintendendo di fatto che ciò che non pensa nemmeno è, ha ribadito e definitivamente cristallizzato la superiorità dell'uomo su qualunque altro ente dell'universo, e se questi ultimi esistono è solamente perché l'uomo, col suo pensiero, gli fornisce la dignità dell'esistenza. Protagora diceva "L'uomo è misura di tutte le cose", ma questa è una semplice ovvietà perché se noi fossimo pesci avrebbe detto "il pesce è misura di tutte le cose" dato che ogni specie e ogni ente si rapporta con gli altri enti in modo differente e partendo dalle proprie caratteristiche, dai propri bisogni e dalle proprie esigenze. Se la tradizione, quindi la cultura deduttiva, pone come assoluto colui che ha "progettato" e ha dato vita al disegno rappresentato da tutti i pezzi del puzzle e cerca di trovare il suo posto all'interno di questo disegno rispettando nel contempo il posto di tutti gli altri enti e di tutte le altre specie, ed essendo, questo "geometra" (come diceva Platone), uno, assoluto, inconoscibile, inaccessibile, incommensurabile, ineffabile non può essere ridotto a "servitore" di qualcuno ma solo di se stesso (e tutti gli altri enti dell'universo sono, in qualche modo, al suo "servizio"), la modernità ha invece, come già avevo sottolineato nel mio primo messaggio, posto come assoluto l'uomo,  la specie umana, e quindi le sue esigenze, i suoi bisogni, i suoi desideri, le sue necessità. Il maggior errore della modernità è stato quello di idolatrare l'uomo, ovvero in altri termini quello di assolutizzare il relativo (poiché l'uomo è ovviamente un relativo e non un assoluto), di porre al di sopra della scala gerarchica universale ciò che ne è invece solo un piccolo, e in sé insignificante, frammento. Per questa ragione dicevo che l'uomo tradizionale guarda lontano e "vede" l'universo, mentre l'uomo moderno vede solo il suo ombelico.
Dunque la cultura tradizionale può utilizzare senza alcun problema un linguaggio mitico, allegorico, favolistico, immaginifico, fantasioso per raccontare il fuoco, o i fulmini, o le eclissi, o l'eruzione di un vulcano, o i comportamenti degli animali e delle piante fino agli aspetti psicologici e caratteriali degli uomini poiché la sua è una cultura deduttiva e quindi "giustificativa"; ogni fenomeno del mondo, piccolo o grande che sia, ha una sola giustificazione nel "volere" di Colui che sovrintende l'universo, lo ha "disegnato" così com'è e lo mantiene in vita (anche qui da noi si diceva una volta "non si muove foglia che Dio non voglia") e i racconti di fantasia che servono a spiegare ogni singolo fenomeno hanno la funzione di placare in modo coerente con la cultura di riferimento (utilizzando quindi i simboli e le allegorie riconoscibile da quella cultura) il desiderio umano di curiosità (e se del caso a consolare le sue ansie e le sue sofferenze) senza che vi sia il pericolo che tale conoscenza possa essere utilizzata per modificare alcuni aspetti delle dinamiche universali che dovevano comunque essere rispettate. Poi alcuni (anzi molti, poi dipende dalle culture) di questi racconti e di questi miti sono metafore elaborate  in modo che potessero avere anche una funzione e una dignità prettamente intellettuale, filosofica e metafisica e potessero tradursi nella forma letteraria e concettuale che siamo più abituati ad usare noi (basta guardare la Bibbia, oppure la Bhagavad Gita, oppure molti romanzi epici di ogni cultura e di ogni tempo), come del resto molte favole sono evocative di concetti morali che vengono espressi in forma non concettuale.
L'uomo moderno invece, ponendosi come assoluto, riconduce la conoscenza a sé, la modifica e la elabora per renderla funzionale alle proprie esigenze (di solito si "conosce" qualcosa non come effettivamente è, ma si esalta la conoscenza di quelle caratteristiche che possono essere di una qualche utilità o pericolosità per l'uomo), ritiene che il mondo e l'universo si siano formati per "caso" per cui tocca a lui, all'uomo, mettere "ordine" in questo caos incomprensibile. Per questa ragione tutta la sua conoscenza è indirizzata non a comprendere il mondo così com'è per adeguarvisi, ma a porlo sotto il proprio controllo, sotto il proprio "ordine", intervenendo con la tecnica e la tecnologia ove possibile e cercando di prevederne ogni comportamento ove l'intervento umano non è ancora possibile. Se la deduzione della cultura tradizionale parte da un punto centrale dell'universo e si irradia attraverso il movimento ordinato dei pianeti fino alla crescita del filo d'erba, e riconduce ad esso ogni conoscenza sensoriale e induttiva, quella della cultura moderna pone al centro l'uomo, e riconduce ad esso e alle sue esigenze ogni successiva induzione.
Il "progresso" della modernità non si è sviluppato solo nell'ambito della conoscenza del comportamento degli enti e della relazione fra loro, ma è parallelamente proseguito anche in termini "filosofici" prima affermando che alcuni "settori" della specie umana che a volte vengono chiamate "razze" e altre volte "etnie" erano superiori ad altri (per cui le loro esigenze potevano essere perseguite a discapito di quelle delle "razze" inferiori) e poi arrivando all'oggi in cui si afferma che ogni singolo uomo ha il diritto di "sfruttare" l'universo per soddisfare le sue proprie esigenze, i suoi propri desideri, i suoi propri capricci, per cui la conoscenza scientifica e funzionale dovrà essere progressivamente disponibile sotto forma di tecnica e tecnologia per qualunque uomo sulla faccia della terra ne faccia richiesta, poiché questo è considerato un suo "diritto" sacrosanto, e il progresso della "civiltà" consiste essenzialmente in questo. Mi pare quindi che questo quadro sintetizzi i quattro tratti caratteristici essenziali che ho elencato nel primo messaggio e che differenziano la cultura "deduttiva" o tradizionale da quella "induttiva" o moderna che può essere anche definita "funzionale" ad un relativo, l'uomo, che è stato arbitrariamente posto come assoluto, ed oltre a determinare l'atomizzazione culturale dei vari individui che vedranno l'universo intero ruotare intorno al proprio ombelico ha creato le condizioni di un conflitto permanente fra la specie umana e le dinamiche naturali.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: donquixote il 20 Febbraio 2017, 22:09:16 PM
Citazione di: InVerno il 20 Febbraio 2017, 18:50:01 PMIo sono d'accordo in via generale con il sentimento delle vostre opinioni (non riguardo all'urbanizzazione dei contadini, avvenuta molto prima della globalizzazione). 

Forse ti è sfuggito il fatto che per urbanizzazione dei contadini si intende, come ho scritto nel mio messaggio, quelli dei paesi "in via di sviluppo" che è avvenuta in massa proprio a seguito della globalizzazione (basta guardare Cina e India). Per il resto, a parte la grave contraddizione quando affermi:

Citazione di: InVerno il 20 Febbraio 2017, 18:50:01 PMsenza la globalizzazione quelle poche realtà agricole sarebbero morte in una maniera ancora più rapida a seguito dell'industrializzazione

poichè l'industrializzazione (stiamo sempre parlando dei paesi "in via di sviluppo") è avvenuta proprio a seguito della globalizzazione e quindi senza di questa l'industrializzazione non sarebbe esplosa, non è questione di esaltazione della purezza, non c'è niente di assolutamente puro nel mondo del divenire, ma è una questione di dinamiche e di equilibri. L'obiettivo di una cultura sensata dovrebbe tendere all'adeguamento alle dinamiche naturali e trovare (e mantenere) un proprio equilibrio interno, e una cultura basata sullo sfruttamento indiscriminato di risorse non rinnovabili nei medesimi tempi che si impiega a consumarle, sulla crescita economica progressiva e sulla competizione permanente sia una cultura totalmente squilibrata in cui prevalgono dinamiche distruttive.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: InVerno il 21 Febbraio 2017, 10:41:09 AM
Citazione di: donquixote il 20 Febbraio 2017, 22:09:16 PM
Citazione di: InVerno il 20 Febbraio 2017, 18:50:01 PMsenza la globalizzazione quelle poche realtà agricole sarebbero morte in una maniera ancora più rapida a seguito dell'industrializzazione

poichè l'industrializzazione (stiamo sempre parlando dei paesi "in via di sviluppo") è avvenuta proprio a seguito della globalizzazione e quindi senza di questa l'industrializzazione non sarebbe esplosa, non è questione di esaltazione della purezza, non c'è niente di assolutamente puro nel mondo del divenire, ma è una questione di dinamiche e di equilibri. L'obiettivo di una cultura sensata dovrebbe tendere all'adeguamento alle dinamiche naturali e trovare (e mantenere) un proprio equilibrio interno, e una cultura basata sullo sfruttamento indiscriminato di risorse non rinnovabili nei medesimi tempi che si impiega a consumarle, sulla crescita economica progressiva e sulla competizione permanente sia una cultura totalmente squilibrata in cui prevalgono dinamiche distruttive.
Certo che non avevo inteso i paesi in via di sviluppo, questo è supposto essere un topic sull'occidente. Tutto sta sul cosa intendi per "interno", perchè nel momento in cui per "interno" intendi "nazionale" intendi un entità originata da istanze storico-culturali che non hanno nulla a che fare con un ipotetico equilibrio interno di risorse (e anche se fosse, la natura mutevole della necessità di risorse renderebbe la validità di queste divisioni estemporanea) e da qui il fallimento sistematico di qualsiasi autarchia. Oggi abbiamo a che fare con squilibri di ordine globale, chiunque si chiuda nel proprio recinto a pensare i fatti propri dovrebbe essere additato come parassita, perchè nella pratica le conseguenze delle sue azioni sono globali, ma nella teoria si interessa solamente del suo giardino (Vedi Cina). Sono proprio questi sovranismi i maggiori devastatori di qualsiasi equilibrio. Poi del furto della parola globalizzazione ho già parlato e non mi voglio ripetere, sta di fatto che non vedo molte soluzioni, prima ragionamo a livello planetario meglio è per tutti, i curatori di giardini nazionali (li elenco?) sono nei fatti una disgrazia a cielo aperto, oppure si indichi un modello virtuoso tra essi.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: paul11 il 21 Febbraio 2017, 16:20:21 PM
Porrei un elemento ulteriore di riflessione, rispondendo almeno in parte indirettamente a Jacopus.

Dalla tradizione biblica ci arriva la disobbedienza di Adamo; dalla tradizione greca i miti di Prometeo e del Vaso di Pandora.
In tutte e tre vi è una disobbedienza ad un dio e ancora in tutte, si originano mortalità, malattia, vecchiaia.
Altro fattore comune la curiosità e la conoscenza.
Il mito greco viene da molto più lontano ,la madre di Prometeo è Asia.

Le tradizioni ci raccontano di un tempo in cui dei e umani convivevano, ma gli umani o semi dei o nel mito greco la lotta fra titani e dei , il padre di Zeus è il titano Cronos che si combattono, o vengono eruditi dagli dei o carpiscono loro l conoscenza.
Quell'albero della conoscenza in Adamo, in cui la tentazione, la curiosità è più forte del timore divino.
Ma la conoscenza porta con sè la storia umana che si separa dagli dei con tutte le avversioni a cui tutti e tre i personaggi vengono intimati dagli dei stessi.

Ci sono due interpretazioni di massima: la prima è che l'uomo sceglie una strada decadente colma di contraddizioni, perchè la conoscenza è lotta per il potere è lotta contro la natura che porta il destino della morte; la seconda è che sia un atto di libertà,
di liberazione dagli dei.  la prima è un'interpretazione antichissima, anzi non è nemmeno una interpretazione è un vero e proprio ammonimento , nel Libro Segreto di Enoch è altrettanto chiaro che il capo degli dei non vuole che gli Angeli (che disobbediranno e quindi saranno "Caduti"i insegnino agli umani conoscenze.
C'è quindi un antichissimo monito prima ancora della nascente filosofia greca, che quando sorge è già nel tempo della decadenza secondo quel monito profetico

Finito il tempo dei miti, finito il tempo degli dei i filosofi indagano dalla natura, non potendo più avere conoscenze dagli dei 

Coì' il viatico della storia ,della conoscenza perde da una parte la possiibliità di essere dentro quell'antico sacro divino e sceglie la conoscenza del manifesto, delle apparenze, dei fenomeni ed eventi.
Rompe il tabù, il fuoco prometeico, il frutto adamitico, il vaso di Pandora, spezza il totem , ma la  coscienza che sapeva relazionare seppur priva di conoscenza dei particolari, in cui ogni cosa era significazione e rimando a qualcos'altro( ed è questo il dedurre, il movimento della conoscenza dal tutto al particolare che dà senso e signifcazioni a tutti  i particolari senza bisogno di indagare gli stessi particolari) , ora si ferma alla prima sintesi dei particolari, le leggi che spiegano il fenomenico che non dà più senso alla significazione umana dell'essere e dell'esistenza, essendosi spezzata anch'essa. la deduzione della nostra cultura non arriva  alla coscienza la conoscenza non è più in grado di evolvere la coscienza, spiega solo la sintesi dell'evento, del fenomeno ,così come quell'Adamo carpì il frutto dall'albero della conoscenza, ma non della vita.

Ora se le religioni e i miti fossero bugie, menzogne, bisognerebbe capire quale umano abbia avuto una simile capacità di lettura del genere umano da predirne storia e avversità.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: donquixote il 21 Febbraio 2017, 17:40:13 PM
Paul
per essere più precisi bisogna considerare che l'episodio del peccato originale evidenzia la proibizione della conoscenza "del bene e del male", ovvero la conoscenza divisiva, frammentaria, manichea; la conoscenza della materia, che essendo indefinitamente divisibile verrà (come del resto è stato fatto) polverizzata, atomizzata, e la sua conoscenza trasformata in fenomenologia, perdendo quindi di vista la connessione di ogni ente e di ogni fenomeno con ciò che  permette a tutti gli enti e i fenomeni di sussistere e di essere ciò che sono, e perdendo altresì di vista il loro posto nel disegno complessivo del "Sommo Geometra".
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: paul11 il 21 Febbraio 2017, 18:33:15 PM
Citazione di: donquixote il 21 Febbraio 2017, 17:40:13 PMPaul per essere più precisi bisogna considerare che l'episodio del peccato originale evidenzia la proibizione della conoscenza "del bene e del male", ovvero la conoscenza divisiva, frammentaria, manichea; la conoscenza della materia, che essendo indefinitamente divisibile verrà (come del resto è stato fatto) polverizzata, atomizzata, e la sua conoscenza trasformata in fenomenologia, perdendo quindi di vista la connessione di ogni ente e di ogni fenomeno con ciò che permette a tutti gli enti e i fenomeni di sussistere e di essere ciò che sono, e perdendo altresì di vista il loro posto nel disegno complessivo del "Sommo Geometra".

Sono d'accordo, la tua specificazione è pertinente e va verso una giusta profondità.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Fharenight il 21 Febbraio 2017, 19:06:53 PM
Citazione di: paul11 il 21 Febbraio 2017, 18:33:15 PM
Citazione di: donquixote il 21 Febbraio 2017, 17:40:13 PMPaul per essere più precisi bisogna considerare che l'episodio del peccato originale evidenzia la proibizione della conoscenza "del bene e del male", ovvero la conoscenza divisiva, frammentaria, manichea; la conoscenza della materia, che essendo indefinitamente divisibile verrà (come del resto è stato fatto) polverizzata, atomizzata, e la sua conoscenza trasformata in fenomenologia, perdendo quindi di vista la connessione di ogni ente e di ogni fenomeno con ciò che permette a tutti gli enti e i fenomeni di sussistere e di essere ciò che sono, e perdendo altresì di vista il loro posto nel disegno complessivo del "Sommo Geometra".

Sono d'accordo, la tua specificazione è pertinente e va verso una giusta profondità.


Sono d'accordo anch'io con entrambi. Bravo Paul e bravo Donquixote!
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: InVerno il 21 Febbraio 2017, 20:35:19 PM
A parte il fatto che io penso che la condanna della donna Eva\Pandora sia solo un elaborazione successiva di un filone mitologico nato in società matrilineari e matriarcali, dove la donna aveva il potere di fare questa decisione (a differenza dell'uomo, che successivamente non si è dato pace). La mitologia in se è abbastanza chiara, Eva coglie il frutto prima che il peccato originale la contamini, Pandora è curiosa ben prima che il vaso si apra. L'uomo era già "macchiato" prima di macchiarsi, altrimenti non avrebbe avuto alcun motivo per commettere il gesto in se. Poco soddisfacente pensare che "solo la donna" fosse impura, il femminino non è alienabile a piacimento, e che la curiosità sia femmina è una questione ridicola. Se poi andiamo a cercare la più plausibile spiegazione storica del mito Adamitico, un tempio a una quindicina di chilometri dalla supposta casa di Abramo, scopriamo infatti che la costruzione del tempio stesso costrinse i cacciatori\raccoglitori a fermarsi in loco per quasi cinque secoli e a "piegare la natura" per sopravvivere sedentariamente. E' nata prima la necessità del tempio nel cuore dell'uomo, o il peccato agricolo che poi verrà maledetto seppellendo il tempio stesso per vergogna? Questo non mi sembra un dilemma alla uovo\gallina, mi sembra chiaro in entrambi i casi. Queste mitologie vengono citate sempre ad evidenziare che "poteva andare diversamente". Ma poteva?
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: donquixote il 21 Febbraio 2017, 21:08:42 PM
Citazione di: InVerno il 21 Febbraio 2017, 20:35:19 PMA parte il fatto che io penso che la condanna della donna Eva\Pandora sia solo un elaborazione successiva di un filone mitologico nato in società matrilineari e matriarcali, dove la donna aveva il potere di fare questa decisione (a differenza dell'uomo, che successivamente non si è dato pace). La mitologia in se è abbastanza chiara, Eva coglie il frutto prima che il peccato originale la contamini, Pandora è curiosa ben prima che il vaso si apra. L'uomo era già "macchiato" prima di macchiarsi, altrimenti non avrebbe avuto alcun motivo per commettere il gesto in se. Poco soddisfacente pensare che "solo la donna" fosse impura, il femminino non è alienabile a piacimento, e che la curiosità sia femmina è una questione ridicola. Se poi andiamo a cercare la più plausibile spiegazione storica del mito Adamitico, un tempio a una quindicina di chilometri dalla supposta casa di Abramo, scopriamo infatti che la costruzione del tempio stesso costrinse i cacciatori\raccoglitori a fermarsi in loco per quasi cinque secoli e a "piegare la natura" per sopravvivere sedentariamente. E' nata prima la necessità del tempio nel cuore dell'uomo, o il peccato agricolo che poi verrà maledetto seppellendo il tempio stesso per vergogna? Questo non mi sembra un dilemma alla uovo\gallina, mi sembra chiaro in entrambi i casi. Queste mitologie vengono citate sempre ad evidenziare che "poteva andare diversamente". Ma poteva?

I miti sono stati inventati per spiegare, ovviamente, cose già accadute, e come le metafore non vanno forzati oltre il loro significato intrinseco ed essenziale analizzando ogni singolo vocabolo utilizzato nel racconto, altrimenti perdono qualsiasi significato (come non bisogna necessariamente trovare riferimenti storici precisi perchè se la storia racconta ciò che è accaduto una volta il mito racconta ciò che accade ogni giorno). Solo nella modernità si può supporre che le cose, nel mito, sarebbero potute andare diversamente, mentre al tempo in cui i miti erano di moda si sapeva bene che se le cose sono andate così è perchè "dovevano" andare così, e il mito è una semplice "presa d'atto" di come sono andate le cose, una "giustificazione", per quanto allegorica, dell'esistente. Poi il comportamento di Eva (e quindi la critica al "femminino") non è determinato solo dalla curiosità ma anche dalla vanità, dalla superbia, dal facile cedimento alle promesse e alle lusinghe, considerando ovviamente il discorso del serpente. E Pandora è stata "fabbricata" apposta dagli dei così com'era: Pandora significa infatti "colei che ricevette doni da tutti gli Dei", ma anche "colei che fu dono (agli uomini) da parte di tutti gli Dei" e ricevette in particolare, da Ermes, «un'anima di cagna e indole ingannatrice» come racconta Esiodo.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: InVerno il 21 Febbraio 2017, 21:47:40 PM
Se il mito è rappresentativo dell'umanità e per questo ha un qualche valore assoluto che senso ha limitarlo ad un tempo definito, non c'è motivo di credere che nella contemporaneità le cose possano o debbano andare diversamente, come non lo sono andate ai tempi. Se le Pandora di oggi si troveranno davanti ad un vaso, perchè dovrebbero non aprirlo quando è nella loro natura farlo, furono create per farlo? Esiodo che da buon elleno non si tirava indietro da responsabilizzare i propri dei, non lascia la colpa alla povera e sola Eva, ma tira in ballo come tu ben ricordi i doni di tutti gli dei e in special modo di Ermes, Pandora era destinata e destinati erano altrettanto tutti i suoi figli, non perchè il vaso era stato aperto (una questione teodicea) ma perchè cosi erano stati creati innanzitutto.
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: Duc in altum! il 22 Febbraio 2017, 10:27:58 AM
**  scritto da InVerno:
Citazionee sopratutto come diceva il poeta (Dylan ha sdoganato?) "Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori".
...e comunque non è vero che dai diamanti non nasce niente.
HO VISTO NASCERE AMORI CHE NESSUNO AVREBBE MAI IMMAGINATO, PER UN SOLITARIO DA UN CARATO ALMENO.  ;D  ;D  ;D
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: paul11 il 22 Febbraio 2017, 14:14:36 PM
Citazione di: InVerno il 21 Febbraio 2017, 21:47:40 PMSe il mito è rappresentativo dell'umanità e per questo ha un qualche valore assoluto che senso ha limitarlo ad un tempo definito, non c'è motivo di credere che nella contemporaneità le cose possano o debbano andare diversamente, come non lo sono andate ai tempi. Se le Pandora di oggi si troveranno davanti ad un vaso, perchè dovrebbero non aprirlo quando è nella loro natura farlo, furono create per farlo? Esiodo che da buon elleno non si tirava indietro da responsabilizzare i propri dei, non lascia la colpa alla povera e sola Eva, ma tira in ballo come tu ben ricordi i doni di tutti gli dei e in special modo di Ermes, Pandora era destinata e destinati erano altrettanto tutti i suoi figli, non perchè il vaso era stato aperto (una questione teodicea) ma perchè cosi erano stati creati innanzitutto.

La tua è la tipica interpretazione della "liberazione".
Io so, ma molto modestamente , che ogni cosa in natura ha una posologia. Un veleno diventa medicina, un' erba diventa medicina se si passa oltre allora sono mortali, come d'altra parte i farmaci attuali di sintesi 
Allora la mia interpretazione è la seguente: sapevano che l'uomo è potente e poteva piegare a sè se stesso, vale i dire i suoi simili e la natura.  ma ogni valore deve avere un limite,così come mostra la natura.
Il delirio di onnipotenza umano, di sostituirsi ad un dio, di potere fare ciò che ritiene opportuno, è comunque sempre soggiacente alla natura.
L'uomo oggi ha sempre più opportunità di fare ciò che i suoi desideri gli indicano, può soddisfarli : andare a donne/uomini, drogarsi, alcolizzarsi,  e noi questo la spacciamo per libertà  ma la libertà come ogni valore è sempre temperato dai limiti ( per me la libertà ha il limite della responsabilità del proprio comportamento)che non sono solo fisici sono morali etici. Se questa attuale cultura che ha tolto etica e morale, spacciandola anch'essa per libertà, abbiamo un moltiplicatore di libertà (guarda i termini nella modernità, come liberismo e liberalismo cosa offrono) che ne l tempo dell'acciaio farà deragliare questa umanità incapace di stare nei binari che la stessa natura gli mostra continuamente. 

Allora dico semplicemente, loro sapevano nella remota antichità  ,ci hanno dato un monito, come il buon padre di famiglia lo dice al figlio/a  quando lo lascia uscire dalla porta di casa ,quando gli dona una libertà ma gli dichiara anche una responsabilità .
Titolo: Re:Disgregazione dell'occidente?
Inserito da: InVerno il 22 Febbraio 2017, 16:08:07 PM
No la mia non è un interpretazione di liberazione, anzi nego il fatto che sia mai avvenuta una liberazione ma affermo invece che sia preesistente all'apertura di qualsiasi vaso o la raccolta di qualsiasi frutto, fatto che altrimenti non sarebbe mai accaduto, affermo sia connaturata alla nostra esistenza. L'interpretazione a cui aderisco io e che ho già detto è quella degli stati nascenti di Alberoni, l'individuazione dell'anno zero nel mito serve per dare origine ad un identità culturale antagonista dell'ipotetica corruzione (essendo nascente, è riottosa verso l'ordine costituito), serve ad individuare il nemico e l'amico, come dice donquixote a distinguere il bene dal male. Per me si possono citare tutte le mitologie dell'anno zero che si vogliono, ce ne sono a vagoni, sono solo strumenti linguistici per offrire autorità alle proprie idee, e per agire ancora una volta, come giudici universali. Evidententemente anche i più critici, non riescono a sfuggire alla tentazione di sentirsi homo deus, compreso te, perchè è nella tua natura.