Alla ricerca della gaia scienza

Aperto da Koba-san, 16 Settembre 2025, 11:26:49 AM

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Phil

Considerazioni veloci, per non distogliere troppo il discorso da Nietzsche, ma parlando come chi ha il vantaggio di vivere dopo il novecento e dopo i suoi eredi con "martello e cazzuola" (e mi stupisco sempre un po' quando qualcuno si ferma per incanto a Nietzsche):
Citazione di: Kob il 02 Ottobre 2025, 08:01:36 AMMa dal punto di vista epistemologico non c'è differenza rispetto a dottrine quali il neoplatonismo.
Se mi ingegno per trovare e definire questa differenza vuol dire che sto lavorando (inconsciamente o meno) in funzione di un'utilità per la mia vita (cioè per qualche ragione ritengo sia più utile il materialismo).
La differenza epistemologica c'è, e dovrebbe esserci soprattutto per un filosofo; non perché sia inevitabile fare preferenze personali da un lato o dall'altro, ma perché se non c'è differenza epistemologica (quindi non di "affinità individuale") fra i due, significa che sono teoreticamente "paralleli"; mentre è fattuale che non lo siano per le conseguenze pratiche, oltre che teoriche, che ne derivano. Se appiattiamo ogni filosofia ad un generico «è pur sempre utile alla vita di qualcuno, proprio come le altre filosofie», smettiamo di fare epistemologia e tutto si banalizza in «ognuno ha le sue utili opinioni» (e tutte le vacche sono nere, come diceva qualcuno).
Citazione di: Kob il 02 Ottobre 2025, 07:04:41 AMquanto riusciremo ad essere creatori di nuovi valori, di nuove prospettive, essendo consapevoli dell'origine spuria di questa stessa attività?
Da questa "monocromia filosofica" e dall'apparente stallo della critica che critica se stessa (e quindi rischia di andare in crisi), si esce semplicemente rispondendo alle istanze pulsanti della vita con un pragmatismo relativista (che non è "realismo qualunquista"), ossia considerando le esigenze della vita reale, individuale e sociale, alla luce di valori non assoluti, ma relativi al proprio tempo (come in fondo accade da sempre, direbbe Nietzsche). Con la conseguenza che la fantomatica verità, proprio in quanto contestualizzata (re-lata), ha un valore per l'individuo differente dalle non-verità, anch'esse contestualizzate; in quest'ottica semplicemente non c'è terreno fertile per una metafisica che imponga verità assolute (meta-temporali), ed è un'ottica in cui Dio può anche morire, quando è venuto il suo tempo.
In un certo senso è proprio la "forma di vita" della società che comporta la creazione dinamica di nuovi valori, nuove letture del mondo, etc. dopo il novecento è possibile partecipare a (non solo osservare) tale creazione, e le prassi che ne derivano, con maggior disincanto rispetto a velleità metafisiche e metastoriche (i vari assoluti).
Forse la gaia scienza può anche essere intesa come lo "stare al gioco" della relatività dei valori che si addensano nelle vicende umane, in cui le regole (scienza) sono essenziali e discriminanti (una non vale l'altra), ma sono asservite (utilità) al gioco (gaiezza) che anima l'applicazione di tali regole; animazione così preponderante al punto da cambiare le stesse regole durante la partita.

P.s.
En passant: l'unica verità di cui non possiamo fare a meno, per fare discorsi sensati, è quella meramente logica: se affermo «la verità metafisica non esiste», devo anzitutto presupporre la verità logica come possibilità di sensatezza di questa affermazione (ogni affermazione è in quanto tale affermazione di verità logica); che poi sia anche una verità teoretica, empirica o altro è solo un secondo passo.

iano

#61
Citazione di: niko il 01 Ottobre 2025, 22:56:59 PMNo, dal momento che ogni fenomeno classico puo' essere spiegato in termini relativistici, e nessun fenomeno relativistico puo' essere spiegato in termini classici.
La teoria che accoglie e contiene l'altra, e' piu' veritativa dell'altra e non viceversa, e non sono tutte uguali, e nemmeno, mi dispiace, tutte equivalenti.
Tu sei scettico, sei una persona scettica, e vorresti che fosse scettica anche la scienza (volonta' di potenza; in questo caso: la tua) ma se cosi' fosse, ad oggi, staremmo ancora a Galileo col cannocchiale, e al cardinale Bellarmino che lo contesta, e no, non me la sento, di dirti che sarebbe un bene.

La tua obiezione è corretta, ma non definitiva.
Non vale infatti per la meccanica quantistica.
Per fare stare insieme le due teorie, si divide la realtà in micro e macro, il che mi sembra poco elegante. La realtà è una, diverse sono le teorie, perchè non c'è un solo modo di interagire con la realtà.
La spinta a ricercare teorie unificanti è comunque da incentivare, perchè è conveniente avere una teoria piuttosto che due.
La ricerca della verità è stata certamente un incentivo più forte, una programmatica serendipità, in se non necessaria, e che non manca di effetti collaterali.

Non esprime volontà di potenza l'uomo che cerca la verità credendo di avere il potere di trovarla?
Io questo desiderio non lo sento, e voglio solo capire, che per me significa prender coscienza di ciò che faccio, perchè io le cose le capisco, ma non so come ci riesco.
''Capire'' questo, è importante in un tempo in cui la nuova fisica ci invita a metter da parte, giocoforza, la volontà di comprendere.
Bisogna togliere questo ''giocoforza'' accettando serenamente la cosa, divenendo padroni della situazione per quel che è che, e non per quel che desideriamo che sia, desiderio che è volontà di non cambiare.
Noi veniamo da esempi di verità smascherati, verità non più difendibili, che desideriamo sostituire con altre.
Non desideriamo cambiare un mondo che credevamo fatto di verità, con altro che non le possieda.
Lo accetteremo quando diverremo un altro uomo, ciò che noi non desideriamo, perchè noi siamo e desideriamo restare.
Però la realtà dei nostri desideri se ne fa un baffo, e per questo siamo ciò che siamo divenuti.



Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

Koba-san

In §7 abbiamo una versione simile al contenuto del brano "Origine della conoscenza", ma forse più interessante, almeno dal punto di vista dell'argomento di questo Topic.
Mi spiego. Il brano inizia con la considerazione che la conoscenza deve ancora portare avanti ricerche su tutto ciò che finora "ha dato colore all'esistenza".
Mancano ricerche "sulla coscienza, sulla devozione, sulla crudeltà", ma anche su aspetti concreti della vita degli uomini come gli influssi morali degli alimenti e del clima. Vastissime ricerche, insomma, di natura filosofica, psicologica, antropologica.
E conclude:
"Posto che siano effettuate tutte queste operazioni, comparirebbe in primo piano il più scabroso di tutti i problemi: se la scienza, cioè, sia in grado di fornire obiettivi all'agire, una volta che essa ha dimostrato di poterli raggiungere e demolire — e sarebbe allora [...] un lungo sperimentare di secoli che potrebbe mettere in ombra tutte le grandi opere e i sacrifici della storia finora trascorsa. Sino a oggi la scienza non ha ancora elevato le sue costruzioni ciclopiche: verrà il tempo anche per questo." [Sottolineatura mia].
Ma che cosa sono state l'etnologia e l'antropologia del Novecento, la psicanalisi, la filosofia contemporanea, se non la realizzazione (parziale) di questo grande progetto conoscitivo?
Da questo punto di vista, il tema della creazione di nuovi valori perde ogni interesse. Ci si chiede infatti: e se invece fosse sufficiente la demolizione delle nostre illusioni su noi stessi e sugli altri? Se bastasse la consapevolezza dell'origine ambigua di ogni virtù e di ogni vizio – non dico per essere operatori di pace – ma almeno per dirsi: ma non vale la pena sprecare tempo ed energia in questa guerra! C'è ben altro da indagare e sperimentare che non sia l'odio per il mio nemico, che so essere un'accozzaglia di condizioni contingenti, mie e sue, personali e storiche! Ma insomma dedichiamoci a qualcosa di serio!

Un luogo comune che si sente spesso è: la scienza ha fatto e fa passi da gigante, l'etica non tiene il passo.
E se invece bastasse l'ethos dello smascheramento? Dobbiamo per forza fingere di avere nuova fede in certi valori? Ci tocca ancora una volta ricostruire da capo la retorica sulla gentilezza, sulla generosità, sull'amore verso l'altro? Non è abbastanza evidente che non funziona con homo sapiens?

iano

#63
Citazione di: Kob il 06 Ottobre 2025, 10:30:43 AM"Posto che siano effettuate tutte queste operazioni, comparirebbe in primo piano il più scabroso di tutti i problemi: se la scienza, cioè, sia in grado di fornire obiettivi all'agire, una volta che essa ha dimostrato di poterli raggiungere e demolire — e sarebbe allora [...] un lungo sperimentare di secoli che potrebbe mettere in ombra tutte le grandi opere e i sacrifici della storia finora trascorsa. Sino a oggi la scienza non ha ancora elevato le sue costruzioni ciclopiche: verrà il tempo anche per questo." [Sottolineatura mia].
Le leggi della scienza non possono essere un modello per le norme morali, come sembra sperare il nostro, perchè non hanno alcun obiettivo palese, anche se in tal forma le si può esprimere, come faceva Aristotele, per il quale i corpi provano amore per il loro prossimo, ( il simile ) , dal quale vengono dunque attratti.
Ma alla fine ogni anima è stata esclusa come necessaria alla descrizione del comportamento della materia.
Se le cose vanno come vanno non c'è un motivo, ma semmai da ciò motivi comportamentali si possono trarre.
In tal modo la conoscenza diventa concausa dell'agire, e l'altra causa, quella preponderante, è la natura di chi agisce.
La norma morale è più legata alla natura che alla conoscenza.
La conoscenza semmai, essendo ciò che modifica la nostra natura, solo indirettamente influenza il nostro agire.
Cioè noi siamo sostanzialmente norma del nostro agire, che non può essere assoluta, se noi non lo siamo..



Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

Phil

Citazione di: Kob il 06 Ottobre 2025, 10:30:43 AMil più scabroso di tutti i problemi: se la scienza, cioè, sia in grado di fornire obiettivi all'agire, una volta che essa ha dimostrato di poterli raggiungere e demolire
La scienza è essenzialmente ed eticamente nichilistica, nel senso che può appunto «demolire» gli obiettivi metafisici dell'agire, demistificando e spigando razionalmente (v. neuroscienze, antropologia comparativa, etc.) molto, non tutto, di ciò che prima era mistificato. Tuttavia la scienza non può «fornire obiettivi all'agire», proprio perché si occupa di studiare e comprendere, non di guidare e prescrivere norme etiche o comportamentali. Qualunque spiegazione scientifica non afferma «è moralmente giusto che a questa causa segua questo effetto», ma si limita ad analizzare e verificare tale rapporto di causa/effetto. Come esempio, basta considerare l'essere bifronte della bioetica, in cui l'aspetto etico (che è doxa) non si confonde mai fino in fondo con quello scientifico (che è episteme). Le costruzioni ciclopiche della scienza, oggi ci sono e inevitabilmente non fungono da "faro etico" ma da dispositivo tecnico, al massimo alimentano l'hybris gnoseologica o antropologica, ma non costituiscono una guida all'agire morale (anche se questo coinvolge la dimensione scientifica).
Citazione di: Kob il 06 Ottobre 2025, 10:30:43 AMSe bastasse la consapevolezza dell'origine ambigua di ogni virtù e di ogni vizio – non dico per essere operatori di pace – ma almeno per dirsi: ma non vale la pena sprecare tempo ed energia in questa guerra! C'è ben altro da indagare e sperimentare che non sia l'odio per il mio nemico, che so essere un'accozzaglia di condizioni contingenti, mie e sue, personali e storiche! Ma insomma dedichiamoci a qualcosa di serio!
Così potrebbe, anzi, può esclamare l'uomo di scienza, almeno finché indossa il camice; tuttavia l'uomo senza camice (o appunto che se l'è tolto) non ragiona solo in termini di "fame di conoscenza", ma può avere anche fame di azione, di ideali, di utopie, etc. non siamo automi monodimensionali.
Che poi ci siano un nichilismo e un relativismo che, con buona pace dell'abusato motto dostoevskijano sul «allora tutto è possible», siano in concreto propensi e inclini alla pace, è un altro discorso (solitamente un sentiero poco battuto dai pensatori forti e dai militanti del "muro contro muro", del "o con me o contro di me", etc.).
Citazione di: Kob il 06 Ottobre 2025, 10:30:43 AMDobbiamo per forza fingere di avere nuova fede in certi valori? Ci tocca ancora una volta ricostruire da capo la retorica sulla gentilezza, sulla generosità, sull'amore verso l'altro? Non è abbastanza evidente che non funziona con homo sapiens?
La fede, soprattutto dopo il novecento, non è affatto necessaria, soprattutto perché vanificherebbe la presa di coscienza della debolezza (e dell'inconsistenza logica) di ogni teoria metafisica, autoreferenziale, etc. quel che è necessario è inaggirabile è invece vivere (suicidio a parte) e per questo nel post precedente parlavo di pragmatismo e di «"stare al gioco" della relatività dei valori».
Faccio come sempre il solito esempio del linguaggio: una volta che ho "scoperto" che «sedia» non è il nome vero, giusto e assoluto di quell'oggetto (che un nome non ce l'ha, fuori dalle prassi dialogiche umane), nondimeno, nella vita vissuta, è pur necessario che io lo chiami in qualche modo se ho bisogno che tu me lo passi (e con un parlante italiano la frase «passami la sedia» solitamente ha un "felice" esito comunicativo). Questa mia scelta linguistica ovviamente non comporta avere fede nel fatto che quell'oggetto si chiami davvero così in assoluto, che quello sia il suo nome vero e giusto, etc. uso quella parola solo per finalità pragmatiche e utilitaristiche, perché funziona, non perché ho fede che sia la verità (anzi so che la verità è un'altra, ma faccio finta di non saperla pur di stare al gioco della comunicazione: quell'oggetto un nome non ce l'ha). Lo stesso può dirsi per le norme etiche: non è necessario «fingere di avere nuova fede in certi valori», si tratto solo di scegliere quali valori usare, in quale contesto e con quali (più o meno prevedibili) conseguenze.

iano

#65
Citazione di: Phil il 06 Ottobre 2025, 13:43:07 PMFaccio come sempre il solito esempio del linguaggio: una volta che ho "scoperto" che «sedia» non è il nome vero, giusto e assoluto di quell'oggetto (che un nome non ce l'ha, fuori dalle prassi dialogiche umane), nondimeno, nella vita vissuta, è pur necessario che io lo chiami in qualche modo se ho bisogno che tu me lo passi (e con un parlante italiano la frase «passami la sedia» solitamente ha un "felice" esito comunicativo). Questa mia scelta linguistica ovviamente non comporta avere fede nel fatto che quell'oggetto si chiami davvero così in assoluto, che quello sia il suo nome vero e giusto, etc. uso quella parola solo per finalità pragmatiche e utilitaristiche, perché funziona, non perché ho fede che sia la verità (anzi so che la verità è un'altra, ma faccio finta di non saperla pur di stare al gioco della comunicazione: quell'oggetto un nome non ce l'ha). Lo stesso può dirsi per le norme etiche: non è necessario «fingere di avere nuova fede in certi valori», si tratto solo di scegliere quali valori usare, in quale contesto e con quali (più o meno prevedibili) conseguenze.
Analogia notevole, che io sarei tentato di estendere dal nome all'oggetto che indica, con la differenza che magari non abbiamo del tutto ancora realizzato che la sedia non è vera, ma solo un modo per accomodarsi nella realtà.
''Passami la realtà'' è la richiesta non verbale analoga al ''passami la sedia'', non verbale ma pur sempre relativa ad un linguaggio, che è quello delle evidenze.
L'apparenza della realtà è cioè un modo inconsapevole di descrivere la realtà a nostro uso.
La scienza, essendo solo un modo alternativo di accomodarsi nella realtà, non ha nulla di sostanzialmente nuovo da offrire alla legge morale.

Per me, da bambino la natura della sedia non era disgiungibile dal suo nome.
Per me, da adulto, la sedia non è disgiungibile dalla natura della realtà, ma in analogia posso sospettare che lo sia.
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

Phil

Citazione di: iano il 06 Ottobre 2025, 14:08:05 PM''Passami la realtà'' è la richiesta non verbale analoga al ''passami la sedia''
La versione più corretta sarebbe «passami quella realtà» o «passami quella parte di realtà» (non stiamo infatti chiedendo di passarci tutta la realtà che c'è). Per evitare la confusione babelica che ne conseguirebbe e per assecondare il principio logico di identità (senza cui non può esserci logica, né discorso logico), abbiamo iniziato millenni fa ad usare nomi; proprio come per evitare la confusione sociale abbiamo iniziato ad usare norme, che si sono consolidate in morali, che sono andate in conflitto fra loro, che ora si contaminano nella globalizzazione, etc.

iano

#67
Citazione di: Phil il 06 Ottobre 2025, 15:24:36 PMLa versione più corretta sarebbe «passami quella realtà» o «passami quella parte di realtà» (non stiamo infatti chiedendo di passarci tutta la realtà che c'è). Per evitare la confusione babelica che ne conseguirebbe e per assecondare il principio logico di identità (senza cui non può esserci logica, né discorso logico), abbiamo iniziato millenni fa ad usare nomi; proprio come per evitare la confusione sociale abbiamo iniziato ad usare norme, che si sono consolidate in morali, che sono andate in conflitto fra loro, che ora si contaminano nella globalizzazione, etc.
Nella mia analogia la realtà non coincide con gli oggetti, tipo sedie, come la sedia non coincide col suo nome.
Cioè, è una descrizione della realtà a coincidere con l'essere fatta di sedie, ma la realtà non è fatta di sedie perchè non è l'unico modo per descriverla, però possiamo fingere che lo sia.
Abbiamo preso consapevolezza di ciò, o ce ne è stata data la possibilità, quando la scienza ci ha proposto descrizioni alternative non meno efficaci.
Una realtà che si presta ad essere descritta come fatta di cose, se questa descrizione non è univoca, e tutte le descrizioni hanno sostanzialmente pari valore, non è fatta di cose.
La realtà è ciò che si presta ad essere usata come fosse fatta di cose.
Scoperta la finzione, che non è fatta di cose, ritenendola comunque utile, la si adotterà consapevolmente.
Sono consapevole che di solito non si da alle diverse descrizioni sostanziale pari valore, ma questa diventa una complicazione.
Cosa può esserci dietro questa differente attribuzione di valore se non l'attribuzione preconcetta di una finalità?
La descrizione quantistica è alternativa a quella relativistica.
Perchè non possiamo considerare ciò normale?
Quale preconcetto ce lo impedisce?
La risposta è il pregiudizio di verità.
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

Alexander

Citazione di: Kob il 06 Ottobre 2025, 10:30:43 AMIn §7 abbiamo una versione simile al contenuto del brano "Origine della conoscenza", ma forse più interessante, almeno dal punto di vista dell'argomento di questo Topic.
Mi spiego. Il brano inizia con la considerazione che la conoscenza deve ancora portare avanti ricerche su tutto ciò che finora "ha dato colore all'esistenza".
Mancano ricerche "sulla coscienza, sulla devozione, sulla crudeltà", ma anche su aspetti concreti della vita degli uomini come gli influssi morali degli alimenti e del clima. Vastissime ricerche, insomma, di natura filosofica, psicologica, antropologica.
E conclude:
"Posto che siano effettuate tutte queste operazioni, comparirebbe in primo piano il più scabroso di tutti i problemi: se la scienza, cioè, sia in grado di fornire obiettivi all'agire, una volta che essa ha dimostrato di poterli raggiungere e demolire — e sarebbe allora [...] un lungo sperimentare di secoli che potrebbe mettere in ombra tutte le grandi opere e i sacrifici della storia finora trascorsa. Sino a oggi la scienza non ha ancora elevato le sue costruzioni ciclopiche: verrà il tempo anche per questo." [Sottolineatura mia].
Ma che cosa sono state l'etnologia e l'antropologia del Novecento, la psicanalisi, la filosofia contemporanea, se non la realizzazione (parziale) di questo grande progetto conoscitivo?
Da questo punto di vista, il tema della creazione di nuovi valori perde ogni interesse. Ci si chiede infatti: e se invece fosse sufficiente la demolizione delle nostre illusioni su noi stessi e sugli altri? Se bastasse la consapevolezza dell'origine ambigua di ogni virtù e di ogni vizio – non dico per essere operatori di pace – ma almeno per dirsi: ma non vale la pena sprecare tempo ed energia in questa guerra! C'è ben altro da indagare e sperimentare che non sia l'odio per il mio nemico, che so essere un'accozzaglia di condizioni contingenti, mie e sue, personali e storiche! Ma insomma dedichiamoci a qualcosa di serio!

Un luogo comune che si sente spesso è: la scienza ha fatto e fa passi da gigante, l'etica non tiene il passo.
E se invece bastasse l'ethos dello smascheramento? Dobbiamo per forza fingere di avere nuova fede in certi valori? Ci tocca ancora una volta ricostruire da capo la retorica sulla gentilezza, sulla generosità, sull'amore verso l'altro? Non è abbastanza evidente che non funziona con homo sapiens?
Alternativa? Godiamocela e fottiamocene? Con gaiezzs, naturalmente

Koba-san

La filosofia così come le altre vere forme di conoscenza – scienza della natura e arte – si basa sull'immaginazione. Immaginare possibilità e sviscerarle.
Di fronte quindi alle sollecitazioni che vengono dal testo di Nietzsche è inutile sia chiedere ironicamente delle risposte – tu non sei in grado di pensare? – così come ripetere la lezioncina che conosciamo tutti su scienza, etica e relativismo.
Inutile andare avanti, quindi.

Un ultimo commento però, perché l'aforisma in oggetto intitolato "La coscienza", si lega a §7.
Si tratta di §11, un brano eccezionale.
Si parte dalla constatazione che nella nostra civiltà si tende a dare grande importanza alla coscienza, rimuovendo le sue intermittenze. In verità, dice N., se non fosse per la presenza di istinti possenti, le fantasticherie e gli errori della nostra coscienza ci avrebbero già da tempo condotti all'estinzione.
Ma proprio questa sopravvalutazione, e quindi il fatto che non ci si impegni a svilupparla, fa sì che, rimanendo un abbozzo, sia facilmente piegata dagli istinti vitali.
Ma è ancora una volta la conclusione dell'aforisma a colpire: ancora oggi, dice N., rimane un compito del tutto nuovo "incarnare in se stessi il sapere e di renderlo istintivo".

Phil

Scusa Kob, ma evidentemente non ho saputo cogliere lo spirito del topic; quando ho provato a proporre un'interpretazione di Nietzsche:
Citazione di: Kob il 01 Ottobre 2025, 09:21:44 AMla tua lettura, per quanto ingegnosa, mi sembra fine a se stessa. Una specie di performance di virtuosismo interpretativo che non ha come obiettivo chiarire il brano o il pensiero di Nietzsche, tanto meno rispondere alla domanda del topic sulla gaia scienza.
È molto lontana dallo spirito del brano che dovrebbe interpretare, e in generale dall'atteggiamento che Nietzsche mostra nel suo complesso
e quando ho ricordato le conseguenze storiche del pensiero nietzschiano:
Citazione di: Kob il 06 Ottobre 2025, 18:06:17 PMè inutile [...] ripetere la lezioncina che conosciamo tutti su scienza, etica e relativismo.
Inutile andare avanti, quindi.
e in entrambi i casi mi ero agganciato direttamente a domande esplicite che avevi posto. Forse erano domande retoriche a cui non bisognava rispondere sul serio? Oppure si "doveva" rispondere solo citando Nietzsche, ma senza interpretarlo troppo (nonostante quel tuo «Immaginare possibilità e sviscerarle»)? 
Se continui a postare su questo topic, anche in forma di monologo, ti seguo volentieri, ma forse le domande che poni hanno bisogno di "istruzioni per l'uso" (almeno per me), così da evitare di incappare in risposte "inutili".

iano

#71
Citazione di: Kob il 06 Ottobre 2025, 18:06:17 PMMa è ancora una volta la conclusione dell'aforisma a colpire: ancora oggi, dice N., rimane un compito del tutto nuovo "incarnare in se stessi il sapere e di renderlo istintivo".
Il compito lo stiamo in effetti svolgendo, e in modo nuovo, non incarnando il sapere, ma rendendolo meccanismo puramente materiale , che non riconosciamo come carne della nostra carne, per quanto possa essere a noi contiguo, fino a farsi protesi, ma che svolge lo stesso ruolo, e per i fatti di cui poteva essere a conoscenza il nostro direi che sia stato profetico, come in effetti amava atteggiarsi.
L'incarnazione, in qualunque forma avvenga, vecchia o nuova, è comunque un processo cosciente con perdita di coscienza finale.
La coscienza è cioè un catalizzatore del processo di incarnazione che non si ritrova nel prodotto finale, la cui funzione storica non può essere quindi sempre recuperata, come quando il prodotto finale è carne letteralmente, anche se dal DNA qualcosa possiamo indurre.
E' il valore da dare alla coscienza che va rivisto, emendato dalla sua natura che è quella di farsi pubblicità da sola.
Ciò equivale a togliere valore all'uomo in quanto essere cosciente, anche perchè tutti gli esseri viventi  sono coscienti, ma si caratterizzano per il diverso uso che ne fanno, usandone quanto basta.
La coscienza non è un valore in sè.
Se fosse un valore in se i suoi prodotti la dovrebbero contenere, mentre invece le macchine, esempio di quei prodotti, non la possiedono.
Oppure, se la coscienza ha un valore, anche la sua mancanza ce l'ha.
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

iano

#72
Citazione di: Kob il 06 Ottobre 2025, 18:06:17 PMDi fronte quindi alle sollecitazioni che vengono dal testo di Nietzsche è inutile sia chiedere ironicamente delle risposte – tu non sei in grado di pensare?
Comprendere una profezia non è agevole, ma qui si tratta di constatare quanto la profezia si sia realizzata, tanto da rendercela chiara col senno di poi.
Di tutti gli interessantissimi passi che hai postato mi pare infatti di trovare riscontro nel presente.
Se la tua critica è riferita a me, non si tratta propriamente di pensare con la propria testa, ma avendo pensato con la propria testa, quindi in modo indipendente, riscontrare a posteriore una coincidenza con un pensiero non contemporaneo, quello del nostro, e che perciò mi sembra attuale, uscendo dal suo alone di mistero.
Il rischio diversamente è quello di godere nel crogiolarsi nei misteri.
Tu però, con i tuoi mirati passi scelti, mi pare fai l'operazione contraria, di far chiarezza.
Un scelta non casuale credo, cioè hai scelto quei passi perchè sono entrati in risonanza col tuo ''libero'' pensiero.
Insomma, il valore del nostro non sta certo nell'essersi prestato  fin a fargli dire quel che ci piace, tanto da renderlo così popolare.
Sta nel constatare la realizzazione delle sue profezie, profezie nel senso che sono sorprendenti le sue conclusioni, non possedendo apparentemente tutti gli elementi per farle.
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

iano

#73
Noi ci lasciamo sempre sorprendere dagli eventi, ma col senno di poi sappiamo che erano prevedibili a saper leggere bene i tempi che viviamo, di cui quegli eventi sono figli.
Se riesci a farlo, per gli altri diventi un profeta, però chiunque poteva esserlo.
Per leggere il proprio tempo bisogna sapere, e aver la voglia di, uscire dalle abitudini che costituiscono il nostro mondo, cioè avere la capacità di estraniarsi. Diversamente non saremo in grado che di fare profezie di sventura, perchè ogni uscita forzata dal proprio mondo, e in breve il futuro, diventa in se una sventura.
Il nostro, per quanto possa risultare fumoso, di questo tipo di profezie sventurate non ne ha fatte, per quanto ne so.
 
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

Alberto Knox

#74
Citazione di: Kob il 06 Ottobre 2025, 10:30:43 AMCi si chiede infatti: e se invece fosse sufficiente la demolizione delle nostre illusioni su noi stessi e sugli altri? Se bastasse la consapevolezza dell'origine ambigua di ogni virtù e di ogni vizio
questo tuo passo ha catturato la mia attenzione e quindi risuonerò come la pala eolica su questa linea. L'illusione su noi stessi e la consapaevolezza dell origne ambigua delle virtù e del vizio, tutte cose nate dalla mente umana , ma non per questo illusorie se per virtù si intende la forza, la temperanza, la saggezza, il discernimento che cosa sono? sono solo invenzioni della mente? o sono le modalità con cui l'uomo ha tentato di essere piu giusto, più forte , per cercare di dare al propio intelletto un impostazione basata sulla giustizia di cercare di avere una volontà che sia più forte di tutti i vizi, per non esserne prigionieri , non sono forse la coltivazione personale di tali virtù che ci rende liberi dal vizio? ah certo si può dire che è moralismo preferire la virtù rispetto al vizio , tuttavia non credo si sia particolarmente liberi nel vizio. è moderando i desideri che siamo padroni di scegliere.
Citazione di: Kob il 06 Ottobre 2025, 10:30:43 AMUn luogo comune che si sente spesso è: la scienza ha fatto e fa passi da gigante, l'etica non tiene il passo.
E se invece bastasse l'ethos dello smascheramento? Dobbiamo per forza fingere di avere nuova fede in certi valori? Ci tocca ancora una volta ricostruire da capo la retorica sulla gentilezza, sulla generosità, sull'amore verso l'altro? Non è abbastanza evidente che non funziona con homo sapiens?
Questo si ricollega all illusione di noi stessi e sul prossimo . Avere fede nei valori non significa niente, non ci sono valori a cui avere fede. L'illusione è pensare che i valori stiano stiano nella società , all interno delle norme etiche . Mentre il valore risiede nell animo, nel cuore, nella propia coscienza morale. Eh lo so Nietzche mi risponderebbe che sono un idiota , la sua filosofia al di la del bene e del male ma L'illusione è pensare che noi non siamo chiamati a rispondere . C'è una domanda la quale siamo tutti chiamati a rispondere , volenti o dolenti. E lo facciamo tutti i giorni , costantemente , in ogni circostanza della giornata e negli eventi che la vita ci fa sperimentare quotidianamente. Infatti tuo figlio è una domanda, tua moglie è una domanda, il tuo vicino è una domanda, lo sconosciuto che attraversa   è una domanda,  gli alberi sono una domanda , il mare è una domanda , gli animali sono una domanda verso di noi. Sentire questa domanda è ciò che ti mette davanti ad una respondabilità. Non ha caso la parola "responsablità" deriva da "rispondere". Nietzche a tale domanda risponde con la legge del più forte, dell oltreuomo che si riassume in volontà di potenza. Si può rispondere così, moltissimi lo fanno, preferire il propio tornaconto, stabilre il propio primato e tapparsi le orecchie e gli occhi di fronte a quella domanda. Perchè è più facile e piu conveniente non sentire, che voler ascoltare.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

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