Alla ricerca della gaia scienza

Aperto da Koba-san, 16 Settembre 2025, 11:26:49 AM

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Koba-san

@Phil
Tutti i brani di Nietzsche che ho riportato si incentrano sul tema della conoscenza.
Ho sottolineato almeno tre volte nel Topic che Nietzsche quando parla di scienza non intende riferirsi alle sole "scienze dure", ma ad una conoscenza organica e complessiva. Per intenderci, gli studi storici sul cristianesimo della seconda metà dell'Ottocento per N. sono scienza.
Detto questo, che senso ha allora il tuo riferimento dello scienziato nel suo laboratorio? Ovviamente l'esperimento mentale di N. sulle conseguenze di una vera incarnazione della conoscenza (tanto da fare di essa qualcosa di istintivo) non riguarda quel tipo di studioso, ma una figura di filosofo e uomo di scienza la cui immagine più simile mi sembra quella dell'intellettuale del Rinascimento.
Poi affermi che a differenza dello scienziato da laboratorio, l'uomo della strada ha bisogno di ideali e utopie per orientarsi nel mondo. Ma, ancora, N. non si sta rivolgendo all'uomo della strada. È l'uomo della conoscenza ad essere l'oggetto di questo esperimento. Se non si tiene conto di questo aspetto tutto il discorso perde completamente senso, e ci si ritrova a ragionare sul tema della necessità delle illusione e degli ideali.
Poi dici che la scienza non è in grado di orientare l'azione. Ovvio che la risposta sia no, ma la domanda che emerge – che ho cercato di far emergere – è se l'estrema consapevolezza dell'uomo della conoscenza che viene da un lavoro immenso di smascheramento non possa bastare come una specie di bussola morale (diciamo così) basata appunto sullo smascheramento stesso, sul negativo (la critica) che però in un suo dosaggio iperbolico non riveli alla fine con sorpresa un positivo (di natura però diversa dal positivo delle tradizioni).
Così come il sapiente dell'antichità era colui che non soltanto credeva nella verità della sua dottrina ma che la incarnava fino alle estreme conseguenze, così l'esperimento mentale che ci propone Nietzsche è quello di immaginare che cosa vorrebbe dire oggi per il filosofo incarnare veramente il sapere attuale senza riserve, senza lasciare spazio a regressioni domestiche ecc.

@iano
La mia critica non si rivolgeva a te, ma alla risposta di Alexander.

@Alberto Knox
L'opera di Nietzsche è un'opera aperta. Ci sono contraddizioni e parti indigeste. Non è mia intenzione difenderlo. Ma non credo che la tua interpretazione venga dall'effettiva lettura delle sue opere. Mi sembra piuttosto la ripetizione del cliché del Nietzsche darwinista sociale.
Infatti se la sua risposta fosse la legge del più forte, come si spiegherebbe la presenza in Umano troppo umano, Aurora e Gaia scienza di questo tema sulle possibilità e sulle conseguenze di una conoscenza "iperbolica"? Non penso si possa dire che l'uomo della conoscenza sia l'uomo forte, giusto? Se la risposta è la forza, la potenza, perché interrogarsi sulle ricadute della conoscenza dal punto di vista dell'orientamento nel mondo?
Non voglio polemizzare poi con la tua di risposta, cioè "il cuore" (anche se non mi sembra possa bastare, se vogliamo fare filosofia anziché accontentarci di suscitare in noi quei buoni sentimenti che ci fanno tirare avanti).
Noto soltanto che il tema era un altro. Il problema è che ciascun utente prende una frase e parte per la sua strada. La frase specifica viene usata per poter dire qualcosa, indipendentemente dall'argomento in oggetto. Nulla di male. Solo che il risultato è un insieme di monologhi che spesso procedono paralleli senza mai toccarsi.

Alberto Knox

Citazione di: Kob il 07 Ottobre 2025, 11:19:31 AMNon penso si possa dire che l'uomo della conoscenza sia l'uomo forte, giusto?
tutto sta a cosa intendeva Nietzche per uomo forte a questo punto . Sappiamo che la strada verso il superuomo non è mai una via di emancipazione collettiva , che possa riguardare, anche in un futuro lontano, tutta l'umanità, è invece sempre una prospettiva di eccezionale elevazione di alcuni singoli individui, rispetto alla mediocrità in cui la maggior parte delle persone accetta di vivere, per ignoranza, timore e abitudine. Sono queste le idee di forza e di vitalità riferite all uomo e rivolte a pochi. Purtroppo sono state interpretate male come abbiamo ben visto ad esempio dalla terribile ideologia nazista. 
Ma chi è concretamente  il superuomo? l'oltreuomo di N. ? Chi è colui che riesce a superare l uomo stesso? in primo luogo è colui che uccide Dio e che sopratutto ne regge la morte. La morte di Dio comporta finalmente quella che N. chiama la trasvalutazione dei valori , il bene e il male. N. si proclama orgogliosamente immorale. Questo non significa che esaltasse la malvagià o il crimine . L attacco è rivolto alla morale dei sacerdoti fatta di umiltà , obbedienza , castità, ipocrisia e rinuncia della felicità in nome di un falso e ingannevole aldilà . A tale morale antivitale , N. contrappone quella ultravitale dei cavalieri , fondata sulla fierezza, la gioia , il coraggio e la volontà. Il superuomo supera la visione appollinea della vita, virtuosa e razionale propagandata da Socrate, Platone e dalla cristianità, per ritornare ad abbracciare ed esaltare lo spirito dionisiaco, vero e propio cuore pulsante della tragedia antica di Sofacle e di Eschilo, fatto di caos, infinito e tenebree governato dal fato. 
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Phil

Citazione di: Kob il 07 Ottobre 2025, 11:19:31 AMHo sottolineato almeno tre volte nel Topic che Nietzsche quando parla di scienza non intende riferirsi alle sole "scienze dure", ma ad una conoscenza organica e complessiva. Per intenderci, gli studi storici sul cristianesimo della seconda metà dell'Ottocento per N. sono scienza.
[...] una figura di filosofo e uomo di scienza la cui immagine più simile mi sembra quella dell'intellettuale del Rinascimento.
Capisco, ma l'intellettuale del rinascimento, trascurava forse le scienze dure della sua epoca? Occuparsi di «scienza organica e complessiva», nel 2025, significa considerare scienze dure solo quelle che arrivano fino ad inizio novecento? Per questo chiedevo di precisare i confini del tuo domandare: se vogliamo tratteggiare qualcosa di attuale (come ci inviterebbe a fare Nietzsche stesso), abbiamo alcuni contesti da tenere presente, se invece vogliamo confinarci a quello che Nietzsche voleva dire, restando "prigionieri" della sua epoca (facendo quindi più filologia che ermeneutica), allora il discorso ha altri parametri (e perde molto ancoraggio con l'attualità).
Citazione di: Kob il 07 Ottobre 2025, 11:19:31 AMaffermi che a differenza dello scienziato da laboratorio, l'uomo della strada ha bisogno di ideali e utopie per orientarsi nel mondo. Ma, ancora, N. non si sta rivolgendo all'uomo della strada.
Non ho mai parlato di uomo della strada, rileggi bene: «uomo senza camice (o appunto che se l'è tolto)»(autocit.). Intendo sia lo "scienziato duro" quando non ragiona da scienziato, sia il ricercatore sociale, sia il filosofo, sia il poeta tormentato, etc. e chiunque abbia bisogno di una bussola etica per muoversi nel mondo sociale.
Citazione di: Kob il 07 Ottobre 2025, 11:19:31 AMse l'estrema consapevolezza dell'uomo della conoscenza che viene da un lavoro immenso di smascheramento non possa bastare come una specie di bussola morale (diciamo così) basata appunto sullo smascheramento stesso, sul negativo (la critica) che però in un suo dosaggio iperbolico non riveli alla fine con sorpresa un positivo (di natura però diversa dal positivo delle tradizioni).
Di questo "positivo post-mascheramento" ti ho già fatto lo spoiler (avendo già visto il film), proprio parlando di come è stato sviluppato il pensiero post-nietzschiano nel novecento ed oltre.
Possiamo anche far finta che Nietzsche sia morto ieri, sentendoci i suoi diretti "discendenti", ma se la questione è «che cosa vorrebbe dire oggi per il filosofo incarnare veramente il sapere attuale senza riserve»(cit.), allora pensare al rinascimento come modello e ignorare tutti quelli che sono venuti dopo Nietzsche, non mi sembra un percorso particolarmente fertile (sebbene, come detto, se lo sviluppi in modo chiaro, mi interessa comunque).

Koba-san

Faccio un ultimo tentativo.
Il film lo abbiamo visto tutti. Proprio per questo è interessante immaginare un finale differente.
Dicevi che la scienza non può fornire obiettivi all'agire perché si occupa di studiare e di comprendere le cause e non di prescrivere norme di comportamento. Fin qui siamo tutti d'accordo. Nei brani della Gaia scienza indicati da me si dice anche questo. Cioè N. fa riferimento anche alla situazione pericolosa per l'umanità di ritrovarsi appunto bloccati per aver smontato (e capito i meccanismi di base) delle norme e in generale di tutto ciò che determina le scelte degli individui.
Ai suoi tempi il lavoro era appena iniziato. Noi possiamo contare su conoscenze molto più vaste.
In "Gaia scienza" il termine "scienza" va inteso come conoscenza rigorosa in un senso ampio non solo limitata alle scienze della natura non per una scelta arbitraria di N. ma per il semplice fatto che il termine tedesco, tradotto in italiano con "scienza", ha un significato diverso da come appunto viene inteso in italiano. Si sarebbe dovuto tradurre con "Gaia conoscenza", ma il termine "conoscenza" sarebbe risultato troppo generico, non in grado di rimandare al senso di una conoscenza rigorosa.
Ora, quando tu hai descritto la scena dello scienziato da laboratorio che finché rimane con il camice addosso può anche alimentarsi solo di conoscenze, ma quando poi appende il camice sente il bisogno di altro ed è mosso da sogni, speranze ecc., ecco è proprio questo il punto: questo è il finale da cambiare.
Immaginiamo quel sapere rigoroso, comprensivo di tutte le discipline (dalla matematica alla psicoanalisi), che sia nello stesso tempo però realmente incarnato, reso istintivo tanto da non permettere più la dismissione del camice (nel caso lo si usasse).
In questo modo alla domanda se la conoscenza sia in grado di fornire obiettivi all'azione non è così ovvio rispondere di no.
Che manchi appunto la determinazione a incarnare fino in fondo ciò che si arriva a conoscere? Questo è un salto che noi diamo per scontato che non avverrà mai (nella lezioncina a cui mi riferivo) perché appunto la conoscenza nel suo aspetto negativo di critica non ha ancora acquisito lo stesso radicamento della forza quasi istintiva di un'ideologia o di una religione.
L'invito era quello di lasciare da parte queste certezze, almeno per un momento, e riflettere su possibilità che certo ancora oggi sono lontanissime – e la dimostrazione di questa distanza sono io stesso a fornirmela (tenendo conto dell'evidente modestia del mio sapere) nel momento in cui finito di scrivere questo post e spento il pc vengo risucchiato dalla solita melanconia della sera e da fantasticherie varie. Quindi una consapevolezza che è sì presente in parte ma richiusi i libri e i taccuini (non dispongo di camice), si disperde, come se non fosse niente.

Phil

Citazione di: Kob il 07 Ottobre 2025, 18:46:29 PMImmaginiamo quel sapere rigoroso, comprensivo di tutte le discipline (dalla matematica alla psicoanalisi), che sia nello stesso tempo però realmente incarnato, reso istintivo tanto da non permettere più la dismissione del camice (nel caso lo si usasse).
In questo modo alla domanda se la conoscenza sia in grado di fornire obiettivi all'azione non è così ovvio rispondere di no.
Dici «Immaginiamo...»; eppure la "gaia sophia", e ancor più la "gaia phronesis", tendono per loro costituzione a non levare l'ancora dalla realtà per amore di finali alternativi; quello lo fa la letteratura, che ha sotto un foglio bianco e la gomma per cancellare sul tavolo. Sarebbe un po' come invitare a considerare l'energia atomica partendo da Einstein, ma lasciando consapevolmente fra parentesi le bombe e le centrali nucleari, per poi chiedersi come potremmo usarla in modo "alternativo"; ma sono proprio le bombe e le centrali a garantire un "senso di realtà" a qualunque discorso sull'energia atomica, evitando che diventi "letteratura" alienata dal mondo.
Provo comunque a seguirti: immaginiamo tutto il nostro sapere contemporaneo incarnato al punto da essere istintivamente connaturato al nostro agire, quale conoscenza guiderà istintivamente la nostra azione verso il prossimo (ad esempio)? Suppongo (ma potrei sbagliarmi) nessuna; perché se ci fosse una direttiva etica oggettiva e scientifica (soft) tale, l'etica diverrebbe una scienza dura, ma, come dimostrano più di duemila anni di pensiero umani, non lo è. E le scienze morbide non danno risposte univoche al punto da poter diventare una (sola) azione istintiva, poiché sono fatte anche di domande irrisolte, di interpretazioni, di dubbi, di aporie, etc. nulla che possa tradursi in un'azione spontanea degna di poter sintetizzare con un solo gesto tutta la conoscenza di quella disciplina (inclusi appunto dubbi, aporie, etc.). Non è un caso se prima citavo la bioetica: scommetto che anche studiandola tutta (almeno fino a stasera), non si potrà condensare in un'unica "soluzione" o "attitudine", al punto da essere sintetizzata in una risposta "giusta" (basata sulla conoscenza settoriale) ad un determinato dilemma bioetico.
Semplificando, sarebbe un po' come chiedere a un navigatore (il dispositivo, non un marinaio) che conosca tutte le strade e i luoghi del mondo: «dove sarebbe bello andare»? Il navigatore, nella sua conoscenza archivistica, non può conoscere il bello, ma solo informazioni geografiche, stradali, etc. e se lo forzi, ti farà un elenco più o meno random dei posti classificati come "da visitare" (ma non sarà mai un'informazione di pari oggettività e scientificità rispetto a quella della strada per arrivarci).
So già che la troverai una risposta deludente, ma è quella che ho, se la domanda è "fino a che punto" (v. domanda nietzschiana) una conoscenza incarnata, di tutte le "scienze dello spirito" e non, potrebbe guidare un'azione etica.
Citazione di: Kob il 07 Ottobre 2025, 18:46:29 PMChe manchi appunto la determinazione a incarnare fino in fondo ciò che si arriva a conoscere? Questo è un salto che noi diamo per scontato che non avverrà mai (nella lezioncina a cui mi riferivo) perché appunto la conoscenza nel suo aspetto negativo di critica non ha ancora acquisito lo stesso radicamento della forza quasi istintiva di un'ideologia o di una religione.
Questo è invece il punto in cui Nietzsche, o chi per lui, rischia, come dicevo, di far rientrare la fede metafisica dalla finestra dopo averla fatta uscire dalla porta. Sembrerebbe infatti quasi prospettarsi un ritorno alla maschera dopo lo smascheramento; come dire: «va bene, abbiamo tolto la maschera, ma il nostro toglierla non è ancora abbastanza avanzato al punto da fornircene un'altra». Non è questo il superamento autentico della metafisica; non è il radicamento della critica a costituire il positivo che verrà eventualmente a sua volta criticato (questo positivo è semmai innescato principalmente la "necessità di stare al gioco" di cui sopra).
Citazione di: Kob il 07 Ottobre 2025, 18:46:29 PMla dimostrazione di questa distanza sono io stesso a fornirmela (tenendo conto dell'evidente modestia del mio sapere) nel momento in cui finito di scrivere questo post e spento il pc vengo risucchiato dalla solita melanconia della sera e da fantasticherie varie. Quindi una consapevolezza che è sì presente in parte ma richiusi i libri e i taccuini (non dispongo di camice), si disperde, come se non fosse niente.
Perché, se posso permettermi, è niente. Rispetto alla «melanconia della sera e fantasticherie varie», tutta la "gaia sophia" è per te niente e non ha niente da dire.
Come ci ricorda la "firma" di una compagna di forum, alcuni anni dopo La gaia scienza Nietzsche scrisse: «La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità». Non sarà la verità a dire all'arte cosa dire, così come non sarà la "gaia scienza" la risposta alla domanda della melanconia della sera. O magari mi sbaglio, chissà.

Alberto Knox

Vorrei anche aggiungere che tutta la conoscienza è conoscienza umana. Raccolte nelle varie discipline scietifiche , mediche , psicologiche ecc. Tutto il sapere noto, tutta la conoscienza nota non è in grado, da sola, a dare significato. A dare senso. Siamo più o meno in grado di spiegare il funzionamento di un essere vivente. Se Pur con una certa lacuna riguardante la biogenesi e la morfogenesi a livello embrionale, sappiamo spiegare la vita. Ma non sappiamo dare un significato al darsi della vita e tanto più non siamo capaci di dare significato univoco e scientifico all esistenza di qualcosa. Quello che nella nascita della tragedia dice il Satiro a re mida è che il significato non c'è, il senso, non c'è. Aveva ragione , aveva torto, non importa , il fatto è che senza senso, come fai a compiere un azione e magari chiamare quell azione giusta?
Si potrebbe pensare che il senso nasce dal sapere, o dalla conoscienza però quello che si vede sui palchi dei premi nobel per la medicina , per l astrofisica , per le scienze sociali è che i premiati riguardanti le stesse discipline la pensano in modo diverso nell ambito dell origine della vita abbiamo  Monod, premio nobel per la medicina che dice "siamo figli del caso" e avete un altro premio Nobel per la medicina, Cristian De duve  che dice l esatto contrario , parla della materia come vital dust, polvere vitale . Nella cosmologia abbiamo Stepheh Weinberg (premio nobel per la cosmologia) che dice "tanto più l'universo ci appare comprensibile tanto più ci appare senza scopo" e avete un altro fisico premio nobel per la stessa disciplina, Freeman Dyson , che dice "più lo esamino e studio i particolari della sua architettura , tanto più numerose sono le prove che l'universo doveva già sapere che saremmo arrivati"  nell ambito logico matematico Russel e Whitehead scrivono insieme i "principia matematica" firmano insieme questi tre grandi volumi , il primo diventa uno dei padri dell ateismo contemporaneo e il secondo diventa uno dei pensatori religiosi più importanti del secolo scorso. Quindi diventa difficile poi , bisogna abbracciare un tipo di conoscienza perchè le premesse di uno o degli altri  che ho citato non sono le stesse no? 
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Alberto Knox

Vorrei fare anche notare che i dati conoscitivi aquisiti erano i medesimi , sia per Monod che Cristian De duve avevano davanti gli stessi dati conoscitivi raccolti , lo stesso vale per  Weinberg e Dyson , Per Russel  e Whitehead. Ognono di loro, in base al campo specifico,  aveva di fronte gli stessi dati conoscitivi che erano diventati certezze scientifiche. Ma quando poi si è trattato di pensare a queste esattezze, per dare un significato complessivo a loro. Ecco che le certezze che la ricerca a fornito , vengono interpretate diversamente da coloro che le hanno prodotte. Perchè se tutti avevano di fronte la stessa conoscienza hanno poi interpretato quella conoscienza in maniera diversa? 
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

iano

#82
Citazione di: Phil il 07 Ottobre 2025, 21:50:32 PMQuesto è invece il punto in cui Nietzsche, o chi per lui, rischia, come dicevo, di far rientrare la fede metafisica dalla finestra dopo averla fatta uscire dalla porta. Sembrerebbe infatti quasi prospettarsi un ritorno alla maschera dopo lo smascheramento; come dire: «va bene, abbiamo tolto la maschera, ma il nostro toglierla non è ancora abbastanza avanzato al punto da fornircene un'altra». Non è questo il superamento autentico della metafisica; non è il radicamento della critica a costituire il positivo che verrà eventualmente a sua volta criticato (questo positivo è semmai innescato principalmente la "necessità di stare al gioco" di cui sopra).
Prendere coscienza della maschera e toglierla è solo questione di tempo, e di quella che la sostituisce non c'è ancora coscienza.
Nel tempo fra le due cose c'è un affermazione di metafisica, che vale una presa di coscienza di se, ma più precisamente di ciò che si è stati.
Questo smascheramento  ciclico senza fine ha il senso del divenire, positivo se positivo è il divenire.
Non è la conoscenza a darmi un obiettivo etico, la conoscenza si limita a cambiarmi, ed è quindi un uomo nuovo che agisce.
 E' dunque incarnazione istantanea, che non aspetta che io ne prenda coscienza, per potere dimostrare, affermandolo, che ciò sia avvenuto.
In una conoscenza che mi da un obiettivo etico è sottinteso un uomo che non cambia, se non eventualmente il suo comportamento.
Non è così che funziona.
Qualunque azione genera un uomo nuovo, ed è sempre un uomo nuovo ad agire, un uomo nuovo che può avere cognizione solo di ciò che è stato, provando senso del ridicolo per ciò che era.
E' il rinnovarsi di questo senso del ridicolo, che equivale a dare centralità al presente, che non è positivo.
E' la critica che ridicolizza l'oggetto della critica a non essere positiva, e questa finora è stata una costante della critica filosofica.
La tensione verso la verità è fuorviante. La nostra filosofia si limita a determinarci.
Non ci dice cosa dobbiamo fare, ma ciò che siamo, e in base a ciò che siamo possiamo prevedere ciò che faremo.





Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

iano

Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

Koba-san

Citazione di: Phil il 07 Ottobre 2025, 21:50:32 PM[...] Provo comunque a seguirti: immaginiamo tutto il nostro sapere contemporaneo incarnato al punto da essere istintivamente connaturato al nostro agire, quale conoscenza guiderà istintivamente la nostra azione verso il prossimo (ad esempio)? Suppongo (ma potrei sbagliarmi) nessuna; perché se ci fosse una direttiva etica oggettiva e scientifica (soft) tale, l'etica diverrebbe una scienza dura, ma, come dimostrano più di duemila anni di pensiero umani, non lo è. E le scienze morbide non danno risposte univoche al punto da poter diventare una (sola) azione istintiva, poiché sono fatte anche di domande irrisolte, di interpretazioni, di dubbi, di aporie, etc. nulla che possa tradursi in un'azione spontanea degna di poter sintetizzare con un solo gesto tutta la conoscenza di quella disciplina (inclusi appunto dubbi, aporie, etc.).

Qui stai fraintendendo tutto, come se si trattasse di un programma positivista e di un'etica "meccanica".
Che il sapere realmente incarnato diventi istintivo significa solo efficace, concreto. Non è forse il problema della psicoanalisi far maturare la consapevolezza del paziente in modo che sia assimilata e diventi carne e spirito, non solo mente? Che non rimanga solo comprensione logica del problema?
In quell'aforisma Nietzsche non a caso parlava dei sapienti antichi e immaginava nel futuro uomini della conoscenza della stessa coerenza di un Parmenide.
Naturalmente non essendoci una dottrina da incarnare ma un sapere essenzialmente critico-distruttivo la domanda da farsi è se poi sia sufficiente.
Il paziente, "guarito" (per ora) dalla sua nevrosi, smontato i meccanismi di quel conflitto, esce dallo studio e di fronte a delle scelte si sentirà più libero. Ovviamente la sua esperienza conoscitiva non consisterà nel disporre ora di una norma generale di comportamento. Ma solo di poter soppesare le diverse possibilità senza le costrizioni che venivano dalla nevrosi. La scelta che alla fine farà non dipenderà da una verità acquisita su se stesso, ma dallo smantellamento di un errore (il disturbo).
E' in questo senso, allargando lo sguardo a un sapere più ampio, che bisogna intendere quell'aforisma.

"[...] le virtù del leggere bene – oh che virtù obliate e ignorate son queste!" [La gaia scienza, §383].

Koba-san

Citazione di: Alberto Knox il 07 Ottobre 2025, 13:37:48 PMtutto sta a cosa intendeva Nietzche per uomo forte a questo punto . Sappiamo che la strada verso il superuomo non è mai una via di emancipazione collettiva , che possa riguardare, anche in un futuro lontano, tutta l'umanità, è invece sempre una prospettiva di eccezionale elevazione di alcuni singoli individui, rispetto alla mediocrità in cui la maggior parte delle persone accetta di vivere, per ignoranza, timore e abitudine. Sono queste le idee di forza e di vitalità riferite all uomo e rivolte a pochi. Purtroppo sono state interpretate male come abbiamo ben visto ad esempio dalla terribile ideologia nazista.
Ma chi è concretamente  il superuomo? l'oltreuomo di N. ? Chi è colui che riesce a superare l uomo stesso? in primo luogo è colui che uccide Dio e che sopratutto ne regge la morte. La morte di Dio comporta finalmente quella che N. chiama la trasvalutazione dei valori , il bene e il male. N. si proclama orgogliosamente immorale. Questo non significa che esaltasse la malvagià o il crimine . L attacco è rivolto alla morale dei sacerdoti fatta di umiltà , obbedienza , castità, ipocrisia e rinuncia della felicità in nome di un falso e ingannevole aldilà . A tale morale antivitale , N. contrappone quella ultravitale dei cavalieri , fondata sulla fierezza, la gioia , il coraggio e la volontà. Il superuomo supera la visione appollinea della vita, virtuosa e razionale propagandata da Socrate, Platone e dalla cristianità, per ritornare ad abbracciare ed esaltare lo spirito dionisiaco, vero e propio cuore pulsante della tragedia antica di Sofacle e di Eschilo, fatto di caos, infinito e tenebree governato dal fato.
Come dicevo per me l'opera di Nietzsche è un'opera aperta.
E la tua interpretazione è una delle possibili. È coerente. Non voglio aprire un dibattito sulla filosofia di Nietzsche presa nel suo complesso.
Però quando verso la fine del post dici che si tratta di abbracciare ed esaltare lo spirito dionisiaco secondo me la cosa non è così semplice. Se la forma razionale tende a proteggere dal volto terribile della vita, e se è vero che bisogna avere il coraggio di spingersi al di là di quelle "illusioni", d'altra parte la vitalità mostra sì un'esuberanza che rischiavamo di perdere, ma anche l'orrore. Quindi più che esaltare ed abbracciarlo si tratta forse di accettarlo, di sopportarlo.

Tutto ciò ci rimanda al §383, "La grande salute".
Inizia così: noi uomini nuovi (espressione molto più bella e meno ambigua di "superuomini") abbiamo bisogno di un nuovo mezzo per un nuovo scopo. Una nuova salute – più vigorosa, più temeraria, più gaia – per sperimentare la conoscenza della vita interiore di "un conquistatore e di uno scopritore dell'ideale, e così pure di un artista, di un santo, di un legislatore, di un saggio, di un dotto, di un devoto, di un profeta".
Una grande salute che possa sostenere lo sforzo per sprofondare in questi mondi, per capirne i meccanismi, per mostrarne i fondamenti nascosti.
E alla fine di questa grande avventura, "dopo che molto spesso incorremmo in naufragi e sciagure", a ricompensa di tutte le fatiche eccoci in "una terra ancora ignota, di cui nessuno ancora ha misurato con lo sguardo i confini, [...] un mondo ricco di cose belle, ignote, problematiche, terribili e divine".
Dopo un simile spettacolo "come potremmo noi [...] accontentarci dell'uomo di oggi?".
A precederci in questa terra sconosciuta, dice N., a mo' di guida, è un nuovo ideale: l'ideale di uno spirito che per esuberanza gioca con tutto quanto fino ad oggi fu detto sacro, divino. "Un ideale che apparirà spesso disumano". "Un ideale con cui comincia forse per la prima volta la grande serietà, con cui è posto per la prima volta il vero punto interrogativo".

Phil

Citazione di: Kob il 08 Ottobre 2025, 10:06:35 AMChe il sapere realmente incarnato diventi istintivo significa solo efficace, concreto. Non è forse il problema della psicoanalisi far maturare la consapevolezza del paziente in modo che sia assimilata e diventi carne e spirito, non solo mente?
Pensaci bene: il paziente incarna il sapere della psicoanalisi, la conoscenza cha la psicoanalisi apporta nel "mucchio" delle conoscenze umane? Oppure il pazienta incarna solo i risultati di una procedura psicanalitica?
Parimenti: non c'è forse essenziale differenza fra l'incarnare la critica alle religione e l'essere semplicemente ateo? Un ateo che è tale solo perché cresciuto in una famiglia atea incarna forse la critica filosofia alla metafisica e alle religioni o incarna solo il suo personale vissuto?
L'incarnare una conoscenza non si può valutare solo dai risultati; oppure, leggendo bene Nietzsche hai concluso che con "incarnare il sapere" intenda l'essere modificati da una esterna pratica del sapere (l'azione dello psicanalista), come un sasso è modificato da una martellata ma senza che esso impari a martellare a sua volta?
Cosa va reso «istintivo», l'uso attivo del sapere o il segno passivo che il sapere ha scavato in noi?

Koba-san

Citazione di: iano il 08 Ottobre 2025, 01:44:27 AMIn una conoscenza che mi da un obiettivo etico è sottinteso un uomo che non cambia, se non eventualmente il suo comportamento.
Non è così che funziona.
Qualunque azione genera un uomo nuovo, ed è sempre un uomo nuovo ad agire, un uomo nuovo che può avere cognizione solo di ciò che è stato, provando senso del ridicolo per ciò che era.
E' il rinnovarsi di questo senso del ridicolo, che equivale a dare centralità al presente, che non è positivo.
E' la critica che ridicolizza l'oggetto della critica a non essere positiva, e questa finora è stata una costante della critica filosofica.
La tensione verso la verità è fuorviante. La nostra filosofia si limita a determinarci.
Non ci dice cosa dobbiamo fare, ma ciò che siamo, e in base a ciò che siamo possiamo prevedere ciò che faremo.


Brano interessante.
Ci devo riflettere su un po'.

Koba-san

Citazione di: Phil il 08 Ottobre 2025, 11:40:10 AMPensaci bene: il paziente incarna il sapere della psicoanalisi, la conoscenza cha la psicoanalisi apporta nel "mucchio" delle conoscenze umane? Oppure il pazienta incarna solo i risultati di una procedura psicanalitica?
Parimenti: non c'è forse essenziale differenza fra l'incarnare la critica alle religione e l'essere semplicemente ateo? Un ateo che è tale solo perché cresciuto in una famiglia atea incarna forse la critica filosofia alla metafisica e alle religioni o incarna solo il suo personale vissuto?
L'incarnare una conoscenza non si può valutare solo dai risultati; oppure, leggendo bene Nietzsche hai concluso che con "incarnare il sapere" intenda l'essere modificati da una esterna pratica del sapere (l'azione dello psicanalista), come un sasso è modificato da una martellata ma senza che esso impari a martellare a sua volta?
Cosa va reso «istintivo», l'uso attivo del sapere o il segno passivo che il sapere ha scavato in noi?
Dai, su, non cazzeggiare per favore, non ho tempo da perdere con questa roba...
L'analisi in quanto tale è portare a conoscenza il paziente della sua "malattia", e tale risultato non può prescindere da una certa conoscenza dei principi fondamentali della psicoanalisi. Ho fatto un esempio semplice, più vicino agli ambiti trattati nel testo, nella speranza che si lasci perdere le scienze della natura, la questione della tecnica e la bomba atomica, ma è ovvio che Nietzsche sta parlando dell'uomo della conoscenza, nell'esempio una persona che conoscendo a fondo Freud e company sa fare dell'autoanalisi con se stesso.
Stessa cosa per l'ateismo.
Non risponderò più a interventi del genere.

daniele22

Cit:
"[..]Provo comunque a seguirti: immaginiamo tutto il nostro sapere contemporaneo incarnato al punto da essere istintivamente connaturato al nostro agire, quale conoscenza guiderà istintivamente la nostra azione verso il prossimo (ad esempio)? Suppongo (ma potrei sbagliarmi) nessuna; perché se ci fosse una direttiva etica oggettiva e scientifica (soft) tale, l'etica diverrebbe una scienza dura, ma, come dimostrano più di duemila anni di pensiero umani, non lo è. E le scienze morbide non danno risposte univoche al punto da poter diventare una (sola) azione istintiva, poiché sono fatte anche di domande irrisolte, di interpretazioni, di dubbi, di aporie, etc. nulla che possa tradursi in un'azione spontanea degna di poter sintetizzare con un solo gesto tutta la conoscenza di quella disciplina (inclusi appunto dubbi, aporie, etc.)."
Risposta alla domanda: la convenienza, mi sembra.
Questo soprattutto una volta accettato il vostro solipsismo inconsapevole (una questione di conoscenza quindi).
Duemila anni di pensiero umano non racchiudono certo il presente. Comunque, l'azione istintiva può essere in parte contraddittoria rispetto alla conoscenza.. esempio: penso che dovrei dimagrire (lo dice la conoscenza), ma continuo a bere assai e a mangiare come un porco; e in più fumo, cosa che mi fa male ai polmoni. Ma dato che uno può anche fregarsene alla grande di tirare uno schiocco o di prendersi un cancro, forse anche non a torto, tutto sommato non si contraddirebbe visto che il dover morire è pur sempre una conoscenza

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