Autocontrollo o virtù

Aperto da Jacopus, 22 Maggio 2025, 08:49:47 AM

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Jacopus

Una tesi autorevole che ha attraversato i secoli è quella secondo cui, l'uomo nasce selvaggio e deve apprendere come si sta al mondo, riconoscere i suoi limiti e quando li viola deve essere fornito di "senso di colpa" che funzioni da semaforo. Innescato un numero sufficiente di volte, il senso di colpa si trasforma in autocontrollo e i limiti restano inviolati. Questa tesi ha innumerevoli versioni, nella Bibbia, in Hobbes, in Freud, solo per citare i primi che mi vengono in mente. Un'altra tesi, minoritaria, è quella secondo cui, l'uomo nasce virtuoso e viene corrotto dalle istituzioni. È quanto ritengono le teorie progressiste da Rousseau in poi. Io partirei da un diverso approccio, ovvero che l'uomo nella sua evoluzione filogenetica, pur conservando entrambi i possibili imprinting, sia facilmente modellabile dai processi culturali, dalla trasmissione del sapere e dalle ideologie dominanti. In fondo è stata questa struttura di neuroplasticità a farci colonizzare l'intera superficie terrestre insieme a poche altre specie (topi senz'altro e cani e gatti al nostro seguito, ma anche i topi probabilmente sono al nostro seguito, anche se non li coccoliamo come gli altri). È come se ci fossero iscritte nella nostra struttura genetica delle proto forme pronte all'uso, che si attivano se condivise attraverso la trasmissione culturale e il comportamento condiviso. Con una importante differenza. Il modello del "cattivo selvaggio" crea le premesse per differenziare il mondo, giustificare disparità, giustificare sfruttamento, guerre, violenze che svolgono anche il ruolo di "self fullfilling prophecy". Il modello del "buon selvaggio" incrina lo stesso modello capitalistico, fondato sulla differenza, sul merito, sullo sfruttamento violento ma allo stesso tempo crea un ipotetico mondo orwelliano, dove l'uguaglianza è un diverso tipo di oppressione contro la creatività e la libertà. Non offro soluzioni e preferenze. Mi piaceva solo evidenziare che non esiste un modello morale rigido dentro di noi, ma che esso è il risultato della interazione fra strutture neurobiologiche che condividiamo con tutti i mammiferi e le strutture culturali.
Proprio in virtù di ciò la speranza è quella di poterci dire padroni del nostro destino, ma solo in una visione che concili le nostre istanze individualistiche con quelle collettivistiche.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

baylham

Ci sono notevoli e significative differenze nella nascita della morale tra la Genesi, Hobbes e Freud.

Concordo che la concezione che l'uomo sia buono alla nascita dà la colpa della cattiveria alla società, mentre la concezione contraria, che l'uomo sia cattivo alla nascita, dà il merito della bontà alla società. Questa trasformazione morale in un senso o nell'altro è tuttavia incredibile, paradossale.

Concordo che alla nascita l'uomo non sia né buono né cattivo.
La formazione della morale è un processo culturale sistemico, individuale e collettivo, di carattere principalmente biologico ed economico.

Sull'eguaglianza.
Per esempio in biologia è fondamentale l'identità nella riproduzione del DNA. Ma altrettanto fondamentale è la diversità nella riproduzione sessuale e nella mutazione genetica.
Importante è l'uguaglianza di un sistema immunitario, come altrettanto importante è la sua differenziazione reattiva tra individui.
In economia l'uguaglianza dei bisogni è all'origine della cooperazione nel lavoro ma anche del conflitto nella distribuzione del prodotto.

Come risulta da questi esempi, l'uguaglianza non garantisce affatto la conciliazione armonica permanente tra individuo e società.
Tuttavia ho preferenze: in economia preferisco politiche che riducano (non eliminino, obiettivo impossibile) la disuguaglianza del reddito e del patrimonio, con imposte sul reddito e sulle successioni progressive.

Riflettendo per modelli sistemici, le istanze morali individuali sono parte di un sistema sociale, il quale sistema sociale non ha alcuna istanza morale.

anthonyi

#2
Citazione di: Jacopus il 22 Maggio 2025, 08:49:47 AMUna tesi autorevole che ha attraversato i secoli è quella secondo cui, l'uomo nasce selvaggio e deve apprendere come si sta al mondo, riconoscere i suoi limiti e quando li viola deve essere fornito di "senso di colpa" che funzioni da semaforo. Innescato un numero sufficiente di volte, il senso di colpa si trasforma in autocontrollo e i limiti restano inviolati. Questa tesi ha innumerevoli versioni, nella Bibbia, in Hobbes, in Freud, solo per citare i primi che mi vengono in mente. Un'altra tesi, minoritaria, è quella secondo cui, l'uomo nasce virtuoso e viene corrotto dalle istituzioni. È quanto ritengono le teorie progressiste da Rousseau in poi. Io partirei da un diverso approccio, ovvero che l'uomo nella sua evoluzione filogenetica, pur conservando entrambi i possibili imprinting, sia facilmente modellabile dai processi culturali, dalla trasmissione del sapere e dalle ideologie dominanti. In fondo è stata questa struttura di neuroplasticità a farci colonizzare l'intera superficie terrestre insieme a poche altre specie (topi senz'altro e cani e gatti al nostro seguito, ma anche i topi probabilmente sono al nostro seguito, anche se non li coccoliamo come gli altri). È come se ci fossero iscritte nella nostra struttura genetica delle proto forme pronte all'uso, che si attivano se condivise attraverso la trasmissione culturale e il comportamento condiviso. Con una importante differenza. Il modello del "cattivo selvaggio" crea le premesse per differenziare il mondo, giustificare disparità, giustificare sfruttamento, guerre, violenze che svolgono anche il ruolo di "self fullfilling prophecy". Il modello del "buon selvaggio" incrina lo stesso modello capitalistico, fondato sulla differenza, sul merito, sullo sfruttamento violento ma allo stesso tempo crea un ipotetico mondo orwelliano, dove l'uguaglianza è un diverso tipo di oppressione contro la creatività e la libertà. Non offro soluzioni e preferenze. Mi piaceva solo evidenziare che non esiste un modello morale rigido dentro di noi, ma che esso è il risultato della interazione fra strutture neurobiologiche che condividiamo con tutti i mammiferi e le strutture culturali.
Proprio in virtù di ciò la speranza è quella di poterci dire padroni del nostro destino, ma solo in una visione che concili le nostre istanze individualistiche con quelle collettivistiche.

Credo che entrambe le tesi, sia quella del buon che del cattivo selvaggio, siano discutibili.
Il fatto di essere valutati buoni o cattivi é un ex post rispetto alla costruzione di un codice morale che si forma nella società e poi va implementato negli individui tramite l'educazione.
Il codice morale é prosociale, favorisce comportamenti in linea con le necessità istituzionali, per cui l'idea che le istituzioni possano corrompere é semplicemente assurda, sarebbe come segare il ramo sul quale sono sedute.
Direi che le questioni delineate da te, jacopus, riguardano piuttosto il problema del confronto tra società differenti, ciascuna con il proprio codice morale, e spesso con il bisogno di imporlo sull'altro.
Il confronto può poi essere anche tra ideologie morali differenti, come quella che tu accenni tra un sistema morale di tipo liberale, e un sistema morale di tipo socialista, ciascuno dei quali sostiene la sua idea di bene e di buono, necessariamente in competizione con quella dell'altro.

iano

#3
Direi che nella testa dei filosofi gli uomini nascono cattivi oppure buoni, a seconda di quanta fiducia soggettivamente vi pongano.
Quindi mi chiedo, quale bambino avrà una crescita più armoniosa, quello in cui vi si pone fiducia, oppure il contrario?
Perchè, va bene la teoria, ma poi quello che conta è quanta fiducia riceviamo a livello locale quando nasciamo, fiducia che oltretutto l'amore non può sostituire.
Fiducia che andrà certamente commisurata, perchè equivale alla libertà di imparare dall'esperienza, con tutti i pericoli che ciò comporta.
Il problema è che non c'è veramente un altro modo di imparare.
La fiducia che non viene data al bambino, la ritroviamo di segno contrario, nella fiducia che  il bambino deve dare all'adulto che lo indottrina, il che non sarebbe un problema in una società che non cambia culturalmente, cioè se la stasi culturale non fosse un problema.
Se tutto è andato bene, credo che ognuno di noi oggi dovrebbe chiedersi: ''come ho potuto io tenere a su tempo certi comportamenti che oggi ritengo inammissibili?''.
Ma tutto ciò sarà stato comunque inutile, se perciò non avrò sviluppato tolleranza verso chi quei comportamenti oggi tiene.
Se ci si adagia a rispettare certi precetti senza mai metterli alla prova, ci si ritrova ingabbiati dentro una cultura, ad essere cioè qualcosa senza esserlo mai davvero stati.
Faccio un esempio.
Se tutti i genovesi sono tirchi, possiamo dire che ogni singolo genovese è tirchio?
Direi che in questo caso il famoso sillogismo fallisce.



La realtà non ha in se un ordine, ma si presta a ricevere un ordine, senza il quale essa non potrebbe apparirci, e per questo essa ci appare ordinata, e non essendoci un solo modo di ordinarla, diversamente potrà apparirci.

Alexander

#4
C'è una terza possibilità tra tutti gli uomini nascono buoni e tutti gli uomini nascono cattivi : alcuni nascono buoni e alcuni cattivi (forse sarebbe più corretto dire che nascono tendenzialmente buoni o cattivi). Che sia questione di geni, di indole, di carattere, di vite precedenti, come dicono alcuni, di "anime" create con certe caratteristiche o altro... Sta di fatto che già all'asilo si vede il bimbo buono, empatico e generoso e il bimbo canchero, dispettoso, antipatico. Questo è quello che si vede in verità. Comunque non è un problema solo umano: ci sono cani, per dire, che perdono la voce a furia di abbaiare, ma sono innocui e altri che se ne stanno silenziosi in un angolo e poi, appena volti le spalle, Zac! Ti azzannano al polpaccio.

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