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LOGOS - Argomenti => Tematiche Filosofiche => Discussione aperta da: iano il 04 Giugno 2019, 17:32:13 PM

Titolo: ...ciò che vediamo.
Inserito da: iano il 04 Giugno 2019, 17:32:13 PM
...la storia della scienza è anche la storia delle invenzioni che modificano la nostra percezione delle cose.Tuttavia , paradossalmente , l'invenzione di nuovi strumenti è vincolata a ciò che vediamo.

Tratto da -I motori della vita - di Paul G. Falkowski.

Questa e numerose altre riflessioni fulminanti sono contenute nel libro citato.
L'argomento del libro in effetti sono i microbi e l'autore è un biologo , il quale nota come ciò che non vediamo , specie a occhio nudo , diventi oggetto distratto del nostro interesse, ciò che ha determinato uno sviluppo ritardato della biologia rispetto ad esempio all'astronomia.
Si dice nel libro che non è stato Galilei ad inventare il telescopio , ma è l'uso che lui ne ha fatto a innescare la rivoluzione scientifica.
Questo lo sapevo.
Quello che non sapevo invece è che Galilei ha usato il telescopio anche al contrario, come microscopio , individuando perfino , e riportando in un disegno , l'agente patogeno della peste , ma disinteressandosi poi del tutto alla cosa , senza darne diffusione , come se un pregiudizio visivo avesse deciso la direzione delle sue future ricerche scientifiche.
Mi sembra significativo infatti considerare quanto la vista , il nostro senso più sviluppato , o almeno considerato tale comunemente , abbia influenzato il nostro progresso , nel bene e nel male , orientando le nostre indagini naturali in modo preferenziale ,trattandosi tutto sommato di un fattore accidentale.
Forse non è neanche vero che il senso della vista è il nostro senso più sviluppato , ma ciò che conta è il fatto che a noi appare come tale con tutte le conseguenze che ciò ha avuto e continuerà ad avere nell'orientare le nostre ricerche , e non solo in campo scientifico , se è vero che le visioni sono anche al centro del mondo spirituale.

In effetti si dice , il senso dell'udito potrebbe essere il nostro senso più sviluppato , anche se a noi non appare , lavorando mell'ombra.
Poi non avrebbe neanche senso fare una classifica fra i sensi , perché essi sembra lavorino sempre in combutta , per cui ad esempio la creazione di una immagine non è mai solo farina del sacco della vista , e questo vale per tutte le sensazioni in genere.
Il modo in cui i sensi poi lavorano insieme non è fissato per sempre , ma cambia anche nel breve periodo , grazie alla estrema plasticità del cervello.
Il senso della frase estratta dal libro quindi andrebbe allargata all'insieme dei sensi e al loro agire in comune.
La vista rimane però privilegiata perché fra tutti i sensi è forse quella che più coinvolge la nostra coscienza.
Quindi invero l'artefice vero dei pregiudizi che orientano la ricerca scientifica è proprio la coscienza .
Questa potrebbe apparire perfino una affermazione banale , se non fosse che il nostro orientarci nel mondo attraverso i sensi non sempre la richiede.
Il senso dell'udito forse è il più sviluppato , ma ciò non arriva alla nostra coscienza.
Così nell'ordine , anche in campo spirituale , vengono le visioni , poi le voci , etc...
Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: iano il 04 Giugno 2019, 18:19:12 PM
Oggi ignoreremmo volentieri la meccanica quantistica che ci da' visioni aberrate ancor più di quelle che Galileo vide col suo microscopio , tanto che forse è arrivato il momento di rinunciare alle "visioni scientifiche".
Possiamo immaginare nel campo spirituale un percorso parallelo?
P.S. Il libro citato è attualmente in edicola allegato alle "Scienze".
Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: Ipazia il 04 Giugno 2019, 18:33:11 PM
Citazione di: iano il 04 Giugno 2019, 18:19:12 PM
Possiamo immaginare nel campo spirituale un percorso parallelo?

Finora i percorsi paralleli spirituali non è che abbiano dato gran prova di sè e quanto sia devastante non potersi servire dei sensi creati dalla natura lo racconta bene "Cecità" di Saramago.
Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: Lou il 04 Giugno 2019, 18:39:36 PM
@iano
Il ruolo dell'apparato percettivo proprio di ogni animale ritengo ne determini, oltre che la visione del mondo, lo stesso " stare al mondo " ( trovai interessantissimo l'articolo di Nagel " What Is it Like to Be a Bat?").
In ambito umano le invenzioni amplificano e arricchiscono un apparato sensorio/ percettivo, da cui, nessuno strumento inventato è esente dal trovare in questa terra la sua origine. Eppure, in un certo modo kantianamente, potremmo dire che le percezioni senza concetti sono cieche. Dizione che anch'essa richiama a un privilegio della vista rispetto ad altri sensi. Dizione che nell'avvalorare la mutua interazione tra concetti e sensazioni e percezioni rende possibile una scienza che senza l'una o l'altra componente sarebbe impossibile. Il tema è vasto, Husserl rivaluta il tatto, ci sono pagine molto belle su come la tattilità sia l'unico senso che permette la sensazione di auto-affezione è tutto ciò che ne deriva, pur ammettendo che pure in Husserl nella disanima sal tatto si ricada in una forma del  "vedere". Più che di sensi più o meno sviluppati, trovo interessante notare le specificità proprie di ognuno.
Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: iano il 04 Giugno 2019, 20:42:09 PM
Citazione di: Ipazia il 04 Giugno 2019, 18:33:11 PM
Citazione di: iano il 04 Giugno 2019, 18:19:12 PM
Possiamo immaginare nel campo spirituale un percorso parallelo?

Finora i percorsi paralleli spirituali non è che abbiano dato gran prova di sè e quanto sia devastante non potersi servire dei sensi creati dalla natura lo racconta bene "Cecità" di Saramago.
Mi sono sforzato di tirarci dentro anche la spiritualità essendo ancora sotto l'effetto delle tirate di orecchie di Carlo.
Per quanto riguarda Saramago mi pare che la cecità visiva sia una metafora della cecità umana , come dire che non possiamo fare proprio a meno delle metafore visive.
Il vero problema  dei ciechi in effetti è un mondo costruito a misura dei non ciechi , il che dimostra che la vista non è in se' essenziale , posto che senza di essa non saremmo quel che siamo.
Cosa si prova ad essere pipistrelli , per rispondere anche a Lou?
In effetti lo siamo più di quanto crediamo , ma non avendone coscienza non sappiamo cosa si prova.
Però sembra che bendandosi per un tempo opportuno non si tardi a prendere coscienza di ciò .
Io che iniziò a diventare sordo mi sorprendo a leggere il labiale, quindi  faccio cosciamemte ciò che ho sempre fatto non consciamente, perché normalmente ci sentiamo anche con gli occhi .
Quindi per leggere il labiale non devo acquisire alcuna abilità che gia' non avessi.
Ma ciò che faccio cosciamente è solo porre maggiore attenzione al labiale.
Non è che io deduco consciamente ciò che si dice dal movimento delle labbra.
Io ascolto letteralmente il movimento delle labbra che vedo.
Ascolto con gli occhi.
Mentre i ciechi vedono con le orecchie , il tatto etc...
Se vogliamo procedere nel buio più fitto in piena sicurezza , magari per attraversare la strada , basta dare la mano a un cieco.
Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: Ipazia il 04 Giugno 2019, 21:02:36 PM
Citazione di: iano il 04 Giugno 2019, 20:42:09 PM
Per quanto riguarda Saramago mi pare che la cecità visiva sia una metafora della cecità umana, come dire che non possiamo fare proprio a meno delle metafore visive.

Perchè ci salvano anche dalla cecità morale. Direi che proprio sullo "spirituale", collegato al venir meno collettivo della vista, Saramago affondi il coltello con rara efficacia.
Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: Lou il 05 Giugno 2019, 18:33:11 PM
"Cosa si prova ad essere pipistrelli , per rispondere anche a Lou?
In effetti lo siamo più di quanto crediamo , ma non avendone coscienza non sappiamo cosa si prova.
Però sembra che bendandosi per un tempo opportuno non si tardi a prendere coscienza di ciò .
Io che iniziò a diventare sordo mi sorprendo a leggere il labiale, quindi  faccio cosciamemte ciò che ho sempre fatto non consciamente, perché normalmente ci sentiamo anche con gli occhi ."
I pipistrelli non sono animali ciechi, alcuni sono miopi, altri, senza l'ausilio del sonar si orientano bene. Per provare cosa prova un pipistrello, ahimè, non basta una benda. :)
Certo sussistono differenze le quali non possono essere - forse -imputate unicamente all'apparato sensorio.
Per il resto, in parte concordo: come ho cercato di esprimere, ogni senso è assumibile  a un " vedere ", o come vuole il titolo a "... ciò che vediamo".
Ora, il privilegio del "vedere", perchè?

La " morale " è anch'essa un " vedere"? O, meglio,  che spartisce il "vedere" con "morale"? Che nesso intercorre, fuor di metafore?
Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: Ipazia il 05 Giugno 2019, 19:33:56 PM
Citazione di: Lou il 05 Giugno 2019, 18:33:11 PM
La " morale " è anch'essa un " vedere"? O, meglio,  che spartisce il "vedere" con "morale"? Che nesso intercorre, fuor di metafore?

La verità. Fuor di metafora, secondo la leggenda, S. Tommaso volle metterci la vista, ma pure il tatto a una distanza dal suo naso. Anche il bambino che vede la nudità del re collega la vista al valore etico verità.
Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: iano il 06 Giugno 2019, 00:33:49 AM
Sulla morale non ho capito.
Ma vi lancio una provocazione.
Non è che il vetusto"non credo se non vedo" di San Tommaso si è spostato oggi verso un " non vedo se non credo" ?
Sappiamo che non occorre la mediazione diretta dei sensi per vedere come nei sogni , o che vediamo cose improbabili ad occhi aperti , o di cui non siamo certi, come angeli , madonne e apparizioni e visioni in genere.
Allo stesso tempo sappiamo che la mediazione dei sensi non ci rende immuni dal vedere sistematicamente cose che siamo certi non esistono.
Mi riferisco al classico caso del punto cieco per cui dovremmo vedere un cerchietto nero al centro di ogni visione ,mentre al suo posto vediamo una probabile ,ma finta ricostruzione fatta dal cervello.
Quindi in un certo senso , almeno in parte ,vediamo quel che crediamo di vedere.
Questo è quello che la scienza , che tanto deve storicamente alla vista , ci svela paradossalmente della vista.
Come dire che la scienza è qualcosa di più della vista ,ma allo stesso tempo la vista è un mezzo del quale essa non potrà mai fare a meno.
E la spiritualità può fare a meno dell'input dato dai sensi?
Direi che è ciò che discrimina la spiritualità occidentale da quella orientale , dove questa ultima ha intuito la relatività dei sensi , senza attendere dimostrazioni scientifiche .
È la scienza occidentale che ha fatto storia , ma molte delle conclusioni a cui è giunta hanno confermato la "vista lunga" degli orientali.
Vista lunga dovuta se non ricordo male a un terzo occhio , come dire che neanche loro possono rinunciare alle metafore visive.
Ma come la mettiamo infine con la MQ che ci propone improbabili visoni , che non sono angeli e madonne , ma che se servisse userebbe pure quelle?
Basterà crederci per vederle?
Siamo riusciti a vedere lo spazio e il tempo disegnato da Newton e perfino lo spazio-tempo disegnato da Einstein.
Riusciremo a vedere più in la' , oltre un orizzonte che non è più quello astronomico , ma umano ?
Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: odradek il 06 Giugno 2019, 14:04:30 PM
L:
Il ruolo dell'apparato percettivo proprio di ogni animale ritengo ne determini, oltre che la visione del mondo, lo stesso " stare al mondo " ( trovai interessantissimo l'articolo di Nagel " What Is it Like to Be a Bat?").

o:
"ritieni" benissimo e non solo.
"Non si ritiene", si è tenuti a ritenere perchè consiste nell'evidenza degli ultimi cinquanta anni di ricerca e non solo.
Sono le basi da cui parte Aristotele (nome ricorrente non a caso) per impostare la sua metafisica, dalla a alla z.
Sono inoltre le basi dell'esternalismo mentale, insomma, quel che tu "ritieni", costituisce la base minima per dar senso a quel che si pensa e si comunica.

L:
Eppure, in un certo modo kantianamente, potremmo dire che le percezioni senza concetti sono cieche.

o:
oppure potremmo dire che le percezioni senza concetti sono percezioni e basta, non che sono cieche, e che verranno lette od interpretate dal cervello, senza l'intervento della mente.
"What the Frog's Eye Tells the Frog's Brain" spiega cosa sia una percezione senza "mente", ed assieme a " What Is it Like to Be a Bat?" sono tra i lavori più citati negli ultimi anni; segue "Brain in a vat" di Putnam.

L:
Dizione che anch'essa richiama a un privilegio della vista rispetto ad altri sensi.
Dizione che nell'avvalorare la mutua interazione tra concetti e sensazioni e percezioni rende possibile una scienza che senza l'una o l'altra componente sarebbe impossibile.

o:
la vista è  il senso più importante, in quanto recante la maggior parte di informazioni. Vedo, esiste, ci ragiono; quindi la mia fisica inizierà da qui, poi, dopo, verrà la mia metafisica; di nuovo, il "programma" aristotelico;
in senso filosofico tutto quadra, in senso fisiologico\moderno la questione è molto più complessa perchè i disturbi della senso-percezione sono un "inferno teorico" psichiatrico, neurologico e per chi intende le precedenti due discipline come appartenenti al "sapere" del filosofo pure filosofico.

L
Il tema è vasto, Husserl rivaluta il tatto, ci sono pagine molto belle su come la tattilità sia l'unico senso che permette la sensazione di auto-affezione è tutto ciò che ne deriva, pur ammettendo che pure in Husserl nella disanima sal tatto si ricada in una forma del  "vedere".

o:
il tema più che vasto è sconfinato ma prima della tattilità vengono gli organi interni. Prima di caldo e freddo c'e' "quiete interna" e "movimento interno". Per la costruzione del self prima viene l'interno e poi l'esterno di cui la tattilità dovrebbe essere "prima conferma" della propria esistenza, della propria "confinità" o "confinatezza".
 
L:
Per provare cosa prova un pipistrello, ahimè, non basta una benda.

o:
che è infatti la conclusione di Nagel. Impossibile saperlo.
Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: Lou il 07 Giugno 2019, 17:48:49 PM
o:
la vista è  il senso più importante, in quanto recante la maggior parte di informazioni. Vedo, esiste, ci ragiono; quindi la mia fisica inizierà da qui, poi, dopo, verrà la mia metafisica; di nuovo, il "programma" aristotelico;
in senso filosofico tutto quadra, in senso fisiologico\moderno la questione è molto più complessa perchè i disturbi della senso-percezione sono un "inferno teorico" psichiatrico, neurologico e per chi intende le precedenti due discipline come appartenenti al "sapere" del filosofo pure filosofico.

L:
Punto di vista che condivido, in parte.
La vista, intesa come uno dei cinque sensi, cioè a livello limitatamente sensorio è una modalità informativa di cui non sono certa sia "recante il maggior numero di informazioni". Cerco di spiegarmi: le modalità in cui si raccolgono informazioni sono molteplici, la vista, qui estendo e passo a una metafora, è squisitamente un senso a modus  "apollineo", ma non è detto, che le modalità "dionisiache" rechino più o meno informazioni della prima citata. A mio modesto parere, non è tanto sulla maggiore o minore quantità di informazioni l'accento da porre, ma su come le diverse modalità informative in atto contribuiscano a formarci, e genealogicamente, la vista è il senso meno antico.
Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: Lou il 07 Giugno 2019, 17:53:53 PM
Citazione di: Ipazia il 05 Giugno 2019, 19:33:56 PM
Citazione di: Lou il 05 Giugno 2019, 18:33:11 PM
La " morale " è anch'essa un " vedere"? O, meglio,  che spartisce il "vedere" con "morale"? Che nesso intercorre, fuor di metafore?

La verità. Fuor di metafora, secondo la leggenda, S. Tommaso volle metterci la vista, ma pure il tatto a una distanza dal suo naso. Anche il bambino che vede la nudità del re collega la vista al valore etico verità.
Qui però mi pare di ritornarne al distico o tristico platonico buono-bello-vero. L'aletheia magari non è nè buona, nè bella, nè è così ovvio sia posta alla sola luce della vista, ma pure all'ombra. Il nesso del disvelato re nudo richiama per forza di cose la velatezza.
Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: Ipazia il 07 Giugno 2019, 21:29:16 PM
Citazione di: Lou il 07 Giugno 2019, 17:53:53 PM
Citazione di: Ipazia il 05 Giugno 2019, 19:33:56 PM
Citazione di: Lou il 05 Giugno 2019, 18:33:11 PM
La " morale " è anch'essa un " vedere"? O, meglio,  che spartisce il "vedere" con "morale"? Che nesso intercorre, fuor di metafore?

La verità. Fuor di metafora, secondo la leggenda, S. Tommaso volle metterci la vista, ma pure il tatto a una distanza dal suo naso. Anche il bambino che vede la nudità del re collega la vista al valore etico verità.
Qui però mi pare di ritornarne al distico o tristico platonico buono-bello-vero. L'aletheia magari non è nè buona, nè bella, nè è così ovvio sia posta alla sola luce della vista, ma pure all'ombra. Il nesso del disvelato re nudo richiama per forza di cose la velatezza.

Io ho risposto "fuor di metafora". ll bambino si limita a vedere la nudità laddove si pongono veli immginari. In ciò sta la veridicità del vedere. E la sua eticità. Da accademia dei lincei. Nome non scelto a caso.
Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: iano il 08 Giugno 2019, 00:31:44 AM
Continua a sfuggirmi la connessione fra visione e morale.
Vi propongo e ripropongo invece la connessione visione / comprensione.
Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: odradek il 08 Giugno 2019, 08:43:53 AM
L:
 Cerco di spiegarmi: le modalità in cui si raccolgono informazioni sono molteplici, la vista, qui estendo e passo a una metafora, è squisitamente un senso a modus  "apollineo", ma non è detto, che le modalità "dionisiache" rechino più o meno informazioni della prima citata.***

o:
ma infatti, andava troppo bene prima; con spiegazioni ed estensioni ecco che arrivano i problemi.
Seguo la metafora e intendo apollineo e dionisiaco come lo intendiamo noi (di sicuro noi due, nel caso specifico), e non come intendevano "dionisiaco" le persone che praticavano i "misteri" al tempo che i "misteri" erano praticati e vissuti. 
Non lo intendiamo alla stessa maniera di come lo intendevano loro a motivo di
a- distanza temporale e sue conseguenze;
b- i "misteri" praticati al tempo, non sarebbero ancora adesso misteriosi. Quasi tautologico.
Quindi niente storicismi e niente filologia.
Intendiamo dionisiaco ed apollineo nel senso che lo possa intendere una pubblicazione o rivista ragionevolmente colta, diciamo di seria divulgazione non specialistica, "roba" abbastanza "buona" quindi e totalmente coindivisa, pignolatori a parte.
In effetti, pignolando -a basso livello-, "dioniso" precederebbe "apollo" di svariate centinaia d'anni come minimo, ma si è stabilito niente storicismi e filologia.

Se invece apollineo-dionisiaco era riferito a Nietzche il discorso (mio) che segue e che precede perde ogni senso; in quel caso però Nietzche penso intendesse apollineo-dionisiaco più come categorie "estetiche" che gnoseologiche nell'ambito appunto della tragedia. Intenderle come modalità informative sarebbe una forzatura che non posso ascriverti, quindi scarterei l'accezione niciana.

Detto questo, ed assumendo che tu sappia benissimo cosa sia modalità "dionisiaca" (non lo dico provocatoriamente, lo dico per chiarire bene su che terreno -secondo me- ci si inoltri, seguendo "modalità dionisiache" ed in quali ambiti ci si possa ritrovare traendo le implicazioni che seguono l'immaginare una "praxis dionisiaca"), avrei queste domande :

a -vorrei un esempio, uno solo, di "modalità dionisiaca".

b -sulla base di cosa dici : "non è detto, che le modalità "dionisiache" rechino più o meno informazioni della prima citata" ?

c -sei d'accordo che la modalità dionisiaca sia legata strettamente alle esperienze del soggetto in condizioni di alterazione mentale o di possessione divina, intendendo quest' ultima nel senso più ampio, non necessariamente ammettendo quindi una possessione divina, ma ammettendo che il "dionisizzante" pensi realmente (sinceramente) di provarla ed intendendo la prima come stato mentale autoindotto o artificialmente provocato ?

d -quale grado di affidabiltà potresti accordare a rivelazioni di carattere dionisiaco?

e -quali sono le informazioni affidabili che una esperienza dionisiaca potrebbe recare in più che la vista, od il ragionamento ?

f -che differenza passa tra l'illuminazione mistica e l'esperienza dionisiaca ?
Non differenze qualitative o quantitative (dioniso tutta la vita ed oltre, fosse accessibile una scelta, manco da dirlo) ma, intendo epistemologicamente, che differenze ci sarebbero ?

g -che differenza passa tra la modalità dionisiaca ed il vaticinio della Pizia ?

***Pignolando ancora -ma sempre un pochino e non troppo:
Nel caso invece apollineo-dionisiaco fosse stato riferito a Nietzche il discorso (mio) che precedeva perderebbe ogni senso; in quel caso però ci sarebbe da dire che Nietzche intendeva apollineo-dionisiaco più come categorie estetiche (o "poli di tensione", o altre cose di quel genere) che gnoseologiche.
Pensare od insinuare che tu le intendessi come "modalità informative" sarebbe stata una forzatura che non potevo ascriverti (o meglio, fosse stata ascritta a me  avrebbe potuto "indispettirmi", fossi dotato di certe caratteristiche) quindi ho scartato l'accezione niciana.
Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: sgiombo il 08 Giugno 2019, 09:48:55 AM
Citazione di: iano il 04 Giugno 2019, 18:19:12 PM
Oggi ignoreremmo volentieri la meccanica quantistica che ci da' visioni aberrate ancor più di quelle che Galileo vide col suo microscopio , tanto che forse è arrivato il momento di rinunciare alle "visioni scientifiche".
Possiamo immaginare nel campo spirituale un percorso parallelo?
P.S. Il libro citato è attualmente in edicola allegato alle "Scienze".


Secondo me no.

Per il fatto che le sensazioni materiali possono essere postulate essere intersoggettive (e inoltre sono misurabili), quelle mentali (altro senso non so dare al concetto di "spirituale") no.
Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: iano il 08 Giugno 2019, 13:06:30 PM
@Sciombro.
Le immagini che associamo a una teoria scientifica non sono essenziali ad essa , ma relative a una loro sommaria comprensione , anche quando non ne approfondiamo i particolari.
Tali immagini sono postulatili come  intersoggettive , ma non hanno un corrispondente materiale.
Sono immagini di comodo , nel senso che funzionano, e tale caratteristica si può associare , senza fare scandalo oggi , alle immagini che ci regala la vista.
L'unica differenza è che la vista lavora fuori dalla nostra coscienza , mentre la scienza no.
Entrambi però alla fine creano immagini o visioni utili.
Esse non sembrano però in se' necessarie.
Possiamo rinunciare alla vista , come in caso di menomazione accidentale , reindirizzando e riottimizzamdo l'uso degli altri sensi.
Oggi la MQ ci chiede parimenti di rinunciare ad una visione da associare ad essa.
Quantomeno ad associare ad essa una visione che abbia il valore che ha avuto finora per noi.
Associare immagini ad essa continua a restare esercizio utile , ed anzi   meglio maneggiabile con disinvoltura  , non dovendo per tali immagini ricercare valenze aggiuntive al loro essere utili strumenti ,( anche se diventano sempre più strumenti di lavoro e sempre meno strumenti di "comprensione" e divulgazione per non addetti ai lavori al fine di tentare di innescare un processo che porti a una visione imtersoggettiva, come fino a un certo punto è stato possibile).
A causa della nostra natura non possiamo rinunciare alle immagini , meglio se imtersoggetive ,ma siamo chiamati dai fatti a rimettere in discussione la loro valenza.
Non mancheranno parti criticabili nel mio scritto , per mie lacune , ma spero arrivi comunque il concetto nella sua essenza , e su questo sopratutto attendo critiche e "visioni" alternative eventuali.
Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: sgiombo il 08 Giugno 2019, 20:19:53 PM
Citazione di: iano il 08 Giugno 2019, 13:06:30 PM
@Sciombro.
Le immagini che associamo a una teoria scientifica non sono essenziali ad essa , ma relative a una loro sommaria comprensione , anche quando non ne approfondiamo i particolari.
Tali immagini sono postulatili come  intersoggettive , ma non hanno un corrispondente materiale.
Sono immagini di comodo , nel senso che funzionano, e tale caratteristica si può associare , senza fare scandalo oggi , alle immagini che ci regala la vista.
L'unica differenza è che la vista lavora fuori dalla nostra coscienza , mentre la scienza no.
Entrambi però alla fine creano immagini o visioni utili.
Esse non sembrano però in se' necessarie.
Possiamo rinunciare alla vista , come in caso di menomazione accidentale , reindirizzando e riottimizzamdo l'uso degli altri sensi.
Citazione
La vista é parte della nostra coscienza.
 
E ipotesi esplicative circa ciò che la vista e gli altri sensi ci dicono sono le teorie che da essa, in generale da osservazioni empiriche e da ipotesi empiricamente verificate la scienza propone.
 
Ma secondo me non Possiamo immaginare nel campo spirituale un percorso parallelo per il fatto che i fenomeni mentali non sono postulabili essere intersoggettivi (oltre a non essere misurabili) al contrario di quelli materiali dei quali ci informano la vista e gli altri sensi.





Oggi la MQ ci chiede parimenti di rinunciare ad una visione da associare ad essa.
Quantomeno ad associare ad essa una visione che abbia il valore che ha avuto finora per noi.
Associare immagini ad essa continua a restare esercizio utile , ed anzi   meglio maneggiabile con disinvoltura  , non dovendo per tali immagini ricercare valenze aggiuntive al loro essere utili strumenti ,( anche se diventano sempre più strumenti di lavoro e sempre meno strumenti di "comprensione" e divulgazione per non addetti ai lavori al fine di tentare di innescare un processo che porti a una visione imtersoggettiva, come fino a un certo punto è stato possibile).
A causa della nostra natura non possiamo rinunciare alle immagini , meglio se imtersoggetive ,ma siamo chiamati dai fatti a rimettere in discussione la loro valenza.
Non mancheranno parti criticabili nel mio scritto , per mie lacune , ma spero arrivi comunque il concetto nella sua essenza , e su questo sopratutto attendo critiche e "visioni" alternative eventuali.
Citazione
Da "sempre", anche da prima della MQ, la scienza non si imita a vari rilievi empirici, ma elabora circa essi teorie sul loro divenire generale astratto che alla possibile falsificazione empirica sottopone.

Ma alla tua domanda rispondo che secondo me ciò non é possibile circa lo "spirituale"
Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: odradek il 09 Giugno 2019, 12:44:16 PM
a iano:

cit:
a- Non mancheranno parti criticabili nel mio scritto , per mie lacune ,
b- ma spero arrivi comunque il concetto nella sua essenza ,
c -e su questo sopratutto attendo critiche e "visioni" alternative eventuali.

o:
inizio da qua.
Parlare è difficile, scrivere lo è ancora di più.
A quasi tutti risulta fastidioso che il proprio scritto venga sezionato e analizzato parola per parola ma è la unica strada per capire cosa lo scrivente intenda.
 
Quando si fa questo non è per "inchiodare" l' interlocutore, ma per "inchiodare" i concetti esplicitati di post in post.
Fissando i concetti definitivamente -almeno nell'ambito di un 3d- sapremo entrambi sempre e precisamente di cosa stiamo parlando ed eviteremo incomprensioni in seguito.

Tu chiedi in -c un confronto sul concetto,
ma per fare questo si deve prima capire le basi su cui si fonda il tuo concetto.
Se le basi su cui si fonda differiscono, di conseguenza differirà l'interpretazione del concetto di cui si vuol discutere e risulterà quindi del tutto inutile farlo se prima non si sono esaminate le basi su cui si fonda.

Discutere le basi però significa esaminare una per una le "parti criticabili" di cui dici in -a.
Quindi si dovrebbe contraddire in qualche modo (spesso o sempre) quel "sopratutto" di cui poi dici in -c.

Per la mia maniera di impostare i discorsi risulta però indispensabile verificare l'"accordo" che esiste su ognuna delle specifiche frasi scritte, perchè quelle compongono il concetto.
Non si tratta  di "demolizione" si tratta di una ricerca di chiarezza reciproca.

Mi son reso conto questa cosa essere sgradita ai più quindi chiedo -prima di iniziare il "discorso"- se sei disposto ad accettare questa maniera di discorrere (reciproca) che chiede conto di ogni parola, ogni frase, ogni concatenazione, ogni metafora, qualsiasi assunzione nascosta si possa trovare e qualsiasi cosa possa essere inferita da ogni singola affermazione.
Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: viator il 09 Giugno 2019, 17:09:10 PM
Salve odradek. Stupefacente coincidenza (ma forse abbiamo teste che hanno qualcosa in comune) : Dà un'occhiata a ciò che ho scritto da poco (senza aver prima letto te) a Sgiombo in "Materia e sostanza" !. Saluti.
Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: iano il 10 Giugno 2019, 21:56:05 PM
Citazione di: odradek il 09 Giugno 2019, 12:44:16 PM
a iano:

cit:
a- Non mancheranno parti criticabili nel mio scritto , per mie lacune ,
b- ma spero arrivi comunque il concetto nella sua essenza ,
c -e su questo sopratutto attendo critiche e "visioni" alternative eventuali.

o:
inizio da qua.
Parlare è difficile, scrivere lo è ancora di più.
A quasi tutti risulta fastidioso che il proprio scritto venga sezionato e analizzato parola per parola ma è la unica strada per capire cosa lo scrivente intenda.

Quando si fa questo non è per "inchiodare" l' interlocutore, ma per "inchiodare" i concetti esplicitati di post in post.
Fissando i concetti definitivamente -almeno nell'ambito di un 3d- sapremo entrambi sempre e precisamente di cosa stiamo parlando ed eviteremo incomprensioni in seguito.

Tu chiedi in -c un confronto sul concetto,
ma per fare questo si deve prima capire le basi su cui si fonda il tuo concetto.
Se le basi su cui si fonda differiscono, di conseguenza differirà l'interpretazione del concetto di cui si vuol discutere e risulterà quindi del tutto inutile farlo se prima non si sono esaminate le basi su cui si fonda.

Discutere le basi però significa esaminare una per una le "parti criticabili" di cui dici in -a.
Quindi si dovrebbe contraddire in qualche modo (spesso o sempre) quel "sopratutto" di cui poi dici in -c.

Per la mia maniera di impostare i discorsi risulta però indispensabile verificare l'"accordo" che esiste su ognuna delle specifiche frasi scritte, perchè quelle compongono il concetto.
Non si tratta  di "demolizione" si tratta di una ricerca di chiarezza reciproca.

Mi son reso conto questa cosa essere sgradita ai più quindi chiedo -prima di iniziare il "discorso"- se sei disposto ad accettare questa maniera di discorrere (reciproca) che chiede conto di ogni parola, ogni frase, ogni concatenazione, ogni metafora, qualsiasi assunzione nascosta si possa trovare e qualsiasi cosa possa essere inferita da ogni singola affermazione.
Sono disposto ad accettare questa maniera di discorrere , perché poco criticabile , non perché mi piaccia , cosa che senza volere è evidentemente trapelata.
Però mi dai l'occasione per abbozzare quelle critiche che finora non ho osato esternare.
Non credo sia difficile parlare o scrivere , posto che si possono avere diverse abilità nel farlo e che ci sono diversi modi di usare il linguaggio la stampa , ma in genere dalla seconda ci si attende concetti meglio meditati e non contraddittori , come di solito avviene.
Questo evita di dover stampare infiniti altri libri dove si critichi punto per punto un dato libro.
Se possiamo farlo nel forum è perché il mezzo lo permette.
Quindi più che una metodologia da considerare come desiderabile, se non necessaria , è prima di tutto una possibilità nuova che la "una modalità di scrittura nuova" ci mette a disposizione.
Ma non è l'unica.
Abbiamo anche una nuova chance che somiglia più al parlare che allo stampare libri: esprimere per iscritto i propri pensieri mentre nascono , cosa che sarebbe paradossale in genere fare attraverso la stampa.
Mi pare che le diverse potenzialità offerte dal nuovo mezzo vengano utilizzate su questo forum , come è bene che sia , ma non v'è dubbio che le due cose collidano massimamente.
Criticare un concetto nel suo divenire è come sparare sul pianista mentre sta improvvisando rinunciando a comprendere e giudicare la melodia.
Ecco questo è quello che volevo dire , ma non avevo il coraggio di dire , temendo di fare la figura di quello che si infastidisce alle critiche.
Inutile dire che la critica è sacrosanta, ma non esente da malcostume.
Se contiamo quante parti isolate di post (quindi non sempre l'intero post punto per punto )vengono postate per criticarle a confronto di quante per sottolinearne l'interesse il rapporto ci dice che sembra più facile criticare che lodare.
Se nella mia testa nasce un nuovo concetto (nuovo per me) mi piacerebbe condividerlo e farlo crescere insieme a voi ciò che raramente sembra seguire al pur sacrosanto diluvio di critiche.
Nel caso di questa discussione ho tratto una frase da un libro che occasionalmente ben descrive un concetto mio.
Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: iano il 10 Giugno 2019, 22:13:58 PM
Spesso ci si dimentica della relatività e delle potenzialità e dei limiti che ogni media regala e pone.
Di solito critico la filosofia di una persona che desumo dai suoi scritti e non i suoi scritti punto per punto , anche se questo desumere che non chiede delucidazioni punto per punto ha dei limiti .
Mentre lodo l'originalita' dei concetti, o quella che a me pare tale, come fossero nati lì per lì .
Questo mi pare il bello di questo media.


Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: Lou il 10 Giugno 2019, 23:13:47 PM
Citazione di: odradek il 08 Giugno 2019, 08:43:53 AM
L:
Cerco di spiegarmi: le modalità in cui si raccolgono informazioni sono molteplici, la vista, qui estendo e passo a una metafora, è squisitamente un senso a modus  "apollineo", ma non è detto, che le modalità "dionisiache" rechino più o meno informazioni della prima citata.***

o:
ma infatti, andava troppo bene prima; con spiegazioni ed estensioni ecco che arrivano i problemi.
Seguo la metafora e intendo apollineo e dionisiaco come lo intendiamo noi (di sicuro noi due, nel caso specifico), e non come intendevano "dionisiaco" le persone che praticavano i "misteri" al tempo che i "misteri" erano praticati e vissuti. 
Non lo intendiamo alla stessa maniera di come lo intendevano loro a motivo di
a- distanza temporale e sue conseguenze;
b- i "misteri" praticati al tempo, non sarebbero ancora adesso misteriosi. Quasi tautologico.
Quindi niente storicismi e niente filologia.
Intendiamo dionisiaco ed apollineo nel senso che lo possa intendere una pubblicazione o rivista ragionevolmente colta, diciamo di seria divulgazione non specialistica, "roba" abbastanza "buona" quindi e totalmente coindivisa, pignolatori a parte.
In effetti, pignolando -a basso livello-, "dioniso" precederebbe "apollo" di svariate centinaia d'anni come minimo, ma si è stabilito niente storicismi e filologia.

Se invece apollineo-dionisiaco era riferito a Nietzche il discorso (mio) che segue e che precede perde ogni senso; in quel caso però Nietzche penso intendesse apollineo-dionisiaco più come categorie "estetiche" che gnoseologiche nell'ambito appunto della tragedia. Intenderle come modalità informative sarebbe una forzatura che non posso ascriverti, quindi scarterei l'accezione niciana.

Detto questo, ed assumendo che tu sappia benissimo cosa sia modalità "dionisiaca" (non lo dico provocatoriamente, lo dico per chiarire bene su che terreno -secondo me- ci si inoltri, seguendo "modalità dionisiache" ed in quali ambiti ci si possa ritrovare traendo le implicazioni che seguono l'immaginare una "praxis dionisiaca"), avrei queste domande :

a -vorrei un esempio, uno solo, di "modalità dionisiaca".

b -sulla base di cosa dici : "non è detto, che le modalità "dionisiache" rechino più o meno informazioni della prima citata" ?

c -sei d'accordo che la modalità dionisiaca sia legata strettamente alle esperienze del soggetto in condizioni di alterazione mentale o di possessione divina, intendendo quest' ultima nel senso più ampio, non necessariamente ammettendo quindi una possessione divina, ma ammettendo che il "dionisizzante" pensi realmente (sinceramente) di provarla ed intendendo la prima come stato mentale autoindotto o artificialmente provocato ?

d -quale grado di affidabiltà potresti accordare a rivelazioni di carattere dionisiaco?

e -quali sono le informazioni affidabili che una esperienza dionisiaca potrebbe recare in più che la vista, od il ragionamento ?

f -che differenza passa tra l'illuminazione mistica e l'esperienza dionisiaca ?
Non differenze qualitative o quantitative (dioniso tutta la vita ed oltre, fosse accessibile una scelta, manco da dirlo) ma, intendo epistemologicamente, che differenze ci sarebbero ?

g -che differenza passa tra la modalità dionisiaca ed il vaticinio della Pizia ?

***Pignolando ancora -ma sempre un pochino e non troppo:
Nel caso invece apollineo-dionisiaco fosse stato riferito a Nietzche il discorso (mio) che precedeva perderebbe ogni senso; in quel caso però ci sarebbe da dire che Nietzche intendeva apollineo-dionisiaco più come categorie estetiche (o "poli di tensione", o altre cose di quel genere) che gnoseologiche.
Pensare od insinuare che tu le intendessi come "modalità informative" sarebbe stata una forzatura che non potevo ascriverti (o meglio, fosse stata ascritta a me  avrebbe potuto "indispettirmi", fossi dotato di certe caratteristiche) quindi ho scartato l'accezione niciana.
Allora:
a - ogni modalità esperienziale arappresentativa.
a.1* - una esperienza arappresentativa è possibile a darsi?

b - lo dico in forza di ogni esperienza che come un basso profondo rompe e dirompe ogni rappresentatività, è un suono che ci accompagna di cui non c'è una immagine, c'è un flusso inarrestabile, un battito che accompagna in ogni cosa.
b.1* - Si ne sto dando rappresentazione, ma in un certo modo, rappresentandolo non è più.

c - non "pensa", è un livello diverso dal pensiero.
c.1* - Forse. Qui occorrerebbe una disanima sul "pensa", brutalmente detta può essere pure siano pensieri non pensati. E mi rimando a b.1* per certi aspetti.

d - l'unica, "condizionamento", sugli accordi che do in affidabilità. Mi parrebbe sciocco non accordare affidabilità ai condizionamenti che operano in noi.

e - informazioni che la vista è il ragionamento, per loro natura, non possono nè vedere, nè sapere.
e.1* - o sono occhi talmente capaci da non lasciar nulla fuor di loro prospettiva? C'è qualche informazione oltre vista e ragionamento?

f - sì, nel dionisiaco luce e ombra, illuminazione o non illuminazione, non sono aspetti dirimenti.
f.1* - Embè? Allora quali sono gli aspetti dirimenti?

g - contravvengo all'alert "filologia" , ma la Pizia che più sussume in sè vaticinio e modalità dionisiaca del mondo è quella tratteggiata Durrenmatt. Una differenza esiste, ma è labile, sconfinante, e qualcuno ne ha narrato, di questa labilitá, sconfinamento, o ricerca di integrazione.

* sono una tra le tante possibili obiezioni. Fuor del niece, su cui, mi sento in dovere di dire che, a mio parere, le categorie es5etiche divengono prepotententemente categorie gnoseologiche et epistemiche. Tanto per dire.

***

Lou : "h" - non ti pare?
Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: iano il 10 Giugno 2019, 23:58:35 PM
Citazione di: viator il 09 Giugno 2019, 17:09:10 PM
Salve odradek. Stupefacente coincidenza (ma forse abbiamo teste che hanno qualcosa in comune) : Dà un'occhiata a ciò che ho scritto da poco (senza aver prima letto te) a Sgiombo in "Materia e sostanza" !. Saluti.
Se indicavi il numero del post era meglio.
Come si fa' a districarsi fra critiche punto punto e critiche punto punto di critiche punto punto se non si pone un limite a questi punti?
Ci sono cose in cui il forum è insostituibile a mio parere .
Ne dico una.
Quando leggo uno scritto filosofico o un libro di divulgazione scientifica non pretendo di capire tutto.
Se però l'argomento è interessante cerco di riportarlo comunque in una discussione sul forum , e solo quando faccio ciò mi rendo conto di aver invece digerito bene l'argomento come se , parafrasando un famoso scienziato , il mio scritto fosse più intelligente di me.
Se non dovessi scrivere su un forum mi sentirei un idiota a scrivere ame stesso e non lo farei.
Sarei curioso di sapere cosa di buono vi dia questo media a voi oltre alla possibilità di una critica puntuale punto punto.
A volte poi l'impressiome è che questa critica punto punto venga attuata mentre si legge il post , e non dopo averlo letto tutto.
Leggendolo tutto il concetto che si vuole esprimere , pur fra tant'è comtraddizioni , a volte viene fuori lo stesso , rendendo evidente che le contraddizione sono l'imefitabile prodotto di un pensiero nel suo divenire.
Naturalmente si potrebbe obiettare che un pensiero va' espresso solo quando maturo , come si fa' quando si scrive un libro. In questo modo però si rinuncerebbe alla specificità di questo media , che non è un libro , e lo si snaturerebbe diversamente.
Se parola è una cosa , se stampo un altra , se posto un altra ancora, e cosa sia quest'ultima , vista la nostra esperienza lunga , potremmo iniziare a confessarci su cosa sia , e forse la possibilità di una critica punto punto , specificità di questo media , non apparirebbe al primo posto.
Il media , che resta comunque un mezzo relativo che siamo liberi di scegliere ,influenza pesantemente nel bene e nel male ciò che si esprime , allo stesso modo che la vista influenza pesantemente il modo in cui il mio mondo si "esprime a noi " attraverso essa , essendo sempre un mezzo relativo ma con la differenza che la sua scelta sembra più obbligata che libera.
Il fatto che la scelta sia obbligata mi pare ci faccia dimenticare quanto il mezzo sia relativo , dando alla nostra conoscenza un valore forse falsato.
Questo è il nocciolo della discussione detto in pochi punti criticabilissimi sempre e comunque.
Rinuncio ai collegamenti che ho fatto con là spirituali che qualcuno ha usato per sviare il forum.
Troppa carne al fuoco non si dovrebbe mai mettere se si meditasse più quello che si scrive non lasciandosi prendere dal corso dei pensieri.
Mea culpa?😅
Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: odradek il 11 Giugno 2019, 00:24:06 AM
a- una esperienza arappresentativa è impossibile a darsi per definizione, nonostante questo la poesia si sforza da secoli con alterni risultati di render fruibili le esperienze di cui parli. Spesso ci riesce.
 
Lo stato mentale -b è il cuore dell'esperienza religiosa arcaica, quella delle epifanie e delle apparizioni, delle divinità all'ora del meriggio.
Lo stato -b è il cuore della esperienza dionisiaca. Lo stato mentale -b attualmente (infinitamente e sconsolatamente  purtroppo) appartiene ai desiderata del nostro Io (versione nobilitata, difficile trovare di meglio, in ogni caso, per quanto riguarda l'Io) e non più a noi accessibile.
E' una specie di Shangri-La della mente, una speranza che capiti, ma purtroppo -penso io, a noi ormai inaccessibile.
Troppo tempo troppa consapevolezza e troppa civiltà. Non si può mai tornare indietro.

d- io intendo condizionamenti in una accezione negativa e non riesco bene a intendere come intendi qui condizionamento.

e- le informazioni che ne la vista ne il ragionamento possono vedere sono quelle che appunto non sono mai servite alla nostra sopravvivenza; in caso contrario non saremo qui a parlarne, secondo me.

f- la questione diventa dirimente in due casi. Quando il soggetto tenta di comunicare la esperienza diventa difficilissimo farlo, essendo come dicevi esperienze arappresentative, quindi l'essere arappresentativa è una condizione dirimente riferita alla comunicabiltà.
Diventano poi dirimenti rispetto alla condotta del soggetto. Se il soggetto a seguito dell'esperienza di esperienze arappresentative non manifesta comportamenti che ne mettano in pericolo la sua vita di relazione allora esse non sono dirimenti, in caso contrario un pochino incominciano a divenirlo.

* Eh tutte le volte che lo si sfiora sono guai. Esiste un nice per ognuno di noi, e forse anche questa è grandezza (sua). Dunque, secondo me sta tutto in quel "divengono". Divengono prepotentemente si, e sopratutto prepotentemente, ma nel seguito. In quello specifico scritto, secondo me rimangono ancora principalmente solo estetiche, ma tanto tra un qualche mese, o entro un anno, ognuno di noi se lo rileggerà e ci ripenseremo sopra di nuovo; son cose che si continuano a ruminare.

***\h - non ne ho fatto un punto proprio per non "anniciare" da subito la chiaccherata che non lo vedevo tanto in tema, ma in ogni caso, non si rifiutano mai due parole su Nietzsche, quello si certo.
Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: iano il 11 Giugno 2019, 00:49:49 AM
Riassumendo , per cercare di reindirizzare la discussione ai suoi intenti originari.
Continuaiamo a comprendere il mondo anche attraverso la vista, nonostante i suoi limiti e lacune evidenziati dalla scienza.
La scienza stessa però sembra non poter fare a meno di creare immagini a sostegno delle sue teorie , in modo da "farci vedere " la teoria, ciò che per noi vale comprenderla.
Questo circolo , virtuoso o vizioso che sia , sembra entrare in crisi con la MQ.
È ovvio che la comprensione della teoria , nel senso sopra detto , non è essenziale all'applicaziome della teoria.
Eppure a noi sembra che ci manchi qualcosa.
Siamo a un punto di svolta evolutivo?
Forse , ma il problema è che non riusciamo a rinunciare a una visione del mondo, perché cercarla è nella nostra natura , ma non nella natura delle cose a quanto pare.
Volendo complicare la questione, e non dovrei , ma i pensieri come vedete vengono da se' in diretta forum , mi chiederei se la località altro non sia che un "difetto della vista".
Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: odradek il 11 Giugno 2019, 01:27:04 AM
iano:
Mi pare che le diverse potenzialità offerte dal nuovo mezzo vengano utilizzate su questo forum , come è bene che sia , ma non v'è dubbio che le due cose collidano massimamente.
Criticare un concetto nel suo divenire è come sparare sul pianista mentre sta improvvisando rinunciando a comprendere e giudicare la melodia.
Ecco questo è quello che volevo dire , ma non avevo il coraggio di dire , temendo di fare la figura di quello che si infastidisce alle critiche.

o:
Ora che so questo nel caso tu iniziassi un qualche argomento aspetterò qualche post nel caso io avessi qualcosa da dire, ma prima e senza questa premessa, avremmo rischiato forti incomprensioni e secondo me ancora le rischierai con tutti quelli che non han letto questo post.
E' anche buona la cosa del "work in progress" ma dovrebbe essere chiaramente specificato, se no altro che pianista, ti ci va la rete metallica di ferro.
Sia come sia visto che abbiamo iniziato la prima cosa che salta agli occhi è questa :

iano:
Quello che non sapevo invece è che Galilei ha usato il telescopio anche al contrario, come microscopio , individuando perfino , e riportando in un disegno , l'agente patogeno della peste

o:
l'agente patogeno della pesta raggiunge al massimo i 2.5μm (ma credo più 2 che 2.5) e non riesco a darmi conto di come un microscopio costruito tra il 1580 ed il 1620 potesse arrivare alla risoluzione necessaria a individuare una entità lunga due milionesimi di metro al massimo. C'è qualcosa che non va.
Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: iano il 11 Giugno 2019, 09:05:28 AM
Citazione di: odradek il 11 Giugno 2019, 01:27:04 AM

l'agente patogeno della pesta raggiunge al massimo i 2.5μm (ma credo più 2 che 2.5) e non riesco a darmi conto di come un microscopio costruito tra il 1580 ed il 1620 potesse arrivare alla risoluzione necessaria a individuare una entità lunga due milionesimi di metro al massimo. C'è qualcosa che non va.
Non hai torto.
Ho tralasciato di riportare che ciò che si vedeva a quel microscopio nato per caso andava poi disegnato e ricostruito cn un po' di fantasia.
Il tutto è descritto nel libro di Paul G.Falkowski, I motori della vita.Come i microbi hanno reso la terra abitabile.
Ancora in edicola credo , allegato alle "Scienze".
L'autore ipotizza che proprio la deficienza del mezzo abbia congiurato , nonostante la scoperta rivoluzionaria di un nuovo mondo microscopico , al ritardato sviluppo della biologia , a causa cioè, come io ho indicato , di un pregiudizio visivo.
Pregiudizio che io credo essere ancora attuale , se allarghiamo il campo della vista anche alle visioni , cioè a ciò che possiamo immaginare.
Quando associamo una immagine ad illustrazione di una teoria fisica in fondo stiamo facendo un lavoro di ricostruzione di fantasia simile a quello fatto da Galilei , e quando questo lavoro dovesse risultare poco soddisfacente  , come avviene a mio parere nel campo della MQ quantistica,  ciò può avere qualche effetto sulle dinamiche di sviluppo e di applicazione della teoria.
La MQ in particolare mette in dubbio un caposaldo della fisica tradizionale , la localita' , e mi chiedo quanto questo caposaldo sia debitore della vista.
Il fatto è che possiamo non ipotizzare la località nella teoria , ma non possiamo farne a meno quando dobbiamo approntare gli esperimenti che la confermino.
Cosa sia la località non è facile da capire , nonostante gli encomiabili sforzi esplicativi fatti da Apeiron in questo forum , ma i suoi sforzi uniti alla lettura di "Inquietanti azioni a distanza" di George Muster forse riusciranno a farmi capire.
Al momento mi chiedo e vi chiedo quanto questa località, che non sembra essere cosa  a fondamento della realtà secondo la nuova fisica , possa essere un prodotto della nostra predilezione al senso della vista , e più in generale alla tendenza a manipolare visioni.
Nella introduzione del libro vengono riportate due dichiarazioni di Einstein che prese imsieme fanno riflettere molto:
1.I concetti della fisica fanno riferimento a un mondo reale esterno...oggetti che devono avere una "esistenza reale" indipendente dall'osservatore...oggetti che esistono indipendentemente  uno dall'altro , in quanto "giacenti in punti diversi dello spazio".
2.La cosa più incomprensibile dell'universo è la sua comprensibilità.

Mi pare che il termine chiave qui sia "comprensibilità" che richiama un po' l'abbracciare il mondo in un "colpo d'occhio".
Dal nostro "punto di vista" il mondo è certamente fatto di oggetti distinti e separati che occupano un punto dello spazio .
È ovviamente un punto di vista limitato che la scienza sta cercando di allargare , senza che ne possa fare a meno.
Così abbiamo teorie locali che convivono con teorie non locali e la località sembra essere un mezzo relativo più che un fondamento della realtà.
Siccome però la localita' a me sembra legata al mezzo relativo della vista , fondamentale per noi , ciò ci crea non pochi problemi.
Certamente i nostri sensi allargati agli strumenti di misura servono a interfacciarci con la realtà, ma il poterla comprendere nella sua essenza è solo una illusione sensoriale in senso lato.
Parafrasando Einstein direi che " e' sorprendente come facciamo a interfacciarci con la realtà in modo sempre più efficace senza comprenderla " .
Il punto focale filosofico rimane comunque il significato che vogliamo dare al termine comprendere.
Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: Ipazia il 11 Giugno 2019, 10:31:38 AM
La cosa più incomprensibile dell'universo è l'emergere di una mente che cerchi di comprenderlo. Però esiste e dobbiamo prenderne atto. Col che inizia la discesa: decisamente meno faticosa, ma attenzione ai precipizi. Le ali che possediamo non sono tarate sulla forza di gravità del reale.
Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: iano il 11 Giugno 2019, 12:16:20 PM
Citazione di: Ipazia il 11 Giugno 2019, 10:31:38 AM
La cosa più incomprensibile dell'universo è l'emergere di una mente che cerchi di comprenderlo. Però esiste e dobbiamo prenderne atto. Col che inizia la discesa: decisamente meno faticosa, ma attenzione ai precipizi. Le ali che possediamo non sono tarate sulla forza di gravità del reale.
Una mente che ne fa' parte , e diciamo così, parte , perché come altro potremmo dire?
Questo modo di dire comporta però complicazioni , come il chiedersi dove sta esattamente la mente.
Potremmo trovargli ragionevolmente un confine di massima che la contiene , ma avremmo comunque difficoltà se volessimo precisare meglio i suoi confini.
Il fatto è che la trattiamo , non sapendo come altro trattarla come un oggetto , dandogli quindi la proprietà della località.
Sono d'accordo con te.Bisogna prenderne atto e allo stesso tempo prendere atto che essa può non avere il carattere della località, anche se non riusciamo a pensarla senza.
La mente potrebbe essere parte del mondo diremmo meglio, perché fino a prova contraria le parti sono solo un'idea della mente , così come lo sono lo spazio , gli oggetti , il tempo è in genere tutte quelle idee che sembrano essenziali per interfacciarmi con la realtà.
Ma se proprio per nostra natura (pregiudizio visivo ) non possiamo fare a meno di parlare di parti sarebbe arrivato il momento di frapporre fra mente e realtà propriamente detta (fisica) quella parte di interfaccia popolata da utili e indispensabili fantasie e visioni , che sono pura creatività vitale , svincolandola in questo modo da attributi non propri e rendendola così meglio libera di esprimersi , e quindi più efficace.
Se la mente è parte del mondo, e lo spazio il tempo e la località e le parti sono parte della mente , allora sono parte del mondo , e se in ciò si scorgesse un qualche paradosso anche quello lo mettiamo da parte e ce lo teniamo in conto .
Ci dovrà pure essere nello spazio delle possibilità un paradosso insuperabile per sua natura , o no?
Se riusciamo a immaginarlo allora c'è.
Parte del mondo è ciò che crediamo esso sia , posto che tale credenza non è mai gratuita anche quando tale ci appare.
Perché vale la pena aggiungere che ci sono credenze che restano negli archivi della storia e altre di cui si è persa ogni memoria.In altri termini....
Una credenza intersoggettiva ha più valore , ma resta pur sempre una credenza a cui dobbiamo imparare a dare il giusto valore positivo.
La conoscenza si basa sulla nostra capacità di credere , e questo è il nostro paradosso insuperabile e fondante ,  da cui tutto si spiega , o meglio si dispiega compresa la nostra spiritualità , basata che sia sulle visioni o sulla loro negazione, su ciò che vediamo perché vogliamo vedere o su ciò che non vediamo perché non vogliamo vedere.
Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: Ipazia il 11 Giugno 2019, 14:04:58 PM
Citazione di: iano il 11 Giugno 2019, 12:16:20 PM
Ci dovrà pure essere nello spazio delle possibilità un paradosso insuperabile per sua natura , o no?

Paradossi insuperabili ce ne sono un bel po':

1) la nascita dell'universo
2) l'avvento della biologia
3) l'emergere dalla biologia di una sua autocoscienza che
4) finisce con l'interrogarsi sui tre paradossi che precedono

CitazioneSe riusciamo a immaginarlo allora c'è.

Probabilmente ci sarebbe anche se nessuno lo immaginasse

CitazioneParte del mondo è ciò che crediamo esso sia , posto che tale credenza non è mai gratuita anche quando tale ci appare.

Certo, fatti i dovuti distinguo tra cavalli e ippogrifi. Le credenze non sono mai gratuite, neppure quelle dei folli. La scienza, intesa in senso lato come sapere, è nata per rispondere alle bizzarie del reale, per spiegarne razionalmente le fenomenologie.

CitazioneUna credenza intersoggettiva ha più valore, ma resta pur sempre una credenza a cui dobbiamo imparare a dare il giusto valore positivo.

Nessuno ce lo impone. Se abbiamo imparato a dare giusto valore al giudizio intersoggettivo è perchè l'intersoggettività ha una capacità di autocritica e debunking maggiore del giudizio soggettivo. Il valore "positivo" consiste nella asseverazione ripetuta della "credenza" che di verifica in verifica diventa "sapere".

Citazione
La conoscenza si basa sulla nostra capacità di credere , e questo è il nostro paradosso insuperabile e fondante ,  da cui tutto si spiega , o meglio si dispiega compresa la nostra spiritualità , basata che sia sulle visioni o sulla loro negazione, su ciò che vediamo perché vogliamo vedere o su ciò che non vediamo perché non vogliamo vedere.

In politica ed economia funziona effettivamente così, ma nella ricerca scientifica la conoscenza si basa sulla nostra capacità di dimostrare i teoremi e nessuno può permettersi di non vedere quello che ha visto ma non vuole vedere; il che non ha nulla di paradossale ed è pienamente in linea col funzionamento della natura. Il topolino che impara ad azionare la leva che gli procura il cibo non si limita a credere, ma sa. E quando lo sperimentatore cambia le regole del gioco il topolino impara presto a sapere che quello che credeva prima non vale più.
Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: sgiombo il 11 Giugno 2019, 14:41:16 PM
Citazione di: iano il 11 Giugno 2019, 12:16:20 PM
Citazione di: Ipazia il 11 Giugno 2019, 10:31:38 AM
La cosa più incomprensibile dell'universo è l'emergere di una mente che cerchi di comprenderlo. Però esiste e dobbiamo prenderne atto. Col che inizia la discesa: decisamente meno faticosa, ma attenzione ai precipizi. Le ali che possediamo non sono tarate sulla forza di gravità del reale.
Una mente che ne fa' parte , e diciamo così, parte , perché come altro potremmo dire?
Questo modo di dire comporta però complicazioni , come il chiedersi dove sta esattamente la mente.
Potremmo trovargli ragionevolmente un confine di massima che la contiene , ma avremmo comunque difficoltà se volessimo precisare meglio i suoi confini.
Il fatto è che la trattiamo , non sapendo come altro trattarla come un oggetto , dandogli quindi la proprietà della località.
Sono d'accordo con te.Bisogna prenderne atto e allo stesso tempo prendere atto che essa può non avere il carattere della località, anche se non riusciamo a pensarla senza.
Citazione
Dissento.
Secondo me non sono le coscienze ad essere localizzate da qualche parte nello spazio (e per noi desiderosi di conoscenza -etimologicamente: filosofi- le loro localizzazioni da trovarsi, da determinarsi).
Casomai lo sono i cervelli, che alle coscienze (se vivi, funzionanti e in determinate fasi del loro funzionamento) si può postulare biunivocamente corrispondano nel loro essere - divenire (conformemente ai risultati delle neuroscienze).
E' invece l' estensione spaziale (lo spazio fisico) ad essere "ubicato" nelle (a far parte delle) coscienze (esperienze fenomeniche coscienti), in particolare delle loro componenti fenomeniche materiali (misurabili quantitativamente e postulabili essere intersoggettive); oltre alle quali ne esistono di (altrettanto) fenomeniche mentali (non misurabili quantitativamente e non postulabili essere intersoggettive).
 
Lo spazio é un aspetto dell' esperienza (-e) fenomenica (-) cosciente (-i), di essa (-e) facente parte.
E non invece: le coscienza (con le loro componenti mentali, di pensiero; ma anche materiali) sono nello spazio (ubicate in qualche luogo alquanto "misterioso" perché inevitabilmente introvabile dal momento che non esiste non é reale).
Le esperienze (fenomeniche) coscienti (contrariamente ai cervelli) non sono ubicate in alcuno spazio, ma sono gli spazi ad essere "ubicati" nelle (a far parte delle) esperienze (fenomeniche) coscienti.




La mente potrebbe essere parte del mondo diremmo meglio, perché fino a prova contraria le parti sono solo un'idea della mente , così come lo sono lo spazio , gli oggetti , il tempo è in genere tutte quelle idee che sembrano essenziali per interfacciarmi con la realtà.
Citazione
Appunto: fino a prova contraria le parti sono solo un'idea della mente [o meglio, secondo me: dell' esperienza fenomenica cosciente, della coscienza; un suo aspetto astraibile da altri], così come lo sono lo spazio , gli oggetti , il tempo è in genere tutte quelle idee che sembrano essenziali per interfacciarmi con la realtà.
Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: iano il 11 Giugno 2019, 14:59:01 PM
Citazione di: Ipazia il 11 Giugno 2019, 14:04:58 PM


In politica ed economia funziona effettivamente così, ma nella ricerca scientifica la conoscenza si basa sulla nostra capacità di dimostrare i teoremi e nessuno può permettersi di non vedere quello che ha visto ma non vuole vedere; il che non ha nulla di paradossale ed è pienamente in linea col funzionamento della natura. Il topolino che impara ad azionare la leva che gli procura il cibo non si limita a credere, ma sa. E quando lo sperimentatore cambia le regole del gioco il topolino impara presto a sapere che quello che credeva prima non vale più.
La storia dell'uomo e quindi della scienza è piena di cose che non abbiamo voluto vedere e non v'e' motivo di pensare che non continuerà ad esserlo , a meno che non si pensi che noi viviamo in un tempo privilegiato .
Il topolino in effetti bada al sodo e quindi  ha meno difficoltà nel cambiare paradigmi all'occorremza rispetto a noi che su una corrispondente storia di noccioline umana proviamo sempre a intravedere  l'essenza del mondo .
La dimostrazione dei teoremi di Euclide ci ha fatto credere , e quindi vedere , un mondo Euclideo , che però oggi sappiamo non essere.
La dimostrazione corretta di un teorema altro non è che dire la stessa cosa , le ipotesi , in modo diverso , di modo che i teoremi possono prendere il posto delle ipotesi e queste quelle dei teoremi.
Il mondo è Euclideo o iperbolico se ci pare , il che significa che in se' non è ne' questo ne' quello se non nella misura in cui ne siamo parte.
Alla fine però è sempre una questione di noccioline , e se questo può essere deprimente , mi sembrano invece esaltanti gli stratagemmi con cui riusciamo ad ottenerle.
E siccome il dispiegarsi di queste strategie dipende anche dalle nostre filosofie la mia filosofia è quella che tende a potenziarle , cercando di vederle per quelle che sono,senza caricarle di compiti impropri e quindi ostanti alla loro funzione.
Quando dimostriamo un teorema stiamo solo cambiando punto di vista a partire dal diverso punto di vista delle ipotesi , il che non è poco quando dobbiamo inventarci nuove strategie.
Se dico che vale il postulato delle parallele o il teorema di Pitagora sto dicendo la stessa cosa come si può dimostrare anche se non sembra , ma per noi , animali visivi , ciò che sembra e' essenziale e fa' la differenza fra mangiare e non mangiare la nocciolina.
Si potrebbe dire quindi che nulla cambia , se la stessa cosa ci appare diversa , se non fosse che noi e ciò che ci appare facciamo parte di questo mondo.
Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: sgiombo il 11 Giugno 2019, 15:02:56 PM
Citazione di: Ipazia il 11 Giugno 2019, 14:04:58 PM
Citazione di: iano il 11 Giugno 2019, 12:16:20 PM
Ci dovrà pure essere nello spazio delle possibilità un paradosso insuperabile per sua natura , o no?

Paradossi insuperabili ce ne sono un bel po':

1) la nascita dell'universo
2) l'avvento della biologia
3) l'emergere dalla biologia di una sua autocoscienza che
4) finisce con l'interrogarsi sui tre paradossi che precedono
Citazione
Trovo paradossale solo la nascita dell' universo (fenomenico fisico - materiale. E infatti non credo sia avvenuta, ma che invece l' universo sia sempre esistito - divenuto ordinatamente).

La nascita della vita non ha nulla di paradossale: sono normalissime reazioni chimiche accadute "in perfetto ossequio delle leggi del divenire naturale".

Dalla biologia emergono comportamenti che ci fanno ritenere coesistenti con l' autocoscienza; la quale però (contrariamente a tali comportamenti e alle strutture e funzioni biologiche che li regolano o dirigono -i cervelli umani- non fanno parte del mondo biologico, ossia della materia vivente): semplicemente (se si crede, come anche nel caso mio personale, alle conoscenze scientifiche; in particolare biologiche) vi coesistono/codivengono in corrispondenza biunivoca.

Nè trovo alcunché di paradossale nel fatto di porsi da parte dell' uomo autocosciente, problemi reali o fittizi come questi.







Certo, fatti i dovuti distinguo tra cavalli e ippogrifi. Le credenze non sono mai gratuite, neppure quelle dei folli. La scienza, intesa in senso lato come sapere, è nata per rispondere alle bizzarie del reale, per spiegarne razionalmente le fenomenologie.
Citazione
D' accordo.
Ma anche la filosofia.





CitazioneUna credenza intersoggettiva ha più valore, ma resta pur sempre una credenza a cui dobbiamo imparare a dare il giusto valore positivo.
Nessuno ce lo impone. Se abbiamo imparato a dare giusto valore al giudizio intersoggettivo è perchè l'intersoggettività ha una capacità di autocritica e debunking maggiore del giudizio soggettivo. Il valore "positivo" consiste nella asseverazione ripetuta della "credenza" che di verifica in verifica diventa "sapere".
Citazione
Ma l' intesoggettività delle esperienze materiali (con tutto ciò che ne consegue; conoscenza scientifica compresa) resta indimostrata e indimostrabile, credibile infondatamente (ed essere consapevoli dei limiti insuperabili della razionalità umana e delle sue conquiste -filosofiche e scientifiche- significa essere più conseguentemente razionalistiche ignorarli, coltivando pie illusioni in proposito).






Citazione
La conoscenza si basa sulla nostra capacità di credere , e questo è il nostro paradosso insuperabile e fondante ,  da cui tutto si spiega , o meglio si dispiega compresa la nostra spiritualità , basata che sia sulle visioni o sulla loro negazione, su ciò che vediamo perché vogliamo vedere o su ciò che non vediamo perché non vogliamo vedere.

In politica ed economia funziona effettivamente così, ma nella ricerca scientifica la conoscenza si basa sulla nostra capacità di dimostrare i teoremi e nessuno può permettersi di non vedere quello che ha visto ma non vuole vedere; il che non ha nulla di paradossale ed è pienamente in linea col funzionamento della natura. Il topolino che impara ad azionare la leva che gli procura il cibo non si limita a credere, ma sa. E quando lo sperimentatore cambia le regole del gioco il topolino impara presto a sapere che quello che credeva prima non vale più.
Citazione
Concordo, nel senso che fondare le proprie convinzioni (come é il caso di quelle delle teorie scientifiche) su un "minimo sindacale" di credenze indimostrabile (tale che a quanto pare di fatto chiunque non sia comunemente considerato insano di mente per lo meno si comporta come se vi credesse) é ben diverso che credere fideisticamente, senza fondamento razionale a "di tutto e di più" (religioni, superstizioni, economia capitalistica, ecc.).
Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: sgiombo il 11 Giugno 2019, 15:09:51 PM
Citazione di: iano il 11 Giugno 2019, 14:59:01 PM
Citazione di: Ipazia il 11 Giugno 2019, 14:04:58 PM


In politica ed economia funziona effettivamente così, ma nella ricerca scientifica la conoscenza si basa sulla nostra capacità di dimostrare i teoremi e nessuno può permettersi di non vedere quello che ha visto ma non vuole vedere; il che non ha nulla di paradossale ed è pienamente in linea col funzionamento della natura. Il topolino che impara ad azionare la leva che gli procura il cibo non si limita a credere, ma sa. E quando lo sperimentatore cambia le regole del gioco il topolino impara presto a sapere che quello che credeva prima non vale più.
La storia dell'uomo e quindi della scienza è piena di cose che non abbiamo voluto vedere e non v'e' motivo di pensare che non continuerà ad esserlo , a meno che non si pensi che noi viviamo in un tempo privilegiato .
Il topolino in effetti bada al sodo e quindi  ha meno difficoltà nel cambiare paradigmi all'occorremza rispetto a noi che su una corrispondente storia di noccioline umana proviamo sempre a intravedere  l'essenza del mondo .
La dimostrazione dei teoremi di Euclide ci ha fatto credere , e quindi vedere , un mondo Euclideo , che però oggi sappiamo non essere.
La dimostrazione corretta di un teorema altro non è che dire la stessa cosa , le ipotesi , in modo diverso , di modo che i teoremi possono prendere il posto delle ipotesi e queste quelle dei teoremi.
Il mondo è Euclideo o iperbolico se ci pare , il che significa che in se' non è ne' questo ne' quello se non nella misura in cui ne siamo parte.
Alla fine però è sempre una questione di noccioline , e se questo può essere deprimente , mi sembrano invece esaltanti gli stratagemmi con cui riusciamo ad ottenerle.
E siccome il dispiegarsi di queste strategie dipende anche dalle nostre filosofie la mia filosofia è quella che tende a potenziarle , cercando di vederle per quelle che sono,senza caricarle di compiti impropri e quindi ostanti alla loro funzione.

Non credo che Il mondo [contrariamente alle nostre creazioni fantastiche; per esempio artistiche o letterarie] sia Euclideo o iperbolico se ci pare.

Ma invece che, se sono vere alcune indimostrabili conditiones sine qua non della conoscenza scientifica, l' una e/o l' altra ipotesi geometrica sia falsificabile empiricamente.

Per quanto personalmente mi riguarda, oltre ad essere ghiottissimo di noccioline (sia chiaro), lo sono anche di conoscenza (anche teorica pura, del tutto inutile a procurarsi noccioline ma inestimabilmente meravigliosa di per sé, come fine a se stessa).
Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: sgiombo il 12 Giugno 2019, 12:15:18 PM
X Iano

Poiché mi sembri molto affascinato de ciò che di controintuitivo la scienza ci fa scoprire (di quanto la realtà -fenomenica materiale - naturale scientificamente conoscibile- sia "diversa da come appare" immediatamente al senso comune, vorrei invitarti a considerare quanto sia ben più antiintuitivo e contrario alle "apparenze immediate del senso comune" il fatto (di cui a mio parere bisognerebbe rendersi conto filosoficamente) che non é che le coscienze siano (e dunque non sono da cercarsi) nello spazio (dei fenomeni material), ma invece lo spazio (dei fenomeni materiali) é nelle coscienze.
Mi sembra qualcosa di ben più controintuitivo che la rotondità della terra, l' eliocentrismo, la relatività del tempo ai sistemi di riferimento, l' indeterminismo e la non-località quantistica!
Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: iano il 12 Giugno 2019, 23:22:07 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Giugno 2019, 12:15:18 PM
X Iano

Poiché mi sembri molto affascinato de ciò che di controintuitivo la scienza ci fa scoprire (di quanto la realtà -fenomenica materiale - naturale scientificamente conoscibile- sia "diversa da come appare" immediatamente al senso comune, vorrei invitarti a considerare quanto sia ben più antiintuitivo e contrario alle "apparenze immediate del senso comune" il fatto (di cui a mio parere bisognerebbe rendersi conto filosoficamente) che non é che le coscienze siano (e dunque non sono da cercarsi) nello spazio (dei fenomeni material), ma invece lo spazio (dei fenomeni materiali) é nelle coscienze.
Mi sembra qualcosa di ben più controintuitivo che la rotondità della terra, l' eliocentrismo, la relatività del tempo ai sistemi di riferimento, l' indeterminismo e la non-località quantistica!
Sono d'accordo.E' ciò che ho scritto.
Se non possiamo per nostra natura fare a meno di divedere il mondo in parti , tipo noi e il resto del mondo , a questi occorre aggiungere un parte di interfaccia ,quella che contiene lo spazio , il tempo  etc...
Per alcuni studiosi spazio e tempo hanno i giorni contati.
Intendono con ciò che qualcosa di più fondamentale e/o reale li sostituirà.
Questo gioco di bocciature e promozioni non sembra avere fine, e anche se non porta in nessun posto è difficile pensare che non vada da qualche parte.
È possibile che sia così, ma non giova al raggiungimento di questa possibile metà il sapere che stiamo andando da qualche parte , ma non sappiamo dove.
Mi sembra sia più utile vedere dove mettiamo i piedi perché a guardare troppo in la' si rischia di finire dentro un disastro ambientale.
Non è pensabile che noi si possa giungere al senso e all'essenza del mondo .
È vero, le nuove scoperte scientifiche ci sorprendono e possono appassionare con la loro controintuita' i bastian contrari come me , ma come si dice , e vale anche per la natura , uno scherzo è bello se dura poco e forse è arrivato il momento di smetterla di giocare al gioco dell'eterna sorpresa.
Stiamo distruggendo il distributore di noccioline.


Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: sgiombo il 13 Giugno 2019, 09:20:51 AM
Citazione di: iano il 12 Giugno 2019, 23:22:07 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Giugno 2019, 12:15:18 PM
X Iano

Poiché mi sembri molto affascinato de ciò che di controintuitivo la scienza ci fa scoprire (di quanto la realtà -fenomenica materiale - naturale scientificamente conoscibile- sia "diversa da come appare" immediatamente al senso comune, vorrei invitarti a considerare quanto sia ben più antiintuitivo e contrario alle "apparenze immediate del senso comune" il fatto (di cui a mio parere bisognerebbe rendersi conto filosoficamente) che non é che le coscienze siano (e dunque non sono da cercarsi) nello spazio (dei fenomeni material), ma invece lo spazio (dei fenomeni materiali) é nelle coscienze.
Mi sembra qualcosa di ben più controintuitivo che la rotondità della terra, l' eliocentrismo, la relatività del tempo ai sistemi di riferimento, l' indeterminismo e la non-località quantistica!
Sono d'accordo.E' ciò che ho scritto.
Se non possiamo per nostra natura fare a meno di divedere il mondo in parti , tipo noi e il resto del mondo , a questi occorre aggiungere un parte di interfaccia ,quella che contiene lo spazio , il tempo  etc...
Per alcuni studiosi spazio e tempo hanno i giorni contati.
Intendono con ciò che qualcosa di più fondamentale e/o reale li sostituirà.
Questo gioco di bocciature e promozioni non sembra avere fine, e anche se non porta in nessun posto è difficile pensare che non vada da qualche parte.
È possibile che sia così, ma non giova al raggiungimento di questa possibile metà il sapere che stiamo andando da qualche parte , ma non sappiamo dove.
Mi sembra sia più utile vedere dove mettiamo i piedi perché a guardare troppo in la' si rischia di finire dentro un disastro ambientale.
Non è pensabile che noi si possa giungere al senso e all'essenza del mondo .
È vero, le nuove scoperte scientifiche ci sorprendono e possono appassionare con la loro controintuita' i bastian contrari come me , ma come si dice , e vale anche per la natura , uno scherzo è bello se dura poco e forse è arrivato il momento di smetterla di giocare al gioco dell'eterna sorpresa.
Stiamo distruggendo il distributore di noccioline.

Secondo me quelle della conoscenza (della realtà; in generale, e in particolare nelle sue varie parti o componenti) e dell' azione nella realtà (in particolare nella sua parte fenomenica materiale naturale sono due questioni distinte (considerabili separatamente), anche se reciprocamente correlate.

Spazio e tempo non possono avere i giorni contati per lo meno in quanto aspetti delle immediate sensazioni costituenti l' esperienza fenomenica cosciente che é quanto di meno dubitabile per noi (a meno che quest' ultima venga meno), rispettivamente nella sua sola componente materiale e sia nella componente materiale che in quella mentale.



Non essendo sicuro che ciò sia da te (e da tantissimi) stato compreso e colto in tutta la sui "rivoluzionaria" contrarietà all' immediatezza ingannevole del senso comune, torno a evidenziare che in realtà lo spazio é nell' esperienza cosciente (nella coscienza) e non é invece l' esperienza cosciente (la coscienza) ad essere nello spazio.
Nello spazio, il quale fa parte dell' esperienza cosciente (del sentito, "vissuto", empiricamente constatato) vi sono cervelli; ai quali si può postulare (e non dimostrare) corrispondano altre esperienze fenomeniche coscienti** reali oltre a quella "propria"* immediatamente esperita, ma che da questi (i cervelli nella propria esperienza cosciente*) sono ben diversi enti ed eventi, parimenti fenomenici: la mia visione di un coloratissimo arcobaleno* o il mio ammirare Julian Assange ed esserli immensamente grato* sono ben altro che i processi neurofisiologici -trasmissioni di potenziali d' azione, attivazioni i inibizioni trans-sinaptiche, ecc.- che chiunque -nell' ambito della sua propria** esperienza fenomenica cosciente- necessariamente troverebbe in quella roba roseogrigiastra molliccia, umidiccia che é il mio cervello se lo osservasse "adeguatamente").

Nello spazio ci sono i cervelli, oltre a tante altre cose.
Ma lo spazio é nell' esperienza fenomenica cosciente (il fatto che possa essere postulato essere intersoggettivo, ossia reciprocamente corrispondente fra tutte le esperienze fenomeniche coscienti, la "propria" immediatamente percepita e unica empiricamente certa e le altre postulate corrispondere ai cervelli nell' ambito della "propria" immediatamente percepita, non ne fa qualcosa di "in sé" o noumenico in senso kantiano, cioé di reale non solo e unicamente in quanto insieme - successione di fenomeni o percezioni coscienti, di reale -anche- indipendentemente dall' essere in atto nell' esperienza fenomenica cosciente, "propria" immediatamente sentita). 

Ma dove (in quali luoghi dello spazio) sono le esperienze fenomeniche coscienti (postulate comprendere, "contenere" interoggettivamente lo spazio)?
Dal momento che lo spazio é "a loro stesse interno" (ne fa parte), questa domanda non ha senso.
Di esse (delle esperienze fenomeniche coscienti) la "propria" immediatamente sentita (l' unica di cui si abbia verifica empirica) non é in nessun luogo (affermare che esistessero -si percepissero- "luoghi" -parti di spazio- ad essa esterna in cui fosse "ubicata" sarebbe autocontraddittorio, senza senso, dal momento che per definizione tutto ciò che é percepito o sentito, di cui si ha consapevolezza é -parte della- esperienza fenomenica cosciente, e dunque non può essere ad essa esterno e contenerla).
Se altre ne esistono, come é ipotizzabile e credibile (non dimostrabile; e se in esse le componenti materiali di cui é un aspetto -astraibile mentalmente- lo spazio sono intersoggettive), anch' esse contengono lo spazio (ciascuna il "suo proprio", intersoggettivamente corrispondente a quello "di ciascun altra") anziché essere contenute in alcuno sazio, per i medesimi motivi.
Non vi sono rapporti spaziali fra di esse (contrariamente che fra i cervelli intersoggettivamente in ciascuna di esse presenti e -secondo le neuroscienze- corrispondenti necessariamente alle altre** esperienze fenomeniche coscienti (diverse dalla "propria" immediatamente sentita* e contenente i cervelli stessi)  dal momento che esse non sono in nessuno spazio (ma invece gli spazi reciprocamente corrispondenti -intersoggettivi- sono in esse).
Fra di esse si dà un rapporto semplicemente di mera, aspecifica "alterità" e non di "diversa ubicazione spaziale" (che non avrebbe senso).
Titolo: Re:...ciò che vediamo.
Inserito da: iano il 14 Giugno 2019, 14:15:42 PM
@Sciombro.
Lo spazio è nella coscienza e non viceversa.
Mi piace.Ok.