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LOGOS - Argomenti => Tematiche Filosofiche => Discussione aperta da: Voltaire il 02 Novembre 2016, 23:02:41 PM

Titolo: Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: Voltaire il 02 Novembre 2016, 23:02:41 PM
Spero di non aver sbagliato sezione.
Due settimane fa ho assistito ad una conferenza sul COEMM (Comitato Organizzativo Etico Mondo Migliore) tenuta da Maurizio Sarlo e qualche suo altro collaboratore.
Potete trovare diversi video-conferenza tenuti sempre da lui, ma ne sconsiglio la visione perché:
1)Sono lunghe conferenze
2)Il contenuto è confusionario e vago
Però, siccome non ho voglia di riassumervi il contenuto di tutta la conferenza che ho ascoltato, do per scontato che sappiate di cosa parlo (quando entrerò nel dettaglio però metterò in luce i vari contenuti specifici).

A prescindere dall'eventuale truffa/mancate informazioni sul quid credo che il COEMM e il CLEMM (Comitato Locale Etico Mondo Migliore) sbaglino il principio cardine della loro "ideologia".Questo poiché come dice Sarlo: "E' necessario che uno stato si fondi sui diritti umani prima che sul lavoro" loro reputano, criticando l'articolo 1° della costituzione Italiana, che uno stato non debba fondarsi sul lavoro ma sui diritti umani (diritto alla vita, educazione ecc).
Questo secondo me è sbagliato perché è attraverso il lavoro che l'essere umano si esplica, acquista dignità, diventa essere umano (riprendendo anche Hegel)
Provate a pensarci: 
Potete dire che un nullafacente abbia una dignità?Uno che sta tutto il giorno a far niente?
Potete dire che un uomo in miseria, che vive sotto i ponti facendo la carità sia veramente un uomo?Dov'è la sua umanità?Cosa lo rende uomo?
La specie?Sono i suoi diritti umani a renderlo tale?

Io credo di no
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: Sariputra il 02 Novembre 2016, 23:30:04 PM
Citazione di: Voltaire il 02 Novembre 2016, 23:02:41 PMSpero di non aver sbagliato sezione. Due settimane fa ho assistito ad una conferenza sul COEMM (Comitato Organizzativo Etico Mondo Migliore) tenuta da Maurizio Sarlo e qualche suo altro collaboratore. Potete trovare diversi video-conferenza tenuti sempre da lui, ma ne sconsiglio la visione perché: 1)Sono lunghe conferenze 2)Il contenuto è confusionario e vago Però, siccome non ho voglia di riassumervi il contenuto di tutta la conferenza che ho ascoltato, do per scontato che sappiate di cosa parlo (quando entrerò nel dettaglio però metterò in luce i vari contenuti specifici). A prescindere dall'eventuale truffa/mancate informazioni sul quid credo che il COEMM e il CLEMM (Comitato Locale Etico Mondo Migliore) sbaglino il principio cardine della loro "ideologia".Questo poiché come dice Sarlo: "E' necessario che uno stato si fondi sui diritti umani prima che sul lavoro" loro reputano, criticando l'articolo 1° della costituzione Italiana, che uno stato non debba fondarsi sul lavoro ma sui diritti umani (diritto alla vita, educazione ecc). Questo secondo me è sbagliato perché è attraverso il lavoro che l'essere umano si esplica, acquista dignità, diventa essere umano (riprendendo anche Hegel) Provate a pensarci: Potete dire che un nullafacente abbia una dignità?Uno che sta tutto il giorno a far niente? Potete dire che un uomo in miseria, che vive sotto i ponti facendo la carità sia veramente un uomo?Dov'è la sua umanità?Cosa lo rende uomo? La specie?Sono i suoi diritti umani a renderlo tale? Io credo di no

Allora, amico mio, sperando che tu stia scherzando ( ma se sei veneto potresti anche non scherzare affatto...) io sono il prototipo esatto dell'essere umano privo di dignità. Non ho alcuna dignità perché:
1-Sono nullafacente ( mi diletto ignobilmente di pittura e poesia sotto il pergolato di Villa Sariputra con accanto un buon bicchiere di quel bon...
2-Non sono veramente un uomo in quanto, essendo privo di un lavoro, rischio di cadere in miseria ( quasi in miseria significa quasi un uomo?  ??? )
3-Non riesco a vedere la mia umanità. Infatti al pomeriggio vago per la campagna chiedendo: "Dove sei o mia umanità?, "Avete per caso visto la mia umanità?"
4-Di solito, quando una leggiadra fanciulla visita Villa Sariputra, o mi si para innanzi per la strada , constato che , da qualche parte, c'è qualcosa che mi fa ritenere, approssimativamente, di essere della specie uomo. sottospecie "erectus".
5-Più che i diritti umani quello che mi fa specie è che , al mattino, guardandomi le occhiaie allo specchio, borbotto tra me  e me: "Io...chi sono?". Ovviamente, da domani mattina, con tutti i dubbi che mi hai fatto venire dirò:" Io...sono veramente un uomo?"... :( :o

P.S. Sono tentato di far fare alla costituzione la stessa fine del Machiavelli... 8)
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: Voltaire il 03 Novembre 2016, 08:00:09 AM
Guarda che dipingere o scrivere poesie é un lavoro, se non il piú nobile.
Poi io non parlo di ció che "anagraficamente" ti rende uomo, ma di ció che ti da dignitá.
Una persona che non "produce" niente non ha dignitá
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: Sariputra il 03 Novembre 2016, 08:18:53 AM
Citazione di: Voltaire il 03 Novembre 2016, 08:00:09 AMGuarda che dipingere o scrivere poesie é un lavoro, se non il piú nobile. Poi io non parlo di ció che "anagraficamente" ti rende uomo, ma di ció che ti da dignitá. Una persona che non "produce" niente non ha dignitá

Dipingere  e poetare sarà anche nobile, ma se non ti pagano non si può certo definire un lavoro.
Quindi, seguendo la definizione che dai di dignità, un cerebroleso, un gravemente handicappato, un vecchio demente, non hanno alcuna dignità?
Per caso sei originario delle parti di Sparta?...
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: green demetr il 03 Novembre 2016, 10:57:28 AM
Citazione di: Voltaire il 02 Novembre 2016, 23:02:41 PM
Spero di non aver sbagliato sezione.
Due settimane fa ho assistito ad una conferenza sul COEMM (Comitato Organizzativo Etico Mondo Migliore) tenuta da Maurizio Sarlo e qualche suo altro collaboratore.
Potete trovare diversi video-conferenza tenuti sempre da lui, ma ne sconsiglio la visione perché:
1)Sono lunghe conferenze
2)Il contenuto è confusionario e vago
Però, siccome non ho voglia di riassumervi il contenuto di tutta la conferenza che ho ascoltato, do per scontato che sappiate di cosa parlo (quando entrerò nel dettaglio però metterò in luce i vari contenuti specifici).

A prescindere dall'eventuale truffa/mancate informazioni sul quid credo che il COEMM e il CLEMM (Comitato Locale Etico Mondo Migliore) sbaglino il principio cardine della loro "ideologia".Questo poiché come dice Sarlo: "E' necessario che uno stato si fondi sui diritti umani prima che sul lavoro" loro reputano, criticando l'articolo 1° della costituzione Italiana, che uno stato non debba fondarsi sul lavoro ma sui diritti umani (diritto alla vita, educazione ecc).
Questo secondo me è sbagliato perché è attraverso il lavoro che l'essere umano si esplica, acquista dignità, diventa essere umano (riprendendo anche Hegel)
Provate a pensarci:
Potete dire che un nullafacente abbia una dignità?Uno che sta tutto il giorno a far niente?
Potete dire che un uomo in miseria, che vive sotto i ponti facendo la carità sia veramente un uomo?Dov'è la sua umanità?Cosa lo rende uomo?
La specie?Sono i suoi diritti umani a renderlo tale?

Io credo di no


« La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. »(Art. 2 Cost.)Sul piano politico e giuridico il riferimento fondamentale è certamente rappresentato dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo approvata dalle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948.È stato giustamente osservato che i diritti cosiddetti naturali sono, in realtà, storicamente determinati. Dipende dalle circostanze storiche che vengano riconosciuti o che ne vengano riconosciuti alcuni piuttosto che altri.Anche per questo la Costituzione italiana all'espressione diritti naturali preferisce quella meno problematica di diritti inviolabili.


Per Hegel o anche per un Marx, il lavoro va inteso proprio nel suo esito di carattere storico, appunto nello stato.

Dire stato significa dire lavoro. Questo non vuol dire che la costituzione non si base ANCHE sui diritti umani, di inviolabilità della persona.(anche questo di origine cattolica etc...etc...).


La costituzione nostra non ha un grado di valore, tanto che ogni articolo può essere messo alla pari degli altri.
(nella sua prima parte fondamentale).

Il punto è che non coincide con la realtà, vi è quindi un problema di fondo inquietante, e che darebbe adito ad altri 3d.


dignità : Rispetto che l'uomo, conscio del proprio valore sul piano morale, deve sentire nei confronti di sé stesso e tradurre in un comportamento e in un contegno adeguati.
originariamente: Alto ufficio, civile o ecclesiastico, grado gerarchico elevato.
"raggiungere le più alte d. nel governo"

Ovviamente la dignità è un retaggio della gerarchia, la mimesi della città è lì a cancellarlo.

In questo senso se il cerebroleso, il gravemente ammalato e il vecchio demente, fossero fuori dalla città sarebbe senza dignità.

Il punto è che ormai la città si sta facendo mondo. Nessuno può stare là fuori senza renderne conto allo stato.

Ripeto questione della gerarchia piuttosto che della politica, ateniese o spartana che siano.

Oggi si usa il termine dignità come sinonimo di ribellione alla casta, alla gerarchia, come lotta di classe.

Il popolo cerca di mantenere il suo ruolo gerarchico, ma essendo lo stato la mimesi, non si accorgono minimanente che il vero problema è la comunità stessa.

A me fanno tenerezza tutti questi comitati (ovviamente non sono andato a vederlo su youtube, sono già impegnato a sorbirmi le conferenze filosofiche).

Però anche loro cercano di lavorare, di darsi da fare, e qui sta tutta l'ironia del caso.

Come dice il mio adorato Calciolari (scuola lacaniana filiale) tutto questo gran da fare sembra voler sempre far dimenticare qualcosa. (e questo qualcosa è il gerarchico, o come in filosofia è stato ribatezzato la questio teo--non mi ricordo più  :P )

edito più tardi






Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: Apeiron il 03 Novembre 2016, 11:02:51 AM
Ogni volta che qualcuno definisce la dignità umana mi fa paura. Il motivo è semplice: se uno definisce la dignità umana si identifica con tale definizione. Ora: tu dici che uno che "non fa nulla" non è "degno". Ora molti imprenditori sono d'accordo con te e quello che avviene è che questa idea "di dignità" è talmente fissata nella loro mente che ha portato a molti suicidi per "mancanza di lavoro".

Il lavoro è dunque una cosa esterna all'uomo: vuoi davvero dire che l'uomo è degno finchè tale contingenza gli è possibile?

Parliamoci ora chiaro: cosa intendi tu per "lavoro"? E perchè credi che tale "lavoro" renda degno qualcuno?
Pensa di avere un eremita che "non fa nulla" per lo Stato e un lavoratore: ti basta questo per dire che uno è migliore dell'altro? Per esperienza personale sinceramente non mi pare che "il lavoro nobiliti automaticamente l'uomo" (sinceramente mi pare che sia la coscienza morale che nobiliti l'uomo che può esservi anche in assenza di lavoro). Inoltre credi veramente che il lavoro è più importante della vita, della liberazione dalla sofferenza, delle relazioni umane, dell'educazione, dell'arte, della bellezza della scienza?

Per quanto riguarda poi Hegel (e direi anche tutti i filosofi "colletivisti", Marx compreso...) secondo me è il tipico esempio di "filosofo dittatoriale" in quanto egli dice che lo Stato è prima del popolo. Certamente utopicamente si potrebbe stare "felici" in uno stato simile, tuttavia sei davvero pronto a identificarti con la tua capacità di lavorare?
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: green demetr il 03 Novembre 2016, 11:21:25 AM
Citazione di: Apeiron il 03 Novembre 2016, 11:02:51 AM
Ogni volta che qualcuno definisce la dignità umana mi fa paura. Il motivo è semplice: se uno definisce la dignità umana si identifica con tale definizione. Ora: tu dici che uno che "non fa nulla" non è "degno". Ora molti imprenditori sono d'accordo con te e quello che avviene è che questa idea "di dignità" è talmente fissata nella loro mente che ha portato a molti suicidi per "mancanza di lavoro".

Il lavoro è dunque una cosa esterna all'uomo: vuoi davvero dire che l'uomo è degno finchè tale contingenza gli è possibile?

Parliamoci ora chiaro: cosa intendi tu per "lavoro"? E perchè credi che tale "lavoro" renda degno qualcuno?
Pensa di avere un eremita che "non fa nulla" per lo Stato e un lavoratore: ti basta questo per dire che uno è migliore dell'altro? Per esperienza personale sinceramente non mi pare che "il lavoro nobiliti automaticamente l'uomo" (sinceramente mi pare che sia la coscienza morale che nobiliti l'uomo che può esservi anche in assenza di lavoro). Inoltre credi veramente che il lavoro è più importante della vita, della liberazione dalla sofferenza, delle relazioni umane, dell'educazione, dell'arte, della bellezza della scienza?

Per quanto riguarda poi Hegel (e direi anche tutti i filosofi "colletivisti", Marx compreso...) secondo me è il tipico esempio di "filosofo dittatoriale" in quanto egli dice che lo Stato è prima del popolo. Certamente utopicamente si potrebbe stare "felici" in uno stato simile, tuttavia sei davvero pronto a identificarti con la tua capacità di lavorare?


Capisco che tu rinneghi la verità, ma il soggetto si dà solo davanti ad un oggetto, perciò non può esistere un essere umano che non incida sul reale, pena l'infelicità (fino ai suicidi di cui parli) o la follia.

Poichè si da solo come manipolazione dell'oggetto (Severino) egli si dò come storia della tecnica (heideger etc..).

La storia della tecnica porta alla gerarchia (nietzche, hegel, heideger, marx) e cioè allo stato.

Nel caso di Hegel e Marx si tratta dunque di una lotta all'interno dello stato, specificato socialmente con la filosofia politica della lotta di classe (per il lavoro). o con la filosofia nazionalista, per i pensatori di destra.

Si tratta di reazioni al diritto positivo.

Ricodiamoci che anche fare filosofia è un lavoro.






Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: Sariputra il 03 Novembre 2016, 11:41:22 AM
Citazione di: green demetr il 03 Novembre 2016, 11:21:25 AM
Citazione di: Apeiron il 03 Novembre 2016, 11:02:51 AMOgni volta che qualcuno definisce la dignità umana mi fa paura. Il motivo è semplice: se uno definisce la dignità umana si identifica con tale definizione. Ora: tu dici che uno che "non fa nulla" non è "degno". Ora molti imprenditori sono d'accordo con te e quello che avviene è che questa idea "di dignità" è talmente fissata nella loro mente che ha portato a molti suicidi per "mancanza di lavoro". Il lavoro è dunque una cosa esterna all'uomo: vuoi davvero dire che l'uomo è degno finchè tale contingenza gli è possibile? Parliamoci ora chiaro: cosa intendi tu per "lavoro"? E perchè credi che tale "lavoro" renda degno qualcuno? Pensa di avere un eremita che "non fa nulla" per lo Stato e un lavoratore: ti basta questo per dire che uno è migliore dell'altro? Per esperienza personale sinceramente non mi pare che "il lavoro nobiliti automaticamente l'uomo" (sinceramente mi pare che sia la coscienza morale che nobiliti l'uomo che può esservi anche in assenza di lavoro). Inoltre credi veramente che il lavoro è più importante della vita, della liberazione dalla sofferenza, delle relazioni umane, dell'educazione, dell'arte, della bellezza della scienza? Per quanto riguarda poi Hegel (e direi anche tutti i filosofi "colletivisti", Marx compreso...) secondo me è il tipico esempio di "filosofo dittatoriale" in quanto egli dice che lo Stato è prima del popolo. Certamente utopicamente si potrebbe stare "felici" in uno stato simile, tuttavia sei davvero pronto a identificarti con la tua capacità di lavorare?
Capisco che tu rinneghi la verità, ma il soggetto si dà solo davanti ad un oggetto, perciò non può esistere un essere umano che non incida sul reale, pena l'infelicità (fino ai suicidi di cui parli) o la follia. Poichè si da solo come manipolazione dell'oggetto (Severino) egli si dò come storia della tecnica (heideger etc..). La storia della tecnica porta alla gerarchia (nietzche, hegel, heideger, marx) e cioè allo stato. Nel caso di Hegel e Marx si tratta dunque di una lotta all'interno dello stato, specificato socialmente con la filosofia politica della lotta di classe (per il lavoro). o con la filosofia nazionalista, per i pensatori di destra. Si tratta di reazioni al diritto positivo. Ricodiamoci che anche fare filosofia è un lavoro.

Green sei troppo idealista e non vedi il cul de sac a cui porta un'intransigente applicazione ( fondamentalista ?... ;D) di questa idea del reale. Capisco lo spirito polemico a tutti i costi, che a volte può nascondere l'inconscio desiderio di scandalizzare, ma definire che il soggetto ha valore solo posto di fronte ad un oggetto , a parte che è un assunzione di principio arbitraria, è tipicamente idealista  e quindi rientra nella categoria dei semplici punti di vista ( come quello cattolico, o religioso che mi par di capire disprezzi profondamente...). Ma il fatto che la coscienza naturale umana lavori ( in qualunque parte del mondo e in qualunque tempo, anche fuori da qualunque influsso cristiano) per cercar di sollevare l'uomo e di proteggere il "debole", che io vedo come condizione specifica non solo dell'uomo ma dell'intera natura, non mi sembra corroborare affatto la tua interpretazione che si basa su presupposti esclusivamente intellettuali ( da buon idealista s'intende...che mette il pensiero in posizione superiore alla realtà, che osserva il reale da una posizione di superiorità ...dogma parmenideo?)...
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: green demetr il 03 Novembre 2016, 11:57:39 AM
Citazione di: Sariputra il 03 Novembre 2016, 11:41:22 AM

Green sei troppo idealista e non vedi il cul de sac a cui porta un'intransigente applicazione ( fondamentalista ?... ;D) di questa idea del reale. Capisco lo spirito polemico a tutti i costi, che a volte può nascondere l'inconscio desiderio di scandalizzare, ma definire che il soggetto ha valore solo posto di fronte ad un oggetto , a parte che è un assunzione di principio arbitraria, è tipicamente idealista  e quindi rientra nella categoria dei semplici punti di vista ( come quello cattolico, o religioso che mi par di capire disprezzi profondamente...). Ma il fatto che la coscienza naturale umana lavori ( in qualunque parte del mondo e in qualunque tempo, anche fuori da qualunque influsso cristiano) per cercar di sollevare l'uomo e di proteggere il "debole", che io vedo come condizione specifica non solo dell'uomo ma dell'intera natura, non mi sembra corroborare affatto la tua interpretazione che si basa su presupposti esclusivamente intellettuali ( da buon idealista s'intende...che mette il pensiero in posizione superiore alla realtà, che osserva il reale da una posizione di superiorità ...dogma parmenideo?)...


Sì sono idealista, nel senso che vivo nel reale.

L'intransigenza di cui parli, e che io sottostimerei, dimostra che non hai inteso affatto quello che vado dicendo.
L'intransigenza è l'effetto psicologico ingenerato dalla gerarchia, e infatti la gente si suicida.(arriva al punto di)

Soggetto deriva dal latino sub-obietctum ovvero ciò che sta SOTTO l'oggetto. (è proprio una questione strutturale all'uomo).

Sulle incredibili affermazioni che l'uomo aiuti il più debole....sono esterefatto, pensavo di parlare con una persona matura, ma evidentemente qui mostri una semplicità tipica del giovane.

In che senso la guerra aiuterebbe il più debole? in che senso l'omicidio aiuterebbe il più debole?

Sul carattere scandaloso, come necessita psichica, potrebbe anche essere, ma la filosofia genera a mio parere rivoluzione, come dice Calciolari, necessità di guerra intellettuale. (posso condividere la critica alla forma, ma non alla sostanza, cioè).

ps-
qui la questione religiosa è da me relegata per scelta. da poco frequento la sezione religioni, ci si vede là per ulteriori approfondimenti,
non ce l'ho col cristianesimo, se non nelle sua evoluzione culturale, a contatto col reale.
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: Sariputra il 03 Novembre 2016, 12:26:51 PM
Citazione di: green demetr il 03 Novembre 2016, 11:57:39 AM
Citazione di: Sariputra il 03 Novembre 2016, 11:41:22 AMGreen sei troppo idealista e non vedi il cul de sac a cui porta un'intransigente applicazione ( fondamentalista ?... ;D) di questa idea del reale. Capisco lo spirito polemico a tutti i costi, che a volte può nascondere l'inconscio desiderio di scandalizzare, ma definire che il soggetto ha valore solo posto di fronte ad un oggetto , a parte che è un assunzione di principio arbitraria, è tipicamente idealista e quindi rientra nella categoria dei semplici punti di vista ( come quello cattolico, o religioso che mi par di capire disprezzi profondamente...). Ma il fatto che la coscienza naturale umana lavori ( in qualunque parte del mondo e in qualunque tempo, anche fuori da qualunque influsso cristiano) per cercar di sollevare l'uomo e di proteggere il "debole", che io vedo come condizione specifica non solo dell'uomo ma dell'intera natura, non mi sembra corroborare affatto la tua interpretazione che si basa su presupposti esclusivamente intellettuali ( da buon idealista s'intende...che mette il pensiero in posizione superiore alla realtà, che osserva il reale da una posizione di superiorità ...dogma parmenideo?)...
Sì sono idealista, nel senso che vivo nel reale. L'intransigenza di cui parli, e che io sottostimerei, dimostra che non hai inteso affatto quello che vado dicendo. L'intransigenza è l'effetto psicologico ingenerato dalla gerarchia, e infatti la gente si suicida.(arriva al punto di) Soggetto deriva dal latino sub-obietctum ovvero ciò che sta SOTTO l'oggetto. (è proprio una questione strutturale all'uomo). Sulle incredibili affermazioni che l'uomo aiuti il più debole....sono esterefatto, pensavo di parlare con una persona matura, ma evidentemente qui mostri una semplicità tipica del giovane. In che senso la guerra aiuterebbe il più debole? in che senso l'omicidio aiuterebbe il più debole? Sul carattere scandaloso, come necessita psichica, potrebbe anche essere, ma la filosofia genera a mio parere rivoluzione, come dice Calciolari, necessità di guerra intellettuale. (posso condividere la critica alla forma, ma non alla sostanza, cioè). ps- qui la questione religiosa è da me relegata per scelta. da poco frequento la sezione religioni, ci si vede là per ulteriori approfondimenti, non ce l'ho col cristianesimo, se non nelle sua evoluzione culturale, a contatto col reale.

Che vivi il reale da una posizione ideale direi...
La gente si suicida perché deve conformarsi all'ideale...
Se tu non aiuti il debole sono scelte tue. Non puoi assolutizzare questa posizione. Io tento sempre di aiutare il debole. Io sono un debole.
Non ho mai detto che la guerra aiuta il debole. La guerra uccide il debole. La guerra è contro il debole.
La maturità è una condizione soggettiva...come la presunzione d'altronde.
La rivoluzione non ha bisogno del carattere forzatamente scandalizzante. Io non mi scandalizzo ormai più...purtroppo direi.
La reazione indica sempre qualcosa di più profondo dell'idea...
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: Voltaire il 03 Novembre 2016, 13:57:06 PM
Citazione di: Apeiron il 03 Novembre 2016, 11:02:51 AM
Ogni volta che qualcuno definisce la dignità umana mi fa paura. Il motivo è semplice: se uno definisce la dignità umana si identifica con tale definizione. Ora: tu dici che uno che "non fa nulla" non è "degno". Ora molti imprenditori sono d'accordo con te e quello che avviene è che questa idea "di dignità" è talmente fissata nella loro mente che ha portato a molti suicidi per "mancanza di lavoro".

Il lavoro è dunque una cosa esterna all'uomo: vuoi davvero dire che l'uomo è degno finchè tale contingenza gli è possibile?

Parliamoci ora chiaro: cosa intendi tu per "lavoro"? E perchè credi che tale "lavoro" renda degno qualcuno?
Pensa di avere un eremita che "non fa nulla" per lo Stato e un lavoratore: ti basta questo per dire che uno è migliore dell'altro? Per esperienza personale sinceramente non mi pare che "il lavoro nobiliti automaticamente l'uomo" (sinceramente mi pare che sia la coscienza morale che nobiliti l'uomo che può esservi anche in assenza di lavoro). Inoltre credi veramente che il lavoro è più importante della vita, della liberazione dalla sofferenza, delle relazioni umane, dell'educazione, dell'arte, della bellezza della scienza?
Per lavoro intendo generalmente:
"L'impiego di un energia per raggiungere uno scopo"
Secondo questa definizione però anche un mendicante che impiega le sue giornate nel raccattare soldi ha una dignità che è dovuta al suo lavoro di raccattare soldi per vivere.
E, nel caso si renda conto di avere del valore in sé, certamente il mendicante avrà una dignità formata da questa considerazione; ma questa dignità così formata sarà una dignità potenziale che potrà esplicitarsi solo attraverso il lavoro.
La dignità di un uomo è data dalla dignità della vita che conduce.
Un uomo che sopravvive alla vita non ha dignità.
Il lavoro ha questa funzione per quanto riguarda la dignità umana: 
Esplicita la propria dignità potenziale commutandola in dignità di vita
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: Sariputra il 03 Novembre 2016, 15:15:27 PM
Citazione di: Voltaire il 03 Novembre 2016, 13:57:06 PM
Citazione di: Apeiron il 03 Novembre 2016, 11:02:51 AMOgni volta che qualcuno definisce la dignità umana mi fa paura. Il motivo è semplice: se uno definisce la dignità umana si identifica con tale definizione. Ora: tu dici che uno che "non fa nulla" non è "degno". Ora molti imprenditori sono d'accordo con te e quello che avviene è che questa idea "di dignità" è talmente fissata nella loro mente che ha portato a molti suicidi per "mancanza di lavoro". Il lavoro è dunque una cosa esterna all'uomo: vuoi davvero dire che l'uomo è degno finchè tale contingenza gli è possibile? Parliamoci ora chiaro: cosa intendi tu per "lavoro"? E perchè credi che tale "lavoro" renda degno qualcuno? Pensa di avere un eremita che "non fa nulla" per lo Stato e un lavoratore: ti basta questo per dire che uno è migliore dell'altro? Per esperienza personale sinceramente non mi pare che "il lavoro nobiliti automaticamente l'uomo" (sinceramente mi pare che sia la coscienza morale che nobiliti l'uomo che può esservi anche in assenza di lavoro). Inoltre credi veramente che il lavoro è più importante della vita, della liberazione dalla sofferenza, delle relazioni umane, dell'educazione, dell'arte, della bellezza della scienza?
Per lavoro intendo generalmente: "L'impiego di un energia per raggiungere uno scopo" Secondo questa definizione però anche un mendicante che impiega le sue giornate nel raccattare soldi ha una dignità che è dovuta al suo lavoro di raccattare soldi per vivere. E, nel caso si renda conto di avere del valore in sé, certamente il mendicante avrà una dignità formata da questa considerazione; ma questa dignità così formata sarà una dignità potenziale che potrà esplicitarsi solo attraverso il lavoro. La dignità di un uomo è data dalla dignità della vita che conduce. Un uomo che sopravvive alla vita non ha dignità. Il lavoro ha questa funzione per quanto riguarda la dignità umana: Esplicita la propria dignità potenziale commutandola in dignità di vita

Non penso che i minatori peruviani sarebbero molto d'accordo che il lavoro nobilita l'uomo...visto come li riduce...( mi sa che è uno slogan molto utile per sfruttare una moltitudine di poveracci in qualsiasi modo carico di sofferenza...)
Se la dignità sta nel "fare"  ( fare è un concetto assai vago...si possono fare molte cose pur senza "lavorare", almeno nella comune definizione che si da del lavoro) automaticamente esclude dalla dignità tutto ciò che non può lavorare ( o fare nel senso di lavorare). E visto che l'intero mondo animale e vegetale non lavora ( nella accezione comunemente data del termine) è automaticamente escluso da qualsiasi dignità. Lo stesso si dovrebbe dire per tutte quelle persone che non possono/devono lavorare per ovvi motivi di salute. Anche questi si pongono come soggetti di fronte all'oggetto ( chi ha la consapevolezza di essere un soggetto s'intende...) ma non producono nulla, non "lavorano" per la trasformazione dell'oggetto. Chi tipo di dignità spetterebbe a questi ?...
definizione di dignità:
Con il termine dignità, ci si riferisce al valore intrinseco dell'esistenza umana che ogni uomo, in quanto persona, è consapevole di rappresentare nei propri principi morali, nella necessità di liberamente mantenerli per sé stesso e per gli altri e di tutelarli nei confronti di chi non li rispetta.
Dignità e umanità sono quindi termini sovrapponibili collegate alla libertà dell'individuo di potersi esprimere senza vincoli di sorta.
La dignità è quindi un concetto che rinvia all'idea che «quelque chose est dû à l'être humain du fait qu'il est humain» (essa sia qualcosa che è dovuta all'essere umano per il semplice fatto che egli è umano) ..
Io aggiungo che la dignità non spetta solo all'essere umano ma a qualunque essere senziente che soffre, e la dignità è data dal comune soffrire.
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: Apeiron il 03 Novembre 2016, 17:42:55 PM
@green demetr,
Non capisco perchè tu parli di soggetto e oggetto. Non che la cosa non c'entri ma ci fa entrare in una discussione ben più ampia. In questi termini comunque a mio giudizio il soggetto non deve avere valore in relazione ad un oggetto. La sua dignità è il suo valore intrinseco: se neghiamo questo allora neghiamo l'etica che come prerequisito ha che l'essere umano ha valore intrinseco.

@Voltaire,
Il problema di definire la dignità è che ciò provoca l'identificazione. Ti faccio un elenco di altre "dignità ipotetiche":
"l'uomo è degno finché sa socializzare"
"l'uomo è degno finché riesce a contribuire al bene dello stato"
"l'uomo è degno finché ha un certo grado di "intelligenza""
"l'uomo è degno finchè non compie reati"
"l'uomo è degno finché contribuisce alla sua famiglia"
E potrei andare avanti all'infinito e spero che concordi con me che è sbagliatissimo dire che proposizioni simili sono accettabili. Come puoi immaginare il problema è che tu pretendi di assegnare la dignità ad una persona per la relazione che ha con altro. Quindi non ha valore intrinseco e perciò fa in modo che si selezionino quelli "degni di vivere" ecc. Ma ad esempio uno che contribuisce alla famiglia può non contribuire allo stato. Chiaramente un criminale deve essere arrestato e punito ma questo è un altro discorso.

@Sariputra
La tua definizione di dignità è la migliore, tuttavia secondo me si sovrebbe dire così: "ogni essere che può soffrire ha dignità". Tuttavia non è propriamente una definizione di dignità, si sta qui solo dicendo che si "possiede dignità". Non si può definire a mio giudizio la dignità perchè l'etica deve essere "assoluta".
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: Voltaire il 03 Novembre 2016, 18:27:04 PM
Citazione di: Apeiron il 03 Novembre 2016, 17:42:55 PM@Voltaire,
Il problema di definire la dignità è che ciò provoca l'identificazione. Ti faccio un elenco di altre "dignità ipotetiche":
"l'uomo è degno finché sa socializzare"
"l'uomo è degno finché riesce a contribuire al bene dello stato"
"l'uomo è degno finché ha un certo grado di "intelligenza""
"l'uomo è degno finchè non compie reati"
"l'uomo è degno finché contribuisce alla sua famiglia"
E potrei andare avanti all'infinito e spero che concordi con me che è sbagliatissimo dire che proposizioni simili sono accettabili. Come puoi immaginare il problema è che tu pretendi di assegnare la dignità ad una persona per la relazione che ha con altro. Quindi non ha valore intrinseco e perciò fa in modo che si selezionino quelli "degni di vivere" ecc. Ma ad esempio uno che contribuisce alla famiglia può non contribuire allo stato. Chiaramente un criminale deve essere arrestato e punito ma questo è un altro discorso.
Io non dico (o almeno non volevo dire) che l'uomo ha una dignità finché compie un lavoro.
Ciò che intendevo è che il lavoro esporta la dignità dell'uomo nella sua vita. 
Voi sostenete che la dignità sia intrinseca all'uomo, e sono d'accordo con voi. Quel che io dico è che questa dignità intrinseca è astratta, non si realizza nella realtà direttamente, ma tramite il lavoro.
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: Apeiron il 03 Novembre 2016, 18:45:57 PM
Citazione di: Voltaire il 03 Novembre 2016, 18:27:04 PM
Citazione di: Apeiron il 03 Novembre 2016, 17:42:55 PM@Voltaire, Il problema di definire la dignità è che ciò provoca l'identificazione. Ti faccio un elenco di altre "dignità ipotetiche": "l'uomo è degno finché sa socializzare" "l'uomo è degno finché riesce a contribuire al bene dello stato" "l'uomo è degno finché ha un certo grado di "intelligenza"" "l'uomo è degno finchè non compie reati" "l'uomo è degno finché contribuisce alla sua famiglia" E potrei andare avanti all'infinito e spero che concordi con me che è sbagliatissimo dire che proposizioni simili sono accettabili. Come puoi immaginare il problema è che tu pretendi di assegnare la dignità ad una persona per la relazione che ha con altro. Quindi non ha valore intrinseco e perciò fa in modo che si selezionino quelli "degni di vivere" ecc. Ma ad esempio uno che contribuisce alla famiglia può non contribuire allo stato. Chiaramente un criminale deve essere arrestato e punito ma questo è un altro discorso.
Io non dico (o almeno non volevo dire) che l'uomo ha una dignità finché compie un lavoro. Ciò che intendevo è che il lavoro esporta la dignità dell'uomo nella sua vita. Voi sostenete che la dignità sia intrinseca all'uomo, e sono d'accordo con voi. Quel che io dico è che questa dignità intrinseca è astratta, non si realizza nella realtà direttamente, ma tramite il lavoro.

Ok detto così è molto meglio. Perdona il malinteso. Mettiamola così: ognuno di noi dovrebbe con il suo "lavoro" (anche se preferisco la parola "impegno") rendere "esplicita/concreta" la sua dignità. Qui sono d'accordo con te. Il problema è che mentre la dignità è intrinseca la sua "esportazione" nella realtà è contingente e quindi può avvenire che due agenti che "realizzino" la loro dignità entrino in conflitto (esempio stupido: leone che uccide la gazzella per nutrire sé e il suo branco). Sarà astratta ma secondo me è più importante di quella "concreta" che si rivela nelle azioni.

E sono in parte d'accordo con te che ognuno di noi dovrebbe "realizzarsi" altrimenti vive una vita "senza dignità", cioè vive una vita che non gli da valore (ad esempio uno che diciamo ha vissuto tutta la vita nella guerra ha vissuto una vita che non è degna rispetto a ciò che lui è veramente). Comunque voglio continuare a sottolineare il condizionale, altrimenti si finisce per scordarsi la dignità intrinseca.

Tuttavia, secondo me, alcuni diritti sono inviolabili, come quello della vita (legittima difesa a parte ).
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: sgiombo il 03 Novembre 2016, 19:44:49 PM
Citazione di: Apeiron il 03 Novembre 2016, 18:45:57 PM


Tuttavia, secondo me, alcuni diritti sono inviolabili, come quello della vita (legittima difesa a parte ).
CitazionePer me la legittima difesa non é una negazione o una deroga, bensì un' affermazione del diritto alla vita (intendo dire la legittima difesa correttamente intesa; e anche se sentenze per me scandalosissime hanno assolto indebitamente per pseudo-"legittima difesa" chi ha inseguito un ladro in fuga e lo ha ucciso, come se il furto -o magari il "tentato furto"- meritasse la pena di morte, comminata sui due piedi senza processo; un po' come il superterrorista Obama -non per niente insignito di quell' autentico marchio di infamia che é il cosiddetto Premio Nobel "per la pace" fa ogni settimana decretando chi i suoi letali droni elimineranno in compagnia di persone che casualmente siano nei paraggi).

Comunque é una discussione interessante.
E ancora una volta, se devo dire la mia, dico che concordo soprattutto con Sariputra, (malgrado il molto che mi diversifica dalle sue convinzioni; molto ma forse non molto importante...); ma anche con Apeiron ("e chissenefrega?" Penserete giustamente: interessante é sentire argomenti pro e contro una tesi, non mere professioni di adesione; avete ragione: chiedo scusa).
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: Apeiron il 03 Novembre 2016, 21:37:28 PM
@sgiombo,

La questione della legittima difesa l'ho scritta perchè in apparenza negherebbe il diritto alla vita dell'aggressore. Tuttavia in questo caso se non si agisse si negherebbe il diritto alla vita della vittima. Quindi in questo caso il "diritto alla vita" non si applica. Questo era il mio pensiero quando ho scritto "legittima difesa".

Comunque è anche vero quello che dici tu: potrebbe anche essere vista come un'affermazione del diritto visto che l'aggressore voleva toglierlo alla vittima e non il contrario.
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: Sariputra il 03 Novembre 2016, 22:55:44 PM
@ Apeiron scrive:

La tua definizione di dignità è la migliore, tuttavia secondo me si sovrebbe dire così: "ogni essere che può soffrire ha dignità". Tuttavia non è propriamente una definizione di dignità, si sta qui solo dicendo che si "possiede dignità". Non si può definire a mio giudizio la dignità perchè l'etica deve essere "assoluta".

Sono d'accordo, è un possedere dignità perché ci accomuna una stessa sorte, una sofferenza che ci lega, per così dire. Non è propriamente una definizione, ma forse una "qualità" della dignità e questa qualità ci deve responsabilizzare verso l'altrui soffrire. L'introduzione di questa qualità mi sembra possa superare la barriera del considerare la dignità qualcosa che spetta solo a noi, come esseri umani.
Sono anche d'accordo sul fatto che, quanto più un lavoro o un impegno ti "realizza" ( non mi piace molto il termine...direi "ti fa sentire meno insoddisfacente la vita") tanto più la tua vita sembra nobilitarsi ( o acquistare più dignità). In questo caso però è la vita che meni che diventa il soggetto e non la persona, a cui spetta la dignità indipendentemente dalla vita stessa che mena. La vita può essere più o meno dignitosa, non la persona.
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: Duc in altum! il 04 Novembre 2016, 10:43:55 AM
**  scritto da Voltaire:
CitazioneQuesto secondo me è sbagliato perché è attraverso il lavoro che l'essere umano si esplica, acquista dignità, diventa essere umano
Questa sentenza può andar bene, può essere cosa buona e giusta, solo per chi ha fede nel materialismo, nel consumismo, o per chi ha scritto all'ingresso di Auschwitz: Arbeit macht frei (dal tedesco: 'Il lavoro rende liberi')

CitazionePotete dire che un nullafacente abbia una dignità? Uno che sta tutto il giorno a far niente?
«Tutti credono che far niente sia una cosa facile, ma bisogna vedere questo niente come lo fanno. Socrate, Platone, Diogene, non facevano niente tutto il giorno, ma quel niente lo facevano in modo perfetto». - Eduardo De Filippo


CitazionePotete dire che un uomo in miseria, che vive sotto i ponti facendo la carità sia veramente un uomo? Dov'è la sua umanità? Cosa lo rende uomo?

Ormai il lavaggio del cervello delle istituzioni sulle masse è tale che riescono a convincerli che un buon piatto di pasta è quello dove prima si gratta il parmigiano, poi si versa il ragù, ed infine si aggiunge la pasta scolata in cima.  ???

E dov'è l'umanità di colui che con il suo lavoro/guadagno ha permesso, infischiandosene, che l'altro giunga alla povertà (giacché la miseria è un'altra cosa)?  >:(

CitazioneLa specie? Sono i suoi diritti umani a renderlo tale?

Non solo che senza diritti umani l'uomo non può essere tale, ma l'uomo può riconoscersi davvero degno, solo in proporzione all'amore caritatevole che sviluppa verso di sé e che elargisce al prossimo.

Come può sentirsi con dignità un uomo che per disperazione lavora a nero e sottopagato o pagato con i voucher?!?!
Come può avere dignità chi lavora grazie ad una raccomandazione e non per merito proprio (non tralasciando che forse il suo posto di lavoro era di quello che è finito a elemosinare sotto i ponti)??!!!
Ecc. ecc..... :-X

Come puoi ben accertare, il lavoro "non sempre" nobilita l'uomo, quindi, oggettivamente, purtroppo o grazie a Dio, non è il fondamento della dignità della specie.

Sono d'accordo con il COEMM: prima i diritti e poi il lavoro.
Infatti l'Italia non è una repubblica fondata sul lavoro, - questo è un bello slogan, questa è la giustificazione affinché il popolo faccia un mutuo anche per la pensione (madre mia!!   :'( ) - ma sul lavoro degli altri!!


La delicatezza e la dignità non s'imparano dal maestro di ballo (e, aggiungo, al lavoro) ma alla scuola del cuore.
(Fëdor Dostoevskij)
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: Sariputra il 04 Novembre 2016, 12:22:21 PM
@ Duc
Sono d'accordo con molto di quello che hai scritto.
Secondo te a  un'entità immateriale del forum, come siamo noi, che tipo di dignità potremmo assegnarli? Io non sono Sariputra, eppure c'è Sariputra. Tu non sei Duc in Altum, eppure c'è un'entità Duc in Altum. Sgiombo sembra che fosse Sgiombo realmente ( ma questo è un altro discorso...). E' chiaro che noi non siamo al 100% Sariputra, Sgiombo, Duc,Green, Jean ecc. eppure lo siamo in un certo senso. Queste entità immateriali, virtuali, hanno una dignità o bisogna sempre pensare alla dignità di chi scrive con quel nick? Ma quello che scrive non è al 100% l'entità virtuale. Si potrebbe postulare una dignità virtuale?
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: Sariputra il 04 Novembre 2016, 15:25:00 PM
Citazione di: Sariputra il 04 Novembre 2016, 12:22:21 PM@ Duc Sono d'accordo con molto di quello che hai scritto. Secondo te a un'entità immateriale del forum, come siamo noi, che tipo di dignità potremmo assegnarli? Io non sono Sariputra, eppure c'è Sariputra. Tu non sei Duc in Altum, eppure c'è un'entità Duc in Altum. Sgiombo sembra che fosse Sgiombo realmente ( ma questo è un altro discorso...). E' chiaro che noi non siamo al 100% Sariputra, Sgiombo, Duc,Green, Jean ecc. eppure lo siamo in un certo senso. Queste entità immateriali, virtuali, hanno una dignità o bisogna sempre pensare alla dignità di chi scrive con quel nick? Ma quello che scrive non è al 100% l'entità virtuale. Si potrebbe postulare una dignità virtuale?
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: Duc in altum! il 04 Novembre 2016, 19:51:07 PM
**  scritto da Sariputra:
CitazioneSecondo te a un'entità immateriale del forum, come siamo noi, che tipo di dignità potremmo assegnarli?
Beh, penso che non ci sia bisogno di essere immateriali nel forum per crearsi una dignità apparente o virtuale, questo accade già, quotidianamente, nelle relazioni interpersonali (familiari comprese).


Senti questa (tratto da una storia reale di Duc in altum!): domenica scorsa, incontro durante una ricerca in facebook, così come faccio da tempo, un vecchio amico delle superiori, e non avendo l'amicizia gli mando un messaggio privato dove, anche se avendo ormai la certezza che è lui, gli chiedo, se avesse frequentato 35 anni prima quel determinato istituto, e se, siccome l'abbiamo fatto per 4 anni, era solito trascorrere i filoni agli scavi di Pompei a cercare di sedurre le turiste francesi e tedesche.
Lui non poteva sapere chi era che gli inviasse il messaggio delatore, e quindi mi aspettavo, come prima sua risposta: "...sì, andavo a quella scuola, ma tu chi sei?!...", invece, quasi casco dalla sedia sia per lo stupore che per la risata, mi risponde (aspetta ti faccio un copia/incolla in diretta): "...Ciao sono proprio io ma non farlo sapere ai miei figli che facevo filone negli scavi Io per loro sono sempre stato un padre che a scuola andavo volentieri è un alunno sempre presente Anche se gli ho insegnato che se non hanno voglia quella mattina o perché se non si sentono preparati di dirmelo e rimanere ne letto a dormire invece di filonare..."
Da non tralasciare che per le nostre assenze e la nostra condotta non solo non ci siamo diplomati, ma ci hanno espulsi dall'istituto.
Vaglielo a dire, a questo vecchio ( e forse oggi ambiguo) amico, che forse il lavoro non è la dignità dell'uomo, giacché ancora, dopo 5 giorni, per questa sua doppiezza, non so ancora cosa e come rispondergli.  :-[
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: Voltaire il 04 Novembre 2016, 20:34:14 PM
Citazione di: Duc in altum! il 04 Novembre 2016, 10:43:55 AM
**  scritto da Voltaire:
CitazioneQuesto secondo me è sbagliato perché è attraverso il lavoro che l'essere umano si esplica, acquista dignità, diventa essere umano
Questa sentenza può andar bene, può essere cosa buona e giusta, solo per chi ha fede nel materialismo, nel consumismo, o per chi ha scritto all'ingresso di Auschwitz: Arbeit macht frei (dal tedesco: 'Il lavoro rende liberi')


(scrivo nello spazio dedicato ai codici perchè credo che così si visualizzino meglio le mie risposte)

Citando me stesso:
"Io non dico (o almeno non volevo dire) che l'uomo ha una dignità finché compie un lavoro.[color=#000000][size=1][font=verdana, sans-serif][/font][/size][/color]
Ciò che intendevo è che il lavoro esporta la dignità dell'uomo nella sua vita. [color=#000000][size=1][font=verdana, sans-serif][/font][/size][/color]
Voi sostenete che la dignità sia intrinseca all'uomo, e sono d'accordo con voi. Quel che io dico è che questa dignità intrinseca è astratta, non si realizza nella realtà direttamente, ma tramite il lavoro."




CitazionePotete dire che un nullafacente abbia una dignità? Uno che sta tutto il giorno a far niente?
«Tutti credono che far niente sia una cosa facile, ma bisogna vedere questo niente come lo fanno. Socrate, Platone, Diogene, non facevano niente tutto il giorno, ma quel niente lo facevano in modo perfetto». - Eduardo De Filippo

Come già detto un lavoro per essere tale non deve essere necessariamente retribuito ma, come suggerisce l'origine latina del termine (labor= fatica), essere frutto di fatica


CitazionePotete dire che un uomo in miseria, che vive sotto i ponti facendo la carità sia veramente un uomo? Dov'è la sua umanità? Cosa lo rende uomo?

Ormai il lavaggio del cervello delle istituzioni sulle masse è tale che riescono a convincerli che un buon piatto di pasta è quello dove prima si gratta il parmigiano, poi si versa il ragù, ed infine si aggiunge la pasta scolata in cima.  ???

E dov'è l'umanità di colui che con il suo lavoro/guadagno ha permesso, infischiandosene, che l'altro giunga alla povertà (giacché la miseria è un'altra cosa)?  >:(
Io credo di saper rispondere alla tua domanda ma non posso dire lo stesso di te.
La dignità di " colui che con il suo lavoro/guadagno ha permesso, infischiandosene, che l'altro giunga alla povertà (giacché la miseria è un'altra cosa)"  sta proprio nel luogo ove abita: "intrinsecamente nell'uomo"



CitazioneLa specie? Sono i suoi diritti umani a renderlo tale?

Non solo che senza diritti umani l'uomo non può essere tale, ma l'uomo può riconoscersi davvero degno, solo in proporzione all'amore caritatevole che sviluppa verso di sé e che elargisce al prossimo.


Come può sentirsi con dignità un uomo che per disperazione lavora a nero e sottopagato o pagato con i voucher?!?!
Come può avere dignità chi lavora grazie ad una raccomandazione e non per merito proprio (non tralasciando che forse il suo posto di lavoro era di quello che è finito a elemosinare sotto i ponti)??!!!
Ecc. ecc..... :-X

Difatti credo di dover specificare la caratteristicha del lavoro che ti "rende umano"
Questa è:
Il lavoro in questione deve essere espressione della propria volontà, la necessità di sopravvivere o l'obbligo di svolgere un lavoro non sono espressione della propria volontà ma dei propri bisogni
Per come la vedo il fantomatico "minatore peruviano" svolge la stessa vita, e questa ha pari dignità, di quella di un leone affamato che si ciba delle prede.



Come puoi ben accertare, il lavoro "non sempre" nobilita l'uomo, quindi, oggettivamente, purtroppo o grazie a Dio, non è il fondamento della dignità della specie.

Non ne è il fondamento ma "funzione esportatrice", riconosco i valori intrinsechi all'uomo, ma li vedo come astratti e non realizzati nella realtà

Sono d'accordo con il COEMM: prima i diritti e poi il lavoro.
Infatti l'Italia non è una repubblica fondata sul lavoro, - questo è un bello slogan, questa è la giustificazione affinché il popolo faccia un mutuo anche per la pensione (madre mia!!   :'( ) - ma sul lavoro degli altri!!


La delicatezza e la dignità non s'imparano dal maestro di ballo (e, aggiungo, al lavoro) ma alla scuola del cuore.
(Fëdor Dostoevskij)
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: Duc in altum! il 04 Novembre 2016, 21:03:47 PM
**  scritto da Voltaire:
CitazioneLa dignità di " colui che con il suo lavoro/guadagno ha permesso, infischiandosene, che l'altro giunga alla povertà (giacché la miseria è un'altra cosa)"  sta proprio nel luogo ove abita: "intrinsecamente nell'uomo"
? ? ?

Citazione"Io non dico (o almeno non volevo dire) che l'uomo ha una dignità finché compie un lavoro.
Ciò che intendevo è che il lavoro esporta la dignità dell'uomo nella sua vita.
Nooone!! Non è un principio oggettivo. E' un'idea generata da chi dirige (lavorando poco o quasi nulla), nei confronti di chi subisce il lavoro.
Il lavoro è un mezzo non un fine, mentre la dignità è un fine e non un mezzo.
Se il lavoro esportasse la dignità dell'uomo nella vita, come farebbe a esportarla chi non lavora, o chi decide, convenientemente (mica è peccato non lavorare),  di non voler lavorare??
Quindi, ribadisco, puoi pensare che sia così nella tua esperienza esistenziale, ma se vivessi in Corea del Nord o a Cuba, vorrei vedere se ancora la penseresti così.

CitazioneIl lavoro in questione deve essere espressione della propria volontà

Altra conferma che il lavoro (siccome la stragrande maggioranza della popolazione mondiale non fa il lavoro che gli piace, ma quel che trova per sbarcare il lunario, per sopravvivere), non nobilita, né concede dignità all'uomo. A qualcuno forse sì, ma speriamo che poi in famiglia non sia come il mio vecchi amico dell'aneddoto sovrascritto. Altrimenti siamo punto e accapo
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: Voltaire il 04 Novembre 2016, 21:29:37 PM
Duc in altum! credo che tu mi stia fraintendendo oppure che io non stia capendo la tua posizione.


CitazioneIl lavoro è un mezzo non un fine, mentre la dignità è un fine e non un mezzo.
Mai detto e mai inteso il contrario

CitazioneSe il lavoro esportasse la dignità dell'uomo nella vita, come farebbe a esportarla chi non lavora, o chi decide, convenientemente (mica è peccato non lavorare),  di non voler lavorare??
Nella mia concezione di lavoro, una vita in cui non lo si è conosciuto non si può dire che abbia un valore, è una vita vuota quella senza lavoro

CitazioneQuindi, ribadisco, puoi pensare che sia così nella tua esperienza esistenziale, ma se vivessi in Corea del Nord o a Cuba, vorrei vedere se ancora la penseresti così.
Beh magari se vivessi in Africa penserei che la dignità sia una pianta
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: Duc in altum! il 04 Novembre 2016, 21:48:04 PM
**  scritto da Voltaire:
CitazioneNella mia concezione di lavoro, una vita in cui non lo si è conosciuto non si può dire che abbia un valore, è una vita vuota quella senza lavoro
Esatto, io non ti fraintendo, ti comprendo perfettamente, purtroppo non sei il solo a pensarla così.
Perciò sto cercando di dirti che una vita vuota è quella in cui non si ha amato e non quella dove non si ha lavorato.

Ripeto l'esempio: Platone non ha mai lavorato, vorresti forse farmi credere che la sua vita abbia meno valore della mia?? ...o che la sua sia stata una vita vuota?!?!
Non è difficile da capire.
Inoltre, se può servirti, ho un amico hippie che gira il pianeta da 45 anni, ha iniziato a 18, prova a parlargli di pensione, contributi, sindacato, del valore intrinseco alla dignità del lavoro, e vedrai le risate che si fa. Eppure, è talmente conscio del suo valore morale (che ripeto non è direttamente proporzionale con lo "sgobbare"), garantito dal suo rispetto alla natura, agli uomini e a se stesso, che il suo comportamento dovrebbe essere preso a modello per chi lavora, ma non ha dignità.
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: Voltaire il 04 Novembre 2016, 22:24:46 PM
Citazione di: Duc in altum! il 04 Novembre 2016, 21:48:04 PMPerciò sto cercando di dirti che una vita vuota è quella in cui non si ha amato e non quella dove non si ha lavorato.
E in ciò ho un pensiero simile anche se per certo verso diverso

CitazioneRipeto l'esempio: Platone non ha mai lavorato, vorresti forse farmi credere che la sua vita abbia meno valore della mia?? ...o che la sua sia stata una vita vuota?!?!
Non è difficile da capire. 
Il lavoro di Platone anche se non retribuito o riconosciuto è uno dei più nobili
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: maral il 05 Novembre 2016, 22:53:07 PM
Non c'è dubbio che il discorso sul lavoro sia un discorso che si va facendo sempre più interessante, dati i tempi e merita di essere considerato per i suoi fondamentale aspetti sociali, politici ed esistenziali compresa la domanda fondamentale: si può vivere in una società senza lavoro? Quale lavoro ci attende?

Il lavoro è un valore? Direi di no, in senso universale. Ci sono stati tempi e luoghi in cui il lavoro non era per nulla un valore (in una società aristocratica dover lavorare per vivere è degradante, come è degradante essere attendere di essere pagati per il lavoro che si svolge) e biblicamente il lavoro è una maledizione divina (anche se poi in Occidente, in era moderna, agli inizi del pensiero scientifico, questa maledizione è stata vista implicante il riscatto salvifico del genere umano). Oggi direi che il lavoro sta diventando sempre più un privilegio da conquistare, anche il lavoro più abbruttente e degradante (grande furbizia del capitale che così si risparmia pure la pena e la spesa di cercare schiavi, dato che li trova volontari, tra loro competitivi e in grande abbondanza).
Il significato valoriale del lavoro inizia con l'affermarsi del modo di pensare e di vivere borghese. Ecco che allora entra in gioco il significato di dignità legata a quello che si dimostra di saper fare, cosa che implica che fondamentalmente, prima di saper fare non vi sia alcuna dignità nella esistenza in sé. Il lavora instaura la dignità nell'essere umano che si rivela a se stesso, mediante il proprio lavoro, capace di conquistarsi la propria autonomia esistenziale, di costruirsela con le proprie mani senza dipendere da nessun altro che da se stesso. In tal modo il lavoro è lo strumento di realizzazione della propria individualità autentica, della propria libera ontogenesi e letteralmente, a questo punto, per vivere occorre lavorare.
Green Demetr giustamente dice che il soggetto si viene a conoscere (conosce se stesso) nel suo rapporto con l'oggetto, il lavoro costruisce questo rapporto ed è sempre il lavoro che costruisce una relazione pubblica tra soggetti che reciprocamente si rispettano e si ammirano per quello che sono capaci di fare l'uno per l'altro: è il lavoro che permette l'esistenza di una società, di un senso oggettivo della realtà e di una stabilità di se stessi in questa realtà, non vi è dubbio.
Ma, ammettiamolo, c'è lavoro e lavoro, questo è il punto, e non tutti i lavori vanno nella direzione della dignità, anzi direi che questo accade sempre di meno, perché la necessità di un continuo incremento di potenza non richiede dignità, anzi. Senza dubbio il lavoro intellettuale, il lavoro del poeta, il lavoro del filosofo, che diano a loro o meno di ché vivere sono lavori a tutti gli effetti, sono dello stesso tipo dei lavori dello scienziato, dell'artigiano, del bravo tecnico e operaio che ci mette l'anima in quello che fa, fosse anche stringere un bullone in una catena di montaggio, finché quel bullone gli restituisce una dignità in cui può riconoscersi, ma purtroppo non è così in generale. Ed è senza il sentimento di questa dignità che si può solo essere dei miserabili, anche se si può vivere di rendita anziché dipendere dall'altrui elemosina.
Prima di dire che il lavoro dà dignità all'uomo ed è quindi un valore universale occorrerebbe analizzare e definire il tipo di lavoro di cui si parla e forse anche il tipo di uomo che quel lavoro costruisce, fermo restando che senza lavoro non ci si può sentire comunque liberi. Quello che c'era scritto all'entrata dei campi di sterminio era purtroppo vero: il lavoro rende liberi. E' perché è vera che quella frase rispecchia tutto l'orrore e la nefandezza schifosa a cui riesce a giungere e anche piuttosto spesso l'essere umano (ad Auschwitz, come in un gulag in Siberia, in una fabbrica che lavora per la Apple in Cina o in una miniera di Coltan in Congo non fa molta differenza).
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: sgiombo il 06 Novembre 2016, 10:12:41 AM
Citazione di: maral il 05 Novembre 2016, 22:53:07 PM
Il significato valoriale del lavoro inizia con l'affermarsi del modo di pensare e di vivere borghese. Ecco che allora entra in gioco il significato di dignità legata a quello che si dimostra di saper fare, cosa che implica che fondamentalmente, prima di saper fare non vi sia alcuna dignità nella esistenza in sé. Il lavora instaura la dignità nell'essere umano che si rivela a se stesso, mediante il proprio lavoro, capace di conquistarsi la propria autonomia esistenziale, di costruirsela con le proprie mani senza dipendere da nessun altro che da se stesso. In tal modo il lavoro è lo strumento di realizzazione della propria individualità autentica, della propria libera ontogenesi e letteralmente, a questo punto, per vivere occorre lavorare.

CitazioneConcordo e personalmente ritengo (da marxista) un progresso di civiltà di cui siamo debitori alla borghesia mercantile, artigianale e manifatturiera e "protocapitalistica" (la borghesia nella sua ormai remotissima fase progressiva e rivoluzionaria da gran tempo tramontata) questo passaggio dall' attribuzione di dignità umana dai natali al personale operare.
Il che non esclude che anche nell' antichità nobili e aristocratici talora non fossero dei semplici parassiti ma operassero con molta dignità umana; questo si può dire, oltre che di filosofi da me più apprezzati e forse perfino del da me disprezzato Platone, dello stesso Aristotele che spesso viene citato (non saprei dire con quale fondamento: per me è un semplice "sentito dire") come esplicito teorizzatore dell' essere degradante e indegno di un uomo realizzato il dover lavorare per vivere e l' attendere di essere pagati per il lavoro che si svolge.


Green Demetr giustamente dice che il soggetto si viene a conoscere (conosce se stesso) nel suo rapporto con l'oggetto, il lavoro costruisce questo rapporto ed è sempre il lavoro che costruisce una relazione pubblica tra soggetti che reciprocamente si rispettano e si ammirano per quello che sono capaci di fare l'uno per l'altro: è il lavoro che permette l'esistenza di una società, di un senso oggettivo della realtà e di una stabilità di se stessi in questa realtà, non vi è dubbio.

CitazioneNemmeno per me.
Il "lavoro in senso biblico" (o la fatica alla latina), cioè il doversi sacrificare e dovere svolgere attività non affatto piacevoli e gratificanti in sé ma solo come mezzi indispensabili per conseguire ben altri fini desiderabili, oltre che per la stessa sopravvivenza che è condizione di qualsiasi possibile soddisfazione, può (in teoria e "di per sé" non per tutti, non equamente) essere limitato dai progressi della tecnica (soprattutto) e della scienza, ma mai completamente essere eliminato: sarebbe "contro natura", "sopra-" o "preter-" naturale, se per assurdo accadesse (e infatti lo scientismo, che ideologicamente lo promette a vantaggio delle classi dominanti privilegiate e parassitarie, é irrazionalismo, non molto diverso dalla superstizione e dalla religione; anzi, per certi versi molto peggiore).

E la sua più o meno equa ripartizione (oltre che la sua riduzione in sinergia con i progressi della tecnica con la quale sono in rapporto di complesso condizionamento reciproco) dipende dagli assetti sociali (e dunque in determinante misura dalla lotta di classe).

Ma ogni progresso tecnico e scientifico (e probabilmente anche puramente sociale) è inevitabilmente relativo, limitato, comportando anche effetti collaterali non desiderati e indesiderabili (i quali oggi comprendono perfino la –scusate l' ennesima ripetizione del concetto- estinzione prematura e di sua propria mano dell' umanità; oltre che di moltissime altre specie biologiche).


Ma, ammettiamolo, c'è lavoro e lavoro, questo è il punto, e non tutti i lavori vanno nella direzione della dignità, anzi direi che questo accade sempre di meno, perché la necessità di un continuo incremento di potenza non richiede dignità, anzi.

CitazioneSecondo me (da convinto seguace del materialismo storico) perché i rapporti di forza nella lotta di classe sono pessimi (per le classi lavoratrici) e gli attuali assetti sociali oggettivamente sono ormai abbondantemente superati dallo sviluppo delle forze produttive, sono "in avanzato stato di putrefazione".
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: anthonyi il 06 Novembre 2016, 19:28:18 PM
No, non credo che la dignità sia nel lavoro, d'altronde sappiamo l'ambiguità retorica del primo articolo della Costituzione, fatto per dare un contentino alle sinistre di allora.
Naturalmente c'entra anche il fatto che, come il Sari, non ho un lavoro anche perché devo pensare a cose più importanti, ma sarebbe lungo.
Per me la dignità è la coscienza dell'altrui coscienza. Quando ti accorgi che fuori di te c'è un altro che, come te, vive, gioisce, soffre, diventa naturale volere per l'altro quello che si reputa buono per noi, da questo nasce ogni diritto individuale.
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: davintro il 07 Novembre 2016, 19:54:58 PM
Argomento spinoso e che ad essere sinceri mi tocca anche emotivamente e personalmente, causa anche recenti accese discussioni fuori dal forum riguardo la dignità o meno di uno stile di vita in cui il lavoro, quando non è mezzo necessario alla sopravvivenza materiale, può essere lasciato quantomeno in disparte nei progetti di vita, in favore della preservazione di un tempo libero dedicato alla studio, alla coltivazione di interessi culturali, al godimento delle relazioni umane, stile di vita che io riconosco come profondamente umano.

In questo senso mi conforta notare, dando un'occhiata ai commenti, un consenso diffuso riguardo l'idea che il lavoro sia un mezzo e non un fine, e che una vita in cui ci si può permettere di non lavorare e dedicarsi alle proprie passioni non abbia nulla di immorale o di indegno, in particolare quando tali passioni assumono un carattere culturale, studi accedemici, scrittura, frequentazioni di convegni ecc. Quindi direi che il punto da approfondire diventa più che altro terminologico. Anche chi attribuisce al lavoro non un mero aspetto strumentale, ma qualcosa che lo rende fattore di potenziamento della dignità umana, intende tale concetto non ristretto al "lavoro retribuito economicamente", ma come lavoro inteso come generale espressione di un impegno in cui le doti personali trovano una manifestazione oggettivamente riconoscibile. Considerato in questa accezione larga, posso trovarmi d'accordo sul nesso lavoro-dignità. Meno d'accordo se con "lavoro", va intesa l'idea di "fatica". Dal mio punto di vista la fatica non è un valore positivo, ma un male necessario, un surrogato della mancanza di talento nell'esecuzione di un'attività. Quanto più ho talento quanto meno faticherò a realizzare un'opera. Pensare che la fatica sia un valore porterebbe all'assurdo di pensare che una composizione musicale creata dal genio di Mozart abbia meno valore di un'opera creata da un mediocre dilettante, solo perchè quest'ultimo ha dovuto impegnar maggiore fatica. Il fine, il risultato finale, ha sempre più valore dei mezzi, i mezzi hanno valore solo in relazione a ciò che ad essi è estrinseco. Il sospetto è che l'idea della fatica come valore sia sorta dalla necessità psicologica di autoconsolazione verso i sacrifici e le sofferenze, che, chi più chi meno, tutti siamo costretti a provare. Le sofferenze correlate alla fatica di vivere portano chi le prova, a scopo compensatorio, a ritenere che la fatica e la sofferenza rendano le persone eticamente migliori rispetto ai fortunati, che per talento innato, o favorevoli condizioni sociali-geografiche di appartenenza, riescono a raggiungere i loro obiettivi esistenziali con più facilità. Una sorta di etica dell'invidia e del risentimento.

Considerato come attività volta a contribuire al bene comune, non solo in senso materiale ma anche spirituale, espressione della personalità individuale, dei suoi talenti, e soprattutto considerato a prescindere dalla retribuzione economica, ha un senso l'articolo 1 della costituzione che pone il lavoro come fondamento primario della repubblica. Ciò però non basta a dissipare le mie perplessità su tale formula. Sia per l'equivocità del concetto di lavoro, che al contrario dell'orientamento prevalente del forum, viene intepretata nel senso comune come lavoro retribuito, tagliando fuori dal fondamento della repubblica attività culturali non stipendiate o il volontariato (volendo contrapporsi a questo punto di vista ad essere visto come mezzo e non come fine dovrebbe essere non tanto il "lavoro", quanto il "denaro"), sia perchè, anche accettando l'accezione ampia del "lavoro", si finirebbe pur sempre col porre come valore primario un'attività, che come tutte le attività, i movimenti, rientra pur sempre nel piano dei "mezzi" mentre ciò che più conta dovrebbe essere il fine a cui le attività tendono, ed allora il fondamento della repubblica, dello stato, dovrebbe coincidere con il fine per cui lo stato viene creato dagli uomini. Questo fine è la tutela della libertà e del benessere dei cittadini, anche nel contesto del tempo dello svago e del riposo. Quindi dovessi essere chiamato io a modificare l'articolo, scriverei "...fondata sul valore della libertà e del benessere materiale e spirituale della persona...", o qualcosa del genere
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: green demetr il 07 Novembre 2016, 20:26:04 PM
Citazione di: Apeiron il 03 Novembre 2016, 17:42:55 PM
@green demetr,
Non capisco perchè tu parli di soggetto e oggetto. Non che la cosa non c'entri ma ci fa entrare in una discussione ben più ampia. In questi termini comunque a mio giudizio il soggetto non deve avere valore in relazione ad un oggetto. La sua dignità è il suo valore intrinseco: se neghiamo questo allora neghiamo l'etica che come prerequisito ha che l'essere umano ha valore intrinseco.

Ma appunto perchè il soggetto ha bisogno di un oggetto che non esiste un valore intrinseco dell'essere umano.

Quello è frutto della tradizione, e francamente è opinabile.

La questione per me, non è come per Maral e Davintro di ordine etico.
(che è nelle loro teste)

Ma è di ordine storico. Io ho dignità solo se posso approfittare dell'altro. La filosofia quella vera, quando guarda,se ha il coraggio di guardare fino in fondo a se stessa, dice quello.

Quindi dell'etica rimane proprio un bel niente. Solo un modo di indossare una maschera per dire che stiamo tutti bene, quando tutti stanno male.(a meno che sei un potente, però anche tu potente, sei impotente rispetto al reale, e perciò infelice).

D'altronde tutta l'etica è questa mellassa cristiana, del vogliamoci tutti bene, quando non so quante guerre sono in corso in questo stesso istante.

Per inciso questa posizione suscita automatico odio, come la psicanalisi testimonia, vedi Zizek e i suoi trattati sulla ideologia. Esatto è l'ordine dell'odio, del nostro auto-distruttivismo. Guardatevi Zizek tutti, immediatamente.
Così iniziamo tutti una bella terapia di gruppo.

;D






Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: sgiombo il 08 Novembre 2016, 09:43:17 AM
Citazione di: davintro il 07 Novembre 2016, 19:54:58 PM
Meno d'accordo se con "lavoro", va intesa l'idea di "fatica". Dal mio punto di vista la fatica non è un valore positivo, ma un male necessario, un surrogato della mancanza di talento nell'esecuzione di un'attività. Quanto più ho talento quanto meno faticherò a realizzare un'opera. Pensare che la fatica sia un valore porterebbe all'assurdo di pensare che una composizione musicale creata dal genio di Mozart abbia meno valore di un'opera creata da un mediocre dilettante, solo perchè quest'ultimo ha dovuto impegnar maggiore fatica.


CitazioneTalento e fatica non si escludono, anche se il primo ceteris paribus può consentire di limitare la seconda e la seconda entro certi limiti può sopperire a una non eccessiva carenza del secondo.

Un grande talento che si sforza poco produce opere comunque meno pregevoli che se si sforzasse di più.
Michelangelo (che forse potrebbe essere considerato il massimo talento artistico, per lo meno figurativo, di tutti ti tempi, ammesso e non concesso che una simile baggianata all' americana avesse senso), prodigava sforzi titanici e soffriva tantissima fatica (e non solo fisica) nel dipingere e nello scolpire.
E i risultati si vedono!

La cosa é più evidente in un campo più banale come  lo sport (a parte il fatto che oggi l' uso generalizzato del doping, sopattutto da parte di chi ipocritamente lo nega e si scandalizza nei casi in cui, spesso non casualmente -mi scuso per il gioco di parole- viene a galla, rende problematico il concetto di "talento naturale o innato"), ove talenti inestimabili non di rado deludono per scarso impegno (faticoso) in allenamento; e talora soggetti limitatamente meno dotati naturalmente con grande fatica (e destando per questo un "di più di ammirazione") battono avversari più quotati.

In conclusione considero da parte mia valori tanto il talento artistico o generalmente intellettivo quanto l' impegno e lo sforzo faticoso di esprimerlo.

All' ultimo intervento di Green Demetr non obietto: troppa è la distanza che ci divide (su questo argomento anche più che in altri) impedendo a mio parere un confronto produttivo (comunque, solo per la cronaca, per fortuna non sono un potente -fortuna1- e sto piuttostobene -fortuna2- anche perché credo di sapermi accontentare).
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: maral il 10 Novembre 2016, 21:57:34 PM
Davintro, due veloci osservazioni sulla tua ultima considerazione.
In merito al talento e alla fatica, non è detto che il talento eviti la fatica, anzi in genere non lo fa. Si può avere un enorme talento e uscire letteralmente spossati sia in senso fisico che psichico dal lavoro che si è compiuto con talento. Il punto è che quella fatica è gratificante e si è pronti a ripeterla mille volte anche decuplicata, e questo fa la differenza.
In merito al lavoro retribuito: l'aspetto nobile del lavoro retribuito è, come ho detto prima, il senso di autonomia che procura, di potersi con il proprio sforzo manuale o intellettuale procurarsi ciò di cui si ha bisogno e che si desidera senza dipendere da qualcuno che ci mantiene (magari con il suo lavoro e la sua fatica) e ci condiziona. La retribuzione inoltre costituisce una forma di riconoscimento sociale oggettivo per quello che si fa ed è molto importante per sentire fiducia in se stessi: qualcuno mi paga per quello che so fare, dunque quello che so fare è apprezzabile, letteralmente ha un prezzo riconosciuto, quindi è un valore che non è solo per me e il fatto che mi pagano lo rende tangibile. Essere pagato per quello che si fa garantisce autonomia esistenziale in una dimensione pubblica.
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: davintro il 19 Novembre 2016, 01:23:55 AM
rispondo a Sgiombo e Maral

Io distinguo "impegno" e "fatica". Nel senso che certamente in ogni forma di impegno è presente una componente di fatica, ma quest'ultima non esaurisce in sè il complesso dell'impegno. Per "impegno" intendo genericamente qualunque forma di attività in cui vengono spese delle energie in vista di uno scopo, mentre la fatica è ciò che introduce nell'impegno una componente di sofferenza e negatività. Come è evidente, non sempre le nostre attività risultano spiacevoli. Dal mio punto di vista (chiaro che nel momento in cui le mie premesse non sono accettate il mio discorso apparirrà non valido, quindi mi limito a cercare di essere coerente con esse), il bene è il fine a cui tendono le inclinazioni naturali di ogni soggetto, ragion per cui per me dal punto di vista "materiale", del contenuto concreto con cui tale nozione si riempie, non esiste un solo "bene", ma tanti beni diversi quante sono le differenze qualitative dei soggetti. La fatica è un male, perchè è la condizione nella quale l'impegno presuppone uno sforzo innaturale, non corrispondente alla nostra personalità, alle nostre attitudini, e l'andare contro la nostra natura provoca sofferenza, mentre l'impegno pur avendo sempre presente tale aspetto, è anche in parte piacevole, lo è nella misura in cui avvertiamo che le nostre azioni esprimono la nostra autentica personalità, ed in questo senso l'impegno è un "bene", "bene perchè piacevole. Fermo restando che la fatica è sempre un male necessario, perchè l'utilizzo degli oggetti presuppone pur sempre da parte del soggetto un doversi adeguare, un fare violenza a se stessi per rendersi atti a vincere la resistenza degli oggetti, come nel caso in cui devo spostare un pesante masso e sono costretto ad utilizzare i miei muscoli in un modo innaturale, cioè spiacevole, lontano dalla mia idea di "bene" in cui rientra il normale movimento dei muscoli. Ciò che contesto è il passaggio arbitrario dal riconoscimento della necessità alla moralizzazione della fatica, al punto di cadere in una sorta di mentalità masochista per cui ciò che si ottiene con fatica dovrebbe avere un valore morale superiore rispetto a ciò che si ottiene alla luce dei nostri talenti naturali, dunque in modo facile e naturale.

L'autonomia economica, come tutte le autonomie, è utile, ma io eviterei di parlare di "nobiltà". La nobiltà per me attiene al piano dei fini, nobile è qualcosa che possiede un valore intrinseco, mentre il denaro è uno strumento, indispensabile, ma pur sempre uno strumento, un mezzo, dunque ha un valore morale inferiore a ciò che è fine a se stesso. Il rischio di pensarla altrimenti è quello di cadere in un feticismo alienante alla ( chiedo scusa per la citazione non propriamente filosofico- accademica) Zio Paperone, che fà il bagno nei soldi venerando la ricchezza guadagnata come il fine della vita e poi per paura di non disperderla non si concede neanche una vacanza ogni tanto dal lavoro, preferendo restare chiuso nel deposito a contare il patrimonio ed a guadagnarne altro. Uno stile di vita e una mentalità che sinceramente non mi interessa e mi fà quasi orrore. Per me il valore del denaro sta solo ed esclusivamente negli oggetti che si possono comprare con esso. La quantità la rispetto solo al servizio della qualità. L'autonomia è un positivo fattore di libertà, essere autonomo rende meno condizionati dal mondo esterno gli individui. Tuttavia l'autonomia, intesa nel contesto in cui stiamo discutendo rientra anch'essa nel piano dei "mezzi", non dei fini, non della nobiltà morale. Nel piano dei fini rientra la "libertà", che va distinta dall' autonomia. Siamo esseri in relazione, legati sempre a dipendenza e l'affrancamento da tali dipendenze può portare a rinunce alla libertà molto maggiori rispetto a quelle che il restare legati alle dipendenze comporterebbero. Un esempio banale. Se i vestiti che indosso li cucissi io personalmente non avrei bisogno di sarti, e il mio livello di autonomia sociale sarebbe più alto di quello che ha uno che i vestiti li acquista già prodotti nei negozi. Ma tale autonomia sarebbe raggiunta al prezzo di un dispendio significativo di tempo che dovrei sottrarre ad attività per me più interessanti e piacevoli del cucito. A me pare che in questa discussione sul valore del lavoro non possa non essere centrale un punto ancora forse non ben considerato: il tempo, il tempo libero, che non è infinito nella nostra vita, nelle nostre giornate. Il perseguimento dell'autonomia economica attraverso il lavoro sottrae una grande quota di tempo libero che nella maggior parte dei casi un lavoratore, se potesse, occuperebbe in modi molto più piacevoli ed umani, curando le proprie passioni, interessi, relazioni umane. Siamo sicuri che il gioco (l'orgoglio un pò feticista nei confronti dell'autonomia economica) valga sempre la candela (il sacrificio del tempo libero, per noi stessi, per i nostri familiari, amici, conoscenti)? Ho forti dubbi... considerando soprattutto che al di là dell'autonomia economica esiste un'autonomia a mio avviso più nobile, l'autonomia mentale, spirituale che raggiunge chi dedica la maggior tempo allo studio, al pensiero, alla riflessione. E spesso il perseguimento delle due autonomie è conflittuale, il tempo dedicato a una toglie tempo all'altra. Perchè dobbiamo per forza tacciare di immoralità e parassitismo chi, avendone la possibilità di farlo senza gravare entro una certa misura su altri, decide di anteporre al lavoro retribuito attività culturali non sempre pagate come la scrittura, l'arte, la musica, il frequentare più d'un corso di laurea, partecipazione a convegni, lo stesso scrivere su un forum filosofico come questo, utilizzando il tempo libero sgravato dai ritmi spesso opprimenti del "lavoro"? La vera libertà non è un'utopistica autonomia dalle dipendenza che tutti inevitabilmente abbiamo, ma si raggiunge attraverso un'intelligente gestione di tali dipendenze, delegando entro i limiti del possibile i compiti più spiacevoli per ottenere maggio tempo per le attività più corrispondenti alle nostre inclinazioni e dunque più piacevoli. Ad aiutarci in ciò abbiamo la fortuna di vivere in una struttura sociale fondata sulla divisione di ruoli, dove si spera, questo è almeno il mio auspicio ideale, ogni ruolo venga assunto da persone motivate e talentuose per quel ruolo. Delegando, tornando all'esempio di prima, il ruolo di cucire i vestiti ad un sarto, a qualcuno a cui piace questo lavoro lasciando a me il tempo per cose che mi piacciono di più come la lettura finisco di fatto col rendere felici entrambi, me stesso, che ho più tempo per i miei interessi, e il sarto, che può svolgere un lavoro che lui ha scelto, che gli piace e di cui ha necessità
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: sgiombo il 19 Novembre 2016, 07:59:46 AM
Citazione di: davintro il 19 Novembre 2016, 01:23:55 AM
rispondo a Sgiombo e Maral

Io distinguo "impegno" e "fatica". Nel senso che certamente in ogni forma di impegno è presente una componente di fatica, ma quest'ultima non esaurisce in sè il complesso dell'impegno. Per "impegno" intendo genericamente qualunque forma di attività in cui vengono spese delle energie in vista di uno scopo, mentre la fatica è ciò che introduce nell'impegno una componente di sofferenza e negatività. Come è evidente, non sempre le nostre attività risultano spiacevoli. Dal mio punto di vista (chiaro che nel momento in cui le mie premesse non sono accettate il mio discorso apparirrà non valido, quindi mi limito a cercare di essere coerente con esse), il bene è il fine a cui tendono le inclinazioni naturali di ogni soggetto, ragion per cui per me dal punto di vista "materiale", del contenuto concreto con cui tale nozione si riempie, non esiste un solo "bene", ma tanti beni diversi quante sono le differenze qualitative dei soggetti. La fatica è un male, perchè è la condizione nella quale l'impegno presuppone uno sforzo innaturale, non corrispondente alla nostra personalità, alle nostre attitudini, e l'andare contro la nostra natura provoca sofferenza, mentre l'impegno pur avendo sempre presente tale aspetto, è anche in parte piacevole, lo è nella misura in cui avvertiamo che le nostre azioni esprimono la nostra autentica personalità, ed in questo senso l'impegno è un "bene", "bene perchè piacevole. Fermo restando che la fatica è sempre un male necessario, perchè l'utilizzo degli oggetti presuppone pur sempre da parte del soggetto un doversi adeguare, un fare violenza a se stessi per rendersi atti a vincere la resistenza degli oggetti, come nel caso in cui devo spostare un pesante masso e sono costretto ad utilizzare i miei muscoli in un modo innaturale, cioè spiacevole, lontano dalla mia idea di "bene" in cui rientra il normale movimento dei muscoli. Ciò che contesto è il passaggio arbitrario dal riconoscimento della necessità alla moralizzazione della fatica, al punto di cadere in una sorta di mentalità masochista per cui ciò che si ottiene con fatica dovrebbe avere un valore morale superiore rispetto a ciò che si ottiene alla luce dei nostri talenti naturali, dunque in modo facile e naturale.

Citazione
CitazioneRisposta di Sgiombo:

Concordo con tutto meno che con l' ultimo capoverso.

Non c' é alcun masochismo o compiacimento verso il dolore o la fatica nel provare "un di più di ammirazione" per chi ha conseguito uno scopo onesto a costo di grandi sforzi e fatica rispetto a chi l' ha ottenuto più facilmente perché dotato di maggior talento: semplicemente la forza d' animo é una delle tante virtù degne di ammirazione (intendo usare il termine come lo usavano gli stoici, non le suore che mi hanno rotto le p. nella mia infanzia, cosa che mie lo rende un po' antipatico).

Lo sport (quando non c' erano il doping e soprattutto l' "antidoping"-truffa-wrestling) era pieno di esempi: quando Learco Guerra vinse il suo unico giro d' Italia contro i cinque di Afredo Binda ottenne non a caso e secondo me giustamente una popolarità più o meno simile a quella del ben più titolato rivale.

E così Bartali quando vinse il suo secondo Tour de France contro il più giovane e talentuoso Coppi o Gimondi quando vinse il suo ultimo Giro contro L' immenso Eddy Merckx (c' una bellissima canzone di Enrico Ruggeri che esprime perfettamente -e poeticamente- questo concetto; si intitola per l' appunto "Gimondi e il Cannibale").

L'autonomia economica, come tutte le autonomie, è utile, ma io eviterei di parlare di "nobiltà". La nobiltà per me attiene al piano dei fini, nobile è qualcosa che possiede un valore intrinseco, mentre il denaro è uno strumento, indispensabile, ma pur sempre uno strumento, un mezzo, dunque ha un valore morale inferiore a ciò che è fine a se stesso. Il rischio di pensarla altrimenti è quello di cadere in un feticismo alienante alla ( chiedo scusa per la citazione non propriamente filosofico- accademica) Zio Paperone, che fà il bagno nei soldi venerando la ricchezza guadagnata come il fine della vita e poi per paura di non disperderla non si concede neanche una vacanza ogni tanto dal lavoro, preferendo restare chiuso nel deposito a contare il patrimonio ed a guadagnarne altro. Uno stile di vita e una mentalità che sinceramente non mi interessa e mi fà quasi orrore. Per me il valore del denaro sta solo ed esclusivamente negli oggetti che si possono comprare con esso. La quantità la rispetto solo al servizio della qualità. L'autonomia è un positivo fattore di libertà, essere autonomo rende meno condizionati dal mondo esterno gli individui. Tuttavia l'autonomia, intesa nel contesto in cui stiamo discutendo rientra anch'essa nel piano dei "mezzi", non dei fini, non della nobiltà morale. Nel piano dei fini rientra la "libertà", che va distinta dall' autonomia. Siamo esseri in relazione, legati sempre a dipendenza e l'affrancamento da tali dipendenze può portare a rinunce alla libertà molto maggiori rispetto a quelle che il restare legati alle dipendenze comporterebbero. Un esempio banale. Se i vestiti che indosso li cucissi io personalmente non avrei bisogno di sarti, e il mio livello di autonomia sociale sarebbe più alto di quello che ha uno che i vestiti li acquista già prodotti nei negozi. Ma tale autonomia sarebbe raggiunta al prezzo di un dispendio significativo di tempo che dovrei sottrarre ad attività per me più interessanti e piacevoli del cucito. A me pare che in questa discussione sul valore del lavoro non possa non essere centrale un punto ancora forse non ben considerato: il tempo, il tempo libero, che non è infinito nella nostra vita, nelle nostre giornate. Il perseguimento dell'autonomia economica attraverso il lavoro sottrae una grande quota di tempo libero che nella maggior parte dei casi un lavoratore, se potesse, occuperebbe in modi molto più piacevoli ed umani, curando le proprie passioni, interessi, relazioni umane. Siamo sicuri che il gioco (l'orgoglio un pò feticista nei confronti dell'autonomia economica) valga sempre la candela (il sacrificio del tempo libero, per noi stessi, per i nostri familiari, amici, conoscenti)? Ho forti dubbi... considerando soprattutto che al di là dell'autonomia economica esiste un'autonomia a mio avviso più nobile, l'autonomia mentale, spirituale che raggiunge chi dedica la maggior tempo allo studio, al pensiero, alla riflessione. E spesso il perseguimento delle due autonomie è conflittuale, il tempo dedicato a una toglie tempo all'altra. Perchè dobbiamo per forza tacciare di immoralità e parassitismo chi, avendone la possibilità di farlo senza gravare entro una certa misura su altri, decide di anteporre al lavoro retribuito attività culturali non sempre pagate come la scrittura, l'arte, la musica, il frequentare più d'un corso di laurea, partecipazione a convegni, lo stesso scrivere su un forum filosofico come questo, utilizzando il tempo libero sgravato dai ritmi spesso opprimenti del "lavoro"? La vera libertà non è un'utopistica autonomia dalle dipendenza che tutti inevitabilmente abbiamo, ma si raggiunge attraverso un'intelligente gestione di tali dipendenze, delegando entro i limiti del possibile i compiti più spiacevoli per ottenere maggio tempo per le attività più corrispondenti alle nostre inclinazioni e dunque più piacevoli. Ad aiutarci in ciò abbiamo la fortuna di vivere in una struttura sociale fondata sulla divisione di ruoli, dove si spera, questo è almeno il mio auspicio ideale, ogni ruolo venga assunto da persone motivate e talentuose per quel ruolo. Delegando, tornando all'esempio di prima, il ruolo di cucire i vestiti ad un sarto, a qualcuno a cui piace questo lavoro lasciando a me il tempo per cose che mi piacciono di più come la lettura finisco di fatto col rendere felici entrambi, me stesso, che ho più tempo per i miei interessi, e il sarto, che può svolgere un lavoro che lui ha scelto, che gli piace e di cui ha necessità

CitazioneRisposta di Sgiombo:

Salvo una valutazione più pessimistica (la ritengo sostanzialmente iniqua e da sovvertire) della realtà sociale di fatto da parte mia. con questo concordo in pieno!
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: davintro il 23 Novembre 2016, 00:11:15 AM
Citazione di: sgiombo il 19 Novembre 2016, 07:59:46 AM
Citazione di: davintro il 19 Novembre 2016, 01:23:55 AMrispondo a Sgiombo e Maral Io distinguo "impegno" e "fatica". Nel senso che certamente in ogni forma di impegno è presente una componente di fatica, ma quest'ultima non esaurisce in sè il complesso dell'impegno. Per "impegno" intendo genericamente qualunque forma di attività in cui vengono spese delle energie in vista di uno scopo, mentre la fatica è ciò che introduce nell'impegno una componente di sofferenza e negatività. Come è evidente, non sempre le nostre attività risultano spiacevoli. Dal mio punto di vista (chiaro che nel momento in cui le mie premesse non sono accettate il mio discorso apparirrà non valido, quindi mi limito a cercare di essere coerente con esse), il bene è il fine a cui tendono le inclinazioni naturali di ogni soggetto, ragion per cui per me dal punto di vista "materiale", del contenuto concreto con cui tale nozione si riempie, non esiste un solo "bene", ma tanti beni diversi quante sono le differenze qualitative dei soggetti. La fatica è un male, perchè è la condizione nella quale l'impegno presuppone uno sforzo innaturale, non corrispondente alla nostra personalità, alle nostre attitudini, e l'andare contro la nostra natura provoca sofferenza, mentre l'impegno pur avendo sempre presente tale aspetto, è anche in parte piacevole, lo è nella misura in cui avvertiamo che le nostre azioni esprimono la nostra autentica personalità, ed in questo senso l'impegno è un "bene", "bene perchè piacevole. Fermo restando che la fatica è sempre un male necessario, perchè l'utilizzo degli oggetti presuppone pur sempre da parte del soggetto un doversi adeguare, un fare violenza a se stessi per rendersi atti a vincere la resistenza degli oggetti, come nel caso in cui devo spostare un pesante masso e sono costretto ad utilizzare i miei muscoli in un modo innaturale, cioè spiacevole, lontano dalla mia idea di "bene" in cui rientra il normale movimento dei muscoli. Ciò che contesto è il passaggio arbitrario dal riconoscimento della necessità alla moralizzazione della fatica, al punto di cadere in una sorta di mentalità masochista per cui ciò che si ottiene con fatica dovrebbe avere un valore morale superiore rispetto a ciò che si ottiene alla luce dei nostri talenti naturali, dunque in modo facile e naturale.
Citazione
CitazioneRisposta di Sgiombo: Concordo con tutto meno che con l' ultimo capoverso. Non c' é alcun masochismo o compiacimento verso il dolore o la fatica nel provare "un di più di ammirazione" per chi ha conseguito uno scopo onesto a costo di grandi sforzi e fatica rispetto a chi l' ha ottenuto più facilmente perché dotato di maggior talento: semplicemente la forza d' animo é una delle tante virtù degne di ammirazione (intendo usare il termine come lo usavano gli stoici, non le suore che mi hanno rotto le p. nella mia infanzia, cosa che mie lo rende un po' antipatico). Lo sport (quando non c' erano il doping e soprattutto l' "antidoping"-truffa-wrestling) era pieno di esempi: quando Learco Guerra vinse il suo unico giro d' Italia contro i cinque di Afredo Binda ottenne non a caso e secondo me giustamente una popolarità più o meno simile a quella del ben più titolato rivale. E così Bartali quando vinse il suo secondo Tour de France contro il più giovane e talentuoso Coppi o Gimondi quando vinse il suo ultimo Giro contro L' immenso Eddy Merckx (c' una bellissima canzone di Enrico Ruggeri che esprime perfettamente -e poeticamente- questo concetto; si intitola per l' appunto "Gimondi e il Cannibale").
L'autonomia economica, come tutte le autonomie, è utile, ma io eviterei di parlare di "nobiltà". La nobiltà per me attiene al piano dei fini, nobile è qualcosa che possiede un valore intrinseco, mentre il denaro è uno strumento, indispensabile, ma pur sempre uno strumento, un mezzo, dunque ha un valore morale inferiore a ciò che è fine a se stesso. Il rischio di pensarla altrimenti è quello di cadere in un feticismo alienante alla ( chiedo scusa per la citazione non propriamente filosofico- accademica) Zio Paperone, che fà il bagno nei soldi venerando la ricchezza guadagnata come il fine della vita e poi per paura di non disperderla non si concede neanche una vacanza ogni tanto dal lavoro, preferendo restare chiuso nel deposito a contare il patrimonio ed a guadagnarne altro. Uno stile di vita e una mentalità che sinceramente non mi interessa e mi fà quasi orrore. Per me il valore del denaro sta solo ed esclusivamente negli oggetti che si possono comprare con esso. La quantità la rispetto solo al servizio della qualità. L'autonomia è un positivo fattore di libertà, essere autonomo rende meno condizionati dal mondo esterno gli individui. Tuttavia l'autonomia, intesa nel contesto in cui stiamo discutendo rientra anch'essa nel piano dei "mezzi", non dei fini, non della nobiltà morale. Nel piano dei fini rientra la "libertà", che va distinta dall' autonomia. Siamo esseri in relazione, legati sempre a dipendenza e l'affrancamento da tali dipendenze può portare a rinunce alla libertà molto maggiori rispetto a quelle che il restare legati alle dipendenze comporterebbero. Un esempio banale. Se i vestiti che indosso li cucissi io personalmente non avrei bisogno di sarti, e il mio livello di autonomia sociale sarebbe più alto di quello che ha uno che i vestiti li acquista già prodotti nei negozi. Ma tale autonomia sarebbe raggiunta al prezzo di un dispendio significativo di tempo che dovrei sottrarre ad attività per me più interessanti e piacevoli del cucito. A me pare che in questa discussione sul valore del lavoro non possa non essere centrale un punto ancora forse non ben considerato: il tempo, il tempo libero, che non è infinito nella nostra vita, nelle nostre giornate. Il perseguimento dell'autonomia economica attraverso il lavoro sottrae una grande quota di tempo libero che nella maggior parte dei casi un lavoratore, se potesse, occuperebbe in modi molto più piacevoli ed umani, curando le proprie passioni, interessi, relazioni umane. Siamo sicuri che il gioco (l'orgoglio un pò feticista nei confronti dell'autonomia economica) valga sempre la candela (il sacrificio del tempo libero, per noi stessi, per i nostri familiari, amici, conoscenti)? Ho forti dubbi... considerando soprattutto che al di là dell'autonomia economica esiste un'autonomia a mio avviso più nobile, l'autonomia mentale, spirituale che raggiunge chi dedica la maggior tempo allo studio, al pensiero, alla riflessione. E spesso il perseguimento delle due autonomie è conflittuale, il tempo dedicato a una toglie tempo all'altra. Perchè dobbiamo per forza tacciare di immoralità e parassitismo chi, avendone la possibilità di farlo senza gravare entro una certa misura su altri, decide di anteporre al lavoro retribuito attività culturali non sempre pagate come la scrittura, l'arte, la musica, il frequentare più d'un corso di laurea, partecipazione a convegni, lo stesso scrivere su un forum filosofico come questo, utilizzando il tempo libero sgravato dai ritmi spesso opprimenti del "lavoro"? La vera libertà non è un'utopistica autonomia dalle dipendenza che tutti inevitabilmente abbiamo, ma si raggiunge attraverso un'intelligente gestione di tali dipendenze, delegando entro i limiti del possibile i compiti più spiacevoli per ottenere maggio tempo per le attività più corrispondenti alle nostre inclinazioni e dunque più piacevoli. Ad aiutarci in ciò abbiamo la fortuna di vivere in una struttura sociale fondata sulla divisione di ruoli, dove si spera, questo è almeno il mio auspicio ideale, ogni ruolo venga assunto da persone motivate e talentuose per quel ruolo. Delegando, tornando all'esempio di prima, il ruolo di cucire i vestiti ad un sarto, a qualcuno a cui piace questo lavoro lasciando a me il tempo per cose che mi piacciono di più come la lettura finisco di fatto col rendere felici entrambi, me stesso, che ho più tempo per i miei interessi, e il sarto, che può svolgere un lavoro che lui ha scelto, che gli piace e di cui ha necessità
CitazioneRisposta di Sgiombo: Salvo una valutazione più pessimistica (la ritengo sostanzialmente iniqua e da sovvertire) della realtà sociale di fatto da parte mia. con questo concordo in pieno!

Tra "forza d'animo" e "fatica" non c'è un rapporto diretto e necessario. La forza d'animo è quella spinta interiore che ci porta a desiderare con ardore il raggiungimento di un obiettivo e ad essere disponibili a passare momenti di sofferenza e a faticare per raggiungerlo. Ma essere disposti alla sofferenza ed alla fatica non vuol dire cercare la sofferenza e la fatica più del necessario sufficiente a raggiungere l'obiettivo che ci si prefigge. In linea teorica si può essere dotati di una grande fermezza, forza d'animo e poi trovarsi a realizzare con relativa facilità un certo risultato. Si sarebbe stati pronti a fare sacrifici, fatica, ma se ciò non è necessario meglio così. La fatica può però essere un'importante segno rivelatore della forza d'animo di una persona. Osservando la fatica e le sofferenze di una persona nello svolgere un'azione posso rendermi conto della sua tenacia ed apprezzarla per questo. Ma non si deve confondere l'idea che la fatica sia un segno rivelatore della forza d'animo con l'idea che quanto più sia desideri fortemente qualcosa tanto più si debba fare effettivamente fatica. La fatica cioè non rende direttamente moralmente migliore un'azione ma può essere un segno di riconoscimento esteriore a-posteriori per un giudizio morale sulla disposizione interiore. Può apparire una distinzione troppo sottile ma per me è fondamentale. Tra l'altro neanche la "forza d'animo" per me è di per sè una virtù, ma una sorta di "accrescitivo moralmente neutro". La forza interiore la si può applicare ad un'azione rivolta ad un fine negativo o positivo, e in base a tale differenza essa aumenta o diminuisce la moralità dell'azione: quanto più la forza d'animo si esprime in una buona azione tanto più l'azione la giudico buona, quanto più la si mette in un fine malvagio tanto più l'azione diventa cattiva, in questo caso si deve parlare di un'ostinazione verso il male, il male viene preseguito con più intensità, dunque la volontà è più malvagia. Il valore morale da mio punto di vista è dato soprattutto dall'intenzione soggettiva che progetta il fine

p.s. breve nota assolutamente non filosofica ma fatta come tifoso (per pigrizia non praticante) di ciclismo: nel secondo tour di Bartali, quello del 1948, quello celebre che secondo molti evitò la guerra civile in Italia dopo l'attentato a Togliatti calmando gli animi, Coppi non c'era. Tra i rivali principali di Bartali in quell'edizione c'erano Robic e Bobet! Condivido il giudizio sulla canzone di Ruggieri
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: sgiombo il 23 Novembre 2016, 10:06:13 AM
Citazione di: davintro il 23 Novembre 2016, 00:11:15 AM

Tra "forza d'animo" e "fatica" non c'è un rapporto diretto e necessario. La forza d'animo è quella spinta interiore che ci porta a desiderare con ardore il raggiungimento di un obiettivo e ad essere disponibili a passare momenti di sofferenza e a faticare per raggiungerlo. Ma essere disposti alla sofferenza ed alla fatica non vuol dire cercare la sofferenza e la fatica più del necessario sufficiente a raggiungere l'obiettivo che ci si prefigge. In linea teorica si può essere dotati di una grande fermezza, forza d'animo e poi trovarsi a realizzare con relativa facilità un certo risultato. Si sarebbe stati pronti a fare sacrifici, fatica, ma se ciò non è necessario meglio così. La fatica può però essere un'importante segno rivelatore della forza d'animo di una persona. Osservando la fatica e le sofferenze di una persona nello svolgere un'azione posso rendermi conto della sua tenacia ed apprezzarla per questo. Ma non si deve confondere l'idea che la fatica sia un segno rivelatore della forza d'animo con l'idea che quanto più sia desideri fortemente qualcosa tanto più si debba fare effettivamente fatica. La fatica cioè non rende direttamente moralmente migliore un'azione ma può essere un segno di riconoscimento esteriore a-posteriori per un giudizio morale sulla disposizione interiore. Può apparire una distinzione troppo sottile ma per me è fondamentale.

CitazioneNon credo di averla mai ignorata nella discussione.
Non ho mai sostenuto che si debba faticare "per il gusto di faticare": questo sì che sarebbe masochismo!
A posteriori va riconosciuto più merito a chi ha faticato di più che a chi ha faticato di meno per raggiungere uno scopo onesto (che non é certo la fatica fine a se stessa).

Ma fin qui mi sembra di concordare, per lo meno nella "sostanza" della questione.

Tra l'altro neanche la "forza d'animo" per me è di per sè una virtù, ma una sorta di "accrescitivo moralmente neutro". La forza interiore la si può applicare ad un'azione rivolta ad un fine negativo o positivo, e in base a tale differenza essa aumenta o diminuisce la moralità dell'azione: quanto più la forza d'animo si esprime in una buona azione tanto più l'azione la giudico buona, quanto più la si mette in un fine malvagio tanto più l'azione diventa cattiva, in questo caso si deve parlare di un'ostinazione verso il male, il male viene preseguito con più intensità, dunque la volontà è più malvagia. Il valore morale da mio punto di vista è dato soprattutto dall'intenzione soggettiva che progetta il fine

CitazioneMa anche quando impiegata a fin di male la forza d' animo di per sé resta un pregio in chi la possiede (un pregio maggiore o minore a seconda che la si possieda in maggiore o minor misura.
Anche una grande conoscenza teorica e abilità di applicarla tecnologicamente può essere usata bene o male, ma non é -per esempio- che poiché un elicottero può essere usato per bombardare dei combattenti per la propria sovranità, allora dovremmo distruggere tutti gli elicotteri privandoci della possibilità di prestare tempestivamente cure urgenti  anche ne  ha bisogno.
Come l' elicottero in sé é qualcosa di utile e positivo (un "bene" materiale) anche se usato efficacemente pure per conseguire fini malvagi potenziando la malvagità delle azioni in cui ci si serve di esso, così la forza d' animo di per sé é una qualità morale positiva, anche se in chi é per altri versi malvagio ne potenzia la malvagità.



p.s. breve nota assolutamente non filosofica ma fatta come tifoso (per pigrizia non praticante) di ciclismo: nel secondo tour di Bartali, quello del 1948, quello celebre che secondo molti evitò la guerra civile in Italia dopo l'attentato a Togliatti calmando gli animi, Coppi non c'era. Tra i rivali principali di Bartali in quell'edizione c'erano Robic e Bobet! Condivido il giudizio sulla canzone di Ruggieri

CitazioneMannaggia, sei al corrente di quelle vicende sportive almeno quanto me!

E devo confessare che (deplorevolmente; ma credo che le suore della mia infanzia l' avrebbero classificato come "peccato veniale") lo sapevo anch' io che al tour del '48 non c' era Coppi e lo sconfitto principale fu l' astro nascente francese Louison Bobet (e proprio nel fatto che il "deuteragonista" fosse francese sta una delle chiavi che hanno reso tale impresa leggendaria in quella temperie politica postbellica "e i francesi ci rispettano"; "e le palle ancor gli girano", altra bella canzone, di Paolo Conte); ho "forzato la cosa a fin di bene" onde spiegarmi meglio, contando sulla probabile scarsa conoscenza di quei fatti tua e di altri del forum.

Comunque é stato deplorevole da parte mia: lo confesso e chiedo venia.

(E se é per questo, anche all' ultimo giro di Gimondi il sommo Eddy Mrckx era in fase decisamente calante, non era più il "cannibale"; e infatti l' anno dopo "appese la bici al chiodo", come si diceva allora).
A suo merito va ascritto il fatto che poteva ritirarsi e prese in considerazione l' ipotesi di farlo, ma resistette (con una certa fatica...) fino alla fine perché per il suo avversario-amico, da lui molto stimato, Gimondi un conto sarebbe stato vincere un giro davanti a chichessia, un altro conto vincerlo davanti al più grande di tutti i tempi (ovviamente non pretendo che altri condividano questa mia valutazione, legata anche ai miei ricordi e alla mie personali vicende di quegli anni, quelli della mia adolescenza). 

Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: Donalduck il 27 Novembre 2016, 16:49:32 PM
Voltaire ha scritto:
Citazioneè attraverso il lavoro che l'essere umano si esplica, acquista dignità, diventa essere umano

E' senza dubbio un'asserzione gratuita, e tale rimane finché non ne viene fornita qualche giustificazione plausibile.
Io sono un grande estimatore dell'ozio e delle attività meditative, che in genere si contrappongono al "lavoro" comunemente inteso.
Ma in realtà il punto è cosa esattamente si vuole intendere con "lavoro".

Partendo dallo spunto iniziale, sono decisamente d'accordo sull'opinione che sia sbagliato fondare una repubblica sul "lavoro". In quasto caso il significato si circoscrive alle cosiddette attività produttive, qualle che direttamente generano beni consumabili. E se non sono d'accordo in generale, ancor meno lo sono considerando quanto sia degradante per l'essere umano la gran parte dei lavori che si è costretti a fare per vivere.

Non che i lavori siano degradanti in sé, ma per come sono gestiti e per il malefico contesto in cui sono inseriti (sono fermamente convinto del carattere involutivo, degradante e distruttivo del capitalismo e della "filosofia" che lo anima).

Secondo me la dignità, per gli uomini come per tutti gli esseri, è gratis, non c'è alcun bisogno di conquistarla, mentre è possibile minarla o demolirla, ad esempio attraverso diverse attività lavorative che la nostra società ci offre.

Se invece si dà una definizione diversa di lavoro, ad esempio genericamente un insieme di azioni volte a ottenere un certo risultato, il valore del lavoro dipende più che altro dal valore dell'obiettivo e dall'abilità ed efficacia con cui viene svolto. In questo caso, comunque, il lavoro non può essere considerato prerogativa degli esseri umani. Basta considerare cose come gli alveari, i formicai, e dighe dei castori, per citare gli esempi più evidenti. Prerogativa dell'uomo, forse, è solo il lavoro degradato, quello che deriva dallo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, sulla coercizione e la sottomissione della volontà altrui alla propria.

Per quanto riguarda la Costituzione, a mio parere andrebbe interamente riscritta, e fondata unicamente su valori etici (noto per inciso che l'etica sì, a differenza del lavoro, può essere considerata a buon diritto una prerogativa umana, almeno per quanto ne sappiamo), definendo in primo luogo un sistema di valori di riferimento, ossia quali sono i valori a cui si ispira e in quale ordine di priorità, e facendo conseguire il resto da questo sistema di valori. E il lavoro è un'attività, non un valore, casomai può esserlo l'operosità, non necessariamente applicata a beni immadiatamente consumabili o servizi immediatamente fruibili.
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: maral il 29 Novembre 2016, 11:44:04 AM
La dignità che offre il lavoro è quella di non dovere dipendere da altri (altre persone o organizzazioni) per il proprio mantenimento, di sentirsi individui adulti e autonomi in grado di procacciarsi da soli quanto necessario per vivere e quindi di sentirsi liberi in quanto capaci. Detto questo non vi è dubbio che il lavoro possa esercitare l'effetto contrario soffocando anziché promuovere la propria autonomia, soprattutto da quando, con l'affermarsi della visione economica dell'esistenza, della produzione industriale e del conseguente consumismo, è stato identificato con il lavoro salariato e con l'alienazione da esso prodotto.
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: davintro il 29 Novembre 2016, 19:43:39 PM
Citazione di: Donalduck il 27 Novembre 2016, 16:49:32 PMVoltaire ha scritto:
Citazioneè attraverso il lavoro che l'essere umano si esplica, acquista dignità, diventa essere umano
E' senza dubbio un'asserzione gratuita, e tale rimane finché non ne viene fornita qualche giustificazione plausibile. Io sono un grande estimatore dell'ozio e delle attività meditative, che in genere si contrappongono al "lavoro" comunemente inteso. Ma in realtà il punto è cosa esattamente si vuole intendere con "lavoro". Partendo dallo spunto iniziale, sono decisamente d'accordo sull'opinione che sia sbagliato fondare una repubblica sul "lavoro". In quasto caso il significato si circoscrive alle cosiddette attività produttive, qualle che direttamente generano beni consumabili. E se non sono d'accordo in generale, ancor meno lo sono considerando quanto sia degradante per l'essere umano la gran parte dei lavori che si è costretti a fare per vivere. Non che i lavori siano degradanti in sé, ma per come sono gestiti e per il malefico contesto in cui sono inseriti (sono fermamente convinto del carattere involutivo, degradante e distruttivo del capitalismo e della "filosofia" che lo anima). Secondo me la dignità, per gli uomini come per tutti gli esseri, è gratis, non c'è alcun bisogno di conquistarla, mentre è possibile minarla o demolirla, ad esempio attraverso diverse attività lavorative che la nostra società ci offre. Se invece si dà una definizione diversa di lavoro, ad esempio genericamente un insieme di azioni volte a ottenere un certo risultato, il valore del lavoro dipende più che altro dal valore dell'obiettivo e dall'abilità ed efficacia con cui viene svolto. In questo caso, comunque, il lavoro non può essere considerato prerogativa degli esseri umani. Basta considerare cose come gli alveari, i formicai, e dighe dei castori, per citare gli esempi più evidenti. Prerogativa dell'uomo, forse, è solo il lavoro degradato, quello che deriva dallo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, sulla coercizione e la sottomissione della volontà altrui alla propria. Per quanto riguarda la Costituzione, a mio parere andrebbe interamente riscritta, e fondata unicamente su valori etici (noto per inciso che l'etica sì, a differenza del lavoro, può essere considerata a buon diritto una prerogativa umana, almeno per quanto ne sappiamo), definendo in primo luogo un sistema di valori di riferimento, ossia quali sono i valori a cui si ispira e in quale ordine di priorità, e facendo conseguire il resto da questo sistema di valori. E il lavoro è un'attività, non un valore, casomai può esserlo l'operosità, non necessariamente applicata a beni immadiatamente consumabili o servizi immediatamente fruibili.

completamente d'accordo con questo intervento, in particolare circa l'idea che la dignità sia qualcosa di gratuito e non da conquistare aderendo a un sistema di convinzioni morali che pretende di essere oggettiva. Essendo il giudizio di "dignità" un giudizio morale, non legato a una conoscenza razionale dei fatti, ma la sensibilità soggettiva verso i valori, non si dovrebbe pensare di porre come oggettivo il fatto di reputare "degno" o "non degno" il modo di vivere di una persona (specie nei casi nei quali tale modo di vivere viene in fondo condotto senza far del male ad altri). La distinzioni humeana tra "essere" e "dover essere" e il riconoscimento di ogni passaggio dal primo ambito al secondo come sempre arbitrario è sempre un principio importante per me
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: maral il 30 Novembre 2016, 23:08:25 PM
Mi chiedo come possa sussistere un essere senza un "dover essere". Il lavoro è la fatica che si fa per tentare di diventare se stessi e lo si compie con gli atti che pubblicamente si compiono con gli altri e per gli altri e che ci riflettono (ci permettono di riconoscerci) per quello che siamo.
Credere di essere senza il lavoro di "dover essere" è consegnarsi come schiavi a chi solo intende definirci in oggetto, ossia come oggetti a disposizione.
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: davintro il 01 Dicembre 2016, 11:37:29 AM
Citazione di: maral il 30 Novembre 2016, 23:08:25 PMMi chiedo come possa sussistere un essere senza un "dover essere". Il lavoro è la fatica che si fa per tentare di diventare se stessi e lo si compie con gli atti che pubblicamente si compiono con gli altri e per gli altri e che ci riflettono (ci permettono di riconoscerci) per quello che siamo. Credere di essere senza il lavoro di "dover essere" è consegnarsi come schiavi a chi solo intende definirci in oggetto, ossia come oggetti a disposizione.



non direi che con il lavoro "si diventa se stessi", ma che con esso esprimiamo in forme oggettivate e sociali un'identità che ci costituisce aprioristicamente e interiormente. Se l'identità fosse una costruzione a posteriori del lavoro allora il problema dell'alienazione, del vivere il lavoro come costrizione non potrebbe sussistere. Come si potrebbe infatti percepire il lavoro che svolgiamo come insoddisfacente in base alle nostre esigenze esistenziali se non si ammette implicitamente uno scarto, una distinzione tra la nostra identità e il ruolo lavorativo, con il secondo non adeguato ma in conflitto con la prima? Se la mia identità coincidesse col lavoro allora quest'ultimo sarebbe sempre fonte di felicità e mai come fatica, sacrificio, rinunce. Io non sono il mio lavoro, come non sono il mio ruolo familiare, accademico, l'immagine che gli altri hanno di me. Io sono una soggettività unica, irripetibile, irriducibile ad una categoria collettiva che però può esprimere se stessa più o meno, parzialmente nelle varie relazioni sociali (compreso il lavoro) senza mai risolversi del tutto in esse. Il "dover essere" diviene schiavitù quando impostomi dall'esterno, espressione di libertà quando stabilito dal soggetto stesso chiamato ad agire coerentemente con esso. 

Comunque non ho mai negato un aspetto morale del lavoro, solo ritengo che la retribuzione economica sia un fattore che alimenta non il carattere morale del lavoro, ma solo la sua utilità materiale. A meno di non ritenere materialisticamente e volgarmente che il valore morale delle persone sia determinato da quanti soldi guadagnano,va  riconosciuto che il denaro e il guadagno non sono  valori fini a se stessi ma un utili mezzi, che l'autonomia economica è utile ma ci sono forme di autonomia più importanti, e che nel momento in cui il conseguimento dell'autonomia economica viene raggiunto a costo dell'annullamento del tempo libero ci troviamo di fronte ad un processo disumanizzante in cui si capovolge la corretta gerarchia anteponendo i mezzi, ciò che è utile per altro (il denaro) a ciò che è fine a se stesso (il tempo da dedicare a ciò che ci piace più fare, coltivando le nostre passioni e interessi, i rapporti affettivi). Ovviamente so che in molte situazioni concrete purtroppo ciò diviene una necessità di sopravvivenza per sé e la propria famiglia, ma ciò che  contesto è che debba divenire un ideale normativo morale in generale, specie nelle situazioni in cui tutto ciò non è strettamente necessario dal punto di vista della sopravvivenza
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: The Eater Of Dreams il 01 Dicembre 2016, 13:41:14 PM
Citazione di: maral il 29 Novembre 2016, 11:44:04 AM
La dignità che offre il lavoro è quella di non dovere dipendere da altri (altre persone o organizzazioni) per il proprio mantenimento, di sentirsi individui adulti e autonomi in grado di procacciarsi da soli quanto necessario per vivere e quindi di sentirsi liberi in quanto capaci. Detto questo non vi è dubbio che il lavoro possa esercitare l'effetto contrario soffocando anziché promuovere la propria autonomia, soprattutto da quando, con l'affermarsi della visione economica dell'esistenza, della produzione industriale e del conseguente consumismo, è stato identificato con il lavoro salariato e con l'alienazione da esso prodotto.

Non dover dipendere da altri? Lavorare al massimo significa rendersi indipendenti dai propri genitori, ma sempre "dipendente" in senso assoluto rimani. Dipendente dallo Stato, dipendente dalla clientela che ti paga se lavori in privato, ecc.; comunque la tua sopravvivenza è subordinata ad "entità" altre.

Concordo con chi sostiene che la dignità appartiene "di natura" ad ogni essere umano per il semplice fatto di essere una creatura esistente, cosciente e in varia misura sofferente; e allargando il concetto, come già scritto da altri, degno potrebbe essere definito chi "è cosciente delle coscienze altrui" e vive di conseguenza, cercando di non arrecare danno agli altri, nei limiti del possibile.

Esempi terra terra: se il mio stile di vita prevede che io per sostentarmi scippi le vecchiette, è difficile pensare di poterlo definire un modo di vivere degno. Ma se invece dispongo di risorse economiche la cui fruizione non crea problemi a nessuno, e dedico il mio tempo alle mie passioni o semplicemente a fissare il muro, che problema c'è?

Il postulare l'esistenza di questa concatenazione indissolubile lavoro/dignità onestamente mi mette un po' i brividi, mi evoca istintivamente immagini come lo yuppie di American Psycho o peggio ancora certi slogan visti su certi cancelli in tempi passati.
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: maral il 01 Dicembre 2016, 22:17:22 PM
Citazione di: davintro il 01 Dicembre 2016, 11:37:29 AM
non direi che con il lavoro "si diventa se stessi", ma che con esso esprimiamo in forme oggettivate e sociali un'identità che ci costituisce aprioristicamente e interiormente.
E' solo facendo che si può sentire un'identità, la nostra identità che il contesto degli altri ci riflette in risposta al nostro fare e al nostro modo di fare. Non c'è alcun senso di identità se non in quello che abbiamo fatto che determina ciò che resta ancora da fare. Il problema nasce quando non si trova il senso di quello che si è fatto e non lo si trova poiché il mondo non ce lo riflette come qualcosa che abbia significato in cui possiamo riconoscerci, in cui possiamo stare per un po' identici a noi stessi. E' questo il motivo dell'alienazione che può produrre il lavoro, non perché io sono sempre lo stesso, come se il "me stesso fosse una sorta di ente metafisica in sé stante, ma se in quello che faccio posso sentirmi da me stesso, attraverso la risposta degli altri, riconosciuto. Facendo, letteralmente produco ciò che mi resta come immagine di me stesso, ma a volte in quell'immagine non sento di poter corrispondere. L'identità è un processo continuo del fare, è sempre un processo in atto e non è mai una cosa compiutamente realizzata, se non nel momento in cui si muore, quando non resta più niente da fare. 
Il lavoro non alienante è allora quello in cui il prodotto di ciò che ho fatto contiene qualcosa in cui gli altri vedono me come soggetto che sa fare, se questo non accade non posso sentire in me alcuna identità.
L'aspetto economico del lavoro è importante (e lo è per tutti) come elemento di riconoscimento, diventa alienante quando è intesa come l'unico elemento di riconoscimento possibile (come tu stesso dici nella tua risposta). Il delitto che abbiamo commesso è stato quello di subordinare ogni fare al denaro ed è in questa totalità di senso solo monetaria che pretende di definire completamente quello che siamo in cui ci si ritrova alienati.
Lo stesso concetto di "tempo libero" è un assurdo prodotto nell'epoca dell'industrializzazione, non c'è un tempo libero e uno occupato, ma un tempo unico in cui qualsiasi cosa si fa, siamo chiamati a riconoscerci a mezzo di ciò che facciamo. Così il cosiddetto !tempo libero" è ormai diventato ancora più alienante di quello occupato, è il tempo in cui siamo utilizzati come unità di consumo, ove il consumo è una sorta di lavoro ombra che manco ci rendiamo conto di compiere e che non ci lascia nulla.
Una società in cui non si fa nulla e non si è più capaci di fare nulla è una società di disperati, proprio come accade in un'azienda in cui ti mettono in un ufficio senza darti nulla da fare, in attesa che la tua disperazione ti obblighi ad andartene se vuoi conservare la tua salute mentale.
 

Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: maral il 01 Dicembre 2016, 23:10:59 PM
Citazione di: The Eater Of Dreams il 01 Dicembre 2016, 13:41:14 PM
Non dover dipendere da altri? Lavorare al massimo significa rendersi indipendenti dai propri genitori, ma sempre "dipendente" in senso assoluto rimani. Dipendente dallo Stato, dipendente dalla clientela che ti paga se lavori in privato, ecc.; comunque la tua sopravvivenza è subordinata ad "entità" altre.
Certo, ognuno di noi dipende sempre e comunque dagli altri per il proprio riconoscimento identitario, non siamo autarchici, l'identità in cui ci riconosciamo non è qualcosa che ci appartiene come innata e la natura non riconosce nessuna dignità agli individui che in essa esistono per il puro fatto di essere (l'essere non conferisce senso), occorre sempre la possibilità di un riconoscimento sociale prodotto dal nostro modo di fare e da quello che sappiamo fare, non nasciamo con dentro un'identità innata, in sé e per sé. La differenza sta nella misura in cui il mondo sociale nel quale ci si trova a esistere ci mostra o ci nega questa identità conferendole o negandole dignità. Identità che, come dicevo, è sempre limitata e parziale, è sempre un processo in corso, non un'essenza stabilita. Nel momento in cui il prodotto del nostro fare è riconosciuto noi possiamo riconoscerci in esso, sentire in esso la nostra identità  in via di definizione senza che una compiuta definizione appaia mai stabilita.

CitazioneEsempi terra terra: se il mio stile di vita prevede che io per sostentarmi scippi le vecchiette, è difficile pensare di poterlo definire un modo di vivere degno. Ma se invece dispongo di risorse economiche la cui fruizione non crea problemi a nessuno, e dedico il mio tempo alle mie passioni o semplicemente a fissare il muro, che problema c'è?
Anche in questo caso la dignità riguarda un riconoscimento sociale per quello che fai rispetto a quello che non fai. Il disporre di risorse economiche implica che qualcuno, lavorando al posto tuo, dia un significato d'uso a quelle risorse economiche, qualcuno di cui, vivendo di rendita, comunque utilizzi il lavoro. Quanto a passare il proprio tempo a fissare il muro credo che sia un lavoro che solo pochissimi possano permettersi di fare senza ritrovarsi dopo poco tempo psichicamente distrutti (passare giornate in cella di isolamento senza fare nulla è devastante quanto e più che essere condannati ai lavori forzati).

E' interessante comunque come al diventare del lavoro umano sempre più superfluo e meno autonomo corrisponda una sottrazione di valore al lavoro stesso in quanto tale. Il problema è che si riesce sempre meno a trovare senso in qualsiasi cosa si faccia, cosicché non resta davvero più niente da fare, solo sperare di crepare prima possibile per eliminare la noia irrimediabile e insopportabile di esistere in totale disimpegno.
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: The Eater Of Dreams il 02 Dicembre 2016, 01:45:47 AM
Citazione di: maral il 01 Dicembre 2016, 23:10:59 PM

Certo, ognuno di noi dipende sempre e comunque dagli altri per il proprio riconoscimento identitario, non siamo autarchici, l'identità in cui ci riconosciamo non è qualcosa che ci appartiene come innata e la natura non riconosce nessuna dignità agli individui che in essa esistono per il puro fatto di essere (l'essere non conferisce senso), occorre sempre la possibilità di un riconoscimento sociale prodotto dal nostro modo di fare e da quello che sappiamo fare, non nasciamo con dentro un'identità innata, in sé e per sé. La differenza sta nella misura in cui il mondo sociale nel quale ci si trova a esistere ci mostra o ci nega questa identità conferendole o negandole dignità. Identità che, come dicevo, è sempre limitata e parziale, è sempre un processo in corso, non un'essenza stabilita. Nel momento in cui il prodotto del nostro fare è riconosciuto noi possiamo riconoscerci in esso, sentire in esso la nostra identità  in via di definizione senza che una compiuta definizione appaia mai stabilita.

Molto banalmente, uno può "saper fare" anche senza che il prodotto del suo saper fare sia retribuito (=lavoro), no?


Anche in questo caso la dignità riguarda un riconoscimento sociale per quello che fai rispetto a quello che non fai. Il disporre di risorse economiche implica che qualcuno, lavorando al posto tuo, dia un significato d'uso a quelle risorse economiche, qualcuno di cui, vivendo di rendita, comunque utilizzi il lavoro.

Ma se quel qualcuno è d'accordo con me, dov'è l'indegnità? A questo punto sospetto anche io che la controversia si riduca un po' a una questione di "invidia" nei confronti di chi può eventualmente permettersi di non lavorare (sempre senza sottrarre ad altri quelle risorse in assenza del loro consenso), sentimento che va a inquinare il discorso "morale" andando di fatto a costituire un "moraleggiamento", più che altro...come d'altra parte accade per tanti altri temi sociali.


Quanto a passare il proprio tempo a fissare il muro credo che sia un lavoro che solo pochissimi possano permettersi di fare senza ritrovarsi dopo poco tempo psichicamente distrutti (passare giornate in cella di isolamento senza fare nulla è devastante quanto e più che essere condannati ai lavori forzati).

Può darsi, ma ancora una volta, che c'entra con la dignità? Se uno vuole devastarsi psichicamente, nel rispetto dell'incolumità altrui, puoi consigliargli di fare altrimenti per il suo bene, ma poi stop

E' interessante comunque come al diventare del lavoro umano sempre più superfluo e meno autonomo corrisponda una sottrazione di valore al lavoro stesso in quanto tale. Il problema è che si riesce sempre meno a trovare senso in qualsiasi cosa si faccia, cosicché non resta davvero più niente da fare, solo sperare di crepare prima possibile per eliminare la noia irrimediabile e insopportabile di esistere in totale disimpegno.

Non riesco a cogliere come sei giunto all'ultima conclusione, per cui se uno non ritiene che il lavoro rappresenti la fonte della dignità, dovrebbe svuotarsi di senso la sua intera esistenza; né ho capito da dove deduci che la persona "disimpegnata" si annoi necessariamente; magari invece si annoia di più l'uomo costretto a stare sul posto di lavoro 40+ ore a settimana perché qualcuno lo ha convinto che ciò farà di lui un essere degno (e magari di quel lavoro non gliene frega molto perché mica tutti a questo mondo, già, hanno la possibilità di accedere ad un'attività lavorativa che rappresenti quello che sentono di essere o di "voler fare"). 

In conclusione posso dirti che personalmente trovo che la vita non abbia senso - ma a prescindere da quello che uno fa o non fa. Si tratta di passare il tempo come uno meglio crede, sostanzialmente (e sempre tenendo a mente il precetto piuttosto intuitivo del "non nuocere alle altre individualità", per quanto possibile).  La pretesa che tutto questo abbia un significato più grande, o forse proprio un qualche tipo di significato, mi sembra una delle classiche risposte adattative messe in atto da una creatura scagliata nell'esistenza, dotata di coscienza e costretta fisicamente a chiedersi "perché?".
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: The Eater Of Dreams il 02 Dicembre 2016, 02:07:43 AM
Scusa, leggo solo adesso un tuo post precedente in cui affermi che l'essere pagati per quello che si fa rappresenta la modalità imprescindibile di riconoscimento del proprio "valore" di individuo, da parte della società in prima battuta e quindi a seguire da parte di sé stessi.
Che dire, qui non ho molto altro da argomentare, se non che mi sembra un'affermazione con caratteristiche di pura soggettività che tu hai elevato a considerazione oggettiva. O meglio, che la società e il giudizio sociale attualmente funzionino, su larga scala, secondo questi criteri, è innegabile, ma è proprio la fondatezza di questi criteri che io contesto; e d'altra parte mi colloco ben lontano da questo tipo di "sensazioni", riuscendo a svincolarmi con discreti risultati da questo meccanismo aprioristico di auto-riconoscimento di "dignità" esclusivamente in funzione del costume sociale vigente.
Titolo: Re:Critica al COEMM e spunti riflessivi
Inserito da: maral il 02 Dicembre 2016, 12:48:34 PM
Citazione di: The Eater Of Dreams il 02 Dicembre 2016, 01:45:47 AM
Molto banalmente, uno può "saper fare" anche senza che il prodotto del suo saper fare sia retribuito (=lavoro), no?
Sì, ma occorre che venga riconosciuto come un saper fare. La retribuzione è un aspetto di questo riconoscimento che diventa sempre più fondamentale in un contesto come quello attuale, in cui il riconoscimento finisce con l'essere monopolizzato dal denaro come medio assoluto di accesso al mondo (con questo non nego che vi possano essere resistenze soggettive, ma tali resistenze sono sempre più vanificate e riassorbite nel significato pubblico e universale dell'economia). Di questo va tenuto conto, perché si ha un bel da dire che ognuno va riconosciuto semplicemente per quello che è, di fatto non è mai così, nemmeno nel riconoscimento di se stessi (che non è mai rivolto al proprio puro esserci, ma a ciò che ci si sente capaci o incapaci di fare e per questo fa sentire di esserci) tanto è vero che chi perde il proprio lavoro (quel lavoro in cui trovava un'identità fosse pure alienante) prima o poi cade in depressione acuta se non trova un'altra occupazione a cui dedicarsi con impegno (un'occupazione vera, non un simulacro passatempo che la modernità ha creato con le sue "mode" hobbistiche), fino a potersi riconoscere per quello che pubblicamente sa fare. Leggevo proprio recentemente dell'incidenza che ha avuto sulla salute mentale e conseguentemente sulle speranze di vita media la crisi del mercato del lavoro: non è una questione solo economica (l'economia della sussistenza regalata come un'elemosina pubblica non la può risolvere) sia per chi  ha perduto il lavoro, sia per chi lo cerca e non lo trova.

CitazioneMa se quel qualcuno è d'accordo con me, dov'è l'indegnità? A questo punto sospetto anche io che la controversia si riduca un po' a una questione di "invidia" nei confronti di chi può eventualmente permettersi di non lavorare (sempre senza sottrarre ad altri quelle risorse in assenza del loro consenso), sentimento che va a inquinare il discorso "morale" andando di fatto a costituire un "moraleggiamento", più che altro...come d'altra parte accade per tanti altri temi sociali.

Può darsi, ma ancora una volta, che c'entra con la dignità? Se uno vuole devastarsi psichicamente, nel rispetto dell'incolumità altrui, puoi consigliargli di fare altrimenti per il suo bene, ma poi stop

Certamente la dignità sta in ciò che sentiamo di essere, ma ciò che sentiamo di essere è il prodotto di ciò che facciamo. E' sempre ciò che si fa (e quindi ciò che non si fa) rispetto al significato che il contesto riflette sui modi di fare che determina il sentimento di dignità di se stessi. Una cultura predatrice certamente riconosce come persona degnissima chi si dedica con successo alla rapina e lo eleva ai vertici dello stato sociale, Una visione del mondo economico-finanziaria può riconoscere come persona degnissima chi si occupa solo di denaro vivendo sul lavoro altrui che trasforma quel denaro in risorsa utilizzabile, in un ambito nichilista stare tutto il giorno a fissare il vuoto può risultare la cosa più opportuna da fare e lo stato depressivo venir considerato come ideale di dignità in cui riconoscersi. In ogni caso c'è sempre un fare e l'immagine che quel fare riflette rendendosi pubblico, e in quanto pubblico oggettivamente condivisibile in quell'ambito in cui trova effettiva condivisione.


CitazioneNon riesco a cogliere come sei giunto all'ultima conclusione, per cui se uno non ritiene che il lavoro rappresenti la fonte della dignità, dovrebbe svuotarsi di senso la sua intera esistenza;

Dalla considerazione che in ciò che il nostro fare produce generando risposte che lo riflettono troviamo comunque il senso di noi stessi, non c'è alcun senso che metafisicamente lo preceda, l'essere come tale non ha nessun significato, è una pura tautologia (e per questo è oggettiva in modo assoluto).


CitazioneLa pretesa che tutto questo abbia un significato più grande, o forse proprio un qualche tipo di significato, mi sembra una delle classiche risposte adattative messe in atto da una creatura scagliata nell'esistenza, dotata di coscienza e costretta fisicamente a chiedersi "perché?".

E non è poco, questo lavoro del chiedersi perché, che non si risolve nel fatto che non si trovi risposta esaustiva. Anzi, proprio in quanto nessuna risposta esaustiva può mai essere data, continuiamo a cercare significati e il lavoro ci impegna a produrre resti (qualcosa che ci resta), consentendoci di vivere sentendoci vivi. In questi resti consiste la remunerazione fondamentale del lavoro. Poiché solo l'uomo lavora (né gli dei né gli animali lo fanno, a meno che questi ultimi non siano costretti dall'uomo come mezzi per il suo lavoro), proprio perché solo l'uomo è gettato nel mondo.