Salve. Esiste l'eternità secondo voi ?
Se con eterno intendiamo qualcosa che dura indefinitamente nel tempo, niente è eterno. Per la semplice ragione che nessuna cosa rimane se stessa neppure per una frazione infinitesima di tempo.
Di più... nessuna cosa mai davvero è.
Se viceversa ci riferiamo all'autentica Realtà, indubbiamente essa è eterna. In quanto trascende il tempo.
Noi infatti possiamo eternare. Cioè essere eterni.
Eterniamo quando "siamo", invece subiamo il tempo quando "non siamo".
"Siamo" quando decidiamo come se fossimo Dio, cioè seguendo il Bene. "Non siamo" quando non seguiamo il Bene.
Quando seguiamo il Bene siamo eterni.
Se vale ammettere che il tempo possa avere interruzioni e riprese , allora esiste l'eternita'.
Citazione di: iano il 14 Aprile 2018, 17:15:21 PM
Se vale ammettere che il tempo possa avere interruzioni e riprese , allora esiste l'eternita'.
CitazioneMa come potrebbe il tempo avere interruzioni e riprese?
IL tempo é una misura del mutamento, una relazione (di durata) fra eventi, non qualcosa di assoluto; e dunque come si fa a dare un senso alla locuzione "interruzione (e ripresa) del tempo", se non come interruzione (e ripresa) del divenire di qualche concreto evento come durata (tempo!) nella quale tali concreti eventi sono fermi ma inevitabilmente altri divengono?
Infatti non ha senso parlare di interruzione del tempo (del divenire di cui il tempo é un' aspetto) che non abbia una durata finita, misurabile rapportandola ad altre durate di altri eventi (un' interruzione infinitamente lunga é l' inesistenza tout court del divenire e dunque del tempo, mentre un' interruzione infinitamente breve non é che il continuare ininterrotto del divenire dunque del tempo, e non un loro interrompersi o fermarsi).
Salve. Chiedo scusa. Ho appena modificato il quesito iniziale perché risultava indebitamente confuso.
L'eternità sarebbe lo scorrere del tempo privo di un inizio e di un termine.
Il tempo sarebbe il flusso degli eventi.
Gli eventi consistono nella concatenazione (continua) delle cause e degli effetti.
Quindi il quesito diventerebbe : cause ed effetti sono sempre esistiti in passato ed esisteranno sempre in futuro ?
La provocazione sta nel fatto che si danno due ipotesi:
A) Non esiste una causa prima e (quindi) non esiste un effetto-scopo ultimo. Perciò l'eternità esiste ma non esiste Dio (che per i teologi sarebbe la Causa Prima).
B) Esiste una causa prima (con o senza maiuscole) e (quindi) un effetto-scopo ultimo. Perciò Dio potrebbe esistere ma non esisterebbe l'eternità (la cui esistenza però è data per certa da credenti e teologi).
Come la mettiamo ?
Non la puoi mettere in alcun modo, perché tutti i concetti di cui ti stai servendo sono già in sé stessi contraddittori, figuriamoci se usati tutti insieme per basare su di essi un sistema di pensiero.
Eternità è contraddittorio, perché per poterlo pensare devi necessariamente inquadrarlo entro una logica che lo include; ma se lo includi entro tale logica allora non si tratta più di eternità, perché è limitato da tale logica.
Lo stesso vale per il concetto di causa prima: esso non può essere pensato se non entro una logica, ma se è entro una logica, vuol dire che c'è qualcosa che lo precede, quindi non è causa prima.
Idem per scopo ultimo, per il verbo esistere, i concetti di tempo, Dio, causa, effetto.
Citazione di: viator il 14 Aprile 2018, 23:23:02 PM
Salve. Chiedo scusa. Ho appena modificato il quesito iniziale perché risultava indebitamente confuso.
L'eternità sarebbe lo scorrere del tempo privo di un inizio e di un termine.
Il tempo sarebbe il flusso degli eventi.
Gli eventi consistono nella concatenazione (continua) delle cause e degli effetti.
Quindi il quesito diventerebbe : cause ed effetti sono sempre esistiti in passato ed esisteranno sempre in futuro ?
La provocazione sta nel fatto che si danno due ipotesi:
A) Non esiste una causa prima e (quindi) non esiste un effetto-scopo ultimo. Perciò l'eternità esiste ma non esiste Dio (che per i teologi sarebbe la Causa Prima).
B) Esiste una causa prima (con o senza maiuscole) e (quindi) un effetto-scopo ultimo. Perciò Dio potrebbe esistere ma non esisterebbe l'eternità (la cui esistenza però è data per certa da credenti e teologi).
Come la mettiamo ?
CitazioneSecondo me si tratta di un' aporia insolubile, come pensava Kant (se non ricordo male dai tempi del lceo...).
Non é possibile né logicamente né empiricamente decidere fra le due ipotesi (per me sensatissime, contrariamente a quanto sostiene AngeloCannata).
Rilevo comunque che se la conoscenza scientifica (vera) é possibile, allora é necessario (é una conditio sine qua non) che Il tempo, il flusso degli eventi, concatenazione (continua) delle cause e degli effetti, segua un divenire ordinato secondo leggi universali e costanti (= mutamento relativo o parziale = fissità relativa o parziale).
Perché possa darsi (possibilità di) conoscenza scientifica vera (e secondo me anche di responsabilità etica) questa é una premessa necessaria.
E se lo si vuol credere, secondo il fondamenta criterio razionalistico del rasoio di Ockam, é preferibile (più razionalistico) ammettere l' eternità dell' universo (unica affermazione indimostrata e indimostrabile "la natura (esiste e) diviene ordinatamente secondo leggi universali e costanti", che in assenza di ulteriori precisazioni significa "sempre ed ovunque", contro almeno due: 1 - "dall' inizio alla fine dell' universo "la natura (esiste e) diviene ordinatamente secondo leggi universali e costanti" e -2- "prima e dopo di allora la natura (non esiste e) non diviene ordinatamente secondo leggi universali e costanti".
Per questo da razionalista credente alla possibilità e verità (relativa, limitata, ovviamete) della conoscenza scientifica (e alla responsabilità morale delle persone umane) non posso che arbitrariamente, infondatamente, a mio insindacabile arbitrio scegliere l' ipotesi dell' eternità.
Citazione di: viator il 14 Aprile 2018, 23:23:02 PM
Salve. Chiedo scusa. Ho appena modificato il quesito iniziale perché risultava indebitamente confuso.
L'eternità sarebbe lo scorrere del tempo privo di un inizio e di un termine.
Il tempo sarebbe il flusso degli eventi.
Gli eventi consistono nella concatenazione (continua) delle cause e degli effetti.
Quindi il quesito diventerebbe : cause ed effetti sono sempre esistiti in passato ed esisteranno sempre in futuro ?
La provocazione sta nel fatto che si danno due ipotesi:
A) Non esiste una causa prima e (quindi) non esiste un effetto-scopo ultimo. Perciò l'eternità esiste ma non esiste Dio (che per i teologi sarebbe la Causa Prima).
B) Esiste una causa prima (con o senza maiuscole) e (quindi) un effetto-scopo ultimo. Perciò Dio potrebbe esistere ma non esisterebbe l'eternità (la cui esistenza però è data per certa da credenti e teologi).
Come la mettiamo ?
Quindi cause ed effetti , eventi , loro concatenazione , tempo.
Quindi un eventuale mondo caotico non contempla il tempo , che perciò sarebbe una proprietà emergente dalla concatenazione continua di cause ed effetti.
Naturalmente cause ed effetti sono riferiti ad oggetti che stanno alla base di tutto il discorso.
Dunque esiste un limite inferiore al numero di oggetti che esistono.
Un oggetto non vale , perché sarebbe causa di se stesso , caso banale.
Proviamo con due.
Uno è causa dell'altro.Ma quale dei due?
Direi che è indecidibile.
Quindi uno sarebbe causa dell'altro e viceversa e non si avrebbe nessun flusso di eventi.
E con tre? Continuate voi 😐
È solo una riflessione vemuta lì per lì a partire dal tuo post.
Ma così a naso concluderei che , a meno che non vi sia un numero necessario di oggetti per determinare un mondo, allora anche il determinismo è una proprietà emergente in un mondo in dipendenza della sua forma.
Quindi per poter parlare di una causa prima del mondo mi sembra necessario ipotizzare l'esistenza di più mondi.
Facciamo tre?
Uno è il nostro mondo, l'altro lo chiamiamo Dio , e l'altro ancora?
Se ci limitiamo a due mondi , posto che siano distinguibili , perché diversamente innominabili , diremo uno causa o Dio e l'altro effetto , ma in questo caso il carattere convenzionale del determinismo sarebbe lampante.
Mi piace questo discorso che mi sono inventato, ma deve esserci qualche falla sicuramente.
Ditemi voi.
Vai Sciombro.😎
P.S.Fuor da ragionamento, gli stessi oggetti non mi sembrano ciò che costituisca un mondo ma ciò che emerge dal nostro rapporto con quel mondo , e se emergono gli oggetti emerge parimenti tutto ciò che ad essi fa' riferimento.
Salve. Per Angelo : Tu hai come sempre ragione nel richiamare e dimostrare la mancanza di vero significato di qualsiasi asserzione. A me però piace giocare con i nonsensi. E' il mio trastullo mentale. Provo a mettere in fila i concetti e le loro (anzi, mie e maldestre) definizioni nella speranza che la fila non sia diritta bensì penda da qualche parte. Se sarò fortunato, a furia di pendere da una parte una simile fila presenterà una curvatura che, alla fine, genererà una circonferenza in cui l'ultimo concetto andrà a sbattere contro il primo da cui ero partito.
A quel punto mi fermerò a contemplare la circolarità dei contenuti di questo mondo, che non sarebbe poi altro che la reciproca relatività di tutto ciò che è.
Per Sgiombo : hai chiuso bene il tuo intervento. Infatti l'importante non è scegliere secondo verità o realtà, le quali sono giocose serpi eternamente sfuggenti, bensì prendere comunque una decisione basata su una nostra sensibilità interiore. Contemplare, ragionare, ma poi infine agire. Se poi la scelta sarà stata fatta senza un senso ciò vorrà solo dire che il senso lo acquisterà dopo essere stata fatta.
Per Iano : causa ed effetto sono ingredienti connessi ma indistinguibili di qualsiasi "cosa". Sia la causa che l'effetto rappresentano ciascuno una metà di una certa altra "cosa" che si chiama "evento" (ciò che accade). Tener presente che gli eventi (e le "cose") non sono solo quelli che coinvolgono la materia, ma anche l'energia, il pensiero, lo spirito, l'anima.......
Il numero minimo di ingredienti necessario e sufficiente a determinare l'esistenza del mondo è due : la sostanza (del mondo) e la forma (del mondo). Questi sono gli aspetti che, da noi percepiti o concepiti, ci permettono di affermare che il mondo esiste.
Prima ed al di sotto di essi esiste poi l'unicità costituita dal concetto di "ESSERE" - da noi concepibile ma non percepibile - il quale da solo non può venir posto da noi alla base dell'ESISTENZA del mondo poichè ne rappresenta la pura ESSENZA (l'essenza è ciò che l'essere è - l'esistenza è il modo in cui l'essere si manifesta - e mi scuso per l'orgia tautologica).
Quindi poi mi scuso ancora nel dover ricorrere ad una serie di concetti di non semplice chiaribilità e che comunque sono già stati trattati altrove nel Forum.
La struttura concettuale del mondo, in sintesi, dovrebbe quindi consistere in un ESSERE che si sdoppia ai nostri occhi nelle CAUSE e negli EFFETTI dell'ESISTENTE, il quale possiede una SOSTANZA ed una FORMA, le quali, dal punto di vista pratico-scientifico, coincidono con la MATERIA (=SOSTANZA) e l'ENERGIA (=FORMA).
Mi fermo qui perché oltre un certo punto la ricerca della chiarezza genera solo confusione ! Questi sono argomenti da saggistica, non da interventi per forumers.
Citazione di: viator il 14 Aprile 2018, 16:19:06 PM
Salve. Esiste l'eternità secondo voi ?
Che l'Esistente sia eterno io lo dò per scontato.
Il ragionamento è semplice.
Se l'Esistente non fosse eterno, vorrebbe dire che ha avuto un inizio.
Se ha avuto un inizio, vuol dire che prima dell'inizio dell'Esistente, non c'era nulla.
Ma se non c'era nulla, non c'era nemmeno alcuna Causa Iniziale che potesse trarre alcunché da quel Nulla.
Dunque, l'inizio dell'Esistente a partire da un precedente Nulla è palesemente assurdo.
Pertanto, è da rigettare l'ipotesi iniziale che l'Esistente abbia avuto un inizio; e se l'Esistente non ha avuto un inizio,
per una sorta di simmetria non potrà avere nemmeno una fine, altrimenti dovremmo assumere la sussistenza di una Causa Finale che, nell'atto di cancellare la manifestazione, cancella anche se stessa.Detto questo, e assodato che l'Esistente è eterno, la domanda più interessante mi sembra questa:
l'Esistente, oltre che eterno, è anche Infinito?
Anche in questo caso è innanzitutto un senso di simmetria a suggerire che la risposta è sì.
Ma si può fare anche un altro ragionamento.
Alcune migliaia d'anni di filosofia hanno appurato che un ente finito, limitato, contingente, non può essere causa di se stesso.
Un essere contingente richiede una causa esterna a se stessa.
Ora, l'unico modo di sfuggire all'esigenza di una causa, è assumere che l'Esistente sia infinito,
intendendo l'infinito come infinità di tutte le possibilità.
In questo infinito vi saranno tutte le possibili cause di tutti i possibili effetti.
E quindi il problema si dissolve.
Infine, è evidente che questo ente infinito è l'Assoluto, nel senso di assolutamente privo di attributi e definizioni, e dunque immobile in un eterno presente. L'infinito non può divenire, perché già contiene in sé tutti i suoi possibili stati.
Il divenire è una pura illusione, un gioco che si gioca all'interno dell'Infinito, una delle infinite possibili esplorazioni delle sue infinite possibilità.
E naturalmente, questo ente infinito non ha nulla a che fare con il Dio delle religioni.
Salve. Per Loris Bagnara. Finalmente leggo una risposta chiara ad un quesito chiaro. E, ti assicuro, ciò indipendentemente dal tipo di argomentazioni (che condivido completamente) e dalla loro maggiore o minore correttezza logica. Ma sembra difficile trovare chi parli chiaramente, perché chi parla chiaramente purtroppo non può fare molto sfoggio di cultura o pseudocultura.
Infatti il concetto di eternità sottintende l'esistenza di qualcosa che manca di misura (il tempo).
Tutto ciò che manca di misura non può quindi che essere infinito.
Tutto ciò che manca di misura non può aver avuto un inizio od una fine.
Ciò la cui misura manca è appunto l'ASSOLUTO.
Quindi se Dio esiste ed è eterno (come sostenuto da fedi e dottrine) non può che consistere nell'ASSOLUTO, cioè di ciò di cui nessuna religione, nessuna dottrina, nessuna ideologia e nessun interprete può parlare.
Complimenti, Loris.
Citazione di: viator il 16 Aprile 2018, 23:15:21 PM
Quindi se Dio esiste ed è eterno (come sostenuto da fedi e dottrine) non può che consistere nell'ASSOLUTO, cioè di ciò di cui nessuna religione, nessuna dottrina, nessuna ideologia e nessun interprete può parlare.
Ma quindi quale viene ad essere il contenuto, il significato, della parola "Dio", ora che tu l'hai usata, visto che hai detto che non è possibile parlarne? Se non è possibile parlarne, come hai fatto tu a parlarne?
Citazione di: viator il 16 Aprile 2018, 23:15:21 PM
Salve. Per Loris Bagnara. Finalmente leggo una risposta chiara ad un quesito chiaro. E, ti assicuro, ciò indipendentemente dal tipo di argomentazioni (che condivido completamente) e dalla loro maggiore o minore correttezza logica. Ma sembra difficile trovare chi parli chiaramente, perché chi parla chiaramente purtroppo non può fare molto sfoggio di cultura o pseudocultura.
Grazie Viator ;) , anch'io apprezzo particolarmente chi parla chiaro e conciso, e per questo mi sforzo di fare altrettanto.
Angelo ha scritto:
CitazioneMa quindi quale viene ad essere il contenuto, il significato, della parola "Dio", ora che tu l'hai usata, visto che hai detto che non è possibile parlarne? Se non è possibile parlarne, come hai fatto tu a parlarne?
Angelo, non far finta di non conoscere la
teologia negativa! :D Sei troppo ben preparato per non sapere che di Dio si può dire solo ciò che NON è...
L'Assoluto è al di fuori della manifestazione, e quindi totalmente inafferrabile (trascendente) per noi che siamo dentro la manifestazione, pur essendo "tessuti" con la sua "materia"...
Il Dio personale delle religioni è un essere già calato nella manifestazione; non un creatore, ma un sub-creatore (intendendo per "creazione" la trasformazione di ciò che già c'è, e mai "creazione dal nulla").
Dall'infinità dell'esistente emergono altre interessanti implicazioni.
Se è vero che nell'Assoluto vi sono tutte le infinite potenzialità, il compito della manifestazione è quello di tradurre in atto tutte le potenzialità.
Le coscienze individuali sono fra queste potenzialità. E' logico assumere allora che nella manifestazione si realizzi una gerarchia infinita di esseri senzienti a tutti i possibili livelli evolutivi, dalla coscienza più vaga e limitata, a quella più perfetta; da quella più focalizzata nell'individualità, a quella più espansa nell'universalità...
in poche parole, nella manifestazione si troverà pure qualcosa di molto simile al Dio delle religioni: un essere (anzi, infiniti esseri) talmente superiore all'uomo da apparire, appunto, come D
io creatore dell'universo.Da ciò segue anche che la coscienza, non nelle piccole individualità, ma nelle sue espressioni più estese, è coeterna alla manifestazione.
Salve. Per Angelo Cannata. Il contenuto ovviamente consiste in tre lettere dell'alfabeto latino, scritte o pronunciate. Il significato di qualcosa (cosa diversa dalla definizione di qualcosa) è rappresentato da un insieme di segni sensoriali o concettuali-convenzionali (sempre le lettere dell'alfabeto) che, opportunamente concatenate, generano miracolosamente in noi l'immagine interiore di una qualche certa cosa.
Naturalmente tale l'immagine interiore, pur scaturendo da segni convenzionali, viene da noi adattata in funzione di quanto già conteniamo (l'intera nostra visione del mondo ed i significati da noi precedentemente attribuiti a quegli stessi segni (es: d-i-o = DIO).
A me la parola Dio fa venire in mente l'ASSOLUTO, e soffermandomi a contemplare tali due concetti trovo che abbiano la medesima ESSENZA, come d'altra parte mi accade con i concetti di MONDO, TUTTO, UNO, ESSERE. Per altri, come può ben immaginare, la parola Dio assume una infinità di significati dei quali molti del tutto prosaici e legati non all'essenza di Dio, ma alla sua eventuale utilità consolatoria.
Quando dico che di Dio e dell'Assoluto e magari degli altri loro sinonimi non si può parlare, tu sai benissimo che intendo affermare che il farlo non ha alcun costrutto. Lo so che sei un esperto in contraddizioni altrui e che il demolire tutto è il sistema più efficace per evitare di erigere costruzioni sbagliate ma..........suvvia, dacci ogni tanto un poco di respiro ! Salutoni.
Salve, Per Loris Bagnara : Plaudo incondizionatamente. Al punto da non aver nulla da aggiungere. Salutoni
Citazione di: Loris Bagnara il 16 Aprile 2018, 21:40:02 PM
Citazione di: viator il 14 Aprile 2018, 16:19:06 PM
Salve. Esiste l'eternità secondo voi ?
Che l'Esistente sia eterno io lo dò per scontato.
Il ragionamento è semplice.
Se l'Esistente non fosse eterno, vorrebbe dire che ha avuto un inizio.
Se ha avuto un inizio, vuol dire che prima dell'inizio dell'Esistente, non c'era nulla.
Ma se non c'era nulla, non c'era nemmeno alcuna Causa Iniziale che potesse trarre alcunché da quel Nulla.
Dunque, l'inizio dell'Esistente a partire da un precedente Nulla è palesemente assurdo.
Pertanto, è da rigettare l'ipotesi iniziale che l'Esistente abbia avuto un inizio; e se l'Esistente non ha avuto un inizio, per una sorta di simmetria non potrà avere nemmeno una fine, altrimenti dovremmo assumere la sussistenza di una Causa Finale che, nell'atto di cancellare la manifestazione, cancella anche se stessa.
CitazioneIl ragionamento non fila per due motivi.
Il primo é l' errore costituito dall' affermazione da me evidenziata con grassetto:
Necessariamente ("vuol dire che") prima non c' era nulla se hanno avuto inizio tutti gli esistenti (tutto ciò che esiste); e non se ha avuto inizio un esistente (il che non implica il non esserci prima di tale inizio alcun altro esistente).
Questo vale solo se per "Esistente" intendi "un esistente", una parte di ciò che esiste (un ente esistente, fra altri enti esistenti).
Se invece per "Esistente" intendi "l' esistente", tutto ciò che esiste, allora é comunque erronea la frase successiva, da me evidenziata con sottolineatura:
Perché mai affinché tutto ciò che esiste, onde iniziare ad esistere, deve per forza avere una causa iniziale che lo faccia esistere?
Non é contraddittoria l' ipotesi (impossibile il fatto) che qualcosa inizi ad esistere (e finisca di esistere) non esistendo nulla prima che lo abbia causato (né dopo).
E questo sia che non si dia concatenazione causale di eventi (ovvero divenire ordinato, relativo, parziale, secondo modalità generali astraibili dal pensiero universali e costanti); sia perfino nel caso si dia concatenazione causale di eventi (ovvero divenire ordinato; dall' inizio del' esistenza di qualcosa, ovvero di tutto ciò che esiste divenendo deterministicamente, almeno in un senso "debole" o probabilistico-statistico di divenire).
Inoltre non credo che la simmetria sia un argomento cogente per qualsiasi affermazione circa la realtà: perché mai le cose reali dovrebbero per forza essere necessariamente simmetriche e non potrebbero invece anche essere asimmetriche?
"Chi l' ha detto"?
Citazione di: Loris Bagnara il 16 Aprile 2018, 21:40:02 PM
Citazione di: viator il 14 Aprile 2018, 16:19:06 PM
Salve. Esiste l'eternità secondo voi ?
Che l'Esistente sia eterno io lo dò per scontato.
Il ragionamento è semplice.
Se l'Esistente non fosse eterno, vorrebbe dire che ha avuto un inizio.
Se ha avuto un inizio, vuol dire che prima dell'inizio dell'Esistente, non c'era nulla.
Ma se non c'era nulla, non c'era nemmeno alcuna Causa Iniziale che potesse trarre alcunché da quel Nulla.
Dunque, l'inizio dell'Esistente a partire da un precedente Nulla è palesemente assurdo.
Pertanto, è da rigettare l'ipotesi iniziale che l'Esistente abbia avuto un inizio; e se l'Esistente non ha avuto un inizio, per una sorta di simmetria non potrà avere nemmeno una fine, altrimenti dovremmo assumere la sussistenza di una Causa Finale che, nell'atto di cancellare la manifestazione, cancella anche se stessa.
Detto questo, e assodato che l'Esistente è eterno, la domanda più interessante mi sembra questa:
l'Esistente, oltre che eterno, è anche Infinito?
Anche in questo caso è innanzitutto un senso di simmetria a suggerire che la risposta è sì.
Ma si può fare anche un altro ragionamento.
Alcune migliaia d'anni di filosofia hanno appurato che un ente finito, limitato, contingente, non può essere causa di se stesso.
Un essere contingente richiede una causa esterna a se stessa.
Ora, l'unico modo di sfuggire all'esigenza di una causa, è assumere che l'Esistente sia infinito,
intendendo l'infinito come infinità di tutte le possibilità.
In questo infinito vi saranno tutte le possibili cause di tutti i possibili effetti.
E quindi il problema si dissolve.
Infine, è evidente che questo ente infinito è l'Assoluto, nel senso di assolutamente privo di attributi e definizioni, e dunque immobile in un eterno presente. L'infinito non può divenire, perché già contiene in sé tutti i suoi possibili stati.
Il divenire è una pura illusione, un gioco che si gioca all'interno dell'Infinito, una delle infinite possibili esplorazioni delle sue infinite possibilità.
E naturalmente, questo ente infinito non ha nulla a che fare con il Dio delle religioni.
Chiaro.
Non può esistere un mondo che non sia ordinato , e se è ordinato allora è eterno.
Se ogni cosa segue ad un altra questa catena non ha interruzioni.
E se la catena è chiusa il mondo è finito.Se è aperta è infinito.
Ordine ed esistenza sono inseparabili.
Quindi in particolare , il tempo esiste in quanto ordine degli eventi e gli eventi esistono in quanto ordinati.
Non può esistere un inizio e una fine del mondo , in quanto ogni inizio e ogni fine sono strettamente incluse nel mondo.
A prima vista quindi non dovrebbe essere possibile prendere atto dell'esistenza di qualcosa senza al contempo rilevare un ordine correlato.
Da cosa nasce dunque l'idea del caos?
Il caos significa che qualcosa esiste privo di ordine.Sembra un paradosso , ma il caos non necessariamente esiste.Puo' semplicemente equivalere all'ignoramza dell'ordine.
Ma come faccio a rilevare l esistente senza rilevarne al contempo l'ordine?
Potrei immaginare che la percezione dell'ordine avvenga , ma non sempre emerga alla coscienza.
Mi chiedo allora se possa avvenire il contrario, cioè la percezione di un ordine , senza che emerga l'esistenza.
Questo spiegherebbe la distinzione che facciamo fra reale e ideale , che equivarrebbe quindi ad una diversa modalità in cui rileviamo l'essere ?
Che sarebbe tale quindi non nella sostanza , ma nella apparenza.
Quindi tutto è reale , o se preferite l tutto è ideale.
Qui ho usato esistente in due sensi diversi , ma credo sia chiaro.
Ho usato anche un esistente "puro" come se lo si potesse slegare dall'ordine.
Se le cose stanno così si spiega il crescente potere della matematica ,di cui alcuni si lamentano, come una accresciuta coscienza dell'ordine, con una conseguente apparente "smaterializzazione" del mondo.
Rimane solo da capire da cosa nasca la percezione duale di una unica sostanza.
Citazione di: viator il 17 Aprile 2018, 12:55:15 PM... demolire tutto è il sistema più efficace per evitare di erigere costruzioni sbagliate ma..........suvvia, dacci ogni tanto un poco di respiro!
È proprio questa la situazione in cui si è venuta a trovare la filosofia nel corso delle sue autocritiche: la sensazione di non avere più respiro, cioè non poter più riflettere, non riuscire più a trovare vie che non risultino contraddittorie e quindi vane, impercorribili. Ti posso dire che tutti i giorni io sento ciò sulla mia pelle, quando mi accorgo che, appena ho pensato una cosa, essa mi risulta già subito criticabile, demolibile, e quindi inconsistente.
Ma la soluzione al problema non può essere far finta che il problema non esista e continuare a fare filosofia ignorando le contraddizioni. Questa è la soluzione adottata dallo struzzo, che fa sparire i problemi dalla sua mente mettendosi la testa nella sabbia.
Tu stesso l'hai detto anche più indietro:
Citazione di: viator il 15 Aprile 2018, 19:18:22 PMA me però piace giocare con i nonsensi. E' il mio trastullo mentale.
Ma perché ridurre la filosofia a gioco inutile e soprattutto vecchio, sorpassato?
Senza dubbio cercare vie nuove, diverse, costa fatica, perfino frustrazione fin quando si cerca, si cerca, e non si trova nulla di soddisfacente, di accettabile.
La situazione è quella descritta da sileno, in un suo recente messaggio, di cui riporto qui solo una parte:
Citazione di: sileno il 15 Aprile 2018, 08:40:50 AMNessun interesse c'è per gli approcci di tipo filosofico, come chiarezza mentale, soprattutto educazione al rapporto con se stessi, in contrasto con l'incuria mentale. C'è urgenza di pensieri nuovi.
Rovatti definisce "fascista" il tipo di lingua propagandistica: nazismo, fascismo, berlusconismo, con linguaggi simili all'"ocoparlare" di Orwell. Tutti siamo imbevuti d'internet, TV; parliamo per semplificazioni, svuotamento di senso, come per "amore", l"libertà", ecc.
Il filosofo è scomodo, irritante, rischia la faccia se ha il coraggio di sfidare le idee prevalenti. Occorre ironia per spiazzare i problemi e farli vedere in una luce non abituale, o si resta grigi funzionari del pensiero.
Ciò che dovrebbe caratterizzare la filosofia è proprio la capacità e il coraggio di mettere in questione i modi di pensare che risultano inadeguati e contraddittori e individuarne di nuovi. Il contrario di ciò è la mente pigra, che si arrende di fronte alla pesantezza di questo lavoro e preferisce trastullarsi con i soliti vecchi metodi di pensiero.
Direi ancora di più: questa pigrizia mentale diventa complice di chiunque oggi nel mondo ha interesse a convincere la gente che non ci sono vie d'uscita e quindi tutti si devono adattare al sistema vigente. Insomma, va a finire che questo forum diventa un semplice organismo al servizio dello status quo, per fare gli interessi delle classi dominanti, così come sono suoi organismi, per molti aspetti, le telenovele, facebook, i media, i telefonini, tutti oggetti che oggi militano per un unico scopo comune: convincere la gente che non c'è uscita e che l'unica cosa che rimane da fare è trastullarsi con delle banalità.
Salve caro Angelo. Purtroppo io sono un cinico anche se non (ancora?) del tutto arido. La filosofia secondo me interesserà sempre un numero assai limitato di persone. Ma questa non è una novità. Essa non ha il potere di incidere sui destini del mondo a breve o medio termine, tuttavia il suo patrimonio è indispensabile per tener lontano un crollo traumatico della civiltà umana.
Il suo compito, secondo me, non è quello di trovare idee nuove (figuriamoci!!), ma di fungere da strumento di "allenamento" mentale che permetta - attraverso il suo strisciare all'interno dei massimi sistemi, di acquisire la capacità mentale che possa permettere di guizzare attraverso i minimi sistemi. La filosofia deve rappresentare la capacità di essere obbiettivi, distaccati ed insieme come pietosi (io son cinico verso i nostri limiti, ma pietoso verso le nostre problematiche) nei confronti dei problemi del mondo.
La filosofia assolve, nei confronti delle vicende umane, la stessa funzione assolta dal medico nei confronti della malattia : filosofia e medico devono restare sentimentalmente estranei a ciò di cui si occupano : solo così potranno essere utili alla comprensione od alla guarigione della totalità dei casi loro affidati. Diversamente diventerebbero degli ammirevoli ma quasi inutili samaritani.
La filosofia deve occuparsi di ciò che sarà sempre connaturato al nostro esistere, ricordandolo continuamente a costo di ripetersi e riducendo così il pericolo che l'uomo cerchi di regolarsi unicamente sulla base di ottiche ed istanze provvisorie, quelle che scaturiscono dalla limitatezza della sua esistenza.
Queste considerazioni dovrebbero spiegarti cosa sono il mio cinismo ed il mio trastullarmi (solo distacco), mentre la -secondo me- remota funzione della filosofia dovrebbe spiegarti il perché non se ne veda - nell'immediato - l'utilità. Saluti sinceri.
Salve. Per Iano : "Rimane solo da capire da cosa nasca la percezione duale di un'unica sostanza".
L'unicità dell'essere può venir appunto concepita ma non percepita poiché noi (e qualsiasi altro ente od entità) siamo dei contenuti dell'essere che, in quanto tali, non possono capacitarsi di ciò che li contiene. Lo stesso vale per quelli che secondo sono i sinonimi del verbo ESSERE, cioè l'ASSOLUTO, L'UNO, IL TUTTO, IL MONDO, e, per i credenti, DIO.
Perciò si instaura - come base della nostra relazione con l'ESSERE-MONDO - la prima delle relazioni possibili : quella dualistica tra il contenuto ed il contenitore. Poi ci saranno naturalmente le relazioni triplici, quadruplici, molteplici.....con tutti gli altri singoli aspetti del mondo.......
Infatti quindi poiché stiamo parlando di RELAZIONI (la percezione è anch'essa un tipo di relazione tra percipiente e percepito) è ovvio che il nostro mondo umano non riesca ad avere una relazione, cioè un contatto RELATIVO con .........l'ASSOLUTO.
@Viator
Il tempo emerge dalla ricerca di un senso per le nostre percezioni, e quindi fa' parte di questo mondo nella misura in cui noi ne facciamo parte.
Il mondo non è nel tempo, ma il tempo è nel mondo.
Quindi chiedersi se il mondo è eterno non ha senso .
Rimane tuttavia una domanda lecita in quanto parte del processo della ricerca di un senso.
Siamo alla ricerca di un senso per ogni cosa , ma non tutto si presta ad averne uno , e quando ciò si verifica non ci rimane che prenderne atto.
La nostra relazione con l'assoluta procede infatti per tentativi ed errori.
Si può intendere l'errore come ciò che una volta rimediato ci avvicini all'assoluto , oppure come ciò che una volta rimediato dia un nuovo senso alle cose , come io credo.
Come dice Angelo c'è bisogno di nuove idee , perché nuove acquisizioni richiedono di trovare sensi nuovi , i quali non sono necessariamente in continuità coi vecchi , per quanto tale eventualità sia desiderabile.
Questo quadro per alcuni diventa potenzialmente annichilente, e tanto basta per rigettarlo.
La notizia buona è che c'è sempre un risvolto positivo in ogni cosa se uno lo cerca.
La conoscenza dei limiti nei quali agiamo potrebbe anche scoraggiarci , ma dovrebbe renderci invece più padroni delle nostre azioni , più responsabili.
Ora immaginate che questo quadro sia del tutto errato e che al contempo questo errore venga condiviso da tutti.
Quali conseguenze si avrebbero?
Una maggiore fiducia nei propri mezzi.
Gente che coltiva quei mezzi in quanto nulla osta che lo si possa fare.
Gente che agisce di conseguenza.
Gente che non aspetta che il lavoro gli cada dal cielo.
Un quadro che solo per questo avrebbe un senso a cui credere.
Magari ogni tanto può servire mettere da parte una tensione verso l'assoluto, e non perché ciò non meriti avere un senso,anzi.
Citazione di: sgiombo il 17 Aprile 2018, 13:11:25 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 16 Aprile 2018, 21:40:02 PM
Citazione di: viator il 14 Aprile 2018, 16:19:06 PM
Salve. Esiste l'eternità secondo voi ?
Che l'Esistente sia eterno io lo dò per scontato.
Il ragionamento è semplice.
Se l'Esistente non fosse eterno, vorrebbe dire che ha avuto un inizio.
Se ha avuto un inizio, vuol dire che prima dell'inizio dell'Esistente, non c'era nulla.
Ma se non c'era nulla, non c'era nemmeno alcuna Causa Iniziale che potesse trarre alcunché da quel Nulla.
Dunque, l'inizio dell'Esistente a partire da un precedente Nulla è palesemente assurdo.
Pertanto, è da rigettare l'ipotesi iniziale che l'Esistente abbia avuto un inizio; e se l'Esistente non ha avuto un inizio, per una sorta di simmetria non potrà avere nemmeno una fine, altrimenti dovremmo assumere la sussistenza di una Causa Finale che, nell'atto di cancellare la manifestazione, cancella anche se stessa.
CitazioneIl ragionamento non fila per due motivi.
Il primo é l' errore costituito dall' affermazione da me evidenziata con grassetto:
Necessariamente ("vuol dire che") prima non c' era nulla se hanno avuto inizio tutti gli esistenti (tutto ciò che esiste); e non se ha avuto inizio un esistente (il che non implica il non esserci prima di tale inizio alcun altro esistente).
Questo vale solo se per "Esistente" intendi "un esistente", una parte di ciò che esiste (un ente esistente, fra altri enti esistenti).
Se invece per "Esistente" intendi "l' esistente", tutto ciò che esiste, allora é comunque erronea la frase successiva, da me evidenziata con sottolineatura:
Perché mai affinché tutto ciò che esiste, onde iniziare ad esistere, deve per forza avere una causa iniziale che lo faccia esistere?
Non é contraddittoria l' ipotesi (impossibile il fatto) che qualcosa inizi ad esistere (e finisca di esistere) non esistendo nulla prima che lo abbia causato (né dopo).
E questo sia che non si dia concatenazione causale di eventi (ovvero divenire ordinato, relativo, parziale, secondo modalità generali astraibili dal pensiero universali e costanti); sia perfino nel caso si dia concatenazione causale di eventi (ovvero divenire ordinato; dall' inizio del' esistenza di qualcosa, ovvero di tutto ciò che esiste divenendo deterministicamente, almeno in un senso "debole" o probabilistico-statistico di divenire).
Inoltre non credo che la simmetria sia un argomento cogente per qualsiasi affermazione circa la realtà: perché mai le cose reali dovrebbero per forza essere necessariamente simmetriche e non potrebbero invece anche essere asimmetriche?
"Chi l' ha detto"?
Sembri suggerire l'idea di una possibile sequenza di "esistenti" intervallati da "nulla". Ma questo, per me, non è altro che l'Esistente, appunto.
Gli intervalli di "nulla" farebbero parte dell'Esistente, anche perché
gli intervalli di nulla sarebbero solo apparenti: un "filo" deve collegare tutti gli esistenti, un po' come la funzione "stand by" consente di riaccendere la tv dopo averla spenta.E' precisamente questa la concezione dell'induismo, quando parla del respiro di Brahma, l'emissione e il riassorbimento dell'universo.Fra un universo e il successivo, vi è una pausa, il pralaya, che non è davvero "nulla", perché conserva i "semi" del'universo successivo.Comunque, se si considera che l'Esistente comprende infinite sequenze di universi, allora non c'è mai veramente un "momento" di "nulla": da "qualche parte" ci sarà sempre qualcosa in manifestazione.Tu poi scrivi:CitazionePerché mai affinché tutto ciò che esiste, onde iniziare ad esistere, deve per forza avere una causa iniziale che lo faccia esistere?
Proprio tu che insisti sulla "chiusura causale" dell'universo affermi una cosa del genere?Certo che vi deve essere una causa affinché una cosa esista. Se vedo che fuori piove, mi domando perché piove, e la scienza mi dà una risposta.E invece se si tratta dell'universo, mi devo accontentare di dire "Va be', l'universo esiste, punto e basta"?Che razza di logica è questa?Quanto alla simmetria, è un mio senso "estetico" di cui potrei anche fare a meno, perché si possono far valere altri ragionamenti, come ho mostrato.Ma è anche vero che è l'osservazione stessa dei fenomeni dell'universo a suggerircelo.Si pensi alla cosmologia relativistica: ogni punto dell'universo è equivalente all'altro nell'osservazione dell'universo stesso.Questa è lampante simmetria.E anche nel mondo delle particelle, vi sono interpretazioni che suggeriscono come le interazioni fra particelle si possano leggere anche facendo procedere il tempo al contrario, e considerando le particelle come antiparticelle. Anche questa è lampante simmetria.P.S. Ripensandoci più attentamente, l'idea di "una possibile sequenza di 'esistenti' intervallati da 'nulla'", non ha alcun senso.Dire che due cose sono separate da "nulla", è come dire che NON sono separate.E pertanto, la conclusione necessaria è che NON esiste alcun "buco" nella manifestazione (l'Esistente)...
Citazione di: Loris Bagnara il 18 Aprile 2018, 10:05:43 AMSembri suggerire l'idea di una possibile sequenza di "esistenti" intervallati da "nulla". Ma questo, per me, non è altro che l'Esistente, appunto.
Gli intervalli di "nulla" farebbero parte dell'Esistente, anche perché gli intervalli di nulla sarebbero solo apparenti: un "filo" deve collegare tutti gli esistenti, un po' come la funzione "stand by" consente di riaccendere la tv dopo averla spenta.
E' precisamente questa la concezione dell'induismo, quando parla del respiro di Brahma, l'emissione e il riassorbimento dell'universo.
Fra un universo e il successivo, vi è una pausa, il pralaya, che non è davvero "nulla", perché conserva i "semi" del'universo successivo.
Comunque, se si considera che l'Esistente comprende infinite sequenze di universi, allora non c'è mai veramente un "momento" di "nulla": da "qualche parte" ci sarà sempre qualcosa in manifestazione.
CitazioneDavvero non riesco a capire dove e come sembrerei suggerire l'idea di una possibile sequenza di "esistenti" intervallati da "nulla".
Invece sostengo che l' ipotesi che il tutto esistente (l' esistenza della la realtà) sia preceduta da nulla di esistente é altrettanto plausibile (anche se meno razionalistica se considerata insieme a quella della possibilità della conoscenza scientifica) di quella che sia preceduta da qualcosaltro, ovvero che il tutto esistente, pur mutando, sia eterno.
Ha senso affermare che la funzione "stand by" consente di riaccendere la tv dopo averla spenta solo alla condizione che la funzione stand bay, finché accade realmente, non é tutto ciò che accade (il tutto) in quanto la durata (finita) dell' esistenza della funzione stand by può accadere (ha senso il pensarla) solo se accadono altri eventi oltre ad essa che "riempiano" (durino;e misurino) tale tempo finito.
Infatti anche tu affermi che "Fra un universo e il successivo, vi è una pausa, il pralaya, che non è davvero "nulla", perché conserva i "semi" del'universo successivo", i quali ultimi evidentemente sono qualcosa di reale, e non (sono) nulla.
Tu poi scrivi:
CitazionePerché mai affinché tutto ciò che esiste, onde iniziare ad esistere, deve per forza avere una causa iniziale che lo faccia esistere?
Proprio tu che insisti sulla "chiusura causale" dell'universo affermi una cosa del genere?
Certo che vi deve essere una causa affinché una cosa esista. Se vedo che fuori piove, mi domando perché piove, e la scienza mi dà una risposta.
E invece se si tratta dell'universo, mi devo accontentare di dire "Va be', l'universo esiste, punto e basta"?
Che razza di logica è questa?
CitazioneCredo nella chiusura causale dell' universo fisico materiale (che non esaurisce la realtà in toto) senza poterlo dimostrare; semplicemente rilevando che é necessaria se può darsi conoscenza scientifica dell' universo stesso.
Non deve necessariamente esserci una causa affinché una cosa esista (tranne che nell' ambito di un universo in divenire ordinato secondo leggi universali e costanti; se ciò accade).
Ma l' universo (materiale naturale) in divenire ordinato stesso non accade nell' ambito di alcunché d' altro di reale (che sia materiale naturale): universo (materiale naturale) = tutto ciò che accade, oltre il quale nulla d' altro accade (di materiale naturale).
Dunque la logica consente (non: impone) benissimo che se si tratta dell'universo, ci si deve accontentare di dire "Va be', l'universo esiste, punto e basta".
Quanto alla simmetria, è un mio senso "estetico" di cui potrei anche fare a meno, perché si possono far valere altri ragionamenti, come ho mostrato.
CitazioneDove e come?
Ma è anche vero che è l'osservazione stessa dei fenomeni dell'universo a suggerircelo.
Si pensi alla cosmologia relativistica: ogni punto dell'universo è equivalente all'altro nell'osservazione dell'universo stesso.
Questa è lampante simmetria.
E anche nel mondo delle particelle, vi sono interpretazioni che suggeriscono come le interazioni fra particelle si possano leggere anche facendo procedere il tempo al contrario, e considerando le particelle come antiparticelle. Anche questa è lampante simmetria.
CitazioneQueste evidenze scientifiche non implicano affatto che la simmetria sia necessaria al di fuori di esse.
Ma esse riguardano solo ciò che di fatto esiste (e si osserva; di materiale naturale), non anche ciò che potrebbe essere esistito o meno prima (e dopo; e oltre) ciò che di naturale materiale esiste.
P.S. Ripensandoci più attentamente, l'idea di "una possibile sequenza di 'esistenti' intervallati da 'nulla'", non ha alcun senso.
Dire che due cose sono separate da "nulla", è come dire che NON sono separate.
E pertanto, la conclusione necessaria è che NON esiste alcun "buco" nella manifestazione (l'Esistente)...
CitazioneCome sostenuto da me.
Ma un "buco" nell' ambito dell' (interno all') esistente =/= (un ipotetico) nulla prima e/o dopo (al di fuori dell') esistente.
Sgiombo ha scritto:
CitazioneInvece sostengo che l' ipotesi che il tutto esistente (l' esistenza della la realtà) sia preceduta da nulla di esistente é altrettanto plausibile [...]
Da cosa derivi la "plausibilità" di quanto affermi, resta da capire: certamente non dall'esperienza fisica, che da nessuna parte mostra cose che spuntano dal nulla. Una delle leggi fondamentali della scienza è "Nulla si crea, nulla si distrugge": non nel tuo universo, evidentemente, che sorge e scompare in clamorosa violazione di una sua stessa legge fondamentale; ma che però, per tutto il resto del tempo, la rispetta rigorosamente...
Quindi l'esistente, secondo te, ammettendo che possa essere preceduto dal nulla, come ritieni "altrettanto plausibile", sarebbe costituito da una serie di fenomeni, di cui
- il primo non ha una causa che lo preceda;
- l'ultimo non ha un effetto che lo segua;
- quelli in mezzo, devono avere necessariamente una causa e un effetto se si ammette la "chiusura causale", ovvero la possibilità di conoscere l'universo.
Lasciami dire che la logica di quanto sopra lascia molto a desiderare...
Sarebbe più congruente supporre che anche tutti i fenomeni intermedi non abbiano né cause né effetti, e che l'universo sia inconoscibile.
Anzi, si potrebbe supporre che l'universo venga cancellato e ricreato ad ogni "istante di Planck" (il più piccolo intervallo temporale), e che la consequenzialità causale sia solo un'illusione, frutto di un falso ricordo instillato nelle coscienze degli esseri senzienti che popolano questi effimeri universi... Magari gli universi si susseguono completamente differenti l'uno dall'altro... Assurdo, no?
Ma perfino un'assurdità del genere sarebbe più coerente di quel che sostieni tu.
Il principio di causalità o lo accetti fino in fondo, o ne fai del tutto a meno.
Ma prenderlo un po' si e un po' no, solo dove ci fa comodo, mi lascia perplesso.
Ma anche ammettendo la "plausibilità" che l'esistente sia scaturito dal nulla, allora, dico io, se è accaduto una volta, cosa vieta che accada ancora, dopo la scomparsa di questo attuale universo? E cosa vieta di pensare che sia accaduto anche prima di questo attuale universo? Anzi, se la cosa è plausibile, allora è del tutto naturale pensare che sia accaduto infinite volte prima di questa, e che accadrà infinite volte dopo di questa. Dunque, se è "plausibile" che l'esistente sorga dal nulla, e sparisca nel nulla, allora è altrettanto plausibile che questo ciclo si sia ripetuto infinite volte prima, e che si ripeta infinite volte dopo... Nulla lo vieta. Anzi, se può farlo, lo farà senz'altro, perché il nulla ne ha di pazienza, ha tutto il tempo che vuole...
Ma in questo modo si arriva a un Esistente che è fatto di infiniti esistenti intervallati da... nulla. E questo, come abbiamo convenuto, è semplicemente l'Esistente, infinito ed eterno, e senza "buchi" al suo interno...
Ecco, a proposito di infinito: non hai toccato la questione dell'infinità dell'esistente, che va di pari passo con l'eternità.
Questo, poi, è incomprensibile:
CitazioneMa l' universo (materiale naturale) in divenire ordinato stesso non accade nell' ambito di alcunché d' altro di reale (che sia materiale naturale): universo (materiale naturale) = tutto ciò che accade, oltre il quale nulla d' altro accade (di materiale naturale).
Dunque la logica consente (non: impone) benissimo che se si tratta dell'universo, ci si deve accontentare di dire "Va be', l'universo esiste, punto e basta".
Aggiungo questa ulteriore riflessione sull'ultimo post di Sgiombo, che a un certo punto così commenta una mia affermazione sulla simmetria:
CitazioneQueste evidenze scientifiche non implicano affatto che la simmetria sia necessaria al di fuori di esse.
Ma esse riguardano solo ciò che di fatto esiste (e si osserva; di materiale naturale), non anche ciò che potrebbe essere esistito o meno prima (e dopo; e oltre) ciò che di naturale materiale esiste.
Qui si sottintende una distinzione fra ciò che è "materiale e naturale" e qualcos'altro che può non essere "materiale e naturale".
Ma tutto ciò che esiste o può esistere è naturale, per il fatto stesso che esiste o può esistere: potrebbe forse esistere qualcosa di "innaturale"? Che senso ha?
Ma tutto ciò che esiste o può esistere è anche materiale, nel senso che è una particolare manifestazione (più o meno sottile) di una sostanza-radice unica.
Ammettere due o più sostanze-radice è una contraddizione in termini.
Quanto alla simmetria, c'è questo esauriente saggio che spiega come i concetti di invarianza e simmetria siano basilari nella scienza moderna:
https://www.luisabonolis.it/A.I.F._Schools_files/AIFGruppi201410_098-113_Bonolis.pdf
Citazione di: Loris Bagnara il 18 Aprile 2018, 21:51:50 PM
Sgiombo ha scritto:
CitazioneS.:
Invece sostengo che l' ipotesi che il tutto esistente (l' esistenza della la realtà) sia preceduta da nulla di esistente é altrettanto plausibile [...]
L.B.:
Da cosa derivi la "plausibilità" di quanto affermi, resta da capire: certamente non dall'esperienza fisica, che da nessuna parte mostra cose che spuntano dal nulla. Una delle leggi fondamentali della scienza è "Nulla si crea, nulla si distrugge": non nel tuo universo, evidentemente, che sorge e scompare in clamorosa violazione di una sua stessa legge fondamentale; ma che però, per tutto il resto del tempo, la rispetta rigorosamente...
CitazioneS.:
Innanzitutto il "mio universo" non sorge e scompare dal nulla, in quanto fideisticamente (nell' impossibilità di risolvere il problema razionalmente) propendo per l' infinità nel tempo (e pure nello spazio) dell' universo fisico, in quanto ipotesi più razionalistica per il rasoio di Ockam (meno tesi indimostrate; e indimostrabili) della contraria -della finitezza- se credute insieme alla credenza nella -possibilità di- conoscenza scientifica di esso: appunto é più razionalistico (ma non più certamente vero) pensare che un universo che per tutto il resto del tempo, rispetta rigorosamente il principio generale "nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma secondo modalità universali e costanti", però sorga e scompaia in clamorosa violazione di esso.
Ovviamente tanto che l' universo fisico "spunti dal nulla", tanto che sia eterno non può essere né mostrato empiricamente (a meno di essere, letteralmente, il Padreterno), né dimostrato logicamente: tanto la finitezza nel tempo (e nello spazio) quanto l' infinitezza di esso sono concetti logicamente corretti, non contraddittori, perfettamente sensati, parimenti pensabili -ovviamente in reciproca alternativa- come possibile caratteristica della realtà.
L:B.:
Quindi l'esistente, secondo te, ammettendo che possa essere preceduto dal nulla, come ritieni "altrettanto plausibile", sarebbe costituito da una serie di fenomeni, di cui
- il primo non ha una causa che lo preceda;
- l'ultimo non ha un effetto che lo segua;
- quelli in mezzo, devono avere necessariamente una causa e un effetto se si ammette la "chiusura causale", ovvero la possibilità di conoscere l'universo.
Lasciami dire che la logica di quanto sopra lascia molto a desiderare...
CitazioneS.:
Non vedo dove né come la logica lasci a desiderare: mostrami la presunta contraddizione (o le presunte contraddizioni) in questa ipotesi.
Sarebbe contraddittorio per esempio dire che il primo evento non ha una causa che lo precede e inoltre ce l' ha (o viceversa); oppure che l' ultimo non ha un effetto che lo segua e inoltre ce l' ha (o viceversa); oppure che quelli in mezzo, devono avere necessariamente una causa e un effetto (se si ammette la "chiusura causale", ovvero la possibilità di conoscere l'universo) e inoltre non ce li hanno (o viceversa).
Per la logica uno stesso ente/evento non può contemporaneamente avere e non avere una casa e/o un effetto, ma di diversi enti/eventi gli uni possono benissimo averne e gli altri non averne.
L.B.:
Sarebbe più congruente supporre che anche tutti i fenomeni intermedi non abbiano né cause né effetti, e che l'universo sia inconoscibile.
CitazioneS.:
Non so che significhi "congruente".
Ma comunque di certo non é contraddittorio il contrario (né che non esista/accada alcun evento privo di cause - effetti, ovvero che l' universo sia eterno; il che, unitamente alla credenza nella -possibilità di- conoscenza scientifica -vera-, é solo più razionalistico, implicando un minore numero di tesi indimostrabili).
L.B.:
Anzi, si potrebbe supporre che l'universo venga cancellato e ricreato ad ogni "istante di Planck" (il più piccolo intervallo temporale), e che la consequenzialità causale sia solo un'illusione, frutto di un falso ricordo instillato nelle coscienze degli esseri senzienti che popolano questi effimeri universi... Magari gli universi si susseguono completamente differenti l'uno dall'altro... Assurdo, no?
CitazioneS.:
Per niente assurdo!
Dove starebbe mai la contraddizione logica che lo renderebbe assurdo?
(A parte l' assurdità del "falso ricordo -casomai la falsa induzione- instillato nelle coscienze degli esseri senzienti che popolano questi effimeri universi"), tutto ciò in teoria é perfettamente possibile (logicamente coerente).
L:B.:
Ma perfino un'assurdità del genere sarebbe più coerente di quel che sostieni tu.
Il principio di causalità o lo accetti fino in fondo, o ne fai del tutto a meno.
Ma prenderlo un po' si e un po' no, solo dove ci fa comodo, mi lascia perplesso.
CitazioneS.:
Sarebbe contraddittorio assumere il divenire ordinato ("principio di causalità") relativamente a parte della realtà complessiva e contemporaneamente negarlo relativamente alla stessa, medesima parte della realtà complessiva, oppure assumerlo relativamente alla totalità della realtà complessiva e contemporaneamente negarlo relativamente alla (medesima) totalità della realtà complessiva: assumerlo relativamente a "qualcosa" e contemporaneamente negarlo relativamente al medesimo "qualcosa", ma non affatto assumerlo relativamente a "qualcosa" e contemporaneamente negarlo relativamente a un diverso "qualcosaltro".
************************************************
CitazioneL. B.:
Ma anche ammettendo la "plausibilità" che l'esistente sia scaturito dal nulla, allora, dico io, se è accaduto una volta, cosa vieta che accada ancora, dopo la scomparsa di questo attuale universo? E cosa vieta di pensare che sia accaduto anche prima di questo attuale universo? Anzi, se la cosa è plausibile, allora è del tutto naturale pensare che sia accaduto infinite volte prima di questa, e che accadrà infinite volte dopo di questa. Dunque, se è "plausibile" che l'esistente sorga dal nulla, e sparisca nel nulla, allora è altrettanto plausibile che questo ciclo si sia ripetuto infinite volte prima, e che si ripeta infinite volte dopo... Nulla lo vieta. Anzi, se può farlo, lo farà senz'altro, perché il nulla ne ha di pazienza, ha tutto il tempo che vuole...
S.:
Proprio così: nulla vieta tutto ciò; non concordo unicamente sull' ultima riga: pur essendo l' eternità "tutto il tempo che ci vuole" perché accada (o meglio: possa - e non. debba- accadere) qualunque evento, non é detto che (ciò non é sufficiente affinché) tutti gli eventi immaginabili accadano (in sequenza, non contemporaneamente quelli esprimibili con affermazioni reciprocamente contraddittorie); infatti non é contraddittorio, e dunque é plausibile che non accadano tutti.
L.B.:
Ma in questo modo si arriva a un Esistente che è fatto di infiniti esistenti intervallati da... nulla. E questo, come abbiamo convenuto, è semplicemente l'Esistente, infinito ed eterno, e senza "buchi" al suo interno...
CitazioneS.:
Ripeto (l' ho già argomentato in un altro intervento) che "esistenti intervallati da nulla", non ha senso: non si può parlare sensatamente di "intervallo" (reale) se in esso nulla accade, se esso é costituito da nulla
L.B.:
Ecco, a proposito di infinito: non hai toccato la questione dell'infinità dell'esistente, che va di pari passo con l'eternità.
S.:
Questa proprio non l' ho capita.
L.B.:
Questo, poi, è incomprensibile:
CitazioneS.:
Ma l' universo (materiale naturale) in divenire ordinato stesso non accade nell' ambito di alcunché d' altro di reale (che sia materiale naturale): universo (materiale naturale) = tutto ciò che accade, oltre il quale nulla d' altro accade (di materiale naturale).
Dunque la logica consente (non: impone) benissimo che se si tratta dell'universo, ci si deve accontentare di dire "Va be', l'universo esiste, punto e basta".
CitazioneS.:
Non comprendi che oltre al "tutto" non può esistere accadere "alcunché d' altro" (sarebbe contraddittorio un "tutto ciò che é reale" che contemporaneamente non é "tutto ciò che é reale" perché c' é qualcos' altro di reale)?
Dunque poiché una causa (o un effetto) possa darsi, non può trattarsi di una causa (o effetto) di tutto ciò che é reale, dal momento che oltre (in aggiunta) a tutto ciò che é reale non può essere reale alcunché.
E allora evidentemente se si tratta dell'universo, ci si deve accontentare di dire "Va be', l'universo esiste, punto e basta", anziché pretendere che abbia causa (o spiegazione) alcuna..
Citazione di: Loris Bagnara il 19 Aprile 2018, 10:07:10 AM
Aggiungo questa ulteriore riflessione sull'ultimo post di Sgiombo, che a un certo punto così commenta una mia affermazione sulla simmetria:
CitazioneQueste evidenze scientifiche non implicano affatto che la simmetria sia necessaria al di fuori di esse.
Ma esse riguardano solo ciò che di fatto esiste (e si osserva; di materiale naturale), non anche ciò che potrebbe essere esistito o meno prima (e dopo; e oltre) ciò che di naturale materiale esiste.
Qui si sottintende una distinzione fra ciò che è "materiale e naturale" e qualcos'altro che può non essere "materiale e naturale".
Ma tutto ciò che esiste o può esistere è naturale, per il fatto stesso che esiste o può esistere: potrebbe forse esistere qualcosa di "innaturale"? Che senso ha?
Ma tutto ciò che esiste o può esistere è anche materiale, nel senso che è una particolare manifestazione (più o meno sottile) di una sostanza-radice unica.
Ammettere due o più sostanze-radice è una contraddizione in termini.
CitazioneEsiste anche, sensatissimamente, il pensiero (la cartesiana "res cogitans"), oltre al mondo materiale naturale (la cartesiana "res extensa"), che ad essa non é affatto riducibile, né da essa "emerge" o ad essa "sopravviene" qualsiasi cosa questi concetti possano significare.
E che se il mondo materiale naturale é scientificamente conoscibile (ergo: causalmente chiuso) con esso non interferisce minimamente.
Quanto alla simmetria, c'è questo esauriente saggio che spiega come i concetti di invarianza e simmetria siano basilari nella scienza moderna:
https://www.luisabonolis.it/A.I.F._Schools_files/AIFGruppi201410_098-113_Bonolis.pdf
Citazionenon posso che ripetere che
Queste evidenze scientifiche non implicano affatto che la simmetria sia necessaria al di fuori di esse.
Ma esse riguardano solo ciò che di fatto esiste (e si osserva; di materiale naturale), non anche ciò che potrebbe essere esistito o meno prima (e dopo; e oltre) ciò che di naturale materiale esiste.
@Sgiombo
Quando accennavo all'infinito, intendevo dire che l'infinito è l'altra "faccia" dell'eternità.
Sull'eternità ti sei espresso, e hai affermato che ritieni ragionevole sostenerla, e anche io lo ritengo ragionevole, anche se magari per motivi differenti.
Io poi mi sono espresso anche a favore dell'infinitezza dell'Esistente, ma non conosco la tua opinione in merito: intendevo dire questo.Nel tuo messaggio successivo hai scritto:CitazioneEsiste anche, sensatissimamente, il pensiero (la cartesiana "res cogitans"), oltre al mondo materiale naturale (la cartesiana "res extensa"), che ad essa non é affatto riducibile, né da essa "emerge" o ad essa "sopravviene" qualsiasi cosa questi concetti possano significare.
E che se il mondo materiale naturale é scientificamente conoscibile (ergo: causalmente chiuso) con esso non interferisce minimamente.
A mio parere, il dualismo cartesiano (come ogni altra forma di dualismo) porta a problematiche irrisolvibili oppure a incongruenze.
Se si ammettono due "res" che non interferiscono l'una con l'altra, sorge il problema di spiegare la corrispondenza fra pensiero e corpo: come posso anche solo decidere di alzare un braccio, se il mio pensiero non interferisce con il corpo?
Per risolvere il problema, devo introdurre un terzo ente che si occupi di garantire la corrispondenza fra le due "res": per gli occasionalisti (ad es. Malebranche) questo ente è Dio. Anche tu Sgiombo introduci un terzo ente: tu lo chiami Noumeno, ma, consentimi di dire, svolge la stessa identica funzione di Dio per gli occasionalisti.
Ma il problema a questo punto è solo apparentemente risolto. Parliamo del Noumeno: se il Noumeno può interagire separatamente con entrambe le "res", significa che fra il Noumeno e ciascuna delle "res" esiste una relazione, una sostanza comune che consenta tale interazione. Se la sostanza del Noumeno è tale da essere in relazione con le due "res", ne consegue anche, però, che la sostanza delle due "res" è tale da poterle mettere in reciproca relazione. In conclusione, il Noumeno e le due "res" devono condividere una sola sostanza radice, più sottile di quella precedentemente ipotizzata. Il Noumeno e le due "res", allora, si rivelano solo tre differenti aspetti dell'UNO.
A nulla serve ipotizzare che il Noumeno abbia due "scompartimenti" riservati ai rapporti con ciascuna delle due "res": dovrei allora risolvere il problema di come questi due scompartimenti si riconducano all'unità del Noumeno. Se non risolvo il problema, il Noumeno si dissolve, e i suoi scompartimenti si rivelano solo propaggini delle "res", incapaci di comunicare...
Riassumendo, il rifiuto del monismo in favore del dualismo porta ad una trinità, che si rivela in definitiva un'unità...
Citazione di: Loris Bagnara il 19 Aprile 2018, 11:33:24 AM
CitazioneEsiste anche, sensatissimamente, il pensiero (la cartesiana "res cogitans"), oltre al mondo materiale naturale (la cartesiana "res extensa"), che ad essa non é affatto riducibile, né da essa "emerge" o ad essa "sopravviene" qualsiasi cosa questi concetti possano significare.
E che se il mondo materiale naturale é scientificamente conoscibile (ergo: causalmente chiuso) con esso non interferisce minimamente.
A mio parere, il dualismo cartesiano (come ogni altra forma di dualismo) porta a problematiche irrisolvibili oppure a incongruenze.
CitazioneConcordo limitatamente al dualismo cartesiano.
Infatti il mio non é un dualismo (dei fenomeni; e monismo del noumeno) cartesiano: per me res cogitans e res extensa (entrambe parimenti fenomeniche; contro Cartesio) non interferiscono reciprocamente ma invece divengono "parallelamente su piani ontologici diversi e incomunicanti", in corrispondenza biunivoca.
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Se si ammettono due "res" che non interferiscono l'una con l'altra, sorge il problema di spiegare la corrispondenza fra pensiero e corpo: come posso anche solo decidere di alzare un braccio, se il mio pensiero non interferisce con il corpo?
CitazionePerché al mio pensiero "voglio alzare il braccio" nell' ambito della (parte mentale della) mia esperienza fenomenica cosciente corrispondono biunivocamente (almeno potenzialmente nella parte materiale di altre esperienze fenomeniche coscienti solitamente diverse dalla mia; potenzialmente e indirettamente anche nella mia) determinati eventi neurofisiologici del mio cervello includenti l' attivazione degli opportuni motoneuroni che determinano le opportune contrazioni degli opportuni gruppi muscolari: sono questi eventi neurofisiologici cerebrali (materiali naturali) e non la mia volontà di alzare il braccio (cui puntualmente ed univocamente corrispondono nell' ambito della mia esperienza cosciente) a causare, nel perfetto rispetto della chiusura causale del mondo fisico, il fatto che il mio braccio si alzi.
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Per risolvere il problema, devo introdurre un terzo ente che si occupi di garantire la corrispondenza fra le due "res": per gli occasionalisti (ad es. Malebranche) questo ente è Dio. Anche tu Sgiombo introduci un terzo ente: tu lo chiami Noumeno, ma, consentimi di dire, svolge la stessa identica funzione di Dio per gli occasionalisti.
CitazioneSì (anche se in alternativa si potrebbe probabilmente ammettere anche una sorta di "leibniziana armonia prestabilita" fra (res cogitans e res extensa delle) diverse esperienze fenomeniche coscienti senza alcun noumeno).
E che male c' é?
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Ma il problema a questo punto è solo apparentemente risolto. Parliamo del Noumeno: se il Noumeno può interagire separatamente con entrambe le "res", significa che fra il Noumeno e ciascuna delle "res" esiste una relazione, una sostanza comune che consenta tale interazione. Se la sostanza del Noumeno è tale da essere in relazione con le due "res", ne consegue anche, però, che la sostanza delle due "res" è tale da poterle mettere in reciproca relazione. In conclusione, il Noumeno e le due "res" devono condividere una sola sostanza radice, più sottile di quella precedentemente ipotizzata. Il Noumeno e le due "res", allora, si rivelano solo tre differenti aspetti dell'UNO.
A nulla serve ipotizzare che il Noumeno abbia due "scompartimenti" riservati ai rapporti con ciascuna delle due "res": dovrei allora risolvere il problema di come questi due scompartimenti si riconducano all'unità del Noumeno. Se non risolvo il problema, il Noumeno si dissolve, e i suoi scompartimenti si rivelano solo propaggini delle "res", incapaci di comunicare...
CitazioneIl noumeno non interagisce (causalmente) con i fenomeni, ma vi corrisponde puntualmente e univocamente: una certa determinata situazione del noumeno e non altre, una certa determinata situazione dei fenomeni e non altre.
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Riassumendo, il rifiuto del monismo in favore del dualismo porta ad una trinità, che si rivela in definitiva un'unità...
CitazioneDualismo dei fenomeni (fenomenico), monismo del noumeno (in sé o noumenico).
@Sgiombo, riguardo le "res" e il noumeno. Tu scrivi (estraggo solo i passi salienti):
CitazioneInfatti il mio non é un dualismo (dei fenomeni; e monismo del noumeno) cartesiano: per me res cogitans e res extensa (entrambe parimenti fenomeniche; contro Cartesio) non interferiscono reciprocamente ma invece divengono "parallelamente su piani ontologici diversi e incomunicanti", in corrispondenza biunivoca.
[...]
Il noumeno non interagisce (causalmente) con i fenomeni, ma vi corrisponde puntualmente e univocamente: una certa determinata situazione del noumeno e non altre, una certa determinata situazione dei fenomeni e non altre.
Le due res, affermi, appartengono a due piani ontologici incomunicanti (anche se poi scrivi che entrambe le res sono fenomeniche, e questo già non mi convince, perché se entrambe sono fenomeniche, significa che qualcosa in comune ce l'hanno e quindi non sono due piani incomunicanti; ma andiamo oltre...)
Poi affermi che il noumeno non interagisce causalmente con le res, ma vi corrisponde "puntualmente".
Per riassumere, avremmo così tre piani ontologici incomunicanti l'uno con l'altro, senza relazioni causali intercorrenti fra l'uno e l'altro, e tuttavia questi piani si troverebbero in puntuale e univoca corrispondenza... Il problema resta irrisolto: chi o che cosa garantisce questa corrispondenza biunivoca, o meglio triunivoca? Non basta affermare che la corrispondenza c'è, bisogna precisare chi la garantisce, e come. Altrimenti l'unica soluzione che resta è l'armonia prestabilita, come dici; ma che a me, decisamente, non piace...
C'è anche un'altra cosa da dire al proposito. Se sussiste la chiusura causale del mondo fisico, e se la res cogitans non interferisce con i fenomeni fisici, a cosa serve appunto la res cogitans? Perché esistono coscienze intrappolate in un corpo (gli esseri umani) con l'illusione di poter comandare quel corpo?
Una situazione del genere significa ad esempio questo: se io ora decido di alzare il braccio, non è il mio pensiero ad alzare il mio braccio, ma è tutta la necessaria sequenza causale dal Big Bang ad questo istante, ad alzare il mio braccio...
Non solo il mio pensiero, la mia coscienza non serve a nulla; ma diventa perfino una tortura, perché la consapevolezza di essere prigionieri in un universo del genere è qualcosa di semplicemente mostruoso...
@Sgiombo, in un precedente post hai scritto:
CitazioneSarebbe contraddittorio per esempio dire che il primo evento non ha una causa che lo precede e inoltre ce l' ha (o viceversa); oppure che l' ultimo non ha un effetto che lo segua e inoltre ce l' ha (o viceversa); oppure che quelli in mezzo, devono avere necessariamente una causa e un effetto (se si ammette la "chiusura causale", ovvero la possibilità di conoscere l'universo) e inoltre non ce li hanno (o viceversa).
Per la logica uno stesso ente/evento non può contemporaneamente avere e non avere una casa e/o un effetto, ma di diversi enti/eventi gli uni possono benissimo averne e gli altri non averne.
Che i fenomeni possano essere definiti e isolati l'uno dal'altro, è un artificio concettuale della nostra mente: comodo per comprendere l'universo, ma pur sempre un artificio.
Non solo la riflessione filosofica, ma anche la scienza stessa è sempre più consapevole che esiste un solo fenomeno, l'universo nella sua globalità, che si manifesta in una rete inestricabile di relazioni, che noi chiamiamo enti, oggetti, fenomeni...
Questa rete inestricabile di relazioni ci si mostra con le caratteristiche della necessarietà, ossia con i legami di causa ed effetto, ed è proprio questo che la scienza studia e che anche tu affermi con il principio della "chiusura causale dell'universo".
Come si può dunque sostenere che alcune relazioni, all'interno del medesimo fenomeno-universo, siano causali e altre no?
@Sgiombo, in un precedente post hai scritto:
CitazioneNon comprendi che oltre al "tutto" non può esistere accadere "alcunché d' altro" (sarebbe contraddittorio un "tutto ciò che é reale" che contemporaneamente non é "tutto ciò che é reale" perché c' é qualcos' altro di reale)?
Dunque poiché una causa (o un effetto) possa darsi, non può trattarsi di una causa (o effetto) di tutto ciò che é reale, dal momento che oltre (in aggiunta) a tutto ciò che é reale non può essere reale alcunché.
E allora evidentemente se si tratta dell'universo, ci si deve accontentare di dire "Va be', l'universo esiste, punto e basta", anziché pretendere che abbia causa (o spiegazione) alcuna..
Questo ragionamento, che ho visto proporre anche da altri, è viziato dall'ambiguità del concetto di "tutto".
Vi sono almeno tre modi di intendere "tutto":
- tutto ciò che posso sperimentare e conoscere, direttamente o indirettamente;
- tutto ciò che esiste, incluso ciò che non posso sperimentare e conoscere, direttamente o indirettamente;
- la manifestazione in atto di tutte le infinite potenzialità.
Solo il punto 3 si può davvero intendere come il TUTTO; invece i punti 1 e 2 sono solo un "tutto relativo", il che è come dire che non sono il TUTTO, ma solo un "qualcosa". E sembra di capire che il "tutto" che intendi tu è il punto 1 o 2, dunque non il TUTTO, ma solo un "qualcosa".
Però, oltre 2000 anni di filosofia hanno appurato senza ombra di incertezza che "qualcosa" non è sufficiente a giustificare da sé la propria esistenza. Solo l'infinito basta a se stesso. Il finito, no.Non è solo un problema di ordine causale; è anche un problema di ordine logico. Mi spiego.
Assumiamo che
l'universo sia un ente finito, con una certa quantità di materia/energia, un certo volume, certe precise leggi fisiche etc.Per fare un esempio semplice, quanto sopra sarebbe come dire che l'universo è fatto da 29 palline rosse di 3 cm di diametro che si urtano su un piano di biliardo di 2x3 m. Può giustificare se stesso un universo del genere? Perché 29 palline e non 30 o 28? Perché sferiche e non di altra forma? Perché rosse e non verdi o gialle? Perché un piano da biliardo, e proprio di quella dimensione? Perché urtarsi, e non semplicemente star ferme?Di fronte alla constatazione di un universo del genere, chi non si porrebbe queste e molte altre domande? Forse solo tu, Sgiombo.
Anche la scienza moderna prova un profondo disagio quando si trova di fronte all'arbitrarietà delle leggi fisiche, ed è proprio per questo che i fisici sono alla ricerca della teoria del TUTTO, in grado di spiegare la necessarietà di tutte le leggi fisiche osservabili (purtroppo non ce la faranno, perché solo l'infinito è in grado di rendere ragione di se stesso).
RISPOSTE ALLE OBIEZIONI DI LORIS BAGNARALoris Bagnara:Le due res, affermi, appartengono a due piani ontologici incomunicanti (anche se poi scrivi che entrambe le res sono fenomeniche, e questo già non mi convince, perché se entrambe sono fenomeniche, significa che qualcosa in comune ce l'hanno e quindi non sono due piani incomunicanti; ma andiamo oltre...)Sgiombo:Avere qualcosa in comune =/= comunicare, interferire casualmente.Perché due cose (insiemi di enti o eventi) abbiano qualcosa in comune non é affatto necessario che comunichino.Anche Giulio Cesare e Giulio Regeni avevano qualcosa in comune, il nome, ma non credo che il dittatore a vita dell' antica Roma abbia qualche responsabilità (o altre interferenze causali) nella morte del ricercatore.Anche un qualsiasi fiume su un qualche altro pianeta di una qualche altra galassia ha in comune con il Po e con qualsdiasi altro fiume terrestre lo scorrere di acqua, ma nessuna interferenza causale accade fra il PO o qualsiasi fiume terrestre e qualsiasi fiume di qualsiasi altro pianeta di qualsiasi altra galassia.E gli esempi si potrebbero moltiplicare ad libitum.Loris Bagnara:Poi affermi che il noumeno non interagisce causalmente con le res, ma vi corrisponde "puntualmente".Per riassumere, avremmo così tre piani ontologici incomunicanti l'uno con l'altro, senza relazioni causali intercorrenti fra l'uno e l'altro, e tuttavia questi piani si troverebbero in puntuale e univoca corrispondenza... Il problema resta irrisolto: chi o che cosa garantisce questa corrispondenza biunivoca, o meglio triunivoca? Non basta affermare che la corrispondenza c'è, bisogna precisare chi la garantisce, e come. Altrimenti l'unica soluzione che resta è l'armonia prestabilita, come dici; ma che a me, decisamente, non piace...Sgiombo:Non lo garantisce niente e nessuno, come ho sempre affermato a chiarissime lettere.É una spiegazione dei rapporti fra il divenire della materia e della coscienza indimostrabile (ma nemmeno si può dimostrare che così non sia; e d' altra parte non ne conosco spiegazioni migliori: né quella di Malebranche, né quella di Leibniz mi sembrano tali).Inoltre le neuroscienze (soprattutto attraverso l' imaging neurologico funzionale) dimostrano chiaramente che per lo meno una corrispondenza biunivoca fra cervello ed esperienza cosciente c' é (se é vera la conoscenza scientifica): ogni certo determinato stato o processo mentale di un esperienza cosciente e nessun altro necessariamente corrisponde biunivocamente a un certo determinato stato o processo neurofisiologico di un certo determinato cervello e a nessun altro stato o processo neurofisiologico di alcun altro cervello (e viceversa).Loris Bagnara:C'è anche un'altra cosa da dire al proposito. Se sussiste la chiusura causale del mondo fisico, e se la res cogitans non interferisce con i fenomeni fisici, a cosa serve appunto la res cogitans? Perché esistono coscienze intrappolate in un corpo (gli esseri umani) con l'illusione di poter comandare quel corpo?Una situazione del genere significa ad esempio questo: se io ora decido di alzare il braccio, non è il mio pensiero ad alzare il mio braccio, ma è tutta la necessaria sequenza causale dal Big Bang ad questo istante, ad alzare il mio braccio...Non solo il mio pensiero, la mia coscienza non serve a nulla; ma diventa perfino una tortura, perché la consapevolezza di essere prigionieri in un universo del genere è qualcosa di semplicemente mostruoso...Sgiombo:Non é che ciò che accade in realtà debba per forza servire a qualcosa: tantissime cose (enti ed eventi) esistono-accadono senza "servire a niente".Solo agenti coscienti, come gli uomini si pongono fini per conseguire i quali usano mezzi , i quali per l' appunto servono ai rispettivi scopi (ma non lo fanno sempre necessariamente: possono fare anche tante cose inutilmente, senza scopo alcuno).La tua domanda retorica su (l' assenza de-) gli scopi della coscienza avrebbe senso se prima mi dimostrassi che l' uomo e gli altri animali coscienti sono stati prodotti intenzionalmente da qualcuno per un qualche scopo (e anche in questo caso quel "qualcuno" potrebbe anche avere realizzato le coscienze "in più", come può accadere che nel percorrere un cammino come mezzo per raggiungere una meta ci si fermi o si faccia qualche digressione inutile solo per vedere qualche bel panorama o magari solo perché si é in anticipo sul desiderato e ci si può concedere uno svago)Per (mia) fortuna non trovo nulla di mostruoso nella mia coscienza, non mi sento prigioniero di nulla e men che meno torturato da nessuno.Sgiombo;Sarebbe contraddittorio per esempio dire che il primo evento non ha una causa che lo precede e inoltre ce l' ha (o viceversa); oppure che l' ultimo non ha un effetto che lo segua e inoltre ce l' ha (o viceversa); oppure che quelli in mezzo, devono avere necessariamente una causa e un effetto (se si ammette la "chiusura causale", ovvero la possibilità di conoscere l'universo) e inoltre non ce li hanno (o viceversa).Per la logica uno stesso ente/evento non può contemporaneamente avere e non avere una casa e/o un effetto, ma di diversi enti/eventi gli uni possono benissimo averne e gli altri non averne.Loris Bagnara:Che i fenomeni possano essere definiti e isolati l'uno dal'altro, è un artificio concettuale della nostra mente: comodo per comprendere l'universo, ma pur sempre un artificio.
Non solo la riflessione filosofica, ma anche la scienza stessa è sempre più consapevole che esiste un solo fenomeno, l'universo nella sua globalità, che si manifesta in una rete inestricabile di relazioni, che noi chiamiamo enti, oggetti, fenomeni...
Questa rete inestricabile di relazioni ci si mostra con le caratteristiche della necessarietà, ossia con i legami di causa ed effetto, ed è proprio questo che la scienza studia e che anche tu affermi con il principio della "chiusura causale dell'universo".
Come si può dunque sostenere che alcune relazioni, all'interno del medesimo fenomeno-universo, siano causali e altre no?Sgiombo:E infatti all' interno dell' universo si può ipotizzare come possibile (ma non affermare con certezza come necessario) un divenire ordinato, ovvero una concatenazione cause-effetti degli eventi (necessario perché possa darsene conoscenza scientifica vera).Ma invece dell' universo come totalità, se ha avuto un inizio, come é perfettamente sensato ipotizzare, non può darsi (e nemmeno può sensatamente ipotizzarsi) alcuna causa precedente perché sarebbe contraddittorio pretendere che oltre alla totalità esista qualcosaltro che ne sia causa, che prima che esistesse alcunché esistesse una causa del successivo esistere di tutto l' esistente.Dunque si può dunque sostenere che tutte le relazioni (nessuna esclusa), all'interno dell' universo, siano causali, mentre si deve necessariamente sostenere (per non cadere in contraddizione) che al di fuori dell' universo non visa nulla, ivi compresa una causa dell' universo stesso.Sgiombo:Non comprendi che oltre al "tutto" non può esistere accadere "alcunché d' altro" (sarebbe contraddittorio un "tutto ciò che é reale" che contemporaneamente non é "tutto ciò che é reale" perché c' é qualcos' altro di reale)?Dunque poiché una causa (o un effetto) possa darsi, non può trattarsi di una causa (o effetto) di tutto ciò che é reale, dal momento che oltre (in aggiunta) a tutto ciò che é reale non può essere reale alcunché.E allora evidentemente se si tratta dell'universo, ci si deve accontentare di dire "Va be', l'universo esiste, punto e basta", anziché pretendere che abbia causa (o spiegazione) alcuna..Loris bagnara:Questo ragionamento, che ho visto proporre anche da altri, è viziato dall'ambiguità del concetto di "tutto".Vi sono almeno tre modi di intendere "tutto":
- tutto ciò che posso sperimentare e conoscere, direttamente o indirettamente;
- tutto ciò che esiste, incluso ciò che non posso sperimentare e conoscere, direttamente o indirettamente;
- la manifestazione in atto di tutte le infinite potenzialità.
Solo il punto 3 si può davvero intendere come il TUTTO; invece i punti 1 e 2 sono solo un "tutto relativo", il che è come dire che non sono il TUTTO, ma solo un "qualcosa". E sembra di capire che il "tutto" che intendi tu è il punto 1 o 2, dunque non il TUTTO, ma solo un "qualcosa".Sgiombo:Se la frase "la manifestazione in atto di tutte le infinite potenzialità" ha un senso (diverso da quello di "tutto ciò che esiste, incluso ciò che non posso sperimentare e conoscere, direttamente o indirettamente"), questo non può che essere "la realtà, il reale accadere di tutto ciò che é pensabile".Ma tutto ciò che é pensabile non é affatto reale.E anzi nemmeno potrebbe esserlo perché pensabile é "di tutto e di più", ovvero "tutto e il contrario di tutto", mentre reale può essere solo o "tutto" oppure "il contrario di tutto": non può essere reale l' accadere realmente di qualcosa a un certo tempo e in un certo luogo e inoltre il non accadere realmente di tale "qualcosa" a quello stesso tempo e in quello stesso luogo, anche se invece può benissimo essere pensato sia l' accadere sia, in alternativa, il non accadere realmente di tale "qualcosa" a quello stesso tempo e in quello stesso luogo.Loris Bagnara:Però, oltre 2000 anni di filosofia hanno appurato senza ombra di incertezza che "qualcosa" non è sufficiente a giustificare da sé la propria esistenza. Solo l'infinito basta a se stesso. Il finito, no.Sgiombo:Ma quando mai ? ! ? ! ? !Loris Bagnara:Non è solo un problema di ordine causale; è anche un problema di ordine logico. Mi spiego.Assumiamo che l'universo sia un ente finito, con una certa quantità di materia/energia, un certo volume, certe precise leggi fisiche etc.Per fare un esempio semplice, quanto sopra sarebbe come dire che l'universo è fatto da 29 palline rosse di 3 cm di diametro che si urtano su un piano di biliardo di 2x3 m. Può giustificare se stesso un universo del genere? Perché 29 palline e non 30 o 28? Perché sferiche e non di altra forma? Perché rosse e non verdi o gialle? Perché un piano da biliardo, e proprio di quella dimensione? Perché urtarsi, e non semplicemente star ferme?
Di fronte alla constatazione di un universo del genere, chi non si porrebbe queste e molte altre domande? Forse solo tu, Sgiombo.Anche la scienza moderna prova un profondo disagio quando si trova di fronte all'arbitrarietà delle leggi fisiche, ed è proprio per questo che i fisici sono alla ricerca della teoria del TUTTO, in grado di spiegare la necessarietà di tutte le leggi fisiche osservabili (purtroppo non ce la faranno, perché solo l'infinito è in grado di rendere ragione di se stesso).La domanda "perché" può significare o "per quale causa?", oppure "per quale scopo?"Sgiombo:Nel primo caso ho già chiarito che mentre se il divenire dell' universo é ordinato secondo una concatenazione causale ha senso chiedersi quali siano gli eventi-causa accadenti all' interno dell' universo degli eventi-effetto accadenti all' interno dell' universo, invece dell' universo in toto, oltre al quale per definizione non esiste nulla, non ha senso chiedersi quali sano le cause (all' esterno di esso, oltre ad esso) dell' universo.Nel secondo caso si può porre unicamente per quanto realizzato da un soggetto cosciente e intenzionale di azione.Ma di nuovo oltre all' universo in toto non può esservi alcunché d' altro per definizione; compreso un qualche agente intenzionale che ne sia il realizzatore per un qualche suo scopo.Potremmo per esempio ipotizzare ce ci sia un Dio creatore che avesse creato tutto il resto dell' universo (oltre a Lui) per amore (come sostengono le principali religioni): "l' amore divino" sarebbe allora il "perché?" (lo scopo) di tutto il resto dell' universo tranne Dio, ma non potrebbe esserci comunque un "perché" (scopo) dell' universo in toto, Dio compreso.
Mi accodo.
Secondo me esiste come ciclo.
Perchè se (e solo se) il tempo esiste, allora è possibile formulare non solo una sua forma continua come siamo soliti usare, ma anche come forma circolatoria, o a imbuto come Godel ammise.
Nel caso dell'inbuto, giunti al suo vertice il cono continua in un cono opposto.
Ammettendo in quel caso, addirittura il ritorno nel passato. Come se fossimo in una infinita clessidra.
Rimarrebbe il quesito della massima espansione del cerchio...ma su quello ignoro.
Per conto mio, credo fermamente nella ciclicità, come è già intuibile dal giro delle stagioni e della volta celeste.
Per quanto riguarda Dio seguo l'idea protestante/evangelica che Egli NON è nel tempo, è fuori dal tempo. E solo per questo dicibile come Eterno.
Edit.
E ovviamente credo nell'ESSERE, del qui e ora come eterno, tema filosofico per eccellenza.
@Sgiombo, non trovo convincenti, né complete, nessuna delle risposte che hai dato alle mie obiezioni.
Se osservo la realtà e estendo ragionevolmente la validità dei principi che osservo ("come in alto così in basso" ), non c'è nulla che possa suggerirmi un sistema filosofico così artificioso, e così poco in grado di fornire risposte, come quelle che ti sei scelto. Anche ammesso (ma non concesso) che "nulla lo escluda", il tuo sistema non è né l'unico né tanto meno il migliore, e quindi non vedo motivi per cui si dovrebbe adottare, visto che la ragione fondamentale per cui esiste la filosofia è per dare risposte, per dare un senso alle cose. Se uno si accontenta del non senso, non ha bisogno di sistemi filosofici... Ma la chiuderei qui, andremmo avanti all'infinito.
A proposito di infinito, però, non ti sei ancora espresso chiaramente in merito: la totalità, per te, è infinita?
Ne tu né io sappiamo con certezza se la totalità è un infinito del tipo 1, 2 o 3 (vedi mio precedente post).
Nessuna delle tre opzioni si può dimostrare; possiamo solo scegliere quella che ci sembra più ragionevole.
Io ho scelto la 3 (il TUTTO), perché mi pare più ragionevole, nel senso che il TUTTO dà ragione di se stesso, cioé contiene in se stesso la ragione necessaria e sufficiente per la propria esistenza.
Nulla obbliga a scegliere la 1 o la 2, e se uno lo fa, dovrebbe spiegare perché ritiene tali opzioni più ragionevoli della 3.
PS La soluzione di Malebrabranche è indubbiamente migliore della tua, perché dal momento che sento il bisogno di postulare un ente che risolva il problema della reciproca trascendenza delle due res, almeno attribuisco a quell'ente (Dio, per Malebranche) anche il compito di spiegare e dare un senso alla realtà, cosa che il tuo noumeno non è in grado di fare, anzi, apre più questioni di quante non ne chiuda.
Citazione di: sgiombo il 21 Aprile 2018, 16:15:42 PMLoris Bagnara:
Però, oltre 2000 anni di filosofia hanno appurato senza ombra di incertezza che "qualcosa" non è sufficiente a giustificare da sé la propria esistenza. Solo l'infinito basta a se stesso. Il finito, no.
Sgiombo:
Ma quando mai ? ! ? ! ? !
Il principio di ragion sufficiente è un caposaldo del pensiero filosofico occidentale dai greci in poi, anche se formulato esplicitamente per primo da Leibniz (cfr.
http://www.treccani.it/enciclopedia/ragion-sufficiente_%28Enciclopedia-Italiana%29/).Da questo principio discende quanto affermavo: ciò che è limitato, finito, contingente, non è ragione sufficiente di se stesso.
Io non conosco alcuna corrente filosofica di rilievo, nessun grande pensatore che abbia negato questo principio... Tu sì?
Citazione di: Loris Bagnara il 23 Aprile 2018, 10:24:09 AM
@Sgiombo, non trovo convincenti, né complete, nessuna delle risposte che hai dato alle mie obiezioni.
Se osservo la realtà e estendo ragionevolmente la validità dei principi che osservo ("come in alto così in basso" ), non c'è nulla che possa suggerirmi un sistema filosofico così artificioso, e così poco in grado di fornire risposte, come quelle che ti sei scelto. Anche ammesso (ma non concesso) che "nulla lo escluda", il tuo sistema non è né l'unico né tanto meno il migliore, e quindi non vedo motivi per cui si dovrebbe adottare, visto che la ragione fondamentale per cui esiste la filosofia è per dare risposte, per dare un senso alle cose. Se uno si accontenta del non senso, non ha bisogno di sistemi filosofici... Ma la chiuderei qui, andremmo avanti all'infinito.
CitazioneA parte il fatto che le mie tesi sono argomentate e sensatissime (anche se in buona parte non provate; come d' altra parte nessuna proposta ad esse alternativa) non vedo qui alcuna argomentazione per sostenere le tue critiche (o meglio la tua liquidazione).
A proposito di infinito, però, non ti sei ancora espresso chiaramente in merito: la totalità, per te, è infinita?
Ne tu né io sappiamo con certezza se la totalità è un infinito del tipo 1, 2 o 3 (vedi mio precedente post).
Nessuna delle tre opzioni si può dimostrare; possiamo solo scegliere quella che ci sembra più ragionevole.
Io ho scelto la 3 (il TUTTO), perché mi pare più ragionevole, nel senso che il TUTTO dà ragione di se stesso, cioé contiene in se stesso la ragione necessaria e sufficiente per la propria esistenza.
Nulla obbliga a scegliere la 1 o la 2, e se uno lo fa, dovrebbe spiegare perché ritiene tali opzioni più ragionevoli della 3.
CitazioneCome ho dimostrato nel precedente intervento (non posso che copiare-incollare), Se la frase "la manifestazione in atto di tutte le infinite potenzialità" ha un senso (diverso da quello di "tutto ciò che esiste, incluso ciò che non posso sperimentare e conoscere, direttamente o indirettamente"), questo non può che essere "la realtà, il reale accadere di tutto ciò che é pensabile".
Ma tutto ciò che é pensabile non é affatto reale.
E anzi nemmeno potrebbe esserlo perché pensabile é "di tutto e di più", ovvero "tutto e il contrario di tutto", mentre reale può essere solo o "tutto" oppure "il contrario di tutto": non può essere reale l' accadere realmente di qualcosa a un certo tempo e in un certo luogo e inoltre il non accadere realmente di tale "qualcosa" a quello stesso tempo e in quello stesso luogo, anche se invece può benissimo essere pensato sia l' accadere sia, in alternativa, il non accadere realmente di tale "qualcosa" a quello stesso tempo e in quello stesso luogo.
PS La soluzione di Malebrabranche è indubbiamente migliore della tua, perché dal momento che sento il bisogno di postulare un ente che risolva il problema della reciproca trascendenza delle due res, almeno attribuisco a quell'ente (Dio, per Malebranche) anche il compito di spiegare e dare un senso alla realtà, cosa che il tuo noumeno non è in grado di fare, anzi, apre più questioni di quante non ne chiuda.
CitazioneLa mia soluzione é indubbiamente migliore di quella di Malebranche perché contrariamente a questa non é arbitrariamente, indimostrabilmente compromessa con le religioni rivelate, il provvidenzialismo, ecc.
E inoltre é perfettamente coerente con la consapevolezza dell' assurdità della pretesa di un senso della totalità, dalla totalità stessa (in sé e per sé, senza aggiunta alcuna che le dia senso) diverso: pretendere che qualcosa esista oltre alla totalità, che alla totalità stessa dia un senso é palesemente contraddittorio (diverso essendo il caso di un senso di enti o eventi particolari, parziali nell' ambito di una totalità in divenire ordinato secondo modalità universali e costanti).
Loris Bagnara:Il principio di ragion sufficiente è un caposaldo del pensiero filosofico occidentale dai greci in poi, anche se formulato esplicitamente per primo da Leibniz (cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/ragion-sufficiente_%28Enciclopedia-Italiana%29/).Da questo principio discende quanto affermavo: ciò che è limitato, finito, contingente, non è ragione sufficiente di se stesso.Io non conosco alcuna corrente filosofica di rilievo, nessun grande pensatore che abbia negato questo principio... Tu sì?Sgiombo:
Certo che sì!In filosofia, contrariamente che nelle scienze. non esiste consenso universalmente accettato su quasi nulla, principio di ragion sufficiente compreso (e comunque un eventuale universale consenso su qualsiasi tesi -anche ammesso e non concesso- non sarebbe una ragione sufficiente a crederla sicuramente vera o a vietarne la critica e al negazione.
@Sgiombo;
CitazioneCome ho dimostrato nel precedente intervento (non posso che copiare-incollare), Se la frase "la manifestazione in atto di tutte le infinite potenzialità" ha un senso (diverso da quello di "tutto ciò che esiste, incluso ciò che non posso sperimentare e conoscere, direttamente o indirettamente"), questo non può che essere "la realtà, il reale accadere di tutto ciò che é pensabile".
Ma tutto ciò che é pensabile non é affatto reale.
E anzi nemmeno potrebbe esserlo perché pensabile é "di tutto e di più", ovvero "tutto e il contrario di tutto", mentre reale può essere solo o "tutto" oppure "il contrario di tutto": non può essere reale l' accadere realmente di qualcosa a un certo tempo e in un certo luogo e inoltre il non accadere realmente di tale "qualcosa" a quello stesso tempo e in quello stesso luogo, anche se invece può benissimo essere pensato sia l' accadere sia, in alternativa, il non accadere realmente di tale "qualcosa" a quello stesso tempo e in quello stesso luogo.
E invece è proprio così: a cominciare dal fatto che la manifestazione è ESSERE e al tempo stesso NON ESSERE, il cui risultato è il DIVENIRE.
Il TUTTO non è limitato a ciò che è pensabile, perché sarebbe come dire che il TUTTO soggiace ai limiti della mente umana. Il TUTTO è molto di più, infinitamente di più.
Tutto ciò che è pensabile è anche reale, altrimenti non sarebbe pensabile. Per tutto ciò che è pensabile, esiste uno scenario in cui esso può realizzarsi, e se può realizzarsi, lo farà. Anzi, lo fa, è già in atto da qualche parte. L'ipotesi del multiverso è una parziale rappresentazione del TUTTO, ma già fa capire che esistono infiniti scenari dove tutte le infinite combinazioni degli eventi possono (devono) verificarsi (proprio "tutto e il contrario di tutto"). Nella cornice del multiverso la distinzione di tempo e luogo non ha più senso. Si può dire che tutto avvenga nello stesso luogo e nello stesso tempo.
Del resto, se ti chiedessi di definire che cosa è reale, e che cosa non lo è, come faresti? Esiste qualche criterio? Quella che noi chiamiamo realtà, potrebbe essere un sogno, da cui un giorno potremmo risvegliarci in una realtà "più reale", e così via... Il senso della realtà è inseparabile da un coscienza che lo percepisca. Il senso della realtà è un fatto di coscienza.
Non mi pare poi di aver liquidato il tuo sistema senza motivazioni. Ho ampiamente argomentato le mie critiche nei post precedenti, e non è il caso di fare copia e incolla.
Preferisco riassumere in poche parole i punti principali.In primo luogo trovo incongruo rigettare la validità del principio di ragione sufficiente, e accettare "la chiusura causale dell'universo": il principio di causalità è un aspetto del principio di ragion sufficiente, e lo troviamo confermato in ogni esperienza del mondo in cui viviamo. E' artificioso distinguere la totalità dei fenomeni dai singoli fenomeni (non esistono singoli fenomeni), e affermare che la legge di causalità (in generale, il principio di ragion sufficiente) può valere per le parti, ma non per il tutto. Ne consegue la tua (per me) errata legittimazione di una totalità che non è tale, e che anzi si mostra come una verità tautologica (la totalità è tutto ciò che realmente esiste, e tutto ciò che realmente esiste è la totalità). Ma le tautologie non stanno in piedi da sole...
Per quanto riguarda gli altri aspetti del tuo sistema, osservo quanto segue.
Ci sono tre piani ontologici, la cui esistenza è ingiustificata alla luce del principio di ragion sufficiente (vedi sopra); ma, quel che è peggio, questi non servono allo scopo per cui sono stati chiamati in causa (quando dico "servire" intendo non uno scopo metafisico, ma la ragione filosofica per cui li assumo).
Il noumeno sembra essere chiamato in causa per risolvere il problema della corrispondenza fra res extensa e res cogitans, ma poi dichiari che esso non interferisce causalmente con gli altri due piani e che "nulla garantisce" la corrispondenza di cui sopra, che resta solo supposta e indimostrata. Credo che Occam, col suo rasoio, darebbe un bel taglio a questo noumeno che "non serve" a nulla...
Per non parlare di altri problemi. Cosa avviene alla morte? La coscienza individuale, che si trova nella res cogitans, cioè in un piano ontologico non causalmente legato alla res extensa, dovrebbe essere indifferente alle sorti del corpo fisico. E' così? La coscienza dunque è immortale? Perché se lo neghi, allora deve esistere un agente con la precisa funzione di distruggere la coscienza individuale nell'attimo in cui il relativo corpo muore, allo scopo di mantenere la suddetta corrispondenza... E' così? E se sì, qual è questo agente? In quale piano si trova, visto che gli altri due non interferiscono causalmente con la res cogitans?
Specularmente, analoghi ragionamenti possono essere fatti per il momento della nascita.Mi fermo qui: queste e altre incongruenze o assurdità emergono non appena si cominci un po' a sviscerare i dettagli...
Citazione di: Loris Bagnara il 24 Aprile 2018, 10:40:21 AM
@Sgiombo;
CitazioneCome ho dimostrato nel precedente intervento (non posso che copiare-incollare), Se la frase "la manifestazione in atto di tutte le infinite potenzialità" ha un senso (diverso da quello di "tutto ciò che esiste, incluso ciò che non posso sperimentare e conoscere, direttamente o indirettamente"), questo non può che essere "la realtà, il reale accadere di tutto ciò che é pensabile".
Ma tutto ciò che é pensabile non é affatto reale.
E anzi nemmeno potrebbe esserlo perché pensabile é "di tutto e di più", ovvero "tutto e il contrario di tutto", mentre reale può essere solo o "tutto" oppure "il contrario di tutto": non può essere reale l' accadere realmente di qualcosa a un certo tempo e in un certo luogo e inoltre il non accadere realmente di tale "qualcosa" a quello stesso tempo e in quello stesso luogo, anche se invece può benissimo essere pensato sia l' accadere sia, in alternativa, il non accadere realmente di tale "qualcosa" a quello stesso tempo e in quello stesso luogo.
E invece è proprio così: a cominciare dal fatto che la manifestazione è ESSERE e al tempo stesso NON ESSERE, il cui risultato è il DIVENIRE.
Il TUTTO non è limitato a ciò che è pensabile, perché sarebbe come dire che il TUTTO soggiace ai limiti della mente umana. Il TUTTO è molto di più, infinitamente di più.
CitazioneNo!
Essere == essere =/= non essere.
Divenire =/= essere fisso, immutabile.
Divenire =/= non essere.
Si pretende (indebitamente, falsamente) che "il tutto soggiace ai limiti della mente umana" se si afferma che "é reale solo ciò che é pensabile e non altro" (cosa che non mai preteso!) e non affatto che "tutto ciò che é pensabile (anche cose reciprocamente contraddittorie, pensabili in reciproca alternativa) é reale", che é semplicemente assurdo (oltre che falso; ché altrimenti avrei avuto tante di quelle bellissime donne!).
C' é una bella differenza ! ! !
Tutto ciò che è pensabile è anche reale, altrimenti non sarebbe pensabile.
CitazioneE' anche reale in quanto pensabile e basta, in quanto oggetto o contenuto di pensiero ma non affatto necessariamente in quanto contenuto della realtà (e non solo in quanto pensato): c' é una bella differenza fra un ippogrifo realmente pensato (reale sono in quanto oggetto o contenuto di pensiero. che ci può far divertire o meno) e un cavallo reale (non solo in quanto oggetto di pensiero), che ci può dare un sonoro calcione, madandoci magari al creatore ! ! !
Per tutto ciò che è pensabile, esiste uno scenario in cui esso può realizzarsi, e se può realizzarsi, lo farà.
Anzi, lo fa, è già in atto da qualche parte.
CitazionePregasi dimostrare (ammesso e non concesso che sia possibile).
L' ipotesi del multiverso è una parziale rappresentazione del TUTTO, ma già fa capire che esistono infiniti scenari dove tutte le infinite combinazioni degli eventi possono (devono) verificarsi (proprio "tutto e il contrario di tutto"). Nella cornice del multiverso la distinzione di tempo e luogo non ha più senso. Si può dire che tutto avvenga nello stesso luogo e nello stesso tempo.
CitazioneSe anche fosse (ammesso e non concesso), sarebbe soltanto nell' "ipotesi" (parola tua) del multiverso!
...Peccato che si tratti di un' ipotesi indimostrata e indimostrabile!
Del resto, se ti chiedessi di definire che cosa è reale, e che cosa non lo è, come faresti? Esiste qualche criterio? Quella che noi chiamiamo realtà, potrebbe essere un sogno, da cui un giorno potremmo risvegliarci in una realtà "più reale", e così via... Il senso della realtà è inseparabile da un coscienza che lo percepisca. Il senso della realtà è un fatto di coscienza.
CitazioneDi questo vaniloquio posso concordare solo col fatto che quella che noi chiamiamo realtà, potrebbe essere un sogno, da cui un giorno potremmo risvegliarci in una realtà non onirica.
Non mi pare poi di aver liquidato il tuo sistema senza motivazioni. Ho ampiamente argomentato le mie critiche nei post precedenti, e non è il caso di fare copia e incolla. Preferisco riassumere in poche parole i punti principali.
CitazioneNOn é il caso di farlo perché non ci sarebbe nulla da copiare-incollare.
In primo luogo trovo incongruo rigettare la validità del principio di ragione sufficiente, e accettare "la chiusura causale dell'universo": il principio di causalità è un aspetto del principio di ragion sufficiente, e lo troviamo confermato in ogni esperienza del mondo in cui viviamo. E' artificioso distinguere la totalità dei fenomeni dai singoli fenomeni (non esistono singoli fenomeni), e affermare che la legge di causalità (in generale, il principio di ragion sufficiente) può valere per le parti, ma non per il tutto. Ne consegue la tua (per me) errata legittimazione di una totalità che non è tale, e che anzi si mostra come una verità tautologica (la totalità è tutto ciò che realmente esiste, e tutto ciò che realmente esiste è la totalità). Ma le tautologie non stanno in piedi da sole...
CitazioneLa cusalità ha senso unicamente relativamente a una parte, all' interno di un tutto in divenire ordinato secondo leggi universali e costanti e non affatto (sarebbe autocontraddittorio pretenderlo!) a proposito di un tutto, oltre al quale per definizione non esisterebbe nulla che potrebbe esserne causa (non vi sarebbe un divenire ordinato secondo modalità universali e costanti che lo implicasse).
La totalità è tutto ciò che realmente esiste, e tutto ciò che realmente esiste è la totalità é una tautologia.
Invece esiste qualcosa oltre la totalità dell' esistente (che é causa della totalità) é una contraddizione: l' esatto contrario!
Per quanto riguarda gli altri aspetti del tuo sistema, osservo quanto segue.
Ci sono tre piani ontologici, la cui esistenza è ingiustificata alla luce del principio di ragion sufficiente (vedi sopra); ma, quel che è peggio, questi non servono allo scopo per cui sono stati chiamati in causa (quando dico "servire" intendo non uno scopo metafisico, ma la ragione filosofica per cui li assumo).
Il noumeno sembra essere chiamato in causa per risolvere il problema della corrispondenza fra res extensa e res cogitans, ma poi dichiari che esso non interferisce causalmente con gli altri due piani e che "nulla garantisce" la corrispondenza di cui sopra, che resta solo supposta e indimostrata. Credo che Occam, col suo rasoio, darebbe un bel taglio a questo noumeno che "non serve" a nulla...
CitazioneL' esistenza del piano fenomenico, con le sue due componenti extensa e cogitans, la si constata empiricamente a posteriori.
Quella del secondo (e non terzo) piano ontologico, quello noumenico ho sempre sostenuto che é indimostrabile: il principio di ragion sufficiente non c' enta!
Ma é necessaria per spiegare i rapporti mente-cervello così come scientificamente rilevati, a meno di ricorrere alla leibniziana armonia prestabilita fra monadi incomunicanti o, peggio, all' occasionalismo di Malebranche.
Ti informo che il rasoio di Ockam serve a eliminare le ipotesi non necessarie a spiegare alcunché, e dunque non quella da me proposta del noumeno, la quale spiegano egregiamente intersoggettività dei fenomeni materiali e corrispondenza biunivoca fra fenomeni coscienti ed eventi neurofisiologici cerebrali senza interferenze causali (stante la chiusura causale del mondo fisico), così come dimostrata scientificamente.
Per non parlare di altri problemi. Cosa avviene alla morte? La coscienza individuale, che si trova nella res cogitans, cioè in un piano ontologico non causalmente legato alla res extensa, dovrebbe essere indifferente alle sorti del corpo fisico. E' così? La coscienza dunque è immortale? Perché se lo neghi, allora deve esistere un agente con la precisa funzione di distruggere la coscienza individuale nell'attimo in cui il relativo corpo muore, allo scopo di mantenere la suddetta corrispondenza... E' così? E se sì, qual è questo agente? In quale piano si trova, visto che gli altri due non interferiscono causalmente con la res cogitans? Specularmente, analoghi ragionamenti possono essere fatti per il momento della nascita.
CitazioneSenza esserne sicuro al 100%, credo che alla morte, finendo ogni attività cerebrale, finisca corrispondentemente ogni evento fenomenico nella rispettiva esperienza cosciente (cioé finisca di esistere-divenire realmente la rispettiva esperienza fenomenica cosciente).
La coscienza individuale non si trova affatto nella res cogitans (e nemmeno nella res extensa): é invece la res cogitans (e pure al res extensa) a trovarsi nella (a far parte della, ad accadere nell' ambito della) coscienza fenomenica.
Dunque, nessun bisogno di farneticare di "agenti con la precisa funzione di distruggere la coscienza individuale nell'attimo in cui il relativo corpo muore" (né di creala quando nasce).
Mi fermo qui: queste e altre incongruenze o assurdità emergono non appena si cominci un po' a sviscerare i dettagli...
CitazioneA me pare che emergano solo la tua totale incapacità di comprendere e i tuoi numerosissimi strafalcioni logici (come quello relatvo alla "causa del tutto").
Considero il concetto di "eternità" come attinente a quella serie di concetti la cui presenza all'interno della pensabilità della nostra mente è una prova della sua esistenza. I nostri concetti delle cose possono ricavati dall'esperienza di cose realmente esistenti, oppure da un'attività sintetica dell'immaginazione, che arbitrariamente unifica una molteplicità di dati appresi dall'esperienza di cose reali, in forme fittizie. Noi possiamo riflettere sul concetto di eternità perché lo possediamo, e la questione dell'esistenza mi pare sia legata a quella dell'origine della sua presenza alla nostra mente. Se questo concetto corrispondesse una non-esistenza, una realtà fittizia, il suo contenuto dovrebbe riferirsi a una complessità, frutto della sintesi immaginativa dell'Io, quindi una realtà divisibile in parti, che questa sintesi riporterebbe poi a una unità fittizia. Non mi pare il caso dell'eternità, il cui significato indica la durata infinita degli istanti temporali. Nessuna sintesi potrebbe mai intuire tale significato. Una sintesi unificante il concetto di vari istanti temporali potrebbe solo considerare una durata finita, in quanto se i numeri sono infiniti, ogni addizione aritmetica tesa a comprendere diversi istanti temporali non può che restare parziale, impossibilitata a comprendere l'infinita potenzialità di istanti uniti nell'idea di "eternità". Resterebbe sempre costante la possibilità di immaginare una durata delle cose più lunga di quelle immaginate dalla mente che sinteticamente unisce via via le idee di singoli istanti temporali ricavati dall'esperienza. Quindi per l'idea dell'eternità nella sua semplicità, nel sua irriducibilità all'idea di un mero assemblaggio di parti individuabili dall'esperienza e unificabili per immaginazione, resta in piedi solo l'ipotesi di essere oggetto di un'intuizione originaria, diretta, riconducibile alla serie degli atti non prodotti dall'immaginazione, ma che si riferisce a una realtà davvero esistente, una realtà adeguata a rispecchiare il significato del concetto a cui si riferisce. Poi, atterrà a un piano diverso della questione considerare se quest'esistenza dell'eternità sia identificabile con un ente trascendente, come nelle metafisiche di ispirazione religiosa, oppure immanente al mondo, in una visione in cui l'universo fisico nella sua totalità, non avrà mai fine, pur attraversando diversi fasi nel suo divenire (come nelle cosmologie non-creazioniste della filosofia greca, e in generale nelle varie metafisiche dell'immanenza, siano esse panteiste, idealiste-dialettiche o materialiste). Ma questo, credo, si potrebbe considerato forse in una discussione distinta da questa, almeno per ora.
A Davintro:
Penso che sia per lo meno dubbio che possano esistere concetti nella nostra mente la cui presenza (di concetti dotati di una connotazione o intensione mentale e in quanto tali) possa essere prova dell' esistenza anche di denotati reali di tali concetti, in quanto concetti non costituiti attraverso la composizione arbitraria (fantastica) di concetti più elementari di cose reali, e dunque significanti cose reali e non fantasticamente sintetizzate (questo evidentemente in base alla concezione empiristica della mente umana come "tabula rasa" alla nascita).
Infatti possiamo sognare (oltre che percepire alucinatoriamente) tante cose inesistenti in realtà e (immediatamente o più verosimilmente, più realisticamente dopo, da svegli) farcene concetti mentali sensati, caratterizzati da connotazioni o intensioni, ma privi di denotazioni o estensioni reali (oltre che impiegarle per comporre o sintetizzare concetti mentali più complessi, che potrebbero essere a maggior ragione privi di denotazioni o estensioni reali).
E non sarei sicuro che nei sogni accada necessariamente un "rimescolamento", una rielaborazione e composizione arbitraria unicamente di dati empirici "propri del mondo reale" precedentemente percepiti e memorizzati (come accade nel pensiero fantastico) e non anche la percezione "originaria" di taluni dati empirici non appartenenti al mondo reale.
Ma l' obiezione più seria alla tua tesi dell' esistenza reale dell' eternità riguarda la possibilità di ricavare molto facilmente concetti di grandezze infinite da concetti di grandezze finite (in generale; e in particolare da concetti di durate temporali finite) semplicemente immaginando il prolungamento e la reiterazione senza fine dell' operazione di somma di concetti di grandezza finita: la presenza all' interno della nostra mente di tali concetti di grandezza infinita, così ricavati per sintesi arbitraria (fantastica) di concetti di grandezza finita a loro volta ottenuti dalla constatazione empirica di enti o eventi finiti -quelli sì, reali- non é una prova dell' esistenza reale degli enti o eventi di grandezza infinita da essi denotati.
Esiste in matematica il concetto di "numero infinito" (il cui simbolo, che non ho sulla tastiera del computer, notoriamente é una specie di "8" girato di 90° e messo "in orizzontale"), ricavato per l' appunto attraverso la (fantastica, arbitraria) reiterazione senza fine della somma di numeri finiti, o anche solo attraverso il "successivo passare in rassegna", immaginata senza fine, di numeri finiti crescenti di un' unità (il contare numeri finiti) i cui concetti sono ottenuti per astrazione da esperienze concrete di oggetti simili in gruppi costituiti da numeri uguali di essi.
Ma questo concetto infinito ce l' abbiamo nella nostra coscienza solo noi moderni e non gli uomini primitivi (non é innato), ed é ottenuto dalla sintesi, immaginata senza fine, di numeri finiti,
Il concetto di qualsiasi quantità infinita (compresa la quantità "durata temporale"; ovvero il concetto dell' "eternità") si ottiene immaginando l' iterazione senza fine di somme delle rispettive quantità finite, cioè, come dici tu, "per sintesi", operata arbitrariamente dalla fantasia, e che quindi potrebbe benissimo essere del tutto fittizia e condurre a concetti privi di denotazione o intensione reale: l' eternità potrebbe non esistere, non é un concetto la cui presenza all'interno della pensabilità della nostra mente sia una prova della sua esistenza reale.
Citazione di: sgiombo il 24 Aprile 2018, 12:00:07 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 24 Aprile 2018, 10:40:21 AMPer quanto riguarda gli altri aspetti del tuo sistema, osservo quanto segue.
Ci sono tre piani ontologici, la cui esistenza è ingiustificata alla luce del principio di ragion sufficiente (vedi sopra); ma, quel che è peggio, questi non servono allo scopo per cui sono stati chiamati in causa (quando dico "servire" intendo non uno scopo metafisico, ma la ragione filosofica per cui li assumo).
Il noumeno sembra essere chiamato in causa per risolvere il problema della corrispondenza fra res extensa e res cogitans, ma poi dichiari che esso non interferisce causalmente con gli altri due piani e che "nulla garantisce" la corrispondenza di cui sopra, che resta solo supposta e indimostrata. Credo che Occam, col suo rasoio, darebbe un bel taglio a questo noumeno che "non serve" a nulla...
CitazioneL' esistenza del piano fenomenico, con le sue due componenti extensa e cogitans, la si constata empiricamente a posteriori.
Quella del secondo (e non terzo) piano ontologico, quello noumenico ho sempre sostenuto che é indimostrabile: il principio di ragion sufficiente non c' enta!
Ma é necessaria per spiegare i rapporti mente-cervello così come scientificamente rilevati, a meno di ricorrere alla leibniziana armonia prestabilita fra monadi incomunicanti o, peggio, all' occasionalismo di Malebranche.
Ti informo che il rasoio di Ockam serve a eliminare le ipotesi non necessarie a spiegare alcunché, e dunque non quella da me proposta del noumeno, la quale spiegano egregiamente intersoggettività dei fenomeni materiali e corrispondenza biunivoca fra fenomeni coscienti ed eventi neurofisiologici cerebrali senza interferenze causali (stante la chiusura causale del mondo fisico), così come dimostrata scientificamente.
Per non parlare di altri problemi. Cosa avviene alla morte? La coscienza individuale, che si trova nella res cogitans, cioè in un piano ontologico non causalmente legato alla res extensa, dovrebbe essere indifferente alle sorti del corpo fisico. E' così? La coscienza dunque è immortale? Perché se lo neghi, allora deve esistere un agente con la precisa funzione di distruggere la coscienza individuale nell'attimo in cui il relativo corpo muore, allo scopo di mantenere la suddetta corrispondenza... E' così? E se sì, qual è questo agente? In quale piano si trova, visto che gli altri due non interferiscono causalmente con la res cogitans? Specularmente, analoghi ragionamenti possono essere fatti per il momento della nascita.
CitazioneSenza esserne sicuro al 100%, credo che alla morte, finendo ogni attività cerebrale, finisca corrispondentemente ogni evento fenomenico nella rispettiva esperienza cosciente (cioé finisca di esistere-divenire realmente la rispettiva esperienza fenomenica cosciente).
La coscienza individuale non si trova affatto nella res cogitans (e nemmeno nella res extensa): é invece la res cogitans (e pure al res extensa) a trovarsi nella (a far parte della, ad accadere nell' ambito della) coscienza fenomenica.
Dunque, nessun bisogno di farneticare di "agenti con la precisa funzione di distruggere la coscienza individuale nell'attimo in cui il relativo corpo muore" (né di creala quando nasce).
Tu continui a dichiarare che il tuo noumeno spiega "egregiamente l'intersoggettività dei fenomeni materiali e la corrispondenza biunivoca fra fenomeni coscienti ed eventi neurofisiologici cerebrali" e questo riuscirebbe a farlo "senza interferenze causali". Tue parole testuali.
Peccato che sia impossibile da capire come faccia un ente a garantire che qualcosa avvenga coordinatamente in altri enti con i quali non ha alcuna relazione causale. Nemmeno questa volta l'hai spiegato. Continui solo ad affermarlo. ... Magia? Potere soprannaturale? Ma allora tanto vale chiamarlo Dio, il tuo noumeno, perché da Dio ci si aspetta che possa fare tutto; dal tuo noumeno, no.
Non c'è bisogno che spieghi a cosa serve il rasoio di Occam, lo sappiamo benissimo; piuttosto devi spiegare in che modo il noumeno faccia quel che tu pretendi debba fare: altrimenti, è solo un'ipotesi inutile, e il rasoio di Occam dovrà fare il suo lavoro. Zac!
Per quanto riguarda la coscienza individuale, dici che non si trova nella res cogitans... e questa è una vera sorpresa, perché la res cogitans sembrava proprio dover essere postulata per ospitare l'esperienza cosciente. Ma se non ospita l'esperienza cosciente, allora a cosa serve la res cogitans? Altra ipotesi inutile. Zac!
E dici poi che la coscienza individuale non si trova nemmeno nella res extensa! Quindi dove si troverebbe? In un altro piano di cui ancora non si è parlato? Oppure è solo un'illusione?
E torno a chiederti, visto che non hai risposto, ma solo ribadito: chi o che cosa spegne la coscienza individuale, quando il corpo fisico si spegne? Chi o che cosa accende la coscienza individuale, quando un nuovo corpo si forma?
Tutto questo tu lo definisci "egregiamente spiegato"? Riesci a dare delle vere spiegazioni, senza ribadire pedissequamente con copia e incolla quello che (insufficiente) hai già detto, e senza scivolare nell'offesa livorosa?
Citazione di: Loris Bagnara il 26 Aprile 2018, 11:26:36 AM
Tu continui a dichiarare che il tuo noumeno spiega "egregiamente l'intersoggettività dei fenomeni materiali e la corrispondenza biunivoca fra fenomeni coscienti ed eventi neurofisiologici cerebrali" e questo riuscirebbe a farlo "senza interferenze causali". Tue parole testuali.
Peccato che sia impossibile da capire come faccia un ente a garantire che qualcosa avvenga coordinatamente in altri enti con i quali non ha alcuna relazione causale. Nemmeno questa volta l'hai spiegato. Continui solo ad affermarlo. ... Magia? Potere soprannaturale? Ma allora tanto vale chiamarlo Dio, il tuo noumeno, perché da Dio ci si aspetta che possa fare tutto; dal tuo noumeno, no.
Non c'è bisogno che spieghi a cosa serve il rasoio di Occam, lo sappiamo benissimo; piuttosto devi spiegare in che modo il noumeno faccia quel che tu pretendi debba fare: altrimenti, è solo un'ipotesi inutile, e il rasoio di Occam dovrà fare il suo lavoro. Zac!
Per quanto riguarda la coscienza individuale, dici che non si trova nella res cogitans... e questa è una vera sorpresa, perché la res cogitans sembrava proprio dover essere postulata per ospitare l'esperienza cosciente. Ma se non ospita l'esperienza cosciente, allora a cosa serve la res cogitans? Altra ipotesi inutile. Zac!
E dici poi che la coscienza individuale non si trova nemmeno nella res extensa! Quindi dove si troverebbe? In un altro piano di cui ancora non si è parlato? Oppure è solo un'illusione?
E torno a chiederti, visto che non hai risposto, ma solo ribadito: chi o che cosa spegne la coscienza individuale, quando il corpo fisico si spegne? Chi o che cosa accende la coscienza individuale, quando un nuovo corpo si forma?
Tutto questo tu lo definisci "egregiamente spiegato"? Riesci a dare delle vere spiegazioni, senza ribadire pedissequamente con copia e incolla quello che (insufficiente) hai già detto, e senza scivolare nell'offesa livorosa?
CitazionePeccato che sia tu a non capire che il divenire biunivocamente corrispondente di noumeno e fenomeni (senza reciproche interferenze causali) non é affatto da spiegare in quanto, al contrario, costituisce una spiegazione (del fatto che i fenomeni materiali sono intersoggettivi e dei rapporti cervello-coscienza).
Solo un pregiudizio meccanicistico impone necessariamente interferenze causali come uniche possibili spiegazioni dei rapporti fra diversi enti ed eventi (in generale; e fra res cogitans e res extensa in particolare).
E' una proposta su come stanno le cose in realtà, che non richiede spiegazione (semplicemente "così é se vi pare"), mentre spiega intersoggettività dei fenomeni materiali (indimostrabile ma necessaria perché se ne possa avere conoscenza scientifica) e corrispondenze coscienza-cervello dimostrate dalle neuroscienze.
Proprio perché dal mio noumeno, contrariamente che da Dio, non ci si può aspettare (magicamente) di tutto e di più (miracoli), si tratta di una spiegazione razionale.
No, a te c' é proprio bisogno di spiegarlo (a cosa serve il rasoio di Ockam), perché nella tua ignoranza, maneggiandolo maldestramente, rischi di fare -zac!- ...la fine di Pietro Abelardo (e senza la consolazione del' amore eterno e non scalfibile di Eloisa).
La coscienza (individuale) non si trova di certo nella res extensa, né nella res cogitans per il semplice fatto che sono invece la res extensa e la res cogitans (entrambe fenomeniche, contro Cartesio, con Hume) a trovarsi nella coscienza: altra sciocchezza: zac!
Comunque ti sfido a trovarla, la coscienza, nella res extensa: quando osservando un cervello vi avrai trovato il colorato paesaggio che il soggetto della coscienza fenomenica corrispondente a tale cervello sta vedendo, il sentimento che sta provando, o la dimostrazione del teorema di geometria cui sta pensando, mentre tu non vi vedi altro che neuroni, sinapsi, assoni, potenziali d' azione et similia, ne riparleremo.
E per quanto riguarda la res cogitans, i pensieri, sentimenti, ecc., essi fanno parte (unitamente alla res extensa) della coscienza, "della coscienza sono contenuti", e non viceversa (salvo il caso particolare che si pensi alla coscienza, cioé che la coscienza sia contenuto, oggetto di pensiero: un contenuto di coscienza, una cosa pensata o percepita sensibilmente fra tante altre; il quale -il pensiero della coscienza- é peraltro sempre e comunque un contenuto di coscienza).
Come ti ho già ripetutamente (per quanto inutilmente; come penso proprio anche stavolta) spiegato, quando un cervello smette di funzionare la coscienza che vi corrisponde si spegne da sé (in corrispondenza biunivoca con il cessare (lo" spegnarsi") dei corrispondenti processi neurofisiologici cerebrali.
Queste (riassunte ai minimi termini per non fare inutili copia-incolla sono vere, "egrege" spiegazioni, più che sufficienti (almeno per comprendere, non necessariamente per condividere ed approvare; ovviamente per chi sia in grado di comprendere e le prenda seriamente in considerazione).
Invece le offese livorose sono quelle che tu continui a rivolgere a me.
Allora Sgiombo, premesso che io in questo scambio di battute io mi sono attenuto ad analizzare criticamente le tue affermazioni, senza toccare la tua persona, mentre tu hai ripetutamente usato parole offensive nei miei confronti ("ignoranza" e simili), mi trovo costretto a dire cose che non avrei voluto dire; ma un minimo di amor proprio ce l'ho anch'io...
Io non credo di essere né ignorante né stupido, come penso non lo credano i "venticinque lettori" dei miei libri (se digiti il mio nome li trovi facilmente), e nemmeno gli altri autori con cui ho collaborato (fra cui, in particolare, un nome di notevole fama e prestigio).
Non mi è mai capitato di non capire qualcosa, se qualcuno si impegna a spiegarmi il proprio pensiero. A volte, anzi, usando un po' di intuito, mi capita di riuscire a capire anche se non me lo spiegano tanto bene... Ma nel caso del tuo sistema filosofico, ti prego di credermi, si capisce solo quello che INTENDI di spiegare; ma aldilà delle tue affermazioni, a un osservatore esterno appare con assoluta chiarezza che quel sistema NON sta in piedi, e che NON spiega affatto quel che intenderebbe spiegare.
E' estremamente penoso doverti inseguire con richieste di chiarimenti del tuo pensiero, con il risultato che le tue risposte (quando non sono "copia e incolla") ogni volta spostano il problema da un'altra parte, senza risolverlo.
Ora sei arrivato a dire che tutto è nella coscienza, sia la res extensa che la res cogitans.
La domanda che sorge spontanea, e che ti ho già fatto, e a cui tu non hai risposto, è che cosa sia allora la coscienza, e in quale piano stia la coscienza.
Ma non te la rifaccio, perché mi sono stancato.
Mi limito solo ad osservare come le tue risposte, messe in fila, abbiano creato un labirinto inestricabile: la coscienza contiene la res extensa; la res extensa contiene il corpo umano; del corpo umano fa parte il cervello; e quando il cervello si spegne per la morte del corpo fisico, anche la coscienza si spegne... Non causalmente, tu dici, ma per una "corrispondenza biunivoca", non si sa come garantita da un entità chiamata "noumeno", che pure non interferisce causalmente con le suddente entità...
Forse altri potranno averti seguito (improbabile), ma io getto la spugna.
La cosa curiosa è che sei arrivato ad affermare che tutto è nella coscienza, che è quello che affermo pure io, ma in tutt'altra cornice.
A me sembra evidente che il tuo sistema è un artificio nato da una base di materialismo ateo, che non ha la franchezza di invocare l'ente di cui ha bisogno per stare in piedi: Dio. Se tu chiamassi "Dio" il tuo noumeno, e gli assegnassi le "caratteristiche" di Dio, allora tutto potrebbe anche funzionare.Ti si potrebbe anche credere quando affermi che il tuo noumeno-Dio garantisce il tutto. Ma tu evidentemente non puoi accettare Dio, e neghi che il tuo noumeno sia identificabile con Dio.
E' un chiaro indizio di quanto sopra, il fatto stesso che tu sia stato l'unico nella storia del pensiero umano a usare il termine "noumeno" con quel significato che tu gli attribuisci per indicare l'ente che serve al tuo sistema. Ma il termine "noumeno" significa tutt'altra cosa: intende la cosa in sé, l'archetipo, l'idea platonica. Significa la realtà non manifestata, in opposizione dialettica con la realtà manifestata, fenomenica. Noumeno vs fenomeno: è questo il vero significato di noumeno, per come è stato usato nella storia della filosofia (https://it.wikipedia.org/wiki/Noumeno).
Si potrebbe anche intendere per noumeno un piano ontologico ideale utilizzato dal "demiurgo" come modello per la sua creazione; ma in nessun caso il termine è stato usato per indicare un ente che abbia, per così dire, una autonomia funzionale nello schema della realtà.
Fino all'arrivo di Sgiombo.
Citazione di: Loris Bagnara il 27 Aprile 2018, 12:19:53 PM
Allora Sgiombo, premesso che io in questo scambio di battute io mi sono attenuto ad analizzare criticamente le tue affermazioni, senza toccare la tua persona, mentre tu hai ripetutamente usato parole offensive nei miei confronti ("ignoranza" e simili), mi trovo costretto a dire cose che non avrei voluto dire; ma un minimo di amor proprio ce l'ho anch'io...
Io non credo di essere né ignorante né stupido, come penso non lo credano i "venticinque lettori" dei miei libri (se digiti il mio nome li trovi facilmente), e nemmeno gli altri autori con cui ho collaborato (fra cui, in particolare, un nome di notevole fama e prestigio).
CitazioneLe accuse infondate di offesa le rispedisco al mittente.
A mio modesto avviso il modo non pertinente in cui hai brandito (dialetticamente) contro di me il rasoio di Ockam dimostra che ne ignoravi il reale significato (e non, ovviamente, che sei ignorante in generale o in assoluto).
Il concetto di "stupidità" invece non l' ho mai impiegato in questa discussione.
Non mi è mai capitato di non capire qualcosa, se qualcuno si impegna a spiegarmi il proprio pensiero. A volte, anzi, usando un po' di intuito, mi capita di riuscire a capire anche se non me lo spiegano tanto bene... Ma nel caso del tuo sistema filosofico, ti prego di credermi, si capisce solo quello che INTENDI di spiegare; ma aldilà delle tue affermazioni, a un osservatore esterno appare con assoluta chiarezza che quel sistema NON sta in piedi, e che NON spiega affatto quel che intenderebbe spiegare.
CitazioneCasomai, nel caso mio, da parte tua (e non affatto universalmente) si capirà "solo quello che INTENDO di spiegare; ma aldilà delle mie affermazioni, non affatto a un qualsiasi osservatore esterno ma casomai a quel particolare osservatore che sei tu, appare con assoluta chiarezza che quel sistema NON sta in piedi, e che NON spiega affatto quel che intenderebbe spiegare.
Ti informo che il fatto di avere molti lettori e collaboratori famosi e prestigiosi non ti da alcun titolo per arrogarti il diritto di parlare a nome di ogni e qualsiasi "osservatore esterno" delle mie convinzioni e argomentazioni.
E' estremamente penoso doverti inseguire con richieste di chiarimenti del tuo pensiero, con il risultato che le tue risposte (quando non sono "copia e incolla") ogni volta spostano il problema da un'altra parte, senza risolverlo.
Ora sei arrivato a dire che tutto è nella coscienza, sia la res extensa che la res cogitans.
La domanda che sorge spontanea, e che ti ho già fatto, e a cui tu non hai risposto, è che cosa sia allora la coscienza, e in quale piano stia la coscienza.
Ma non te la rifaccio, perché mi sono stancato.
CitazioneAnch' io mi sono stancato di ripeterti che non tutto ma solo i fenomeni (res cogitans e res extensa), e non certo il noumeno, costituiscono la (fanno arte della) coscienza (la quale ne é l' insieme – successione).
Ed anche a me é estremamente penoso ripetere in continuazione le stesse cose a chi mi fa in continuazione le stesse domande alle quali ho già ripetutamente risposto.
Mi limito solo ad osservare come le tue risposte, messe in fila, abbiano creato un labirinto inestricabile: la coscienza contiene la res extensa; la res extensa contiene il corpo umano; del corpo umano fa parte il cervello; e quando il cervello si spegne per la morte del corpo fisico, anche la coscienza si spegne... Non causalmente, tu dici, ma per una "corrispondenza biunivoca", non si sa come garantita da un entità chiamata "noumeno", che pure non interferisce causalmente con le suddente entità...
Forse altri potranno averti seguito (improbabile), ma io getto la spugna.
CitazioneApprezzo almeno l' ammissione che tu trovi le mie argomentazioni un labirinto inestricabile e forse (per quanto improbabilmente) altri le possano seguire (credo che effettivamente sia improbabile che altri le condividano, ma non affatto che altri, contrariamente a te, le comprendano).
La cosa curiosa è che sei arrivato ad affermare che tutto è nella coscienza, che è quello che affermo pure io, ma in tutt'altra cornice.
A me sembra evidente che il tuo sistema è un artificio nato da una base di materialismo ateo, che non ha la franchezza di invocare l'ente di cui ha bisogno per stare in piedi: Dio. Se tu chiamassi "Dio" il tuo noumeno, e gli assegnassi le "caratteristiche" di Dio, allora tutto potrebbe anche funzionare.Ti si potrebbe anche credere quando affermi che il tuo noumeno-Dio garantisce il tutto. Ma tu evidentemente non puoi accettare Dio, e neghi che il tuo noumeno sia identificabile con Dio.
CitazionePretendere che chiami "Dio" il noumeno" e insinuare che non ne avrei il coraggio mi sembra costituisca un modo decisamente scorretto di discutere (comunque argomentazioni non sono di certo!).
E' un chiaro indizio di quanto sopra, il fatto stesso che tu sia stato l'unico nella storia del pensiero umano a usare il termine "noumeno" con quel significato che tu gli attribuisci per indicare l'ente che serve al tuo sistema.
CitazioneIl noumeno come lo intendi io ha importanti tratti comuni con quello kantiano.
E (un po' meno ma) anche con la sostanza divina spinoziana (ben diversa da un "banale" Dio teistico, o anche deistico!).
E non ho proprio alcuna paura di rilevarlo!
(Anzi, me ne compiaccio).
Ma il termine "noumeno" significa tutt'altra cosa: intende la cosa in sé, l'archetipo, l'idea platonica. Significa la realtà non manifestata, in opposizione dialettica con la realtà manifestata, fenomenica. Noumeno vs fenomeno: è questo il vero significato di noumeno, per come è stato usato nella storia della filosofia (https://it.wikipedia.org/wiki/Noumeno).
Si potrebbe anche intendere per noumeno un piano ontologico ideale utilizzato dal "demiurgo" come modello per la sua creazione; ma in nessun caso il termine è stato usato per indicare un ente che abbia, per così dire, una autonomia funzionale nello schema della realtà.
Fino all'arrivo di Sgiombo.
CitazioneSenza alcuna intenzione offensiva, ma ritengo in tutta sincerità che confondere il noumeno kantiano con le idee platoniche é uno strafalcione di dimensioni colossali!
Per Kant il noumeno é semplicemente la realtà in sé congetturabile "oltre" i fenomeni e non percepibile, contrariamente a questi; della quale conseguentemente ben poco può dirsi in termini teoricamente fondati, di ragion pura (altro che <<piano ontologico ideale utilizzato dal "demiurgo" come modello per la sua creazione>>!).
Citazione di: sgiombo il 26 Aprile 2018, 09:44:16 AMA Davintro: Penso che sia per lo meno dubbio che possano esistere concetti nella nostra mente la cui presenza (di concetti dotati di una connotazione o intensione mentale e in quanto tali) possa essere prova dell' esistenza anche di denotati reali di tali concetti, in quanto concetti non costituiti attraverso la composizione arbitraria (fantastica) di concetti più elementari di cose reali, e dunque significanti cose reali e non fantasticamente sintetizzate (questo evidentemente in base alla concezione empiristica della mente umana come "tabula rasa" alla nascita). Infatti possiamo sognare (oltre che percepire alucinatoriamente) tante cose inesistenti in realtà e (immediatamente o più verosimilmente, più realisticamente dopo, da svegli) farcene concetti mentali sensati, caratterizzati da connotazioni o intensioni, ma privi di denotazioni o estensioni reali (oltre che impiegarle per comporre o sintetizzare concetti mentali più complessi, che potrebbero essere a maggior ragione privi di denotazioni o estensioni reali). E non sarei sicuro che nei sogni accada necessariamente un "rimescolamento", una rielaborazione e composizione arbitraria unicamente di dati empirici "propri del mondo reale" precedentemente percepiti e memorizzati (come accade nel pensiero fantastico) e non anche la percezione "originaria" di taluni dati empirici non appartenenti al mondo reale. Ma l' obiezione più seria alla tua tesi dell' esistenza reale dell' eternità riguarda la possibilità di ricavare molto facilmente concetti di grandezze infinite da concetti di grandezze finite (in generale; e in particolare da concetti di durate temporali finite) semplicemente immaginando il prolungamento e la reiterazione senza fine dell' operazione di somma di concetti di grandezza finita: la presenza all' interno della nostra mente di tali concetti di grandezza infinita, così ricavati per sintesi arbitraria (fantastica) di concetti di grandezza finita a loro volta ottenuti dalla constatazione empirica di enti o eventi finiti -quelli sì, reali- non é una prova dell' esistenza reale degli enti o eventi di grandezza infinita da essi denotati. Esiste in matematica il concetto di "numero infinito" (il cui simbolo, che non ho sulla tastiera del computer, notoriamente é una specie di "8" girato di 90° e messo "in orizzontale"), ricavato per l' appunto attraverso la (fantastica, arbitraria) reiterazione senza fine della somma di numeri finiti, o anche solo attraverso il "successivo passare in rassegna", immaginata senza fine, di numeri finiti crescenti di un' unità (il contare numeri finiti) i cui concetti sono ottenuti per astrazione da esperienze concrete di oggetti simili in gruppi costituiti da numeri uguali di essi. Ma questo concetto infinito ce l' abbiamo nella nostra coscienza solo noi moderni e non gli uomini primitivi (non é innato), ed é ottenuto dalla sintesi, immaginata senza fine, di numeri finiti, Il concetto di qualsiasi quantità infinita (compresa la quantità "durata temporale"; ovvero il concetto dell' "eternità") si ottiene immaginando l' iterazione senza fine di somme delle rispettive quantità finite, cioè, come dici tu, "per sintesi", operata arbitrariamente dalla fantasia, e che quindi potrebbe benissimo essere del tutto fittizia e condurre a concetti privi di denotazione o intensione reale: l' eternità potrebbe non esistere, non é un concetto la cui presenza all'interno della pensabilità della nostra mente sia una prova della sua esistenza reale.
se si mette in discussione o si contesta l'idea del sogno che sia un riassemblaggio fantastico di dati reali di esperienza, allora sarebbe legittimo contestare anche l'idea di distinguere i contenuti semplici appresi per intuizione diretta di cose reali, e quelli prodotti dall'immaginazione sintetica, dato che il contenuto dei sogni rientrerebbe nella prima categoria, ma riguarderebbero fenomeni originari. Ma a me pare che non sia così, che nei sogni si manifestino dei fenomeni complessi, non solo singoli oggetti, ma situazioni, intrecci di eventi che pur non essendo reali, presentano una complessità fenomenica che una volta scomposta analiticamente, mostra come ciascun singolo elemento sia un'immagine corrispondente ad oggetti di cui ho avuto una reale ed effettiva esperienza. Se sogno un drago che sputa fuoco non per questo è reale, ma ricavabili dall'esperienza della realtà sarebbero le singole componenti che lo costituirebbero... il colore verde, le squame, gli occhi, il fuoco ecc. E questo mi pare possa essere la conseguenza di una semplice e rozza descrizione fenomenologica del vissuto onirico, senza scomodare modelli teorici psicoanalitici, sui cui si può legittimamente convenire o meno.La reiterazione "senza fine" del calcolo di quantità infinite non mi pare possa essere visto come la genesi sufficiente per elaborare a posteriori l'idea di "infinito" (e dunque dell' "eternità", che sarebbe l'applicazione di tale idea al piano della temporalità), per la semplice ragione che il concetto di "senza fine" altro non mi sembrerebbe che un'altra espressione per designare il significato dell'infinito, che dunque non potrebbe essere il risultato a posteriori di un processo di sintesi, ma uno dei presupposti del processo stesso, dunque non da questo determinabile. Ciò conferma il suo carattere di originarietà, che lo rende irriducibile a ogni sintesi immaginativa tesa a elaborare concetti fittizi. Nessuna somma infatti potrebbe contenere e costituire una durata infinita, dato che in ogni momento è sempre possibile aggiungere una quantità a prolungarla, senza mai arrivare al punto di concepire una somma, cioè una sintesi assolutamente esaustiva. Per quanto riguarda il fatto che gli uomini primitivi non avessero il concetto di infinito, andrebbe chiarito quale sarebbe la prospettiva da cui si affermerebbe ciò. Se ci si riferisse al linguaggio, al fatto che essi non avessero una parola corrispondente al significato che noi attribuiremmo all' "infinito", questo sarebbe un argomento valido contro l'idea dell'originarietà dell'infinito, solo presupponendo, a mio avviso erroneamente, la piena coincidenza fra pensiero e linguaggio, idee e parole. Se invece si ritiene che le due dimensioni, seppur fortemente legate, non coincidano, in quanto non tutti i nostri pensieri, tramite cui rispecchiamo gli aspetti delle cose stesse, sono verbalizzati, ma solo quelli funzionali a delle esigenze e schemi comunicativi, che variano sulla base di vari contesti storici-culturali, allora resterebbe sempre la possibilità che anche nella mente di quegli uomini l'idea dell'infinito, e dell'eternità, resti come oggetto di un'intuizione interiore, di cui non si era effettivamente autoconsapevoli al punto di individuare un segno sensibile per rappresentarla, ma che comunque dal profondo opererebbe nei loro processi mentale in forma ancora latente.
Citazione di: davintro il 05 Maggio 2018, 18:11:49 PM
Citazione di: sgiombo il 26 Aprile 2018, 09:44:16 AMA Davintro: Penso che sia per lo meno dubbio che possano esistere concetti nella nostra mente la cui presenza (di concetti dotati di una connotazione o intensione mentale e in quanto tali) possa essere prova dell' esistenza anche di denotati reali di tali concetti, in quanto concetti non costituiti attraverso la composizione arbitraria (fantastica) di concetti più elementari di cose reali, e dunque significanti cose reali e non fantasticamente sintetizzate (questo evidentemente in base alla concezione empiristica della mente umana come "tabula rasa" alla nascita). Infatti possiamo sognare (oltre che percepire alucinatoriamente) tante cose inesistenti in realtà e (immediatamente o più verosimilmente, più realisticamente dopo, da svegli) farcene concetti mentali sensati, caratterizzati da connotazioni o intensioni, ma privi di denotazioni o estensioni reali (oltre che impiegarle per comporre o sintetizzare concetti mentali più complessi, che potrebbero essere a maggior ragione privi di denotazioni o estensioni reali). E non sarei sicuro che nei sogni accada necessariamente un "rimescolamento", una rielaborazione e composizione arbitraria unicamente di dati empirici "propri del mondo reale" precedentemente percepiti e memorizzati (come accade nel pensiero fantastico) e non anche la percezione "originaria" di taluni dati empirici non appartenenti al mondo reale. Ma l' obiezione più seria alla tua tesi dell' esistenza reale dell' eternità riguarda la possibilità di ricavare molto facilmente concetti di grandezze infinite da concetti di grandezze finite (in generale; e in particolare da concetti di durate temporali finite) semplicemente immaginando il prolungamento e la reiterazione senza fine dell' operazione di somma di concetti di grandezza finita: la presenza all' interno della nostra mente di tali concetti di grandezza infinita, così ricavati per sintesi arbitraria (fantastica) di concetti di grandezza finita a loro volta ottenuti dalla constatazione empirica di enti o eventi finiti -quelli sì, reali- non é una prova dell' esistenza reale degli enti o eventi di grandezza infinita da essi denotati. Esiste in matematica il concetto di "numero infinito" (il cui simbolo, che non ho sulla tastiera del computer, notoriamente é una specie di "8" girato di 90° e messo "in orizzontale"), ricavato per l' appunto attraverso la (fantastica, arbitraria) reiterazione senza fine della somma di numeri finiti, o anche solo attraverso il "successivo passare in rassegna", immaginata senza fine, di numeri finiti crescenti di un' unità (il contare numeri finiti) i cui concetti sono ottenuti per astrazione da esperienze concrete di oggetti simili in gruppi costituiti da numeri uguali di essi. Ma questo concetto infinito ce l' abbiamo nella nostra coscienza solo noi moderni e non gli uomini primitivi (non é innato), ed é ottenuto dalla sintesi, immaginata senza fine, di numeri finiti, Il concetto di qualsiasi quantità infinita (compresa la quantità "durata temporale"; ovvero il concetto dell' "eternità") si ottiene immaginando l' iterazione senza fine di somme delle rispettive quantità finite, cioè, come dici tu, "per sintesi", operata arbitrariamente dalla fantasia, e che quindi potrebbe benissimo essere del tutto fittizia e condurre a concetti privi di denotazione o intensione reale: l' eternità potrebbe non esistere, non é un concetto la cui presenza all'interno della pensabilità della nostra mente sia una prova della sua esistenza reale.
se si mette in discussione o si contesta l'idea del sogno che sia un riassemblaggio fantastico di dati reali di esperienza, allora sarebbe legittimo contestare anche l'idea di distinguere i contenuti semplici appresi per intuizione diretta di cose reali, e quelli prodotti dall'immaginazione sintetica, dato che il contenuto dei sogni rientrerebbe nella prima categoria, ma riguarderebbero fenomeni originari. Ma a me pare che non sia così, che nei sogni si manifestino dei fenomeni complessi, non solo singoli oggetti, ma situazioni, intrecci di eventi che pur non essendo reali, presentano una complessità fenomenica che una volta scomposta analiticamente, mostra come ciascun singolo elemento sia un'immagine corrispondente ad oggetti di cui ho avuto una reale ed effettiva esperienza. Se sogno un drago che sputa fuoco non per questo è reale, ma ricavabili dall'esperienza della realtà sarebbero le singole componenti che lo costituirebbero... il colore verde, le squame, gli occhi, il fuoco ecc. E questo mi pare possa essere la conseguenza di una semplice e rozza descrizione fenomenologica del vissuto onirico, senza scomodare modelli teorici psicoanalitici, sui cui si può legittimamente convenire o meno.
CitazioneNon so e francamente non mi interessa punto sapere (lo trovo di nessun interesse da parte mia) se i sogni sono solamente sintesi arbitrarie di sensazioni elementari precedentemente esperite in stato di veglia o contengano anche sensazioni "originarie", non "prese da precedenti esperienze" non oniriche postulabili (ma non dimostrabili) essere intersoggettive.
Quel che conta per me é che concetti confezionabili "rimescolando" in sogno o nella fantasia sensazioni non oniriche presentano certamente (per definizione) una connotazione o intensione soggettiva, ma non hanno alcuna garanzia di riferirsi a oggetti reali che ne siano denotazione o estensione.
E lo stesso vale per eventuali concetti prodotti dal "rimescolare" in sogno sensazioni elementari non oniriche e postulabili (ma non dimostrabili) essere intersoggettive con ipotetiche sensazioni oniriche "originarie" non postulabili essere intersoggettive.
Sarebbe troppo comodo se ippogrifi, bellissime donne disposte a concederci "di tutto e di più" e chi più ne ha più ne metta, oltre ad essere pensabili come concetti dotati di connotazione o intensione mentale, sempre necessariamente in ogni caso avessero anche ( si riferissero anche a) una denotazione o estensione reale!
La reiterazione "senza fine" del calcolo di quantità infinite non mi pare possa essere visto come la genesi sufficiente per elaborare a posteriori l'idea di "infinito" (e dunque dell' "eternità", che sarebbe l'applicazione di tale idea al piano della temporalità), per la semplice ragione che il concetto di "senza fine" altro non mi sembrerebbe che un'altra espressione per designare il significato dell'infinito, che dunque non potrebbe essere il risultato a posteriori di un processo di sintesi, ma uno dei presupposti del processo stesso, dunque non da questo determinabile. Ciò conferma il suo carattere di originarietà, che lo rende irriducibile a ogni sintesi immaginativa tesa a elaborare concetti fittizi. Nessuna somma infatti potrebbe contenere e costituire una durata infinita, dato che in ogni momento è sempre possibile aggiungere una quantità a prolungarla, senza mai arrivare al punto di concepire una somma, cioè una sintesi assolutamente esaustiva. Per quanto riguarda il fatto che gli uomini primitivi non avessero il concetto di infinito, andrebbe chiarito quale sarebbe la prospettiva da cui si affermerebbe ciò. Se ci si riferisse al linguaggio, al fatto che essi non avessero una parola corrispondente al significato che noi attribuiremmo all' "infinito", questo sarebbe un argomento valido contro l'idea dell'originarietà dell'infinito, solo presupponendo, a mio avviso erroneamente, la piena coincidenza fra pensiero e linguaggio, idee e parole. Se invece si ritiene che le due dimensioni, seppur fortemente legate, non coincidano, in quanto non tutti i nostri pensieri, tramite cui rispecchiamo gli aspetti delle cose stesse, sono verbalizzati, ma solo quelli funzionali a delle esigenze e schemi comunicativi, che variano sulla base di vari contesti storici-culturali, allora resterebbe sempre la possibilità che anche nella mente di quegli uomini l'idea dell'infinito, e dell'eternità, resti come oggetto di un'intuizione interiore, di cui non si era effettivamente autoconsapevoli al punto di individuare un segno sensibile per rappresentarla, ma che comunque dal profondo opererebbe nei loro processi mentale in forma ancora latente.
CitazioneE invece a me pare proprio che l' immaginare La reiterazione "senza fine" del calcolo di quantità finite possa costituire la genesi sufficiente per elaborare a posteriori l'idea di "infinito" (e dunque dell' "eternità") per la semplice ragione che il concetto di "senza fine" altro non mi sembrerebbe essere che la sintesi dei concetti di "negazione" e di "fine", facilissimamente ricavabili a posteriori dall' esperienza di cose finite, anzi finitissime.
Ciò conferma il suo carattere di sinteticità a posteriori, che lo rende perfettamente riducibilea una sintesi immaginativa tesa a elaborare concetti fittizi (oltre che eventualmente anche di concetti dotati di estensione o denotazione reale).
Qualsiasi somma di successive parti finite infatti potrebbe essere facilissimamente immaginata di durata infinita, dato che é facilissimamente immaginabile che in ogni momento sia sempre possibile aggiungere una quantità a prolungarla, arrivando ben resto al punto di concepire una somma, cioè una sintesi assolutamente esaustiva (il concetto dell' infinito in atto, ottimamente dotato di connotazione o intensione ma non affatto necessariamente di denotazione o estensione reale; la cui eventuale esistenza sarebbe dunque tutta da dimostrare; ammesso e non concesso che ciò fosse possibile).
Che un uomo moderno che abbia conosciuto e pensato linguisticamente il concetto di "infinito" possa pensarlo (sia pure non linguisticamente) anche dopo che fosse colpito da afasia non potendolo quindi più pensare ed esprimersi verbalmente (e/o per iscritto se colpito unicamente da agrafia o da agrafia e afasia) é certamente possibile.
Ma non credo proprio che uomini primitivi primariamente non dotati del linguaggio potessero concepirlo, in quanto mi sembra evidente che il farlo richiederebbe l' uso di concetti ben definiti rigorosamente e di una sintassi adeguata (un po' come anche il conseguire l' autocoscienza).
E credo che, anche in tempi moderni, moltissimi bambini purtroppo morti prematuramente in tenera età, magari anche già capaci di parlare, se non adeguatamente istruiti in proposito prima del decesso (o al limite, in teoria, se non tanto intelligenti e fortunati da esserselo confezionato da sé) non abbiano mai concepito il concetto di "infinito"; che pertanto non può essere considerato "innato", ma invece acquisito a posteriori, generalmente per insegnamento da parte di adulti o al limite, acquisito da individui particolarmente intelligenti e fortunati ragionando su concetti acquisiti empiricamente a posteriori.
Personalmente prima che mi si parlasse a scuola, nelle prime lezioni di geometria, dell' infinità della "retta" o dell' infinita "piccolezza" del "punto" o larghezza delle rette e dei segmenti non ne avevo punto alcuna pretesa nozione innata).
E questo anche se concordo che é errato e falso sostenere la piena coincidenza fra pensiero e linguaggio, idee e parole (anche chi sia colpito da afasia pensa, e talora anche con un buon grado di "sofisticatezza", per quanto si possa cimentare in lunghe e complesse catene deduttive con evidente maggiore difficoltà di chi possieda la facoltà del linguaggio).
Concordo pertanto che invece le due dimensioni (la facoltà puramente cogitativa e il pensiero linguistico), seppur fortemente legate, non coincidano, in quanto non tutti i nostri pensieri, tramite cui rispecchiamo gli aspetti delle cose stesse, sono verbalizzati.
Ma ciò non toglie che il concetto di "infinito" non é affatto congenito ma acquisito a posteriori dall' esperienza (di oggetti finiti) e dal ragionamento sugli oggetti dell' esperienza (nel corso della storia umana; di fatto oggi da ciascun individuo per insegnamento verbale-linguistico).
Invece il (preteso) concetto di un' intuizione interiore, di cui non si sia effettivamenteconsapevoli("autoconsapevole" significa "consapevole di se stesso" e non di un concetto diverso da sé, come per esempio quello di "infinito") al punto di individuare un segno sensibile per rappresentarla, ma che comunque dal profondo opererebbe nei loro processi mentale in forma ancora latente (ovvero inconscia).
Infatti pretese "intuizioniinteriori", di cui non si sia "effettivamente consapevoli" e "che comunque dal profondo opererebbe nei loro processi mentali in forma ancora latente (inconscia) sono pseudoconcetti palesemente autocontraddittori: un' intuizione non può che essere qualcosa di consapevolmente avvertito (cosa potrebbe mai essere un' "intuizione non coscientemente avvertita?); e anche qualsiasi processo mentale non può che essere qualcosa di consapevolmente avvertito nella propria esperienza interiore (res cogitans: cosa potrebbe mai essere un "processo mentale latente alla coscienza"?).