Fallacia naturalistica

Aperto da Jacopus, 25 Luglio 2025, 22:42:32 PM

Discussione precedente - Discussione successiva

anthonyi

Citazione di: Jacopus il 31 Luglio 2025, 16:57:19 PMDetto questo, l'etica viene dalla natura? Una certa tipologia di etica senz'altro. Che è quella della difesa della vita in modo associato. Il comandamento "non uccidere" è pertanto "naturale" in questo senso. Ma, come fai notare, abbiamo iscritto dentro di noi anche un "programma" di aiuto verso gli altri, come faceva notare l'antropologa M. Mead (moglie di G. Bateson e grande antropologa), con l'esempio dell'anziano curato della frattura.
Lo stesso programma però lo condividiamo con tutti i mammiferi e gli uccelli a differenza con quanto accade alle altre specie, che non sviluppano un sentimento associativo o se lo sviluppano (come negli insetti) è fortemente automatico (ma su questa tematica potremmo avere in futuro delle sorprese). Se potesse, credi che un cane non curerebbe il suo cucciolo? La fuoriuscita dalla natura verso la civiltà è stato un passaggio tecnologico molto lento e progressivo. Non vi è stata ad esempio una creazione fatta e finita di un linguaggio. Il linguaggio sarà emerso da versi e richiami che indicavano qualcosa, come quelli di molti primati e mammiferi superiori ( le balene hanno ad esempio un linguaggio molto esteso che si trasmette all'interno del gruppo, offrendo un altro esempio di trasmissione culturale extra umana).
Tutto ciò si interseca con il livello del cervello arcaico che condividiamo con altre specie (o sistema limbico) e con quello neocorticale.
 Ma a livello di neocorteccia le cose si complicano, perché il cervello crea un mondo suo, diventa autoreferenziale e può quindi "eticamente" disconfermare ciò che è iscritto ai livelli più ancestrali. Ed è per questo che l'uomo eccelle in comportamenti etici ed anti-etici, fino a pensare che sia eticamente giusto "impiccare" il sodomita, il bestemmiatore, o eliminare l'affetto da sindrome di down, e nello stesso tempo sacrificarsi per salvare degli sconosciuti (p. Kolbe, salvo d'acquisto).
Siamo esagerati nel bene e nel male, ed inoltre la cultura e ciò che apprendiamo nel nostro contesto formalizza un certo tipo di etica che non sarà mai uguale a quello di altri gruppi, proprio per l'incidenza culturale rispetto a valori etico-morali. Insomma un bel guazzabuglio, che le religioni hanno cercato talvolta di semplificare e la filosofia di rendere più complesso. Io credo che si possano trovare risposte efficaci a queste domande proprio dal confronto vitale fra filosofia, neuroscienze, antropologia e biologia.

A me questo sembra abbastanza discutibile, jacopus, nei meccanismi istintivi presenti nelle specie comunitarie ci sono certamente comportamenti solidaristici, ma anche di tipo violento indirizzati alla difesa della comunità.
Questi comportamenti possono essere indirizzati nei confronti di esterni alla comunità, ma anche nei confronti di interni alla comunità se percepiti come dannosi per la comunità stessa.
Tanto per essere chiari, jacopus, la teoria del "buon selvaggio" non ha fondamenti.
Meglio morire liberi che vivere da schiavi! 🤗

Alberto Knox

Citazione di: Jacopus il 31 Luglio 2025, 16:57:19 PMMa, come fai notare, abbiamo iscritto dentro di noi anche un "programma" di aiuto verso gli altri, come faceva notare l'antropologa M. Mead (moglie di G. Bateson e grande antropologa), con l'esempio dell'anziano curato della frattura.
Sì, è propio all aneddoto di Margareth Mead che mi riferisco. Gli chiesero se poteva indicare un momento storico nel quale è provato il passaggio da ominide a Homo. Ma non direi che è un programma iscritto in automatica nel cervello . Perchè nell esempio in questione dobbiamo notare due cose. Normalmente in natura quando succede che un idividuo si rompe una zampa , lasciano il malcapitato dal femore fratturato perchè non c'è niente che possano fare. L'umanità è nata, dice questo aneddoto, quando gli umani A ; si sono fermati , si fermarono, si presero cura e B ; capirono come fare. Perchè la cura non è semplicemente sentimento, è anche tecnica, abilità . Il che significa che ci devi mettere il cuore e ci devi mettere l'intelligenza . Così quando l antropologa scoprì durante le sue ricerche un femore umano risanato dopo una frattura capì che lì era successo qualcosa di storicamente importante. 
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Alberto Knox

Non conosco le controversie che si sono formate attorno alla fallacia naturalistica contro la fallacia artificiale dell etica. Però capisco una cosa, che finchè non avremo compreso il significato che la parola "cura" ci vuole consegnare , noi non avremo compreso appieno cosa significa "etica". 
A tal proposito vi presento una favola antica, la conosceta la favola di Igino?  ha circa 2000 anni e  fino al 1927 non la conosceva quasi nessuno. Ma a partire dal 1927 questa favola è diventata famosa, sopratutto nell ambito della filosofia, quindi è probabile che qualcuno di voi la conosca. Divenne famosa in quell anno perchè in quell anno Martin Heidegger pubblicò "essere e tempo" e in essere e tempo è presente la favola 220 di Igino. E parla della cura che adesso io vi presento. 

https://web.unica.it/unica/protected/220176/0/def/ref/MAT220166/

 ..Ma poiché fu la Cura che per prima diede forma a questo essere, fin che
esso vive lo possieda la cura...

io temo che voi abbiate in mente solo il significato attivo del termine cura. Cioè pensate che la cura sia prendersi cura, attenzione, sollecitudine. Ed è vero, la cura è anche questo , ma la cura in latino, così come in tedesco di Heidegger che la indica come "sorge" (preoccupazione in italiano)  , ha anche un signficato passivo che vuol dire ; "affanno" , "inquietudine" , "problemi" , "ferita" 
capite adesso il significato della favola? che è più profondo? la favola dice , noi siamo posseduti dalla cura il che significa che vogliamo curare perchè al contempo vogliamo essere curati.  C'è un significato attivo e un significato passivo di cura e Heidegger, molto più accorto filosoficamente di me, ce lo indica attraverso quella favola e capisce che lì c'è qualcosa di molto importante , di filosoficamente pregno, denso. 
Quale dei due significati è più importante parlare? cosa ne pensate, risposta ; dipende dai momenti della vita. Ci sono momenti in cui abbiamo solo bisogno di essere curati e ci sono momenti in cui capiamo che per essere curati dobbiamo curare. Sono talmente intrecciati i due significati attivo e passivo del termine cura che io capisco che la mia ferita la guarisco nella misura in cui mi prendo a cuore le ferite degli altri. fi quando sono concentrato sulla mia piccola ferita continuerà a non essere rimarginata , è solamente nella relazionalità che mi porta veramente a guarire. 
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Jacopus

Alberto, sono sostanzialmente d'accordo con i tuoi ultimi interventi e trovo molto bella (e la userò) la favola raccontata da H. e il retrostante concetto di cura, che è un indizio in più sulla ricerca della reciprocità come dinamica "aurea" nella vita di homo sapiens. Sul fatto che il principio della cura sia iscritto neurologicamente in homo sapiens non lo dico io ma una vasta letteratura psicoanalitica e neuroscientifica.  Non ti allego la bibliografia ma ti cito solo un testo che mi è caro e che è fondamentale per capire questo argomento, ovvero J. Panksepp, Archeologia della mente, Cortina. Non tutti sono d'accordo con Panksepp ma a me la sua lettura ha chiarito molti interrogativi sull'argomento e sopratutto mi ha fatto comprendere come, sottostante alla architettura della storia e della civiltà, ci sono, nell'uomo, potenti forze biologiche, flussi di neurotrasmettitori e di segnali biochimici che sono il risultato di una storia organica che ci collega a tutte le creature vitali di questo pianeta. Solo avendo presente queste forze ancestrali che ci modellano, possiamo agire in modo più consapevole nei piani alti della Zivilitation e della Kultur.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Jacopus

Citazione di: anthonyi il 31 Luglio 2025, 19:08:47 PMA me questo sembra abbastanza discutibile, jacopus, nei meccanismi istintivi presenti nelle specie comunitarie ci sono certamente comportamenti solidaristici, ma anche di tipo violento indirizzati alla difesa della comunità.
Questi comportamenti possono essere indirizzati nei confronti di esterni alla comunità, ma anche nei confronti di interni alla comunità se percepiti come dannosi per la comunità stessa.
Tanto per essere chiari, jacopus, la teoria del "buon selvaggio" non ha fondamenti.
Quali prove hai per dire che la teoria del buon selvaggio non ha fondamenti? Per il resto sono d'accordo. Nelle comunità animali (compresa quelle umane) sono presenti dinamiche di cura, solidaristiche e dinamiche egoistiche o di conflittualità. Ma se restiamo nel campo emotivo ancestrale, queste dinamiche sono tutte presenti per un unico scopo: la sopravvivenza della specie. A proposito del buon selvaggio. Vi sono tribù inuit che per ben accogliere lo straniero, lo invitano a dormire con la propria moglie. Nella tribù amazzonica degli yamomano invece fanno a gara a chi uccide più nemici (membri di altre tribù rivali). Quindi il "buon selvaggio", nella accezione rousseouiana è "double face", il che è coerente, poiché in questi due esempi è già in funzione la neocorteccia, che in sinergia con l'ambiente, ha trovato delle risposte originali e creative (non istintuali) al problema fondamentale della sopravvivenza. Ma precedentemente allo sviluppo delle culture inuit e yamomano, vi è un patrimonio neurobiologico che va indagato e che costituisce le fondamenta di ogni cultura successiva. Lo sforzo di Panksepp (che ho citato prima) è quello di cercare queste fondamenta in stati affettivi di base, piuttosto che nell' inconscio freudiano (Freud non a caso si definiva archeologo della mente). E fra questi stati affettivi di base vi è la cura e la sofferenza in caso di mancata cura. Del resto la potenza di questi sistemi è provata laddove essa manca nei cuccioli di ogni specie di mammifero ed uccello, che subiranno un grave deficit nello sviluppo e vari tipi di fragilità comportamentale in assenza di quelle attività di cura. Fra il "buon selvaggio" e lo "homo homini lupus" ho l'impressione che il primo sia più "naturale"  del secondo. Ma comprendo bene che il concetto di "homo homini lupus" si afferma necessariamente con lo sviluppo della civiltà, che rende impossibile un ritorno naive al "buon selvaggio". Il ritorno a forme di compensazione rispetto all'homo homini lupus, in un sistema artificiale, può avvenire solo artificialmente e non "a detour".
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

iano

#20
Citazione di: Jacopus il 31 Luglio 2025, 21:22:32 PMNon tutti sono d'accordo con Panksepp ma a me la sua lettura ha chiarito molti interrogativi sull'argomento e sopratutto mi ha fatto comprendere come, sottostante alla architettura della storia e della civiltà, ci sono, nell'uomo, potenti forze biologiche, flussi di neurotrasmettitori e di segnali biochimici che sono il risultato di una storia organica che ci collega a tutte le creature vitali di questo pianeta. Solo avendo presente queste forze ancestrali che ci modellano, possiamo agire in modo più consapevole nei piani alti della Zivilitation e della Kultur.
Oggi sappiamo che non solo siamo collegati a tutte le creature vitali, ma che siamo anche  un prodotto di questi collegamenti.
Se ogni essere vivente che ci compone, dovesse scegliere ogni volta se prendersi cura delle altri parti, cesseremmo di essere in un microsecondo, considerando quanti miliardi di relazioni vitali in quel tempo si compiono fra gli esseri viventi che ci compongono.
Non possiamo evitare di reagire empaticamente  alle altrui sofferenze, pur se è vero che quando queste si moltiplicassero fino a non potervi più far fronte, porremo una cinica barriera a nostra protezione.
Oggi leghiamo la nostra sopravvivenza al pianeta nel suo complesso, ecologicamente parlando, e abbiamo compreso che essa dipende da una ridefinizione delle nostre relazioni vitali.
Il corpo è malato quando le normali relazioni fra le parti falliscono, e bisogna diversamente prendersene cura, abbandonando gli emozionali automatismi che pur fino a un certo punto hanno funzionato.
Scriviamo con la mano, ma la miglior  scrittura è quella che ci prende la mano.

Alberto Knox

#21
Citazione di: Jacopus il 31 Luglio 2025, 21:22:32 PMSul fatto che il principio della cura sia iscritto neurologicamente in homo sapiens non lo dico io ma una vasta letteratura psicoanalitica e neuroscientifica.
va bene , io non voglio sminuire il valore costitutivo dell etica derivante da una base genetica. Senza geni e senza ambiente noi non saremmo ma da questi stessi geni siamo giunti ad essere liberi dalle determinazioni biologiche e ambientali . quelle stesse facoltà che tu dici iscritte nella neocorteccia ci rende liberi nel bene e nel male , di compiere o non compiere la cura. Dietro il peccato originale bibblico sul quale mi batto ormai da anni c'è una profonda verità dell esistenza. Ci sta esattamente quel dramma costitutivo dell uomo che giunge ad essere al vertice di tutte le cose perchè la neocorteccia e tutto quello che ne viene dietro ci da libertà e questa libertà che pone l'uomo al di sopra di tutti gli altri esseri viventi è quella stessa condizione che pone l'uomo al di sotto di ogni altro essere vivente perchè la meschinità, la malvagità , il male che può discendere dagli esseri umani non è neanche paragonabile a quello che può discendere dagli animali. Quindi sarà anche come dici, la questione della neocorteccia e tutto il resto ma poi è la scelta libera e consapevole che fa la differenza. è la neocorteccia che ci rende uomini etici? va bene ma poi è il nostro bagaglio esistenziale che guida le nostre scelte in quanto liberi dalle determinazioni biologiche e ambientali.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Jacopus

È proprio così Alberto, sottoscrivo quello che hai detto (in realtà scritto). Anch'io ritengo che la specie homo sapiens, pur non essendo l'unica specie ad essere dotata di libero arbitrio, è sicuramente quella che ne dispone in quantità maggiori, se possiamo dire così, e questa libertà creativa è proprio la conseguenza della presenza di una neocorteccia così sviluppata. Invece, se proprio vogliamo dirla tutta, la ns libertà di azione è proprio limitata dalla nostra storia e dall'ambiente, oltre che dalla nostra stessa fisiologia (non sono libero di stare più di qualche minuto sott'acqua, ad esempio). Credo che ci sia sempre un gioco nell'azione umana libera, una tensione fra ciò che è possibile, ciò che è necessario e ciò che progettiamo di fare "liberamente". E spesso per fare davvero cose nuove, bisogna saper dimenticare le vecchie. In questo sta, ad esempio, il messaggio dell'eterno ritorno di Nietzsche, nella interpretazione di Severino.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

anthonyi

Citazione di: Jacopus il 31 Luglio 2025, 21:42:33 PMQuali prove hai per dire che la teoria del buon selvaggio non ha fondamenti? Per il resto sono d'accordo. Nelle comunità animali (compresa quelle umane) sono presenti dinamiche di cura, solidaristiche e dinamiche egoistiche o di conflittualità. Ma se restiamo nel campo emotivo ancestrale, queste dinamiche sono tutte presenti per un unico scopo: la sopravvivenza della specie. A proposito del buon selvaggio. Vi sono tribù inuit che per ben accogliere lo straniero, lo invitano a dormire con la propria moglie. Nella tribù amazzonica degli yamomano invece fanno a gara a chi uccide più nemici (membri di altre tribù rivali). Quindi il "buon selvaggio", nella accezione rousseouiana è "double face", il che è coerente, poiché in questi due esempi è già in funzione la neocorteccia, che in sinergia con l'ambiente, ha trovato delle risposte originali e creative (non istintuali) al problema fondamentale della sopravvivenza. Ma precedentemente allo sviluppo delle culture inuit e yamomano, vi è un patrimonio neurobiologico che va indagato e che costituisce le fondamenta di ogni cultura successiva. Lo sforzo di Panksepp (che ho citato prima) è quello di cercare queste fondamenta in stati affettivi di base, piuttosto che nell' inconscio freudiano (Freud non a caso si definiva archeologo della mente). E fra questi stati affettivi di base vi è la cura e la sofferenza in caso di mancata cura. Del resto la potenza di questi sistemi è provata laddove essa manca nei cuccioli di ogni specie di mammifero ed uccello, che subiranno un grave deficit nello sviluppo e vari tipi di fragilità comportamentale in assenza di quelle attività di cura. Fra il "buon selvaggio" e lo "homo homini lupus" ho l'impressione che il primo sia più "naturale"  del secondo. Ma comprendo bene che il concetto di "homo homini lupus" si afferma necessariamente con lo sviluppo della civiltà, che rende impossibile un ritorno naive al "buon selvaggio". Il ritorno a forme di compensazione rispetto all'homo homini lupus, in un sistema artificiale, può avvenire solo artificialmente e non "a detour".
E' proprio quest'ultima affermazione che é infondata, l'idea cioé che con la civiltà si affermi un'addizione di violenza nella specie umana, concetto implicito nell'idea di "buon selvaggio". 
Naturalmente gli esempi dei popoli selvaggi di oggi non sono pertinenti, perché il confronto va fatto con gli uomini che risiedevano originariamente negli stessi territori dove poi si é sviluppata la civiltà, dove per una frattura di femore curata potrai trovare centinaia di  morti per ferite procurate con armi, e se anche in certi tratti temporali si può notare qualche aumento, rispetto alla generale discesa della quantità di morti artificiali, questo dipende dal l'evoluzione tecnologica che rende la pratica dell'uccisione più semplice.
Se gli uomini civilizzati di oggi, in 80 anni di convivenza con l'atomica, il bottone per farla partire non lo hanno mai premuto, puoi stare tranquillo che i selvaggi loro avi lo avrebbero premuto da tempo.
Volevo poi farti notare, jacopus, che questo discorso sulla natura violenta umana non é collineare con la dicotomia solidarietà egoismo, perché ho già spiegato che gli atti istintivi violenti hanno spesso un.    fondamento di tutela della comunità, e quindi sono solidaristici. 
Meglio morire liberi che vivere da schiavi! 🤗

Jacopus

Citazione di: anthonyi il 01 Agosto 2025, 02:52:33 AME' proprio quest'ultima affermazione che é infondata, l'idea cioé che con la civiltà si affermi un'addizione di violenza nella specie umana, concetto implicito nell'idea di "buon selvaggio".
Naturalmente gli esempi dei popoli selvaggi di oggi non sono pertinenti, perché il confronto va fatto con gli uomini che risiedevano originariamente negli stessi territori dove poi si é sviluppata la civiltà, dove per una frattura di femore curata potrai trovare centinaia di  morti per ferite procurate con armi, e se anche in certi tratti temporali si può notare qualche aumento, rispetto alla generale discesa della quantità di morti artificiali, questo dipende dal l'evoluzione tecnologica che rende la pratica dell'uccisione più semplice.
Se gli uomini civilizzati di oggi, in 80 anni di convivenza con l'atomica, il bottone per farla partire non lo hanno mai premuto, puoi stare tranquillo che i selvaggi loro avi lo avrebbero premuto da tempo.
Volevo poi farti notare, jacopus, che questo discorso sulla natura violenta umana non é collineare con la dicotomia solidarietà egoismo, perché ho già spiegato che gli atti istintivi violenti hanno spesso un.    fondamento di tutela della comunità, e quindi sono solidaristici.
Che gli esempi delle popolazioni odierne non influenzate dal mondo moderno non siano pertinenti è una affermazione insensata, visto che tutti gli studi antropologici si fondano su questo. E del resto non hai compreso quello che voglio dire. Infatti ho scritto che già a livello di culture "selvagge" entra in gioco la "cultura" e quindi accanto a culture selvagge "da buon selvaggio" vi sono culture "da cattivo selvaggio". Ma prima dell'avvento della cultura, lo ripeto, vi sono nell'uomo, strutture neurobiologiche fondate sulla cura e sulla solidarietà che la cultura, ad esempio attraverso le religioni ha amplificato. Su scala globale che la violenza sia diminuita nel corso dei secoli è vero se prendiamo il dato e lo paragoniamo percentualmente al numero dei viventi in quel momento. Sia quella per guerre/rivoluzioni sia quella di tipo criminale. Ciò che contesto è una visione scissa di homo sapiens, che spesso nella tradizione religiosa viene descritto come portatore di un "peccato originale", che solo tramite sforzi, fede, rituali, divina provvidenza e quant'altro, può essere tenuto a bada. In realtà dipende dal mix di interazioni fra struttura neurobiologica di base strutturata per la sopravvivenza (ed anche violenta), strutture neo corticali più libere di agire nel bene e nel male e ambiente culturale, che va considerato nella sua storia (e pertanto vi saranno popoli più o meno violenti sulla base della violenza appresa ed assistita). In questo modo, se la civiltà ha sicuramente agito in termini di attenuazione della violenza (vedi Pinker o Elias), questo non è una garanzia assoluta che avvenga sempre anche in futuro. Inoltre esiste anche qui una differenza di fondo. Il processo storico di civilizzazione ha abbassato sensibilmente i tassi di violenza soprattutto in alcune parti del mondo, mantenendo livelli molto più alti nel cosiddetto terzo mondo, dove vanno a scaricarsi molte delle contraddizioni del processo attuale di civilizzazione, che si fonda in modo centrale sullo sfruttamento delle risorse materiali, su una civiltà di cose da consumare.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

InVerno

Citazione di: anthonyi il 01 Agosto 2025, 02:52:33 AMVolevo poi farti notare, jacopus, che questo discorso sulla natura violenta umana non é collineare con la dicotomia solidarietà egoismo, perché ho già spiegato che gli atti istintivi violenti hanno spesso un.    fondamento di tutela della comunità, e quindi sono solidaristici.
Difatti i selvaggi inuit non prestavano la moglie agli sconosciuti per altruismo, ma per una serie di vantaggi personali (es. avere protezione per la famiglia mentre si è in viaggio) e sociali (allargare il pool genetico), che lo sapessero o meno poco importa, ora che quei vantaggi sono spariti è sparita anche la bontà con cui offrivano le mogli agli altri (altrimenti oggi vivrebbero di turismo sessuale). Al "buon selvaggio" non credo, specialmente se con buono si intende "altruista", ovvero che mette l'interesse degli altri di fronte al proprio, credo invece all' "ottimo selvaggio" quello che fa l'ottimo, ovvero produce risultati positivi per tutti i convolti fintanto che non danneggia gli altri.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

anthonyi

Citazione di: Jacopus il 01 Agosto 2025, 07:38:24 AMChe gli esempi delle popolazioni odierne non influenzate dal mondo moderno non siano pertinenti è una affermazione insensata, visto che tutti gli studi antropologici si fondano su questo. E del resto non hai compreso quello che voglio dire. Infatti ho scritto che già a livello di culture "selvagge" entra in gioco la "cultura" e quindi accanto a culture selvagge "da buon selvaggio" vi sono culture "da cattivo selvaggio". Ma prima dell'avvento della cultura, lo ripeto, vi sono nell'uomo, strutture neurobiologiche fondate sulla cura e sulla solidarietà che la cultura, ad esempio attraverso le religioni ha amplificato. Su scala globale che la violenza sia diminuita nel corso dei secoli è vero se prendiamo il dato e lo paragoniamo percentualmente al numero dei viventi in quel momento. Sia quella per guerre/rivoluzioni sia quella di tipo criminale. Ciò che contesto è una visione scissa di homo sapiens, che spesso nella tradizione religiosa viene descritto come portatore di un "peccato originale", che solo tramite sforzi, fede, rituali, divina provvidenza e quant'altro, può essere tenuto a bada. In realtà dipende dal mix di interazioni fra struttura neurobiologica di base strutturata per la sopravvivenza (ed anche violenta), strutture neo corticali più libere di agire nel bene e nel male e ambiente culturale, che va considerato nella sua storia (e pertanto vi saranno popoli più o meno violenti sulla base della violenza appresa ed assistita). In questo modo, se la civiltà ha sicuramente agito in termini di attenuazione della violenza (vedi Pinker o Elias), questo non è una garanzia assoluta che avvenga sempre anche in futuro. Inoltre esiste anche qui una differenza di fondo. Il processo storico di civilizzazione ha abbassato sensibilmente i tassi di violenza soprattutto in alcune parti del mondo, mantenendo livelli molto più alti nel cosiddetto terzo mondo, dove vanno a scaricarsi molte delle contraddizioni del processo attuale di civilizzazione, che si fonda in modo centrale sullo sfruttamento delle risorse materiali, su una civiltà di cose da consumare.

E' una affermazione non pertinente rispetto alla tua asserzione che riguarda l'effetto di una particolare "civilizzazione" che potremmo definire occidentale o borghese, per usare un termine caro a certe ideologie dalle quali tu dici di non essere condizionato, quando invece lo sei visto che riproponi la tesi dello sfruttamento coloniale.
Poi mi spiegherai come mai, se é la gestione coloniale a produrre violenza, un paese come Haiti, che é stata una delle prime dove lo "sfruttamento coloniale" é finito, é uno dei luoghi dove c'é oggi maggiore violenza al mondo.
Non capisco poi perché consideri "scissa" una visione dell'uomo che evidenzi la profonda differenza tra meccanismi istintivi che comportano un grande potenziale di violenza e il fatto che poi, tramite vari meccanismi di condizionamento, tra cui anche i riti religiosi, questo potenziale sia significativamente ridotto. Come dice Biglino, siamo una specie addomesticato, da chi non si sa, ma lo siamo!
Meglio morire liberi che vivere da schiavi! 🤗

Alberto Knox

Citazione di: Jacopus il 31 Luglio 2025, 23:16:57 PMInvece, se proprio vogliamo dirla tutta, la ns libertà di azione è proprio limitata dalla nostra storia e dall'ambiente, oltre che dalla nostra stessa fisiologia (non sono libero di stare più di qualche minuto sott'acqua, ad esempio). Credo che ci sia sempre un gioco nell'azione umana libera, una tensione fra ciò che è possibile, ciò che è necessario e ciò che progettiamo di fare "liberamente"
liberi dalle determinazioni biologiche e ambientali non significa che queste determinazioni non ci siano, hai fatto l'esempio che non possiamo stare piu di qualche minuti sott acqua certo perchè la determinazione biologica dell istinto di sopravvivenza prenderebbe il sopravvento ,infatti se un suicida (in grado di nuotare) sceglie di terminare la sua vita annegando deve avere l accortezza di legarsi un masso pesante al collo se no sa che il corpo combatterebbe per salvarsi.  Non possiamo ruotare il ginocchio a 360° ne rimablzare per la stanza perchè anche noi facciamo parte dell ordine naturale delle cose. Però possiamo decidere chi vogliamo essere , un lupo, un leone , una gazzella, non hanno la possibilità di decidere chi vogliono essere , sono strettamente armonizzati sui binari di madre natura. è questo il senso no? poi l'ambiente e la storia che ci limita. Ma lo hai detto anche tu stesso che.. 

jacopus ha scritto;
L'uomo, in sostanza, attraverso la cultura ha creato "un mondo artificiale" sempre potenzialmente modificabile. Questa modificabilità è diventata anzi un tratto consueto, in qualche modo la modificabilità è nelle società umane un tratto permanente..
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Discussioni simili (1)