Fallacia naturalistica

Aperto da Jacopus, 25 Luglio 2025, 22:42:32 PM

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Jacopus

In altra parte del forum ha luogo un duello senza esclusione di colpi rispetto al concetto di "fallacia naturalistica". Piuttosto che entrare lì, ho preferito aprire una nuova discussione qui, che possa circoscrivere il tema. La questione nei suoi tratti generali è nota: "dalla descrizione non può derivare la prescrizione". Questa impostazione presuppone una netta divisione fra natura e cultura. La cultura è un prodotto artificiale e l'uomo si è completamente emancipato da ogni legge non convenzionale, sia che essa si faccia derivare dalla natura o dalla religione o da ogni altro fondamento dogmatico.
Si tratta di un approccio "responsabilizzante" perchè si fa riferimento esclusivamente a ciò che "teoricamente" i membri di una società decidono su cosa sia bene e cosa male, su ciò che bisogna prescrivere (genericamente "le norme", dal galateo alla dichiarazione dei diritti dell'Uomo). Questa estrema libertà è anche facilmente osservabile, nello studiare le società che si sono succedute nel tempo e nello spazio. Ci sono società che definiscono malvagio mangiare carne di maiale, ed altre che ritengono sconveniente parlare in metropolitana. La fallacia naturalistica inoltre si è notevolmente sgonfiata, quando si sono appresi meglio i comportamenti degli animali, spesso in passato paragonati come il buon modello dell'umanità, mentre oggi si è scoperto che sono violenti, sessualmente morbosi, pigri, rabbiosi e desiderosi di drogarsi esattamente come noi umani.
In effetti, io penso che siamo in un estremo della scala della natura, dove la natura ha poco peso, anche se è stata la natura a volerlo, affibbiandoci un cervello voluminoso ed in grado di creare "un suo mondo". L'uomo, in sostanza, attraverso la cultura ha creato "un mondo artificiale" sempre potenzialmente modificabile. Questa modificabilità è diventata anzi un tratto consueto, in qualche modo la modificabilità è nelle società umane un tratto permanente, così come le formiche in modo permanente sono organizzate a seguire la fila.

Ma questo pigiare l'acceleratore nell'artificialità hobbesiana, che pur ha evidenti vantaggi, non mi convince del tutto. In qualche modo noi siamo il nostro cervello, sia a livello individuale che sociale e il nostro cervello non è unico, ma è un insieme un pò accrocchiato di diversi cervelli sovrapposti. Il principio della fallacia naturalistica funziona molto bene a livello di neocorteccia, che è la parte del cervello maggiormente in grado di costruirsi una realtà autonoma, a pensare oltre al già dato. Ma nei cervelli inferiori sono iscritte norme di comportamento di base, che inevitabilmente regolano il nostro agire e regolandolo emettono scale di priorità e quindi valori e quindi scelte etiche. Gran parte di esse sono ovviamente centrate sullo scopo di sopravvivere, almeno quel tanto che basta per procreare la generazione successiva. Credo che proprio a causa di questi schemi ancestrali ed automatici di stampo emozionale, le fallacie naturalistiche ci piacciono tanto. Ancora una volta credo che cadere nel tranello della  critica alla fallacia naturalistica, sia il bisogno della neocorteccia di dominare, con i suoi raffinati ragionamenti, tutta la baracca umana, che però è anche natura e bisogno di mimesi naturale. Ancora una volta, ritengo che la procedura per il buon vivere sia quella di non lasciarsi irretire nè dalla fallacia naturalistica, ma neppure dalla fallacia artificialistica.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

iano

Possiamo considerare  innaturale solo ciò del cui divenire abbiamo coscienza, come ad esempio la cultura o la tecnologia.
D'altra parte, nella misura in cui la cultura la ereditiamo possiamo non averne piena coscienza, considerando come naturale ciò che la riguarda.

Scriviamo con la mano, ma la miglior  scrittura è quella che ci prende la mano.

Phil

Secondo me, fra descrizione e prescrizione può esserci un rapporto dialettico senza scadere in fallacie, che invece si realizzano quando tale rapporto viene inteso come fondazionale. Così come non c'è un'etica (bene/male) fondata su descrizioni oggettive (a cui invece si può applicare, ovviamente), altrimenti potremmo con una dimostrazione oggettiva risolvere tutti i dilemmi etici in modo inconfutabile, parimenti non c'è una scienza che sia basata su prescrizioni, che ovviamente possono sopraggiungere dall'esterno (extra-fondamento) in un secondo momento, quando qualcuno vieta alla scienza di prendere una certa strada, proprio perché tale strada la scienza la "sfiora" come possibile o almeno plausibile.
La divergenza più evidente è che le prescrizioni sono solitamente a priori (qualcosa viene vietato spesso per prevenire che accada o è obbligatorio ancor prima che si arrivi alla condizione di poterlo adempiere), mentre le descrizioni sono solitamente a posteriori. Per questo può esserci una dialettica e persino una "complicità ontologica" fra ciò che viene scoperto e descritto (sollecitazione esterna verso il soggetto) e ciò che si ritiene di dover prescrivere (sollecitazione dal soggetto al suo esterno). Tuttavia mentre la descrizione è basata sull'oggetto (oltre che sulle categorie, gli strumenti, etc.), la "necessità" di prescrivere è tutta umana, anche nel senso di specie animale (non certo l'unica in questo), è il modo binario (si/no, bene/male, attrazione/repulsione, etc.) con cui l'uomo si relaziona al mondo (che comprende anche egli stesso); a prescindere da quanto ne sappia descrivere.
Bilanciare quella "complicità ontologica" (descrizione/prescrizione) con questa "asimmetria deterministica" (nel senso che l'uomo condiziona e altera il suo habitat ben oltre il semplice adattamento all'ambiente, v. tecnologia ed ecologia, ovvero adattamento dell'ambiente) è forse la colonna sonora della quotidianità, tanto per gli individui quanto per le collettività.

Alberto Knox

Citazione di: Jacopus il 25 Luglio 2025, 22:42:32 PMMa questo pigiare l'acceleratore nell'artificialità hobbesiana, che pur ha evidenti vantaggi, non mi convince del tutto. In qualche modo noi siamo il nostro cervello, sia a livello individuale che sociale e il nostro cervello non è unico, ma è un insieme un pò accrocchiato di diversi cervelli sovrapposti. Il principio della fallacia naturalistica funziona molto bene a livello di neocorteccia, che è la parte del cervello maggiormente in grado di costruirsi una realtà autonoma, a pensare oltre al già dato. Ma nei cervelli inferiori sono iscritte norme di comportamento di base, che inevitabilmente regolano il nostro agire e regolandolo emettono scale di priorità e quindi valori e quindi scelte etiche. Gran parte di esse sono ovviamente centrate sullo scopo di sopravvivere, almeno quel tanto che basta per procreare la generazione successiva. Credo che proprio a causa di questi schemi ancestrali ed automatici di stampo emozionale, le fallacie naturalistiche ci piacciono tanto. Ancora una volta credo che cadere nel tranello della  critica alla fallacia naturalistica, sia il bisogno della neocorteccia di dominare, con i suoi raffinati ragionamenti, tutta la baracca umana, che però è anche natura e bisogno di mimesi naturale. Ancora una volta, ritengo che la procedura per il buon vivere sia quella di non lasciarsi irretire nè dalla fallacia naturalistica, ma neppure dalla fallacia artificialistica.
una visione puramene materialistica dell essere umano sulla quale sono distante anni luce . Mi è nuova la trovata  che noi siamo il nostro cervello che è poi un accrocchio di diversi cervelli dove  vi sono cervelli superiori (la neocorteccia) e i cervelli sottostanti "inferiori" (a chi poi?) dove sono iscritte norme di comportamento etico di base. Ma dove sono iscritte? nella carne sono iscritte o nella cultura? quante volte l'ominide primitivo a strnagolato suo figlio solo perchè piangeva di notte per poi provare quel sentimento che si chiama rimorso? e quando è diventato un essere umano quella creatura che era scesa dagli alberi? quando ha iniziato a cacciare? a parlare? a vivere in clan? Se vogliamo parlare di fallacia naturale dobbiamo rispondere a questa domanda; quando l'essere umanoide è diventato uomo?
Non puoi dire ; noi siamo il nostro cervello perchè ti risponderei che noi siamo il nostro corpo e non siamo il nostro corpo . E ma così ti contraddici, sì, hai perettamente ragione, mi sto contraddicendo...
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

iano

#4
Citazione di: Alberto Knox il 29 Luglio 2025, 22:35:14 PMSe vogliamo parlare di fallacia naturale dobbiamo rispondere a questa domanda; quando l'essere umanoide è diventato uomo?


Possiamo descrivere  la storia della vita come popolata  da umani e umanoidi, però non ce l'ha prescritto il dottore.
Potrebbe essere utile raccontare storie equivalenti cambiando gli attori.
Allora diventa facile rispondere alla tua domanda.
L'umanoide diventa uomo quando lo decide chi racconta la storia.
La descrizione diviene prescrizione, quando la storia sembra raccontarsi da sola.



Scriviamo con la mano, ma la miglior  scrittura è quella che ci prende la mano.

Jacopus

Citazione di: Alberto Knox il 29 Luglio 2025, 22:35:14 PMuna visione puramene materialistica dell essere umano sulla quale sono distante anni luce . Mi è nuova la trovata  che noi siamo il nostro cervello che è poi un accrocchio di diversi cervelli dove  vi sono cervelli superiori (la neocorteccia) e i cervelli sottostanti "inferiori" (a chi poi?) dove sono iscritte norme di comportamento etico di base. Ma dove sono iscritte? nella carne sono iscritte o nella cultura? quante volte l'ominide primitivo a strnagolato suo figlio solo perchè piangeva di notte per poi provare quel sentimento che si chiama rimorso? e quando è diventato un essere umano quella creatura che era scesa dagli alberi? quando ha iniziato a cacciare? a parlare? a vivere in clan? Se vogliamo parlare di fallacia naturale dobbiamo rispondere a questa domanda; quando l'essere umanoide è diventato uomo?
Non puoi dire ; noi siamo il nostro cervello perchè ti risponderei che noi siamo il nostro corpo e non siamo il nostro corpo . E ma così ti contraddici, sì, hai perettamente ragione, mi sto contraddicendo...

Provo a rispondere a tutto. "Noi siamo il nostro cervello". Ho scritto "in qualche modo noi siamo il nostro cervello", lasciando capire che in qualche altro modo, noi non siamo "solo" il nostro cervello. Si continua a vivere anche se si è in coma, e il nostro corpo interagisce continuamente con il cervello, attraverso segnali elettrici e biochimici. Rispetto alla morfologia del cervello si è fatta un po' di chiarezza. La teoria dei tre cervelli di McLean non è accettata da tutti ma ha una sua validità esplicativa. Se vedi una illustrazione del cervello è abbastanza evidente la differenza organica fra neocorteccia e il resto del cervello. Che questa differenza sia legata alla sovrapposizione di cervelli sempre più recenti è una ipotesi su cui molti autori convergono.

Il comportamento etico dell'uomo è un altro argomento complesso. Ai piani bassi vi è un approccio etico più emotivo che razionale, ai piani alti (per semplificare neocorteccia), più razionale che emotivo. Si badi che sto molto semplificando, poiché tra piani bassi e piani alti vi è sempre reciproca dipendenza e azioni di feed-back, influenzate dalla storia e dall'ambiente del singolo homo sapiens. Ancora, semplificando, mentre gli altri organi vengono di solito sostituiti attraverso le leggi del l'evoluzionismo, il cervello sembra essere esente da questa regola. Di lui non si butta via niente, come con il maiale.

L'etica pertanto è iscritta sia nella struttura cerebrale che nella cultura. Non possiamo negare la presenza dell'una o dell'altra. Un sistema emotivo di base come quello della sofferenza nel caso in cui siamo isolati e privati di cure ci racconta come sia stato logico costruire sistemi etici fondati su valori comuni e condivisi. Natura e cultura sono strettamente interconnessi in noi, esattamente come i nostri molteplici cervelli (ne abbiamo uno piccolino anche nello stomaco, che con i suoi 500 milioni di neuroni non è neppure così piccolo).

Rispetto alla domanda di quando siamo diventati "uomini", se ho inteso bene, corrisponde al chiedere: quando abbiamo abbandonato lo stato di natura. Direi che potrebbe corrispondere al momento in cui abbiamo creato un linguaggio e con essi miti, storie, leggende. Anche in questo caso pensiero fondato su strutture organiche e meccanismi per svolgere il pensiero (linguaggio) sono strettamente interconnessi. Infine ribadisco comunque un concetto: noi siamo ancora animali. Nulla ci differenzia dalle altre specie in termini organici. La natura ha fatto con noi una scommessa, incrementando un organo (sempre lui) che ci ha condotto fin qua, rendendoci un ibrido natura/cultura.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

iano

#6
Citazione di: Jacopus il Oggi alle 00:27:04 AMNatura e cultura sono strettamente interconnessi in noi, esattamente come i nostri molteplici cervelli (ne abbiamo uno piccolino anche nello stomaco, che con i suoi 500 milioni di neuroni non è neppure così piccolo).

Rispetto alla domanda di quando siamo diventati "uomini", se ho inteso bene, corrisponde al chiedere: quando abbiamo abbandonato lo stato di natura. Direi che potrebbe corrispondere al momento in cui abbiamo creato un linguaggio e con essi miti, storie, leggende. Anche in questo caso pensiero fondato su strutture organiche e meccanismi per svolgere il pensiero (linguaggio) sono strettamente interconnessi. Infine ribadisco comunque un concetto: noi siamo ancora animali. Nulla ci differenzia dalle altre specie in termini organici. La natura ha fatto con noi una scommessa, incrementando un organo (sempre lui) che ci ha condotto fin qua, rendendoci un ibrido natura/cultura.
Non solo siamo ancora animali, ma non abbiamo mai smesso di essere naturali.
Parlare di uomini (non animali) e culturale (non naturale) significa usare termini divisivi per un continuo da raccontare ,  che si possono sempre ricomporre per cambiare la storia, stante la sua non univocità.
Dire che l'uomo nasce col linguaggio, significa spostare la domanda a quando nasce il linguaggio.
Se il linguaggio è comunicazione possiamo chiederci meglio quando gli esseri viventi hanno iniziato a comunicare, in una regressione che ci porta all'inizio della vita, a quando è iniziata, sempre che sia iniziata, perchè quel che sappiamo di certo è solo che ogni racconto deve avere un inizio.
Scriviamo con la mano, ma la miglior  scrittura è quella che ci prende la mano.

iano

#7
Citazione di: iano il Oggi alle 01:05:20 AMParlare di uomini (non animali) e culturale (non naturale) significa usare termini divisivi per un continuo da raccontare ,  che si possono sempre ricomporre per cambiare la storia, stante la sua non univocità.

Nel credere di poter dire cosa è bene e cosa è male,  sottintendiamo che sia bene raccontare la storia così come la raccontiamo, perchè nel dirlo usiamo i termini che abbiamo scelto per raccontarla.
Il bene e il male di cui possiamo dire è quindi basato sulla natura nella misura in cui la cultura è cosa naturale, e quindi se, e solo se, la cultura è cosa naturale, io concordo che la morale si fondi sulla natura.
Nel dirlo però io sto mettendo in discussione il racconto che si basava sulla distinzione fra culturale e naturale, e facendo ciò non potrò più parlare di bene e di male nei termini in cui ne parlavo prima, ponendo le basi per una rivoluzione sociale, dove la parola, come sempre, può più della spada.
Però passare da un racconto ad un altro, non è come chiudere un libro già letto per aprirne un altro tutto da leggere ancora, ma è lo stesso libro che racconta una nuova storia diversa quando i termini divisivi vengono ricuciti cambiando di significato, o perdendolo in favore di termini nuovi aggiunti come note a margine.
I nostri racconti della realtà, nella misura in cui li prendiamo sul serio, diventano testi sacri nostro malgrado.
Il mistero della vita non è racchiuso dentro un testo sacro. Il mistero è come faccia a diventare un testo sacro per noi.
Il libro che racconta la realtà, e la realtà che immaginiamo leggendo un libro, sono due facce della stessa medaglia.
Il bene e il male sono già insiti nel come li posso raccontare, nei termini che userò per farlo, e quindi cambiano quando cambierò i termini del racconto.



Scriviamo con la mano, ma la miglior  scrittura è quella che ci prende la mano.

iano

#8
I termini che usiamo per descrivere la realtà, a furia di ripeterli come un mantra, perdono di significato e diventano realtà, talchè termini come bene e male diventano il bene e il male insiti nella realtà.
I termini che inizialmente descrivono la realtà acquisiscono col tempo il potere di evocarla, e questo spiega come la realtà ci appare.
La capacità di immaginare  genera l'illusione quanto l'evidenza.
Scriviamo con la mano, ma la miglior  scrittura è quella che ci prende la mano.

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