Mi sono sempre considerato innanzitutto un filosofo ("naif", non un professore di filosofia, che é ben altra cosa).
Da gran tempo seguo Epicuro nel considerare desiderabile la felicità e non la (quantità della) vita purchessia (ma invece la sua qualità), e detestabile, da evitare l' infelicità, non la morte in ogni caso.
E, come più volte scritto anche in questo forum, mi é "sempre" piaciuto immaginare (ottimisticamente!) di finire la mia complessivamente felice esistenza dandomi la morte (magari dopo aver mangiato del' ottimo cioccolato gianduia alle nocciole, bevuto un buon bicchiere di vino e ascoltando piacevolissime musiche) con una forte dose di barbiturici o analoghi sonniferi allorché mi accorgessi che il tempo che mi rimanesse fosse ragionevolmente da ritenersi con ogni probabilità più carico di dolore che di felicità.
Recenemente sono stato affetto fa una influenza particolarmente forte, con complicazione batterica, che molto mi ha fatto soffrire soggettivamente e che credo di poter dire (alla mia non più tenera età di 65 anni, per cui avevo deciso di vaccinarmi; ma poi, rimanda oggi e rimanda domani, é arrivata prima l' infezione!) mi ha fatto correre il rischio di morire.
Credo di avere imparato da questa esperienza qualcosa di non banale, che ha scosso notevolmente il mio precedente ottimismo.
Innanzitutto i casi della vita sono così imprevedibili che non é improbabile che una malattia mortale accompagnata da non trascurabili sofferenze mi (ci) colga "all' improvviso", senza che vi sia il tempo di prevenire il relativo carico di dolore con l' eutanasia.
Inoltre prima probabilmente, sentendomi presuntuosamente forte e sano, ero anche troppo freddo e indifferente, troppo duro verso i miei cari, la cui meravigliosa presenza e il cui sostegno morale ho apprezzato proprio nel momento in cui si palesava la mia debolezza e fragilità.
Giunto a questo punto della mia vita mi sentirei appagato di ciò che ho fatto, a posto con a mia coscienza e complessivamente felice, ragion per cui sarebbe del tutto ragionevole provvedere subito a darmi l' eutanasia, dal momento che ulteriori gioie e soddisfazioni non aumenterebbero sostanzialmente la complessiva felicità della mia vita (non me ne potrei aspettare alcun "salto di qualità" in tal senso), mentre é del tutto ragionevole pensare che dalla mia ulteriore sopravvivenza potrebbero derivare in netta preponderanza sofferenze e dolori.
Ma in questo modo (cosa che prima di questa dura esperienza tendevo colpevolmente a ignorare) arrecherei dolore ai miei cari e li danneggerei in molti modi (dalla banale ma non irrilevante, a essere realisti, perdita della mia discreta pensione a quella certamente più importante della mia presenza, della mia saggezza -per quel poco che ne ho- del mio possibile aiuto in caso di bisogno, del mio affetto).
E questo lo sento come profondamente ingiusto, cattivo, "infelicitante (anche me stesso)" se da me attuato.
Credo di avere imparato amaramente (dalla vita, e non dallo studio, non dalla filosofia) che la vita può anche essere crudele, anche la mia propria che finora é stata complessivamente molto fortunata e felice.
E che non esistono, come prima mi illudevo fosse, scorciatoie in grado di evitare il rischio del dolore e dell' infelicità in futuro.
Che bisogna rassegnarsi e cercare di essere sempre pronti ad affrontarla.
D' altra parte, secondo quanto ne raccontano i discepoli, Epicuro stesso accettò di vivere fino a tarda età malgrado gli inevitabili acciacchi e sofferenze che ciò avrebbe comportato e morì tra atroci dolori per insufficienza renale ostruttiva (da ipertrofia prostatica probabilmente, oppure da ostruzione litiasica dell' uretra, come é facile diagnosticare dal loro racconto), ma serenamente per aver coltivato a lungo l' amicizia dei frequentatori del Giardino ed averli aiutati a vivere a loro volta felicemente.
Non mi pare ci sia altro da aggiungere.
Felice di averti ancora qui con noi.
Citazione di: iano il 03 Marzo 2018, 13:50:46 PM
Non mi pare ci sia altro da aggiungere.
Felice di averti ancora qui con noi.
CitazioneTi ringrazio di tutto cuore!
Probabilmente é il sentirsi ben voluti la cosa che rende più bella e degna di essere vissuta la vita (l' avevo già notato nel mio gatto, ma mi pare di potere estendere la considerazione alla vita in toto e in particolare alla vita umana).
Caro Sgiombo,
questa volta condivido pressochè tutto quello che hai scritto, e, soprattutto, il fatto di considerare desiderabile la qualità della vita, e non la sua quantità; la vita è come una poesia, meglio breve e bella, che lunga e brutta.
Cos'altro ci sarebbe da aggiungere, per esempio, a questa? "M'illumino d'immenso!"
Prima di morire, però, io preferirei di gran lunga una barretta di cioccolato LINDT EXCELLENCE Noir "Orange Intense", perchè quello alla nocciola non mi è mai piaciuto.
Comunque sono perfettamente d'accordo circa il suicidio, che non ritengo affatto una follia, bensì, al contrario, l'atto più lucido e razionale che -in determinate circostanze- un uomo possa compiere; inoltre, secondo me, è MOLTO meno rischioso essere morto, e, quindi, in condizione di non poter più rimpiangere di non essere più vivo, che essere ancora vivo, ma in condizione di dover rimpiangere di non essere ancora morto (come il mio caro amico Paolo, paralizzato dalla SLA).😟
Circa il miglior modo di togliersi la vita, invece, ci sono varie opinioni al riguardo; io, volendo, potrei usare il mio revolver S&W calibro 357 MAGNUM, però non è un sistema assolutamente sicuro...e, soprattutto, non è un modo molto "pulito" di morire.
Dopo attenta riflessione, invece, sono pervenuto alla conclusione che il modo migliore per suicidarsi -avendone la possibilità- sarebbe il seguente:
- recarsi in un albergo di alta montagna, possibilmente in prossimità di un ghiacciaio, ad una temperatura esterna di almeno 5/6 gradi sotto lo zero;
- allontanarsi verso l'una notte, in un bosco, portando con se almeno 2 bottiglie di vodka (possibilmente quella polacca, la "Spyritus", 96% vol.);
- in un posto ben nascosto e lontano dall'albergo, sdraiarsi sulla neve e cominciare a bere "a garganella";
- sebbene l'alcool dia una gradevole sensazione di tepore, è solo un'illusione, perchè nel giro di un'ora o due il corpo va comunque in "ipotermia", senza quasi accorgersene;
- a causa della scarsa ossigenazione del cervello, dovuta al rallentamento del metabolismo ed alla fibrillazione atriale, però, dopo una gradevole sensazione di stordimento dovuta all'acool, si scivola dal sonno alla morte nel modo meno doloroso possibile.
Non è solo un'ipotesi, ma, purtroppo, una triste realtà sperimentata dai nostri centomila morti in Russia; la maggior parte dei quali, ubriachi, si è lasciata volontariamente scivolare il un piacevole assideramento, ignorando gli incitamenti a rialzarsi ed a proseguire la marcia da parte dei compagni. :'(
Tale metodo (se ben architettato), tra l'altro, presenta l'ulteriore vantaggio di consentire ai familiari di riscuotere una eventuale assicurazione della vita; ed infatti in un caso del genere, per i periti dell'assicurazione sarebbe alquanto arduo dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che si è trattato di un suicidio. ;)
Comunque, almeno per ora, lungi da me l'idea di togliermi la vita, in quanto, pur avendo subito l'asportazione di un rene a causa di un carcinoma (2003), poi della prostata (2012) e infine di un tumore al cervello (2013), in fin dei conti, a parte il fatto che ho mezzo cranio di plastica, non me la passo poi tanto male!
L'influenza annuale, infatti, finora, l'ho sempre evitata facendo ogni anno il dovuto vaccino! ;D
Però, viste le mie esperienze, ho realizzato ESATTAMENTE, quello che hai realizzato tu: e, cioè, che i casi della vita sono così imprevedibili che non é improbabile che una malattia mortale accompagnata da non trascurabili sofferenze ci colga "all' improvviso", senza che vi sia il tempo di prevenire il relativo carico di dolore con l' eutanasia.
Ed ho fatto pure il tuo stesso identico ragionamento: cioè che, forse, in fondo, sarebbe del tutto ragionevole provvedere subito a darmi l' eutanasia, dal momento che ulteriori gioie e soddisfazioni non aumenterebbero sostanzialmente la complessiva felicità della mia vita, mentre é del tutto ragionevole pensare che dalla mia ulteriore sopravvivenza potrebbero derivare in netta preponderanza sofferenze e dolori.
Anzi, invecchiando, direi che è pressochè certo, perchè, come diceva Cicerone: "Senectus ipsa morbus est!"
Non ho cambiato una virgola di quello che hai scritto, perchè sottoscrivo tutto parola per parola.
Però, se mi consenti, io aggiungerei una ulteriore riflessione: la vita, anche quando ci va tutto per il verso giusto, è come un gradevolissimo "picnic" su un lago ghiacciato a primavera...come fai a gustarti il pranzo, sapendo che, da un momento all'altro, il ghiaccio si può rompere?
Ma, ancora peggio, quando sai che si può rompere in modo diversi; cioè, o uccidendoti subito quasi senza dolore, ovvero in modo lento e doloroso (come accade, più o meno, nel 90% dei casi)!
Come nel caso di un mio amico, che, da tre anni, ormai completamente paralizzato (una mente lucida sepolta in un corpo immobile) in un letto di ospedale, sta MOLTO lentamente morendo di sclelosi laterale amiotrofica!
Però, come te, anche io ho le tue stesse remore riguardanti i familiari, che, se mi suicidassi, soffrirebbero immensamente; e, per tale ragione, anche io sento un eventuale suicidio come profondamente ingiusto, cattivo, ed "infelicitante" anche per me stesso.
Per cui, come dicevo sopra, per adesso a suicidarmi non ci penso proprio!!!
Però, se mi dovessero diagnosticare un male orribile senza plausibile speranza di salvezza (come, appunto, la SLA), penso proprio che, "forse", mi toglierei subito la vita; ed infatti, visto che, tanto, i miei familiari dovrebbero comunque soffrire vedendomi morire atrocemente, tanto varrebbe farla finita subito, abbreviando sia la mia sofferenza che la loro!
O sbaglio?
Caro amico,diverse ragioni (anche di salute, per cui ben ti comprendo) mi han fatto decidere di dismettere la frequentazione del forum quando avessi raggiunto i 300 post. L'ultimo post scritto (30 dicembre dell'anno scorso) era per la (mia) discussione al di là dell'aldilà, e già lo stavo inviando quando mi son accorto che il mio totale non era 299 bensì 298...Raramente erro con i numeri, così ho pensato che per qualche motivo sia stato eliminato un mio precedente post... poco importa, non mi son dato pena di scoprir quale... ma, accidenti, me ne mancava ancor uno..!Considerandolo un segno del destino mi son detto che l'avrei scritto quando avessi sentito di poter dire qualcosa di significativo... o intervenire su qualcosa di significativo...Bene, quel momento è alfine giunto a causa di quanto hai qui scritto e che ho apprezzato grandemente, dimostrando d'esser andato al di là di quelli ch'erano i tuoi convincimenti. Quanto ho letto mi conferma dell'opinione che avevo di te: tanta sostanza in superficie... in attesa d'esser allagata da quella in profondità, d'altro tipo. Son davvero contento d'averti conosciuto e frequentato e ti dedico questo mio ultimo post augurandoti innumerevoli anni a venire, parafrasando gli aforismi che ben conosci... Essere è percepire che tutte le determinazioni lo negano.
Con affetto,Jean(PS- qualcosa d'ironico... qual luogo migliore di questo... https://youtu.be/LXJQUYjfW2E)
Citazione di: Jean il 03 Marzo 2018, 16:19:53 PM
Caro amico,
diverse ragioni (anche di salute, per cui ben ti comprendo) mi han fatto decidere di dismettere la frequentazione del forum quando avessi raggiunto i 300 post.
L'ultimo post scritto (30 dicembre dell'anno scorso) era per la (mia) discussione al di là dell'aldilà, e già lo stavo inviando quando mi son accorto che il mio totale non era 299 bensì 298...
Raramente erro con i numeri, così ho pensato che per qualche motivo sia stato eliminato un mio precedente post... poco importa, non mi son dato pena di scoprir quale... ma, accidenti, me ne mancava ancor uno..!
Considerandolo un segno del destino mi son detto che l'avrei scritto quando avessi sentito di poter dire qualcosa di significativo... o intervenire su qualcosa di significativo...
Bene, quel momento è alfine giunto a causa di quanto hai qui scritto e che ho apprezzato grandemente, dimostrando d'esser andato al di là di quelli ch'erano i tuoi convincimenti.
Quanto ho letto mi conferma dell'opinione che avevo di te: tanta sostanza in superficie... in attesa d'esser allagata da quella in profondità, d'altro tipo.
Son davvero contento d'averti conosciuto e frequentato e ti dedico questo mio ultimo post augurandoti innumerevoli anni a venire, parafrasando gli aforismi che ben conosci...
Essere è percepire che tutte le determinazioni lo negano.
Con affetto,
Jean
(PS- qualcosa d'ironico... qual luogo migliore di questo... https://youtu.be/LXJQUYjfW2E)
Caro Jean,
mi dispiace molto che tu abbandoni il FORUM :(
Non c'è modo di convincerti a restare, magari diradando un po' i tuoi interventi? ;)
Citazione di: Eutidemo il 03 Marzo 2018, 18:05:01 PM
Citazione di: Jean il 03 Marzo 2018, 16:19:53 PM
Caro amico,
diverse ragioni (anche di salute, per cui ben ti comprendo) mi han fatto decidere di dismettere la frequentazione del forum quando avessi raggiunto i 300 post.
L'ultimo post scritto (30 dicembre dell'anno scorso) era per la (mia) discussione al di là dell'aldilà, e già lo stavo inviando quando mi son accorto che il mio totale non era 299 bensì 298...
Raramente erro con i numeri, così ho pensato che per qualche motivo sia stato eliminato un mio precedente post... poco importa, non mi son dato pena di scoprir quale... ma, accidenti, me ne mancava ancor uno..!
Considerandolo un segno del destino mi son detto che l'avrei scritto quando avessi sentito di poter dire qualcosa di significativo... o intervenire su qualcosa di significativo...
Bene, quel momento è alfine giunto a causa di quanto hai qui scritto e che ho apprezzato grandemente, dimostrando d'esser andato al di là di quelli ch'erano i tuoi convincimenti.
Quanto ho letto mi conferma dell'opinione che avevo di te: tanta sostanza in superficie... in attesa d'esser allagata da quella in profondità, d'altro tipo.
Son davvero contento d'averti conosciuto e frequentato e ti dedico questo mio ultimo post augurandoti innumerevoli anni a venire, parafrasando gli aforismi che ben conosci...
Essere è percepire che tutte le determinazioni lo negano.
Con affetto,
Jean
(PS- qualcosa d'ironico... qual luogo migliore di questo... https://youtu.be/LXJQUYjfW2E)
Caro Jean,
mi dispiace molto che tu abbandoni il FORUM :(
Non c'è modo di convincerti a restare, magari diradando un po' i tuoi interventi? ;)
CitazioneMi associo convintamente a questa richiesta.
E ringrazio di cuore entrambi e altri amici del forum che mi hanno messaggiato privatamente per gli apprezzamenti verso le mie considerazioni e la sollecitudine per la mia salute, che mi ha quasi commosso.
Ma chi L' ha detto che gli incontri in Internet sono sempre necessariamente freddi e privi di umanità???
A Eutidemo vorrei dire in particolare che con i progressi recenti e tutt' ora in atto della medicina, che rischiano di prolungare vite quasi esclusivamente dolorose, il testamento biologico e il diritto all' eutanasia sono assolutamente e urgentemente necessari anche da noi in Italia.
P.S.: Davvero spassoso Pangallo!
Un saluto a Sgiombo il cui post é un manifesto all'onestà di pensiero che peraltro l'ha sempre contraddistinto.
Esorto anch'io Jean a ripensarci, che avrà mai sto 300 di particolare? Sempre enigmatico....
Caro Sgiombo,
per fortuna il 31 gennaio 2018, è entrata in vigore la LEGGE 22 dicembre 2017, n. 219, in base alla quale chiunque ha il diritto di rifiutare la terapia che lo tiene forzatamente in vita, tramite la nutrizione artificiale l'idratazione artificiale ecc.; c'è già chi ha chiesto l'applicazione della legge, ed anche il mio amico ci sta pensando. :)
http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/1/16/18G00006/sg
Un saluto al caro amico Sgiombo e alla sua ripresa dell'attività sul forum ( se ne sentiva la mancanza veramente...). :)
Anche la mia salute non è granché in questo periodo e infatti ho diradato in questi ultimi giorni la visione dei vari post o i miei interventi...
La sofferenza ci aiuta a crescere ? Spesso, direi di sì...
Cosa s'intende con 'crescere'? Forse comprendere che la sofferenza non è evitabile e che fa parte dell'esistenza. Non è un accidente che ci capita. Esistendo...si soffre! Però la sofferenza può anche essere un fuoco purificatore. Durante questi periodi spesso conosciamo chi veramente ama e chi invece finge di amare, tra coloro che ci circondano. Soprattutto se si tratta di una lunga e penosa sofferenza...
Il nostro soffrire fa soffrire anche coloro che nutrono vero affetto verso di noi e però li spinge a diventare soggetti attivi d'amore di fronte alla nostra fragile passività, dovuta alla malattia. Se fossimo sopra un'alta torre, e potessimo semplicemente osservare con fredda impersonalità la nostra sofferenza, vedendo agire e mutare l'animo di coloro che magari si affannano verso di noi, forse potremmo quasi definirci dei 'poli d'attrazione' per esercitare ( o fuggire...) la chiamata ad amare...ché "amare", per me, significa in primo luogo 'prendersi cura' di colui che soffre.
Diversamente da @Sgiombo e @Eutidemo io non ho mai veramente pensato o meditato il suicidio, per evitare la sofferenza...
Questo perché, contrariamente a loro, ritengo che l'elemento coscienza/vinnana che si è manifestato attraverso questo aggregato chiamato 'corpo', non cessa d'esistere con la morte fisica ma cerca di riprendere 'forma' in un nuovo "calore", in un nuovo utero...
Diventa perciò di fondamentale importanza anche il "come" l'elemento coscienza vive la morte dell'aggregato corpo, perché questo va a influire sull'intero "processo" di ri-nascita della coscienza/vinnana...
Ma queste , ovviamente, sono solo idee personali, basate su 'ricordi', sensazioni, intuizioni o altro di ben poco dimostrabile... :)
E, in verità, ognuno di noi è solo di fronte a certe scelte, ma nello stesso tempo non lo è, perché ogni nostra scelta incide nella vita e nella coscienza di coloro che ci amano...
P.S. Anch'io mi unisco all'invito rivolto all'amico Jean di riprendere l'attività e la frequentazione del forum.
Nello stesso tempo, per l'amicizia che mi lega a lui, comprendo anche la sua scelta, di cui credo d'intuire i motivi...
E lui sa che molti di questi motivi...sono anche miei...
P.P.S. Consiglio all'amico Sgiombo di tardare un pò a tirar fuori la motocicletta dal garage quest'anno. Almeno sino a Maggio...il primo mese senza la "R" ( di raffreddamento... ;D ).
Caro Sgiombo,
sono contento che sei riuscito a riprenderti, intanto quello, che per quel poco che conta è tutto quello che conta, e poi spero sarai pronto per altre "mille" battaglie intellettuali. ;)
intellettualmente anche noi siamo tuoi figli...ricordalo! :-[
All'amico Sgiombo un augurio di buon ritorno per nuove discussioni da "incazzature".
La malattia è parte della sanità del corpo, quanto il veleno ha un suo antidoto, così come
la convalescenza dopo la malattia, il riprendere forze ci fa capire l'armonia.
Non nasciamo per nostra consapevolezza e la morte la considero la fatica del vivere. Lascio alla vita il suo percorso.
Ma capisco la sofferenza e il dolore e per me la libertà rimane sacra nelle proprie scelte, allorchè non arrechi danno altrui,
E la dipartita di qualcuno volontaria dal mondo la ritengo in qualche modo una sconfitta per coloro che vi rimangono nel mondo.
Al buon Jean dico "mai dire mai".
Anch'io dirado i miei interventi nel forum, e ognuno è affaccendato alle sue faccende , alle sue passioni.Ma del "diman" nessuno può dire,
Lascio anche quì il corso degli eventi.Mi spiacerebbe molto non aver più a che fare con il creatore del "Buddha cafè"
e dell'"Hotel Logos",con Jean ho una certa affinità elettiva che subito scorsi al suo apparire nel forum, la sua visione il suo modo di scrivere così empatico con quella leggerezza e allo stesso tempo profondità.
Un abbraccio ai "veci" del forum Sgiombo e Jean; ognuno dia quello che può e nei suoi tempi che ritene opportuno.
Cosa dire ancora che non è stato già detto? Mi limito ad augurare una completa guarigione a Sgiombo, così da poter sfoderare altri duelli dialettici, magari levigati da questa nuova interlocutrice, implacabile ma inevitabilmente così connessa alla vita, da poter essere considerata l'alter ego lunare della nostra madre.
Ciao amico @sgiombo,
anzitutto bentornato! Si sentiva la tua mancanza ;) spero che adesso tu stia meglio! Non vedo l'ora per poter conversare ancora in questo "Giardino epicureo virtuale".
Segue una riflessione sulla "sofferenza" e la "contingenza" della vita. Molto personale e molto "dura" (non è stato facile scriverla :( più che altro perchè è difficile farle diventare non una semplice filosofia ma incorporarle nella "vita vissuta" :( )...
Riguardo alla "sofferenza". Sì, concordo col @Sari, non possiamo in alcun modo sfuggire alla "sofferenza", qualsiasi sua forma. A volte la sofferenza si manifesta in modo terribile come nel caso della paralisi citato da @Eutidemo. A volte si manifesta in modo assai meno evidente ma ciononostante piuttosto terribile, come ad esempio la depressione o qualcosa di simile. Ovvero quando per esempio ci sentiamo abbandonati, isolati, disperati e così via. E naturalmente talvolta le malattie "del corpo" influiscono sulla mente: ovvero a volte è proprio una malattia fisica che ci fa capire la realtà della nostra esistenza, ovvero il fatto che la sofferenza in realtà è sempre dietro l'angolo. Il "pericolo" è ovunque. Anche quando pensiamo di essere "al sicuro" in realtà siamo esposti al pericolo. Ci può capitare una improvvisa malattia.
Anzi la "sofferenza" è una realtà che solitamente non viene presa seriamente, ma ignorata. O più precisamente viene ignorato ciò che descrivevo qui:
https://www.riflessioni.it/logos/percorsi-ed-esperienze/crisi-esistenziale/ il punto "1" dei miei problemi di allora. I miei peggiori momenti di pessimismo solitamente non vengono da un determinato evento, bensì dalla "contemplazione" del mondo. Sogni distrutti. Progetti che vengono fatti e che vengono improvvisamente mandati all'aria. Persone che investono le loro energie in più o meno nobili aspirazioni. E poi magari all'improvviso un piccolo errore o un intervento "del caso" manda in malora tutto. Questa è la realtà delle cose: la contingenza. "Contingenza" ovvero il poter mutare da un momento all'altro senza alcun preavviso. Quello che si vede è un mondo dominato dalla nascita di esseri viventi che desiderano vivere e vivere bene. Cercano di stare bene. E poi però in un modo o nell'altro non riescono a fuggire dalla sofferenza o dalla morte, il "punto di non ritorno" per antinomasia. Quando contempliamo la morte, vediamo la nostra vita come un "tutt'uno". Tutti i nostri progetti vengono messi in relazione con l'idea che un giorno lasceremo questa vita. Ma guardando oggettivamente il mondo vediamo che questa verità è universale, per tutti gli esseri viventi e anche per i nostri cari. Dunque capendo questo sentiamo freddo e solitudine.
Mi chiedo io, l'umanità se non ignorasse ogni momento la sofferenza avrebbe ancora la forza di continuare progetti? Ma veramente vogliamo ignorare la contingenza della vita per tutta la vita? Sì e talvolta ci riempiamo di impegni, facciamo attività proprio per dimenticarlo.
Eppure la contingenza è lì. Così come una volta che la consapevolezza della contingenza sorge, difficilmente se ne va via. Rimane lì, anche quando decidiamo di ignorarla.
Ci sono contingenze e sofferenze di varia natura. Ma come dice il @Sari, noi abbiamo anche un modo per trasformare la sofferenza: ovvero darle un significato. Non possiamo sfuggire a queste due realtà. Come possiamo dare significato alla sofferenza? Beh, proprio nei momenti più bui apprezziamo l'amore, per esempio. Diamo significato ad un atto di gentilezza, ad un aiuto. E soprattutto vediamo che i gesti di autentica "buona volontà" e "compassione" prendono molto significato. Vediamo la natura fragile delle cose e al contempo però grazie a questa fragilità e debolezza comprendiamo l'importanza della buona volontà, della compassione e della consolazione della sofferenza. Un altro modo per dare significato alla sofferenza è anche questo. Soffriamo per vari tipi di cose. Possiamo, per esempio decidere di fare solo le cose che sono importanti nella vita e tralasciare il resto. Se in fin dei conti comprendiamo la contingenza allora ogni momento della nostra vita diventa prezioso. E siccome è prezioso non vogliamo più sprecarlo e cerchiamo l'importante.
Inoltre se estendiamo queste nostre considerazioni agli altri, vediamo la nostra esperienza anche in loro. E proviamo com-passione, ovvero sentiamo che la nostra situazione è analoga alla loro. E forse è proprio questa la base della "morale" e della famosa "regola d'oro". Vedere nell'altro un'esperienza simile alla nostra.
Ciononostante nel mondo dilaga il male. La sofferenza permea il mondo perchè la contingenza permea il mondo. Tuttavia l'uomo è così malvagio che pur comprendendo la natura contingente delle cose a volte si comporta in modo violento aumentando la sofferenza sua e degli altri. Come se la semplice vita esposta ai pericoli "naturali" (ovvero non derivanti dall'azione dell'uomo) ne fosse priva!
Dunque cosa ci può insegnare la "sofferenza"? Beh in realtà molte cose! Per esempio ci può invitare a seguire le cose più importanti e a tralasciare quelle meno importanti. Ci può inoltre far apprezzare molto di più i gesti di autentica "buona volontà".
Riguardo al dopo-la-morte. Anche qui. Ci sembra "ovvio" che dopo alla morte ci sia l'annientamento della coscienza. Tuttavia antichi saggi di ogni parte del globo hanno affermato che la morte non è la fine. Epicuro, che capì molte cose della sofferenza in vita, invece riteneva che la morte era la fine della coscienza e quindi anche della sofferenza. Altri invece non erano d'accordo con Epicuro, la maggior parte direi. E, cosa che ritengo assai interessante, molti di questi hanno legato al dopo-la-morte l'etica in questa vita. Ovvero che il come ci comportiamo in questa vita è talmente importante da avere influenzare non solo l'oggi ma anche il "dopo". In quest'ottica la morale diviene importantissima, in effetti. Da qui si capisce anche come molte religioni hanno come idea centrale la morale, la relazione dell'uomo con una realtà che va oltre la vita "terrena" e anche una forte (in vari modi, più o meno espliciti) consapevolezza della contingenza e della sofferenza. Tuttavia nelle religioni c'è un fortissimo richiamo a vedere le cosein una prospettiva molto più grande della nostra vita. Vediamo le cose sotto la prospettiva di tempi lunghissimi (o "infiniti" addirittura), vediamo la nostra vita da una prospettiva così grande e al tempo stesso la viviamo all'interno. E la morale, l'etica, il "valore" ecc forse nascono dalla contemplazione sotto questa prospettiva più grande. E a volte è proprio la sofferenza a "risvegliarci", a farci guardare le cose sotto questa prospettiva.
Anche se è un po' esagerata la seguente citazione rende l'idea:
«Ad eccezione dell'uomo, nessun essere si meraviglia della propria esistenza... La meraviglia filosofica ... è viceversa condizionata da un più elevato sviluppo dell'intelligenza individuale: tale condizione però non è certamente l'unica, ma è invece la cognizione della morte, insieme con la vista del dolore e della miseria della vita, che ha senza dubbio dato l'impulso più forte alla riflessione filosofica e alle spiegazioni metafisiche del mondo. Se la nostra vita fosse senza fine e senza dolore, a nessuno forse verrebbe in mente di domandarsi perché il mondo esista e perché sia fatto proprio così, ma tutto ciò sarebbe ovvio.» (A. Schopenhauer)
P.S. Anch'io invito @Jean a scrivere ancora sul Forum.
Tuttavia come il @Sari, posso immaginare i motivi. Se sono quelli che penso (non necessariamente coincidenti a quelli che pensa il @Sari (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/grin.gif)), @Jean hai la mia comprensione nella tua scelta. Però sappi che un tuo eventuale ritorno sarà ben gradito :)
Riguardo al dopo-la-morte, è "ovvio" che dopo alla morte ci sia l'annientamento della "coscienza individuale".
E, questo, per una serie di ragioni a mio avviso inoppugnabili, di cui qui elenco solo le due principali:
1) Tutto ciò che ha avuto un inizio deve avere logicamente una fine; e, quindi, poichè la nostra "coscienza individuale", formatasi a poco a poco come un fiore che germoglia, ha avuto un suo inizio, deve necessariamente avere una fine (la quale, a volte, putroppo, sopraggiunge anche prima della morte fisica) .
2) Non è ovviamente possibile sapere <<COSA C'E'>> dopo la morte, ma questo non comporta che non sia possibile neanche sapere cosa <<COSA NON C'E'>>; spesso si tende a confondere le due cose, le quali, invece, sono logicamente MOLTO diverse! ;)
Per cui, per esempio, nessuno nutre ancora credenze tanto puerili e primitive, da lasciare nel sepolcro cibi e bevande, pensando che il defunto se ne possa nutrire nell'aldilà; ed infatti, in assenza di una bocca, di uno stomaco e di un intestino ancora funzionanti, nessuno può mangiare alcunchè, nè successivamente evacuarlo (altrimenti i cimiteri sarebbero ingestibili).
Alla stessa stregua, poichè, alla fin fine, il cervello è un organo alla stregua di tutti gli altri, una volta che abbia smesso di funzionare, non può più produrre pensiero e "coscienza individuale"; e, questo, purtroppo, spesso accade anche quando il resto del corpo continua ancora a vivere!
Figuriamoci dopo che è morto! :(
Ma non mi sorprende che quasi tutti (me compreso) siamo così restii a prendere atto di una realtà così ovvia, visto che è logica e, comunque, direttamente constatabile; infatti, probabilmente, il nostro sistema limbico (il "cervello rettile") non accetta l'idea della propria fine, ed entra il conflitto con la corteccia prefrontale, la quale, essendo la parte più evoluta del cervello, "capisce" inequivocabilmente di dover morire!
Ed è per questo che, antichi saggi di ogni parte del globo hanno affermato che la morte non è la fine; gli stessi antichi saggi, che, però, affermavano pure l'esistenza degli dei dell'Olimpo.
La cosa, quindi, non fa molto testo!
Premesso quanto sopra, però, sebbene, a mio avviso, sia giocoforza prendere atto che la nostra "coscienza individuale" è destinata inesorabilmente a spegnersi (spero solo al momento della morte, e non prima), credo che sia però possibile quantomeno ipotizzare in noi una sorta di "anima eterna" -non "immortale"- , la quale, in quanto manifestazione dell'ESSERE, così come non è nata, allo stesso modo non può morire.
Un po' come se fosse un attore impazzito, il quale, ogni giorno ed ovunque, non fa che recitare parti diverse, immedesimandosi in personaggi che cessano di esistere ogni volta che cala il sipario; mentre Lui, invece, è sempre lo stesso (inconsapevole), fino a che, un giorno, si risveglierà dalla sua follia e capirà che tutti i personaggi che ha rappresentato finora, erano sempre e soltanto LUI! ;)
Ciao @Eutidemo,
allora anche io sono dell'idea che tutto ciò ha inizio poi (per un motivo o per l'altro finisce) ha una fine (ok ci sono le semirette... ma direi che ciascuna cosa che inizia è contingente e quindi è
può essere distrutta)*. E siccome non ho mai osservato un mente "senza corpo" sarei portato a pensare che alla morte del corpo cessano le condizioni per cui può sussistere la mente e quindi anche la coscienza viene annientata alla morte. Tuttavia, può anche essere vera questa analogia. La nostra vita è come una sonata al pianoforte e affinché ci sia è necessaria la presenza di un pianista e del pianoforte. Chiaramente se il pianoforte si rompe non implica che anche il pianista muore. Tuttavia a livello pratico la musica cessa. Ergo se la nostra coscienza non è riducibile al corpo allora è possibile pensare che in qualche senso
esista anche all'infuori del corpo. Nota che chiramente è un'ipotesi non-scientifica. Tuttavia secondo me ha senso prenderla in considerazione, per quanto segue.
Ad ogni modo...
Citazione di: Eutidemo il 05 Marzo 2018, 07:07:25 AMRiguardo al dopo-la-morte, è "ovvio" che dopo alla morte ci sia l'annientamento della "coscienza individuale". Ma non mi sorprende che quasi tutti (me compreso) siamo così restii a prendere atto di una realtà così ovvia, visto che è logica e, comunque, direttamente constatabile; infatti, probabilmente, il nostro sistema limbico (il "cervello rettile") non accetta l'idea della propria fine, ed entra il conflitto con la corteccia prefrontale, la quale, essendo la parte più evoluta del cervello, "capisce" inequivocabilmente di dover morire! Ed è per questo che, antichi saggi di ogni parte del globo hanno affermato che la morte non è la fine; gli stessi antichi saggi, che, però, affermavano pure l'esistenza degli dei dell'Olimpo.
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Non credo che ogni discorso sull'aldilà possa essere "ridotto" alla "volontà" di poter continuare a vivere. Come ben sappiamo infatti in genere desideriamo vivere, tuttavia la vita può essere terribile e talvolta desideriamo la non-esistenza. Per esempio senza andare a scomodare le religioni Socrate, secondo l'apologia di Platone, mise la questione nei seguenti termini: se dopo la morte non c'è nulla allora è come un sonno senza sogni mentre se dopo la morte c'è una prosecuzione dell'esistenza individuale allora è meglio vivere nel bene anche per questo motivo. In realtà accettare l'esistenza di un aldilà può essere tutt'altro che un pensiero consolatorio. Anzitutto, ci costringe a vedere le nostre azioni in modo diverso se cominciamo a credere che le nostre azioni oltre ad avere conseguenze in "questo mondo" hanno conseguenze anche dopo la morte (un esempio Wittgenstein era attratto dalla possibilità dell'anima immortale proprio per l'idea che "nemmeno la morte ci libera dagli obblighi morali"). E l'idea è che in qualche modo essere "virtuosi" (ovviamente non c'è un accordo su cosa voglia dire...) procuri beneficio sia nell'adesso che nel dopo. E in genere si crede che questa prospettiva faccia in modo che si
tenda a comportarsi in un certo modo anziché un altro.
Ad ogni modo è ancora più interessante la nostra condizione per cui
non sappiamo cosa c'è "dopo", vedi la mia argomentazione qui https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/immortale-anch'io-no-!-tu-no-!!/msg17367/#msg17367. In sostanza l'idea è che se la morte non azzera le differenze a livello morale allora la moralità acquisisce più significato. Viceversa se fossimo
sicuri dell'aldilà allora la moralità diverrebbe una sorta di "egoismo" nel senso che non eviteremo di fare l'ingiustizia perchè è ingiustizia e non faremo la giustizia perchè è giustiza ma solo perchè non fare una e fare l'altra sarebbe di nostro vantaggio. Il nostro
non sapere dunque ci aiuta in due modi: da un lato non possiamo essere sicuri che alla morte tutto finisca e questo ci dovrebbe in teoria fare in modo che diamo più importanza alle nostre azioni e dall'altro non sapendo cosa ci aspetta (se ci aspetta qualcosa) non facciamo più le azioni giuste e non evitiamo le ingiuste per il nostro vantaggio ma perchè vogliamo essere
giusti (e si fa la giustizia per fare la giustizia, si fa il bene per il bene in sé ecc non per "tornaconto" secondo molti grandi pensatori religiosi e non...)
.Chiaramente da un punto di vista scientifico la cosa è un po' più semplice[/size][size=undefined][size=undefined] e inoltre è ben giusto essere scettici su queste cose.[/size] Però questo "scetticismo" secondo me non implica ragionare solo in termini empirici o scientifici (anche perchè l'etica non può essere spiegata in tal modo, per esempio!) ;)
*faccio notare di sfuggita che nella religione cristiana la "vita futura" è possibile solo grazie all'intervento di Dio. In fin dei conti se la nostra "anima immortale" non è sempre esistita allora o è immortale perchè è stata così creata da Dio oppure perchè è mantenuta in essere con l'intervento di Dio. Altre religioni e filosofie giustificano la vita futura con il fatto che ci sono state vite passate che non ricordiamo ecc[/size]
Ciao @Apeiron,
le semirette indubbiamente esistono, ma solo in "geometria", non in "natura".
Quanto all'analogia del pianoforte, mi piace moltissimo, e, in un certo senso, potrei anche condividerla; però a condizione di assimilare le nostre "coscienze individuali" ad innumerevoli effimeri pianoforti, e il pianista ad una sorta di unica "coscienza universale" (sebbene si tratti di un termine di comodo, perchè temo che si tratti di qualcosa di difficilmente definibile con il linguaggio simbolico).
Quanto ad una "mente" senza corpo potrei anche immaginarmela, ma una "coscienza individuale" senza corpo, assolutamente NO; perchè ho purtroppo constato di persona che essa non solo viene annientata alla morte, ma, a volte, anche prima.
E' sicuramente vero che la nostra "coscienza individuale" (e sottolineo l'aggettivo "individuale") non è riducibile al corpo, allo stesso modo in cui la "digestione individuale" non è assimilabile allo stomaco; ma, se viene a mancare il cervello o lo stomaco, l'esperienza insegna che nè la "coscienza individuale" nè la ""digestione individuale" possono avere luogo in alcun modo. ;)
***
Quanto al fatto che, se è vero che in genere desideriamo vivere, tuttavia la vita può essere terribile e talvolta desideriamo la non-esistenza, questo è esattamente quello che avevo detto io, quando scrivevo che nel nostro cervello a volte si verifica un "conflitto neuronale"; ed infatti, mentre la "neocorteccia" ci fa capire che in certi casi è il momento di farla finita, l'"amigdala", la parte arcaica, ci spinge però in ogni circostanza a cercare di sopravvivere (per questo chi si è buttato a fiume non riesce a restare fermo per colare a picco come un sasso) ;)
***
Quanto al ragionamento di Socrate, sarebbe perfettamente condivisibile, ma solo se fosse fisiologicamente e logicamente possibile supporre una prosecuzione dell'esistenza "individuale" dopo la morte; ma, per i motivi che ho già detto, secondo me è una cosa ASSOLUTAMENTE impossibile!
Quello "che c'è" dopo la morte, nessuno può saperlo (a parte i morti); ma quello "che non c'è", a mio avviso, è molto facilmente inferibile. ;)
***
Quanto al fatto che le nostre azioni, oltre ad avere conseguenze in "questo mondo" potrebbero avere conseguenze anche dopo la morte, non è una cosa che si possa escludere; questo, nel senso che, se una coscienza "individuale" devia dal retto agire, potrebbe avere qualche problema a ricongiungersi a quella "universale" dopo la morte.
Ma qui entriamo nel campo di ipotesi, soprattutto religiose, in cui, per adesso, non mi voglio addentrare; ricordo solo che San Paolo disse che solo gli uomini retti, dopo la morte, sono destinati "a divenire con Dio un unico Spirito"...e non tante animelle individuali che chiacchierano tra di loro sopra le nuvole! ;)
***
Quanto all'idea che, in qualche modo, essere "virtuosi" possa procurare un beneficio sia nell'adesso che nel dopo, secondo me, così ragionando, con una visione così "mercenaria" della virtù, si finisce per rendere "eteronoma" l'etica: ed invero, secondo una visione "autonoma" della morale, il bene va fatto in quanto bene, e non in vista di un "profitto" celeste, o per il timore di una "punizione" infernale.
In due parole, cioè: la virtù è un fine, e non un mezzo!
Però non metto in dubbio che tale convinzione sia socialmente molto utile (insieme alle prigioni) a tenere un po' a freno coloro che hanno cattive tendenze!
Tra poco devo uscire, per cui leggerò successivamente, con molto interesse, quanto scrivi sul LINK che mi hai cortesemente segnalato. ;)
***
Quanto al fatto di ragionare in termini "scientifici" o "filosofici", come ho più volte sostenuto in questo FORUM, secondo me, si tratta di un falso problema, perchè ogni tipo di approccio va fatto nell'ambito giusto.
Quanto al fatto che "l'etica" non possa essere spiegata in termini scientifici, pensa un po' che, tanti anni fa, io scrissi una tesi intitolata proprio "IL FONDAMENTO BIOLOGICO DELL'ETICA"; in tale testo, sostenevo (e non solo io, ovviamente) che buona parte del nostro comportamento cosiddetto "etico" è filogeneticamente predeterminato dal meccanismo dell'evoluzione naturale delle varie specie, mentre, il resto, dalla cultura.
Il che, pure, è sperimentalmente verificabile considerando i vari "totem und tabu" delle altre specie animali; ad esempio:
- nel caso di specie in cui il rischio di accoppiamento intraparentale sia (per le più svariate ragioni) estremamente remoto, il "tabu" dell'incesto non esiste, in quanto evolutivamente irrilevante;
- nel caso, invece, di specie in cui il rischio di accoppiamento intraparentale sia (per le più svariate ragioni) estremamente accentuato, come, ad esempio, nel caso dell"homo sapiens", dell'"oca cinerina" e di altre specie, il "tabu" dell'incesto esiste ed è molto cogente, in quanto evolutivamente rilevante.
E la stessa cosa vale anche per quasi tutti gli altri "comportamenti etici", pressochè tutti evolutisi in base alla selezione naturale!
Già immagino il sobbalzo di ORRORE :o di molti di coloro che mi leggono; ma, secondo me, riconoscere il fondamento "biologico" (oltre che "culturale") di molti nostri comportamenti di natura etica, NON SMINUISCE AFFATTO IL VALORE DELL'ETICA, ma ne dà semplicemente ragione sotto l'aspetto "scientifico".
Il che nulla toglie all'approccio filosofico e religioso all'etica, che avviene su un piano e ad un livello diverso; per cui, secondo me, quanto ho scritto adesso, non è affatto in contrasto con quello che avevo scritto appena sopra! O, almeno, lo spero! ;)
Ciao @Eutidemo,
Grazie della tua risposta. Molto interessante... :) concordo sulle semirette, in natura non ci sono. E in effetti sono d'accordissimo che "tutto ciò che ha un inizio ha anche una fine". Solo ciò che non inizia non finisce.
Personalmente trovo molto difficile pensare che la mia mente continuerà ad esistere anche dopo la "morte fisica". Questo perchè in realtà sono pure uno studente di fisica oltre che "filosofo" (si fa per dire ;D ) e quindi difficilmente credo ad una cosa senza che vi sia la minima prova "empirica". E visto che lo studio del cervello non ha mai trovato un indizio in tal senso ritengo la cosa molto improbabile. Dico molto "improbile" perchè è proprio non molto tempo fa che ho cominciato a ragionare in altri termini sulla questione. Chiaramente questa mia "tendenza irrazionalistica" a dare molta importanza a questa questione è difficile conciliarla con la mia mente scientifica e "razionale". Dunque, sto cercando di trovare un compromesso tra le due, ovvero: non escludere categoricamente l'ipotesi della sopravvivenza ma al contempo esserne molto scettico. Riguardo alla coscienza cosmica potrebbe essere una possibilità, molto vicina tra le altre cose al pensiero induista. Ad ogni modo un'altra idea che mi piace è quella spinoziana del parallelismo psico-fisico, ovvero che ad ogni realtà materiale corrisponde una realtà mentale, che si manifesta con la complessità individuale, raggiungendo effetti ben visibili con la vita animale e umana. Chiaramente in questo caso alla morte fisica non c'è la prosecuzione dell'esistenza dell'individuo.
Nel frattempo però ho "assimilato" altre idee, ovvero che qualche aspetto della nostra coscienza sfugga alla nostra analisi empirica (chiaramente è un "livello" molto "inacessibile", molto simile a quello del sonno profondo...). Ma come ho detto prima, sono io stesso scettico di ciò.
Quello che però ritengo interessante è semmai il fatto che curiosamente il non sapere con certezza cosa ci attende sembra avere dei collegamenti con l'etica. In fin dei conti la morte è per definizione il punto di "non ritorno" e dell'ignoto. Quello che sappiamo è che la vita come la conosciamo cessa. E questa consapevolezza che solo l'uomo sembra avere condiziona l'intera nostra esistenza. A parte coloro che non pensano mai ad essa e cercano solo di "cogliere l'attimo", chi invece contempla la "fine" vede al contempo l'ovvietà di tale realtà e la sua estraneità. Una volta che però contempliamo la nostra "finitezza" cominciamo a mutare i nostri progetti in vista di tale consapevolezza. Per esempio la consapevolezza della fragilità della vita ci rende più cauti e così via.
Riguardo all'utilità etica del pensare all'esistenza dopo la morte... Anche se chiaramente l'etica sembra diventare qualcosa di mercenario, secondo me invece può anche aiutare a "migliorare" il proprio comportamento e ad essere più disinteressati. Aldilà infatti del ragionamento "di comodo", credo che ce ne sia uno più interessante e condivisibile: se per esempio crediamo che la morte non è né la fine nostra né di quella degli altri, è possibile che diamo più valore alle nostre azioni in quanto possiamo sentire un senso di appartenenza con gli altri maggiore. Per esempio la filosofia indiana della rinascita. Riconoscere questa "realtà superiore" ci fa vedere l'altro non più come un estraneo ma come un "compagno". Chiaramente non è l'unico "effetto" che questo tipo di pensieri può avere ma mi pare evidente che credere nell'esistenza di un "dopo" possa creare un senso di di maggiore appartenenza, un senso di maggiore rispetto e aiuta a vedere l'altro come qualcuno di "familiare" (idem per il lontano futuro e il lontano passato: potremo vedere che sono realtà che ci riguardano). Dunque potrebbe aiutarci ad essere più "distaccati" dal presente e aiutarci a "trascendere" le condizioni del momento ma nel contempo a vederci in una realtà più ampia di quella di cui siamo abituati. Ovviamente sto usando il condizionale e non l'indicativo. Chiaramente questa sensazione di "appartenenza" può volendo gonfiare l'ego, ma ciò non è necessario. Anzi può favorire un comportamento più "distaccato da sé" e può favorire il rispetto dell'altro (per esempio potrei avere pensieri con una persona con cui sto litigando del tipo "come mi comporterei con questa persona se ci vivessi assieme per un tempo molto più lungo di questa vita? se infatti condividiamo veramente questa "realtà" così grande e abbiamo davvero una relazione più stretta di quanto possiamo immaginare non ha più senso comportarsi rispettosamente? Sì oggi siamo divisi ma a livello di questa ipotetica realtà, conta veramente tanto litigare sulla questione dell'immediato" e così via)
Ma come dicevo nel mio post per evitare ogni "mercenarismo" è ancora più interessante la nostra condizione di ignoranza.
Riguardo al fondamento dei comportamenti etici a livello biologico, direi che è una prospettiva molto sensata. Tuttavia se l'etica dipendesse dalla immediata fattualità perderebbe molta rilevanza. Dare un fondamento scientifico all'etica è errato secondo me perchè l'etica è formata da giudizi di valore mentre la scienza può dare appunto spiegazioni di eventi. Sono a due livelli diversi. Ne discutevo con @sgiombo qui: https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/nietzsche-l'-uomo-e-il-suo-diritto-al-futuro/225/ tra le pagine 16 e 17.
Ciao @Apeiron,
prego...ma se la mi risposta è stata interessante, il merito è stato principalmente del tuo precedente intervento, che era molto intelligente. ;)
Come lo sono, peraltro, anche le tue successive considerazioni, che, a mio avviso sono quasi tutte condivisibili; a parte qualcuna, almeno sotto certi aspetti. :)
***
Per esempio, anche io sono ben consapevole di non poter sapere con certezza cosa "ci attende" dopo la morte, però sono pressochè certo di sapere cosa "NON ci attende"; vale a dire che, così come sono sicuro di non poter più "passeggiare", in mancanza di piedi, allo stesso modo sono sicuro di non poter più "pensare", in assenza di un cervello.
Una cosa del genere, essendo il pensiero una cosa molto "impalpabile", era in effetti ancora ipotizzabile fino a non molto tempo fa; ma, da quando le "neuroscienze", soprattutto attraverso il "neuroimaging", sono riuscite a monitorare "fotograficamente" lo stretto collegamento tra pensieri, ricordi, desideri ecc.e specifiche aree del cervello, una ipotesi del genere non è più assolutamente sostenibile (ammesso e non concesso che fosse sostenibile prima).
***
Non è questa la sede per approfondire la cosa, ma vi basterà leggere qualche numero di "MIND", in edicola ogni mese, per rendervi meglio conto di quanto dico; salvo, ovviamente, che non vi si attivi un tipico "blocco" psicologico (anche questo individuato con il "neuroimaging" nella neocorteccia ventrale), che ci impedisce di credere a ciò a cui non vogliamo credere, ed a costruire a dei ragionamenti per dimostrare che non è vero.
Cosa che, talvolta, temo che capiti anche a me! :(
Spero che non sia il caso della mia tendenza a voler credere nella sopravvivenza di una "coscienza universale", della quale la mia "coscienza individuale" sarebbe soltanto un epifenomeno contingente; ma, ovviamente, non potendo dimostrarlo, non potrei giurarci!
Sebbene, in effetti, ancora non si può dimostrare nemmeno se la mente sia nel corpo, o viceversa; ammesso che il dilemma abbia realmente un senso.
***
Peraltro, in effetti, non sbagli nel dire che c'è ancora qualche aspetto della nostra coscienza che sfugge a qualsiasi analisi empirica; ad esempio, con il neuroimaging, pare che siano arrivati persino a "capire" a cosa stai pensando, ma, di sicuro, non a "vederlo" come tu lo vedi nella tua mente (nè, tantomeno, a "sentirlo" come te).
Senza considerare che lo stesso "dualismo" tra "soggetto" ed "oggetto", oggi molto sottoposto (non sempre giustamente) a critica generale, diventa ancora più "traballante" quando è il "soggetto" che vuole porre se stesso "soggetto", quale "oggetto" di analisi.
***
Quanto ai collegamenti con l'etica, non c'è dubbio, come tu scrivi, che la consapevolezza della fragilità della vita ci rende molto più cauti nel decidere come agire; cioè, se "bene" o "male"!
Ed è anche vero che l'aldilà, oltre a condurci al ragionamento "di comodo" di cui parlavo io la volta scorsa, potrebbe portarci anche ad una riflessione, come dici tu, molto più interessante e condivisibile: ed infatti, per riprendere tali e quali le tue parole, se per esempio crediamo che la morte non è né la fine nostra né di quella degli altri, è possibile che diamo più valore alle nostre azioni in quanto possiamo sentire un maggior senso di appartenenza con gli altri.
E, nello stesso tempo, può aiutarci ad essere più "distaccati" dal presente e aiutarci a "trascendere" le condizioni del momento ma nel contempo a vederci in una realtà più ampia di quella di cui siamo abituati. ;)
***
Riguardo al fondamento dei comportamenti etici a livello biologico, hai ragione nel dire che la scienza può dare solo la spiegazione del "perchè" filogenetico ed evolutivo (oltre che meramente culturale) di determinati comportamenti, ma non può certo sostituirsi al giudizio valoriale che attiene alla singola coscienza di ciascuno di noi; ti ringrazio per aver evidenziato la cosa, perchè, in effetti, per così come mi ero limitato a prospettare la cosa, il mio pensiero poteva effettivamente dar luogo ad equivoci.
Per citare Shakespeare, invero: "Il sovrano può disporre dell'obbedienza di ciascun suddito, ma non dell'anima di ciascun suddito, che appartiene soltanto a lui stesso" (Enrico V - Atto Quarto). :)
Citazione di: Eutidemo il 07 Marzo 2018, 14:20:58 PMCiao @Apeiron, prego...ma se la mi risposta è stata interessante, il merito è stato principalmente del tuo precedente intervento, che era molto intelligente. ;) Come lo sono, peraltro, anche le tue successive considerazioni, che, a mio avviso sono quasi tutte condivisibili; a parte qualcuna, almeno sotto certi aspetti. :))
Ciao Eutidemo e grazie! :) (ricambio anche quanto dici sui miei interventi...)
Citazione di: Eutidemo il 07 Marzo 2018, 14:20:58 PM
*** Per esempio, anche io sono ben consapevole di non poter sapere con certezza cosa "ci attende" dopo la morte, però sono pressochè certo di sapere cosa "NON ci attende"; vale a dire che, così come sono sicuro di non poter più "passeggiare", in mancanza di piedi, allo stesso modo sono sicuro di non poter più "pensare", in assenza di un cervello. Una cosa del genere, essendo il pensiero una cosa molto "impalpabile", era in effetti ancora ipotizzabile fino a non molto tempo fa; ma, da quando le "neuroscienze", soprattutto attraverso il "neuroimaging", sono riuscite a monitorare "fotograficamente" lo stretto collegamento tra pensieri, ricordi, desideri ecc.e specifiche aree del cervello, una ipotesi del genere non è più assolutamente sostenibile (ammesso e non concesso che fosse sostenibile prima).
Condivido :) senza corpo chiaramente non possiamo avere sensazioni e nemmeno avere passioni, desideri, ricordi, pensieri...L'analogo più vicino è certamente il "sonno profondo" o ancora meglio il "coma". Capisco però già la perplessità che può arrivare se si dice che uno è cosciente nel "sonno profondo"... ancora più discutibile chiaramente è pensare che tipo di "cognizione" possa esserci in
assenza del corpo.
Citazione di: Eutidemo il 07 Marzo 2018, 14:20:58 PM
*** Non è questa la sede per approfondire la cosa, ma vi basterà leggere qualche numero di "MIND", in edicola ogni mese, per rendervi meglio conto di quanto dico; salvo, ovviamente, che non vi si attivi un tipico "blocco" psicologico (anche questo individuato con il "neuroimaging" nella neocorteccia ventrale), che ci impedisce di credere a ciò a cui non vogliamo credere, ed a costruire a dei ragionamenti per dimostrare che non è vero. Cosa che, talvolta, temo che capiti anche a me! :( Spero che non sia il caso della mia tendenza a voler credere nella sopravvivenza di una "coscienza universale", della quale la mia "coscienza individuale" sarebbe soltanto un epifenomeno contingente; ma, ovviamente, non potendo dimostrarlo, non potrei giurarci! Sebbene, in effetti, ancora non si può dimostrare nemmeno se la mente sia nel corpo, o viceversa; ammesso che il dilemma abbia realmente un senso.
Beh se vuoi ridere da piccolo ero davvero perplesso su come era possibile non considerare il sonno come "morte". Per un po' pensavo che i due concetti coincidevano e quindi avevo paura di dormire. Adesso vedo che anche il sonno profondo è uno stato di coscienza meno "attivo", vedo una continuità nella mia coscienza tra un giorno e l'altro. Idem per gli stati vegetativi dove la coscienza è simile al sonno profondo. Discorso diverso è: alla morte cerebrale cosa rimane?
Vedo 3 alternative:
1)
totale annientamento della coscienza. Questa sembra essere l'alternativa più "razionale". Tuttavia alcuni argomenti non scientifici la rendono una prospettiva non completamente condivisa.
2) la coscienza individuale persiste in una forma "latente", ancora meno accessibile del sonno profondo. Questa ipotesi è ovviamente "spiritualistica" e si può criticarla per il fatto di essere "not even wrong", infalsificabile e dovuta al "blocco psicologico" di cui parli. Ma come dicevo l'idea della continuazione non è sempre fonte di "rassicurazione". Chiaramente essendo "infalsificabile" credere a ciò è una scelta personale. Vogliamo credere a coloro che parlano dell'esistenza di una qualche forma di mente anche in assenza di corpo?
3) vi è una coscienza "cosmica", una sorta di substrato della nostra coscienza che pervade tutto. Anche qui però possiamo chiederci cosa significa. O estendiamo la coscienza a tutto e quindi anche le particelle subatomiche hanno una mente (panpsichismo) e sono dei soggetti, oppure dobbiamo pensare ad una coscienza che non ha alcun "centro", ovvero senza soggetto. Ma ha senso questo secondo concetto: come può esserci cognizione senza un "soggetto"? E il primo: cosa vuol dire che un elettrone ha una "mente"? Terza possibilità: c'è un "soggetto cosmico" unico, un Io cosmico. Ma anche qui: cosa è questo "Io". Posso avere esperienza di tale "Io"?
Citazione di: Eutidemo il 07 Marzo 2018, 14:20:58 PM
*** Peraltro, in effetti, non sbagli nel dire che c'è ancora qualche aspetto della nostra coscienza che sfugge a qualsiasi analisi empirica; ad esempio, con il neuroimaging, pare che siano arrivati persino a "capire" a cosa stai pensando, ma, di sicuro, non a "vederlo" come tu lo vedi nella tua mente (nè, tantomeno, a "sentirlo" come te). Senza considerare che lo stesso "dualismo" tra "soggetto" ed "oggetto", oggi molto sottoposto (non sempre giustamente) a critica generale, diventa ancora più "traballante" quando è il "soggetto" che vuole porre se stesso "soggetto", quale "oggetto" di analisi.
Concordo. Tra l'altro molti che credono in qualche forma di sopravvivenza in genere si appellano al fatto che l'esperienza soggettiva non è riducibile ai dati empirici. Ma direi che non è argomento a favore della sopravvivenza ;) al massimo è un argomento contrario all'eliminativismo o al comportamentalismo.
Citazione di: Eutidemo il 07 Marzo 2018, 14:20:58 PM
*** Quanto ai collegamenti con l'etica, non c'è dubbio, come tu scrivi, che la consapevolezza della fragilità della vita ci rende molto più cauti nel decidere come agire; cioè, se "bene" o "male"! Ed è anche vero che l'aldilà, oltre a condurci al ragionamento "di comodo" di cui parlavo io la volta scorsa, potrebbe portarci anche ad una riflessione, come dici tu, molto più interessante e condivisibile: ed infatti, per riprendere tali e quali le tue parole, se per esempio crediamo che la morte non è né la fine nostra né di quella degli altri, è possibile che diamo più valore alle nostre azioni in quanto possiamo sentire un maggior senso di appartenenza con gli altri. E, nello stesso tempo, può aiutarci ad essere più "distaccati" dal presente e aiutarci a "trascendere" le condizioni del momento ma nel contempo a vederci in una realtà più ampia di quella di cui siamo abituati. ;) *** Riguardo al fondamento dei comportamenti etici a livello biologico, hai ragione nel dire che la scienza può dare solo la spiegazione del "perchè" filogenetico ed evolutivo (oltre che meramente culturale) di determinati comportamenti, ma non può certo sostituirsi al giudizio valoriale che attiene alla singola coscienza di ciascuno di noi; ti ringrazio per aver evidenziato la cosa, perchè, in effetti, per così come mi ero limitato a prospettare la cosa, il mio pensiero poteva effettivamente dar luogo ad equivoci. Per citare Shakespeare, invero: "Il sovrano può disporre dell'obbedienza di ciascun suddito, ma non dell'anima di ciascun suddito, che appartiene soltanto a lui stesso" (Enrico V - Atto Quarto). :)
Sono contento che qui siamo d'accordo :)
Ciao Apeiron,
in effetti nel "sonno profondo" (e soprattuto in "anestesia totale") non c'è "coscienza individuale"; quindi, secondo me, è davvero arduo pensare che tipo di "cognizione individuale" possa esserci in assenza del corpo.
Quanto al resto, io opto per la terza possibilità: cioè un "soggetto cosmico" unico, un "Io cosmico", che costituisce l'"ordito" della realtà, mentre noi ne siamo soltanto la "trama".
Però, secondo me, non puoi farne esperienza in alcun modo, perchè esperienza significa "dualismo" tra soggetto ed oggetto; secondo me, puoi solo "svegliarti", ed accorgerti, tu, "di essere Lui".
Disse il saggio padre a Svetaketu;"Butta questo sale nell'acqua e ritorna da me domani mattina." Svetaketu obbedì al padre. Allora il padre gli disse: "Portami ora quel sale che tu ieri hai gettato nell'acqua." Svetaketu guardò nell'acqua e non lo vide più. Si era sciolto."Assapora un po' di quell'acqua prendendola alla superficie. Come è?" "E' salata." "Assapora un po' di quell'acqua prendendola in basso. Come è?" "E' salata." Assaporane ancora e vieni da me." Il figlio gli obbedì e gli disse: "E' sempre lo stesso." Allora il padre disse a Svetaketu: "Così pure, o figlio mio, tu non afferri l'essere, e purtanto esso è presente ovunque tu sei.
Quello sei "tu", o Svetaketu!
Tutto quanto esiste è manifestazione dell'ESSERE; esso è l'unica realtà, essa è l'atman.
Quello sei "tu", o Svetaketu!
Citazione di: Eutidemo il 08 Marzo 2018, 17:12:39 PMCiao Apeiron, in effetti nel "sonno profondo" (e soprattuto in "anestesia totale") non c'è "coscienza individuale"; quindi, secondo me, è davvero arduo pensare che tipo di "cognizione individuale" possa esserci in assenza del corpo.
Ciao @Eutidemo.
Personalmente vedo lo stato di "anestesia totale" come uno "stato alterato di coscienza". Nel senso che l'esperienza soggettiva c'è ancora ma è appunto "latente". Nel caso del "sonno profondo" ciò è ben visibile dal fatto che ci svegliamo se sono presenti certi stimoli. Nel caso del coma o di "incoscienza" invece dove anche la presenza di stimoli non risveglia l'individuo la situazione è diversa. Ma essendoci ancora attività cerebrale secondo me l'esperienza "soggettiva" non è ancora cessata. Chiaramente non sto dicendo che uno possa essere lucido/consapevole nel "sonno profondo" altrimenti non sarebbe "sonno profondo":), tuttavia credo che un continuum dell'esperienza rimanga. Detto in altro modo: la mente individuale c'è ancora. Purtroppo il termine "coscienza" è in effetti problematico quando si parla di queste cose.
E ovviamente il problema si sposta nel definire "esperienza". O addirittura stabilire su cosa si stabilisce la "continuità" della nostra persona dalla nascita alla morte ecc ecc
Citazione di: Eutidemo il 08 Marzo 2018, 17:12:39 PM
Quanto al resto, io opto per la terza possibilità: cioè un "soggetto cosmico" unico, un "Io cosmico", che costituisce l'"ordito" della realtà, mentre noi ne siamo soltanto la "trama".
Citazione di: Eutidemo il 08 Marzo 2018, 17:12:39 PMPerò, secondo me, non puoi farne esperienza in alcun modo, perchè esperienza significa "dualismo" tra soggetto ed oggetto; secondo me, puoi solo "svegliarti", ed accorgerti, tu, "di essere Lui". Disse il saggio padre a Svetaketu;"Butta questo sale nell'acqua e ritorna da me domani mattina." Svetaketu obbedì al padre. Allora il padre gli disse: "Portami ora quel sale che tu ieri hai gettato nell'acqua." Svetaketu guardò nell'acqua e non lo vide più. Si era sciolto."Assapora un po' di quell'acqua prendendola alla superficie. Come è?" "E' salata." "Assapora un po' di quell'acqua prendendola in basso. Come è?" "E' salata." Assaporane ancora e vieni da me." Il figlio gli obbedì e gli disse: "E' sempre lo stesso." Allora il padre disse a Svetaketu: "Così pure, o figlio mio, tu non afferri l'essere, e purtanto esso è presente ovunque tu sei. Quello sei "tu", o Svetaketu! Tutto quanto esiste è manifestazione dell'ESSERE; esso è l'unica realtà, essa è l'atman. Quello sei "tu", o Svetaketu!
Capito e grazie per la storiella indù. Fa sempre piacere leggerle ;)
Ciao Apeiron,
avendole provate entrambe, posso confermarti che c'è una certa differenza tra il "sonno profondo" e l'"anestesia totale"; io, almeno, l'ho sperimentata al risveglio.
Ed infatti, in qualunque momento io sia stato destato dal sonno profondo, ho sempre avuto una consapevolezza approssimativa del tempo trascorso (o, comunque, che era trascorso del tempo dal momento in cui mi ero addormentato); diversamente, tutte e quattro le volte che sono stato risvegliato da una anestesia totale, non ho mai avvertito alcuna soluzione nella continuità del tempo.
Ad esempio, la prima volta che subii una anestesia totale, quando mi hanno operato per una nefrectomia, ricordo che, mentre chiacchieravo del più e del meno con l'anestesista, venni messo sul tavolo operatorio; stavo per chiedere quanto sarebbe durata l'operazione, quando ecco che, dopo pochi secondi, mi risollevano e mi rimettono sulla barella.
Al che, io chiesi: "Ma come mai mi rimettete sulla barella...l'intervento è stato rinviato?"
"No" mi rispose l'infermiere, l'abbiamo già eseguito!" al che, io credetti che scherzasse, ed invece era vero.
Sempre per esperienza personale, mi pare che sia un po' la stessa differenza che c'è tra "svenimento" e "collasso neurologico"; ed infatti, in vita mia, sono svenuto 2 o 3 volte, ma mi sono sempre reso conto che svenivo, ed ho sempre accompagnato la caduta, mentre, invece, nell'unico caso di "collasso neurologico" che mi è capitato, non me ne sono nemmeno accorto.
Mi stavo radendo la barba davanti allo specchio, quando di colpo lo specchio è sparito, ed al suo posto è apparso il soffitto; ti assicuro che è stata una esperienza stranissima, tanto che, fino a quando non mi sono reso conto di essere sdraiato per terra, per un istante ho creduto che lo specchio si fosse ribaltato riflettendo, così, il soffitto.
Per cui, sia pure solo in base alla mia impressione personale, penso di poterne inferire che, mentre nel sonno e nello svenimento un barlume di coscienza permane, nell'anestesia totale e nello stato di collasso no.
Per cui, lo stato di "anestesia totale" (e di collasso) non mi ha dato affatto l'impressione di uno "stato alterato di coscienza", bensì di "assenza totale" della stessa; uno "stato alterato di coscienza", invece, semmai, lo attribuirei al sonno REM, ed allo stato di stupore alcolico o tossico.
Nel caso del coma (che io ho sperimentato solo in modalità indotta "farmacologicamente"), nonchè nei precedenti casi, invece, non mi sembra assolutamente sostenibile che la persistenza di "attività cerebrale" dimostri che l'esperienza "soggettiva" non è ancora cessata, in quanto l'elettroecefalografo registra anche la mera "attività cerebrale" secondaria, che prescinde da un "soggetto" cosciente.
Se il soggetto non è consapevole di essere tale, secondo me, non si può parlare di esperienza individuale "soggettiva" in nessun senso semanticamente valido.
Ovviamente, però, come tu scrivi, anche nel "sonno profondo" la mente individuale c'è ancora...altrimenti non potremmo trovarla ancora lì al risveglio.
Per inciso, secondo l'Advaita Vedanta, I tre principali stati di "consapevolezza" sono:
- veglia;
- sogno;
- sonno profondo.
E, tutti e tre, sono espressione di un quarto stato trascendentale, conosciuto nelle Upaniṣad come coincidente con la "Realtà assoluta" o Coscienza Universale che dir si voglia.
Ciao Eutidemo,
grazie mille per il tuo post molto interessante! :) Mi spiace che tu abbia dovuto passare tutto questo.
Comunque se hai ragione a non associare uno stato di "soggettività" agli stati di "anestesia totale" e simili (faccio notare che hai ottime ragioni per non farlo ;) ), l'unica differenza tra questi e la morte (come diciamo "sembra" essere per quanto ne sappiamo dalla scienza e quindi dal nostro più attendibile "strumento" di conoscenza) pare essere l'irreversibilità del processo. In sostanza mentre dall'anestesia totale ci si può "risvegliare", alla morte invece il "processo" è irreversibile* .
Non mi convince ancora totalmente la prospettiva che la mente individuale viene "distrutta" in questi stati però. Tuttavia non avendo contro-argomenti "seri" (siano essi di tipo esperienziale o "scientifici" ) per sostenere questa mia idea non posso continuare a difendere la mia posizione (l'unico vero argomento parrebbe essere quello "etico" di cui parlavo... ma ovviamente non può arrivare a risolvere la question ;) ). Forse possiamo tirare in ballo le NDE (near-death experience) ma anche qui se non erro i neurologi hanno stabilito che quando avvegnono comunque una certa attività cerebrale rimane. Dunque non posso far altro che ripetere il ringraziamento per la discussione ;)
*Ecco fai conto che oltre al "continuum" di cui parlavo avevo anche pensato all'irreversibilità e mi sono dimenticato di menzionarlo: infatti nel messaggio di prima dovevo precisare che avevo pensato ad entrambe le cose. Ma adesso essendo stato "preso" da questa idea della continuità, mi sono dimenticato di parlare dell'irreversibilità :)
Ciao Apeiron,
grazie a te! :)
In effetti, per quanto ne sappiamo, l'unica differenza tra lo stato di coscienza "sospesa" e lo stato di coscienza "interrotta" pare essere l'irreversibilità del processo; ed infatti, dalla prima si ritorna, dalla seconda no.
Quanto alla "coscienza individuale", a parte le "sospensioni" nel corso della vita, sia prima che dopo di questa non pare che ce ne sia alcuna traccia manifesta; non ho mai colloquiato con nessuno prima che nascesse, nè dopo che fosse morto, per cui non credo che la condizione dell'uno o dell'altro siano poi molto diverse!
Nello stato di coscienza "sospesa", però, la mente individuale non viene affatto "distrutta"; bensì resta solo temporaneamente "parcheggiata", come un'auto in garage col motore spento!
Una volta rottamata, però, quel motore non si potrà mai più riaccendere.
"Soles occidere et redire possunt; sed nobis cum semel occidit brevis lux, nox est perpetua una dormienda!"
Quanto alle "near-death experience", a quanto mi risulta, i neurologi hanno sufficientemente spiegato quello che accade; in particolare, una recente ricerca della University of Michigan Medical School, ha dato una interessante spiegazione a queste esperienze studiando dei ratti sottoposti ad infarto.
I ricercatori hanno analizzato le registrazioni delle attività cerebrali (EEG) di nove ratti anestetizzati sottoposti ad arresto cardiaco indotto sperimentalmente; entro i primi 30 secondi dopo l'arresto cardiaco, in tutti i ratti è stata registrata una sovratensione di attività cerebrale altamente sincronizzata che aveva caratteristiche associate con un cervello altamente eccitato.
In effetti, nel momento della pre-morte, molti dati facevano pensare ad un'attività maggiore di quella della veglia, il che suggerisce che il cervello è in grado di produrre un'attività elettrica ben organizzata durante la fase iniziale di morte clinica; questo si spiega perchè la riduzione di ossigeno o di ossigeno e glucosio durante l'arresto cardiaco è in grado di stimolare l'attività cerebrale che è caratteristica di un'elaborazione cosciente, il che potrebbe spiegare le esperienze di pre-morte riportate da molti sopravvissuti ad un arresto cardiaco. ;)
Citazione di: Eutidemo il 10 Marzo 2018, 18:29:29 PM...
Interessante la metafora della macchina! :)
Inoltre non sapevo dell'esperimento dei topi, in effetti se tale attività è presente durante tutte le NDE, allora possono benissimo essere spiegate neurologicamente.
Citazione di: Apeiron il 10 Marzo 2018, 19:06:19 PM
Citazione di: Eutidemo il 10 Marzo 2018, 18:29:29 PM...
Interessante la metafora della macchina! :)
Inoltre non sapevo dell'esperimento dei topi, in effetti se tale attività è presente durante tutte le NDE, allora possono benissimo essere spiegate neurologicamente.
Così sembra ;)
Citazione di: Eutidemo il 10 Marzo 2018, 18:29:29 PM
Ciao Apeiron,
grazie a te! :)
In effetti, per quanto ne sappiamo, l'unica differenza tra lo stato di coscienza "sospesa" e lo stato di coscienza "interrotta" pare essere l'irreversibilità del processo; ed infatti, dalla prima si ritorna, dalla seconda no.
Quanto alla "coscienza individuale", a parte le "sospensioni" nel corso della vita, sia prima che dopo di questa non pare che ce ne sia alcuna traccia manifesta; non ho mai colloquiato con nessuno prima che nascesse, nè dopo che fosse morto, per cui non credo che la condizione dell'uno o dell'altro siano poi molto diverse!
Nello stato di coscienza "sospesa", però, la mente individuale non viene affatto "distrutta"; bensì resta solo temporaneamente "parcheggiata", come un'auto in garage col motore spento!
Una volta rottamata, però, quel motore non si potrà mai più riaccendere.
"Soles occidere et redire possunt; sed nobis cum semel occidit brevis lux, nox est perpetua una dormienda!"
Quanto alle "near-death experience", a quanto mi risulta, i neurologi hanno sufficientemente spiegato quello che accade; in particolare, una recente ricerca della University of Michigan Medical School, ha dato una interessante spiegazione a queste esperienze studiando dei ratti sottoposti ad infarto.
I ricercatori hanno analizzato le registrazioni delle attività cerebrali (EEG) di nove ratti anestetizzati sottoposti ad arresto cardiaco indotto sperimentalmente; entro i primi 30 secondi dopo l'arresto cardiaco, in tutti i ratti è stata registrata una sovratensione di attività cerebrale altamente sincronizzata che aveva caratteristiche associate con un cervello altamente eccitato.
In effetti, nel momento della pre-morte, molti dati facevano pensare ad un'attività maggiore di quella della veglia, il che suggerisce che il cervello è in grado di produrre un'attività elettrica ben organizzata durante la fase iniziale di morte clinica; questo si spiega perchè la riduzione di ossigeno o di ossigeno e glucosio durante l'arresto cardiaco è in grado di stimolare l'attività cerebrale che è caratteristica di un'elaborazione cosciente, il che potrebbe spiegare le esperienze di pre-morte riportate da molti sopravvissuti ad un arresto cardiaco. ;)
CitazioneEsperimenti certamente molto interessanti.
Anche se mi permetto di dubitare circa le conclusioni che ne traete (tu ed Apeiron) a proposito della coscienza.
Infatti di solito un' attività eeg "sincronizzata" é tipica del sonno senza sogni (con "coscienza sospesa") e degli attacchi epilettici (anch' essi caratterizzati, nel pieno del loro svolgimento, da momentanea assenza di coscienza.
La coscienza attiva é piuttosto associa, di regola, ad attività eeg "desincronizzate".
Circa le esperienze di Pre- morte o quasi- morte personalmente ritengo si tratti di reminiscenze false, pseudoricordi ingannevoli, come anche in altri casi della vita (!), specie se drammatici, se ne verificano.
Molto interessante Sgiombo. :)
So che sei medico, ma potresti ampliare un po' di più quello che hai già scritto, magari usando un terminologia un po' più semplice e qualche esempio?
Mi piacerebbe capire meglio l'argomento (anche per comprendere meglio esperienze pre e post-operatorie che ho avuto prima e dopo l'intervento al cervello).
Grazie :)
Molto in breve (per manacanza di tempo e di ...ripassi recenti della neurologia!).
L' eeg rileva un po' grossolanamente l' attività elettrica del cervello, sommando alquanto "indiscriminatamente" le tantissime correnti elettriche costituenti i potenziali d' azione (cioé le molteplici trasmissioni di impulsi fra vari neuroni) che accadono di norma contemporaneamente).
Il tracciato della veglia (e; ma qui non vorrei che la memoria mi ingannasse) delle fasi coscienti -sogni- del sonno é desincronizzato, cioé costiituito da una specie di "rumore di fondo" fatto da tantissimi, frequenti impulsi prodotti da microcorrenti elettriche disordinatamente sommate, sfasate fra loro (un po' come un reparto militare d' assalto conduce un' azione bellica su un campo di battaglia accidentato e irregolare, per così dire); in vece si hanno "sioncronizzazioni" delle correnti elettriche, per così dire "marcianti ordinatamente, allineate come i reparti di un esercito durante una parata", per così dire (e dunque degli impulsi rilevati all' eeg) durante il sonno senza sogni e le fasi incoscienti degli attacchi epilettici.
Caro Sgiombo,
adesso ho capito meglio, grazie! :)
Da profano lettore del mensile "MIND", io ricordavo solo che le onde cerebrali si dividono in:
ONDE BETA
Riguardano lo stato di veglia.
ONDE ALFA
Preludono il sonno.
ONDE THETA
Riguardano lo stadio di sogno.
ONDE DELTA
Riguardano il sonno profondo.
Se non ricordo male!