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LOGOS - Argomenti => Tematiche Filosofiche => Discussione aperta da: Vito J. Ceravolo il 02 Febbraio 2020, 18:09:52 PM

Titolo: Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 02 Febbraio 2020, 18:09:52 PM
«Ridersela della filosofia 
significa filosofare per davvero» 
Pascal



Questo è un gioco che invita a confrontarsi con possibilità che esulano dai normali standard filosofici, logici e linguistici. Possibilità che mettono a prova le abilità di pensiero. La sfida è questa: la costruzione di un nuovo paradigma filosofico o lo stralcio delle sue possibilità.

Quello che qui propongo sono dunque i tratti generali di un diverso modo di condurre il pensiero. Tali tratti possono essere approfonditi e verificati negli articoli (gratuiti) a cui viene associato ogni passaggio di questa sintesi. Ma partiamo dall'inizio:

Dalla nascita del primo filosofo, comunemente riconosciuto in Talete (640/625 a.C. circa), nel mondo occidentale si sono combattute due opposte fazioni di pensiero, che generalmente riassumo nel realismo, filosofia che riconosce l'oggetto ma perde il soggetto, e nel nichilismo, filosofia che riconosce il soggetto ma perde l'oggetto.[1] 

A quietare tale conflitto, questo terzo paradigma si pone di riconoscere la verità sia dell'oggetto che del soggetto. Dove l'oggetto è il noumeno o realtà in sé sovrasensibile, mentre il soggetto è il fenomeno o realtà apparente sensibile:
L'accesso alla ragione in sé è possibile tramite lo strumento astratto della razionalità; poiché entrambi (noumeno e razionalità) parlano il linguaggio della ragione. Esattamente si accede al noumeno, immediatamente attraverso l'intuito (senza schemi personali) – il guardar dentro colla mente – e mediatamente attraverso il concetto  (schematizzante) – il concepir fuori colla mente. Cosicché la ragione in sé di ogni oggetto sia intuibile e concettualizzabile.[4] 

Essendo l'in sé universale, cioè costante universale indipendente da chi la emette e riceve, allora la ragione di un oggetto resta la medesima indipendentemente dal linguaggio che la esprime; così come "casa" e "home" esprimono la medesima ragione in sé, si riferiscono allo stesso oggetto, pur davanti ai diversi effetti fenomenici che i diversi linguaggi possono produrre. Cosicché le interferenze dei linguaggi non alterino le verità di ragione.[5] 

Definita la possibilità di accesso alla realtà in sé e la possibilità di comunicarla senza alterarne il valore in sé ma solo quello sensibile, ne segue il superamento del realismo e nichilismo. Ossia – ripeto– un terzo paradigma filosofico in grado di riconoscere la verità sia dell'in sé che del fenomeno, portando nuovo ordine intorno alla teoria della conoscenza e all'ontologia dell'essere.[6]




[1] Cfr. V.J. Ceravolo, Scalata critica al nichilismo, 2017. https://www.azioniparallele.it/archivi/30-eventi/atti,-contributi/202-scalata-critica-al-nichilismo.html
[2] ID. Dieci argomenti di filosofia, 2017. https://filosofiaenuovisentieri.com/2017/07/16/dieci-argomenti-di-filosofia/
[3] ID. Teoremi di coerenza e completezza, 2017.  https://filosofiaenuovisentieri.com/2017/05/14/teoremi-di-coerenza-e-completezza-epimenide-godel-hofstadter/
[4] ID. Guida mistica al noumeno, 2019. https://filosofiaenuovisentieri.com/2019/12/08/guida-mistica-al-noumeno-8-brevi-passi-per-accedere-allinvisibile/
[5] ID. Linguaggio e noumeno, 2019. https://filosofiaenuovisentieri.com/2019/10/27/linguaggio-e-noumeno-prima-parte/
[6] ID. Mondo. Strutture portanti. Dio, conoscenza ed essere, 2016.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: iano il 03 Febbraio 2020, 08:41:56 AM
Buongiorno Vito.
Purtroppo non sono in grado di approfondire , come da tuo invito , per miei altissimi limiti , o per pigrizia , pretendendo di fare filosofia , in quanto uomo , ma non studioso di filosofia.
Sono rimasto però abbagliato dalla semplicità delle tue premesse:
Realismo / Oggetto
Nichilismo / Soggetto

Qui sul forum , dove mi sopportano gentilmente , mi hanno etichettato come nichilista forte , e questo è il mio biglietto da visita.

Mi chiedo se la tua terza via , che molto mi incuriosisce , non possa essere schematizzata in modo che parimenti fulmini il mio intuito filosofico , come hanno fatto le tue premesse.

La mia posizione filosofica , espressa in modo schematico , è che la pretesa di conoscere l'in se' , sia priva di senso , seppure funzioni come forte incentivo.
A me basta ipotizzare l'in se' per procedere , e non credo di dovermi figurare alcun incentivo per andare avanti.
Non c'è nessuna vetta da scalare.
Per me fare filosofia , seppure zoppicando , è una strada in discesa.
Credo che la necessità di un incentivo per fare ricerca e produrre filosofia e scienza sia un falso problema .
Un percorso non ha strettamente bisogno di una meta, senza che ciò equivalga a vagare a caso , perché la coerenza per mia esperienza là si trova per strada.
Possiamo immaginare diversi motivi , compresa la pura voglia di andare ,per intraprendere un percorso , ma poi la sostanza è il percorso.
È il percorso la terza via?
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 03 Febbraio 2020, 09:03:20 AM
Ero rimasta ferma alla contrapposizione arcaica tra realismo e idealismo. Sussumere il secondo alla categoria del nichilismo ci può stare, ma mi pare uno scivolamento di bias filosofico verso lo spirito, o meglio moda, dei tempi. Con effetto boomerang sul realismo medesimo.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: bobmax il 03 Febbraio 2020, 09:48:34 AM
Il nichilismo ha più a che fare con l'oggetto che con il soggetto.

Il nulla nichilistico è infatti un nulla valoriale. Conclusione inevitabile a cui giunge il pensiero razionale per il quale l'oggettività in sé è verità assoluta.

Quando viceversa è il soggetto ad essere considerato assoluto si cade allora nel solipsismo. Che è l'orrore della solitudine assoluta, ma non nichilismo: l'oggetto è puro nulla, che importanza può averne il valore?

A mio avviso l'errore di entrambe le posizioni non riguarda l'annullamento di uno dei due poli, il soggetto in un caso o l'oggetto nell'altro.

Infatti, seppur paradossalmente, l'errore consiste invece nel considerare "reale" l'oggetto nel caso del nichilismo e "reale" il soggetto nel caso del solipsismo.
Mentre neppure loro lo sono.

L'Assoluto è solo nell'annullamento di entrambi i poli.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: iano il 03 Febbraio 2020, 10:25:49 AM
Citazione di: bobmax il 03 Febbraio 2020, 09:48:34 AM
Il nichilismo ha più a che fare con l'oggetto che con il soggetto.

Il nulla nichilistico è infatti un nulla valoriale. Conclusione inevitabile a cui giunge il pensiero razionale per il quale l'oggettività in sé è verità assoluta.

Quando viceversa è il soggetto ad essere considerato assoluto si cade allora nel solipsismo. Che è l'orrore della solitudine assoluta, ma non nichilismo: l'oggetto è puro nulla, che importanza può averne il valore?

A mio avviso l'errore di entrambe le posizioni non riguarda l'annullamento di uno dei due poli, il soggetto in un caso o l'oggetto nell'altro.

Infatti, seppur paradossalmente, l'errore consiste invece nel considerare "reale" l'oggetto nel caso del nichilismo e "reale" il soggetto nel caso del solipsismo.
Mentre neppure loro lo sono.

L'Assoluto è solo nell'annullamento di entrambi i poli.

Quindi l'errore è nel credere nelle storie che ci raccontiamo, e il difetto è il nostro senso per il teatro?
Ci immedesimiamo nelle nostre invenzioni , specie quando non abbiamo coscienza siano tali?
Tutto ciò che è relativo nasce da definizioni.
Se facciamo il percorso inverso torniamo all'assoluto , quindi.
Il pregio/ difetto è il nostro senso di realtà, che è la necessità di auto rappresentarci nelle storie che inventiamo , se vogliamo renderle efficaci , quando potenzialmente lo sono.
Se può essere utile vivere in una finzione , non è utile ricordare sempre a noi stessi che si tratti di una finzione .
La realtà è una necessità pratica.
Si può cambiare rappresentazione , ma tenendo conto che ha una durata , e che funziona se in quel tempo ci si immedesimiamo diventando partecipi.
Come si spiegherebbe altrimenti il nostro amore per il teatro?
Ogni definizione è utile quanto fuorviante , se si dimenticano o , come più è solito , si ignorano i motivi che l'hanno generata.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: bobmax il 03 Febbraio 2020, 11:27:40 AM
Sì, Iano. 

D'altronde non è "l'amor che move il sole e l'altre stelle"?

Ciò che conta è il Bene.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: iano il 03 Febbraio 2020, 12:01:58 PM
Bob , anche tu mi hai fulminato.
Chapeau.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 03 Febbraio 2020, 13:14:20 PM
Ciao Iano,
certamente con una tale premessa (la pretesa di conoscere l'in se' è priva di senso) non puoi essere altro che nichilista, poiché è proprio l'impossibilità di conoscere l'in sé a portare al non-senso, alla caduta dei valori al di fuori di sé.
Sì può viaggiare senza meta, certo, ma la coerenza che credi di poter trovare per strada, sotto i presupposti nichilisti, ti è preclusa di principio, giacché la nientità dell'essere ("essere è niente" ovvero "A=nonA") è una filosofia che esclude la possibilità di coerentizzazione. Cioè: potresti trovare apparenti coerenze all'interno di un discorso limitato (es. la minestra è buona) le quali però cadrebbero appena provi ad ampliarlo.  Questo è il destino del nichilismo: "ovunque si copra la contraddizione essa riapparirà sempre" poiché è la forma propria del nichilismo a impedire la possibilità di coerenza del proprio sistema di pensiero. Se tu avessi mezzora di tempo (non di più) potresti leggere il secondo capitolo dell'articolo in "nota [1]"... lì si mettono in luce i difetti formali del nichilismo è la sua natura moralmente distorta e maligna.
Che la sostanza sia il percorso è invece una parziale verità che si completa nel modo in cui lo si cammina: "se per una strada picchio tutti quelli che incontro perché tanto ciò che vale è solo il percorso..."  Esiste il percorso ed esiste come decido di viverlo. In questo gioco illustro un diverso modo di vivere il percorso che di conseguenza getta nuova luce sul percorso stesso.
 
Ciao Ipazia,
ammetto l'effetto boomerang sul realismo di tale generalizzazione, ma d'altronde neanche il realismo ha motivo di continuare: che crolli pure. A questo livello di analisi, tale generalizzazione è sufficiente a giustificare la critica nell'articolo in "nota 1". Se poi se ne volesse parlare si potrebbero mettere in evidenza le differenze fra l'idealismo e l'idea del soggetto nichilista (che del primo è l'estremizzazione),  ciò in ogni caso non toglierebbe nulla alla critica in oggetto, in grado di coprire entrambi gli aspetti di interesse della critica stessa.
 
Ciao boomax,
da che mondo se ne parli, da che corso se ne studi, l'oggetto nel nichilismo non è mai riuscito ad andare oltre l'intersoggettività, mai oggettuale, in nessun caso mai nel mondo filosofico conosciuto.  
Il nulla valoriale, cioè il verde è nulla, il giusto è nulla etc... oltre a dire che il nulla è fin troppe cose... ehm, come dici tu, esso è il risultato di quel pensiero razionale ingenuo e incapace che realizzava solo le verità dell'oggetto senza esserne effettivamente in grado. Ma non è questo il caso: qui verità universali e verità personali convivono senza contraddizione fra loro. Qui esiste la verità dell'oggetto ed esiste la verità del soggetto, giustificati fin al fondamento. Ovvero:
Considerare l'assoluto solo nell'annullamento di entrambi i poli oggetto-soggetto, ben ci insegna una filosofia ingenua e incapace di apportare previsioni e astrazioni di un qualche valore, solo non-senso, mere incoerenze a sé e al mondo. In una parola: una filosofia inutile sennonché dannosa.
Quello che si fa qui è il ribaltamento di tale discorso nichilista: l'assoluto e il relativo sono possibili solo come affermazione di entrambi i poli oggetto-soggetto. Il risultato di ciò è una filosofia con un grado di previsione e astrazione mai esistito prima.

A TUTTI VOI
Chiaramente voisiete venuti a commentare in via preliminare e conoscitiva. Se vogliamo evolvere il discorso, la cosa migliore non è dire quello che già sapete e che già è stato da me trattato negli articoli, ma prendere almeno uno dei temi trattati negli articoli (quello che sta più a cuore alle vostre "corde") e da lì partire il confronto.
 
Dovrebbe esservi chiaro che io conoscono la vostra filosofia, mentre voi non conoscete la mia. Quindi la giusta procedura, dopo questo incontro preliminare, e che voi anzitutto conosciate. Solo così abbiamo un confronto possibile: scegliete il vostro tema, di grazia, e se potete distruggetelo. 
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: iano il 03 Febbraio 2020, 14:17:27 PM
@ Vito.
Io posso tutto perché niente è.
No non mi riconosco in ciò.
Evidentemente il mio è un nichilismo , se tale è, anomalo.
Io posso provare ogni percorso e sceglierne uno , anche se il punto di partenza non l'ho scelto io , ma mi ci sono trovato.
Posso analizzare quindi il punto di partenza come un percorso che altri , allo stesso modo , e in liberta' , hanno scelto.
Posso anche scegliere liberamente di restare al punto di partenza , una volta che lo abbia analizzato .
Il percorso può consistere semplicemente nella presa di coscienza di dove mi trovo veramente.
Ogni viaggio lo si fa' solo per tornare a casa , trovandola diversa da come la abbiamo lasciata.
Io voglio far progredire la mia conoscenza in modo responsabile e cosciente , riguardandola per quel che è, consapevole del fatto che non tutto passa per la coscienza , e che io non sono solo coscienza .
Non esistono soggetti e oggetti separati se non per conveniente convenzione.
Necessaria convenzione di cui il mio nichilismo pretende di far virtù , se nichilismo è.
Ciò che è negativo è credere fino in fondo ( realismo ingenuo) nelle distinzioni utili che facciamo per convenienza, bloccandone così le potenzialità.
Credo sia una pura questione di tempismo.
Una recita deve andare a termine , ma non si può ripetere in eterno , ciò a cui saremmo condannati se possedessimo la conoscenza delle cose in se'.
Un po' come essere in paradiso , dove mi auguro il tempo non esita , perché non saprei come riempirlo.
Direi che il segreto è nel coraggio di essere se stessi , anche se non sappiamo bene cosa siamo.
La coerenza la do' , magari incoscientemente , per scontata , per il motivo che l'unica definizione di caos possibile è la sua negazione e non viceversa.
Nel momento in cui definisco A , allora definisco non A , e non sono la stessa cosa.
Lo sono solo un attimo prima di definirli.
Nel momento in cui decido che A=non A , allora ho rigettato , come liberamente posso fare , la mia definizione di comodo , che non corrisponde alla realtà, ma .. risponde alla realtà. , e le risposte non sono univoche.
Ma ciò non significa che nulla ha valore.
Significa solo che il valore che diamo alle cose non ha una origine che possiamo controllare in modo cosciente .
Questo fa' si che possediamo il concetto di bene , senza sapere dire esattamente cos'e'.
Il bene non esiste solo perché io non ne ho il pieno controllo.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: paul11 il 03 Febbraio 2020, 14:32:03 PM
Francamente non mi sembra originale il terzo paradigma. Tutti i giganti(più gli antichi che i moderni) della filosofia hanno tentato la relazione veritativa.
I due paradigmi, del realismo come oggettivo e del nichilismo come soggettivo, francamente sono parecchio opinabili.La realtà non si dà senza un soggetto interpretante e la nientità fa i conti con l'ambiente, con la storia, con la natura, con la mente.

Quel che intendo dire è che vi è sempre un soggetto interpretante che si mette in relazione con la propria e altrui e conoscenza, mediando mentalmente, razionalmente, intuitivamente nel dominio del sensibile e soprasensibile.

Il procedimento gnoseologico, di conoscenza, poggia sull'osservazione analitica del mondo naturale e costruisce un modello rappresentativo che correli la moltitudine dell'apparenza, degli essenti, nelle sue forme eidetiche, essenze, sostanze. Se i particolari del mondo sono i singoli fenomeni, deve esserci un qualcosa, il tutto, che li comprenda.
Se vi è un ordine è perché implictamente quell'ordine si dà da regole interne che permettono la nostra conoscenza a loro volta comprese dalla nostra mente che li trasforma in pensiero ragionato.

La realtà in sé è identica alla ragione in sé?
L'idea di mondo che ci facciamo collima con il vero oggettivo o è solo nostra opinione soggettiva? Chi decide il veritativo e il fallace?

Bisognerebbe costruire degli esempi concreti: quale è l'archè, l'origine, il paradigma fondamentale ,desunto dal mondo sensibile analizzato e portato come pensiero razionale?
Ogni particolare delle moltitudini apparenze fenomeniche dovrebbe trovare una risposta in relazione all'archè. Ad es. Talete disse "Tutto è acqua", pensando che l' "umido" fosse essenza
di tutti gli essenti. Così non è....eppure il primo tentativo filosofico è già una gnoseologia fondata su una scienza che storicamente è superata. Come dire che l'ontologia degli oggetti apparenti, fenomenici, varia storicamente con la conoscenza del sensibile che a sua volta può incidere e mutare l'archè.

E' altrettanto ovvio che il come venga interpretato il fondamento che spesso è un eterno in relazione al divenire dei fenomeni ,costruisce l'etica e l'estetica, di bene, bellezza,  giustizia.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Phil il 03 Febbraio 2020, 15:30:28 PM
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 02 Febbraio 2020, 18:09:52 PM
due opposte fazioni di pensiero, che generalmente riassumo nel realismo, filosofia che riconosce l'oggetto ma perde il soggetto, e nel nichilismo, filosofia che riconosce il soggetto ma perde l'oggetto.
Concordo con Ipazia che la dicotomia "da manuale" sia fra realismo e idealismo, essendo il nichilismo (che non ridurrei al "poetare paralogistico" di Nietzsche) una forma di "realismo cinico", che svela il nulla semantico del fondamento dei dogmatismi filosofici.
Uno spunto ce lo fornisce iano quando ci ricorda che
Citazione di: iano il 03 Febbraio 2020, 10:25:49 AM
Se può essere utile vivere in una finzione , non è utile ricordare sempre a noi stessi che si tratti di una finzione .
«finzione» rispetto a cosa? Rispetto ad una fondante Verità assoluta? No, rispetto a nulla (che non è «rispetto al Nulla»); questo è per me nichilismo "performativo", l'uomo come ente (pensante) fra gli enti, senza idealismo e senza solipsismo.

Citazione di: Vito J. Ceravolo il 02 Febbraio 2020, 18:09:52 PM
Definita la possibilità di accesso alla realtà in sé e la possibilità di comunicarla senza alterarne il valore in sé ma solo quello sensibile, ne segue il superamento del realismo e nichilismo. Ossia  ripeto– un terzo paradigma filosofico in grado di riconoscere la verità sia dell'in sé che del fenomeno, portando nuovo ordine intorno alla teoria della conoscenza e all'ontologia dell'essere.
Sul "terzo paradigma" che proponi, noto una certa affinità con il versante neokantiano della fenomenologia husserliana: intuizione, noumeno apodittico, etc.


P.s.
Secondo me, per cercare paradigmi più radicalmente differenti, un tertium per il suddetto dualismo, bisogna andare oltre la concettualizzazione forte dell'"oggetto in sè" come sacro Graal, magari partendo proprio dalla categoria di «utile finzione nichilistica»; aspettando che l'ontologia postuma(na), nel parlare di «oggetto», si lasci alle spalle Kant e si accorga finalmente dell'epistemologia contemporanea.

P.p.s.
Nella sesta nota mi sembra manchi il link.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 03 Febbraio 2020, 16:32:11 PM
Ciao Iano,
«Io posso tutto perché niente è».
Io non ho detto che tu sia questo, ho detto che questa è la possibilità entro cui ti puoi muovere assumendo la filosofia nichilista: quando creiamo isole di plastica, quando bruciamo bambini nell'acido o intere foreste australiane, quando bombardiamo la Siria o qualunque altro atto di tale portata... noi facciamo questo perché ci arroghiamo la superbia sul valore delle cose altro da sé, in quella convinzione propria a deciderne noi il valore.
Èevidente che il tuo "cuore" pone dei limiti a ciò che puoi, ma è una tua scelta personale non sostenuta da una pensiero nichilista di fondo che, come detto, lascia la possibilità di fare quello che si vuole poiché, appunto, che niente è.
Noi spesso assumiamo un concetto senza essere consapevoli delle sue implicazioni più profonde, e il nichilismo formalmente e moralmente ha tale implicazioni maligne e informi. Per chiarirci immaginiamo una linea siffatta, dove "-1"  è il male estremo, "1" è il bene estremo, "0" è il confine fra due mondi:
 
-1 ...... 0 ...... 1
 
Il mondo che va da 0 a -1 è quello proprio del nichilismo e di alcune declinazione della filosofia orientale e realista. Mentre il mondo che va da 0 a 1 è il mondo di cui vi sto parlando.
Ora, come detto, alcuni nichilisti potrebbero anche innalzare valori di bene, quindi spingersi da "-1"  verso quello "0", ma non sconfineranno mai dall'odio che li è insito nel dare del niente alle cose (nientità dell'essere).
 
Al contrario di ciò che dici (le quali assunzioni si poggiano su una corretta critica del realismo ingenuo che ripeto è tanto ingenuo e fallace quanto lo è a suo modo il nichilismo) qui la conoscenza della cosa in sé, così come si dispiega nella mia filosofia, non è affatto un ripetersi eterno delle cose, ma anzi garantisce tanto la determinazione quanto la libertà degli eventi (cfr. Libertà, ed. IfPress, 2018). Neppure afferma la separazione fra soggetto e oggetto, ma anzi ne garantisce la coesistenza benché su piani diversi... ossia oggetto-soggetto inscindibili ma distinguibili (cfr. nota 2 di questo testo).
In ultimo, nel momento che decidi che A=non-A, per quanto ti richiami alla tua libertà, tu non puoi più decidere nulla perché nulla può essere deciso in A=non-A. Ed è inutile continuare su tale discorso né a livello formale né a livello materiale (cfr. nota 2 di questo testo): puoi dire tutto quello che vuoi, come da buon nichilista, perché tanto tutto ciò che dici non ha alcun valore in A=non-A. E questa è la base di qualunque discorso di logica formale.

Ciao Pauli11,
L'originalità non sta nell'aver tentato, ma nell'essere riusciti. È come dire: "non c'è nulla di originale nel primo uomo che ha messo piede su Marte, perché sono 1000 anni che la gente ci pensa o ci prova senza essere mai riusciti". Allora tu dovresti verificare l'effettiva realizzazione di tale accesso, il che chiaramente non lo hai fatto, perché quando parli di "interazione necessaria fra soggetto-oggetto" come impedimento alla buona riuscita di tale impresa, allora sicuramente non hai letto né la nota 5 (linguaggio e noumeno), né la nota 4 (Guida mistica al noumeno) né la nota 2 (dieci argomenti di filosofia)... dove invece si mostra come tale rapporto soggetto-oggetto non impedisce la buona riuscita dell'impresa. (le note che ti ho segnalato, le ho messe in sequenza di importanza relativamente alle parole che hai usato tu: "mi sembra chiaro che non avrai problemi a spostare il concetto linguistico della nota 5 in concetti fisici"). Ti inviterei pertanto a conoscere e poi tornare con le giuste critiche, le quali per ora mi risultano già superate dai testi in questione. Esempio:
La realtà in sé è la ragione in sé. La ragione in sé è l'oggetto, la verità di ragione uguale indipendentemente dall'osservatore; è il terzo di paragone per il quale si dà il vero e il non-vero. Il fenomeno che ci risulta della realtà è solo un aspetto della realtà in sé, adeguandosi ad essa come verità relativa (parziale), così come una mappa si adegua al territorio: raccontandone solo alcune verità, ma comunque verità.  
Per quanto riguarda il fondamento... come potrai capire, questo "testo" parla di un nuovo paradigma di lettura del mondo, non parla del fondamento. Ugualmente non lo faccio io qui, ma se proprio ne sei interessato, come un finale spumeggiante, allora ti invito a leggere la mia mathematica ad infinitum, dove in nota c'è un mio libro che risolve il primo problema del fondamento: «come fa il principio unico a essere nel contempo finito-infinito senza contraddirsi?» Ma ripeto, qui non sono venuto a parlare del fondamento e non lo farò; tanto più se anzitutto non verifichi prima la possibilità di tale paradigma.  

Ciao Phil,
coi manuali non cambi nulla, senza offesa agli studi approssimati. Non ti piace la classificazione? Chiamala come vuoi... chi perde l'oggetto, chi perde il soggetto, chi annulla tutto e poi ci sono io che affermo sia l'oggetto che il soggetto e che rinchiudo il nulla a nessun valore, quindi togliendoli anche la possibilità di negazione dei valori, come la negazione della finzione (di cui parli tu) o del verde etc.
Se ben guarderai la mia filosofia, noterai affinità con tutte le filosofie passate, avendo tratto, dalle più importanti, le tecniche e i moventi, per poterle modificare secondo questo nuovo modo di pensare. Ma se noterai con più attenzione, vedrai che di ogni filosofia passata ho dovuto archiviare il pensiero generale (per Kant, vedi la mia distanza da esso nel primo capitolo della nota 1; per Husselr prendo le distanze in un articolo in uscita fra qualche settimana etc) per poter permettere questo cambio radicale. Un cambio radicale che non può passare inosservato se è vera la sua realizzazione e se è vero che mai nessuna filosofia passata è riuscita a rendere verità dell'oggetto e del soggetto senza negare uno o l'altro o entrambi. 
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 03 Febbraio 2020, 16:50:42 PM
Citazione di: Phil il 03 Febbraio 2020, 15:30:28 PM
Secondo me, per cercare paradigmi più radicalmente differenti, un tertium per il suddetto dualismo, bisogna andare oltre la concettualizzazione forte dell'"oggetto in sè" come sacro Graal, magari partendo proprio dalla categoria di «utile finzione nichilistica»; aspettando che l'ontologia postuma(na), nel parlare di «oggetto», si lasci alle spalle Kant e si accorga finalmente dell'epistemologia contemporanea.

La quale ha superato la contrapposizione gnoseologica soggetto-oggetto e la simmetrica contrapposizione ontologica fenomeno-noumeno. Insieme con le loro confuse e retroattive intersezioni metafisiche in cui la formula catartica nichilismo chiude illusoriamente - nella pirotecnica apoteosi nullificante - il discorso filosofico.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 03 Febbraio 2020, 18:52:14 PM
Per chi vorrà testare questo pensiero. Un'introduzione:
 
1. Qui troverete lo scioglimento della dicotomia oggetto-soggetto, quindi noumeno-fenomeno, non come annullamento di uno o l'altro, ma come riconoscimento delle loro verità distinte ma dipendenti, senza contraddizione (derivante dallo scioglimento del conflitto fondamentale)
 
2. Qui troverete una nuova metafisica, in breve:
«Mi riferisco a Nietzsche che a ben vedere criticò la metafisica del tempo, ma che troppo ingenuamente la cancellò invece di riformarla in questi termini: senza duplicazione di realtà, ma con un'unica realtà di un ordine al contempo sensibile e intelligibile; senza separazione fra corpo e anima, ma con un unico medio, ragione in sé, che si combina dalla meccanica sino alla biologia fin anche la cultura; con una realtà in sé che ben conta nelle definizioni della realtà apparente, ragione universale capace di giustificare sia il razionale che l'irrazionale, il prevedibile e le possibilità, il particolare e l'individualità, [la determinazione e la libertà].» (cfr. Guida mistica al noumeno, nota 2)
 
3. Qui troverete una nuova ontologia (una sintesi velocissima tratto dal libro "Mondo. Strutture portanti. Dio, conoscenza ed essere", ed. Il prato, pp. 91-170):

  • Identità: Quando diciamo "Socrate è Socrate" (A=A) stiamo parlando di un unico Socrate (A) uguale a se stesso (=A), possibile in quanto identico a sé e non diverso da sé. Nell'identità quindi non si parla di essere uguali ad altro (es. A=B), ma di un'uguaglianza continua che si serve di uno stesso termine A come se fossero due A=A benché il termine sia sempre uno. Cosicché in A=A il termine A ritorna a sé all'infinito: se A=A allora A; se A=A=A=A=A... etc allora A.
  • Composizione dell'identità: L'identità A=A è composta dal contenuto "A" è dalla relazione "=" che lo uguaglia a se stesso.  Il contenuto "A" è la materia dell'essere mentre la relazione "=" è la forma dell'essere. Cosicché dire "A=A" significa dire "essere (A) è (=) essere (A)" in cui si ha un unico essere che si rapporta a sé tramite se stesso; una materia che si rapporta a sé tramite la propria forma.
  • Esclusione dell'identità: Dire A=A significa escludere da A ciò che esso non è: A è diverso da non-A. In tal senso A porta in sé la mancanza di ciò che non è. E portare in sé la mancanza di qualcosa è ben diverso dal portare in sé quella cosa: "portare in sé la fame è diverso da portare in sé la sazietà" benché la sazietà sia un nostro possibile momento. Cioè:  "essere" (potenza) e "dover essere" (potenziale) non sono uguali laddove uno necessariamente esclude l'altro fintantoché si affermi la possibilità di distinguere un oggetto da un altro.
  • Confini dell'identità: Per essere se stesso, A deve avere dei precisi confini che lo distinguono dal restante permettendoci di concepirlo distintamente senza pensare a ciò che non è (come possiamo pensare alla pera senza dover necessariamente pensare alla mela); anche se dal restante non può essere realmente separato poiché A è ciò che è in quanto non è ciò che non è. In questo senso A, per essere se stesso, è indissolubilmente legato a ciò che esso non è (non-A). Quindi diciamo A e non-A inscindibili ma discernibili, inseparabili ma distinguibili. Ossia: A è isolato in sé per essere l'unità che è, ma oltre la propria unità si lega a ciò che esso non è, quindi non è isolato oltre sé.
  • Divenire dell'identità: Nel divenire, A e non-A devono essere necessariamente diversi, altrimenti il trasformarsi di uno nell'altro non sarebbe un divenire ma un restare. In questo senso A si trasforma in non-A. Ne segue che A non può essere mai altro da sé benché possa divenire altro da sé modificandosi da ciò che è, e in questo nuovo sé essere uguale a se stesso (non-A=non-A) benché diverso da ciò che era prima.

Spero che questa breve introduzione possa facilitare la comprensione del complesso filosofico di questo nuovo paradigma, dove in termini spiccioli potete distinguere fra ontologia, come studio dell'essere tramite la ragione, e metafisica, come studio della ragione con la ragione. Sempre ben intendendoli non come corpi separati, bensì come uno l'espressione sensibile di quel sovrasensibile e viceversa.

Non mancherò a collegarmi successivamente per vedere eventuali evoluzione del discorso.
Grazie per adesso
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: bobmax il 03 Febbraio 2020, 19:16:53 PM
@Vito

Dai per scontato che l'essere sia distinto dal divenire.
Probabilmente per te l'essere è ciò che abita il presente.
E questo essere è soggetto al divenire.

Questa è l'ovvia interpretazione della realtà.
Tuttavia, non è la "verità".

Perché la realtà è costituita dall'inestricabile intreccio di essere e divenire.

Cerco l'essere e trovo divenire e viceversa.
L'essere e il divenire non esistono di per sé stessi. Sono due fantasmi. Uno dona senso all'altro in un gioco senza fine.
Sono due scogli tra cui dobbiamo navigare, ma sui quali è impossibile approdare, perché non esistono.

Di modo che A è sia essere sia divenire. Al punto, che A non è mai uguale ad A.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 03 Febbraio 2020, 19:50:18 PM
Ciao Boomax,
è dove hai colto che io separo l'essere dal divenire se ho invece scritto che sono inscindibili?
Mi sono fermato a questa tua dichiarazione, il resto non l'ho letto. Sai perché? Le cose sono tre: o non sai cosa significa inscindibile; o ti stai rifacendo a una ontologia primitiva e arcaica (nichilista o realista) piena di contraddizioni che ti impedisce di vedere quello che ho scritto anche se l'ho scritto 2 volte ; o hai letto talmente di fretta da aver dato primario sfogo alla chiusura della tua conoscenza piuttosto che all'apertura di un nuovo modo di pensare.

"Inscindibile" vuol dire che non possono essere separati. L'essere non è scindibile dal divenire, a nessun livello.

Io spero che non debba essere questo il livello di discussione. Ti chiedo pertanto di fermarti è riflettere prima di parlare, che già è faticoso rispondere a 5 persone alla volta, se poi ci ritroviamo a questo livello la cosa mi perde di interesse.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Phil il 03 Febbraio 2020, 20:03:35 PM
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 03 Febbraio 2020, 16:32:11 PM
coi manuali non cambi nulla, senza offesa agli studi approssimati. Non ti piace la classificazione? Chiamala come vuoi...
Con i manuali, oltre a prevenire proprio l'approssimazione (di cui sono talvolta reo), si apprende/comprende una basilare (in tutti i sensi) consapevolezza delle puntate precedenti (molte, prima di arrivare al "nichilismo attivo", se non erro, di Deleuze e Vattimo); quanto più si approfondisce, a partire dai manuali e poi andando oltre (ad esempio realizzando che il nichilismo non afferma "a=-a" e rappresentarlo con una forma logica innesca qualche dovuta perplessità; Severino r.i.p.), tanto più ci si rende conto che il «senza precedenti» e/o il «rivoluzionario» sono etichette da usare con estrema cautela in filosofia, anche se la premessa sorniona è «giochi di pensiero».
Ad esempio
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 03 Febbraio 2020, 16:32:11 PM
chi perde l'oggetto, chi perde il soggetto, chi annulla tutto e poi ci sono io che affermo sia l'oggetto che il soggetto e che rinchiudo il nulla a nessun valore, quindi togliendoli anche la possibilità di negazione dei valori
ebbene, "affermare sia l'oggetto che il soggetto rinchiudendo il nulla a nessun valore", non mi pare una novità filosofica (chiedere ad esempio ai suddetti Kant ed Husserl, ma la lista nei manuali è lunga...).
Il rapporto fra «nulla» e «negazione dei valori» merita poi un'attenta circospezione:
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 03 Febbraio 2020, 16:32:11 PM
come la negazione della finzione (di cui parli tu)
Non ho parlato di «negazione della finzione»(?) ma di finzione basata sul nulla, come esempio di nichilismo pensante (riconoscere la nullità del fondamento su cui nondimeno la finzione si attua realmente); notoriamente, non è prudente maneggiare "un nulla" come mero sinonimo di «negazione» (sofismi linguistici a parte).
Inoltre, non sono sicuro della correttezza "contenutistica" di:
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 03 Febbraio 2020, 16:32:11 PM
Per chiarirci immaginiamo una linea siffatta, dove "-1"  è il male estremo, "1" è il bene estremo, "0" è il confine fra due mondi:

-1 ...... 0 ...... 1

Il mondo che va da 0 a -1 è quello proprio del nichilismo e di alcune declinazione della filosofia orientale e realista. Mentre il mondo che va da 0 a 1 è il mondo di cui vi sto parlando.
Ora, come detto, alcuni nichilisti potrebbero anche innalzare valori di bene, quindi spingersi da "-1"  verso quello "0", ma non sconfineranno mai dall'odio che li è insito nel dare del niente alle cose (nientità dell'essere).
dunque (al di là dalla rivisitazione in chiave emotiva del nichilismo ontologico à la Gorgia) il nichilismo, un certo pensiero orientale e un certo realismo, propendono al «male estremo»? «Male» di che tipo? Secondo quale scala di valori (magari veritativa e assoluta)? Soprattutto, tale scala di giudizio da -1 a 1, su quali assiomi/dogmi è fondata?
Il problema del fondamento è infatti centrale proprio per il nichilismo, per un certo pensiero orientale e per un certo realismo.


P.s.
@Ipazia
Intendevo esattamente quello che hai esplicitato (e che il "novum" presentato non prende in considerazione), a parte che il nichilismo non «chiude illusoriamente» quel discorso filosofico, piuttosto lo "hackera" disinnescando (annullando) gli ingranaggi "inopportuni"; tecnica di "ingegneria inversa" compatibile con la decostruzione (reperibile nei migliori manuali di bricolage filosofico).
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: davintro il 03 Febbraio 2020, 21:30:10 PM
la dicotomia realismo-nichilismo (che a mio avviso ha una sua ragion d'essere, nella misura in cui l'idealismo, a cui manualisticamente il realismo viene di solito contrapposto, viene considerato nel suo esito necessario, al di là delle aspettative di partenza, cioè l'impossibilità di ammettere una qualunque verità, mancando il riferimento a una realtà extramentale, trascendente la fallibilità dei pensieri umani, realtà extramentale a cui la verità dovrebbe per sua definizione adeguarsi), intesa come dicotomia tra una visione che afferma l'esistenza delle cose stesse come del tutto trascendenti rispetto alla coscienza (realismo) e una visione in cui la realtà si relativizza a seconda dei punti di vista soggettivi, richiamandosi alla formula di Protagora "l'uomo è misura di tutte le cose", può essere superata integrando i punti meritori di entrambe le prospettive. La prospettiva realista evita l'autocontraddizione in cui cade ogni discorso scettico, cioè la negazione di una verità oggettiva, aderente a una realtà che è tale indipendentemente dal fatto di essere pensata, che, coerentemente seguita dovrebbe invalidare lo scetticismo stesso a porsi come discorso "vero" (quale verità se non vi è nulla di reale a partire da cui ammettere una corrispondenza?". Il discorso nichilista, che, azzardo ma potrei sbagliarmi se non ho ben compreso l'ottica in cui la discussione è stata introdotta, si potrebbe definire "soggettivista" o "fenomenista", nella misura in cui non vede nulla oltre l'apparire fenomenico, per quanto ontologicamente errata, ha un fondamentale merito di natura critica-epistemologica: il principio per cui ogni affermazione sulla trascendenza per essere filosoficamente, e dunque razionalmente, fondata deve essere dedotta dall'analisi dei fenomeni, cioè l'ambito di cui, anche portando all'estremo il dubbio sull'esistenza della realtà, resta come residuo necessario dell'esperienza. Questo principio "purifica" il realismo dalla patina di dogmatismo ancora presente nella sua variante "ingenua". Quel realismo ingenuo che attesta l'esistenza della realtà extramentale limitandosi ad ammettere un certo grado di costanza dei fenomeni come presunta prova della reale esistenza delle cose a cui i fenomeni sono riferiti "dopo 4 o 5 volte che vedo l'albero di fronte a me potrei essere certo che l'albero esista davvero", senza porsi il problema di discutere la validità delle percezioni,. Contro tutto ciò, l'istanza soggettivista ci ricorda la necessità di una conversione dello sguardo, dal livello ingenuo in cui percezione soggettiva e cosa oggettiva sono confusi, a quello in cui il fenomeno viene inteso in se stesso, analizzato, mirando a isolare quel nucleo entro cui il fenomeno viene recepito ad un livello originario, preesistente alle arbitrarie interpretazioni e proiezioni dell'Io, individuandolo nella misura in cui lo recepiamo in modo puramente passivo, cioè proveniente da una dimensione di ulteriorità rispetto all'Io, cioè la realtà oggettiva. Come in precedenza ho provato ad argomentare contro lo scetticismo mostrandone l'autocontraddittorietà, cioè considerando, non la realtà fattuale direttamente, ma l'ambito logico del pensiero, dei collegamenti logici delle definizioni entro cui un discorso è costruito per testarne la coerenza interna, ora, entrando in un livello meno formalista, anche la passività testimoniante la dipendenza dell'Io da una realtà ulteriore e oggettiva, si è potuta mettere in evidenza mettendo tra parentesi, metodologicamente, lo sguardo diretto sulla realtà esteriore, per considerare i fenomeni soggettivi nella loro purezza. E questo riferimento "soggettivista" ha permesso di riconoscere, stavolta non dogmaticamente ma criticamente, la presenza di un'oggettività. E penso che proprio questo "realismo critico" sia la strada per armonizzare, in qualche modo, i poli opposti soggettivo-oggettivo
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: paul11 il 03 Febbraio 2020, 23:23:11 PM
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 03 Febbraio 2020, 16:32:11 PM

Ciao Pauli11,
 Allora tu dovresti verificare l'effettiva realizzazione di tale accesso, il che chiaramente non lo hai fatto, perché quando parli di "interazione necessaria fra soggetto-oggetto" come impedimento alla buona riuscita di tale impresa, ...

Hai frainteso: per me è necessaria l'interazione fra soggetto e oggetto, e non un impedimento
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 03 Febbraio 2020, 23:53:46 PM
Ciao Phil,
se  ho frainteso scusa, comunque lì si vede come la necessaria interazione soggetto-oggetto non nega l'accesso ne a uno ne all'altro. Comunque, dir si voglia, la manualistica è assai spannometrica e per quanto possa introdurre a un discorso non è mai completa. La cosa si evidenzia davanti a grandi pensatori che mettono in evidenza aspetti prima tralasciati. Severino, che citi, ne è un esempio, benché egli metta in evidenza la forma contraddittoria del nichilismo solo sotto l'aspetto della possibilità. Nietzsche stesso non vedeva l'incoerenza del suo sistema in maniera così esemplare: 

  • Linguisticamnte,nientità dell'essere = l'essere è niente = essere è non essere = essere non è
Non per questo da Hegel in poi, la logica formale è stata un po' messa in disparte o addirittura derisa dalla filosofia occidentale... appunto perché, altro che perplessità, è il segno evidente dell'incoerenza formale del "sistema" nichilista. Infatti il sopra gioco linguistico (1) formalmente è inequivocabile: A=non-A. 
Ma se tu su questo non sei d'accordo, saprai sicuramente trovare un meccanismo linguistico/formale che dimostri il contrario... oppure continuerai a parlare di "perplessità" in merito all'uso formale dei concetti. Magari come lo Hegel no?

Lo ripeto: la novità filosofica non si esaurisce nel dire una cosa prima mai detta, ma nell'essere in grado di dimostrarla, giustificarla. Anche il mio panettiere dice che non c'è alcuna novità nel dire che esiste il soggetto e l'oggetto, ma non è in grado di giustificarlo come non lo sono né Kant, Husserl e qualunque altro nome tu venga a citare. Tutti costoro, dal panettiere a Kant, sono lontani da me a pari modo. E questo è semplice e non capisco perché lo devo ripetere: dire "per me oggetto e soggetto non si contraddicono" è ben diverso dal dimostrarlo. E nella capacità di dimostrare ciò sta la mia novità filosofica, la svolta rivoluzionaria che tale rimane fin quando qualcuno non è in grado di mostrare il contrario. Questa differenza (fra dire e giustificare) è fondamentale, è ciò che differenzia una scienza da una opinione. Quindi se tutti possono pensare un'idea ma nessuno era mai riuscito a giustificarla... allora giustificarla si chiama, a ben diritto, svolta, novità, rivoluzione. 

Eppure a me sembra proprio che tu abbia detto "negazione della finzione". Infatti quando dici che la finzione si basa sul nulla (nullità del fondamento) stai implicando un nulla creatore; il che non è solo formalmente impossibile, ma lo è anche dal punto di vista delle scienze fisiche le quali negano il vuoto pneumatico e affermano oltremodo la possibilità di creazione da almeno un quanto. E se tale è, se nulla si crea dal nulla, allora la tua affermazione di finzione creatasi dal nulla fondante comporta necessariamente la negazione della finzione. Sì, certo che c'è differenza fra nulla e negazione, ma io ho non nego ciò, dico invece che affermando un nulla fondante (nichilismo) di riflesso si nega la validità formale e fisica delle proprie affermazioni.

Il male e il bene? Il bello? Tu... tu non hai letto "linguaggio e noumeno". Ti sembra corretto scrivere più di quanto leggi anche quando ti si chiede di leggere prima di continuare? Forse invece di usare 20 minuti del tuo tempo per pormi un problema, avresti potuto usare quel tempo per andare a vedere dove ti ho detto di cercare la soluzione. Ora sono stanco... magari la prossima volta ti faccio un copia e incolla.

Ben sia chiaro però che io non uso dogmi. I dogmi sono propri delle religioni come il nichilismo e il cristianesimo. Io uso concetti formalmente e materialmente coerenti, criticabili e verificabili per via formale o materiale. Dove la scala è il fondamento, la soluzione positiva del fondamento; ma ti ho già detto anche qui come reperirla se ne sei così interessato.
 
Ciao davintro,
certo, è come scrivi tu. E questo è risaputo da quanti si definiscono pensatori: nichilismo come esito necessario della caduta dell'in sé, avvenuta ufficialmente da Kant e compiutasi in conclusione con Nietzsche. Ma questo non è proprio contestabile, a meno che non si vogliano avanzare teorie insospettate finora nel mondo filosofico. [nota 1, scalata critica al nichilismo]

Io... Davintro, trovo ineccepibile quanto hai scritto. Divergo solo nel termine conclusivo: non voglio chiamarlo "realismo critico", perché a ben vedere, scavando nelle sue implicazioni, questo è proprio un mondo lontano dal realismo ingenuo quanto dal nichilismo ingenuo, tanto che chiamarlo "realismo critico" darebbe pari diritto di chiamarlo "nichilismo critico", così assopendo l'immensa differenza che intercorre fra questo nuovo paradigma e quanto prima esistito prima di esso.
È stato un piacere leggerti.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: iano il 04 Febbraio 2020, 00:30:49 AM
Ciao Vito.

Mi sono un po' perso, ma questa storia di soggetto e oggetto inscindibili  non mi convince, quanto non mi convince il suo contrario .
Dire che sono inscindibili significa dire comunque che hanno un confine ben definito , ma questo confine quando lo si cerca diventa sfuggente, mentre quando non lo indaghiamo ci rimane solo una sua percezione che ingenuamente pensiamo come netta.
Sembrano soggetto e oggetto piuttosto permeabili , il che me li fa' vedere come arte-fatti , che , siccome utili , dovremmo imparare a maneggiare meglio.
Imparare questa arte piuttosto che prendere parte.

Quindi infine nel dire che oggetto e soggetto sono inscindibili non trovo un senso.

Nel privilegiare l'oggetto o il soggetto , come da "vecchia" filosofia bipolare vedo solo una alternanza dialettica  fra progresso e conservazione  alla quale ognuno prende parte in base alla propria indole.
La vera terza via sarebbe imparare a interpretare entrambe le parti , indipendentemente dall'indole e dall'anagrafe.
Si distrugge solo per ricostruire in un gioco che non ha fine.
Non vedo negatività nel distruggere come nel costruire se considerati in unainscindibile 😊alternanza.
Un nichilismo costruttivo?
Magari finora abbiamo visto solo la parte distruttiva e questo può comprensibilmente generare ansia.



Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Phil il 04 Febbraio 2020, 01:12:06 AM
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 03 Febbraio 2020, 23:53:46 PM
Nietzsche stesso non vedeva l'incoerenza del suo sistema in maniera così esemplare: [/left]

  • Linguisticamnte,nientità dell'essere = l'essere è niente = essere è non essere = essere non è
Non per questo da Hegel in poi, la logica formale è stata un po' messa in disparte o addirittura derisa dalla filosofia occidentale... appunto perché, altro che perplessità, è il segno evidente dell'incoerenza formale del "sistema" nichilista. Infatti il sopra gioco linguistico (1) formalmente è inequivocabile: A=non-A.
Ma se tu su questo non sei d'accordo, saprai sicuramente trovare un meccanismo linguistico/formale che dimostri il contrario... oppure continuerai a parlare di "perplessità" in merito all'uso formale dei concetti. Magari come lo Hegel no?
La perplessità, come ho scritto, è nel voler/poter tradurre il nichilismo in una proposizione logica. Ad esempio, quel'è allora la proposizione logica che "traduce" l'idealismo? O quella del realismo?

Va bene cercare di essere sintetici e "logici", ma direi che bisogna rispettare comunque la complessità essenziale di un approccio filosofico, e se questo eccede un'uguaglianza logica, è necessario, almeno secondo me, spendere qualche parola in più. Il "gioco linguistico" che tu attribuisci al nichilismo, secondo me (forse anche secondo i manuali e alcuni autori nichilisti) non è affatto adeguato a sintetizzarlo: come già citato, il nichilismo di Gorgia non è quello di Nietzsche, che non è quello di Vattimo, etc. basta riconoscere questo per dover rinnegare la pertinenza di quella proposizione logica (ammesso e non concesso che un approccio filosofico possa essere ridotto ad una proposizione logica).

Citazione di: Vito J. Ceravolo il 03 Febbraio 2020, 23:53:46 PM
Anche il mio panettiere dice che non c'è alcuna novità nel dire che esiste il soggetto e l'oggetto, ma non è in grado di giustificarlo come non lo sono né Kant, Husserl e qualunque altro nome tu venga a citare. Tutti costoro, dal panettiere a Kant, sono lontani da me a pari modo.
Forse non ho capito: stai dicendo che Kant e Husserl non hanno "giustificato" l'esistenza e/o le relazioni di soggetto ed oggetto? Se mi consenti la battuta: chi dovrebbe andare a cercare tale risposta nei testi di chi?

Citazione di: Vito J. Ceravolo il 03 Febbraio 2020, 23:53:46 PM
Infatti quando dici che la finzione si basa sul nulla (nullità del fondamento) stai implicando un nulla creatore; il che non è solo formalmente impossibile, ma lo è anche dal punto di vista delle scienze fisiche
Per fondazione non intendo ovviamente una derivazione meccanicistico/causale; non a caso sin dal primo post ho parlato di nulla semantico (non ontologico, oppure vogliamo far dire allo strawman-nichilista che "tutto è nulla" nel senso che nulla esiste, nemmeno lui?).
Provo comunque a riassumere: Iano aveva parlato di «finzione» come (se non l'ho frainteso) dimensione rappresentativa della necessità pratica di "immedesimarsi" in una prospettiva; mi sono quindi agganciato a questa sua considerazione, rilevando che, se in generale ogni finzione è sempre finzione-rispetto-a-qualcosa, in questo caso (volendo esemplificare un approccio nichilista) non si trattava di essere finzione rispetto ad una verità assoluta, ma finzione rispetto ad un nulla, ovvero non essere finzione di qualcosa, cioè finzione senza un fondamento positivo, veritativo, etc. praticamente una finzione "reale" in sé perché non rimanda ad altro da sé.
Provo a spiegarmi con un altro esempio; il concetto di identità può fornire un caso di "finzione": è una finzione che il mio dito sia/abbia un'identità logica, ma non perché in verità esso sia altro (non sia un dito), quanto piuttosto perché è solo una "costruzione" arbitraria e concettuale, una struttura convenzionale (linguistica) in cui, per dirla con le parole di Iano, ci immedesimiamo e riteniamo reale (fermo restando che in questo caso parliamo comunque di materia e non di un orizzonte di senso in cui immedesimarci).

Citazione di: Vito J. Ceravolo il 03 Febbraio 2020, 23:53:46 PM
Il male e il bene? Il bello? Tu... tu non hai letto "linguaggio e noumeno". Ti sembra corretto scrivere più di quanto leggi anche quando ti si chiede di leggere prima di continuare? Forse invece di usare 20 minuti del tuo tempo per pormi un problema, avresti potuto usare quel tempo per andare a vedere dove ti ho detto di cercare la soluzione. Ora sono stanco... magari la prossima volta ti faccio un copia e incolla.
Non ti ho chiesto del «bello» (puoi controllare), ti ho domandato delucidazioni dell'esempio che ho citato (dal tuo post) in cui parlavi dell'intervallo fra -1 ed 1 riferendoti ai due estremi come, cito, «male estremo» e «bene estremo» (anche qui puoi controllare il relativo post).
Apprezzo la proposta del copia e incolla, ma so che estrapolare un paragrafo da un testo organico può essere compromettente per il suo senso; magari lo leggerò per interno in un altro momento.
Grazie comunque delle risposte e degli spunti.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 04 Febbraio 2020, 03:05:23 AM
Ciao Iano,
il rapporto fra oggetto e soggetto e loro inscindibilità è riportata in Dieci argomenti di filosofia, capitolo 1, dieci minuti di lettura, dove se ne definisce il confine che non è sfuggente ma linguisticamente definibile per quanto permeabile come fra A e non-A
Qui: https://filosofiaenuovisentieri.com/2017/07/16/dieci-argomenti-di-filosofia/

Tutto il discorso ne deriva. Se ti puoi prendere dieci minuti, solo per quel capitolo, poi possiamo avanzare il discorso.

Ciao Phil,
come già detto la forma logica dell'idealismo è la stessa del nichilismo, essendo quest'ultimo una conseguenza diretta del primo, una sua implicazione resa visibile da Nietzsche. In entrambi i casi, da Kant sino ad oggi, tutta la filosofia occidentale si è mossa sull'inesistenza della realtà in sé, cioè sulla forma A=non-A.
Per quanto riguarda il realismo, invece, quindi da Platone sino a Kant, tutta la filosofia dominante si è mossa sulla forma parmenidea A=A e non può esser non-A, senza però essere in grado di giustificare tale forma (cfr. problemi parmenidei) e quindi con la conseguente caduta del sistema ingenuo realista.

Si, hai capito benissimo, né Kant né Husserl sono stati in grado di giustificare le loro tesi, essendo le loro tesi inconsistenti, cioè contraddittorie o nel loro rapporto formale o nel loro rapporto materiale. La giustificazione di una tesi è valida solo se essa è consistente, e ciò che è consistente ha coerenza formale e materiale. Chiarisco: giustificare una tesi non significa dire "è così", come hanno tentato costoro, ma significa che tale "è così" è consistente, cosa che loro non sono riusciti a fare. Anche perché se ci fossero riusciti... non ci sarebbe mica più il problema. Quindi sì: segnalami i testi in cui costoro o altri hanno giustificato consistentemente le loro tesi in merito al rapporto soggetto-oggetto.  Ma ti posso assicurare che non esistono questi testi, fra coloro.

Bene, ho letto il tuo concetto di fondazione, ma come già detto, finzione o realtà o immaginazione o altro che sia, nella mia filosofia non c'è solo un aspetto psicologico derivante dal soggetto, ma anche un aspetto logico derivante dall'oggetto. In questo caso la finzione non è tale rispetto a un nulla fondante (formalmente e fisicamente impossibile) ma in confronto a un concetto veritativo.

Allora facciamo così come dici tu, quando hai 30 minuti di tempo, in merito al concetto di male e di bene, troverai nell'articolo Linguaggio e noumeno (nella seconda parte) un riferimento alla bellezza in senso universale. Tale procedimento di universalizzazione della bellezza, che non cancella il concetto di bellezza relativo, può essere applicato ugualmente al bene e al male.

Grazie a te.

Grazie a tutti voi.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: iano il 04 Febbraio 2020, 06:15:17 AM
@Vito.
Grazie per le tue risposte e la tua pazienza.
Ho letto i tuoi link ,ma non ho capito.
Ho apprezzato i tuoi post laddove li ho definiti "fulminati" , e quindi comunque qualcosa porto a casa.😊
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 04 Febbraio 2020, 07:50:22 AM
La ragione non ha l'in sé delle cose, ma il per noi delle cose. A questa  "verità" era giunto anche Hegel tanto tempo fa (archiviando il noumeno nella sostanza se non nel desiderio).

Da allora il sapere (fisico e metafisico) ne ha fatto tesoro realizzando una "nuova oggettività" che ha contestualizzato l'oggetto e riscritto - togliendogli l'aura arcaica animistico-fenomenologica - intersoggettivamente il soggetto.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: iano il 04 Febbraio 2020, 08:42:37 AM
Citazione di: iano il 03 Febbraio 2020, 10:25:49 AM
Se può essere utile vivere in una finzione , non è utile ricordare sempre a noi stessi che si tratti di una finzione .
«finzione» rispetto a cosa? Rispetto ad una fondante Verità assoluta? No, rispetto a nulla (che non è «rispetto al Nulla»); questo è per me nichilismo "performativo", l'uomo come ente (pensante) fra gli enti, senza idealismo e senza solipsismo.


[/quote]
@Phil
Forse l'uso che ho fatto del termine finzione non è stato felice.
La finzione richiama la pura arbitrarietà, ma i prodotti dell'interazione con la realtà non sono arbitrari , ma neanche univoci.
Ma perché la "finzione" possa essere scambiata per realtà occorre che sia condivisa , di modo che si rafforzi per reciproca conferma .
La condivisione infatti si presta come argomento contro la "finzione" , ma le cose non stanno così.
Semplicemente l'utilita' andrebbe a cadere senza condivisione.
Comunque si giunga a questa condivisione , che sembra miracolosa , non conoscendone appieno le dinamiche , stiamo un po' parlando di una vecchia storia.
Le finzioni adesso sono le ipotesi su cui si basano le teorie scientifiche.
Per queste i meccanismi di condivisione non sono misteriosi , o comunque possono essere analizzati , e questa analisi può gettare luce sul suddetto mistero.
Naturalmente ciò che è condiviso non è perciò vero , ma questo non è un problema se non siamo alla ricerca della verità.
Ma la non ricerca della verità non significa aprire la strada all'arbitrio , perché siamo comunque condizionati dalla realtà, e lo siamo tutti insieme, essendo sostanzialmente simili.
Il soggetto più interessante non sembra essere l'uomo quindi , ma l'umanita' , che poi è solo una parte degli esseri viventi.
L'umanita' stessa è una "finzione " in quanto arbitrari , ma comunque funzionali , sono i criteri che la distinguono dal resto dei viventi.
Non dovremmo perciò cercare il vantaggio dell'umanita' , come non è da cercare il vantaggio dei maschi piuttosto che delle femmine , perché andremmo a cercare il vantaggio di "definizioni di comodo" , come se il definirli desse loro vera sostanza di soggetto.
Gli effetti del cercare il "nostro" vantaggio su questa terra sono cronaca quotidiana.
Le discriminazioni sessuali e razziste pure , e purtroppo nascono dal nostro senso di realtà che anima le nostre arbitrarie ma condivise definizioni.
Questo senso crea la realtà dandole la consistenza di uno spigolo contro il quale è meglio non sbattere.
Se hai dei dubbi prova, e così la nostra realtà è dimostrata.
Ma rimane sempre nostra e non può essere spacciata per verità, perché noi stessi non siamo assoluti.
Non siamo centrali , anche se così ci percepiamo perché noi siamo il nostro punto di vista.
Ma il mio non è un invito all'umilta' , ma anzi un invito all'orgoglio di essere se stessi , per quel che siamo .
La strada di fatto che abbiamo intrapreso credo sia appunto quella di prendere coscienza dei nostri mezzi.
Ma è una strada di fatto , dove la coscienza in se' non è da esaltare , perché di fatto equivale al vizio di esaltare noi stessi in forma dissimulata.
È uno dei nostri strumenti , da conoscere , da maneggiare sempre meglio , per il nostro bene, che non è mai solo il nostro bene , almeno di non credere fino in fondo a ciò che ci inventiamo e che definiamo.
Vecchio , ma umanissimo vizio.
Personalmente sono convinto che non c'è sostanzialmente molto di nuovo sotto il sole , ma tutto appare tale sotto l'uso della coscienza sempre più usata.
Ciò che facciamo in coscienza abbiamo sostanzialmente sempre fatto anche senza , ovviamente non sapendo come.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: bobmax il 04 Febbraio 2020, 10:30:14 AM
Citazione
Divenire dell'identità: Nel divenire, A e non-A devono essere necessariamente diversi, altrimenti il trasformarsi di uno nell'altro non sarebbe un divenire ma un restare. In questo senso A si trasforma in non-A. Ne segue che A non può essere mai altro da sé benché possa divenire altro da sé modificandosi da ciò che è, e in questo nuovo sé essere uguale a se stesso (non-A=non-A) benché diverso da ciò che era prima

A è perciò essere, nel presente.
Un essere che però diviene...

Questo tanto per chiarire. Non disturberò oltre.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 04 Febbraio 2020, 11:09:01 AM
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 03 Febbraio 2020, 18:52:14 PM
Per chi vorrà testare questo pensiero. Un'introduzione:

1. Qui troverete lo scioglimento della dicotomia oggetto-soggetto, quindi noumeno-fenomeno, non come annullamento di uno o l'altro, ma come riconoscimento delle loro verità distinte ma dipendenti, senza contraddizione (derivante dallo scioglimento del conflitto fondamentale)

Le verità delle dicotomie citate sono concettuali e del concetto hanno il difetto di non accedere al noumeno che rimane - canonicamente e secondo autorevole tradizione - inconoscibile (e quindi illusorio lo scioglimento del "conflitto fondamentale" che resta isolato nel concettuale)

Citazione2. Qui troverete una nuova metafisica, in breve:
«Mi riferisco a Nietzsche che a ben vedere criticò la metafisica del tempo, ma che troppo ingenuamente la cancellò invece di riformarla in questi termini: senza duplicazione di realtà, ma con un'unica realtà di un ordine al contempo sensibile e intelligibile; senza separazione fra corpo e anima, ma con un unico medio, ragione in sé, che si combina dalla meccanica sino alla biologia fin anche la cultura; con una realtà in sé che ben conta nelle definizioni della realtà apparente, ragione universale capace di giustificare sia il razionale che l'irrazionale, il prevedibile e le possibilità, il particolare e l'individualità, [la determinazione e la libertà].» (cfr. Guida mistica al noumeno, nota 2)

Friedrich Nietzsche (FN) non ebbe "l'ingenuità di cancellare la metafisica del tempo senza riformularla" ma la saggia umiltà e l'arguzia filosofica (da antenna sensibile qual'era) di lasciare al futuro le competenze specialistiche che sapeva di non possedere fornendo solo alcune pregevoli intuizioni che nutriranno la nascente psicologia scientifica, il relativismo gnoseologico, fenomenologia, linguistica e logica. Ovvero tutta l'ontologia moderna con diritto - secondo Ludwig Wittgenstein (LW) - di parola.

Da filosofo di razza FN ci ha lasciato anche una tortuosa eredità sullo specifico sopravvissuto della filosofia che LW rivela in epigrafe al suo Tractatus chiamandolo "Mistico": la questione etica (= estetica)

Citazione
3. Qui troverete una nuova ontologia (una sintesi velocissima tratto dal libro "Mondo. Strutture portanti. Dio, conoscenza ed essere", ed. Il prato, pp. 91-170):

  • Identità: Quando diciamo "Socrate è Socrate" (A=A) stiamo parlando di un unico Socrate (A) uguale a se stesso (=A), possibile in quanto identico a sé e non diverso da sé. Nell'identità quindi non si parla di essere uguali ad altro (es. A=B), ma di un'uguaglianza continua che si serve di uno stesso termine A come se fossero due A=A benché il termine sia sempre uno. Cosicché in A=A il termine A ritorna a sé all'infinito: se A=A allora A; se A=A=A=A=A... etc allora A.
  • Composizione dell'identità: L'identità A=A è composta dal contenuto "A" è dalla relazione "=" che lo uguaglia a se stesso.  Il contenuto "A" è la materia dell'essere mentre la relazione "=" è la forma dell'essere. Cosicché dire "A=A" significa dire "essere (A) è (=) essere (A)" in cui si ha un unico essere che si rapporta a sé tramite se stesso; una materia che si rapporta a sé tramite la propria forma.
  • Esclusione dell'identità: Dire A=A significa escludere da A ciò che esso non è: A è diverso da non-A. In tal senso A porta in sé la mancanza di ciò che non è. E portare in sé la mancanza di qualcosa è ben diverso dal portare in sé quella cosa: "portare in sé la fame è diverso da portare in sé la sazietà" benché la sazietà sia un nostro possibile momento. Cioè:  "essere" (potenza) e "dover essere" (potenziale) non sono uguali laddove uno necessariamente esclude l'altro fintantoché si affermi la possibilità di distinguere un oggetto da un altro.
  • Confini dell'identità: Per essere se stesso, A deve avere dei precisi confini che lo distinguono dal restante permettendoci di concepirlo distintamente senza pensare a ciò che non è (come possiamo pensare alla pera senza dover necessariamente pensare alla mela); anche se dal restante non può essere realmente separato poiché A è ciò che è in quanto non è ciò che non è. In questo senso A, per essere se stesso, è indissolubilmente legato a ciò che esso non è (non-A). Quindi diciamo A e non-A inscindibili ma discernibili, inseparabili ma distinguibili. Ossia: A è isolato in sé per essere l'unità che è, ma oltre la propria unità si lega a ciò che esso non è, quindi non è isolato oltre sé.
  • Divenire dell'identità: Nel divenire, A e non-A devono essere necessariamente diversi, altrimenti il trasformarsi di uno nell'altro non sarebbe un divenire ma un restare. In questo senso A si trasforma in non-A. Ne segue che A non può essere mai altro da sé benché possa divenire altro da sé modificandosi da ciò che è, e in questo nuovo sé essere uguale a se stesso (non-A=non-A) benché diverso da ciò che era prima.

Spero che questa breve introduzione possa facilitare la comprensione del complesso filosofico di questo nuovo paradigma, dove in termini spiccioli potete distinguere fra ontologia, come studio dell'essere tramite la ragione, e metafisica, come studio della ragione con la ragione. Sempre ben intendendoli non come corpi separati, bensì come uno l'espressione sensibile di quel sovrasensibile e viceversa.

Con tutto il rispetto per quanto sopra e pure per la bella forma fenomenologico-narrativa dei vari link che ho letto, mi pare che l'ontologia ormai se la sia presa la scienza, incluse la parte di "noumeno" che ci è dato di manipolare. Temo che nessun nuovo sistema filosofico possa reggere il confronto ontologico con le diavolerie della Big Science e che la logica abbia già dato il massimo di sè, la sua noumenica volontà di potenza, all'epoca di Frege-Russell, accettando, dopo la fine dell'utopia neo-ontologica globale, di ritagliarsi fettine di conoscenza applicata utili per programmare le intelligenze artificiali e formulare algoritmi probabilistici, senza più alcuna velleità filosofica.

Quanto alla metafisica, si può farla su tutto, anche sull'episteme, che ne ha gran bisogno per non partorire i mostri che sogna mentre la ragione dorme.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Phil il 04 Febbraio 2020, 12:38:25 PM
Citazione di: iano il 04 Febbraio 2020, 08:42:37 AM
@Phil
Forse l'uso che ho fatto del termine finzione non è stato felice.
La finzione richiama la pura arbitrarietà, ma i prodotti dell'interazione con la realtà non sono arbitrari , ma neanche univoci.
Ma perché la "finzione" possa essere scambiata per realtà occorre che sia condivisa , di modo che si rafforzi per reciproca conferma .
La condivisione infatti si presta come argomento contro la "finzione" , ma le cose non stanno così.
Semplicemente l'utilita' andrebbe a cadere senza condivisione.
[...]Naturalmente ciò che è condiviso non è perciò vero , ma questo non è un problema se non siamo alla ricerca della verità.
Ma la non ricerca della verità non significa aprire la strada all'arbitrio , perché siamo comunque condizionati dalla realtà, e lo siamo tutti insieme, essendo sostanzialmente simili.
[...]Ma rimane sempre nostra e non può essere spacciata per verità, perché noi stessi non siamo assoluti.
Non siamo centrali , anche se così ci percepiamo perché noi siamo il nostro punto di vista.
Il termine «finzione» mi sembra invece particolarmente calzante; ho spesso parlato al riguardo di "gioco di società": ci accordiamo su delle regole e stiamo al gioco; poi con l'arrivo generazionale di nuovi giocatori, ci si accorda (talvolta con le buone, talvolta con le cattive) su cambiamenti alle regole precedenti. La filosofia, anch'essa con un suo "dinamismo" storico, è generalmente la riflessione sui (o la proposta dei) fondamenti di tali regole o almeno delle chiavi di lettura del "gioco di società" in atto.
Trovo molto pertinente anche il richiamo alla funzionalità pragmatica e la sottolineatura che non si tratta di una finzione basata su "gaia anarchia" o sull'alienazione totale dal mondo circostante, da cui ereditiamo invece quel "senso di realtà" che rende credibile la finzione: che il fondamento sia convenzionale (cioè "un nulla" per chi ricerca gli ab-soluti) e che le regole possano essere cambiate (come di fatto accade), non significa banalmente che "allora una regola vale l'altra" né che "ognuno si fa le sue regole"; nasciamo e viviamo in una società già strutturata, siamo chiamati ad interagire fra simili in un contesto non vergine (non siamo catapultati a vivere da soli sulla luna). L'esempio che faccio sempre è quello delle lingue: le regole grammaticali sono arbitrarie, relative a ciascuna lingua, ma ciò non comporta che ognuno parli di fatto una sua lingua "autoprodotta" o che, in un dialogo reale, parlare inglese o parlare russo sia indifferente (quantomeno non lo sarà per il nostro interlocutore). Il fondamento di ciascuna lingua è dunque una verità assoluta e necessaria? Quella cosa, in realtà, in verità, si chiama «pen» o «penna»? Le regole linguistiche sono cogenti pur essendo autoreferenziali, eppure le lingue funzionano, si modificano, etc. lo stesso accade con le visioni del mondo filosofiche (tranne quelle che si prendono così sul serio da non riconoscersi come finzione, ma invece come verità assoluta, solo perché all'interno del loro sistema, i conti tornano).

Il nichilismo è per me proprio la consapevolezza di questa finzione, "consistente" (non ontologicamente) nel nulla sotteso al senso del gioco (che non è negazione della possibilità del senso del gioco, anzi proprio a causa di tale nulla sono molte le finzioni possibili...). La stessa interpretazione nichilista non ha un fondamento assoluto e veritativo (essendo molto più destruens che costruens), è piuttosto solo la (sconsolata?) constatazione che i fondamenti finora proposti come assoluti (dalle scienze umane, il nichilismo filosofico non parla di quanti e leggi fisiche), semplicemente non lo sono perché, al di là del loro successo storico, sono incapaci di uscire dalla propria autoreferenzialità (la scienza ci riesce infatti percorrendo altre vie, non solo teoretiche).
Tuttavia, senza tali sistemi filosofici non ci sarebbe potuto essere il "gioco parassitario" del nichilismo, che richiede precedenti proposte non nichiliste per autoidentificarsi come tale (e per questo non è veritativo, se intendiamo che contenga una proposta di verità assoluta) basandosi proprio sul fatto che i sistemi filosofici funzionano perché stanno ognuno al proprio gioco, come accade in tutte le finzioni (e come accade in tutti i sistemi logici: gli assiomi sono esclusi dalle dimostrazioni che essi stessi fondano; per questo la "soluzione" del "filosofo x", se ben strutturata, è coerente e consistente nel suo sistema, ma non è completa, non applicandosi ai propri assiomi; quindi non è definitiva, soprattutto per chi parte da assiomi differenti; per questo la filosofia può continuare ad interrogarsi ed è così che si fonda l'ermeneutica, ma questa è un'altra storia...).
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Sariputra il 04 Febbraio 2020, 12:58:57 PM
Mi sembra non corretto usare il termine 'finzione'. Per finzione s'intende qualcosa creato dalla mente con l'immaginazione ( diz.Treccani), non con la ragione. Mi sembra più consono dire: ipotesi razionali.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Phil il 04 Febbraio 2020, 13:34:26 PM
Come definizione, proprio sulla Treccani online, ho trovato: «Invenzione della mente, ciò che si crea con l'immaginazione» (cit.); direi che «invenzione della mente» è pertinente a ciò che intendevo (soprattutto il chiamare in causa la mente); se invece usiamo «ipotesi razionali», secondo me, oltre al fatto che le ipotesi non sono sempre vissute come tali (bensì come certezze), non rendiamo comunque giustizia agli aspetti irrazionali che pure accompagnano la filosofia e "il gioco di società": l'arte, l'inconscio, etc. e poi non vorrei escludere i nietzschiani (battuta!).
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: iano il 04 Febbraio 2020, 14:04:25 PM
Citazione di: Sariputra il 04 Febbraio 2020, 12:58:57 PM
Mi sembra non corretto usare il termine 'finzione'. Per finzione s'intende qualcosa creato dalla mente con l'immaginazione ( diz.Treccani), non con la ragione. Mi sembra più consono dire: ipotesi razionali.
Finzione non si riferiva alle ipotesi, ma al quadro generale che sta per , o è  ( per chi lo crede ) la realtà.
Non so' invece se è consono "razionali" riferito alle ipotesi.
Le ipotesi nel loro insieme immagino debbano essere non contraddittorie , preferibilmente non ridondanti , etc...
Ciò che mi pare interessante è che il quadro che abbiamo scambiato per realtà, senza sapere come lo abbiamo costruito , si è dimostrato a posteriori coerente ( Vedi geometria Euclidea ) tanto da poterne trarre le ipotesi sottostanti , senza che nessuno le avesse immaginate.
Ciò ha rafforzato l'idea che la realtà fosse proprio Euclidea.
Oggi sappiamo che non è così, e che si trattava di realismo ingenuo.
Tuttavia quel quadro sottende ancora magnificamente alla nostra percezione , e non c'è nessun buon motivo per rinunciare ad essa.
Non va' considerata però come la nostra bussola esclusiva , e per motivi simili non è da considerare tale neanche la scienza .
Esse si affiancano. Si prendono e si ripongono nello scaffale dei nostri attrezzi , la cui forma e funzione non è predeterminata.
Imparare a maneggiare questi attrezzi e costruirne di nuovi liberamente immaginabili è roba nostra.
Noi siamo anche quegli attrezzi.
Questa relatività può non piacere ad alcuni , ma non si possono non riconoscere le potenzialità, che una rastrellliera di attrezzi assoluti e immutabili non può dare.
Ma il punto non è che noi dobbiamo perseguire ciò.
Il punto è che noi siamo ciò , almeno finché stiamo a questo mondo.
E poi anche altro , certo.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 04 Febbraio 2020, 14:52:41 PM
Citazione di: Phil il 04 Febbraio 2020, 12:38:25 PM

La stessa interpretazione nichilista non ha un fondamento assoluto e veritativo (essendo molto più destruens che costruens), è piuttosto solo la (sconsolata?) constatazione che i fondamenti finora proposti come assoluti (dalle scienze umane, il nichilismo filosofico non parla di quanti e leggi fisiche), semplicemente non lo sono perché, al di là del loro successo storico, sono incapaci di uscire dalla propria autoreferenzialità (la scienza ci riesce infatti percorrendo altre vie, non solo teoretiche).

Non è detto che le scienze umane non possano percorrere le stesse vie, non solo teoretiche, della scienza, rinunciando ai fondamenti assoluti così come ha fatto la scienza. Nel caso del coronavirus vediamo come lo spazio teor-etico e pratico tra comunità scientifica e comunità umana tenda ad azzerarsi in una comune declinazione della ratio. Il che può valere in tutti i casi in cui il "gioco di società" oltrepassi l'ambito del sollazzo, trattando "convenzioni" vitali.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 04 Febbraio 2020, 18:41:00 PM
Ciao Ipazia,
lo sai che non ho scritto che la ragione ha l'in sé delle cose, bensì che la ragione è l'n sé delle cose, come sai anche la differenza fra essere e avere. Quando Hegel afferma che tutto è razionale, mette il soggetto nelle cose, annullando le cose sulla scia kantiana. Quando dico che la ragione è l'in sé delle cose (distinguendo la ragione dallo strumento razionale conoscitivo) tutelo l'oggetto permettendo l'accesso razionale ad esso. Che poi Hegel abbia raggiunto delle verità... forse da qualche parte, come tutti da qualche parte dicono alcune verità, ma il suo pensiero fondante, in generale, quello di passaggio nel nulla assoluto, è formalmente e naturalmente (scienze naturali) senza senso. Da tale non-senso (formale-naturale) ne segue la sua insistenza all'annullamento della cosa in sé (se nulla può essere, allora nulla è), cioè la sua insistenza post-kantiana a riconoscere nelle cose solo "il per noi". Chiamare tale conseguimento veritàè un presupposto assai pretenzioso: più che un "tesoro" (che tu sei libera di trovar luccichii dove ti pare) io lo chiamo inconsistenza (solo perché "inconsistente" si dice qualunque affermazione contraddittoria con sé o con le cose che descrive). Sai come si dice dalle mie parti? Se l'oggetto non fosse il soggetto oggettivamente non sarebbe. Eppur io di Hegel conservo comunque bei ricordi, qualcuno, come la forma tesi-antitesi-sintesi ben utile nello svolgimento dei discorsi almeno fenomenologici. Di tutti questi Grandi conservo sempre qualche bel ricordo.
 
Ciao boomax,
Per quanto riguarda la mia ontologia, A può essere tanto presente, quanto ogni tempo assieme o separatamente passato-presente-futuro. Nella mia filosofia, ogni cosa è essere, compreso il divenire e a esclusione del nulla assoluto. Quello che scrivi non ha alcun riscontro presso la mia ontologia, è uno strascico malforme del luogo da cui parli.  
 
Di nuovo ciao Ipazia,
parlare di autorità come di manualistica ha un certo limite per lo sviluppo del pensiero: è chiaro che il tuo affermare «del concetto hanno il difetto di non accedere al noumeno» sia una posizione corretta, però, ripetere tale posizione, denota due difetti: o non hai letto le possibilità presentate in "Guida mistica al noumeno" e "Linguaggio e noumeno"  dove si supera tale problematica concettuale; oppure le hai lette ma non hai posto alcuna critica su di esse (io non le ho lette tali critiche) così ripetendo inutilmente tale problematica già superata.
Voglio dire, se non ti piacciono le soluzioni proposte, sarai sicuramente in grado di indicarle e spiegarmi il perché.
 
Per me invece fu ingenuo Nietzsche, perché pur avendo l'ingegno di rilevare i difetti metafisici per i quali tale metafisica era difettosa, non cerco di sistemarla, ma scelse consapevolmente ("la mia filosofia è nata già morta") la via di negare tutto, pur avendo – ripeto – rilevato i punti tramite cui poter affermare tutto. Ma in fondo... per me è ingenuo tanto il realismo quanto il nichilismo, quindi non facciamocene un callo.
 
Per quanto riguarda la mia filosofia, non posso far altro che affermare quello che dici tu: l'ontologia è una questione più fattuale che astratta, cioè più scientifica che filosofica: un mero marasma di valori e dati da interpretare. Come filosofi non ci rimane altro che la buona interpretazione dei dati e l'indirizzamento entro le forme ontologiche in cui la scienza può muoversi. Tali forme, per necessità, nella mia filosofia hanno superato i paradossi e le difficoltà sia logiche di Gödel-Frege-Russell (da "Teoremi di coerenza e completezza" a "Unificazione generale della logica") sia linguistiche di Wittgestain (Linguaggio e noumeno - prima e seconda parte).
Però devo dirti una cosa: qui, con l'idea della sovrasensibile ragione in sé di principio non misurabile fisicamente se non tramite le sue conseguenze fisiche etc... In questa filosofia la scienza è rinchiusa in un ambito puramente fattuale, senza possibilità di accesso diretto a tale mondo.
 
 
A voi:
Ho un po' seguito il vostro discorso sulla finzione... oh certo, la fiction è un tarlo forte e irrisolto fra le attuali problematiche concettuali. Se vi può interessare, per quanto riguarda tale concetto di finzione, a livello prettamente formale, ben considerando che troverete forme che esulano dalla comune conoscenza... e che di ciò che troverete la finzione non è esplicitamente espressa ma detraibile in una commistione fra immaginazione/realtà o altro...
Capitolo 9 https://filosofiaenuovisentieri.com/2019/04/14/unificazione-generale-della-logica-classica-e-non-classica/
Questo però esula dal post di apertura. Quindi per ora mi limito a leggervi.

Poi sinceramente, se mi è sfuggito qualcosa a cui rispondere, è perché non ho visto il mio nome quindi penso che vi stiate un po' confrontandovi fra di voi.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Sariputra il 04 Febbraio 2020, 19:07:29 PM
Ciao @ Vito J. Ceravolo.
Non entro nel merito della discussione perché non ne ho la competenza tecnica. Volevo solo porti una domanda...Ho letto questo tuo articolo:

https://www.azioniparallele.it/archivi/30-eventi/atti,-contributi/202-scalata-critica-al-nichilismo.html

L'ho trovato molto interessante. Mi sembra di capire che tu teorizzi il nichilismo occidentale  come una forma di 'odio' (faccio un'estrema sintesi ovviamente, veramente esagerata..). Nella filosofia buddhista il nichilismo viene di fatto associato con l'estremo negativo della speculazione filosofica, mentre l'eternalismo con l'estremo positivo. Ambedue le posizioni sono ritenute errate. Però c'è una differenza importante tra i due opposti: il nichilismo ha come causa-radice l'avversione (odio), mentre l'eternalismo ha come causa-radice il desiderio (la brama).
Leggendo questo tuo passo dal sopracitato articolo mi aleggiava questo dubbio...
"Nientità dell'essere, quanto odio c'è in te: il verde, il buono, la verità... sono niente! Niente è verde, buono, verità. Niente è qualcosa: "A = non-A". Quanto illogico disprezzo verso il valore proprio dei fiori, del mare, dell'oltre se stesso. Superuomo nell'apoteosi del male: saresti capace anche di distruggere il pianeta che ti dà vita, per la tua inconsistente superbia. E tanto urgentemente è in pericolo il mondo che pari è l'urgenza di sputargli fuori l'odio che gli hai iniettato col tuo morso, nichilismo occidentale. "

Ecco allora la domanda:
Ritieni il nichilismo occidentale una forma di profonda avversione verso l'essere (odio- implicita equiparazione dell'essere all'essere/Dio teologico. Anche perché il nichilismo radicale, come quello occidentale, non compare in altre culture filosofiche) ?

Grazie
un saluto
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 04 Febbraio 2020, 19:54:52 PM
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 04 Febbraio 2020, 18:41:00 PM
Ciao Ipazia,
lo sai che non ho scritto che la ragione ha l'in sé delle cose, bensì che la ragione è l'in sé delle cose, come sai anche la differenza fra essere e avere. Quando Hegel afferma che tutto è razionale, mette il soggetto nelle cose, annullando le cose sulla scia kantiana. Quando dico che la ragione è l'in sé delle cose (distinguendo la ragione dallo strumento razionale conoscitivo) tutelo l'oggetto permettendo l'accesso razionale ad esso.

"La ragione è l'in sé delle cose": intendi dire che ne è il significato ? Se è così siamo comunque fuori dall'ontologia delle cose, ovvero la proprietà di essere un in sè che ha una sua essenziale noumenicità. Peraltro una ragione "in sè delle cose" distinta dallo strumento razionale conoscitivo non saprei proprio dove andarla a cercare. Forse nel luccichio che in sè, ovvero in me, vedo quando guardo il sole, al punto iniziale dei 10 punti in cui l'in sè inizia da in me la sua odissea metafisica con sdoppiamento tutelare della ragione al suo seguito e servizio ?

CitazioneDi nuovo ciao Ipazia,
parlare di autorità come di manualistica ha un certo limite per lo sviluppo del pensiero: è chiaro che il tuo affermare «del concetto hanno il difetto di non accedere al noumeno» sia una posizione corretta, però, ripetere tale posizione, denota due difetti: o non hai letto le possibilità presentate in "Guida mistica al noumeno" e "Linguaggio e noumeno"  dove si supera tale problematica concettuale; oppure le hai lette ma non hai posto alcuna critica su di esse (io non le ho lette tali critiche) così ripetendo inutilmente tale problematica già superata.
Voglio dire, se non ti piacciono le soluzioni proposte, sarai sicuramente in grado di indicarle e spiegarmi il perché.

Vedrò di focalizzare ...

CitazionePer me invece fu ingenuo Nietzsche, perché pur avendo l'ingegno di rilevare i difetti metafisici per i quali tale metafisica era difettosa, non cerco di sistemarla, ma scelse consapevolmente ("la mia filosofia è nata già morta") la via di negare tutto, pur avendo – ripeto – rilevato i punti tramite cui poter affermare tutto. Ma in fondo... per me è ingenuo tanto il realismo quanto il nichilismo, quindi non facciamocene un callo.

Forse era nata morta perchè la soluzione non era meramente metafisica e sistemarla metafisicamente, con un nuovo sistemone, era l'ultima cosa che desiderava fare. Già si era speso molto con il Wille e l'eterno ritorno, avendone alla fine ben poche gratificazioni teoretiche. Meglio con l'amor fati, ma sospeso sul nulla. Un nulla più grande delle esili forze rimaste (Ecce homo).

Citazione... Però devo dirti una cosa: qui, con l'idea della sovrasensibile ragione in sé di principio non misurabile fisicamente se non tramite le sue conseguenze fisiche etc... In questa filosofia la scienza è rinchiusa in un ambito puramente fattuale, senza possibilità di accesso diretto a tale mondo.

Sul dualismo cogito-physis penso ci sia ancora spazio di discussione. Ma chiamare il cogito: "sovrasensibile ragione in sé" mi turba alquanto.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 05 Febbraio 2020, 01:02:37 AM
Ciao Sariputra,
«avversione verso l'essere?» Sì.
Grazie a te, ho colto delle piccole piacevoli sfumature.
 
Ciao Ipazia,
in "linguaggio e noumeno" scrissi che la ragione in sé è il senso delle cose (in contrapposizione al non-senso) da distinguersi dal significato che è invece ciò che viene attribuito dal soggetto.
Se la ragione è l'in sé delle cose essa si ricerca nelle cose.
C'è uno sdoppiamento fra me e te in questo momento mentre io ricerco in te un discorso o tu in me una risposta? Se ora sostituisci me col lavello lo sdoppiamento rimane: tu sei il soggetto, io o il lavello l'oggetto. La tanto vituperata odissea metafisica esiste dal momento che esiste anche una sola cosa fuori di te. Eh sì, Ipazia, nei 10 hai visto bene: l'odissea metafisica finisce quando porti dentro di te il luccichio del sole fuori di te.
Hai visto anche la forma logica vero?
          Sole={Ipazia}  --> S(I)
          Se il Sole è l'insieme a cui appartiene Ipazia, allora il Sole è una proprietà di Ipazia.
 
Guarda, per Nietzsche proprio non saprei. Forse gli mancavano solo quegli strumenti formali e linguistici che seguirono alla sua scomparsa.
 
No, il pensare non è sovrasensibile ragione in sé, per questo ti turba, esso, in quanto si compie tramite linguaggio, è invece sensibile razionalità.  Ma ti d0 una mano a focalizzare meglio dove pongo la questione problematica del concetto e del cogito, però devi andare poi a vedere nel dettaglio perché sarò di manica larga qui di seguito:
 
Da Guida mistica al noumeno
1. La ragione è l'in sé (noumeno);
2. La razionalità (parlante il linguaggio della ragione) è lo strumento di accesso all'in sé;
3. La razionalità ha due strumenti:
4. L'accesso immediato alla ragione in sé è possibile tramite intuizione (poiché senza schemi personali, senza interferenza dell'osservatore sull'osservato);
5. La descrizione mediata della ragione in sé è possibile tramite il concetto;
 
Da qui Linguaggio e noumeno
6. Ponendo la stessa ragione sullo stesso ordine del discorso (the house in beautiful; la casa è bella) posso esprimerla ugualmente, senza alterarla, attraverso qualsiasi linguaggio; benché ogni linguaggio diverso dia effetti fenomenici differenti.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 05 Febbraio 2020, 10:58:51 AM
Ho letto quello che c'era da leggere incluso il link 6 (mancante) che rimanda ad un libro di ca. 200 pagine dove la terza rivoluzione filosofica suppongo sia svolta per esteso. Poichè di un sistema la parte cruciale è il fondamento mi accanirei amichevolmente su di esso partendo dalla "mistica", in cui viene posto e sviluppato:

Citazione di: Vito J. Ceravolo - GUIDA MISTICA AL NOUMENO – 8 brevi passi per accedere all'invisibile
[1] Assumiamo:

    Un oggetto, una realtà in sé, un ordine sovrasensibile delle cose, un noumeno. Detto ragione in sé delle cose;

    Un soggetto, una realtà apparente, un ordine sensibile delle cose, un fenomeno. Detto immagine apparente delle cose.

[2] La ragione in sé delle cose è il tertium comparationis, ciò che permette la conoscenza razionale delle stesse, l'uguale che conosce l'uguale, il medio fra inanimato e animato, fra res extensa e res cogitans, fra meccanica-biologia-cultura, fra body-mind, ed è ratio efficiens:

    Ciò che appare necessita di ciò da cui apparire, il quale conseguentemente non può apparire, ma dal quale conseguentemente si dà quell'apparire;

    L'apparire sensibile è conforme alla ragione sovrasensibile per cui si dà, cosicché ogni fenomeno sia una manifestazione della ragione in sé per cui appare;

    L'esperienza fenomenica è di valori sensibili e ogni valore sensibile ha un ordine implicante la ragione per cui è tale. Anche ciò che rientra nell'ordine degli irrazionali è conforme alla ragione per cui è tale;

    La ragione in sé, noumeno, ha la sua conseguenza esperienziale che le si conforma, condizione basilare per essere presa in considerazione in una teoria della conoscenza che prevede la verificabilità condivisa dell'oggetto in esame;1

    Alla realtà in sé, alle ragioni sovrasensibili, si conformano casi di determinazione, probabilità, caos, causa, caso, libertà, contraddizioni, paradossi etc (cfr. Libertà).


Spostare semanticamente la cosa in sè kantiana anteponendole una ragione non mi pare particolarmente rivoluzionario, ma un riformismo per restare all'interno dell'impostazione madre della questione, perdendo pure per strada la posizione ontologica, storicamente decaduta ma reale, dell'originale settecentesco, poi transitato nel positivismo ottocentesco fino al novecento che lo bloccò.

Se l'escamotage onto-logico rivitalizzante è: "un ordine sovrasensibile delle cose", mi pare si peggiori la situazione - ma evidentemente non si poteva fare diversamente - riproponendo metafisiche d'antan su cui il pensiero illuminista, Kant compreso, aveva già posto la sua critica. Critiche che lo sviluppo delle conoscenze neuro- e psico-scientifiche hanno rivestito di carne e sangue sperimentali.

Il problema è il "sovrasensibile". Già gli antichi, non totalmente animisti, avevano ipotizzato un sesto senso, quint'essenza, terzo occhio, per definire quel senso totalizzante che tutti li sussumeva in un "oggetto", più o meno immateriale, dai molteplici nomi, tra cui nous, spirito, atman, mente, coscienza, intelletto, ragione,...  che le neuropsicoscienze hanno unificato in psiche e sistema nervoso centrale (snc).

Vado brutalmente di sintesi, e i fini specialisti non me ne vogliano per l'uso grossolano dell'oggetto dualistico (1) per eccellenza, piallato nelle sue fenomeniche sottigliezze, ma un prodotto evolutivo che deve tutto, compresa la possibilità di sopravvivere, al sensibile, non può permettersi il lusso di far dipendere tutto ciò da un noumenico alieno sovrasensibile, depositario di una ragione superiore di fronte alla quale il suo raziocinio cogitante si collocherà sempre come il figlio di un dio minore, schiacciato tra il padre noumeno e il figlio "tertium comparationis", depositario del codice segreto ("ratio efficiens") per accedere al padre. Pur sempre in via limitata e sub gratia (trascendente ?).

Ontologicamente parlando, mi tengo pertanto la (auto)coscienza e sto a vedere quanto le Bigscienze e il nichilismo apocalittico ci si scornano contro. Razionale, irrazionale, immateriale, immaginifica, riflessa, gettata, poiettata, progettata, diversamente libera:  ma sensibile in toto, innanzi all'ordine duramente materico delle cose. Cui si sovrappone l'ordine immateriale - più opportunista che giocosamente fittizio (pur non escludendo in condizioni gioiose tale opportunità), ma pur sempre sensibilmente fondato sulla sua cogitante matericità - della riflessione filosofica e delle sue prassi.

(1) sui fondamenti, metafisicamente declinati, del dualismo la formula cartesiana - res cogitans vs. res extensa, rimane a mio avviso ancora oggi la più esplicativamente azzeccata.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 05 Febbraio 2020, 13:07:40 PM
Ciao Ipazia,
ben rivista e grazie della fatica.
Il libro in link 6 è la base di partenza. Lì c'è il piano ontologico e teoria della conoscenza da cui parte  il discorso, oltre alcune posizioni sul principio unico. È un marasma di forme e nozioni che sostengono alla base quello di cui stiamo discorrendo. Non è la fine della rivoluzione di pensiero, è l'inizio.
 
Però voglio chiarire: l'intuito non è un sesto senso né un terzo occhio. Da Eistein a Gödel alle scienze, dai presocratici, Platone, Nietzsche a tutta la storia filosofica occidentale sin al senso comune, l'intuizione non è considerata come sesto senso o terzo occhio, ma propria delle quotidiane attività umane. Se per di più si considera il suo incastrarsi all'interno delle possibilità razionali (in forma completamente inaspettata in confronto al terzo occhio orientale) e quindi misurabile e mappabile dalle neuroscienze come una qualsiasi altra forma di intelligenza... ... allora esso è al pari di altre quotidiane attività intellettive (una forma di intelligenza).
 
Da me il dualismo è sepolto nel momento stesso che ciò che appare è conforme alla ragione per cui appare e viceversa. Il dualismo non esiste quando si parla della stessa unità. Le scienze stesse parlano di misurazione dell'invisibile, non in quanto tale, ma delle conseguenze sensibili che tali invisibili (es. bosoni) rilasciano nelle misurazioni sensibili. Questo è un procedimento ormai consolidato, che trova il suo perché in questo paradigma.
 
Il dualismo cartesiano fra estensione-pensiero parla esclusivamente dell'aspetto sensibile (l'estensione è sensibile, il pensiero, essendo una concatenazione linguistica, è sensibile: altrimenti come faresti a percepire ed esprimere il pensiero se non fosse sensibile?). La mia ragione in sé è ciò che anzi cancella tale dualismo cartersiano, collegando estensione-pensiero in un'unica unità. Quindi io non creo dualismo, lo cancello e da me l'ontologia non muore, si riforma in un nuovo consolidamento. Poi certo, il fatto di far parte di un'unità (formalmente inequivocabile) significa che noi non siamo Dio, significa l'esistenza di leggi universali e personali, significa determinazione e libertà.
 
In fondo Kant, la critica di Kant, l'illuminismo etc, mica avevano mai inteso l'oggetto in sé, per questo Nietzsche lo uccise definitivamente: non sapevano proprio cosa fosse, non riuscivano a immaginarlo né a ipotizzarlo in alcun maniera. Al più bisogna andare ancor più indietro nel tempo... da Platone, Aristotele... loro sì che provarono a definire l'in sé, sebbene in forme che non riuscirono poi a dimostrarsi attendibili. Quindi certo che il mio è un riformismo, ma non solo kantiano, a suo modo anche platonico, aristotelico, hegelliano, severiniano, positivista, materialista etc. E un riformismo dell'intera filosofia, incapace prima di giungere a giustificare (in coerenza formale-materiale) le proprie tesi: da nessuna parte.
 
Già... poi tutto si esaurisce nel fondamento (che non è il paradigma qui in esame), ma questa è un'altra storia. Andatelo a dire alle scienze: a loro mica interessa il perché (fondamento), a loro interessa il come (paradigma). A loro interessa che le cose funzioni... e questo paradigma funziona fin quando è in grado di giustificare le proprie asserzioni in coerenza formale a sé e materiale alle cose che descrive.
Qui, in questo gioco (terza rivoluzione), siamo nel campo del mondo (fenomeno-noumeno), o se volete chiamarla brutale scienza...  invece lì, nel fondamento, è un altro gioco.

Divertente leggerti Ipazia.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: viator il 05 Febbraio 2020, 21:50:04 PM
Salve Vito Ceravolo: Citandoti : "Però voglio chiarire: l'intuito non è un sesto senso né un terzo occhio. Da Eistein a Gödel alle scienze, dai presocratici, Platone, Nietzsche a tutta la storia filosofica occidentale sin al senso comune, l'intuizione non è considerata come sesto senso o terzo occhio, ma propria delle quotidiane attività umane. Se per di più si considera il suo incastrarsi all'interno delle possibilità razionali (in forma completamente inaspettata in confronto al terzo occhio orientale) e quindi misurabile e mappabile dalle neuroscienze come una qualsiasi altra forma di intelligenza... ... allora esso è al pari di altre quotidiane attività intellettive (una forma di intelligenza)". Chiedo venia per la mia completa insufficienza dottrinaria, ma al di là di questa, mi permetto fornire la mia opinione (diversa da quella le cui nobili origini hai citato) circa l'intuizione, funzione cerebrale che secondo me non attiene affatto alla sfera del mentale (logico-razionale) ma, in virtù della sua radice poggiante sulla sintesi di parametri inconsapevoli ed ascientifici, appartiene piuttosto alla sfera psichica (rappresenta un frutto del sentire e solo subordinatamente del sapere).

Che poi i suoi risultati, i suoi prodotti possano risultare razionalissimi o razionabilissimi ciò - sempre a mio parere - non a ha nulla a che vedere con la sua natura intrinseca cui accenno sopra.

Essa funzione (l'intuito) tra l'altro incarna a meraviglia le peculiarità cerebrali di stampo femminile che tutti conosciamo.
Ovviamente sia maschi che femmine normodotati possiedono sia razionalità che intuito. Ma ciascuno dei due sessi ha la propria dotazione più specifica.

Indipendendentemente dal sesso - comunque - la mia tesi dovrebbe venir avvalorata - ad esempio - dal fatto che l'intuito risulta essere dote di stampo assai più "archetipico" rispetto alla razionalità, perciò istintualmente assai più utile e versatile ai fini della sopravvivenza individuale.

L'intuito "puro" quindi, può esistere e fungere discretamente bene anche in assenza di qualsiasi base culturale razionalistica, mentre l'inverso non può darsi. Saluti.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: iano il 05 Febbraio 2020, 22:43:51 PM
@Vito.
Il post di Ipazia mi ha dato una visione schematica della tua posizione filosofica , quindi riprovo a mettermi in pista.
Ma.....
La ragione in se' delle cose...non riesco a figurarmi cosa sia.
Mi pare di capire invece che soggetto e oggetto sono legati da una "ragionevole simpatia" in modo indissolubile.
Una specie di matrimonio mai celebrato che non può essere quindi annullato ?
Perdona i miei pochi mezzi per cui faccio appello all'intuito.

Intuito che credo anch'io essere "intelligenza " ,ma che vive alle soglie della coscienza , e nn credo misurabile di fatto.
Ci saranno sempre cose che faremo senza sapere come , se è vero come credo che la coscienza sia solo un nostro strumento.

Dunque...
Soggetto e oggetto sono legati da un filo di ragione con carattere di continuità?
Soggetto e oggetto possono avere allora un confine sfumato , ma ciò non osta alla loro unità.
Quindi sono separati e uniti insieme?
Ma da cosa nasce la separazione , per quanto labile?
Il mio intuito mi presenta una immagine molto sfumata , dove vedo cose che potrebbero essere entità separate , ma non ne sono certo.
Questo è quello che vedo strizzando gli occhi e l'intuito.
Con l'intuito io sono d'accordo con te , ma con la ragione meglio.
Perdona se ho fatto domande inopportune.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: iano il 05 Febbraio 2020, 23:16:52 PM
Cioè, mi correggo , con la ragione il mio giudizio resta sospeso.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 06 Febbraio 2020, 02:53:21 AM
Ciao Viator,
nell'articolo Guida mistica al noumeno mi riferisco alla tua questione, alla sfera psichica a cui viene comunemente associato l'intuito.
Ti copio e incollo dall'articolo questo punto su cui di seguito mi spiego:
Subito dopo tale punto, differenzio l'intuito conferendogli una funzione razionale spenta "0" dal il concetto conferendogli una funzione razionale accesa "1". Ciò significa, a conferma delle tue parole, che nel momento in cui sorge l'intelletto (psiche) in un essere, esso sorge necessariamente non nella sua massima espressione, ma in uno stato primordiale in cui la razionalità ancora è spenta, in una funzione archetipa di stampo intuitivo che può o meno svilupparsi successivamente nelle capacità di concettualizzare. Tale che, continuo a confermarti, potrebbero esserci esseri psichici in cui l'intelletto ha solo capacità intuitive ma non concettuali, ma non può essere il contrario.
Se tu potessi collegarti all'articolo Guida mistica al noumeno e leggere il capitolo 6 con le collegate note 3 e 4, vedresti che per quanto lontana sia la mia impostazione, il risultato mantiene viva le tue rilevazioni. Ciò che affermo di differente è invece questo: la psiche è propria solo degli esseri con intelletto; l'intelletto ha una funzione astratta preposta alle ragioni in sé e una funzione fisica preposta al coordinamento corporeo; la funzione preposta alla ragione in sé la chiamo razionalità; la razionalità ha una funzione inconscia (spenta 0, l'intuito) e una funzione conscia (accesa 1, il concetto).
Tale impostazione – ripeto – per quanto "particolare" mantiene comunque vive le implicazioni a te care, permettendo però di giustificare i risultati neuroscentifici di rilevazione delle attività mistiche e permettendo altresì di intendere l'intuito come una vera e propria forma di intelligenza (intelletto) per quanto primordiale.
L'articolo a cui ti chiedo di poterti collegare per entrare nello specifico della questione e così sviluppare meglio il nostro discorso, sta a questo link https://filosofiaenuovisentieri.com/2019/12/08/guida-mistica-al-noumeno-8-brevi-passi-per-accedere-allinvisibile/ dove mi pare giusto anticiparti che tale impostazione è sicuramente la parte più temeraria dell'articolo.
 
 
Ciao Iano,
ben rivisto. Non puoi figurarti cosa sia la ragione in sé poiché qualsiasi immagine ti fai di essa è necessariamente una sua rappresentazione fenomenica. Quindi su questo non sentirti in difetto, anzi, significa che ti stai mettendo sul piano giusto per rapportarti ad essa.
Quando chiedi se «soggetto e oggetto sono legati da un filo di ragione con carattere di continuità?» Sì.
La separazione fra soggetto e oggetto nasce invece nel fatto che il primo tende al particolare mentre il secondo al generale. Quando affermi che il loro confine è labile, hai completamente ragione, poiché possono essere invertiti: io ora sono il tuo oggetto di discussione e tu sei il soggetto, ma aspetta un attimo, tu ora sei il mio oggetto di discussione e io il tuo soggetto. Il tuo intuito sta scavando bene la questione, se stai cadendo nella sfumatura, giacché, attenzione all'intuito, fra le sue funzioni può tendere all'infinito e all'infinito l'oggetto è soggetto solo a se stesso e il soggetto è tutto l'oggetto esistente.
Qualcosa di questo rapporto oggetto-soggetto ho provato ad affrontarlo in Dieci argomenti di filosofia, mentre la questione che avanzi sullo "sposalizio" io non la conosco e credo sia una tua originalità, a buon sviluppo.
Tu pensa, hai appena chiamato "inopportune" domande cruciali per la questione.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 06 Febbraio 2020, 08:29:02 AM
Per accendere qualcosa bisogna che vi sia a priori una corrente che fluisce e un interruttore. Una volta accesa la lampadina non mi è metafisicamente concesso invertire l'ordine causale delle cose facendo derivare corrente e interruttore dalla lampadina. O meglio: posso fare tale operazione ermenautica a livello gnoseo-epistemo-logico, ma non a livello onto-logico. Qui nascono tutti i problemi della vecchia metafisica, e delle sue attualizzazioni, incentrate sulla cosa-in-sè (noumeno).

La cui ricca costellazione "fase 1", che potremo definire "eziologia razionale della cosa-in-sè", potremmo illustrare nei seguenti termini, da non ritenersi esaustivi perchè il gioco di riflessioni e mimesi tra le dramatis personae del gioco razionale confonde sovente cause ed effetti, oggetti e soggetti, invertendone i ruoli:

Per mia comodità e bias, partirei dall'Essere che è la maschera immanente di Dio che a sua volta è la reificazione dei concetti di assoluto-infinito-eterno che la narrazione archeometafisica sintetizza solitamente in Tutto, consistente in sè e per sè (an und für sich). L'universo parallello del "negativo", del cattivo, necessario in ogni rappresentazione che si rispetti, lo potete ricavare da voi.

Dal negativo di cui sopra, si postula che una volta rimosso tutto l'ambaradan metafisico "positivo" si affonderà nel nichilismo. Dal quale metteva in guardia, tra i primi, il buon vecchio padre Parmenide quando lanciava anatemi (peraltro epistemologicamente fondati) contro il non-Essere. Così persuasivi che perfino un eracliteo incallito come FN li prese per veri e si mise ad annunciare l'età del nichilismo, proponendosi come suo profeta nella modernità *.

Che non sia così, è facile dimostrazione osservando quanto insensata sarebbe un'accusa di nichilismo al pitecantropo o al cane di casa, ma a livello "1"(ragione), che per definizione esclude cani e pitecantropi, includendo solo gli umani conclamati, potrebbe essere così. Il condizionale è d'obbligo perchè bisogna avere l'accortezza di non confondere i ta onta con l'episteme, il Tatsachenraum (spazio delle cose di fatto) di LW con il logos che lo tratta e nomina, la realtà con la ratio.

Morale della favola: la fase 1 (razionale) è epifenomenica di una fase 0 (intuitiva, prerazionale) archetipica di una fase basale con EEG piatto che regge, matericamente, il tutto. Tanto è dovuto all'ontologia e penso che anche la filosofia dovrebbe cominciare a tenerne conto.

* a onore del profeta maledetto della modernità va detto che le sue "intuizioni" su maschere, profondità e superfici, e pure il suo divincolarsi verso una ricomposizione postmetafisica del logos incentrata sulla vita (quindi antinichilistica in un contesto valoriale attuale), sono eredità di grande fecondità filosofica ed esistenziale.
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Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 06 Febbraio 2020, 10:18:50 AM
Citazione di: viator il 05 Febbraio 2020, 21:50:04 PM
Essa funzione (l'intuito) tra l'altro incarna a meraviglia le peculiarità cerebrali di stampo femminile che tutti conosciamo.

Beh, certo c'è voluto molto fumo metafisico maschile (fase 1) per fornire una teoretica al patriarcato.

Di fronte alla quale teoresi il femminile si è difeso salvando il rapporto in-mediato con la realtà (fase0 intuizionismo "procreativo"), mantenendo la potenza di quel richiamo vitale da cui la vostra metafisica, in tutto il suo misogino decorso teoretico, non vi ha salvato. Facendo perfino impazzire il vostro profeta più veridico che in una donna intravide, per un attimo, la verità. Ma che, maschile, troppo maschile, non seppe tradurre compiutamente in filosofia.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: viator il 06 Febbraio 2020, 17:16:51 PM
Salve Vito Ceravolo. Citandoti : "Ciò che affermo di differente è invece questo: la psiche è propria solo degli esseri con intelletto; l'intelletto ha una funzione astratta preposta alle ragioni in sé e una funzione fisica preposta al coordinamento corporeo; la funzione preposta alla ragione in sé la chiamo razionalità; la razionalità ha una funzione inconscia (spenta 0, l'intuito) e una funzione conscia (accesa 1, il concetto)".
Invece secondo me la psiche è definibile come la sede (in realtà stiamo parlando di strutture e di funzioni, non di collocazioni anatomiche) propria degli istinti e quindi poi, oltre di essi e solamente per la specie umana, dell'inconscio e dell'irrazionale.

Essa è presente – ripeto, come struttura e funzione – secondo me in tutte le specie biologiche dotate di un sistema nervoso centrale.

Alla nascita la psiche ospita solamente appunto l'istinto fondamentale, quello di sopravvivenza, il quale rappresenta una sorta di memoria genetica inconsapevole la quale, entrando in contatto con l'ambiente dopo la nascita dell'individuo, provvede a tutelarne la sopravvivenza integrando le proprie pulsioni con i contenuti della memoria consapevole (rappresentante l'esperienza) che l'individuo comincia ad accumulare. Perciò la MENTE, alla nascita, è un puro contenitore privo di contenuti anche se ben pronto a riempirsene.

Quello che tu chiami intelletto (capacità di comprendere......nel suo doppio significato di INCLUDERE e di CAPIRE !) secondo me rappresenta struttura e funzione cerebrale CONSAPEVOLE e separata (benchè utilizzabile in contemporanea allo psichico), facente parte appunto della sfera MENTALE, al quale l'intuito risulta estraneo.

Hai mai udito qualcuno mettersi a spiegare in forma logica ed analitica il processo interiore che ha portato lui stesso o qualcun altro a generare un'INTUIZIONE ?. Se lo facesse (se affermasse di farlo) mentirebbe poichè la sua descrizione non potrebbe che riguardare un ragionamento, non una intuizione !.

La descrizione del processo intuitivo nel suoi dettagli è fuori della descrivibilità umana.

Circa infine la razionalità accendibile o spegnibile....sembrerebbe che tu ammetta che la condizione inconscia-intuitivistica o conscia-concettualistica possa realizzarsi solo in forma alternativa (OFF/ON) attraverso una qualche commutazione che non è chiaro da chi o cosa possa venir innescata.

Non trovo credibile la similitudine elettrotecnica. Saluti.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 06 Febbraio 2020, 19:01:48 PM
Ciao Ipazia,

dici bene che l'a priori è un vecchio problema metafisico, vecchio e superato, come d'altronde i restanti, se immagini il rapporto  fenomeno-noumeno come il rapporto spazio-tempo. L'a priori della ragione in sé è solo dal punto di vista fenomenico, il qual problema si ritroverebbe invertito se per assurdo tu ti trovasti nella regione opposta: quale aspetto sensibile è la causa di questa ragione sovrasensibile?
Stiamo entrando in un concetto causale, e noi abbiamo bisogno di un concetto causale, ma ricordiamoci che fra i calcoli fisici, se non sbaglio di Einstein, sono previsti mondi in cui invece è l'effetto che precede la causa, nei quali, appunto, quegli abitanti si troverebbero a postulare il tuo stesso problema ma all'inverso.
Ciò non cancella il concetto causale, ci è necessario, anche solo per afferrare il bicchier d'acqua che abbiamo davanti, ma dobbiamo essere consapevoli che lo stesso rapporto causa-effetto deve armonizzarsi anche all'inverso. Ciò non toglie altresì che si tratti comunque di piani diversi, fenomeno e noumeno, spazio e tempo, inscindibili, distinguibili e... già, in alcuni casi anche invertibili.
Tu però insisti a voler entrare nel fondamento, di cui ti anticipo che le tue considerazioni nichiliste sono infondate è spezzate all'origine, come quelle parmenidee incapaci di giustificare formalmente un principio unico assieme finito-infinito, cioè senza fondamento lui. Ma non mi va questo gioco. C'è comunque un libro se ti può interessare, non posso fare di più qui e ora.
Sul restante... credo di condividere molto, considerando però che alcune cose potrebbero slittare visto il cambio del presupposto iniziale. P.S. leggo un leggerissimo astio pitagorico (maschile-femminile)  

Ciao Viator,
affermare la psiche in tutte le creature con sistema nervoso centrale, sì. Questo però è l'apparato intellettivo per eccellenza (l'unico a nostra conoscenza), che in alcuni resta ad uno stato puramente inconscio, intuitivo, a razionalità zero; mentre in altri sfocia in uno stadio cosciente, concettuale, a razionalità accesa.
Affermare come dici tu (e non solo) che la psiche sia la sede istintuale, ad esempio priverebbe il mondo floreale (in cui risultano esserci apparati neurali solo nelle piante superiori) delle proprie attività istintive che di fatto invece mostrano coi propri atti di sopravvivenza della specie, oltre a creare una confusione e sovrapposizione fra istinto e intuito che invece sono diversi. Senza offesa: leggendoti denoto una sorta di confusione fra istinto e intuito, noto il declassamento vegetativo a luoghi lontani dagli aspetti biologici istintuali  propri di sopravvivenza della specie.
Dalle mie parti, per impedire tali incongruenze con mondo che ci capita davanti, l'istinto ha sede nel campo biologico mentre l'intuito nel campo psichico, cioè intellettivo, nelle forme espresse.

Nella nota tre dell'articolo apro al problema della rilevazione intuitiva: l'intuizione comune avviene in lampi; la capacità di prolungare questi lampi permette l'individuazione non solo dei processi di "prolungazione" ma anche delle aree cerebrali interessate all'attività intuitiva. Ma tutto questo è implicitamente dedotto dal capitolo 6, esattamente dove si parla di intelligenza mistica. Non riesco però a capire, forse non hai letto l'articolo, perché qui c'è poco da credere o meno, ci sono delle misure neurali che hanno riscontrato alcune aree cerebrali collegate anche ad attività razionali (es. intelligenza linguistica), di conseguenza la possibilità di spegnere o accedere alcune facoltà razionali (come avviene nella meditazione). E c'è poco da essere increduli davanti ai fatti: accade così. Al più possiamo discorrere sull'interpretazione di questi dati, ma no negare i dati.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 06 Febbraio 2020, 20:53:52 PM
ho sbagliato la risposta a Viator... non so perché scrivevo una cosa pensando a un'altra...
Datemi qualche ora per correggerla... scusate. Oggi giornata confusa.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: viator il 06 Febbraio 2020, 20:56:50 PM
Salve Vito Ceravolo. Credo di aver capito che forse uno di noi due ha le idee confuse circa l'intuito, l'altro le ha invece confuse circa l'istinto. Ripeto,.......forse. Comunque saluti e buon viaggio.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 06 Febbraio 2020, 21:38:47 PM
Nel mio sopra commento ho erroneamente scritto "sistema neurale delle piante superiori". È sbagliato, mi stavo riferendo alla neurobiologia vegetativa che non significa "sistema nervoso centrale". Ciononostante, pur questa loro mancanza, le piante hanno comunque comportamenti istintuali: "sentono, provano emozioni (non sentimenti), operano coi sensi..." Ci sono diversi libri che pongono il problema: "come è possibile che le piante abbiamo comportamenti istintuali pur non avendo una psiche propriamente detta?". Non mi sembra però di aver mai letto delle soluzioni in merito, solo appunto il rilevamento di tale problema: "la presenza dell'istinto al di fuori della sede psichica".
Con questo ho corretto l'errore scritto sopra e nuovamente mi scuso: no "sistema neurale" ma sistema "neurobiologico vegetativo".
In questo senso, la soluzione proposta in Guida mistica al noumeno, è quella appunto di conferire alla biologia la sede istintuale e alla psiche la sede intuitiva. Così facendo si cancella la confusione (anch espressa da viator ma presente in generale ) fra istinto e intuito, oltreché rispondere coerentemente al comportamento delle cose.
 
Ciao viator, 
buon viaggio a te. Se ti dovessi poi trovare con delle risposte che credi interessanti, sono sicuro tornerai.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: viator il 06 Febbraio 2020, 22:17:14 PM
Salve Vito Ceravolo. Nel mio intervento precedente avevo preferito sorvolare sulla "fisiologia neurale" dei vegetali poichè stavi presentandomi una visione secondo me un poco troppo balzana di tale aspetto. Prendo atto, ringraziandotene, delle tue precisazioni.

Resta comunque il fatto che il significato che ciascuno di noi due attribuisce a certi termini è da me trovato troppo reciprocamente distante ed io purtroppo, pur non essendo restio ad illustrare la mia personale visione del mondo nonchè uso del dizionario, non posso ogni volta replicarla (inutilità a parte) ad ogni nuovo pur rispettabilissimo utente che appaia.

Certo, se definiamo una emozione come "reazione psico-(o)-somatica ad uno stimolo non previsto" (i vegetali, non possedendo una psiche, possiedono comunque un soma !) allora appunto potranno "emozionarsi".

Le loro reazioni "istintuali" saranno appunto tali "emozioni" e potranno tranquillamente verificarsi poichè l'istinto è basato sulla genetica e rappresentaa sua volta la base appunto "istintuale" dello psichismo, secondo quella che secondo me sarebbe la "scaletta" FISICA (annessa l'entropia) - CHIMICA (annessa l'ORGANICITA') - BIOLOGIA (annessa la genetica) - NEURALITA' (annessa l'emotività) - PSICHICITA (annesso il sentimento) - MENTALISMO (annesso il raziocinio) - IDEATIVITA' (annessa la capacità di astrazione) - TRASCENDENTALITA' (annessa la spiritualità).

Poi può darsi che mi sbagli. Saluti.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Phil il 06 Febbraio 2020, 23:50:53 PM
Provo a saltellare in telegrafico brainstorming fra differenti spunti (sperando di non sbandare troppo in off topic).

Citazione di: Ipazia il 04 Febbraio 2020, 14:52:41 PM
Non è detto che le scienze umane non possano percorrere le stesse vie, non solo teoretiche, della scienza, rinunciando ai fondamenti assoluti così come ha fatto la scienza.
La rinuncia ai fondamenti assoluti, o meglio al loro "monismo assolutistico", è stata vissuta troppo differentemente (ed era inevitabile): in un campo si è parlato di rivoluzione scientifica, scoperte di nuovi sistemi, apertura di nuovi campi di indagine, etc. nell'altro di crisi del pensiero, morte della filosofia e, appunto, nefasto nichilismo come «male estremo» (a cui estremi rimedi, come il ritorno all'imperituro noumeno e la riduzione della metafisica alla sua etimologia letterale). Suona piuttosto sintomatica ed eloquente la differenza dei rispettivi campi semantici a cui si fa ricorso quando una "frattura epistemologica" (direbbe Kuhn) bussa alla porta: c'è chi l'approccia come nuova possibilità da sperimentare, chi come ostile e/o ingenuo inciampo storico.
Citazione di: Ipazia il 04 Febbraio 2020, 14:52:41 PM
Nel caso del coronavirus vediamo come lo spazio teor-etico e pratico tra comunità scientifica e comunità umana tenda ad azzerarsi in una comune declinazione della ratio.
Nel caso del virus "made in China" (su cui non sono aggiornatissimo), non rinvengo alcuno "spazio" teor-etico, né filosofico; si tratta di rendere orgogliosa la buon'anima di Ippocrate, ma la teoresi non è soprattutto altro?
Se intendi invece la teor-etica delle mascherine preventive e degli sguardi obliqui rivolti a chi ha gli occhi un po' all'orientale, in tal caso il divario "spaziale" (in entrambi i sensi) fra comunità scientifica e comunità sociale mi pare piuttosto marcato.

Citazione di: Sariputra il 04 Febbraio 2020, 19:07:29 PM
Ritieni il nichilismo occidentale una forma di profonda avversione verso l'essere (odio- implicita equiparazione dell'essere all'essere/Dio teologico. Anche perché il nichilismo radicale, come quello occidentale, non compare in altre culture filosofiche) ?
"Trafugo" la domanda perché molto sintomatica; presuppone infatti una visione del percorso nichilista, molto battuta da differenti viandanti, che ha come tappe: rilevamento di un vuoto ("nulla determinato", ovvero assenza di un presunta presenza), quindi negazione (logica e poi semantica ad ampio spettro), da cui avversione (antagonismo verso la suddetta negazione che viene intesa come rinnegazione dell'"essere del bene"). Più che risultare una prospettiva filosofica, il nichilismo viene infatti comunemente inquadrato come un movimento di insurrezione "negazionista" e pessimista (un po' anche per "colpa" degli aforismi ormonali di Nietzsche, con cui spesso, più che iniziare, si fa finire la propria concezione di nichilismo).
Sul perché altrove non ci sia stato il fenomeno del nichilismo: la geometria non-euclidea è anzitutto post-euclidea, dove non c'è ancora l'euclidea o dove essa è appena agli albori, difficilmente spunterà la post-euclidea; senza togliere che non è necessario, nè logicamente né tantomeno storicamente, che da l'euclidea nasca sempre la non-euclidea (in un contesto ciò è accaduto, ma non è un passaggio che abbia le basi per essere assolutizzato). In fondo è un po' come chiedersi come mai in altre culture, non occidentali, non sia sbocciata l'eresia dei catari o il cubismo.

Citazione di: Vito J. Ceravolo il 05 Febbraio 2020, 13:07:40 PM
poi tutto si esaurisce nel fondamento (che non è il paradigma qui in esame), ma questa è un'altra storia. Andatelo a dire alle scienze: a loro mica interessa il perché (fondamento), a loro interessa il come (paradigma). A loro interessa che le cose funzioni... e questo paradigma funziona fin quando è in grado di giustificare le proprie asserzioni in coerenza formale a sé e materiale alle cose che descrive.
Il fondamento non è un paradigma, è ciò che rende possibile un paradigma; sia lo scienziato che l'idraulico più "esecutivi" e refrattari a domande fenomenologiche o fondamentali (sui fondamenti), loro malgrado, quando operano con le loro prassi e i loro strumenti, si stanno basando su un fondamento (uso impropriamente il singolare), non fondamento ontologico, ma fondamento che regge il paradigma all'interno del quale si muove il loro operare. Essere consapevoli di tale fondamento può essere il primo passo per instaurare un nuovo paradigma o soltanto ottimizzare quello già in uso.
Lo domanda filosofica sul fondamento in filosofia, è sempre meno la domanda sull'archè onto(teo)logico che fonda "ciò che è", e sempre più quella sull'(auto)fondamento logico-semantico del paradigma che ogni filosofia propone; senza tale riflessione sul fondamento, esso continuerà dissimulatamente, "inconsciamente", ad essere l'asse portante della rispettiva proposta filosofica: su cosa si fonda il parlare del noumeno? Su cosa si fonda il dualismo bene/male? Quali sono gli assiomi che non riesci a giustificare, o che sono indecidibili, all'interno del tuo sistema filosofico? Se non si risponde a queste domande e si passa direttamente all'usare come già dato, auto-evidente o auto-fondato, il concetto di noumeno o il dualismo bene/male o ogni assunto che sosteniamo con un inconsapevole circolo vizioso, allora ci si preclude la possibilità di capire i propri fondamenti e, eventualmente, modificarli per rimodellare il discorso che ne deriva. Ricollegandoci al caso noto del quinto postulato di Euclide: se non fosse stato prima individuato come postulato fondante, non sarebbe stato possibile metterlo, controintuitivamente e contro l'evidenza sensibile, in discussione e non ci sarebbe stato l'ulteriore fondamento, quello per una delle possibili geometrie non euclidee.


P.s.
@Vito
Sulla riconduzione del nichilismo ad «A=-A», resto perplesso sulla plausibilità che il nichilismo affermi davvero che l'«essere è il non-essere», o che «io sono il non-io» o che «una mela è una non-mela», perché il suo discorso, per come lo vedo (lasciando anche da parte i manuali), non è di assiomatizzazione logica, né di apologia della contraddizione del principio di identità: sostenere che un principio o un concetto non ha un fondamento assoluto, non significa affermare che non ha un fondamento, nè che tale principio o concetto non esiste. Si tratta quindi di non confondere la negazione logica (-) con l'insieme vuoto (Ø) o con la negazione dell'indicatore di necessità (-◻, se non ricordo male) debitamente usato (se proprio vogliamo giocare a tradurre in linguaggio logico qualcosa che mal vi si presta; l'utilità della logica non sta per me nella sua formalità astratta, ma nel saper compilare pertinentemente i suoi enunciati).
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 06 Febbraio 2020, 23:55:17 PM
Ciao Viator,
non ho capito su cosa volevi sorvolare se avevo già avvisato che stavo correggendo... E fammi capire anche un'altra cosa, cosicché io possa adeguarmi a chi sei tu, esattamente: io dovrei sorvolare a risponderti con chiarezza perché tu appari qui per la prima volta? Qual onorevole persona sei tu per cui io non ti debba rispondere?  Anche perché non è che hai sbagliato a fare 2+2, ma una comune problema fra psiche e biologia. Qui, per entrare nel dettaglio corretto, sto parlando degli studi di neurobiologia vegetativa, dove si riscontra che le piante si compiono, oltre che meccanicamente, anche attraverso i 5 sensi udito, olfatto, gusto, vista, tatto. Naturalmente in forma diversa da come accade negli animali e diversa da come accade anche nell'uomo, ma pur sempre in forma istintuale (cfr. U. Castiello, La mente delle piante). L'emozione riguarda invece proprio il rilevamento nei vegetali delle basilari sensazioni primitive, come terrore o gioia (per la differenza fra emozioni e sentimenti cfr. A. Damasio, Alla ricerca di spinoza). Questo comportamento istintivo attraverso i sensi non è invece presente negli esseri prettamente meccanici, come le particelle, mentre il comportamento intuitivo non è mai stato rilevato in esseri privi di apparato nervoso centrale (per usare il tuo linguaggio). La sequenza è consequenziale: meccanica-reazioni; biologia-istinto; psiche-intuito.

Se tu ora vuoi continuare con certi toni da bar, per me era già sufficiente il tuo "buon viaggio" di un tempo. Diversamente il tuo schema è interessante, ciò non toglie però che in natura si riscontrano comportamento istintuali al di fuori di apparati psichici. Poi magari è corretta la tua giustificazione: ciò avviene per i semplici legami ad aspetti genetici, ma ciò non toglie, per quei casi, che un apparato neurologico centrale non è condizione necessaria a un comportamento istintivo. Mi ricordo che anche Cartesio, a suo modo, ci aveva costretto a credere ad animali senza anima... no, lui non aveva detto piante senza istinto.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: iano il 07 Febbraio 2020, 02:35:35 AM
@Phil
Per quel che riesco a capire sono del tutto d'accordo con tutti i tuoi post.
Cioè, nel mio piccolo condivido le tue posizioni.
La rinuncia della ricerca di un fondamento assoluto credo sia la preoccupazione di molti , ma dubito che si possa fare retromarcia su ciò.
La questione per me è semplice.
Nell'eterno alternarsi fra conservazione e progresso siamo nel pieno della seconda fase , ma non so' quanti se ne rendano ben conto .
Non voglio qui intendere progresso in senso positivo , ma semplicemente come quella fase che si alterna alla conservazione.
Caratterizzare questo progresso con la nuova scienza è po' fuorviante.
Per necessità di descrizione si individuano date , fatti e punti di svolta, che però sono solo convenzionalmente tali.
Siccome poi tendiamo a porre fede alle storie che ci raccontiamo , la suddetta necessità descrittiva , tende a nascondere il carattere continuo della storia del fare umano.
Non è la scienza ad aver introdotto il relativismo , ma è l'esatto contrario.
Ma da cosa nasce questa tendenza al relativismo?
Dal fatto che abbiamo incentivato l'uso della coscienza.
La prossima tappa , la prossima fermata , il prossimo inevitabile punto di conservazione , quando arriverà, e come sarà ?
Non lo so' , ma immagino sarà completamente diverso da quelli che lo hanno preceduto.
Provare a rispondere a ciò sarebbe un buon esercizio filosofico.
Comprensibilmente c'è che teme che un tale nuovo punto di stabilità non verrà trovato e tende perciò a tornare al vecchio , magari provando a riformarlo.
Comprensibile , ma tempo perso temo.
Non sono mai state le nostre filosofie a determinare il corso degli eventi , ma il contrario.
Se anche ognuno di noi fosse dotato di libero arbitrio , non sembra che l'umanità nel suo complesso ne abbia uno.
I grandi sistemi filosofici non si diffondono in quanto grandi  , magari perché supportati da logiche inoppugnabili , ma perché trovano terreni fertili.
Resi fertili da cosa?
Questo bisognerebbe chiederlo all'umanita' , e lei ce lo direbbe , se avesse una coscienza , e non parliamo poi dell'intelletto , dell'intuito e altro.
Ciò detto , non è questo un invito ad essere irresponsabili.
Tutt'altro.
E aggiungo invece un invito ad avere fiducia e coraggio ,dato che non costa nulla.'
C'è sicuramente un rapporto ambiguo fra noi e la realtà, visto che se le parti esistono , noi ne siamo parte.
Questo è un limite per noi , scienza compresa , e la conseguenza è che ,per quanto si incrementi l'uso della coscienza , l'esito della qual cosa non do' per scontato , tutto non sarà mai coscienza , che non è comunque un bene in se'.
Noi , in quanto filosofi , non facciamo altro che esercizio di coscienza , allenandoci per qualcosa che verrà.

Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 07 Febbraio 2020, 09:28:56 AM
Citazione di: Phil il 06 Febbraio 2020, 23:50:53 PM
Citazione di: Ipazia il 04 Febbraio 2020, 14:52:41 PM
Non è detto che le scienze umane non possano percorrere le stesse vie, non solo teoretiche, della scienza, rinunciando ai fondamenti assoluti così come ha fatto la scienza.
La rinuncia ai fondamenti assoluti, o meglio al loro "monismo assolutistico", è stata vissuta troppo differentemente (ed era inevitabile): in un campo si è parlato di rivoluzione scientifica, scoperte di nuovi sistemi, apertura di nuovi campi di indagine, etc. nell'altro di crisi del pensiero, morte della filosofia e, appunto, nefasto nichilismo come «male estremo» (a cui estremi rimedi, come il ritorno all'imperituro noumeno e la riduzione della metafisica alla sua etimologia letterale). Suona piuttosto sintomatica ed eloquente la differenza dei rispettivi campi semantici a cui si fa ricorso quando una "frattura epistemologica" (direbbe Kuhn) bussa alla porta: c'è chi l'approccia come nuova possibilità da sperimentare, chi come ostile e/o ingenuo inciampo storico.

Il primo campo semantico da dissodare è cosa intendere per "scienze umane". Per me sono quelle che si occupano del comportamento dell'animale umano, dalla pratica all'immaginazione, e vanno dall'etologia alla filosofia passando per antropologia, psicologia, storiografia, politica, estetica, ... In tale ampio e specialistico ventaglio di sapere vedo, a seconda delle remore della tradizione, segnali incorraggianti verso l'unificazione dell'episteme, inclusiva pure della metodologia di ricerca. In questo prato stormente, la filosofia, essendo la disciplina più venerabile, ha qualche acciacco in più e qualche nostalgia di troppo per i bei tempi andati quando era ancilla di signori assai più elevati dell'impresentabile homo supponentemente sapiens e inguaribilmente immanente.

Citazione di: Phil il 06 Febbraio 2020, 23:50:53 PM
Citazione di: Ipazia il 04 Febbraio 2020, 14:52:41 PM
Nel caso del coronavirus vediamo come lo spazio teor-etico e pratico tra comunità scientifica e comunità umana tenda ad azzerarsi in una comune declinazione della ratio.
Nel caso del virus "made in China" (su cui non sono aggiornatissimo), non rinvengo alcuno "spazio" teor-etico, né filosofico; si tratta di rendere orgogliosa la buon'anima di Ippocrate, ma la teoresi non è soprattutto altro?
Se intendi invece la teor-etica delle mascherine preventive e degli sguardi obliqui rivolti a chi ha gli occhi un po' all'orientale, in tal caso il divario "spaziale" (in entrambi i sensi) fra comunità scientifica e comunità sociale mi pare piuttosto marcato.

La teor-etica più sensata aggrega, obtorto collo, tutte le comunità intorno a quella che, nel caso specifico, ne sa di più. Tale unificazione di comportamenti e saperi, (auto)rimossi i pochi ma rumorosi alberi che cadono fragorosamente nei loro pregiudizi, permette alla silente foresta di crescere nel suo insieme, sviluppando la riflessione metafisica sulla verità e i sentieri che ad essa conducono. Mappando pure gli Holzwege senza sbocco.

Sulle altre repliche mi fa piacere che Phil, come spesso accade, abbia focalizzato al meglio della discussione le questioni cruciali.

Rispetto al nichilismo ne sottolineerei la relatività "cosmologica", ovvero la necessità di indagare lo specifico universo valoriale che lo denuncia come altro da sè (non-Essere). Il "mondo dietro il mondo", che vede nichilismo dietro ogni angolo dell'universo, è, dal punto di vista immanente, la quintessenza del nichilismo del mondo (reale).

Anche in questo caso la questione dei fondamenti, peraltro mai assoluti ma di "sistema" (con un loro specifico "campo di esistenza"), torna ad essere metafisicamente "fondamentale" e al contempo si riduce, quando il fondamento è solido, la distanza dal paradigma, rendendo il tutto consistente.

Citazione di: iano il 07 Febbraio 2020, 02:35:35 AM
Non è la scienza ad aver introdotto il relativismo, ma è l'esatto contrario.
Ma da cosa nasce questa tendenza al relativismo?
Dal fatto che abbiamo incentivato l'uso della coscienza.

Coscienza ... della realtà, che è l'approccio scientifico all'universo. Esso stesso concetto sistematico coerente in relazione a quanto se ne sa (episteme) nel divenire del sapere. E' lo stesso spazio-tempo dell'episteme ad essere relativistico. Tale relatività esperita è la critica più consistente all'ontologia degli assoluti e alle sue metafisiche.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Sariputra il 07 Febbraio 2020, 10:17:04 AM
Ma voi ci credete in modo relativo al relativismo o in modo assoluto? Perché se ci credete in modo assoluto non siete più dei relativisti ma degli assolutisti del relativo. Se invece ci credete in modo relativo vuol dire che non ne siete del tutto convinti neppure voi... ;D
A parte gli scherzi, credo che si debba fare uno sforzo di uscire da questi due opposti: nichilismo-assolutismo (che io chiamo più correttamente 'eternalismo'). Essendo ambedue errati bisognerebbe tentare di superarli in qualcosa di veramente nuovo. Adesso siamo in una 'stasi' e la pochezza filosofica attuale, ormai ancella della scienza empirica, tutta votata all'utilitarismo, ne è solo un volto...
Dateci dentro perdiana, non ripetete solo il "già noto"...
buon lavoro filosofi!  :P
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 07 Febbraio 2020, 10:49:39 AM
Non esiste il nulla e non esiste l'assoluto. Esiste il reale. Spiace sia difficile inventarne uno di nuovo, visto che ne facciamo parte da qualche miliardo di orbite terrestri intorno al sole, e che le nostre possibilità di modificarlo sono assai relative. Su quel margine relativo ci stiamo dando da fare. Compito non meramente ancillare della filosofia è dare un senso alla realtà, seguendone il divenire e individuando le persistenze. Le quali possono, con tolleranza sperimentale, divenire costanti, quindi fondamenti di paradigmi esistenziali.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Sariputra il 07 Febbraio 2020, 10:52:12 AM
Citazione di: Ipazia il 07 Febbraio 2020, 10:49:39 AMNon esiste il nulla e non esiste l'assoluto. Esiste il reale. Spiace sia difficile inventarne uno di nuovo, visto che ne facciamo parte da qualche miliardo di orbite terrestri intorno al sole, e che le nostre possibilità di modificarlo sono assai relative. Su quel margine relativo ci stiamo dando da fare. Compito non meramente ancillare della filosofia è dare un senso alla realtà, seguendone il divenire e individuando le persistenze. Le quali possono, con tolleranza sperimentale, divenire costanti, quindi fondamenti di paradigmi esistenziali.

Quindi il reale ( materiale in questo caso) è l'assoluto?
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: iano il 07 Febbraio 2020, 11:06:06 AM
@ Sariputra.
Ci sarà sempre qualcosa che sfugge alla nostra coscienza/conoscenza.
Sfugge , ma non perché l'insondabilita' sia un suo attributo , così come la coscienza non è una necessità ineludibile e men che meno una meta.
Come vogliamo chiamarlo questo qualcosa?
Assoluto?
Il suo contenuto però non è fisso e determinato.
Dal punto di vista utilitario poche cose sembrano così utili del non credere all'utilitarismo.
Nulla si mostra più utile della cieca fede.
Qui sta il paradosso che mi fa' ben comprendere l'ansia di chi aspira all'assoluto.
Non si tratta di trovare una via di mezzo fra apparenti opposti , ma come tu ben sai si tratta di riconoscerne il carattere unitario.
Mi pare sia questo l'intento di Vito.
L'assoluto , se c'è, è immutabile ? Se si....
Perché?
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Sariputra il 07 Febbraio 2020, 11:21:33 AM
cit.@iano: Ci sarà sempre qualcosa che sfugge alla nostra coscienza/conoscenza.
Sfugge , ma non perché l'insondabilita' sia un suo attributo , così come la coscienza non è una necessità ineludibile e men che meno una meta.
Come vogliamo chiamarlo questo qualcosa?
Assoluto?



Lo chiamerei semplicemente "ciò che non si conosce". Relativo o assoluto , in questo caso, non c'entrano nulla.

Ambedue le posizioni affermano che non si conoscono tutti i fenomeni... :)

Non ritengo si possa attribuire all'assoluto il carattere di 'immutabilità',che è semplicemente una concezione astratta data dal concetto di 'mutabilità'. L'assoluto, sciolto cioè dai legami, non può giocoforza essere  definito né mutabile né immutabile. "immutabile" ha un carattere di vincolo che non lo renderebbe più 'assoluto'...
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 07 Febbraio 2020, 11:52:29 AM
Citazione di: Sariputra il 07 Febbraio 2020, 10:52:12 AM
Citazione di: Ipazia il 07 Febbraio 2020, 10:49:39 AMNon esiste il nulla e non esiste l'assoluto. Esiste il reale. Spiace sia difficile inventarne uno di nuovo, visto che ne facciamo parte da qualche miliardo di orbite terrestri intorno al sole, e che le nostre possibilità di modificarlo sono assai relative. Su quel margine relativo ci stiamo dando da fare. Compito non meramente ancillare della filosofia è dare un senso alla realtà, seguendone il divenire e individuando le persistenze. Le quali possono, con tolleranza sperimentale, divenire costanti, quindi fondamenti di paradigmi esistenziali.

Quindi il reale ( materiale in questo caso) è l'assoluto?

No, perchè è aperto, mobile, e l'episteme ne deve seguire le trasformazioni per restare tale. Non c'è un sapere per tutte le stagioni, nè sui fondamenti nè sui paradigmi.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Sariputra il 07 Febbraio 2020, 11:54:01 AM
Citazione di: Ipazia il 07 Febbraio 2020, 11:52:29 AM
Citazione di: Sariputra il 07 Febbraio 2020, 10:52:12 AM
Citazione di: Ipazia il 07 Febbraio 2020, 10:49:39 AMNon esiste il nulla e non esiste l'assoluto. Esiste il reale. Spiace sia difficile inventarne uno di nuovo, visto che ne facciamo parte da qualche miliardo di orbite terrestri intorno al sole, e che le nostre possibilità di modificarlo sono assai relative. Su quel margine relativo ci stiamo dando da fare. Compito non meramente ancillare della filosofia è dare un senso alla realtà, seguendone il divenire e individuando le persistenze. Le quali possono, con tolleranza sperimentale, divenire costanti, quindi fondamenti di paradigmi esistenziali.
Quindi il reale ( materiale in questo caso) è l'assoluto?
No, perchè è aperto, mobile, e l'episteme ne deve seguire le trasformazioni per restare tale. Non c'è un sapere per tutte le stagioni, nè sui fondamenti nè sui paradigmi.

Nessun sapere è "per tutte le stagioni". Anche se ti dai un senso,  sei poi sempre chiamato a riempirlo di significati.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 07 Febbraio 2020, 11:57:00 AM
Appunto, quindi l'assoluto non esiste. Vince chi legge meglio il reale. Ma deve continuare a rileggerlo per continuare a vincere, perchè il reale si - e ci - trasforma.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Sariputra il 07 Febbraio 2020, 12:02:14 PM
Citazione di: Ipazia il 07 Febbraio 2020, 11:57:00 AMAppunto, quindi l'assoluto non esiste. Vince chi legge meglio il reale. Ma deve continuare a rileggerlo per continuare a vincere, perchè il reale si - e ci - trasforma.


Può esistere un assoluto che ti dà un senso e poi  "devi continuare a rileggerlo [e riempirlo di significati] per continuare a (vincere? Meglio vivere direi..), perchè il reale si - e ci - trasforma".

Perché no?  ::)
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 07 Febbraio 2020, 12:13:16 PM
Citazione di: Sariputra il 07 Febbraio 2020, 12:02:14 PM
Citazione di: Ipazia il 07 Febbraio 2020, 11:57:00 AMAppunto, quindi l'assoluto non esiste. Vince chi legge meglio il reale. Ma deve continuare a rileggerlo per continuare a vincere, perchè il reale si - e ci - trasforma.
Può esistere un assoluto che ti dà un senso e poi "devi continuare a rileggerlo [e riempirlo di significati] per continuare a (vincere? Meglio vivere direi..), perchè il reale si - e ci - trasforma". Perché no? ::)

Sul piano concettuale sì, ma non su quello reale.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Sariputra il 07 Febbraio 2020, 12:15:53 PM
Citazione di: Ipazia il 07 Febbraio 2020, 12:13:16 PM
Citazione di: Sariputra il 07 Febbraio 2020, 12:02:14 PM
Citazione di: Ipazia il 07 Febbraio 2020, 11:57:00 AMAppunto, quindi l'assoluto non esiste. Vince chi legge meglio il reale. Ma deve continuare a rileggerlo per continuare a vincere, perchè il reale si - e ci - trasforma.
Può esistere un assoluto che ti dà un senso e poi "devi continuare a rileggerlo [e riempirlo di significati] per continuare a (vincere? Meglio vivere direi..), perchè il reale si - e ci - trasforma". Perché no? ::)
Sul piano concettuale sì, ma non su quello reale.

Sia sul piano reale che su quello concettuale. Se credo in Dio, come esempio di assoluto, devo riempire di significati il mio crederci e non semplicemente dirlo. Quindi dal piano concettuale, nelle scelte di ogni giorno, passo giocoforza in quello reale... :)
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 07 Febbraio 2020, 12:50:02 PM
Dio è concettuale, ipotetico, non reale. E tale rimane anche se il concetto umano che lo evoca si traduce in azione reale.
.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Sariputra il 07 Febbraio 2020, 13:33:25 PM
Citazione di: Ipazia il 07 Febbraio 2020, 12:50:02 PMDio è concettuale, ipotetico, non reale. E tale rimane anche se il concetto umano che lo evoca si traduce in azione reale. .

E' semplicemente una tua opinione questa, non una dimostrazione. Opinione relativa... ;D
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 07 Febbraio 2020, 13:57:01 PM
Certamente, ma proprio per tale relatività non tutte le opinioni si equivalgono: un asino è reale, un asino volante è immaginario. La stesso gradiente è riscontrabile tra una pistola vera e una giocattolo. Con la pallottola reale a fare la differenza razionale. E pure metafisica, se vogliamo.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Sariputra il 07 Febbraio 2020, 14:03:00 PM
Citazione di: Ipazia il 07 Febbraio 2020, 13:57:01 PMCertamente, ma proprio per tale relatività non tutte le opinioni si equivalgono: un asino è reale, un asino volante è immaginario. La stesso gradiente è riscontrabile tra una pistola vera e una giocattolo. Con la pallottola reale a fare la differenza razionale. E pure metafisica, se vogliamo.


Il tuo ragionamento avrebbe senso se il presunto assoluto fosse un fenomeno condizionato come tutti gli altri (come un asino). Ma non essendo un fenomeno condizionato non puoi dimostrarne empiricamente (scientificamente) l'esistenza. Un asino volante ha delle caratteristche condizionate,  immaginabili,  pertanto possiamo dimostrarne l'inesistenza. L'assoluto non lo puoi immaginare e neppure falsificare.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: bobmax il 07 Febbraio 2020, 15:09:21 PM
Citazione di: Sariputra il 07 Febbraio 2020, 14:03:00 PM
Citazione di: Ipazia il 07 Febbraio 2020, 13:57:01 PMCertamente, ma proprio per tale relatività non tutte le opinioni si equivalgono: un asino è reale, un asino volante è immaginario. La stesso gradiente è riscontrabile tra una pistola vera e una giocattolo. Con la pallottola reale a fare la differenza razionale. E pure metafisica, se vogliamo.


Il tuo ragionamento avrebbe senso se il presunto assoluto fosse un fenomeno condizionato come tutti gli altri (come un asino). Ma non essendo un fenomeno condizionato non puoi dimostrarne empiricamente (scientificamente) l'esistenza. Un asino volante ha delle caratteristche condizionate,  immaginabili,  pertanto possiamo dimostrarne l'inesistenza. L'assoluto non lo puoi immaginare e neppure falsificare.

Sottoscrivo in toto.

Aggiungerei che l'Assoluto, ossia la Verità, non essendo condizionato non c'è: non esiste.
Se esistesse, se ci fosse, non vi potrebbe infatti essere alcun asino, né reale né immaginario.

È proprio il suo non esserci, il suo ritrarsi dall'esistenza a permettere l'esserci di ogni cosa. Anche di ogni cosa solo immaginata.

L'Essere, l'Assoluto, non c'è.
Proprio in quanto è.

Essere e Nulla, per quel che ci riguarda, sono infatti il medesimo.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Sariputra il 07 Febbraio 2020, 15:19:54 PM
@Bobmax
Sì, direi che il carattere di 'esistenza' è relativo ai fenomeni condizionati.  Se ci riferiamo ad un assoluto dovremmo, a mio parere, non 'etichettarlo' (de-finirlo) col carattere di esistenza e nemmeno con quello di inesistenza, esattamente come la negazione della coppia mutabile-immutabile. Questo perché il linguaggio tende sempre al dualismo. Quando parli di "Nulla" intendi, per esteso: "Nulla di condizionato"?...
Penso di intuire cosa intendi, ma usi un linguaggio quasi tipico del misticismo...(non che sia un difetto , ovviamente...mi piace questo lasciar intendere senza sentire la necessità continua di "de-finire"  :) ).
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: davintro il 07 Febbraio 2020, 17:01:47 PM
negare l'esistenza dell'Assoluto vuol dire porre la dimensione del contingente come dimensione totalizzante. Cioè presentare un discorso sulla totalità, su ciò che non è limitato da alcunché di altro da se stesso. Ma questo "non essere limitato da alcunché di altro da se stesso" si identifica necessariamente con l' "assoluto" di cui si vorrebbe negare l'esistenza. Assoluto, vuol dire "sciolto dai legami", e la totalità, con cui si vorrebbe identificare il complesso degli enti contingenti, assume gli stessi caratteri che definiscono l'assoluto: se la totalità è ciò oltre cui non vi è nulla, allora necessariamente non potrà essere limitata da niente di estrinseco, cioè sarà pura Libertà, svincolata da altro, Assoluta, appunto. Ecco perché, in tutta evidenza, ogni negazione dell'Assoluto finisce con l'essere autocontraddittoria: nel momento in cui si afferma che "tutto è contingente", "tutto è mutevole", "tutto è relativo", si utilizza la categoria di totalità, che è a tutti gli effetti una determinazione dell'Assoluto, ciò che non ha nulla oltre di sè a limitarlo. Il che non vuol dire, pensare, superficialmente, che "Totalità" e "Assoluto" siano sinonimi. Se ogni discorso sulla totalità è anche discorso sull'assoluto, non vale però l'inverso. L'identificazione tra i due concetti è pensabile in un'ottica immanentista/panteista in cui si fa coincidere Dio, causa prima non subordinata ad alcun principio preesistente, con la totalità dell'Universo, ma non in un'ottica trascendentista/teista che vede Dio come Assoluto distinto dalle sue creazioni. In sintesi, se porre la totalità unica possibile determinazione dell'assoluto non è necessario (quantomeno), è però necessario affermare l'assoluto come modalità ontologica insita in ogni possibile idea di totalità.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 07 Febbraio 2020, 18:51:25 PM
Citazione di: Sariputra il 07 Febbraio 2020, 14:03:00 PM
Citazione di: Ipazia il 07 Febbraio 2020, 13:57:01 PMCertamente, ma proprio per tale relatività non tutte le opinioni si equivalgono: un asino è reale, un asino volante è immaginario. La stesso gradiente è riscontrabile tra una pistola vera e una giocattolo. Con la pallottola reale a fare la differenza razionale. E pure metafisica, se vogliamo.

Il tuo ragionamento avrebbe senso se il presunto assoluto fosse un fenomeno condizionato come tutti gli altri (come un asino). Ma non essendo un fenomeno condizionato non puoi dimostrarne empiricamente (scientificamente) l'esistenza. Un asino volante ha delle caratteristche condizionate,  immaginabili,  pertanto possiamo dimostrarne l'inesistenza. L'assoluto non lo puoi immaginare e neppure falsificare.

... e neppure dimostrare, a differenza delle caratteristiche dell'asinità.

L'assoluto rimane nel dominio ontologico del concettuale, in cui possiamo affermare tutto e il suo contrario e dimostrare nulla.

L'immanenza è totalizzante al pari dell'universo, che è quanto di più totale possiamo non solo supporre, ma pure, coi condizionamenti dei nostri mezzi, dimostrare. Finito-datato e presumibilmente non eterno. Di più, escludendo l'immaginazione, non si può dire.

Sull'assoluto qualcosa possiamo dire: zero gradi K e c. Finora nessuno è riuscito a scendere sotto quella temperatura o superare quella velocità. Anche l'immanenza ha i suoi assoluti: dimostrati.
Assoluti di rango inferiore vi sono in ogni sistema fisico prima che collassi. Ma pur sempre sub judice perchè l'esperienza scientifica è una totalità aperta. Anche ai numi, basta che si manifestino.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: bobmax il 07 Febbraio 2020, 19:24:58 PM
@Sariputra
 
Sì la mistica è ormai la mia casa.
Ma non è un punto d'arrivo, anzi...
E' solo l'inizio di un viaggio, "ove per poco il cor non si spaura".
 
De-finire è importante, il più delle volte indispensabile per poter pensare e comunicare.
Tuttavia in alcuni casi pretendere la de-finizione può essere davvero fuorviante, oltre che limitante.
 
E questo è senz'altro il caso dell'Assoluto.
Mi fa davvero sorridere chi di fronte all'affermazione: "Occorre avere fede nella Verità" replica: "Cosa intendi con Verità? Devi prima darne una definizione!"
 
Definire la Verità...
Ciò che fonda ogni possibile definizione...
 
Fede nella Verità = fede nel Nulla.
 
Il Nulla è la perdita di ogni appiglio, di ogni certezza su cui possa in qualche modo contare.
Di ogni possibile de-finizione. Come d'altronde è pure l'Essere, se però riusciamo a non ridurlo a mero esser-ci.
 
Sì Nulla di condizionato.
Però già pensare di aver compreso: "Nulla di condizionato" può ingannarci. Con il suo rassicurare: sarà qualcosa di incondizionato...
Perché è proprio quel "qualcosa" che dobbiamo evitare come la peste.
 
Infatti il "qualcosa" è il regno del relativo.
 
E senza nessun "qualcosa" sono perduto.
Il Nulla mi sbatte in faccia l'aut-aut radicale, dove tutto, ma proprio tutto dipende da me.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Phil il 07 Febbraio 2020, 20:08:10 PM
A mio modesto parere, ci sono già abbastanza topic in cui il relativismo viene forzosamente assolutizzato così da risultare docilmente contraddittorio, o in cui viene fatto assurgere a fallace teoria della totalità (tuttavia, sospettamente, senza citare mai i filosofi e/o almeno i forumisti rei di tale leggerezza), sempre giocando sull'ambiguità fra «assoluto» come sostantivo ed «assoluto» come aggettivo, «assoluto» nel suo significato etimologico ed «assoluto» nel suo significato storico-filosofico, etc.
Qui, rimuovendo (in tutti i sensi) la questione del fondamento, che pure si intravvede fra le righe, credo che (per fortuna) il tema sia un altro; tema che mi pare prendere le mosse dalla constatazione:
Citazione di: Ipazia il 07 Febbraio 2020, 10:49:39 AM
Non esiste il nulla e non esiste l'assoluto. Esiste il reale. Spiace sia difficile inventarne uno di nuovo, visto che ne facciamo parte da qualche miliardo di orbite terrestri intorno al sole, e che le nostre possibilità di modificarlo sono assai relative.
e acquistare maggior slancio ed apertura con
Citazione di: Sariputra il 07 Febbraio 2020, 11:21:33 AM
cit.@iano: Ci sarà sempre qualcosa che sfugge alla nostra coscienza/conoscenza.
Sfugge , ma non perché l'insondabilita' sia un suo attributo , così come la coscienza non è una necessità ineludibile e men che meno una meta.
Come vogliamo chiamarlo questo qualcosa?
Assoluto?



Lo chiamerei semplicemente "ciò che non si conosce". Relativo o assoluto , in questo caso, non c'entrano nulla.
D'altronde la proposta di Vito intende, se ho ben capito, conciliare proprio il realismo con un "ulteriorità noumenica" accessibile per via intuitiva e quindi senza soluzione di continuità rispetto al soggetto, senza cioè ritenere preclusa la ragionevole (in tutti i sensi) accessibilità all'agognato "oggetto in sé".
Tuttavia, finendo poi con il parlare di reti neurali e simili, ecco che la bilancia mi pare pendere verso il soggetto (animale o vegetale che sia), essendo lo "strumento cognitivo" soggettivo (il sistema nervoso, il sistema neurovegetativo, la mente, etc.) non un passivo specchio della realtà, ma un attivo elaboratore, che quindi (ri)costruisce una sua realtà (pur senza "giocare a dadi") fondata sull'input di quella esterna. La questione di "decifrare" in tale input le tracce di una realtà incontaminata dalla soggettività è probabilmente la sfida scientifica a cui collaborano le neuroscienze.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: davintro il 07 Febbraio 2020, 20:50:31 PM
Citazione di: Phil il 07 Febbraio 2020, 20:08:10 PMA mio modesto parere, ci sono già abbastanza topic in cui il relativismo viene forzosamente assolutizzato così da risultare docilmente contraddittorio, o in cui viene fatto assurgere a fallace teoria della totalità (tuttavia, sospettamente, senza citare mai i filosofi e/o almeno i forumisti rei di tale leggerezza), sempre giocando sull'ambiguità fra «assoluto» come sostantivo ed «assoluto» come aggettivo, «assoluto» nel suo significato etimologico ed «assoluto» nel suo significato storico-filosofico, etc. Qui, rimuovendo (in tutti i sensi) la questione del fondamento, che pure si intravvede fra le righe, credo che (per fortuna) il tema sia un altro; tema che mi pare prendere le mosse dalla constatazione:
Citazione di: Ipazia il 07 Febbraio 2020, 10:49:39 AMNon esiste il nulla e non esiste l'assoluto. Esiste il reale. Spiace sia difficile inventarne uno di nuovo, visto che ne facciamo parte da qualche miliardo di orbite terrestri intorno al sole, e che le nostre possibilità di modificarlo sono assai relative.
e acquistare maggior slancio ed apertura con
Citazione di: Sariputra il 07 Febbraio 2020, 11:21:33 AMcit.@iano: Ci sarà sempre qualcosa che sfugge alla nostra coscienza/conoscenza. Sfugge , ma non perché l'insondabilita' sia un suo attributo , così come la coscienza non è una necessità ineludibile e men che meno una meta. Come vogliamo chiamarlo questo qualcosa? Assoluto? Lo chiamerei semplicemente "ciò che non si conosce". Relativo o assoluto , in questo caso, non c'entrano nulla.
D'altronde la proposta di Vito intende, se ho ben capito, conciliare proprio il realismo con un "ulteriorità noumenica" accessibile per via intuitiva e quindi senza soluzione di continuità rispetto al soggetto, senza cioè ritenere preclusa la ragionevole (in tutti i sensi) accessibilità all'agognato "oggetto in sé". Tuttavia, finendo poi con il parlare di reti neurali e simili, ecco che la bilancia mi pare pendere verso il soggetto (animale o vegetale che sia), essendo lo "strumento cognitivo" soggettivo (il sistema nervoso, il sistema neurovegetativo, la mente, etc.) non un passivo specchio della realtà, ma un attivo elaboratore, che quindi (ri)costruisce una sua realtà (pur senza "giocare a dadi") fondata sull'input di quella esterna. La questione di "decifrare" in tale input le tracce di una realtà incontaminata dalla soggettività è probabilmente la sfida scientifica a cui collaborano le neuroscienze.

la mia scelta di argomentare senza citare filosofi o forumisti (se non quando strettamente necessario, comunque in rare occasioni) è dovuta, da un lato, alla mia preferenza per stare nell'analisi concettuale, contribuendo a far sì che la discussione possa restare a un tavolo comune tematico in cui ciascuno sulla base di una comune logica e razionalità possa prender parte, evitando riferimenti citazionisti, che, ritengo, non aggiungerebbero nulla alla discussione se i concetti, che dovrebbero essere l'unico contenuto di una filosofia che vuole distinguersi dalla "storia della filosofia" come autonoma riflessione personale senza vincolarsi a princìpi di autorità, sono ben chiari, o evitando di citare forumisti, anche per evitare di "rinserrarsi" in un botta e risposta personale. In molti casi preferisco lanciare riflessioni restando sul generale, lasciando a ciascuno piena libertà di inserirsi, senza timore di risultare in qualche modo, fuori luogo, nell'intervenire in un botta e risposta ristretto a pochi utenti che si citano. In questo caso non ho ritenuto fosse il caso, ma è solo una scelta "stilistica", nulla che debba far sospettare riguardo la validità o meno del mio discorso. 

Dato che ho notato come la discussione si fosse negli ultimi messaggi indirizzata sul problema dell'esistenza dell'Assoluto, mi son sentito di esprimere le mie perplessità riguardo dei punti di vista che ritengo, contraddittori. Non è mia intenzione, aprioristicamente, contestare l'autocontraddizione in cui il relativismo, posto in un certo senso, cade, in ogni topic, solo, se noto che ci sono riferimenti in tal senso, mi sento in diritto di replicare. Se la discussione sul relativismo fuoriesce dal tema del topic (cosa su cui ho dei dubbi, ma, non essendo stato io ad aprirlo, eviterei di giudicare per correttezza), non è stata mia intenzione promuovere questa uscita, mi sono limitato a inserirmi in una certa linea in cui la discussione, legittimamente, si è svolta. 

Al di là di questo, mi dispiace se, contro le mie intenzioni, ho contributo a deviare la discussione dalle intenzioni originarie, e se sembra che le mie critiche al relativismo appaiano così ripetitive e ambigue. Purtroppo sono una componente fondamentale all'interno dei miei modesti punti di vista filosofici complessivi, ed è inevitabile che riemergano con così tanta frequenza in tante occasioni, e, dovessi autocensurarmi da questo punto di vista, temo che la mia partecipazione in generale alle discussioni ne risentirebbe molto, cosa di cui personalmente sarei piuttosto dispiaciuto.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Phil il 07 Febbraio 2020, 22:32:30 PM
Citazione di: davintro il 07 Febbraio 2020, 20:50:31 PM
la mia scelta di argomentare senza citare filosofi o forumisti (se non quando strettamente necessario, comunque in rare occasioni) è dovuta, da un lato, alla mia preferenza per stare nell'analisi concettuale, contribuendo a far sì che la discussione possa restare a un tavolo comune tematico in cui ciascuno sulla base di una comune logica e razionalità possa prender parte, evitando riferimenti citazionisti, che, ritengo, non aggiungerebbero nulla alla discussione se i concetti, che dovrebbero essere l'unico contenuto di una filosofia che vuole distinguersi dalla "storia della filosofia" come autonoma riflessione personale senza vincolarsi a princìpi di autorità, sono ben chiari, o evitando di citare forumisti, anche per evitare di "rinserrarsi" in un botta e risposta personale. In molti casi preferisco lanciare riflessioni restando sul generale, lasciando a ciascuno piena libertà di inserirsi, senza timore di risultare in qualche modo, fuori luogo, nell'intervenire in un botta e risposta ristretto a pochi utenti che si citano. In questo caso non ho ritenuto fosse il caso, ma è solo una scelta "stilistica", nulla che debba far sospettare riguardo la validità o meno del mio discorso.
Il mio parere sulla ridondanza del diverbio assolutismo/relativismo non era rivolta a te in particolare, infatti anche altri utenti l'hanno chiamata in causa e io stesso non riesco ad astenermi dall'usare «assoluto» e «relativo»; ovviamente ognuno è libero di dare il suo contributo e di cavalcare i suoi "cavalli di battaglia", non era certo mia intenzione dire quali fossero i binari che lo sviluppo del discorso doveva seguire o stigmatizzare gli eventuali off topic (non sono nemmeno un moderatore). Mi ero solo fatto allettare dalla possibilità di un contributo nuovo per questi schermi, quello di Vito (nonostante non mi trovi concorde con lui) e quando ho avuto il déjà vu di temi e obiezioni, magari in topic, ma già molto presenti in questo forum, ho espresso la mia personale preferenza per una tutela del nuovo a discapito del già (mal)trattato; si tratta appunto di una preferenza personale, non certo un rimprovero (che da parte mia non avrebbe senso).

Riguardo al citare o meno autori o forumisti, sempre restando nelle mie preferenze personali, credo invece sia un gesto necessario alla chiarezza, oltre che alla sostanza, del discorso, ma non perché citando il filosofo Tizio, con cui supponiamo concordo, la mia opinione diventi allora più autorevole o addirittura verità; la sfida a chi sa più citazioni mi è sempre parsa sterile gioco da nozionismo televisivo. L'utilità e l'apporto contenutistico del citare nomi è piuttosto quello di innescare un collegamento sintetico, un link, ad un insieme di contenuti reperibili (di solito basta wikipedia) o argomentazioni più o meno note (a proposito: qui ho scoperto molti autori e teorie che non conoscevo in precedenza, sono debitore verso chi li ha citati). Soprattutto, si evita il fatale (per me) errore dell'approssimazione, della confusione fra concetti simili ma non identici, dello scontro fra vocabolari fatti in casa (che talvolta rende difficile persino inquadrare il tema del discorso). Non sempre la filosofia e il "secondo me" sono perfettamente compatibili (e non solo se parliamo di logica formale), anche se comunemente, far filosofia significa cercare di dire seriamente la propria su una questione astratta.
Ad esempio, riaccostandoci al topic, se parliamo di «nichilismo», senza voler citare autori, di cosa parliamo esattamente? Quando Vito (lo prendo come esempio) ci dice che il nichilismo afferma «A=-A», di quale nichilismo parla? Ha senso un discorso vago sul "nichilismo in generale" quando magari si vuole poi condensare tutto in un'asserzione logica? Se invece Vito si riferisce ad un autore in particolare, allora può essere una sintesi ottimale, ma come saperlo se non ne esplicita il nome? Il rischio è dunque quello di una filosofia di "slogan senza autori", di "filosofie senza sostenitori" (come forse è il relativismo assolutista), di motti che banalizzano e si aprono a mille interpretazioni decontestualizzate: «tutto è relativo», «Dio è morto», «cogito ergo sum», «il cielo stellato fuori di me e la legge morale in me», etc. chi l'ha detto in quale contesto lo ha fatto e, soprattutto, in che senso? Il richiamo all'autore o alla corrente filosofica non è un vezzo intellettualistico, è la chiave di lettura da cui dovrebbe, secondo me, partire un'interpretazione pertinente (se poi l'autore non c'è, forse siamo di fronte a fazioso stereotipo). Ben vengano riflessioni personali e originali, tuttavia se do la mia opinione sul neoplatonismo, sarebbe opportuno, deontologicamente, farlo con minima cognizione di causa (il che implica il riferimento ad autori e correnti; anche in formato bignami o wikipedia, è sempre meglio di niente).
Passando agli utenti; se ora facessi un commento sul «mistico», mi riferirei al mistico di Vito, quello di bobmax, o quello "secondo me"? Parlare all'interno di un gruppo senza far capire se ti rivolgi a Tizio o a Caio può essere infruttuoso, se non controproducente; soprattutto se, ad esempio, rivolgi una domanda, attività squisitamente filosofica, è per me piuttosto utile esplicitarne il destinatario (il che non toglie che altri possano poi "rubare" la domanda e rispondere o inserirsi in un dialogo a due voci, contribuendo non poco ad "allargare il campo").
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: viator il 07 Febbraio 2020, 22:41:31 PM
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 06 Febbraio 2020, 23:55:17 PM
Ciao Viator,
non ho capito su cosa volevi sorvolare se avevo già avvisato che stavo correggendo... E fammi capire anche un'altra cosa, cosicché io possa adeguarmi a chi sei tu, esattamente: io dovrei sorvolare a risponderti con chiarezza perché tu appari qui per la prima volta? Qual onorevole persona sei tu per cui io non ti debba rispondere?  Anche perché non è che hai sbagliato a fare 2+2, ma una comune problema fra psiche e biologia. Qui, per entrare nel dettaglio corretto, sto parlando degli studi di neurobiologia vegetativa, dove si riscontra che le piante si compiono, oltre che meccanicamente, anche attraverso i 5 sensi udito, olfatto, gusto, vista, tatto. Naturalmente in forma diversa da come accade negli animali e diversa da come accade anche nell'uomo, ma pur sempre in forma istintuale (cfr. U. Castiello, La mente delle piante). L'emozione riguarda invece proprio il rilevamento nei vegetali delle basilari sensazioni primitive, come terrore o gioia (per la differenza fra emozioni e sentimenti cfr. A. Damasio, Alla ricerca di spinoza). Questo comportamento istintivo attraverso i sensi non è invece presente negli esseri prettamente meccanici, come le particelle, mentre il comportamento intuitivo non è mai stato rilevato in esseri privi di apparato nervoso centrale (per usare il tuo linguaggio). La sequenza è consequenziale: meccanica-reazioni; biologia-istinto; psiche-intuito.

Se tu ora vuoi continuare con certi toni da bar, per me era già sufficiente il tuo "buon viaggio" di un tempo. Diversamente il tuo schema è interessante, ciò non toglie però che in natura si riscontrano comportamento istintuali al di fuori di apparati psichici. Poi magari è corretta la tua giustificazione: ciò avviene per i semplici legami ad aspetti genetici, ma ciò non toglie, per quei casi, che un apparato neurologico centrale non è condizione necessaria a un comportamento istintivo. Mi ricordo che anche Cartesio, a suo modo, ci aveva costretto a credere ad animali senza anima... no, lui non aveva detto piante senza istinto.
Questa tua replica, in parte giustamente risentita, è frutto di un malinteso generato dall'accavallamento tra il tuo intervento [« Risposta #46 il: 06 Febbraio 2020, 19:01:48 pm »], la tua precisazione [« Risposta #47 il: 06 Febbraio 2020, 20:53:52 pm »] e la mia [« Risposta #48 il: 06 Febbraio 2020, 20:56:50 pm »].

In pratica la mia risposta nr. 48 veniva da me stesa mentre tu ancora avevi in scrittura la nr.47, e, venendo completata dopo le tue precisazioni  che ancora non potevo leggere, conteneva ciò su cui intendevo sorvolare in mancanza di tue precisazioni che poi ci furono.

Circa poi le "apparizioni della prima volta", evidentemente hai equivocato poichè non ero e non sono certo io quello che appare in questo forum per la prima volta, essendone tra i più prolifici frequentatori attuali (prolifico non significa certo autorevole, ovviamente).

Sono poi leggermente imbarazzato nel replicare ad alcune tue osservazioni (qui sotto riportate) che condivido ampiamente, per via dell'uso che fai di alcuni termini ed espressioni, che annoto  nerettate tra parentesi : "Qui, per entrare nel dettaglio corretto, sto parlando degli studi di neurobiologia vegetativa, dove si riscontra che le piante si compiono (si comportano ?), oltre che meccanicamente, anche attraverso i 5 sensi udito, olfatto, gusto, vista, tatto. (qui non capisco proprio) Naturalmente in forma diversa da come accade negli animali e diversa da come accade anche nell'uomo, ma pur sempre in forma istintuale (cfr. U. Castiello, La mente delle piante). L'emozione riguarda invece proprio il rilevamento nei vegetali delle basilari sensazioni primitive, come terrore o gioia (per la differenza fra emozioni e sentimenti cfr. A. Damasio, Alla ricerca di spinoza). Questo comportamento istintivo attraverso i sensi non è invece presente negli esseri prettamente meccanici, come le particelle (le particelle saranno corpuscoli od enti fisici e/o materiali, non certo ESSERI prettamente meccanici !)".

Circa poi i modi da bar, credo di averli dimenticati (fingendo di averli una volta conosciuti) dal 1° gennaio 2001 (entrata in vigore dell'Euro che generò l'automatico arrotondamento per eccesso di tutti i prezzi e le tariffe - io per solitaria protesta smisi di entrare a consumare nei bar).

Infine, circa "
Diversamente il tuo schema è interessante, ciò non toglie però che in natura si riscontrano comportamento istintuali al di fuori di apparati psichici. Poi magari è corretta la tua giustificazione: ciò avviene per i semplici legami ad aspetti genetici, ma ciò non toglie, per quei casi, che un apparato neurologico centrale non è condizione necessaria a un comportamento istintivo. Mi ricordo che anche Cartesio, a suo modo, ci aveva costretto a credere ad animali senza anima... no, lui non aveva detto piante senza istinto"
La genetica è fatta di chimica organica, cioè di scambi ed impulsi elettrochimici che agiscono a livello atomico e si fermano a livello molecolare (o ben poco oltre - biochimica del carbonio). La neurologia è basata sulla trasmissione di impulsi bioelettrici (per carità, non voglio e non posso liquidare certi argomenti in due parole !) che vengono trasmessi per via tissutale (i tessuti nervosi, cioè appunto un qualche sistema nervoso).

Se a te piace pensare che esista una istintualità ed una intuività intrinseche di atomi e/o molecole................ Saluti.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: viator il 08 Febbraio 2020, 00:04:01 AM
Salve davintro e Phil. Dipende da come ci si vuol porre all'interno di un dibattito. C'è chi ama la polemica, chi vuole fare sfoggio di linguaggi e di fonti, chi illustra personali visioni del mondo, chi nutre complessi psicologici, chi crede di avere la verità in tasca, chi cerca risposte esistenziali................

Personalmente rifuggo dalle citazioni. Anzitutto perchè non ho mai tenuto aperto un testo di filosofia per più di 15-20 secondi, ritraendomene inorridito dalla cerebralità di certi linguaggi, poi perchè esistono migliaia di modi di esprimere concetti pur se vecchi quanto il mondo (mai nulla di nuovo sotto il sole.......e per fortuna i suoi raggi insistono monotonamente nel riscaldarci !). Certo se uno si è formato sempre e solo leggendo l'altrui !.

Dal mio punto di vista il possedere una anche colossale cultura filosofica non agevola affatto le tesi che si vogliano sostenere, al limite la cosa potrà impressionare chi si sente di converso insicuro dei propri mezzi espressivi.

Diciamo che la cultura specifica aiuterà certo (ma non sempre) nel non profferire delle castronerie e ad evitare argomenti troppo facilmente controvertibili. Saluti.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Sariputra il 08 Febbraio 2020, 00:47:15 AM
In generale, quando non si fa una citazione specifica di un autore o di una filosofia, s'intende un termine nell'accezione comune che viene data. Per esempio, visto che il termine 'nichilismo', che è diventato motivo di discussione in seguito ad una mia domanda specifica a @V.Ceravolo in relazione ad un suo scritto qui linkato,  può avere diverse interpretazioni, s'intende tacitamente il suo senso comune che è: "Ogni posizione filosofica che concepisca la realtà in genere o alcuni suoi aspetti essenziali, dai valori etici alle credenze religiose, dalla verità all'esistenza, nella loro nullità."  Oppure: "Dottrina che si caratterizza per la totale negazione dei valori e dei significati elaborati dai diversi sistemi filosofici. " (diz.Treccani).
Se s'intende una diversa concezione, minoritaria o più specialistica, si è allora tenuti alla citazione de/degli autori o loro opere, a mio parere.
Se invece s'intende una personale originale interpretazione allora ritengo sia bene specificarlo.
In mancanza di citazioni , riferimenti specifici o interpretazioni personali s'intende sempre generalmente il senso comune dato, imho.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: bobmax il 08 Febbraio 2020, 07:07:43 AM
Citazione di: davintro il 07 Febbraio 2020, 17:01:47 PM
negare l'esistenza dell'Assoluto vuol dire porre la dimensione del contingente come dimensione totalizzante. Cioè presentare un discorso sulla totalità, su ciò che non è limitato da alcunché di altro da se stesso. Ma questo "non essere limitato da alcunché di altro da se stesso" si identifica necessariamente con l' "assoluto" di cui si vorrebbe negare l'esistenza. Assoluto, vuol dire "sciolto dai legami", e la totalità, con cui si vorrebbe identificare il complesso degli enti contingenti, assume gli stessi caratteri che definiscono l'assoluto: se la totalità è ciò oltre cui non vi è nulla, allora necessariamente non potrà essere limitata da niente di estrinseco, cioè sarà pura Libertà, svincolata da altro, Assoluta, appunto. Ecco perché, in tutta evidenza, ogni negazione dell'Assoluto finisce con l'essere autocontraddittoria: nel momento in cui si afferma che "tutto è contingente", "tutto è mutevole", "tutto è relativo", si utilizza la categoria di totalità, che è a tutti gli effetti una determinazione dell'Assoluto, ciò che non ha nulla oltre di sè a limitarlo. Il che non vuol dire, pensare, superficialmente, che "Totalità" e "Assoluto" siano sinonimi. Se ogni discorso sulla totalità è anche discorso sull'assoluto, non vale però l'inverso. L'identificazione tra i due concetti è pensabile in un'ottica immanentista/panteista in cui si fa coincidere Dio, causa prima non subordinata ad alcun principio preesistente, con la totalità dell'Universo, ma non in un'ottica trascendentista/teista che vede Dio come Assoluto distinto dalle sue creazioni. In sintesi, se porre la totalità unica possibile determinazione dell'assoluto non è necessario (quantomeno), è però necessario affermare l'assoluto come modalità ontologica insita in ogni possibile idea di totalità.

Ma la totalità non è qualcosa.

Ritenere che sia qualcosa è un errore del pensiero razionale per il quale esiste solo ciò che è "qualcosa".
Così immagina di porsi fuori (!) dal Tutto per poter affermare:"È qualcosa!"
Mentre il Tutto non è affatto un qualcosa. È solo un'idea aperta.

Non essendo un qualcosa, il Tutto seppur paradossalmente equivale al Nulla.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Phil il 08 Febbraio 2020, 11:36:37 AM
Citazione di: Sariputra il 08 Febbraio 2020, 00:47:15 AM
In generale, quando non si fa una citazione specifica di un autore o di una filosofia, s'intende un termine nell'accezione comune che viene data. Per esempio, visto che il termine 'nichilismo', che è diventato motivo di discussione in seguito ad una mia domanda specifica a @V.Ceravolo in relazione ad un suo scritto qui linkato,  può avere diverse interpretazioni, s'intende tacitamente il suo senso comune che è: "Ogni posizione filosofica che concepisca la realtà in genere o alcuni suoi aspetti essenziali, dai valori etici alle credenze religiose, dalla verità all'esistenza, nella loro nullità."  Oppure: "Dottrina che si caratterizza per la totale negazione dei valori e dei significati elaborati dai diversi sistemi filosofici. " (diz.Treccani).
Questo può essere un caso esemplificativo della ambiguità di cui parlavo: nel suo saggio, Vito parla del nichilismo di Nietzsche (da lui interpretato, non "in generale") e poi propone una sua ulteriore logicizzazione del nichilismo (con la formula della contraddizione logica); segue la tua domanda che riguarda il «nichilismo occidentale» (quindi, parrebbe, non solo Nietzsche) o forse il nichilismo in generale (e sai meglio di me come in oriente il nulla/vuoto non sia questione da poco...). Se consideriamo che il nichilismo è stato citato da Vito sin dal primo post d'apertura del topic, come macroarea di pensiero opposta al realismo, ecco che, secondo me, iniziare a chiarire di quale nichilismo stiamo parlando (à la Vito? à la Treccani? à la Nietzsche? à la "stretta la foglia, larga la via..."?), passando almeno dal dizionario Treccani (troppo generico per i termini settoriali) a Wikipedia (che non è prolissa come un manuale, ma meno vaga del dizionario), stringendo un po' il campo di riferimenti, gioverebbe a ridurre i fraintendimenti e agevolerebbe una conversazione coerente.
Fermo restando che non stiamo facendo ricerca universitaria, ma siamo su un forum aperto a tutti, quindi anche nella sezione "filosofia" l'opinionismo spensierato è comunque un diritto (sancito dal regolamento, se non erro).
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: viator il 08 Febbraio 2020, 14:39:27 PM
Salve davintro. All'interno del tuo intervento del 07/02, h.1701 condivido sino a prima di questo punto ; "......................L'identificazione tra i due concetti è pensabile in un'ottica immanentista/panteista in cui si fa coincidere Dio, causa prima non subordinata ad alcun principio preesistente, con la totalità dell'Universo".
Infatti il panteismo non include o presuppone certamente un concetto di "causa prima" (per inciso, concetto quest'ultimo molto -teistico e per nulla pan-). Io teorizzo - e nessuno può smentirmi - una circolarità dell'esistente la quale esclude ovviamente condizioni iniziali (prime) od ultime (finalistiche). Saluti.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Sariputra il 08 Febbraio 2020, 15:03:39 PM
@Phil
La domanda da me espressa @Vito Ceravolo era piuttosto chiara e si riferiva al "nichilismo occidentale" nell'accezione comune e non riferita ad un autore in particolare. Nichilismo nel senso come da me usato nel Topic "Civiltà Occidentale" che qui cito per esemplificare:

Il nichilismo moderno (diverso , che so, dal nichilismo foscoliano...) lo intendo personalmente come una sorta di mentalità largamente condivisa, maggioritaria. Lo troviamo nel tipo americano come nel consumatore compulsivo cinese o giapponese. Può essere visto come una conseguenza sia del tramonto di società fondate su valori ideali che una crisi del modello di sapere assoluto e omnicomprensivo che scaturiva da un razionalismo fideistico. Il nichilismo assume così attualmente i connotati dell'uomo consapevole della fine delle ideologie, e questo non sarebbe un dramma visti gli esiti novecenteschi di queste, se non che questa fine ha portato con sé anche la fine delle 'tensioni ideali' che le accompagnavano. La fine cioè della 'speranza'... Quale speranza? Quella di un umanità che possa/sappia/speri ancora di uscire dalla nevrosi egoistica e individualistica che l'opprime...
Il nichilismo made in West cerca di salvare la libertà, anzi formalmente sembra esaltarla, ma la relega nella sola sfera individuale come principio assoluto di autodeterminazione del singolo. Propugna dunque un relativismo generalizzato a livello etico. Distrugge il sistema valoriale precedente, ma non riesce  a proporne altri. Simile ad un medico che ti espone chiaramente la malattia, ma non sa darti una cura, se non dicendoti. "arrangiati, è un tuo problema"...
In senso massificato, comune si potrebbe darne , a mio parere, questa definizione:
La vita è semplicemente un'opportunità per sensazioni ed esperienze, in cui il carattere effimero primeggia.

Non c'è niente che in definitiva (anche se non lo riconosciamo o non ne siamo del tutto consapevoli..) 'valga'. Tutto è fugace e passeggero: goditela più che puoi!..
Oltre ad una riflessione teorica il nichilismo ha pure un risvolto 'tecnico'. La fine di ogni ideologia (politica o religiosa) ha creato uno spazio enorme al tecnocapitalismo che si ammanta, per i propri fini, di un' ideologia della scienza e della tecnica e se ne fa forte... Quindi impone un modello esistenziale basato sul dominio della sola razionalità strumentale che cerca di bypassare ogni domanda di senso.

Ritengo sia un uso in linea con l'accezione comune contenuta in Wikipedia e in treccani.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Phil il 08 Febbraio 2020, 16:39:32 PM
Citazione di: Sariputra il 08 Febbraio 2020, 15:03:39 PM
@Phil
La domanda da me espressa @Vito Ceravolo era piuttosto chiara e si riferiva al "nichilismo occidentale" nell'accezione comune e non riferita ad un autore in particolare. Nichilismo nel senso come da me usato nel Topic "Civiltà Occidentale"
[...]
Ritengo sia un uso in linea con l'accezione comune contenuta in Wikipedia e in treccani.
Mi sembra che ciò confermi ulteriormente l'ambiguità a cui mi riferivo: tu chiedi del «nichilismo occidentale» all'autore del saggio il cui primo capitolo è «Quando Kant anticipava la rovina del suo paradigma, e di tutto il nichilismo occidentale», saggio che citi poco prima di porre la tua domanda e che commenti con:
Citazione di: Sariputra il 04 Febbraio 2020, 19:07:29 PM
L'ho trovato molto interessante. Mi sembra di capire che tu teorizzi il nichilismo occidentale  come una forma di 'odio' (faccio un'estrema sintesi ovviamente, veramente esagerata..).
intendendo però, a quanto scopro ora, con «nichilismo occidentale» quello che invece focalizzi nel topic «civiltà occidentale» (quindi non il nichilismo di Vito), che ti sembra1 simile al nichilismo comunemente inteso (cioè non solo all'occidentale, almeno a giudicare dalle definizioni).
Chiaramente, la filologia di questo domandare mi serve come esempio esplicativo per la considerazione che proponevo sopra (riguardo la necessità di esplicitare le coordinate di un tema), non certo perché mi interessi "fare le pulci" al tuo domandare (anche perché il mio stesso ragionare è poco più che un "mercato delle pulci").

1Scrivo «sembra» perché nella tua riflessione, tutt'altro che scontata e decisamente legittima, il nichilista diventa edonista (proponi come suo motto «goditela più che puoi!», sebbene non so quanti e quali nichilisti lo sottoscriverebbero), inoltre l'assenza di fondamento delle ideologie politico-religiose diventa per te propulsore del «tecnocapitalismo» (facendo del nichilismo un movente socioeconomico); definisci il nichilismo una «una sorta di mentalità largamente condivisa, maggioritaria»(cit.) e non mi pare poco la presa d'atto di tale eventuale "maggioranza" (in occidente o altrove).
Sicuramente il nichilismo che tratteggi è dunque molto più ragionato di quello definito dal dizionario Treccani, il che secondo me è un bene (il tuo tratteggiare intendo), in piena conformità con le finalità del forum.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 08 Febbraio 2020, 19:02:17 PM
La sostituzione vitiana del nichilismo all'idealismo della manualistica, in contrapposizione al realismo, ha delle suggestioni filosofiche che vale la pena di esplorare e che di primo acchito ho trascurato presa com'ero dalla mia avversione all'operazione di riciclaggio del noumeno.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: bobmax il 09 Febbraio 2020, 14:33:19 PM
Citazione di: Sariputra
Non c'è niente che in definitiva (anche se non lo riconosciamo o non ne siamo del tutto consapevoli..) 'valga'. Tutto è fugace e passeggero: goditela più che puoi!..

Sì il nichilismo è il nulla valoriale.

E non è che la necessaria conclusione a cui giunge il pensiero razionale, che considera se stesso fonte di Verità.

L'interpretazione logico/razionale della realtà è in sé stessa nichilista.
Il nichilismo è l'altra faccia della medaglia della razionalità.

Spesso se ne è inconsapevoli, e allora è un nichilismo debole, che fugge pur di non affrontare se stesso.
A differenza del nichilismo forte, come in Leopardi, di chi affronta lo sguardo della Medusa.

Comunque sia, sono convinto che il nichilismo sia una sfida necessaria.
Una sfida che ci costringe a ricercare noi stessi.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Sariputra il 09 Febbraio 2020, 15:25:21 PM
Citazione di: bobmax il 09 Febbraio 2020, 14:33:19 PM
Citazione di: SariputraNon c'è niente che in definitiva (anche se non lo riconosciamo o non ne siamo del tutto consapevoli..) 'valga'. Tutto è fugace e passeggero: goditela più che puoi!..
Sì il nichilismo è il nulla valoriale. E non è che la necessaria conclusione a cui giunge il pensiero razionale, che considera se stesso fonte di Verità. L'interpretazione logico/razionale della realtà è in sé stessa nichilista. Il nichilismo è l'altra faccia della medaglia della razionalità. Spesso se ne è inconsapevoli, e allora è un nichilismo debole, che fugge pur di non affrontare se stesso. A differenza del nichilismo forte, come in Leopardi, di chi affronta lo sguardo della Medusa. Comunque sia, sono convinto che il nichilismo sia una sfida necessaria. Una sfida che ci costringe a ricercare noi stessi.

E' una sfida che volenti o nolenti si è costretti ad affrontare perché è lo spirito di questi tempi in cui viviamo. E' l'"aria" che si respira in giro. Ed è impossibile vivere senza respirare. La cosa che però mi sembra possibile fare è quella di scegliere se adeguarsi o non adeguarsi a quest'aria, pagandone ovviamente le conseguenze,in questo caso,dal punto di vista sociale...
Comunque ho una notizia buona: non siamo costretti in eterno su questo treno e a respirare quest'aria. Prima o poi arriva la stazione e si scende!  ;D
un saluto
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 10 Febbraio 2020, 11:44:44 AM
Mi ero illusa di trovare nella filosofia di Vito J. Ceravolo uno sviluppo fruibile dell'identificazione nichilismo=idealismo, ma la lettura del suo primo link: Cfr. V.J. Ceravolo, Scalata critica al nichilismo, 2017 mi ha totalmente spiazzata al punto che se tale identificazione vi è (come ritengo), essa è a totale insaputa dell'autore, al punto che rinominerei l'articolo: Discesa travisante al nichilismo.

La prima aporia è il riferimento a Kant come origine del nichilismo occidentale, quando esso prende le mosse molto prima nel mondo platonico delle idee che trae nutrimento dall'astrazione dell'Essere parmenideo e dal feticismo simbolico-sovrasensibile pitagorico. Processo compiutosi non in una ingenua catena causale, ma nella rete di sentieri interrotti (Holzweghe) cui queste intuizioni hanno condotto che fanno la storia dell'idealismo/nichilismo, non solo occidentale.

Sul piano logico tali intuizioni hanno un valore evolutivo: la patologia sta nell'inversione dei piani reale-logico laddove A (mondo) diventa -A (meno A: mondo-dietro-il-mondo) e viceversa.

E' ovvio che se operiamo questa inversione il nichilismo finisce tutto col gravare su chi tenta, come Nietzsche (FN), il non -A, ovvero la doppia negazione che dovrebbe dare giustizia alle ragioni del mondo. Tale travisamento non è certo dettato da ignoranza delle fonti perchè si cita perfino l'esortazione del FN più veridico:

Così parlò Zarathustra - Prefazione, 3: «Io vi scongiuro, fratelli miei, restate fedeli alla terra e non prestate fede a coloro che vi parlano di speranze ultraterrene! Sono avvelenatori, lo sappiano o no.»,

che non mette la maschera della verità sulla maschera della falsità, ma va dritto al sodo papale-papale. E' pur vero che spesso FN usa il doppio mascheramento per sostenere la doppia negazione che dovrebbe riportarci verso le ragioni del mondo e tale gioco dissimulatorio, motivato dalla semantica della realtà virtuale dominante da millenni, finisce con l'essere controproducente ai fini veridici intrapresi ed è stato usato ad abudantiam contro di lui dai sostenitori del virtuale mondo-dietro-il mondo.

Questo è quanto dovuto al "nichilismo" di FN e di Ceravolo. Su quello di Sariputra e Bob, bisognerebbe entrare nella fenomenologia dei valori e nei loro fondamenti.

Anche in questa fenomenologia valoriale la filosofia di Ceravolo mi pare invertire i termini della questione: La sua fase 0 non è spenta (apparente) ab origine, ma è stata spenta da una evoluzione patologica della fase 1 autocosciente (illusoriamente reale/accesa, nella sua metafisica), che ha acceso il fuoco in una caverna platonica di ombre sovrasensibili che tali rimangono.

FN ci invita invece a portare la coscienza fuori dalla caverna idealistico/nichilista nella luce reale della Lebenswelt (mondo della vita), ristabilendo la cronologia dei fatti che assume anche il carattere etico di una costellazione di valori veritativi ed esistenziali, mai dati da una superimpositiva ragione della cosa in sè, ma posti dalle ragioni (condivise e naturalmente/storicamente determinate) delle cose per noi.

Conflittuali, dialettiche, retroattive, metafisicamente protagoriche. Ben lungi dalla ratio ad una dimensione della causa efficiente, laminatoio, o meglio filiera, di una necessità alienata, drogata, meccanica, capitalistica.


P.S. consiglio a Ceravolo di evitare il trattino tra "non" e "A" che può apparire come doppia negazione, vista l'identità  :-\ grafica tra "meno" e "trattino". Meglio usare il segno logico ¬ , oppure scrive la negazione tal quale A = non A

P.S.S. che anche FN abbia bruciato incenso agli idola positivisti e sociodarwiniani del suo tempo è altra questione (che dà ennesima conferma al materialismo storico). Quegli idola sono morti a Stalingrado, sotto il muro di Berlino e - quotidianamente muoiono - nell'alienazione del Capitale. Ma il progetto di liberazione da tutti i mondi dietro il mondo rimane valido.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: bobmax il 10 Febbraio 2020, 15:20:54 PM
Citazione di: Ipazia il 10 Febbraio 2020, 11:44:44 AM
Mi ero illusa di trovare nella filosofia di Vito J. Ceravolo uno sviluppo fruibile dell'identificazione nichilismo=idealismo, ma la lettura del suo primo link: Cfr. V.J. Ceravolo, Scalata critica al nichilismo, 2017 mi ha totalmente spiazzata al punto che se tale identificazione vi è (come ritengo), essa è a totale insaputa dell'autore, al punto che rinominerei l'articolo: Discesa travisante al nichilismo.

Ipazia,
è il materialismo che cova in se stesso il nichilismo.
Nello specifico è la stessa oggettività in sé, creduta "verità", ad essere l'origine del pensiero nichilista.

L'idealismo non è che la risposta all'orrore del nulla nichilistico.
Una risposta che rischia tuttavia di far cadere dalla padella alla brace, finché c'è un io...

Ho letto anch'io l'articolo e concordo con te.
D'altronde la logica non ha alcuna possibilità di cogliere ciò che la fonda. Può essere utile solo come mezzo, da abbandonare una volta giunti al limite del comprensibile.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 10 Febbraio 2020, 16:08:14 PM
Ciao a tutti,
lo scontro assoluto-relativo... sì appunto: questo paradigma di riconoscimento della verità sia del fenomeno che dell'in sé, dove il soggetto fenomenico discende dal particolare relativo (individuale) e l'oggetto noumenico discende  dal generale assoluto (universale)... Tale scontro ha sì un il suo "perché" appunto perché né una tendenza né l'altra sciolte l'un l'altra (assoluto-relativo) sono in grado di non entrare in contraddizione con le proprie affermazioni o con ciò che descrivono, allora, in questo atavico scontro, "ognuno sceglie ciò che per sé è il meno peggio, ciò le cui contraddizioni sono le più accettabili".
Mai dissi che Kant è l'origine del nichilismo (solo il suo incipiente) ma si che possiamo ben aggiungere che il nichilismo trae oltremodo nutrimento dall'essere parmenideo, dalla mancanze di portare coerenza formale all'essere parmenideo, fra il suo essere assieme finito-infinito, il quale dilemma irrisolto ci ha posti davanti alla scelta fra due mondi: fra l'assoluto (propria della determinazione totale) e il relativo (propria dell'indeterminazione infinita); fra il diniego diveniente di Zenone e il diniego dell'immobilità eracliteo; fra il dominio platonico e gli schiacciati sofisti etc... Sì, tutto questo è sempre stato nella filosofia, fin dall'inizio, in questo atavico scontro che nell'una e nell'altra parte ha preso forme  e sviluppi diversi nel corso dei secoli e millenni. Quando scrissi "classificazione generalissima fra realismo e nichilismo" assegnando all'uno la perdita del soggetto e all'altro quella dell'oggetto...  in questo  passaggio voglio includere tutta la filosofia, senza riferirmi specificatamente a questo o quel filosofo di una o l'altra fazione, poiché all'una o all'altra prospettiva appartiene ogni filosofo occidentale. Però ho detto in senso "generalissimo".  
Ora immaginate un principio unico nel contempo finito-infinito senza contraddirsi formalmente, ma anzi necessariamente così. Se ne avrebbe che non si dovrebbe più scegliere fra immobilità-divenire, assoluto-relativo, fenomeno-noumeno, oggetto-soggetto etc giacché entrambi verità coesistenti benché diverse. Ciò che prima era un aut aut (o uno o l'altro) qui diviene una accettazione di entrambi, senza bisogno di scegliere ma con la capacità di armonizzare.
 
No viator, non hai bisogno di "saluti" perché mai ho affermato la sede dell'intuito in qualcosa di diverso dalla psiche. Mentre affermo la sede dell'istinto in ciò che viene chiamato "essere vivente": gli esseri viventi rilevano attività istintive, senza che questi abbiano necessariamente coscienza psicologica di tale istintualità né apparati centrali nervosi. Le piante superiori, dico, non i frutti, né i pezzi di legno morti... questi esseri vivi si compiono con istinto di sopravvivenza ("cosa è vivo?"). La rilevazione di questo fatto porta l'istinto a dislocarsi ma un mero aspetto psicologico (per quanto dalla psiche possa essere "manipolato") e a presenziarsi appunto in diversi esseri dotati di vita. Ora le cose sono due: o si nega il fatto di istintutalità negli esseri viventi; o l'attuale teoria di istinto proprio della psiche decade al pari delle idee cartesiana di urla animali solo come riscontro meccanico. Poi capisco il tuo disappunto su "esseri meccanici", ma puoi cambiare il termine se vuoi in "esseri fisici". Questa "meccanicità o fisicità" è la mia scelta terminologica  per identificare tutti gli esseri che si compiono senza instintualità vitale e intuitività psicologica, dai corpi macroscopici a quelli subatomici in semplici reazioni-azioni fisiche. A questo punto so bene che viene più facile giustificare l'istinto vivente come "nullo" per mantenere la teoria corrente di istinto come attività psichica, ciò comunque non toglie che la natura vivente (non meramente meccanica, fisica) continuerà a comportarsi con questi "strani" istinti di sopravvivenza, e di conseguenza voi (cioè questa vostra strana teoria di "istinto fisico nella psiche astratta") proseguirete con teorie di una certa confusione che faranno un giro immenso per provare a dire qualcosa con un adeguato riscontro naturale. Io, intendo, vedo tanta confusione in questa teoria attualmente dominante.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 11 Febbraio 2020, 02:26:11 AM
Mi sembra che la prima 0nda d'urto delle vostre obiezioni principali sia stata contenuta; avete quantomeno visto le possibilità per cui tale nuovo paradigma può dirsi attendibile. Ora sembra rimanga di esaminarlo. Mi permetto solo di riassumere alcune problematiche evidenziate da voi:

Il problema metafisico  (in 10 argomenti d filosofia):
Nel momento che esiste una cosa fuori di sé inizia il calvario metafisico, che inizia a placarsi quando si portano i valori della cosa fuori di sé dentro di sé.

Il problema soggetto-oggetto (in 10 argomenti d filosofia):
La compartecipazione fra l'oggetto sovrasensibile come ordine in sé delle cose (ragione in sé) e il soggetto sensibile come ordine apparente delle cose (fenomeno) in un'unica unità, senza duplicazione di realtà, inscindibili ma distinguibili, il primo come generale l'altro come particolare.
O={S} <--> O(S)

Il problema forma-materia:
Non dico che non ci sia di più oltre la forma ma che questo "di più" non nega la forma, così come la forma non nega esso. Per questo codesto paradigma si pone di giustificare le proprie asserzioni in forma coerente sia formalmente a sé che materialmente alle cose che descrive. E questa è una posizione ragguardevole e di distinguo.

Veduta filosofica (in Scalata critica al nichilismo):
Immaginate da dove vi guardo io... Parmenide pone il problema dell'essere che subito dopo si mostra essere finito-infinito; e non potendo (dicevan loro) essere contemporaneamente finito e infinito allora era finito o infinito:
L'incipiente è colui che contiene le possibilità, in questo caso consolida le forme che permettono una filosofia: già ai tempi di Platone esistevano "nichilisti inconsapevoli" che erano i sofisti, atomisti etc, i quali però non riuscivano a consolidarsi perché le problematiche platoniche erano più forti... fino all'arrivo di Kant, in cui le cose si invertirono e adesso è il realista che  non riesce più a consolidarsi perché le problematiche kantiane sono più forti. E qui giungo io, che supero il diverbio antico consolidando problematiche più forti: YO!

Differenza fisica-vita-psiche e meccanica-istinto-razionalità (in Guida mistica al noumeno e Dieci argomenti di filosofia):
Qui, la sede dell'istinto sono gli esseri viventi, la sede della razionalità sono gli esseri psichici. La razionalità consta dello strumento intuitivo, inconscio a razionalità spenta, e dello strumento concettuale, conscio a razionalità accesa.
Sembra che la possibilità degli esseri viventi stia entro i 5 sensi, mentre la possibilità degli esseri psichici entro sistemi nervosi centrali.

Qui inerente trovate:
2 articoli filosofici (Dieci argomenti di filosofia; Scalata critica al nichilismo)
2 articoli logici (Teoremi di coerenza e completezza; Unificazione generale della logica)
1 articolo linguistico (Linguaggio e noumeno)
1 articolo mistico (Guida mistica al noumeno)
1 articolo antico (Verità. Unione fra realismo e costruttivismo)
2 libri (Mondo. Strutture portanti. Dio, conoscenza ed essere, 2016; Libertà, 2018)

Se non ho risposto a qualcosa, scusate, è possibile non abbia visto o inteso come problema.
Per ora... GRAZIE
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: green demetr il 11 Febbraio 2020, 03:27:34 AM
Citazione di: Vito J. Ceravolo date=1580663392 link=topic=1952.msg40241#msg40241

color=black]Essendo l'in sé universale, cioè costante universale indipendente da chi la emette e riceve, allora la ragione di un oggetto resta la medesima indipendentemente dal linguaggio che la esprime; così come "casa" e "home" esprimono la medesima ragione in sé, si riferiscono allo stesso oggetto, pur davanti ai diversi effetti fenomenici che i diversi linguaggi possono produrre. Cosicché le interferenze dei linguaggi non alterino le verità di ragione.[5] [/color]

Definita la possibilità di accesso alla realtà in sé e la possibilità di comunicarla senza alterarne il valore in sé ma solo quello sensibile, ne segue il superamento del realismo e nichilismo. Ossia – ripeto– un terzo paradigma filosofico in grado di riconoscere la verità sia dell'in sé che del fenomeno, portando nuovo ordine intorno alla teoria della conoscenza e all'ontologia dell'essere.[6]





[4] ID. Guida mistica al noumeno, 2019. https://filosofiaenuovisentieri.com/2019/12/08/guida-mistica-al-noumeno-8-brevi-passi-per-accedere-allinvisibile/


Buonasera Vito J Ceravolo, intanto rispondo alla tua domanda iniziale.
Nei prossimi giorni recupererò i contributi degli altri utenti.


Ho letto con interesse il tuo ultimo articolo datato 2019 che ci hai linkato.

Naturalmente riconosco tutti i temi centrali della filosofia analitica contemporanea.


Per quel che mi riguarda mi ritengo un metafisico, quindi mi pare proprio che la abbiamo la stessa finalità di determinazione di cosa sia l'anima.
Mi pare che le nostre posizioni però si discostino in maniera considerevole.

Il materiale di cui parlare è vasto.


Ma direi di entrare subito a gamba tesa  ;)


Ho incontrato subito 2 errori fondamentali da cui potrà spero nascere un dialogo, in quanto anche io mi ritengo un idealista, e di fatto, sebbene mi sia chiaro che il tuo fine la porti in realtà alla negazione dell'idealismo stesso, da cui pure attinge a piene mani.

Il primo naturalmente è proprio di carattere complessivo, e che evita le infinite diverse argomentazioni di cui è imbevuta malamente la filosofia americana.

Vedi quando tu dici che la razionalità è la cosa in sè, stai facendo un torto anzitutto al buon Kant, in quanto la ragione è una facoltà dell'intelletto, il quale è puro proprio grazie alla intuizione, e di cui concordo insieme a te del valore CENTRALE, per un ordinamento della coscienza.

Il punto è che così facendo fai cortocircuitare il problema stesso che pure ti poni o dovresti porre, ossia che sia possibile accedere alla realtà.

Infatti il problema è che la realtà in quanto noumeno è fuori dalla ragione!

Invece tu sorvoli la questione ponendo come assioma la realtà come razionalità.

(attenzione è vero che Hegel dirà in seguito e differentemente da Kant che tutto ciò che è reale è razionale, ma lui non intende la razionalità come facoltà dell'intelletto! bensì come Spirito)


Un errore logico rispetto alla contemporaneità che invece come forse saprai dibatte non sulla realtà, bensì sul flusso di dati di cui la mente dispone (con dunque un sorpasso inaudito dell'idealismo, che pure rientra dalla finestra a mio modo di vedere nelle teorie del dualismo, che si riferiscono alla tradizone delle "teorie della cartolina (picturalism)" americane.)

Il secondo errore (anche se poi è semplicemente una diversa visione) è invece andando forse  nel cuore del nostro interesse comune, quando dici animo e non anima. Dando della spiritualità una concezione quasi individualista, mentre io la vedo come cosmologica. (Certo Jung qualcosa capisce, ma non rientra fra i miei filosofi preferiti).


Sintetizzando dunque ti chiedo come mai bypassi l'intera questione della analitica americana (anche se poi in realtà la affronti quando parli molto giustamente di sintesi attive e intenzionalità fenomenologica).
Il problema però che si imputa a Kant è proprio la mancanza invece del polo delle sintesi passive, che egli nega, ponendolo sul tavolo degli imputati come pensatori degli unicorni, ossia dei solipsisti.


Volendo inoltrarmi nella questione posso dirti che invece che personalmente la distinzione tra sintesi passive e negative (ossia quella degli oggetti che determinano il soggetto, o meglio oggi ridefinito riduzionisticamente "mente".) è ampiamente fraintesa, come se kant fosse solo la ragione pura e non anche quella pratica e del giudizio).

Ma appunto come dici giustamente tu (complimenti!) è proprio la mente che garantisce la presenza del soggetto. (ovviamente andrebbe ripensato il problema del dualismo cartesiano!anche qui non vorrei che non leggessi il problema, ma per oggi sorvoliamo).

Mi fermo qui.

ciao
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 11 Febbraio 2020, 15:56:34 PM
Ciao green demetr,
effettivamente attingo dall'idealismo e dal realismo, per poi unirli in questo paradigma così negandoli entrambi. Credo tuttavia che alcune tue obbiezioni svaniscano cogliendo le seguenti sfumature capaci di declinare il nostro discorso in altro modo.  


Io affermo la "ragione" come in sé, distinguendola dalla razionalità intesa invece come strumento astratto di accesso all'astratta ragione in sé delle cose, uno strumento presente negli esseri psichici, intellettuali; mentre la ragione in sé è l'ordine sovrasensibile proprio sia della psiche che della natura.
Così inquadrando si supera la problematica cartesiana: sia l'estensione (sensibile) che il pensiero (sensibile nel momento che si compie tramite linguaggio) hanno in comune la stessa unità di fondo che li lega e per cui si danno, la ragione in sé (sovrasensibile).
 
Ne segue, contrariamente a Kant, che non è la ragione la facoltà dell'intelletto bensì la razionalità. La ragione in sé è invece la realtà sottostante, l'oggetto, quel sovrasensibile sensibilmente insondabile, presente in sé sia in ambito psichico che non psichico. In questo modo si supera una problematica kantiana: la ragione in sé, sovrasensibile, è intelligibilmente accessibile. (Kant non definiva la cosa in sé, al contrario della ragione qui detta, per questo credo la sua incapacità a fornire una teoria della conoscenza esaustiva).
 
Ponendo la ragione in sé come ordine sovrasensibile da cui consegue l'ordine sensibile dei fenomeni e viceversa... da qui si supera il problema epistemologico/esperienziale: della cosa in sé si ha riscontro analitico mediato dalle sue conseguenze sensibili (p.s. lungo i vari sviluppi e implicazioni che si ritrovano intorno a questo passaggio, qui la problematica analitica).
 
Problematica kantiana:
Quando Kant afferma come scrivi tu che il problema della realtà in quanto noumeno è fuori dalla [razionalità], bisogna considerare che per mantenere tale posizione Kant ha dovuto sforzare il concetto di intuito, affermando appunto che non esiste un intuito intellettuale ma solo sensibile, poiché se esistesse l'intuito intellettuale esso potrebbe accedere a un noumeno intelligibilepoiché in grado di entrare in contatto con la realtà sottostante senza ricorrere alle classificazioni concettuali del soggetto, senza passare attraverso i ragionamenti concettuali, senza interferenze dell'osservatore sull'osservato.
 
Nella mia filosofia la psiche intellettuale ha due facoltà: una astratta razionale (preposta alle ragioni in sé) e una concreta corporea (preposta al fisico).Qui parliamo della facoltà astratta razionale divisa fra intuito (a razionalità spenta 0) e concetto (a razionalità accesa 1). In questo modo, tramite l'intuito intellettivo, diventa di principio possibile l'accesso immediato alla realtà in sé senza le interferenze dell'osservatore.  Naturalmente, poi, ogni descrizione di tale ragione in sé passa attraverso concettualizzazioni, le quali invece sono strumenti intellettuali a razionalità accesa (conscia), che quindi mediano personalmente l'universalità dell'in sé (p.s. il problema linguistico in merito a tale mediazione è superato in Linguaggio e noumeno).
 
Quindi lungi da me affermare cose come quelle hegelliane (tutto è razionale), in quanto la realtà può essere tanto razionale quanto irrazionale, essendo sia il razionale che l'irrazionale tali per la ragione in sé  per cui si dicono tali: la ragione in sé è l'ordine sia del razionale che dell'irrazionale (n.b. da qui possiamo convenire a casi di determinazione e altri di probabilità).
 
Il problema dello spirito lo possiamo condensare così: se vi è una ragione in sé (linguisticamente un senso) allora vi è un'unità, un ordine universale, uno spirito cosmologico (da intendersi diversamente dall'archetipo junghiano indicante invece un inconscio  patrimonio collettivo della specie umana). Tale "spirito cosmologico" non significa però conferire coscienza o mente propria alle cose (come una lampadina è tale per le ragione per cui è tale senza però essere cosciente), questo significa invece che vi è un ordine sovrasensibile in sé da cui consegue l'ordine sensibile.
 Il concetto di psiche, intesa come anima "individuale" e "cosciente", giunge invece negli esseri dotati di intelletto e razionalità, o come scrivi tu "dotati di mente propria". Allora si parlerà di psiche individuale (riferita a un soggetto pensate con mente propria), psiche collettiva (archetipo junghiano), psiche cosmologica (riferita brutalmente all'universale ragione in sé).
 
Il dibattito sui dati di cui la mente dispone, lo tratto un po' in questo articolo: Dieci argomenti di filosofia. Dove lo affronto sia dal punto di vista del "come li possiede?", "da dove li attinge?" etc.
 
Lo schema sopra condensato (da approfondire presso gli articoli) è così immune ad alcune tue obiezioni, green demetr, sotto questa sintesi:
1) Realtà di fondo, ragione in sé, sovrasensibilmente accessibile per via esclusivamente intelligibile (cfr. Cap. 1, Critica al nichilismo);
2) Razionalità come strumento di accesso alla ragione in sé, la quale ragione è razionalmente accessibile immediatamente attraverso l'intuito e mediatamente attraverso il concetto (cfr. Guida mistica al noumeno);
3) Analiticamente abbiamo l'affermazione epistemologica delle sovrasensibili ragioni in sé attraverso la mediazione del mondo sensibile che ne è una rappresentazione;
4) L'indifferenza della ragione in sé alle interferenze linguistiche che la comunicano o ai fenomeni che la manifestano (cfr. linguaggio e noumeno)
 
Per adesso io invece mi fermo qui, Green, sospendendo le tue chiare questioni su "attivo-passivo", "[pensiero] puro-pratico", (forse anche sul "materiale") perché penso che le stesse possano ricollocarsi una volta colta la delicatezza della struttura sopra presentata (p.s. la quale già da di per sé richiede un notevole sforzo di rimappatura  delle possibilità).


Grazie molte per adesso
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: green demetr il 11 Febbraio 2020, 22:44:15 PM
x vito j ceravolo

Mi piace l'idea che la cosmologia possa anche essere una caosmologia (ordine caotico), d'altronde le teorie della fisica inerziale parlano di quello.

Avevo già capito che la tua era una presa forte sulla problematica della teoria della percezione.

Dunque in effetti la realtà di cui parli, sebbene mi pare tu non attinga alla sua dialettica, è assimilabile per parallelismo o similitudine a quella hegeliana.

A mio parere c'è anche la possibilità della argomentazione tramite le categorie del buon Pierce, ossia delle inferenze. Ma mi va bene anche una posizione abbastanza dogmatica (in quanto contiene una assiomatizzazione, ossia che esista la realtà in sè)come la tua.

Si naturalmente a questo punto la questione come ben scrivi tu è una rimappatura di alcune problematiche contemporanee.
Ma di fatto ci siamo intesi che queste problematiche poichè provengono da una tradizione assai diversa, non potranno che essere assai facilmente aggirate. (non sono particolarmente interessato alle questione analitiche ma se vuoi darò una occhiata ai tuoi articoli)

Piuttosto.
Tornando al problema centrale, come pensi di aggirare il nichilismo contemporaneo? Pensi che sia una destinalità, una contraddizione dei nostri tempi, e ritieni la tua filosofia un antidoto forte ad esso?

Per quel che mi riguarda penso che il nichilismo sia una destinalità, esattamente descritto come da Severino.

Il fatto che esista una funzionalità attiva (la razionalità) ed una passiva (l'intuizione) sono entrambe problematiche a mio avviso per i seguenti motivi.

Che la funzionalità attiva è come ben detto da Brentano prima e poi con successo da Husserl poi, una intenzionalità.
Il problema è proprio nella dimensione psicologica, che come la psicanalisi insegna è facilmente vittima della ideologia.

Per quanto riguarda l'intuito, ossia la medianità umana (heidegger) al fondamento (od origine o Dio o Cosmo) il problema è ancora più arduo da affrontare.

In quanto se esiste un Dio, perchè non siamo salvati? e invece precipitiamo nel nichilismo?

Penso che la seconda questione è quella che mi sta più a cuore, mi chiedo se per caso hai già elaborato possibili piani di fuga o navigazione di quel mare in tempesta come scrive heidegger che si chiama nichilismo.


detto in altra maniera:
Quello che intendo dire se ti ho capito meglio è se credi veramente che una nuova teoria della consocenza basti da sola a far fronte ai problemi cosmologici(divini), piscologici (il soggetto, attivo o passivo che sia, non sono molto interessato alle definizioni, quanto alle problematiche sottese), e non di meno sociologici (per cui mi appoggio a Nietzche).


mi fermo qui 

ai prossimi dettagli! ciao!
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: green demetr il 11 Febbraio 2020, 22:58:15 PM
pensieri sparsi.

Citazione di: Ipazia il 03 Febbraio 2020, 09:03:20 AM
Ero rimasta ferma alla contrapposizione arcaica tra realismo e idealismo. Sussumere il secondo alla categoria del nichilismo ci può stare, ma mi pare uno scivolamento di bias filosofico verso lo spirito, o meglio moda, dei tempi. Con effetto boomerang sul realismo medesimo.

x ipazia

non credo che l'idealismo porti al nichilismo. perchè lo pensi? (ok domandona)
sono abbastanza d'accordo nel mettere l'accento sul fare attenzione al bias che riguardi lo spirituale, infatti il realismo non esiste come in sè. Per potersi dire ha bisogno dell'istituzione di una episteme. Che come tale è sempre spirituale, in quanto sempre presupposta.
Purtroppo è la moda analitica quella del bias. Non è quasi mai una questione del vero reale, ossia quello che si affronta sulla strada.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: green demetr il 11 Febbraio 2020, 23:05:32 PM
pensieri sparsi venuti in mente dopo bobmax, che saluto.

Citazione di: bobmax il 03 Febbraio 2020, 09:48:34 AM
Il nichilismo ha più a che fare con l'oggetto che con il soggetto.

Il nulla nichilistico è infatti un nulla valoriale. Conclusione inevitabile a cui giunge il pensiero razionale per il quale l'oggettività in sé è verità assoluta.

Quando viceversa è il soggetto ad essere considerato assoluto si cade allora nel solipsismo. Che è l'orrore della solitudine assoluta, ma non nichilismo: l'oggetto è puro nulla, che importanza può averne il valore?

A mio avviso l'errore di entrambe le posizioni non riguarda l'annullamento di uno dei due poli, il soggetto in un caso o l'oggetto nell'altro.

Infatti, seppur paradossalmente, l'errore consiste invece nel considerare "reale" l'oggetto nel caso del nichilismo e "reale" il soggetto nel caso del solipsismo.
Mentre neppure loro lo sono.

L'Assoluto è solo nell'annullamento di entrambi i poli.


Il nichilismo esula dall'oggetto, in quanto è sempre questione del soggetto.

D'altronde non esiste un soggetto assoluto nell'idealismo, e a ben vedere pure nel solipsismo.

Diciamo che l'assolutizzazione delle pretese del soggetto (politico) e dell'oggetto (imagginato come tale) sono enrambe vittima del  nichilismo, che in fin dei conti è l'ascesca della pretesa di scienza dai greci ad oggi, quella sì assoluta.

Nella realtà invece le scienze sono miglialia, e migliaia le guerre all'interno fra loro.
Esattamente come nella politica.

Il nichilismo come ascesa della tecnica è invece esente da simili fantasie, ed esprime la potenza dell'oggetto, a detrazione del concetto di anima (greco-cristiano).


Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: green demetr il 11 Febbraio 2020, 23:14:08 PM
ultimo pensieri sparsi odierno, saluto Iano che mi ha aiutato e ispirato la scrittura.

Citazione di: iano il 03 Febbraio 2020, 14:17:27 PM
@ Vito.
Io posso tutto perché niente è.
No non mi riconosco in ciò.
Evidentemente il mio è un nichilismo , se tale è, anomalo.
Io posso provare ogni percorso e sceglierne uno , anche se il punto di partenza non l'ho scelto io , ma mi ci sono trovato.
Posso analizzare quindi il punto di partenza come un percorso che altri , allo stesso modo , e in liberta' , hanno scelto.
Posso anche scegliere liberamente di restare al punto di partenza , una volta che lo abbia analizzato .
Il percorso può consistere semplicemente nella presa di coscienza di dove mi trovo veramente.
Ogni viaggio lo si fa' solo per tornare a casa , trovandola diversa da come la abbiamo lasciata.
Io voglio far progredire la mia conoscenza in modo responsabile e cosciente , riguardandola per quel che è, consapevole del fatto che non tutto passa per la coscienza , e che io non sono solo coscienza .
Non esistono soggetti e oggetti separati se non per conveniente convenzione.
Necessaria convenzione di cui il mio nichilismo pretende di far virtù , se nichilismo è.
Ciò che è negativo è credere fino in fondo ( realismo ingenuo) nelle distinzioni utili che facciamo per convenienza, bloccandone così le potenzialità.
Credo sia una pura questione di tempismo.
Una recita deve andare a termine , ma non si può ripetere in eterno , ciò a cui saremmo condannati se possedessimo la conoscenza delle cose in se'.
Un po' come essere in paradiso , dove mi auguro il tempo non esita , perché non saprei come riempirlo.
Direi che il segreto è nel coraggio di essere se stessi , anche se non sappiamo bene cosa siamo.
La coerenza la do' , magari incoscientemente , per scontata , per il motivo che l'unica definizione di caos possibile è la sua negazione e non viceversa.
Nel momento in cui definisco A , allora definisco non A , e non sono la stessa cosa.
Lo sono solo un attimo prima di definirli.
Nel momento in cui decido che A=non A , allora ho rigettato , come liberamente posso fare , la mia definizione di comodo , che non corrisponde alla realtà, ma .. risponde alla realtà. , e le risposte non sono univoche.
Ma ciò non significa che nulla ha valore.
Significa solo che il valore che diamo alle cose non ha una origine che possiamo controllare in modo cosciente .
Questo fa' si che possediamo il concetto di bene , senza sapere dire esattamente cos'e'.
Il bene non esiste solo perché io non ne ho il pieno controllo.

Il nichilismo di cui parli che mi pare traspaia da questi interventi è il fatto che tu ritenga la coscienza a mò di realismo magico, come se fosse una chimera, meglio un genio benigno.

Il nichilismo risiede nella fattualità che per te il reale come antagonista al soggetto NON ESISTE.

Questo è un grosso problema, non ti permette di fare i conti con la politica e il suo fantasma ossia l'ideologia.

Come questo danneggi la tua anima, sarebbe discorso ampio, ma di fatto è quello il problema reale a cui porta il nichilismo.
Che il realismo magico (tuo sintomo) impedisce al soggetto di convenire su ciò che lo determina.

E che vito j ceravolo chiama giustamente ordine del reale, ossia ragione in sè.

Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: paul11 il 12 Febbraio 2020, 14:23:10 PM
per Vito Ceravolo


Dopo essermi letto tutti i link attentamente rimango perplesso su diversi concetti e riformulazioni, ma la cosa essenziale su cui sono pienamente d'accordo con te riguarda il nucleo sull in-sè come ragione.Non c'è nessun oggetto nell'universo, filosoficamente, scientificamente, che non abbia ragion d'essere e sta a noi come umani saper costruire ,o meglio ricostruire quell'in sé a cui apparteniamo come senso. Personalmeente lo definisco come regola, come ordine che si dà come ragione,che si manifesta come insiemi di vite, linguaggi, fenomeni naturali, pensiero, che appartengono tutti a quell'in sé.

Il realismo ha il suo punto di forza che nonostante noi , la nostra presenza nell'universo, ogni oggetto, ogni fenomeno segue regole, leggi che persino la scienza moderna ha decretato, dopo che la filosofia aveva prima intuito. I soggetti umani vanno e vengono, e le leggi universali seguono il loro corso imperterrite: ciò induce già intuitivamente che vi sia un senso che relazioni i particolari all'interno di una ragione in sé, siamo insiemi e sottoinsiemi concentrici dove proprietà, caratteristiche decretano le categorie, le classificazioni, ma tutto dentro un' unica ragione in sé, per il semplice fatto che ogni cosa che è ha una sua ragion d'essere.

Le perplessità, che devono essere prese come eventuale critica costruttiva, riguardano tue risposte ai seguenti post di questa discussione: in nero le tue risposte, in verde le mie perplessità

# 15
è dove hai colto che io separo l'essere dal divenire se ho invece scritto che sono inscindibili?

Se l'in sé è la ragione soprasensibile e il sensibile è ciò che appare, l 'essere non è riducibile all'apparire e sparire: questo è nichilismo.

Se per inscindibili,invece, si intende non contrapposti, ma comunque inseriti nell'insieme in cui l'essere si fa esistenza, allora sono d'accordo.

# risposta a Phil
come già detto la forma logica dell'idealismo è la stessa del nichilismo, essendo quest'ultimo una conseguenza diretta del primo, una sua implicazione resa visibile da Nietzsche. In entrambi i casi, da Kant sino ad oggi, tutta la filosofia occidentale si è mossa sull'inesistenza della realtà in sé, cioè sulla forma
A=non-A.
Per quanto riguarda il realismo, invece, quindi da Platone sino a Kant, tutta la filosofia dominante si è mossa sulla forma parmenidea A=A e non può esser non-A, senza però essere in grado di giustificare tale forma (cfr. problemi parmenidei) e quindi con la conseguente caduta del sistema ingenuo realista.


Nietzsche a tuo parere pensa bene di Hegel e di Kant, se assumiamo che Nietzsche ne sia il continuatore?


La forma dialettica di Hegel, seguendo le tue terminologie, è soprasensibile(astratto) e sensibile(concreto) mediati dalla coscienza attraverso l'intelletto. Hegel, Kant e Nietzsche sono tre filosofi ben distinti.


L' in sé kantiano non è la ragione e il suo soggettivismo è nella gnoseologia, l'in sé hegeliano è quando un concetto astratto o fenomeno sensibile sono in-sè-e-per sé, ovvero senza la mediazione della coscienza che trasporta la percezione sensibile nell'astratto concettuale con l'intellegibile; l'in sé di Nietzsche non c'è proprio e non vuole nemmeno chiederselo, il suo nichilismo è la distruzione della tradizione.


Platone crede sia all'Essere (Uno) degli eterni che al divenire delle apparenze.

Parmenide sì, è vero ritiene l'essere non poter non-essere (a=a) e quindi ritene non possa esserci il divenire, ma è l'unico a sostenerla.

#38
Da me il dualismo è sepolto nel momento stesso che ciò che appare è conforme alla ragione per cui appare e viceversa


Quindi non c'è bene o male, giusto o sbagliato e le controversie, il pensare diversamente fra umani è giusto e quindi......tutto vada così poiché ogni cosa che appare è ragione in sè? Questo è una forma del relativismo..


Dalla tua filosofia spariscono termini semantici, mi pare volutamente, fondamentali nella costruzione filosofica, o che diventano ridotti in quanto significazione. Mi pare la filosofia non del "così è se vi pare", ma del così è e basta.


Se il pensiero è sensibile, quindi la geometria ,la matematica, li troviamo nei boschi e il pensiero è visibile al microscopio? Ci sono proprietà ,attributi umani che hai anche ben descritto che non appartengono alla natura, la natura non è un'interpretante che si fa domande e cerca risposte costruendo filosofie, si compie ed è bastevole a se medesima ripetendosi.


Il linguaggio è il tramite per cui il sensibile è possibile interpretarlo in segni, sensi, significati e per poterlo fare non può essere solo all'interno del sensibile per quanto razionale possa essere un concetto che ne faccia sintesi. E questo non è dualismo "forte".



La sintesi avviene sempre nel soprasensibile, quello di cui il linguaggio razionale sensibile "non può dire" secondo Wittgenstein Se rimanesse nel sensibile razionale il pensiero avrebbe ragione Wittgenstein che non può infatti inserirci il mistico.


Il dualismo rimane come contraddittorio, ma non scalfirebbe la ragione in-sè che lo comprende.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 12 Febbraio 2020, 17:38:01 PM
Citazione di: green demetr il 11 Febbraio 2020, 22:58:15 PM
Citazione di: Ipazia il 03 Febbraio 2020, 09:03:20 AM
Ero rimasta ferma alla contrapposizione arcaica tra realismo e idealismo. Sussumere il secondo alla categoria del nichilismo ci può stare, ma mi pare uno scivolamento di bias filosofico verso lo spirito, o meglio moda, dei tempi. Con effetto boomerang sul realismo medesimo.

x ipazia

non credo che l'idealismo porti al nichilismo. perchè lo pensi? (ok domandona)

Lo ha posto Ceravolo sostituendolo nella contrapposizione classica tra realismo-idealismo al secondo termine.

Poichè sul nichilismo, grande è la confusione sotto il cielo della filosofia (non è che realismo e idealismo se la passino meglio) Phil ha opportunamente chiesto di che nichilismo si stava parlando. Anche in questo forum mi pare ognuno ne abbia una sua idea particolare, più o meno supportata dai rispettivi "maestri".

Il mio, supportato dal maestro maledetto e non solo, è nella sua citazione, richiamata pure nelle note del primo link di Ceravolo (in totale disaccordo tra noi sul significato filosofico), che per me ha un senso totalmente antinichilistico e quindi il nichilismo sta dall'altra parte, nel mondo-dietro-il-mondo reificato e ontologizzato dall'idealismo.

Citazionesono abbastanza d'accordo nel mettere l'accento sul fare attenzione al bias che riguardi lo spirituale, infatti il realismo non esiste come in sè. Per potersi dire ha bisogno dell'istituzione di una episteme. Che come tale è sempre spirituale, in quanto sempre presupposta.

Il dualismo tra episteme e ontos, epistemico e ontico, vi è ma ha da essere trasparente. Consapevole del piano diverso in cui gli enti (cartesiani) operano e della loro gerarchia funzionale nell'"ordine del reale".

CitazionePurtroppo è la moda analitica quella del bias. Non è quasi mai una questione del vero reale, ossia quello che si affronta sulla strada.

Una moda che si combatte a sciabolate di (accuse di) "nichilismo" da una parte e dall'altra (effetto boomerang), senza mai chiamare in causa i fondamenti teoretici, forse perchè allora lo scontro diventerebbe troppo trasparente, veridico, ovverosia "ingenuo" secondo la prospettiva della cattedra.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 12 Febbraio 2020, 22:21:55 PM
Ciao Pauli11,
grazie per la cura. Quando tu dici «rimango perplesso su diversi concetti e riformulazioni» ... ciò lascia presagire un miglioramento, o di maggiore consolidamento o di migliore riformulazione. Quando tu dici «lo definisco [l'in sé] come regola, come ordine che si dà come ragione,che si manifesta come insiemi di vite, linguaggi, fenomeni naturali, pensiero, che appartengono tutti a quell'in sé» .... io rispondo "certo".  Quando tu dici «sono pienamente d'accordo con te riguardo il nucleo sull in-sè come ragione»... io dico "bene!".
 
Rispondo alla tua critica costruttiva (in rosso la mia tesi, in verde la tua antitesi, in nero la mia sintesi) 

 #1 è dove hai colto che io separo l'essere dal divenire se ho invece scritto che sono inscindibili?
Se l'in sé è la ragione soprasensibile e il sensibile è ciò che appare, l 'essere non è riducibile all'apparire e sparire: questo è nichilismo.
Da me in assoluto l'essere è il divenire perfetto di sé, cioè all'infinito l'essere diviene simultaneamente ogni cosa, l'Immobilità. Non c'è alcun sparire nel nonEssere presso la mia ontologia, ma, all'assoluto, un restare eterno dato dal perfetto divenire di tutte le possibilità. «Principio di immobilità: il divenire perfetto di sé» (cfr. Mondo, 2016, p. 124). La mia ontologia è diversa dalla vostra. Il mio piano ontologico si trova nel libro appena citato (Mondo, 2016)
Se per inscindibili,invece, si intende non contrapposti, ma comunque inseriti nell'insieme in cui l'essere si fa esistenza, 11allora sono d'accordo.

Inscindibilità può essere fra non contrapposti quanto fra contrapposti, benché inseriti nell'insieme che dici tu.


#2 come già detto la forma logica dell'idealismo è la stessa del nichilismo, essendo quest'ultimo una conseguenza diretta del primo, una sua implicazione resa visibile da Nietzsche. In entrambi i casi, da Kant sino ad oggi, tutta la filosofia occidentale si è mossa sull'inesistenza della realtà in sé, cioè sulla forma A=non-A. Per quanto riguarda il realismo, invece, quindi da Platone sino a Kant, tutta la filosofia dominante si è mossa sulla forma parmenidea A=A e non può esser non-A, senza però essere in grado di giustificare tale forma (cfr. problemi parmenidei) e quindi con la conseguente caduta del sistema ingenuo realista.
Nietzsche a tuo parere pensa bene di Hegel e di Kant, se assumiamo che Nietzsche ne sia il continuatore?
Che c'èntra? L'odio che si prova non è segno di discontinuità.
La forma dialettica di Hegel, seguendo le tue terminologie, è soprasensibile(astratto) e sensibile(concreto) mediati dalla coscienza attraverso l'intelletto. Hegel, Kant e Nietzsche sono tre filosofi ben distinti.
Sì.
L' in sé kantiano non è la ragione e il suo soggettivismo è nella gnoseologia, l'in sé hegeliano è quando un concetto astratto o fenomeno sensibile sono in-sè-e-per sé, ovvero senza la mediazione della coscienza che trasporta la percezione sensibile nell'astratto concettuale con l'intellegibile; l'in sé di Nietzsche non c'è proprio e non vuole nemmeno chiederselo, il suo nichilismo è la distruzione della tradizione.  
Da solo queste definizioni io scherzosamente leggo: Kant costringe la realtà alle categorizzazioni soggettive, hegel ricorda che la realtà in sé non è accessibile con categorie, Nietzsche la uccide. Io direi una bella consecuzione.
Platone crede sia all'Essere (Uno) degli eterni che al divenire delle apparenze.
«Di Platone si racconta che disse "Eterni, ma salviamo le apparenze!" Tutti lo applaudirono e poi uccisero le apparenze. Di Kant si racconta che disse "Soggetto, ma salviamo la cosa in sé!" Tutti lo applaudirono e poi uccisero la cosa in sé.» Questa storiella te l'ho raccontata per dire che c'è qualcosa di più profondo in una filosofia: sono le fondamenta che portano poi a determinati omicidi. E le fondamenta kantiane di sollevamento del soggetto sull'oggetto hanno portato al parricidio nietzscheniano dell'in sé.
Parmenide sì, è vero ritiene l'essere non poter non-essere (a=a) e quindi ritene non possa esserci il divenire, ma è l'unico a sostenerla.
Parmenide non sa.

#3 Da me il dualismo è sepolto nel momento stesso che ciò che appare è conforme alla ragione per cui appare e viceversa
Quindi non c'è bene o male, giusto o sbagliato e le controversie, il pensare diversamente fra umani è giusto e quindi...tutto vada così poiché ogni cosa che appare è ragione in sè? Questo è una forma del relativismo..
Se il meccanismo della ragione lascia aperte le possibilità di caso e libertà, allora rimangono vive le controversie etc. Di questa possibilità ne parlo nel libro Libertà (2018) e la sintetizzo ogni volta che dico che la ragione è l'ordine sia del razionale che dell'irrazionale.
Dalla tua filosofia spariscono termini semantici, mi pare volutamente, fondamentali nella costruzione filosofica, o che diventano ridotti in quanto significazione. Mi pare la filosofia non del "così è se vi pare", ma del così è e basta.

Vi vedo così distanti che per ora non ho tempo di strutturare le frasi lasciando spazio anche al dubbio. Quello ce lo puoi mettere da solo... dubitare. Per me ora è importante mostrare le possibilità di questa filosofia.
Se il pensiero è sensibile, quindi la geometria ,la matematica, li troviamo nei boschi e il pensiero è visibile al microscopio? Ci sono proprietà ,attributi umani che hai anche ben descritto che non appartengono alla natura, la natura non è un'interpretante che si fa domande e cerca risposte costruendo filosofie, si compie ed è bastevole a se medesima ripetendosi.
La tua domanda è come se tu mi chiedessi perché, se la voce è sensibile, allora non la vedo al microscopio... Ogni cosa sensibile ha il suo modo di sensibilizzarsi. La sensibilità del pensiero si manifesta nella  lingua adottata per svolgerlo, di cui ne puoi sentire il suono, le parole... e tutto quello che si sente è sensibile.  Una più giusta critica, invece, secondo me si svolge su queste domande: esiste un pensiero sciolto da un linguaggio? il linguaggio è sensibile?
Il linguaggio è il tramite per cui il sensibile è possibile interpretarlo in segni, sensi, significati e per poterlo fare non può essere solo all'interno del sensibile per quanto razionale possa essere un concetto che ne faccia sintesi. E questo non è dualismo "forte".
Il linguaggio è il tramite per cui il sovrasensibile e il sensibile possono essere interpretati in segni. Se poi vuoi dire che il pensiero deve avere un piede anche nell'astratto... mi va bene, lo trovo vero, il pensiero ha componenti astratte, ma devi argomentare meglio tanto il problema quanto le soluzioni...  
La sintesi avviene sempre nel soprasensibile, quello di cui il linguaggio razionale sensibile "non può dire" secondo Wittgenstein
In Linguaggio e noumeno argomento invece che non c'è nulla di cui non si possa dire... quindi posso parlare anche della cosa in sé, in quanto ragione è definibile, ma ne posso parlare solo attraverso alcuni schemi e non altri, schemi anche veri sì, ma non coprenti la totalità delle verità che si possono dire. Voglio dire: posso parlare della ragione in sé, definirla adeguatamente, dirne verità, anche se essa rimarrà sempre qualcosa di altro dalla pochezza descrittiva dei miei schemi concettuali, qualcosa di oltre qualunque nostro linguaggio, concetto e sensibilità.
Se rimanesse nel sensibile razionale il pensiero avrebbe ragione Wittgenstein che non può infatti inserirci il mistico.
Non ho capito.
 
Grazie Pauli11, con la pari conoscenza degli articoli abbiamo alzato di gran tenore il confronto.



Ciao green,
non credo che sia... dico invece che se regge, questo paradigma è un antidoto al nichilismo tanto quanto il nichilismo è un veleno a più alte astrazioni e a più ampie previsioni. 
 
Mi chiedi se «ho elaborato possibili piani di fuga [da] quel mare in tempesta come scrive heidegger che si chiama nichilismo»? Bene: tutti gli articoli legati a questo gioco sono vie di fuga dal nichilismo, ognuno a suo modo, o meglio, ognuno a suo modo descrive un aspetto o più aspetti di questo nuovo paradigma: dalla teoria della conoscenza a quella della percezione e della mente (dieci argomenti di filosofia), sulle forme logiche etc. Perché io concordo con te quando dice che una teoria della conoscenza non   può dare tutte le risposte necessarie agli altri campi conoscitivi... essa però è comunque una via, a cui si deve risposta, (e a farmi domande di teoria della conoscenza lo hai fatto tu). Negli articoli e nei libri trovi i piani da cui la via di fuga...
 
Attenzione quando dici che la mia è una posizione dogmatica, perché pongo le condizioni di verificazione della ragione in sé,  mediatamente tramite le sue conseguenze sensibili e di coerenza formale, quindi ponendo interesse alle relazioni sino agli oggetti tramite cui la relazione si dà.
 
Fra le funzioni razionali abbiamo il concetto (attivo - razionalità accesa) e l'intuito (passivo - razionalità spenta):
Però si, concetto attivo e intuito passivo.

Per ora mi fermo qui, Green. A presto.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: paul11 il 13 Febbraio 2020, 01:16:29 AM
Ciao Vito C.
in verde le mie risposte alle tue considerazioni che sono in nero.


Da me in assoluto l'essere è il divenire perfetto di sé, cioè all'infinito l'essere diviene simultaneamente ogni cosa, l'Immobilità. Non c'è alcun sparire nel nonEssere presso la mia ontologia, ma, all'assoluto, un restare eterno dato dal perfetto divenire di tutte le possibilità. «Principio di immobilità: il divenire perfetto di sé»(cfr. Mondo, 2016, p. 124). La mia ontologia è diversa dalla vostra. Il mio piano ontologico si trova nel libro appena citato (Mondo, 2016)
Capisco e può andare bene, a mio parere.

Inscindibilità può essere fra non contrapposti quanto fra contrapposti, benché inseriti nell'insieme che dici tu
Esatto

«Di Platone si racconta che disse "Eterni, ma salviamo le apparenze!" Tutti lo applaudirono e poi uccisero le apparenze. Di Kant si racconta che disse "Soggetto, ma salviamo la cosa in sé!" Tutti lo applaudirono e poi uccisero la cosa in sé.» Questa storiella te l'ho raccontata per dire che c'è qualcosa di più profondo in una filosofia: sono le fondamenta che portano poi a determinati omicidi. E le fondamenta kantiane di sollevamento del soggetto sull'oggetto hanno portato al parricidio nietzscheniano dell'in sé.
E' vero, i chiarimenti aiutano.

Se il meccanismo della ragione lascia aperte le possibilità di caso e libertà, allora rimangono vive le controversie etc. Di questa possibilità ne parlo nel libro Libertà (2018) e la sintetizzo ogni volta che dico che laragione è l'ordine sia del razionale che dell'irrazionale.
Concordo

La tua domanda è come se tu mi chiedessi perché, se la voce è sensibile, allora non la vedo al microscopio... Ogni cosa sensibile ha il suo modo di sensibilizzarsi. La sensibilità del pensiero si manifesta nella  lingua adottata per svolgerlo, di cui ne puoi sentire il suono, le parole... e tutto quello che si sente è sensibile.  Una più giusta critica, invece, secondo me si svolge su queste domande: esiste un pensiero sciolto da un linguaggio? il linguaggio è sensibile?
La voce è riproducibile perfettamente, il pensiero no.
La linguistica o meglio la logica proprosizionale moderna, da Frege in poi, compreso Wittgenstein, considera il termine sensato all'interno della natura, non della filosofia. Il maestro di Husserl, Brentano divenne famoso per la psicologia empirica, di cui fu allievo anche un certo Sigmund Freud. Husserl si scontrò con Frege, per il soggettivismo psicologico implicito nel concetto di intenzionalità. Frege voleva togliere la psicologia dal linguaggio, per matematicizzare il linguaggio.

La questione filosofica è che la realtà nel linuguaggio sposa la tesi naturale, ripudiando la metafisica e desoggettivando il linguaggio.
La mia tesi è che dall'empirismo (Locke, Hume) in poi, quindi dopo il razionalismo(Cartesio, Spinoza) e prima di Kant, la metafisica finisce, il campo razionale diventa la natura.Il soggettivismo è una conseguenza per cui la psicologia sostituisce lo spirito(l'ultimo è Hegel), tutto diventa a misura di uomo. Il soggettivismo c'è e non c'è contraddittoriamente nella realtà. I protocolli ,le procedure, i processi, le pratiche ,tendono a desoggettivare per togliere l'errore umano, compreso il metodo scientifico, Eppure contraddittoriamente c'è chi umanamente deve costruire standard, procedure, protocolli e intuire ,prima di concettualizzare ingegnosamente un pensiero innovativo scientifico, una scoperta,ecc.

L'intuizione è sciolta da uno standard procedurale, non è ancora pensiero concettuale, non ancora razionale. Il linguaggio denotando qualcosa; sposta l'oggetto,quel qualcosa, dal sensibile e lo segna(con una parola, con un suono, con un simbolo ecc), lo significa portandolo nel pensiero.
Ma il pensiero può pensare i propri pensieri raccolti nel sensibile, quindi anche in assenza del sensibile e può esprimerli in miti, logica, in metafora, in allegoria, in giochi di parole, in gesti,ecc.

L'in-sè della ragione non è accessibile tramite SOLO il sensibile, e infatti trovi l'opposizione di tutti i forumisti che non sanno uscire dalla natura, dal sensibile, dal materico, dal linguaggio in questo congeniale e convenzionale che oggi è cultura dominante.
Ti appoggeranno i metafisici, non certo i naturalisti e relativisti.
La soluzione è la via che stai tentando, unificando le antitesi, le dialettiche, le dualità, i contrapposti.

In Linguaggio e noumenoargomento invece che non c'è nulla di cui non si possa dire... quindi posso parlare anche della cosa in sé, in quanto ragione è definibile, ma ne posso parlare solo attraverso alcuni schemi e non altri, schemi anche veri sì, ma non coprenti la totalità delle verità che si possono dire. Voglio dire: posso parlare della ragione in sé, definirla adeguatamente, dirne verità, anche se essa rimarrà sempre qualcosa di altro dalla pochezza descrittiva dei miei schemi concettuali, qualcosa di oltre qualunque nostro linguaggio, concetto e sensibilità.
Certo che è così come dici, è l'unico modo per dare senso al tutto, all'universalità delle cose.

In conclusione: ogni teoria filosofica ha implicazioni teoriche e pratiche e la modalità in cui relaziona i concetti, soprattutto quelli paradigmatici, decidono la morale, l'etica,la politica, l'economia, insomma la nostra vita.

Ho letto la tua risposta a Green, va bene, il tuo modo di procedere ,parere mio personale, è sulla via giusta.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 14 Febbraio 2020, 01:01:53 AM
Ciao Paol11,
allora abbiamo questo problema: lo strumento astratto del pensiero si svolge con linguaggio sensibile (parole, suoni, simboli); poiché è solo tramite linguaggio sensibile che noi sentiamo i pensieri; come se il pensiero fosse un astratto fatto carne dal linguaggio con cui si conduce. Bel rompicapo. Come facciamo?
(In verde tu,nero io)
La voce è riproducibile perfettamente, il pensiero no.
Per dirti che hai ragione tu, ricordo che le scariche cerebrali o le l'attività dei neuroni o del sistema nervoso centrale, sono una misura fisica miserabile alla spiegazione delle attività del pensiero.
Il linguaggio denotando qualcosa; sposta l'oggetto,quel qualcosa, dal sensibile e lo segna(con una parola, con un suono, con un simbolo ecc), lo significa portandolo nel pensiero.
Allora è possibile che la funzionalità cosciente della razionalità (il concetto, per sua natura schematizzante) presupponga la costruzione di segni (parole suoni simboli) tramite cui conseguentemente si sente il pensiero?
 
Note a margine (In verde tu, nero io):
L'in sé come ragione è accessibile immediatamente solo con uno strumento razionale inconscio, passivo, spento, cioè capace di entrare in contatto con le ragioni in sé senza gli schemi concettuali del soggetto, senza interferenza dell'osservatore sull'osservato, oltreché in misura extrasensoriale. Noi conosciamo l'intuito quale strumento di tale tipo. Per quanto riguarda i materialisti invece, per impedire questa filosofia devono prima di tutto negare di affidarsi a delle ragioni sovrasensibili per spiegare la materia. Una volta che hanno capito che non possono negare ciò, si ricorda loro che un presupposto di correttezza di questa filosofia è la sua coerenza naturalistica: nel senso di coerenza materiale a ciò che descrive... e che questo paradigma, riconoscendo la verità dei fenomeni, presuppone la coerentizzazione della relatività. 
La soluzione è la via che stai tentando, unificando le antitesi, le dialettiche, le dualità, i contrapposti.
E tu che fai? Perché questo "nuovo mondo" è grande da costruire e mi pare che tu ti trovi anche tu qua, soprattutto in previsione di quando vedi: «ogni teoria filosofica ha implicazioni teoriche e pratiche e la modalità in cui relaziona i concetti, soprattutto quelli paradigmatici, decidono la morale, l'etica,la politica, l'economia, insomma la nostra vita»
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: green demetr il 14 Febbraio 2020, 09:45:43 AM
x Paul e Vito J Ceravolo  (con un accenno a Ipazia)

Il problema delle pratiche che scaturiscano dal dogma, è che quasi sempre non rispondono al nichilismo.

Il nichilismo non è legato tanto all'uccisione della realtà, semmai alla sua negazione come discorso.(nietzche)

Ossia nell'epoca moderna il concetto di verità è gravemente in difficoltà.

Le filosofie analitiche continentali che sinora si sono impegnate nel rispondere  a Nietzche mi paiono dogmatiche e pericolose.

Non a caso sono sfociate nel transumanesimo.

Come se la ragione in sè (nell'accezione di vito) o l'ordine naturale (nell'accezione di paul) potessero veramente porsi in un iperuranio.

Ha dunque ragione Ipazia nel sottolineare che la visione del mondo dietro al mondo, di solito è una modalità di non pensare alle pratiche quotidiane.

Detto questo per me l'idealismo è esattamente lo studio del soggetto a partire dal lato psicologico (hegel non kant)

Il soggetto che non si dedichi all'attività di critica del proprio agire difficilmente può attingere all'agire degli altri, figuriamoci del Mondo intero.

Naturalmente Vito J Ceravolo conosco e mi interesso dei processi conoscitivi, ma SOLO come mappatura critica della medianità che è l'uomo, esattamente come elaborato da Heidegger.
Ossia nella descrizione critica del Dio "che ci parla". (Le religioni sono solo un modo del discorso che tenta di dare parola al Dio.
Ma la religione è la parola dell'uomo ovviamente, non di Dio.)

Il muro del naturalismo è purtroppo un muro che ancora nella mia vita nessuno ha ancora capito.

Comunque si può rimanere nell'ambito della critica che stiamo facendo.

Effettivamente le nostre posizioni cari amici sono di fondo le stesse, o molto vicine.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: paul11 il 14 Febbraio 2020, 15:50:18 PM
ciao Vito C.
in nero le tue considerazioni, in verde le mie
Citaz Vito C.
Allora è possibile che la funzionalità cosciente della razionalità (il concetto, per sua natura schematizzante) presupponga la costruzione di segni (parole suoni simboli) tramite cui conseguentemente si sente il pensiero?

Sì, se penso a come un bambino compie il salto linguistico quando sa denotare un qualcosa con un

nome. Ma presupppone aree fisiche linguistiche all'interno del cervello fisico, atte allo sviluppo di un linguaggio, Il pensiero è il sistema di relazione dei nomi che denotano le cose e dentro un senso proposizionale. Infatti prima il bambino "immagina e fantastica" con il pensiero, poi impara (indotto pedagogicamente e quindi condizionato linguisticamente) a costruire poco per volta razionalmente. Imita inizialmente ,imparando a memoria tabelline, regole ortografiche, ecc.giocando.

Solo nell'adolescenza inizia un pensiero critico.

L'in sé come ragione è accessibile immediatamente solo con uno strumento razionale inconscio, passivo, spento, cioè capace di entrare in contatto con le ragioni in sé senza gli schemi concettuali del soggetto, senza interferenza dell'osservatore sull'osservato, oltreché in misura extrasensoriale. Noi conosciamo l'intuito quale strumento di tale tipo. Per quanto riguarda i materialisti invece, per impedire questa filosofia devono prima di tutto negare di affidarsi a delle ragioni sovrasensibili per spiegare la materia. Una volta che hanno capito che non possono negare ciò, si ricorda loro che un presupposto di correttezza di questa filosofia è la sua coerenza naturalistica: nel senso di coerenza materiale a ciò che descrive... e che questo paradigma, riconoscendo la verità dei fenomeni, presuppone la coerentizzazione della relatività.

L'in sé è prima intuizione, non ancora concettualmente razionale.

E la tua intuizione è interessante, quando dici che è passivo, spento, perché non è ancora volontà conscia, non è ancora attività razionale, quando è "acceso".



I materialisti hanno accentuato  la divisione fra extensa e cogito , ma non riescono a unirli.

La trascendentalità kantiana è di fatto un processo mentale, come lo è stato l'intenzionalità nella fenomenologia husserliana. Ecco forse ti consiglierei di schematizzare come Kant e poi Husserl compiono i processi gnoseologici, per avere spunti, intuizioni.

Hanno studiato il soggetto umano come fa a costruire un pensiero e a tutt'oggi il monismo o dualità fra mente e cervello non è sciolto dai filosofi dalla mente..

Ma questo soggetto umano è totalmente avulso dalla ragione in sé.

Perdendo la relazione della realtà, del rapporto fra essere umano e la ragione per cui esiste la vita(il rapporto essere con la ragione dell'in sè), si sono concentrati sugli strumenti, così hanno trattato della ragione in se ma solo umana, dello strumento linguistico(tutta l'analitica angloamericana), arrivando all'attuale filosofia della mente. Non hanno via d'uscita.

Allora daccapo "Conosci te stesso", sul tempio di Delfi. Era riferito al corpo fisico? Un elemento chimico fisico si chiede perché è, perché è del mondo e che ci sta a fare?

Studiando il cervello fisico arriveremo a capire noi stessi?

Ma se non conosco me stesso, come posso conoscere gli altri come me che non si conoscono, come posso dire del mondo?



Il mio pensiero attuale ,in estrema sintesi:

La vita è esperienza e per quanto possiamo intuire la ragione in sé è inaccessibile, poiché finirebbe l'esistenza in divenire. Il senso della vita è l'avvicinarsi il più possibile all'essere che è nella ragione in sé, che si mostra nell'apparire e scomparire del divenire, e nell'eterna regola e ordine che regna la ragione in sé.

Il secondo aspetto è Culturale. Se anche tuta la filosofia fosse priva di coerenza e consistenza, fantasia umana, la Cultura condiziona il pensiero e soprattutto le prassi di chi non ha consapevolezze del pensiero culturale in cui vive. Le scienze contemporanee non costruiscono Cultura, semmai la inducono simbioticamente con scoperte. In questo scenario ha poca importanza se sia una religione, una filosofia, una scienza a determinare i paradigmi, ma quanto è creduto, giustificato (non necessariamente razionalmente, ma anche irrazionalmente) e perseguito praticamente. Quì, in questo scenario, è l'uomo decisivo.

Non è cancellando l'iperuranio, i paradisi le illuminazioni o la ragione in sé che l'uomo può cancellare le domande fondamentali o cancella l'universo. Imperterriti le regole e gli ordini eternamente dichiarano nasce e muore, appare e scompare, seguendo un tempo troppo oltre misura della vita umana singola, per non chiederci che senso abbia tutto questo?

Allora anche nel mondo relativista e materialista, naturalista, questi stessi concetti vengono assolutizzati:la natura prende il posto dell'universo, il relativo quello dell'assoluto e la materia il posto dello spirito, il risultato è l'uomo che prende il posto di dio, ma inconsciamente sa che non è possible, non è possible fermare le regole egli ordini che dettano le regole alla stessa natura terrestre, al nasci e muori delle generazioni umane, alla materia che si trasforma.

E anche quando si fa anti filosofia, in fondo la si fa ancora, perché si crede in qualcosa anche se si pensa di non credere a nulla, come uno scettico, un solipsista e l'uomo è impossibile che spenga la sua necessità, dovrebbero spegnergli il cervello, la mente, cioè morire.

L'assiomatizzazione moderna ha destabilizzato gli enunciati, postulati dei sillogismi.
Significa che si possono letteralmente inventare geometrie e matematiche, costruire modelli di multiverso matematici sulle teorie cosmologiche scientifiche. Questo è il pardosso materialistico, relativista, naturalista: l'assioma ha superato la meta-fisica divenedo plasticità del linguaggio con invenzioni non prese dalla natura, dalla materia, ma dalla immaginazione per tentare tecnicamente di costruire concettualità utili e funzionali a se stesso, alla potenza umana disancorata  nel nulla(nichilismo appunto).Il dispositivo culturale mimeticamente ora non è nei concetti analitici e sintetici, è prima, èorigine delle teorie, dei teoremi, l'importante è operare coerentemente e consistentemente.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 14 Febbraio 2020, 21:49:57 PM
Ciao, in sequenza Ipazia, Green Paul11
 
Problema storico. Visto da qui il nichilismo è un dogma, una religione legata tanto al declassamento della realtà in sé quanto, conseguentemente, alla morte di Dio,  tanto alla trasvalutazione dei valori quanto a tutto ciò che discorsivamente nega l'oggetto. Può assumere la forma della filosofia post-verità o assumere il fondamento dell'esserci (heidegger) o... non importa in che forma esso appaia, poiché qualunque forma diate al nichilismo esso è sempre la naturale conclusione della presa di potere del soggetto sull'oggetto. Negate quest'ultimo "italico" e negherete l'iniziale sintesi generalissima presente nell'articolo Scalata critica al nichilismo, se non negate ciò il vostro è un insistere pari alla quadratura del cerchio. E ora, a dispetto di Ipazia: guardate che non è mia intenzione sminuire Niezsche, quest'uomo che si è lasciato alle spalle tutta la filosofia precedente facendo ciò che nessuno era riuscito prima, uccidere Dio. Dico invece che il nichilismo è contraddittorio (quindi di bassa astrazione), privo di buone previsioni (quindi di bassa naturalezza) e odiante (poiché nullifica l'essere); oltre a essere il completamento della supremazia filosofica del soggetto sull'oggetto.
 
Per un naturalista, Green, è strano parlare di un nulla fondante che non avviene ed è impossibile avvenga in natura (nulla pneumatico); o magari per "nulla" intendete ciò che avviene in natura così che il nulla sia qualcosa... E se queste appena dette contraddizioni (naturale e formale) per voi sono "sciocchezze", da me sono motivo sufficiente per chiamare una tesi "inconsistente".
Ora portate la visione naturalista in questo"nuovo mondo": la natura (fenomeno) è l'oggetto primario di indagine per la verifica delle nostre affermazioni sul mondo: noi confermiamo le ragioni in sé che presupponiamo (espresse tramite razionalità, pensiero, linguaggio etc) attraverso la mediazione fenomenica che ne è l'aspetto naturale.
In fin dei conti un naturalista ha vita più comoda presso la ragione in sé che fra le dogmatiche contraddizioni di un nulla naturale (fisicamente impossibile) o di un nulla extranaturale come base naturalista.
 
E diteglielo ai materialisti che qui la ragione in sé è l'unione fra estensione e pensiero. E qui ha ragione Paull11:«siete completamente avulsi alla ragione in sé». Tanto da non vedere come essa semplicemente sia l'ordine sovrasensibile dalle cui diverse possibilità e combinazioni conseguono o fisicità meccaniche (classica, quantistica etc) o vitalità istintive o culture razionali. (cfr. Libertà, 2018)
 
A proposito Paull11, l'aspetto fisico linguistico è proprio anche delle aree cerebrali preposte al linguaggio... abbiamo qui un primo approdo al problema del pensiero astratto legato indissolubilmente al linguaggio sensibile con cui si compie. Per il resto non chiamerei "errore" le costruzioni puramente astratte  e considererei ogni cosa già come «in sé e fenomeno» assieme.
 
Io vi invito, per chi non l'avesse ancora fatto, a verificare le possibilità di tale pensiero attraverso i suoi articoli: piuttosto che continuare a presupporre cosa si possa o non possa fare, guardate cosa è stato fatto, le possibilità. Se le possibilità sono attendibili, esse aprono a un'altra filosofia.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: paul11 il 14 Febbraio 2020, 23:43:05 PM
Ciao Green
Sul tempio di Delfi stava scritto"Conosci te stesso" e non era riferito al corpo fisico, ma alla parte umana che lo governa come volontà, intuizione, ragione che per Socrate era anima.

Su Nietzsche bisognrebbe rifare un topic come a suo tempo cercò di fare Garbino, ma in modo a parere mio migliore e non per innamorati di sentenze, ma in modo critico e seguendo una cronologia storica dei suoi scritti, quindi in maniera filologica. Ad esempio in "Filosofia nell'età tragica dei greci" Nietzsche scrive: "E se il mondo che noi vediamo è unicamente divenire e trapassare e non conosce permanenza alcuna,non dovrebbero forse proprio codeste qualità costituire un mondo metafisico diversamente configurato,non già un mondo dell'unità,come lo cercava Anassimandro sotto il volubile velo del molteplice, bensì un mondo di molteplici eterni e sostanziali?"
Ebbene su questa frase di Nietzsche ci scriverei un trattato di filosofia.
Nietzsche, a mio parere ha annichilito proprio un bel niente, è stato buon gioco strumentalizzarlo e farlo diventare a seconda delle funzionalità del potere culturale, un progenitore del nazismo o una sorta di anticristo. Hanno funzionato entrambi facendolo diventare un James Dean ottocentesco.
E mi fermo qui perché sarebbe fuori contesto della discussione.

Le filosofie continentali sono ferme ad Heidegger, al massimo Gadamer e la sua ermaneutica e la dialettica di Severino. Il resto non è degna di chiamarsi filosofia è volo pindarico elucubratorio sui particolari, non essendo nessuno, ma proprio nessuno, in grado di relazionare l'esistenza nel mondo contemporaneo con la ragione in sé. Questo è il motivo per cui apprezzo il lavoro di Vito C., nessuno oggi o non vuole o proprio non ci arriva a tentarlo.

Ma è così difficile capire che se l'elettromagnetismo, le interazioni forte e debole nucleari e la gravità che sono fisica e non filosofia, plasmano materia ed energia? E chi e cosa ha dettato le regole di queste forze interazionali.Il filosofo vero non si ferma alla fattualità, si chiede perché doveva essere così, si chiede cosa ci fa nel mondo, si chiede che se la mente governa un corpo umano, qualcosa deve governare i domini e ogni dominio non è slegato dagli altri, ma collegato, dal neutrino al pensiero mentale. Ma dove sta scritto che l'iperuranio di Platone non è collegato alla polis di Atene e al divenire eracliteo, il vero neo delle antiche filosofie fu l'incapacità di relazionare fra loro, per questo allora dichiarvano che fosse stato Zeus o qualche altro dio o mito a spiegarne ontologicamente e gnoseologicamente il procedimento, con Aristotele qualcosa viene modificato in meglio, ma anche in peggio rispetto a Platone. Non avevano le teorie scientifiche, la logica, la linguistica, le matematiche moderne che implicitamente sono relazionate alla filosofia. Un Talete oggi non direbbe che l'acqua è il paradigma filosofico, ma è il procedimento filosofico che è fondamentale, come si costruiscono le fondamenta, gli impianti, per farne una architettura solida che sia capace di stare in piedi.


Ciao Vito C.
Le due aree linguistiche, Broca e Wernicke sono collegate ai muscoli volontari che collegano la laringe, per modulare il suono della voce. Quindi fisiologicamente è spiegabile il cervello linguisticamente come aree di ricezione ed emissione linguistica. Ma non spiega la mente.
La mia tesi è che il cervello è il ponte fisico fra il sensibile e la mente nell'uomo.
L'uomo rappresenta l'universo in sé, il sensibile e il soprasensibile, diversamente non potrebbe conoscerlo.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: viator il 15 Febbraio 2020, 01:12:48 AM
Salve paul11. Citandoti : "La mia tesi è che il cervello è il ponte fisico fra il sensibile e la mente nell'uomo.

L'uomo rappresenta l'universo in sé, il sensibile e il soprasensibile, diversamente non potrebbe conoscerlo".
Secondo me ci sei vicino. Il processo di continua (evoluzione?) diversificazione, complicazione generato e mantenuto dallo svolgersi dell'entropia (e avente la funzione di opporsi al suo reciproco pur tendenziale, cioè alla semplificazione, all'uniformità "mortale" e annichilente di un mondo ridotto al perfetto ed ubiquitario egualitarismo energetico).......tale processo presenta una particolarità : si realizza attraverso la riproduzione. Ma non sto parlando della riproduzione biologica (ovviamente, a livello più a noi vicino, c'è anche quella).

La riproduzione a livello di meccanismo fondamentale consiste proprio nel generare sempre nuovi mondi e parti del mondo e componenti del mondo secondo l'andamento dell"archetipo prototipo" di freudiana concezione.

Occorre generare un nuovo che, estratto dall'esistente, ne mantenga l'impronta e la struttura magari rozzamente fondamentale ma assieme (altra meravigliosa contraddizione come quella dell'entropia nel suo insieme) provveda a rinnovarla.

L'uomo ad esempio cos'è, all'interno di un simile andamento ? Ma l'uomo, come "creazione" o "evoluzione" non è altro che l'espressione della "necessità naturale" del mondo di sopravvivere creando delle COPIE DI SE' (tutta una serie di copie della serie dei propri contenuti - uno dei quali è l'uomo - i quali resteranno per così dire "a disposizione" per garantire l'eternazione del mondo stesso !.

Ma l'opporsi dell'uomo alla natura cos'è ? E' il mondo che - volendo generare ciò che - potendo potenzialmente esistere in modo parzialmente, tendenzialmente indipendente da esso mondo - provvede a generare ciò che potrebbe "subentrare" al mondo stesso (in realtà ad alcuni suoi aspetti particolari). Il tentativo da parte del cervello umano di ricreare un mondo artificiale che possa fare a meno del mondo esterno per poter permettere alla specie di rimpiazzare ciò che del mondo risultasse non più all'altezza di un uomo diventato copia più importante del mondo stesso che lo generò.

Ma l'informatica, la robotica, la cibernetica.......cosa sono, se non il tentativo di generare "nuove versioni della macchina cerebrale umana", cioè copie di un componente di un essere che è stato fatto evolvere per costituire una copia di riserva di uno dei componenti del mondo (la vita)............................e via retrocedendo fino alla radice ?. Saluti.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: green demetr il 15 Febbraio 2020, 07:36:42 AM
"qualunque forma diate al nichilismo esso è sempre la naturale conclusione della presa di potere del soggetto sull'oggetto. " cit Vito J Ceravolo

Direi che è l'esatto contrario, Nietzche fa notare come il soggetto sia solo una costruzione.
Perciò il suo intento è de-sogettivare la sua volontà di potenza.

Chiaro che le prospettive sono a questo punto totalmente divergenti.

Il nichilismo è invece il contrario ossia la pretesa del soggetto di inglobare l'oggetto, quanto è vero l'esatto opposto, da Heidegger fino a Severino vedi la problematica della tecnica.

Naturalmente siamo ancora d'accordo sulla necessità di analisi fra mondo animico e mondo materiale.

X Paul e Vito

Quando parlo di nulla, parlo del "come se fosse nulla", ossia del discorso che nasce dal terrore originario. Dunque è una questione psicanalitica e giammai ontologica.

prossimo articolo che leggerò sarà dunque scalata al nichilismo.

a domani.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: paul11 il 15 Febbraio 2020, 12:23:27 PM
Citazione di: viator il 15 Febbraio 2020, 01:12:48 AM
Salve paul11. Citandoti : "La mia tesi è che il cervello è il ponte fisico fra il sensibile e la mente nell'uomo.

L'uomo rappresenta l'universo in sé, il sensibile e il soprasensibile, diversamente non potrebbe conoscerlo".
Secondo me ci sei vicino. Il processo di continua (evoluzione?) diversificazione, complicazione generato e mantenuto dallo svolgersi dell'entropia (e avente la funzione di opporsi al suo reciproco pur tendenziale, cioè alla semplificazione, all'uniformità "mortale" e annichilente di un mondo ridotto al perfetto ed ubiquitario egualitarismo energetico).......tale processo presenta una particolarità : si realizza attraverso la riproduzione. Ma non sto parlando della riproduzione biologica (ovviamente, a livello più a noi vicino, c'è anche quella).

La riproduzione a livello di meccanismo fondamentale consiste proprio nel generare sempre nuovi mondi e parti del mondo e componenti del mondo secondo l'andamento dell"archetipo prototipo" di freudiana concezione.

Occorre generare un nuovo che, estratto dall'esistente, ne mantenga l'impronta e la struttura magari rozzamente fondamentale ma assieme (altra meravigliosa contraddizione come quella dell'entropia nel suo insieme) provveda a rinnovarla.

L'uomo ad esempio cos'è, all'interno di un simile andamento ? Ma l'uomo, come "creazione" o "evoluzione" non è altro che l'espressione della "necessità naturale" del mondo di sopravvivere creando delle COPIE DI SE' (tutta una serie di copie della serie dei propri contenuti - uno dei quali è l'uomo - i quali resteranno per così dire "a disposizione" per garantire l'eternazione del mondo stesso !.

Ma l'opporsi dell'uomo alla natura cos'è ? E' il mondo che - volendo generare ciò che - potendo potenzialmente esistere in modo parzialmente, tendenzialmente indipendente da esso mondo - provvede a generare ciò che potrebbe "subentrare" al mondo stesso (in realtà ad alcuni suoi aspetti particolari). Il tentativo da parte del cervello umano di ricreare un mondo artificiale che possa fare a meno del mondo esterno per poter permettere alla specie di rimpiazzare ciò che del mondo risultasse non più all'altezza di un uomo diventato copia più importante del mondo stesso che lo generò.

Ma l'informatica, la robotica, la cibernetica.......cosa sono, se non il tentativo di generare "nuove versioni della macchina cerebrale umana", cioè copie di un componente di un essere che è stato fatto evolvere per costituire una copia di riserva di uno dei componenti del mondo (la vita)............................e via retrocedendo fino alla radice ?. Saluti.
ciao Viator

L'uomo interpreta l'universo, osservandolo, riflettendolo, vivendolo.
Ma ci sono cose che l'arbitrio umano non può modificare, alterare, perché non sono facoltà umana, e quelle sono la ragione dell'in sé. Le leggi fisiche, le forze interagenti non possiamo togliere o aggiungerne altre, possiamo solo artificialmente plasmarle, così costruiamo un frigorifero o un calorifero per alterare una temperatura per i nostri scopi.
Le leggi universali e il nostro pensarle sono quindi la ragione in sé che governa l'universo, ed è un dato di fatto, non possiamo inventarci o creare un altro universo, questa sarebbe fantasia e non il pensarli.
La ragione in sé crea quindi le condizioni affinché vi siano galassie, stelle, pianeti ,fino alla Terra, fino alla sua biosfera, alla natura, all'uomo.

La relazione interpretativa che l'uomo storico si dà nel rapporto con l'universo e suoi sottoinsiemi(natura, biosfera) determina una Cultura, la sua cultura.
A sua volta la cultura determina altre condizioni teoriche e pratiche, perché insegniamo alle future proli le nostre convinzioni, le nostre convenzioni, i nostri modi di istruire e in quanto tale condizioniamo.
Certo che l'universo nei suoi sottoinsiemi è riproducibile, personalmente le definisco ciclicità.
Una stella implode o esplode e la sua energia e materia con la forza gravitazionale la concentrerà per formarne altre. Tutto sembra seguire cicli temporali propri, dalla stella ,alla natura, dal pianeta, alle galassie, dal ciclo di vita di un microbo, all'andamento ciclico delle epidemie, al ciclo metabolico umana e ciclo riproduttivo.

Le condizioni fisico naturali, indicano il ciclo di vita anche umano. Quante generazioni umane di millenni di storia hanno guardato lo stesso cielo e le stesse stelle, mentre umani nascevano e morivano e il cielo lì sopra imperterrito dominava i destini umani.

Ciò che è inviolabile dal destino umano è la ragione in sé, quella stessa ragione che ha permesso l'esistenza dell'uomo, che permette la stessa vita dell'intero universo, e che arriva a noi come fisica, come natura, ma anche come pensiero, come interpretazione umana del suo essere, del fatto che c'è.

Gli animali i vegetali vivono. Imperterriti seguono a loro volta un destino già scritto, ognuno con il suo ciclo, ognuno simbiotico energeticamente materialmente con altri vegetali e altri animali.
La stessa vita è condizione per poter essere, gli organismo mutano al mutare delle condizioni ambientali, quel che definiamo adattamento, endemicità delle specie che si differenziano al mutare delle condizioni.
Tutto è correlato, tutto, in grande e piccola scala segue un destino. Immutabile è però la ragione in sé universale, poiché comprende il divenire degli apparire e scomparire, del nascere e del morire.
Un essere intellegibile su un minimo pianeta dell'intero universo, si arroga il diritto forse di modifcarne la ragione in sé? Basterebbe che il sole mutasse le sue radiazioni elettromagnetiche che l'uomo sparirebbe dall'universo, ed è destino che prima o poi sia.

Io riconosco una forza superiore in tutto questo,; pur con potenza umana le mie ragioni sono dipendenti da una ragione molto più potente che ha determinato che tutto sia così, come pensiero, come pratica naturale e fisica. E quel che cerco è una buona armonia, un buon equilibrio, fra il mio esistere e la ragione in sé.

La cultura, ribadisco, è come noi umani interpretiamo il rapporto fra il nostro essere nel mondo, il nostro esistere.
Osserviamo ora un formicaio, la sua ragione di esistere è legata alla sua organizzazione, ogni formica sa cosa deve fare e lo detta l'istinto. Quell'istinto da dove viene, quel codice per cui ognuno sta al suo posto e gestisce il suo ruolo e permette all'intero formicaio di sussistere?
Se anche l'uomo avesse l'istinto, quello di sopravvivenza, quel bios che dice di vivere e riprodursi, noi abbiamo un potere che è anche un limite, il pensiero. Il pensiero è altrettanto potente di quell'istinto e quel pensiero può unire o dividere, può essere necessità, può essere possibilità.
Ciò che noi crediamo è altrettanto potente quanto l'istinto di vita, per questo l'uomo è natura fisica e cultura del pensiero, ed essendo consapevole di sé, perché nessun animale specchiandosi si riconosce, annusa lo specchio e lo vede neutro a se stesso, può mentalmente disancorarsi dal suo corpo fisico e far viaggiare il pensiero per i lidi che vuole.

Una filosofia è ciò che relaziona la ragione in sé dell'essere universale, a tutto ciò che si manifesta al suo interno e solo osservando, riflettendo possiamo trovare leggi recondite e trovare il modo per cui l'essere umano possa trovare una buona armonia fra noi, è nella sua possibilità, è nella sua libertà intellettiva teorica e di azione pratica di poter interpretare ciò che indissolubilmente governa l'universo, la vita e l'uomo: il nostro destino.
L'uomo non può quindi costruire una cultura a sua misura, fingendo miseramente che non vi siano condizioni ben più potenti. Ma è discrezione umana costruire più luna park di ospedali, scegliere il denaro come misura del senso della propria vita, o ricercare dentro di sé se gli affetti sono più importanti di qualunque altra cosa. Perchè è mia convinzione che il nostro spirito è intimamente legato a quella ragione in sé primordiale e non parla per concetti intellettuali, ha un codice affettivo recondito.
L'intelletto può indicare la via, ma se siamo sulla buona strada lo può sapere solo il nostro spirito intimamente.
Saluti
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: niko il 15 Febbraio 2020, 12:32:30 PM
Io non vedo contraddizione nel nichilismo, l'essere è l'essere nulla del nulla.

Il nulla non è dunque indeterminazione totale, nebbia uniforme e oscurità, non è lo stato larvale, la morte o il sonno senza sogni, ma, a ben guardare, ha in sé almeno un modo determinato di essere nulla, ovvero di non essere, ovvero di essere se stesso, che è l'essere.

La parola chiave qui è determinazione: se l'essere è un modo determinato di essere nulla del nulla -quindi riguardo a l'identità tra essere e nulla non si afferma semplicemente A = non A, semmai A = (A e non A)- la mancanza di qualcosa nel nulla non fa segno a una nientità, di questo qualcosa che manca, ma ad una volontà, di questo qualcosa che manca e di altro. Il niente deriva dall'essere e non può prescinderne, non può darsi nel nulla come sua definizione o partizione, il nulla ha in sé delle possibilità di determinazione, ma, pur determinandosi, non si divide mai in tanti piccoli niente. Ogni niente è legato all'ente di cui è niente e ne prevede l'esistenza, la volontà no, non è legata alle singole cose che vuole allo stesso modo e nello stesso senso in cui i niente dei singoli enti sono legati a quegli enti di cui sono un niente determinato, quantomeno perché la volontà può volere più cose rimanendo se stessa, rimanendo una, mentre l'insieme dei niente è un insieme di negazioni tutte differenti, ciascuna differente dall'altra. L'insieme dei niente non fa mai un tutto o un uno per qualcuno, anche a volerlo pensare come già pieno, già completo come insieme dei niente, è ancora, come "insieme", solo una metà e quindi non un vero insieme, una parte che deriva dall'essere e ha bisogno dell'essere per completarsi, l'insieme delle cose volute invece sì, fa un tutto e un uno per chi le vuole, che le cose siano presenti o no.

Quindi abbiamo la volontà, che si definisce come mancanza di oggetto (qualsiasi), e il niente, che si definisce come mancanza di ente, di oggetto che esista, di oggetto derivato dall'essere e non dal nulla, e sono due cose distinte. Mi sembra abbastanza chiaro che la determinazione possibile del nulla nel nichilismo sia volontà, e non niente, che presupporrebbe a monte l'essere come distinto dal nulla.

Il nulla non è il niente di tutte le cose, ma l'essere di tutte le cose, poiché essere e nulla non differiscono realmente, ma nominalmente.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 15 Febbraio 2020, 21:40:48 PM
Rispettivamente per paul11, viator, green, niko

Ciao Paul11 e Viator
A me sembra che ci siamo mossi su queste tre problematiche (mente, intuito, pensiero):

1)  mente-cervello:
N.B. Noi non sappiamo se esistono altre possibilità per il pensiero, ma sappiamo che ci sono apparati fisici che presumibilmente lo permettono. Ciò non toglie che le misurazioni fisiche delle attività cerebrali siano miserabili nella spiegazione delle più complesse attività psichiche.

2) Intuito-Concetto:

3) Pensiero-Linguaggio:
Una possibilità: dallo stadio spento (inconscio) della psiche si passa al suo stadio acceso (conscio) tramite le schematizzazioni del concetto, che ponendo le ragioni dentro certi segni (parole suoni simboli) permette di sentire il pensiero, cosicché il pensiero sia un astratto fatto carne dal linguaggio con cui si conduce.

Giusto per fare una quadra larga dei nostri discorsi... C'è ancora molta confusione vero? E poi questa mente... questo scarto sovrasensibile non misurabile fisicamente in maniera soddisfacente... ?


Ciao Green,
Ma sai che di questa cosa che dici «l'intento [di Niezsche] è de-sogettivare la sua volontà di potenza»... di questa cosa me ne sono accorto pur io... Però la sua de-sogettivazione a me non sembra mirare a resuscitare la cosa in sé... Se proprio mira alla negazione anche del soggetto... mentre io miro all'affermazione di tutto. Quindi sì, ho notato anche io questa tua giusta obiezione.


Ciao Niko,.
ti segnalo queste tue due contraddizioni

1. Quando affermi"l'essere se stesso del non essere è l'essere"... e invece la mia ontologia dice:
Il tuo affermare (l'essere se stesso del nulla è l'essere) mi è dunque ontologicamente e formalmente contraddittorio. Mentre questa mia forma ontologica non si contraddice: se il nulla non è, allora il suo essere ciò che è, è il suo non essere:se "nulla = non essere" allora "nulla non è".
(cfr. Mondo, 2018, cap. 3 L'essere)

2. Quando affermi "A = (A e non A)"... e invece la mia logica formale dice:

  • Prendi qualsivoglia soggetto P e attributo 1: "P è 1 o non1".
  • Se 1 è 1, allora non1 può essere uguale a uno di questi valori:
  • 0;
  • 0<1 (una via di mezzo fra 1 e 0);
  • 1 e 0;
  • né 1 né 0.
(cfr. cap. 1 https://filosofiaenuovisentieri.com/2019/04/14/unificazione-generale-della-logica-classica-e-non-classica/)
Ciò vuol dire che qualcosa di diverso da A può essere uguale ad A e non A, mentre nessun A può essere uguale ad A e non A, poiché ogni cosa è uguale a se stessa e non ad altro. Il tuo affermare "A=(A e nonA)" mi è contraddittorio .

Oltretutto da me il niente non deriva dall'essere, da me il niente assolutamente non esiste, non può esistere, non è mai esistito, quindi non deriva e non può derivare da alcun che, tantomeno portare possibilità di determinazione. Certo che siete strani voi, vi piace a tutti i costi contraddirvi... ;) burla a parte: ho un'ontologia diversa (Mondo, 2016); risolvo il conflitto finito-infinito del principio primo (Infinito. Principi supremi, 2018) e scorgo assurdità presso la vostra arcaica visione del mondo. Però per ora mi fermo qui, perché le mie sopra forme già ti impegneranno non poco Niko per capire questo diverso vedere.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: niko il 15 Febbraio 2020, 22:25:47 PM
Oltretutto da me il niente non deriva dall'essere, da me il niente assolutamente non esiste, non può esistere, non è mai esistito, quindi non deriva e non può derivare da alcun che, tantomeno portare possibilità di determinazione.




quindi ogni volta che dici: "non c'è niente sul tavolo" ti riferisci al nulla parmenideo?
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: paul11 il 16 Febbraio 2020, 13:14:57 PM
ciao Vito C.

1) mente-cervello
Solo una mia considerazione che non inficia comunque la tua argomentazione.
Non sono convinto che le aree del linguaggio e il collegamento alla laringe siano un prodotto evolutivo. Ma ha appunto poca importanza nel senso del tuo discorso.

2) intuito-concetto
Ci sono modalità in cui mente/cervello agiscono. Le definirei attenzione, concentrazione, meditazione e sogno, perché le onde elettromagnetiche e le aree del cervello coinvolte sono diverse.
L'attenzione e la concentrazione coinvolgono i sensi e la volontà su un punto di una immagine.
L'intuito non lavora sui sensi e tanto meno su una focalizzazione di una immagine ed è più consono ad una meditazione che lascia rilassato il cervello, o ai sogni.
L'attenzione e concentrazione sono proprie delle aree del cervello logiche e si esprimono nel concetto dentro il linguaggio formale; l'intuito lo definirei la sinapsi dei neuroni, il ponte che riesce a collegare i diversi concetti nei neuroni. Spesso vorremmo collegare i diversi concetti in un unico processo, in un unico problema e qualcosa ci sfugge, l'intuito può venire in soccorso attivandosi nella fase di rilassamento. In fondo è quello che definisci passivo(0) e io meditativo o sogno, dal cosciente attivo(1) concettuale e razionale.
L'intuito è recondito e lavora su simboli non per formalità logiche. Lavora per immagini.

Inserirei la memoria. Le sinaspi nei neuroni possono essere labili o stabili e sono ripetizioni mentali che agiscono. Tabelline aritmetiche o poesie ripetute mentalmente e/o con la parola, con la voce, agiscono più efficacemente. C'è una memoria psichica per simboli e c'è una memoria logico matematica per segni. La corteccia cerebrale unisce i due lobi del cervello facendoli interagire.
Questo fa sì che non siamo mai totalmente psichici o totalmente logici,c'è sempre la commistione, se vogliamo dire, fra razionale e irrazionale.

3) pensiero-linguaggio
dipende dall'intento che ti poni. Nessuna scienza è in grado di capire fisicamente conscio e inconscio, psiche e logica, mente e cervello. Il linguaggio, nel senso esteso del termine e non legato quindi alla sola parola, ma all'estetica, all'etica, è la risultante dei processi cervello/mente, quindi ne risulta una complessità espressiva ,quello che noi comunichiamo e come viene percepito dalle altre persone. Imprigionarlo nella sola logica formale è come spogliare i contenuti mentali delle motivazioni, delle intenzionalità, delle emozioni espressive nei gesti, nella voce emotiva, nella nostra intimità.
La filosofia deve spingersi oltre l'ambito scientifico, per necessità se vuole essere cultura.
Se non bastano le parole, si inventano se vogliamo caricare la parola di un significato che per noi è portatrice almeno di una verità. Alcuni filosofi moderni hanno inventato neologismi,nuove parole e spesso proprio nell' ambito gnoseologico, esistenziale, perché la filosofia deve servire la vita.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: paul11 il 16 Febbraio 2020, 13:35:23 PM
Citazione di: niko il 15 Febbraio 2020, 12:32:30 PM
Io non vedo contraddizione nel nichilismo, l'essere è l'essere nulla del nulla.

Il nulla non è dunque indeterminazione totale, nebbia uniforme e oscurità, non è lo stato larvale, la morte o il sonno senza sogni, ma, a ben guardare, ha in sé almeno un modo determinato di essere nulla, ovvero di non essere, ovvero di essere se stesso, che è l'essere.

La parola chiave qui è determinazione: se l'essere è un modo determinato di essere nulla del nulla -quindi riguardo a l'identità tra essere e nulla non si afferma semplicemente A = non A, semmai A = (A e non A)- la mancanza di qualcosa nel nulla non fa segno a una nientità, di questo qualcosa che manca, ma ad una volontà, di questo qualcosa che manca e di altro. Il niente deriva dall'essere e non può prescinderne, non può darsi nel nulla come sua definizione o partizione, il nulla ha in sé delle possibilità di determinazione, ma, pur determinandosi, non si divide mai in tanti piccoli niente. Ogni niente è legato all'ente di cui è niente e ne prevede l'esistenza, la volontà no, non è legata alle singole cose che vuole allo stesso modo e nello stesso senso in cui i niente dei singoli enti sono legati a quegli enti di cui sono un niente determinato, quantomeno perché la volontà può volere più cose rimanendo se stessa, rimanendo una, mentre l'insieme dei niente è un insieme di negazioni tutte differenti, ciascuna differente dall'altra. L'insieme dei niente non fa mai un tutto o un uno per qualcuno, anche a volerlo pensare come già pieno, già completo come insieme dei niente, è ancora, come "insieme", solo una metà e quindi non un vero insieme, una parte che deriva dall'essere e ha bisogno dell'essere per completarsi, l'insieme delle cose volute invece sì, fa un tutto e un uno per chi le vuole, che le cose siano presenti o no.

Quindi abbiamo la volontà, che si definisce come mancanza di oggetto (qualsiasi), e il niente, che si definisce come mancanza di ente, di oggetto che esista, di oggetto derivato dall'essere e non dal nulla, e sono due cose distinte. Mi sembra abbastanza chiaro che la determinazione possibile del nulla nel nichilismo sia volontà, e non niente, che presupporrebbe a monte l'essere come distinto dal nulla.

Il nulla non è il niente di tutte le cose, ma l'essere di tutte le cose, poiché essere e nulla non differiscono realmente, ma nominalmente.
sei quasi nel ragionamento di Severino, nella dialettica negativa. che è paralogica.
Dal punto di vista formale ha ragione Vito. C..
Severino però spiega che A= A è regola logica dell'identità ed è ETERNO
Nel momento in cui vi fu l'aporia del fondamento, attribuita se non erro a Platone, che accetta l'eterno e il divenire nasce la contraddizione.
A= nonA che è il DIVENIRE .Ed è operato dalla volontà umana poichè accetta che la VERITA'incontrovertibile e quindi eterna operi nel DIVENIre  e quindi non può più essere verità, ma opinione temporale nel divenire.
Il divenire c'è, questo è il salto fra Severino e Parmenide.Parmenide fu fermo nell'ESSERE che non può anche non ESSERE (A=A).
Accettando la contraddizione A=nonA, da Platone in poi, secondo la logica dialettica negativa di stampo severiniano, noi vivamo tutti gli essenti nel divenire come negazione .Qualunque essente che appare e scompare è negazione, in quanto NULLA può venire dal Nulla, essendo tutto eterno. Il credere quindi nel divenire segna la cultura dell'Occidente.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Phil il 16 Febbraio 2020, 14:48:02 PM
Citazione di: paul11 il 16 Febbraio 2020, 13:35:23 PM
Severino però spiega che A= A è regola logica dell'identità ed è ETERNO
Nel momento in cui vi fu l'aporia del fondamento, attribuita se non erro a Platone, che accetta l'eterno e il divenire nasce la contraddizione.
A= nonA che è il DIVENIRE .Ed è operato dalla volontà umana poichè accetta che la VERITA'incontrovertibile e quindi eterna operi nel DIVENIre  e quindi non può più essere verità, ma opinione temporale nel divenire.
Il divenire c'è, questo è il salto fra Severino e Parmenide.Parmenide fu fermo nell'ESSERE che non può anche non ESSERE (A=A).
Accettando la contraddizione A=nonA, da Platone in poi, secondo la logica dialettica negativa di stampo severiniano, noi vivamo tutti gli essenti nel divenire come negazione .Qualunque essente che appare e scompare è negazione, in quanto NULLA può venire dal Nulla, essendo tutto eterno. Il credere quindi nel divenire segna la cultura dell'Occidente.
A lato del dualismo Parmenide-essere/Eraclito-divenire, ci sarebbe anche il terzo incomodo, Gorgia-nulla (sofistico-semantico, ontologico); "trinità" che funge a suo modo da precursore alla triade trascendentalismo/positivismo e nichilismo.
Sulla temporalizzazione delle proposizioni logiche, mi permetto di riportare quanto già scritto (molto) tempo fa:
Citazione di: Phil il 02 Ottobre 2016, 11:15:50 AM
per Severino "A=A" significa "A è sempre uguale ad A", ma in quella formalizzazione logica, in quanto tale, non c'è temporalità... e l'assenza di temporalità non è eternità (che è comunque un concetto, seppur radicale, riferito al tempo: dentro l'eternità è pensabile un prima e un dopo, il tempo c'è...).

Se infatti decliniamo quell'identità con il fattore tempo, diviso in momenti (t1, t2, t3...) otteniamo At1=At1, At2=At2, At3=At3... e se A è un seme [...], arriviamo ad un momento (che qui numeriamo arbitrariamente) t9, in cui At9=At9, ma stiamo parlando ormai di una pianta. E dire At9 è "il seme A nel suo nono momento" oppure è "una pianta B al suo primo momento"(Bt1), risulta, come ogni identità, sempre arbitrario, ma non per questo contraddittorio.

Per cui possiamo chiamarlo tranquillamente At9 o Bt1 senza ombra di contraddizione (il senso di una costante è attribuito a tavolino, per cui At9 = Bt1, proprio come dire "Severino = S" è uguale a "il filosofo di cui parliamo = F", ovvero S = F).

A partire da questa "confusione" (senza offesa per Severino) entriamo in una dimensione "zenoniana", paradossale e anti-esperenziale (nel senso che viene falsificata dall'esperienza) [...]

P.s. Se vogliamo leggere questa eternità severiniana come applicazione della legge di conservazione della massa "nulla si crea, nulla di distrugge", bisogna anche ricordare che il motto prosegue con "ma tutto si trasforma", ovvero con l'inconorazione del divenire come "trama narrativa" dell'accadere.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 16 Febbraio 2020, 16:14:39 PM
Concordo con le osservazioni "neuroscientifiche" di Paul11, non tanto per il loro farsi verità, ma perché in loro assenza anche un filosofo, non certo sospettabile di scientismo, come l'autore non potrebbe produrre la sua filosofia.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: niko il 16 Febbraio 2020, 16:56:50 PM
Citazione di: paul11 il 16 Febbraio 2020, 13:35:23 PM
Citazione di: niko il 15 Febbraio 2020, 12:32:30 PM
Io non vedo contraddizione nel nichilismo, l'essere è l'essere nulla del nulla.

Il nulla non è dunque indeterminazione totale, nebbia uniforme e oscurità, non è lo stato larvale, la morte o il sonno senza sogni, ma, a ben guardare, ha in sé almeno un modo determinato di essere nulla, ovvero di non essere, ovvero di essere se stesso, che è l'essere.

La parola chiave qui è determinazione: se l'essere è un modo determinato di essere nulla del nulla -quindi riguardo a l'identità tra essere e nulla non si afferma semplicemente A = non A, semmai A = (A e non A)- la mancanza di qualcosa nel nulla non fa segno a una nientità, di questo qualcosa che manca, ma ad una volontà, di questo qualcosa che manca e di altro. Il niente deriva dall'essere e non può prescinderne, non può darsi nel nulla come sua definizione o partizione, il nulla ha in sé delle possibilità di determinazione, ma, pur determinandosi, non si divide mai in tanti piccoli niente. Ogni niente è legato all'ente di cui è niente e ne prevede l'esistenza, la volontà no, non è legata alle singole cose che vuole allo stesso modo e nello stesso senso in cui i niente dei singoli enti sono legati a quegli enti di cui sono un niente determinato, quantomeno perché la volontà può volere più cose rimanendo se stessa, rimanendo una, mentre l'insieme dei niente è un insieme di negazioni tutte differenti, ciascuna differente dall'altra. L'insieme dei niente non fa mai un tutto o un uno per qualcuno, anche a volerlo pensare come già pieno, già completo come insieme dei niente, è ancora, come "insieme", solo una metà e quindi non un vero insieme, una parte che deriva dall'essere e ha bisogno dell'essere per completarsi, l'insieme delle cose volute invece sì, fa un tutto e un uno per chi le vuole, che le cose siano presenti o no.

Quindi abbiamo la volontà, che si definisce come mancanza di oggetto (qualsiasi), e il niente, che si definisce come mancanza di ente, di oggetto che esista, di oggetto derivato dall'essere e non dal nulla, e sono due cose distinte. Mi sembra abbastanza chiaro che la determinazione possibile del nulla nel nichilismo sia volontà, e non niente, che presupporrebbe a monte l'essere come distinto dal nulla.

Il nulla non è il niente di tutte le cose, ma l'essere di tutte le cose, poiché essere e nulla non differiscono realmente, ma nominalmente.
sei quasi nel ragionamento di Severino, nella dialettica negativa. che è paralogica.
Dal punto di vista formale ha ragione Vito. C..
Severino però spiega che A= A è regola logica dell'identità ed è ETERNO
Nel momento in cui vi fu l'aporia del fondamento, attribuita se non erro a Platone, che accetta l'eterno e il divenire nasce la contraddizione.
A= nonA che è il DIVENIRE .Ed è operato dalla volontà umana poichè accetta che la VERITA'incontrovertibile e quindi eterna operi nel DIVENIre  e quindi non può più essere verità, ma opinione temporale nel divenire.
Il divenire c'è, questo è il salto fra Severino e Parmenide.Parmenide fu fermo nell'ESSERE che non può anche non ESSERE (A=A).
Accettando la contraddizione A=nonA, da Platone in poi, secondo la logica dialettica negativa di stampo severiniano, noi vivamo tutti gli essenti nel divenire come negazione .Qualunque essente che appare e scompare è negazione, in quanto NULLA può venire dal Nulla, essendo tutto eterno. Il credere quindi nel divenire segna la cultura dell'Occidente.


Il divenire non c'entra molto col mio discorso; al massimo c'entra il rapporto tra Parmenide e Platone, nel senso che Platone recupera il non-essere come essere-altro della singola cosa che non è, tanto che il nulla, o meglio il niente, o meglio ancora il ni-ente, in Platone si può predicare del particolare ma non del generale/universale (l'idea che sola ha l'essere e lo conferisce temporaneamente agli esistenti);  il non essere è solo il negativo della determinazione che rende possibile ogni discorso. Dunque in un mondo "pieno", in cui non rimane spazio e tempo residuo per il non-essere, ogni cosa è necessariamente qualcosa, e se x non è A, allora è B (e non certo il nulla parmenideo, che in questo mondo pieno non esiste, se non nel discorso che determina le cose).
La mia metafora del mondo pieno per descrivere il mondo di Platone, e poi anche di Aristotele, non è casuale, vuole ricordare che l'altro grande tentativo di conciliazione di Parmenide con l'esperienza umana di un mondo diveniente fu l'atomismo, cioè il mondo vuoto, in cui si muovevano intrinsecamente gli atomi. Il mondo vuoto è il divenire come aggregazione e disgregazione atomica, il mondo pieno è l'ipotesi della contiguità immediata degli oggetti componenti il mondo, distinguibili, proprio per la loro contiguità, solo dal logos cognitivo immateriale che tutti li ricomprende: la parola si rende necessaria proprio perché non c'è spazio e tempo vuoto tra gli oggetti, non c'è tra di essi distinzione preverbale, intrinseca: solo la parola può dire che una cosa non è tutte le altre. in questo senso Democrito recupera in non-essere come realtà fisica, Platone come realtà logica, attinente al discernimento e al discorso.

Anche io, nel mio piccolo, affermo che il nulla non può non-essere nel senso banale e immediato che dite voi, ovvero nel senso di una cosa che "semplicemente" non è niente, e non causa, e non vale, niente (il valere nulla del nulla). Il nulla che, come tutte le altre piccole e grandi cose del "mondo pieno" non può semplicemente e direttamente non essere, nel senso di non essere niente, di sparire nel nulla, come tutte le altre cose del "mondo pieno" può invece essere altro, può avere il suo (relativo) non-essere solo nella determinazione che lo individua e lo descrive. Insomma l'essere non è il nulla come la penna non è la matita, e questo per necessità logica, a prescindere da se la penna o la matita esistano, o se esista una sola di esse, o se esistano tutte e due, o nessuna delle due; poiché, come dite anche voi, nulla è nulla, il nulla può manifestare il suo non-essere solo essendo altro, essendo una cosa che è l'altro (e quindi il niente, il nulla relativo) di un'altra cosa; e siccome operando con termini metafisici quali essere e nulla siamo ai massimi sistemi e ai termini convenzionali che tentano -invano- di descrivere la totalità, si dà il caso che l'essere altro del -e dal- nulla sia proprio l'essere.

Il discorso che relativizza il nulla (nulla è nulla) è giustizia distributiva, dà a ognuno il suo: Il nulla della notte è il giorno, il nulla dell'acqua è il fuoco, e il nulla del nulla è l'essere. Non è solo una danza degli opposti, è proprio che se il nulla dell'indeterminato è il determinato, l'equazione tra nulla e indeterminato, e quindi tra essere e pensiero, cade, deve essere abbandonata. Si prefigura il mondo degli istinti, di quello che sta oltre il pensiero.
Stando così le cose, non rimane più niente del vecchio concetto del nulla come indeterminazione totale, del nulla come cosa tabù, di cui non si può pensare e parlare (per questo prima dicevo nebbia e ombra): il nulla assume in sé la determinazione almeno parziale dell'essere, e quindi lo supera, lo causa e lo contiene.

Il nulla è pieno di determinazione, quindi non di niente, ma di volontà: si definisce a partire dalla mancanza di oggetto, pur non identificandosi completamente con questa mancanza e rimanendo anche-nulla, anche-se stesso, sicché il nulla del nulla è l'essere. Il nulla è la mancanza di una o più cose, ma, se anche la mancanza nel suo complesso è nulla, grazie al nulla una o più cose sono.

In questo senso dicevo A=(A e non A), a prescindere da tanti formalismi logici, quando vuoi una cosa, ad esempio quando vuoi l'acqua, non vuoi solo l'acqua, vuoi l'acqua e vuoi continuare a volere; è la volontà che pone A e non A, perché se il tuo appagamento in presenza dell'acqua fosse istantaneo (come lo è la corrispondenza diretta dell'ente col niente) non sarebbe possibile: devi rimanere, per una durata non inestesa, col desiderio in presenza dell'oggetto del desiderio: è questo il nullificarsi del nulla che genera l'essere come processo e insieme rimane sé stesso, è questo che apre lo spazio al tempo e al divenire, questo rimanere desideranti nella totalità nulla delle cose mancanti pur in presenza dell'oggetto del desiderio; la contraddizione è psicologica, non è logica, perché nel nulla c'è una volontà, non un ni-ente.

Oltre a Nietzche, l'altro grande padre del nichilismo è Schopenhauer. In Schopenhauer la volontà vuole solo sé stessa e la volontà che si protende oltre se stessa, la volontà d'oggetto, è pia illusione, tanto che la volontà umana cambia continuamente oggetto solo per mantenersi; in Nietzche la volontà vuole davvero sé stessa e l'oggetto (l'unico oggetto possibile che si può trovare al fondo di in un mondo nullo fatto di volontà: la volontà dell'altro), è una volontà diveniente, incantata dal mondo ma in grado di trasformarlo.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: paul11 il 16 Febbraio 2020, 17:26:33 PM
Citazione di: Phil il 16 Febbraio 2020, 14:48:02 PM
Citazione di: paul11 il 16 Febbraio 2020, 13:35:23 PM
Severino però spiega che A= A è regola logica dell'identità ed è ETERNO
Nel momento in cui vi fu l'aporia del fondamento, attribuita se non erro a Platone, che accetta l'eterno e il divenire nasce la contraddizione.
A= nonA che è il DIVENIRE .Ed è operato dalla volontà umana poichè accetta che la VERITA'incontrovertibile e quindi eterna operi nel DIVENIre  e quindi non può più essere verità, ma opinione temporale nel divenire.
Il divenire c'è, questo è il salto fra Severino e Parmenide.Parmenide fu fermo nell'ESSERE che non può anche non ESSERE (A=A).
Accettando la contraddizione A=nonA, da Platone in poi, secondo la logica dialettica negativa di stampo severiniano, noi vivamo tutti gli essenti nel divenire come negazione .Qualunque essente che appare e scompare è negazione, in quanto NULLA può venire dal Nulla, essendo tutto eterno. Il credere quindi nel divenire segna la cultura dell'Occidente.
A lato del dualismo Parmenide-essere/Eraclito-divenire, ci sarebbe anche il terzo incomodo, Gorgia-nulla (sofistico-semantico, ontologico); "trinità" che funge a suo modo da precursore alla triade trascendentalismo/positivismo e nichilismo.
Sulla temporalizzazione delle proposizioni logiche, mi permetto di riportare quanto già scritto (molto) tempo fa:
Citazione di: Phil il 02 Ottobre 2016, 11:15:50 AM
per Severino "A=A" significa "A è sempre uguale ad A", ma in quella formalizzazione logica, in quanto tale, non c'è temporalità... e l'assenza di temporalità non è eternità (che è comunque un concetto, seppur radicale, riferito al tempo: dentro l'eternità è pensabile un prima e un dopo, il tempo c'è...).

Se infatti decliniamo quell'identità con il fattore tempo, diviso in momenti (t1, t2, t3...) otteniamo At1=At1, At2=At2, At3=At3... e se A è un seme [...], arriviamo ad un momento (che qui numeriamo arbitrariamente) t9, in cui At9=At9, ma stiamo parlando ormai di una pianta. E dire At9 è "il seme A nel suo nono momento" oppure è "una pianta B al suo primo momento"(Bt1), risulta, come ogni identità, sempre arbitrario, ma non per questo contraddittorio.

Per cui possiamo chiamarlo tranquillamente At9 o Bt1 senza ombra di contraddizione (il senso di una costante è attribuito a tavolino, per cui At9 = Bt1, proprio come dire "Severino = S" è uguale a "il filosofo di cui parliamo = F", ovvero S = F).

A partire da questa "confusione" (senza offesa per Severino) entriamo in una dimensione "zenoniana", paradossale e anti-esperenziale (nel senso che viene falsificata dall'esperienza) [...]

P.s. Se vogliamo leggere questa eternità severiniana come applicazione della legge di conservazione della massa "nulla si crea, nulla di distrugge", bisogna anche ricordare che il motto prosegue con "ma tutto si trasforma", ovvero con l'inconorazione del divenire come "trama narrativa" dell'accadere.
Tutte le posizioni che si originano da un nulla sono nichiliste, sono scettiche o solipsistiche, perché un Gorgia dovrebbe sostenere se lui è un soggetto parlante che esce dal Nulla, relazionato al Nulla, Se fosse coerente non dovrebbe nemmeno dire ,essendo nulla. Nietzsche, a mio parere, per fare un altro esempio non è proprio così,non è un sofista è anti intellettuale, utilizza molto l'intuito( e questo piace a molte persone) e utilizza quindi una parola più narrativa che logico concettuale, nega il soprasensibile per esempio di un in sé, di un archè, ma accetta la natura e la sua regola come fosse un in sé.Penso che per questo Heidegger lo ritenga l'ultimo dei metafisici.
Eraclito non fu propriamente un filosofo del divenire, è più profondo, e ne hanno fatto un simbolo superficiale. Fu Cratilo, suo discepolo ad essere un "diveniente" più di Eraclito.

Anche 1+ 1 non ha tempo, ed è per questo che personalmente preferisco dire che logiche, matematiche ,sono regole e non principi. Severino ne ha costruito un vero e proprio paradigma,uscendo da una zona "neutra", ma il senza tempo non è tempo e una cosa che è non può divenire qualcosa altro da sé. Il seme non è la pianta, come la pianta non è cenere dopo essere stata bruciata. Per coerenza sull'eternità deve costruire una proliferazione di essenti. Come se una pellicola analogica cinematografica, che diviene narrativamente facendola scorrere, ogni singolo fotogramma è a se stante è un eterno. Non è esperienziale certamente, non è del nostro quotidiano vissuto, eppure c'è qualcosa di vero che fa reinterpretare lo stesso divenire come negativo rispetto ad un essere positivo originario che è immutabile ed eterno .

Il problema è in effetti fra tautos ed esperienza. Ma la scienza pura e non quindi applicata inserisce tautologie e non esperienze nei paradigmi. In geometria dichiaro il punto, dichiaro la linea dichiaro un piano, costruiti i fondamenti posso con coerenza e consistenza costruire figure geometriche regolari, teoremi e non sono fatti esperienzali.. Eppure la geometria ,la logica, la matematica, funzionano applicativamente quando ad un segno tautologico applico un segno esperienziale fenomenico.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 16 Febbraio 2020, 19:00:49 PM
per Niko, Phill, Paul11
 
Ciao Niko
Quando dico "non c'è niente sul tavolo" mi riferisco al vuoto fisico, qualcosa al cui interno succede qualcosa: non esiste alcun nulla assoluto nel mondo naturale, ci può essere la mancanza di qualcosa ma non la mancanza di tutto.
Questo"non c'è niente sul tavolo" si chiama "nulla relativizzato" il quale non è altro che un qualcosa di esistente, ed è solo il nulla relativizzato ad avere determinazioni, non mai il nulla assoluto.
Cioè, quando parlate di tale "nulla relativizzato", assegnandoli determinazioni di qual si voglia genere od ogni volta che assegnate determinazioni a qualocsa, voi in verità parlate di un essere. E io parlo molto e sotto molti aspetti della differenza fra il nulla assoluto e il nulla relativo (cfr. Mondo, ed. Il Prato 2016).
 
Ciao Phil e Paul11,
Da me, distanziandomi da Severino e dalle altre ontologie, "se A=A allora nonA": l'accettazione dell'identità porta a ciò che l'identità non è.
Questa formalizzazione logica A=A porta dunque una temporalità intrinseca da cui il divenire: AàØA 
 (cfr. Libertà, ed. IfPress 2018, p. 23)
L'appunto di Phil si risolve dunque così:
Nulla si crea e nulla si distrugge (A=A), tutto si trasforma (à ØA)
Ho affermato "AàØA" come forma del divenire (della fisica e delle pratiche) al capitolo 8 di: https://filosofiaenuovisentieri.com/2017/11/12/unificazione-della-relativita-e-della-fisica/
 
Ciao Paul11,
Non voglio ingabbiare la vita dentro le forme, ma considero le forme come un mezzo di conoscenza della vita, una delle vie per la pratica e per vivere. In ogni caso ho trovato note piacevoli nel discorso intorno all'istinto, l'intuito, la razionalità, il pensiero. 
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Phil il 16 Febbraio 2020, 19:07:12 PM
Citazione di: paul11 il 16 Febbraio 2020, 17:26:33 PM
Il problema è in effetti fra tautos ed esperienza. Ma la scienza pura e non quindi applicata inserisce tautologie e non esperienze nei paradigmi. [...] Eppure la geometria ,la logica, la matematica, funzionano applicativamente quando ad un segno tautologico applico un segno esperienziale fenomenico.
L'applicazione pratica è ciò che spesso fonda a posteriori, retroattivamente, la legittimità del paradigma, del tautos (inteso come tautologia di sistema) e del dizionario di definizioni su cui esso si fonda. Prescindendo da tale applicazione di verifica, si rischia di cadere o nella petitio principii (o altre psudo-dimostrazioni circolari e autoreferenziali) oppure nel regressus ad infinitum, che sposterebbe asintoticamente il "luogo" del fondamento.
Ci mise già in guardia lo scettico Sesto Empirico:
«Quando qualcuno afferma che si danno delle verità, presenta questa affermazione o senza dimostrazione o con una dimostrazione. Se senza dimostrazione, deve essere consentito porre senza dimostrazione anche la tesi opposta, cioè che non si danno verità. Se con una dimostrazione, chiedo: con una falsa o una vera? Se con una falsa, l'intera affermazione non vale niente. Se con una vera, domando: con che cosa ha potuto dimostrare che la sua dimostrazione è vera? Con un'altra dimostrazione? Ma così ce ne vorrebbe sempre una nuova, per cui il nostro lavoro non potrebbe mai finire» (Sesto Empirico, Contro i logici, II, 15 s.).
Se invece la verità (senza addentrarci qui nella sua definizione) si manifesta nell'applicazione del paradigma, non c'è bisogno di ulteriore verifica, perché l'esperienza (sempre entro i suoi limiti interpretativi) risolve le perplessità teoretiche. Viceversa, se per la natura del tema o della questione, è preclusa la possibilità di verifica applicativa, e ciò nonostante si aspira ad un'unica "verità", allora si innesca il conflitto fra le tautologie dei differenti sistemi interpretativi (ed una meta-tautologia che metta tutti d'accordo, sposterebbe solo il problema del "dove" sia fondata definitivamente la sua autorevole verità).
Proprio come
Citazione di: paul11 il 16 Febbraio 2020, 17:26:33 PM
In geometria dichiaro il punto, dichiaro la linea dichiaro un piano, costruiti i fondamenti posso con coerenza e consistenza costruire figure geometriche regolari, teoremi
parimenti in filosofia "dichiaro il noumeno, dichiaro l'intuizione, dichiaro la ragione in sé, etc. e posso con coerenza e consistenza (ma non completezza) costruire validi (≠ veri) ragionamenti interpretativi del reale" (dove «dichiaro» vale «definisco»).
Il problema applicativo di ogni formalismo resta, secondo me, la sua "compilazione", ovvero l'assegnazione dei valori (e delle esperienze, vissuti, fatti, etc.) relativi alle varie "x", "A", etc. senza tali compilazioni, la formalità non è pragmaticamente utile, pur restando una preziosa cornice di "validità teor(et)ica" (≠ verità).
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Sariputra il 16 Febbraio 2020, 21:01:20 PM
La 'verità' richiede un potere e il potere - -> l'autorità (exousía). Sempre. L'autorità definisce la 'verità' . La 'verità' è dunque una categoria politica. Se Yeoshwa basa il suo concetto di regalità e di regno sulla verità come categoria fondamentale, molto comprensibilmente il pragmatico Pilato chiede: «Che cos'è la verità?» . Pilato fa la stessa domanda dell'uomo/filosofo comune.
È la domanda che pone anche la moderna dottrina dello Stato: può la politica assumere la verità come categoria per la sua struttura? O deve lasciare la verità, come dimensione inaccessibile, alla soggettività e invece cercare di riuscire a stabilire la pace e la giustizia con gli strumenti disponibili nell'ambito del potere? Vista l'impossibilità di un consenso sulla verità, la politica puntando su di essa non si rende forse strumento di certe tradizioni che, in realtà, non sono che forme di conservazione del potere?
Ma, dall'altra parte , che cosa succede se la verità non conta nulla? Quale giustizia allora sarà possibile? Non devono forse esserci criteri comuni che garantiscano veramente la giustizia per tutti , criteri sottratti all'arbitrarietà delle opinioni mutevoli ed alle concentrazioni del potere? Non è forse vero che le grandi dittature sono vissute in virtù della menzogna ideologica e che soltanto la 'verità' sull'inganno poté portare la liberazione?
Ma che cos'è la verità? La domanda del pragmatico, posta con un certo scetticismo, è una domanda molto seria, nella quale effettivamente è in gioco il destino dell'umanità. Che cosa è, dunque, la verità? Possiamo riconoscerla? Può essa entrare, come criterio, nel nostro pensare e volere, nella vita sia del singolo che in quella della comunità?
Verità ed opinione errata, verità e menzogna nel mondo sono continuamente mescolate in modo quasi inestricabile.
La non-riconoscibilità della verità è una situazione che poi conduce inevitabilmente al dominio del pragmatismo, e in questo modo fa sì che il potere dei forti diventi il dio di questo mondo.
Ma se il potere è menzogna, abbiamo un'indiretta, prima affermazione di cosa non è la verità: potere.
Se il potere determina la prassi , abbiamo una seconda affermazione di cosa non è la verità: pragmatica.
Se la prassi è funzione, abbiamo una terza affermazione di cosa non è la verità: funzionale.
La verità esternamente è 'im-potente' nel mondo. Internamente è inattaccabile perché è negazione della menzogna.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: bobmax il 16 Febbraio 2020, 22:22:25 PM
@Sariputra

La negazione della menzogna è, nel nostro esserci, una verità relativa, condizionata.

Questa "verità" dipende infatti dalla stessa menzogna che nega.

È perciò un passo della ricerca ma non il suo completamento.

Questo è il limite della "verità" nell'esserci: necessita della falsità per poterla negare.

Ma la Verità assoluta non ha alcun condizionamento. Non necessita di alcuna falsità da negare.
Infatti la Verità è negazione della negazione.

Di modo che la Verità è solo questione di fede.
L'unica autentica fede.
Senza la quale vi è solo malafede.

La libertà dalle dittature dipende certo dalla negazione delle menzogne su cui si reggono. Ma la "verità" che nega le menzogne da dove scaturisce?
Ogni volta dalla fede nella Verità assoluta!
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 16 Febbraio 2020, 22:23:29 PM
La verità dell'universo antropologico non è la verità dell'universo fisico. Il primo la deriva dal suo ethos storicamente determinato ed è talmente contingente da essere piuttosto etica che verità. La seconda è più rigorosa e deriva dalle leggi naturali.

Poi vi é la verità logica che é quella a cui fa riferimento Phil e, su un piano filosofico diverso, coloro che pensano la realtà totalmente sussumibile sotto quell'ombrello metafisico.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Sariputra il 17 Febbraio 2020, 10:39:59 AM
Le probabilità che la verità sopravviva all'assalto del potere, dei poteri tutti, sono veramente pochissime , diceva Hanna Arendt. Essa rischia sempre di essere bandita dal mondo, non solo temporaneamente ma, potenzialmente, per sempre. E' il problema dell'autorità che si fa strumento di menzogna. Qualunque autorità  che si fa potere è una menzogna.
Se poi la menzogna è organizzata, così com'è oggigiorno, diventa un'arma assolutamente adeguata contro la verità. Infatti, meno pensiamo che la verità conti, più la risposta alla menzogna si perde nella retorica e nei sofismi.
La realtà in cui siamo gettati con la nascita è una 'finzione'. Ci troviamo bell'immersi in un mare di leggi, convenzioni e regole già stabilite a cui aderiamo "come se" le avessimo scelte noi, liberamente in prima persona. Questo "come se" è già l'indizio della finzione del mondo in cui viviamo, che però accettiamo e avalliamo ogni santo giorno. E' un rituale rassicurante dopo tutto...Sappiamo che le regole cambiano, si trasformano, ma non mettiamo in dubbio che siano "vere". Siamo 'proiettati' nel mondo senza consapevolezza dei motivi per cui lo facciamo, senza consapevolezza della finzione attorno a noi.Viviamo nella menzogna. Il mondo è una menzogna...

"Mondo= Luogo immaginario costruito dalla mente umana ove poter fingere continuamente" Dizionario Devoto-Oli
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: niko il 17 Febbraio 2020, 11:35:22 AM
Citazione di: Phil il 16 Febbraio 2020, 19:07:12 PM
Citazione di: paul11 il 16 Febbraio 2020, 17:26:33 PM
Il problema è in effetti fra tautos ed esperienza. Ma la scienza pura e non quindi applicata inserisce tautologie e non esperienze nei paradigmi. [...] Eppure la geometria ,la logica, la matematica, funzionano applicativamente quando ad un segno tautologico applico un segno esperienziale fenomenico.
L'applicazione pratica è ciò che spesso fonda a posteriori, retroattivamente, la legittimità del paradigma, del tautos (inteso come tautologia di sistema) e del dizionario di definizioni su cui esso si fonda. Prescindendo da tale applicazione di verifica, si rischia di cadere o nella petitio principii (o altre psudo-dimostrazioni circolari e autoreferenziali) oppure nel regressus ad infinitum, che sposterebbe asintoticamente il "luogo" del fondamento.
Ci mise già in guardia lo scettico Sesto Empirico:
«Quando qualcuno afferma che si danno delle verità, presenta questa affermazione o senza dimostrazione o con una dimostrazione. Se senza dimostrazione, deve essere consentito porre senza dimostrazione anche la tesi opposta, cioè che non si danno verità. Se con una dimostrazione, chiedo: con una falsa o una vera? Se con una falsa, l'intera affermazione non vale niente. Se con una vera, domando: con che cosa ha potuto dimostrare che la sua dimostrazione è vera? Con un'altra dimostrazione? Ma così ce ne vorrebbe sempre una nuova, per cui il nostro lavoro non potrebbe mai finire» (Sesto Empirico, Contro i logici, II, 15 s.).
Se invece la verità (senza addentrarci qui nella sua definizione) si manifesta nell'applicazione del paradigma, non c'è bisogno di ulteriore verifica, perché l'esperienza (sempre entro i suoi limiti interpretativi) risolve le perplessità teoretiche. Viceversa, se per la natura del tema o della questione, è preclusa la possibilità di verifica applicativa, e ciò nonostante si aspira ad un'unica "verità", allora si innesca il conflitto fra le tautologie dei differenti sistemi interpretativi (ed una meta-tautologia che metta tutti d'accordo, sposterebbe solo il problema del "dove" sia fondata definitivamente la sua autorevole verità).
Proprio come
Citazione di: paul11 il 16 Febbraio 2020, 17:26:33 PM
In geometria dichiaro il punto, dichiaro la linea dichiaro un piano, costruiti i fondamenti posso con coerenza e consistenza costruire figure geometriche regolari, teoremi
parimenti in filosofia "dichiaro il noumeno, dichiaro l'intuizione, dichiaro la ragione in sé, etc. e posso con coerenza e consistenza (ma non completezza) costruire validi (≠ veri) ragionamenti interpretativi del reale" (dove «dichiaro» vale «definisco»).
Il problema applicativo di ogni formalismo resta, secondo me, la sua "compilazione", ovvero l'assegnazione dei valori (e delle esperienze, vissuti, fatti, etc.) relativi alle varie "x", "A", etc. senza tali compilazioni, la formalità non è pragmaticamente utile, pur restando una preziosa cornice di "validità teor(et)ica" (≠ verità).



Non se ne esce, se il nulla non ha determinazioni ha almeno una determinazione, quella di non avere determinazioni, ed è il fantasma dello sfero di Parmenide. Ci sono dunque due sfere, una dell'essere e una del nulla. Tutte le non-determinazioni dell'una, vanno bene per l'altra.
Vale la pena ricordare che l'essere parmenideo è costruito per negazione di determinazioni, come il Dio di una teologia negativa: non ha determinazioni temporali (l'eterno presente in cui si trova lo sfero non è una determinazione temporale, ma un tempo nullo), non ha parti, non ha movimento, non ha elementi visibili e l'occhio della mente lo rivela uniforme, non ha confini spaziali (la curva della sfera vuole essere un non confine, come l'eterno presente un non tempo). E come tutte le teologie negative, anche quella di Parmenide a un certo punto si scontra con il fatto che anche non avere determinazioni è una determinazione. Il passo successivo, dopo aver tolto tutte le determinazioni a Dio, è il silenzio, non l'affermazione sguaiata, e stupida, che esso non ha determinazioni.

Con Hegel possiamo dire che anche l'essere è l'assolutamente indeterminato, proprio come il nulla, ed essere e nulla non si distinguono realmente (non si de-astrattificano) se non nel divenire. Sia l'essere che il nulla hanno l'unica determinazione di non avere determinazioni. Sono indicati dalla stessa determinazione, quindi sono la stessa cosa. L'essere e il nulla sono vuoto. Sono falsi dei finché non stiamo in silenzio.

Perché l'essere se stesso del nulla sia il non essere, il non essere deve esistere in senso forte, deve indicare una condizione di esistenza possibile, quella che il parlante attribuisce al nulla, alla cosa che designa come nulla. Se invece si ammette che, in generale e senza eccezioni, il non essere di una cosa non esiste realmente, o almeno non esiste realmente per quella cosa, non designa uno stato di quella cosa, ma uno stato di altro, il  non essere relativo di una cosa è quello che la nasconde e la sostituisce nel divenire (storico o naturale) o che gli si contrappone immediatamente nella determinazione logica sé/altro. E ciò che vale senza eccezioni, vale anche per il nulla. Se si toglie dal discorso il
non-essere, si deve togliere dal discorso anche il non-essere del nulla.

La natura ha tempo e spazio per sopportare la contraddizione manifestandola in opposti distinti spazialmente e temporalmente, nel pensiero la contraddizione è immediata perché il pensiero è inesteso, non declina la definizione contraddittoria in luoghi e tempi diversi ma la contempla come unità.
Ma che si sia nella natura, o nella storia, o nel pensiero, una volta eliminato il nulla assoluto come possibilità, il non-essere di una cosa è solo il suo essere-altro, la sua determinazione ulteriore extra-liminare interna o esterna che il pensiero, o la storia, o la natura, pone; da questo punto di vista posso ben dire che l'essere del nulla è l'essere, perché il nulla non è il buco nero, non è quello che fa sparire -nel nulla- quello di cui è nulla, ma che lo fa progredire verso una determinazione-altra, gli sostituisce o gli sovrappone qualche altra cosa o qualche altro concetto. Il nulla non sparisce nel nulla, ma nel suo opposto, cioè nell'essere, e l'azione propria e continuativa del nulla è lo sparire.

Il discorso che relativizza il nulla ha senso solo se relativizza anche il nulla assoluto, se afferma che l'essere del nulla è l'essere ed esiste almeno un livello della realtà in cui essere e nulla si distinguono solo nominalmente: il discorso che introduce il nulla relativo volendo mantenere però anche il nulla assoluto, il discorso che relativizza tutti i nulla tranne uno, quello assoluto, il discorso del niente, è un colabrodo, perché in questo discorso l'"uno", l'unità logica e matematica a cui corrisponde il nulla assoluto, l'unica cosa residua che con esso si vuole designare quando con gli ulteriori concetti di "essere" e di "nulla relativo" si è designato tutto il resto, ha la stessa perfezione, la stessa indeterminazione e la stessa genericità dell'essere, e quindi è un discorso che raddoppia l'essere, da cui appunto le due sfere: sia con "essere" che con "nulla" si designa qualcosa di perfetto, indeterminato, atemporale, unico, non ripartito eccetera.
Tipicamente poi come unica distinzione all'essere si attribuisce il potere di causare qualcosa e al nulla no, ma questa è solo malafede.

O tutto o niente, quindi: non si possono relativizzare alcuni nulla sì e altri no: bisogna piuttosto stabilire in generale se la forma del non essere sia lo sparire, -e con lo sparire intendoil cessare meramente di essere e, al limite, nel caso estremo dell'essere e del nulla, il non essere mai (per il nulla) o l'essere sempre (per l'essere)-, o il tramontare, e con il tramontare intendo il declinare nell'opposto contraddittorio di quello che non è, il non essere come essere altro. Se si scegli il tramontare, poi deve valere anche per il nulla, non si possono fare eccezioni di comodo.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: paul11 il 17 Febbraio 2020, 16:38:30 PM
Ciao Niko,
francamente non mi è chiara la tua argomentazione. Provo ugualmente a cercare di rispondere.
L'essere parmenideo è una prima forma logica che non corrisponde affatto al divenire sensibile. Non nega la determinazione, perché allora avrebbe dovuto proseguire nella contraddizione, si ferma al concetto d'identità che l'essere non può anche non-essere. La dialettica negativa è quella che prosegue nella contraddizione, ma il soggetto sono gli essenti contraddittori nel divenire, non il nulla.
Il dio soprasensible è eterno e non necessita di attribuzioni, potrebbe riferirsi semmai all'archè, alla causa prima, ma non ad un nulla,
Le determinazioni sono in divenire e quindi nel sensibile.
La natura in sè-e-per-sè non è la nostra realtà, quando i nervi sensoriali percepiscono onde elettromagnetiche e le passano al cervello,noi annusiamo, vediamo, saggiamo, tocchiamo,ecc più con il cervello che con i sensi e sono mediati da precedenti esperienze.
A volerla dire tutta, il nostro sistema sensoriale è un adattamento al nostro corpo fisico che a sua volta è adattato all'ambiente in cui vive, quindi la realtà della natura, non è la realtà del cervello che riceve impulsi sensoriali e men che meno della mente che riflette pensando. Tutto è quindi riconducibile a pensiero, inteso anche come interpretiamo la natura stessa,fino a noi stessi.

Ribadisco ...ma non se ho capito
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: paul11 il 17 Febbraio 2020, 16:46:16 PM
Citazione di: Phil il 16 Febbraio 2020, 19:07:12 PM
Citazione di: paul11 il 16 Febbraio 2020, 17:26:33 PM
Il problema è in effetti fra tautos ed esperienza. Ma la scienza pura e non quindi applicata inserisce tautologie e non esperienze nei paradigmi. [...] Eppure la geometria ,la logica, la matematica, funzionano applicativamente quando ad un segno tautologico applico un segno esperienziale fenomenico.
L'applicazione pratica è ciò che spesso fonda a posteriori, retroattivamente, la legittimità del paradigma, del tautos (inteso come tautologia di sistema) e del dizionario di definizioni su cui esso si fonda. Prescindendo da tale applicazione di verifica, si rischia di cadere o nella petitio principii (o altre psudo-dimostrazioni circolari e autoreferenziali) oppure nel regressus ad infinitum, che sposterebbe asintoticamente il "luogo" del fondamento.
Ci mise già in guardia lo scettico Sesto Empirico:
«Quando qualcuno afferma che si danno delle verità, presenta questa affermazione o senza dimostrazione o con una dimostrazione. Se senza dimostrazione, deve essere consentito porre senza dimostrazione anche la tesi opposta, cioè che non si danno verità. Se con una dimostrazione, chiedo: con una falsa o una vera? Se con una falsa, l'intera affermazione non vale niente. Se con una vera, domando: con che cosa ha potuto dimostrare che la sua dimostrazione è vera? Con un'altra dimostrazione? Ma così ce ne vorrebbe sempre una nuova, per cui il nostro lavoro non potrebbe mai finire» (Sesto Empirico, Contro i logici, II, 15 s.).
Se invece la verità (senza addentrarci qui nella sua definizione) si manifesta nell'applicazione del paradigma, non c'è bisogno di ulteriore verifica, perché l'esperienza (sempre entro i suoi limiti interpretativi) risolve le perplessità teoretiche. Viceversa, se per la natura del tema o della questione, è preclusa la possibilità di verifica applicativa, e ciò nonostante si aspira ad un'unica "verità", allora si innesca il conflitto fra le tautologie dei differenti sistemi interpretativi (ed una meta-tautologia che metta tutti d'accordo, sposterebbe solo il problema del "dove" sia fondata definitivamente la sua autorevole verità).
Proprio come
Citazione di: paul11 il 16 Febbraio 2020, 17:26:33 PM
In geometria dichiaro il punto, dichiaro la linea dichiaro un piano, costruiti i fondamenti posso con coerenza e consistenza costruire figure geometriche regolari, teoremi
parimenti in filosofia "dichiaro il noumeno, dichiaro l'intuizione, dichiaro la ragione in sé, etc. e posso con coerenza e consistenza (ma non completezza) costruire validi (≠ veri) ragionamenti interpretativi del reale" (dove «dichiaro» vale «definisco»).
Il problema applicativo di ogni formalismo resta, secondo me, la sua "compilazione", ovvero l'assegnazione dei valori (e delle esperienze, vissuti, fatti, etc.) relativi alle varie "x", "A", etc. senza tali compilazioni, la formalità non è pragmaticamente utile, pur restando una preziosa cornice di "validità teor(et)ica" (≠ verità).
ciao Phil,
mi riferisco alle scienze "pure", non applicate. Un conto è costruire logica, matematica, e geometria e un conto le leggi fisiche, economiche, naturali, ecc. Le scienze pure non hanno bisogno di una dimostrazione esperienziale, quelle applicate invece sì, e infatti mutano al mutare di nuove scoperte. La dimostrazione nelle scienze pure è interna al formalismo logico tenendo fermi gli assiomi iniziali, i primitivi.

Guarda che paradossalmente, anche la filosfia più astratta e lontanta dalla realtà naturale incide pragmaticamente, con motivazioni, atteggiamenti, modi di vivere.
E' vero comunque quello che scrivi, filosoficamente è corretto.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 17 Febbraio 2020, 17:10:43 PM
 In sequenza Sampitura e Ipazia, Boomax, Nico, Pauli11 e Phil
 
Ciao Sampitura (e Ipazia),
alla tua affermazione «L'autorità definisce la 'verità'», contrappongo quella di Ipazia «La verità dell'universo antropologico non è la verità dell'universo fisico». Lo faccio perché dobbiamo riconoscere diversi livelli di verità (es. oggettiva, intersoggettiva, soggettiva)  e che tu nei hai parlato a livello di categoria politica, ma poi appunto c'è anche la verità come categoria naturale e poi... io qui parlo di tali distinzioni di verità: cap. 8  https://www.azioniparallele.it/30-eventi/atti,-contributi/174-verita-realismo-costruttivismo.html
"Mondo = Luogo come risultato di leggi universali e particolari" Dizionario Vito
 
Ciao boomax,
«Ma la Verità assoluta non ha alcun condizionamento. Non necessita di alcuna falsità da negare [e non l'ha]».
 
Ciao Nico,
ti segnalo questo tuo errore: «Non se ne esce, se il nulla non ha determinazioni ha almeno una determinazione, quella di non avere determinazioni, ed è il fantasma dello sfero di Parmenide.» L'errore sta in questo:
 
Con la proprietà A posso dimostrare se B ha la proprietà A oppure no ØA.
Quindi, con la determinazione A posso dire se B è determinabile A o indeterminabile ØA.
"Determinare che è indeterminabile", "determinare che non è determinabile", significa pertanto "non essere in grado di determinarlo", "non essere determinabile".
Cfr:
cap. 3 https://filosofiaenuovisentieri.com/2019/04/14/unificazione-generale-della-logica-classica-e-non-classica/
cap. 5 https://filosofiaenuovisentieri.com/2017/05/14/teoremi-di-coerenza-e-completezza-epimenide-godel-hofstadter/
 
Il tuo presupposto, di determinare il niente, decade. Quindi decade il discorso che ne derivi, anche se poi ci puoi aver detto dentro cose intelligenti, decade comunque il tuo discorso.
Questa è la "quinta" forma con cui ti rispondo, permettimi quindi di invitarti a leggere qualcuno dei miei articolo di questo "gioco" (quelli sopra sono formali), così alziamo il tenore della discussione e mi eviti copiaincolla.
 
 
Ciao Paul11,
«Guarda che paradossalmente, anche la filosfia più astratta e lontanta dalla realtà naturale incide pragmaticamente, con motivazioni, atteggiamenti, modi di vivere.»
Già, anche la più lontana.
 
 
Ciao Phil,
stavo leggendo la tua "filosoficamente corretta" quando... mi sono fermato alla fine e mi sono rifiutato di leggere il finale, da quando hai scritto: "coerenza e consistenza (ma non completezza)". Scherzi a parte. Guarda questo:
https://filosofiaenuovisentieri.com/2017/05/14/teoremi-di-coerenza-e-completezza-epimenide-godel-hofstadter/
E immagina questo gioco formale...

Contro il proprio Teorema di Incompletezza, Gödel, in estrema sintesi, avvertì della possibilità di un Teorema di Completezza in cui ogni proposizione risultasse decidibile da un'asserzione vera sull'estensione del sistema. Cioè un'asserzione che affermasse «è vero che, è vero o falso o una via di mezzo fra vero e falso o sia vero che falso o né vero né falso». E chi meglio di Gödel poteva sapere dove la sua incompletezza poteva crollare?
Qui adottiamo alcune forme capaci di contenere e trasformare la sua (Gödel) "interpretazione di incompletezza" dei dati in una interpretazione di coerenza e completezza. Le formalizzazioni che ci permettono questo evento sono le seguenti:
 
1) Valore di verità - vero o falso
Se quando affermo o nego una frase essa non si contraddice, allora ha un valore di verità.
 
2) Valore paradossale - né vero né falso
Se quando affermo una frase essa si contraddice e si contraddice anche quando la nego, allora la stessa non ha un valore di verità.
3) Principio di dimostrazione
Per ogni predicato A, posso dimostrare se il soggetto B ha il predicato A oppure no.
 
4) Verità teorematica
Per ogni A, è vero che abbia valore di verità oppure no.
 
5) Principio di Coerenza
La coerenza di A equivale al fatto che predica la propria dimostrabilità o indimostrabilità all'interno del sistema. Oppure, un sistema è coerente quando ogni sua asserzione, quando ben interpretata, risulta vera (cfr. 4).
 
6) Principio di Completezza
La completezza di A equivale al fatto che, la sua affermazione e negazione appartengono alle dimostrazioni del sistema.
 
7) Primo principio di Coerenza e Completezza
La coerenza di A equivale al fatto che è dimostrabile o indimostrabile nel sistema. La sua completezza equivale a dimostrare tale coerenza tramite gli enunciati stessi del sistema.
 
8 ) Teoria del Primo
Il Primo A è ciò da cui si dà, da sé e in sé, tutta la sua formalità possibile e non.
 
9) Teoria dell'Ultimo
Se il posizionamento del Primo "A" dipende dal posizionamento delle sue conseguente, e se ciò che in ultimo riassume tutte le sue conseguenze è ancora se stesso A, cioè se l'inizio e la fine coincidono, allora si parla di A come pienamente completo: l'autosufficienza.
 
10) Secondo principio di Coerenza e Completezza
Se A è coerente allora tale coerenza è dimostrabile da sé, completamente.
Adottate queste forme, il teorema di Gödel si trasforma nel nostro Teorema di Coerenza e Completezza.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: paul11 il 17 Febbraio 2020, 17:49:49 PM
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 17 Febbraio 2020, 17:10:43 PM
In sequenza Sampitura e Ipazia, Boomax, Nico, Pauli11 e Phil

Ciao Sampitura (e Ipazia),
alla tua affermazione «L'autorità definisce la 'verità'», contrappongo quella di Ipazia «La verità dell'universo antropologico non è la verità dell'universo fisico». Lo faccio perché dobbiamo riconoscere diversi livelli di verità (es. oggettiva, intersoggettiva, soggettiva)  e che tu nei hai parlato a livello di categoria politica, ma poi appunto c'è anche la verità come categoria naturale e poi... io qui parlo di tali distinzioni di verità: cap. 8  https://www.azioniparallele.it/30-eventi/atti,-contributi/174-verita-realismo-costruttivismo.html
"Mondo = Luogo come risultato di leggi universali e particolari" Dizionario Vito

Quì mi trovo d'accordo con Sariputra ,anche nel suo successivo post.
Ci sono due tipi di verità, e Sariputra non intende quelle analitiche, ma quella essenziale sintetica, quella morale riconducibile ad una ragione in sè, C'è una verità religiosa e/o spirtuale, dettata da sacre scritture o da grandi maestri di sapienza e saggezza: la verità filosofica invece necessita di ciò che allude Vito C.
La verità filosofica è forte se implictamente ha una autorità quale quelle religose e spirtuali con una morale intrinseca alla sintesi di unarchè, di un origine fondativa, di un paradigma ,di una verità incontrovertibile. Se le  verità religiose e spirituali sonoala fine pratiche in cui o ci si sente dentro o si è fuori, quelle filosfiche sono più discrezionali, basta smontarle e rimontarle, o qddirittura annichilirle.
La categoria politica nasce dalla categoria morale, così come le attuali scienze politche sono figlie della filosfia politica e prima ancora della filosofia morale. Una verità filosfica trova il suo principio di autorità nella sua costruzione logica formale, nelal capacità di relazionare gli ambiti pratici e teoretici, Tanto più comprende, più porta con sè le conoscenze di diversi ambiti in maniera coerente e tanto più viene accettata come autorità: e segna una cultura. 
Senza una verità manca il referente assoluto, è come togliere i punti cardinali in una bussola, non sappiamo dove siamo, rischiamo di perderci,mancano i riferimenti.
Una verità vincola, condiziona, educa atteggiamenti e motivazioni (bello o brutto, giusto o sbagliato,ecc) .Senza il referente dei genitori, il figlio chi imita, a chi si riferisce? Senza l'autorità della verità, spirituale o filosofica che sia, ognuno si sente libero di compiere parricidi,di portare nuove verità, di abbattere quelle di ierri, non essendo nessuna una verità accettata come autorità.
Tutto ciò ha liberato il pragmatico, le pratiche, non credendo più ad autorità, a verità che necessariamente vincolavano i comportamenti in una morale. La conclusione è che nessuno rispetta più nulla se può. Lo Stato oggi non è morale, è sanzionatorio e basta. E considerato come multa, ammenda, galera, non come necessità di identità pratica di una comunità di una nazione. E' ovvio in questo contesto cultural popolare che vengano partoriti nuovi personaggi arroganti e populisticamente accettati, perché incarnano le peggiori intenzioni dell'uomo forte autoritario, quello che hanno perduto come autorità di una verità nella cultura.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 17 Febbraio 2020, 19:12:37 PM
Lo Stato é sempre stato sanzionatorio in quanto et(olog)ico. 

La sua verità é sempre (stata) verità di Stato, più o meno condivisa a seconda della sua composizione di classe. Mettere la religione o la filosofia al posto di un fantomatico Stato non cambia la morale della favola antropologica. Avremo teocrazie o repubbliche dei filosofi, non immunizzate da tirannidi, come ebbe a sperimentare, suo malgrado, il primo teorizzatore del genere, Platone.
.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: bobmax il 17 Febbraio 2020, 19:50:18 PM
L'Uno è la stessa Verità.
 
Come è possibile anche solo supporre che vi siano più verità?
Davvero si può ritenere che vi sia una "verità" spirituale e una "verità" filosofica?
 
La Verità è l'Uno! Che altro dovrebbe mai essere?
Ed essendo l'Uno equivale al Nulla.
 
Altro che incontrovertibilità!
 
E invece, presi dal pensiero razionale che si avvita su se stesso, si finisce per considerare la Verità una conclusione logica...
Mentre è proprio la Verità il fondamento di ogni possibile logica!
 
Ma questo è il segno dei tempi.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 17 Febbraio 2020, 20:14:32 PM
@Vito

La metamorfosi fenomenologica della verità è ben descritta nelle sue parti confederate. Rimane indimostrata l'assiomatica della ragione in sè e la sua pretesa genetica sul fenomeno essendo essa stessa - qualsiasi cosa sia in ambito realistico - fenomenica.

L'ambiguità del sovrasensibile lo priva del carattere di verità da te stesso così dettagliatamente descritto, espellendolo dal campo della adequatio  e della relativa scientificità.

Problema  già rilevato da Phil.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Phil il 17 Febbraio 2020, 20:21:53 PM
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 17 Febbraio 2020, 17:10:43 PM
Ciao Phil,
stavo leggendo la tua "filosoficamente corretta" quando... mi sono fermato alla fine e mi sono rifiutato di leggere il finale, da quando hai scritto: "coerenza e consistenza (ma non completezza)". Scherzi a parte. Guarda questo:
https://filosofiaenuovisentieri.com/2017/05/14/teoremi-di-coerenza-e-completezza-epimenide-godel-hofstadter/
E immagina questo gioco formale...
Davvero dovrei ricordarti che la (in)completezza e la (in)coerenza di cui Godel parla si riferiscono ad enunciati particolari all'interno del sistema, i cosiddetti indecidibili? Oppure dovrei linkarti i teoremi di Godel e chiederti di correggerli con la tua "penna rossa"?
Come già saprai, in rete e in biblioteca1 trovi molto su Godel e mi sbilancio nel ricordarti che, in logica, non basta affermare qualcosa usando la simbologia formale, va anche sistematizzato e dimostrato (va bene il giocare, ma certi giochi, per essere sensati, richiedono basi come minimo solidissime; in alternativa, come suggerisce il saggio, «gioca con i fanti ma lascia stare i santi»).

1K. Gödel, Opere, a cura di E. Ballo, S. Bozzi, G. Lolli, C. Mangione, vol. I (1929-1936), Bollati Boringhieri, Torino 1999, p. 97 e più dettagliatamente (presupponendo una buona dimestichezza con la notazione logica) pp. 113-138; 144-145, 170-171
e
K. Gödel, Appendice agli Atti del secondo convegno di epistemologia delle scienze esatte, in  E. Casari, La filosofia della matematica del '900, Sansoni, Firenze 1973, pp. 55-56.


P.s. @altri
Per evitare fraintendimenti, credo occorra tener presente l'osservazione di Ipazia e distinguere le varie "tipologie" di verità, almeno la verità verificabile dalla verità come mistica sublimazione del Bene («io sono la via, la verità, la vita» diceva qualcuno, con buona pace della logica formale).
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: paul11 il 17 Febbraio 2020, 21:11:11 PM
Il grado di sanzionabilità di uno Stato è direttamente proporzionale al grado di litigiosità della società che la compone e c'entra anche poco il livello di classi sociali. Tutti hanno ragione e nessuno ascolta più le ragioni degli altri:mancanza della zona di rispetto.
Le favole le lascio volentieri a chi crede al genere umano come animali: si leggano Esopo.

Non esistono due verità, bensì c'è una verità incarnata da profeti, guide spirituali e un'altra che nasce per costruzioni argomentative, dialettiche, logiche,ecc..
Se nascesse prima una verità logica e poi come verrebbe giustificata, argomentata? Si costruisce prima il tetto o le fondamenta?
Questa è storia. Se non si capisce nemmeno questo mi cascano.....le braccia.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 17 Febbraio 2020, 23:13:10 PM
C'è una verità incarnata nella natura e nella sua evoluzione che ha prodotto animali senzienti e pensanti che hanno prodotto logica, sapere, profeti e amenità varie. Questo è ciò che siamo ragionevolmente in grado di dire e, con licenza dei nostri mezzi cognitivi, dimostrare.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Phil il 18 Febbraio 2020, 00:37:26 AM
Citazione di: paul11 il 17 Febbraio 2020, 21:11:11 PM
Non esistono due verità, bensì c'è una verità incarnata da profeti, guide spirituali e un'altra che nasce per costruzioni argomentative, dialettiche, logiche,ecc..
Nell'affermare la frase vera «quella sedia ha quattro gambe», non ho bisogno di detenere potere o autorità-exousía (se non quella del linguaggio, ma qui si parlava di altre autorità, mi pare); si tratta di una verità piuttosto verificabile e che ci rapporta alla realtà del mondo empirico-esteriore.
Le verità dei profeti mi paiono decisamente di altro tipo (verificabili? a quale mondo ci rapportano?) e chiarisco che non affermo che le loro non siano verità, ma solo che hanno tutt'altra "denotazione"1.
Sono due verità imparentate? Certo, dal convergere in un'unica ambigua (e per questo "pericolosa") parola; secondo me, l'"henologia" della verità unica non rende giustizia alla ragione (e alle ragioni) degli uomini.

1Che la verità non si "incarna", ma al massimo si dice, essendo nella bocca più che nel mondo, è solo una mia interpretazione personale: non credo nella verità che trascende il suo esser-pensata/detta/etc. Fuori dal discorso non c'è vero/falso, ma solo esistere/non-esistere: «quella sedia ha quattro gambe» è una verità solo all'interno di un discorso che se ne interroga; altrimenti esiste la sedia con le sue quattro gambe, senza alcun rapporto "prelinguistico" o "aconcettuale" con verità/falsità (in quanto, appunto, concetti logico-linguistici).
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Sariputra il 18 Febbraio 2020, 01:01:47 AM
" La manifestazione del vento del pensiero non è la conoscenza; è l'attitudine a discernere il bene dal male, il bello dal brutto. " ( Hannah Arendt-La vita della mente)
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: paul11 il 18 Febbraio 2020, 01:23:34 AM
ciao Phil,
Capisco sempre meno certi atteggiamenti"moderni"
Pierce fondatore della semiologia e Wittgenstein grande pensatore del linguaggio proposizionale, ritenevano che le dimostrazioni fosse nella natura, però riconoscevano che alla base ci fosse l'intuito.Wittgenstein riconosciuto un grande dalla comunità internazionale fugge a fare il maestro per i ragazzi nelle elementari ,mi pare in Svizzera, e lui stesso fa il mistico scappando in una capanna sperduta, mi pare in Norvegia, a dar da mangiare dalle proprie mani agli uccelli migratori.
E lo vedi che recita le tavole delle verità sopra una collina nel grande nord a picco sul grande mare, in totale solitudine?

Capisco sempre meno chi fa discorsi formali in un dominio, chi riconosce l'intuito in un altro dominio, e chi fa il mistico esistenziale esercitando però ufficialmente un ruolo formale.
Mi sembrano tutti come dei nobel che professano grandi formalismi, però di notte si vestono da transessuali per esercitare una vita diversa. Mi sembrano il "vecchio professore che vai cercando in quel portone, quella di giorno chiami con disprezzo pubblica moglie; quella che di notte stabilisce il prezzo alle tue voglie"(F.De Andrè "Citta vecchia"): non capisco davvero queste schizofrenie.
Il problema è forse dentro di noi, abbiamo poca leggibilità di noi stessi e cerchiamo sicurezze là fuori . Incompresi però, le nostre vere passioni le esercitiamo di nascosto, furtivamente.
Godel, grandissimo logico, era un credente. A parte il suo esercizio logico sull'esistenza di Dio, come riusciva a collegare in se stesso la sua fede, probabilmente inspiegabile a livello logico, con la sua professione. Cantor, da ebreo costruisce l'insiemistica ingenua perché vuol spiegare l'infinito di Dio. C'è sempre qualcosa di mistico e misterioso in noi, inspiegabile per molti, io invece lo esterno e cerco di comprenderlo anche filosoficamente. Ma proprio perché se il compito della filoso è alla fin fine parlare di vita, non può tralasciare nulla, nemmeno l'inspiegabile il misterioso che è dentro e fuori di noi. Forse alla fine è la solo retorica, la dialogia, la dialettica, il confronto che può persuadere o meno se una filosofia è sulla giusta via. Ho già scritto che il linguaggio non è solo segno, significato, denotazione, senso, ecc.solo che per i misteri intimi umani mancano spesso le parole.

Tu hai fede SOLO nel mondo empirico esteriore: sei convinto o sei come gli illustri personaggi, di cui potrei aumentare la lista? Quando studio un testo voglio capire l'autore, a che età lo ha scritto, i suoi studi, la sua famiglia, la sua biografia non ufficiale se riesco, una filologia prima di una filosofia, per capire perché ha scritto quel determinato testo.
Le verità dei profeti resistono da millenni e c'è da farsene una ragione, non sono leggi empiriche che durano un battito d'ali di farfalle. Se fossero fasulle, chiediamoci piuttosto perchè resistono?Che cosa spinge un uomo a credere? E' una necessità?
Una verità necessariamente se è verità ha implicitamente una autorità, diversamente non è verità, è opinione.Una verità deve essere superiore alla coltre nazionalpopolare alla "gggente" perché diversamente ogni persona che compone la "gggente" si sente autorizzata(mancando l'autorità) a dare la propria autoritaria opinione spacciandola per verità. Una delle cose che non si riesce a far capire è che non è togliendo Dio, profeti o verità incontrovertibili che si è superata quella cultura, semplicemente lo si vuol dimenticare , fino all'estrema unzione; quando si chiama il prete, perché non si sa mai cosa davvero succede post-mortem. Non è verniciando una parete che noi la nascondiamo.

Ma tu sai perché esisti, quale ragionamento ti fai dentro di te? Anche qualcuno ha già detto cenere alla cenere. Ci sono buchi conoscitivi troppi ampi nella cultura che crede alla sola natura e materia e non voglio infierire perché creerebbe solo incomunicabilità, ognuno si mostra arroccandosi come se fosse una debolezza cercarsi dentro ,intimamente interrogativi mistici, misteriosi.
I profeti al tempo non parlavano per logiche formali, ma per metafore, allegorie, insegnavano la vita con esempi:quello che manca. Non dimostravano nulla , perchè non dovevano dimostrare nulla, ma arrivano al cuore, ai nervi,al cervello, all'anima.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 18 Febbraio 2020, 09:20:53 AM
Citazione di: Phil il 18 Febbraio 2020, 00:37:26 AM
Che la verità non si "incarna", ma al massimo si dice, essendo nella bocca più che nel mondo, è solo una mia interpretazione personale: non credo nella verità che trascende il suo esser-pensata/detta/etc. Fuori dal discorso non c'è vero/falso, ma solo esistere/non-esistere: «quella sedia ha quattro gambe» è una verità solo all'interno di un discorso che se ne interroga; altrimenti esiste la sedia con le sue quattro gambe, senza alcun rapporto "prelinguistico" o "aconcettuale" con verità/falsità (in quanto, appunto, concetti logico-linguistici).

Riflessione vera, degna di una repubblica dei filosofi. La verità è un concetto, in quanto tale psichica, fatta della stessa sostanza dei sogni. Ma lasciarla nel limbo del concetto logico ha ricadute negative tanto sul piano pratico, lasciando orfane le tante verità funzionali che scorazzano per il mondo, che su quello ontogenetico, posto che il pensato si innesta su un corpo carnale che quella verità prima di pensarla la sente quando entra in contatto col resto del mondo (una fiamma, un ago,...).

L'estensione del concetto è negli stessi fatti mediati dal linguaggio, anche solo a mirare ad una verità  processuale o mediatica. Se si rinuncia a tale estensione si rischia la classica caduta dalla padella delle convenzioni, più o meno razionali, alla brace aprioristica e fideistica delle verità rivelate, col loro seguito di truppe camellate metafisiche assolute.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Sariputra il 18 Febbraio 2020, 09:33:12 AM
Se non c'è più condivisione della realtà, viene a mancare ogni senso per una verità che non sia  menzogna. Se ognuno afferma il proprio, personale potere davanti alla realtà, ognuno di noi diventa messaggero di menzogne.
Il potere e l'autonomia sono assicurati, ma in cambio i fatti reali perdono ogni significato. Non mi scuotono . Sono 'anestetizzato' dalla mia stessa menzogna. L'ingiustizia non è più "vera": la si può sempre negare...
Negando 'verità' ai fatti perde forza il pensare stesso, visto che è l'esperienza il suo carburante...
Ecco allora che appare l'intellettuale moderno che dice:" I fatti non mi toccano più di tanto perché, siano veri o no, li posso sempre negare"...
E infatti noi neghiamo sempre che le cose , i fatti,  gli eventi siano "veri". Concediamo "verità" solo agli eventi naturali, visto che la natura posso manipolarla per mio tornaconto...
Così la nostra autonomia lavora per 'respingere' l'altro da me, per non avere più una scomoda 'verità' da condividere . Infatti la verità presuppone sempre di essere condivisa. E' il trionfo dell'individualismo moderno...la chiusura in me stesso e nella mia autonomia. Posso sempre negare che il mio chiudermi a riccio sia un 'male'...
La menzogna è più profonda quando si mente a se stessi che non agli altri...
Un teorema logico-matematico non può definire la 'verità di...', ma solo la propria coerenza formale.
Se, con il linguaggio, chiamo l'ingiustizia 'anyaay' o 'injustice', cambia il fatto in sè? Non c'è la stessa quantita di sofferenza in chi la subisce? La 'verità' è sempre un fatto...Infatti "di quel fatto" noi diciamo se è vero o falso...
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Lou il 18 Febbraio 2020, 12:42:44 PM
Citazione di: Sariputra il 18 Febbraio 2020, 09:33:12 AM
Se non c'è più condivisione della realtà, viene a mancare ogni senso per una verità che non sia  menzogna. Se ognuno afferma il proprio, personale potere davanti alla realtà, ognuno di noi diventa messaggero di menzogne.
Il potere e l'autonomia sono assicurati, ma in cambio i fatti reali perdono ogni significato. Non mi scuotono . Sono 'anestetizzato' dalla mia stessa menzogna. L'ingiustizia non è più "vera": la si può sempre negare...
Negando 'verità' ai fatti perde forza il pensare stesso, visto che è l'esperienza il suo carburante...
Ecco allora che appare l'intellettuale moderno che dice:" I fatti non mi toccano più di tanto perché, siano veri o no, li posso sempre negare"...
E infatti noi neghiamo sempre che le cose , i fatti,  gli eventi siano "veri". Concediamo "verità" solo agli eventi naturali, visto che la natura posso manipolarla per mio tornaconto...
Così la nostra autonomia lavora per 'respingere' l'altro da me, per non avere più una scomoda 'verità' da condividere . Infatti la verità presuppone sempre di essere condivisa. E' il trionfo dell'individualismo moderno...la chiusura in me stesso e nella mia autonomia. Posso sempre negare che il mio chiudermi a riccio sia un 'male'...
La menzogna è più profonda quando si mente a se stessi che non agli altri...
Un teorema logico-matematico non può definire la 'verità di...', ma solo la propria coerenza formale.
Se, con il linguaggio, chiamo l'ingiustizia 'anyaay' o 'injustice', cambia il fatto in sè? Non c'è la stessa quantita di sofferenza in chi la subisce? La 'verità' è sempre un fatto...Infatti "di quel fatto" noi diciamo se è vero o falso...
Per una teoria corrispondentista la verità ritengo essa possa intercorrere tra la corrispondenza tra fatto e detto, non sta nè da uno nè dall'altro dei termini, o meglio appartiene alla loro relazione. Senza relazione non potrei attribuire alcun valore di verità a una proposizione. Detto questo la teoria corrispondentista è opinabile.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 18 Febbraio 2020, 12:49:15 PM
L'etica non nasce sotto un cavolo. Essa è verità condivisa in un contesto umano. L'antietica non è una verità alternativa arbitraria perché nessun criminale vorrebbe subire la sorte della sua vittima: essere ucciso, derubato, umiliato. La citazione di Hannah Arendt appartiene più alla poesia utopica che all'etica. In assenza di fondamenti il vento del pensiero puó muovere solo canne nel deserto. E i fondamenti veri li possiamo trarre solo dall'immanenza della vita umana incarnata nella natura.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Sariputra il 18 Febbraio 2020, 13:08:14 PM
cit.@Ipazia:"...In assenza di fondamenti il vento del pensiero puó muovere solo canne nel deserto. E i fondamenti veri li possiamo trarre solo dall'immanenza della vita umana incarnata nella natura..."


Sì , è necessario che ci siano dei 'fondamenti'. Quali poi, sarà la riflessione, l'esperienza esistenziale e la coscienza di ognuno stabilre come 'verità' o 'falsità'...Com'è necessaria la condivisione con l'altro del 'fondamento'.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: bobmax il 18 Febbraio 2020, 14:41:10 PM
Dall'immanenza non si può trarre alcun fondamento. In quanto l'immanenza è il regno del relativo.

Tuttavia c'è solo immanenza.

Di modo che la ricerca della Verità coinvolge inevitabilmente noi stessi, nella nostra profondità. Senza alcun appiglio a cui poterci aggrappare, se non in definitiva a noi stessi.

L'Etica non è perciò qualcosa di "condiviso" ma deve necessariamente scaturire da noi stessi.
Esposti continuamente al rischio di scegliere il male.
Una scelta che conduce all'inferno. Destino inevitabile, almeno per quel che mi riguarda.

All'inferno il Bene è certo, è Verità, ed è ciò che si è perduto per sempre.

Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Phil il 18 Febbraio 2020, 15:01:09 PM
Citazione di: Ipazia il 18 Febbraio 2020, 09:20:53 AM
La verità è un concetto, in quanto tale psichica, fatta della stessa sostanza dei sogni. Ma lasciarla nel limbo del concetto logico ha ricadute negative tanto sul piano pratico, lasciando orfane le tante verità funzionali che scorazzano per il mondo, che su quello ontogenetico, posto che il pensato si innesta su un corpo carnale che quella verità prima di pensarla la sente quando entra in contatto col resto del mondo (una fiamma, un ago,...).
Non è la "verità" dell'ago a pungermi, ma è l'esistere dell'ago: se dicessi che «la verità dell'ago punge la verità del mio dito» userei solo «verità» al posto di «esistenza» (e resterei ancora nel dire, non nell'esperire...).
Verità-discorso ed esistenza-esperienza vanno secondo me distinte (pur non essendo radicalmente separate), come vanno distinti Bene e verità, etc.
Sul rapporto lingua/mondo: parafrasando John Austin, "i discorsi fanno cose", ovvero gli uomini non sono solo esseri parlanti, ma anche agenti e i due aspetti sono strettamente connessi; la nostra azione dipende anche dai nostri discorsi, essa modifica il mondo, fornendo così ulteriore "materiale" per ulteriori discorsi, quindi ulteriori azioni, e così via... la discorsività è il percorso storico comune che condividono tecnica, religione, scienza, filosofia, etc. sia come domini sociali che come attività individuali.
Occuparsi anche del discorso, del linguaggio, della logica, non significa dunque rinnegare né il mondo esterno, né il mistico, ma piuttosto cercare di far chiarezza nei rispettivi discorsi (separare non è negare), appellandosi e costruendo, come accade da sempre, vocabolari settoriali che agevolino la comunicazione (ad esempio non usando la parola «verità» in modo troppo polivalente).
Diceva Lao Tzu: «Fai attenzione ai tuoi pensieri, perché diventano le tue parole; fai attenzione alle tue parole, perché diventano le tue azioni; fai attenzione alle tue azioni, perché diventano le tue abitudini; fai attenzione alle tue abitudini, perché diventano il tuo carattere; fai attenzione al tuo carattere, perché diventa il tuo destino».

Citazione di: Sariputra il 18 Febbraio 2020, 09:33:12 AM
Un teorema logico-matematico non può definire la 'verità di...', ma solo la propria coerenza formale.
Concordo pienamente, infatti il plus-valore dell'empiria è proprio la sua tangibilità "verificante" ed extra-formale:
Citazione di: Phil il 16 Febbraio 2020, 19:07:12 PM
Il problema applicativo di ogni formalismo resta, secondo me, la sua "compilazione", ovvero l'assegnazione dei valori (e delle esperienze, vissuti, fatti, etc.) relativi alle varie "x", "A", etc. senza tali compilazioni, la formalità non è pragmaticamente utile, pur restando una preziosa cornice di "validità teor(et)ica" (≠ verità).


P.s.
Citazione di: paul11 il 18 Febbraio 2020, 01:23:34 AM
Tu hai fede SOLO nel mondo empirico esteriore: sei convinto o sei come gli illustri personaggi, di cui potrei aumentare la lista?
[...] Ma tu sai perché esisti, quale ragionamento ti fai dentro di te?
A domanda rispondo: non posso parlare per gli altri, ma per me alcune questioni hanno nella loro ridondanza storica non la dimostrazione della loro difficoltà e/o profondità, quanto piuttosto solo la conferma del loro essere prive di una risposta univoca; condizione che accomuna i falsi problemi, le questioni indecidibili e le domande che fanno appello all'ignoto. Ognuno può fare la sua scommessa; sul tema della "causa finale" dell'esistenza, io punto su «falso problema», nel senso che una risposta esterna da "scoprire" secondo me non c'è, è solo una questione di assegnazione (prospettica e problematica) di senso, non di suo mondano reperimento/disvelamento.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 18 Febbraio 2020, 15:47:47 PM
Citazione di: Phil il 18 Febbraio 2020, 15:01:09 PM
Non è la "verità" dell'ago a pungermi, ma è l'esistere dell'ago: se dicessi che «la verità dell'ago punge la verità del mio dito» userei solo «verità» al posto di «esistenza» (e resterei ancora nel dire, non nell'esperire...).
Verità-discorso ed esistenza-esperienza vanno secondo me distinte (pur non essendo radicalmente separate), come vanno distinti Bene e verità, etc.

Mi sembra una differenza da maestro di sofistica. Il linguaggio é medium tra fatti e intelletto (adequatio), ma il pungere dell'ago (significato, non significante) é veridicamente a priori di ogni sua dizione e concettualizzazione, é fondativo di un discorso di verità.

Sul resto, incluso Lao Tzu, sfondi una porta aperta: come l'immateriale agisce sul materiale, modificandolo. Lieta che alfine tu lo condivida.

Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 18 Febbraio 2020, 16:17:02 PM
Citazione di: bobmax il 18 Febbraio 2020, 14:41:10 PMDall'immanenza non si può trarre alcun fondamento. In quanto l'immanenza è il regno del relativo. Tuttavia c'è solo immanenza.

Appunto, ed è un relativo che ha pure le sue velleità di assoluto quando tratta il filo della vita e della morte, ponendolo a fondamento di un discorso di verità, cui paiono sensibili pure i candidati all'immortalità.

CitazioneDi modo che la ricerca della Verità coinvolge inevitabilmente noi stessi, nella nostra profondità. Senza alcun appiglio a cui poterci aggrappare, se non in definitiva a noi stessi.

Ma pure nella superficie del nostro io, in perenne contatto fisico e metafisico con un es che quel sé profondo ridefinisce continuamente...

CitazioneL'Etica non è perciò qualcosa di "condiviso" ma deve necessariamente scaturire da noi stessi.

... metabolizzando un'etica per etologica forza di cose - quindi ontologicamente - "condivisa". Solo un io delirante può supporre un'etica (ed un'episteme) totalmente individuale nei suoi fondamenti e prassi.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: bobmax il 18 Febbraio 2020, 16:23:24 PM
I più grandi logici dell'umanità erano anche poeti.

L'autentica poesia nasce infatti dall'insoddisfazione del pensiero razionale che vuole trascendere se stesso. Un'insoddisfazione etica, che il mondo sempre alimenta.

Mi riferisco, tra i tanti, a Dante, a Leopardi e pure a Platone.
Ben consci di quanto la Verità sia lo stesso Bene.

Ma pure il contadino, che vive con dedizione la "logica" del proprio lavoro, è ben consapevole di come il Vero sia nient'altro che il Buono.

Viceversa, paradossalmente ma non troppo, la logica spesso assurge a feticcio, diventa un assoluto, presso chi c'è l'ha tutta nella testa, e poco nel mondo.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: bobmax il 18 Febbraio 2020, 16:28:09 PM
@Ipazia

È proprio perché non c'è condivisione che tenga che esiste l'inferno.

Inevitabile destino di cerca la Verità.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 18 Febbraio 2020, 18:49:05 PM
Citazione di: bobmax il 18 Febbraio 2020, 16:28:09 PM
@Ipazia

È proprio perché non c'è condivisione che tenga che esiste l'inferno.

Inevitabile destino di cerca la Verità.

Tolta la vita, che è veridicamente individuale, tutto il resto è condivisibile.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Phil il 18 Febbraio 2020, 19:49:39 PM
Citazione di: Ipazia il 18 Febbraio 2020, 15:47:47 PM
Mi sembra una differenza da maestro di sofistica. Il linguaggio é medium tra fatti e intelletto (adequatio), ma il pungere dell'ago (significato, non significante) é veridicamente a priori di ogni sua dizione e concettualizzazione, é fondativo di un discorso di verità.
Il pungere dell'ago è evento, è vissuto, è "fatto"; non necessita, per esser tale, di un discorso che ne parli e gli assegni verità (o falsità). Il fondativo del discorso di verità non può essere a sua volta la verità (mistica a parte), altrimenti tutto sarebbe confinato nel discorrere e resterebbe fuori il mondo esterno (quindi il linguaggio sarebbe medium "a vuoto", fra intelletto e sé stesso). Tale fondativo della verità discorsiva (soliloquiale, concettuale, etc.) è di fatto l'esistenza, l'accadere, che fonda la verità, ma non è la verità, essendo appunto fuori dalla dimensione discorsiva: l'esistenza del referente è la condizione della verità, tuttavia, esternamente al discorrere, è solo esistenza (corollario: l'esistenza può essere falsa solo in un discorso...).
Non so se si tratti di un sofisma, ma per me è un riflesso della differenza (im)portante fra categorie del discorso-concetto e mondo dell'esistente-referente (tanto per non ripetere sempre «mappa e territorio»).

P.s.
Citazione di: Ipazia il 18 Febbraio 2020, 15:47:47 PM
Sul resto, incluso Lao Tzu, sfondi una porta aperta: come l'immateriale agisce sul materiale, modificandolo. Lieta che alfine tu lo condivida.
Nel mio piccolo, quando parlo di linguaggio, concetti, etc., proprio come quando parlo di software, non penso all'immateriale.

P.p.s.
Sono l'unico che, nella finestra di scrittura del post, non ha più la barra con i pulsanti della formattazione, per il testo in corsivo, per l'inserimento di link, etc.?
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 18 Febbraio 2020, 21:08:15 PM
SULLA VERITÀ
Senza alcuna critica al tema iniziato da Sampitura, mi limito a ripetere la mia panoramica generale sulla verità... un misero contributo a margine, perché credo anche io che «per evitare fraintendimenti, occorra tener presente l'osservazione di Ipazia e distinguere le varie "tipologie" di verità» (cit. Phill).
Come detto ho questo quadro della verità: oggettiva (naturale); intersoggettiva (sociale); soggettiva (personale ). Oppure: assoluta; relativa. O ancora: noumenica; fenomenica. Oppure... https://www.azioniparallele.it/30-eventi/atti,-contributi/174-verita-realismo-costruttivismo.html Il tutto in una sorta di patto reciproco di non contraddittorietà.
Da questo quadro faccio queste 2 considerazioni:
• Si dice che perdendo un quadro oggettivo entro cui porre la soggettività muore tanto la verità oggettiva quanto quella soggettiva, ritrovandoci prima o poi sulla filosofia della post-verità (se l'oggetto non fosse il soggetto oggettivamente non sarebbe, si sgretolerebbe...). Cioè «senza una verità manca il referente assoluto» (cit. Paul11) manca la possibilità di dire qualcosa di vero sul soggetto;
• Se abbiamo una verità che è l'Uno, l'inizio (cit. Boomax), abbiamo che se è vero l'inizio è vero anche ciò che accade da esso. E che qualcosa accada neanche uno scettico lo nega; e che questo accadere non sia nulla lo comprende chi sa che il nulla non può accadere; e che l'Uno non sia Niente, qui andiamo al fondamento e mi fermo perché non parlo del fondamento.

Per il conflitto immanente-trascendente, scusatemi se vi rifletto su questa formula:
A(B)  A={B}

Per ora vi sto solo leggendo...



Ciao Ipazia,
lì non c'è alcuna dimostrazione sull'assiomatica della ragione in sé, ma ti riporto "a braccio" quanto è presente in altri articoli e nel libro in merito al problema che avanzi. Sì... confronto sull'attendibilità della ragione in sé. 

Assumiamo tale assioma, necessariamente innegabile per non contraddirci:
1.   Ciò che appare necessità di ciò da cui apparire il quale conseguentemente non può apparire ma dal quale conseguentemente si dà quell'apparire.
Qui si intravede «la pretesa genetica [della ragione in sé sul fenomeno] (cit. Ipazia, domanda)»

Assumiamo la ragione in sé come quel sovrasensibile da cui appare il sensibile.
2.   Ratio efficiens (ragione efficiente) come causa dell'ordine sovrasensibile.
Qui si intravede come l'immateriale agisce sul materiale, cioè il concetto causale della ragione in sé da cui il suo adequatio all'effetto fenomenico che ne deriva.

Quindi per quanto sia vero che qualsiasi cosa appaia è un fenomeno e mai la ragione in sé, ciononostante, tutto ciò che appare ha un adequatio con la ragione per cui è tale; tale che:
3.   La ragione si rileva dal suo adequatio rispetto alle osservazione (dati) e alle previsioni (ricerca).
Qui si intravede come la scienza naturale non può sondare il sovrasensibile noumeno, ma può sondare ogni effetto sensibile che attribuiamo a tale ratio efficiens.

Secondo me la cosa più difficile è capire la semplicità della ragione in sé. L'altra cosa più difficile è capire che con la ragione in sé si arriva necessariamente a un punto letteralmente cieco, invisibile, e lì non si può far altro che credere oppure no. Ma in fondo questo è un problema presente da tutte le parti... credere alle invisibili ragioni espresse tramite le proprie sensibili spiegazioni, discorsi, pensieri etc... La terza cosa che è invece difficile da capire per me è: come proseguiamo? dove vi è manchevole tale introduzione?



Ciao Sampitura,
sincero, stavo cercando di essere simpatico, solo che la mia "simpatia" non risulta agli altri poi così tanto divertente. Serio: ho letto proprio volentieri il tuo post sopra il mio precedente post... e ne ho letto anche la fine, anche quelle cinque righe dopo il tuo accenno a Gödel.
Vediamo: so cosa sono gli indicibili e non ho corretto Gödel. Però mi sono spesso chiesto...
(1) se quelle mie forme sono logicamente corrette
(2) e se esse sono capaci di contenere il sistema di Gödel come da lui "profetizzato"
(3) allora è un teorema di coerenza e completezza.

Io comunque, ripeto, non ho corretto Gödel. Ciò che ho fatto è risolvere alcuni blocchi logici errati (es. A può dimostrare se B ha A o A) così cambiando alcune possibilità formali. Oppure ho formalizzato alcune definizioni (es. gli indicibili) così aprendo un diverso sistema formale. In entrambi i casi non ho mai corretto Gödel, gli ho solo messo sopra nuove possibilità formali. Forme che a me pare, correttezza permettendo, abbiano un'elevata ampiezza. In ogni caso, se mi hai solo chiesto perché non è un articolo puramente logico... boh, difficile per me ora fare un lavoro del genere.
Credo di aver letto qualcosa della tua prima citazione, mentre sono sicuro di non aver letto quel libro di Cassiser. Controllo...


Ciao Lou,
solo un saluto.



P.S. Da me non c'è più l'intera formattazione del testo: bold, italico, allineamenti etc ... 
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: green demetr il 19 Febbraio 2020, 08:06:50 AM
Citazione di: paul11 il 18 Febbraio 2020, 01:23:34 AM
ciao Phil,
Capisco sempre meno certi atteggiamenti"moderni"
Pierce fondatore della semiologia e Wittgenstein grande pensatore del linguaggio proposizionale, ritenevano che le dimostrazioni fosse nella natura, però riconoscevano che alla base ci fosse l'intuito.Wittgenstein riconosciuto un grande dalla comunità internazionale fugge a fare il maestro per i ragazzi nelle elementari ,mi pare in Svizzera, e lui stesso fa il mistico scappando in una capanna sperduta, mi pare in Norvegia, a dar da mangiare dalle proprie mani agli uccelli migratori.
E lo vedi che recita le tavole delle verità sopra una collina nel grande nord a picco sul grande mare, in totale solitudine?

Capisco sempre meno chi fa discorsi formali in un dominio, chi riconosce l'intuito in un altro dominio, e chi fa il mistico esistenziale esercitando però ufficialmente un ruolo formale.
Mi sembrano tutti come dei nobel che professano grandi formalismi, però di notte si vestono da transessuali per esercitare una vita diversa. Mi sembrano il "vecchio professore che vai cercando in quel portone, quella di giorno chiami con disprezzo pubblica moglie; quella che di notte stabilisce il prezzo alle tue voglie"(F.De Andrè "Citta vecchia"): non capisco davvero queste schizofrenie.
Il problema è forse dentro di noi, abbiamo poca leggibilità di noi stessi e cerchiamo sicurezze là fuori . Incompresi però, le nostre vere passioni le esercitiamo di nascosto, furtivamente.
Godel, grandissimo logico, era un credente. A parte il suo esercizio logico sull'esistenza di Dio, come riusciva a collegare in se stesso la sua fede, probabilmente inspiegabile a livello logico, con la sua professione. Cantor, da ebreo costruisce l'insiemistica ingenua perché vuol spiegare l'infinito di Dio. C'è sempre qualcosa di mistico e misterioso in noi, inspiegabile per molti, io invece lo esterno e cerco di comprenderlo anche filosoficamente. Ma proprio perché se il compito della filoso è alla fin fine parlare di vita, non può tralasciare nulla, nemmeno l'inspiegabile il misterioso che è dentro e fuori di noi. Forse alla fine è la solo retorica, la dialogia, la dialettica, il confronto che può persuadere o meno se una filosofia è sulla giusta via. Ho già scritto che il linguaggio non è solo segno, significato, denotazione, senso, ecc.solo che per i misteri intimi umani mancano spesso le parole.

Tu hai fede SOLO nel mondo empirico esteriore: sei convinto o sei come gli illustri personaggi, di cui potrei aumentare la lista? Quando studio un testo voglio capire l'autore, a che età lo ha scritto, i suoi studi, la sua famiglia, la sua biografia non ufficiale se riesco, una filologia prima di una filosofia, per capire perché ha scritto quel determinato testo.
Le verità dei profeti resistono da millenni e c'è da farsene una ragione, non sono leggi empiriche che durano un battito d'ali di farfalle. Se fossero fasulle, chiediamoci piuttosto perchè resistono?Che cosa spinge un uomo a credere? E' una necessità?
Una verità necessariamente se è verità ha implicitamente una autorità, diversamente non è verità, è opinione.Una verità deve essere superiore alla coltre nazionalpopolare alla "gggente" perché diversamente ogni persona che compone la "gggente" si sente autorizzata(mancando l'autorità) a dare la propria autoritaria opinione spacciandola per verità. Una delle cose che non si riesce a far capire è che non è togliendo Dio, profeti o verità incontrovertibili che si è superata quella cultura, semplicemente lo si vuol dimenticare , fino all'estrema unzione; quando si chiama il prete, perché non si sa mai cosa davvero succede post-mortem. Non è verniciando una parete che noi la nascondiamo.

Ma tu sai perché esisti, quale ragionamento ti fai dentro di te? Anche qualcuno ha già detto cenere alla cenere. Ci sono buchi conoscitivi troppi ampi nella cultura che crede alla sola natura e materia e non voglio infierire perché creerebbe solo incomunicabilità, ognuno si mostra arroccandosi come se fosse una debolezza cercarsi dentro ,intimamente interrogativi mistici, misteriosi.
I profeti al tempo non parlavano per logiche formali, ma per metafore, allegorie, insegnavano la vita con esempi:quello che manca. Non dimostravano nulla , perchè non dovevano dimostrare nulla, ma arrivano al cuore, ai nervi,al cervello, all'anima.

Intanto mi scuso con Vito J Ceravolo, devo ancora leggere gli articoli (quello generale sul nichilismo).

Caro Paul

Sono questi interventi che ti rendono a me caro.

Naturalmente anche in me monta una rabbia inconsolabile di fronte a questo periodo storico.

Al contrario di te, non credendo minimamente al concetto di natura, mi chiedo sempre quale sia la composizione reale delle relazioni, siano esse fra uomo e oggetto (fenomenologia) siano esse fra uomo e uomo (psicanalisi).

Nella fenomenologia si è perso la ricerca del fondamento, ossia quella ricerca che spetta sempre a pochi (così già nella tradizione ebraica, l'unica che abbia a disposizione un storia così ricca di saggezza: la ricerca di pochi ebrei, porta avanti la ricerca di tutti gli ebrei).
E' una crisi dettata proprio dal concetto di verità, che non essendo naturale, si è dimostrata invece passibile di potenzialmente infiniti formalismi deduttivi.(Tante quante sono le verità ammesse al suo interno).
Dall'altra parte come già ricordato in parentesi, manca decisamente il concetto di comunità religiosa, tramontato con il decadimento delle auctoritas.(grazie a Dio in verità).

Rimangono a questo punto le infinite ricerche individuali.

Quelle formali come quella di Vito J Ceravolo, che però hanno in mente il fine di una migliore comprensione del reale (con il mio caveat solito di fondo, ma che qua lasciamo appunto silente, che il reale non è il naturale), le trovo insolite ma come hai detto anche tu, interessanti, almeno nell'atteggiamento complessivo, poi leggerò con calma, e dirò cosa mi convince e cosa eventualmente no.

Ma poi esiste la ricerca individuale spirituale.
Ci sono persone caro Paul che non sentono più questa necessità.

Ma d'altronde ti eri già risposto all'interno del tuo intervento-sfogo, laddove affermi che non capisci più questa società schizofrenica.

Esatto caro amico, come spiega in lungo e in largo la pscianalisi, la SCHISI, è il SINTOMO principale di questo periodo storico.

Qualche vecchio marxista la imputava al capitalismo, il completo cedimento della mente al suo oggetto, l'incapacità di astrazione, come presa di allontamento, come vigilanza sui processi di MIMESI.

Io divento il mio oggetto, io sono soggetto a me stesso. Io sono il datore di verità di me stesso. Quando invece è l'oggetto (mentale/ideologico o reale/alienante) a dominarci.

Andando più a fondo ricordo come al solito Nietzche e i moralisti francesi, e in campo psicanalitico, uno degli ultimi sforzi di freud, in psicologia delle masse.

Ovviamente questa consapevolezza non ci aiuterà caro Paul, la rabbia rimarrà.
Tanto per non illudere nessuno, che tenti una redifinizione del proprio stato nel Mondo.

saluti.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: paul11 il 19 Febbraio 2020, 19:42:43 PM
ciao Green


La natura è indifferente all'uomo, imperterrita segue le condizioni del perché a sua volta c'è.
Macina vite, rigenera se stessa nei cicli della vita,con le stagioni, con le condizioni per cui esiste e per le condizioni per cui può rigenerare la vita biologica.
Chi è naturalista e materialista, ritiene che la natura sia in-sè  e contraddice se stesso quando ritiene che la natura fisica neghi un soprasensibile. Ha anch'esso una fede, anch'esso fa metafisica nel momento in cui il pensiero ,non essendo naturale, ma mentale, costruisce relazioni.
Essendo a misura dei nostri sensi, la dimostrazione è fattuale non linguistica, è sperimentale.
Ma la natura non ha necessità di dimostrarsi e rappresentarsi sperimentalmente,  rimane indifferente a gioia e dolore, imperterrita offre possibilità di vita e come una clessidra segna la morte, è sempre l'uomo che decide quale rappresentazione e modello mentale rappresentare di lei.


Questa rappresentazione e/o modello mentale fa la cultura e la cultura a sua volta determina motivazioni e atteggiamenti pratici che entrano nel nostro quotidiano artificiale, perché l'organizzazione umana non è natura, la natura non crea urbanistiche e problemi parlamentari, non è nè comunista, né capitalista, segue da sempre proprie condizioni universali per potere sussistere e costruisce a sua volta le condizioni affinchè vi sia vita all'interno delle proprie regole .
Ritenere che la natura risponda a se stessa significa non sapere vedere oltre il pianeta Terra, nemmeno un astrofisico ci crede più e cerca esopianeti nei sistemi stellari oltre il nostro.
La natura non risponde a se stessa, risponde a regole e ordini superiori e non possono che essere universali. La Terra ha offerto le condizioni affinché fiorisse il bios, ma queste condizioni  non sono a loro volta create in-sè, perché il nostro pianeta risponde a leggi fisiche e non metafisiche all'interno del sistema solare e il sistema solare è dentro una galassia, la Via Lattea, e le stelle hanno un ciclo di vita a loro volta ..... questa ridondanza, per cui tutto ha un ciclo che ci appare come l'eterno ritorno.
Nulla risponde a se- stesso, ma tutto deve avere una regola comune dentro un ordine universale che costruisce vita e morte e rinascita  e rimorte. Il governo fisico non può definire se stesso, è incompleto, perché manca una causa prima incausata affinchè vi siano queste regole e ordini.
Questa è una prima considerazione,che nell'antichità non era messa in discussione La seconda considerazione deriva dalla prima: ma perché queste regole e ordine  e non un altro? La risposta a questa seconda considerazione ha determinato prima i miti, poi le religioni e spiritualità. La modernità censurando la prima considerazione, cassandola come indimostrabile nel sensibile e accettando la dimostrazione e la sperimentazione empirica ha fatto della natura una meta-fisica.
Quando l'uomo ha spostato la verità dal soprasensibile, eludendo la prima considerazione, si è accorto che la tecnica generava potenza e se guidata dalla volontà poteva trasformare la natura seguendo il suo potere intellettivo, creativo.
Il fallimento di questa cultura è che al crescere della potenza tecnica non è corrisposta una crescita di gioia e felicità nella vita, essendo inevase, perché censurate, perché cancellate le verità che sono insite nella prima considerazione: tutto ,ma proprio tutto nell'universo ha regole e ordini comuni che si esplicitano nei diversi sistemi in cicli, seppur diversi questi cicli sono indifferenti all'uomo e al suo decadere e suicidio . L'uomo decade, ma essendo interno alla sua volontà di potenza si affida alla tecnica, alla medicina, all'atomo, alla sua capacità artificiale di ricreare natura secondo la volontà umana, contravvenendo agli ordini universali. E la natura si ribella. Sembra che si ribelli, ma percorre indifferente da sempre al volere umano le condizioni che subisce e che a sua volta detta affinchè vi sia vita biologica. Il risultato è che l'uomo finge di credere alla natura, invece piega la natura alla sua volontà perché si ritiene il prodotto più evoluto del suo grembo, ritenendo la tecnica la sua salvezza,non la natura.


La fenomenologia di Husserl, ma già prima la trascendentalità di Kant ,indipendentemente che piacciano o meno, offrono spunti interessanti per riflettere il come noi costruiamo,
psicologicamente, deduttivamente, intuitivamente il sistema di relazione fra noi e gli oggetti, i fenomeni.


Le verità nel mondo empirico del sensibile e dei fenomeni appaiono e scompaiono come i fenomeni stessi.
L'errore della chiesa cristiana romana è una forte istituzione a scapito di debole interpretazioni.
L'organizzazione ecclesiale cattolica è potente e fu suddivisa in parallelo a quella feudataria.
Nell' ebraismo il rabbino e nell'islam l'imam non hanno questo potere organizzativo, il potere lo lasciano alle sacre scritture, e a mio parere è più giusto. Perchè una sacra scrittura rimane, gli uomini passano, come i fenomeni. Quindi il rischio è che l'autorità nella verità passi al potere umano, invece della sacra scrittura.


Apprezzo il tentativo di Vito C. che iniziando dal sensibile fenomenico, collegandoli ai linguaggi,insiemistico e logico, alle descrizioni argomentate,cerca di fare analisi e sintesi collegando il tutto alla ragione in-sè, da cui è dato questo universo che si mostra nei fenomeni che appaiono e scompaiono e da questa ragione eterna in-sè che ha deciso regole e ordini inviolabili,
indifferenti alle nostre interpretazioni, non separando sensibile e soprasensibile.


E si vede che non sentono più la necessità spirituale, soffrono psichicamente, ci sono malattie psichiche che sono tipiche solo dell'occidente. Ci pensa l'industria del farmaco a bloccare i sintomi di panico, ansia, del "non ce la posso fare...", ci pensa il progresso tecnico a destabilizzare la psiche umana e il grande timore individuale di essere inadeguati ai tempi della tecnica, al tempo dei desideri inutili e degli acquisti ancora più inutili. Sono le cose che sostituiscono gli affetti: manca la presenza.


Forse invece questa società schizofrenica l'ho capita troppo bene. Conoscere è un po' soffrire, la consapevolezza che non si possa fare nulla di pratico per cambiare. Spesso ci si chiude in silenzio.
Allora appare questa società chiassosa come un rumore di fondo che disturba. E' involuta in se stessa e le persone hanno sempre meno umanità. Guai se si fermano a pensare a farsi domande serie, svicolano, non hanno tempo, e perché mai farsi domande? Cercano di concentrarsi nei loro problemi particolari individuali e se sono sociali non capiscono che è la cultura che determina le modalità di tutte le scienze, di tutte le economie e politiche,Si sentono liberi e sono invece condizionati come non mai in questa società di plastica e liquida che non offre un appiglio per poterne uscire dal suo contorcimento.


Hannah Arandt, citata ultimamente da Sariputra, capì le contraddizioni comuniste e le disse in faccia a Trockij. Ci sono state personalità intelligenti e critiche, che ovviamente questa cultura imperante non ha interesse a nobilitare più di altro:  si dice che sono scomode.


Hai ragione, non si sa quanto ci condizionino i nostri pensieri diventati credenze, ideologie mentali.
L'antidoto è riflettere sulle proprie antitesi, provare a pensare il contrario di quello che crediamo,
una dialettica interiore


un saluto anche a te
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Lou il 19 Febbraio 2020, 20:53:53 PM
@paul
L' uomo appartiene alla natura.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: paul11 il 19 Febbraio 2020, 21:06:07 PM
Citazione di: Lou il 19 Febbraio 2020, 20:53:53 PM
@paul
L' uomo appartiene alla natura.


@lou
la natura non appartiene all'uomo
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Jean il 19 Febbraio 2020, 21:54:06 PM
Citazione di: paul11 il 19 Febbraio 2020, 21:06:07 PM
Citazione di: Lou il 19 Febbraio 2020, 20:53:53 PM
@paul
L' uomo appartiene alla natura.


@lou
la natura non appartiene all'uomo



@lou @ paul
Il pensiero dell'uomo non appartiene alla natura.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: paul11 il 19 Febbraio 2020, 22:05:07 PM
Citazione di: Jean il 19 Febbraio 2020, 21:54:06 PM
Citazione di: paul11 il 19 Febbraio 2020, 21:06:07 PM
Citazione di: Lou il 19 Febbraio 2020, 20:53:53 PM
@paul
L' uomo appartiene alla natura.


@lou
la natura non appartiene all'uomo



@lou @ paul
Il pensiero dell'uomo non appartiene alla natura.


caro Jean
infatti, l'uomo è fisicamente natura; la mente ,senza inoltrarmi all'anima, già non l'appartiene.
Ma l'errore culturale di chi crede che noi siamo tutto natura  è di non rispettarla; viene alterata  con la volontà di potenza tecnica che ritengono superiore alla stessa natura.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 19 Febbraio 2020, 23:13:43 PM
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 18 Febbraio 2020, 21:08:15 PM
Secondo me la cosa più difficile è capire la semplicità della ragione in sé.

Ancora più semplice da capire escludendo metafisica e sovrasensibile. I naturalisti la spiegano così: ad un certo punto l'evoluzione naturale ha prodotto animali autocoscienti.

CitazioneL'altra cosa più difficile è capire che con la ragione in sé si arriva necessariamente a un punto letteralmente cieco, invisibile, e lì non si può far altro che credere oppure no.

Il "punto cieco" é il dualismo cartesiano che le neuropsicoscienze e la sintesi filosofica risolvono quotidianamente con le loro brave metodologie che non sono riducibili ad un cieco fideismo. Pertanto non direi...

CitazioneMa in fondo questo è un problema presente da tutte le parti... credere alle invisibili ragioni espresse tramite le proprie sensibili spiegazioni, discorsi, pensieri etc...

... in quanto abbiamo realizzato buoni dispositivi cognitivi che interrogano e danno risposte riproducibili sulla realtà in toto che, come osserva Lou, comprende anche l'uomo, ricomponendo il dualismo "funzionale".

CitazioneLa terza cosa che è invece difficile da capire per me è: come proseguiamo? dove vi è manchevole tale introduzione?

Proseguiamo migliorando la qualità della vita umana, visto che sulla natura e quantità se ne occupano altri saperi.

"Sapendo di sapere quello che si sa e sapendo di non sapere quello che non si sa" come disse un saggio. E quindi tappando i buchi dell'episteme/gnosi, ricercando, ricercando, ricercando.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Sariputra il 20 Febbraio 2020, 10:58:04 AM
Se si studiano le vita di praticamente tutti i filosofi si nota uno 'scarto' importante, una contraddizione vivente tra le loro affermazioni e la loro vita. Partendo da ciò, un grande studioso della 'menzogna',François Noudelmann,  fa notare come la menzogna filosofica, il mentire, voluto o inconsapevole, anche a se stessi, sottostà a tre regimi diversi di "economia psichica":  nel primo caso, fa leva sull'opposizione binaria vero/falso e mette in scena una drammatizzazione che punta alla vittoria finale della luce sulle tenebre; nel secondo, ribadendo il diniego, rilancia una verità, a partire dalla resistenza che essa gli oppone; nel terzo, infine, sospendendo l'antitesi vero/falso, inventa delle nuove verità che presentano la bellezza della coerenza intellettuale...

[«Quest'ultima menzogna impegna un'economia dissipativa e non compensativa. L'affermazione non è più il contrario della negazione, sfugge al controllo»

Così, a riguardo di un'affermazione teorica, questa, nel caso di una filosofia, non si limita a enunciare una 'verità' (per es. la "verità di Dio" o la "verità che tutto è relativo"), ma, dal punto di vista dell'investimento psichico attuato dal filosofo, o dal pensatore, comporta l'assumere una varietà di forme che implicano processi di identificazione, di fissazione e di ripetizione a riguardo di una determinata tesi...

«un'intenzione affermativa è sempre richiesta [dalla filosofia] per fondare la legittimità del suo discorso»

Ora, la forza con cui affermiamo qualcosa è sempre commisurata al diniego del suo contrario. Così, nel momento in cui si costruisce una 'menzogna', diamo inizio ad una controverità che è , per la menzogna, una risorsa infinita.
La menzogna così può proliferare e andare verso una deriva senza limiti. Avanzando, senza alcuna barriera, può così moltiplicare le sue forme.
Naturalmente la menzogna filosofica è anche una forma di libertà del pensiero da un 'verità senza ombre', che potrebbe imporsi come una specie di tirannia. Naturalmente restando sempre menzogna filosofica...

P.S. Ovviamente sto andando OT, ma la discussione iniziata da @Vito Ceravolo mi sembra arenata...

Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: niko il 20 Febbraio 2020, 11:19:30 AM
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 17 Febbraio 2020, 17:10:43 PM
In sequenza Sampitura e Ipazia, Boomax, Nico, Pauli11 e Phil

Ciao Sampitura (e Ipazia),
alla tua affermazione «L'autorità definisce la 'verità'», contrappongo quella di Ipazia «La verità dell'universo antropologico non è la verità dell'universo fisico». Lo faccio perché dobbiamo riconoscere diversi livelli di verità (es. oggettiva, intersoggettiva, soggettiva)  e che tu nei hai parlato a livello di categoria politica, ma poi appunto c'è anche la verità come categoria naturale e poi... io qui parlo di tali distinzioni di verità: cap. 8  https://www.azioniparallele.it/30-eventi/atti,-contributi/174-verita-realismo-costruttivismo.html
"Mondo = Luogo come risultato di leggi universali e particolari" Dizionario Vito

Ciao boomax,
«Ma la Verità assoluta non ha alcun condizionamento. Non necessita di alcuna falsità da negare [e non l'ha]».

Ciao Nico,
ti segnalo questo tuo errore: «Non se ne esce, se il nulla non ha determinazioni ha almeno una determinazione, quella di non avere determinazioni, ed è il fantasma dello sfero di Parmenide.» L'errore sta in questo:

Con la proprietà A posso dimostrare se B ha la proprietà A oppure no ØA.
Quindi, con la determinazione A posso dire se B è determinabile A o indeterminabile ØA.
"Determinare che è indeterminabile", "determinare che non è determinabile", significa pertanto "non essere in grado di determinarlo", "non essere determinabile".
Cfr:
cap. 3 https://filosofiaenuovisentieri.com/2019/04/14/unificazione-generale-della-logica-classica-e-non-classica/
cap. 5 https://filosofiaenuovisentieri.com/2017/05/14/teoremi-di-coerenza-e-completezza-epimenide-godel-hofstadter/

Il tuo presupposto, di determinare il niente, decade. Quindi decade il discorso che ne derivi, anche se poi ci puoi aver detto dentro cose intelligenti, decade comunque il tuo discorso.
Questa è la "quinta" forma con cui ti rispondo, permettimi quindi di invitarti a leggere qualcuno dei miei articolo di questo "gioco" (quelli sopra sono formali), così alziamo il tenore della discussione e mi eviti copiaincolla.













Io non voglio determinare il niente né affermare che il niente non ha determinazioni, io dico che il nulla assoluto non esiste se non come caso limite (come "caso estremo" se vogliamo) del nulla relativo: quello che per te è il nulla assoluto per me è il nulla relativo dell'essere, il concetto di quello che anche  tu hai chiamato "vuoto" o "nulla relativo" applicato però non più ad una cosa o circostanza  determinata, come chiedersi cosa ci sia sul tavolo, ma all'essere come totalità. Dire nulla assoluto, è come estendere un concetto già noto e dire, invece che "non c'è niente sul tavolo", "non c'è niente nell'universo mondo, nel cosmo": non è un concetto nuovo, ma l'estensione di un unico e già definito concetto a una circostanza diversa.


Ogni nulla relativo ha determinazioni, e anche il nulla relativo dell'essere ha determinazioni, infatti è identico all'essere, la sua determinazione è l'essere: il modo specifico, empiricamente prima che logicamente riscontrabile, in cui l'assenza di ogni cosa non c'è, e c'è invece qualcosa, è la presenza di ogni cosa. La meraviglia che ci fa la l'esistenza di noi stessi e del mondo, il fatto che ci sia qualcosa e non il nulla, è una conseguenza tanto dell'essere che del nulla, perché il nulla "sparisce" nell'essere, e non nel nulla. Tramonta, nel senso di diventare altro, andare oltre. La differenza tra essere e nulla, non è "a parte" nella realtà delle cose e non merita di essere indicata un concetto a parte, è identica, come differenza, a quella già empiricamente ed intuitivamente nota intercorrente tra essere e niente (ovvero tra essere e vuoto, o nulla relativo). Non è un concetto solo logico, ma un concetto che ha una componente osservativa: si riscontra che c'è qualcosa piuttosto che il nulla e questo qualcosa è anche e soprattutto un modo specifico -che si dà a prescindere da un'eventuale e ulteriore modo aspecifico- di essere nulla (di non manifestarsi) del nulla. La differenza tra essere e nulla va pensata come differenza non tra essere e non essere, ma tra sé e altro: una cosa x non è un'altra cosa y, e non è tutte le altre cose (tutte le altre cose indicate da tutte le altre lettere, meno x), ma questo è quanto: non c'è un altro modo di non essere che non sia l'essere altro, ulteriore all'essere altro. Una cosa non è un'altra cosa, ma il nulla non esiste se non in questa forma, non esiste come concetto ulteriore a questo.


L'effetto del caso limite è che si va a definire non una distinzione tra una cosa e il suo contrario, o la sua assenza, o ciò che la sostituisce nel flusso del divenire, come nei normali casi in cui diciamo "non c'è niente sul tavolo", ma  una distinzione nominale tra due indiscernibili perché la determinazione dell'essere è l'essere, e anche quella del nulla lo è. Questo è il difetto di applicare un concetto che vale per circostanze limitate a una totalità: di solito la differenza tra due cose, o tra una cosa e il suo divenire, è discernibile, quella tra essere e nulla no, quindi si dà una determinazione del nulla che va bene anche per l'essere.


Riassumendo il mio sillogismo non è


non avere determinazioni è una determinazione
il nulla non ha determinazioni
dunque il nulla ha determinazioni




ma è:


il nulla relativo, o vuoto, ha determinazioni, che in linea generale vanno cercate non nella differenza tre essere e niente, ma tra sé e altro a partire della specifica cosa di cui si predica il nulla relativo.


il nulla che alcuni chiamano "assoluto" è un'elemento dell'insieme del nulla relativo, non è che un suo caso possibile (è sbagliato chiamarlo assoluto).


dunque il nulla assoluto ha determinazioni.




Insomma nella mia concezione c'è solo il nulla relativo. Il nulla assoluto non indica nemmeno il non essere o il niente o il non essente, è un caso limite, e un fraintendimento frequente, del nulla relativo.


Se invece si stabiliscono un nulla assoluto e un nulla relativo, come due cose diverse,descritte da due concetti diversi, e non l'uno un caso particolare dell'altro, succedono alcuni paradossi, il cui più ovvio è che l'essere non descrive più la totalità: se c'è un x non essente, la totalità è l'insieme di tutti gli essenti + x, dunque l'essere è meno della totalità, che è il superinsieme di essere e nulla. Tra essere e nulla c'è un terzo termine. Cosa che non sarebbe necessaria laddove la totalità fosse interamente descrivibile dall'essere, o dal nulla.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Phil il 20 Febbraio 2020, 13:46:37 PM
Citazione di: Sariputra il 20 Febbraio 2020, 10:58:04 AM
Se si studiano le vita di praticamente tutti i filosofi si nota uno 'scarto' importante, una contraddizione vivente tra le loro affermazioni e la loro vita. Partendo da ciò, un grande studioso della 'menzogna',François Noudelmann,  fa notare come la menzogna filosofica, il mentire, voluto o inconsapevole, anche a se stessi, sottostà a tre regimi diversi di "economia psichica"
A ulteriore dimostrazione di come la parola «verità» sia pericolosamente ambigua (quindi strumentalizzabile), questo autore (su cui ho letto fugacemente solo questo), mi pare giocare sulla confusione verità/menzogna e coerenza/incoerenza intesa in senso biografico. Non è nuova la storia del prete che «predica bene, ma razzola male», il che ovviamente non comporta affatto che egli menta, più o meno consapevolmente, quando afferma le verità in cui crede (ma che non pratica).
La menzogna portante mi pare quindi quella dell'autore che presenta l'incoerenza opere/vita come fosse menzogna (come se ogni opera contenesse un giuramento che riguarda anche le scelte di vita dell'autore).

Se chiediamo ai filosofi di incarnare con l'esempio di vita le loro teorie, li stiamo scambiando per leader politici, guide spirituali o simili; se gli chiediamo verità incontrovertibili che non siano interpretazioni, li stiamo scambiando per scienziati; se gli chiediamo orizzonti di senso, più o meno praticabili nella prassi, allora (per me) non ha rilevanza commisurare la "verità" professata nello scritto con la cronistoria delle scelte di chi l'ha proposta (indicare non è percorrere, soprattutto se si parla di teoresi). Le teorie filosofiche hanno spinto (anche o solo) altri a scendere in piazza brandendo falci e martelli, o a suicidarsi o a cambiare religione, etc. la biografia di chi ha lanciato il sasso non deve necessariamente essere colpita dagli schizzi dell'acqua per dimostrare la verità "fattibilità" del senso proposto.
Ormai mi pare piuttosto palese che i filosofi sono professionisti del pensare/scrivere, non del vivere, e che la filosofia è più arte del senso (un'estetica della trascendenza, per dirla in metafisichese) piuttosto che "arche-ologia" della verità; quantomeno osserverei che, in ambito strettamente teoretico, la filosofia costruisca più verità (al plurale) di quante ne scopra...


Citazione di: Sariputra il 20 Febbraio 2020, 10:58:04 AM
«un'intenzione affermativa è sempre richiesta [dalla filosofia] per fondare la legittimità del suo discorso»

Ora, la forza con cui affermiamo qualcosa è sempre commisurata al diniego del suo contrario.
Concordo, quanto più ci si ostina a chiedere alla filosofia una verità forte, uno slogan a cui asservirsi, un dogma/assioma per cui lottare, etc. tanto più è vera la tua considerazione e tanto più si sarà inclini a passare, come scrivo sempre, dalla negazione all'avversione (ad esempio, dall'a-teismo all'anti-clericalismo, etc.).
La verità potrebbe dunque essere anche debole, plurale, non aggressiva, etc.? Nel ventunesimo secolo, direi di sì; può esserci, anzi ormai c'è, anche la categoria di "verità debole", affianco ad una verità forte.
Permane in molti casi un'anacronistica fiducia nella filosofia come mezzo per trovare la verità (non in senso logico, ma in senso metaforico-valoriale, quindi, di nuovo, confusa con il Bene, il Giusto, etc.); l'esito più probabile di tale speranza mi sembra essere, come pare esemplificare l'autore citato, la delusione (che può avvilire sino a vedere la menzogna nell'incoerenza). Tuttavia, è una dinamica psicologica tutta interna al pensiero forte, che prima alimenta un'aspettativa forte e poi ne deve affrontare l'altrettanto forte frustrazione.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Sariputra il 20 Febbraio 2020, 15:21:43 PM
Penso che la 'verità' non sia mai aggressiva. Può esserlo invece la volontà di imporre una sua interpretazione soggettiva. Dire Infatti: " Non è verità l'esistenza di Dio", è profondamente diverso dal dire:" Non è verità l'esistenza di Dio e TUTTI devono crederci". Quindi più che ambiguità del termine direi che può diventare ambiguo l'uso che viene fatto di un termine, al di fuori del suo contesto. Per questo parlavo dell'ambiguità interpretativa e non del fatto in sé, come evidenziato dalla Arendt. Il linguaggio è per sua natura ambiguo. E' solo uno strumento in fondo.
Già 2.000 anni fa Yeoshwa raccomandava: "il vostro dire sia  sì sì, no no, tutto il resto viene dal...E infatti oppose il nobile silenzio alla domanda pragmatica di Pilato: "COSA è la verità?"
Evidenziando come la 'verità' non sia una categoria del linguaggio, molto saggiamente direi.

A riguardo di Noudelmann, quello che trovo interessante della sua riflessione è il fatto che spesso,a suo parere, nel costruire una teoria filosofica si cerca anche di costruire una sorta di alter-ego diverso da quello che si è in vita, e la teoria proposta si alimenta costantemente di questo sforzo di "uscire da sé" concettualmente. Spesso fa notare che l'alter ego filosofico, che non è necessariamente un 'falso', ma solo un sè "ideale", teorizza e afferma l'opposto di quello che il filosofo fa  effettivamente nella vita.
Per dirla: io non sono un filosofo, ma continuo a scrivere in questa sezione, senza averne la competenza, creando un "Sariputra" ideale che discute di filosofia, magari perché desidero esserlo senza ammetterlo. La 'menzogna'  in questo caso è data non da quello che scrivo, ma piuttosto dalle motivazioni del perché lo faccio...
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Phil il 20 Febbraio 2020, 17:41:09 PM
Citazione di: Sariputra il 20 Febbraio 2020, 15:21:43 PM
Già 2.000 anni fa Yeoshwa raccomandava: "il vostro dire sia  sì sì, no no, tutto il resto viene dal...E infatti oppose il nobile silenzio alla domanda pragmatica di Pilato: "COSA è la verità?"
Evidenziando come la 'verità' non sia una categoria del linguaggio, molto saggiamente direi.
Probabilmente Yeoshwa non rientra nella casistica della menzogna proposta da Noudelmann; tuttavia, considerando che si era presentato come «io sono la verità», è inevitabile che non potesse avere una concezione della verità come mera categoria linguistica (al di là della condizione della linguistica come disciplina alla sua epoca o la sua eventuale conoscenza in merito). Trovo interessante, pur non essendo un filologo né tantomeno un esegeta biblico, che la verità di cui si parla nella bibbia, quindi quella fatta uscire dalla bocca di Yeoshwa, nella versione greca è «aletheia», quindi "disvelamento", o ancor meglio, «rivelazione» (trattandosi di religione rivelata). La rivelazione implica decisamente un andare oltre il linguaggio, verso il mondo degli eventi (o verso il cielo delle Verità assolute, o entrambi).
La verità intesa odiernamente credo abbia sostituito pian piano il concetto di "rivelazione" con quello di adaequatio (medievali), "isomorfismo" (Wittgenstein), corrispondenza, etc.; il che potrebbe riassegnare l'aletheia-rivelazione alla sua dimensione spirituale di pertinenza (non risolvendo comunque l'attuale uso ambiguo della parola «verità»).

Può essere significativo anche rintracciare una differenza fra aletheia-greca e veritas-latina:
«Il termine veritas rimanda a qualcosa da accettare in quanto conforme ad una realtà oggettiva non da svelare attraverso la conoscenza. Un significato opposto quindi al termine alètheia: nel caso della veritas si tratta di dimostrare la conformità di un'asserzione alla realtà mentre per quanto riguarda l'alètheia la comprensione della realtà è insita nello stesso svelamento» (tratto da qui) oppure «I romani fanno di veritas un concetto legato alla giustizia e al diritto mentre in Grecia alétheia è espressione della Tradizione e di ciò che non deve essere dimenticato. In un caso verità è strumento dei giudici nell'altro è espressione dei poeti» (tratto da qui).
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 20 Febbraio 2020, 19:47:49 PM
La necessità di forzare una verità antropologica è data dalla determinazione della verità costituita nel suo volersi imporre con la forza. L'ateismo illuministico non poteva permettersi mezze misure di fronte ai campestri dell'Inquisizione cui contrappose alfine la ghigliottina. Mutatis mutandis...

L'universo antropologico necessita di verità forti per conseguire l'adaequatio tra cosa e intelletto sociali, invadendo il campo semantico della giustizia. Emulando così pure la verità forte della natura e delle sue leggi in un processo che è tanto più persuasivo quanto più le due verità dialogano tra loro. In questo dialogare ritengo si collochi la verità filosofica. Nel punto di intersezione tra a-letheia e veritas, disvelamento e nomos, laddove costantemente si riscrive l'episteme. Che avrà pure un carattere transeunte e convenzionale, ma in alternativa a niente, come si dice, meglio un piuttosto, intersoggettivamente autorevole.

Questa diveniente rifondazione normativa annulla le pretese dell'in sè e dei centri di gravità assoluti che la sua metafisica richiede. Annullando al contempo la semantica assolutistica della menzogna e le contrapposizioni radicali tra vero e falso, bene e male. Che non vengono nichilisticamente nullificate, ma ricondotte ermeneuticamente al sistema (dialettico) in cui storicamente (ethos) operano.

(Più concretamente, sul versante naturalistico etologico, ritengo non infondata la ricerca di un fondamento di verità prelogico nell'interazione sensibile tra il vivente e il suo ambiente. Fondamento codificato dall'eredità genetica ed educato dalle cure parentali, anche in assenza di un linguaggio logico che è prerogativa umana, peraltro assente nella primissima età evolutiva, non certo priva di relazioni tra cucciolo e ambiente che prefigurano un rudimentale e istintivo contesto di verità)
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Phil il 20 Febbraio 2020, 22:15:33 PM
Citazione di: Ipazia il 20 Febbraio 2020, 19:47:49 PM
L'universo antropologico necessita di verità forti per conseguire l'adaequatio tra cosa e intelletto sociali, invadendo il campo semantico della giustizia.
Per me fra quella cosa e quell'intelletto, non c'è verità, ma interpretazione (al di qua della tautologia «le leggi dello stato sono leggi "vere" per i suoi cittadini»). Mentre la realtà esterna e l'intelletto interno (all'uomo) sono due "elementi" ben differenti (Cartesio docet), la "cosa sociale" e l'"intelletto sociale" sono invece due aspetti dello stesso unico "elemento", la società, la cui autocomprensione "di massa" è il fondamento delle veritas che ogni società si racconta (e tali racconti innescano, come detto, eventi reali).
Per quanto riguarda i bisogni primari (o maslowiani) siamo in fondo come bambini: non percepisco la verità della fame, percepisco la fame e basta; così come quando sono sazio non percepisco la falsità della fame (e non sento la verità dell'essere realizzato, ma mi sento realizzato e basta, inversamente, non sento la falsità della mia realizzazione, ma mi sento non-realizzato).


P.s.
Citazione di: Ipazia il 20 Febbraio 2020, 19:47:49 PM
(Più concretamente, sul versante naturalistico etologico, ritengo non infondata la ricerca di un fondamento di verità prelogico nell'interazione sensibile tra il vivente e il suo ambiente. Fondamento codificato dall'eredità genetica ed educato dalle cure parentali, anche in assenza di un linguaggio logico che è prerogativa umana, peraltro assente nella primissima età evolutiva, non certo priva di relazioni tra cucciolo e ambiente che prefigurano un rudimentale e istintivo contesto di verità)
In tale intersezione vivente/ambiente, a mio modesto parere, non c'è fondamento prelogico della verità: c'è stimolo/risposta sensoriali, piacere/dolore, etc. solo quando si innesca una narrazione su tutto ciò, il discorso si apre alla possibilità di verità/falsità.
Quando il cucciolo-bambino si relaziona all'ambiente o alla madre, secondo me, non usa le categorie di verità/falsità, semmai quella di identità-riconoscimento: se vede una donna minacciosa che gli porge la mano, suppongo il pargolo non concettualizzi pensando «non è vero che lei è mia madre» o «lei è una falsa mamma», quanto piuttosto (parlo da ignorante in materia) direi che non riconosce nella donna l'identità della madre e/o identifica quell'atteggiamento sconosciuto come pericoloso (probabilmente la sua logica identifica per affermazione e negazione, «mamma» e «non-mamma», ma non per finzione/realtà: «falsa mamma» vs «vera mamma»). L'ingenuità dei bambini (almeno fino ad una certa età) consiste forse proprio nel non concepire il falso, la menzogna, etc. senza i quali la verità non può determinarsi, coincidendo a tal punto con l'esistenza: come dicevo, la falsa esistenza è infatti artificio solo del discorso (o dei giochi di prestigio o degli effetti speciali cinematografici, ma non cavillerei troppo).
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: green demetr il 21 Febbraio 2020, 11:44:35 AM
sulle ultime considerazioni di Sariputra e Phil e Ipazia

La verità non è una accezione formale come qualla presunta dal filosofo che avete citato.
La verità è invece come dal maestro Nietzche fatto notare in EX ERGO dall'inizio, il modo da cui prende avvio la filosofia.
Ma è il nostro amato maestro del sospetto che fa notate, e "perchè non dalla menzogna?".
Ed è da questa verità minore che si può partire, ossia che la Verità quella in tonalità maggiore sia solo una ideologia.
Esattamente come qualsiasi formalismo sari-buddista o philliano è una ideologia vessatoria della condizione paranoica.
Vessatoria perchè come al solito non pensa il reale.
E il reale non è il naturale. Purtroppo anche Paul fa questo errore.
Nemmeno il reale fugge all'astrazione in realtà, questo per stroncare anche le velleità ipaziane.
Questo in estrema sintesi il problema odierno nel forum.
Ci metterei anche Ceravolo perchè questa idea della cosa in sè mi sa molto di Natura.
Ma prima voglio capire meglio.  ;) può essere che mi sbagli (difficile ma possibile).


Questa in estrema sintesi le ancore del forum.


Gli altri utenti hanno posizioni che sono troppo ristrette di visuale o troppo apodittiche.

Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 21 Febbraio 2020, 15:06:49 PM
Citazione di: green demetr il 21 Febbraio 2020, 11:44:35 AM
Nemmeno il reale fugge all'astrazione in realtà, questo per stroncare anche le velleità ipaziane.

Il reale (concetto) è parte del cogito che è parte della natura che riporta alla terra e a Nietzsche di cui - ma più gaiamente di lui - condivido le velleità. L'astrazione, liberata (decostruita) dalle illusioni platoniche e neo, è un ottimo strumento deduttivo di ordinamento antropomorfico della realtà (reale, fisica, materiale,...), comunque necessario alla via umana della conoscenza.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: paul11 il 21 Febbraio 2020, 15:36:36 PM
Citazione di: green demetr il 21 Febbraio 2020, 11:44:35 AM

E il reale non è il naturale. Purtroppo anche Paul fa questo errore.



..e ancora mi pensi naturalista?


Se utilizziamo i nostri piedi o l'automobile e non vogliamo cozzare contro un muro o fare incidenti, abbiamo necessità che funzionino i sensi e il cervello attraverso l'attenzione e la concentrazione.
Significa che almeno "parte" della realtà fisica indubbiamente la conosciamo,almeno per sopravvivere.


Il reale fu prima un concetto metafisico come il razionale, poi la mimesi moderna ha mutato  i significati.
Affinchè si possa costruire una filosofia, oggi regna l'anti-filosofia che ha plagiato le moltitudine umane per renderle servizievoli agli apparati, è necessario seguire un'analitica e una sintesi appunto utilizzando induzione e deduzione. Per potere accedere alla ragione in sè, è necessario che la realtà naturale venga portata al reale dell' in sè e non può eludere il fenomeno fisico, sarebbe allora fantasia. Insomma perchè funzioni l'induttivo che sale dal particolare della realtà naturale all'in sè della ragione e il deduttivo che scende dall'in sè della ragione al particolare della realtà naturale, siano coerenti.
L'errore è eludere o il mondo naturale o l'in sè della ragione, non sarebbe più filosofia, sarebbe chiacchiera.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 21 Febbraio 2020, 16:03:29 PM
Citazione di: Phil il 20 Febbraio 2020, 22:15:33 PM

Per quanto riguarda i bisogni primari (o maslowiani) siamo in fondo come bambini: non percepisco la verità della fame, percepisco la fame e basta; così come quando sono sazio non percepisco la falsità della fame (e non sento la verità dell'essere realizzato, ma mi sento realizzato e basta, inversamente, non sento la falsità della mia realizzazione, ma mi sento non-realizzato).
...
In tale intersezione vivente/ambiente, a mio modesto parere, non c'è fondamento prelogico della verità: c'è stimolo/risposta sensoriali, piacere/dolore, etc. solo quando si innesca una narrazione su tutto ciò, il discorso si apre alla possibilità di verità/falsità.
Quando il cucciolo-bambino si relaziona all'ambiente o alla madre, secondo me, non usa le categorie di verità/falsità, semmai quella di identità-riconoscimento: se vede una donna minacciosa che gli porge la mano, suppongo il pargolo non concettualizzi pensando «non è vero che lei è mia madre» o «lei è una falsa mamma», quanto piuttosto (parlo da ignorante in materia) direi che non riconosce nella donna l'identità della madre e/o identifica quell'atteggiamento sconosciuto come pericoloso (probabilmente la sua logica identifica per affermazione e negazione, «mamma» e «non-mamma», ma non per finzione/realtà: «falsa mamma» vs «vera mamma»). L'ingenuità dei bambini (almeno fino ad una certa età) consiste forse proprio nel non concepire il falso, la menzogna, etc. senza i quali la verità non può determinarsi, coincidendo a tal punto con l'esistenza: come dicevo, la falsa esistenza è infatti artificio solo del discorso (o dei giochi di prestigio o degli effetti speciali cinematografici, ma non cavillerei troppo).

Trovo artificioso, quasi ideologico, limitare la coppia verità/falsità alle forme e formalismi della ragione. La (dis)equazione:

mamma ≠ non mamma

è fatta propria dal cucciolo ben prima che la verità/falsità logica gli sia nota. Ed anche se confonde, ed io con lui, l'identità con la verità, tale confusione gli è veridicamente propedeutica alla sopravvivenza prima, e al ragionamento sul mondo che lo circonda, poi.

Nella ricerca dei fondamenti prelogici della verità vi stanno certamente i piani bassi della grafica maslowiana che, passando dai bisogni agli strumenti per soddisfarli, coinvolgono tutta la nostra sensorialità nella veridica e prelogica lotta per la sopravvivenza laddove il falso e il vero della percezione sensoriale passano attraverso la stretta cruna dell'ago di un agguato/fuga riusciti.

In tal caso la lettura vera o falsa del fatto naturale fa la differenza e  il bravo predatore/preda lo impara assai presto, confermando con la sua longevità di avere bene appreso, non sul piano logico ma su quello fatale, cognitivo, la differenza tra vero e falso di un messaggio sensoriale (olfattivo, uditivo, visivo,...)
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 21 Febbraio 2020, 18:09:03 PM
Ciao,
ho raccolto diverso materiale da questo confronto è spero di riuscire a far emergere una sintesi degna delle note che avete messo in evidenza. Più che chiamarlo "arenato" direi che siamo arrivati a un punto in cui gli argomenti principali sono stati scandagliati; e mi scuso se ci sono stati alcuni vostri argomenti che ho guardato solo da lontanto... In ogni caso, per adesso vi ringrazio tutti nessuno escluso.

P.S. peccato che non c'è più la formattazione del testo... l'espressione filosofica ne risente.



Se questo che segue fosse un sillogismo...

Paul: L'uomo appartiene alla natura
Lou: La natura non appartiene all'uomo
Jean: Il pensiero dell'uomo non appartiene alla natura

...accogliendo le premesse di Paul e Lou, la conclusione di Jean, cercando soluzioni, dovrebbe essere che il pensiero dell'uomo è un'evoluzione della naturale che acquista capacità artificiali, cioè con capacità di assemblare la natura in modo non adattivo (naturale) ma adattandola (artificiale).
Se questo fosse un sillogismo...



Ciao Niko,
letto con piacere e condividendo in gran parte i tuoi passaggi, ringraziandoti per la premura, arrivo alla fine del tuo discorso dove però devi scusarmi se mi distanzio:

Il nulla relativo è pur sempre un essere che in quanto essere non può divenire un non-essere.
Il nulla assoluto non è un sottoinsieme del nulla relativo né viceversa, poiché non-essere.
Quindi è vero che fra i due esiste solo il nulla relativo, che quindi è un essere, mentre il nulla assoluto non esiste, quindi non è.

Il paradosso che ne deriva e di cui parli alla fine... esiste e fa parte dei problemi del fondamento e io non parlo qui del fondamento, ma è un problema formalmente e semanticamente risolto in "Infinito. Principi supremi" (un  libro). Ma non importa: sospendiamo qui il discorso, scusandomi se qui e ora mi fermo alla sola discussione del paradigma in esame, evitando ogni discorso intorno al fondamento.



Ciao Ipazia,
letto con piacere la tua risposta. 



A presto
VjC
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 21 Febbraio 2020, 18:34:01 PM
È così difficile parlare della vita... guardo la vostra scioltezza e mi galvanizza, a me che riesco a dire una cosa sulla vita ogni 100 pagine di teoretica...
Le forme e i concetti più astratti mi aiutano solo a non perdermi nella grande confusione del caos fenomenico... nella vita, nell'uomo, nella politica sino all'arte, il cuore, ma anche presso la più bruta delle materie.
È un argomento stupefacente la vita. Dovrebbe essere nostro compito disegnarla quanto più bella si possa, senza paura di trovare un limite.
Peccato che io sulla vita ho poche parole.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: bobmax il 21 Febbraio 2020, 18:58:45 PM
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 21 Febbraio 2020, 18:34:01 PM
È così difficile parlare della vita... guardo la vostra scioltezza e mi galvanizza, a me che riesco a dire una cosa sulla vita ogni 100 pagine di teoretica...
Le forme e i concetti più astratti mi aiutano solo a non perdermi nella grande confusione del caos fenomenico... nella vita, nell'uomo, nella politica sino all'arte, il cuore, ma anche presso la più bruta delle materie.
È un argomento stupefacente la vita. Dovrebbe essere nostro compito disegnarla quanto più bella si possa, senza paura di trovare un limite.
Peccato che io sulla vita ho poche parole.

Aver poche parole, riguardo alla vita, è già un buon punto di partenza.

Perché rivela, a mio parere, la necessità di fare un passo indietro.
Avviene sempre così, quando avvertiamo il sacro.

Le parole verranno. Quando la teoria non basterà più.
E allora le parole saranno per te dense di significato, cifre di ciò che è inesprimibile.

Ma non sarà facile comunicare.
Perché l'autentica comunicazione è rara, il più delle volte vi è solo mero chiacchiericcio...
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Phil il 21 Febbraio 2020, 21:11:56 PM
Citazione di: green demetr il 21 Febbraio 2020, 11:44:35 AM
Esattamente come qualsiasi formalismo sari-buddista o philliano è una ideologia vessatoria della condizione paranoica.
Vessatoria perchè come al solito non pensa il reale.
Per me non si può pensare il reale (inteso come mondo esterno al singolo pensante); il reale si percepisce, si vive, etc. si può invece pensare al reale (mnemonicamente) o pensare un discorso sul reale, ovvero una sua concettualizzazione.
In quanto discorso, le sue regole (logiche, linguistiche, concettuali, etc.) credo non vadano confuse con leggi di altro tipo (siano esse della natura, della giurisprudenza o altro), che ovviamente non vengono sostituite da tale discorso, ma semmai "raccontate" e "indicate" da esso.
Il discorso sul reale non è il reale, sebbene influenzi il reale nel momento in cui diventa azione o comunicazione (che quindi innesca azioni altrui). Distinguere il discorso dal reale, non è escludere il reale o rinnegarlo, ma essere consapevoli dello scarto fra narrazione e "res exstensa" (di cui il narrante fa parte, ma non divaghiamo), fra verità del/nel discorso ed esistenza alinguistica, fra tutti i sutra e il sorriso di Buddha a Kasyapa (oppure, giocando sull'ambiguità del termine, fra «verità» come funzione logica e "verità" come realtà extra-logica).


Citazione di: Ipazia il 21 Febbraio 2020, 16:03:29 PM
La (dis)equazione:

mamma ≠ non mamma

è fatta propria dal cucciolo ben prima che la verità/falsità logica gli sia nota. Ed anche se confonde, ed io con lui, l'identità con la verità, tale confusione gli è veridicamente propedeutica alla sopravvivenza prima, e al ragionamento sul mondo che lo circonda, poi.
Intendevo esattamente questo; la conoscenza di quella (dis)equazione è proprio ciò che consente al cucciolo di (soprav)vivere anche senza fare ragionamenti (pre)logici di vero/falso. Essendogli ignota la distinzione vero/falso, non si può dire che egli faccia confusione: non può confondere ciò che usa con ciò che non (ri)conosce, semplicemente perché non gli è ancora stata insegnata (noi adulti dovremmo avere qualche scusante in meno).
Citazione di: Ipazia il 21 Febbraio 2020, 16:03:29 PM
coinvolgono tutta la nostra sensorialità nella veridica e prelogica lotta per la sopravvivenza laddove il falso e il vero della percezione sensoriale passano attraverso la stretta cruna dell'ago di un agguato/fuga riusciti.

In tal caso la lettura vera o falsa del fatto naturale fa la differenza e  il bravo predatore/preda lo impara assai presto, confermando con la sua longevità di avere bene appreso, non sul piano logico ma su quello fatale, cognitivo, la differenza tra vero e falso di un messaggio sensoriale (olfattivo, uditivo, visivo,...)
Più che la «lettura di», direi il «discorso (umano) su» verità/falsità del fatto naturale: dal canto suo, il predatore "legge" gli eventi tramite vero/falso o tramite, ad esempio, identificazione predabile/non-predabile? Davvero quando la preda vede sbucare il predatore da un cespuglio pensa concettualmente «diamine! quello era un falso arbusto! In verità era un predatore nascosto!» piuttosto che semplicemente «fuga!» o, ancor più verosimilmente, nemmeno quello? Scherzi a parte, chiaramente non ho prove di quel che passa nella testa degli animali, faccio solo la mia scommessa "alla cieca". Noi umani lo raccontiamo nei documentari in stile National Geographic usando le categorie di vero/falso, ma non so se sia lecito proiettare "antropocentricamente" le nostre categorie narrative nella mente del leone (piuttosto diversa della nostra, suppongo).


P.s.
Citazione di: Ipazia il 21 Febbraio 2020, 16:03:29 PM
Trovo artificioso, quasi ideologico, limitare la coppia verità/falsità alle forme e formalismi della ragione.
Secondo me, aiuta ad essere meno ambigui nei discorsi riguardo «verità», «realtà», «coerenza», «esistenza», etc. certamente la ricerca di accuratezza rischia di sconfinare nell'artificioso (questione di "unità di misura"). Ammetto di non capire bene in che modo tu e green demetr mi accostate all'"ideologia".


P.p.s
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 21 Febbraio 2020, 18:09:03 PM
In ogni caso, per adesso vi ringrazio tutti nessuno escluso.
Grazie a te per gli stimolanti contributi.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 21 Febbraio 2020, 22:46:58 PM
Citazione di: Phil il 21 Febbraio 2020, 21:11:56 PM
Ammetto di non capire bene in che modo tu e green demetr mi accostate all'"ideologia".
Per me: nella difesa a spada tratta di un'area riservata del linguaggio logico e della sua sfera concettuale, escludendo dal tuo orizzonte teoretico il cordone ombelicale che lega il pensiero al pensato, la res cogitans alla extensa che in essa cogitante rimbalza da tutte le parti coi suoi continui stimoli.

Dà l'impressione di una cittadella razionale esclusiva ed escludente da difendere.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Phil il 22 Febbraio 2020, 00:49:45 AM
Citazione di: Ipazia il 21 Febbraio 2020, 22:46:58 PM
Per me: nella difesa a spada tratta di un'area riservata del linguaggio logico e della sua sfera concettuale, escludendo dal tuo orizzonte teoretico il cordone ombelicale che lega il pensiero al pensato, la res cogitans alla extensa che in essa cogitante rimbalza da tutte le parti coi suoi continui stimoli.
Forse più che lama di spada è lama di rasoio: non ontologizzo la verità, non ne faccio un ente, né un concetto che condividono uomini ed animali; la confino al valore che ha in logica/linguistica, ma, come ripetuto più volte, non certo per rinnegare la realtà extensa, né il suo rapporto con essa, né la dimensione extra-linguistica (significherebbe negare la sensibilità, il che sarebbe inaudito, e il mistico, per cui ho scomodato Buddha), quanto piuttosto per tutelare ciò che non è linguaggio dall'essere confuso/identificato con categorie linguistiche.
Se rinchiudo la verità nella cittadella del linguaggio/concettualizzazione, è proprio per poter parlare poi con meno ambiguità di ciò che linguaggio non è (esistenza, realtà, etc.); in fondo propongo solo di non confondere le categorie della narrazione con quelle degli eventi narrati, facendo appello alla consapevolezza che il linguaggio è un medium, non l'"oggetto" del discorso (altrimenti sarebbe come pensare che le metafore non siano solo un fenomeno linguistico, ma anche qualcosa di "reale", sostanziale, extra-linguistico, etc.).
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Hlodowig il 22 Febbraio 2020, 11:41:51 AM
Citazione di: Phil il 20 Febbraio 2020, 22:15:33 PM
..dei bambini consiste forse proprio nel non concepire il falso, la menzogna, etc. senza i quali la verità non può determinarsi, coincidendo a tal punto con l'esistenza..

Chiedo venia per l' imbecillità di aver leggermente modificato questa tua ultima parte.

Ma forse, credo di essere l' unico imbecille, che abbia trovato in questa frase, uno dei più bei concetti espressi della verità.

Grazie. ✋
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: niko il 22 Febbraio 2020, 13:08:33 PM
Ciao Niko,
letto con piacere e condividendo in gran parte i tuoi passaggi, ringraziandoti per la premura, arrivo alla fine del tuo discorso dove però devi scusarmi se mi distanzio: Il nulla relativo è pur sempre un essere che in quanto essere non può divenire un non-essere.
Il nulla assoluto non è un sottoinsieme del nulla relativo né viceversa, poiché non-essere. Quindi è vero che fra i due esiste solo il nulla relativo, che quindi è un essere, mentre il nulla assoluto non esiste, quindi non è.
Il paradosso che ne deriva e di cui parli alla fine... esiste e fa parte dei problemi del fondamento e io non parlo qui del fondamento, ma è un problema formalmente e semanticamente risolto in "Infinito. Principi supremi" (un  libro). Ma non importa: sospendiamo qui il discorso, scusandomi se qui e ora mi fermo alla sola discussione del paradigma in esame, evitando ogni discorso intorno al fondamento.






Capisco cosa vuoi dire ma non lo condivido, il non essere è una negazione continua autoproducentesi, non basta dire che non è: o non lo si pensa proprio e si sospende il giudizio, (per questo prima parlavo di teologia negativa e silenzio mistico) ma se lo si pensa, bisogna ammettere che almeno una parte compositiva o un effetto determinato del suo non essere (se non la totalità, del suo non essere) è proprio l'essere; in senso modale, una singola qualsiasi determinata cosa che è, è un modo accidentale di non essere del nulla valido quanto "il nulla" stesso, in modo che non si può dire quale sia il vero modo di non essere del nulla, e ce ne sono infiniti.


Il nulla non preferisce non essere in sé stesso piuttosto che in una stella o in un uccello o in un granello di sabbia, il nulla è nulla, una doppia negazione che afferma, che si toglie da sé perché altro si dia, e se lo si pensa, lo si pensa identico all'essere, come sfondo e sorgente di tutto equivalente allo sfondo e sorgente di tutto che anche l'essere è. Se nel modo più assoluto non è, non è neanche se stesso, non può coincidere stabilmente neanche con sé stesso (da cui l'elemento dinamico, produttivo della sua essenza), e ha una identità residuale nell'altro da sé, in ciò che lo contraddice, che lo nega.


Il non essente anche come definizione, come parola/nulla, non si riferisce a niente se non a un generico altro da sé, all'insieme delle alternative non nulle al nulla incidentalmente reperito in una data circostanza e indicato dalla parola, e in questo senso anche il nulla assoluto è un nulla relativo, come dire: "non c'è niente sul tavolo.": l'espressione non si riferisce al tavolo in sé, o a una condizione o a un modo di essere particolare del tavolo, o a una circostanza atmosferico-ambientale di tempo e di luogo, all'aria, al "vuoto" vicino o intorno al tavolo, ma semplicemente all'insieme numerosissimo, quasi infinito, delle cose che ci potrebbero essere sul tavolo, e che questa volta, incidentalmente, non ci sono. Nessuna cosa spicca sulle altre, nessuna cosa si distingue, quindi nessuna cosa c'è. Nessuna cosa, si riferisce di base a una molteplicità di cose. Le cose possibili che ci possono essere su un tavolo, virtualmente nell'espressione ci sono tutte, anche se, al momento, nessuna è accessibile.


L'identità, tra essere e pensiero, non può prescindere dalla differenza, tra essere e pensiero, dal fatto che ogni pensiero è fallibile e ha un necessariamente un oggetto, una proiezione
incompiuta intrinseca verso l'altro da sé e l'esterno, verso il non pensiero, verso il mondo, verso l'essere dell'altro da sé che il pensiero vorrebbe cogliere. Non si dà il pensiero infallibile, e non si dà il pensiero vuoto.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Phil il 22 Febbraio 2020, 16:47:13 PM
Citazione di: Hlodowig il 22 Febbraio 2020, 11:41:51 AM
Citazione di: Phil il 20 Febbraio 2020, 22:15:33 PM
..dei bambini consiste forse proprio nel non concepire il falso, la menzogna, etc. senza i quali la verità non può determinarsi, coincidendo a tal punto con l'esistenza..

Chiedo venia per l' imbecillità di aver leggermente modificato questa tua ultima parte.

[...] in questa frase, uno dei più bei concetti espressi della verità.
Quello a cui alludevo era soprattutto l'"uscita" dalla verità, ovvero il lasciarsela alle spalle come un'indicazione che, una volta (e)seguita, non può che restare indietro. Non si tratta di negazione della verità, come sarebbe la menzogna, quanto piuttosto di abbandono del piano delle categorie discorsive (inclusa quella di verità).
Nel momento in cui non c'è più discorso sulla verità e non c'è più contrapposizione alla falsità, c'è allora contatto im-mediato (non mediato dal medium linguistico-logico) con la realtà, esperienza diretta; si passa in pratica dalla narrazione del discorso alla narrazione dell'esistenza e nell'esistenza (probabilmente è ciò che esperiscono i viventi meno concettualizzanti, come i bambini piccoli e gli animali in genere).
Se chiamiamo questo contatto alinguistico «verità», allora ripiombiamo subito nel discorrere, sebbene, di fatto, quando lo esperiamo, non c'è nessuna verità (solo esperienza di esistenza): se mi dai uno schiaffo, provo dolore, non "verità"...
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 22 Febbraio 2020, 19:07:28 PM
Passando dal rasoio all'ultramicrotomo fenomenologico possiamo anche tomografare il reale fino a strati di spessore infinitesimale, ma il reale nello spazio in cui mette in scena i suoi fatti (Tatsachenraum) ha un carattere sintetico e la sua verità non è smembrabile nei suoi costituenti (fattuale e narrativo).

Un evento del tipo: "Caino uccise Abele", ammesso sia accaduto, è vero indipendentemente dalla sua narrazione, narratività e narratore. Non si tratta di reificare il concetto, ma di impedire la sua dissoluzione in una astrazione logica separata dalla realtà fattuale che gli dà senso e contenuto. Plurale, quanto sono gli ambiti di reale in cui non solo un discorso, ma pure un'esperienza di verità, si dà (verità sensibile, scientifica, storica, giudiziaria, testimoniale, logica, matematica,...).

Tornando alla discussione, penso che una "rivoluzione" filosofica dovrebbe mirare non ad una metafisica ragione della cosa in sé, ma ad una realistica ragione delle cose (plurale) per noi.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Jean il 22 Febbraio 2020, 20:03:22 PM
Cit. Vito J. Ceravolo:

Se questo che segue fosse un sillogismo...

Paul: L'uomo appartiene alla natura
Lou: La natura non appartiene all'uomo
Jean: Il pensiero dell'uomo non appartiene alla natura

...accogliendo le premesse di Paul e Lou, la conclusione di Jean, cercando soluzioni, dovrebbe essere che il pensiero dell'uomo è un'evoluzione della natura(le) che acquista capacità artificiali, cioè con capacità di assemblare la natura in modo non adattivo (naturale) ma adattandola (artificiale).
Se questo fosse un sillogismo...


risposta Jean:

(... se fosse un sillogismo) la tua spiegazione la trovo convincente.

Tuttavia ne sono possibili altre, ad esempio che il pensiero non sia un'evoluzione della natura (in cui ci troviamo) ma si sia "alloccato" una volta che questa (la natura, ma specificamente l'uomo) avesse potuto "ospitarlo".

Intendendo con pensiero, come dici, inizialmente una facoltà adattativa artificiale, poi (inglobando innumerevoli contenuti) evoluta nel tempo.

Ma come per il genoma umano che ha "inglobato" frammenti di DNA virale (stimato l'8%) e quindi conserva materialmente traccia di tutta la storia biologica senza la quale non funzionerebbe, così il pensiero (o meglio il suo "alveo", la coscienza) mantiene "registrata" ogni interazione avvenuta (e in misura da comprendere le nuove interazioni avviano da adattamenti e riadattamenti delle pregresse).


Cordialement
Jean


PS- peccato per il "paradiso perduto"... alias la formattazione del testo...
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Phil il 22 Febbraio 2020, 20:45:13 PM
Citazione di: Ipazia il 22 Febbraio 2020, 19:07:28 PM
Un evento del tipo: "Caino uccise Abele", ammesso sia accaduto, è vero indipendentemente dalla sua narrazione, narratività e narratore. Non si tratta di reificare il concetto, ma di impedire la sua dissoluzione in una astrazione logica separata dalla realtà fattuale che gli dà senso e contenuto. Plurale, quanto sono gli ambiti di reale in cui non solo un discorso, ma pure un'esperienza di verità, si dà (verità sensibile, scientifica, storica, giudiziaria, testimoniale, logica, matematica,...).
Cosa significa che «è vero indipendentemente dalla sua narrazione» (come quella che stiamo facendo qui e ora)? Significa, se non sbaglio, che è stato un evento, un accadimento, un fatto. Può esserci un evento che sia non-vero? Direi di no, possiamo narrare che sia non vero («non è vero che Caino ha ucciso Abele») o narrare qualcosa di non vero («Abele ha ucciso Caino»), ma in quell'evento fattuale, sul piano dell'accadere, dell'esistere, fuori dalla sua narrazione, la categoria di verità resta, secondo me, estranea (o tautologica, se preferiamo: "ogni evento accaduto è vero"... ma allora, non a caso, siamo così ancora sempre dentro la narrazione, l'asserzione, quindi ha certamente senso parlare di «vero»).
Detto altrimenti, secondo me la verità appartiene al lato del soggetto (narrazione, descrizione, etc.), mentre nel lato dell'oggetto c'è esistenza (esperienza, accadere, etc.); il linguaggio è ciò attreverso cui l'uomo "guarda" il reale, conviene che egli sappia cosa appartiene alla "lente" e cosa al "panorama": nel mondo "troviamo" la verità, oppure la verifica del nostro discorso (concettualizzazione, etc.)? E quando non la troviamo, ciò che viene falsificato è la realtà o il nostro discorso?

P.s.
Fermo restando che in generale si parla di «verità» con tanti significati (empirico, mistico, logico, etc.); questa è solo la spiegazione della mia preferenza personale (quantomeno off topic).

P.p.s.
Citazione di: Jean il 22 Febbraio 2020, 20:03:22 PMpeccato per il "paradiso perduto"... alias la formattazione del testo...
Non ho più problemi con la formattazione dopo l'ultimo aggiornamento.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: viator il 22 Febbraio 2020, 21:22:05 PM
Salve Vito Ceravolo. Citando : XXXXX"...accogliendo le premesse di Paul e Lou, la conclusione di Jean, cercando soluzioni, dovrebbe essere che il pensiero dell'uomo è un'evoluzione della natura(le) che acquista capacità artificiali, cioè con capacità di assemblare la natura in modo non adattivo (naturale) ma adattandola (artificiale)."XXXXX

Il mio non vuole essere  un intervento ma solo una nota di colore : ma qui siamo al delirio ! ".....capacità di assemblare la natura in modo non adattivo (preferisco : adattativo) ma adattandola (artificiale)".
ADATTANDOLA A CHE ? AL NATURALE O ALL'ARTIFICIALE ?.

Vedete.....c'è la pelle. Con quella cavata a dei poveri animali si possono produrre cinture, scarpe, borsette. La pelle di origine animale, dopo essere stata trattata come viene trattata per trarne una borsa, è materiale naturale od artificiale ?

Poi c'è la plastica. La quale può venir prodotta in forme ed apparenze sensorialmente accostabili alla pelle animale. Si chiama "similpelle".
La similpelle (consistente in materiale naturale=idrocarburi fossili) artificialmente manipolata per conferirgli sembianza naturalistica.........è materiale naturale o artificiale ?.

Poi c'è la similplastica. Un esempio : i carri allegorici del Carnevale di Viareggio vengono realizzati in cartapesta (materiale a cavallo tra la naturalità e l'artificialità); essi devono possedere una apparenza ed una consistenza il più possibile SIMILE alla plastica (non possono essere in plastica per ragioni di spesa e di dimensioni eccessive dei relativi stampi che in tal caso occorrerebbero). Non sto a ripetere il quesito fatale : naturale od artificiale ?

Infine arriviamo a certa oggettistica minuta nella cui realizzazione son maestri gli amici cinesi: (nessuno di voi conosce le pinzette da bucato che - esposte al sole per 100-200 ore, vengono rese talmente fragili dai raggi ultravioletti da frantumarsi al primo tentativo di apertura ?) essi sono in materiale talmente vile da aver permesso ad un ignorante privo di fantasia come me di coniare una certo neologismo : "quasisimilplastica".

Ecco......forse solamente quest'ultima è l'unica sostanza veramente artificiale che l'uomo sia riuscito a creare. Saluti.

Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 24 Febbraio 2020, 20:26:32 PM
Citazione di: Phil il 22 Febbraio 2020, 20:45:13 PM
...
Detto altrimenti, secondo me la verità appartiene al lato del soggetto (narrazione, descrizione, etc.), mentre nel lato dell'oggetto c'è esistenza (esperienza, accadere, etc.); il linguaggio è ciò attreverso cui l'uomo "guarda" il reale, conviene che egli sappia cosa appartiene alla "lente" e cosa al "panorama": nel mondo "troviamo" la verità, oppure la verifica del nostro discorso (concettualizzazione, etc.)? E quando non la troviamo, ciò che viene falsificato è la realtà o il nostro discorso?

P.s.
Fermo restando che in generale si parla di «verità» con tanti significati (empirico, mistico, logico, etc.); questa è solo la spiegazione della mia preferenza personale (quantomeno off topic).

Ineccepibile dal punto di vista logico, ma di difficile applicazione in uno stadio prelogico in cui l'esistenza dice qualcosa ad un soggetto che non vi si relazione in modo logico bensì istintuale/intuitivo, interpretando comunque con cognizione di causa (prelogica) il fatto, l'accadimento, come da successiva verifica logica e sperimentale. Molte scoperte portano alla verità per via intuitiva, per strane, al limite dell'onirico, associazioni mentali non logicizzabili nella consueta liturgia deduttivo-causale.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Phil il 24 Febbraio 2020, 22:29:31 PM
Citazione di: Ipazia il 24 Febbraio 2020, 20:26:32 PM
Ineccepibile dal punto di vista logico, ma di difficile applicazione in uno stadio prelogico in cui l'esistenza dice qualcosa ad un soggetto che non vi si relazione in modo logico bensì istintuale/intuitivo, interpretando comunque con cognizione di causa (prelogica) il fatto, l'accadimento
Il "dire" dell'esistenza è una metafora, il dire cogitante dell'uomo è invece attività concreta; il primo è un accadere/esistere "ontologico", il secondo un concettualizzare/narrare umano.
I cani di Pavlov hanno cognizione di causa, di verità, etc. o solo di prima/dopo, accadere/non-accadere? Punterei sul secondo gruppo, pur non negando affatto che siano animali con una loro "intelligenza" (qualunque sia il senso di questa parola).
Nel momento in cui l'uomo interpreta con cognizione, l'istinto e l'intuito restano umani, quindi permane, almeno secondo me, una deformazione concettuale, altrimenti l'interpretandum resterebbe tagliato fuori, inaccessibile alla sua stessa interpretazione (che richiede la sua concettualizzazione). Quando invece l'uomo (re)agisce d'istinto e d'intuito, è meno concettuale e, non a caso, non si pone il problema della verità.


Citazione di: Ipazia il 24 Febbraio 2020, 20:26:32 PM
Molte scoperte portano alla verità per via intuitiva, per strane, al limite dell'onirico, associazioni mentali non logicizzabili nella consueta liturgia deduttivo-causale.
Una scoperta, per come intendo personalmente la verità, non porta alla "verità", porta al cospetto di un'esistenza, di una relazione fra esistenti, etc. (sebbene «esistenza» possa essere certamente sinonimo di «verità», al di qua dell'ambiguità di cui parlavo).
Quando il linguaggio comune parla di un detective che mira a "scoprire la verità", in fondo, cosa intende? Scoprire fatti, eventi, etc., magari in contrasto con un discorso falso o in cui sono raccontati male, per cui la verità torna così ad essere legame fra un discorso (quello vero) e l'esistenza, l'accadere. Se la verità è categoria del "discorso su qualcosa" non credo possa essere anche categoria del "qualcosa" di cui è discorso, se non a prezzo di una scomoda ambiguità fra discorrere ed esistere. Dunque per me non si "scopre la verità" dei fatti, piuttosto si può dire la verità sui fatti, che se sono in tal caso non esperiti (perché passati, assenti, etc.) ma concettualizzati, non possono che essere narrati (se ho il mal di schiena, lo percepisco, non ho nulla da scoprire; se ne parlo con il medico sorge il problema di raccontare la verità, di rispondergli: «mi dica cosa sente... quanto le fa male da 1 a 10? e se fa questo movimento? ha sollevato pesi? Dica la verità...» e se egli mi fa scoprire di avere uno stiramento, la mia esperienza di dolore non cambia, posso solo dirne il nome... "vero").
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Hlodowig il 25 Febbraio 2020, 17:41:57 PM
Citazione di: Phil il 22 Febbraio 2020, 16:47:13 PM
Citazione di: Hlodowig il 22 Febbraio 2020, 11:41:51 AM
Citazione di: Phil il 20 Febbraio 2020, 22:15:33 PM
..dei bambini consiste forse proprio nel non concepire il falso, la menzogna, etc. senza i quali la verità non può determinarsi, coincidendo a tal punto con l'esistenza..

Chiedo venia per l' imbecillità di aver leggermente modificato questa tua ultima parte.

[...] in questa frase, uno dei più bei concetti espressi della verità.
Quello a cui alludevo era soprattutto l'"uscita" dalla verità, ovvero il lasciarsela alle spalle come un'indicazione che, una volta (e)seguita, non può che restare indietro. Non si tratta di negazione della verità, come sarebbe la menzogna, quanto piuttosto di abbandono del piano delle categorie discorsive (inclusa quella di verità).
Nel momento in cui non c'è più discorso sulla verità e non c'è più contrapposizione alla falsità, c'è allora contatto im-mediato (non mediato dal medium linguistico-logico) con la realtà, esperienza diretta; si passa in pratica dalla narrazione del discorso alla narrazione dell'esistenza e nell'esistenza (probabilmente è ciò che esperiscono i viventi meno concettualizzanti, come i bambini piccoli e gli animali in genere).
Se chiamiamo questo contatto alinguistico «verità», allora ripiombiamo subito nel discorrere, sebbene, di fatto, quando lo esperiamo, non c'è nessuna verità (solo esperienza di esistenza): se mi dai uno schiaffo, provo dolore, non "verità"...

Per dirla in breve (perdonami, ma in media, ultimamente non riesco a digerire il troppo chiacchiericcio e i post un po' troppo discorsivi e generalizzanti);

il bambino non è un ipocrita.

In ciò sta la verità che si affaccia all' esistenza. (e alla non esistenza)

Sempre a parer mio.

Grazie. ✋
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: green demetr il 01 Marzo 2020, 12:15:21 PM
https://www.azioniparallele.it/archivi/30-eventi/atti,-contributi/202-scalata-critica-al-nichilismo.html

Buonasera Vito J Ceravolo.

Finalmente ho avuto la pazienza di leggere il suo articolo.

Le nostre posizioni sono estremamente divergenti, così come le nostre interpretazioni sia di Kant che sopratutto di Nietzche.
Mi pare che lei non abbia capito alcunchè di Nietzche.
Il pensatore che pensava al di là del bene e del male, non avrebbe mai potuto pensare al male, in quanto male.
Come ogni sua frase va posta all'interno del mare magnum della sua immensa opera.
Se come lei cita dalla zarathustra, opera enigmatica se ce n'è una, che l'uomo deve tendere al male, è in senso morale.
Nel senso che l'uomo deve, condizione precipua di qualsiasi filosofia, uscire dal suo stato di condizionamento morale.
Condizionamento morale, che è certo cristiano, ma che nell'alto pensiero nicciano diventa una antimetafisica assoluta.

Dunque è bizzarra la tua posizione.

Un tentativo formale che vuole fare i conti con chi il formalismo lo ha detestato visceralmente, fino a lasciarne gli studi. Egli infatti era un filologo promettente.

Direi che forse il centro vero del contendere è Kant.

Liquidando in toto il realismo, con cui concordo con te, che liquida il soggetto, come se questo fosse minimamente possibile.

Rimane la trattazione del nichilismo.

Il nichilismo non è quello che tu tratteggi.
Quello che tu tratteggi è il solipsismo, o il monismo.
Lo chiami nichilimso perchè lo associ alla tua personalissima e per me incapibile questione del male.
Come se il male nascesse dalla presunzione (presunta caro vito, presunta da te) del soggetto che si libera di qualsiasi ordinazione naturale.

Vedo che nella trattazione di Kant partiamo da una specifica molto in avanti, e che ho apprezzato, perchè nonostante sia evidente, nel panorama delle discussioni pubbliche è un dato sempre taciuto.

Il tema della libertà associato alla necessità di una ordinazione divina, è chiaramente lo sforzo a cui tende l'intera filosofia kantiana.

Ora però mi sembra che o fai tu molta confusione o molto probabilmente non ho capito io.

Infatti kant prima è attaccato come solipsista, e poi recuperato nella necessità della libertà.
Che sottenderebbe certo la solita idiozia della tautologia.
La ragione umana è l'in sè delle cose.

Intanto la tua posizione è errata, e te l'aveva già detto Kant, la ragione è solo lo strumento, la facoltà dell'intelletto.

E l'intelletto è lo strumento originario del giudizio.

Dunque è la facoltà, ossia la possibilità ad essere pura.

Non la razionalità.

Lo sforzo di Kant inoltre è completamente frainteso da molti, se non tutti.

In kant il giudizio è il sine qua non, a partire da cui la libertà possa intraprendere il cammino della ragione.

E dunque è la nostra capacità di prendere giudizio, a dover essere analizzata e scandagliata.

In kant non vi è in alcun modo alcun solipsismo, in questo forum, sopratutto nella sua versione vecchia, quando c'erano più kantiani convinti (e solipsisti), si è prentata spesso la necessità di fare comprendere (inutilmente ovvio) che la cosa in sè, è il pensiero stesso del limite della comprensione fenomenologica, della mente, diremmo oggi. Egli mi pare usi la parola fantasia.

La fenomenologia è dunque una fantasmatica della ragione.
A cui il giudizio inflessibilmente deve porre il limite della inconoscibilità reale dei fenomeni stessi.

Dunque ciò che chiamiamo realtà (e che invece è una fenomenologia), è già un fantasma.

Lacan il massimo pensatore del secondo novecento, riprende la sua analisi proprio a partire da kant.

Come Kant anch'egli impazzisce nel tentativo di trovare una ordinazione naturale.
E' questo il vero problema della cosa in sè.
La sua impossibilità conoscitiva.

Automaticamente questa impossibilità viene a definirsi emotivamente, negli effetti del fantasma originario, ossia quello materno.
Il famoso "da dove vengo".

Questa provenienza è impossibile.

Come giustamente fatto notare da (fra gli altri immagino) Zizek, il soggetto parte sempre dalla fondazione.
Che in tedesco significa anche macerie.

Le macerie sono proprie dell'impossibilità a entificare ciò che propriamente è soggetto.

Cosa che capiscono benissimo anche gli antichi che si appoggiavano al Dio.

L'uomo non è un animale, men che meno un robot, una macchina.

Dire che l'uomo è l'in sè dell'universo, cari Vito e ci metto anche Paul, significa non aver letto nè minimamente inteso l'idealismo tedesco.

Per intendere ciò da cui parte la filosofia, ossia dal soggetto significa di fatto già portare avanti l'idea di Dio.

Non il dio morto delle religioni ma quello essenziale, quello di cui parla Heidegger, anche riferendosi, fraintendendolo completamente,a Nietzche.

Per tornare al maestro di Rocken.

Il nichilismo di cui parla sono 2. Il primo è quello della perdita dei valori, e il secondo è lo scandagliatore delle metafisiche.
Ossia delle infinite possibilità dell'esser uomo al di là della bestialità dell'esser uomo.

Per Nietzche già nel diciottesimo secolo era venuto il momento di andare oltre le morali storiche.

Era ora di pensare l'avvenire. Come giustamente titolava Garbinno all'epoca.

Un avvenire in cui l'uomo usa il nichilismo a sua immagine, ossia analizzando le sue effettive possibilità.

Come se noi della natura (umana) avessimo esplorato ancora poco, pochissimo.

Direi che insomma la critica al tuo scritto è questa.

Ora però da buon forumista mi interesserebbe capire come mai si necessita di questo "ordine esterno",perchè mi pare che alla fine in questione sia proprio la questione morale.
Ossia la protezione della morale (corrente), ossia di nuovo il soggiacere alla ideologia del tempo presente.

Il che ovviamente mi troverebbe di nuovo in disaccordo.
La questione morale va sorpassata almeno in campo intellettuale, al più presto.


Apprezzo grandemente però delle posizioni formali (e me indigeste) quelle dualiste, e rigetto con tutto me stesso i monisti. Quindi c'è del buono nel tuo lavoro (di solito contro le nuove filosofie inveisco e basta, ah ah buon lavoro Vito).

Se pensi che debba leggere altro del tuo lavoro ti prego avvisami. Lo farò di buona volontà. Laddove ovviamente questo mondo che mi schiaccia me ne lasci la forza.

Se pensi che dobbiamo aggiustare qualcosa dei termini fin ora usati, idem.

Saluti e grazie per un tuffo nella filosofia che conta.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: green demetr il 01 Marzo 2020, 12:45:24 PM
Citazione di: Ipazia il 21 Febbraio 2020, 15:06:49 PM
Citazione di: green demetr il 21 Febbraio 2020, 11:44:35 AM
Nemmeno il reale fugge all'astrazione in realtà, questo per stroncare anche le velleità ipaziane.

Il reale (concetto) è parte del cogito che è parte della natura che riporta alla terra e a Nietzsche di cui - ma più gaiamente di lui - condivido le velleità. L'astrazione, liberata (decostruita) dalle illusioni platoniche e neo, è un ottimo strumento deduttivo di ordinamento antropomorfico della realtà (reale, fisica, materiale,...), comunque necessario alla via umana della conoscenza.

Vedo che insisti a intendere la natura come super-egoica.

Un conto è la sovrastruttura che genera l'io penso, tesi del nostro marx, un conto è la natura.

Mentre la prima è il risultato politico (incluso quello della economia politica), la seconda è una invenzione della chiesa, che pensa il Dio in relazione all'uomo, inteso come naturale.
La natura è lo strumento del Dio. In poche apodittiche parole.
Ma Dio appunto non esiste, e dunque nemmeno la Natura.

Se diciamo natura che non sia relata a Dio, ci tocca rifare i conti da capo.

Vogliamo dunque rifarci alle sciocchezze delle neuroscienze? al pensiero del post umano?
A tutte quelle forme della sovrastruttura che determina l'essere egoico?

Il problema dell'in sè di Ceravolo non è così indifferente rispetto a quello che pensi.

Infatti ponendo un in sè all'interno della natura si sta dando il via alla possibilità della analisi.

Anche di quelle plurali come dici nel tuo intervento finale.

Non porre le premesse di qualsiasi analisi significa consegnarsi in toto al potere delle sovrastrutture.

Significa affidarsi alle scienze cognitive, adattive, solo perchè performanti, ossia adatte alla economia politica come già Marx ci ha avvisato.

La mercificazione dell'esser umano spacciata come Natura, è la solita sostituzione, del morto un Dio, se ne fa un altro.

Il concetto di Natura che lo giustifica è il mezzo più adatto come lo ha dimostrato e tutt'ora dimostra, la persistente presenza del Dio cristiano.

Troppo facile per le forme ideologiche del capitalismo moderno, che usano qualsiasi dispotivo(agamben) esistente.

Il bias parte proprio dalla Natura.

Direi di tornare a Kant e rischiararci le idee. Se vogliamo ripensare il politico come categoria rifondativa del fare filosofia. (cosa su cui sarei d'accordo).
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: green demetr il 01 Marzo 2020, 13:49:54 PM
Citazione di: paul11 il 21 Febbraio 2020, 15:36:36 PM
Citazione di: green demetr il 21 Febbraio 2020, 11:44:35 AM

E il reale non è il naturale. Purtroppo anche Paul fa questo errore.



..e ancora mi pensi naturalista?


Se utilizziamo i nostri piedi o l'automobile e non vogliamo cozzare contro un muro o fare incidenti, abbiamo necessità che funzionino i sensi e il cervello attraverso l'attenzione e la concentrazione.
Significa che almeno "parte" della realtà fisica indubbiamente la conosciamo,almeno per sopravvivere.


Il reale fu prima un concetto metafisico come il razionale, poi la mimesi moderna ha mutato  i significati.
Affinchè si possa costruire una filosofia, oggi regna l'anti-filosofia che ha plagiato le moltitudine umane per renderle servizievoli agli apparati, è necessario seguire un'analitica e una sintesi appunto utilizzando induzione e deduzione. Per potere accedere alla ragione in sè, è necessario che la realtà naturale venga portata al reale dell' in sè e non può eludere il fenomeno fisico, sarebbe allora fantasia. Insomma perchè funzioni l'induttivo che sale dal particolare della realtà naturale all'in sè della ragione e il deduttivo che scende dall'in sè della ragione al particolare della realtà naturale, siano coerenti.
L'errore è eludere o il mondo naturale o l'in sè della ragione, non sarebbe più filosofia, sarebbe chiacchiera.


Ciao Paul su questo punto mi sembra ci sia sempre molta confusione tra noi.

La natura in sè non esiste. Esiste un concetto di natura. Dico solo che va analizzato.
Storicamente esso si associa a Dio. In particolare trovo assurdo che il giusnaturalismo si permetta di dire che per esempio l'omosessualità è contro-natura.

Il concetto di natura serve solo per compiacere l'esercizio del potere dell'uomo contro l'uomo. Gli esempi odierni e storici sono così tanti che trovo sempre imbarazzante doverne rendere conto. Sopratutto perchè io non ho alcun potere essendo povero.

Ora usare l'idea di natura in maniera sbrigativa come stiamo facendo è veramente contro tutto ciò in cui credo.

Ma faccio sempre uno sforzo per capire. La comunicazione come sappiamo è sempre disturbata a livello linguistico.
Non è solamente il mezzo, il medium internet, sono anche le orecchie di chi ascolta.

Quanta ideologia è presente nella comunicazione? Mi interessa quello sopratutto. (almeno inizialmente).


Ripartiamo da quello che scrivi, "il reale era metafisico".
Ma certo PAUL, e proprio quello il problema penso!
Riportate il concetto di reale nel suo alveo originario.
Volendo si può sempre ripartire dalla grecità, e dal loro concetto, già detto da Phil, di Aletheia, il disvelamento, cose che tu già conosci.

Il problema che qualcosa si disveli indica una metafisica di un qualcosa che sottende il naturale.

Essi lo chiamarono infine Logos, sia Platone che Eraclito, ne sono i campioni riconosciuti.

Ora il logos è ciò che unisce ciò che non può essere unito, ossia i contrari.
Nelle teorie dell'aristotele nascosto è evidente mi dicono gli studiosi del nostro.

Una mera credenza come un altra.

A me interessa ciò che sta oltre, ossia ciò che è percepito.

L'intera storia della metafisica infatti è una ontologia dell'ente, e giammai dell'essere.
Come ben notato da Heidegger.

A noi interessa la fenomenologia che sia dell'ente o dell'essere ha poca importanza.
Lo dimostra Cartesio dal razionalimso al criticismo alla dialettica, si svolge così quella storia post-illuminista, che deflagra in Kant ed Hegel.

L'impossibilità della risposta a "chi sono io?", previa impossibilità della conoscenza di ciò che mi determina in quanto soggetto, porta dritto nella temperie del romanticismo e nello spaesamento del novecento.

Il ritorno odierno a forme illuministiche, neo-illuministiche dei tempi odierni, dimostra quanto avesse Heidegger a dire che siamo ancora nella modernità.

Con l'aggravante di non pensare più a Cartesio Kant ed Hegel.

Ora cosa è natura? cosa è Dio? cosa è il logos o ordinazione? al giorno d'oggi: questo è il problema che credo stiamo qui trattando.

Ora le domande che ci facciamo non devono essere idiote, se qualcuno dei mostri sacri se le era già poste, forse qualcosina possiamo ancora capire da loro.

Altrimenti a che serve la storia della filosofia? un mero sciorinare di conoscenze vuote di verità? A noi dovrebbe interessare per davvero il reale!

E' inutile pensare che siamo fuori dall'ideologia. Certo siamo superiori al popolino, ma solo in quanto ad una certa ampiezza di sguardo.

Ora è facile perdersi in questa ampiezza si sguardo.

I termini vanno di nuovo rispiegati.

E allora torniamo allo scritto tuo.

Io riparto dalla mia ordinazione del reale, che alla base trova il fenomeno.

Io sto con Kant, sono cotro Husserl, e semmai preferisco mille volte Heidegger.

(so che esistono altre fenomenologie, mea culpa, devo ancora consocerle. penso alla stein per esempio, ed altri citatati dal professore alfieri).

A che punto siete tu e ceravolo sulla questione del fenomeno? francamente non lo con certezza. Discutiamone.

ti cito di nuovo
"Per potere accedere alla ragione in sè, è necessario che la realtà naturale venga portata al reale dell' in sè e non può eludere il fenomeno fisico, sarebbe allora fantasia. Insomma perchè funzioni l'induttivo che sale dal particolare della realtà naturale all'in sè della ragione e il deduttivo che scende dall'in sè della ragione al particolare della realtà naturale, siano coerenti."

Siamo d'accordo sul fatto che l'unica cosa non eludibile è il fenomeno.

Infatti perdonami ma il fenomeno è il vero punto di partenza. E l'unico possibile.

Andiamo a vedere perchè.

La ragione dell'in sè del fenomeno, dovrebbe avere a sua volta un in sè, che giustifichi la coincidenza del'in sè dell'oggetto fenomenico.

Ma entrambi sono presunti. A essere fantasie sono dunque la ragione che coincida con l'oggetto in sè.

Dovremmo probabilmente indagare un in sè generale. Che infatti Kant chiamò giustamente LA COSA.

Non "delle cose" ma LA cosa.

Ci rendiamo subito conto che se erano fantasie la ragione che abbia una coincidienza con l'oggetto, e fantasia che un oggetto avesse coincidenza con la ragione, figuriamoci un OGGETTO in SE'.

Questa critica è nata subito dopo Kant e si è protratta fino ai giorni nostri.
Kant ha sbagliato dicono tutti i NON-PENSATORI.

Il povero Kant con la sua scrittura impossibile da leggere. Ci provò a farsi capire. Ma è chiaro che se uno non capisce, è perchè non sa pensare.

Il cuore pulsante della fenomenologia è infatti la dialettica. Non l'analitica.

A Kant non interessa tanto trovare una analitica formale, bensì trovare qualcosa che fondi la libertà umana.

Ossia qualcosa che comprenda i fenomeni davanti a noi.

E dunque per Kant è il fenomeno quello che conta.

Fu Peirce un centinaio d'anni dopo, che intuì cosa Kant cercasse.

Un principio d'induttività che avesse caratteristiche generali.

E che spiegasse lo svolgimento del MONDO.

L'induttività non passa giammai attraverso categorie pregresse, l'unica ammessa è quella che riguarda la matematica.

Dici bene Paul quando dici dunque che prima con l'induzione e poi con la deduzione, si può decidere se è il caso o meno di andare contro un muro.

Non sto negando giammai tutto ciò, siano d'accordo.

Possiamo certo ricordare che la deduzione è sempre una presunzione di una probabilità persistente.

Ma sempre di probabilità stiamo parlando, GIAMMAI DI REALE.

Possiamo pensare al reale, come quel fascio di percezioni persitenti e non permanenti.

Dunque il reale è un fantasma adattivo ad un in sè presunto. Che deduciamo sommariamente e falsamente, falsificabilmente come Natura.

Il reale e la natura sono questa cosa qui?

Io non ho idea.

In quanto non mi interessa  abitare quelle regioni che sono della fantasia, del fantasma.

A me interessa il prodotto di questa relazione, ossia il soggetto e il suo fenomeno.

Il fenomeno si associa SEMPRE al soggetto.

Il soggetto si innesta sempre come già dato, e come già dato si riconosce come altro da sè.
E se noi siamo altro dal nostro soggetto, allora vi è un Dio che si pone come garante.

Un Dio che NON ci salva. In quanto non esiste.

Esiste solo il nostro altro da noi stessi.

Per questo quando Ceravolo afferma che prima di parlare il falso già ci abita, ha immensamente ragione.

Il punto è che l'indagabilità di questo ALTRO, è impossibile deduttivamente, ma sempre a partire dalla rovina di questo ALTRO nel soggetto che noi siamo.

Il rovinamento del soggetto, la sua intima alienazione si dà come processo fenomenico.
Indi per cui la filosofia che ne fa un analisi, si chiama fenomenologia.

In tutto questo i vecchi concetti dell'in sè  e di Natura non hanno alcuna valenza fondamentale.

Il fondamento è sempre altrove. E' questa la somma lezione di Nietzche.

La sistematizzazione è un errore e una presunzione che camuffa la propria volontà di potenza.

Come se data la natura e il proprio in sè, si possa decidere del MONDO stesso.

Di solito è la mimesi del potere gerarchico dell'uomo che vuole dominare l'altro uomo, e  che Nietzche chiama bestialità.

La bestialità non è una forma del naturale ma del gerarchico, fenomenico, non reale.

Il monaco che si esenta da tali forme mondane, si erge infatti in una dimensione fenomenica che non è reale. Il reale del potente che vuole la fine del monaco.

Come già detto in altro forum, il re rapisce Sileno. I saggi vengono portati alla corte del re.

Il fenomeno si dà come reale solo quando nasconde la sua forma ideologica.

Ora al netto di queste considerazioni è chiaro che il problema di cosa sia naturale e cosa reale, sia ampiamente e auspicabilmente introdotto nella discussione.

Altrimenti rimaniamo pure nei nostro reciproci fraintendimenti.

Io lo sforzo gratuito di aver posto le basi l'ho fatto.

A voi la risposta o la caduta di penna.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 01 Marzo 2020, 17:04:47 PM
Citazione di: green demetr il 01 Marzo 2020, 12:45:24 PM

Vedo che insisti a intendere la natura come super-egoica.

Un conto è la sovrastruttura che genera l'io penso, tesi del nostro marx, un conto è la natura.

Mentre la prima è il risultato politico (incluso quello della economia politica), la seconda è una invenzione della chiesa, che pensa il Dio in relazione all'uomo, inteso come naturale.
La natura è lo strumento del Dio. In poche apodittiche parole.
Ma Dio appunto non esiste, e dunque nemmeno la Natura.

Se diciamo natura che non sia relata a Dio, ci tocca rifare i conti da capo.

Vogliamo dunque rifarci alle sciocchezze delle neuroscienze? al pensiero del post umano?
A tutte quelle forme della sovrastruttura che determina l'essere egoico?

Vogliamo rifarci alla natura come la intesero i presocratici e i pensatori coevi orientali a priori di qualsiasi Dio o Uomo-Dio. Che poi è laddove cercó di riportarla Nietzsche rifacendo i conti da capo (magari sbagliati, ma sempre meno di quelli che andava martellando).

Sia essa essere, ente o concetto cambia poco. Cosi la esperiamo nella sua fenomenicità e così la trattiamo fenomenologicamente.

CitazioneIl problema dell'in sè di Ceravolo non è così indifferente rispetto a quello che pensi.

Infatti ponendo un in sè all'interno della natura si sta dando il via alla possibilità della analisi.

Anche di quelle plurali come dici nel tuo intervento finale.

Non porre le premesse di qualsiasi analisi significa consegnarsi in toto al potere delle sovrastrutture.

Le premesse le pone qualsiasi disciplina conoscitiva (scienza) definendo i confini della propria episteme.

CitazioneSignifica affidarsi alle scienze cognitive, adattive, solo perchè performanti, ossia adatte alla economia politica come già Marx ci ha avvisato.

La mercificazione dell'esser umano spacciata come Natura, è la solita sostituzione, del morto un Dio, se ne fa un altro.

Marx ci ha avvisato di quanto la sovrastruttura abbia una grande propensione a farla fuori dal vaso e la sovrastruttura Capitale eccelle in tale arte. Anche Dio non ci va leggero...

CitazioneIl concetto di Natura che lo giustifica è il mezzo più adatto come lo ha dimostrato e tutt'ora dimostra, la persistente presenza del Dio cristiano

... avendo ben compreso quella sezione della natura che è la "natura umana", storicamente determinata...

CitazioneTroppo facile per le forme ideologiche del capitalismo moderno, che usano qualsiasi dispotivo(agamben) esistente.

... al pari del capitalismo che è la summa teologiae della modernità.

Citazione
Il bias parte proprio dalla Natura.

Direi di tornare a Kant e rischiararci le idee. Se vogliamo ripensare il politico come categoria rifondativa del fare filosofia. (cosa su cui sarei d'accordo).

Penso sia un bias insuperabile, trascendentale, tanto vale farsene una ragione per noi della cosa, liberandolo dalla lussuria mercatistica di preti e mercanti. E alfine accettarlo con filosofica consapevolezza come ci insegnó il maestro di Röcken.

Il dubbio che mi sovviene è se stiamo parlando della stessa Natura o natura.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: paul11 il 01 Marzo 2020, 17:54:02 PM
ciao Green,


La natura in sé esiste e sussiste nonostante l'uomo. Viene prima della comparsa umana.
Certo, il concetto di natura è l'interpretazione che la nostra ragione della natura pone come rappresentazione e incide nella cultura.
L'associazione natura con dio, dal punto di vista squisitamente filosofico, è diversa per ogni corrente filosofica, a cominciare dall'antichità greca.
Diciamo che prima ancora della filosofia, con Esiodo, la natura(come terra) era asservita al cielo
e l'uomo doveva stare in armonia con cielo e terra: da ciò derivava la morale. Ma questo prima ancora dei pre-socratrici. La filosofia,che viene dopo, nasce come indagine anche naturale.
Nella modernità, con l'umanesimo fino a noi, la natura assurge d un ruolo paradigmatico, fondativo, che prima non aveva, con la negazione della meta-fisica; con la dualità del cogitans ed extensa, con il soggettivismo empirico, ecc.
Un conto è partire dall'aletheia nell'esistenza, negando preconcettualmente il soprasensibile e un conto inserirlo nel soprasensibile: muta completamente l'ambiente e le prospettive indagatrici.


Il disvelamento riguarda l'essere: il problema, ribadisco, che l'essere per i metafisici è ontologicamente e gnoseologicamente diverso da chi invece lo cerca nell'esistenza.
Per fare un esempio concreto:  è giusta la critica di Heidegger verso Platone del "che cosa è l'essere?" E se fosse giusta dove,come, in che cosa consisterebbe l'essere per Heidegger?
Sono riflessioni.


L'essere, il logos, sono credenze? E il Sileno che crudelmente dichiara la tragedia umana della sua misera vita? A tua volta non ti chiedi da dove fuoriesce il Sileno e se sia migliore la sua sorte?


Heidegger mi risulta che scrive"Essere e tempo" e non "Enti e tempo".
Personalmente l'Essere ritengo sia come scrive inizialmente Nietzsche "l'uno primigenio", o archè, o ragione in sé, o chi lo identifica in Dio(non necessariamente in senso religioso).


L'impossibilità della risposta "chi sono io?" è l'impossibilità tutta moderna di pensare che la natura, la matericità siano e diano le risposte riponendo nella tecnica la salvezza. L'esistenza si esplica anch'essa come apparenza, si nasce si muore, come la materia come i cicli della natura, Ma noi non rientriamo nei cicli perpetui della natura ,se non magari con altre spoglie mortali, divenendo altro da-sè. E per me questa è una grossa aporia logico metafisica.


Alcuni filosofi necessariamente se non vogliono parlare della semiologia delle mode, dei gossip, , ma vogliono fare filosofia, ritornano indietro ripensando alla metafisica antica,semmai cercando di capire e migliorare. La filosofia naturale materica ha fatto il suo tempo,visto che sussiste da almeno quattro secoli a questa parte, e non ha dato nemmeno risposte alle pratiche, anzi ha creato caos e confusione, ha creato vuoti colmati apparentemente dalle scienze moderne.


Penso che Vito C. abbia abbandonato la discussione, voleva testare la sua filosofia.


La fenomenologia è sempre soggettivismo e per questo non può creare Cultura con la C maiuscola.
Husserl guardava più a Cartesio che non a Kant, e la sua indagine come il fallimento della psicanalisi non è identificativa di una comunità, è individuazione non socializzazione, è opinione, non è verità. Heidegger segue questa china,seppur vorrebbe elevarsi da queste strettoie,vorrebbe utilizzare i termini metafisici ma calarli nell'orizzonte dell'esistenza.


Appunto, la natura e fenomeni sono parte della realtà, e quale filosofo lo ha mai negato?
Sono leggende metropolitane che la metafisca greca neghi la realtà dei fenomeni.
Semmai gli eleati di Parmenide e Zenone la negano come essere, ma non come esistenza.
Severino ne fa una negazione logico dialettica, ma non significa negare la realtà come esistenza.


Mi trovi d'accordo che il fenomeno naturale e fisico è ineludibile, ma ripeto, dal punto di vista filosofico non è questo il problema. Il vero problema è che se in tutto l'universo esistesse una verità, quella verità non può essere opinabile per le infinite apparenze dei fenomeni, che le varie culture e tempi culturali mutano.
A me non risulta che il noumeno Kant lo abbia voluto risolvere, tanto meno con una "cosa".
Non avrebbe mai posto il noumeno se voleva indagare il metafisico.
A me risulta che Kant sia il filosofo che abbia influito sulla cultura forse anche più degli altri filosofi a seguire. E' divenuto il mainstream.


La dialettica è in Hegel ,non in Kant. Kant ha avuto il merito di analizzare come la mente umana concettualizza un fenomeno, giusto o sbagliato che sia, ed era un procedimento originale e mai eseguito in precedenza se non dalle categorie aristoteliche, ma in termini diversi. Kant è uno gnoseologico e per farlo deve soggettivare, non più porre ontologie. E' per certi versi un precursore della filosofia della mente. Hegel pone un soprasensibile, cosa che Kant non attua  anche se non lo nega, lascia la questione aperta. Husserl prosegue l'analisi fenomenologica, ma ancor più soggettivata, perché vi inserisce la psiche, l'intenzionalità: in questo modo i confini fra realtà fisica e naturale sfumano nel soggetto mentale che diventa sempre più un interpretante della realtà.
A voler ben indagare la cultura naturale e materica moderna apre ad aporie interessanti al suo interno, con la mente umana. Tant'è che una spinta di Husserl a filosofare fu la crisi delle scienze a cavallo del Novecento. E se ci pensiamo bene al fiorire della psicanalisi mentre galoppava un positivismo, dall'altra matematica, geometria, mutavano i propri fondativi e Maxwell univa l'elettricità con il magnetismo permettendo la teoria della relatività einsteniana. Ci sono momenti di crisi nella modernità che potrebbero aprire a mutamenti filosfici. Ma bisogna prima riconoscere su cosa oggi è  veramente fondata la cultura post moderna se si vuol migliorarla. Il mio personale giudizio è che la fine della metafisica abbia relegato l'umanità ad una crisi in cui si inviluppa invece di una ingenua liberazione a suo tempo annunciata dall'illuminismo. Oggi si fa la filosofia del pomodoro quadrato.


Scordiamoci che la verità metafisica sia sperimentabile e visibile come le apparenze.
Questa è la netta dicotomia culturale. Scordiamoci pure che sia statistica, stocastica, calcolo delle probabilità. Deve necessariamente essere assunta non dico la necessità, ma la possibilità che quella ragione in sé sia praticabile gnoseologicamente,  percorrerla deduttivamente. A mio parere è solo pregiudizio, è la paura di un dio, è la paura che una verità debba mettere d'accordo tutti?
Le ricadute culturali sono un mondo diviso soprattutto proprio nelle pratiche.
Possiamo permetterci un mondo individualistico e conteso con la tecnologia attuale e soprattutto con i problemi attuali?
Il fallimento di organizzazioni sovranazionali che di fatto non hanno poteri, dimostrano che senza una verità nessun accordo è possibile, solo l'utile individuale, l'utile per un singolo stato .


Se qualcuno riesce a convincermi del contrario ben venga.


Non si riesce a far capire che una cultura o implicitamente, perché li vuol nascondere con i poteri umani, o esplicitamente, determina il modo di vivere. Per questo iniziai a studiare filosofia.
Allora assumiamo ipoteticamente che la ragione in sé e la natura non abbiano fondamenti.
Cosa rimane per sottrazione? L'uomo e la sua soggettività. Adatto che ogni uomo vede dal suo balcone sul mondo una prospettiva, chi avrà ragione fra tutti i punti di vista? Chi urla di più? Chi ha armi più potenti? Tolti i paradigmi si torna allo stato primitivo con però alte tecnologie, non si lanciano frecce, si sparano missili: daccapo, possiamo permettercelo? Possiamo, assunta per  morta la filosofia, fingere che il "buon senso" umano è vincente? Su quale fondativo il buon senso è sempre vincente?
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: viator il 01 Marzo 2020, 21:14:10 PM
Salve Paul11. XXXXX"Su quale fondativo il buon senso è sempre vincente?"XXXXX.
Il buonsenso ha il suo fondativo nel rinunciare al trovare il senso, accontentandosi di vivere senza certezze, verità, fedi che non siano solamente dei passatempi. Saluti.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: green demetr il 02 Marzo 2020, 10:29:29 AM
Citazione di: Ipazia il 01 Marzo 2020, 17:04:47 PM
Citazione di: green demetr il 01 Marzo 2020, 12:45:24 PM

Vedo che insisti a intendere la natura come super-egoica.

Un conto è la sovrastruttura che genera l'io penso, tesi del nostro marx, un conto è la natura.

Mentre la prima è il risultato politico (incluso quello della economia politica), la seconda è una invenzione della chiesa, che pensa il Dio in relazione all'uomo, inteso come naturale.
La natura è lo strumento del Dio. In poche apodittiche parole.
Ma Dio appunto non esiste, e dunque nemmeno la Natura.

Se diciamo natura che non sia relata a Dio, ci tocca rifare i conti da capo.

Vogliamo dunque rifarci alle sciocchezze delle neuroscienze? al pensiero del post umano?
A tutte quelle forme della sovrastruttura che determina l'essere egoico?

Vogliamo rifarci alla natura come la intesero i presocratici e i pensatori coevi orientali a priori di qualsiasi Dio o Uomo-Dio. Che poi è laddove cercó di riportarla Nietzsche rifacendo i conti da capo (magari sbagliati, ma sempre meno di quelli che andava martellando).

Sia essa essere, ente o concetto cambia poco. Cosi la esperiamo nella sua fenomenicità e così la trattiamo fenomenologicamente.

CitazioneIl problema dell'in sè di Ceravolo non è così indifferente rispetto a quello che pensi.

Infatti ponendo un in sè all'interno della natura si sta dando il via alla possibilità della analisi.

Anche di quelle plurali come dici nel tuo intervento finale.

Non porre le premesse di qualsiasi analisi significa consegnarsi in toto al potere delle sovrastrutture.

Le premesse le pone qualsiasi disciplina conoscitiva (scienza) definendo i confini della propria episteme.

CitazioneSignifica affidarsi alle scienze cognitive, adattive, solo perchè performanti, ossia adatte alla economia politica come già Marx ci ha avvisato.

La mercificazione dell'esser umano spacciata come Natura, è la solita sostituzione, del morto un Dio, se ne fa un altro.

Marx ci ha avvisato di quanto la sovrastruttura abbia una grande propensione a farla fuori dal vaso e la sovrastruttura Capitale eccelle in tale arte. Anche Dio non ci va leggero...

CitazioneIl concetto di Natura che lo giustifica è il mezzo più adatto come lo ha dimostrato e tutt'ora dimostra, la persistente presenza del Dio cristiano

... avendo ben compreso quella sezione della natura che è la "natura umana", storicamente determinata...

CitazioneTroppo facile per le forme ideologiche del capitalismo moderno, che usano qualsiasi dispotivo(agamben) esistente.

... al pari del capitalismo che è la summa teologiae della modernità.

Citazione
Il bias parte proprio dalla Natura.

Direi di tornare a Kant e rischiararci le idee. Se vogliamo ripensare il politico come categoria rifondativa del fare filosofia. (cosa su cui sarei d'accordo).

Penso sia un bias insuperabile, trascendentale, tanto vale farsene una ragione per noi della cosa, liberandolo dalla lussuria mercatistica di preti e mercanti. E alfine accettarlo con filosofica consapevolezza come ci insegnó il maestro di Röcken.

Il dubbio che mi sovviene è se stiamo parlando della stessa Natura o natura.




Cara Ipazia, francamente sono in disaccordo sul tuo lassismo e sul tuo laissez faire.


E' esattamente uno dei sintomi del paranoico. Ma appunto quello è un muro veramente difficile da sorpassare, per questo la cecità voluta del problema fa parte della mimesi di tutti, anche di te.


Lasciare il tutto alla episteme moderna significa tra l'altro non aver capito la crisi dei fondamenti di tutte le scienze.
Se nessuna scienza può arrogarsi alcun dirito teoretico stai certa che lo faranno praticamente con le cattive.


Ma qui mi fermo, rimaniamo pure negli spazi astratti e aerei della filosofia teoretica. (per me fondamentale per quella pratica).


PS
Solita correzione su Nietzche, come nel caso di Paul, la faccio solo perchè ci tengo a voi, di solito lascerei cadere le provocazioni.
Nietzche non insegna ad accettare le cose come sono, anzi invita ad una guerra (intellettuale) perpetua contro ogni forma di stasi.




pps
Per quanto riguarda la natura vista dal bias, ovviamente intendo che vi sia una res extensa, quando kant e lo stesso cartesio parlano del cattivo demone. Non esiste alcuna res extensa in sè.


Preferisco certo la Physis greca che si riallaccia all'idea dei fenomeno.

Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: green demetr il 02 Marzo 2020, 10:52:35 AM
PAUL

"Un conto è partire dall'aletheia nell'esistenza, negando preconcettualmente il soprasensibile e un conto inserirlo nel soprasensibile: muta completamente l'ambiente e le prospettive indagatrici."

Il tuo intervento è molto denso e degno di essere preso punto per punto.

Per oggi prendo solo il primo e più enigmatico dei punti.

Anzitutto sono d'accordo, questa tua domanda mi pare segnalare un grosso problema.

Per me logos, è semplicemente il legame che si instaura tra la verità dell'in sè, e il suo fenomeno.

Ma a sua volta il fenomeno in che maniera è legato all'in sè che lo precede?

Ovviamente da bravo metafisico penso che l'in sè sia nel soprasensibile.

Così Heidegger che ripensa alla storia come storia dell'ESSERE.

Scoprendo così il destino sia il tramonto del metafisico ontologico, degli enti, e tenti di pensare il tramonto (futuro) della tecnica  come ultimo disvelamento della verità.

In fin dei conti un tentativo di ripensare DIO, con lo sguardo sulla realtà fenomenica.

La fenomenologia è la fenomenologia dell'Essere ovviamente. Del destino umano ovviamente.

Ovviamente per i pochi che lo capiscono.

Il punto è che esiste anche un legame della storia del sensibile, le esperienze con quella che chiamiamo la nostra anima, e che invece è sempre decentrata rispetto a quello che incontriamo. L'uomo si sa come notava genialmente Leopardi non è mai veramente felice.Cosa non nuova nella filosofia ovviamente, nuovo è il legame con la consapevolezza dell'infinito, del DIO oltre la collina.

Dunque hai pienamente ragione, sono due prospettive totalmente differenti eppure anch'esse legate se ben ci pensiamo sopra a un doppio nodo destinale.
La sofferenza è del sensibile, e io ci tengo a mantenerla viva. Pena la smemoratezza, la smemoratezza di entrambi i mondi.
Ed Heidegger d'altronde questa cosa l'aveva capita assai bene.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: paul11 il 02 Marzo 2020, 14:30:09 PM
 Ciao Green,
calare l'ontologia del soprasensibile nell'esistenza, togliendo i fondamenti del soprasensibile significa, detto in termini brutali, fare un "casino". Mancando le relazioni fra esistenza e soprasensibile, quale mai senso ha la vita? Una simile filosofia rimane in sospeso, fra scienza deterministica sperimentale e ontologie del soprasensibile. Invece di risolvere il dilemma fra sensibile e soprasensible ,fra scienze e filosofie, ne raccoglie da entrambe le parti le contraddizioni, e la vita si risolve in una ulteriore confusione.
La fenomenologia nasce come presa di coscienza che la realtà fisica naturale in sé è inconoscibile.
Per quanto i nostri sensori, i sensi umani, percepiscano, è la mente che decide la rappresentazione.
O la fenomenologia ha una tale forza persuasiva e  quindi culturale di collocarsi fra metafisica e scienze moderne dettando nuovi paradigmi, o diventa puro esercizio narrativo soggettivo: ognuno vive la sua fenomenologia in quanto rappresenta  nella sua personale mente una propria idea di vita, tutto compreso, da dio alla politica. Husserl finisce col dire che tutto è opinione, Nietsche che è interpretazione come l'ermeneutica di Gadamer e Heidegger con la filosofia è morta e solo un dio può salvarci . La fenomenologia, volente o nolente, ha steso il tappeto all'avvento del relativismo e della filosofia post moderna, del pensiero debole.
Daccapo, o si ha il coraggio di mettere in discussione la filosofia moderna che ribadisco son quattro e più secoli che influisce sull'occidente; dalla storiografia, allo strutturalismo, dalle norme giuridiche, dalle forme economiche, dalla sociologia ,all'antropologia sino alla biogenetica e medicina e quant'altro. Se ci sta bene, va bene così. Personalmente non mi va e ormai ho capito da troppo tempo che non si tratta solo di mettere in discussione la tradizione moderna, bisogna trovarne la cura. Nietzsche docet. Perchè  la parte degli effetti devastanti della nostra cultura, lo hanno analizzata moltissimi pensatori, non solo filosofi. Le crisi , ribadisco, danno le possibilità ad aprire nuovi fasi, perso il treno bisognerà attendere( lo faranno altri probabilmente). La filosofia attuale, i filosofi attuali, sono decotti, vanno bene in tisaneria. E' inutile parlare della semiologia del fashion, o l'analitica dei paradossi linguistici. Meglio sciarade, rebus e cruciverba. C'è  tanto chiacchiera quanto gossip e fake new: preferisco l'isolamento e il silenzio. Se le moltitudine di pecore aspettano il pastore da crocifiggere e non intendo in senso religioso, ma come nuovo verbo culturale, i potenti sguazzano in questo brodo cultura attuale e condizionano "fisicamente", "economicamente","politicamente", la nostra vita ,che è nostra vita e non loro vita, io non ho appaltato la mia esistenza al cretinismo post moderno. Quindi sfondi una porta aperta quando ritieni che le prassi, la nostra vita quotidiana per cambiare ha necessità di nuove teoretiche.
Per me è necessario che un pensiero per essere forte deve avere dei paradigmi inossidabili, deve avere analisi di almeno tre millenni, deve dichiarare identità e morale se vuole unire le pecore nelle moltitudini delle latitudini e longitudini, perché la globalizzazione standardizza le culture e diversità, le pialla come i gusti e i stili di vita. La prossima cultura necessariamente dovrà unire le identità, è una balla grossissima il mantenimento delle diversità, siamo in un mondo conflittuale, contrattuale, dove ognuno vuole prevalere sull'altro o con le buone, imponendogli la propria cultura, o con le cattive, facendo guerra fisica. Tutti gli istituti culturali ,nati nella modernità, sono in crisi e in via di dissoluzione: dalla sovranità alla democrazia, da organismi internazionali sopra le parti, alla dignità, alla libertà,all'eguaglianza: tutto è da ridefinire
La fenomenologia , per quella che è stata è finita. Non è la soluzione, è incapace di creare cultura.
Le  vere filosofie, o pensieri forti, uniscono. Se non si è in grado di capire questo.....?
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 02 Marzo 2020, 18:22:37 PM
Citazione di: green demetr il 02 Marzo 2020, 10:29:29 AM
Lasciare il tutto alla episteme moderna significa tra l'altro non aver capito la crisi dei fondamenti di tutte le scienze.
Se nessuna scienza può arrogarsi alcun dirito teoretico stai certa che lo faranno praticamente con le cattive.

Parlare di crisi dei fondamenti di tutte le scienze significa tra l'altro non aver capito l'episteme moderna, la cui metaphysis non persegue più il Tutto come la metafisica classica, ma la coerenza epistemica in sezioni del reale (da definire a sua volta) rigorosamente de-finite. Coerenza verificabile sul campo sperimentalmente, con esclusione ipso facto dal campo epistemico delle velleità scientistiche, cui restano solo le praterie, indubbiamente ampie, dell'ideologia e pro-paganda.

CitazioneMa qui mi fermo, rimaniamo pure negli spazi astratti e aerei della filosofia teoretica. (per me fondamentale per quella pratica)

Che peró, esclusa l'epistemologia, c'entra poco con l'episteme, la metaphysis, di cui sopra, dal mio osservatorio mentale sul de rerum natura.

CitazionePS
Solita correzione su Nietzche, come nel caso di Paul, la faccio solo perchè ci tengo a voi, di solito lascerei cadere le provocazioni.
Nietzche non insegna ad accettare le cose come sono, anzi invita ad una guerra (intellettuale) perpetua contro ogni forma di stasi.

Mai dubitato: panta rei. Anche per le ere geologiche, figurarsi per le nostre visioni del mondo e le loro millenarie sicumere. Peraltro tutte in crisi.

Citazionepps
Per quanto riguarda la natura vista dal bias, ovviamente intendo che vi sia una res extensa, quando kant e lo stesso cartesio parlano del cattivo demone. Non esiste alcuna res extensa in sè.

Esiste quella contro cui incocciamo continuamente essendone, dialetticamente, parte inclusa; e separata, col nostro ego cogitante mortale.

CitazionePreferisco certo la Physis greca che si riallaccia all'idea dei fenomeno.

Anch'io. Narrabile e, forse, dicibile. Sotto il fenomeno, nulla.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 02 Marzo 2020, 18:38:12 PM
@paul11

Per quanto ritenga l'ethos umano ben radicato nella physis, trovo che confondere i due ambiti in una episteme totalizzante sia scarsamente proficuo per l'episteme stessa ed abbia già prodotto fin troppi strafalcioni storici, dai quali qualcosa dovremmo avere pure imparato
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: viator il 02 Marzo 2020, 20:54:36 PM
Salve Paul11: Citandoti : XXXXX"La fenomenologia nasce come presa di coscienza che la realtà fisica naturale in sé è inconoscibile.
Per quanto i nostri sensori, i sensi umani, percepiscano, è la mente che decide la rappresentazione"XXXXX.

Non so se nell'affermare ciò hai dimenticato esistenza e funzione intermedia della cosiddetta "psiche" oppure se hai voluto limitarti a non citare ciò che secondo te non esiste tra la funzione percettiva e quella ideatorio-concettivo-razionale. Saluti.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: paul11 il 02 Marzo 2020, 21:56:00 PM
Citazione di: Ipazia il 02 Marzo 2020, 18:38:12 PM
@paul11

Per quanto ritenga l'ethos umano ben radicato nella physis, trovo che confondere i due ambiti in una episteme totalizzante sia scarsamente proficuo per l'episteme stessa ed abbia già prodotto fin troppi strafalcioni storici, dai quali qualcosa dovremmo avere pure imparato


Il solito mantra.
Prima definisci l'ethos e la physis in termini greco antico, che non sono da confondere con l'etica e la fisica in termini moderni.  E poi vediamo gli strafalcioni storici. Se li intendi come sinonimi allora fai anti-filosofia
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: paul11 il 02 Marzo 2020, 22:12:58 PM
Citazione di: viator il 02 Marzo 2020, 20:54:36 PM
Salve Paul11: Citandoti : XXXXX"La fenomenologia nasce come presa di coscienza che la realtà fisica naturale in sé è inconoscibile.
Per quanto i nostri sensori, i sensi umani, percepiscano, è la mente che decide la rappresentazione"XXXXX.

Non so se nell'affermare ciò hai dimenticato esistenza e funzione intermedia della cosiddetta "psiche" oppure se hai voluto limitarti a non citare ciò che secondo te non esiste tra la funzione percettiva e quella ideatorio-concettivo-razionale. Saluti.


salve viator,
lo avevo già scritto, comunque...
Kant nella "critica della ragion pura" dichiara un concetto fondamentale: non è possibile conoscere il fenomeno naturale in-sè, bensì viene interpretato, rappresentato, secondo categorie e classificazioni che costituiscono la conoscenza umana.Significa che con  la percezione sensoriale noi conosciamo solo "l'epi-fenomeno", il noumeno kantiano sarebbe l'"intero fenomeno"
La psiche viene inserita da Husserl successivamente, anche in modo alternato.In quanto per Frege, fondatore della logica proposizionale moderna,maestro di Russell, la logica doveva essere depurata dalla psiche.
Il loro contenzioso fu più o meno accettato da Husserl, che come Kant, cercava una "filosofia scientifica".
Husserl fu influenzato da Brentano ,tra l'altro famoso per una "psicologia empirica",fra i cui allievi vi era anche Sigmund Freud, fondatore della psicanalisi.


A parere mio,dipende come e cosa riteniamo psiche. Il più corretto allora è quello del primo Nietzsche, preso da Schopenhauer.......è un'altra storia,interessante.
Se andiamo sulla neuroscienza....continua la confusione....visto il numero di "matti" che girano per il mondo.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: viator il 03 Marzo 2020, 12:34:41 PM
Salve Paul11. Per il momento, grazie per la tua replica. Saluti.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: green demetr il 03 Marzo 2020, 13:42:03 PM
Paul


"O la fenomenologia ha una tale forza persuasiva e  quindi culturale di collocarsi fra metafisica e scienze moderne dettando nuovi paradigmi, o diventa puro esercizio narrativo soggettivo"


Ma certo Paul, siamo d'accordo. Ho detto solo che per me la fenomenologia è il punto di partenza, il più adatto per poter risalire la corrente al soggetto, e quindi alla critica del soggetto (in relazione alle sue fantasie fenomeniche)), per arrivare all'anima, e infine al legame cosmico con lo Spirito.
L'archè di cui spesso parliamo mi pare.(tranne il fatto che poi non ho ben capito come funzioni il tuo discorso per così dire costruens).
Insomma non volevo dire che la risposta è la fenomenologia, se è questo che mi rimproverari. Ripeto io cerco una metafisica, non una fenomenologia, con cui comunque mi voglio confrontare, e lo faccio volentieri.
Se vuoi partire direttamente dal soprasensibile, va bene lo stesso! Ok a presto.

ps
Scusa se non proseguo oggi gli altri punti del tuo intervento bellisimo di qualche giorno fa, la risposta ad Eutidemo mi ha sfiancato, dacci uno sgurdo se ti và.(quella su essere e non essere).



Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 03 Marzo 2020, 17:05:40 PM
Citazione di: paul11 il 02 Marzo 2020, 21:56:00 PM
Citazione di: Ipazia il 02 Marzo 2020, 18:38:12 PM
@paul11

Per quanto ritenga l'ethos umano ben radicato nella physis, trovo che confondere i due ambiti in una episteme totalizzante sia scarsamente proficuo per l'episteme stessa ed abbia già prodotto fin troppi strafalcioni storici, dai quali qualcosa dovremmo avere pure imparato


Il solito mantra.
Prima definisci l'ethos e la physis in termini greco antico, che non sono da confondere con l'etica e la fisica in termini moderni.  E poi vediamo gli strafalcioni storici. Se li intendi come sinonimi allora fai anti-filosofia

E' un mantra incontrovertibile. Ethos è il fondamento dell'etica e physis delle scienze naturali e matematiche. Se non li intendi così allora riduci la filosofia a chiacchericcio teoresi. Con strafalcioni, pure sanguinari, al seguito.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: paul11 il 03 Marzo 2020, 18:00:47 PM
ciao Ipazia,
Ethos in origine greca, non porta all'etica come significato moderno  che poi è il comportamento. Ma il comportamento umano non è istintivo naturale,  che invece riduci ad un uomo  animale e ne giustifichi di conseguenza una cultura che invece contraddittoriamente non accetti: quella dell'uomo-lupo. Ethos in origine è "il luogo dove si vive" e non fu inteso in termini fisico naturali  E non è sinonimo di morale. Internet e vocabolari moderni sono scritti da  parecchi depistatori dell'etimo antico, Perchè ethos non è parola latina, bensì greca.
Il termine più proprio alla morale era per i greci aretè che significa virtù.
Un comportamento è un effetto, la virtù  invece precede il comportamento e può giudicarlo attribuendogli virtuoso o non virtuoso. L'etica non ha un giudizio implicito ed interno, nella modernità ha necessità logica di una normativa a lei esterna che la giudichi. Infatti le virtù sono finite al macero.
Possiamo allora dire che c'è un comportamento morale ma non un comportamento etico
Infatti la phronesis che in parole povere significa possedere conoscenza affinché nelle
scelte( e quindi si presuppone una libertà) si consegua il bene attraverso l'aretè, la virtù che indirizza la pratica. La sophia interagiva con la phronesis.


La physis greca è il principio fondamentale che regola gli universali , il Kosmos che domina la natura. Non è la natura in senso specifico che nasce nella modernità. Talete, Anassimandro, Anassimene  i pre-socratrici,quando parlano della natura, la intendono come qualcosa che avvolge il tutto ,non fine a se stessa e autoreferenziata.
E daccapo, il passaggio latinizzante dal greco antico ha costruito ambiguità ed è l'indice della differenza delle due culture. Accade che una cultura eredita il testimone nei cicli storici e opera dei mutamenti anche linguistici adattandoli alle nuove situazioni organizzative umane, a nuovi modi di pensare, a nuovi saperi. Questa diciamo mimesi, in realtà confondendo  i significati
rende addirittura non più interpretabile correttamente una cultura precedente.
E' per questo che gli ermeneuti, filologi, esegeti contemporanei  devono sapersi calare correttamente(anche linguisticamente) in una cultura se vogliono capirla davvero e non dire castronate post moderne.
I traduttori in questo sono in prima linea.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 03 Marzo 2020, 18:43:40 PM
La filosofia non si cala in una cultura. La fa. L'etologia umana è legittima erede del concetto di ethos, depurato dalla ganga ideologica sommamente variabile di una virtù sovrasensibile. La virtù, anche per i cristiani, nasce dal corpo e dai suoi bisogni di nutrimento, cure, protezione. Tali bisogni sono Kosmos perenne della condizione umana che sta alla base della teoria dei bisogni umani; incontrovertibili se si vuole mantenere la condizione umana. Lasciando le declinazioni ideologiche dell'aretè ai puri spiriti. Pure nella versione moderna di schiacciatori di etologici tasti tecnoscientifici al decimo piano della piramide di Maslow.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: viator il 03 Marzo 2020, 21:08:01 PM
Salve Paul11 : Citandoti : XXXXX"Ethos in origine greca, non porta all'etica come significato moderno  che poi è il comportamento. Ma il comportamento umano non è istintivo naturale,  che invece riduci ad un uomo  animale e ne giustifichi di conseguenza una cultura che invece contraddittoriamente non accetti: quella dell'uomo-lupo. Ethos in origine è "il luogo dove si vive" e non fu inteso in termini fisico naturali  E non è sinonimo di morale. Internet e vocabolari moderni sono scritti da  parecchi depistatori dell'etimo antico, Perchè ethos non è parola latina, bensì greca.
Il termine più proprio alla morale era per i greci aretè che significa virtù.
Un comportamento è un effetto, la virtù  invece precede il comportamento e può giudicarlo attribuendogli virtuoso o non virtuoso. L'etica non ha un giudizio implicito ed interno, nella modernità ha necessità logica di una normativa a lei esterna che la giudichi. Infatti le virtù sono finite al macero.
Possiamo allora dire che c'è un comportamento morale ma non un comportamento etico"XXXXX.

Chissà se il tuo linguaggio - cioè una forma diversa di quanto ho sempre sostenuto io in alcuni miei passati interventi - risulterà più convincente di quanto lo sia stato il mio ! Auguri, complimenti, saluti.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: paul11 il 03 Marzo 2020, 22:58:15 PM
 Ciao Green,
scusa, ma non rimprovero nulla a te. Il mio discorso è generalizzato alla cultura attuale.
Va bene la fenomenologia  come inizio. Va bene perché analizza i contenuti conoscitivi umani, l'intuito, l'appercezione, il concetto e ha cercato di relazionare il soggetto e l'oggetto. Ma ha necessità di andare ad un livello più alto. Heidegger , discepolo di Husserl e fondatore della fenomenologia, cerca di farlo nell'esistenza. Ha scritto molte cose interessanti che fanno riflettere, ma nel complesso è una filosofia che non ha sbocchi se non ancora per vie estetiche e soggettive.


Se non si alza il livello,ciò che hanno scritto Kant ed Husserl diventa semplice linguaggio.
Ma il linguaggio è il tramite, importante, ma strumento, che sta fra la mente del soggetto e il mondo che gli stà attorno. Non spiega né l'uomo e neppure il mondo, rischiando di invilupparsi in se stesso.


Ciao Viator,
francamente non mi interessa di essere convincente, se lo volessi userei argomentazioni più sottili, diverse.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 04 Marzo 2020, 10:00:10 AM
La distinzione tra ethos e mores penso sia tanto filologicamente che metafisicamente infondata. Sull'etica Aristotele scrive tre libri che alimenteranno la filosofia morale latina. La virtù (aretè/virtus) è adeguamento soggettivo esemplare ai principi etici collettivi e non può che derivare da questi, tanto fisicamente che metafisicamente, a meno di non cadere in una virtù innata che può essere solo oggetto di fede (penso anche per Kant che la postula).

L'etologia umana studia con rigore scientifico i comportamenti della nostra specie, indagando la costellazione motivazionale dell'universo etico-morale che si manifesta fenomenicamente, e lo fa con un bagaglio di conoscenze ben maggiore di quello degli antichi, non certo immuni da derive razzistiche pregiudiziali su base ideologico-religiosa: ganga purificata dal logos scientifico.

Al quale logos, l'ultima lezione di ontologia presa dalla filosofia venne impartita quattro secoli fa da un ebreo biscomunicato che postula: Deus sive Natura. Da allora il logos scientifico si è occupato di natura, lasciando i numi al loro destino, e questa è la penultima rivoluzione filosofica, centrata sulla certezza.

L'ultima è quella fondata sulla certezza dell'incertezza che solo per i poveri di spirito prelude all'inferno nichilistico, mentre per chi è spiritualmente ricco apre le sconfinate praterie della libertà di ricerca e sperimentazione. Anche qui pescando dal greco e fondandoci una scienza: psicologia.

Questo lo dico per Green affinchè elabori il lutto di un'Anima e di un Dio/Essere che sono morti perchè passati a miglior vita, quella del rigore scientifico. Che nell'umano troppo umano della "cattiva falsificazione" celebra i suoi nefasti, ma non è un buon motivo per negare i fasti e le fortune evolutive della "buona falsificazione" che da tanti idola ci ha liberato.

La certezza dell'incertezza è il luogo del mistico di LWittg, esaltato dalla bellezza della poesia e dallo stupore della contemplazione del Kosmos, mai così ricco di logos - dall'immaginifico al reale - come negli anni che stiamo vivendo. Immaginifico che contiene pure il parco giurassico delle antiche metafisiche in sè e delle loro improbabili rivoluzioni o rinascite filosofiche. Fatto salvo che un'ermenautica avventurosa non ci consegni finalmente il Santo Graal, la Tuttologica pietra filosofale incontrovertibile, che sogna(m)(n)o dalla notte dei tempi. Evento sensibile di fronte al quale anche gli incalliti, analitici, miscredenti moderni non potranno che chinare il capo.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: bobmax il 04 Marzo 2020, 10:54:59 AM
La psicologia ha avuto senz'altro molti pregi, aiutando ad inoltrarci nella nostra mente. Tuttavia, ha comportato pure una grave perdita.
Perché è servita a nascondere a noi stessi l'orrore del Nulla.

Come aveva ben messo in luce Martin Buber, affrontare razionalmente le crisi esistenziali può essere efficace, sui sintomi, ma impedisce di affrontare il "limite", riducendolo a mero incubo.

Mentre il limite è, nella sua incomprensibilità razionale, segno imperscrutabile dell'Essere.

"Beati i poveri in spirito" perché affrontando il limite vedranno Dio.

Viceversa, chi è ricco in spirito, sta ancora giocando, nel giardino dell'esserci. Fino a quando, s'imbatterà nel limite che non potrà nascondere a se stesso, e si troverà allora povero.
Pronto per la notte oscura.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 04 Marzo 2020, 11:20:05 AM
Sfondare i limiti epistemologici dell'episteme non è grande impresa, essendo una porta aperta. Sfondare quelli fisici è un po' più complicato e il giardino dell'esserci pare non offrire, se non immaginarie, alternative. Tanto vale fare di necessità virtù e riempire di spirito quel giardino. Finchè il limite, di fronte al quale siamo tutti equamente poveri (la livella), non ci separerà.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: green demetr il 04 Marzo 2020, 12:39:05 PM
Ciao Ipazia, rispondo alla tua richiesta di tumulazione dell'anima domani. Abbi pazienza.
Devo a Paul ancora un approfondimento e delle riflessioni a latere del suo scritto di qualche giorno fa.
Al di là della caduta di penna e di confronto dialettico di Ceravolo (peccato era una delle poche volte, forse l'unica che mi sarebbe piaciuto continuare a discutere con i pensatori di nuove filosofie), rimane sul tavolo la riflessione della rivoluzione filosofica.


Allora caro Paul tu scrivevi molto saggiamente:


"Il disvelamento riguarda l'essere: il problema, ribadisco, che l'essere per i metafisici è ontologicamente e gnoseologicamente diverso da chi invece lo cerca nell'esistenza.
Per fare un esempio concreto:  è giusta la critica di Heidegger verso Platone del "che cosa è l'essere?" E se fosse giusta dove,come, in che cosa consisterebbe l'essere per Heidegger?
Sono riflessioni.


L'essere, il logos, sono credenze? E il Sileno che crudelmente dichiara la tragedia umana della sua misera vita? A tua volta non ti chiedi da dove fuoriesce il Sileno e se sia migliore la sua sorte?


Heidegger mi risulta che scrive"Essere e tempo" e non "Enti e tempo".
Personalmente l'Essere ritengo sia come scrive inizialmente Nietzsche "l'uno primigenio", o archè, o ragione in sé, o chi lo identifica in Dio(non necessariamente in senso religoso)."


Allora direi che si qui ci siamo, il disvelamento dell'Essere, che non sia l'essere delle res extensa, ossia degli enti, ossia degli esistenti, è il tema centrale di chi pone il logos nel soprasensibile.

Per me questa e solo questa è metafisica. Dovremmo essere d'accordo, anche se purtroppo ci lasciamo dietro quasi per intero gli altri forumisti (con cui dovremo ancora confrontarci sulle res extensa).

Cosa sia per Heidegger l'Essere ancora non lo so nella sua completezza. Mi manca la lettura diretta dei testi (prima o poi inizierò).
Approcciando le varie conferenze e ragionando di mio, mi pare che L'Essere sia ben definibile come nel recentissimo libro sottratto alle fauci delle Bompiani e curato dal professore Alfieri, come la casa dell'esserci.
L'heimat come lo definisce Heidegger, è il luogo di appartenenza e solo nei suoi confini la nostra destinalità è portata felicemente a termine.
Diversa cosa è la destinalità della storia.
Si tratta per Heidegger di recuperare questa dimensione mediana di cui l'uomo è abitatore, e che per ora storicamente ci consegna invece nell'inautenticità.
Non siamo ancora a casa nostra.
E' chiaramente una visione decostruens che deve il suo iter alla stessa storia della filosofia e che vede il nostro riprendere le tematiche della grecità. (di cui sono ignorante).
Mi mancano le letture sul parmenide, sull'eraclito e su tutto il pensiero della svolta.
Anche Heidegger torna ai greci dunque.
Ma dovrai attendere che legga prima essere e tempo, e poi mi inoltrerò in queste letture.(il che potrebbe non avvenire mai) Purtroppo nelle conferenze i maggiori filosofi rimangono sempre alle premesse, e proprio nelle premesse sembrano già perdersi.

Come già stavi dicendo a Ipazia, sono i Greci ad aver pensato maggiormente alla autenticità del vivere insieme, l'ethos di cui le parlavi, va già nella direzione dell'essere, e giammai dell'esserci, non è una sociologia, complimenti Paul, è così. (ma è anche uno dei motivi per cui rimango sospettoso nei confronti della grecità, prima o poi mi confronterò con essa, pur conoscendo solo il latino, e non il greco.Ma gli amici grecisti mi dicono che sia proprio quello il problema, che non possedendo io la conoscenza della lingua, non intendo nemmeno il loro pensare. Si mi sento molto lontano dalla grecità, non la sento mia. Preferisco recuperare tramite altri, il senso di qualche termine e portarlo all'altezza dello sguardo contemporaneo.
Questo per rispondere o mettere a latere di quello che chiedevi, fosse esso solo un mera domanda retorica per proseguire il discorso, o un vero domandar di senso di Platone e company. Ripeto rare volte ho pensato di mio alla grecità.
Sono ancora scottato dai danni del modernismo.

Dunque cosa è l'Essere, che idea mi son fatto io?
Il mio maestro è di fatto Nietzche o Hegel o mi dicono anche Bruno.

L'Essere è ciò che non può essere noto e in quanto non noto è ciò che chiamiamo DIO.

Ma è un DIO nascosto, un DIO dell'impossibilità.

L'unica cosa che sappiamo è che noi, qualsiasi cosa noi siamo al di là del tempo, al di là della soggettività, nella Gloria come direbbe Severino, "sappiamo esistere l'ESSERE" in quanto induttivamente l'unica premessa possibile, al nostro DIVENIRE SOGGETTI.
Poichè nell'eterno cambiare del tempo, infiniti soggetti noi siamo, eppure cosa ci lega?
La memoria di qualcosa che persiste, e che chiamiamo anima.
Ci sentiamo da sempre all'interno di un movimento, un movimento che chiamiamo Storia, e che determina il nosto esserci. Nel qui e ora c'è già l'intera storia di quel movimento.
L'orizzonte a cui muove la nostra anima si chiama destinalità, ed è il vero fulcro del problema filosofico.

E' solo alla luce della destinalità che l'archè acquista i suoi colori.

Ogni filosofo tende alla propria destinalità, e ognuno di noi tende alla propria.

Ma ognuno di essi deve render conto di quella proprietà come vana, come volontà di potenza. In realtà siamo deserti come diceva Nietzche, o come dice Heidegger siamo solo spettatori, del disvelamento dell'Essere, nella storia comune degli essenti.
Di ogni essente dall'inanimato all'animato.
L'uomo ovviamente è interessato a se stesso.

Per capire la necessità di una nuova antropologia, decentrata rispetto al proprio soggetto, (sopratutto se pensato alla maniera moderna come se fosse una res mentale).
E' necessario avere in mente i 3 passaggi fondamentali, il primo il fondamento dell'esser uomo, l'archè che lo contraddistingue, ossia che lo accompagna, l'archè appunto, il logos etc...
Il secondo il desiderio la tensione dell'anima ad essere in armonia, a essere da medium tra le istanze dello svelamento e le proprie infinite soggettività.
Che è poi il problema del soggetto, il problema meramente etico. Ossia l'andare oltre il bene e il male.
E infine il tema che ghiaccia o che infiamma, l'orizzonte a cui siamo chiamati, a cui siamo chiamati a rispondere, o a tacere (che è poi un modo di rispondere).
E che io chiamo l'analisi. Che al suo interno ha il problema della tecnica ma non solo, di solito lo chiamo il tema del politico. E che poi sarebbe quello il punto nodale della rivoluzione.

Ma senza una distinizione dei tre momenti, senza una piena consapevolezza della fondazione (da dove vengo') del sè (movimento animico) consapevolezza di essere soggetti perennemente decentrati (antropologia) vedo dura vedere il futuro (la rivoluzione filosofica, del FARE FILOSOFIA) in maniera drammatica (come di fatto è).

Siamo nel mondo dello spettacolo dell'eterna dannazione del non ricordo di sè, e della provenienza di quel sè. Figuriamoci pensare gli orizzonti.

Oggi come oggi un filosofo non può che essere pessimista, ma guai se smette di pensare (compreso il suo stesso pessimismo).

A domani per la terza trance dove mi pare poni dopo l'archè il problema del soggetto. Come da me auspicato tra l'altro.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: green demetr il 04 Marzo 2020, 12:52:05 PM
Citazione di: bobmax il 04 Marzo 2020, 10:54:59 AM
La psicologia ha avuto senz'altro molti pregi, aiutando ad inoltrarci nella nostra mente. Tuttavia, ha comportato pure una grave perdita.
Perché è servita a nascondere a noi stessi l'orrore del Nulla.

Come aveva ben messo in luce Martin Buber, affrontare razionalmente le crisi esistenziali può essere efficace, sui sintomi, ma impedisce di affrontare il "limite", riducendolo a mero incubo.

Mentre il limite è, nella sua incomprensibilità razionale, segno imperscrutabile dell'Essere.

"Beati i poveri in spirito" perché affrontando il limite vedranno Dio.

Viceversa, chi è ricco in spirito, sta ancora giocando, nel giardino dell'esserci. Fino a quando, s'imbatterà nel limite che non potrà nascondere a se stesso, e si troverà allora povero.
Pronto per la notte oscura.




Molto ben scritto BOBMAX, condivido il tutto. Ovviamente io distinguo tra la psicologia che cura i comportamenti o elimina i sintomi, e la psicanalisi che invece li analizza (i sintomi ) nel loro fluire stesso, li cura facendo imparare al soggetto a vivere.


Naturalmente nei casi di psicosi grave, l'analisi è praticamente impossibile, ma non impossibile in assoluto, queste sono scelte drammatiche da fare, infatti il malato o presunto tale, perchè in analisi si chiamo l'analizzante, non il malato.
Si sta curando da solo, o viene aiutato a curarsi da solo traversando in toto il sintomo per capire la sua origine.


Proprio per via di queste pratiche l'analisi è molto molto vicina alla filosofia.(entrambe insegnano ad accettare forme di coaudiuvazione, ad affrontare il tema dell'altro).


E' solo nella comunità che il limite va affrontato con forza, da soli è facile rimanere atterriti.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: paul11 il 04 Marzo 2020, 19:48:30 PM
ciao Ipazia,




La virtù  in Grecia, nacque con il nomos di Esiodo che insieme dichiarava i principi di sovranità del re.
La virtù  era l'armonia che nasceva dal rapporto cielo e terra e quindi l'uomo.
Non si capirebbe altrimenti come mai tradizioni più antiche di quella greca, quella vedico indiana, egiziana, sumerico babilonese, già la interpretavano nel divino.


Aristotele è un filosofo con un piede ancora nell'antichità e un altro predispone la modernità.
E' il periodo ellenistico, quello di Alessandro Magno, di cui Aristotele era aio, precettore.
La scuola peripatetica, quindi aristotelica arriva fino al tomismo e la scolastica.
Aristotele si contraddistingue per una visione più pratica che teoretica ed è per questo che la sua influenza arriva più di Platone a certi filosofi moderni che seguono comunque il filone empirista.


Come ho scritto altrove il passaggio dalla civiltà greca a quella latina sposta anche le direzioni del pensiero. Il diritto latino si occupa più della domus che del nomos greco, degli interessi privati più che delle virtù in senso originario.
Quindi da una parte è corretto dire che Aristotele influisce in qualche modo sullo spartiacque fra morale ed etica, in cui la morale del nomos svanisce secondo l'interpretazione etica che deriva dalle prassi. Ed è quello che vado dicendo da un bel po' di tempo. Perchè il comportamento etico non ha fondamenti, se non l'osservazione di gruppi sociali, di società di tradizioni diverse. Quindi ogni gruppo sociale, stato, nazione, tradizione, addirittura luoghi diversi hanno etiche diverse.
Non è fondativo osservare, semmai è capire la legge che governa l'osservazione. L'etica che diventa usanze diverranno parti dei codici legislativi. Ma questo non cambia nulla né dal punto di vista teoretico, in quanto la morale è virtù e l'etica prassi comportamentale e la mores usanza.


Gli studi "rigorosi scientifici moderni" sui comportamenti sono limitati a  test. Sull'attendibilità di tutti i test, compresa statistica, stocastica, calcolo delle probabilità , lo lascio ai rumors intestinali del mainstream culturale. A cosa poi servono in pratica? A imbonire le folle con pubblicità, marketing economico e politico, culto dell'immagine.


Ti zappi sui piedi se credi nel comunismo. Il comportamentismo alla Pavlov che con scosse elettriche si insegna al topo la via per mangiare il formaggio? E' superato dal cognitivismo.
Persino le ideologie liberali e liberiste, "prendono atto" degli individualismi e impongono alla politica di non intromettersi, in quanto  secondo il loro dettame il dare e avere, le transazioni, sono equilibratrici ed esaltano l'astuzia, il cinismo, l'egoismo, il narcisismo, la megalomania.
Il migliore, il più "forte" vince e il povero è un inetto. Questa è la sentenza del "rigore scientifico".


Spinoza è un ebreo, e gli ebrei sono più materici di quanto possa far sembrare le loro mistiche, non mi sorprende affatto.


Libertà è una bellissima parola, come l'amore. Si uccide per libertà e amore.
Sottrarsi ad una condizione, non significa essere più liberi, perché la libertà crea nuove problematiche e condizioni. Un cane alla catena dovrà il padrone sostentarlo. Un cane randagio dovrà badare a se stesso compreso il sostentamento.
C'è chi nasce per non prendersi responsabilità e sono le moltitudini di pecore smarrite che cercano  sempre l' uomo forte" e lo votano alle politiche perché, essendo  illusi e ingenui, gli risolva i loro problemi. Per esperienze sociali mie personali, sono pochi che hanno "gli attributi" per decidere
e prendersi le responsabilità e molti scappano per "non sporcarsi le mani".


La metafisica oggi è un coronavirus del regno animale e naturale che manda al tappeto una cultura di scientisti che vorrebbero andare su Marte e non riescono nemmeno a vivere sul pianeta natale.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: paul11 il 04 Marzo 2020, 23:18:11 PM
ciao Green,


poniti questa riflessione: perché la prima opera di Nietzsche è sulla tragedia greca?
Perchè la cultura greca ha strutture storiche, pensieri, uniche. La musica, i riti, la nascita
delle arti con le Muse, sono un insieme di consapevolezza tragica della vita umana e nello stesso tempo di esorcismo della morte rappresentandola. Sublimano la morte con la tragedia, con suoni, voci, maschere, cori, la esorcizzano con i suoni della vita. Nietzsche desidera che la cultura tedesca allora decadente prenda esempio dai greci, così come il suo amore per la musica lo fa contattare  Wagner e il primo Schopenhauer, quello pessimista lo ispira. Sceglie una strada intuitiva per descrivere ,fra arte e filosofia. Tant'è che più anziano  riflettendo sulle sue opere giovanili , avrebbe voluto che avesse scritto la tragedia greca non in prosa, ma in aforismi.


Nietzsche influisce a sua volta su Heidegger. Quando Essere e tempo di fatto rimane incompiuto, non risolve la problematica dell'essere, Heidegger dirà che solo l'arte avrebbe potuto descrivere ciò che parole non riescono a denotare, a esaurire concettualmente. Nietzsche, piaccia o non piaccia, è quasi un mistico, con vene poetiche e perspicace dell'intimità umana. E l'intimo umano, l'anima, la psiche, non è descrivibile con la logica, questo Heidegger avrebbe dovuto saperlo.
Un umano che si cerca, e cerca la via dell'essere e vuole socializzare il suo pensiero non può usare la logica, o la logica da sola. I Vangeli si esprimono in parabole, non in logiche. La qualità del linguaggio metaforico ed allegorico è il richiamo visuale all'immaggine perché la psiche, l'animo umano lavora su simboli e immagini, non formule logiche.


L'esercizio logico dialettico di Hegel e Severino rischiano di anestetizzare la vita, anche se Hegel vuole arrivare allo spirito, anche se Severino vuole arrivare alla gioia.
Ma la vita non è possibile ridurla a formula logica,come descrivo uno stato di gioia o dolore, quando persino le parole rimangono chiuse in gola, diventano silenzio?


L'essere è qualcosa che intuitivamente, prima ancora che concetto,  mostra questo enorme gioco di immensità che è l'universo, dove tutto è e tutto si trasforma. Necessariamente tutto è collegato e nulla è negato se non nella specificità particolare. Se l'uomo moderno nega questa necessità autoreogola se stesso riducendosi. Allora dà importanza ai particolari e perde il quadro di riferimento di insieme. Siamo immersi in un magico mistero con due riferimenti fondamentali, la nostra vita, il nostro percorso e l'essere. Esaltare l'uno o l'altro perdendo di vista uno dei due, signifca a mio parere perdersi nella schizofrenia quotidiana di un percorso dove i gesti quotidiani non hanno senso se non per sopravvivenza. Ma sopravvivere non è vivere. Gli esseri viventi sopravvivono, gli esseri senzienti umani vivono.
Penso che più o meno siamo d'accordo.


Non penso possibile andare oltre il bene e il male. Prima del bene e del male c'è la natura che ne è esentata con le sue regole con un suo ordine, fatto di abbondanza e scarsità ciclica, di catene alimentari dipendenti, dove il feroce è la necessità e il fuggire pure.
Ma per l'umano? Anticamente, come ho già scritto vi era un ordine da rispettare ed era in merito alle relazioni fra cielo, terra, fra divino e natura che l'uomo capiva di esserne dipendente e rispettava. Ma cosa ormai rispettiamo? Quale è il limite dell'azione di responsabilità?
Il bene e il male segno un confine morale e la morale era far azioni per il bene, senza ricevere ricompense, ma perché ciò era implicito all'equilibrio a quell'armonia che cielo e terra dettavano.
La morale è il deterrente etico comportamentale. Se la morale non abita la coscienza umana ogni azione anche la più turpe si autogiustifica perché non c'è confine fra bene e male. E la cultura crea una coscienza.


Penso chela struttura filosofica di Vito. C. abbia possibilità di andare nel senso giusto.
Il presupposto è unire il sensibile e il soprasensibile, o se vuoi, la fisica e la metafisica, strutturandole come unità e riconoscendo una "ragione in-sè", per il semplice fatto che l'universo funziona in un certo modo e questo modalità non può che essere una "ragione".
Semplicemente perché a sua volta è leggibile dalla ragione umana. Si tratta di non esaltare una parte sull'altra anche qui. Il troppo soprasensibile può far perdere l'indirizzo della vita; esaltare la vita può significare perdersi perché non c'è la bussola, l'orientamento che può solo dare l'idea di senso del soprasensible.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 05 Marzo 2020, 08:41:53 AM
Citazione di: paul11 il 04 Marzo 2020, 19:48:30 PM
ciao Ipazia,
 
La virtù  in Grecia, nacque con il nomos di Esiodo che insieme dichiarava i principi di sovranità del re.
La virtù  era l'armonia che nasceva dal rapporto cielo e terra e quindi l'uomo.
Non si capirebbe altrimenti come mai tradizioni più antiche di quella greca, quella vedico indiana, egiziana, sumerico babilonese, già la interpretavano nel divino.

Leggere il pensiero greco attraverso le lenti deformanti della teologia non rende un gran servizio alla verità all'ermeneutica storica. Appena i greci si divincolarono dalla superstizione e cominciarono a ragionare filosoficamente si posero la questione dell'archè e non la trovarono nel logos, ma in acqua-aria-terra-fuoco, atomi, universo infinito (apeiron). Su questo disputarono le menti più illuminate dell'epoca e gli dei li vedevano come una specie aliena di immortali che si fa i fatti suoi su cui era inutile tergiversare. Così limitati che se si usava oculatamente il "divino" immanente che è in noi, l'intelligenza, ci si poteva barcamenare tra i loro dissidi e portare la pelle a casa come fece quel campione carismatico di hybris che sfuggì alla morte denominandosi Nessuno (già sulla gestibilità logica del Nulla avevano le idee chiare, evidentemente: ma è un Logos tutto umano).

Il seguito della storia ...

CitazioneAristotele è un filosofo con un piede ancora nell'antichità e un altro predispone la modernità.
E' il periodo ellenistico, quello di Alessandro Magno, di cui Aristotele era aio, precettore.
La scuola peripatetica, quindi aristotelica arriva fino al tomismo e la scolastica.
Aristotele si contraddistingue per una visione più pratica che teoretica ed è per questo che la sua influenza arriva più di Platone a certi filosofi moderni che seguono comunque il filone empirista.

Come ho scritto altrove il passaggio dalla civiltà greca a quella latina sposta anche le direzioni del pensiero. Il diritto latino si occupa più della domus che del nomos greco, degli interessi privati più che delle virtù in senso originario.
Quindi da una parte è corretto dire che Aristotele influisce in qualche modo sullo spartiacque fra morale ed etica, in cui la morale del nomos svanisce secondo l'interpretazione etica che deriva dalle prassi. Ed è quello che vado dicendo da un bel po' di tempo. Perchè il comportamento etico non ha fondamenti, se non l'osservazione di gruppi sociali, di società di tradizioni diverse. Quindi ogni gruppo sociale, stato, nazione, tradizione, addirittura luoghi diversi hanno etiche diverse.
Non è fondativo osservare, semmai è capire la legge che governa l'osservazione. L'etica che diventa usanze diverranno parti dei codici legislativi. Ma questo non cambia nulla né dal punto di vista teoretico, in quanto la morale è virtù e l'etica prassi comportamentale e la mores usanza.

... riporta ad una concezione immanente del Nomos per il pensiero "alto" antico. L'aretè contenuta nella cicuta di Socrate non deriva dalla superstizione che arriva fino a Kant del dio introiettato, ma dal rispetto al nomos di Atene. Così come la virtus romana è strettamente correlata allo sviluppo della civis romana, fino a chiudere il cerchio ermeneutico di una religione "anglicanizzata" nella figura divinizzata dell'imperatore che di quella civis globale era il simbolo supremo. Un dio mortale, e già questa è una grazia evolutiva di rara intelligenza.

CitazioneGli studi "rigorosi scientifici moderni" sui comportamenti sono limitati a  test. Sull'attendibilità di tutti i test, compresa statistica, stocastica, calcolo delle probabilità , lo lascio ai rumors intestinali del mainstream culturale. A cosa poi servono in pratica? A imbonire le folle con pubblicità, marketing economico e politico, culto dell'immagine.

Ti zappi sui piedi se credi nel comunismo. Il comportamentismo alla Pavlov che con scosse elettriche si insegna al topo la via per mangiare il formaggio? E' superato dal cognitivismo.
Persino le ideologie liberali e liberiste, "prendono atto" degli individualismi e impongono alla politica di non intromettersi, in quanto  secondo il loro dettame il dare e avere, le transazioni, sono equilibratrici ed esaltano l'astuzia, il cinismo, l'egoismo, il narcisismo, la megalomania.
Il migliore, il più "forte" vince e il povero è un inetto. Questa è la sentenza del "rigore scientifico".

Il rigore scientifico serve a falsificare le idee bislacche e per questo è giustamente avversato dalla religione che su quelle idee pascola dalla notte dei tempi. Pure le idee bislacche secolari, perchè Minerva, a differenza di S.Pietro, è incorruttibile e non basta benedire l'acqua per convincerla (nemmeno i virus convinci) o stabilire la verità per decreto statale.

CitazioneSpinoza è un ebreo, e gli ebrei sono più materici di quanto possa far sembrare le loro mistiche, non mi sorprende affatto.

Ma dobbiamo concedere loro che anche se sono all'origine di quell'errore millenario del Logos coniugato con l'orrore millenario del totalitarismo monoteistico - che tanti danni arreca anche nel nostro tempo -, almeno hanno prodotto pensatori come Spinoza, Marx, Freud, Einstein che hanno rivoltato come un calzino questa visione del mondo:

CitazioneLibertà è una bellissima parola, come l'amore. Si uccide per libertà e amore.
Sottrarsi ad una condizione, non significa essere più liberi, perché la libertà crea nuove problematiche e condizioni. Un cane alla catena dovrà il padrone sostentarlo. Un cane randagio dovrà badare a se stesso compreso il sostentamento.
C'è chi nasce per non prendersi responsabilità e sono le moltitudini di pecore smarrite che cercano  sempre l' uomo forte" e lo votano alle politiche perché, essendo  illusi e ingenui, gli risolva i loro problemi. Per esperienze sociali mie personali, sono pochi che hanno "gli attributi" per decidere
e prendersi le responsabilità e molti scappano per "non sporcarsi le mani".

... fatta di pecore, pastori e cani da guardia rigorosamente alla catena perchè scordino in eterno di essere lupi addomesticati.

CitazioneLa metafisica oggi è un coronavirus del regno animale e naturale che manda al tappeto una cultura di scientisti che vorrebbero andare su Marte e non riescono nemmeno a vivere sul pianeta natale.

Torniamo alle preghiere, processioni, ossa di santi e acque benedette ?
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: paul11 il 05 Marzo 2020, 15:18:45 PM
ciao Ipazia
A tuo parere c' è  da una parte "rigore scientifico"  e dall'altra "specchi deformanti", e da quale deduzione è posto un simile giudizio? A me risulta che vi siano scienziati credenti, anche oggi, e credenti che vanno dal medico.  Non tiene argomentativamente un cotal giudizio.


La superstizione? Sicura che l'uomo che professa scienza "non si tocchi", non abbia cornini, non abbia ritualità compulsive? A mio parere sbagli a contrapporre l'uno sull'altro


Ricorderei che il "rigore scientifico" è un metodo. Non è la strumentazione, che è amplificazione sensitiva, a dare il risultato; bensì l'interpretazione dei dati strumentali rispetto a un quadro di riferimento che è sempre rappresentazione e mai realtà.


Secondo me con il coronavirus si " toccano i gioielli di famiglia", prendendo magari misure precauzionali. Il caso è invincibile, anche per la scienza che ne prende atto con statistica, stocastica,, calcolo delle probabilità. Ci sono cose che sono imponderabili...per chiunque.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 05 Marzo 2020, 16:05:09 PM
Citazione di: paul11 il 05 Marzo 2020, 15:18:45 PM
ciao Ipazia
A tuo parere c' è  da una parte "rigore scientifico"  e dall'altra "specchi deformanti", e da quale deduzione è posto un simile giudizio? A me risulta che vi siano scienziati credenti, anche oggi, e credenti che vanno dal medico. Non tiene argomentativamente un cotal giudizio.

Tiene eccome, soprattutto per la seconda parte. Per la prima, la scienza aiuta a liberarsi dalle superstizioni, ma, contrariamente alla religione, non si avventura oltre quello che sa, ma lo fa rigorosamente, usando pure la stocastica dove non ha elementi sufficienti per la deduzione. Imperdonabile sarebbe comunque che lo scienziato credente avesse le idee poco chiare su ciò che spetta a Cesare e ciò che spetta a Dio, confondendo la sua imperizia con la volontà divina e la perizia altrui coi miracoli.

CitazioneLa superstizione? Sicura che l'uomo che professa scienza "non si tocchi", non abbia cornini, non abbia ritualità compulsive? A mio parere sbagli a contrapporre l'uno sull'altro

c.s.

CitazioneRicorderei che il "rigore scientifico" è un metodo. Non è la strumentazione, che è amplificazione sensitiva, a dare il risultato; bensì l'interpretazione dei dati strumentali rispetto a un quadro di riferimento che è sempre rappresentazione e mai realtà.

Fatta la tara della superstizione dell'assoluto, resta la bontà oggettiva del risultato: aspirina vs. preghiera

CitazioneSecondo me con il coronavirus si " toccano i gioielli di famiglia", prendendo magari misure precauzionali. Il caso è invincibile, anche per la scienza che ne prende atto con statistica, stocastica,, calcolo delle probabilità. Ci sono cose che sono imponderabili...per chiunque.

Vuoi mettere una messa grande con musiche d'autore e corteo in processione con reliquie varie, che ignora il coronavirus e blatera di punizioni divine e trame sataniche  ;D
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Phil il 05 Marzo 2020, 17:10:40 PM
Citazione di: paul11 il 04 Marzo 2020, 19:48:30 PM
Un cane alla catena dovrà il padrone sostentarlo. Un cane randagio dovrà badare a se stesso compreso il sostentamento.
C'è chi nasce per non prendersi responsabilità e sono le moltitudini di pecore smarrite che cercano  sempre l' uomo forte" e lo votano alle politiche perché, essendo  illusi e ingenui, gli risolva i loro problemi. Per esperienze sociali mie personali, sono pochi che hanno "gli attributi" per decidere
e prendersi le responsabilità e molti scappano per "non sporcarsi le mani".
Questo "culto della forza", che incorona chi detta le sue leggi sollevando gli altri dall'incombenza di prendersi le proprie responsabilità e "sporcarsi le mani", mi pare avere (senza voler polemizzare) un suo riflesso anche in una certa "filosofia forte":
Citazione di: paul11 il 02 Marzo 2020, 14:30:09 PM
Per me è necessario che un pensiero per essere forte deve avere dei paradigmi inossidabili, deve avere analisi di almeno tre millenni, deve dichiarare identità e morale se vuole unire le pecore nelle moltitudini delle latitudini e longitudini, perché la globalizzazione standardizza le culture e diversità, le pialla come i gusti e i stili di vita. La prossima cultura necessariamente dovrà unire le identità [...]
Le  vere filosofie, o pensieri forti, uniscono.
Lasciando dunque fuori la "forza", o meglio, la "durezza" delle hard sciences, credo che la riflessione sulla "forza" (lascerei da parte anche la specificità politica) sia inaggirabile per il pensiero contemporaneo e non possa non fare i conti con il perturbante "tabù del fondamento": quella forza assertiva e normativa dei paradigmi dominanti, tanto monolitici quanto talvolta conflittuali fra loro, quelle calcificazioni a malapena scheggiate da secoli di storia, fondano una forza e/o sono fondate da una forza? E se sì, quali sono le forze in gioco?

La forza con cui una filosofia presuppone un dover-essere di "x" (sia esso il noumeno, una divinità, il Bene, l'archè, etc.), descrivendo le "caratteristiche" di tale x e al contempo predicandone la (momentanea?) inaccessibilità (doppio movimento in stile "rocchetto freudiano"), tale forza che propone con forza, su quale (eventuale) forza si fonda?

Si fonda forse sul suo stesso dover-essere, poiché altrimenti verrebbe meno il dover-essere di ciò che essa stessa fonda? Se è così, siamo in pieno circolo vizioso: deve esistere x altrimenti non posso più affermare che y sia contemporaneamente implicato da x e dimostrazione dell'esistenza di x (esempio: deve esistere un archè del mondo, anche se non se ne sa nulla di attendibile, altrimenti non potremmo più spiegare il mondo tramite un archè e il mondo non sarebbe più a sua volta dimostrazione dell'esistenza di un'archè).

Se tale forza si basa sulla tradizione, va comunque preso atto che le tradizioni sono più d'una e, anche nei denominatori comuni (in ottica comparativo-sincretica), le chiavi di lettura antiche di secoli non possono avere "ad honorem" una validità maggiore di quelle attuali (senza nemmeno credere facilmente alla storia dei nani sulle spalle dei giganti) perché ciò significherebbe che il pensiero contemporaneo è destinato a ristagnare nel gioco di tradurre l'antico nella lingua moderna (ed eccoci qui a parlare "parmenidese", "platonese", etc.), ma senza poter dover uscire dai sacri confini teoretici tracciati secoli addietro. Di nuovo: può andar anche bene, ma su cosa si fonda la forza "metafisica" di tale divieto?

Gli "empi randagi" che valicano tali confini, abbandonando il "campo di forza" del pensiero unitario e unificante («le vere filosofie, o pensieri forti, uniscono», dici), non possono forse "sporcarsi le mani", essendosi rimpossessati dei loro piccoli artigli filosofici, che chi è dentro il recinto ha consegnato in pegno al Leviatano pur di avere una forza che regoli il proprio mondo e a cui appellarsi (come dici nella prima citazione)?
Quando si parla dell'Essere, della virtù, etc. dove "finisce" il discorso storicistico, dove quello ermeneutico, dove quello di "proposta" filosofica?

Per me non si tratta di entrare nel merito delle peculiarità del paradigma fondato, se esso sia perfettamente valido, o "il migliore", o il più diffuso (né se sia esso religioso, metafisico, materialista o altro), quanto piuttosto di partire dalla consapevolezza della forza del fondamento in questione, chiedendosi schiettamente: quanto è forte?
In generale, non necessariamente la forza del fondamento è direttamente proporzionale al valore del fondato: l'arte ha fondamenti deboli e mutevoli, ma il suo valore sociale, culturale, etc. è decisamente importante e "ricco".
E in filosofia?

Accarezzando il topic: una "rivoluzione" filosofica che non si interroghi sui propri fondamenti, secondo me non può costituire una valida alternativa a ciò che vorrebbe rivoluzionare, perché rischia di partire inconsapevolmente dagli stessi presupposti di ciò che la precede, limitandosi a combinarli differentemente (quindi non è rivoluzione, quanto piuttosto "ars (ri)combinatoria").


P.s.
Se non erro, i "grandi" filosofi, oltre a guardare al passato e dentro i libri, si guarda(va)no anche attentamente intorno, attenti a ciò che proponevano le altre discipline coeve (e non solo umanistiche); un'attitudine che spesso oggi viene dimenticata, dipingendo il teoreta come colui che non deve essere sincronizzato all'attualità, ma indugiare sulle questioni che erano attuali per Kant, Hegel o addirittura Parmenide, senza doverle conciliare con ciò che ci circonda, perché ciò è mera contingenza-immanenza. Anche qui: "giusto" o "sbagliato" che sia, su cosa si fonda la forza di tale (non-)dovere e quanto è forte?
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: viator il 05 Marzo 2020, 20:58:37 PM
Salve Paul11. Citandoti : XXXXX"A me risulta che vi siano scienziati credenti, anche oggi, e credenti che vanno dal medico"XXXXX.

Hai certamente ragione. Mi permetto di notare che la coerenza dello scienziato credente è di molto superiore a quella del credente che non si abbandona alla Provvidenza.

Essendo la scienza LA SISTEMATICA DEL DUBITARE, bene fa lo scienziato a non affidarsi completamente ad essa.
Essendo la religione invece (penso che tu intendessi parlare di credenti religiosi) LA SISTEMATICA DEL CREDERE, non si capisce cosa il credente si attenda - diversamente dalla volontà di Dio - che il medico gli procuri. Saluti.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Lou il 05 Marzo 2020, 21:20:00 PM
<< ragazze e ragazzi trovate che sugli ultimi temi emersi sia opportuno aprire un nuovo topic? >>
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: green demetr il 05 Marzo 2020, 23:14:38 PM
cit Lou
<< ragazze e ragazzi trovate che sugli ultimi temi emersi sia opportuno aprire un nuovo topic? >>

Secondo me si può continuare su questo, sebbene fosse nato per testare la sua filosofia, l'idea di rivoluzione filosofica, nel senso dei fondamenti cognitivi per evitare alcune derive dell'analisi (formale) in sè. E' anche un spunto per palrare delle nostre basi e credenze, mi pare che lo si stia facendo.
Poi Lou se ritieni di spostare l'argomento, per me va bene.(ci mancherebbe).


cit Ipazia
"Questo lo dico per Green affinchè elabori il lutto di un'Anima e di un Dio/Essere che sono morti perchè passati a miglior vita, quella del rigore scientifico. Che nell'umano troppo umano della "cattiva falsificazione" celebra i suoi nefasti, ma non è un buon motivo per negare i fasti e le fortune evolutive della "buona falsificazione" che da tanti idola ci ha liberato."

Allora ti dovevo qualche chiarificazione.
Sappiamo benissimo che il fulcro della nostra analisi riguarda le questione del materialismo storico (non ha alcuna importanza in che declinazione credo).

Comprendo benissimo che il rischio di pensare di nuovo al metafisico, si possa rivelare nell'ennesima deriva del metafisico. Come anche Phil ha fatto notare, si rischia di ripensare ad una forma impositiva super-egoica.
Infatti per me la filosofia di Ceravolo è super egoica. Ma questo ormai vista la sua fuga, non sarà più possibile verificarlo.

Ma per me il fondamento, non è l'episteme. Mi sembra che sia tu che Phil facciate questo errore. Nel senso che è evidente che per voi Dio non esista (non è dunque un vero errore).
Per me è diverso, sin dall'infanzia mi è parso evidente che Dio esistesse.
Non ci impiegai molto a capire che la religione cattolica fosse un ammasso di fesserie.
Mi girai subito in quel religioso che in realtà è filosofia, che ha nome induismo.

Le analisi tra microcosmo e macrocosmo, mi hanno sempre interessato, trovavo che fosse il cuore della saggezza salvifica che cercavo.

Ma non conoscevo ancora la filosofia.

La filosofia con il suo metodo, con le sue idee onto-logiche fece presto, molto presto a pezzi l'idealismo magico indiano.

Mi innamorai della ragione e da allora mi cadde il mondo addosso.

Dovevo rifare i conti da capo.

Conti che hanno dato per risultato l'annichilazione di quello che all'epoca chiamavo il mio sè.

Non c'è relazione. Credo sia quello e tale è rimasto, il risultato del vivere sociale.

Cosa c'entrasse la scienza in tutto ciò? Niente.

La scienza non ha mai contato niente.

La scienza è lo sfondo su cui viviamo, è il risultato storico delle pratiche.

Se andiamo ad un convegno di soli numeri, ci sono quattro gatti.

A nessuno frega della scienza.

Il materialismo storico c'entra qualcosa con la scienza? No non c'entra niente.

C'entra con le emozioni e le ideologie.

Il problema ravvisato da Heidegger e Severino è la scienza? Ma per niente.

Il problema è la tecnica. Sono le prassi.

Contrapporre la metafisica alla scienza non ha alcun senso.

Sono le prassi che contanto. Le vecchie prassi che nascono dal super-egoico delle religioni, o meglio delle loro chiese o meglio dei loro ministri, viene chiamato effetto nocivo della metafisica.

Non l'ho mai capito. Gesù chiama amore, e noi facciamo la guerra.
Non vedo cosa c'entri la metafisica.

Non è questione di metafisica.

Fatta un pò di chiarezza su questo punto, che assiduamente esce, e su peraltro ti ho già detto e ridetto che siamo d'accordo.

Perchè l'anima?

L'anima è il movimento del senso (il senso dell'esistere, non il senso del sensibile). Anima, è cio che si muove, non suona forse così?

Cosa si muove, e rispetto a che cosa?

Forse è questa la domanda che ti devi fare.

Ma la potresti fare solo se capissi che l'uomo NON è una macchina.

Prima di emergere come una delle utenti con cui sono maggiormente d'accordo, ricordavo di averti erroneamente assegnato quel posto. Di donna robot.
Grazie al cielo non è così.

O almeno non è così fin quando non entriamo nel discorso del limite fenomenico.

Il tuo logos è pensato all'interno del fenomeno, ragiona con i datti effettivi che deduttivamente (e non induttivamente?) ricaviamo.
Intendi benissimo la falsificazione, ma rimani al di qua dell'impensato.

La tua è una filosofia che per necessità è figlia del nostro tempo.

Io ritengo che essere figli del nostro tempo non sia sufficiente.

In quanto il limite del fenomenico risale induttivamente a chi lo ha pensato.

E proprio induttivamente che Kant riconosce la necessità di un impensato.

La categoria della libertà, come scelta di risalire questo impensato, si chiamo virtù.

Non la innesta Kant, sarebbe un grave errore pensarlo.

L'unica lettura completa di Kant che ho fatto è la premessa alla ragion pratica.

Buona parte di questa premessa spiega del perchè la pratica NON POSSA ESSERE PURA.

La questione del PRATICO e del PURO è ciò che INDUTTIVAMENTE spiega Kant.
(bisognerebbe leggere Peirce per capirlo in tutta la sua profondità analitica (formale)).

Ciò che si spiega è dunque una analitica che diventa fenomenologia.

Il logos è il logos che tiene unito fenomenico e soggettivo.

Chi sono io? E' la domanda dell'idealismo.

Chi sono io rispetto all'oggetto che mi appare, e ciò che mi attraversa come disvelamento della mia capacità di scelta, di libertà.

Quale è il logos che mi permette di sentire quel limite superabile, nel fenomeno.
Cosa mi rende autentico.

Quale è la verità.

Kant ed Heidegger sono là, ad un passo dalla psicanalisi che arriverà.
Lacan riprende i passi da quei due giganti.

Su di loro l'ombra inquientante di Hegel, colui che secondo Paul, ha avvizzito la filosofia, l'uomo che adombrato una astrazione disumana.

Sono d'accordo, ma nel senso che l'anima è esattamente quello che NON siamo.

Il monachesimo, la filosofia del non agire di Agamben, cosa sono?

Nietzche sopratutto.

Certo che era un mistico. E' ovvio Paul ha capito molto bene.

Ma non ha capito quello che è l'oggetto di quel misticismo.

L'oggetto è esattamente il disumano.

Andare oltre l'uomo.

Cosa c'è oltre l'uomo? Il super-uomo? Ah ah, chi lo dice non ha capito NIENTE di Nietzche.

Oltre l'uomo c'è il deserto, il nulla, non il nulla fisico, non il vuoto, il nulla della relazione con l'oggetto. Perchè l'oggetto è sparito, non appare più.
Il soggetto è infine desoggetivato.

Cosa rimane allora? E' questa la domanda del mistico.

Quale è la verità, è questo che c'è dietro alla domanda di verità.

Non vi sono ideologie, non vi sono prassi. Rimane il puro movimento. Il puro cambiamento del soggetto. Del ora sono qui, ora sono qui, ora sono qui.
Noi ci sentiamo deserti dove un vento soffia in noi.
Una voce secondo la mistica. Un delirio.
Un canto.

Non una poesia, Heidegger se ne accorgerà infine.

Non si tratta di capire si tratta di meditare, di sentire quel soffio divino dentro di noi.

Si tratta di capire la direzione dell'anima, è l'anima che ci sposta.

Che ci aliena, prima ancora di qualsiasi sovrastruttura.

Lo sta studiando molto bene Agamben tutto ciò.

Insomma NON SI PUO' tumulare l'ANIMA, in quanto non esiste alcuna anima, alcun dio.

Si può solo essere in accordo o in disaccordo con questo movimento.

Con questo doppio movimento.

Ma i greci, gli indiani etc... questo lo sapevano.

Non esiste materia senza la spinta all'esistenza che la faccia apparire.

L'anima non è materia. Dio non è materia.

Da qui mi scosto considerevolmente dalle pratiche esoteriche.

Ormai le guardo con sospetto.


Doppio movimento dell'anima che è spinta dal soffio del DIO, e dell'anima che si scopre soggetto in relazione all' oggetto che la determina come tale.

E' questo doppio movimento che induce a pensare un DIO esista.

Esiste in quanto l'anima che si muove anch'essa si scontra con l'oggetto fenomenico.

La domanda dell'anima, la tragedia umana è non capire il senso del proprio movimento.

Nè archetipico, nè fenomenologico.

Capire il senso del movimento significa capire l'esistenza, la verità. (la famosa aretè, o la casa dell'essere di heideggeriana memoria).

Ossia come l'anima si piega al suo oggetto, per diventare soggetto, per poi morire.

Questa destino mortifero, è il movimento del DIO, dunque l'anima di cui non sappiamo niente è il movimento che dal niente (in quanto dio non esiste, e non è un oggetto) scaturisce tramite la sua oggettivazione nel Niente (in quanto mortale).

Ossia è l'oscillazione dell'indifferente (hegel) che implode nel suo contrario ossia il differente, l'essere soggetti si riferisce sempre ad altro da noi.

Non c'è differenza senza indifferenza.


La differenza, ciò che differisce, ciò che sempre ci spinge ad essere altro, da noi stessi, Per cui l'uomo vuole sempre altro, per cui il capitale vuole sempre altro, per cui la tecnica vuole sempre altro. E' la ricerca dell'assolutamente altro, che è appunto l'indifferente, ossia la morte.

La morte è indifferente al destino umano, e l'uomo impazzisce rispetto a questo orizzonte che si rivela come non orizzonte.

Ma questo movimento come abbiamo già detto è solo un orizzonte temporale.

Per cui fuori da questo orizzonte temporale, cosa è questo destino?

E quale è il logos che lo fa precipitare all'interno delle sue pratiche. Cioè nella vita reale.

L'idea del legame tra ciò che è nascosto e ciò che appare non risiederà MAI nella scienza, che fa i conti SOLO con quello che appare.

Sono pratiche mortifere? Ma perchè esiste forse una pratica che non preveda la morte?
Mi pare sia questa la follia, piuttosto che non quella che indica il credere di questo movimento una follia.(severino)

Anche se fosse una follia, sarebbe necessaria. Tra l'altro.

Tutto ciò è mera astrazione? certo che sì.

Vogliamo rimanere al mi accontento di nominare cosa sia naturale (e cosa no, e da lì ridare via al valzer delle violenze? sono stanco, molto stanco).

A me sta bene, l'importante è che non mi veniate a dire che c'è del buono nella scienza.
La scienza è il male.
Non in quanto prassi.
Ma in quanto legislatrice.
Non ci siamo ancora grazie a DIO.
Anche se il panico indotto, dopo aver giocato a DIO con le armi di distruzione di massa, mi fa già capire come sarà il futuro, (ma il film BRAZIL già ce lo ha detto nevvero?)

Era già capitato con il pericolo giallo (la paura della bomba atomica)....

Ma perchè?

Spero di aver chiarito.  :P ;D
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: green demetr il 06 Marzo 2020, 00:46:01 AM

ciao paul ti devo ancora la risposta riguardante il soggetto del tuo intervento luminoso di qualche giorno fà. A questo punto slitta a domani, anche se mentre scrivo è già diventato domani.  ;)

CIT PAUL

"ciao Green,
poniti questa riflessione: perché la prima opera di Nietzsche è sulla tragedia greca?
Perchè la cultura greca ha strutture storiche, pensieri, uniche. La musica, i riti, la nascita
delle arti con le Muse, sono un insieme di consapevolezza tragica della vita umana e nello stesso tempo di esorcismo della morte rappresentandola. Sublimano la morte con la tragedia, con suoni, voci, maschere, cori, la esorcizzano con i suoni della vita. Nietzsche desidera che la cultura tedesca allora decadente prenda esempio dai greci, così come il suo amore per la musica lo fa contattare  Wagner e il primo Schopenhauer, quello pessimista lo ispira. Sceglie una strada intuitiva per descrivere ,fra arte e filosofia. Tant'è che più anziano  riflettendo sulle sue opere giovanili , avrebbe voluto che avesse scritto la tragedia greca non in prosa, ma in aforismi."

Si d'accordo l'arte. L'arte è stata una grande consolatrice della mia adolescenza e anche una forza creatrice durante la mia giovinezza.

E poi? e poi fai un passo fuori dall'uscio di porta e precipiti nella volgarità.

Sinceramente ha retto bene per un quindicennio, ma di più non può (e infatti non lo fa) durare.

Si d'accordo anche sulla mimesi dell'arte sulla vita.
Ma la vita non è una mimesi.
E' esattamente fuori dalla mimesi che voglio vivere. Non a caso Platone i poeti li butta fuori dalla città. (naturalmente platone è un fascista, naturalmente non butti fuori nessuno, ma nella sua mente contorta e super-egoica, ragionava proprio della necessit
à di fare vivere ai cittadini la realtà....come se questo fosse possibile....certo i greci c'avevano tipo 1 ricco e 100 schiavi e allora OKKKKK.

ma per me io e i greci, ciaone.

non voglio schiavi, voglio persone con cui relazionarmi.
persone con cui vivere.
Certo ormai sarà per la prossima vita... ma OK spero che la volgarità con cui ho scritto, testimoni proprio quanto la mia ignoranza è radicata in me e perchè (sopratutto spero).

Ripeto mi sento molto molto lontano dai greci.

Parliamo pure se me li spiegate i loro termini.

Per esempio il concetto di aretè di cui parlate tu e ipazia, mi interessa. E' ok.
Ripeto ho bisogno che mi facciate da mediatori.

Grazie dello sforzo. (poi so che stai studiando platone, bene, bene, magari mi aiuti a capire qualcosina in più che vedi rispetto alla manualistica. O ai conferenzieri che dicono che platone ha già detto tutto...ma poi non dicono MAI cosa effettivamente ha detto).

Per esempio l'apologia di socrate è illuminante, il gorgia lo ho amato alla follia. (appunto gorgia ho amato, e ho odiato socrate e tutte le sue capziose verità)
Il simposio è illeggibile nella sua demenza. (letture del liceo sia chiaro).

Recentemente avevo iniziato il fedro, mi stava convincendo, ma in una tradizione di un professore di liceo....quelle della sansoni etcc...non si capiva NIENTE.

Vabbè!!! mi dirai tu in futuro. Sopratutto il teeteto quando ci arriverai. il fedro appunto e il gorgia....sono curioso di avere le tue opinioni.


cit paul
Heidegger dirà che solo l'arte avrebbe potuto descrivere ciò che parole non riescono a denotare, a esaurire concettualmente. Nietzsche, piaccia o non piaccia, è quasi un mistico, con vene poetiche e perspicace dell'intimità umana. E l'intimo umano, l'anima, la psiche, non è descrivibile con la logica, questo Heidegger avrebbe dovuto saperlo.
Un umano che si cerca, e cerca la via dell'essere e vuole socializzare il suo pensiero non può usare la logica, o la logica da sola. I Vangeli si esprimono in parabole, non in logiche. La qualità del linguaggio metaforico ed allegorico è il richiamo visuale all'immaggine perché la psiche, l'animo umano lavora su simboli e immagini, non formule logiche.

Certo che Heidegger lo sapeva, mi fa spavento che lo sapesse già a quattordici anni...giusto per far capire la grandezza di certe persone.

A 18 anni aveva già scritto la tesi contro ogni logicismo, lui che il logicismo non solo lo capiva, ma addirittura si era illuso fosse la soluzione.

Giusto per far capire la sua grandezza smisurata.

Francamente oggi i professori fanno fatica a capire pure ste semplici cose....
(manco io per dire la verità, forse PHIL).

la ricerca di heidegger verso forme non verbali attraverso la scrittura lo ha portato però verso soluzioni estemporanee, come la parola essere barrata, la parola essere seguita da insieme vuoto, che per esempio Volpi illustra e maledice (discorsi di uno sciamano).

Bisogna capire però da quale astrazione logica partano.
Un linguaggio non verbale che abbia una logica.

E non che testimoni di una non-logica (penso al teatro dell'assurdo, l'ultimo approdo della letteratura che conta, a mio parere....poi più niente)

Heidegger capisce benissimo, ma ha le sue esigenze rigorose di formalizzazione.
nasce e muore aristotelicamente, penso volpi abbia ragione.

comunque siamo d'accordo caro paul. (scusa le digressioni, è per arricchire un pò il menù, diciamo)

cit paul
L'esercizio logico dialettico di Hegel e Severino rischiano di anestetizzare la vita, anche se Hegel vuole arrivare allo spirito, anche se Severino vuole arrivare alla gioia.
Ma la vita non è possibile ridurla a formula logica,come descrivo uno stato di gioia o dolore, quando persino le parole rimangono chiuse in gola, diventano silenzio?

Mi trovi dolorosamente d'accordo. L'astrazione che questi due grandi chiedono è veramente mortificante. Ma continuo a ritenerla importante, ma non è certo un caso che sono fermo all'introduzione della fenomenologia, che penso di riprendere nell'edizione sansoni, quella bompiani è più ricca di consonanze con il tedesco, ma ho capito che tutti i capitoli sottotitolati e numerati sono una invenzione per far capire agli studenti hegel.
Ho capito!!! ma tanto non si capisce lo stesso!!! e poi così travisi completamente il senso della costruzione del discorso!!.....caspita una recente scoperta che mi ha fatto infuriare!!!!
quella einaudi che all'università consigliano dicono che è un mix tra le due....peggio del peggio!!! così si perde la consonanza col tedesco e il senso del discorso globale....
torniamo mestamente alla traduzione povera della sansoni....tristezza assoluta! e siamo nel 2020!!!! a quando una traduzione decente? ???

scusate la digressione!


cit paul

"L'essere è qualcosa che intuitivamente, prima ancora che concetto,  mostra questo enorme gioco di immensità che è l'universo, dove tutto è e tutto si trasforma. Necessariamente tutto è collegato e nulla è negato se non nella specificità particolare. Se l'uomo moderno nega questa necessità autoreogola se stesso riducendosi. Allora dà importanza ai particolari e perde il quadro di riferimento di insieme. Siamo immersi in un magico mistero con due riferimenti fondamentali, la nostra vita, il nostro percorso e l'essere. Esaltare l'uno o l'altro perdendo di vista uno dei due, signifca a mio parere perdersi nella schizofrenia quotidiana di un percorso dove i gesti quotidiani non hanno senso se non per sopravvivenza. Ma sopravvivere non è vivere. Gli esseri viventi sopravvivono, gli esseri senzienti umani vivono.
Penso che più o meno siamo d'accordo."

Siamo in perfetta sintonia.


cit paul
"Non penso possibile andare oltre il bene e il male. Prima del bene e del male c'è la natura che ne è esentata con le sue regole con un suo ordine, fatto di abbondanza e scarsità ciclica, di catene alimentari dipendenti, dove il feroce è la necessità e il fuggire pure.
Ma per l'umano? Anticamente, come ho già scritto vi era un ordine da rispettare ed era in merito alle relazioni fra cielo, terra, fra divino e natura che l'uomo capiva di esserne dipendente e rispettava. Ma cosa ormai rispettiamo? Quale è il limite dell'azione di responsabilità?
Il bene e il male segno un confine morale e la morale era far azioni per il bene, senza ricevere ricompense, ma perché ciò era implicito all'equilibrio a quell'armonia che cielo e terra dettavano.
La morale è il deterrente etico comportamentale. Se la morale non abita la coscienza umana ogni azione anche la più turpe si autogiustifica perché non c'è confine fra bene e male. E la cultura crea una coscienza."

Si paul capisco, il professore galimberti narra del popolo che si credeva l'ultimo della terra, per illustrare la valenza simbolica che abita le popolazioni amerinde dell'amazonia, teoricamente più vicine al mondo natuale che a quello civilizzato.
Ma è una argomentazione che solleva la vecchia questione tra natura e cultura.
Troppo vasta qui per affrontarla.


cit Paul
"Penso chela struttura filosofica di Vito. C. abbia possibilità di andare nel senso giusto.
Il presupposto è unire il sensibile e il soprasensibile, o se vuoi, la fisica e la metafisica, strutturandole come unità e riconoscendo una "ragione in-sè", per il semplice fatto che l'universo funziona in un certo modo e questo modalità non può che essere una "ragione".
Semplicemente perché a sua volta è leggibile dalla ragione umana. Si tratta di non esaltare una parte sull'altra anche qui. Il troppo soprasensibile può far perdere l'indirizzo della vita; esaltare la vita può significare perdersi perché non c'è la bussola, l'orientamento che può solo dare l'idea di senso del soprasensible.
"

siamo in sintonia sulle premesse, ma vedo che sulle soluzioni siamo ancora abbastanza dissonanti.

Io ripeto cosa è l'in sè? la ragione umana che in quanto tale, si presume ragione universale?
Mi pare una di quelle fastidiose tautologie di cui nel vecchio formato del forum abbia discusso a lungo.

Ma appunto queste ultime considerazioni ci portano lontano dal 3d.

Se a tuo parere basta questa tautologia per fare filosofia rivoluzinaria è giusto che la illustri.

A me non  pare bastante.

Esattamente come non è minimamente bastante quella di Ceravolo su cui non so nemmeno fino a che punto fossimo d'accordo nelle premesse.

ma tant'è se ne è andato. va bene così.






Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 06 Marzo 2020, 09:16:47 AM
@green

Ringrazio per la completa e articolata replica, su cui devo prendermi il tempo per cucinare la tanta carne al fuoco senza bruciarla.
A volo d'uccello trovo la risposta più sintetica negli aforismi finali del Tractatus di Wittgenstein sulle risposte della scienza e il mistico.

Concordo pienamente, via Marx, sulla centralità della prassi. Più difficile il suo collegamento al mistico, che resta, per quanto ineludibile, percorso individuale. Forse di anime elette: come l'unio mystica tra Ulrich ed Agathe in Musil. Appena i numeri crescono si passa alla setta e la pratica ferina finisce con l'irrompere con tutta la sua forza demoniaca; costringendo a correre ai ripari nel fenomenologico, dentro i limiti, ripassando per l'ennesima volta i fondamentali.

Sull'Anima: partendo dalla riflessione fondativa di LW credo anch'io che, invertendo i termini hegeliani della questione, la filosofia debba farsi fenomenologia dello spirito. Partendo dalla materia, non dallo spirito che ne è emanazione, come evoluzione insegna. Dalla terra, come esorta il misticismo nicciano. Da lì nasce l'infinito leopardiano che non atterrisce, ma dolcemente naufraga.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: paul11 il 06 Marzo 2020, 11:17:05 AM
@Phil


Eludere costantemente che l'universo non è solo il luogo dove si abita, siamo in uno spazio tempo non deciso da noi .Se non si capisce questo e  si pensa  che il rapporto fra pensiero debole post moderno e pensiero forte della filosofia che cerca di non eludere le domande che né scienza né la pseudo filosofia contemporanea, ancella delle scienze naturali che occupando le domande seriamente filosofiche , fanno scientismo è inutile cercare vie di confronto.
Non mi interessa la fenomenologia dell'immagine, o del pomodoro quadrato


Mi preme  dire che non è vero che il relativismo ,il pensiero debole siano oggi la cappa culturale. Il pensiero "forte" che regna da cinque secoli nacque su basi naturali, su basi materiche  avviluppato al dominio del sensibile. E come le scienze naturali  pensò che dimostrazione e giustificazione fossero SOLO nel sensibile. Pensarono ingenuamente che la risposta alla metafisica, al soprasensibile fosse un tornare all'uomo relazionato alla sola natura. Come se la vita e la natura stessa non sia a sua volta vincolata dalle condizioni di forze universali, che non è natura, né uomo e che decidono. L'universo non è solo l'uomo, solo la natura, o solo il pianeta Terra.
Il soggettivismo è la ricaduta filosofica del cercare risposte nel solo dominio sensibile naturale ed è chiuso oggi nella filosofia della mente. La fenomenologia del soggettivismo,è stata cooptata all'interno delle neuroscienze e cognitivismo, a dimostrazione del loro fallimento
Non ci può essere nessuna ricerca filosofica nella volontà e ribadisco il termine volontà, di una cultura che ha scelto di restringere al sensibile domande e risposte del suo essere, ridotto ad essente.
Il pensiero debole, il relativismo sono sotto culture filosofiche che nulla dicono e sono sotto la cappa del pensiero forte naturale e materico.


Sono proprie le conoscenze coeve del tempo che indicano  le contraddizioni culturali.
E rimango quindi dell'avviso che il tentativo di Vito C. di una filosofia che unisca il sensibile e il soprasensibile sia più che mai necessaria, con tutte le problematiche che ne derivano nella costruzione. E non si tratta di inventarsi il meta del metafisico  o il meta sensibile.Non si tratta di rispolverare l'antico e porlo nel contemporaneo, ma di riflettere dove la metafisca antica ha fallito e dove il pensiero forte moderno ha fallito, compresi i pregi di entrambi.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: paul11 il 06 Marzo 2020, 16:30:20 PM
ciao Green,


Molto sinteticamente, ci sono più modi di fare filosofia e come ho spesso scritto una è accettare la condizione umana per quello che appare nell'esistenza e questo penso lo abbia svolto abbastanza bene Nietzsche, l'altra è pensare che la condizione umana è stata dettata da "una ragione in sè"


La ragione in sé, per come la interpreto, non  è altro come si presenta l'universo, fattualmente e filosoficamente da interpretare.


A mio parere per come e cosa scrivi (soprattutto nel bel intervento che hai fatto in risposta ad Ipazia) e per tue scelte, vorresti passare da Nietzsche e trovare la soluzione del super-uomo e dell'eterno ritorno degli uguali. Nietzsche  è un mistico filosoficamente ed esalta la volontà.
Bisogna allora capire i fondamenti del suo misticismo  e non farsi depistare da luoghi comuni strumentali sulla figura di Nietzsche.
Schopenhauer in pieno idealismo ,Hegel e Schelling scrive due testi inizialmente sconosciuti al pubblico :" La quadruplice radice del principio di ragion sufficiente" e il suo capolavoro " Il mondo come volontà e rappresentazione". La parola chiave è volontà, poco o per niente utilizzata ne i testi antichi greci  assurge in contrapposizione ai domenicani da parte dei nominalisti nel medioevo.
Nietzsche inverte il pessimismo Schopenaueriano ritiene che la volontà sia più importante della rappresentazione ed esalta quindi la libertà. Per inciso Kierkegaard scrive un testo interessante "Realtà e possibilità". Se ragioniamo sui termini volontà, rappresentazione e realtà e possibilità, l'interrogativo che esce dagli esistenzialisti è come sottrarsi dalla condizione umana che è "tragica"
nella vita, nell'esistenza appunto.
L'esperienza nella modernità viene spesso contrapposta alla tauttologia (evidenza), come parametro accertativo. Tant'è che la scienza moderna la pone come metodo, appunto sperimentale. Ma la libertà è incondizionata e in quanto tale non è rappresentabile nella fattualità, bensì come certezza interiore della possibilità e necessità dell'oltrepassarla e da cui dipende la stessa dignità umana.
La volontà in Nietzsche non si determina in qualcosa, ma si nutre della stessa energia della volontà per continuare a crearne altra: volontà di potenza.
Quindi sono d'accordo che Nietzsche si batte contro il disumano; la verità è la condizione tragica in cui versa l'uomo . Mi avvento a dire che è l'accettazione stessa della condizione tragica umana il fine di Nietzsche, ma dentro la dignità e volontà di poter cambiare interiormente e non dipendere da
illusioni di al di là, con le proprie forze, consapevole delle possibilità e della propria tragedia: la salvezza è in se stesso. C'è la natura, non c'è il materico e c'è qualcosa di divino nella ricercatezza, nella presa di coscienza e consapevolezza della propria libertà e dignità
Ora il peso letterario e filosofico di Nietzsche che si confronta fra dei e demoni, fra vita e morte e scandagliando l'animo umano, lo hanno compiuto ad altissimi livelli Omero, Dante, Shakespeare e forse pochi altri, Dostoevskji aggiungerei.
Con tutta onestà, non so se si possa fare filosofia per come la intendo personalmente.
Può essere che la filosofia per come la penso sia davvero finita. Ma qual è quella cultura che riuscirebbe a dare al futuro uomo, il super uomo, quella consapevolezza insieme di tragedia e felicità nella vita?Il ditirambo dionisiaco insieme alla serenità apollinea?
A me sembra altamente improbabile, francamente lo auspicherei, il problema è difficilmente più nel pratico che nel teorico risolvibile. Il rischio è ancora una volta che una filosofia diventa eccezionale narrativa, letteratura ad altissimo livello ma che non scalfisce la pratica moderna, semmai annuncia ne annuncia il nichilismo costruito sulle ipocrisie e di tutto ciò che già sappiamo.
Insomma questa umanità contemporanea è ben lungi da essere nelle condizioni, preparata ad accettare e accettarsi come serenità e tragedia indissolubilmente uniti.. Ma qui non è il soprasensibile, il metafisico da vincere.......
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: green demetr il 06 Marzo 2020, 17:04:28 PM
Citazione di: Ipazia il 06 Marzo 2020, 09:16:47 AM
@green

Ringrazio per la completa e articolata replica, su cui devo prendermi il tempo per cucinare la tanta carne al fuoco senza bruciarla.
A volo d'uccello trovo la risposta più sintetica negli aforismi finali del Tractatus di Wittgenstein sulle risposte della scienza e il mistico.

Concordo pienamente, via Marx, sulla centralità della prassi. Più difficile il suo collegamento al mistico, che resta, per quanto ineludibile, percorso individuale. Forse di anime elette: come l'unio mystica tra Ulrich ed Agathe in Musil. Appena i numeri crescono si passa alla setta e la pratica ferina finisce con l'irrompere con tutta la sua forza demoniaca; costringendo a correre ai ripari nel fenomenologico, dentro i limiti, ripassando per l'ennesima volta i fondamentali.

Sull'Anima: partendo dalla riflessione fondativa di LW credo anch'io che, invertendo i termini hegeliani della questione, la filosofia debba farsi fenomenologia dello spirito. Partendo dalla materia, non dallo spirito che ne è emanazione, come evoluzione insegna. Dalla terra, come esorta il misticismo nicciano. Da lì nasce l'infinito leopardiano che non atterrisce, ma dolcemente naufraga.


Esatto. Penso che ragionando così ci si avvicini molto nelle nostre rispettive posizioni.


ps
Non ho ben capito non avendolo letto i riferimenti all'uomo senza qualità, e non ho capito la storia dell'animalità all'interno della fenomenologia. Ma ok en passant.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: green demetr il 06 Marzo 2020, 17:06:28 PM
Allora paul vedo che nel frattempo che scrivevo hai aggiunto una risposta, ti rispondo subito dopo dunque.


per ora:




Buonasera Paul, ecco infine l'ultimo commento al post di risposta #192.






cit Paul

"L'impossibilità della risposta "chi sono io?" è l'impossibilità tutta moderna di pensare che la natura, la matericità siano e diano le risposte riponendo nella tecnica la salvezza. L'esistenza si esplica anch'essa come apparenza, si nasce si muore, come la materia come i cicli della natura, Ma noi non rientriamo nei cicli perpetui della natura ,se non magari con altre spoglie mortali, divenendo altro da-sè. E per me questa è una grossa aporia logico metafisica.


Alcuni filosofi necessariamente se non vogliono parlare della semiologia delle mode, dei gossip, , ma vogliono fare filosofia, ritornano indietro ripensando alla metafisica antica,semmai cercando di capire e migliorare. La filosofia naturale materica ha fatto il suo tempo,visto che sussiste da almeno quattro secoli a questa parte, e non ha dato nemmeno risposte alle pratiche, anzi ha creato caos e confusione, ha creato vuoti colmati apparentemente dalle scienze moderne."




Certo l'impossibilità di cui parlavo era relativa proprio al soggetto in sè. Ma è facilmente traslabile al soggetto che si fà soggetto come se fosse un soggetto della tecnica.
L'idea della prassi che determina il soggetto, è insieme vero, e non vero. E' vero in quanto il soggetto come ben spiega marx (sulle orme dell'idealismo) è il risultasto della sovrastruttura, è un soggetto cioè passivo.
Ma al contempo è falso, in quanto il soggetto si pone si immagina come in sè. Come se il giovane me sia il vecchio me. Come se il me di ieri, è uguale a quello di oggi.
E' già in sè un fantasma, una fantasia, ma quello che pone in evidenza questa fantasma è che esista un punto di vista che lo possa permettere. Dunque c'è un centro di gravità, che io chiamo anima. Nessuna aporia perciò.


Ora questo centro di gravità credo sia quello che la metafisica classica cerchi fino a Cartesio. Laddove ciò che è unico diviene duale. Laddove il logos si spezza.
Certo anche Kant, ragionando sugli effetti più che le motivazioni del nostro, si finisce nella filosofia della mente, che così tanti consensi riceve oggi.
E appunto con Cartesio e Kant che si apre la modernità.


Capisco benissimo le tue preferenze.


La successiva critica tua alla fenomenologia in quanto figlia diretta della modernità, la intendo.
Ma io fenomenologia la intendo calata nel processo di storicizzazione dell'essere. Come Heidegger ha prospettato.
O almeno la manualistica di Heidegger.
Quindi la tua critica non mi infastidisce.
Una fenomenologia che si voglia credere chiave di volta del superamente del moderno, nemmeno mi interessa.


Ma sì anche io apprezzavo l'idea di Ceravolo, ma poi bisogna vedere nei fatti, nei discorsi come questa venga coniugata.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: green demetr il 06 Marzo 2020, 17:23:15 PM
cit Paul


" Mi avvento a dire che è l'accettazione stessa della condizione tragica umana il fine di Nietzsche, ma dentro la dignità e volontà di poter cambiare interiormente e non dipendere da
illusioni di al di là, con le proprie forze, consapevole delle possibilità e della propria tragedia: la salvezza è in se stesso."

Nessuna avventatezza Paul, hai colto esattamente il punto di fuoco della ricerca nicciana.

Per quanto riguarda la tua, la mia filosofia, ossia le filosofie metafisiche.

Io non penso siano morte. Certo Nietzche è un precursore di molta analisi, ma di fondo è un anti-metafisico.

Siamo agli antipodi nella costruzione del logos.

la costruzione del logos che cerchi, che cerco, deve anzitutto fare i conti con le ideologie. Per questo ritengo Nietzche inaggirabile.
E' l'unico che abbia fatto questo lavoro con nuova consapevolezza rispetto alla tradizione da cui parte (ossia i moralisti francesi, montaigne e company).

E' solo quando si supera l'ideologia che si può pensare ad una nuova metafisica.
Che non sia nociva come le precedenti.

La metafisica non può essere super-egoica.

E' questa l'unica cosa su cui chiedo di far attenzione.

E su cui vorrei far attenzione.

Quale è la differenza tra noi (io e heidegger e vorrei aggiunger te) e gli altri?

E' semplice, che mentre Nietzche guarda il fantasma e lo sorpassa. O meglio tenta di sorpassarlo e fallisce rimanendogli attorno.
Così il filosofo (metafisico) vuole il fantasma e lo vuole attraversare per intero.

Certo che è una filosofia possibile, certo che è un iter possibile.

Ma è molto pericolosa perchè il fantasma oscilla sempre tra la sua narrazione, e quello che la narrazione punta. Il fantasma diventa da puro a fantasma di qualcosa.

Fantamsa paranoico, fantasma schizofrenico, fantasma xxx etc...

La fìlosofia antica evita la schizofrenia del moderno, ma non riesce ancora ad evitare la filosofia del paranoico.
Di modo che ha sempre la forma di circolo, di un eterno ritorno.

Su questo ha ragione cacciari, l'eterno ritorno è il discorso della scimmia, giammai di Nietzche.

Ma il fantasma (il fantasma di x) va affrontato, NOI DOBBIAMO DISSOLVERLO.

Buon lavoro a entrambi.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: paul11 il 07 Marzo 2020, 00:40:18 AM
 Ante Scriptum
Per correttezza chiederei prima ai moderatori, in specifico a Lou che ha sollevato la questione, se ritengono percorribile ancora questa discussione. Se posso, suggerire direi di sì. Per il semplice fatto che si stanno esaminando le fondamenta di una possibilità di una percorribilità di una futura filosofia o forse  anche no.
Insomma indirettamente siamo ancora alla ricerca di una terza via, di una "terza rivoluzione" filosofica, ovviamente con tutta la modestia del caso.


Ciao Green,
il problema è che se  l'origine di una filosofia nasce da un io, da un sé,  o riesce ad esplicare correttamente l'umanità, la natura, gli universali, o costruisce una filosofia solipsistica, anche con tutte le buone intenzioni. O si riesce a trasmettere un proprio sé che corrisponde al sé condivisibile dall'umanità, o quel sé del singolo individuo è una diversità fra altri umani, non verrebbe condiviso, perché "particolare". Nietzsche, (mi si deve scusare se prendo esempio da lui , ma essendo molto noto....) sfonda come capacità di influenza, ma non costruisce una filosofia, perché cerca il presupposto per un''altra cultura, cerca un altra umanità, un altro uomo affinché possa successivamente e conseguentemente nascere una cultura nuova, sarebbe logica conseguenza.
Ha delle ottime ragioni ,per questo cerca di togliere la morale intesa come condizionamento e lasciare "nudo" l'uomo con la sua tragedia e serenità.


C'  è un'altra verità che bisogna sapere , ed è paradossale. L'uomo non cerca necessariamente una verità "vera", si possono spacciare delle false verità, l'importante è che l'uomo ci creda. E siamo ad un altro fondamento sostanziale importantissimo: perché l'uomo ha FEDE, ha necessità di credere in qualcosa? Facciamo pure un esempio storico. Assumiamo per ipotesi che non vi sia alcun archè, alcun dio, alcuna ragione in sé, alcun essere......... perché l'uomo ci crede nonostante tutto?
Basta togliere la morale per dire che dio non è, che l'essere non è, eccetera eccetera....?
L'uomo conosce davvero se stesso per essere origine e fine di una filosofia? La morale, l' etica, non sono i principi fondamentali, ma sono la diretta conseguenza di come si pongono le fondamenta ontologiche. Gli uomini si comportano nella condizione che il dettato dottrinario, culturale in qualche modo gli pone e gli impone. Marx sbaglia sottovalutando la "sovrastruttura", perché è questa che detta se il profitto è morale  o immorale, non è la fredda matematica finanziaria che muove un popolo che giustifica i modi pratici di fare che  invece derivano dal credere, da una fede.
Il meccanismo di aggancio della fede a qualcosa appartiene alla sfera intima ,psichica, anima, spirito, poca importanza  ha in questo contesto la denominazione, e non c'è psicanalista che possa spiegarlo, perché ci avrebbero già "fottuti" mentalmente quelli che hanno potere di usarla per governare le masse. Perchè questa cultura l'ha bollata come irrazionale, perché come la libertà è incondizionata, nonostante si tenti di condizionarla in tutti i modi. E tende ad andare oltre il fattuale, ad oltrepassarlo . Che cosa è una coscienza di classe ad esempio se non una consapevolezza, e una consapevolezza è qualcosa di più di una conoscenza logica, è una conoscenza che fa parte di noi, è intrioettata e costituisce da quel moneto una identità personale che ci coinvolge nei comportamenti.
Quì ha fallito Marx e tutti i rivoluzionari, non è SOLO la condizione economica che fa prendere coscienza, tutt'altro, la condizione economica crea desideri che il consumo appaga dichiarando nuovi desideri e si finisce nella "coscienza infelice" di Hegel. Ha più ragione Nietzsche, si parte dall'uomo se vogliamo cambiare il mondo, un mondo nuovo non può avvenire con uomini conformisti a vecchi modelli culturali. Per questo Nietzsche non sopporta comunismo e socialismo.
La sovrastruttura è "la cappa culturale" in cui è immerso l'uomo,bella o brutta, giusta o a sbagliata.


Forse capisco cosa intenderesti tu come fenomenologia intesa in senso heideggeriana, come movimento dell'anima(essere) che si esplica nell'esistenza fisica, Per cui l'uomo stesso è rappresentativo sia del sensibile, essendo diveniente nel tempo  e dall'altra è pure rappresentativo psichico, anima, spirito, come essere. Infatti il titolo "Essere e tempo" di Heidegger ,racchiude l'ontologia dell'essere nel percorso di senso della vita, nel tempo diveniente.
Si tratta di capire ,se il riferimento fosse Heidegger, dove sono i punti di forza e di debolezza del suo pensiero. Non so, perché non ho un'approfondita conoscenza su Heidegger ancora purtroppo,e non so se ha superato chi lo ha ispirato: Nietzsche più  ancora del suo maestro Husserl.


Nietzsche, e penso abbia ragione Heidegger, è l'ultimo dei metafisici,non è anti metafisico. Perchè cerca di calare la metafisica nell'esistenza umana, quello che tenterà di fare  a suo modo Heidegger.
Tolgono il soprasensibile, Nietzsche soprattutto nasconde i termini ontologici all'interno di frasi aforistiche esprimendo la definizione senza nominarlo. Anche Vito C, non utilizza il termine metafisica, ontologia, ecc. ma questo è solo un modo di glissare , ma il movimento di una architettura filosofica ha comunque necessità di elementi dichiarativi e di definizioni, per quanto si possano far rimanere in sospeso frasi  e termini, ma alimenterebbero interpretazioni ambigue, persino contrastanti rispetto alla volontà dell'autore. Non è nascondendo  i termini che un autore può dichiarasi metafisico o meno, ma come relazione fra loro significazioni, sensi, dichiarazioni.
In Nietzsche la natura ad esempio è simbolica e parla agli animali , è dietro l'allegoria e la metafora che si rivela il significato, come nella Genesi biblica..


Forse non si può togliere una ideologia in termini culturali, lo si può fare nei termini della prassi politica forse , non in filosofia. Le idee sono dentro la filosofia, da sempre, sono dentro le nostre menti. Sono le connessioni delle nostre diverse credenze che formano un insieme che ci fanno credere in qualcosa e negare altre cose. Arrivo a dire che forse è una necessità, quanto lo è il pensare, quanto lo è appunto costruire in noi un carattere, una personalità. Una ideo-logia non la intendo qundi solo in termini di filosofia politica. Non posso dire dell'essere se mentalmente, o se vuoi come anima, non me ne sia fatto una idea e un'idea non è fattuale, ma daccapo la oltrepassa.


Non so cosa tu intenda per filosofia super egoica? Una astrusa concezione filosofica che nulla tange nelle pratiche? Se fosse così muoiono come nascono. Perchè sarebbero solipsistiche , incondivisibili socialmente, aborrite dall'umanità.
Qualunque filosofia che voglia lasciare il segno nella storia deve avere una verità intima interna, diversamente non è accettata. Deve persuadere chi lo legge, deve rendere condivisibile la comunicazione fra autore e lettore, il transfert psicanalitico è sempre presente nella comunicazione.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: green demetr il 08 Marzo 2020, 00:27:31 AM
Ciao Paul,


lascerei perdere l'etichettazione di Nietzche, a me interessa il suo contributo.
Certo Heidegger ritiene Nietzche un metafisico perchè ritiene che la sua volontà di potenza sia una volontà di potenza di qualcosa (in questo senso è un metafisico), e non dell'essere in sè. Come giustamente ha fatto notare Volpi, Heidegger usa la filosofia altrui solo per far emergere quello che interessa a lui per distinzione. Ma Nietzche è un anti-metafisico, nel suo orizzonte non esiste alcun Dio.


Ricordiamoci che Heidegger fu il primo che lavorò alla risistemazione della volontà di potenza, assemblato malamente dalla sorella. Oggi di quel lavoro restano i frammenti postumi, che devo ancora affrontare, essendo l'ultima spiaggia nicciana.


Ma questo en passant.


Il punto vero e torniamo a noi, sono le domande che mi poni, sulla fattibilità di creare una filosofia che non cada (e per te inevitabilmente cade in una certo qual modo) nel solipsismo.


Capisco la tua perplessità, ma a mio modo di vedere questa perplessità è dovuta alla schisi del soggetto.
Tu pensi che la filosofia sia di un soggetto, ma la verità è che è il soggetto stesso che si fa carico di una filosofia che lo attraversa animicamente.
Certo che ognuno ha la sua filosofia, ma è la struttura che ci accomuna, ossia la relazione col fantasma, con la narrazione tout court di quel soggetto.


Mi pare che tu creda in una sorta di soggetto universale, abitato da una morale trascendente, e che proprio quella trascendenza sia la sua morale.


Partire da questa premessa è pericolosamente simile che partire dalla metafisica classica.


Non è tanto che la metafisica classica sia inutile, tutt'altro, e fai bene a rileggere Platone, lo stesso Heidegger lo rilegge.
Ma si tratta di non cadere vittima delle morali che invece che essere in armonia con lo spirito sono mimesi della volontà di dominio sull'altro.


Come si fa a distinguere cosa è natura e cosa no? Cosa circoscrive il tabuico? se non che il totemico stesso.
E il totemico è l'universale.
Presunto universale, in me queste presunzioni non combaciano nella maniera più assoluta. E anzi ci vedo lo stesso problema della teologia politica (vedi agamben sulla scorta di Schmitt).


Non so se sei in grado di illustrarmi una metafisica che non parta da un giuridico, e ogni giuridico è già di per sè l'inizio del dominio dell'uno sull'altro. (ancora Agamben)

Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 08 Marzo 2020, 15:09:31 PM
Marx sbaglia ?!  ;D

Basta lo strumento con cui stiamo comunicando e come esso influisca su asset irrinunciabili anche della filosofia (soggetto-oggetto; io-sé-es) per capire quanto avesse ragione. Poi ci sono quisquilie come l'economia, l'ecologia e la (ri)composizione di classe... Idealisti su Marte !
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 09 Marzo 2020, 10:32:47 AM
Quanto la struttura influenzi la sovrastruttura lo dimostra quel piccolo grumo di materia  dai molti nomi scientifici, popolarmente noto come coronavirus. Perfino il capo supremo della più ubiquitaria religione mondiale ha dovuto subordinarvi le proprie liturgie, pretenziosamente salvifiche, passandole sotto le forche caudine della (vituperata) tecnoscienza della comunicazione  ;D
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: viator il 09 Marzo 2020, 12:39:00 PM
Salve Ipazia. Sacrosanto. Ma siamo tutti - chi più e chi meno - contradditorii.
Pensa che anche Marx si diede da fare nel cercare di costruire una sovrastruttura che non tenesse conto di certe strutture naturalissime ma purtroppo umanamente sgradevoli per le maggioranze. Saluti.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ipazia il 09 Marzo 2020, 13:35:54 PM
Citazione di: viator il 09 Marzo 2020, 12:39:00 PM
Salve Ipazia. Sacrosanto. Ma siamo tutti - chi più e chi meno - contradditorii.
Pensa che anche Marx si diede da fare nel cercare di costruire una sovrastruttura che non tenesse conto di certe strutture naturalissime ma purtroppo umanamente sgradevoli per le maggioranze. Saluti.

Per le maggioranze espropriate che le "strutture naturalissime" le vivono attraverso i laminatoi della struttura e propaganda dominante. Purtroppo liberarle non è semplice come i comunisti pensavano e il coronavirus ha preso anche loro, con tonfi clamorosi, quando la storia ha offerto l'occasione. Non restano che i filosofi ... ma ben radicati nella struttura naturale. Che non è quella dell'accumulazione capitalistica.

Direi che alla fine l'unica filosofia che conta è quella che le rivoluzioni le fa sul campo: la marxista filosofia della prassi a partire dalla nicciana terra e via via sovrastrutturando.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: viator il 09 Marzo 2020, 21:17:16 PM
Salve green demetr. Citandoti : "Come si fa a distinguere cosa è natura e cosa no?".Non so quanti anni di studi e/o riflessioni tu abbia dedicato alla filosofia, ma se uno dei risultati è (senza offesa) una simile domanda interiore (come domanda esteriore risulterà semplicemente provocatoria, come appunto mi sembra di star constatando)................!!. TUTTO E' INSCRITTO NELLA NATURA, e ciò è confutabile solamente se si riesce a dimostrare l'esistenza attuale o (diciamo così, "trascorsa") di qualcosa che sia risultato preesistente alla natura stessa.

Poi : " Cosa circoscrive il tabuico?". Beh...qui la risposta è a livello di scolaretto : la masturbazione (attività che è una delle conseguenze e sviluppi (nonchè inviluppi) di una delle più elevate, complesse, immaginifiche funzioni psicomentali.

Quindi : " ......se non che il totemico stesso".  Cioè, semplicemente, il maschilistico emblema fallico dello strapotere patriarcale. Così (forse) è se vi pare. Saluti.
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: green demetr il 10 Marzo 2020, 19:37:45 PM
Citazione di: viator il 09 Marzo 2020, 21:17:16 PM
Salve green demetr. Citandoti : "Come si fa a distinguere cosa è natura e cosa no?".Non so quanti anni di studi e/o riflessioni tu abbia dedicato alla filosofia, ma se uno dei risultati è (senza offesa) una simile domanda interiore (come domanda esteriore risulterà semplicemente provocatoria, come appunto mi sembra di star constatando)................!!. TUTTO E' INSCRITTO NELLA NATURA, e ciò è confutabile solamente se si riesce a dimostrare l'esistenza attuale o (diciamo così, "trascorsa") di qualcosa che sia risultato preesistente alla natura stessa.

Poi : " Cosa circoscrive il tabuico?". Beh...qui la risposta è a livello di scolaretto : la masturbazione (attività che è una delle conseguenze e sviluppi (nonchè inviluppi) di una delle più elevate, complesse, immaginifiche funzioni psicomentali.

Quindi : " ......se non che il totemico stesso".  Cioè, semplicemente, il maschilistico emblema fallico dello strapotere patriarcale. Così (forse) è se vi pare. Saluti.


Non ho capito se è una provocazione (e a me sembra di sì) o meno.


Sulla questione della natura, ho già scritto molto, o non mi leggi, probabile, o non ti interessa confrontarti con me.
Dire che la natura è i grande contenitore di tutto mi pare apodittico e poco argomentato, se vuoi possiamo aprire una discussione in merito, ti aggiungerò ai pochi a cui interessa, ossia nessuno.
Foss'anco la mia una posizione individuale, sta a te scegliere se confrontarti o meno con me.


Non mi interessano le polemiche non pensate. O ci ragioni sopra o io passo, ti assicuro che io sono sempre aperto alle considerazioni altrui.


Perciò ti reinvito a dire qualcosina in più.


Sul tabuico essendo tale, non credo che ci sia la minima possibilità di parlarne. Leggiti Levi-Strauss e tutta la letteratura ad esso relata. E per allusioni parlamene, ma quello che hai scritto non ha alcun senso. Sorry.



Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 15 Marzo 2020, 15:24:23 PM
Ciao a tutti,
solo per segnalarvi che da questa nostra discussione ho tratto un articolo pubblicato oggi su
https://filosofiaenuovisentieri.com/2020/03/15/reazioni-a-pensieri-che-cambiano-inaspettatamente-la-propria-cultura/

Oh, sì... ho poi tralasciato il proseguo del dibattito, non per disinteresse, ma perché mi avevate già dato tantissimi dati su cui riflettere... Spero comunque vi faccia piacere sapere che i nostri pensieri sono stati spunto per un piccolo e umile articolo.

A presto
VjC
Titolo: Re:Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica
Inserito da: Ivo Nardi il 16 Marzo 2020, 16:58:08 PM
Da questo momento è presente anche su Riflessioni.it nella rubrica Riflessioni Filosofiche
Reazioni a pensieri che cambiano inaspettatamente la propria cultura di Vito J. Ceravolo