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LOGOS - Argomenti => Tematiche Filosofiche => Discussione aperta da: Angelo Cannata il 05 Settembre 2017, 14:01:35 PM

Titolo: Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: Angelo Cannata il 05 Settembre 2017, 14:01:35 PM
Penso che sia corretto deviare a parte questa discussione, che ho iniziato all'interno di quella su Essere o non essere, perché in effetti si tratta di una questione abbastanza a sé.

Nel mio post con cui ho avviato la questione, ho evidenziato, in sintesi, che il tempo mette in questione l'attendibilità della nostra memoria e, di conseguenza, la certezza che possiamo attribuire ai giudizi analitici a priori.

sgiombo ha risposto, se ho compreso bene, facendo osservare che, nel momento in cui io, andando a controllare se il giudizio corrisponde alla definizione, esprimo un interrogativo, o un dubbio, tale
Citazione di: sgiombo il 05 Settembre 2017, 08:41:05 AM... giudizio degno di dubbio ("sto eseguendo correttamente un giudizio analitico a priori") é un giudizio sintetico a posteriori

La mia obiezione è la seguente.

A me sembra che l'andare a controllare se il giudizio corrisponde alla definizione sia un'operazione necessaria. Quindi anche il giudizio degno di dubbio che ne nasce è un'operazione necessaria. Quindi tale giudizio sintetico a posteriori è necessario.

Se questo controllo non avvenisse, ne conseguirebbe un attribuire certezza al giudizio analitico a priori senza aver effettuato alcun controllo. Una tale attribuzione di certezza mi sembrerebbe alquanto debole da difendere.

Una volta che quindi 1) il controllo è necessario, inevitabile, affinché si dia giudizio analitico apriori degno di questo nome, e 2) considerato che da tale controllo scaturisce inevitabilmente un giudizio sintetico a posteriori, ne consegue che non è possibile produrre giudizio analitico a priori che non comporti in se stesso un giudizio sintetico a posteriori. In altre parole, un  giudizio analitico a priori non può fare a meno di basarsi su un giudizio sintetito a posteriori, perché altrimenti manca il controllo.
Ma il giudizio sintetico a posteriori non garantisce certezza.
Ne segue che il giudizio analitico a priori non può fare a meno di basarsi su un giudizio che è incerto.
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: sgiombo il 05 Settembre 2017, 21:36:40 PM
Non confonderei i giudizi sintetici a posteriori e quelli analitici a priori.

I primi sono dubitabili e sono predicazioni circa i fatti reali (possono essere vere, possono essere false, non sono necessariamente vere né necessariamente false).

I secondi (se vengono correttamente svolti; e, poiché si tratta di un eventuale fatto reale, lo stabilirlo implica -anzi: é- un giudizio sintetico a posteriori) sono certi (salvo Goedel), in quanto (sempre se vengono correttamente svolti; e, poiché si tratta di un eventuale fatto reale, lo stabilirlo implica -anzi: é- un giudizio sintetico a posteriori) non fanno che esplicitare conseguenze di già contenute implicitamente nelle premesse (questo si intende per giudizio analitico a priori correttamente svolto: nessuna conoscenza di come sia o non sia, divenga o non divenga la realtà ma certezze condizionate e ipotetiche; lo stabilire se accade o meno -il fatto- che un giudizio analitico a priori sia correttamente svolto, e dunque certamente vero, é un giudizio sintetico a posteriori, portatore forse di conoscenza, ma dubbio).

Conclusione: di nessuna conoscenza circa i fatti, circa la realtà si può essere assolutamente certi: lo scetticismo (la bubitabilità circa qualsiasi conoscenza di ciò che é/accade realmente o meno) non é razionalmente superabile.
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: green demetr il 06 Settembre 2017, 11:52:43 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 05 Settembre 2017, 14:01:35 PM
Una volta che quindi 1) il controllo è necessario, inevitabile, affinché si dia giudizio analitico apriori degno di questo nome, e 2) considerato che da tale controllo scaturisce inevitabilmente un giudizio sintetico a posteriori, ne consegue che non è possibile produrre giudizio analitico a priori che non comporti in se stesso un giudizio sintetico a posteriori. In altre parole, un  giudizio analitico a priori non può fare a meno di basarsi su un giudizio sintetito a posteriori, perché altrimenti manca il controllo.
Ma il giudizio sintetico a posteriori non garantisce certezza.
Ne segue che il giudizio analitico a priori non può fare a meno di basarsi su un giudizio che è incerto.

La certezza non risiede nel giudizio a posteriori, ma nella purezza del giudizio stesso.

Ossia formalmente (per questo ritengo Kant un formalista di base) e per induzione, La Ragione ammette a se stessa, che esistono delle forme tramite le quali noi acquisiamo i dati empirici di certezza.

Queste forme sono gli apriori, cioè qualità che vengono prima del soggetto razionale.

In questo senso hai ragione Angelo il soggetto è vittima del suo mondo fenomenico e non può uscirne. Ma neppure negare.

E' il problema fondamentale che con il mio amico kantiano abbiamo fissato, e cioè come queste forme apriori o meglio ancora come L'Oggetto (esterno alla percezione) possa essere correttamente dimostrato.

Infatti l'apriori non giustifica l'Oggetto (il das Ding).

La cosa che mi irrita di Kant, ma per cui inevitabilmente non lo si può non stimare, è che egli ha costruito un mondo fenomenico totalmente soggettivo, e perciò altamente problematico, sulle questioni più ardue, come quelle dell'estetica.


Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: Angelo Cannata il 06 Settembre 2017, 14:41:18 PM
Verso la fine del mio intervento iniziale avevo scritto che il problema tempo investe in realtà non soltanto i giudizi analiti apriori, ma qualsiasi forma di pensiero, anche la più elementare che riusciamo ad immaginare, sempre per il fatto che qualsiasi pensiero richiede comunque il trascorrere di un lasso di tempo, infinitesimale per quanto esso possa essere.

In sostanza, anche un solo neurone del nostro cervello richiede del tempo per potersi attivare, fosse anche un miliardesimo di miliardesimo di secondo. Tempo significa un minimo di due momenti; minimo di due momenti significa che qualsiasi fedeltà o permanenza tra i due momenti è a rischio di infedeltà, impermanenza, smemoratezza.

Da qui la conclusione che ci è impossibile essere certi non solo di 1=1 come giudizio analitico apriori, non solo di 1=1 come premessa, ma anche semplicemente di 1.

Ciò non va confuso con un'affermazione di certezza del dubbio: si tratta soltanto di un'incertissima impressione, derivata dal ragionamento qui sopra esposto, che finora sembra verificarsi riguardo ad ogni cosa che vogliamo provare a pensare come certa.
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: green demetr il 07 Settembre 2017, 11:05:51 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 06 Settembre 2017, 14:41:18 PM
Verso la fine del mio intervento iniziale avevo scritto che il problema tempo investe in realtà non soltanto i giudizi analiti apriori, ma qualsiasi forma di pensiero, anche la più elementare che riusciamo ad immaginare, sempre per il fatto che qualsiasi pensiero richiede comunque il trascorrere di un lasso di tempo, infinitesimale per quanto esso possa essere.

In sostanza, anche un solo neurone del nostro cervello richiede del tempo per potersi attivare, fosse anche un miliardesimo di miliardesimo di secondo. Tempo significa un minimo di due momenti; minimo di due momenti significa che qualsiasi fedeltà o permanenza tra i due momenti è a rischio di infedeltà, impermanenza, smemoratezza.

Da qui la conclusione che ci è impossibile essere certi non solo di 1=1 come giudizio analitico apriori, non solo di 1=1 come premessa, ma anche semplicemente di 1.

Ciò non va confuso con un'affermazione di certezza del dubbio: si tratta soltanto di un'incertissima impressione, derivata dal ragionamento qui sopra esposto, che finora sembra verificarsi riguardo ad ogni cosa che vogliamo provare a pensare come certa.

No Angelo non ci siamo, il tuo fraintendimento su Kant è totale.

Il sistema di Kant nasce proprio dall'ambizione di creare un sistema di pensiero della stessa potenza di quello matematico.

Quando dici 1, non passa del tempo tra la percezione e l'attivazione del cervello.
Infatti il numero non è una percezione, ma un apriori.
E' quindi già presente nella mente. E' quindi certo.

Lo stesso concetto di tempo, è un apriori, non lo avevi detto anche tu?
Anche il tempo è certo, in quanto è già presente nella mente come intuizione.

Ti prego di ripensare a quello che scrivi.
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: sgiombo il 07 Settembre 2017, 14:33:10 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 06 Settembre 2017, 14:41:18 PM
Verso la fine del mio intervento iniziale avevo scritto che il problema tempo investe in realtà non soltanto i giudizi analiti apriori, ma qualsiasi forma di pensiero, anche la più elementare che riusciamo ad immaginare, sempre per il fatto che qualsiasi pensiero richiede comunque il trascorrere di un lasso di tempo, infinitesimale per quanto esso possa essere.

In sostanza, anche un solo neurone del nostro cervello richiede del tempo per potersi attivare, fosse anche un miliardesimo di miliardesimo di secondo. Tempo significa un minimo di due momenti; minimo di due momenti significa che qualsiasi fedeltà o permanenza tra i due momenti è a rischio di infedeltà, impermanenza, smemoratezza.

Da qui la conclusione che ci è impossibile essere certi non solo di 1=1 come giudizio analitico apriori, non solo di 1=1 come premessa, ma anche semplicemente di 1.

Ciò non va confuso con un'affermazione di certezza del dubbio: si tratta soltanto di un'incertissima impressione, derivata dal ragionamento qui sopra esposto, che finora sembra verificarsi riguardo ad ogni cosa che vogliamo provare a pensare come certa.
CitazioneCaro Angelo, come altre volte, il tuo monismo materialistico (che non condivido) ti induce a confondere due cose ben diverse (anche se non può darsi l' una senza l' altra e viceversa) come il cervello e la coscienza (e nel suo ambito in particolare il pensiero).

La neurofisiologia é una cosa, la teoria (filosofica) della conoscenza (gnoseologia, epistemologia) é un' altra ben diversa cosa; la prima non può sostituirsi alla seconda nel criticare la possibilità, le condizioni, il significato, i limiti della conoscenza. E viceversa per quanto riguarda lo studio scientifico del cervello.
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: Angelo Cannata il 08 Settembre 2017, 00:58:13 AM
@green demetr
La mia intenzione non è interpretare fedelmente Kant, ma esaminare la validità, oggi, per me, di ciò che sembrerebbe valere per i giudizi analitici a priori, cioè la loro capacità di possedere certezza.

@sgiombo
Seguendo le tue indicazioni è facile essere d'accordo anche con quanto ha appena scritto green demetr: si tratta di fenomeni senza tempo.

Ma cos'è un'idea se pretendiamo di prenderla in considerazione indipendentemente dal fatto che essa sia il prodotto di un'attività del cervello? Di quali idee stiamo parlando allora? Mi sembra che in questo caso l'unica possibilità che rimane è Platone. Nel suo mondo delle idee tutto funziona a dovere perché è un mondo autonomo dalla mente umana.

Ripeto: io non intendo attenermi a un'interpretazione fedele né di Kant, né di Platone. Desidero solo esplorare se oggi, per noi esseri umani di oggi, è possibile parlare di certezze assolute.
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: paul11 il 08 Settembre 2017, 10:16:03 AM
Angelo C.
Possono esserci degli assoluti;  francamente dire , postulare una "certezza" significa non potere più interpretare quella"certezza", perchè diviene inamovibile.
Gli assoluti sono possibili solo ai livelli più astratti , come "Uno" se giustificato da essenze sintetiche dialettiche, non kantiane(perchè le sintesi a sua interpretazione è esperienza del vissuto).

Vediamo se riesco a spiegarmi meglio in poche parole.
Se tolgo i livelli astratti tipici delle ontologie  metafisiche, allora la gnoseologia diventa relativistica.
Perchè il solo vissuto esistenziale,  le forme assiomatiche "creative" dei fondamenti su cui sono state costruite le geometrie e le matematiche moderne, sono molto "plastiche", nel senso di modellabili nella forma rappresentativa della realtà.
Sparisce la certezza di sicuro, e gli assoluti sono relativi ad un tempo in cui sono stati formulati gli assiomi fondativi e fino a nuovi altri assiomi che rimodellino le forme rappresentative . Il fascino di questo sistema anzidetto, è la creatività: ma non è vero che sia un sistema esperienziale delle pratiche , alla fine è fortemente metafisico come gli "oggetti" quantistici o le nuove geometrie non euclidee

Il grande problema esistenziale, sono nelle pratiche, non essendoci teoretiche "assolute" (non dico nemmeno certe): Non esistono più
paradigmi perchè non esiste una gerarchia teoretica ,tutte le forme si sostanziano nelle pratiche sullo stesso piano, per cui vince o la persuasione della retorica, oppure il "più forte" come potere (culturale, politico ,economico, ecc).
Perchè le pratiche sono rimaste essenzialmente funzional gerarchiche: questo è un problema che  Green cerca di capire come "oggetto" politico-social-culturale.

E' come se il cielo fosse crollato e l'uomo fosse ancora più solo.

Il problema di una spiritualità "in assenza del cielo", quindi di assoluti, come penso sia quella che tu vai cercando, presuppone comunque che ogni uomo, l'umanità, abbia questo qualcosa che non è definibile e quindi rischia a sua volta di cadere nelle opinioni teoriche e ricade nella pratiche come individualizzazione come sta accadendo per tute le pratiche.
Insomma la perdita di "assoluti" disintegra le pratiche come "comunità" sociale, perchè manca il cemento culturale.
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: sgiombo il 08 Settembre 2017, 12:31:20 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 08 Settembre 2017, 00:58:13 AM

@sgiombo
Seguendo le tue indicazioni è facile essere d'accordo anche con quanto ha appena scritto green demetr: si tratta di fenomeni senza tempo.
CitazioneScusa, ma dove mai avrei scritto che i fenomeni mentali (e i fenomeni in generale, anche materiali) sarebbero "senza tempo" ? ! ? ! ? !

Ho anzi sempre affermato a chiare lettere l' esatto contrario, in questa discussione e ancor più in tante altre nelle quali mi sono divertito a "strapazzare" Severino e il suo "fissismo similparmenideo"!




Ma cos'è un'idea se pretendiamo di prenderla in considerazione indipendentemente dal fatto che essa sia il prodotto di un'attività del cervello? Di quali idee stiamo parlando allora? Mi sembra che in questo caso l'unica possibilità che rimane è Platone. Nel suo mondo delle idee tutto funziona a dovere perché è un mondo autonomo dalla mente umana.
CitazioneMa cos' é il cervello, con le sue attività, se pretendiamo di prenderlo in considerazione indipendentemente dal fatto che esso sia un insieme-successione di sensazioni fenomeniche o "dati di coscienza"?

"Esse est percipi"! (Berkeley)

Il cervello, con le sue attività (neurofisiologiche), produce (causa) unicamente contrazioni muscolari (e al limite secrezioni ghiandolari) che costituiscono il comportamento (umano o animale), constatabile, verificabile nell' ambito delle esperienze fenomeniche coscienti di "osservatori" diversi dal "titolare" del cervello in questione, esperienze coscienti che sono dunque altre e ben diverse da quella del "titolare" del cervello osservato", l' unica che comprenda le "idee" (pensieri; ed anche esperienze fenomeniche materiali) in questione; le quali possono benissimo essere prese in considerazione indipendentemente dal cervello in questione, trattandosi di cose (fenomeniche entrambe) reciprocamente ben diverse, anche se necessariamente non possono accadere le une senza che accadano le altre e viceversa).

Platone e le su idee non entrano porprio per nulla: stiamo parlando di ben concreti e reali pensieri accadenti nell' ambito di una determinata esperienza fenomenica cosciente (di un potenziale "osservato"), ai quali necessariamente coesistono e biunivocamente corrispondono (se si compiono le appropriate osservazioni), ma con i quali non affatto si identificano, né ne "emergono", né vi "sopravvengono", nell' ambito di altre, ben diverse esperienze fenomeniche coscienti, quelle di potenziali "osservatori", determinati eventi neurofisiologici in un determinato cervello: tutt' altro, per quanto necessariamente in corrispondenza biunivoca!




Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: Angelo Cannata il 09 Settembre 2017, 09:16:27 AM
Forse c'è un particolare problema che rende tutte queste questioni pressoché impossibili da risolvere. Mi sembra che si tratti di un inganno della  nostra logica. L'inganno consiste nel pensare che certi concetti che ci sembrano più semplici siano effettivamente talmente semplici da poter essere adoperati con tranquillità per lavorare su altri concetti che riteniamo più complessi. Naturalmente l'inganno maggiore in proposito viene a verificarsi nel concetto che si presta ad apparire il più semplice di tutti: il concetto di essere. Parmenide se ne servì per formulare il principio di non contraddizione, ma senza essere prima pervenuto ad alcuna definizione di esso in grado di dimostrarne l'effettiva semplicità.
D'altra parte, proprio l'atto del definire, che è il mestiere dei vocabolari, mostra un'evidente contraddizione: in ogni vocabolario le definizioni sono praticamente sempre più lunghe della parola da definire, già per il semplice fatto che la parola da definire è una sola; sono rare le voci di vocabolario che definiscono una parola servendosi di un'altra unica parola. In questo senso, ogni definizione di qualsiasi parola non può fare a meno di evidenziarne la complessità, visto che non può fare praticamente a meno di essere più lunga della parola da definire. La contraddizione consiste nel fatto che la definizione di una parola dovrebbe servire a semplificarne l'uso, chiarificarne il significato; ma se l'espressione del significato è sempre più lunga della parola da definire, la definizione, invece di avere una funzione chiarificatrice, assume la funzione di esplicitazione delle complessità che quella parola contiene.
Qualcosa di simile avviene nella nostra storia mentale: noi nasciamo con una mente già complessa, con strutture complicatissime già predisposte, quindi come possiamo pensare di giungere a idee oggettivamente semplici?
Di conseguenza, se vogliamo discutere di certezza dei giudizi analitici apriori, dovremmo per lo meno prima prendere atto della complessità del termine "certezza", per non dire dei termini "giudizio", "analitico", "apriori".
Ora, se già concetti come "certezza" ed "essere" sono complicatissimi, a dispetto del loro apparire elementari, al servizio delle basi del pensare, che senso ha discutere di metafisica, relativismo, assolutezza?
A pensarci bene, mi sembra che complessità alla fine non significhi altro che relatività. Un concetto, o qualsiasi altra cosa, può apparirci semplice, elementare, solo nel momento in cui trascuriamo, dimentichiamo le complessità che esso è in grado di suscitare nella nostra mente. È un fenomeno simile a quello del dire che ore sono: pensiamo di poterlo fare solo perché trascuriamo la precisione dei secondi o dei miliardesimi di secondo: se vogliamo dire che ore sono con precisione assoluta, siamo costretti a concludere che ciò è impossibile, perché qualsiasi metodo dovrà attuarsi nel tempo; ma attuarsi nel tempo significa un lasso di tempo, che quindi conterrà inenvitabilmente un prima e un dopo, in modo tale che sarà impossibile stabilire il punto esatto in cui quell'ora è scoccata con assoluta precisione.

A parte queste osservazioni, mi sembra di individuare una contraddizione tra queste frasi:

Citazione di: sgiombo il 08 Settembre 2017, 12:31:20 PMle "idee" ... possono benissimo essere prese in considerazione indipendentemente dal cervello...

... stiamo parlando di ben concreti e reali pensieri...
Come si può pensare di parlare di pensieri concreti se li si considera distinti dal cervello? Un'idea presa in considerazione indipendentemente dal cervello può essere considerata un'idea concreta?
Inoltre, quanto alla considerazione di relazioni biunivoche, mi sembra che si ponga il problema della dimenticanza di cui ho detto sopra: qualsiasi relazioni biunivoca implica un controllo della fedeltà tra le componenti coinvolte, controllo che ha bisogno di attuarsi nel tempo e quindi non può garantire fedeltà.

Per quanto riguarda il non entrarci di Platone, eccolo qui:
Citazione di: sgiombo il 08 Settembre 2017, 12:31:20 PMle "idee" ... possono benissimo essere prese in considerazione indipendentemente dal cervello...
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: sgiombo il 09 Settembre 2017, 11:03:31 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 09 Settembre 2017, 09:16:27 AM
Forse c'è un particolare problema che rende tutte queste questioni pressoché impossibili da risolvere. Mi sembra che si tratti di un inganno della  nostra logica. L'inganno consiste nel pensare che certi concetti che ci sembrano più semplici siano effettivamente talmente semplici da poter essere adoperati con tranquillità per lavorare su altri concetti che riteniamo più complessi. Naturalmente l'inganno maggiore in proposito viene a verificarsi nel concetto che si presta ad apparire il più semplice di tutti: il concetto di essere. Parmenide se ne servì per formulare il principio di non contraddizione, ma senza essere prima pervenuto ad alcuna definizione di esso in grado di dimostrarne l'effettiva semplicità.
D'altra parte, proprio l'atto del definire, che è il mestiere dei vocabolari, mostra un'evidente contraddizione: in ogni vocabolario le definizioni sono praticamente sempre più lunghe della parola da definire, già per il semplice fatto che la parola da definire è una sola; sono rare le voci di vocabolario che definiscono una parola servendosi di un'altra unica parola. In questo senso, ogni definizione di qualsiasi parola non può fare a meno di evidenziarne la complessità, visto che non può fare praticamente a meno di essere più lunga della parola da definire. La contraddizione consiste nel fatto che la definizione di una parola dovrebbe servire a semplificarne l'uso, chiarificarne il significato; ma se l'espressione del significato è sempre più lunga della parola da definire, la definizione, invece di avere una funzione chiarificatrice, assume la funzione di esplicitazione delle complessità che quella parola contiene.
Qualcosa di simile avviene nella nostra storia mentale: noi nasciamo con una mente già complessa, con strutture complicatissime già predisposte, quindi come possiamo pensare di giungere a idee oggettivamente semplici?
Di conseguenza, se vogliamo discutere di certezza dei giudizi analitici apriori, dovremmo per lo meno prima prendere atto della complessità del termine "certezza", per non dire dei termini "giudizio", "analitico", "apriori".
Ora, se già concetti come "certezza" ed "essere" sono complicatissimi, a dispetto del loro apparire elementari, al servizio delle basi del pensare, che senso ha discutere di metafisica, relativismo, assolutezza?
CitazioneE perché mai non dovrebbe aver senso l' interessarsi di problemi (teorici in questo caso; ma anche pratici) complicati?

Se si tratta di problemi abbastanza interessanti non é fatica (mentale) sprecata ma bene profusa!



A pensarci bene, mi sembra che complessità alla fine non significhi altro che relatività. Un concetto, o qualsiasi altra cosa, può apparirci semplice, elementare, solo nel momento in cui trascuriamo, dimentichiamo le complessità che esso è in grado di suscitare nella nostra mente. È un fenomeno simile a quello del dire che ore sono: pensiamo di poterlo fare solo perché trascuriamo la precisione dei secondi o dei miliardesimi di secondo: se vogliamo dire che ore sono con precisione assoluta, siamo costretti a concludere che ciò è impossibile, perché qualsiasi metodo dovrà attuarsi nel tempo; ma attuarsi nel tempo significa un lasso di tempo, che quindi conterrà inenvitabilmente un prima e un dopo, in modo tale che sarà impossibile stabilire il punto esatto in cui quell'ora è scoccata con assoluta precisione.
CitazioneCredo che i pensieri siano (quale più quale meno) relativi se non altro perché costituiti da relazioni fra concetti (e relazioni fra concetti servono anche a definire altri concetti).

Certo, "tempus fugit" e conseguentemente ogni conoscenza (in senso proprio, circa ciò che realmente accade o meno: giudizi sintetici a posteriori) "si dilegua nello stesso suo accadere" (se accade).



A parte queste osservazioni, mi sembra di individuare una contraddizione tra queste frasi:

Citazione di: sgiombo il 08 Settembre 2017, 12:31:20 PMle "idee" ... possono benissimo essere prese in considerazione indipendentemente dal cervello...

... stiamo parlando di ben concreti e reali pensieri...
Come si può pensare di parlare di pensieri concreti se li si considera distinti dal cervello? Un'idea presa in considerazione indipendentemente dal cervello può essere considerata un'idea concreta?
Inoltre, quanto alla considerazione di relazioni biunivoche, mi sembra che si ponga il problema della dimenticanza di cui ho detto sopra: qualsiasi relazioni biunivoca implica un controllo della fedeltà tra le componenti coinvolte, controllo che ha bisogno di attuarsi nel tempo e quindi non può garantire fedeltà.
CitazioneDomando a mia volta:

Come si può pensare di parlare di pensieri concreti se li si considera indistinti dal cervello?

Il cervello é un organo di poco più di un chilo di colorito roseo-grigiastro, di consistenza molliccia, fatto di neuroni, cellule gliali, assoni, sinapsi vasi sanguigni, ecc., a loro volta fatti di molecole, atomi, particelle-onde subatomiche, campi di forza; invece il pensiero é fatto di concetti, nozioni, ragionamenti, inferenze induttive e/o deduttive, immaginazioni, speranze, timori, ecc.

Non proprio vedo come si possano confondere due generi di "cose" tanto diversi fra loro, solo per il fatto che l' una non accade senza che accada l' altra (e viceversa: non solo non si dà pensiero senza cervello vivo e funzionante, ma nemmeno si dà -del tutto parimenti!- cervello vivo e funzionante in determinati modi, per esempio non nelle modalità "sonno" o "distrazione" o "godimento estetico puro", ecc., senza pensiero).

Nemmeno il polo positivo di un magnete può darsi senza polo negativo e viceversa, ma non per questo non sono "cose" ben diverse (e in un certo senso "contrarie") fra loro!

L' idea (il ricordo, l' immaginazione) del mio gatto Attila nell' ambito della mia coscienza, che é ben altra cosa dello stato funzionale dl mio cervello mentre la penso nell' ambito di altre coscienze (per esempio della tua), almeno potenzialmente (e attualmente purché lo si vada ad esaminare), stato funzionale che inevitabilmente ad essa coesiste (ma é ben lungi dall' identificarsi con essa!), non può che considerarsi un' idea concreta (contrariamente al' idea astratta di "gatto").

Quello della incertezza d tutte le conoscenze (dell' insuperabilità razionale dello scetticismo) é tutt' altra questione.
Che vale per ogni e qualsiasi conoscenza. Ma se siamo qui a discutere e non ci lasciamo vivere passivamente, é evidentemente perché entrambi crediamo (fideisticamente, irrazionalmente) a (la verità di) determinate conoscenze (se tutto ciò accade, cosa dubitabile): tu per esempio (fra l' altro) nel monismo materialistico, io nel dualismo dei fenomeni - monismo del noumeno.

La relazione biunivoca fra esperienza cosciente e cervello é "controllata nella sua fedeltà" (dimostrata; se si crede alla conoscenza scientifica, inevitabilmente sulla base di talune premesse arbitrarie, non dimostrabili logicamente né mostrabili empiricamente) dalle moderne neuroscienze, soprattutto attraverso l' imaging neurologico funzionale -cervello- osservato in relazione ai resoconti introspettivi -coscienza, pensiero- delle "cavie umane" che studia).


Per quanto riguarda il non entrarci di Platone, eccolo qui:
Citazione di: sgiombo il 08 Settembre 2017, 12:31:20 PMle "idee" ... possono benissimo essere prese in considerazione indipendentemente dal cervello...
CitazioneMa che c' entra?

Platone riteneva (detto grossolanamente, "a spanne" perché é dai tempi ahimé lontani del liceo che non me ne interesso, e anche allora me ne sono interessato solo per dovere) che le idee esistessero eternamente in qualche luogo fisico (o meno verosimilmente metafisico: questa parola compare dopo Aristotele), indipendentemente dall' esistenza e dalle esperienze a posteriori degli uomini.

Mentre io credo che siano eventi mentali conseguenti l' esperienza degli uomini (non c' erano prima dell' umanità, non ci saranno dopo) .



Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: paul11 il 09 Settembre 2017, 14:06:13 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 09 Settembre 2017, 09:16:27 AM
Forse c'è un particolare problema che rende tutte queste questioni pressoché impossibili da risolvere. Mi sembra che si tratti di un inganno della  nostra logica. L'inganno consiste nel pensare che certi concetti che ci sembrano più semplici siano effettivamente talmente semplici da poter essere adoperati con tranquillità per lavorare su altri concetti che riteniamo più complessi. Naturalmente l'inganno maggiore in proposito viene a verificarsi nel concetto che si presta ad apparire il più semplice di tutti: il concetto di essere. Parmenide se ne servì per formulare il principio di non contraddizione, ma senza essere prima pervenuto ad alcuna definizione di esso in grado di dimostrarne l'effettiva semplicità.
D'altra parte, proprio l'atto del definire, che è il mestiere dei vocabolari, mostra un'evidente contraddizione: in ogni vocabolario le definizioni sono praticamente sempre più lunghe della parola da definire, già per il semplice fatto che la parola da definire è una sola; sono rare le voci di vocabolario che definiscono una parola servendosi di un'altra unica parola. In questo senso, ogni definizione di qualsiasi parola non può fare a meno di evidenziarne la complessità, visto che non può fare praticamente a meno di essere più lunga della parola da definire. La contraddizione consiste nel fatto che la definizione di una parola dovrebbe servire a semplificarne l'uso, chiarificarne il significato; ma se l'espressione del significato è sempre più lunga della parola da definire, la definizione, invece di avere una funzione chiarificatrice, assume la funzione di esplicitazione delle complessità che quella parola contiene.
Qualcosa di simile avviene nella nostra storia mentale: noi nasciamo con una mente già complessa, con strutture complicatissime già predisposte, quindi come possiamo pensare di giungere a idee oggettivamente semplici?
Di conseguenza, se vogliamo discutere di certezza dei giudizi analitici apriori, dovremmo per lo meno prima prendere atto della complessità del termine "certezza", per non dire dei termini "giudizio", "analitico", "apriori".
Ora, se già concetti come "certezza" ed "essere" sono complicatissimi, a dispetto del loro apparire elementari, al servizio delle basi del pensare, che senso ha discutere di metafisica, relativismo, assolutezza?
A pensarci bene, mi sembra che complessità alla fine non significhi altro che relatività. Un concetto, o qualsiasi altra cosa, può apparirci semplice, elementare, solo nel momento in cui trascuriamo, dimentichiamo le complessità che esso è in grado di suscitare nella nostra mente. È un fenomeno simile a quello del dire che ore sono: pensiamo di poterlo fare solo perché trascuriamo la precisione dei secondi o dei miliardesimi di secondo: se vogliamo dire che ore sono con precisione assoluta, siamo costretti a concludere che ciò è impossibile, perché qualsiasi metodo dovrà attuarsi nel tempo; ma attuarsi nel tempo significa un lasso di tempo, che quindi conterrà inenvitabilmente un prima e un dopo, in modo tale che sarà impossibile stabilire il punto esatto in cui quell'ora è scoccata con assoluta precisione.

A parte queste osservazioni, mi sembra di individuare una contraddizione tra queste frasi:

Citazione di: sgiombo il 08 Settembre 2017, 12:31:20 PMle "idee" ... possono benissimo essere prese in considerazione indipendentemente dal cervello...

... stiamo parlando di ben concreti e reali pensieri...
Come si può pensare di parlare di pensieri concreti se li si considera distinti dal cervello? Un'idea presa in considerazione indipendentemente dal cervello può essere considerata un'idea concreta?
Inoltre, quanto alla considerazione di relazioni biunivoche, mi sembra che si ponga il problema della dimenticanza di cui ho detto sopra: qualsiasi relazioni biunivoca implica un controllo della fedeltà tra le componenti coinvolte, controllo che ha bisogno di attuarsi nel tempo e quindi non può garantire fedeltà.

Per quanto riguarda il non entrarci di Platone, eccolo qui:
Citazione di: sgiombo il 08 Settembre 2017, 12:31:20 PMle "idee" ... possono benissimo essere prese in considerazione indipendentemente dal cervello...

In riferimento a tutta la disamina della prima parte, hai scritto una cosa importante non sufficientemente indagata dalla filosofia stessa.
Il linguaggio simbolico accompagnava la struttura del mito, come il linguaggio del logos accompagna il nuovo linguaggio della scienza moderna. Questa è un grande dilemma sottovalutato.
Il simbolo è sintesi , il segno è particolarità.Nelle lingua l'ideogramma  è diverso dalla parola come composizione di un alfabeto.
Questa richiesta è avvenuta nel preciso momento in cui i filosofi interogano la physis perdendo l'essere.

Il nostro linguaggio è fortemente viziato dalla complessità poichè tende al particolarismo, ma proprio perchè si è pensato che la verità fosse nella physis, nei fenomeni ed eventi naturali.

L'esito è perdersi nei linguaggi.Finchè non si sarà capito che il principio "di non contraddizione" non è un principio, ma una regola, si penserà che il semaforo che regola il traffico sostituisce  il codice della strada che regola il processo dei veicoli.
Il semaforo regolativo del traffico è diventato soggetto surrogato dell'agente conoscitivo, che nell'esempio del codice della strada è il veicolo

I filosofi e i linguisti analitici fanno l'errore di porre una regola come principio che sta sopra l'essere e l'esistenza, arrivando a forme filosofiche e linguistiche che sono paradossali rispetto alle problematiche che invece sarebbero dovute  essere chiarite.
Quindi si è creata altra complessità sulla complessità. Queste sono filosofie inutili, perchè le prassi, le nostre quotidianità, non necessitano di elucubrazioni linguistiche. e vanno avanti indifferentemente da queste forme filosofiche e linguistiche:non ci aiutano, non ci servono.

Il segno linguistico per definire la realtà e incorporarla nel concetto del pensiero, ha culturalmente proceduto pari passo con le forme culturali storiche, costruendo neologismi e abbandonando lingue"morte".

Il mio personalissimo parere è che il nostro linguaggio così funzionale alle scienze multiformi, ai gerghi letterali e scientifici, hanno seguito la complessità culturale, operando prolissicità, proliferazione linguistica per seguire conoscenze quantitative e quindi estese e non qualitative e di sintesi. Questa forma linguistica alfabetica,non è detto che sia la più funzionale alla nostra mente, lo è alla nostra cultura attuale.
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: Angelo Cannata il 19 Settembre 2017, 16:58:50 PM
Ogni volta che torno a pensarci, sarà certo per mia mentalità acquisita, mi appare sempre di più la contraddittorietà del parlare di certezze, verità, inconfutabilità, assolutezze.
Ultimamente pensavo questo: nessuna verità, nessuna certezza, nessuna assolutezza, neanche un giudizio analitico apriori può esistere se non viene pensato da qualcuno. Perciò, nel momento stesso in cui ne parliamo o vi pensiamo, ne stiamo già mostrando la dipendenza da noi stessi. È come certuni che dicono, sbraitando ad alta voce e con toni minacciosi, di essere calmi e tranquilli: l'atto smentisce il detto.
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: sgiombo il 20 Settembre 2017, 18:02:09 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 19 Settembre 2017, 16:58:50 PM
Ogni volta che torno a pensarci, sarà certo per mia mentalità acquisita, mi appare sempre di più la contraddittorietà del parlare di certezze, verità, inconfutabilità, assolutezze.
Ultimamente pensavo questo: nessuna verità, nessuna certezza, nessuna assolutezza, neanche un giudizio analitico apriori può esistere se non viene pensato da qualcuno. Perciò, nel momento stesso in cui ne parliamo o vi pensiamo, ne stiamo già mostrando la dipendenza da noi stessi. È come certuni che dicono, sbraitando ad alta voce e con toni minacciosi, di essere calmi e tranquilli: l'atto smentisce il detto.
CitazioneE' ovvio che i giudizi analitici a priori dipendono da noi (dalle regole logiche, alle definizioni e dagli assiomi che arbitrariamente stabiliamo).

Se rispettano queste regole da noi stabilite, ovvero se sono correttamente eseguiti, allora sono certamente veri per definizione.

Non ci vedo proprio nulla di contraddittorio
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: Angelo Cannata il 20 Settembre 2017, 21:24:39 PM
Se dipendono da noi, come possiamo fidarci della nostra stessa idea che si tratti di giudizi veri? Quando ho la sensazione di aver pensato con correttezza un giudizio vero, per il fatto che è apriori, chi mi assicura che già gli stessi concetti di "vero", "giudizio", "analitico", ecc., non contengano improprietà, contraddizioni?
Ad esempio, se io provo a pensare "fuoco spento" o "acqua asciutta", il mio cervello mi avvisa che queste espressioni contengono contraddizione. Se ne accorge e mi avvisa. Ma quando non se accorge, chi mi avviserà? E quindi, su qualsiasi concetto, anche il più elementare, chi mi assicurerà che tale concetto non contiene già in se stesso, come semplice concetto, contraddizioni di cui il mio cervello non si accorge?
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: sgiombo il 21 Settembre 2017, 10:13:21 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 20 Settembre 2017, 21:24:39 PM
Se dipendono da noi, come possiamo fidarci della nostra stessa idea che si tratti di giudizi veri? Quando ho la sensazione di aver pensato con correttezza un giudizio vero, per il fatto che è apriori, chi mi assicura che già gli stessi concetti di "vero", "giudizio", "analitico", ecc., non contengano improprietà, contraddizioni?
Ad esempio, se io provo a pensare "fuoco spento" o "acqua asciutta", il mio cervello mi avvisa che queste espressioni contengono contraddizione. Se ne accorge e mi avvisa. Ma quando non se accorge, chi mi avviserà? E quindi, su qualsiasi concetto, anche il più elementare, chi mi assicurerà che tale concetto non contiene già in se stesso, come semplice concetto, contraddizioni di cui il mio cervello non si accorge?
CitazioneQuando credo che ho pensato (correttamente) un giudizio analitico a priori sto formulando un giudizio sintetico a posteriori (espresso dalla precedenti parole evidenziate "in carattere obliquo").

I giudizi analitici a priori (se correttamente formulati; e se affermo che ciò sia accaduto di fatto, "nella realtà", allora anche questo é un giudizio sintetico a posteriori, ergo degno di dubbio) sono certamente veri per definizione proprio in quanto dipendono solo da noi (e non anche da come le cose stanno realmente, al contrario dei giudizi sintetici a posteriori).

Tralascio, perché con tutta evidenza é inutile cercare di fartela capire, la tua solita confusione fra mente e cervello (col quale tu credi di parlare, un po' come solitamente nelle rappresentazioni teatrali dell' Amleto costui pala con un teschio; io credo di parlare casomai con me stesso, ovvero con la mia mente).
A parte ciò, "mi potrà avvisare" (del fatto) che ho formulato correttamente (e non contradittoriamente) un giudizio analitico a priori (quindi certamente vero) unicamente un mio giudizio sintetico a posteriori (quindi "informativo circa la realtà", autentica conoscenza, ma incerto).

Come già precisato circa altre discussioni con Carlo Pierini, anche con te la mia pazienza (non certo "giobbesca"), ha raggiunto il suo limite.
Quindi, poiché non é che la verità o la certezza di una tesi sia proporzionale al numero di volte che viene pedissequamente ripetuta, non risponderò più alla prevedibile ripetizione da parte tua della solita obiezione, fondata sulla confusione -anche questa costante da parte tua- fra giudizi analitici a priori e giudizi sintetici a posteriori circa giudizi analitici a priori (ma casomai solo in caso di improbabilissime diverse e nuove argomentazioni).
Con l' ovvia precisazione che, anche in questo caso, chi tace non acconsente.
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: Angelo Cannata il 21 Settembre 2017, 10:42:44 AM
La tua risposta è contraddittoria: "sono veri se correttamente formulati, in quanto dipendono solo da noi". Ma se dipendono solo da noi, chi stabilirà la correttezza della formulazione, se non noi stessi? È quindi di che verità si parla se tale verità è affidata al cento per cento al nostro arbitrio nello stabilirne la correttezza? Con questo criterio qualsiasi falsità può essere affermata come vera, basta semplicemente stabilire che è vera e che è stata correttamente formulata: chi potrà porre obiezioni, visto che tutto è affidato a noi stessi?

E in effetti non sopporti proprio di ricevere obiezioni, ti nasce un nervosismo tale da non resistere al bisogno di insultare l'interlocutore, esattamente come Pierini, quindi è sicuramente meglio interrompere la discussione.
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: green demetr il 21 Settembre 2017, 11:20:13 AM
I dualisti Sgiombo e Pierini sono in realtà dei monisti materialisti. 
Prova a leggerli così (al di là delle loro posizioni teoretiche: e tutto torna).

Ma al di là di queste questione etiche (e spirituali di converso), non ho ancora capito perchè ritieni gli apriori kantiani (spazio e tempo) relativi?

E' chiaro che ogni soggetto vive il proprio tempo e il proprio spazio.

Ma è la concettualizzazione il punto non ancora discusso da te (in maniera relativista).

Infatti come spiegare il concetto di tempo? E quello di estensione?

Tempo ed estensione sono concetti che noi relativamente poniamo certo, ma come codici simbolici, ossia i semafori dell'esempio perfetto di Paul, ma quale realtà li sostiene?
Infatti non sono relativi a oggetti, e dunque cosa sarebbero?

Per tornare a Kant è per questo che giunge tramite un ragionamento puro (appunto assolutamente sciolto dai legami fisici) agli apriori.

In effetti gli uomini sono accomunati da queste forme del Pensiero.

Se non vi fosse Pensiero, e le sue forme come potremmo sennò arrivare a Dio?

Come potremmo avere delle inferenze? (domanda di filosofia avanzata certo)

un inciso fuori dalla discussione:
La visione di Parmenide era molto più visionaria per poterla appiattire alla questione formale del principio di non contraddizione.
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: Angelo Cannata il 21 Settembre 2017, 11:31:12 AM
Citazione di: green demetr il 21 Settembre 2017, 11:20:13 AMperchè ritieni gli apriori kantiani (spazio e tempo) relativi?
Li ritengo relativi perché pensati da mente umana. Tutto ciò che risulta pensato da mente umana è relativo a quella mente umana che l'ha pensato.
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: green demetr il 21 Settembre 2017, 11:45:54 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 21 Settembre 2017, 11:31:12 AM
Citazione di: green demetr il 21 Settembre 2017, 11:20:13 AMperchè ritieni gli apriori kantiani (spazio e tempo) relativi?
Li ritengo relativi perché pensati da mente umana. Tutto ciò che risulta pensato da mente umana è relativo a quella mente umana che l'ha pensato.

Sì ma l'uomo ha anche la capacità di astrazione.

Altrimenti anche il Pensiero è solo quello che pensa il soggetto: e non può essere così.

All'interno dell'astrazione vi sono delle forme concettuali, cosidette.

Si tratta di pensarli in maniera pura, fuori dal mondo reale.

Se per te le forme pure coincidono con le forme mentali (intendo quelle a contatto con l'oggetto), è un bel problema.

Infatti il problema sarebbe ma come può il soggetto dirsi "soggetto"?

Come farebbe Angelo a dirsi Angelo?
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: sgiombo il 21 Settembre 2017, 11:52:36 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 21 Settembre 2017, 10:42:44 AM


E in effetti non sopporti proprio di ricevere obiezioni, ti nasce un nervosismo tale da non resistere al bisogno di insultare l'interlocutore, esattamente come Pierini, quindi è sicuramente meglio interrompere la discussione.
CitazionePer favore cerchiamo qui nel forum di non fare come come quegli scadenti politicanti che nei talk show attribuiscono indebitamente agli interlocutori pretese, insistenti incazzature al fine di millantare presso i gonzi (telespettatori) altrettanto pretese, inesistenti incapacità di rispondere alle proprie tesi -generalmente errate e false e non meglio sostenibili- da parte degli interlocutori stessi.

Per lo meno Carlo Pierini non é mai ricorso a simili "bassezze dialettiche".

Grazie.
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: sgiombo il 21 Settembre 2017, 11:55:03 AM
Citazione di: green demetr il 21 Settembre 2017, 11:20:13 AM
I dualisti Sgiombo e Pierini sono in realtà dei monisti materialisti.
Prova a leggerli così (al di là delle loro posizioni teoretiche: e tutto torna).
Citazione"Ma mi faccia il piacere!"
                              (Totò)

Ma al di là di queste questione etiche (e spirituali di converso),

(evidenziazione in grassetto mia, Sgiombo)
CitazioneIdem (come sopra)
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: Angelo Cannata il 21 Settembre 2017, 11:55:19 AM
Citazione di: green demetr il 21 Settembre 2017, 11:45:54 AMInfatti il problema sarebbe ma come può il soggetto dirsi "soggetto"?
Come farebbe Angelo a dirsi Angelo?
Affinché il soggetto possa dirsi soggetto e Angelo possa dirsi Angelo non c'è bisogno di trascurare la dipendenza dal soggetto. Un relativista può affermare le stesse cose di un metafisico, con la sola differenza che il relativista si riserva di aggiornare qualsiasi aspetto di ciò che pensa, qualsiasi struttura, qualsiasi forma mentale, mentre invece il metafisico si chiude nelle sue certezze: ciò che è certezza infatti non può essere soggetto ad aggiornamento, altrimenti sarebbe solo certezza relativa.
L'umiltà del relativista consiste in questo: egli accetta tutto, crede in tutto, fa tutto, ma con riserva di provvisorietà: per oggi faccio così, penso così, dico così; domani potrei accorgermi di aver sbagliato tutto e quindi mi manterrò in continua vigilanza su tutto. Il metafisico esclude vigilanza sulla certezza, perché, essendo certezza, non richiede alcuna vigilanza: è ormai assodato che è così, ciò su cui bisogna vigilare è solo il resto, affiché si adegui a quella certezza: adaequatio rei et intellectus.
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: green demetr il 21 Settembre 2017, 12:15:08 PM
Si sono un metafisico, ma non ingenuo  e tanto meno nominalista. Odio Aristotele San Tommaso e chi per essi.

Sono un metafisico anzitutto realista, ossia distinguo tra segno e oggetto.
L'oggetto ovviamente è relativo al soggetto che lo pensa. Comprese le forme epistemiche che lo accompagnano, e che sono sempre presunte.

Quello che voglio dire è che però il tempo è fuori dalla presunzione, come il numero e l'estensione.

Non mi paiono cose da poco.

Ovviamente sono d'accordo con te, se l'intento della discussione era quello di soffermarsi non tanto sul tempo e lo spazio, ma quanto sul fatto che per ognuno il tempo e lo spazio vanno a finire per essere, non delle formule univerasali per una composizione formale del giudizio analitico, ma bensì il pretesto per dei giudizi morali relativi al proprio tempo e al proprio spazio. ;)

"Ovviamente" perchè purtroppo quelle che dovrebbero essere delle mere formule aritmetiche nascondono come giustamente ben pensi dei pretesti per affondare i propri colpi politici di sopraffazione dell'altro. ( e tanti saluti alla spiritualità!)

Come al solito le formule dell'aritmetica diventano l'inferno delle geometrie che le sottendono. (Calciolari).
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: Angelo Cannata il 21 Settembre 2017, 12:19:47 PM
Citazione di: green demetr il 21 Settembre 2017, 12:15:08 PMil tempo è fuori dalla presunzione, come il numero e l'estensione.
Per dire questo hai dovuto usare il tuo cervello. Quindi come fai a dire che il tempo è indipendente, fuori dalla presunzione contenuta nel tuo cervello? Riesci a dire a te stesso o a me cos'è il tempo senza usare il tuo cervello? Se non ci riesci, viene a risultare che è impossibile pensare al tempo senza inquinare il concetto di tempo con le presunzioni contenute nel nostro cervello.
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: green demetr il 21 Settembre 2017, 12:38:27 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 21 Settembre 2017, 12:19:47 PM
Citazione di: green demetr il 21 Settembre 2017, 12:15:08 PMil tempo è fuori dalla presunzione, come il numero e l'estensione.
Per dire questo hai dovuto usare il tuo cervello. Quindi come fai a dire che il tempo è indipendente, fuori dalla presunzione contenuta nel tuo cervello? Riesci a dire a te stesso o a me cos'è il tempo senza usare il tuo cervello? Se non ci riesci, viene a risultare che è impossibile pensare al tempo senza inquinare il concetto di tempo con le presunzioni contenute nel nostro cervello.

Ma perchè la gente non mi legge??? Oddio che fatica!

Nel cervello non c'è niente amico mio. Sono gli scienziati che te lo fanno credere.

Come ti ho già detto credo nei segni.

Nelle parole per far scadere un pò nel banale.

Per capirci credo che le parole puntino a qualcosa di concreto.

Ma il tempo a cosa punterebbe? Il numero? Lo spazio intenso come estensione?

Come il bambino forma il soggetto (il suo soggetto) tramite l'osservazione e la consapevolezza della resistenza del mondo alle sue sensazioni, di piacere e dispiacere.
Impara a conoscere le estensioni delle cose, per inferenza rispetto al suo piacere e dispiacere, così successivamente quando entra nel linguaggio, impara dagli adulti a formulare, a formare l'uso dei suoni, che sono fuori da lui tra l'altro, la Voce come indicatore della separazione tra corpo e sua estensione, e gli viene insegnato ad unire (intelletto) ciò che viene indicato con ciò che viene detto.

Al netto di queste brevi ma fondamentali considerazioni, il relativista si dice tale, perchè si interroga sulla deliberatezza con cui l'adulto fa associare al bambino le cose con le sue parole. Quello che dicesi Culturalizzazione.

Quindi sono d'accordo con te, solo nell'argomentazione, non certo sui presupposti per cui come dice Sgiombo, anche tu saresti nè più nè meno che un monista materialista.
Come se nel cervello ci fossero dentro le parole.....RIDICOLO!
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: Angelo Cannata il 21 Settembre 2017, 12:57:50 PM
Citazione di: green demetr il 21 Settembre 2017, 12:38:27 PMCome ti ho già detto credo nei segni.
Per capirci credo che le parole puntino a qualcosa di concreto.
Se dici "credo", nessuno può obiettarti nulla: credere non implica niente, non c'è bisogno di coerenza, di non contraddizione, di ragionamenti.
I problemi nascono se di qualcosa, invece di dire che ci credi, dici che si tratta di certezza. Allora mi nascono le obiezioni che ho già espresso nei messaggi precedenti.
Una volta che hai  scritto "credo", per me tutto è pacifico. Semmai possiamo avere il piacere di parlare di questo tuo credere, questa tua fede, sarà certo interessante, così com'è interessante parlare di religioni, musica, romanzi.
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: green demetr il 21 Settembre 2017, 13:04:22 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 21 Settembre 2017, 12:57:50 PM
Citazione di: green demetr il 21 Settembre 2017, 12:38:27 PMCome ti ho già detto credo nei segni.
Per capirci credo che le parole puntino a qualcosa di concreto.
Se dici "credo", nessuno può obiettarti nulla: credere non implica niente, non c'è bisogno di coerenza, di non contraddizione, di ragionamenti.
I problemi nascono se di qualcosa, invece di dire che ci credi, dici che si tratta di certezza. Allora mi nascono le obiezioni che ho già espresso nei messaggi precedenti.
Una volta che hai  scritto "credo", per me tutto è pacifico. Semmai possiamo avere il piacere di parlare di questo tuo credere, questa tua fede, sarà certo interessante, così com'è interessante parlare di religioni, musica, romanzi.

:)  Eh eh anch'io sono un soggetto!  ;) infatti siamo d'accordo nel confronto, e nel confronto siamo d'accordo nell'argomentazione. Ma non, nelle nostre presunzioni, di cosa sia a fondamento del nostro crederere.
Infatti tu sei un relativista e io un metafisico.  ;D
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: Angelo Cannata il 21 Settembre 2017, 13:30:53 PM
Un metafisico, almeno nel senso radicale in cui lo intendo io, non dice di credere che lì fuori c'è un mondo, c'è una realtà. Egli dice che è innegabile, inconfutabile, assoluto che esista la realtà; perciò, secondo il metafisico, la realtà non va creduta, ma semplicemente accettata. Il metafisico non concede a se stesso alcun dubbio, con la motivazione che l'uomo non ha a disposizione alcun motivo per dubitare di ciò che è certo, nessuna giustificazione. In questo senso la certezza metafisica è più forte e radicale delle certezze religiose. Secondo il metafisico, se tu metti in dubbio la realtà, stai mettendo in dubbio ciò che già a te stesso risulta indubitabile, quindi stai tradendo la tua stessa coscienza, la tua sincerità, stai andando contro ciò che la tua ragione, il tuo corpo e il tuo cuore dicono a te. Ne consegue che, secondo il metafisico, se uno dubita della realtà, e quindi ha deciso di andare contro se stesso, vuol dire che in costui ci dev'essere per forza qualcosa che non va: forse qualche malfunzionamento del cervello, oppure un modo di pensare sbagliato, oppure malafede, insomma o sei in errore o sei malato o sei cattivo. In questo senso, già il fatto che tu dica "credo", obbliga il metafisico a etichettarti come in errore, o malato, o cattivo: se dici "credo", in relazione all'esistenza della realtà, è sicuro che in te c'è qualcosa che non sta funzionando bene, perché "credo" significa mettere in questione l'assolutezza, mentre invece per il metafisico la realtà esiste in maniera assoluta, cioè esiste che tu ci creda o no.

In questo senso mi sembra che invece tu, a somiglianza di Sariputra, sia un metafisico moderato. Ma a me sembra che "metafisico moderato" sia un ossimoro, una contraddizione, come dire "fuoco freddo" o "ghiaccio bollente": metafisico significa assoluto, moderato significa non assoluto: ecco la contraddizione. In realtà non si tratta di una vera contraddizione, ma piuttosto di un modo di pensare che in voi due è piuttosto orientato al pratico. Tu dici che la realtà esiste, ma non intendi ciò con l'assolutezza del metafisico: quindi per me non sei un metafisico. Quando io ti dico che dubito della realtà, tu l'intendi in senso pratico, come se io fossi disposto a buttarmi dalla finestra per mettere in dubbio l'esistenza della gravità, mentre io invece mi riferisco alla teoria. Ecco il malinteso. È logico che tu e Sariputra rimaniate perplessi di fronte ai miei dubbi: perche li riferite al pratico.
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: green demetr il 21 Settembre 2017, 13:59:46 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 21 Settembre 2017, 13:30:53 PM
Un metafisico, almeno nel senso radicale in cui lo intendo io, non dice di credere che lì fuori c'è un mondo, c'è una realtà. Egli dice che è innegabile, inconfutabile, assoluto che esista la realtà; perciò, secondo il metafisico, la realtà non va creduta, ma semplicemente accettata. Il metafisico non concede a se stesso alcun dubbio, con la motivazione che l'uomo non ha a disposizione alcun motivo per dubitare di ciò che è certo, nessuna giustificazione. In questo senso la certezza metafisica è più forte e radicale delle certezze religiose. Secondo il metafisico, se tu metti in dubbio la realtà, stai mettendo in dubbio ciò che già a te stesso risulta indubitabile, quindi stai tradendo la tua stessa coscienza, la tua sincerità, stai andando contro ciò che la tua ragione, il tuo corpo e il tuo cuore dicono a te. Ne consegue che, secondo il metafisico, se uno dubita della realtà, e quindi ha deciso di andare contro se stesso, vuol dire che in costui ci dev'essere per forza qualcosa che non va: forse qualche malfunzionamento del cervello, oppure un modo di pensare sbagliato, oppure malafede, insomma o sei in errore o sei malato o sei cattivo. In questo senso, già il fatto che tu dica "credo", obbliga il metafisico a etichettarti come in errore, o malato, o cattivo: se dici "credo", in relazione all'esistenza della realtà, è sicuro che in te c'è qualcosa che non sta funzionando bene, perché "credo" significa mettere in questione l'assolutezza, mentre invece per il metafisico la realtà esiste in maniera assoluta, cioè esiste che tu ci creda o no.

In questo senso mi sembra che invece tu, a somiglianza di Sariputra, sia un metafisico moderato. Ma a me sembra che "metafisico moderato" sia un ossimoro, una contraddizione, come dire "fuoco freddo" o "ghiaccio bollente": metafisico significa assoluto, moderato significa non assoluto: ecco la contraddizione. In realtà non si tratta di una vera contraddizione, ma piuttosto di un modo di pensare che in voi due è piuttosto orientato al pratico. Tu dici che la realtà esiste, ma non intendi ciò con l'assolutezza del metafisico: quindi per me non sei un metafisico. Quando io ti dico che dubito della realtà, tu l'intendi in senso pratico, come se io fossi disposto a buttarmi dalla finestra per mettere in dubbio l'esistenza della gravità, mentre io invece mi riferisco alla teoria. Ecco il malinteso. È logico che tu e Sariputra rimaniate perplessi di fronte ai miei dubbi: perche li riferite al pratico.

Ritengo le risposte che dai a Sariputra pertinenti.

D'altronde lui stesso si dice amante della riflessione, ma non della tradizione filosofica.

Io invece per formazione mi riferisco agli autori che mi hanno aiutato ad evolvere nelle linee generali del mio pensiero.

Giusto per onestà intellettuale aggiungo qualche distinzione, ma accetto volentieri che tu non mi ritenga un metafisico assoluto, nel senso di bigotto, alla fine.

Credo che tu non sopporti la metafisica nominalista, quella che nasce da Platone, ma in verità in maniera definitiva da Aristotele, che CREDE ( ;) ) che la verità non è nelle cose ma nelle parole (idee) prima di esse.

Ma la metafisica realista (o idealista che si voglia) invece distingue tra parole e cose.

E' proprio Kant in fin dei conti a far partire quello che diverrà poi la scuola del relativismo.
E' proprio dalle questioni che Kant solleva, che si inaugura l'età moderna.
E' Kant che introduce il soggetto per la prima volta nella storia di qualsiasi filosofia esistente a livello planetario.

Quindi in realtà il metafisico è di fatto relativista. Relativista rispetto al soggetto.
E oggettivista (nel caso di Kant) per quanto riguarda le relazioni fra soggetto e oggetto.
Cioè sono le relazioni a essere sogettive, non il soggetto che le pensa.
In questo Sgiombo è stato chiaro, e sono d'accordo con lui.

Ma io non mi intendo metafisico tanto per il fatto di essere relativista alla Kant (Hegel etc..) quanto per il fatto che credo esista DIO.

Questa è forse l'unico distinguo importante per me, rispetto a tanti pensatori contemporanei (Severino, Sini, Galimberti etc....).

Per capire la questione di come si faccia ad essere relativisti e credere allo stesso tempo i Dio, è la questione delle questioni. Almeno per me.
Ma appunto lo dico solo per onestà intellettuale.- Per il resto credo che ci siamo capiti.
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: Angelo Cannata il 21 Settembre 2017, 14:23:01 PM
Citazione di: green demetr il 21 Settembre 2017, 13:59:46 PMCioè sono le relazioni a essere sogettive, non il soggetto che le pensa.
In questo Sgiombo è stato chiaro, e sono d'accordo con lui.
È questo l'errore: perché il soggetto che le pensa non dovrebbe avere problemi di soggettivismo? Come fa un soggetto a non dire cose soggettive?
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: sgiombo il 21 Settembre 2017, 18:32:28 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 21 Settembre 2017, 11:55:19 AM

Un relativista può affermare le stesse cose di un metafisico, con la sola differenza che il relativista si riserva di aggiornare qualsiasi aspetto di ciò che pensa, qualsiasi struttura, qualsiasi forma mentale, mentre invece il metafisico si chiude nelle sue certezze: ciò che è certezza infatti non può essere soggetto ad aggiornamento, altrimenti sarebbe solo certezza relativa.
Citazione di: Angelo Cannata il 21 Settembre 2017, 11:55:19 AM
CitazioneRispondo solo perché si tratta di altre affermazioni su un' altra questione e non delle solite ripetizioni):

Eh no, caro mio, questa non é la differenza fra un relativista e un metafisico, bensì la differenza fra un dogmatico (relativista oppure più o meno assolutista) e un critico (idem).
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: Angelo Cannata il 21 Settembre 2017, 18:37:06 PM
Citazione di: sgiombo il 21 Settembre 2017, 18:32:28 PMRispondo solo perché...
Eh no, caro mio...
Continui a usare toni da persona innervosita. Quando ti dimostrerai sereno e corretto potremo riprendere la discussione.
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: sgiombo il 21 Settembre 2017, 20:48:49 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 21 Settembre 2017, 18:37:06 PM
Citazione di: sgiombo il 21 Settembre 2017, 18:32:28 PMRispondo solo perché...
Eh no, caro mio...
Angelo Cannata:
Continui a usare toni da persona innervosita. Quando ti dimostrerai sereno e corretto potremo riprendere la discussione.
CitazioneSgiombo:
La prima é una mera, pacatissima e tranquillissima precisazione (non contravvengo a quanto deciso).
Quanto alla seconda, beh confondi (non ti capita di rado...) questa volta il sarcasmo (a mio modesto parere brillante) con un presunto, inesistente "nervosismo" (ma se, in mancanza di meglio, ti serve a sentirti gratificato, ti dico in tutta tranquillità e serenità: fai pure).
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: Angelo Cannata il 21 Settembre 2017, 21:28:42 PM
Quando una persona vuole e sa argomentare, non ha bisogno di nient'altro: argomenta.

Può darsi il caso che non abbia tempo di occuparsene e allora può dire serenamente: "Scusami se non ti rispondo, ma purtroppo non ho tempo di occuparmene". Io stesso a volte ho detto espressamente che non potevo rispondere, a causa dell'eccessiva lunghezza e complessità, anche di ricerche, che una risposta avrebbe richiesto. Si può anche rispondere: "Ci devo pensare"; oppure "La tua risposta non mi convince, ma dovrei trovare modi brevi e sintetici per spiegartelo, per ora però non ne ho il tempo".

Ci sono migliaia e milioni di modi di rispondere serenamente in una discussione. Non c'è alcun motivo di insultare, o sminuire l'interlocutore, o cambiare discorso, o usare toni di finta amicizia o confidenza, come avete dimostrato di fare tu e Pierini. Questi vostri metodi non sono altro che tentativi di deviare il discorso su un terreno che ritenete favorevole a voi: sminuire l'interlocutore, insultarlo, ha questo risultato: è il tentativo di ricreare un terreno favorevole a se stessi, una volta che l'andamento della discussione sembra invece aver formato un terreno sfavorevole.

Ma per creare un terreno favorevole a sé non c'è bisogno di questi metodi: è sufficiente fare come ho detto sopra. Provaci, vedrai che funziona.

Ho trovato interessanti anche i tuoi sforzi di far parlare perfino il tuo silenzio, gli avvisi che ogni tanto hai messo: "Attenzione, attenzione, non risponderò, ma il mio silenzio significherà questo...". Ma il silenzio e il futuro non possono essere dominati, per quanti sforzi tu possa fare: chiunque potrà sempre pensare che tu sia rimasto a corto di argomenti. È chiaro che intendete la discussione come se si trattasse di un'arena di gladiatori davanti a una platea, e c'è lo sforzo di dominare la platea. Ma la platea può essere dominata in modo costruttivo, aiutando tutti a crescere, e i metodi sono quelli che ho detto sopra. Ti assicuro che funzionano.
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: sgiombo il 21 Settembre 2017, 21:44:56 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 21 Settembre 2017, 21:28:42 PM
Quando una persona vuole e sa argomentare, non ha bisogno di nient'altro: argomenta.

Può darsi il caso che non abbia tempo di occuparsene e allora può dire serenamente: "Scusami se non ti rispondo, ma purtroppo non ho tempo di occuparmene". Io stesso a volte ho detto espressamente che non potevo rispondere, a causa dell'eccessiva lunghezza e complessità, anche di ricerche, che una risposta avrebbe richiesto. Si può anche rispondere: "Ci devo pensare"; oppure "La tua risposta non mi convince, ma dovrei trovare modi brevi e sintetici per spiegartelo, per ora però non ne ho il tempo".

Ci sono migliaia e milioni di modi di rispondere serenamente in una discussione. Non c'è alcun motivo di insultare, o sminuire l'interlocutore, o cambiare discorso, o usare toni di finta amicizia o confidenza, come avete dimostrato di fare tu e Pierini. Questi vostri metodi non sono altro che tentativi di deviare il discorso su un terreno che ritenete favorevole a voi: sminuire l'interlocutore, insultarlo, ha questo risultato: è il tentativo di ricreare un terreno favorevole a se stessi, una volta che l'andamento della discussione sembra invece aver formato un terreno sfavorevole.

Ma per creare un terreno favorevole a sé non c'è bisogno di questi metodi: è sufficiente fare come ho detto sopra. Provaci, vedrai che funziona.

Ho trovato interessanti anche i tuoi sforzi di far parlare perfino il tuo silenzio, gli avvisi che ogni tanto hai messo: "Attenzione, attenzione, non risponderò, ma il mio silenzio significherà questo...". Ma il silenzio e il futuro non possono essere dominati, per quanti sforzi tu possa fare: chiunque potrà sempre pensare che tu sia rimasto a corto di argomenti. È chiaro che intendete la discussione come se si trattasse di un'arena di gladiatori davanti a una platea, e c'è lo sforzo di dominare la platea. Ma la platea può essere dominata in modo costruttivo, aiutando tutti a crescere, e i metodi sono quelli che ho detto sopra. Ti assicuro che funzionano.
CitazioneContrariamente a Carlo Pierini non ho mai insultato nel forum.

Non posso certo ripetere all' infinito gli stessi argomenti contro le stesse tesi (ho di meglio da fare...) solo perché "qualcuno" (?) potrebbe confondere (e dai!) l' evitare inutili ripetizioni col (preteso e falso) fatto che non avrei argomenti.

P. S.: ho scritto questo in tutta tranquillità e serenità
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: Angelo Cannata il 21 Settembre 2017, 22:16:04 PM
Gli insulti ci sono, sì:

Citazione di: sgiombo il 21 Settembre 2017, 10:13:21 AM...é inutile cercare di fartela capire, la tua solita confusione...

...anche con te la mia pazienza ... ha raggiunto il suo limite

...confusione -anche questa costante da parte tua

Per lo meno Carlo Pierini non é mai ricorso a simili "bassezze dialettiche".
Citazione di: sgiombo il 21 Settembre 2017, 18:32:28 PMEh no, caro mio...

In base a queste tue parole, io sarei un "caro tuo", per dire tutt'altro che caro, visto che è inutile cercare di farmi capire le cose, uno che di conseguenza fa andare oltre i limiti della pazienza, fa confusione in maniera costante e ricorre nientemeno che a bassezze dialettiche.

Anche adesso non sei riuscito a fare a meno di ricorrere al tentativo di sminuire l'interlocutore: egli è talmente duro di mente che non è sufficiente neanche ripetergli all'infinito le stesse cose, parlare con lui ha un valore talmente basso che è il caso di dirgli che hai di meglio da fare.

C'è anche una contraddizione: lamentarti che dovresti ripetere all'infinito le stesse cose significa esattamente che non hai argomenti. Chi ha argomenti non si ripete, non ne ha bisogno; al contrario, trova le vie in grado di rendere sempre più evidente e sempre più stringente la sua obiezione; altrimenti può riconoscere di non avere il tempo di farlo, il che è molto diverso dal dire che hai di meglio da fare.

Tutto questo è comunque comprensibile: le indicazioni che ho suggerito nel mio messaggio precedente non sono cose da afferrare in un attimo col solo intelletto: sono frutto di un cammino di anni e decine di anni ed è necessario tempo per saperle apprezzare.
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: sgiombo il 22 Settembre 2017, 08:42:24 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 21 Settembre 2017, 22:16:04 PM
Gli insulti ci sono, sì:

Citazione di: sgiombo il 21 Settembre 2017, 10:13:21 AM...é inutile cercare di fartela capire, la tua solita confusione...

...anche con te la mia pazienza ... ha raggiunto il suo limite

...confusione -anche questa costante da parte tua

Per lo meno Carlo Pierini non é mai ricorso a simili "bassezze dialettiche".
Citazione di: sgiombo il 21 Settembre 2017, 18:32:28 PMEh no, caro mio...

In base a queste tue parole, io sarei un "caro tuo", per dire tutt'altro che caro, visto che è inutile cercare di farmi capire le cose, uno che di conseguenza fa andare oltre i limiti della pazienza, fa confusione in maniera costante e ricorre nientemeno che a bassezze dialettiche.

Anche adesso non sei riuscito a fare a meno di ricorrere al tentativo di sminuire l'interlocutore: egli è talmente duro di mente che non è sufficiente neanche ripetergli all'infinito le stesse cose, parlare con lui ha un valore talmente basso che è il caso di dirgli che hai di meglio da fare.

C'è anche una contraddizione: lamentarti che dovresti ripetere all'infinito le stesse cose significa esattamente che non hai argomenti. Chi ha argomenti non si ripete, non ne ha bisogno; al contrario, trova le vie in grado di rendere sempre più evidente e sempre più stringente la sua obiezione; altrimenti può riconoscere di non avere il tempo di farlo, il che è molto diverso dal dire che hai di meglio da fare.

Tutto questo è comunque comprensibile: le indicazioni che ho suggerito nel mio messaggio precedente non sono cose da afferrare in un attimo col solo intelletto: sono frutto di un cammino di anni e decine di anni ed è necessario tempo per saperle apprezzare.
CitazioneSe confondi (ma guarda un po'; anche) la vivacità, l' ironia e il sarcasmo con le offese non so che farci.

Sei tu che non sai accettare un confronto animato ma leale (che é ben altra cosa che aggressivo e offensivo).
Affermare, argomentandolo,  il proprio disaccordo e ciò di cui si é convinti (per esempio che l' interlocutore fa spessissimo confusione fra concetti ben diversi) é inevitabile in una discussione franca e corretta; e se l' interlocutore se ne offende é lui a non essere in grado di discutere correttamente e proficuamente.

Contro le stesse identiche tesi ripetute pedissequamente tali e quali bastano e avanzano gli stessi argomenti (e casomai é qualcosa che ricorda un po' le tautologie, tutto il contrario di delle contraddizioni).

E ripeterli a un certo punto diventa altrettanto noioso della continua, pedissequa ripetizione delle tesi criticate.

Anche perché (e anche qui mi sto ripetendo, mio malgrado) non é che la verità o la certezza di un' opinione aumentino proporzionalmente al numero di volte che é ripetuta.

Non so per te, ma attribuire agli interlocutori inesistenti nervosismi e arrabbiature, come fanno nei talk show televisivi i politicanti da quattro soldi a corto di argomenti, per insinuare falsamente inesistenti difficoltà nella discussione da parte degli interlocutori stessi, per me é una "bassezza dialettica" (un trucco, una scorrettezza).

Comunque, dati i noti limiti della mia pazienza, anche in questo caso non risponderò a eventuali (probabili) ulteriori tue reiterazioni delle solite rimostranze, ovviamente -mi dispiace per te- precisando che non per questo vi acconsentirò affatto.
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: green demetr il 22 Settembre 2017, 14:15:28 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 21 Settembre 2017, 14:23:01 PM
Citazione di: green demetr il 21 Settembre 2017, 13:59:46 PMCioè sono le relazioni a essere sogettive, non il soggetto che le pensa.
In questo Sgiombo è stato chiaro, e sono d'accordo con lui.
È questo l'errore: perché il soggetto che le pensa non dovrebbe avere problemi di soggettivismo? Come fa un soggetto a non dire cose soggettive?

Certamente si può porre la domanda, e se la sono posta in tanti.

A livello formale, e cioè logico ci si è limitati a considerarlo un aporia, e perciò non usabile a livello logico, trattasi di errore se lo si vuole fare.

Ma a livello reale, che è poi quello che mi interessa, è invece il punto fondamentale per cui sono passato dal mondo religioso a quello filosofico.

Il soggetto sà sempre di esistere, e se fa finta di non esistere, e si affida a presunte divinità, trattasi di una proiezione fantasmatica di tipo paranoico.
Ossia il soggetto si sottrae alla responsabilità di conoscere chi "lui" è.

Un altra argomentazione che mi viene in mente, è quella per cui se il soggetto non sapesse affatto se lui sia o non sia "tale" ossia soggetto (!), sarebbe un aporia che priverebbe di senso qualsiasi discorso.

D'altronde questa aporia nel relativismo naif, è proprio quella che porta a sottrarsi alle proprie scelte, e demandarle ad altri, che si camuffano sotto il nome di Dio o di Governatore.

Poichè queste ultime considerazioni sono (mi sembra di aver capito) cose che a te non piacciono affatto, continuo a non capire come mai ci tieni così tanto alla precisione.


terza argomentazione dunque.

Un conto è dire che vi è un soggetto che pensa cose relative, e dunque con il suo racconto, con la sua vita. (per cui siamo d'accordo)
E un conto è dire che il soggetto stesso non ha idea se lui esista o meno: infatti il racconto e la vita a chi si riferirebbero???? (non siamo minimamente d'accordo se lo pensi davvero).
Le conseguenze sarebbero catastrofiche e senza senso.
E senza senso, la spiritualità non esiste per quel che mi riguarda.

ciao uomo!
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: Raffaele Pisani il 18 Giugno 2018, 17:37:20 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 05 Settembre 2017, 14:01:35 PM
Penso che sia corretto deviare a parte questa discussione, che ho iniziato all'interno di quella su Essere o non essere, perché in effetti si tratta di una questione abbastanza a sé.

Nel mio post con cui ho avviato la questione, ho evidenziato, in sintesi, che il tempo mette in questione l'attendibilità della nostra memoria e, di conseguenza, la certezza che possiamo attribuire ai giudizi analitici a priori.

sgiombo ha risposto, se ho compreso bene, facendo osservare che, nel momento in cui io, andando a controllare se il giudizio corrisponde alla definizione, esprimo un interrogativo, o un dubbio, tale
Citazione di: sgiombo il 05 Settembre 2017, 08:41:05 AM... giudizio degno di dubbio ("sto eseguendo correttamente un giudizio analitico a priori") é un giudizio sintetico a posteriori
Chiedo scusa per questo mio intervento su di un argomento messo da parte per un certo tempo. A me sembra che un giudizio analitico a priori nel suo svolgersi da soggetto a predicato sia qualcosa di più di una semplice tautologia, questa posizione non è certamente kantiana ma si rifà al pensiero scolastico di Lovanio dei primi del Novecento.
Tornando alla questione qui sotto citata mi chiedo perché mai un giudizio analitico a priori dovrebbe aver bisogno di una corroborazione di un giudizio sintetico a posteriori. Faccio un esempio: "Il chiliagono è un poligono a mille lati" la riflessione razionale mi fa cogliere la verità e la certezza del giudizio, senza bisogno di controllo empirico, che oltretutto sarebbe impraticabile. Lo stesso si può dire della linea retta come distanza minima fra due punti, chi andrebbe a misurare la linea curva alternativa per vedere se magari è più corta della retta? È la nostra capacità di astrazione che ci fa cogliere queste verità di ragione a priori, vale a dire: a prescindere dall'esperienza, non: prima dell'esperienza.
Un saluto a tutti.

La mia obiezione è la seguente.

A me sembra che l'andare a controllare se il giudizio corrisponde alla definizione sia un'operazione necessaria. Quindi anche il giudizio degno di dubbio che ne nasce è un'operazione necessaria. Quindi tale giudizio sintetico a posteriori è necessario.

Se questo controllo non avvenisse, ne conseguirebbe un attribuire certezza al giudizio analitico a priori senza aver effettuato alcun controllo. Una tale attribuzione di certezza mi sembrerebbe alquanto debole da difendere.

Una volta che quindi 1) il controllo è necessario, inevitabile, affinché si dia giudizio analitico apriori degno di questo nome, e 2) considerato che da tale controllo scaturisce inevitabilmente un giudizio sintetico a posteriori, ne consegue che non è possibile produrre giudizio analitico a priori che non comporti in se stesso un giudizio sintetico a posteriori. In altre parole, un  giudizio analitico a priori non può fare a meno di basarsi su un giudizio sintetito a posteriori, perché altrimenti manca il controllo.
Ma il giudizio sintetico a posteriori non garantisce certezza.
Ne segue che il giudizio analitico a priori non può fare a meno di basarsi su un giudizio che è incerto.
Titolo: Re:Giudizi analitici a priori, certezza, tempo
Inserito da: sgiombo il 18 Giugno 2018, 20:02:14 PM
Citazione di: Raffaele Pisani il 18 Giugno 2018, 17:37:20 PM
Una volta che quindi 1) il controllo è necessario, inevitabile, affinché si dia giudizio analitico apriori degno di questo nome, e 2) considerato che da tale controllo scaturisce inevitabilmente un giudizio sintetico a posteriori, ne consegue che non è possibile produrre giudizio analitico a priori che non comporti in se stesso un giudizio sintetico a posteriori. In altre parole, un  giudizio analitico a priori non può fare a meno di basarsi su un giudizio sintetito a posteriori, perché altrimenti manca il controllo.
Ma il giudizio sintetico a posteriori non garantisce certezza.
Ne segue che il giudizio analitico a priori non può fare a meno di basarsi su un giudizio che è incerto.
Citazione di: Angelo Cannata il 05 Settembre 2017, 14:01:35 PMUn giudizio sintetico a posteriori  (degno di dubbio) é necessario per stabilire se é stato espresso o meno di fatto un giudizio analitico a priori (correttamente).
Ma se  (ipotesi) si formula correttamente un giudizio analitico a priori, allora esso é certamente vero (ma paga questa sua certezza con un' insuperabile sterilità conoscitiva in quanto nulla dice della realtà, ovvero di ciò che realmente avviene o meno, ma semplicemente afferma che a una premessa ipotetica -che potrebbe essere vera circa la realtà ma potrebbe benissimo anche non esserla- segue una conclusione; la quale é vera circa la realtà solo se é vera la ipotesi premessa; il che non é certo; e dunque non é certa nemmeno la conclusione).

"Da parte loro" i giudizi sintetici a posteriori pagano la loro (eventuale) fecondità conoscitiva (della realtà, di ciò che realmente accade o meno) con un' inesorabile incertezza (a meno che si tratti di immediata predicazione del presente in atto, la cui certezza é comunque effimera perché immediatamente diventa passato e dunque oggetto di memoria, la quale é fallibile: non é più immediata predicazione del esente in atto).

Non si deve confondere un giudizio sintetico a posteriori (degno di dubbio) affermante il fatto (reale, se realmente accaduto) che sia stato formulato un giudizio analitico a priori con (la conseguenza di una premessa ipotetica e non necessariamente reale tratta da) un giudizio analitico a priori (il quale, se correttamente formulato é vero certamente; ma non ci dà alcuna conoscenza della realtà di ciò che realmente accade o meno).