Rammento che nella sua prima lezione in aula, il nostro Professore di Filosofia del Diritto (S.Cotta), ci espose la differenza tra Giuspositivismo e Giusnaturalismo.
Ricordo che il suo fu un discorso molto complesso ed articolato (anche se non lo rammento tutto molto bene), che lasciò perplessi molti di noi.
Al termine della sua esposizione, io alzai la mano per ottenere la parola, e chiesi: "Professore, si potrebbe sintetizzare il tutto, dicendo che i Giuspositivisti ritengono che sia giusto osservare solo la legge "scritta", mentre i Giusnaturalisti, invece, ritengono che sia giusto osservare anche la legge "non scritta", quale impressa nella nostra coscienza (sia pure condizionata culturalmente)?"
Lui rispose: "Sintetizzando all'estremo, in effetti, il nocciolo della questione è proprio questo.".
"Ma allora...", feci io "...in effetti anche i Giuspositivisti sono Giusnaturalisti, in quanto, "a monte" della loro asserzione di voler dare la preminenza alla legge scritta, c'è pur sempre un giudizio valoriale; e, cioè che è GIUSTO osservare la legge scritta, a prescindere da ciò che ci detta la nostra coscienza personale. MA NON E' FORSE SEMPRE LA LORO COSCIENZA PERSONALE, AD AVERLI INDOTTI A TALE SCELTA, CIRCA CIO' CHE E' GIUSTO O MENO OSSERVARE?"
::)
Il Professore si fece una risata, obiettando che il mio era un assunto un po' semplicistico.
Il che è vero.
Tuttavia, anche dopo avere approfondito l'argomento nella mia Tesi di Laurea su Giusnaturalismo, a distanza di più di quaranta anni sono sempre rimasto della stessa opinione; per cui, ad onta delle mie variegate esperienze in ambito legale e giuridico, sono sempre fondamentalmente rimasto un giusnaturalista (anche se di un genere molto particolare).
Ed infatti, sempre volendo io restare intenzionalmente "semplicistico", il dilemma di fondo è il seguente:
- se ciascuno seguisse il suo "uzzolo" personale di coscienza (o di convenienza), dettato dalle proprie opinioni o dal suo credo religioso, politico ecc., vivremmo nell'anarchia più totale, per cui l'osservanza di una legge scritta deve avere la preminenza, sia ai fini della "certezza del diritto", sia ai fini della pace e dell'ordine sociale (che ne conseguono);
- ma se asseriamo che l'osservanza di una legge scritta deve avere in ogni caso la preminenza, allora dovremmo obbedire bovinamente anche a leggi (tipo quelle razziali o, in genere, persecutorie) che urtano GRAVEMENTE la nostra coscienza, e che potrebbero anche condurci a legittimare il genocidio.
E' un bel dilemma!
Di solito mi sento obiettare che, in un regime democratico, la seconda ipotesi non si dovrebbe mai verificare; il che, in buona parte, è vero (anche se non risolve il problema teorico).
Ma, a parte il fatto che anche Hitler assunse il potere democraticamente, bisognerebbe però precisare che non ci riferiamo ad un regime democratico "in senso stretto" (tipo quello in cui tre leoni e due gazzelle decidono cosa si mangia a colazione); bensì ad un regime "liberal-democratico", in cui, anche per mezzo della divisione dei Poteri e di una Costituzione, vengono comunque posti dei limiti al volere indiscriminato della mera "maggioranza numerica" (che può essere la peggiore delle dittature).
Anche in tale ipotesi, però, sia a livello teorico che a livello pratico (sia pur raramente), possono verificarsi contrasti tra il tenore della legge scritta, e quello che ci detta la nostra coscienza; ad esempio, è questo il caso della obiezione di coscienza in campo medico e -una volta- in campo militare...che, però, in qualche modo, il nostro ordinamento rispetta (in quanto, appunto, liberal-democratico).
Peraltro, talvolta, possono verificarsi contrasti tra il tenore della legge scritta, e quello che ci detta il nostro buonsenso.
Ad esempio, tempo fa mi capitò di vedere due vigilesse che presidiavano un semaforo, il quale (presumo per mera dimenticanza) non era stato disattivato; in effetti, avrebbe dovuto esserlo, perchè, per lavori stradali all'incrocio, le due tangenziali erano verticalmente attraversate da trincee per la posa di tubi del gas...per cui, nè pedoni nè vetture avrebbero potuto in nessun caso attraversarmi la strada (se non volando).
Sul momento, essendo il semaforo rosso, ed in presenza delle due vigilesse, fermai la mia automobile; ma poi, visto che l'inutile attesa si prolungava, ripartii attraversando lo (pseudo)incrocio...subito fermato dal fischietto di una delle due. :(
Quello che ne seguì, fu, più o meno, un dibattito filosofico sul Giuspositivismo e sul Giusnaturalismo, in quanto io sostenevo che, in quel caso, non aveva senso aspettare il verde, mentre loro eccepivano che il rosso va rispettato comunque; anche se -in effetti-, loro stesse ammettevano che in quel caso non serviva A NIENTE.
In sostanza, loro sostenevano la tesi giuspositivistica per la quale "Befehl ist Befehl!" (Un ordine è un ordine!) e "Gesetz ist Gesetz!" (La legge è legge!), mentre io la tesi evangelica, per la quale: "Non l'uomo è fatto per servire la legge...bensì la legge per servire l'uomo." ;)
E, quando non lo fa...me ne sbatto!
Mi rendo conto che tale assunto, se generalizzato, condurrebbe al caos, perchè, anche se è vero che molte leggi vigenti sono assolutamente "idiote" (soprattutto nel nostro Paese), è anche vero che, spesso, le opinioni personali (comprese le mie), lo sono ancora di più; per cui, in via di principio, è comunque meglio uniformarsi alle leggi (quali che esse siano), se non altro per la certezza del diritto e la pace sociale, o per dirla latinamente "pro bono pacis", et "ne cives ad arma ruant".
A meno che, però, esse non violino drasticamente il nostro più intimo senso di giustizia e di umanità; ed infatti, per quanto anch'esso possa essere malinteso, io lo ritengo comunque prevalente sulla legge scritta (la quale, peraltro, è anche essa "posteriore" ad un nostro giudizio di valore su cosa sia meglio osservare).
E' comunque singolare che la Costituzione del Lander di Brandeburgo (ed anche altre Costituzioni), all'art. 6 afferma: "Contro le leggi in contrasto con la morale e l'umanità sussiste un diritto di resistenza".
In questo caso, è lo stesso diritto positivo a riconoscere la prevalenza del diritto naturale; peccato che, nella nostra Costituzione, non esista una norma analoga.
Ma, tanto, per fortuna, esiste comunque nella "Costituzione Naturale" della nostra coscienza.
:)
Mi sembra (da profano, totalmente inesperto di diritto; "a lume di buon senso") che tutto dipenda dal fatto che ciò che é "propriamente, particolarmente umano", contrariamente a ciò che é "genericamente naturale", per così dire, di cui il peculiarmente umano fa comunque parte, l' eccezione (obiezione di coscienza) conferma la regola (legge scritta, uguale per tutti).
Mentre nelle scienze naturali (secondo me; so che molti dissentono, anzi che la mia convinzione "laplaciana" é decisamente minoritaria), in linea di principio, e non di fatto (perché spessissimo ciò richiederebbe una conoscenza di precisione praticamente infinita di un numero elevatissimo di variabili reciprocamente interagenti in maniere certe e precise ma complesse), tutto é calcolabile, tutto segue inderogabilmente (senza eccezioni, per l' appunto) "regole ferree", invece nelle scienze umane (e nell' agire umano pratico di fatto), 2 + 2 fa quasi sempre 4, ma talora fa 3,99 o 4,01.
Come rilevato anche da altri nell' altra discussione "nulla é contro natura", la cultura é una sorta di "sviluppo particolare della natura" o di "seconda natura", che non contraddice ma é complementare alla "prima natura" (la natura in generale), introducendovi caratteristiche alla sola cultura peculiari.
P. S.: Una curiosità personale (le cui motivazioni i più perspicaci e fra coloro che mi conoscono meglio nel forum facilmente comprenderanno): l' articolo da te citato dello statuto del Brandeburgo quando é entrato in vigore (prima o dopo la caduta del muretto di Berlino e quella che personalmente, e anche in questo caso alquanto anticonformisticamente, considero l' annessione della RDT alla RFG)?
Approfitto della competenza dell'insigne Eutidemo per formulare un quesito che mi segue da quando ne combinai una delle mie in un seggio elettorale della Contea.
Molti anni fa ( sigh...) mi recai al seggio di Sotto il monte, di là della Contea, per esercitare il mio "diritto al voto". Avevo la ferma intenzione di votare scheda bianca, non trovandomi, come mi capita di solito, in accordo con i programmi di nessun partito. Giunto dinanzi al banco mi fu consegnata, come si fa , la scheda elettorale con un mozzicone di matita e mi fu indicata la "gabina" dove nascondermi.
Presi la scheda e, senza andare da nessuna parte, feci il gesto di infilarla direttamente nell'urna. Infatti trovavo palesememte assurdo dovermi recare in cabina, far finta di aver visionato la scheda, richiuderla lasciandola immacolata e poi inserirla nell'urna. Apriti cielo! Il presidente del seggio andò nel panico, mi disse che non era possibile, che non si era mai vista una cosa simile. Di fronte alla mia ferma risoluzione di non muovermi e inserire la scheda bianca nell'urna, perchè era un mio diritto votare, corse al consulto con il presidente generale, che telefonò al sindaco, al questore, all'anas, al parroco e infine a mia madre! Però non potevano impedirmi di votare e , seppur molto perplessi, furono costretti a vedermi lasciar scivolare nella scatola la scheda...
Al di là del gesto provocatorio e plateale ( tipico della giovinezza...) chiedo a Eutidemo un parere sulla vicenda. Avevo ragione io o il presidente del seggio?...
IL Presidente del seggio era un incompetente, bastava che si leggesse le istruzioni ufficiali.
La scheda con voto espresso fuori dalla cabina elettorale andava immediatamente annullata e assolutamente non inserita nell'urna, l'elettore Sariputra non aveva diritto a votare ulteriormente e il fatto doveva essere verbalizzato.
I miei "two cents".
Giusnaturalismo=riconoscere la dignità intrinseca dell'uomo
Giuspositivismo=bisogna fare leggi per l'uomo (il portatore della dignità e quindi dell'etica). Bisogna fare leggi per convenzione e utilità pratica. Se tale diritto è ben fatto deve riconoscere la dignità dell'uomo come "assioma".
Citazione di: sgiombo il 04 Novembre 2016, 09:04:27 AM
Mi sembra (da profano,totalmente inesperto di diritto; "a lume di buon senso") che tutto dipenda dal fatto che ciò che é "propriamente, particolarmente umano", contrariamente a ciò che é "genericamente naturale", per così dire, di cui il peculiarmente umano fa comunque parte, l' eccezione (obiezione di coscienza) conferma la regola (legge scritta, uguale per tutti).
Mentre nelle scienze naturali (secondo me; so che molti dissentono, anzi che la mia convinzione "laplaciana" é decisamente minoritaria), in linea di principio, e non di fatto (perché spessissimo ciò richiederebbe una conoscenza di precisione praticamente infinita di un numero elevatissimo di variabili reciprocamente interagenti in maniere certe e precise ma complesse), tutto é calcolabile, tutto segue inderogabilmente (senza eccezioni, per l' appunto) "regole ferree", invece nelle scienze umane (e nell' agire umano pratico di fatto), 2 + 2 fa quasi sempre 4, ma talora fa 3,99 o 4,01.
Come rilevato anche da altri nell' altra discussione "nulla é contro natura", la cultura é una sorta di "sviluppo particolare della natura" o di "seconda natura", che non contraddice ma é complementare alla "prima natura" (la natura in generale), introducendovi caratteristiche alla sola cultura peculiari.
P. S.: Una curiosità personale (le cui motivazioni i più perspicaci e fra coloro che mi conoscono meglio nel forum facilmente comprenderanno): l' articolo da te citato dello statuto del Brandeburgo quando é entrato in vigore (prima o dopo la caduta del muretto di Berlino e quella che personalmente, e anche in questo caso alquanto anticonformisticamente, considero l' annessione della RDT alla RFG)?
La mia Tesi di Laurea era centrata, appunto, proprio sul
"Fondamento biologico del diritto naturale", ed affrontava la spinosa questione sia della
distinzione tra "diritto naturale" e "morale" (che è molto esile e controversa), nonchè la ancora più scabrosa questione della
derivazione dei comportamenti "etici" ("latu sensu")
dalla evoluzione filogenetica del comportamento, ovvero dal mero condizionamento culturale.Scrissi la mia tesi nel 1974, in un epoca di prevalente "culturalismo" riduzionista, di stampo prettamente sociologico ed etnologico; a cui, però, non ho mai aderito in pieno.
Sgiombo scrive che, come anche rilevato da altri in un'altra discussione,
"nulla é contro natura", in quanto la cultura é una sorta di "
sviluppo particolare della natura" o di "seconda natura", che non contraddice ma é complementare alla "prima natura" (la natura in generale), introducendovi caratteristiche alla sola cultura peculiari.
Tutto questo è verissimo, in quanto
l'uomo è un animale "naturalmente culturale" (se mi si passa il "calembour"), giacchè
la "cultura", per il tramite del linguaggio, è il principale -sebbene non l'unico- elemento filogenetico che, selettivamente, ci ha fatto prevalere a livello evolutivo rispetto alle altre "grandi scimmie".Benchè, "
nel loro piccolo", anche molte di loro abbiano una vera e propria
cultura.
Per cui, in larghissima misura, i nostri
"valori etici", sia che collimino con il diritto positivo (come in genere dovrebbero), sia che non collimino con esso, derivano dalla
CULTURA, e non "direttamente" dalla
NATURA; ciò, però, non significa che i più importanti di essi vengano mediati (sia pure in modi diversi) dalla cultura, ma trovino la lo radice prima nella natura...o, più esattamente, nella "filogenesi".
Per esempio, in genere:
- gli animali la cui prole è "a dispersione rapida e/o estesa", non hanno il
"tabu dell'incesto", perchè la probabilità di accoppiamenti parentali (geneticamente nocivi) è talmente scarsa, da rendere inutile l'insorgere di tale tabu comportamentale (che, umanamente, definiremmo "etico");
- gli animali, invece, la cui prole è "a dispersione lenta e/o ridotta", di solito hanno il "
tabu dell'incesto" -come l'uomo, l'"oca cinerina" ed altri-, perchè la probabilità di accoppiamenti parentali (geneticamente nocivi) è molto intensa, e, quindi, l'insorgere di tale tabu comportamentale è selettivamente utile alla specie.
Il che, è stato verificato anche sperimentalmente .
Ovviamente, modificandosi la pressione selettiva dei vari habitat (e dei "modus vivendi" connessi), si evolvono e cambiano anche i comportamenti genetici da una specie all'altra; ma si tratta pur sempre di comportamenti "naturali".
Nell'uomo, però,
a tali comportamenti "etici" primarii, si sovrappongono comportamenti "etici" culturalmente appresi; i quali, di solito, collimano con i primi, adattandoli nel miglior modo possibile, e differenziandoli geograficamente e storicamente.
Ma a
volte tali adattamenti vengono patologicamente distorti da anomale situazioni "ideologiche", che quasi li ritorcono contro la nostra stessa natura; come, ad esempio, spesso avviene per quanto concerne l'aggressività "
intraspecifica", i cui freni inibitori la cultura cerca talvolta di bypassare "
deumanizzando" le vittime, e rendendo così eticamente neutra -se non addirittura auspicabile- la loro stessa soppressione fisica.
Ma
i freni inibitori filogeneticamente acquisiti, per fortuna, tendono comunque a resistere a tali "forzature" (o inganni)
culturali.Ad esempio, nella prima fase della "
Soluzione Finale" '
Nacht una Nebel' (notte e nebbia),
le SS uccidevano le loro vittime direttamente con un colpo alla nuca, "culturalmente" convinte di porre in essere un compito socialmente meritorio; ma moltissime, dopo un certo numero di uccisioni,
dovevano essere ricoverate in istituti di cura mentale, perchè lo "stress" della soppressione diretta "a freddo", era TROPPO in contrasto con la natura umana (come in genere lo è per tutti i mammiferi, e non solo).
E così
tale tecnica, troppo "brutale", venne sostituita con altre meno dirette e, quindi più "indolori" (per gli assassini):
le camere a gas.Indubbiamente, in questo ed in altri analoghi casi, lo "stress" psicologico può essere provocato "anche" dal contrasto tra diversi valori culturali presenti nell'agente; ad esempio, nel caso delle SS, nella inconscia coesistenza di valori cristiani e nazi-razzisti.
Ma quest'ultimo tipo di contrasto -a ben vedere- vale per qualsiasi forma di uccisione, sia se praticata in modo diretto sia se praticata in modo indiretto, perchè ha una natura di carattere "intellettuale"; mentre, la ripugnanza "emozionale" ad uccidere direttamente e freddamente faccia a faccia (o, peggio ancora, faccia a nuca), risiede nel sistema delle pulsioni filogeneticamente acquisite dalla specie...per cui, pur intrecciandosi con la cultura, è "anteriore"ad essa.
Comunque, il discorso è MOLTO più complicato di così; per cui il mio va preso come mero quadro generale semplificativo.
:)
------------------------
Quanto alla Costituzione del Lander di Brandeburgo, risale a subito dopo la seconda guerra mondiale (46 o 47, non ricordo bene).
In effetti, la stessa Sottocommissione incaricata di elaborare la prima parte della nostra stessa Costituzione, al 2° comma dell'art.50, voleva inserire la seguente analoga disposizione, "Quando i pubblici poteri violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla costituzione, la resistenza all'oppressione è diritto e dovere del cittadino".
Ma poi, visto il clima di scontro politico tra DC e PCI, e poichè la parola "resistenza" suonava troppo vicina a quella di "rivoluzione", tale disposizione venne stralciata.
-----------------------------------------------------
:)
Citazione di: Sariputra il 04 Novembre 2016, 09:38:19 AM
Approfitto della competenza dell'insigne Eutidemo per formulare un quesito che mi segue da quando ne combinai una delle mie in un seggio elettorale della Contea.
Molti anni fa ( sigh...) mi recai al seggio di Sotto il monte, di là della Contea, per esercitare il mio "diritto al voto". Avevo la ferma intenzione di votare scheda bianca, non trovandomi, come mi capita di solito, in accordo con i programmi di nessun partito. Giunto dinanzi al banco mi fu consegnata, come si fa , la scheda elettorale con un mozzicone di matita e mi fu indicata la "gabina" dove nascondermi.
Presi la scheda e, senza andare da nessuna parte, feci il gesto di infilarla direttamente nell'urna. Infatti trovavo palesememte assurdo dovermi recare in cabina, far finta di aver visionato la scheda, richiuderla lasciandola immacolata e poi inserirla nell'urna. Apriti cielo! Il presidente del seggio andò nel panico, mi disse che non era possibile, che non si era mai vista una cosa simile. Di fronte alla mia ferma risoluzione di non muovermi e inserire la scheda bianca nell'urna, perchè era un mio diritto votare, corse al consulto con il presidente generale, che telefonò al sindaco, al questore, all'anas, al parroco e infine a mia madre! Però non potevano impedirmi di votare e , seppur molto perplessi, furono costretti a vedermi lasciar scivolare nella scatola la scheda...
Al di là del gesto provocatorio e plateale ( tipico della giovinezza...) chiedo a Eutidemo un parere sulla vicenda. Avevo ragione io o il presidente del seggio?...
Quello di votare è un diritto e un dovere civico (la cui violazione, peraltro, non viene sanzionata); ma
non c'è nessun obbligo ad esprimere la propria preferenza per un candidato o per un altro, ovvero, come per il prossimo REFERENDUM,
per il Si' o per il NO, per cui è
perfettamente lecito inserire nell'urna una scheda bianca.Il problema, semmai, è un'altro:
e, cioè, che se vai ad imbucare direttamente la scheda bianca nell'urna, senza passare per la cabina elettorale, violi (in un certo senso)
il primo comma dell'art.48 della COSTITUZIONE,
il quale sancisce che il voto deve restare SEGRETO.
Nel tuo caso, invece, si sarebbe trattato di
un (non)
voto PALESE!Ora, nel caso di uno che imbuca nell'urna una scheda aperta, rendendo a tutti palesemente visibile la sua preferenza espressa, il Presidente non fa altro che annullare la scheda (per violazione della segretezza del voto.
Ma, nel caso di uno che imbuca nell'urna una scheda chiusa, senza nemmeno entrare in cabina, è evidente che
sta rendendo a tutti palesemente visibile la sua NON espressa preferenza; in tal caso, pertanto, secondo me, i
l Presidente del Seggio -se proprio vuol fare il Pierino-
non dovrebbe fare altro che annullare la scheda (per violazione della segretezza del voto), tramutandola da scheda BIANCA in scheda NULLA. ;D
Ma il risultato, sempre lo stesso è...la scheda NON CONTA assolutamente NIENTE ai fini del voto!
In tutti e due i casi, però, si ha comunque una partecipazione al voto, e
tutte e due le schede sono utili ad incrementare il numero totale dei partecipanti alla votazione; il che ha la sua rilevanza soprattutto nei
REFERENDUM per i quali è necessario raggiungere un
QUORUM.
;)
P.S.
Grazie per l'immeritato "insigne".
:)
A scanso di equivoci, nel prossimo REFERENDUM non è necessario nessun QUORUM.
:)
@ Eutidemo
Grazie per la puntuale risposta. :)
Quindi, se ho ben compreso, il presidente del seggio di Sotto il Monte ha commesso due errori:
- non annullare la scheda
-lasciare che la inserissi nell'urna con la mia mano.
Citazione di: Apeiron il 04 Novembre 2016, 10:18:48 AM
I miei "two cents".
Giusnaturalismo=riconoscere la dignità intrinseca dell'uomo
Giuspositivismo=bisogna fare leggi per l'uomo (il portatore della dignità e quindi dell'etica). Bisogna fare leggi per convenzione e utilità pratica. Se tale diritto è ben fatto deve riconoscere la dignità dell'uomo come "assioma".
Condivido in pieno l'assunto per il quale, un diritto ben fatto, "dovrebbe" sempre riconoscere la dignità dell'uomo come "assioma"; e, cioè, che
l'uomo è sempre un "fine"...e giammai un "mezzo" (per parafrase Immanuel Kant).
Dovrebbe...ma, purtroppo,
talvolta non lo fa.
Secondo i
giuspositivisti, però,
il diritto scritto va sempre osservato, quale che ne sia il contenuto; altrimenti si darebbe la stura all'arbitrio dei singoli indivividui circa ciò che deve considerarsi giusto o ingiusto (o "ben fatto" o "mal fatto" che dir si voglia),
o, in altre parole, all'anarchia.Secondo i
giusnaturalisti, invece,
il diritto scritto va osservato soltanto se corrisponde ai principi "naturali" di giustizia, che -a seconda delle propensioni- Dio ha scritto nei nostri cuori, o la Natura ha scritto nei nostri geni.Sebbene le due cose
non debbano necessariamente contrapporsi tra di loro,
nè essere entrambe necessariamente in contrasto con la "cultura" etica di un determinato periodo storico, in una determinata area geopolitica; anche se non di rado, purtroppo,
tali discrepanze di fatto si verificano. :)
Parecchi anni fa leggendo La Stampa, imparai a stimare la competenza politica e del diritto di Norberto Bobbio.
Scriveva divinamente, la capacità di far capire concetti difficili con uno stile semplice.
Così lessi un libro in cui Bobbio spiegava la prima parte del giusnaturalismo, la seconda parte non era scritta da lui ed era sullo stato politico con riferimento ad Hegel e infine il diritto positivo di Kelsen.
Il giusnaturalismo riguarda soprattutto i filosofi che attingono dalla natura il diritto passando per i valori fondamentali, Rousseau rimane per me il migliore e il Contratto sociale è un capolavoro di filosofia politica ,il diritto positivo riguarda la forza della norma.
Forse, ma non sono sicuro, fu proprio Kelsen a dire che è il legislatore a fare il popolo, Quì c'è la coercizione della legge,
Il discorso è molto lungo, ampio e dipenderà che piega prenderà la discussione.
ma è ben lungi trovare una soluzione al come coniugare i diritti naturali idnividuali, l'aspetto sociale come pluralità di individui e infine lo Stato.Non amo le coercizioni, sono per la resistenza morale, ma pur sapendo che dobbiamo convivere .Riuscire a coniugare i valori,esprimerli nelle norme per far sì che gli individui si sentano popolo e ne siano sereni è un punto di arrivo non ancora ottenuto.
Le crisi istituzionali degli Stati, il concetto di democrazia, le stesse norme, i diritti fondamentali, la dignità umana,i diritti individuali e sociali, stanno rimettendo in discussione giustamente i principi
Citazione di: Sariputra il 04 Novembre 2016, 14:31:06 PM
@ Eutidemo
Grazie per la puntuale risposta. :)
Quindi, se ho ben compreso, il presidente del seggio di Sotto il Monte ha commesso due errori:
- non annullare la scheda
-lasciare che la inserissi nell'urna con la mia mano.
Sì; ma non ha causato danni, perchè una scheda nulla vale esattamente quanto una scheda bianca.
Citazione di: paul11 il 05 Novembre 2016, 00:46:25 AM
Parecchi anni fa leggendo La Stampa, imparai a stimare la competenza politica e del diritto di Norberto Bobbio.
Scriveva divinamente, la capacità di far capire concetti difficili con uno stile semplice.
Così lessi un libro in cui Bobbio spiegava la prima parte del giusnaturalismo, la seconda parte non era scritta da lui ed era sullo stato politico con riferimento ad Hegel e infine il diritto positivo di Kelsen.
Il giusnaturalismo riguarda soprattutto i filosofi che attingono dalla natura il diritto passando per i valori fondamentali, Rousseau rimane per me il migliore e il Contratto sociale è un capolavoro di filosofia politica ,il diritto positivo riguarda la forza della norma.
Forse, ma non sono sicuro, fu proprio Kelsen a dire che è il legislatore a fare il popolo, Quì c'è la coercizione della legge,
Il discorso è molto lungo, ampio e dipenderà che piega prenderà la discussione.
ma è ben lungi trovare una soluzione al come coniugare i diritti naturali idnividuali, l'aspetto sociale come pluralità di individui e infine lo Stato.Non amo le coercizioni, sono per la resistenza morale, ma pur sapendo che dobbiamo convivere .Riuscire a coniugare i valori,esprimerli nelle norme per far sì che gli individui si sentano popolo e ne siano sereni è un punto di arrivo non ancora ottenuto.
Le crisi istituzionali degli Stati, il concetto di democrazia, le stesse norme, i diritti fondamentali, la dignità umana,i diritti individuali e sociali, stanno rimettendo in discussione giustamente i principi
Norberto
Bobbio è stato sicuramente un Grande, sia del diritto, sia della filosofia (della politica); ed era anche un abile divulgatore.
Quanto a
Rousseau, era sicuramente un grande filosofo, ma, non per sua colpa, bensì per l'arretratezza delle conoscenze scientifico-paleontologiche dell'epoca in cui viveva,
incorse in un errore di base; ed infatti (detto in estrema sintesi), lui partiva dal presupposto che, nello stato di natura, l'uomo non avesse necessità di rapporti sociali, i quali successivamente derivarono dal venir meno dell'autosufficienza, che ci indusse a stipulare una sorta di "contratto sociale".
Ormai, invece,
è inequivocabilmente appurato che, nello stato di natura, l'uomo è sempre stato un animale sociale; ed infatti, a somiglianza dei lupi -e a differenza di altre specie-, l'uomo
è sempre stato un "animale gregario", per cui è SEMPRE "naturalmente" vissuto in società (sia pure di diverso genere), senza alcuna necessità di stipulare alcun contratto, o di fare alcun calcolo razionale di convenienza al riguardo.La società è nel nostro DNA!
Quanto a
Kelsen, sinceramente, non ricordo se fu lui a dire che è il legislatore a fare il popolo; anche se, a mio parere, non è solo chi governa a dover evitare che il popolo cada in errore...ma, a volte, anche viceversa.
Però, per fortuna, nei Paesi liberal-democratici è la stessa Costituzione a prevedere tale possibilità; ad esempio con l'istituto del "referendum confermativo", per mezzo del quale saranno i cittadini a valutare se il legislatore abbia o meno operato bene.
Fermo restando, peraltro, che, purtroppo (come spesso accade) possono sbagliare entrambi.
Quanto a trovare una soluzione al come coniugare i diritti naturali individuali, l'aspetto sociale come pluralità di individui e infine lo Stato, in effetti, il discorso si fa
MOLTO complicato; anzi, forse
TROPPO per questa sede.
:)
Forse la questione sembra troppo complicata perché non si sta tenendo conto del fattore evoluzione. Cioè, la natura non è un oggetto permanentemente uguale a se stesso, ma in continuazione cambia, si evolve, mi piace dire che critica se stessa. Questo comporta non solo una variabilità, che nell'arco di pochi anni o perfino di millenni può ritenersi trascurabile, ma soprattutto un continuo tentativo di variazione. Ciò, se è pur vero che nell'arco, diciamo, di cinquemila anni, la natura mantiene delle caratteristiche abbastanza omogenee, nell'arco anche di un secondo essa pone in atto continui tentativi di modificare se stessa.
Ciò comporta una radicale critica di ciò che vogliamo considerare come bene. Se nell'arco di cinquemila anni si può considerare naturale la ricerca della sopravvivenza, nell'arco di qualsiasi tratto di tempo, anche di un secondo, la natura porta avanti l'autocritica delle proprie stesse leggi e quindi anche di ciò che in essa può essere individuato come il bene di certi esseri.
Questo comporta una visione più critica del significato di giusnaturalismo: se anche si può individuare, per esempio, nell'arco di cinquemila anni una coscienza umana a cui ripugna uccidere, siamo costretti a tener presente che in ogni attimo la natura tende a mettere in questione anche questa legge di coscienza.
Ora, se il concetto di giusnaturalismo, a causa di questo perenne tentativo della natura di mettere in questione se stessa, è costretto ad essere un concetto molto più fluido di quanto si possa pensare a prima vista, ne consegue che anche quello di giuspositivismo, non potendosi sottrarre alle sue relazioni col primo, non può non risentire anche della sua fluidità.
Citazione di: Angelo Cannata il 05 Novembre 2016, 07:41:15 AM
Forse la questione sembra troppo complicata perché non si sta tenendo conto del fattore evoluzione. Cioè, la natura non è un oggetto permanentemente uguale a se stesso, ma in continuazione cambia, si evolve, mi piace dire che critica se stessa. Questo comporta non solo una variabilità, che nell'arco di pochi anni o perfino di millenni può ritenersi trascurabile, ma soprattutto un continuo tentativo di variazione. Ciò, se è pur vero che nell'arco, diciamo, di cinquemila anni, la natura mantiene delle caratteristiche abbastanza omogenee, nell'arco anche di un secondo essa pone in atto continui tentativi di modificare se stessa.
Ciò comporta una radicale critica di ciò che vogliamo considerare come bene. Se nell'arco di cinquemila anni si può considerare naturale la ricerca della sopravvivenza, nell'arco di qualsiasi tratto di tempo, anche di un secondo, la natura porta avanti l'autocritica delle proprie stesse leggi e quindi anche di ciò che in essa può essere individuato come il bene di certi esseri.
Questo comporta una visione più critica del significato di giusnaturalismo: se anche si può individuare, per esempio, nell'arco di cinquemila anni una coscienza umana a cui ripugna uccidere, siamo costretti a tener presente che in ogni attimo la natura tende a mettere in questione anche questa legge di coscienza.
Ora, se il concetto di giusnaturalismo, a causa di questo perenne tentativo della natura di mettere in questione se stessa, è costretto ad essere un concetto molto più fluido di quanto si possa pensare a prima vista, ne consegue che anche quello di giuspositivismo, non potendosi sottrarre alle sue relazioni col primo, non può non risentire anche della sua fluidità.
Condivido molte delle tue argomentazioni, Cannata...ma non tutte.
L'evoluzione, infatti:
- per alcuni aspetti è (relativamente)
rapida;
- per altri aspetti è MOLTO
lenta;
- per altri è quasi
INDIFFERENTE.
Ad esempio, l'adattamento umano al
latte bovino ed ovino, é stato reso possibile all'inizio del neolitico, circa 10.000 anni fa, con il passaggio dalla vita spesso nomade del nostro avo cacciatore-raccoglitore alla vita più stanziale basata sull'allevamento e l'agricoltura; e si può dire che si tratti di un adattamento evolutivo ancora in corso, in quanto ancora molta parte della popolazione umana del pianeta è refrattaria al lattosio.
Si tratta, quindi, di un adattamento evolutivo molto rapido.
Anche per quanto attiene al "
comportamento", peraltro, gli adattamenti evolutivi a volte sono più rapidi, a volte meno; occorre distinguere tra:
a) imperativi comportamentali "
categorici", e, cioè, gli imperativi di sopravvivenza della SPECIE (che sono incoercibili);
b) imperativi comportamentali "
ipotetici", e, cioè, gli imperativi "strumentali" alla sopravvivenza della SPECIE, i quali, invece, "evolvono" più o meno rapidamente, a seconda della "richiesta" più o meno impellente dell'ambiente e delle circostanze.
Quanto al fatto che: "...
si può individuare, per esempio, nell'arco di cinquemila anni una coscienza umana a cui ripugna uccidere, siamo costretti a tener presente che in ogni attimo la natura tende a mettere in questione anche questa legge di coscienza.".Non è così! Ed infatti, è etologicamente dimostrato che
pressochè TUTTI gli animali superiori (e non solo loro),
sin dall'epoca dei dinosauri, ed anche da prima, hanno sempre avuto una naturale "tendenziale"ripugnanza ad uccidere i propri simili; il che è stato anche verificato
sperimentalmente, perchè
in tutti i casi in cui l'aggressività "intraspecifica" (cioè tra membri della stessa specie)
aumenta oltre un certo livello, quella specie tende ad estinguersi.Il che, peraltro, appare
ovvio anche dal punto di vista
logico.
Per cui, poichè
l'inibizione all'assassinio "intraspecifico" è ESTREMAMENTE
funzionale alla SOPRAVVIVENZA DELLA SPECIE, s
i può tranquillamente dire che ben difficilmente potrà aversi una EVOLUZIONE in senso opposto; quando essa si verifica, in effetti, di solito in conseguenza di condizioni patologiche o comunque anomale dell'ambiente, si ha una
INVOLUZIONE che conduce all'estinzione di quella specie.Ovviamente, stiamo parlando di "
inibizione" innata all'uccisione "
intraspecifica"...ma non che essa, di fatto, non avvenga.
Ed infatti, mentre l'aggressività "intraspecifica" OMICIDA è pressochè inesistente in tutti gli animali superiori, è invece diffusissima l'aggressività "intraspecifica" SESSUALE (o per altre ragioni, come per il CIBO);
ma, per evitare che essa divenga OMICIDA, la selezione ha tarato specifici "rituali di combattimento", i quali, nella stragrande maggioranza dei casi, evitano la morte del soccombente.
- Basta che quest'ultimo fugga o si sottometta.
Questo accade in pressochè tutti gli animali: uomo compreso.
Occorre poi tenere presenti fenomeni particolari (tipo l'uccisione dei cuccioli in determinate circostanze di emergenza ecc.), che, però, sarebbero troppo lunghi da esaminare in questa sede; ma che comunque, non invalidano il principio.
Per l'uomo, però, le cose sono un po' differenti, essendo un animale precipuamente "culturale"; per cui, pur essendo anche nell'uomo filogeneticamente innata la ripugnanza all'omicidio, si può dire che sia l'animale che abbia ucciso (e tutt'ora uccida) esseri della sua stessa specie, molto più frequentemente di qualsiasi altro essere vivente.
Questo dipende precipuamente da DUE fattori:
a) la
maggiore facilità psicologica di uccidere "a distanza"...con l'arco o con la bomba atomica, che rende meno efficiente l'inibizione naturale all'uccisione (pensate se un boia dovesse strangolare le vittime, una per una, con le sue mani);
b) l'i
deologia culturale, che talvolta ci convince che altri uomini in realtà sono non-uomini o sotto-uomini (Untermenschen), per cui ci risulta psicologicamente più facile sopprimerli.
Ma anche i tali casi, l'inibizione ad uccidere, che è insopprimibile, continua lo stesso a funzionare: se non prima dell'omicidio...dopo!
Come già detto, infatti, molte SS finirono in cura psichiatrica per i sensi di colpa, e, dopo Hiroshima, il pilota USA Claude Eatherly, —benché avesse compiuto unicamente voli di ricognizione sopra Hiroshima, prima del bombardamento — dopo la guerra, entrò e uscì più volte dagli ospedali psichiatrici per veterani; e lo stesso altri piloti dell'operazione.
Solo per tale motivo,
almeno finora, la nostra specie non si è ancora estinta.
Ciò non toglie, peraltro, che quando l'aggressività intraspecifica "culturale" ha prevalso troppo, questo ha portato (o, comunque, contribuito) all'estinzione di determinate culture; come, sembra, nell'isola di Pasqua.
Per cui non credo proprio che l'innata ripugnanza ad uccidere il proprio simile (sia nell'uomo che nei mammiferi in generale),
possa essere evolutivamente superata; nè a medio, nè a breve, nè a lunghissimo termine. ;)
Citazione di: Eutidemo il 05 Novembre 2016, 08:56:04 AM
Quanto al fatto che: "... si può individuare, per esempio, nell'arco di cinquemila anni una coscienza umana a cui ripugna uccidere, siamo costretti a tener presente che in ogni attimo la natura tende a mettere in questione anche questa legge di coscienza.".
Non è così!
...
Per cui non credo proprio che l'innata ripugnanza ad uccidere il proprio simile (sia nell'uomo che nei mammiferi in generale), possa essere evolutivamente superata; nè a medio, nè a breve, nè a lunghissimo termine.
Difatti avevo scritto "mettere in questione", non "superata".
Citazione di: Angelo Cannata il 05 Novembre 2016, 09:08:54 AM
Citazione di: Eutidemo il 05 Novembre 2016, 08:56:04 AM
Quanto al fatto che: "... si può individuare, per esempio, nell'arco di cinquemila anni una coscienza umana a cui ripugna uccidere, siamo costretti a tener presente che in ogni attimo la natura tende a mettere in questione anche questa legge di coscienza.".
Non è così!
...
Per cui non credo proprio che l'innata ripugnanza ad uccidere il proprio simile (sia nell'uomo che nei mammiferi in generale), possa essere evolutivamente superata; nè a medio, nè a breve, nè a lunghissimo termine.
Difatti avevo scritto "mettere in questione", non "superata".
Ok ;)
Citazione di: Eutidemo il 04 Novembre 2016, 07:49:52 AM
Al termine della sua esposizione, io alzai la mano per ottenere la parola, e chiesi: "Professore, si potrebbe sintetizzare il tutto, dicendo che i Giuspositivisti ritengono che sia giusto osservare solo la legge "scritta", mentre i Giusnaturalisti, invece, ritengono che sia giusto osservare anche la legge "non scritta", quale impressa nella nostra coscienza (sia pure condizionata culturalmente)?"
Lui rispose: "Sintetizzando all'estremo, in effetti, il nocciolo della questione è proprio questo.".
"Ma allora...", feci io "...in effetti anche i Giuspositivisti sono Giusnaturalisti, in quanto, "a monte" della loro asserzione di voler dare la preminenza alla legge scritta, c'è pur sempre un giudizio valoriale; e, cioè che è GIUSTO osservare la legge scritta, a prescindere da ciò che ci detta la nostra coscienza personale. MA NON E' FORSE SEMPRE LA LORO COSCIENZA PERSONALE, AD AVERLI INDOTTI A TALE SCELTA, CIRCA CIO' CHE E' GIUSTO O MENO OSSERVARE?"
Trovo che la tua osservazione sia fondamentalmente giusta, anche se alla base sia della "coscienza personale" che della legge scritta si debba considerare il contesto sociale di cui l'una e l'altra sono espressioni, è infatti questo contesto sociale che determina il prevalere della posizione che privilegia il formalismo oggettivante e pubblico della norma per prenderla a definizione, oppure quella che rimanda alla problematicità individuale del significato di ciò che sta scritto per tutti. In realtà la scelta tra uno o un altro modo di fare non dipende fondamentalmente né da una coscienza personale del soggetto né da ciò che sta scritto in oggetto di norma, essendo sia la coscienza personale che lo scritto modi diversi di tradurre l'esperienza culturale e sociale da un lato per riconoscerla nella propria vita concreta insieme agli altri, dall'altro per preservarla definendola nel modo meno ambiguo possibile e quindi astratto, di principio.
Mi sembra interessante filosoficamente richiamare qui il famoso dialogo di Platone "Critone", ove appunto Critone, amico e discepolo di Socrate, si presenta a Socrate condannato a morte per empietà, proponendogli di fuggire (fuggire alle leggi sulla base delle quali era stato giudicato ingiustamente reo). Le ragioni morali che Critone presenta sono tre: non fuggendo Socrate farebbe torto a se stesso (egli infatti è innocente), farebbe torto ai suoi figli che verrebbero di lui privati, farebbe torto ai suoi amici che perderebbero ogni pubblica considerazione non avendo fatto tutto il possibile per salvarlo. Socrate risponde che la pubblica considerazione non è un criterio sufficiente a stabilire ciò che è giusto o no fare, ma il ragionamento corretto e per questo immagina che siano le Leggi stesse a venire a chiedergli: chi si occupato della tua nascita e di quando eri bambino? Sei soddisfatto del modo in cui si celebrano i matrimoni nella tua città? Chi ti ha allevato? Chi si occupa di ciò che accade nella Città?
In questa "Prosopopea" Le Leggi ricordano a Socrate che esse offrono cura a ogni individuo della comunità affinché la comunità stessa con la sua possibilità di cura possa preservarsi, quindi non è bene sottrarsi ad esse per motivi soggettivi proprio in ragione di questa cura (
epimeleia). Ma proprio in quanto la ragion d'essere delle leggi sta nella cura (una sorta di profilassi terapeutica) non penso che vadano accettate semplicemente della loro lettera che vuole fissarle formalmente, ma sempre pubblicamente comprese, condivise e rimesse anche coraggiosamente in discussione in nome della verità della cura per come si realizza nella vita di ogni individuo della comunità, a partire dal proprio quotidiano sentire per come trova riscontro pubblico.
Di quali individui dunque le nostre leggi si prendono davvero cura per esercitare la funzione in ragione della quale sussistono? Questa è una domanda che non trova risposta nell'ottemperanza formale della lettera della norma in quanto tale, le leggi non sono degli assoluti semplici per i quali basta la lettera, occorre comunque per esse l'assunzione di una coscienza politica.
Citazione di: maral il 05 Novembre 2016, 19:31:23 PM
Citazione di: Eutidemo il 04 Novembre 2016, 07:49:52 AM
Al termine della sua esposizione, io alzai la mano per ottenere la parola, e chiesi: "Professore, si potrebbe sintetizzare il tutto, dicendo che i Giuspositivisti ritengono che sia giusto osservare solo la legge "scritta", mentre i Giusnaturalisti, invece, ritengono che sia giusto osservare anche la legge "non scritta", quale impressa nella nostra coscienza (sia pure condizionata culturalmente)?"
Lui rispose: "Sintetizzando all'estremo, in effetti, il nocciolo della questione è proprio questo.".
"Ma allora...", feci io "...in effetti anche i Giuspositivisti sono Giusnaturalisti, in quanto, "a monte" della loro asserzione di voler dare la preminenza alla legge scritta, c'è pur sempre un giudizio valoriale; e, cioè che è GIUSTO osservare la legge scritta, a prescindere da ciò che ci detta la nostra coscienza personale. MA NON E' FORSE SEMPRE LA LORO COSCIENZA PERSONALE, AD AVERLI INDOTTI A TALE SCELTA, CIRCA CIO' CHE E' GIUSTO O MENO OSSERVARE?"
Trovo che la tua osservazione sia fondamentalmente giusta, anche se alla base sia della "coscienza personale" che della legge scritta si debba considerare il contesto sociale di cui l'una e l'altra sono espressioni, è infatti questo contesto sociale che determina il prevalere della posizione che privilegia il formalismo oggettivante e pubblico della norma per prenderla a definizione, oppure quella che rimanda alla problematicità individuale del significato di ciò che sta scritto per tutti. In realtà la scelta tra uno o un altro modo di fare non dipende fondamentalmente né da una coscienza personale del soggetto né da ciò che sta scritto in oggetto di norma, essendo sia la coscienza personale che lo scritto modi diversi di tradurre l'esperienza culturale e sociale da un lato per riconoscerla nella propria vita concreta insieme agli altri, dall'altro per preservarla definendola nel modo meno ambiguo possibile e quindi astratto, di principio.
Mi sembra interessante filosoficamente richiamare qui il famoso dialogo di Platone "Critone", ove appunto Critone, amico e discepolo di Socrate, si presenta a Socrate condannato a morte per empietà, proponendogli di fuggire (fuggire alle leggi sulla base delle quali era stato giudicato ingiustamente reo). Le ragioni morali che Critone presenta sono tre: non fuggendo Socrate farebbe torto a se stesso (egli infatti è innocente), farebbe torto ai suoi figli che verrebbero di lui privati, farebbe torto ai suoi amici che perderebbero ogni pubblica considerazione non avendo fatto tutto il possibile per salvarlo. Socrate risponde che la pubblica considerazione non è un criterio sufficiente a stabilire ciò che è giusto o no fare, ma il ragionamento corretto e per questo immagina che siano le Leggi stesse a venire a chiedergli: chi si occupato della tua nascita e di quando eri bambino? Sei soddisfatto del modo in cui si celebrano i matrimoni nella tua città? Chi ti ha allevato? Chi si occupa di ciò che accade nella Città?
In questa "Prosopopea" Le Leggi ricordano a Socrate che esse offrono cura a ogni individuo della comunità affinché la comunità stessa con la sua possibilità di cura possa preservarsi, quindi non è bene sottrarsi ad esse per motivi soggettivi proprio in ragione di questa cura (epimeleia). Ma proprio in quanto la ragion d'essere delle leggi sta nella cura (una sorta di profilassi terapeutica) non penso che vadano accettate semplicemente della loro lettera che vuole fissarle formalmente, ma sempre pubblicamente comprese, condivise e rimesse anche coraggiosamente in discussione in nome della verità della cura per come si realizza nella vita di ogni individuo della comunità, a partire dal proprio quotidiano sentire per come trova riscontro pubblico.
Di quali individui dunque le nostre leggi si prendono davvero cura per esercitare la funzione in ragione della quale sussistono? Questa è una domanda che non trova risposta nell'ottemperanza formale della lettera della norma in quanto tale, le leggi non sono degli assoluti semplici per i quali basta la lettera, occorre comunque per esse l'assunzione di una coscienza politica.
Sono fondamentalmente d'accordo quasi su tutto.
Ed invero, non c'è dubbio che, in buona parte, sia alla base della "
coscienza personale", sia alla base che della
"legge scritta", si debba considerare il contesto sociale di cui l'una e l'altra sono espressioni; ed infatti, in non piccola misura, è questo contesto sociale che determina il prevalere della posizione che privilegia il formalismo oggettivante e pubblico della norma per prenderla a definizione, oppure quella che rimanda alla problematicità individuale del significato di ciò che sta scritto per tutti.
Ma, a mio avviso,
non si riduce tutto a questo.Ed infatti è frequente riscontrare che
persone che provengono dallo stesso contesto socio-culturale (ad esempio dei fratelli), sul tema, hanno atteggiamenti COMPLETAMENTE
diversi; ciò che influisce sulle scelte personali, infatti, è anche
l'"individuale" esperienza coscienziale, e lo sviluppo di "proprii" ragionamenti e convinzioni maturate nel tempo.
Anzi, col tempo, queste possono mutare anche all'interno di un singolo individuo.
Peraltro, se è vero che
il contesto socio-culturale influisce -in parte- sull'individuo, è anche vero anche il contrario: ed infatti,
molti pensieri "individuali", espressi in libri che "hanno fatto la storia", hanno anche indubbiamente contribuito a cambiare il contesto sociale, e quello che era il vecchio "pensiero prevalente".
Tra singoli individui (autonomamente pensanti) e contesto culturale, secondo me c'è una continua
interazione...in entrambi i sensi.
In concreto, comunque, secondo me la scelta "
tra uno o un altro modo di fare", dipende fondamentalmente sia dalla coscienza personale del soggetto, sia da ciò che sta scritto nelle norme oggettive di diritto; o meglio ancora, o dalla
concomitanza tra le due cose (come di regola dovrebbe accadere), ovvero, in caso di contrasto tra l'una e l'altra, dal "
libero arbitrio" dell'individuo, che, in concreto, opera la scelta.
Ad esempio, le prescrizioni legali che vietano
l'omicidio, in genere (ma non necessariamente) concordano con la coscienza personale dei singoli individui; ma quelle che concernono
l'eutanasia, invece, molto spesso non collimano con la coscienza e la sensibilità individuale (per non parlare della ragione).
Per cui,
il soggetto che, secondo la sua coscienza (in determinate circostanze), ritiene giusto praticarla, deve scegliere se fare ciò che ritiene GIUSTO,
ovvero quello che sa essere LEGALE; e si tratta indubbiamente di una
scelta individuale, che può essere
emotiva o
razionale, ovvero anche determinata da mera
convenienza pratica (evitare la sanzione penale).
Comunque mi sembra MOLTO appropriata la tua citazione del
CRITONE, in cui Socrate sostiene una tesi sostanzialmente
GIUSPOSITIVISTICA; che è l'opposto di quella
GIUSNATURALISTICA di Sofocle
nell'ANTIGONE, quando quest'ultima dice a Creonte:
" Non pensavo che i tuoi editti avessero tanta forza, che un mortale potesse trasgredire le leggi non scritte e incrollabili degli dei".Non mi è invece ben chiara la tua conclusione, quando scrivi:
"
Di quali individui dunque le nostre leggi si prendono davvero cura per esercitare la funzione in ragione della quale sussistono? Questa è una domanda che non trova risposta nell'ottemperanza formale della lettera della norma in quanto tale, le leggi non sono degli assoluti semplici per i quali basta la lettera, occorre comunque per esse l'assunzione di una coscienza politica."Secondo me, infatti, tu introduci nel dibattito una ulteriore prospettiva: quella "
politica", che, se ho ben capito, dovrebbe (giustamente) tendere a far modificare quelle leggi che non esercitano più esercitare la funzione in ragione della quale sussistono.
Sulla quale cosa sono perfettamente d'accordo.
Quanto, invece, al tuo principio "
ermeneutico" per il quale l'obbedienza alla legge non consiste:"...nell'ottemperanza formale della lettera della norma in quanto tale, le leggi non sono degli assoluti semplici per i quali basta la lettera", essa corrisponde pienamente all'idea (sostanzialmente)
GIUSNATURALISTICA, superbamente espressa da
San Paolo, quando scrive:
"La lettera uccide, solo lo spirito vivifica" (2Cor 3,6).
Non corrisponde del tutto, però, sotto il profilo
GIUSPOSITIVISTICO, a quanto espresso
dall'art.12 delle PRELEGGI, per il quale:
"Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore.".Quest'ultima
è la c.d. "
interpretazione logica"
che mira a stabilire lo "
scopo"
che il legislatore ha inteso realizzare, emanandola; ma, si noti la congiunzione proposizionale
"e", che
è un connettivo logico attraverso il quale, a partire da due proposizioni (A e B) si forma una nuova proposizione, la quale è vera se siano entrambe vere, mentre è falsa in tutti gli altri casi possibili.Per cui, in parole povere,
l'unica intenzione del legislatore "positivisticamente" recepibile, è solo quella che deriva dal senso che, a seguito dell'esegesi giuridica del testo scritto, scaturisce dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse.Ma se tale "scopo", sia pure correttamente interpretato ai sensi dell'art.12, contrasta con quello che qualcuno ritiene essere il "diritto" naturale (come nelle leggi razziali), anche correttamente interpretando lo spirito della norma, la nostra coscienza può benissimo rifiutarne l'osservanza.
Per cui l'antinomia permane!
Citazione di: maral il 05 Novembre 2016, 19:31:23 PM
Di quali individui dunque le nostre leggi si prendono davvero cura per esercitare la funzione in ragione della quale sussistono? Questa è una domanda che non trova risposta nell'ottemperanza formale della lettera della norma in quanto tale, le leggi non sono degli assoluti semplici per i quali basta la lettera, occorre comunque per esse l'assunzione di una coscienza politica.
CitazioneE infatti quella dell' ottemperanza alla "legge" (in senso lato: alle decisioni "legali" che in sostanza venivano fatte risalire direttamente a Hitler) é stata la principale "scusante" dei propri comportamenti avanzata in sede legale (in qualche caso anche in sede puramente etica) dai principali gerarchi nazisti sconfitti e non suicidatisi.
P.S.: Mi sia concesso complimentarmi con Eutidemo per la sua notevolissima competenza (va beh, essendo "del mestiere" può essere considerata ovvia; però personalmente conosco non pochi colleghi -miei- che in pratica "se la cavano" senza una grande preparazione professionale) e chiarezza di esposizione e argomentazione (e questa non é scontata).
(Fine sviolinata; peraltro sincera. Spero prima o poi di dissentire anche con lui per poterlo un po' anche "maltrattare dialetticamente" e naturalmente essere ripagato della stessa moneta; non mi va di passare per "buonista").
Citazione di: sgiombo il 06 Novembre 2016, 10:21:25 AM
Citazione di: maral il 05 Novembre 2016, 19:31:23 PM
Di quali individui dunque le nostre leggi si prendono davvero cura per esercitare la funzione in ragione della quale sussistono? Questa è una domanda che non trova risposta nell'ottemperanza formale della lettera della norma in quanto tale, le leggi non sono degli assoluti semplici per i quali basta la lettera, occorre comunque per esse l'assunzione di una coscienza politica.
CitazioneE infatti quella dell' ottemperanza alla "legge" (in senso lato: alle decisioni "legali" che in sostanza venivano fatte risalire direttamente a Hitler) é stata la principale "scusante" dei propri comportamenti avanzata in sede legale (in qualche caso anche in sede puramente etica) dai principali gerarchi nazisti sconfitti e non suicidatisi.
P.S.: Mi sia concesso complimentarmi con Eutidemo per la sua notevolissima competenza (va beh, essendo "del mestiere" può essere considerata ovvia; però personalmente conosco non pochi colleghi -miei- che in pratica "se la cavano" senza una grande preparazione professionale) e chiarezza di esposizione e argomentazione (e questa non é scontata).
(Fine sviolinata; peraltro sincera. Spero prima o poi di dissentire anche con lui per poterlo un po' anche "maltrattare dialetticamente" e naturalmente essere ripagato della stessa moneta; non mi va di passare per "buonista").
Ti ringrazio molto per gli (immeritati) complimenti.
Ma, secondo me, qui non siamo "in gara" per far prevalere dialetticamente la nostra tesi; come è invece (anche deontologicamente) necessario in un'aula di giustizia...o in politica!
Qui, invece, io cerco -come ho già detto in un'altra discussione- di attenermi il più possibile ai principi dialogici della c.d. "Nuova Scuola di Francoforte", ed in particolare al primo (Giustezza-Richtigkeit); che è il più difficile da osservare.
Esso, infatti, prescrive di rispettare sempre le norme della situazione argomentativa, e, cioè, di cercare di capire VERAMENTE le tesi altrui; e, eventualmente di ritirare o correggere le proprie, qualora si siano dimostrate false o, comunque, opinabili.
Ma, come ho detto, la cosa non è affatto facile!
:)
Citazione di: Eutidemo il 06 Novembre 2016, 06:47:46 AM
Sono fondamentalmente d'accordo quasi su tutto.
Ed invero, non c'è dubbio che, in buona parte, sia alla base della "coscienza personale", sia alla base che della "legge scritta", si debba considerare il contesto sociale di cui l'una e l'altra sono espressioni; ed infatti, in non piccola misura, è questo contesto sociale che determina il prevalere della posizione che privilegia il formalismo oggettivante e pubblico della norma per prenderla a definizione, oppure quella che rimanda alla problematicità individuale del significato di ciò che sta scritto per tutti.
Ma, a mio avviso, non si riduce tutto a questo.
Ed infatti è frequente riscontrare che persone che provengono dallo stesso contesto socio-culturale (ad esempio dei fratelli), sul tema, hanno atteggiamenti COMPLETAMENTE diversi; ciò che influisce sulle scelte personali, infatti, è anche l'"individuale" esperienza coscienziale, e lo sviluppo di "proprii" ragionamenti e convinzioni maturate nel tempo.
Anzi, col tempo, queste possono mutare anche all'interno di un singolo individuo.
Peraltro, se è vero che il contesto socio-culturale influisce -in parte- sull'individuo, è anche vero anche il contrario: ed infatti, molti pensieri "individuali", espressi in libri che "hanno fatto la storia", hanno anche indubbiamente contribuito a cambiare il contesto sociale, e quello che era il vecchio "pensiero prevalente".
Tra singoli individui (autonomamente pensanti) e contesto culturale, secondo me c'è una continua interazione...in entrambi i sensi.
In concreto, comunque, secondo me la scelta "tra uno o un altro modo di fare", dipende fondamentalmente sia dalla coscienza personale del soggetto, sia da ciò che sta scritto nelle norme oggettive di diritto; o meglio ancora, o dalla concomitanza tra le due cose (come di regola dovrebbe accadere), ovvero, in caso di contrasto tra l'una e l'altra, dal "libero arbitrio" dell'individuo, che, in concreto, opera la scelta.
Ad esempio, le prescrizioni legali che vietano l'omicidio, in genere (ma non necessariamente) concordano con la coscienza personale dei singoli individui; ma quelle che concernono l'eutanasia, invece, molto spesso non collimano con la coscienza e la sensibilità individuale (per non parlare della ragione).
Per cui, il soggetto che, secondo la sua coscienza (in determinate circostanze), ritiene giusto praticarla, deve scegliere se fare ciò che ritiene GIUSTO, ovvero quello che sa essere LEGALE; e si tratta indubbiamente di una scelta individuale, che può essere emotiva o razionale, ovvero anche determinata da mera convenienza pratica (evitare la sanzione penale).
Comunque mi sembra MOLTO appropriata la tua citazione del CRITONE, in cui Socrate sostiene una tesi sostanzialmente GIUSPOSITIVISTICA; che è l'opposto di quella GIUSNATURALISTICA di Sofocle nell'ANTIGONE, quando quest'ultima dice a Creonte: " Non pensavo che i tuoi editti avessero tanta forza, che un mortale potesse trasgredire le leggi non scritte e incrollabili degli dei".
Non mi è invece ben chiara la tua conclusione, quando scrivi:
"Di quali individui dunque le nostre leggi si prendono davvero cura per esercitare la funzione in ragione della quale sussistono? Questa è una domanda che non trova risposta nell'ottemperanza formale della lettera della norma in quanto tale, le leggi non sono degli assoluti semplici per i quali basta la lettera, occorre comunque per esse l'assunzione di una coscienza politica."
Secondo me, infatti, tu introduci nel dibattito una ulteriore prospettiva: quella "politica", che, se ho ben capito, dovrebbe (giustamente) tendere a far modificare quelle leggi che non esercitano più esercitare la funzione in ragione della quale sussistono.
Sulla quale cosa sono perfettamente d'accordo.
Quanto, invece, al tuo principio "ermeneutico" per il quale l'obbedienza alla legge non consiste:"...nell'ottemperanza formale della lettera della norma in quanto tale, le leggi non sono degli assoluti semplici per i quali basta la lettera", essa corrisponde pienamente all'idea (sostanzialmente) GIUSNATURALISTICA, superbamente espressa da San Paolo, quando scrive: "La lettera uccide, solo lo spirito vivifica" (2Cor 3,6).
Non corrisponde del tutto, però, sotto il profilo GIUSPOSITIVISTICO, a quanto espresso dall'art.12 delle PRELEGGI, per il quale: "Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore.".
Quest'ultima è la c.d. "interpretazione logica" che mira a stabilire lo "scopo" che il legislatore ha inteso realizzare, emanandola; ma, si noti la congiunzione proposizionale "e", che è un connettivo logico attraverso il quale, a partire da due proposizioni (A e B) si forma una nuova proposizione, la quale è vera se siano entrambe vere, mentre è falsa in tutti gli altri casi possibili.
Per cui, in parole povere, l'unica intenzione del legislatore "positivisticamente" recepibile, è solo quella che deriva dal senso che, a seguito dell'esegesi giuridica del testo scritto, scaturisce dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse.
Ma se tale "scopo", sia pure correttamente interpretato ai sensi dell'art.12, contrasta con quello che qualcuno ritiene essere il "diritto" naturale (come nelle leggi razziali), anche correttamente interpretando lo spirito della norma, la nostra coscienza può benissimo rifiutarne l'osservanza.
Per cui l'antinomia permane!
Sì Eutidemo, sono d'accordo sul fatto che l'individuo nella sua peculiare differenza entra comunque in gioco davanti alla legge, ma non è l'individuo che sceglie questa sua differenza e quindi "opera la scelta", semplicemente la vive in ambito collettivo e per come la vive la intende giusta o no. E la legge stessa considera comunque in termini sociali quell'individuo e se l'eutanasia oggi presenta una problematica legislativa non è perché la legge prende in esame una particolare sensibilità individuale (che pur sussiste), ma perché esiste un ambito culturale collettivo e sociale in cui quella particolare sensibilità individuale trova pubblica ragion d'essere, per cui la scelta che sembra del singolo è già una scelta socialmente attuabile, il modo comune e pubblico di vedere le cose consente di sentirla e assumerla lecita. Resta comunque il "costume pubblico" che esprime la legge e i modi di sentire degli individui, ma mentre la legge la si può fissare uguale per tutti in forma scritta, gli individui no, essi vivono del loro diverso e sempre variante modo di sentire, che non è "scelto" da loro, ma partecipa di una determinazione sociale fatta di prassi condivise (e a loro volta varianti) nella quale possono sentirsi esclusi o compresi. Poi è chiaro che l'esclusione, quando coinvolge il modo di sentire sociale di più individui, può a sua volta determinare un diverso modo sociale condiviso e quindi forzare una riscrittura della legge e qui entra in ballo il discorso politico che riprendo alla fine.
Mi sembra chiaro che la posizione giuspositivista con il suo riferimento alla lettera intende mantenere il campo fermo, giacché solo a "bocce ferme" si può avere la formale certezza di un giudizio, ma in realtà le bocce non sono mai ferme, per questo occorre tener conto dello "spirito" che, per dirla come dice San Paolo vivifica, laddove la legge uccide. Anche se questo introduce un nuovo problema, perché lo spirito enunciato nella legge come "intenzione del legislatore", se preso a sua volta nel suo senso letterale non potrà che continuare a uccidere. E quindi il problema resta; né un'ermeneutica infinita, né una riduzione alla lettera che vede il significato espresso da ben definite connessioni sintattiche può risolverlo. Occorre, credo, in ogni caso, mantenersi in una posizione intermedia dettata da un "buon senso" pubblico sempre inevitabilmente discutibile.
Giustamente tu vedi nella posizione di Socrate nel "Critone" un richiamo giuspositivisco, però in fondo le Leggi rivolgono a Socrate una domanda (che possiamo sentirla anche in modo retorico, ma non è detto che la si debba sentire come tale), ossia gli chiedono se trova che esse si siano prese cura di lui, di lui proprio come individuo. Qui è l'individuo Socrate che è chiamato a giudicare le Leggi e non sulla loro lettera, ma sulla concreta cura che esse hanno saputo offrirgli. E Socrate le assolve: le Leggi hanno fatto ciò che dovevano, dunque, coerentemente, lui non trova giusto sottrarsi ad esse: la cura è stata propriamente esercitata, non per forma, non a priori, ma per sostanza. Egli quindi accetta la sua condanna a morte, pur sapendola ingiusta, proprio perché quelle leggi che bene lo hanno preso in cura, possano continuare a prendere in cura, come lui, ogni altro cittadino ateniese. In questo senso non avverto un'assunzione formale per cui la Legge domina assoluta con la sua perfezione a cui è doveroso conformarsi alla lettera, ma un giudizio politico sulle prassi (e non sintattico sulla forma) che ogni individuo dalla legge stessa è chiamato onestamente a esprimere assumendosene fino in fondo le conseguenze. Certo quel giudizio non è semplicemente di Socrate, soggetto individuale, partecipa della storia e della cultura in cui Socrate è vissuto, ma lui è chiamato nella sua individualità a farsene carico e, facendosene carico, assumendosene cioè una responsabilità politica, l'individuo nella "polis" torna al centro di ogni questione.
Citazione di: Eutidemo il 06 Novembre 2016, 13:32:46 PM
Citazione di: sgiombo il 06 Novembre 2016, 10:21:25 AM
Citazione di: maral il 05 Novembre 2016, 19:31:23 PM
CitazioneP.S.: Mi sia concesso complimentarmi con Eutidemo per la sua notevolissima competenza (va beh, essendo "del mestiere" può essere considerata ovvia; però personalmente conosco non pochi colleghi -miei- che in pratica "se la cavano" senza una grande preparazione professionale) e chiarezza di esposizione e argomentazione (e questa non é scontata).
(Fine sviolinata; peraltro sincera. Spero prima o poi di dissentire anche con lui per poterlo un po' anche "maltrattare dialetticamente" e naturalmente essere ripagato della stessa moneta; non mi va di passare per "buonista").
Ti ringrazio molto per gli (immeritati) complimenti.
Ma, secondo me, qui non siamo "in gara" per far prevalere dialetticamente la nostra tesi; come è invece (anche deontologicamente) necessario in un'aula di giustizia...o in politica!
Qui, invece, io cerco -come ho già detto in un'altra discussione- di attenermi il più possibile ai principi dialogici della c.d. "Nuova Scuola di Francoforte", ed in particolare al primo (Giustezza-Richtigkeit); che è il più difficile da osservare.
Esso, infatti, prescrive di rispettare sempre le norme della situazione argomentativa, e, cioè, di cercare di capire VERAMENTE le tesi altrui; e, eventualmente di ritirare o correggere le proprie, qualora si siano dimostrate false o, comunque, opinabili.
Ma, come ho detto, la cosa non è affatto facile!
:)
CitazioneConcordo sia sul principio sia sulla non facilità (in molti casi) dell' applicarlo (la mia finale era solo una battuta dettata dall' imbarazzo di poter passare per "buonista").
Direi che non è che il giuspositivismo fa parte del giusnaturalismo, ma il contrario, in quanto è evidente, che non esistendo Dio, ogni cosa è giuspositivista.
Nelle conferenza da me viste alla posizione giuridica positivisa di Zagrebelski, si è più volta contrapposta la posizione politica di Cacciari.
(pur entrambi schierati sul comune problema filosofico-giurdico del politico contemporaneo).
Fondamentalmente per l'uno il giuridico spiega il politico, per il secondo è il politico che informa il giuridico.
Con questa affermazione Zagrebelski indica più una costitutivo peso nel discorso positivo politico del giuridico, molto maggiore di quanto il politico spesso spera possa avere.
Cacciari invece intende dire che lo stesso discorso giuridico nasce come una forma del politico.
A sentire gli amici laureati in legge, molti dicono che la loro è una professione legata sopratutto alla circuizione delle leggi stesse, alla ricerca dei vuoti costituzionali, vuoti che appunto sarebbero lì mica per caso.
( e in generale il problemo del giuridico-giudaico-romano starebbe alla base di un discorso serio sul politico, ahimè l'opera fondamentale di questa tradizione, rimane non tradotta dal francese, quindi non ne so dire niente).
Citazione di: maral il 06 Novembre 2016, 19:48:22 PM
Citazione di: Eutidemo il 06 Novembre 2016, 06:47:46 AM
Sì Eutidemo, sono d'accordo sul fatto che l'individuo nella sua peculiare differenza entra comunque in gioco davanti alla legge, ma non è l'individuo che sceglie questa sua differenza e quindi "opera la scelta", semplicemente la vive in ambito collettivo e per come la vive la intende giusta o no. E la legge stessa considera comunque in termini sociali quell'individuo e se l'eutanasia oggi presenta una problematica legislativa non è perché la legge prende in esame una particolare sensibilità individuale (che pur sussiste), ma perché esiste un ambito culturale collettivo e sociale in cui quella particolare sensibilità individuale trova pubblica ragion d'essere, per cui la scelta che sembra del singolo è già una scelta socialmente attuabile, il modo comune e pubblico di vedere le cose consente di sentirla e assumerla lecita. Resta comunque il "costume pubblico" che esprime la legge e i modi di sentire degli individui, ma mentre la legge la si può fissare uguale per tutti in forma scritta, gli individui no, essi vivono del loro diverso e sempre variante modo di sentire, che non è "scelto" da loro, ma partecipa di una determinazione sociale fatta di prassi condivise (e a loro volta varianti) nella quale possono sentirsi esclusi o compresi. Poi è chiaro che l'esclusione, quando coinvolge il modo di sentire sociale di più individui, può a sua volta determinare un diverso modo sociale condiviso e quindi forzare una riscrittura della legge e qui entra in ballo il discorso politico che riprendo alla fine.
Mi sembra chiaro che la posizione giuspositivista con il suo riferimento alla lettera intende mantenere il campo fermo, giacché solo a "bocce ferme" si può avere la formale certezza di un giudizio, ma in realtà le bocce non sono mai ferme, per questo occorre tener conto dello "spirito" che, per dirla come dice San Paolo vivifica, laddove la legge uccide. Anche se questo introduce un nuovo problema, perché lo spirito enunciato nella legge come "intenzione del legislatore", se preso a sua volta nel suo senso letterale non potrà che continuare a uccidere. E quindi il problema resta; né un'ermeneutica infinita, né una riduzione alla lettera che vede il significato espresso da ben definite connessioni sintattiche può risolverlo. Occorre, credo, in ogni caso, mantenersi in una posizione intermedia dettata da un "buon senso" pubblico sempre inevitabilmente discutibile.
Giustamente tu vedi nella posizione di Socrate nel "Critone" un richiamo giuspositivisco, però in fondo le Leggi rivolgono a Socrate una domanda (che possiamo sentirla anche in modo retorico, ma non è detto che la si debba sentire come tale), ossia gli chiedono se trova che esse si siano prese cura di lui, di lui proprio come individuo. Qui è l'individuo Socrate che è chiamato a giudicare le Leggi e non sulla loro lettera, ma sulla concreta cura che esse hanno saputo offrirgli. E Socrate le assolve: le Leggi hanno fatto ciò che dovevano, dunque, coerentemente, lui non trova giusto sottrarsi ad esse: la cura è stata propriamente esercitata, non per forma, non a priori, ma per sostanza. Egli quindi accetta la sua condanna a morte, pur sapendola ingiusta, proprio perché quelle leggi che bene lo hanno preso in cura, possano continuare a prendere in cura, come lui, ogni altro cittadino ateniese. In questo senso non avverto un'assunzione formale per cui la Legge domina assoluta con la sua perfezione a cui è doveroso conformarsi alla lettera, ma un giudizio politico sulle prassi (e non sintattico sulla forma) che ogni individuo dalla legge stessa è chiamato onestamente a esprimere assumendosene fino in fondo le conseguenze. Certo quel giudizio non è semplicemente di Socrate, soggetto individuale, partecipa della storia e della cultura in cui Socrate è vissuto, ma lui è chiamato nella sua individualità a farsene carico e, facendosene carico, assumendosene cioè una responsabilità politica, l'individuo nella "polis" torna al centro di ogni questione.
Ottimo sviluppo argomentativo, che, nel suo complesso, non si può non condividere.
;)
Citazione di: green demetr il 07 Novembre 2016, 00:24:51 AM
Direi che non è che il giuspositivismo fa parte del giusnaturalismo, ma il contrario, in quanto è evidente, che non esistendo Dio, ogni cosa è giuspositivista.
Nelle conferenza da me viste alla posizione giuridica positivisa di Zagrebelski, si è più volta contrapposta la posizione politica di Cacciari.
(pur entrambi schierati sul comune problema filosofico-giurdico del politico contemporaneo).
Fondamentalmente per l'uno il giuridico spiega il politico, per il secondo è il politico che informa il giuridico.
Con questa affermazione Zagrebelski indica più una costitutivo peso nel discorso positivo politico del giuridico, molto maggiore di quanto il politico spesso spera possa avere.
Cacciari invece intende dire che lo stesso discorso giuridico nasce come una forma del politico.
A sentire gli amici laureati in legge, molti dicono che la loro è una professione legata sopratutto alla circuizione delle leggi stesse, alla ricerca dei vuoti costituzionali, vuoti che appunto sarebbero lì mica per caso.
( e in generale il problemo del giuridico-giudaico-romano starebbe alla base di un discorso serio sul politico, ahimè l'opera fondamentale di questa tradizione, rimane non tradotta dal francese, quindi non ne so dire niente).
Tu sostieni: "
... non è il giuspositivismo fa parte del giusnaturalismo, ma il contrario, in quanto è evidente, che non esistendo Dio, ogni cosa è giuspositivista."Tale assunto si basa sul presupposto che il giusnaturalismo trovi il suo fondamento esclusivamente nella c.d.
"legge divina"; come, in effetti, storicamente è spesso avvenuto.
Ma, in effetti,
il giusnaturalismo può essere fondato anche su altri presupposti; come la
RAGIONE, ovvero la
FILOGENESI dei comportamenti (come da me sostenuto nella mia Tesi di Laurea).
Ed infatti, i criminali nazisti di Norimberga, non vennero condannati in base al
"diritto positivo" (in fondo, loro, avevano semplicemente obbedito alla legge positiva del loro Paese), bensì in base al
"diritto naturale" delle genti; "
diritto naturale" , che, in quel caso, non era stato affatto invocato dai giudici come di ispirazione divina.
Come non necessariamente deve essere di ispirazione divina il "
tirannicidio", e qualsiasi altra ribellione -o semplice disubbidienza civile o resistenza passiva- ad una legge dello Stato, che la nostra coscienza personale (o, a volte, di gruppo) ritiene iniqua.
8)
***
Quanto al dibattito tra
Zagrebelski e
Cacciari, non vi ho assistito; ma in generale , secondo me, la contrapposizione tra
visione "positivista" (rectius: "giuridica") del primo e quella
"politica" del secondo, esula dalla tematica della contrapposizione tra "
giuspositivismo" e "
giusnaturalismo", di cui alla presente discussione.
Ed infatti:
1)La contrapposizione tra visione "positivista" (rectius: "giuridica")
e visione "politica", attiene al diverso approccio "euristico" con il quale si affrontano determinate problematiche, in quanto:
- l'
approccio giuridico attiene alla
esegesi ed alla valutazione tecnica di determinate disposizioni di legge, che possono, sotto tale profilo, essere considerate giuridicamente difettose e contraddittorie, oltre che scadenti nel loro complesso (come, a mio avviso, la legge di riforma costituzionale che andremo presto a votare);
-
l'approccio politico, invece,
prescinde dall'analisi tecnica del testo di legge, e della sua maggiore o minore perspicuità giuridica, ma attiene soprattutto alla valutazione dell'impatto istituzionale, sociale, economico (ed anche culturale)
che determinate normative possono -o potrebbero- avere, e mira, precipuamente, a cambiare o a conservare una certa legislazione, più che ad interpretarla. Si tratta di due approcci che, a mio avviso,
andrebbero entrambi congiuntamente sviluppati, nell'affrontare una stessa problematica; ma
non sempre le competenze di chi la affronta sono parimenti adeguate alla bisogna...il che è naturale, perchè, a differenza che nell'antica Grecia, al giorno d'oggi il "
tuttologi" non esistono più.
2)La contrapposizione tra "
giuspositivismo" e "
giusnaturalismo", invece, in un certo senso,
potrebbe definirsi "metagiuridica" e "metapolitica", in quanto squisitamente FILOSOFICA: è una problematica, cioè, che si svolge su un PIANO DIVERSO.Ovviamente nessuno vive nel mondo "
iperuranio", per cui è ovvio che,
nel decidere se prestare o meno osservanza ad una legge scritta, occorre previamente capire CHE COSA SIGNIFICA,
sia giuridicamente che politicamente; ma, una volta effettuata tale operazione,
starà alla nostra coscienza individuale decidere se, nonostante il nostro personale eventuale disaccordo, sia più giusto prestarle "giuspositivamente
"obbedienza, ovvero "giusnaturalisticamente
" negargliela. ***
Quanto ai tuoi
amici laureati in legge, tu riferisci che:
"...molti dicono che la loro è una professione legata sopratutto alla circuizione delle leggi stesse, alla ricerca dei vuoti costituzionali, vuoti che appunto sarebbero lì mica per caso."Al riguardo, sarebbe meglio precisare a chi ti riferisci, in quanto la
"laurea in legge" non è una professione, mentre lo sono le successive specializzazioni (avvocato, giudice e notaio); e, a seconda della strada professionale intrapresa,
il modo di affrontare le varie problematiche giuridiche è COMPLETAMENTE DIVERSO.
E "deve" esserlo, in quanto (lasciando perdere il NOTAIO):
1) L'AVVOCATO, nei limiti del
dovere di lealtà e probità processuale sancito dall'art.88 c.p.p. (la cui violazione comporta sanzioni), deve principalmente DIFENDERE il proprio assistito;
per cui deve "doverosamente" mettere in risalto l'interpretazione della legge a lui più favorevole.2) IL GIUDICE, invece,
non deve difendere nessuna parte, ma deve semplicemente interpretare la legge ed i fatti ("ixta alligata et probata partium"),
nel modo che a lui sembra più giusto.Ma da qui a dire che la legge ognuno la legge la interpreta come gli pare, ce ne corre.
Ed infatti, anche il diritto, in fondo, è una "
scienza" (ancorchè umanistica);
ma, in tutte le scienze, anche quelle fisiche, si possono avere teorie e diverse interpretazioni degli stessi fenomeni.Il che è perfettamente legittimo, a meno che non ci sia qualcuno che si mette a barare: come l'avvocato che produce falsi testimoni, il giudice che si lascia corrompere...o il paleontologo che falsifica i fossili (come il famoso "cranio di Piltdown).
;D
***
Purtroppo, soprattutto in Italia, tale "quadro" viene inquinato da un problema di fondo:
TROPPE LEGGI E SCRITTE TROPPO MALE!!!
Come diceva Tacito:
"PESSIMA REPUBLICA PURIMAE LEGES!!!".Ed infatti, secondo
"Yahoo Answers" il numero delle leggi varate dai parlamenti europei, ad oggi, sarebbe il seguente:
1. Gran Bretagna: 3.000 leggi
2. Germania: 5.500 leggi
3. Francia: 7.000 leggi
4.Italia: 150.000 - 200.000 leggi.Sinceramente, mi pare un po'
eccessivo.
Secondo
Normattiva, invece, un più serio progetto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Senato e della Camera dei Deputati – in collaborazione con la Corte Suprema di Cassazione, l'Agenzia per l'Italia Digitale e l'Istituto poligrafico della Zecca dello Stato, invece, le leggi italiane sono circa
75.000: più di dieci volte la seconda in classifica.Detto tra parentesi, trovo, quindi,
SORPRENDENTE che qualcuno osi sostenere che il "bicameralismo paritario" rallenta la produzione delle leggi; e meno male che le rallenta....se fosse vero, io le camere le raddoppierei invece di dimezzarle!!! ;D
Quanto ai
"tempi medi" di approvazione, i
ddl governativi (che sono quelli più importanti)
vengono approvati nella media dei tempi europei; i
ddl di iniziativa parlamentare, invece, hanno tempi di esame veramente "
biblici", ma
per il semplice fatto che i parlamentari inondano le camere con MIGLIAIA di ddl all'anno, per cui è OVVIO che i tempi di risposta si allunghino.Se mi arrivano 5 e-mail al giorno, rispondo a tutte il giorno dopo, ma se me ne arrivano 500, alla maggior parte rispondero nel giro di mesi o di anni!
State attenti quando vi fanno il gioco delle tre carte sotto il naso! ;)
Scusate la divagazione un po'
"off topics", ma era solo per mettere in rilievo come, TROPPE LEGGI (molte scritte male), comportino un eccessivo lavoro per l'interprete, e, molto spesso, comportino l'INOSSERVANZA DELLA LEGGE SCRITTA!
***
Quanto al problema del
diritto "giuridico-giudaico-romano", sinceramente, è un tema che non conosco, in quanto ignoravo del tutto che ci fosse stata una qualche "
contaminatio" in tal senso (a parte, forse, nel Diritto Canonico).
Mi piacerebbe saperne qualcosa di più al riguardo, perchè trovo la cosa molto interessante...per cui, se puoi, dammi qualche riferimento.
Grazie!
:)
La differenza tra giusnaturalismo e il positivismo giuridico non va individuata nell'atteggiamento di osservanza o meno della norma da parte del singolo individuo, la sua coscienza morale contrapposta alla legge vigente; una condizione, uno stato di fatto che è insopprimibile.
Come giustamente riassume Bobbio in Giusnaturalismo e positivismo giuridico, la differenza sostanziale è che per il giusnaturalismo ci sono due diritti concorrenti, il diritto naturale e il diritto positivo, mentre per il positivismo giuridico c'è esclusivamente il diritto positivo. Perciò ritengo il giusnaturalismo una concezione del diritto incoerente ed obsoleta.
Citazione di: baylham il 07 Novembre 2016, 11:47:54 AM
La differenza tra giusnaturalismo e il positivismo giuridico non va individuata nell'atteggiamento di osservanza o meno della norma da parte del singolo individuo, la sua coscienza morale contrapposta alla legge vigente; una condizione, uno stato di fatto che è insopprimibile.
Come giustamente riassume Bobbio in Giusnaturalismo e positivismo giuridico, la differenza sostanziale è che per il giusnaturalismo ci sono due diritti concorrenti, il diritto naturale e il diritto positivo, mentre per il positivismo giuridico c'è esclusivamente il diritto positivo. Perciò ritengo il giusnaturalismo una concezione del diritto incoerente ed obsoleta.
Tu scrivi che la legge vigente è:
"... una condizione, uno stato di fatto, che è insopprimibile."Al riguardo:
- che si tratti di uno
"stato di fatto" (anzi, di diritto),
nessuno lo mette in dubbio;- che, invece, sia
"insopprimibile",
è alquanto opinabile, poichè si tratta di uno "stato di fatto" che è stato molte volte sovvertito dalle rivoluzioni, ovvero disatteso individualmente dalla resistenza (attiva e/o passiva) dei cittadini.Bobbio dice che la differenza sostanziale è che per il giusnaturalismo ci sono due diritti concorrenti, il diritto naturale e il diritto positivo, mentre per il positivismo giuridico c'è esclusivamente il diritto positivo; questo è generalmente vero, con l'eccezione di alcune Costituzioni più evolute, come quella del Brandenburgo, da me già citata, la quale,
all'art. 6 afferma:
"Contro le leggi in contrasto con la morale e l'umanità sussiste un diritto di resistenza".Quindi,
anche i diritto positivo a volte riconosce l'esistenza, e, anzi, la supremazia del diritto naturale. Circa il fatto, poi, che il "giusnaturalismo" sia una concezione del diritto incoerente ed obsoleta, secondo me è obsoleta proprio tale convinzione; che risale al "
positivismo" ottocentesco.
A tale ottocentesca concezione, invero, tentarono di aggrapparsi -peraltro, a volte, non senza un qualche fondamento- gli avvocati dei gerarchi nazisti nel Processo di Norimberga; ma i loro assistiti vennero quasi tutti condannati (molti dei quali all'impiccagione).
Credo che a loro il "giusnaturalismo" non sembrò poi così obsloleto, quando si ritrovarono con la corda al collo.
:-\
Ed anche più recentemente, alcuni Capi di Stato (come Karadžić, che è stato condannato nel marzo 2016 a 40 anni di reclusione) sono stati condannati, oltre che per la specifica violazione di norme scritte, anche per "crimini contro la morale l'umanità"; le cui fattispecie, come nell'art.6 della Costituzione Brandemburghese, non sono mai state positivamente codificate, nè del loro Paese, nè del Diritto Internazionale, essendo rimesse a principi
"latu sensu "
giusnaturalistici".
I quali, quindi,
PER FORTUNA, sono più attuali che mai; essendo, però, ovviamente obsolete le concezioni "
giusnaturalistiche" medievali (a cui precipuamente si riferisce Bobbio).
;)
La condizione, lo stato di fatto insopprimibile cui mi riferivo è la libertà del singolo o di gruppi di accettare o respingere la legge. IN realtà ciò è valido indipendentemente dalla concezione che si abbia del diritto.
L'art. 6 del Brandeburgo è un esempio di circolo logico autoreferenziale contraddittorio, paradossale, a meno che non sia riferito alle leggi di un altro Stato. Il processo di Norimberga e simili pongono numerosi problemi di legalità del diritto internazionale, non necessariamente collegati al tema in discussione e che comunque non sono in grado di valutare per la mia ignoranza.
Che delle leggi facciano riferimento alla morale, agli usi o ai costumi per regolare dei comportamenti imprevedibili fa parte delle norme di chiusura di un sistema giuridico, anche se generalmente le norme penali lo escludono.
Trovo incoerente che ci siano due diritti, quello positivo e quello naturale, resto convinto con Bobbio che il diritto sia unico. Trovo obsoleta l'ipotesi di un ordine della natura che giustifica il diritto naturale, come mostra l'altro tema aperto nel forum "Nulla è contro natura".
Bobbio non si riferiva affatto al giusnaturalismo medioevale, anzi la sua riflessione giuridica e filosofica nel volume citato prendeva spunto proprio dalla rinascita nel dopoguerra del giusnaturalismo a causa dei crimini nazisti.
Citazione di: baylham il 07 Novembre 2016, 15:10:54 PM
La condizione, lo stato di fatto insopprimibile cui mi riferivo è la libertà del singolo o di gruppi di accettare o respingere la legge. IN realtà ciò è valido indipendentemente dalla concezione che si abbia del diritto.
L'art. 6 del Brandeburgo è un esempio di circolo logico autoreferenziale contraddittorio, paradossale, a meno che non sia riferito alle leggi di un altro Stato. Il processo di Norimberga e simili pongono numerosi problemi di legalità del diritto internazionale, non necessariamente collegati al tema in discussione e che comunque non sono in grado di valutare per la mia ignoranza.
Che delle leggi facciano riferimento alla morale, agli usi o ai costumi per regolare dei comportamenti imprevedibili fa parte delle norme di chiusura di un sistema giuridico, anche se generalmente le norme penali lo escludono.
Trovo incoerente che ci siano due diritti, quello positivo e quello naturale, resto convinto con Bobbio che il diritto sia unico. Trovo obsoleta l'ipotesi di un ordine della natura che giustifica il diritto naturale, come mostra l'altro tema aperto nel forum "Nulla è contro natura".
Bobbio non si riferiva affatto al giusnaturalismo medioevale, anzi la sua riflessione giuridica e filosofica nel volume citato prendeva spunto proprio dalla rinascita nel dopoguerra del giusnaturalismo a causa dei crimini nazisti.
Chiedo scusa, Baylham, quando avevi parlato di
"condizione e di stato di fatto insopprimibile", non avevo capito che intendevi riferirti alla libertà del singolo o di gruppi di accettare o respingere la legge (che è valido indipendentemente dalla concezione che si abbia del diritto); messa la questione in questi termini, infatti, almeno se ora ho compreso meglio il tuo pensiero,
sono d'accordo con te.Quanto all'art. 6 della Costituzione del
Brandeburgo, in effetti, diritti di "
resistenza" analoghi sono previsti anche nella Costituzione dell'
Assia e di
Brema (sempre del secondo dopoguerra); e non mi sembra che si tratti di circolo logico autoreferenziale contraddittorio, in quanto
non c'è nulla di contraddittorio nel fatto che la stessa Costituzione di uno Stato ammetta che, nel caso di violazione dei diritti fondamentali di giustizia e di umanità, i cittadini (singolarmente e/o collettivamente)
abbiano il diritto di "resistere" alla legge scritta ordinaria, che li viola.Tale tipo di norme, in buona parte, forse sono derivati da un abuso del "
giuspositivismo" ai tempi del
Nazifascismo; ed in effetti, la stessa Sottocommissione incaricata di elaborare la prima parte della nostra stessa Costituzione, al
2° comma dell'art.50, voleva inserire la seguente analoga disposizione, "
Quando i pubblici poteri violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla costituzione, la resistenza all'oppressione è diritto e dovere del cittadino". Ma poi, visto il clima di scontro politico tra DC e PCI, e poichè la parola "
resistenza" suonava troppo vicina a quella di "
rivoluzione", tale disposizione venne stralciata.
Però, hai perfettamente ragione nel dire che il processo di Norimberga e simili pongono numerosi problemi di legalità del diritto internazionale, non necessariamente collegati al tema in discussione; ma, questo, non tanto per quanto concerne l'applicazione di principi di carattere giusnaturalistico, quanto, piuttosto, per alcune palesi
"disparità di trattamento".Per esempio, l'Ammiraglio
Karl Dönitz venne condannato (anche se non a morte) per un ordine concernente la guerra sottomarina indiscriminata, che, con le stesse identiche modalità, era stato emanato anche dall'Ammiraglio
Chester Nimitz, comandante della flotta USA nel Pacifico nella guerra sottomarina contro i Giapponesi; cosa che lo stesso Nimitz dovette ammettere, ma che non fu mai processato per questo.
Ed avevano pure la stessa desinenza in
;D Ora, se è vero che la storia la fanno sempre i vincitori, per la giustizia (soprattutto quella "naturale"), non dovrebbe essere così.
Ma tant'è! ???
Ma, a parte questo, secondo me, sarebbe stato (ed è tutt'ora)
inaccettabile che un qualunque soggetto, politico o militare, possa nascondersi dietro il dito di "aver obbedito alla legge scritta" del suo Stato, per essere esonerato da qualsiasi responsabilità, anche in caso di crimini contro l'umanità; sarebbe
troppo comodo, ed
è avvenuto troppo spesso in passato, perchè la cosa possa ripetersi ancora.Per cui ritengo del tutto
GIUSTO (giusnaturalisticamente parlando) che i responsabili dell'olocausto siano stati condannati a morte ed impiccati; e che i loro corpi siano stati bruciati nei forni crematori di DACHAU, e le loro ceneri disperse nell'acqua.
E, questo, non solo per rendere
giustizia ai milioni di loro vittime...ma anche come
monito perchè tale abominio non si verifichi ancora,
potendosi i criminali fare scudo dell'alibi "giuspositivistico".Per cui, su tale punto, nel mio piccolo, dissento RADICALMENTE dal pensiero di Bobbio; pur riconoscendone l'autorevolezza e la competenza giuridica, che sono DI GRAN LUNGA superiori alla mia.Secondo me, infatti, non c'è epoca in cui un "aggiornato" giusnaturalismo sia più attuale,di quella attuale.
Eutidemo...come filogenesi????? :o
La questione del nazismo come qualsiasi altra è di ordine politico. Perchè Hitler sì ed Erdogan no???
Perchè il mondo americano si erse contro la Harendt quando scrisse sulla inutilità del processo di Norimberga, e della banalità del male poi?
Perchè intellettuali come Anders ebrei, predicano il perdono, e i gli ebrei come sinodo hanno ottenuto che venga considerata malattia l'essere anti-ebrei (vedi il processo a mel gibson)?
Questioni politiche solo politiche. (e quindi umane troppo umane).
La questione euristica qua nemmeno si pone, quindi non ha senso parlare di meta-filosofia, ma semplicemente di filosofia.
Essendo di ordine politico, ovviamente Bobbio non può che ammetterne il carattere meramente positivo.
Ma in fin dei conti Eutidemo le leggi non sono gli usi e i costumi di un popolo codificati???
E' veramente naturale, la carta dei diritti dell'uomo (che copia il nostro vecchio statuto, dò la vittoria del si per scontata)?
Quando è la stesso unesco che dichiara che è apertamente violata in non so quante nazioni su scala mondiale???
Citazione di: green demetr il 07 Novembre 2016, 19:39:11 PM
Eutidemo...come filogenesi????? :o
La questione del nazismo come qualsiasi altra è di ordine politico. Perchè Hitler sì ed Erdogan no???
Perchè il mondo americano si erse contro la Harendt quando scrisse sulla inutilità del processo di Norimberga, e della banalità del male poi?
Perchè intellettuali come Anders ebrei, predicano il perdono, e i gli ebrei come sinodo hanno ottenuto che venga considerata malattia l'essere anti-ebrei (vedi il processo a mel gibson)?
Questioni politiche solo politiche. (e quindi umane troppo umane).
La questione euristica qua nemmeno si pone, quindi non ha senso parlare di meta-filosofia, ma semplicemente di filosofia.
Essendo di ordine politico, ovviamente Bobbio non può che ammetterne il carattere meramente positivo.
Ma in fin dei conti Eutidemo le leggi non sono gli usi e i costumi di un popolo codificati???
E' veramente naturale, la carta dei diritti dell'uomo (che copia il nostro vecchio statuto, dò la vittoria del si per scontata)?
Quando è la stesso unesco che dichiara che è apertamente violata in non so quante nazioni su scala mondiale???
Per acquisizione "
filogenetica" della condotta (anche morale), si fa riferimento a quei
comportamenti che si sono selettivamente evoluti nelle singole specie, al fine di preservarle dall'estinzione, e farle prosperare; ad esempio, una eccessiva e "
letale" aggressività intraspecifica, è, ovviamente, controproducente alla fine della sopravvivenza della specie.
Quanto al fatto:
"Perchè Hitler sì ed Erdogan no???" (a parte il fatto che, forse, qualche lieve differenza tra i due ci passa), sono perfettamente d'accordo.
Infatti, io stesso mi chiedevo:
"Perchè Dönitz sì e Nimitz no?". Fu palese disparità di trattamento, dovuta al fatto che il primo faceva parte dei perdenti, mentre il primo dei vincitori! :(
Per cui hai perfettamente ragione quando dici che
molto spesso la POLITICA (e la forza bruta)
condizionano, purtroppo, anche l'applicazione della GIUSTIZIA; sia essa di carattere "
giuspositivistico" o sia essa di carattere "
giusnaturalistico"!
Ma, anche storcendo il naso di fronte alle tante "disparità di trattamento" che ci sono state (e tutt'ora ci sono) nell'applicazione della giustizia...
meno male che, almeno qualche "bastardo", trovandosi in una condizione politicamente svantaggiata, alla fine paga il fio dei crimini commessi.Ed infatti
non ritengo affatto ragionevole sostenere che, solo per il fatto che talvolta un ladro riesce a corrompere il giudice, facendola franca, diventi per questo giusto non condannare più nessun altro ladro! ;)
Quanto al sionismo e all'antisionismo, li considero entrambi forme di "razzismo": non esistono nè razze superiori nè razze inferiori ...ammesso che abbia un senso scientifico parlare di "razza"!
Quanto alle leggi, almeno nell'attuale mondo occidentale, in effetti,
non si tratta affatto degli usi e dei costumi di un popolo codificati; bensì dei provvedimenti normativi emanati -in una assemblea legislativa- dai delegati del popolo, che possono (se li ritengono validi) o non possono (se li ritengono invalidi e/o superati) adeguarsi agli usi e dei costumi tradizionali del popolo stesso.Diciamo, però, che, in effetti, la legislazione "
dovrebbe" sempre tendenzialmente adeguarsi all'evoluzione degli usi e dei costumi "
prevalenti" di un popolo; anche se non necessariamente condivisi da tutti i cittadini.
Non ho ben capito, però, la tua conclusione, quando scrivi:
"E' veramente naturale, la carta dei diritti dell'uomo (che copia il nostro vecchio statuto, dò la vittoria del si per scontata)? Quando è la stesso unesco che dichiara che è apertamente violata in non so quante nazioni su scala mondiale???"
Non avendo compreso bene (per mia pochezza) quanto intendi dire, non mi azzardo a fare commenti.
:-[
Citazione di: Eutidemo il 08 Novembre 2016, 07:36:45 AM
Per acquisizione "filogenetica" della condotta (anche morale), si fa riferimento a quei comportamenti che si sono selettivamente evoluti nelle singole specie, al fine di preservarle dall'estinzione, e farle prosperare; ad esempio, una eccessiva e "letale" aggressività intraspecifica, è, ovviamente, controproducente alla fine della sopravvivenza della specie.
Ah ora capisco, però tieni conto che la tua teoria assomiglia molto al darwinismo sociale, che appunto dimenticherebbe la questione della lotta di classe, e che purtroppo storicamente ha dato adito al famigerato eugenetismo (ovviamente lo so che lo rigetti, ci mancherebbe).
Tra l'altro questa filosofia alla Dawkins (il gene egoista), è proprio una di quelle che mi dà sui nervi, perchè ha successo!!! grrrr
;) ;) ;) ;) ;D ;D ;D ;D
Io invece benchè accolga spesso i ritrovati scientifici (come quello delle spaziature cacciatoriali, dell'idea di territorio, e anche di come dici tu, della inutilità dell'aggressività interpersonale.) tendo più a mettere l'accento sul lato politico della questione, quasi fossi un novello marxista (pur non essendolo, in quanto non lo devo ancora studiare a fondo !!! ;) )
e ovviamente la critica al darwinismo sociale, come nel precedente forum testimoniava, la appoggio pienamente.
Insomma direi che la "disputa" sta più in questo allora che non se il diritto sia positivo o naturale, perchè semplicemente passa da quella valle il tuo concetto di naturale (alias evolutivo).
La cosa dell'unesco intendevo dire che le culture dei paesi che noi (io compreso) in quanto stati riteniamo criminali, riguarda più la scelta politica da che parte stare. Perchè se uno nasce dentro una cultura ferale, tribale, non capisce minimamente cosa voglia dire "ferale" "tribale", semplicemente se la vivono, formandosi i propri riferimenti culturali e probabilmente giuridici.
Basta vedere cosa ne pensa la popolazione irachena delle ingerenze USA.
Voglio dire questo "gene egoista" non assomigli sempre di più ad un gene a stelle e strisce?????
(ah! a scanso di equivoci a noi italiani (io compreso), questa cosa va benissimo, sia chiaro, è bello stare dalla parte dei vincenti, ci vuole solo un minimo di onesta intellettuale per ammetterlo)
Citazione di: green demetr il 08 Novembre 2016, 14:57:49 PM
Citazione di: Eutidemo il 08 Novembre 2016, 07:36:45 AM
Per acquisizione "filogenetica" della condotta (anche morale), si fa riferimento a quei comportamenti che si sono selettivamente evoluti nelle singole specie, al fine di preservarle dall'estinzione, e farle prosperare; ad esempio, una eccessiva e "letale" aggressività intraspecifica, è, ovviamente, controproducente alla fine della sopravvivenza della specie.
Ah ora capisco, però tieni conto che la tua teoria assomiglia molto al darwinismo sociale, che appunto dimenticherebbe la questione della lotta di classe, e che purtroppo storicamente ha dato adito al famigerato eugenetismo (ovviamente lo so che lo rigetti, ci mancherebbe).
Tra l'altro questa filosofia alla Dawkins (il gene egoista), è proprio una di quelle che mi dà sui nervi, perchè ha successo!!! grrrr
;) ;) ;) ;) ;D ;D ;D ;D
Io invece benchè accolga spesso i ritrovati scientifici (come quello delle spaziature cacciatoriali, dell'idea di territorio, e anche di come dici tu, della inutilità dell'aggressività interpersonale.) tendo più a mettere l'accento sul lato politico della questione, quasi fossi un novello marxista (pur non essendolo, in quanto non lo devo ancora studiare a fondo !!! ;) )
e ovviamente la critica al darwinismo sociale, come nel precedente forum testimoniava, la appoggio pienamente.
Insomma direi che la "disputa" sta più in questo allora che non se il diritto sia positivo o naturale, perchè semplicemente passa da quella valle il tuo concetto di naturale (alias evolutivo).
La cosa dell'unesco intendevo dire che le culture dei paesi che noi (io compreso) in quanto stati riteniamo criminali, riguarda più la scelta politica da che parte stare. Perchè se uno nasce dentro una cultura ferale, tribale, non capisce minimamente cosa voglia dire "ferale" "tribale", semplicemente se la vivono, formandosi i propri riferimenti culturali e probabilmente giuridici.
Basta vedere cosa ne pensa la popolazione irachena delle ingerenze USA.
Voglio dire questo "gene egoista" non assomigli sempre di più ad un gene a stelle e strisce?????
(ah! a scanso di equivoci a noi italiani (io compreso), questa cosa va benissimo, sia chiaro, è bello stare dalla parte dei vincenti, ci vuole solo un minimo di onesta intellettuale per ammetterlo)
Tranquillo Green,
il giusnaturalismo fondato sulla filogenesi, NON HA NIENTE A CHE VEDERE CON IL DARWINISMO SOCIALE E CON L'EUGENETICA; si tratta di cose COMPLETAMENTE DIVERSE, che non hanno niente a che vedere l'una con l'altra.
Sarebbe come voler
trovare una somiglianza tra un piatto di lenticchie, e il gioco degli scacchi. :)
Ed infatti:
1)Il
DARWINISMO SOCIALE- teoria ormai obsoleta, e che, comunque, ho sempre considerato rozza e molto poco scientifica- ha per suo bandiera il concetto di "struggle for life and death", ovvero che la lotta per la vita e la morte (soprattutto a livello economico), debba essere la regola delle comunità umane; in tal modo, si basa su un
GIGANTESCO ERRORE DI FONDO.Ed infatti, tale (pseudo)teoria
confonde la lotta TRA diverse specie per la prevalenza in un determinato ambiente naturale, con la lotta ALL'INTERNO delle stesse specie, la quale è precipuamente di carattere sessuale e riproduttivo; mentre,
invece, la COLLABORAZIONE TRA I VARI MEMBRI DI UNA STESSA SPECIE (sia pure con modalità diverse)
, costituisce uno degli elementi principali del suo successo rispetto ad altre specie meno collaborative.Ed invero, almeno stando alla stragrande maggioranza dei testi che ho letto (siano essi di stampo etologico, psicologico o sociologico),
gli "imput" filogenetici" sono prevalentemente rivolti ad esaltare gli aspetti (latu sensu) "collaborativi" e "socializzativi" della specie umana -e non solo umana- e niente affatto quelli "competitivi".2)Quanto
all'EUGENETICA, anche in questo caso s
i tratta di una arcaica corrente di pensiero (più che di una teoria)
nata verso la fine dell'Ottocento che, basandosi su considerazioni genetiche e applicando i metodi di selezione usati per animali e piante, si poneva l'obiettivo del miglioramento della specie umana; ma, anche in questo caso, si tratta di qualcosa che
non ha niente a che vedere con lo studio della "filogenesi" delle condotte, che si limita a meramente studiare i comportamenti "filogeneticamente" acquisiti dalla specie umana in milioni di anni, per trarne indicazione circa i suoi comportamenti etici (i quali, però, in larga misura sono anche "epideterminati" dalla cultura).
Dopo le orrende esperienze del Nazismo, ormai, l'eugenetica intesa nel radicale senso originario, è ormai morta e dufunta (o, almeno si spera); mentre potrebbe avere una qualche sua limitata valenza in senso medico, per evitare il ripetersi di patologie ereditarie (sempre secondo la libera scelta degli interessati, ovviamente).
;)
***
Quanto alla faccenda
dell'UNESCO, ora ho capito meglio cosa intendevi dire; e, al riguardo, in effetti anche io nutro grosse perplessità.
Ed infatti, si tratta di
un dilemma difficilmente risovibile, perchè,
se da una parte è difficilmente tollerabile sopportare la violazione dei diritti umani in diverse parti del mondo (dall'infibulazione al genocidio),
dall'altra non è mica che possiamo conquistarlo tutto, al fine di imporre il nostro concetto di civiltà.I nostri antenati Romani, a dire il vero, lo hanno fatto.
"
Tu regere imperio populos, Romane, memento: hae tibi erunt artes, pacisque imponere morem, parcere subiectis et debellare superbos".Ma dubito che, oggi come oggi, noi (o meglio, gli Americani) possiamo fare altrettanto.
Nè so se sarebbe giusto o meno....proprio non lo so!
:-\
non necessariamente una posizione giuspositivista presupporrebbe una "simpatia" dettata dalla coscienza soggettiva che anteporrebbe la legge scritta alla legge morale intima. Si può ammettere anche un giuspostivista che in cuor suo reputi alcune leggi come immorali, e forse potrebbe anche legittimare un'ipotetico rifiuto di rispettare tali leggi, solo che tale legittimazione avrebbe una coloritura morale, non politica. A me sembra che il giuspostivismo potrebbe essere considerato come il tentativo di differenziare il piano dei diritto rispetto a quello della morale, senza per forza sostenere in termini assiologici il primato dell'uno rispetto all'altro, ma distinguendo il carattere oggettivo del primo rispetto alla soggettività della seconda. Il diritto cioè, in quanto scritto, emanazione di uno stato, è un dato oggettivamente riconoscibile, avente un carattere universale all'interno della comunità dei cittadini, mentre la morale è un sentimento soggettivo, impossibile da universalizzare, impossibile da porre come qualcosa di valido per tutti. Non è che la legge sia più importante della morale, è che la legge è qualcosa di riconoscibile come uguale per tutti all'interno di uno stato, e non si identifica con la morale che invece si differenzia in base alla sensibilità dei singoli individui, e se lo stato è chiamato a garantire gli interessi di più persone possibile dovrebbe evitare di identificare la sua legalità con una certa visione morale. Messe così le cose direi che il giuspositivismo rientrerebbe pienamente nell'alveo dell'assunto fondamentale del liberalismo moderno: il rifiuto dello stato etico, dell'idea che la legge, cioè il diritto, debba coincidere con una particolare visione morale, rifiuto dettato dal fatto che lo stato deve a garantire il bene di una comunità di persone all'interno delle quali vige una molteplicità, un pluralismo di punti di vista morali. Non è un caso che tale concezione liberale dello stato si sia sviluppata nella modernità, nel periodo delle guerre di religioni che insanguinavano l'Europa, immagino si avvertisse sempre più il bisogno di una forma statuale che per non privilegiare nessuna delle fazioni religiose in campo ( e conseguentemente propugnatrici di sistemi morali) si ponesse al di fuori della mischia, una neutralità al di soprà delle religioni e delle morali.
Il limite del giuspositivismo a mio avviso sta nel fatto che l'estremizzazione della scissione diritto-morale porterebbe il diritto a ridursi ad un'astrazione, una forma vuota dal contenuto identificabile con il senso morale dettato dalla sensibilità, cultura, storia dei popoli che il diritto e la legge sono chiamati a governare ed a garantirne condizioni minime di benessere. La scissione del diritto dalla morale è un'istanza tipicamente liberale, ma nelle forme estreme di tale scissione può condurre ad esiti opposti rispetto alle istanze liberali di tolleranza, nei casi in cui l'arbitrio totale della legge, del legislatore, conduce anche al calpestamento di ogni ideale di giustizia e morale delle persone, proprio alla luce dell'idea che il soggetto di diritto, lo stato sarebbe indifferente alla sensibilità morale dei cittadini. In questo caso lo stato diventa tirannico. I riferimenti al nazismo fatti in questa discussione, la possibilità di legittimare politicamente i crimini del nazismo in nome del totale arbitrio amorale della legge ("obbedivo solo agli ordini", "Hitler è stato eletto democraticamente e legalmente sulla base dell diritto di Weimar"...) sono molto appropriati. In realtà, è sempre l'eticità insita nella mentalità, nella storia dei popoli che "riempie" la forma vuota del diritto di un contenuto. Il diritto alla vita, la legge che incrimina un omicida, cose presenti nelle costituzioni degli stati occidentali liberaldemocratici sarebbero concepibili al di fuori di una certa cultura, innervata da certe visioni morali, religiose, filosofiche che riconoscono la vita come rivestita di una sacralità religiosa o perlomeno di un valore di inviolabilità legata ad un'etica laica? Senza la morale troverei assolutamente impossibile spiegare il perchè della determinatezza concreta delle leggi , il loro quid contenutistico. Giustamente il giuspositivismo lega il diritto ad un soggetto emanante necessario, lo stato inteso come sovrano, ci ricorda che non esiste diritto senza stato, ma la messa tra parentesi del legame tra diritto e morale blocca l'analisi del diritto ad uno sterile formalismo incompleto, incompleto perchè ignorante delle concrete, "materiali" condizioni che determinano la possibilità dell'esistenza di uno "stato", nonchè della genesi del particolare contenuto normativo delle varie leggi e delle varie forme di diritto, che non avrebbero alcun senso se non originate dai legami prestatuali delle persone dotati di coscienza morale. Non c'è diritto senza stato, ma non c'è stato senza persone
Davintro,
sono d'accordo su alcune disamine fondamentali, ma specificherei alcune cose altrettanto importanti
fra l 'ultimo giusnaturalista che influì sulla rivoluzione francese, J.J.Rousseau che segna lo spartiacque fra illuminismo e romanticismo, nasce il pensiero scientifico economico di A. Smith,, esce Fenomenologia dello spirito di Hegel e cominciano le guerre di indipendenza in tutta Europa, la modernità industriale e lo scontro di classe.
Fra lo stato di natura e lo stato di diritto Hegel inocula la dialettica dello stato politico.Ci sono quindi le basi per cui lo Stato moderno suddivida i tre poteri, passi dalle monarchie alle repubbliche e dove i nuovi agenti sociali associativi siano i sindacati nel lavoro e i partiti nella società.
Il diritto positivo è di stampo anglosassone e pone la legislazione come momento codificante di una società, tant'è che qualcuno dirà che sono le leggi che costruiscono un popolo.Il passaggio teoretico quindi non è più dal singolo al sociale del giusnaturalismo, ma dalla legislazione ai comportamenti legali.Gli agenti di cambiamento dovrebbero essere quindi i partiti che dovrebbero interpretare le motivazioni, le morali, le ideologie dentro la dialettica parlamentare.Quindi la legislazione dovrebbe adattarsi grazie alle "avanguardie sociali" nell'agone della politica.Allora la Costituzione diventa il codice sorgente di un popolo, a livello inferiore i vari codici costruiscono e completano la tessitura dell'ordinamento in cui il popolo vive e in cui gli agenti dinamici sono i partiti politici.
La dialettica fra individuo e società ,fra istanze personali e Stato, fra morale individuale ed etica inglobata nella legalità della legislazione non può mai avere fine, rimane aperto lo scontro fra interessi di classe sociale, fra morali diverse, fra credenti ed atei, fra cultura libera e minculpop governato dal sistema. Ma è quel codice sorgente della carta Costituzionale che dovrebbe garantire e tutelare i principi fondamentali del sistema socio-politico, garantire che lo scontro politico sublimi nella pacificazione parlamentare il conflitto socio culturale ed economico.
La personalità giuridica è un'astrazione ed è conflittuale con la personalità fisica: non è affatto sanata storicamente, anzi. Ma è proprio in Usa soprattutto che nasce questa conflagrazione, Lo Stato ha il monopolio della violenza proprio per personalità astratta giuridica che toglie il diritto della violenza alla personalità fisica, ecco perchè vogliono le armi le persone ,gli individui,nella patria culturale anglo sassone del liberismo e liberalismo.
Citazione di: davintro il 24 Novembre 2016, 22:33:52 PM
non necessariamente una posizione giuspositivista presupporrebbe una "simpatia" dettata dalla coscienza soggettiva che anteporrebbe la legge scritta alla legge morale intima. Si può ammettere anche un giuspostivista che in cuor suo reputi alcune leggi come immorali, e forse potrebbe anche legittimare un'ipotetico rifiuto di rispettare tali leggi, solo che tale legittimazione avrebbe una coloritura morale, non politica. A me sembra che il giuspostivismo potrebbe essere considerato come il tentativo di differenziare il piano dei diritto rispetto a quello della morale, senza per forza sostenere in termini assiologici il primato dell'uno rispetto all'altro, ma distinguendo il carattere oggettivo del primo rispetto alla soggettività della seconda. Il diritto cioè, in quanto scritto, emanazione di uno stato, è un dato oggettivamente riconoscibile, avente un carattere universale all'interno della comunità dei cittadini, mentre la morale è un sentimento soggettivo, impossibile da universalizzare, impossibile da porre come qualcosa di valido per tutti. Non è che la legge sia più importante della morale, è che la legge è qualcosa di riconoscibile come uguale per tutti all'interno di uno stato, e non si identifica con la morale che invece si differenzia in base alla sensibilità dei singoli individui, e se lo stato è chiamato a garantire gli interessi di più persone possibile dovrebbe evitare di identificare la sua legalità con una certa visione morale. Messe così le cose direi che il giuspositivismo rientrerebbe pienamente nell'alveo dell'assunto fondamentale del liberalismo moderno: il rifiuto dello stato etico, dell'idea che la legge, cioè il diritto, debba coincidere con una particolare visione morale, rifiuto dettato dal fatto che lo stato deve a garantire il bene di una comunità di persone all'interno delle quali vige una molteplicità, un pluralismo di punti di vista morali. Non è un caso che tale concezione liberale dello stato si sia sviluppata nella modernità, nel periodo delle guerre di religioni che insanguinavano l'Europa, immagino si avvertisse sempre più il bisogno di una forma statuale che per non privilegiare nessuna delle fazioni religiose in campo ( e conseguentemente propugnatrici di sistemi morali) si ponesse al di fuori della mischia, una neutralità al di soprà delle religioni e delle morali.
Il limite del giuspositivismo a mio avviso sta nel fatto che l'estremizzazione della scissione diritto-morale porterebbe il diritto a ridursi ad un'astrazione, una forma vuota dal contenuto identificabile con il senso morale dettato dalla sensibilità, cultura, storia dei popoli che il diritto e la legge sono chiamati a governare ed a garantirne condizioni minime di benessere. La scissione del diritto dalla morale è un'istanza tipicamente liberale, ma nelle forme estreme di tale scissione può condurre ad esiti opposti rispetto alle istanze liberali di tolleranza, nei casi in cui l'arbitrio totale della legge, del legislatore, conduce anche al calpestamento di ogni ideale di giustizia e morale delle persone, proprio alla luce dell'idea che il soggetto di diritto, lo stato sarebbe indifferente alla sensibilità morale dei cittadini. In questo caso lo stato diventa tirannico. I riferimenti al nazismo fatti in questa discussione, la possibilità di legittimare politicamente i crimini del nazismo in nome del totale arbitrio amorale della legge ("obbedivo solo agli ordini", "Hitler è stato eletto democraticamente e legalmente sulla base dell diritto di Weimar"...) sono molto appropriati. In realtà, è sempre l'eticità insita nella mentalità, nella storia dei popoli che "riempie" la forma vuota del diritto di un contenuto. Il diritto alla vita, la legge che incrimina un omicida, cose presenti nelle costituzioni degli stati occidentali liberaldemocratici sarebbero concepibili al di fuori di una certa cultura, innervata da certe visioni morali, religiose, filosofiche che riconoscono la vita come rivestita di una sacralità religiosa o perlomeno di un valore di inviolabilità legata ad un'etica laica? Senza la morale troverei assolutamente impossibile spiegare il perchè della determinatezza concreta delle leggi , il loro quid contenutistico. Giustamente il giuspositivismo lega il diritto ad un soggetto emanante necessario, lo stato inteso come sovrano, ci ricorda che non esiste diritto senza stato, ma la messa tra parentesi del legame tra diritto e morale blocca l'analisi del diritto ad uno sterile formalismo incompleto, incompleto perchè ignorante delle concrete, "materiali" condizioni che determinano la possibilità dell'esistenza di uno "stato", nonchè della genesi del particolare contenuto normativo delle varie leggi e delle varie forme di diritto, che non avrebbero alcun senso se non originate dai legami prestatuali delle persone dotati di coscienza morale. Non c'è diritto senza stato, ma non c'è stato senza persone
Discorso molto ben sviluppato, e fondamentalmente condivisibile; in sintesi, si potrebbe dire che si tratta della stessa cosa, vista sotto due prospettive diverse, una individuale, ed un'altra sociale.
:)
Ritengo anch'io che la base di qualsiasi forma di diritto sia giusnaturalista, ponendo la natura i presupposi della conservazione della vita, umana compresa. Garantire cibo, cure, igiene, tana, sicurezza, agli umani è un principio fondativo giusnaturalistico, che poi verrà fissato in forme positive, politicamente determinate, non necessariamente, in base ai rapporti sociali di forza tra le classi, rispettose dei principi giusnaturalistici. Ma appena si ritorna a concetti di equità sociale il giusnaturalismo risalta inesorabilmente fuori.
Va tenuto conto che non essendo in natura tutte rose e fiori, il principio si applica con la ratio delle migliori opportunità, limitando, con le buone tecniche scientifiche e sociali, gli aspetti più ferini della dialettica naturale. In particolare è inaccettabile un giusnaturalismo sovraccaricato ideologicamente di alibi sociobiologici quali il darwinismo sociale.
Citazione di: Ipazia il 13 Novembre 2022, 21:22:22 PMRitengo anch'io che la base di qualsiasi forma di diritto sia giusnaturalista, ponendo la natura i presupposi della conservazione della vita, umana compresa. Garantire cibo, cure, igiene, tana, sicurezza, agli umani è un principio fondativo giusnaturalistico, che poi verrà fissato in forme positive, politicamente determinate, non necessariamente, in base ai rapporti sociali di forza tra le classi, rispettose dei principi giusnaturalistici. Ma appena si ritorna a concetti di equità sociale il giusnaturalismo risalta inesorabilmente fuori.
Va tenuto conto che non essendo in natura tutte rose e fiori, il principio si applica con la ratio delle migliori opportunità, limitando, con le buone tecniche scientifiche e sociali, gli aspetti più ferini della dialettica naturale. In particolare è inaccettabile un giusnaturalismo sovraccaricato ideologicamente di alibi sociobiologici quali il darwinismo sociale.
Io ho dato la tesi di laurea sul "
giusnaturalismo", e ti posso assicurare che non solo non ha niente a che vedere con il "
darwinismo sociale"; ma, anzi, ne è esattamente l'"
ANTITESI"! :)