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LOGOS - Argomenti => Tematiche Filosofiche => Discussione aperta da: Ipazia il 17 Agosto 2020, 16:43:12 PM

Titolo: I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 17 Agosto 2020, 16:43:12 PM
Da tempi immemori, intrecciandosi con la religione, la filosofia ha perseguito il mito dell'assoluto. Esso costituisce il Santo Graal del pensiero metafisico e, malgrado le sciabolate della modernità e post che ne hanno disintegrato i fondamenti ontologici ed epistemologici, i postulanti dell'assoluto continuano nella loro nave di Teseo a sostituire pezzi teoretici per permettere all'assoluto di riprendere il mare della riflessione filosofica.

L'impresa è disperata e assomiglia piuttosto al celebre quadro di Théodore Géricault che ad una tranquilla avventura del pensiero.

Partendo dai numi fino alla cosa in sè si sono fatti numeri da circo per sostenere la causa dell'assoluto, il quale sempre più si è negato affogandone le pretese nel fiume Pantarei già noto agli antichi più metafisicamente accorti. Volendo trovare una mediazione si dovrebbero riporre le aspettative in assoluti alquanto relativi, ma che interessano un po' tutti noi, come la vita umana e la cura e preservazione del pianeta che ci ospita. Là c'è spazio per fare, cum grano salis, esercitazioni di assoluto. Rigorosamente con l'iniziale minuscola e la falsificazione dietro l'angolo.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: viator il 17 Agosto 2020, 21:23:34 PM
 Salve Ipazia. Credo di capire le tue avversioni per la metafisica e – all'interno di questa – del concetto di assoluto.


Da brava materialista soprattutto "storica" tu della metafisica avrai la visione canonica, (ricorda la mia avversione per i dizionari tradizionali) consistente nel dare all'etimologia del termine il significato (corretto) di "ciò che è posto al di là della fisica" ma con una interpretazione (secondo me del tutto opinabile) che rende "l'oltre la fisica" quale sinonimo di estraneità, negazione, incompatibilità nei confronti dell' "ora e qui" del materialismo fisico.


Quindi metafisica come visione improduttiva, in un certo senso parassitaria, vuota, inutile, astrattamente spiritualistica e socialmente sterile.




Io e altre tre o quattro gatti del pianeta...diamo invece della metafisica il tuo generalissimo e  medesimo significato, accoppiandolo però ad una diversa interpretazione : per noi quattro o cinque l' "oltre la fisica" non è altro che il serbatoio della fisica più o meno classica contenente tutto ciò che il materialista ADESSO non conosce ma potrebbe in futuro venir inscritto nelle scienze fisiche.




A modesto supporto di una simile interpretazione, basterà pensare che fino a G.Galilei la fisica non esisteva o quasi, dopodichè – guarda caso, divenne un continuo movimento di fatti e concetti che si spostavano da misteriose origini extrafisiche verso materialistiche ipotesi fisicistiche.




Certo, della metafisica parecchio resterà inspiegato quindi inutile o persino mistificatorio, ma conviene secondo me adattarci.
Circa l'assoluto, il problema fastidioso che impedisce di rendere del tutto fantasioso ed inesistente tale entità.........secondo me consiste nel trovare una alternativa logicamente seria (dubito che ne arrivino) alla sua seguente e mai commentata definizione : "Ciò che contiene senza essere contenuto da altro più grande di esso". Saluti.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: anthonyi il 18 Agosto 2020, 07:16:30 AM
Citazione di: viator il 17 Agosto 2020, 21:23:34 PM



Quindi metafisica come visione improduttiva, in un certo senso parassitaria, vuota, inutile, astrattamente spiritualistica e socialmente sterile.

 


A me pare, viator, che qui tu abbia una posizione pregiudiziale. Le stesse cose potrebbero essere dette in riguardo a tutta la filosofia che, per coloro che non se ne interessano, è un qualcosa di noioso e inutile. Qualcuno direbbe che con la filosofia non si mangia.
D'altronde se l'uomo fa filosofia lo fa per passione, perché ha bisogno di riflettere su qualcosa e, in passato, la sua riflessione cadeva sull'assoluto. Oggi magari non è più così, viste e considerate le tante distrazioni che la società della comunicazione offre, e su queste distrazioni si potrebbero argomentare tutte le ipotesi critiche che tu fai in riferimento alla metafisica.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 18 Agosto 2020, 10:20:34 AM
Citazione di: viator il 17 Agosto 2020, 21:23:34 PM
Circa l'assoluto, il problema fastidioso che impedisce di rendere del tutto fantasioso ed inesistente tale entità.........secondo me consiste nel trovare una alternativa logicamente seria (dubito che ne arrivino) alla sua seguente e mai commentata definizione : "Ciò che contiene senza essere contenuto da altro più grande di esso".

Definizione di tipo insiemistico, ovvero logico-matematico, ovvero concetto. Con impossibilità di passare dal concetto all'ente, quindi non falsificabile, quindi oggetto di fede, quindi escluso dall'episteme scientifica.

Se a te sta bene credici pure che un ente siffatto esista, ma siamo fuori da un discorso rigorosamente scientifico-filosofico o, nella migliore ipotesi, ad una astratta definizione concettuale esclusa da ogni possibile verifica sperimentale.

Come già dissi, l'ente più simile postulato da un'episteme scientifica fu l'Universo galileiano, la Natura spinoziana. Entrambi correlati all'ente assoluto della teologia. Ma entrambi questi "enti" hanno mostrato il loro carattere di concetto antropologico, non configurabile in alcun ente incontrovertibile come l'episteme scientifica giustamente pretende.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: viator il 18 Agosto 2020, 12:27:20 PM
Salve Ipazia. Citandoti : "Ma entrambi questi "enti" hanno mostrato il loro carattere di concetto antropologico, non configurabile in alcun ente incontrovertibile come l'episteme scientifica giustamente pretende".


Direi "come l'episteme scientifica ERRATAMENTE (ed un pochino vanitosamente) pretende".
Il fatto che gli "enti" di cui stiamo parlando non siano configurabili rappresenta la logica conseguenza della loro estensione.


Il "configurare" implica l'attribuire una certa forma, e le forme si concretano attraverso i loro limiti e confini. Circa confini e forma dell'Assoluto e del Tutto (etc. etc.) credo resteremo a rinfrescarci in mezzo al guado. Saluti.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: viator il 18 Agosto 2020, 12:36:14 PM
Salve anthonyi :

Citazione di: anthonyi il 18 Agosto 2020, 07:16:30 AM
Citazione di: viator il 17 Agosto 2020, 21:23:34 PM



Quindi metafisica come visione improduttiva, in un certo senso parassitaria, vuota, inutile, astrattamente spiritualistica e socialmente sterile.

 


A me pare, viator, che qui tu abbia una posizione pregiudiziale. Le stesse cose potrebbero essere dette in riguardo a tutta la filosofia che, per coloro che non se ne interessano, è un qualcosa di noioso e inutile. Qualcuno direbbe che con la filosofia non si mangia.
D'altronde se l'uomo fa filosofia lo fa per passione, perché ha bisogno di riflettere su qualcosa e, in passato, la sua riflessione cadeva sull'assoluto. Oggi magari non è più così, viste e considerate le tante distrazioni che la società della comunicazione ho imputatooffre, e su queste distrazioni si potrebbero argomentare tutte le ipotesi critiche che tu fai in riferimento alla metafisica.


Guarda che stai imputando a me l'atteggiamento che io ho ipotizzato potesse essere quello di Ipazia (ferma restando la facoltà di quest'ultima di smentirmi). Saluti.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 18 Agosto 2020, 13:02:13 PM
Citazione di: viator il 18 Agosto 2020, 12:27:20 PM
Il "configurare" implica l'attribuire una certa forma, e le forme si concretano attraverso i loro limiti e confini. Circa confini e forma dell'Assoluto e del Tutto (etc. etc.) credo resteremo a rinfrescarci in mezzo al guado. Saluti.

Già meglio che l'allucinazione di approdi illusori. Ma gli approdi reali sono tali e tanti che non resta nessuno che non lo desideri a rinfrescarsi in mezzo al guado.

Ipazia non disdegna la metafisica, posto che pure la scienza, nel rappresentare il reale, lo è. Ipazia disdegna la metafisica farlocca cacciatrice e sponsorizzatrice di chimere. Ne disdegna la falsità.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Jacopus il 18 Agosto 2020, 19:04:06 PM
Assoluto deriva dal latino e significa "sciolto da", ovvero senza un limite o limiti, a cui rimanda quel "da". Quindi etimologicamente, assoluto in realtà è un relativo anch'esso. In questo la cultura latina era più saggia della nostra, che invece ha ipostatizzato l'assoluto facendolo un facile eponimo del Dio monoteista, prima, del re dopo e di altri dittatori culturali e politici via via succedutisi nel tempo.
Psicologicamente l'assoluto è facilmente identificabile nel bambino nei primi anni di vita, quando gestisce come un tiranno la vita di due adulti, essendo sciolto da ogni limite, visto che lo scopo dei due adulti è il suo benessere non mediato da altri interessi. Una metafisica dell'assoluto è quindi, sotto svariate forme, un nostalgico richiamo ad una situazione del passato di ognuno di noi. Età dell'oro, belle epoque, nani che siedono sulle spalle di giganti. L'assoluto è un gioco psicotico che consola rispetto alla nostra ineludibile finitezza.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: viator il 18 Agosto 2020, 21:11:42 PM
Salve jacopus."L'assoluto è un gioco psicotico che consola rispetto alla nostra ineludibile finitezza".

Sono d'accordo anche se io avrei impiegato termini poco diversi : "L'assoluto ci fa credere che il mondo non possa avere nè una fine nè un fine (il quale costituirebbe appunto anche la sua fine). Saluti.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: davintro il 21 Agosto 2020, 18:31:17 PM
la posizione di un Assoluto non è un'opzione fra tante altre, ma una necessità logica che nasce nel momento in cui si indaga la validità di un qualunque criterio di verità, anche quando applicato in sfere che non sono, almeno apparentemente, quelle della filosofia o della metafisica, ma della realtà empirica: un criterio di verità può essere autosufficiente nel legittimarsi nella capacità di fondare la validità di un discorso, ed in tal caso questo criterio potrà definirsi "assoluto", cioè indipendente da ogni condizione di validità ad esso estrinseca, oppure richiede un principio altro da sé, ed in questo caso il criterio non sarà "assoluto", e proprio per questo la tesi che a quel criterio si appoggia, fintanto che ad esso si ferma invece che continuare a regredire fino ad arrivare al criterio primo e assoluto, non potrà avanzare alcuna pretesa di verità, cioè di facoltà di corrispondere alla realtà oggettiva. Per questo la negazione di qualunque principio assoluto è necessariamente autocontraddittoria, nel negare l'assoluto, la tesi ammette di appoggiarsi su criteri di verità arbitrari, cioè non assoluti, e questo vale per qualunque giudizio, comprese quelli inerenti la realtà naturale oggetto delle scienze particolari, e non solo quelli inerenti la sfera religiosa. La scomparsa di ogni rapporto giudicante coscienza-mondo, farebbe sì che l'unica tipologia di relazione resti puramente estetica, non come "giudizio" estetico, ma come esperienza meramente fenomenale, gioco di apparenze, che in alcun modo sarebbe possibile per la ragione valutare riguardo la corrispondenza con una realtà oggettiva extrafenomenale. L'errore che si compie nel ritenere possibile una conoscenza scientifica in assenza della categoria di Assoluto, più o meno tematizzata riflessivamente sulla base della volontà e degli interessi di ricerca del soggetto conoscente, nasce a mio avviso dalla confusione tra metafisica e storia della metafisica, deducendo da un legittimo dissenso riguardo le soluzioni proposte da determinate proposte metafisiche avanzate nella storia, la condanna della metafisica tout court, quando in realtà la metafisica non è un'opinione, una particolare tesi su cui si può essere d'accordo o meno, ma un necessario livello di conoscenza, che, anche quando non tematizzato in modo sistematico, o si ritiene di fare dell'antimetafisica, continua a essere utilizzato, come applicazione dei criteri fondamentali, originari da cui derivano tutti gli altri che utilizziamo, senza che quelli derivino a loro volta da altro. Possiamo contestare un certo tipo di metafisica, una certa nozione di assoluto, mai la metafisica e l'assoluto in generale, pena la perdita dei criteri fondamentali di verità in ogni sua applicazione. Contro ciò non varrebbe neanche l'obiezione che questi criteri di verità trascendentali resterebbero necessari a livello di logica formale di pensiero, senza che da essi debba discendere un livello di sapere sulla realtà, sull'ontologia. Questa scissione così netta fra logica e ontologia non terrebbe conto della definizione classica di "verità", cioè tomisticamente, verità come corrispondenza di una preposizione alla realtà, da cui discende che la proposizione per cui riteniamo vero il fatto che un certo criterio logico di verità si pone come autosufficiente a livello formale, corrisponde nella realtà la presenza di un ente in cui tale criterio si applica. Ogni definizione è una convenzione, quindi non necessariamente assumibile, ma allora mi chiedo come i negatori della metafisica e dell'assoluto tout court potrebbero diversamente definire la nozione di verità per evitare che dai loro fondativi criteri di giudizio presunti validi debba discendere anche nella realtà l'esistenza di un principio fondativo
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Jacopus il 21 Agosto 2020, 22:15:58 PM
Mi ritrovo nel tuo discorso Davintro, solo se applico la tua tesi al principio sperimentale scientifico. Pertanto ritengo assoluto il metodo scientifico moderno che si fonda sulla necessità di dimostrare empiricamente la tesi sostenuta. Tesi e dimostrazione empirica dovranno essere validate dalla comunità scientifica di riferimento. L'accettazione per "vera", di quella tesi, dopo questi tre passaggi (teoria, verifica empirica, consenso della comunità scientifica), non prescinde però dalla consapevolezza che quella è una verità temporanea, che può lasciare spazio ad una verità più stringente  che può modificare la prima verità o integrarla ( vedi Kuhn e la sua teoria dei "paradigmi scientifici).
Questo per quanto riguarda le scienze dure.
Nell'ambito dell'etica, o, se vogliamo ampliare lo sguardo, nel campo delle scienze sociali, l'assolutismo si può declinare solo come necessario confronto intersoggettivo fra i diversi partecipanti alle discussioni pubbliche, e dato questo suo status debole, non può fregiarsi di una natura oggettiva, salvo nel caso in cui non si voglia assolutizzare visioni del mondo, che necessariamente conducono a forme di autoritarismo. La complessità delle scelte etiche, a partire dalla debolezza del modello conoscitivo, implica altre conseguenze estremamente importanti e difficili da ottenere, come ad esempio la necessità di allargare il più possibile la cultura media, di sviluppare il senso critico nelle nuove generazioni, ma anche di cercare e trovare un nuovo modello politico universale, che superi l'attuale dominio mortifero del libero mercato, senza distruggere ciò che di buono c'è nel libero mercato. Già questo breve accenno dimostra come in etica non può esistere una verità che scotomizza le altre verità, perché le verità etiche sono verità che toccano dimensioni intricate nella vita intersoggettiva degli uomini e non possono essere pesate e suddivise in buone e cattive, o in vere o false. Sarebbe un modo ingenuo, o meglio, atto a manipolare il dominio di una parte della società contro un'altra.
Ps: la radice di verità in molte lingue indoeuropee è fede, ed un reperto di ciò è ancora presente nella lingua italiana, secondo la quale l'anello nuziale si può chiamare "la fede" ma anche "la vera" (cfr Benveniste, "vocabolario delle istituzioni indoeuropee").



Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: davintro il 21 Agosto 2020, 23:47:00 PM
la verità non è una categoria propriamente etica, in quanto riguarda giudizi di fatto e non di valore. In etica parlare di assoluto è apparentemente più difficile, perché il criterio di giudizio non è la corrispondenza a una realtà oggettiva, ma un sistema di valori dato dalla sensibilità soggettiva, senza che ci sia una razionalità a sancire la superiorità oggettiva di un sistema valoriale personale rispetto a un altro. Questo però non vuol dire che l'Assoluto sia in quest'ambito una nozione insensata o inutilizzabile... Anche se non ci sono ragioni oggettive a dimostrare la necessità della mia scala di valori morali, in ogni caso questa scala verrà da me assunta come assoluto criterio regolativo in base a cui giudicare la misura di come un'azione appaia giusta o meno. Anche se di tipo diverso rispetto alla teoretica, anche l'etica si configura come complesso di giudizi richiedente criteri che, fintanto che rimandino a delle condizioni estrinseche per la loro validità, cioè non assoluti, resteranno sempre inadatti a fondare la legittimità morale dei nostri giudizi e delle azioni che da essi conseguono. Il confronto intersoggettivo, la promozione dell'istruzione e del senso critico ecc. sono necessità che hanno ragion d'essere solo in quanto si ritenga giusto evitare un modello di società dove alcuni gruppi presumano di poter imporre violentemente i loro valori al resto delle persone. Ma questo "ritenere giusto" implica a sua volta un ideale regolativo di"giustizia" da assumere come parametro, e che si definisce come rispetto per la persona umana, contro ogni discriminazione arbitraria e violenta. Il relativista etico che teme che la nozione di Assoluto sia lesiva della convivenza in una società multiculturale, composta da individui di diverse convinzioni religiose/filosofiche/etiche, implicitamente pone la condanna della violenza e della sopraffazione come valore assoluto, quindi assume, pur non potendone dimostrare una razionalità oggettiva, non riguardando la teoretica, un ideale regolativo di "giustizia" definito in un certomodo, da qui la difesa del principio di tolleranza, fosse un relativista davvero coerente non potrebbe avere nulla in contrario rispetto violenza e sopraffazione (se non un indefinito e vago disgusto estetico, al massimo), perché non avrebbe criteri assoluti a partire da cui definire il suo modello ideale di società basata sulla convivenza pacifica
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: viator il 22 Agosto 2020, 12:01:50 PM
Salve davintro. Personalmente trovo esista tranquillamente una etica assoluta. Incarnata a livello biologico nel principio di sopravvivenza (individuale o di specie) ed a livello cosmico nel principio di persistenza (l'entropia, la cui funzione è quella di impedire l'annichilimento del divenire complessivo).


Quindi l'etica assoluta consiste nei comportamenti (NIENTE E NESSUNO SOTTRAGGA O DISTRUGGA CI0' CHE NON SAREBBE PIU' IN GRADO DI RESTITUIRE O RIGENERARE) che realizzino il BENE ASSOLUTO.


Naturalmente tale principio è proprio quello rispettato dall'unico Ente che può restituire o rigenerare TUTTO : la Natura, la quale quindi è ciò che esprime tale PRINCIPIO NATURALE (ED ASSOLUTO) DEL BENE.


Evidentemente senza sopravvivenza (dei vivi) e senza persistenza (del mondo fisico in generale) verrebbero a mancare le condizioni per il sussistere di QUALSIASI ETICA E QUALSIASI BENE (RELATIVI OD ASSOLUTI)..........perciò tali due condizioni (ripeto : sopravvivenza e persistenza) sono necessarie e sufficienti a determinare la loro propria assolutezza "comportamentale" (cioè PROPRIAMENTE ETICA). Saluti.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 22 Agosto 2020, 15:00:59 PM
Caro davintro hai infilato una serie di assoluti relativi, passando dalla verità scientifica ai valori etici, che sono la negazione lampante di un Assoluto con la maiuscola davanti. Avevo pure io affermato che dobbiamo accontentarci di assoluti relativi ad ambiti dove possono giocare onorevolmente il loro ruolo assolutistico. Ad esempio: un record mondiale in atletica, lo zero assoluto, la velocità della luce,...
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: viator il 22 Agosto 2020, 18:01:28 PM
 Salve ipazia.

Citazione di: Ipazia il 22 Agosto 2020, 15:00:59 PM
Caro davintro hai infilato una serie di assoluti relativi, passando dalla verità scientifica ai valori etici, che sono la negazione lampante di un Assoluto con la maiuscola davanti. Avevo pure io affermato che dobbiamo accontentarci di assoluti relativi ad ambiti dove possono giocare onorevolmente il loro ruolo assolutistico. Ad esempio: un record mondiale in atletica, lo zero assoluto, la velocità della luce,...



A dire il vero, da te mi sarei aspettato ben altro che il concetto di "assoluti relativi". Ovviamente tu conosci benissimo la differenza tra gli aggettivi (sempre relativi a ciò cui vengono appiccicati) e i sostantivi, i quali - birbaccioni - all'interno della filosofia hanno talvolta (per la precisione, UNA UNICA VOLTA) l'ardire di mostrare assolutezza.


Ti metto a parte di un fatto curioso. Stavo rimuginando circa la possibilità di aprire un (?) nuovo topic a titolare come "Vuoto assoluto e zero assoluto" ma prima di accingermi a farlo ho consultato lo stato del nostro topic qui presente ed ho inciampato proprio nel tuo riferimento allo ZERO ASSOLUTO.


A questo punto rinuncio ed approfitto. Per notare sardonicamente come la scienza, regina (senza alcuna ironia) del sapere, tenda a far uscire dalle proprie porte ciò che sarà poi costretta a far rientrare dalle proprie finestre : la metafisica dell'assoluto.


Sotto forma - appunto - di "assoluti" ora relativi ora "assoluti" a seconda dei linguaggi e delle grammatiche.


Cosa si intende per "vuoto assoluto" ? Scientificamente - scusami - la cosa non è molto chiara. Sembra che anche i fisici chiamino in tal modo gli ambienti, gli spazi, i volumi (SEMPRE RIGOROSAMENTI LIMITATI, quindi relativi) privati di aria o altri gas (precisamente, gli ambienti al cui interno non esiste alcuna pressione rivolta al loro esterno). Resta inoltre aperta l'ammissibilità di considerare "sotto vuoto assoluto" un ambiente privo di gas ma ospitante materia - ad esempio una camera d'aria con dei granelli di sabbia al suo interno.


Ora, è corretto secondo te considerare "assoluto" un simile vuoto? Secondo me no, poichè l'espressione in oggetto va sempre interpretata come "relativa assenza di qualcosa (il gas), la cui mancanza GENERA E GIUSTIFICA l'uso dell'aggettivo "vuoto".


Il "vuoto assoluto" non esiste (perchè l'ASSOLUTO è sempre e soltanto un SOSTANTIVO) poichè non esistono camere d'aria, oppure spazi cosmici, che siano privi di tutto (se non c'è gas, potrà esserci materia, oppure onde elettromagnetiche (energia)).


Lo ZERO ASSOLUTO ? "ZERO", a differenza di "vuoto" - termine che può risultare sia come aggettivo che come sostantivo - è un SOSTANTIVO che incarna la ASSOLUTA mancanza di quantificabilità di un qualcosa (assoluta è la mancanza - il qualcosa resta relativo) (che esistano modi di dire che utilizzano lo zero come aggettivo, del tipo "zero fame", "zero voglia" etc. rappresenta solo un malvezzo linguistico).
Se manca la assoluta possibilità di quantificare, ovviamente vien meno anche quella di qualificare (non possono esistere qualità di ciò risulta azzerato, cioè ormai mancante).


Quindi il concetto di zero è applicabile solo a enti relativi, locali, parziali e non certo ad una TOTALITA' la cui intrinseca natura è ASSOLUTA. Pertanto l'espressione "zero assoluto" mostra la propria relatività confinabile al significato termico-energetico.[/size][/size]




Esistono solo gli zero relativi, poichè lo zero assoluto altro non sarebbe che il NULLA. Saluti.  
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 22 Agosto 2020, 22:38:23 PM
Zero e vuoto assoluto sono dei limiti, così come l'infinito in certe funzioni trascendentali. La filosofia non c'entra, perché si tratta di stati della materia/energia e di calcoli matematici applicati a fenomeni naturali. Entrambi questi limiti sono irraggiungibili persino nello spazio profondo laddove una sola radiazione o particella é sufficiente ad impedirlo.

La velocità della luce é invece un record assoluto di velocità in questo universo. In altri, chissà ?!?

Come vedi l'episteme non teme il confronto con gli assoluti, ma evita di farsi coinvolgere nell'aria fritta con velleità assolutistiche.

Anche in etica é possibile perseguire un processo evolutivo che non sarà mai assoluto, ma potrà affrancarci dalla miseria di un relativismo etico assolutizzato.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Phil il 22 Agosto 2020, 22:48:46 PM
Citazione di: davintro il 21 Agosto 2020, 23:47:00 PM
Anche se non ci sono ragioni oggettive a dimostrare la necessità della mia scala di valori morali, in ogni caso questa scala verrà da me assunta come assoluto criterio regolativo in base a cui giudicare la misura di come un'azione appaia giusta o meno.
[corsivi miei]
Domanda alla Marzullo: un principio etico è assoluto perché io ci credo, oppure ci credo perché è assoluto? Se la risposta corretta sembra essere la seconda, si tratta di indagare i fondamenti di tale assolutezza (gli esiti saranno indimostrabilità, aporie e petitio principi); se propendiamo per la prima (come suggeriscono i corsivi che ho aggiunto), assecondando l'immagine del relativista (v. sotto) che deve pur ritenere assoluti preferibili i suoi principi etici, allora abbiamo già lasciato la metafisica del trascendentale alle spalle e siamo in pieno soggettivismo debole postmoderno (terreno piuttosto sterile per ogni innesto d'Assoluto), poiché è come affermare «x è vero perché lo credo tale (post-verità)» e non «so che x è vero perché è dimostrato» (senza entrare nel merito della differenza fra verità corrispondentista/verità coerentista, etc.).

Citazione di: davintro il 21 Agosto 2020, 23:47:00 PM
Il relativista etico che teme che la nozione di Assoluto sia lesiva della convivenza in una società multiculturale, composta da individui di diverse convinzioni religiose/filosofiche/etiche, implicitamente pone la condanna della violenza e della sopraffazione come valore assoluto, quindi assume, pur non potendone dimostrare una razionalità oggettiva, non riguardando la teoretica, un ideale regolativo di "giustizia" definito in un certomodo, da qui la difesa del principio di tolleranza, fosse un relativista davvero coerente non potrebbe avere nulla in contrario rispetto violenza e sopraffazione (se non un indefinito e vago disgusto estetico, al massimo), perché non avrebbe criteri assoluti a partire da cui definire il suo modello ideale di società basata sulla convivenza pacifica
Rieccomi puntuale a fare l'avvocato del relativismo (dejà vù): forse non è banale ricordare che essere un "relativista etico", in quanto essere umano, non significa essere privo di etica; ancor più credo vada tenuto presente che, almeno per quanto ne so, non esiste una etica relativista canonizzata con i suoi principi, i suoi giudizi di valore, etc. (quali sarebbero?) fra i quali il non poter "avere nulla in contrario" rispetto a prospettive differenti dalla propria (anche se lo stereotipo del relativista cieco, che non vede differenze, è ormai un classico popolare).
Per essere coerentemente relativisti è necessario avere una prospettiva relativista, ma non bisogna credere necessariamente nella tolleranza (almeno se rispettiamo la differenza fra prospettiva a contenuto della prospettiva, oltre all'evidenza che non esista prospettiva senza contenuto), così come, ad esempio, per essere coerentemente religiosi non è necessario credere al cristianesimo e ai suoi dogmi, ma basta credere in una religione, a prescindere da ciò che ne affermano gli specifici dogmi.

Se un relativista crede nella tolleranza verso ogni essere senziente oppure non ha nulla in contrario alla violenza più indiscriminata, rimane comunque dentro un orizzonte etico relativo (non assolutizza la sua prospettiva personale), con i rispettivi giudizi di valore. Non è infatti il contenuto assiomatico di un'etica a renderla relativista (entrambe le suddette posizioni potrebbero esserlo), ma l'impostazione di fondo (non assolutista, appunto). Tale presunta "coerenza" che dovrebbe orientare il relativista all'indifferentismo, lascia trapelare che in fondo non si sta parlando di un relativista, ma di un soggetto che non si interessa di etica e, lavandosene le mani, non esprime giudizi in merito né, semmai sia possibile, intravvede il giusto e lo sbagliato nelle questioni etiche.
La differenza del relativista rispetto ad altre posizioni più ecumeniche e universali, è che egli vede che la sua etica è relativa (immanente, etc.) a lui come individuo e/o al gruppo con cui ne condivide i principi, per cui non la ritiene l'unica assolutamente giusta, ma la più giusta secondo lui, né la ritiene quella assolutamente "superiore" (e qui si apre la possibilità, non la necessità, di un orizzonte di tolleranza). Per assurdo, si potrebbe avere persino un "neonazista relativista", che si attiene al suo credo discriminatorio nella consapevolezza della contingenza dei sui fondamenti, compiendo di conseguenza nefandezze perché ne sente l'interiore inclinazione, ma al contempo ne sa la valenza relativa (meno radicalmente, la figura del soldato al fronte che capisce il relativismo dei due lati della barricata, dei due ideali per cui si combatte, è forse una figura più intuitiva e verosimile). Chi crede invece in un'etica assolut(ist)a, fondata ad esempio su una divinità, suppongo non dovrebbe farne altrettanto facilmente una questione di contingenze storico-culturali o opinione personale, perché così relativizzerebbe la legge etica del dio, bestemmiandolo.

Passando dunque alla classica domanda sull'autoreferenzialità: il relativista, filantropo o sterminatore che sia, considera assoluti i principi etici in cui crede? Se credere in (e magari attenersi a) tali principi significa reputarli assoluti, allora probabilmente la risposta è «sì». Tuttavia a questo punto bisogna chiedersi che significa «assoluto»: se ognuno si "fa" la sua etica e i suoi assoluti, pur con sincera convinzione e meditazione, il fatto che siano "assoluti" per lui, li rende assoluti "reali"? Qui ritorna la domanda marzulliana e la debolezza epistemologica di ogni fondamento etico (ma non solo) assoluto.
Questa proliferazione "pandemica" di assoluti assemblati a piacere e fondati su prospettive individuali (quindi non necessariamente solide e filosoficamente ponderate) è per me la miglior dimostrazione fattuale, non teoretica, dello svuotamento di senso della parola «assoluto» (che ha una sua tradizione, soprattutto nella sezione in cui siamo), che si rivela quindi legato e vincolato, non sciolto e indipendente (come vorrebbe l'etimologia), ad ogni prospettiva soggettiva, finendo per essere un "rafforzativo" (affermare «per me quello è un principio etico assoluto» non dovrebbe suonare un po' contraddittorio, almeno per i non relativisti?).
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Phil il 22 Agosto 2020, 22:57:28 PM
Citazione di: viator il 22 Agosto 2020, 12:01:50 PM
Personalmente trovo esista tranquillamente una etica assoluta. Incarnata a livello biologico nel principio di sopravvivenza (individuale o di specie) ed a livello cosmico nel principio di persistenza (l'entropia, la cui funzione è quella di impedire l'annichilimento del divenire complessivo).


Quindi l'etica assoluta consiste nei comportamenti (NIENTE E NESSUNO SOTTRAGGA O DISTRUGGA CI0' CHE NON SAREBBE PIU' IN GRADO DI RESTITUIRE O RIGENERARE) che realizzino il BENE ASSOLUTO.
Più che il principio di sopravvivenza, esiste l'istinto di sopravvivenza, che è quello che, ad esempio, spinge, biologicamente e letteralmente, a comportamenti aggressivi per legittima difesa o anche solo quando ci si sente minacciati; comportamenti lesivi che la dialettica società-potere ha culturalmente imbrigliato, istituendo forze dell'ordine e/o consuetudini del quieto vivere. D'altronde, se il «bene assoluto» è, come proponi, non sottrarre o distruggere ciò che non si è in grado di restituire o generare, allora, a livello cosmico, l'etica perde di senso e tale "bene" non è un bene morale, ma è solo la legge di conservazione della massa (nulla che comporti giudizi di valore o altri "strumenti" etici o filosofici). Secondo tale principio, sembrerebbe quasi che il cosmo sia dunque impossibilitato a fare il male (almeno per ora), quindi quello del bene etico sarebbe un falso problema (oppure stiamo sbagliando il piano in cui porlo?).

Sul piano strettamente umano, invece, non c'è un'etica praticabile secondo tale «bene assoluto», poiché l'uomo ha nei suoi bisogni primari già geneticamente inscritto il "male assoluto": sin dal primo vagito, egli sottrae ossigeno per restituire anidride carbonica (due composti ben differenti anche agli occhi di "madre natura", oltre che degli altri viventi), poi si nutre distruggendo forme di vita che non potrà restituire (allevarle non significa rigenerarle, ma solo condizionarne la riproduzione: non è l'uomo a partorire un vitello dopo averne ucciso uno; idem per l'agricoltura); si scalda consumando legna e combustibili che non potrà ricreare (v. sopra), etc. si tratta quindi di un peccato originale senza redenzione, perpetrato da tutta l'umanità giorno dopo giorno (giustificazione bio-chimica del pessimismo cosmico?).
Certo, la natura nel suo insieme è bilanciata, come il suddetto cosmo, ma se l'etica come disciplina deve occuparsi anche delle azioni umane (fra uomo ed uomo) allora servono criteri di giudizio che vadano oltre un serafico appello all'entropia co(s)mica, che ci riduce ad una risata nell'universo, dandoci pochi consigli su come comportarci con il prossimo, nel mondo, etc. Ad esempio, richiamando ancora la tua definizione, quello che l'uomo può generare è altra vita umana, per cui stando a tale principio, il «bene assoluto» prevede che una coppia uomo/donna possa, magari per motivi di sopravvivenza, uccidere e mangiare un altro essere umano perché in fondo sono in grado di rigenerare un essere umano, restituendo una vita per pareggiare quella che hanno spento... etica del cannibalismo e legalizzazione dell'omicidio in nome del «bene assoluto»? Mala tempora... relativamente parlando, ovviamente.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Phil il 22 Agosto 2020, 23:15:11 PM
Citazione di: Ipazia il 22 Agosto 2020, 15:00:59 PM
Caro davintro hai infilato una serie di assoluti relativi, passando dalla verità scientifica ai valori etici, che sono la negazione lampante di un Assoluto con la maiuscola davanti. Avevo pure io affermato che dobbiamo accontentarci di assoluti relativi ad ambiti dove possono giocare onorevolmente il loro ruolo assolutistico. Ad esempio: un record mondiale in atletica, lo zero assoluto, la velocità della luce,...
Sulla scia dell'ossimoro «assoluto relativo», mi permetto di parodiare un tuo post di altro topic, che per me si presta anche a trattare dell'attaccamento, quasi materno oltre che concettuale, dell'uomo verso l'assoluto
Citazione di: Ipazia il 22 Agosto 2020, 14:43:21 PML'origine, trattandosi di un concetto e non di un fatto, è più psicologica che fisica: il bambino (credente) chiama la madre (Dio) che non risponde. Da lì nasce il concetto e la psicologia, con le sue fobie i suoi desideri e aneliti, dell' nulla assoluto. Il silenzio eterno degli spazi infiniti La scommessa che atterisce attrae e rincuora Pascal è la teatralizzazione filosofica del nulla dell'assoluto.
D'altronde, se rinunciamo alla fascinazione (pulsionale, appunto) di piazzare assoluti rafforzativi in alcuni contesti (in cui l'assoluto si dimostra non sciolto-da, ma anzi relativo-a, implodendo nella sua autocontraddizione), otteniamo agevolmente una maggior chiarezza semantica, parlando di record assoluto mondiale, zero assoluto kelvin, etc. senza ridondanti nostalgie "assolutistiche".
Sintetizzando il titolo del topic e il quadro a tema nautico di Géricault che hai richiamato all'inizio, direi che oltre ai "postulanti dell'Assoluto", ci sono oggi anche gli "ammutinati dell'Assoluto", che hanno trasformato il leggendario galeone in una nave da crociera low-cost che, abbandonate le rotte circolari della teoresi oceanica, fa scalo ad ogni porto che le fornisca un punto d'approdo (i vari assoluti valori relativi).
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: davintro il 23 Agosto 2020, 01:42:56 AM
rispondendo a Phil (purtroppo da un pò di tempo non riesco più a citare messaggi, forse un problema tecnico col mio pc)


"credere nell'assolutezza di un principio etico" è un'espressione insensata, in quanto la credenza è una categoria che vale solo sul piano teoretico, non etico, si "crede" sempre nell'oggettività di uno stato di cose fattuale (anche quando la credenza non è supportata da argomenti razionali), non nel valore di un "dover essere", che in quanto ideale e non fatto, non è mai riconoscibile come qualcosa che è al di là della volontà di un soggetto, ma è da tale volontà posto. Questo vuol dire che in etica l'assoluto si debba intendere in modo diverso da come se ne parla in teoretica, in etica non si tratta è di assoluto da intendersi come oggettività indifferente alle arbitrarie preferenze individuali, ciò però non toglie che ciascun individuo necessiti, nell'assunzione di una scala di valori etici, di considerare tale scala come un assoluto, non nel senso di porla come necessaria per ogni altro individuo, intersoggettivamente, ma in relazione alla sua coerenza individuale, di porla come ideale regolativo da applicare in ogni circostanza della sua vita, onde evitare il caos e la paralisi delle scelte, dovuta all'incapacità di discernere quali valori siano PER LUI/LEI più o meno importanti, cioè posizionati ai vari gradini della scala. Che questo "assoluto individuale" meriti o meno di essere definito "assoluto", che si debba definire "assoluto debole", annacquato rispetto alle accezioni di assoluto delle metafisiche, delle morali tradizionali, penso sia una questione più terminologica che sostanziale. Mi limiterei a dire, che, stando all'etimo del termine, assoluto, come "sciolto dai legami", indipendente da ciò che è altro da sé, questa scala di valori etici, pur posta arbitrariamente da ciascun singolo, nel momento in cui diviene regola universalmente applicabile in ogni circostanza esistenziale, mostra comunque di trascendere la particolarità di tali circostanze, di esserne indipendente, "sciolta", e dunque non così assurdamente definibile come "assoluto". L'individuo la sceglie arbitrariamente, liberamente, ma la sceglie al fine di porla come regola da rispettare nel modo più universale possibile, al netto di ogni debolezza o incoerenza che di fatto (ma non di diritto) sempre accade
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Phil il 23 Agosto 2020, 11:41:31 AM
Citazione di: davintro il 23 Agosto 2020, 01:42:56 AM
Che questo "assoluto individuale" meriti o meno di essere definito "assoluto", che si debba definire "assoluto debole", annacquato rispetto alle accezioni di assoluto delle metafisiche, delle morali tradizionali, penso sia una questione più terminologica che sostanziale.
Sicuramente è una questione in primis terminologica, ma sappiamo che il linguaggio non è mai un medium perfettamente neutro o irrilevante per i discorsi che origina. Ad esempio, se
Citazione di: davintro il 23 Agosto 2020, 01:42:56 AM"credere nell'assolutezza di un principio etico" è un'espressione insensata,
quale verbo potremmo usare per spiegare meglio il rapporto di "vincolo" fra l'uomo e i suoi principi etici, ovvero perché si attiene proprio a quelli e non ad altri? Se non lo fa perché ci crede, allora perché confida in essi o perché li preferisce?
Affermare che crede proprio a quelli perché (se) li (im)pone, per me non spiega adeguatamente perché continua a usarli rifiutandone altri possibili, ovvero il «perché (se) li (im)pone» diventa un'ulteriore domanda.

Citazione di: davintro il 23 Agosto 2020, 01:42:56 AM
stando all'etimo del termine, assoluto, come "sciolto dai legami", indipendente da ciò che è altro da sé, questa scala di valori etici, pur posta arbitrariamente da ciascun singolo, nel momento in cui diviene regola universalmente applicabile in ogni circostanza esistenziale, mostra comunque di trascendere la particolarità di tali circostanze, di esserne indipendente, "sciolta", e dunque non così assurdamente definibile come "assoluto". L'individuo la sceglie arbitrariamente, liberamente, ma la sceglie al fine di porla come regola da rispettare nel modo più universale possibile, al netto di ogni debolezza o incoerenza che di fatto (ma non di diritto) sempre accade
Se questa "assolutezza" delle norme morali individuali deve restare fedele all'etimo, presentandosi come «sciolta-da», la questione, oltre che terminologica, qui si fa anche sostanziale: non è infatti un assoluto etico «indipendente da ciò che è altro da sé»(cit.), perché è dipendente essenzialmente dal soggetto che lo pone (soggetto che è altro rispetto a tale "assoluto"), è dipendente dalla tradizione che condiziona culturalmente l'imprinting del soggetto (altri tradizioni propongono altri assoluti) ed è dipendente persino dalle sue stesse applicazioni nei singoli casi, poiché, non avendo un'epistemologia a tutelarlo, può essere modificato in ogni momento da parte del soggetto (in base ad esperienze, riflessioni, condizionamenti, etc.). Viene quasi da chiedersi rispetto a cosa, di pertinente, sia realmente ab-solutus (salvo intendere «assoluto» come sinonimo di «astratto», ma non mi sembra questo il caso).
Definirlo "assoluto" solo perché il soggetto si propone di utilizzarlo universalmente in tutti i casi, nonostante la sua stessa biografia sia la storia del mutamento di tale "assoluto" (rendendo la sua ottimistica universalità un'utopia, più o meno consapevole), (di)mostra tale assoluto, almeno secondo me, come un rafforzativo psicologico e linguistico più che un autentico concetto filosofico (come è ad esempio il suo omonimo con la maiuscola).
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: viator il 23 Agosto 2020, 15:36:55 PM
 >Salve Phil. Mie ulteriori precisazioni (in grassetto) :

  Personalmente trovo esista tranquillamente una etica assoluta. Incarnata a livello biologico nel principio di sopravvivenza (individuale o di specie) ed a livello cosmico nel principio di persistenza (l'entropia, la cui funzione è quella di impedire l'annichilimento del divenire complessivo).


Quindi l'etica assoluta consiste nei comportamenti (NIENTE E NESSUNO SOTTRAGGA O DISTRUGGA CI0' CHE NON SAREBBE PIU' IN GRADO DI RESTITUIRE O RIGENERARE) che realizzino il BENE ASSOLUTO.


Più che il principio di sopravvivenza, esiste l'istinto di sopravvivenza, (son la medesima cosa.......principio è in veste filosofica, istinto in veste biologica)............................D'altronde, se il «bene assoluto» è, come proponi, non sottrarre o distruggere ciò che non si è in grado di restituire o generare, allora, a livello cosmico, l'etica perde di senso e tale "bene" non è un bene morale, ma è solo la legge di conservazione della massa (l'etica non perde di senso poichè il comportamento (ethos) non è dimensione unicamente umana od animale, ma può venir attribuito anche agli enti fisici (comportamento delle leggi naturali). La morale certo che invece non ha senso, in quanto attribuibile SOLAMENTE – quest'ultima – alle intenzioni SOCIALI UMANE. Potremmo quindi supporre l'esistenza di una ETICA COSMICA posta al di fuori del bene e della morale umani ma umanamente interpretabile dagli umani come benefica, positiva, affermativa poichè afferma e difende la nostra stessa umana esistenza).
Secondo tale principio, sembrerebbe quasi che il cosmo sia dunque impossibilitato a fare il male (almeno per ora), quindi quello del bene etico sarebbe un falso problema (oppure stiamo sbagliando il piano in cui porlo?). Infatti il cosmo e l'esistente racchiudono solo il bene (non importa che noi si riesca a riconoscerlo caso per caso) mentre il MALE è concetto unicamente umano consistente nella condizione di carenza (mai completa assenza) di BENE.

Sul piano strettamente umano, invece, non c'è un'etica praticabile secondo tale «bene assoluto», poiché l'uomo ha nei suoi bisogni primari già geneticamente inscritto il "male assoluto": sin dal primo vagito, egli sottrae ossigeno per restituire anidride carbonica (due composti ben differenti anche agli occhi di "madre natura", oltre che degli altri viventi), poi si nutre distruggendo forme di vita che non potrà restituire (Il "nessuno sottragga o distrugga....." va inteso aggiungendovi "........avendone la facoltà. Così come si intende che ciò che viene "sottratto" o "distrutto" all'interno di meccanismi natural-biologici superiori alla nostra volontà.....non può certo generare nostra responsabilità !).....................(allevarle non significa rigenerarle, ma solo condizionarne la riproduzione: non è l'uomo a partorire un vitello dopo averne ucciso uno; idem per l'agricoltura); Allevare e coltivare certamente non restituisce o rigenera la vita individuale dell'organismo che stiamo sfruttando, ma qui stiamo parlando di principi i quali non possono certo venir ricondotti e rispettati ingralmente, rigorosamente, da coloro che ne sono coinvolti.
Anche perchè il sopprimere e sfruttare le altre forme di vita fa parte di superiori livelli di necessità (l'egoistica realizzazione della sopravvivenza individuale delle specie predatrici).

Certo, la natura nel suo insieme è bilanciata, come il suddetto cosmo, ma se l'etica come disciplina deve occuparsi anche delle azioni umane (fra uomo ed uomo) allora servono criteri di giudizio che vadano oltre un serafico appello all'entropia co(s)mica, che ci riduce ad una risata nell'universo, dandoci pochi consigli su come comportarci con il prossimo, nel mondo, etc. Ad esempio, richiamando ancora la tua definizione, quello che l'uomo può generare è altra vita umana, per cui stando a tale principio, il «bene assoluto» prevede che una coppia uomo/donna possa, magari per motivi di sopravvivenza, uccidere e mangiare un altro essere umano perché in fondo sono in grado di rigenerare un essere umano, restituendo una vita per pareggiare quella che hanno spento... etica del cannibalismo e legalizzazione dell'omicidio in nome del «bene assoluto»? Mala tempora... relativamente parlando, ovviamente. Qui torna in ballo ciò cui ho accennato qui sopra : la gerarchia tra i bisogni (la sopravvivenza) e le facoltà, DELLE QUALI L'ETICA FA PARTE. Credo che non sarà necessario spiegarti quale delle due dimensioni sia quella che COSTRINGE inesorabilmente l'altra !. Saluti.

Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 23 Agosto 2020, 20:39:49 PM
Caro Phil, lo so che da relativista assoluto cancelleresti l'assoluto anche dal vocabolario, mentre io, relativista debole, ritengo più proficuo addomesticarlo per qualche nobile scopo all'interno di un universo relativistico, ma con qualche pietra d'inciampo assolutamente non aggirabile.

Ad esempio: neppure il Verbo relativista può negare il valore assoluto di cibo, acqua e ossigeno per la sopravvivenza di un organismo aerobico e da qui è facile compitare un'etica poco relativistica, piantando i paletti su un terreno solido al di là di tutte le definizioni che possiamo escogitare per definirlo.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Jacopus il 24 Agosto 2020, 00:03:55 AM
Le posizioni di Davintro e Phil sono connesse, pur giungendo a conclusioni (quasi) opposte. E la connessione è data dalla scissione fra il soggetto, posto in una posizione preminente, e la comunità. Davintro lo esplicita chiaramente: " l'assoluto è tale non intersoggettivamente, ma costruito in modo individuale, così da ipotizzare tanti assoluti quanti esseri umani". Va da sé che questa miriade di assoluti, oltre che a confliggere con lo stesso senso di assoluto, devono essere un semplice esercizio di stile, poiché altrimenti, se coerentemente equipaggiati come principi non discutibili (essendo assoluti), inevitabilmente porterebbero ad una letterale "bellum omnium contra omnes".
Phil nella sua difesa del relativismo, si accorge che ogni posizione, idea, principio ed azione non scaturiscono dal vuoto ma anche lui mi sembra che invochi, in nome dello stesso relativismo, una impossibilità a concordare un minimo comune divisore relativista, da condividere in un certo spazio e in un certo tempo con un gruppo più o meno esteso.
In effetti connettere i concetti assoluto/relativo all'etica non è semplice. Per due opposte ragioni. 1) Anche un'etica condivisa e quindi "relativamente assoluta" può essere ingiusta (nazismo, comunismo). 2) Qualsiasi etica individuale pur essendo percepita come la più  giusta dal suo singolo portatore, inevitabilmente dovrà confrontarsi con la galassia delle etiche altrui e da questo confronto non potrà che modificarsi, magari perdendo delle qualità uniche e preziose.
In altre parole, ciò che a me più preme è la questione di come poter concepire e conservare un'etica condivisa, né assoluta, perché foriera di totalitarismo, né relativa, perché foriera di una società senza governo, lasciata in preda ai singulti narcisistici e alla sottostante legge di mercato. Legge di mercato, che di etica/etiche non sa che farsene, a meno che non si parli dell'etica calcolatrice e strumentale, ovvero quella che Weber chiamava "azione orientata allo scopo", che distingueva dalla "azione orientata al valore."
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 24 Agosto 2020, 08:00:41 AM
Weber sbagliava perché scopo e valore tendono a coincidere nell'ethos. Anche il capitalismo lo attua e l'errore di Weber sa di lapsus freudiano di chi preferisce ignorare che il valore del capitalismo non è l'umano ma il capitale, la cui accumulazione coincide col suo scopo.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: niko il 24 Agosto 2020, 10:11:14 AM
Io credo che la vita umana non possa essere assunta come assoluto, quantomeno perché la specie umana, se non si estingue prima evolverà fino a non corrispondere più a se stessa.


E anche perché proprio la coscienza introduce il dubbio "lacerante" di non sapere se la "comunità" come luogo regolato da un'etica si dia tra i conspecifici o tra le coscienze, pensiamo di essere l'unica specie che pensa e parla in modo complesso ma non possiamo esserne sicuri, in futuro alieni evoluti, macchine che che noi stessi potremmo aver costruito, altre specie che abbiano avuto il tempo per evolversi, potrebbero avere un livello di pensiero e di linguaggio pari al nostro, e quindi pretendere di far parte della nostra "comunità" in senso etico, ma soprattutto fin da sempre pensare e parlare vuol dire identificarsi con un pensiero e un linguaggio e non con una specie, l'identificazione del soggetto con la specie è già persa dal momento in cui la specie pensa e parla, e non si può determinare in assoluto il numero dei pensanti e dei parlanti, né sapere in assoluto se tutti i pensanti e i parlanti dell'insieme siano o no conspecifici.
I nostri antenati pensavano a certe condizioni di poter parlare con gli angeli o coi demoni, noi oggi parliamo con le radioline e i cellulari e gli chiediamo che musica vogliamo ascoltare o dove sta l'indirizzo a cui vogliamo andare, le scimmie più evolute a cui sia data in mano una tastiera che riproduca le parole "parlano", insomma è intrinseco nella parola che il parlante non sia necessariamente umano, che la comunità a cui si riferisce la parola sia una comunità ideale e non una comunità di sangue.
La parola fa le comunità numericamente inferiori all'umano (i greci e i romani consideravano "barbari" cioè balbettanti, coloro che non avevano il loro linguaggio, la storia della torre di Babele pure fa capire quanto l'uomo sia pronto a frammentarsi in sottogruppi inferiori alla numerosità del gruppo originale secondo la diversità di linguaggio e la comprensibilità), e la parola fa le comunità numericamente superiori all'umano, noi parliamo con i computer, sentiamo in noi la voce dei morti e dei distanti grazie alla scrittura -quindi non siamo limitati all'umano vicino o presente come destinatario di una comunicazione-, siamo stati per secoli convinti in buona fede che si potesse parlare con entità pensanti e parlanti ma non umane (angeli, demoni, dio stesso, profezie eccetera).


Quindi secondo me la vita umana ha una funzione sua propria (il pensiero/linguaggio) che rende intrinsecamente impossibile la vita umana come assoluto etico. Bisogna aprirsi alla comunità dei pensanti e dei parlanti in generale, che è aspecifica, già solo avere un nome ci disumanizza in senso biologico, non abbiamo niente di biologicamente diverso da quelli che hanno un nome diverso dal nostro, e niente di particolarmente simile a quelli che hanno il nostro stesso nome, noi in senso prosaico e banale siamo la parola che ci designa, quando proviamo, giustamente, ad elevarci e andare oltre questa designazione iniziale, non è detto che ci dobbiamo fermare al corpo o alla specie, come anche questa parola iniziale non si è fermata affatto al corpo e alla specie, infatti i Mario Rossi, per dire sono molto più di uno, ma non tanti quanti la specie umana, quindi ogni nome è più del corpo, e meno della specie, come classe di numerosità designata.



Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Phil il 24 Agosto 2020, 11:45:51 AM
Citazione di: viator il 23 Agosto 2020, 15:36:55 PM
l'etica non perde di senso poichè il comportamento (ethos) non è dimensione unicamente umana od animale, ma può venir attribuito anche agli enti fisici (comportamento delle leggi naturali). La morale certo che invece non ha senso, in quanto attribuibile SOLAMENTE – quest'ultima – alle intenzioni SOCIALI UMANE. Potremmo quindi supporre l'esistenza di una ETICA COSMICA posta al di fuori del bene e della morale umani ma umanamente interpretabile dagli umani come benefica, positiva, affermativa poichè afferma e difende la nostra stessa umana esistenza).
[...]Infatti il cosmo e l'esistente racchiudono solo il bene (non importa che noi si riesca a riconoscerlo caso per caso) mentre il MALE è concetto unicamente umano consistente nella condizione di carenza (mai completa assenza) di BENE.
L'etica filosofica perde di senso perché, come detto, viene a ibridarsi con la legge di conservazione e, come confermi, con le leggi naturali. Se l'etica coincide con "comportamento dei corpi (animati e inanimati)", quindi in parte fuori dalla dicotomia di giudizio umano bene/male, siamo anche fuori dalla filosofia, di cui l'etica solitamente è una diramazione.
Il comportamento di un corpo che cade verso il basso secondo una legge fisica è un comportamento etico? Se la risposta è «sì», allora la fisica che lo studia è una disciplina che si occupa di etica (e andiamo quindi ben oltre un sincretismo fra scienze della natura e scienze dello spirito, come direbbe qualcuno. Al di là delle opinioni personali, dare una definizione di fisica che comprenda il trattare tematiche etiche, credo stupirebbe più di un fisico; i filosofi meno, sono più avvezzi a boutade del genere).

Citazione di: viator il 23 Agosto 2020, 15:36:55 PM
Il "nessuno sottragga o distrugga....." va inteso aggiungendovi "........avendone la facoltà. Così come si intende che ciò che viene "sottratto" o "distrutto" all'interno di meccanismi natural-biologici superiori alla nostra volontà.....non può certo generare nostra responsabilità !)
Aggiungendo la postilla «avendone la facoltà» diventa problematico attribuire una responsabilità chiara, al punto che si delinea un'etica (quasi?) senza male (che ricorda «il migliore dei mondi possibili» di Candido, a parte l'intrusione della fisica): se il male è "sottrarre o distruggere, avendone le facoltà, ciò che non si è in grado di restituire o generare", mi pare diventi piuttosto difficile compierlo ed esserne responsabili. Se, come osservi, non si può badare troppo all'individualità,
Citazione di: viator il 23 Agosto 2020, 15:36:55 PM
la vita individuale dell'organismo che stiamo sfruttando, ma qui stiamo parlando di principi i quali non possono certo venir ricondotti e rispettati ingralmente, rigorosamente, da coloro che ne sono coinvolti.
allora, come detto, posso generare figli e nutrirmene come Kronos, per motivi di sopravvivenza (e poi riprodurli); posso uccidere per difendermi perché il mio istinto non mi dà la facoltà di ragionare a mente fredda; posso mentire (in fondo non tolgo né distruggo nulla); posso violentare e seviziare perché privo di adeguate facoltà mentali per elaborare il rispetto delle regole sociali; posso derubare (sottraggo al derubato ma poi do al negoziante) perché ho bisogno di mangiare e di pagare l'affitto, etc. il tutto sotto l'egida del «bene assoluto».
Un esempio di male verso il prossimo, che mi era venuto in mente, era bruciargli l'auto e poi non ricompragliela; poi però ho notato che quel principio non intima di «restiture e rigenerare», ma allude solo all'esserne in grado. Comunque, se tutto il resto dell'elenco precedente è «bene assoluto», un danno alla proprietà altrui non risarcito mi parrebbe, per l'equilibrio di una società umana (non certo per l'equilibrio cosmico), decisamente il male minore.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Phil il 24 Agosto 2020, 12:13:21 PM
Citazione di: Ipazia il 23 Agosto 2020, 20:39:49 PM
Caro Phil, lo so che da relativista assoluto cancelleresti l'assoluto anche dal vocabolario
Non intendo cancellare l'assoluto, anzi, proprio partendo dal suo saldo posto (e significato) nel dizionario filosofico, mi ritrovo per ironia del destino a difenderlo da un uso inflazionato e banalizzante che non si avvede dell'inattualità su cui verte: vero che la sua etimologia ultimamente gli complica la vita, ma non credo vada necessariamente mantenuto sulla scena filosofica (in altri ambiti non è osì) svalutato a mero rafforzativo, psicologico o linguistico che sia, soprattutto se generico, colloquiale e ridondante.

Citazione di: Ipazia il 23 Agosto 2020, 20:39:49 PM
Ad esempio: neppure il Verbo relativista può negare il valore assoluto di cibo, acqua e ossigeno per la sopravvivenza di un organismo aerobico e da qui è facile compitare un'etica poco relativistica, piantando i paletti su un terreno solido al di là di tutte le definizioni che possiamo escogitare per definirlo.
Fuori dalla filosofia, ho già fatto esempi parlando di record e zeri, a cui aggiungo: perché «valore assoluto di cibo, acqua e ossigeno»? «Vitale» non rende meglio l'idea, se parliamo di bisogni primari? L'espressione «valore assoluto»: può essere usata in matematica, in etica, in biologia (come nel tuo esempio), etc. e la sua ambiguità va poi risolta con ulteriori dettagli e contestualizzazioni. «Valore Necessità vitale» difficilmente potrà essere usata anche in matematica e in etica (metafore a parte), mentre la biologia ce ne spiega i motivi e lo fa, da scienza esatta, senza sbandierare assoluti.
La "facilità di compitare un'etica poco relativista basata sui bisogni primari", rischia di non fare i conti con le difficoltà poste dalla complessità dei rapporti sociali: non sono i bisogni primari ad essere il problema delle etiche, ma tutto il castello di strutture e sovrastrutture in cui l'uomo contemporaneo è chiamato ad orientarsi per soddisfarli. Secondo me, i bisogni primari non sono il fondamento dell'etica, ne sono semmai il traguardo minimo, dai tempi delle caverne (almeno stando all'etica più empatica e diffusa). A complicare il tutto, oggi sono etiche anche molte questioni che prescindono da pane, acqua e un'ora d'aria (che non sono comunque garantiti ovunque nel mondo).

D'altronde che l'etica non si risolva in automatico con "è bene dare cibo, acqua e aria al nostro prossimo", credo lo dimostrino numerose questioni portuali che ben conosciamo (senza voler entrare nel merito, ma tutto il dibattito filosofico, non politico, sul tema in questione credo sia un buon esempio della non "facilità" della questione).



Citazione di: Jacopus il 24 Agosto 2020, 00:03:55 AM
In altre parole, ciò che a me più preme è la questione di come poter concepire e conservare un'etica condivisa, né assoluta, perché foriera di totalitarismo, né relativa, perché foriera di una società senza governo, lasciata in preda ai singulti narcisistici e alla sottostante legge di mercato. Legge di mercato, che di etica/etiche non sa che farsene, a meno che non si parli dell'etica calcolatrice e strumentale, ovvero quella che Weber chiamava "azione orientata allo scopo", che distingueva dalla "azione orientata al valore."
In fondo, l'etica di una comunità non è mai né assoluta (essendo mutevole nel tempo), né relativa (non contemplando la possibilità di autarchia dei singoli). La convivenza sociale è una questione di compromessi e rapporti di forza, prima che di specifici valori etici da pulpito o da libro filosofico; so che suona male, ma la storia, finora, mi pare che questo ci insegni e la globalizzazione lo sta confermando piuttosto nettamente (la legge di mercato si fonda e si concretizza in miriadi di scelte umane che la appoggiano e la conformano, non è un leviatano dispotico dotato di autonoma volontà: è diventata "legge planetaria" perché gli umani l'hanno consentito e lo consentono; è un po' come quando in democrazia si elegge qualcuno e poi molti se ne lamentano: una questione di proiezione di responsabilità per esorcizzare il proprio pentimento, il proprio disimpegno o la propria frustrazione per non vivere nel mondo che si vorrebbe).



Citazione di: niko il 24 Agosto 2020, 10:11:14 AM
Quindi secondo me la vita umana ha una funzione sua propria (il pensiero/linguaggio) che rende intrinsecamente impossibile la vita umana come assoluto etico.
Al di qua degli spunti sul transumanesimo, osserverei che l'etica stessa è una sottofunzione del pensiero-linguaggio, prima di diventare prassi sociale; per questo può essere assolutizzata solo radicandola nei cieli degli dei, per chi ci crede, o va rinvenuta nella sua frammentazione plurale dei differenti contesti culturali, fino ad annidarsi nelle prospettive individuali (il riconoscere che abbiamo tutti gli stessi bisogni e un innato attaccamento alla vita, di per sé, non fonda né il bene né il male, se non si indulge nella fallacia naturalistica).
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: viator il 24 Agosto 2020, 13:13:31 PM
Salve Phil. Sintetizzando, mi sembra di capire che secondo te la filosofia - creazione umana - possa o debba esprimere unicamente speculazioni relative alla sfera antropica. Non si capirebbe allora perchè facciano scandalo interpretazioni "etiche" circa struttura e funzione del cosmo inanimato (notoriamente estraneo o quantomeno esterno alla sfera antropica) mentre risulterebbero sensate le investigazioni circa gli attributi di Dio (il quale non mi risulta essere - filosoficamente - ingrediente antropico del mondo).


Circa poi la eventuale costernazione di un fisico nel leggere di una supposta "etica cosmica", essa sarebbe perfettamente giustificata dal fatto che lo scienziato - in quanto tale - risulterebbe colui che deve occuparsi di scienza senza badare alle considerazioni filosofiche, mentre chi specula filosoficamente è colui cui tocca la facoltà di trattare anche di scienza pur da  eventuale perfetto ignorante di essa.


Ciò fa parte dei diritti delle madri (le visioni del mondo) nei confronti delle loro progeniture (le scienze). Saluti.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Phil il 24 Agosto 2020, 14:17:47 PM
Citazione di: viator il 24 Agosto 2020, 13:13:31 PM
Non si capirebbe allora perchè facciano scandalo interpretazioni "etiche" circa struttura e funzione del cosmo inanimato (notoriamente estraneo o quantomeno esterno alla sfera antropica) mentre risulterebbero sensate le investigazioni circa gli attributi di Dio (il quale non mi risulta essere - filosoficamente - ingrediente antropico del mondo).
Nessuno scandalo, si tratta solo di rispettare la differenza, comunemente accettata, fra i vari rami della filosofia (con le rispettive categorie): per quanto riguarda il cosmo inanimato, restando nel recinto filosofico, non si parla di etica, ma di gnoseologia/epistemologia; nel caso delle divinità, si parla perlopiù di metafisica o teologia (il tutto, inevitabilmente, da un punto di vista umano).
Sull'opinione che
Citazione di: viator il 24 Agosto 2020, 13:13:31 PM
chi specula filosoficamente è colui cui tocca la facoltà di trattare anche di scienza pur da  eventuale perfetto ignorante di essa.
temo si confonda la speculazione filosofica con la narrativa (e la fanta-scienza) o con la "cattiva" abitudine di parlare senza cognizione di causa, abitudine che la filosofia stessa osteggia da tempi immemori (fermo restando che speculare filosoficamente non significa banalmente esplicitare il proprio punto di vista su qualunque argomento).
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 24 Agosto 2020, 16:22:37 PM
Citazione di: Phil il 24 Agosto 2020, 12:13:21 PM
La "facilità di compitare un'etica poco relativista basata sui bisogni primari", rischia di non fare i conti con le difficoltà poste dalla complessità dei rapporti sociali: non sono i bisogni primari ad essere il problema delle etiche, ma tutto il castello di strutture e sovrastrutture in cui l'uomo contemporaneo è chiamato ad orientarsi per soddisfarli. Secondo me, i bisogni primari non sono il fondamento dell'etica, ne sono semmai il traguardo minimo, dai tempi delle caverne (almeno stando all'etica più empatica e diffusa). A complicare il tutto, oggi sono etiche anche molte questioni che prescindono da pane, acqua e un'ora d'aria (che non sono comunque garantiti ovunque nel mondo).

Su quale altro solido fondamento che non siano i bisogni primari, con la loro irrevocabile assolutezza, è possibile fondare ragionevolmente l'ethos, anche nel caso li vogliamo derubricare a minimo sindacale ?

Lo so che l'idealismo la pensa diversamente, ma guardando le stelle è finito un'infinità di volte dentro la buca che non voleva considerare, a giusta punizione della sua inadeguatezza filosofica.

CitazioneD'altronde che l'etica non si risolva in automatico con "è bene dare cibo, acqua e aria al nostro prossimo", credo lo dimostrino numerose questioni portuali che ben conosciamo (senza voler entrare nel merito, ma tutto il dibattito filosofico, non politico, sul tema in questione credo sia un buon esempio della non "facilità" della questione).

Anche le questioni portuali si risolverebbero se gli umani prolificassero solo coloro che possono nutrire. Sempre lì si ritorna e non può che essere così, in barba a tutte le fallacie antinaturalistiche. In tema di assoluto, relativamente alla vita umana, qualsiasi regime deve fare i conti col panem. Il circense viene dopo e non surroga più di tanto come dimostrano le brioches attribuite alla regina francese. Così come non surrogano le fumisterie di oppio metafisico che vanno a cercare l'etica sotto i funghi delle praterie celesti o, secolarmente, nell'individualistica nullità del pensiero liberal-liberista.

Risolto il panem, rimane il seguito di Maslow, altrettanto incardinabile in binari umanistici finalizzati al miglior vivere nell'ethos evolutivamente e storicamente dato. Anche questo (di)mostrano le vicende portuali  :P
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Phil il 24 Agosto 2020, 17:25:48 PM
Citazione di: Ipazia il 24 Agosto 2020, 16:22:37 PM
Su quale altro solido fondamento che non siano i bisogni primari, con la loro irrevocabile assolutezza, è possibile fondare ragionevolmente l'ethos, anche nel caso li vogliamo derubricare a minimo sindacale ?
Non credo che, divinità a parte, ci siano fondamenti particolarmente solidi a disposizione, che non siano l'evoluzione delle norme e consuetudini in una determinata società (autoreferenza vecchia come l'uomo) e le capacità interpretative del singolo (entrambi, concorderai, fondamenti contenutisticamente tutt'altro che assoluti). Per questo molti si sentono a disagio di fronte alla debolezza dal nichilismo, dal relativismo, etc. manca quel fondamento solido, rassicurante e, soprattutto, normativo, che una volta rendeva chiara (seppur non sempre agevole) la direzione da prendere.
Viceversa, fondare un'etica sui bisogni primari è più difficile di quel che sembra:
Citazione di: Ipazia il 24 Agosto 2020, 16:22:37 PM
Anche le questioni portuali si risolverebbero se gli umani prolificassero solo coloro che possono nutrire.
pianificare la procreazione (sorvolando sulla sua presunta pertinenza con la questione dei migranti) è un "valore" che già va ben oltre i bisogni primari: la sua applicazione presuppone di fatto un'ingerenza normativa del potere centrale nelle abitudini sessuali della popolazione. Calcoli della quantità di prole in base all'Isee e/o in base al contratto di lavoro? Magari risulta un ragionevole e condivisibile "interventismo etico" per il bene di tutti, ma siamo tutti "democraticamente" concordi? Per rispondere, risolvendo eventuali dissensi, fare appello all'indubitabilità dei bisogni primari non mi pare affatto sufficiente (a ulteriore dimostrazione di come la presunta "facilità di compitare un'etica poco relativista basata sui bisogni primari" si incagli, nella prassi, con le differenti prospettive etiche di coloro che, nonostante tutto, condividono gli stessi bisogni primari).
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: viator il 24 Agosto 2020, 18:46:16 PM
Salve Phil. Citandoti : "Viceversa, fondare un'etica sui bisogni primari è più difficile di quel che sembra".


Secondo me non è il caso di affannarsi. Saranno i bisogni primari a confezionare le nostre etiche ed a presentarcele silenziosamente, lasciandoci benignamente l'illusione (del medesimo tipo di quella del "libero arbitrio") di essere stati noi a costruircele.


Oppure secondo te la nostra etica autocostruita ha potuto fare a meno delle fondamenta e del materiale da costruzione che il mondo ci ha presentato alla nostra nascita ? Saluti.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Jacopus il 24 Agosto 2020, 18:56:28 PM
CitazioneIn fondo, l'etica di una comunità non è mai né assoluta (essendo mutevole nel tempo), né relativa (non contemplando la possibilità di autarchia dei singoli). La convivenza sociale è una questione di compromessi e rapporti di forza, prima che di specifici valori etici da pulpito o da libro filosofico; so che suona male, ma la storia, finora, mi pare che questo ci insegni e la globalizzazione lo sta confermando piuttosto nettamente (la legge di mercato si fonda e si concretizza in miriadi di scelte umane che la appoggiano e la conformano, non è un leviatano dispotico dotato di autonoma volontà: è diventata "legge planetaria" perché gli umani l'hanno consentito e lo consentono; è un po' come quando in democrazia si elegge qualcuno e poi molti se ne lamentano: una questione di proiezione di responsabilità per esorcizzare il proprio pentimento, il proprio disimpegno o la propria frustrazione per non vivere nel mondo che si vorrebbe).


Una visione piuttosto hegeliana, Phil, ma se non vogliamo limitarci a "civettare" con la storia, dobbiamo riconoscere alla filosofia un compito pratico, proprio nel senso dell'antica praxis, una funzione critica e di orientamento, che non ha paura di denunciare l'irrazionalità del mondo, anche quando è sostenuta dalla maggioranza o per assurdo dell'unanimità dei senzienti.
La filosofia è uno sguardo profondo, mosso dalla conoscenza e dalle intuizioni accese da quella conoscenza. Non è detto che da quello sguardo la praxis migliori, lo sappiamo fin dal viaggio della speranza pedagogica di Platone a Siracusa. Ma allo stesso tempo non fu proprio la filosofia greca e i suoi ideali a permettere il grande salto in tre stadi: scolastica, umanesimo, illuminismo?
Ed oggi la filosofia, per tornare in tema, deve denunciare un fatto molto semplice e pericoloso, il soggetto è il protagonista della trama culturale, nelle sue diverse forme di eroe, individuo, free rider, uomo che non chiede mai, ab solutus da ogni altro soggetto, che si pone di fronte a lui come "diverso", "non equiparabile", "lontano", "concorrente", "rivale".
Il problema è che in questo modo, i valori della comunità, nella dinamica  di compromesso etico che giustamente è il risultato dell'interazione sociale, diventano cacofonici e mortiferi, sostenuti solo dal narcisismo del "io ti mostro quel che ho". Per questo sostengo la necessità di una mediazione fra valori assoluti e relativi, che non è altro che lo specchio di un altro binomio, quello fra soggetto e comunità, una dialettica che oggi rischia di polarizzarsi patologicamente, fra un soggetto/individuo osannato e una comunità considerata "gregge", "schiavitù", "assistenzialismo", "statalismo", in una accezione cioè essenzialmente negativa.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: niko il 24 Agosto 2020, 19:16:23 PM
Ipazia ha scritto (scusate, non mi prende il quote):

Anche le questioni portuali si risolverebbero se gli umani prolificassero solo coloro che possono nutrire. Sempre lì si ritorna e non può che essere così, in barba a tutte le fallacie antinaturalistiche. In tema di assoluto, relativamente alla vita umana, qualsiasi regime deve fare i conti col panem. Il circense viene dopo e non surroga più di tanto come dimostrano le brioches attribuite alla regina francese. Così come non surrogano le fumisterie di oppio metafisico che vanno a cercare l'etica sotto i funghi delle praterie celesti o, secolarmente, nell'individualistica nullità del pensiero liberal-liberista.

Risolto il panem, rimane il seguito di Maslow, altrettanto incardinabile in binari umanistici finalizzati al miglior vivere nell'ethos evolutivamente e storicamente dato. Anche questo (di)mostrano le vicende portuali  :P


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E' un orrore e una tragedia che vengano prolificati figli che non si possono mantenere, sì ma esattamente e specularmente quanto sarebbe un orrore e una tragedia in senso opposto uno stato di cose in cui per etica o per diritto solo i ricchi entro una certa soglia minima potessero proliferare, e i poveri al dì sotto di quella soglia avessero il destino di estinguersi fliogeneticamente.
E' un orrore la miseria e l'irresponsabilità, ma come per un universalismo etico devono esser soddisfatti i bisogni primari come la fame, così per un universalismo etico al minimo sindacale il diritto di fare figli soddisfacendo un istinto che è praticamente pari alla fame come intensità quando represso e non soddisfatto, non è dei più o meno abbienti, ma è di tutti o di nessuno.
Quindi grande è l'errore di chi addita, come singolo o come popolo, qualcuno che ha fame e figlia lo stesso. Sono istinti, non si possono risolvere nel senso del: "dell'io muoio senza figli e qualcuno con più quattrini figlierà per me", l'unica soluzione è eliminare la fame, l'uguaglianza vera.


E l'ethos evolutivamente o storicamente dato è sbagliato per definizione (in quanto dato, e quindi inautentco rispetto alla vita attuale di singoli e gruppi per come essa istante per istante si determina); esistiamo per evolvere, come tutti gli altri esseri, siamo venuti per divenire (in questo davvero non siamo speciali, rispetto agli animali), e magari per farla finita con la storia.


Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 24 Agosto 2020, 20:13:51 PM
Citazione di: Phil il 24 Agosto 2020, 17:25:48 PM
Non credo che, divinità a parte, ci siano fondamenti particolarmente solidi a disposizione, che non siano l'evoluzione delle norme e consuetudini in una determinata società (autoreferenza vecchia come l'uomo) e le capacità interpretative del singolo (entrambi, concorderai, fondamenti contenutisticamente tutt'altro che assoluti). Per questo molti si sentono a disagio di fronte alla debolezza dal nichilismo, dal relativismo, etc. manca quel fondamento solido, rassicurante e, soprattutto, normativo, che una volta rendeva chiara (seppur non sempre agevole) la direzione da prendere.

L'evoluzione delle norme e consuetudini di una determinata società dipende dalle condizioni materiali della sua vita e riproduzione le quali travolgono come uno tzunami tutti i filosofemi che non si adeguino a tale evoluzione. Sottoscrivo il richiamo di Jacopus al valore della praxis e alla filosofia che la sappia al meglio interpretare. Anche le capacità interpretative del singolo seguono lo stesso trend e restare indietro o limitarsi a subirlo - delegando le rassicurazioni agli iniziati/esperti - è un lusso che non ci possiamo più permettere. La qual cosa rammenta che l'etica è intrecciata con la responsabilità (individuale e sociale) che rimanda alla ...

CitazioneViceversa, fondare un'etica sui bisogni primari è più difficile di quel che sembra:
Citazione di: Ipazia il 24 Agosto 2020, 16:22:37 PM
Anche le questioni portuali si risolverebbero se gli umani prolificassero solo coloro che possono nutrire.
pianificare la procreazione (sorvolando sulla sua presunta pertinenza con la questione dei migranti) è un "valore" che già va ben oltre i bisogni primari: la sua applicazione presuppone di fatto un'ingerenza normativa del potere centrale nelle abitudini sessuali della popolazione. Calcoli della quantità di prole in base all'Isee e/o in base al contratto di lavoro? Magari risulta un ragionevole e condivisibile "interventismo etico" per il bene di tutti, ma siamo tutti "democraticamente" concordi? Per rispondere, risolvendo eventuali dissensi, fare appello all'indubitabilità dei bisogni primari non mi pare affatto sufficiente (a ulteriore dimostrazione di come la presunta "facilità di compitare un'etica poco relativista basata sui bisogni primari" si incagli, nella prassi, con le differenti prospettive etiche di coloro che, nonostante tutto, condividono gli stessi bisogni primari).

... responsabilità di fronte alla procreazione in un pianeta che non ha più terre vergini - o ritenute tali a danno degli sfortunati autoctoni - da conquistare al grido di mors tua vita mea Dio lo vuole. Oggi è: mors tua mors mea e nessun autoctono è più disposto a soccombere.

Tornano quindi in gioco i bisogni primari e il bisogno, rispondendo a niko, di una giustizia primaria che non viene imposta per legge, ma per condizioni materiali che rendano possibile la sopravvivenza umana nel modo meno conflittuale possibile. Oggi più che mai l'etica è divenuta questione di prassi ed episteme in un mondo in cui l'umanesimo deve fare i conti coi limiti dell'antropizzazione e l'irrazionalità delle ideologie religiose e secolari ancora dominanti.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Phil il 24 Agosto 2020, 21:37:55 PM
Citazione di: viator il 24 Agosto 2020, 18:46:16 PM
Secondo me non è il caso di affannarsi. Saranno i bisogni primari a confezionare le nostre etiche ed a presentarcele silenziosamente
Intendere per «etica» le modalità comportamentali di soddisfare i propri bisogni primari, significa non riconoscerle lo statuto di ponte relazionale con l'altro uomo. Il momento in cui i suoi bisogni primari confliggono con i miei, o siamo chiamati ad organizzarci per coordinare la soddisfazione dei nostri bisogni in quanto comunità, è il momento in cui l'etica filosofica diventa un fattore importante (e, appunto, l'appello ai bisogni primari, in quanto esclusivamente biologici, non fonda direttamente nessun valore etico; vedi suddetta fallacia naturalistica e vedi esempio migranti).
Detto più semplicemente: aprire il frigo se ho fame, non è una scelta di tipo etico; invece, quando uno sconosciuto mi chiede di comprargli una bottiglia d'acqua perché ha sete ma non ha i soldi, cosa mi suggerisce l'etica fondata sui bisogni primari? Non entrano forse in gioco soprattutto valori etici con differente fondamento?


Citazione di: Ipazia il 24 Agosto 2020, 20:13:51 PM
... responsabilità di fronte alla procreazione in un pianeta che non ha più terre vergini - o ritenute tali a danno degli sfortunati autoctoni - da conquistare al grido di mors tua vita mea Dio lo vuole. Oggi è: mors tua mors mea e nessun autoctono è più disposto a soccombere.
Eppure, correggimi se sbaglio, la cronaca e i numeri ci parlano di popolazioni in cui si continua a procreare irresponsabilmente (spoiler: non solo al di là del Mediterraneo). Comunque, la questione di cui si parlava (in ossequio al titolo) era quella del fondamento: se un'etica è fondata sui bisogni primari, il controllo delle nascite, che nella prassi (mi si perdoni il disincanto) si traduce solitamente non con l'utopica responsabilizzazione planetaria dei singoli, ma con coercizioni governative, è un non sequitur. Non perché non sia ragionevole fare calcoli su numero di abitanti, risorse disponibili, proiezioni statistiche, etc. ma perché la lettura etica di tutto ciò non è univoca e dirimente a partire dai bisogni primari, bensì (semmai) basandosi su altri valori etici (altamente interpretabili e opinabili) come quello della procreazione, della sostenibilità, etc. (anche se Niko ha giustamente ricordato che l'istinto materno e paterno sono comunque biologici).
Semplificando con un esperimento mentale: se fossimo su un treno in corsa, non sono sicuro sarebbero i bisogni primari a mettere assolutamente d'accordo chi vuole godersi il viaggio (procreando e in altro modo) sapendo che morirà di vecchiaia prima che il treno deragli per l'eccessivo peso a bordo, e chi invece non vuole sovraffollare il treno, preoccupato che le generazioni future si trovino coinvolte nel deragliamento e consiglia quindi di "calmierare" le nascite.
Ribadisco che ne faccio un discorso sui fondamenti dell'etica, non su quale scelta sia preferibile o più giusta, secondo la propria etica (già "fondata").
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 25 Agosto 2020, 07:34:20 AM
Citazione di: Phil il 24 Agosto 2020, 21:37:55 PM
Citazione di: Ipazia il 24 Agosto 2020, 20:13:51 PM
... responsabilità di fronte alla procreazione in un pianeta che non ha più terre vergini - o ritenute tali a danno degli sfortunati autoctoni - da conquistare al grido di mors tua vita mea Dio lo vuole. Oggi è: mors tua mors mea e nessun autoctono è più disposto a soccombere.
Eppure, correggimi se sbaglio, la cronaca e i numeri ci parlano di popolazioni in cui si continua a procreare irresponsabilmente (spoiler: non solo al di là del Mediterraneo). Comunque, la questione di cui si parlava (in ossequio al titolo) era quella del fondamento: se un'etica è fondata sui bisogni primari, il controllo delle nascite, che nella prassi (mi si perdoni il disincanto) si traduce solitamente non con l'utopica responsabilizzazione planetaria dei singoli, ma con coercizioni governative, è un non sequitur. Non perché non sia ragionevole fare calcoli su numero di abitanti, risorse disponibili, proiezioni statistiche, etc. ma perché la lettura etica di tutto ciò non è univoca e dirimente a partire dai bisogni primari, bensì (semmai) basandosi su altri valori etici (altamente interpretabili e opinabili) come quello della procreazione, della sostenibilità, etc. (anche se Niko ha giustamente ricordato che l'istinto materno e paterno sono comunque biologici).

Contrapporre bisogni primari individuali all'etica sociale è una fallacia individualistica priva di fondamento. La società è, almeno nelle questioni fondamentali correlate alla natura umana, la sommatoria delle richieste e intelligenze individuali: la politica cinese del figlio unico ha salvato dalla miseria e dal sottosviluppo anche i cinesi che di figli ne avrebbero voluti e fatti dieci. E col senno di poi, i meno martellati di loro l'avranno pure capito.

La gestione della riproduzione fin dalle origine ha avuto un primario carattere et(olog)ico e attorno ad essa si è sviluppato quell'istituto fondamentale sociale che è la famiglia in cui si confrontano individui, non marziani. L'evoluzione etica di tale istituto è andata di pari passo con l'approfondimento etico della questione riproduttiva liberando, anche individualmente, individui di sesso femminile e minori dalle inumanità della famiglia patriarcale. Tale processo di liberazione ed emancipazione è strettamente connesso alla natura sociale del fenomeno riproduttivo. Questo trend di progresso non è ...

CitazioneSemplificando con un esperimento mentale: se fossimo su un treno in corsa, non sono sicuro sarebbero i bisogni primari a mettere assolutamente d'accordo chi vuole godersi il viaggio (procreando e in altro modo) sapendo che morirà di vecchiaia prima che il treno deragli per l'eccessivo peso a bordo, e chi invece non vuole sovraffollare il treno, preoccupato che le generazioni future si trovino coinvolte nel deragliamento e consiglia quindi di "calmierare" le nascite.

... banalizzabile ponendo sullo stesso piano etico chi porta alla catastrofe e chi sa come evitarla. Grazie a Dio (che probabilmente non c'è) non siamo tutti sullo stesso treno o barca e quando il delirio umanitario avrà manifestato nei fatti tutti i suoi aspetti catastrofici ci ricorderemo che esistono anche confini e dighe capaci di arginare le rapide della maleducazione demografica costringendo i riottosi a più ragionevoli politiche ed etiche se non vogliono tornare all'antropofagia come i naufraghi del quadro iniziale.

CitazioneRibadisco che ne faccio un discorso sui fondamenti dell'etica, non su quale scelta sia preferibile o più giusta, secondo la propria etica (già "fondata").

Se l'etica è saldamente fondata sulla conoscenza della natura e dei suoi processi, non so quanti relativisti etici preferiranno finire nella cascata piuttosto che mettere una diga sulle rapide. E' pur vero che al delirio che antepone i principi ai fatti non si può porre alcun argine razionale, ma allora non chiamiamola etica (variamente alternativa). Chiamiamola demenza.

Del resto lo stesso etimo di ethos-techne non lascia grande spazio a voli pindarici di tipo individualistico. Icaro e Dedalo, coi loro opposti destini, lo insegnano fin dall'antichità.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: viator il 25 Agosto 2020, 12:32:53 PM
Salve Phil. Continui a far passare la tesi che io ritenga che che i bisogni fondamentali abbiano carattere eticamente attuale. Ciò che io ho detto e ribadito è che i bisogni SIANO LA BASE ONTOLOGICA di tutti i nostri comportamenti, etiche e scelte.

Comunque poi, citandoti : "Detto più semplicemente: aprire il frigo se ho fame, non è una scelta di tipo etico; invece, quando uno sconosciuto mi chiede di comprargli una bottiglia d'acqua perché ha sete ma non ha i soldi, cosa mi suggerisce l'etica fondata sui bisogni primari? Non entrano forse in gioco soprattutto valori etici con differente fondamento?"



Acquistare (ben prima di usare) frigorifero, condizionamento domestico ed automobilistico etc. etc. etc. sono atti - ormai ineliminabili dall'etica collettiva di ampia parte del mondo - profondamente etici in quanto permettono ad alcuni di rinfrescarsi egoisticamente a spese di chi sarà costretto a subire - senza poterne godere - gli effetti caloriferi degli strumenti frigoriferi.
Circa poi la sete.......se qualcuno mi chiedesse una bottiglietta d'acqua, correrei a comperarla per scaraventargliela addosso. Migliaia di anni di "civiltà" per giungere ad avere l'acqua corrente in casa........per giungere alla miserabile farsa del sorso "sotto plastica" e a "chilometro trecentoquindici".


Ecco, secondo me basterebbe la storia delle bottigliette a giustificare eticamente il fatto che una certa parte della nostra società dovrebbe scomparire!. Saluti.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Phil il 25 Agosto 2020, 15:16:10 PM
Citazione di: Ipazia il 25 Agosto 2020, 07:34:20 AM
Contrapporre bisogni primari individuali all'etica sociale è una fallacia individualistica priva di fondamento.
Non mi sembra d'aver contrapposto i bisogni primari alle etiche sociali (pur distinguendoli), ho solo (di)mostrato che i primi non fondano le seconde (@viator: che non significa certo negare che i bisogni primari siano tali per ogni uomo e che per agire eticamente dobbiamo anzitutto mantenerci vivi).
Evitata la questione del fondamento dei valori (che danno un senso ai rispettivi giudizi etici), il discorso può pure dipanarsi fra storia, antropologia e individuale interpretazione etica di fatti più o meno recenti (perché l'etica, nella prassi, è sempre individuale: nonostante mille influenze e condizionamenti esterni, sono singolarmente io a compiere ogni scelta e ad esserne responsabile... senza voler innescare qui la consueta polveriera sul libero arbitrio).

Citazione di: Ipazia il 25 Agosto 2020, 07:34:20 AM
Se l'etica è saldamente fondata sulla conoscenza della natura e dei suoi processi [...] al delirio che antepone i principi ai fatti non si può porre alcun argine razionale, ma allora non chiamiamola etica (variamente alternativa). Chiamiamola demenza.
«Se l'etica è saldamente fondata sulla conoscenza della natura e dei suoi processi»(cit.) siamo ancora in piena fallacia naturalistica, confondendo descrizioni oggettive e prescrizioni soggettive, leggi della natura e leggi sociali, bisogni e valori, etc.; l'etica può considerare i processi naturali, ma non può fondarvisi (almeno fino a prova contraria, vedi p.s.). Inoltre, il «delirio che antepone i principi ai fatti»(cit.) mi pare ben rappresentato da ogni etica storicamente esistita, poiché i principi condizionano da sempre i fatti umani (basti pensare alle leggi che ci governano), individuali e sociali (ma non condizionano i bisogni fisiologici, che in quanto naturali sono innati).


P.s.
Le due simulazioni, quella dell'assetato di viator e quella del treno (come l'allusione ai migranti), richiedevano come risposta semplicemente un'applicazione esemplificativa di un'etica che si dimostrasse fondata sui bisogni primari (non la sola formulazione di un giudizio etico che lasciasse impliciti i suoi fondamenti, seppur facilmente intuibili come differenti dai bisogni primari). Comunque, secondo me, anche il non voler esporre, a chi lo richiede, il "funzionamento" della propria etica, è a sua volta una scelta di "etica del discorso" (anche questa fondata sui bisogni primari? perdonate il vizio del domandare).
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Lou il 25 Agosto 2020, 15:19:23 PM
A mio parere i bisogni primari non sono fondamento dell'etica ed essi non hanno particolari connotazioni etiche poichè il bisogno non è una esperienza di libertà: il bisogno di bere ad esempio non ha nulla a che vedere con la libertà di volere e non è a fondamento dell'etica, sebbene produca ovviamente  comportamenti per soddisfare il bisogno, comportamenti che, in base alla propria scala valoriale e priorità, necessitano una scelta, questa sì etica. Pertanto è nella decisione di comprare bottigliette di plastica o usare borracce o bottiglie in vetro o abbeverarsi alle fontanelle (per riprendere gli esempi fatti) che esercito una scelta dai connotati etici ed è nella libertà di questo esercizio decisionale che sta il fondamento, non nel bisogno..
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 25 Agosto 2020, 18:14:42 PM
Citazione di: Phil il 25 Agosto 2020, 15:16:10 PM
Citazione di: Ipazia il 25 Agosto 2020, 07:34:20 AM
Contrapporre bisogni primari individuali all'etica sociale è una fallacia individualistica priva di fondamento.
Non mi sembra d'aver contrapposto i bisogni primari alle etiche sociali (pur distinguendoli), ho solo (di)mostrato che i primi non fondano le seconde (@viator: che non significa certo negare che i bisogni primari siano tali per ogni uomo e che per agire eticamente dobbiamo anzitutto mantenerci vivi).
Evitata la questione del fondamento dei valori (che danno un senso ai rispettivi giudizi etici), il discorso può pure dipanarsi fra storia, antropologia e individuale interpretazione etica di fatti più o meno recenti (perché l'etica, nella prassi, è sempre individuale: nonostante mille influenze e condizionamenti esterni, sono singolarmente io a compiere ogni scelta e ad esserne responsabile... senza voler innescare qui la consueta polveriera sul libero arbitrio).

Al massimo hai (di)mostrato che esistono ambiti di libertà individuale in cui si possono esprimere comportamenti individuali relativamente liberi. Ma laddove entrano in gioco bisogni, interessi, necessità primarie tutte le società attuano imprinting tali da escludere qualunque interpretazione individuale. Non a caso le norme si occupano proprio degli aspetti collettivi dai fondamentali fino agli aspetti spiccioli della convivenza civile. Buttare le cartacce per terra non è espressione di un'etica alternativa ma banale, anti-etica, maleducazione. Su, su fino all'omicidio.

Citazione di: Phil il 25 Agosto 2020, 15:16:10 PM
Citazione di: Ipazia il 25 Agosto 2020, 07:34:20 AM
Se l'etica è saldamente fondata sulla conoscenza della natura e dei suoi processi [...] al delirio che antepone i principi ai fatti non si può porre alcun argine razionale, ma allora non chiamiamola etica (variamente alternativa). Chiamiamola demenza.
«Se l'etica è saldamente fondata sulla conoscenza della natura e dei suoi processi»(cit.) siamo ancora in piena fallacia naturalistica, confondendo descrizioni oggettive e prescrizioni soggettive, leggi della natura e leggi sociali, bisogni e valori, etc.; l'etica può considerare i processi naturali, ma non può fondarvisi (almeno fino a prova contraria, vedi p.s.). Inoltre, il «delirio che antepone i principi ai fatti»(cit.) mi pare ben rappresentato da ogni etica storicamente esistita, poiché i principi condizionano da sempre i fatti umani (basti pensare alle leggi che ci governano), individuali e sociali (ma non condizionano i bisogni fisiologici, che in quanto naturali sono innati).

Ma la fallacia antinaturalistica, o semplicemente antiumana, finisce con l'avere un corto respiro storico se non garantisce almeno condizioni di elementare benessere alle popolazioni irregimentate. La storia è piena di regimi farlocchi che anteponevano i princìpi (e i prìncipi) ai fatti, ma è pure piena delle teste mozzate di chi ha pensato di poterci gozzovigliare a lungo. Per quanto delirante, ogni regime sociale ha sempre dovuto risolvere in maniera naturalistica le questioni inerenti la natura umana. Eventualmente nascondendo la polvere sotto il tappeto e monetizzando la trasgressione ai princìpi ideologici affermati.

CitazioneP.s.
Le due simulazioni, quella dell'assetato di viator e quella del treno (come l'allusione ai migranti), richiedevano come risposta semplicemente un'applicazione esemplificativa di un'etica che si dimostrasse fondata sui bisogni primari (non la sola formulazione di un giudizio etico che lasciasse impliciti i suoi fondamenti, seppur facilmente intuibili come differenti dai bisogni primari). Comunque, secondo me, anche il non voler esporre, a chi lo richiede, il "funzionamento" della propria etica, è a sua volta una scelta di "etica del discorso" (anche questa fondata sui bisogni primari? perdonate il vizio del domandare).

Basta partire dalle tavole mosaiche che si occupano oltre che di numi anche di omicidio, furto, menzogna, famiglia e tradimenti vari. Insomma gli aspetti strutturali, materiali, di ogni società. Tutti i codici fin dall'antichità si preoccupano di normare innanzitutto il principio assoluto di ogni essere vivente, ovvero la sua vita. Con eccezioni e omissioni che il tempo ha superato dimostrando con ciò che esiste pure un'evoluzione etica e che questa continua ad avere come suo centro di gravità proprio la "fallacia naturalistica".

L'evoluzione della giurisprudenza ha pure distinto l'etica sociale tutelante i principi fondamentali relativi ai bisogni umani, fissando sempre più rigorosi paletti etico-normativi, dall'area del "facciocomec***mipare", attinente aspetti secondari del comportamento, non socialmente pericolosi, da dare in pasto ai relativisti etici perchè si confermino nella loro individualistica convinzione che di questo tratta l'etica.

L'estensione del "facciocomec***mipare" all'area sociale sensibile dell'etica non è gradita da nessuna parte e non si configura come etica alternativa ma come antietica: dalla maleducazione al crimine.

@Lou

La teoria dei bisogni mi pare non si limiti al piano terra della piramide di Maslow. Nei piani successivi di etica "idealistica" ve n'è molta. Ma sempre su quella base "fallacemente" naturalistica essa insiste, la cui assenza o degrado finisce col compromettere tutto l'edificio. Insomma: per gustare un bel cielo stellato e godere del piacere della convivenza sociale, di arte e scienza, la pancia vuota non è opzionale.
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Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: davintro il 25 Agosto 2020, 20:30:00 PM
un'etica fondata sulla soddisfazione dei bisogni primari/materiali ha senso come arbitraria, per quanto legittima, preferenza individuale, che considera la soddisfazione delle esigenze spirituali, la creatività artistica, la conoscenza, come un'opzione accidentale. Chi sceglie il suicidio, il martirio, cioè antepone il sacrificio della sua vita biologica per la lotta per un ideale, oppure riconosce il suo vivere come condizione non più degna di essere perseguita, formula un giudizio di valore, utilizza la categoria di giustizia, applicandola al proprio vivere, ed in questo modo mostra una facoltà di astrazione, che lo porta a trascendere la biologicità, relativizzandone il valore sulla base di un principio superiore, sia esso un'ideale personale di "vita degna di essere vissuta" potenzialmente distinto dalla fattualità della vita attualmente perseguita, oppure un ideale collettivo di giustizia sociale e politica in nome del quale si è disposti al sacrificio di sé (Jan Palach). Se l'etica coincidesse con la biologia non avrebbe alcuna possibilità di oggettivarla in una valutazione, in un giudizio in cui porsi il problema di un suo superamento, immaginare un'alternativa alla vita biologica esprime una dimensione spirituale nell'uomo responsabile di questo idealizzare. Ed ecco perché l'etica ha come condizione necessaria la spiritualità del soggetto che formula giudizi etici. Chi vedesse la vita biologica come valore universale (vedo che "assoluto" è un termine troppo contestato) formulerebbe un giudizio, non sulla base della biologia (la materia pura in quanto tale non è capace di autoriflessione, e l'esperienza sensibile non è  commisurata a pensare in termini di universalità. Tocco, vedo, sento questo particolare oggetto, non certo l'idea di universale) ma sulla base di una spiritualità che attribuisce tale valore alla biologia, alla vita corporea, che però non sarebbe il fondamento etico del giudizio, ma l'oggetto che passivamente viene rivestito da tale eticità. Se noi fossimo corpo e basta non potremmo neanche formulare questo giudizio, dato che non potremmo rendere il corpo oggetto di tale valutazione, cioè non potremmo nella riflessione cosciente distaccarcene per oggettivarlo
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: davintro il 25 Agosto 2020, 20:49:34 PM
Ipazia scrive:


"La teoria dei bisogni mi pare non si limiti al piano terra della piramide di Maslow. Nei piani successivi di etica "idealistica" ve n'è molta. Ma sempre su quella base "fallacemente" naturalistica essa insiste, la cui assenza o degrado finisce col compromettere tutto l'edificio. Insomma: per gustare un bel cielo stellato e godere del piacere della convivenza sociale, di arte e scienza, la pancia vuota non è opzionale."[/size]

Penso che qua occorra distinguere due diversi piani di relazioni: Un conto è una necessaria condizionalità, per cui la pancia piena è condizione necessaria per godere della bellezza estetica, del valore della vita contemplativa, del livello, diciamo, idealistico-spirituale. Che questa relazione sia reale, credo nessuno possa mettere in discussione. Un altro è dedurre da essa una superiorità assiologica, etica del gradino basso, la condizione, rispetto ai gradini elevati, ciò che la condizione rende possibile. Dal mero fatto che a pancia vuota nessun bene spirituale possa essere goduto non discerne alcuna superiorità etica delle esigenze delle pancia rispetto a quelle dello spirito, ma solo che l'assolvimento delle prime renda possibile di fatto le seconde. Ma nulla impedisce che una volta resi disponibili i beni spirituali questi non si possano considerare più nobili rispetto a quelli, pur necessari, che hanno permesso il loro conseguimento, né che si valuti una vita composta solo da beni primari come necessariamente legittima da proseguire. Sarebbe come se arrivando a Roma tramite treno, debba sentirmi eticamente obbligato, invece che godere delle bellezze della Città Eterna, a continuare a venerare il treno che mi ha consentito di raggiungere la città, di considerare il treno più intrinsecamente importante per la mia vita rispetto alla bellezza artistica, l'unica cosa che dato al treno una sua ragion d'essere. Sarebbe puro e cieco utilitarismo. E anzi, troverei molto più sensata la posizione aristotelica, per cui proprio in quanto un certo bene è mezzo per conseguire un altro che resta invece fine a se stesso, questo debba essere giudicato eticamente inferiore all'altro, proprio perché mentre quest'ultimo avrebbe in se stesso il suo fine, esso trae il suo fine dall'esterno, cioè dall'essere condizione di altro da sè
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: viator il 25 Agosto 2020, 21:50:10 PM
Salve davintro. Citandoti : "al mero fatto che a pancia vuota nessun bene spirituale possa essere goduto non discerne alcuna superiorità etica delle esigenze delle pancia rispetto a quelle dello spirito".

Questo della "superiorità etica" del cerebrale-spirituale sul corporale-biologico è parere tuo e di molti miliardi di individui i quali trovano bello, interessante, nobile e superiore ciò che sono (o credono di essere) e trovano invece mortificante, insipido, ovvio, ciò da cui provengono. Noto atteggiamento antropistico di chi, specchiandosi al mattino, pensa : "ma quanto siamo fatti bene, io ed i miei simili !".


Personalmente e minoritariamente io dò della "superiorità" una diversa interpretazione : superiore è ciò che risulta non "più raffinato", bensi "superiormente (maggiormente) utile", cioè maggiormente necessario al raggiungimento di superiori livelli di evoluzione e complicazione.


Quindi ad essere superiori sono i fondamenti, l'essenziale, l'originario rispetto a tutto ciò che essi hanno generato. Con buona pace di ogni umana vanità autocelebrativa. Saluti.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 25 Agosto 2020, 22:02:37 PM
L'etica non coincide con la biologia, ma il supporto biologico è indispensabile perchè avvenga qualsiasi cosa e per tale motivo, non per motivi ideologici/idealistici/spirituali, la vita umana acquista un valore assoluto per ogni individuo umano, condiviso nella sua valorialità con tutti gli umani essendo tutti soggetti alla comune sorte mortale.

Il sacrificio della vita, proprio per la sua unicità e irripetibilità, è il massimo gesto etico individuale. Ma esso costituisce l'eccezione, non la regola, in una società orientata su valori umanistici. Anche dove dominano i numi si tende a considerarli protettori, piuttosto che distruttori (semmai dei nemici e degli infedeli) della vita umana.

Giriamola come vogliamo, ma sempre nella "fallacia naturalistica" finisce la nostra sorgente etica.
Dopo di che possiamo anche costruirci acquedotti e fontane e pensare che sono superiori alla materia bruta che le alimenta. Ma questo è già un passaggio "sovrastrutturale" che funziona solo finchè preserviamo, valorizzandola, la sorgente primigenia fornita da mamma Natura. Tale valorizzazione, peraltro assai razionale se non vogliamo tagliare il ramo in cui lo spirito nidifica, sta già pienamente nel campo etico.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Lou il 25 Agosto 2020, 22:06:52 PM
Citazione di: viator il 25 Agosto 2020, 21:50:10 PMSalve davintro. Citandoti : "al mero fatto che a pancia vuota nessun bene spirituale possa essere goduto non discerne alcuna superiorità etica delle esigenze delle pancia rispetto a quelle dello spirito".Questo della "superiorità etica" del cerebrale-spirituale sul corporale-biologico è parere tuo e di molti miliardi di individui i quali trovano bello, interessante, nobile e superiore ciò che sono (o credono di essere) e trovano invece mortificante, insipido, ovvio, ciò da cui provengono. Noto atteggiamento antropistico di chi, specchiandosi al mattino, pensa : "ma quanto siamo fatti bene, io ed i miei simili !".Personalmente e minoritariamente io dò della "superiorità" una diversa interpretazione : superiore è ciò che risulta non "più raffinato", bensi "superiormente (maggiormente) utile", cioè maggiormente necessario al raggiungimento di superiori livelli di evoluzione e complicazione.Quindi ad essere superiori sono i fondamenti, l'essenziale, l'originario rispetto a tutto ciò che essi hanno generato. Con buona pace di ogni umana vanità autocelebrativa. Saluti.

Non c'è nessuna superiorità autocelebrante, a mio parere, nel post di davintro.
Affermare che non siamo solo pietre rotolanti ( con tutto rispetto per i Rolling Stones ) rispondenti alle leggi della pancia capaci di sancire deterministicamente ogni etica sotto il sole, senza uno spazio ulteriore, sia pure utile (o dilettevole) come tu viator, ad esempio esponi - e il ricorso al principio dell'utile, è conferma di quanto non solo alla pancia obbedisci e conferma il post di davintro.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Lou il 25 Agosto 2020, 22:21:04 PM
Citazione di: Ipazia il 25 Agosto 2020, 22:02:37 PM
L'etica non coincide con la biologia, ma il supporto biologico è indispensabile perchè avvenga qualsiasi cosa e per tale motivo, non per motivi ideologici/idealistici/spirituali, la vita umana acquista un valore assoluto per ogni individuo umano, condiviso nella sua valorialità con tutti gli umani essendo tutti soggetti alla comune sorte mortale.

Il sacrificio della vita, proprio per la sua unicità e irripetibilità, è il massimo gesto etico individuale. Ma esso costituisce l'eccezione, non la regola, in una società orientata su valori umanistici. Anche dove dominano i numi si tende a considerarli protettori, piuttosto che distruttori (semmai dei nemici e degli infedeli) della vita umana.

Giriamola come vogliamo, ma sempre nella "fallacia naturalistica" finisce la nostra sorgente etica.
Dopo di che possiamo anche costruirci acquedotti e fontane e pensare che sono superiori alla materia bruta che le alimenta. Ma questo è già un passaggio "sovrastrutturale" che funziona solo finchè preserviamo, valorizzandola, la sorgente primigenia fornita da mamma Natura. Tale valorizzazione, peraltro assai razionale se non vogliamo tagliare il ramo in cui lo spirito nidifica, sta già pienamente nel campo etico.
Il supporto è privo di etica e non è fondamento. Il foglio di carta e i suoi margini e ció che ne è fuori non sono e non coincidono con il gesto e l'atto di scrivere e lo scritto che vi impariamo. La storia della superiorità è una supercazzola, una semplificazione polemica. Non decide solo la pancia e nemmeno solo i bisogni. L'etica è complessa, il supporto ha un ruolo, ma non fondante nè esaustivo. In un certo senso, potrei dire, è genealogicamente, un divenuto, etico.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: atomista non pentito il 09 Settembre 2020, 15:32:39 PM
E' una domanda semplice che proviene da una persona semplice quale io sono e che palesa una media emicrania per aver cercato di capire ( probabilmente senza riuscirci)almeno un decimo di cio' che ha letto  per cui non adiratevi e non ridicolizzatemi :
se l'essere umano rispondesse a logiche diverse dalla mera "pancia" ( intesa in senso vasto) l'evoluzione non avrebbe dovuto portarci ad un approdo diverso ? ( meno disuguaglianza , meno violenza , meno ...... tutte quelle azioni che sembrano illusoriamente generare la soddisfazione del prevaricatore nei confronti del prevaricato) E per tornare all' Assoluto non riteneTe l'Assoluto semplicemente cio' che e' (anche se non conosciuto) ? Mi scuso per la semplicita' dei concetti e dell'esposizione.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 09 Settembre 2020, 16:25:46 PM
Citazione di: atomista non pentito il 09 Settembre 2020, 15:32:39 PM
E' una domanda semplice che proviene da una persona semplice quale io sono e che palesa una media emicrania per aver cercato di capire ( probabilmente senza riuscirci)almeno un decimo di cio' che ha letto  per cui non adiratevi e non ridicolizzatemi :
se l'essere umano rispondesse a logiche diverse dalla mera "pancia" ( intesa in senso vasto) l'evoluzione non avrebbe dovuto portarci ad un approdo diverso ? ( meno disuguaglianza , meno violenza , meno ...... tutte quelle azioni che sembrano illusoriamente generare la soddisfazione del prevaricatore nei confronti del prevaricato) E per tornare all' Assoluto non riteneTe l'Assoluto semplicemente cio' che e' (anche se non conosciuto) ? Mi scuso per la semplicita' dei concetti e dell'esposizione.

La prima domanda è la tesi che sostengo fin dall'inizio. Ma vi è una corrente filosofica tuttora ben sostenuta, risalente almeno a Platone che ne è il nume tutelare, denominata "idealismo", che ritiene provenire le idee etiche (il Bene, e quindi pure il Male) da un mondo iperuranico denominato "mondo delle idee". Anche se fossimo immortali l'ethos sarebbe totalmente diverso e la vita umana avrebbe/sarebbe un valore diverso di quello che eticamente ha/è.

Nella seconda questione intendi l'Assoluto come il Tutto (conosciuto+non conosciuto) ? Logicamente ci sta, ma siamo sempre nel mondo delle idee, dei concetti. L'onere della prova che trasformi, l'Assoluto in (ess)ente, tocca a chi lo ritiene tale.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: viator il 09 Settembre 2020, 16:46:03 PM
Salve atomista. Circa l'Assoluto, sono d'accordo con te nel considerarlo "semplicemente" L'INSIEME DI TUTTO CIO' CHE E'".....cioè contemporaneamente l'Unicità essenziale e la Totalità del molteplice.

Da tale punto di vista il suo significato diventa sinonimo filosofico di DIO, MONDO, UNO, TUTTO.


Per alcuni l'Assoluto non esiste come realtà ma solo come concetto (è un prodotto della mente umana), ma a tali livelli il concreto e l'astratto (trattandosi appunto di voler unificare realtà ed astrazione) si sciolgono l'uno nell'altro.


Circa la "pancia", è cosa perfettamente ovvia (secondo il funzionamento della natura, la quale è immensamente più antica, saggia e potente di qualsiasi sogno, volontà, idealismo, fede umane) che essa (propriamente la "pancia" consiste nella inesorabile necessità di soddisfare i bisogni fisiologici) abbia la precedenza su tutto ciò che noi umani - bambini viziati dal troppo guardarci allo specchio - crediamo sia più "nobile" ed "elevato" solo perchè lo stiamo elaborando noi.


Senza le funzioni intestinali, ad esempio, avremmo grossissimi problemi nel filosofeggiare virtualmente, come invece stiamo facendo. Saluti.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Freedom il 09 Settembre 2020, 16:57:23 PM
Citazione di: viator il 09 Settembre 2020, 16:46:03 PM
Circa la "pancia", è cosa perfettamente ovvia (secondo il funzionamento della natura, la quale è immensamente più antica, saggia e potente di qualsiasi sogno, volontà, idealismo, fede umane) che essa (propriamente la "pancia" consiste nella inesorabile necessità di soddisfare i bisogni fisiologici) abbia la precedenza su tutto ciò che noi umani - bambini viziati dal troppo guardarci allo specchio - crediamo sia più "nobile" ed "elevato" solo perchè lo stiamo elaborando noi.
Non voglio esprimermi capziosamente ma, semplicemente, rilevare come tutto ciò che esiste è natura. Quindi anche l'uomo a tutto tondo. Comprensivo dunque di ideali nobili ed elevati ma, ahimè, anche di ideali meno nobili e meno elevati.

Mi sono permesso di intervenire perchè, spesso, si tende ad angelizzare la natura e demonizzare l'uomo. Come se quest'ultimo non fosse, in tutte le sue espressioni, anche mentali, pienamente parte della natura.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Phil il 09 Settembre 2020, 17:56:57 PM
Citazione di: atomista non pentito il 09 Settembre 2020, 15:32:39 PM
se l'essere umano rispondesse a logiche diverse dalla mera "pancia" ( intesa in senso vasto) l'evoluzione non avrebbe dovuto portarci ad un approdo diverso ? ( meno disuguaglianza , meno violenza , meno ...... tutte quelle azioni che sembrano illusoriamente generare la soddisfazione del prevaricatore nei confronti del prevaricato)
La "pancia", intesa come priorità biologica del (soprav)vivere, è la condizione di possibilità dell'esistenza del singolo e della società, dei filosofi e dei cacciatori, etc. Con i secoli tale "pancia" ha notoriamente subito dei condizionamenti sociali, ad esempio dare un colpo di clava al più debole per sottrargli la preda è diventato un gesto solitamente non accettato dalla "tribù sociale". Pian piano le principali culture si sono dunque strutturare su alcuni valori che di fatto tutelano un po' i più deboli dai colpi di clava dei più forti, tutela di cui si occupa il potere politico (banalizzando molto). Questo non significa che siano cambiati i bisogni primari fisiologici, ma solamente che il loro appagamento è stato subordinato al rispetto di alcune regole socialmente condivise. Queste regole hanno ammorbidito e riformulato «tutte quelle azioni che sembrano illusoriamente generare la soddisfazione del prevaricatore nei confronti del prevaricato» segnando la differenza antropologica fra la vita tribale e la vita urbana. Il soddisfacimento della "pancia" resta dunque la condizione di possibilità dell'esistenza della società, ma la condizione di possibilità non va confusa con il fondamento (filosoficamente inteso) di quei valori sociali che ora regolano anche i meccanismi di soddisfazione delle pance, ma non solo.

Per fare un esempio della distinzione fra i due: la condizione di possibilità di una guida spericolata è il possesso di un'auto (niente auto, niente guida), ma il fondamento (anche se fuori dal contesto filosofico suona male) di una guida spericolata non è il possesso dell'auto, bensì una scarsa padronanza del mezzo o un inadeguato senso del pericolo o una condizione psico-fisica alterata o altro.
Se preferisci, la condizione di possibilità è la famosa "condizione necessaria e sufficiente" affinché qualcosa sia appunto possibile (per la morale è ad esempio che un gruppo di persone, ovviamente vive, condivida lo stesso spazio interagendo), mentre il fondamento (sempre filosoficamente parlando) è ciò che giustifica e/o dà senso ad una visione del mondo, un insieme di regole, una certa impostazione sociale.
Un esempio meno automobilistico, ma altrettanto comune, potrebbe essere la religione: la condizione di possibilità di un culto, è che ci siano (o ci siano stati) dei praticanti (almeno uno) e una dottrina; il fondamento del culto è invece (la credenza in) una determinata divinità, con determinate caratteristiche, determinati testi sacri, etc. Quindi tutti i culti condividono le medesime condizioni di possibilità (credenti e dottrina), ma non i medesimi fondamenti, trattandosi di divinità con caratteristiche differenti, testi sacri differenti, etc. per le morali è lo stesso.


P.s.
In fondo, che l'uomo (riprendendo la tua domanda) risponda «a logiche differenti dalla mera "pancia"»(cit.) lo suggeriscono, ben più delle morali e dei loro fondamenti, le arti; salvo non mettere nella "pancia" anche la pulsione creativa non finalizzata all'autosostentamento, che è un'ipotesi decisamente percorribile (e che a sua volta richiede una attenta distinzione fra condizioni di possibilità e fondamenti).
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 09 Settembre 2020, 19:34:41 PM
L'auto non è eticamente neutra. Puo essere un bolide da 300 all'ora che fa i 100 appena tocchi l'acceleratore nel pieno controllo del più incontrollato possessore oppure un mezzo controllato da sensori che individuano gli ostacoli, frenano autonomamente e regolano la velocità secondo i cartelli stradali e le condizioni atmosferiche. L'ethos determina e regola anche queste cose sottraendole all'iperuranio.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: viator il 09 Settembre 2020, 20:54:33 PM
Citazione di: Freedom il 09 Settembre 2020, 16:57:23 PM
Citazione di: viator il 09 Settembre 2020, 16:46:03 PM
Circa la "pancia", è cosa perfettamente ovvia (secondo il funzionamento della natura, la quale è immensamente più antica, saggia e potente di qualsiasi sogno, volontà, idealismo, fede umane) che essa (propriamente la "pancia" consiste nella inesorabile necessità di soddisfare i bisogni fisiologici) abbia la precedenza su tutto ciò che noi umani - bambini viziati dal troppo guardarci allo specchio - crediamo sia più "nobile" ed "elevato" solo perchè lo stiamo elaborando noi.
Non voglio esprimermi capziosamente ma, semplicemente, rilevare come tutto ciò che esiste è natura. Quindi anche l'uomo a tutto tondo. Comprensivo dunque di ideali nobili ed elevati ma, ahimè, anche di ideali meno nobili e meno elevati.

Mi sono permesso di intervenire perchè, spesso, si tende ad angelizzare la natura e demonizzare l'uomo. Come se quest'ultimo non fosse, in tutte le sue espressioni, anche mentali, pienamente parte della natura.

Hai perfettamente ragione (come me, del resto, visto che ci stiamo dando  entrambi a considerazioni ovvie). Il fatto che nulla possa sottrarsi all'origine ed al dominio naturale non elimina il dovere intellettuale di rispettare le ben diverse gerarchie ivi regnanti. La natura nel suo insieme non è per nulla angelica ma solamente onnipotente, perfettamente priva di scopi e quindi indifferente. E' interesse dell'uomo autolimitarsi, ben consapevole di essere solo un incidente forse passeggero delle meccaniche naturali. Alla Natura basterebbe cominciare a grattarsi per eliminare dalla superficie del Pianeta l'eczema umano.

Circa la demonicità umana.............beh, la perdita dell'innocenza (e l'acquisizione tra le altre cose, dell'egoismo, della malizia etc.) è stato evento che ha riguardato la specie umana (è stato il prezzo dell'acquisizione della coscienza) e non certamente Madre Natura.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Dante il Pedante il 10 Settembre 2020, 21:24:23 PM
Ciao
Sono Dante.Sono pedante. :)
Per me l'assoluto è un valore.Quando una cosa possiede una qualità in maniera perfetta o infinita si dice assolutaCosì Dio è assoluto amore,perchè raggiunge la perfezione assoluta della qualità dell'amore o AMORE PERFETTO,mentre le cose relative hanno qualità relative cioè imperfette.E'il valore asoluto dic iò che possiedi che determina lo stato d'assoluto.Ce l'ha ovviamente soltanto Dio,perfezione di ogni qualità.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Freedom il 11 Settembre 2020, 19:56:38 PM
Citazione di: viator il 09 Settembre 2020, 20:54:33 PM
Hai perfettamente ragione (come me, del resto, visto che ci stiamo dando  entrambi a considerazioni ovvie). Il fatto che nulla possa sottrarsi all'origine ed al dominio naturale non elimina il dovere intellettuale di rispettare le ben diverse gerarchie ivi regnanti. La natura nel suo insieme non è per nulla angelica ma solamente onnipotente, perfettamente priva di scopi e quindi indifferente. E' interesse dell'uomo autolimitarsi, ben consapevole di essere solo un incidente forse passeggero delle meccaniche naturali. Alla Natura basterebbe cominciare a grattarsi per eliminare dalla superficie del Pianeta l'eczema umano.

Circa la demonicità umana.............beh, la perdita dell'innocenza (e l'acquisizione tra le altre cose, dell'egoismo, della malizia etc.) è stato evento che ha riguardato la specie umana (è stato il prezzo dell'acquisizione della coscienza) e non certamente Madre Natura.
Perdonami se insisto ma, nonostante tu mi abbia dato ragione anzi nonostante il tuo rilevare il nostro sostanziale accordo sul tema, avverto ancora un paio di punti che, a mio avviso, meritano un approfondimento.

Quando dici che l'uomo è solo "un incidente, forse passeggero, delle dinamiche naturali" e poi lo apostrofi come "eczema" rilevo una sottovalutazione del genere umano. Certamente essa deriva dalla cattiva prova di equilibrio e saggezza che tutti noi, in tutte le epoche, abbiamo dato e stiamo dando. Come darti torto! Sic.......

Ciò nonostante la razza umana, al netto di tutte le convinzioni religiose, spirituali, etc. dispone di un potenziale elevatissimo. Non è finita sino a che non è finita ed io, che sono un ottimista, spero sempre in una evoluzione positiva della questione.......

Il secondo punto, quello che tu definisci "la perdita dell'innocenza" (ed qui che si evince la mia insistenza :D ) è, ancora una volta, un evento naturale. Non esiste, almeno secondo la mia opinione, un momento nel quale l'uomo si stacca dalle dinamiche naturali.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: johannes il 11 Settembre 2020, 20:07:19 PM
Così il Wittgenstein della Conferenza sull'etica:

CitazioneQuest'avventarsi contro le pareti della nostra gabbia è perfettamente, assolutamente disperato. L'etica, in quanto sgorga dal desiderio di dire qualcosa sul significato ultimo della vita, il bene assoluto, l'assoluto valore, non può essere una scienza. Ciò che dice non aggiunge nulla, in nessun senso, alla nostra conoscenza. Ma è un documento di una tendenza nell'animo umano che io personalmente non posso non rispettare profondamente e che non vorrei davvero mai, a costo della vita, porre in ridicolo.

Circa nove anni dopo la scrittura del Tractatus con queste parole l'autore della citazione di cui sopra portava un tutt'altro che involontario sostegno all'Heidegger di Che cos'è metafisica? contro le molte critiche - ma sarebbe meglio dire gli sberleffi - rivoltegli tra gli altri da Rudolf Carnap in merito ad ogni deprecabile "nonsenso metafisico ed uso scorretto del linguaggio". Una questione che Wittgen. dichiara di per sé non riducibile ad alcuna idiosincrasia personale, ma che fonda su di un fatto filosoficamente (i.e. "scientificamente", nel senso più lato possibile) basilare, quello del divario, della divergenza tra dicibile ed indicibile, tra meccanica e senso, appunto tra logica ed etica (ethos, nel senso eracliteo di 'qualità umana intrinseca'). La mera ostensione fenomenologica di un tale fatto è ciò che Wittgen. sembra dire essere ciò che in prima istanza conta di più in filosofia, non la sua risoluzione più o meno dialetticamente atteggiata né tanto meno una sua enfatizzazione rapsodica (nella quale, a dire dello stesso Franco Volpi, è caduto invece in pieno proprio l'Heidegger dei Beitrage). Una questione epistemica reale quindi, che fonda su di un fatto reale, cui però sembra per sua natura impossibile rispondere: la differenza posta in qualche maniera da un'intangibilità sciolta (ab-soluta) dal piano degli eventi e del linguaggio, che, sit venia verbo, insiste in ogni punto e ad ogni momento. Rispetto la quale, quindi, non si può che essere perennemente postulanti.

Ma fuori di questa sorta di spettro problematico, si intenderebbe forse qualcosa di quel fenomeno variamente totalizzante che informa di sé in ogni direzione la cristallizzazione epocale in cui viviamo? Che raggiunge massa critica quasi due secoli fa ma che rimanda a propria "evidenza" l'inesausta (perché attuale e dinamica) originalità che precede ogni possibile mitogenesi o conoscenza: diciamolo in qualche maniera "nichilismo". Ora, potremmo negare che ogni possibile riferimento (riempimento) ad un "originario", sia esso buono o cattivo, complesso o semplice, ordinato o disordinato, egoista o altruista, innocente o colpevole, madre o padre, ha prima di sé e da ogni lato un tale atto/evento (ciò che p. es. anche gli stoici nominarono nella differenza "aion/chronos") o non ne ha alcuno?
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Phil il 11 Settembre 2020, 23:14:35 PM
Wittgenstein, parlandoci di una scala (Climacus) che ci porta a riflettere sul silenzio (de Silentio), resta al di qua della soglia fra il dicibile e l'indicibile; tuttavia l'altro, la società o magari anche la nostra coscienza (come autodeterminazione e autocomprensione), ci richiedono insistentemente un discorso etico; dal quale, anche volendo, non è facile sradicarsi, essendovi connaturati sin dal concepimento.
Nel rispondere da «postulanti», oltre a farsi eticamente carico del proprio dire (e conseguente fare) bisogna anche farsi carico, più o meno silenziosamente, del fondamento di tale postulazione. Seppur si tratta di un «nullo-fondamento», la postulazione non sarà nulla o annullata, perché trarrà il suo senso non dall'assolutezza del (fantasma del) suo fondamento, bensì dall'esigenza del suo esser risposta all'interrogazione dell'etica (doppio genitivo). Risposta provvisoria e debole, ma comunque ponte di dialogo con l'altro, senza il quale non c'è etica; o meglio, non potendo stare senza l'altro, è l'etica a non tollerare il tacere (al punto che viene anch'esso prontamente categorizzato come scelta etica).
Più che in chronos o in aion, secondo me la contemporaneità indugia nel kairos annichilito e autoreferenziale, radicato nell'escatologia della gettatezza quotidiana, rimbombante nella globalità della micronarrazioni e dei sincretismi culturali. Le grandi narrazioni etiche, proprio dopo Wittgenstein, Carnap e altri, sono state ridimensionate (e relativizzate) per aver commesso il "peccato" di voler dettare l'indicibile, e dicendolo ("tradendolo") lo hanno esposto fatalmente alla decostruzione ermeneutica.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Dante il Pedante il 12 Settembre 2020, 00:58:19 AM
L'assoluto è quella cosa che non dipende da altre cose,cioè incondizionato.Ma il suo contrario non è RELATiVO,ma condizionato,perché l'assoluto non esclude la possibilità di entrare in relazione.Come la relazione tra DIO=Assoluto e uomo=relativo. ::)
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 12 Settembre 2020, 09:41:57 AM
Dopo due secoli di Krisis restano le "piccole" narrazioni di proporzioni antropologiche in cui kairos prevale su chronos e su ogni illusione assolutistica viste le condizioni ballerine pure del tempo scientificamente inteso. Kairos, il cui comune denominatore é il tempo della vita umana, individuale e collettiva. Col che si torna ai fondamenti, relativi ma insuperabili nella loro quasi assolutezza: Natura sive Deus.

Tralasciando il nullificare del Nulla, sempre così penosamente autocontraddittorio e sterile, malgrado la sua pervasività.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: johannes il 15 Settembre 2020, 16:16:44 PM

CitazioneSeppur si tratta di un «nullo-fondamento», la postulazione non sarà nulla o annullata, perché trarrà il suo senso non dall'assolutezza del (fantasma del) suo fondamento, bensì dall'esigenza del suo esser risposta all'interrogazione dell'etica (doppio genitivo).

Un'esigenza che però rischierebbe di rimanere radicalmente inappagata! L'attimo del Kairos (ho nyn kairós), anche se consentisse in immagine di adeguare quella trascendenza etica a cui la volontà prometeicamente tende, sarà sempre fatalmente ricondotto a Chronos dominante se non ottiene il crisma dell'eterno. Così anche per i Benjamin e Kafka cari ad Agamben: sebbene obtorto collo tutto riprecipiterà nella perenne indistinzione di una dynamis caotica e amorfa. Difficile ed ambiguo il percorso che vorrebbe fare di vizio virtù. "[...] Zeus tonante possiede la potenza di condurre ogni cosa a compimento e ne dispone come egli vuole. Gli uomini non hanno capacità di discernimento. Creature di un giorno, viviamo come pecore, senza sapere a che termine dio porterà ciascuna azione" (Simonide). Heidegger nomina di nuovo tale destino nel "Sein zum Tode".

Quale "ethos" quindi? Quello che fa capo al desiderio o quello che lo stabilisce sul fatto? Di nuovo un discrimine. Ma ciò che, senza infrangersi, attraversi quando e come che sia il "meridiano zero" di Dike dovrà dirsi annichilito o non piuttosto inverato (attuato, giudicato)? Sarebbe possibile del resto rimanere nel discrimine, sulla linea d'ombra dominando se stessi? Aion! Da un certo punto di vista ciò assomiglierebbe  in effetti ad un impossibile procedere all'indietro dopo l'attraversamento, prima di ogni detto e di ogni dire, come anche de-contraendo lo spazio apertosi tra presente e passato così da posizionarsi non nell'indeterminato (cfr. ancora Agamben) ma al centro di un chiasmo. La difficoltà e il compito quindi - per richiamare un'antica e problematica immagine di Kairos - quello di rimanere in bilico sulla lama del rasoio, poggiando su di sé in equilibrio i bracci della bilancia, cioè non trascendere (magari inoperosamente, "profanando") ma essere trascesi. Pena il confondersi nell'ombra di chora.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Phil il 15 Settembre 2020, 18:16:20 PM
L'essere-per-la-morte è una consapevolezza che rende autentico il vivere, ma una consapevolezza povera di prassi, almeno rispetto all'essere-con-gli-altri, che è il luogo in cui avviene il domandare etico, nella sua performatività sociale e nella sua responsabilizzazione individuale. Della morte ci si può anche non curare, mentre degli altri... è una questione appunto eminentemente etica.
Il tempo dell'etica pulsante (e pulsionale), quella fatta dagli uomini e non quella (ri)vendicata dagli (eventuali) dei, mi pare non possa che essere (salvo varcare la fidata soglia dell'epistemologia) proprio il kairos, l'attimo della decisione e dell'azione. Tempo umanamente presente (e pressante) che rimanda agli dei la responsabilità di stabilire nel/dal cielo la sorte chronologica dell'umano. Che tale kairos sia «fatalmente ricondotto a Chronos dominante se non ottiene il crisma dell'eterno»(cit.) è un meccanismo la cui fatalità andrebbe forse indagata e "sfatata" nei suoi presupposti metafisici, quelli della nostalgia della trascendenza, del crisma-redenzione, etc.

Alla radice, dipende da come si pensa (riflessivo) l'uomo: crede il proprio kairos etico incastonato nell'aion temporale (e non secolare) della trascendenza giudicante e ingiudicabile, oppure considera il proprio kairos etico fondato sull'ideale normativo del "come se dovesse poter essere così in eterno", pur nella consapevolezza antropologica e storica dell'immanenza di ogni "meridiano zero"?
Chiaramente ciascuno dei due kairos non vale l'altro, né con-gli-altri né per-la-morte; proprio come l'esser bilancia (Protagora) non vale l'esser funambolo sotto il giogo di una bilancia. Forse il denominatore comune resta solo quella lama che intaglia la chora, arrivando prima o poi a recidere ogni uomo-bilancia e ogni uomo-funambolo, ma è un orizzonte in cui il domandare etico si è già "risolto", facendosi silenzio c(h)orale.
«Quale ethos?» non è dunque una domanda etica, piuttosto metaetica o esistenziale, in piena circolarità ermeneutica dell'esistenza.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: bobmax il 15 Settembre 2020, 22:47:39 PM
Citazione di: Dante il Pedante il 12 Settembre 2020, 00:58:19 AM
L'assoluto è quella cosa che non dipende da altre cose,cioè incondizionato.Ma il suo contrario non è RELATiVO,ma condizionato,perché l'assoluto non esclude la possibilità di entrare in relazione.Come la relazione tra DIO=Assoluto e uomo=relativo. ::)

Ma la relazione tra Dio e l'uomo è possibile solo condizionando Dio.
E' la stessa relazione a condizionare.
E condizionando... relativizza.

E' però solo una forzatura. Che è pressoché impossibile evitare, se si cerca di pensare l'Assoluto.
E forzando... fatalmente si naufraga.

L'incondizionato non ha relazioni se non con se stesso.
Perché l'Assoluto non ammette alcun condizionamento.

Di modo che la relazione Dio-uomo non è una reale relazione, ma l'illusione in cui immancabilmente cade l'uomo che cerca Dio.

Non vi può essere relazione con l'Assoluto.
L'Assoluto è il Nulla!

Vana è allora ogni speranza di giungere a Dio?

No.
Ma bisogna essere quel Nulla.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 16 Settembre 2020, 08:56:07 AM
Citazione di: bobmax il 15 Settembre 2020, 22:47:39 PM

L'incondizionato non ha relazioni se non con se stesso.
Perché l'Assoluto non ammette alcun condizionamento.

Di modo che la relazione Dio-uomo non è una reale relazione, ma l'illusione in cui immancabilmente cade l'uomo che cerca Dio.

E' ovvio: l'Assoluto non può avere un'escrescenza che vada oltre se stesso, quindi:

CitazioneNon vi può essere relazione con l'Assoluto.
L'Assoluto è il Nulla!

Non stringerei troppo la tautologia: mi pare più esatta, (teo)logicamente e ontologicamente, la conclusione:

CitazioneVana è allora ogni speranza di giungere a Dio?

No.
Ma bisogna essere quel Nulla.

Tutto(Dio)+Nulla(Noi) = Tutto

ovvero

1+0=1, e così pure i conti della spinoziana teologia geometrica tornano

Uno è uno tra gli infiniti nomi di Dio

Così si risolve, monisticamente, anche la questione del Male sussumendolo al Bene

Fosse mai che alla fine dei tempi ci ritroviamo anche un Lucifero pentito.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Dante il Pedante il 16 Settembre 2020, 09:07:02 AM
Ciao Bobbmax

Sono Dante :)
Provo a continuare a scrivere anche se mi sembra che non vengo molto apprezzato.Sono pedante.Vengo già bannato spesso :(
Anche per me non si può "pensare" l'assoluto.Almeno nel senso che diamo al termine pensare.Però è possibile intuire la relazione tra Dio e l'uomo.Per me è come quando ami sinceramente un'altra persona.Non puoi "pensare" quell'amore,ma lo puoi vivereEsserci dentro cioè.Sinceramente=volere il bene dell'altro.Ma come è difficile capire nel profondo quale è il bene dell'altro vero?Così è difficile capire nel profondo quale è la volontà di Dio.Pregare aiuta questa relazione,ma senza moltiplicare le parole all'infinito.nessuno dice cinquanta volte all'amata ti amo,perché l'altra potrebbe anche stufarsi molto,no?Basta una volta con il cuore,in maniera sincera.
Secondo me l'incondizionato non viene condizionato dalla relazione.Come ha scritto Eutidamo il mare non viene condizionato dalle sue onde,resta mare.Lo stesso assoluto non viene condizionato dal divenire del relativo,resta assoluto.
E' giusto come scrivi che bisogna essre nulla,cioè lo intendo come spogliarsi,denudarsi di fronte a Dio.Quando sei nudo però ti viene da nasconderti vero?Da giiovane,al mare i miei amici mi hanno fregato i bermuda mentre facevo il bagno nudo.Non potevo più escire dall'acqua perché mi vergognavo a mostrarmi nudo.Così noi ci vergognamo e mettiamo tanti bermudoni.Citando tutte le fonti e gli autoriI tessuti e i sarti.E' molto difficile stare nudi davanti a Dio.Le poche volte che (credo)di esserci riuscito,che significa che non ho trovato un sacco di scuse, però ho provato una grande gioia.Che strano!
Per l'assoluto non è il Tutto.Il Tutto è solo la somma dei relativi.L'assoluto è invece fuori dal divenire,quindi non può essere il Tutto.Dio non è il mondo.Come l'artista non è l'opera d'arte,ma senza artista nessuna opera d'arte esiste,nespà? ;D
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: bobmax il 16 Settembre 2020, 12:09:40 PM
Citazione di: Ipazia il 16 Settembre 2020, 08:56:07 AM
Tutto(Dio)+Nulla(Noi) = Tutto

ovvero

1+0=1, e così pure i conti della spinoziana teologia geometrica tornano

Uno è uno tra gli infiniti nomi di Dio

Così si risolve, monisticamente, anche la questione del Male sussumendolo al Bene

Fosse mai che alla fine dei tempi ci ritroviamo anche un Lucifero pentito.

Ma il pentimento da solo non basta.
Occorre lasciarlo lavorare, nella ricerca della Verità.
E così sprofondare all'inferno.

Dove ciò che non avrei mai immaginato di essere, lo sono: Lucifero.

Tornerà mai a casa il figliol prodigo?
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: bobmax il 16 Settembre 2020, 14:39:11 PM
Ciao Dante,
sono convinto che la gioia derivi dalla libertà, dall'autentica libertà.
E libero è solo colui che fa ciò che deve.

La libertà non ha perciò niente a che vedere con il libero arbitrio, che non esiste.
Ipotizzarne l'esistenza mostra solo la nostra dimenticanza dell'Essere.

La libertà consiste nel riconoscere ciò che si deve volere. Ossia volere ciò che Dio vuole.

La gioia deriva dall'essere ciò che sei. Veramente.

Pensare il Tutto come la somma di parti è anche questo fuorviante. Perché lo si immagina "qualcosa", mentre il Tutto non è affatto qualcosa!
E in quanto non è qualcosa non è pensabile per davvero. È un concetto limite. Necessario, ma in definitiva non pensabile.

Un po' come l'infinito.
O lo stesso amore.
Vi si può girare attorno, senza però mai coglierlo per davvero. È un vuoto insaziabile.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: johannes il 17 Settembre 2020, 00:26:48 AM
Citazione di: Phil il 15 Settembre 2020, 18:16:20 PML'essere-per-la-morte è una consapevolezza che rende autentico il vivere, ma una consapevolezza povera di prassi, almeno rispetto all'essere-con-gli-altri, che è il luogo in cui avviene il domandare etico, nella sua performatività sociale e nella sua responsabilizzazione individuale. Della morte ci si può anche non curare, mentre degli altri... è una questione appunto eminentemente etica.

Credo che Heidegger già nel suo capolavoro del 1927 focalizzi bene tale questione: "La decisione, in quanto autentico esser-se-Stesso, non scioglie l'Esserci dal suo mondo, non lo isola in un io ondeggiante nel vuoto. Come lo potrebbe se essa, in quanto apertura autentica, è null'altro che l'essere-nel-mondo autentico? La decisione porta invece il se-Stesso nel rispettivo esser-presso l'utilizzabile prendente cura e lo sospinge nel con-essere avente cura degli altri [...] Soltanto dall'esser se-Stesso autentico nella decisione scaturisce l'essere-assieme autentico; non quindi dall'equivoco e geloso accordo o dall'affratellamento ciarliero nel Si e nelle sue imprese".

A quale tipo di interpretazione sufficiente rimanderebbe cioè una prassi svincolata da ogni previa preoccupazione fondativa? Una prassi "infondata" non sarebbe di fatti già di per sé sufficientemente povera e fin troppo aleatoria? Il fatto che altri ci siano, e che di essi ci si debba curare non è mai posto in questione, giacché "l'egoismo teoretico [...] come convinzione seria potrebbe trovarsi solo in un manicomio: e come tale occorrerebbe contro di esso non tanto una prova quanto una terapia" (Schopenhauer). Il problema dal mio punto di vista credo resti quello di scongiurare proprio quel circolo ermeneutico infinito e abissale (profano-kairologico, "c(h)orale" come tu dici) nel quale convivrebbero nella sua possibilità tanto un Levinas che un marchese De Sade (per i quali l'alterità, sebbene soggetta  a semantizzazioni differenti, sarebbe da dirsi per entrambi radicalmente trascendente ogni logos).
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 17 Settembre 2020, 09:12:57 AM
Detto in parole povere: l'etica deve essere fondata e la sua scalarità non può essere arbitraria ritenendo ogni fondamento equivalente. La ragionevolezza di tale affermazione sta nel carattere sociale, plurale dei contenuti e discorsi etici non riducibili alla mera dimensione individuale, tanto in rapporto alla natura che ai componenti della propria specie (sociale per natura ed evoluzione), denominati "altro" nel linguaggio filosofico.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Phil il 17 Settembre 2020, 11:05:25 AM

Citazione di: johannes il 17 Settembre 2020, 00:26:48 AM
A quale tipo di interpretazione sufficiente rimanderebbe cioè una prassi svincolata da ogni previa preoccupazione fondativa?
Consideravo implicito, data la sezione del forum in cui siamo, che la prassi etica non fosse da intendere come l'agire frivolo e impersonale del «si dice» o del «così si usa». Proprio la preoccupazione fondativa pone il problema di collaudare e comprendere i fondamenti che stiamo usando mentre li stiamo usando, nel-mondo e con-gli-altri. Nondimeno, indugiare nel (cercare di) dipanare il fondamento ontologico, come dimostra proprio Heidegger, ostacola la fondazione di un'etica che sappia tradursi in prassi: pensare l'etica a partire dall'ontologia comporta l'irretire ogni possibile fondamento etico nelle problematiche ontologiche, ottenendo piuttosto uno sfondamento (nichilismo docet) che apre al poetante, ma chiude al praticante.
Nella destinalità dell'essere, nella quadratura fra «cielo / terra / divini / mortali», nel dimorare, etc. un'etica può dirsi e può darsi, ma stenta, secondo me, ad esplicitarsi fruibilmente in vista di una prassi. Nel frattempo, qui ed ora, l'interrogazione dell'altro (doppio genitivo) richiede un piano etico, approntato inevitabilmente (parafrasando Neurath) usando ciò che abbiamo "a bordo", non ciò che sarebbe ideale o "definitivo" avere.


Citazione di: johannes il 17 Settembre 2020, 00:26:48 AM
Il problema dal mio punto di vista credo resti quello di scongiurare proprio quel circolo ermeneutico infinito e abissale (profano-kairologico, "c(h)orale" come tu dici) nel quale convivrebbero nella sua possibilità tanto un Levinas che un marchese De Sade (per i quali l'alterità, sebbene soggetta  a semantizzazioni differenti, sarebbe da dirsi per entrambi radicalmente trascendente ogni logos).
Levinas, De Sade e altri (fra cui noi?) hanno "circolato" (e circolano) "nonostante" la quadratura di Heidegger, non come orizzonti possibili, ma entrambi come messaggio/invio-di-senso e (per qualcuno) prassi, fondati sul rispettivo (tauto)logos. Per poter «scongiurare»(cit.) ciò che essi hanno messo in circolo nell'ethos, sotto il cielo di qualunque trascendenza o Essere, è ormai tardi, si è perso l'attimo-giusto (ancora kairos): la loro Wirkungsgeschichte è già innescata da tempo e questo nostro stesso discuterne la alimenta. Se i loro discorsi convivono nel circolo (ovviamente senza confondersi), è proprio perché l'agognata "normatività metaetica a base ontologica" è assente, come gli dei di Holderlin che, nella loro fuga fra «non-più» e «non-ancora», hanno portato via con loro anche i fondamenti più affidabili della metafisica.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: johannes il 18 Settembre 2020, 18:57:15 PM

Citazioneindugiare nel (cercare di) dipanare il fondamento ontologico, come dimostra proprio Heidegger, ostacola la fondazione di un'etica che sappia tradursi in prassi

Anche parlando di prassi linguistica, di etica del discorso, la citazione da SuZ credo riesca a dimostrare l'esatto opposto: è la preoccupazione (autentica) di indagare il fondamento a chiarificare le articolazioni della struttura etica solo presupposte (e rimosse) nel commercio geloso e ciarliero del "Si"; il quale può anche non essere affatto "frivolo", come p. es. nel caso di certe schermaglie accademiche per l'ottenimento di un'eccellenza scientifica esclusiva. Il convito dei pensatori essenziali mantiene invece i dialoganti sullo sfondo di una medesima intenzionalità maieutica (che presuppone quindi una metanoia parificante e vicendevolmente dinamica), costituendone una koiné di commensurazione reciproca. Quindi prassi autentica ("con-essere avente cura degli altri", "essere-assieme autentico") nel senso pregnante di praticabilità del confronto; autenticando nella decisione la determinazione ontologica fondamentale dell'esserci, la Sorge, che è modalità comunque e sempre costituzionalmente pratica dell'attuarsi della vita umana, sebbene ad un livello inferiore il se-Stesso si trovi nel mero esser-presso l'utilizzabile prendente cura.

Mutatis mutandis anche Platone - altro pensatore "essenziale" nel lessico heideggeriano - parla nella Repubblica di un principio anipotetico che, assunto in traccia come criterio, distingue il procedere autenticamente dialettico (filosofico) da quello meramente argomentativo che, senza passare per la confutazione delle ipotesi, le assume come vero principio per poi procedere deduttivamente verso una conclusione inverificata ("kairologica"?). Il principio anipotetico, autenticamente epistematico, è il principio del tutto che mette in questione le ipotesi ponendole dialetticamente in tensione (così l'Aristotele del "procedimento elenctico", di cui Heidegger è acclarato debitore) onde affermare e negare secondo verità.

CitazioneWirkungsgeschichte [...] l'agognata "normatività metaetica a base ontologica" è assente

Dubito che Gadamer avrebbe potuto parlare di storia degli effetti di un testo a prescindere dalla chiarificazione ontologica della struttura della precomprensione compiuta da Heidegger (che quindi ha tutt'altro che impedita), intesa esplicitamente a liberare il circolo ermeneutico dalla sua viziosità irriflessa (cattiva infinità), i.e. dalla sua inautenticità. La struttura ontologica della finitezza importa una finalità ermeneutica solo a patto di coglierne la tensione (o facies) costitutivamente "ascendente" (giusto il criterio assiologico del mitologema descritto anche nel mito platonico della caverna); all'opposto, l'intento di enuclearne la sostanza in certa "storicità pura del comprendere", seguirne cioè negli effetti centrifughi la sua ricaduta negativa, opaco-discendente, non può che infrangere l'ethos in una incommensurabilità insanabile, che se intende ricostituire in negativo l'interferenza produttiva della koiné maieutica perduta variandola di segno, può farlo solo nella potenzialità dinamica di un progressivo avvicendamento sostitutivo e aleatorio, "c(h)orale" (cit.), dei molteplici "ethoi/logoi" (come difatti la matrice di certa teoresi da Deleuze a Derrida, da Sini ad Agamben - sulla scorta della ricerca di una trasvalutazione/trasfigurazione della dialettica storica marxista - credo variamente dimostri). Tornerebbe a proposito ancora il Sofista platonico...

Sull'Heidegger "nichilista" ci sarebbe molto da dire, vuoi perché egli stesso scrive che "l'essenza del nichilismo non contiene nulla di negativo, della specie di quel distruttivo che ha la sua sede nelle convinzioni umane e si aggira nell'agire umano"; vuoi perché Severino stesso dimostrò, suffragato ora si sa dall'allora segreto beneplacito dello stesso Heidegger, che il senso della differenza ontologica è metafisico, quindi fondamento, non "sfondamento" se non del limite di incommensurabilità che pone l'esserci nella dimenticanza del come se l'essere non "fosse".
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Phil il 18 Settembre 2020, 21:59:25 PM
@johannes

Il passo di Heidegger citato non credo risolva il problema del fondamento ontologico; seppur sicuramente (se) lo ponga. Senza aver risolto il quale, un'etica a radice ontologica può solo proporsi con categorie estetiche, più che "performativamente" etiche. Cura, preoccupazione, con-gli-altri, etc. che significano pragmaticamente e che cosa comportano nell'agire?
Platone credo si sia sbilanciato di più nel tratteggiare una prassi etica, mentre Heidegger (per quel poco che lo conosco) si è fermato a speculare sui presupposti ontologici (non senza debolezze "strutturali"). Noto en passant che sul principio anipotetico, l'elenctico aristotelico, e sulla dimostrazione logica in generale, Heidegger non è probabilmente il più rigoroso dei buoni esempi (per questo oltreoceano, solitamente attenti alla forma logica e alle fallacie, lo considerano cinicamente "letteratura").
Non concordo sull'affermazione che «La struttura ontologica della finitezza importa una finalità ermeneutica solo a patto di coglierne la tensione (o facies) costitutivamente "ascendente"» (cit.) se per ascendente intendiamo qualcosa di differente dal processo semantico. Altrimenti, proprio come per Heidegger, occorrerebbe dimostrare l'inaggirabilità di tale ascendenza, fuori dal circolo ermeneutico e fuori dalla caverna (la cui assiologia mi risulta poco elenctica).
Citazione di: johannes il 18 Settembre 2020, 18:57:15 PM
all'opposto, l'intento di enuclearne la sostanza in certa "storicità pura del comprendere", seguirne cioè negli effetti centrifughi la sua ricaduta negativa, opaco-discendente, non può che infrangere l'ethos in una incommensurabilità insanabile, che se intende ricostituire in negativo l'interferenza produttiva della koiné maieutica perduta variandola di segno, può farlo solo nella potenzialità dinamica di un progressivo avvicendamento sostitutivo e aleatorio, "c(h)orale" (cit.), dei molteplici "ethoi/logoi"
I due riferimenti al «negativo» (che ho evidenziato in corsivo), su quale (pre)comprensione, circolarmente ermeneutica, si basano? Da notare che l'accezione negativa è applicata all'immanenza di una dinamica quantomeno constatabile, verificabile ed effettuale (quindi epistemologicamente "disponibile"). Nuovamente la dimostrazione logica rischia di esser presa in ostaggio dall'estetismo della trascendenza "gödelianamente" ontologica, dalla metafisica dell'Essere (come se ancora non ci fosse stata la filosofia analitica, la scienza del novecento, il postmoderno, etc. il che, non volermene, ho già ampiamente argomentato e ripetuto parlando con altri utenti).
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: johannes il 19 Settembre 2020, 13:59:56 PM
Citazionecome se ancora non ci fosse stata la filosofia analitica, la scienza del novecento, il postmoderno, etc. il che, non volermene, ho già ampiamente argomentato e ripetuto parlando con altri utenti

Be', mi concederai che più che una postulazione (e men che meno di quale che sia assoluto) di senso e riferimenti specifici, la tua sembrerebbe rivelarsi essere una inequivocabile dichiarazione di fin de non recevoir, e per tale non posso quindi che accoglierla astenendomi da ogni possibile inutile replica. Pazienza! Non senza però prima ringraziarti di avermi data tra l'altro occasione di ricordare - e forse indirettamente di risponderti in merito al significato metafisico della negazione (sulla traccia dell'annoso problema dialettico dell'uno e dei molti) - quanto ahimè anch'io (non tu, ci mancherebbe!) devo ad un certo stoico ramingo sefardita e scomunicato ottico olandese (omnis determinatio... ecc. ecc.).
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Phil il 19 Settembre 2020, 23:39:42 PM
Citazione di: johannes il 19 Settembre 2020, 13:59:56 PM
più che una postulazione (e men che meno di quale che sia assoluto) di senso e riferimenti specifici, la tua sembrerebbe rivelarsi essere una inequivocabile dichiarazione di fin de non recevoir, e per tale non posso quindi che accoglierla astenendomi da ogni possibile inutile replica. Pazienza!
Ti ringrazio per la pazienza e la comprensione; per sdebitarmi ho cercato qualche vecchia discussione da poterti linkare, sperando di fornirti un riassunto delle puntate precedenti, ma purtroppo, nel mare magnum della sezione filosofica, non sono riuscito a rintracciarle (anche perché talvolta, se non erro, affioravano ai confini dell'off topic).
In breve: ho potuto constatare più di una volta, soprattutto in significativi dialoghi con gli utenti davintro, paul11 e forse anche altri, l'incommensurabilità paradigmatica fra un approccio metafisico e "continentale" (che cavalca principalmente Platone, Heidegger, Severino e altri) e un approccio più decostruzionista e analitico (che cavalca Derrida, rivista Godel, si astiene nell'epoché di un certo relativismo, etc.), un'incommensurabilità aporetica, un "fossato dialettico" che si fonda su presupposti fondativi e impostazioni ermeneutiche divergenti. Essendo consapevole di ciò, per esperienza, rivisitare quel fossato, ormai ben noto, non risulta particolarmente motivante.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 21 Settembre 2020, 13:23:53 PM
Peccato si sia concluso questo avvincente scambio tra Phil e Johannes a base di raffinatezze metafisiche in cui il logos si ritrova, cosa rara in un social, in gran spolvero.

Ma il postulante dell'Assoluto continua a postularlo anche a livelli infinitamente più terra-terra per cui più che di sottigliezze metafisiche, coi loro bias etici e metaetici, qui si tratta proprio di sete esistenziale del genere di cui in altra discussione InVerno ha relazionato.

Ma davvero di quella sete non si può fare a meno, trovando nel pantarei la propria misura ?

Essere o esserci, questo è il problema. Essere-per-la-morte ignorando che si-è-per-la-vita o accettare finalmente la vita così com'è, per niente assoluta, con tutta la sua bellezza che non ha bisogno di sofisticate protesi metafisiche e illusorie trascendenze, come ci insegnò lo Jasager.

Vivere, forse sognare, ma senza partorire mostri. Eventualmente angeli, come fece Rilke.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Donalduck il 09 Novembre 2020, 11:29:32 AM
Citazione di: Ipazia il 17 Agosto 2020, 16:43:12 PM
Da tempi immemori, intrecciandosi con la religione, la filosofia ha perseguito il mito dell'assoluto. Esso costituisce il Santo Graal del pensiero metafisico e, malgrado le sciabolate della modernità e post che ne hanno disintegrato i fondamenti ontologici ed epistemologici, i postulanti dell'assoluto continuano nella loro nave di Teseo a sostituire pezzi teoretici per permettere all'assoluto di riprendere il mare della riflessione filosofica.

L'impresa è disperata e assomiglia piuttosto al celebre quadro di Théodore Géricault che ad una tranquilla avventura del pensiero.

Partendo dai numi fino alla cosa in sè si sono fatti numeri da circo per sostenere la causa dell'assoluto, il quale sempre più si è negato affogandone le pretese nel fiume Pantarei già noto agli antichi più metafisicamente accorti. Volendo trovare una mediazione si dovrebbero riporre le aspettative in assoluti alquanto relativi, ma che interessano un po' tutti noi, come la vita umana e la cura e preservazione del pianeta che ci ospita. Là c'è spazio per fare, cum grano salis, esercitazioni di assoluto. Rigorosamente con l'iniziale minuscola e la falsificazione dietro l'angolo.


Quando l'assoluto da asintotica meta di un'avventura del pensiero diventa esigenza esistenziale abbiamo l'assolutismo, che si manifesta in tutti gli ambiti dell'attività umana.

In politica sappiamo bene a cosa porta: alla cristallizzazione dell'ingiustizia, all'annientamento della libertà individuale e opzionalmente alla follia collettiva.

In filosofia conduce a un accanimento speculativo con cui un viaggio nelle profondità del pensiero si trasforma in una missione impossibile che si vuole a tutti i costi credere possibile.

In ambito scientifico genera l'illusione che si possa mai arrivare una "teoria del tutto" che sveli tutti i misteri dell'esistenza, descritti nel linguaggio formale della matematica. E, quel che è peggio, a una schiera di fedeli della scienza che in essa trovano un sostituto della religione, che al grido "la scienza non è democratica!", cercano di mettere a tacere gli infedeli e gli eretici e di imporre le loro "verità" e la loro visione del mondo, tra l'altro spesso non supportata da una riflessione filosofica, ma solo dal sacro "metodo scientifico", ossia dalla sua immagine divinizzata.

In ambito spirituale (o psichico, se si preferisce) alla riproduzione fantasmatica amplificata virtualmente all'infinito del sovrano assoluto (Dio) e della sua corte in potenti quanto disturbanti scenari immaginativi che, per mezzo della "fede" sostituiscono in parte la percezione e il pensiero alterando il funzionamento della mente e condizionando pesantemente anche la sfera emotiva il libero esercizio della volontà. Del tutto funzionale all'assolutismo politico, anzi sua emanazione.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Aumkaara il 09 Novembre 2020, 17:44:56 PM
Manca un punto, secondo me, tra quelli elencati da Donalduck, che forse è quello a cui più propriamente si dovrebbe dare il nome di spiritualità o di psicologia (mentre quello che si riferisce a Dio o a potenze universali forse è meglio definibile come religione, e quindi più affine alla politica, anche perché meglio controllabile rispetto a quello di cui parlo ora), ma che forse andrebbe definito come esperenziale o coscienziale (se non fosse che esperienza e coscienza sono parole particolarmente ambigue, soprattutto la seconda): è quello che cerca un assoluto nella trama stessa della propria esperienza cosciente, oltre qualunque percezione, emozione e pensiero. Ha il difetto di astrarti da tutto, e ha il pregio di essere il meno fastidioso per gli altri. Al pari degli altri assoluti cercati, anche questo non è afferrabile, e, sempre come gli altri (anche se alcuni in particolare, e questo è tra quelli), la sua ricerca porta a cambiare il proprio assetto mentale, sia nell'emotività e nel modo di percepire, e sia nella volontà e nei modi di pensare.
È l'assolutizzazione più radicale, ma non necessariamente la più estremista. È anche necessaria, e persino inevitabile, come lo è ogni assolutizzazione: se si nega di assolutizzare qualcosa, è perché si sta assolutizzando comunque qualcosa inconsciamente, magari proprio la negazione di ogni assoluto.
E lo scopo di questa ricerca, l'unica vera utilità, sta nei cambiamenti che avvengono in chi la esercita (cambiamenti utili anche solo ad assolutizzare sempre meno qualcosa, o come minimo a rendersi conto di quando lo si fa), non nell'oggetto della ricerca: non perché non ci sia assolutamente un assoluto (sembra un gioco di parole, ma non lo è più di qualunque altra dichiarazione), ma perché, se c'è un assoluto, sarebbe la "sostanza" di ogni soggetto cercante e di ogni oggetto cercato, e non potrebbe mai essere a sua volta oggettivizzato.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Jacopus il 09 Novembre 2020, 18:02:22 PM
L'assoluto è il soggetto occidentale, da Omero a Cartesio. Dopo Cartesio, il nesso soggetto-assoluto ha iniziato a scricchiolare, ma più di 2000 anni di "soggetto assoluto" non si cancellano tanto facilmente.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 09 Novembre 2020, 22:18:57 PM
E' la verità a non essere democratica e la scienza ne è l'ancella. La verità non necessita dell'Assoluto trascendente, totalizzante e totalitario, ma si accontenta di assoluti localizzati come il cogito cartesiano, giustamente richiamato, luogo di ogni specifica ed irripetibile autocoscienza individuale umana sospesa tra due punti fatali.

Ripartire da quell'assoluto circoscritto ci permette di liberarci di tanta alienante zavorra veterometafisica e rifondare le relazioni su fondamenti immanenti.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: viator il 09 Novembre 2020, 22:38:43 PM
Salve Ipazia. Scusami ma gli assoluti localizzati e quelli circoscritti a me puzzano tanto di relativo. Sono comunque d'accordo con te circa il fatto che noi possiamo misurarci solo con i relativi, che è vano, dispersivo, inefficiente il postulare l'esistenza e l'efficacia di una metafisica, ma io continuo a venir sedotto dalla indimostrabilità della mancanza dell'inesistente.

"Tutto è relativo, e l'insieme di tutti i relativi si chiama ........". Salutoni.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 09 Novembre 2020, 23:08:43 PM
La vita individuale autocosciente è un piccolo, irripetibile, assoluto. Non diventa un Assoluto perchè in questo caso la somma (Tutto) non è possibile, è unsinnig, priva di senso, come dicono i tedeschi. Sensata è solo la condivisione: della stessa umana sorte. Questa condivisione è il massimo assoluto che la condizione umana si può permettere. Per nulla dato ma sempre posto. Cum grano salis, ovvero cercando nell'immanenza i fondamenti veritativi ed etici capaci di non farci affogare in una palude relativistica notturna in cui tutte le vacche paiono nere.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 10 Novembre 2020, 06:06:45 AM
Mi fa piacere che la discussione sia tornata nel suo alveo originario dove può essere approfondita anche tuttologicamente perchè il suo scopo è individuare, come ho osservato in altre discussioni, il male ed il bene a partire dall'immanenza, dagli assoluti empiricamente rilevabili al netto di ogni vaso di Pandora illusionale il cui scoperchiamento ha prodotto millenni di inquisitori, martiri suicidi e assassini, e profeti schizzati portatori di spade e scimitarre, terre promesse e soli avveniristici.

E' il percorso dell'apatia stoica, dell'atarassia epicurea e, sorprendentemente ma non troppo perchè il dna metafisico antropologico è sempre lo stesso, dell'illuminazione buddista. Tutti questi percorsi partono dall'unica verità incontrovertibile radicata nell'immanenza non illusionalmente adulterata: la finitezza della vita umana e il dolore, fisico prima che metafisico, che l'accompagna.

"Fisico prima che metafisico" anche metafisicamente. Solo così si possono disinnescare i deliri millenaristici dei postulanti dell'Assoluto che tanto dolore hanno aggiunto a quello canonico prodotto da "mamma natura". Da non deificare mai, altrimenti l'eterno ritorno infernale del delirio illusionale non cesserà.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Aumkaara il 10 Novembre 2020, 09:42:32 AM
Citazione di: Ipazia il 09 Novembre 2020, 22:18:57 PM
E' la verità a non essere democratica e la scienza ne è l'ancella. La verità non necessita dell'Assoluto trascendente, totalizzante e totalitario, ma si accontenta di assoluti localizzati come il cogito cartesiano, giustamente richiamato, luogo di ogni specifica ed irripetibile autocoscienza individuale umana sospesa tra due punti fatali.

Ripartire da quell'assoluto circoscritto ci permette di liberarci di tanta alienante zavorra veterometafisica e rifondare le relazioni su fondamenti immanenti.
Sì, la verità non è democratica, ma non è neanche aristocratica. Non è identificabile né con la trascendenza né con l'immanenza. Quei pochi che non la ipostatizzano né la negano ma la ricercano, alla fine dovranno "accontentarsi" di stabilizzarsi in un punto tra immanenza e trascendenza.
La scienza quindi non può essere ancella di essa (ha un orientamento ben preciso, quello immanente), ma solo di una parte di noi, quella più rigorosa e precisa. Da questo punto di vista la scienza tende all'aristocrazia, ma deve concedersi alla democrazia perché chi la esercita ufficialmente è preda sia dei propri aspetti interiori meno rigorosi e precisi, e spesso inconsci (e persino tendenti inconsapevolmente ad un qualche tipo di trascendenza), sia di un apprendimento rigoroso e preciso ma proprio per questo rigido (non si dovrebbe confondere il rigore da applicare nella scienza con la rigidità con cui a volte si apprendono le cose, anche quelle scientifiche), e quindi ha bisogno del contributo di idee democraticamente diverse per non confondere il rigore utile alla ricerca con una rigidità applicata alle proprie conclusioni preconcette.

Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Donalduck il 11 Novembre 2020, 14:23:58 PM
Citazione di: Ipazia il 09 Novembre 2020, 22:18:57 PM
E' la verità a non essere democratica e la scienza ne è l'ancella. La verità non necessita dell'Assoluto trascendente, totalizzante e totalitario, ma si accontenta di assoluti localizzati come il cogito cartesiano, giustamente richiamato, luogo di ogni specifica ed irripetibile autocoscienza individuale umana sospesa tra due punti fatali.
Ripartire da quell'assoluto circoscritto ci permette di liberarci di tanta alienante zavorra veterometafisica e rifondare le relazioni su fondamenti immanenti.

La scienza non è né democratica né antidemocratica. La scienza non dice nulla, non fa nulla, non prende posizione su nulla. La scienza è solo un'astrazione, un concetto che indica un insieme molto complesso di attività umane e il loro prodotto. Solo gli uomini dicono, fanno, prendono posizione.

Per cui non la scienza, ma la comunità scientifica (altra astrazione, ma riferita a qualcosa di più concreto, una collettività umana operante) si può considerare più o meno democratica a seconda di quanto e come sia organizzata e di come funzioni. Per come è attualmente, dal momento che in generale non ha una vera organizzazione ufficialmente riconosciuta, si può considerare formalmente anarchica. Allo stesso tempo, dato che inevitabilmente si creano al suo interno centri di potere con legami con altri centri di potere che finiscono con determinare le tendenze prevalenti, si può parlare di oligarchia sostanziale dietro un'anarchia formale, proprio come per la nostra democrazia politica si può parlare di un'oligarchia sostanziale dietro una democrazia formale (anche se di forma piuttosto grossolana).

D'altra parte, la verità non è altro che una convenzione, più o meno universalmente accettata, fondata su criteri più o meno arbitrari, più o meno basati su esperienze condivisibili e condivise (a loro volta più o meno accuratamente ripetibili e tracciabili attraverso misurazioni), ma comunque saldamente ancorata al riconoscimento individuale. Nessuno potrà convincermi che due più due fa quattro se non ne vedo l'evidenza. E l'evidenza è un fatto percettivo, ci si presenta, così come i dati sensoriali complessi ma sintetici: vedo una sedia, c'è una sedia, non c'è nulla da dimostrare, la sedia è lì nella sua evidenza.

L'idea di una verità o di una scienza "non democratica" nasce appunto da quella di una metafisica assoluta, dalla convinzione che ci sia una una controparte del processo conoscitivo umano (la realtà) che si impone con una sua precisa, definita e definitiva essenza intrinseca del tutto indipendente, la famosa cosa in sé, al di là delle sottigliezze filosofiche che la trasfigurano in mille modi. Un'idea utile, perfino indispensabile, fin quando non si tenta, appunto, di assolutizzarla, dimenticando che percettore e percepito, osservatore e osservato, formano un tutt'uno inscindibile come i due lati di un foglio. Cosa facilmente constatabile ma di cui ci si dimentica facilmente finché qualcosa non ce lo ricorda in modo più o meno brutale (come nella fisica quantistica).

Quindi, se davvero vogliamo "rifondare le relazioni su fondamenti immanenti" dobbiamo accettare questo carattere convenzionale della verità, che rende conto anche delle sue alterne vicende e dei suoi stravolgimenti e rinunciare soprattutto a farcene portavoce abusivi, accontentandoci di esercitare opera di convincimento, se vogliamo, ma senza nessuna pretesa e soprattutto senza tentativi di coercizione. Democraticamente.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Donalduck il 11 Novembre 2020, 18:25:27 PM
Citazione di: Aumkaara il 09 Novembre 2020, 17:44:56 PM
Manca un punto ... quello che cerca un assoluto nella trama stessa della propria esperienza cosciente, oltre qualunque percezione, emozione e pensiero.
...E lo scopo di questa ricerca, l'unica vera utilità, sta nei cambiamenti che avvengono in chi la esercita (cambiamenti utili anche solo ad assolutizzare sempre meno qualcosa, o come minimo a rendersi conto di quando lo si fa), non nell'oggetto della ricerca.
Questa per me è un'altra cosa che non ha niente a che fare con l'assoluto "oggettivo", che è quello di cui parlavo. Come dice Ipazia "la vita individuale autocosciente è un piccolo, irripetibile, assoluto". L'esperienza individuale è un assoluto nel senso che "è quello che è" in ogni momento, non c'è una realtà o una verità alternativa a quella rivelata da quest'esperienza. Se anche mi rendo conto di aver preso un abbaglio, questo non influisce sulla mia passata esperienza, ma solo sulla sua attuale valutazione da parte mia.
Io questa ricerca preferisco chiamarla ricerca dell'autenticità e sottolinearne il carattere negativo, che consiste nell'eliminazione, nei limiti del possibile, di condizionamenti e pregiudizi, sia nella sfera mentale che in quella emotiva, per arrivare a cogliere il messaggio più immediato, l'interazione più genuina, la spontaneità dei fenomeni e il loro più recondito significato.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 11 Novembre 2020, 19:53:02 PM
L'idea di una scienza non democratica nasce dalla forza di gravità, indifferente ad ogni decreto, convenzione e assembramento umani. Forza di gravità fondamento, nel suo ambito, di verità (provare a negarla e vedere l'effetto che fa). Quella verità di cui la (cono)scienza è ancella.

Convenzionali sono le unità di misura, politiche le camarille che la parassitano, ma l'unica verità cui tutti si affidano, compresi i negazionisti, è quella scientifica. Ancora troppo limitata, rispetto alla complessità del reale, ma extra scientiam, nulla salus.

La scienza non si occupa di noumeni, ma di fenomeni. E lo fa molto bene creando ambiti di sapere in cui i modelli gnoseologici funzionano così bene da produrre prodigi reali. Semmai l'accusa di assolutismo metafisico va rivolta a chi non si accontenta di queste operazioni sull'immanente, ma vuole la verità assoluta, la trascendenza. Accusando la scienza di non essere in grado di darla o, all'opposto, di proporne una artefatta. Dimostrando, in entrambi i casi, di non aver capito nulla di come funziona la ricerca scientifica e del significato di verità scientifica.

Per quanto gli si cambi nome, forma e rintracciabilità, l'arsenico è un veleno (provare per credere). Di questa verità è fatta la scienza, e questa verità si è affinata e perfezionata soltanto grazie alla scienza. Totalmente immanente.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Donalduck il 11 Novembre 2020, 22:55:27 PM
Citazione di: Ipazia il 11 Novembre 2020, 19:53:02 PM
L'idea di una scienza non democratica nasce dalla forza di gravità, indifferente ad ogni decreto, convenzione e assembramento umani. Forza di gravità fondamento, nel suo ambito, di verità (provare a negarla e vedere l'effetto che fa). Quella verità di cui la (cono)scienza è ancella.
Convenzionali sono le unità di misura, politiche le camarille che la parassitano, ma l'unica verità cui tutti si affidano, compresi i negazionisti, è quella scientifica. Ancora troppo limitata, rispetto alla complessità del reale, ma extra scientiam, nulla salus.
Si tratta di due diversi livelli di convenzione e due diversi ambiti applicativi. La prima si riferisce alla interpretazione di fenomeni, esperienze che in qualche modo condividiamo. La forza di gravità non è affatto una verità, è un'interpretazione convenzionale di un certo tipo di fenomeni che possiamo costantemente osservare, la concretizzazione concettuale di una serie di relazioni osservate, misurazioni effettuate, elaborazioni concettuali, teorizzazioni e verifiche. Solo nella mente scientisticamente orientata (dove per scientismo intendo la scienza intesa come mezzo di conoscenza e d'interpretazione universale e unico dell'esperienza) tale forma assume l'aspetto di una verità. Una verità che comunque è sempre relativa a noi, alla nostra percezione, alla nostra capacità di ricevere ed elaborare dati, direttamente o indirettamente. Quindi alla relazione tra noi umani e quello che, collettivamente percepiamo più o meno nello stesso modo. Ma non mancano le eccezioni (visioni e "allucinazioni", stati alterati della coscienza, fenomeni cosiddetti paranormali di cui è impossibile verificare natura e "reale" sussistenza o meno, ma di cui esistono numerose testimonianze).

La seconda è la convenzione deliberata, consapevole, strumentale, quella delle unità di misura e dei linguaggi e di tante altre cose.

Ma il tipo di convenzione a cui mi riferivo parlando della verità si situa anche a un livello più profondo, più astratto, se vogliamo. Si tratta di una convenzione non cosciente, non deliberata, non più cosciente e volontaria del funzionamento dei nostri organi interni, una convenzione "scritta nel DNA", che struttura e determina l'esperienza stessa e prevede interpretazioni e risposte precostituite ai fenomeni vissuti in tale esperienza. Tutto quello che possiamo dire, in definitiva e che per noi, individualmente, collettivamente come gruppo più o meno ampio o come umanità intera, per quanto possiamo attualmente giudicare, le cose stanno in un certo modo.
Una suggestione che può chiarificare è quella che troviamo nei libri di Castaneda, in cui lo sciamano parla di un immateriale "punto d'unione", spostando il quale cambia il modo d'interpretare la realtà (la "convenzione", il codice, il protocollo), la lunghezza d'onda su cui ci si sintonizza, col risultato di percepire il mondo in un modo completamente differente. Che poi è quello che in qualche misura si sperimenta sotto l'effetto di certe sostanze psicoattive come LSD, mescalina ecc. (i cosiddetti "allucinogeni").
Ma, al di là delle suggestioni, per me tutto si riconduce alla semplice indissolubilità di soggetto e oggetto, coscienza e realtà e al fatto che ogni tentativo di definire una "realtà" che tenti di escludere una delle due facce della moneta sia destinato a perdersi nel nonsenso, in particolare il concetto di realtà oggettiva esistente di per sé. L'unica realtà che conosciamo è nel suo insieme intrinsecamente paradossale, razionalmente inafferrabile, ogni tentativo di catturarla è come un gatto che rincorre la propria coda. E, come dicevo, è anche indissolubilmente legata al nostro punto di vista e alle nostre facoltà, alla nostra esperienza.

Citazionema l'unica verità cui tutti si affidano, compresi i negazionisti, è quella scientifica. Ancora troppo limitata, rispetto alla complessità del reale, ma extra scientiam, nulla salus
Qui temo che andiamo in direzioni parecchio divergenti. Per me la scienza non è "ancora troppo limitata", è intrinsecamente  limitata. E questa concezione della scienza come unico e universale mezzo di conoscenza trova la mia più ferma opposizione. Anche se una certa attitudine scientifica è sempre utile e per certi versi salutare in qualunque tipo d'indagine di qualunque tipo, per me la scienza e le sue prassi possono avere un ruolo solo marginale nell'indagine sul mondo interiore, psichico. Lì i metodi, le tecniche sono totalmente differenti, anche se, ripeto, ci possono essere delle affinità  nell'elaborazione razionale delle esperienze. E l'esperienza psichica (non lo studio delle tracce dell'esperienza psichica nel mondo esterno) è una delle due facce - anche qui polarità e indissolubilità si ripresentano - della nostra esperienza: quella interiore contrapposta ma unita a quella esteriore.
E non posso neppure accettare l'idea che ci sia una "verità scientifica" che non sia convenzionale (ma come ho cercato di spiegare, convenzionale non significa arbitraria). Per me è solo il prodotto di un equivoco e una delle forme in cui si ripresenta l'assolutismo.
E il fatto che ci si affidi alla "verità scientifica" (ma c'è chi si affida anche ad altro) dimostra solo che è quanto di più affidabile siamo riusciti a trovare, e che funziona piuttosto bene per i nostri fini, ma non che sia effettivamente una "verità", anzi "la verità".
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Aumkaara il 12 Novembre 2020, 00:38:58 AM
Pur dall'alto della mia ignoranza leggo comunque libri di matematica e fisica, quella "vera", "ufficiale", e non trovo tutta questa sicurezza sulla scienza come verità, né sulla realtà delle leggi e dei fenomeni per come li percepiamo. C'è molta cautela, e soprattutto ad ogni passo che fanno nella scienza stessa, le certezze di coloro che scrivono questi libri si sgretolano di fronte a constatazioni che li obbligano ad essere più filosofici che concreti, certi o fattuali. O sbagliano approccio, ma allora la scienza per come la stanno conducendo è da rivedere, oppure certe concretezze scientifiche sono state superate (ancora usate in certi ambiti, ma superate come ideologia).
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 12 Novembre 2020, 00:41:44 AM
Siamo sempre fermi alla ricerca di verità assolute, postulate in contrapposizione alle verità "fallaci" del rapporto antropologico tra soggetto e oggetto. Come se fosse possibile postulare una realtà alternativa a quella esperibile dalla sensorialità e cognitività umana. La quale è riuscita a rendere percepibile, grazie alla scienza e alle sue applicazioni tecniche, quello che percepibile non è. Di più non è possibile fare. Altre verità non si vedono all'orizzonte. All'orizzonte reale aumentato della cognitività umana. Concordo che si può fare di più. Nel fantastico mondo delle idee, nella metafisica hard. Peccato che anche questa grazia di Dio sia umana, troppo umana, troppo banalmente umana.

Dalla realtà sub specie humana non si scappa. L'aveva già capito Protagora 2500 anni fa. La misura è cambiata, aumentata in quantità e sensibilità, ma resta sempre misura umana. L'oggettività sovrumana resta appannaggio degli dei e dei loro postulanti. Illusoria per quel che mi riguarda.

Meno illusorio è il risultato progettato che si ottiene girando la chiavetta di accensione dell'auto. L'ora della verità.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Aumkaara il 12 Novembre 2020, 11:16:05 AM
Citazione di: Ipazia il 12 Novembre 2020, 00:41:44 AM
Siamo sempre fermi alla ricerca di verità assolute, postulate in contrapposizione alle verità "fallaci" del rapporto antropologico tra soggetto e oggetto. Come se fosse possibile postulare una realtà alternativa a quella esperibile dalla sensorialità e cognitività umana. La quale è riuscita a rendere percepibile, grazie alla scienza e alle sue applicazioni tecniche, quello che percepibile non è. Di più non è possibile fare. Altre verità non si vedono all'orizzonte. All'orizzonte reale aumentato della cognitività umana. Concordo che si può fare di più. Nel fantastico mondo delle idee, nella metafisica hard. Peccato che anche questa grazia di Dio sia umana, troppo umana, troppo banalmente umana.

Dalla realtà sub specie humana non si scappa. L'aveva già capito Protagora 2500 anni fa. La misura è cambiata, aumentata in quantità e sensibilità, ma resta sempre misura umana. L'oggettività sovrumana resta appannaggio degli dei e dei loro postulanti. Illusoria per quel che mi riguarda.

Meno illusorio è il risultato progettato che si ottiene girando la chiavetta di accensione dell'auto. L'ora della verità.
Protagora è uno tra i tanti pensatori, e ha colleghi che hanno capito altro. È sufficiente uno stato mentale leggermente diverso per vedere crollare i limiti considerati invalicabili nello stato precedente, e in ognuno di tali stati le conclusioni degli altri stati sembrano fasulli. Non c'è bisogno neanche di droghe, meditazioni o altri percorsi, è sufficiente concentrarsi maggiormente su quella fetta di esperienze fatte durante il sonno, che appunto solo dopo vengono considerate fasulle, così come quelle di veglia sono considerate (o comunque vissute) come fasulle nel sonno.
O si sviluppa la capacità di fare una sintesi tra i vari stati, considerando anche la possibilità che ce ne siano altri ancora non sperimentati da molti, oppure se ne sceglie arbitrariamente uno come il più vero. Ma quest'ultimo atteggiamento è per la sezione spirituale, non per quella filosofica.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 12 Novembre 2020, 15:13:29 PM
Il realismo é venerabile pensiero filosofico. Posso sognarmi di volare tutte le notti, ma il sogno non mi fa crescere le ali e la psicologia dà risposte, di modalità scientifica, assai  convincenti su tale sogno ricorrente.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Aumkaara il 12 Novembre 2020, 17:39:55 PM
Citazione di: Ipazia il 12 Novembre 2020, 15:13:29 PM
Il realismo é venerabile pensiero filosofico. Posso sognarmi di volare tutte le notti, ma il sogno non mi fa crescere le ali e la psicologia dà risposte, di modalità scientifica, assai  convincenti su tale sogno ricorrente.
Ma il problema di non avere le ali e di dare una spiegazione al precedente stato di coscienza sorge nello stato di veglia, e per lo più hanno valore solo lì. In quello di sogno già si vola, a volte, e non ci si pongono gli stessi problemi (o si risolvono persino). Non sto esaltando lo stato di sogno come migliore o più vero, ma come dimostrazione che basta poco per far sfumare la pretesa realtà e i pretesi limiti dello stato attuale. A meno che non lo si faccia aderendo totalmente (e non semplicemente tenendo presente) il cosiddetto realismo: ma in questo caso non si sta facendo filosofia.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 12 Novembre 2020, 18:40:53 PM
Philo-sophia significa amore della conoscenza. Il realismo, ponendo l'accento del discorso sulla realtà, è più fedele a tale etimo di qualsiasi fantasia idealistica o sofisma metafisico.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Aumkaara il 12 Novembre 2020, 20:07:29 PM
Citazione di: Ipazia il 12 Novembre 2020, 18:40:53 PM
Philo-sophia significa amore della conoscenza. Il realismo, ponendo l'accento del discorso sulla realtà, è più fedele a tale etimo di qualsiasi fantasia idealistica o sofisma metafisico.
Quella realtà su cui viene posto l'accento è smentita da altre coordinate, vissute quotidianamente o in casi eccezionali.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 12 Novembre 2020, 21:21:59 PM
Quali altre coordinate ? Quello che si sogna non è disgiunto da quello che si vive nella fase vigile. La realtà è un produttore instancabile di eventi eccezionali "inspiegabili". Ma pure di strategie cognitive che alfine li spiegano. Ad esempio: fulmini, terremoti, pestilenze, diluvi, eclissi e cataclismi vari, attribuiti anticamente - ma qualcuno ci crede anche oggi - a volontà sovrannaturali, si sono via via rivelati per quello che sono, perdendo il loro carattere di eccezionalità.

Il realismo ripaga sempre i suoi fedeli  ;D Basta aver fede e non stancarsi mai di ricercare la verità  8) Non quella metafisica, che non si è mai capito che cosa sia, ma quella immanente al processo evolutivo dell'universo: la adaequatio rei et intellectus. Partendo dalla cosa (res), non dall'intelletto.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Aumkaara il 12 Novembre 2020, 21:55:14 PM
Citazione di: Ipazia il 12 Novembre 2020, 21:21:59 PM
Quali altre coordinate ? Quello che si sogna non è disgiunto da quello che si vive nella fase vigile. La realtà è un produttore instancabile di eventi eccezionali "inspiegabili". Ma pure di strategie cognitive che alfine li spiegano. Ad esempio: fulmini, terremoti, pestilenze, diluvi, eclissi e cataclismi vari, attribuiti anticamente - ma qualcuno ci crede anche oggi - a volontà sovrannaturali, si sono via via rivelati per quello che sono, perdendo il loro carattere di eccezionalità.

Il realismo ripaga sempre i suoi fedeli  ;D Basta aver fede e non stancarsi mai di ricercare la verità  8) Non quella metafisica, che non si è mai capito che cosa sia, ma quella immanente al processo evolutivo dell'universo: la adaequatio rei et intellectus. Partendo dalla cosa (res), non dall'intelletto.
Sento di nuovo nominare la metafisica, e mi volto per vedere se c'è un prete che ha scritto al posto mio. Non c'è niente di metafisico qui: puoi spiegare gli stati di coscienza, diversi da quello attuale, in quello attuale, ma è una spiegazione valida solo in esso, può essere assurda o sbagliata negli altri, e non c'è niente che dia garanzie di validità ad una spiegazione, se non il crederci e il condividerla (non il fatto che si accordi con ciò che tenta di spiegare, né il fatto che sia utile: sono fattori che possono ingannare ed essere facilmente sostituiti da altre spiegazioni).
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 12 Novembre 2020, 22:21:53 PM
Non credo si possa ignorare l'identità della persona pensante e sognante, che si rivela anche nell'andamento fenomenologico dei sogni ed in particolare nel carattere personale delle dramatis personae che li popolano. La psicoanalisi ha individuato delle regioni psichiche all'interno di una medesima personalità, più o meno coesa. Bisognerebbe proporre qualcosa di meglio, prima di passare la psicologia dei sogni in giudicato.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Donalduck il 14 Novembre 2020, 23:15:10 PM
Citazione di: Ipazia il 12 Novembre 2020, 00:41:44 AM
Siamo sempre fermi alla ricerca di verità assolute, postulate in contrapposizione alle verità "fallaci" del rapporto antropologico tra soggetto e oggetto. Come se fosse possibile postulare una realtà alternativa a quella esperibile dalla sensorialità e cognitività umana. La quale è riuscita a rendere percepibile, grazie alla scienza e alle sue applicazioni tecniche, quello che percepibile non è. Di più non è possibile fare. Altre verità non si vedono all'orizzonte. All'orizzonte reale aumentato della cognitività umana. Concordo che si può fare di più. Nel fantastico mondo delle idee, nella metafisica hard. Peccato che anche questa grazia di Dio sia umana, troppo umana, troppo banalmente umana.

Dalla realtà sub specie humana non si scappa. L'aveva già capito Protagora 2500 anni fa. La misura è cambiata, aumentata in quantità e sensibilità, ma resta sempre misura umana. L'oggettività sovrumana resta appannaggio degli dei e dei loro postulanti. Illusoria per quel che mi riguarda.

Meno illusorio è il risultato progettato che si ottiene girando la chiavetta di accensione dell'auto. L'ora della verità.

Quello che scrivi sarebbe più chiaro se mettessi delle citazioni. Qui vedo dei riferimenti a quanto scritto da me, ma faccio fatica a trovare nessi logici.

Ad esempio, cosa c'entra il termine "antropologico" applicato al mio discorso su soggetto e oggetto? E cosa c'entrano le verità assolute? Quello che dicevo è proprio che non ci può essere nessuna verità assoluta e in particolare nessuna oggettività indipendente dal soggetto (ed è questo che certo pensiero oscillante tra il filosofico e lo scientifico porta avanti, una realtà oggettiva esistente indipendentemente da qualunque soggetto, una realtà-in-sé, non credo di essermelo inventato io). E questo perché il concetto stesso di realtà non può prescindere dal binomio soggetto-oggetto, come il concetto d'informazione (ed è interessante che diverse correnti sia scientifiche che filosofiche comincino a convergere verso l'idea che l'informazione sia il concetto più fondamentale che possiamo individuare alla base della realtà) implica necessariamente una sorgente dell'informazione e un destinatario. Di conseguenza ogni realtà non può che essere relativa, ossia relazione essa stessa, e non mai "entità", "universalità" (qui fatico a trovare termini adatti) a sé stante.

In sostanza intendo dire che quello che chiamiamo "oggettivo" è in effetti intersoggettivo, cioè presuppone una identità di vedute e valutazioni, quindi un sistema di convenzioni basate su quanto gli esseri umani hanno in comune, su quanto percepiscono e pensano allo stesso modo. E, dato che comunque delle differenze ci sono, questa presunta "realtà oggettiva" ha i contorni abbastanza sfumati ed è variabile nel tempo e nello spazio (sia esterno che interiore). Quindi quello che trovo fallace, pur sperimentandolo se guardo solo da un certo punto di vista, è questo senso di solidità, indipendenza e oggettività assoluta che il mondo esterno ci trasmette, al punto da portare alcuni al riduzionismo materialista che in sostanza nega qualunque consistenza all'esperienza interiore (che si manifesta come una vera e propria realtà parallela sovrapposta a quella esterna, qualunque disquisizione si possa fare in proposito, ma senza la stessa "solidità" del mondo esterno)

E non ho mai parlato di verità "fallaci", casomai della fallacia intrinseca del termine verità assolutizzato. Penso anche che niente di ciò che arriva alla coscienza sia fallace, ma lo siano casomai le interpretazioni che diamo, ossia lo scambiare una cosa per un'altra, ad esempio una cosa solo immaginata per una cosa esistente nel mondo esterno.

Della possibilità di realtà alternativa ho fornito un esempio parlando delle percezioni sotto effetto di sostanze psicoattive, il modo in cui si percepisce quello che consideriamo la comune (condivisa) realtà cambia effettivamente, e non possiamo liquidare l'alterazione della percezione parlando di chimica, l'essere umano è comunque legato a processi chimici e non è affatto detto che quelli che consideriamo normali siano gli unici atti a dare un'intepretazione coerente dell'esperienza (ossia una rappresentazione coerente della realtà).

E tantomeno ho parlato di oggettività sovrumane, casomai di potrei ipotizzare intersoggettività alternative, che potrebbero anche essere sub/sovra/para/extra-umane, ammesso che si dia una qualche definizione non del tutto astratta di certi termini.

Credo anche che parlare di chiavette d'accensione e di macchine che funzionano non porti da nessuna parte, se non a banalizzare tutto il discorso rifacendosi al realismo più ingenuo, che è il punto zero di tutta l'evoluzione del pensiero metafisico.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Donalduck il 14 Novembre 2020, 23:42:23 PM
Citazione di: Ipazia il 12 Novembre 2020, 21:21:59 PM
Ad esempio: fulmini, terremoti, pestilenze, diluvi, eclissi e cataclismi vari, attribuiti anticamente - ma qualcuno ci crede anche oggi - a volontà sovrannaturali, si sono via via rivelati per quello che sono, perdendo il loro carattere di eccezionalità.
Veramente nessuno ha mai dimostrato che i fulmini non sono lanciati da qualche Zeus arrabbiato. La scienza ha solo mostrato delle correlazioni con altri fenomeni, cioè il fatto che i fulmini si verificano quando si verificano determinate circostanze. Le quali circostanze potrebbero benissimo essere determinate a bella posta dal nostro Zeus con mezzi a noi sconosciuti, anche molto indiretti.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: viator il 15 Novembre 2020, 13:19:34 PM
Salve. Il ragionamento di Ipazia è profondamente corretto al proprio livello (quello della prassi materialistica), mentre il ragionamento do donalduck è altrettanto profondamente corretto al proprio livello (l'estensione tendenziale verso l'ambito metafisicheggiante). State parlando della stessa cosa osservata da punti di vista diversi, affermando che, fin dove vedete voi, (o da dove vedete voi in avanti) state osservando cose diverse.

Le realtà alternative alla realtà non sono altro che aspetti particolari di una realtà complessiva includente sia la convenzionalità reale che l'alternativa alla convenzionalità del reale.

La "oltre-che-fisica" altro non è che "la fisica ulteriore" così come l'America, prima di venir scoperta, altro non era che l'ignoto destinato poi ad entrare a far parte del noto ed a rappresentarne la naturale integrazione : l'oltre Europa e l' "al di qua oppure al di là dell'Asia". D'altra parte............di qualcosa bisognerà pure scrivere ! Saluti.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 15 Novembre 2020, 16:22:36 PM
Citazione di: Donalduck il 14 Novembre 2020, 23:42:23 PM
Citazione di: Ipazia il 12 Novembre 2020, 21:21:59 PM
Ad esempio: fulmini, terremoti, pestilenze, diluvi, eclissi e cataclismi vari, attribuiti anticamente - ma qualcuno ci crede anche oggi - a volontà sovrannaturali, si sono via via rivelati per quello che sono, perdendo il loro carattere di eccezionalità.
Veramente nessuno ha mai dimostrato che i fulmini non sono lanciati da qualche Zeus arrabbiato. La scienza ha solo mostrato delle correlazioni con altri fenomeni, cioè il fatto che i fulmini si verificano quando si verificano determinate circostanze. Le quali circostanze potrebbero benissimo essere determinate a bella posta dal nostro Zeus con mezzi a noi sconosciuti, anche molto indiretti.
Entia non sunt moltiplicanda praeter necessitatem

Al resto rispondo punto per punto in seguito.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Aumkaara il 15 Novembre 2020, 22:43:11 PM
Citazione di: Ipazia il 15 Novembre 2020, 16:22:36 PM
Citazione di: Donalduck il 14 Novembre 2020, 23:42:23 PM
Citazione di: Ipazia il 12 Novembre 2020, 21:21:59 PM
Ad esempio: fulmini, terremoti, pestilenze, diluvi, eclissi e cataclismi vari, attribuiti anticamente - ma qualcuno ci crede anche oggi - a volontà sovrannaturali, si sono via via rivelati per quello che sono, perdendo il loro carattere di eccezionalità.
Veramente nessuno ha mai dimostrato che i fulmini non sono lanciati da qualche Zeus arrabbiato. La scienza ha solo mostrato delle correlazioni con altri fenomeni, cioè il fatto che i fulmini si verificano quando si verificano determinate circostanze. Le quali circostanze potrebbero benissimo essere determinate a bella posta dal nostro Zeus con mezzi a noi sconosciuti, anche molto indiretti.
Entia non sunt moltiplicanda praeter necessitatem
Molto confuciano, Occam, almeno nel modo in cui viene usato di solito, ovvero con parsimonia: qualche spuntatina qua e là. Un lavoro di fino, per chi adora acconciature alla moda, procedendo senza un vero motivo se non con i propri gusti: Zeus non piace allora via; mentre un'esistenza che assurdamente è sia unica che molteplice (come venne fuori in queste pagine tempo addietro) invece va bene. Incongruentemente, oltre che inspiegabilmente.
C'è un modo più taoista, quindi più radicale, quindi più realistico: usare il rasoio fino in fondo, rasando tutto, oppure spezzandolo e lasciare che la natura faccia il suo corso.
Con la rasatura totale, scopriamo che si può evitare di base di moltiplicare gli enti: l'ente può benissimo essere uno solo, e quando si considera l'esistenza di più enti è solo perché vediamo varie forme di quell'unico e concettualmente, e quindi falsamente, le consideriamo cose distinte e realmente diverse.
Se invece, viceversa ma sempre taoisticamente, gettiamo via il rasoio, si può scoprire, come diceva Gödel, che di un qualcosa non si dovrebbe dimostrare che esiste, ma che non esiste: e quindi gli enti possono essere senza fine, mettere un limite alla loro possibilità di esistere è un atto nostro dettato dai nostri, di limiti (o che consideriamo nostri).
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: donquixote il 16 Novembre 2020, 00:50:30 AM
Citazione di: Aumkaara il 15 Novembre 2020, 22:43:11 PM
di un qualcosa non si dovrebbe dimostrare che esiste, ma che non esiste: e quindi gli enti possono essere senza fine, mettere un limite alla loro possibilità di esistere è un atto nostro dettato dai nostri, di limiti (o che consideriamo nostri).
Voler dimostrare che qualcosa non esiste (come anche che esiste) è una contraddizione logica, quindi un'assurdità. Prima di dimostrare che qualcosa non esiste dovremmo innanzitutto definirlo, sapere che cosa è. Ma per sapere che cosa è un "qualcosa" bisogna che questo esista, perchè se non esistesse non potremmo saperne assolutamente niente. Appare dunque totalmente insensata qualunque affermazione o qualunque domanda sull'esistenza o l'inesistenza sic et simpliciter di qualcosa, poichè tutto ciò di cui possiamo parlare o che possiamo pensare è necessariamente esistente.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 16 Novembre 2020, 11:53:29 AM
Citazione di: Donalduck il 14 Novembre 2020, 23:15:10 PM

Quello che scrivi sarebbe più chiaro se mettessi delle citazioni. Qui vedo dei riferimenti a quanto scritto da me, ma faccio fatica a trovare nessi logici.

Ad esempio, cosa c'entra il termine "antropologico" applicato al mio discorso su soggetto e oggetto?

Sono categorie del pensiero umano, ergo antropologiche.

CitazioneE cosa c'entrano le verità assolute?

In coloro che negano la gerarchia del sapere e dei suoi fondamenti colgo una nostalgia di Assoluto.

CitazioneQuello che dicevo è proprio che non ci può essere nessuna verità assoluta e in particolare nessuna oggettività indipendente dal soggetto (ed è questo che certo pensiero oscillante tra il filosofico e lo scientifico porta avanti, una realtà oggettiva esistente indipendentemente da qualunque soggetto, una realtà-in-sé, non credo di essermelo inventato io). E questo perché il concetto stesso di realtà non può prescindere dal binomio soggetto-oggetto, come il concetto d'informazione (ed è interessante che diverse correnti sia scientifiche che filosofiche comincino a convergere verso l'idea che l'informazione sia il concetto più fondamentale che possiamo individuare alla base della realtà) implica necessariamente una sorgente dell'informazione e un destinatario. Di conseguenza ogni realtà non può che essere relativa, ossia relazione essa stessa, e non mai "entità", "universalità" (qui fatico a trovare termini adatti) a sé stante.

Se tutto è ugualmente soggettivo si perde quel contenuto fatale di sapere che ne coglie le successioni e le gerarchie imposte dalla natura.

CitazioneIn sostanza intendo dire che quello che chiamiamo "oggettivo" è in effetti intersoggettivo, cioè presuppone una identità di vedute e valutazioni, quindi un sistema di convenzioni basate su quanto gli esseri umani hanno in comune, su quanto percepiscono e pensano allo stesso modo. E, dato che comunque delle differenze ci sono, questa presunta "realtà oggettiva" ha i contorni abbastanza sfumati ed è variabile nel tempo e nello spazio (sia esterno che interiore). Quindi quello che trovo fallace, pur sperimentandolo se guardo solo da un certo punto di vista, è questo senso di solidità, indipendenza e oggettività assoluta che il mondo esterno ci trasmette, al punto da portare alcuni al riduzionismo materialista che in sostanza nega qualunque consistenza all'esperienza interiore (che si manifesta come una vera e propria realtà parallela sovrapposta a quella esterna, qualunque disquisizione si possa fare in proposito, ma senza la stessa "solidità" del mondo esterno)

Concordo sull'intersoggettività che ci libera dagli assoluti, ma non sull'uso dell'intersoggettività che pone sullo stesso piano euristico l'affermazione che Mussolini venne appeso per i piedi a piazzale Loreto e che Gesù Cristo è Dio figlio di Dio. Anche l'intersoggettività deve sottostare alle forche caudine della verità e della immaginazione.

CitazioneE non ho mai parlato di verità "fallaci", casomai della fallacia intrinseca del termine verità assolutizzato. Penso anche che niente di ciò che arriva alla coscienza sia fallace, ma lo siano casomai le interpretazioni che diamo, ossia lo scambiare una cosa per un'altra, ad esempio una cosa solo immaginata per una cosa esistente nel mondo esterno.

Concordo. Porrei però attenzione al fatto che ciò che giunge alla coscienza vi giunge già filtrato dalla dogmatica/maieutica che ha agito su quella coscienza nella sua fase costitutiva ed evolutiva.

CitazioneDella possibilità di realtà alternativa ho fornito un esempio parlando delle percezioni sotto effetto di sostanze psicoattive, il modo in cui si percepisce quello che consideriamo la comune (condivisa) realtà cambia effettivamente, e non possiamo liquidare l'alterazione della percezione parlando di chimica, l'essere umano è comunque legato a processi chimici e non è affatto detto che quelli che consideriamo normali siano gli unici atti a dare un'intepretazione coerente dell'esperienza (ossia una rappresentazione coerente della realtà).

E tantomeno ho parlato di oggettività sovrumane, casomai di potrei ipotizzare intersoggettività alternative, che potrebbero anche essere sub/sovra/para/extra-umane, ammesso che si dia una qualche definizione non del tutto astratta di certi termini.

Sognare di volare nel sonno o negli stati tossici non ha mai fatto crescere le ali a nessuno e pertando l'oggettività/intersoggettività "umana" - comprensiva di indicatori che stabiliscono la glicemia e alcolemia ottimali - resta il punto di riferimento obbligato su cui sviluppare un logos credibile. Anche se ciò può apparire:

CitazioneCredo anche che parlare di chiavette d'accensione e di macchine che funzionano non porti da nessuna parte, se non a banalizzare tutto il discorso rifacendosi al realismo più ingenuo, che è il punto zero di tutta l'evoluzione del pensiero metafisico.

Il quale si è subito avvitato in Assoluti, di cui uno in particolare, sub/sovra/para/extra umano ci dà ancora parecchio filo da torcere. Quando sarebbe meglio dipanarlo e farci condurre da esso attraverso il labirinto del reale con mente più sgombra da fantasmi immaginari.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 16 Novembre 2020, 12:00:41 PM
Citazione di: donquixote il 16 Novembre 2020, 00:50:30 AM
Voler dimostrare che qualcosa non esiste (come anche che esiste) è una contraddizione logica, quindi un'assurdità. Prima di dimostrare che qualcosa non esiste dovremmo innanzitutto definirlo, sapere che cosa è. Ma per sapere che cosa è un "qualcosa" bisogna che questo esista, perchè se non esistesse non potremmo saperne assolutamente niente. Appare dunque totalmente insensata qualunque affermazione o qualunque domanda sull'esistenza o l'inesistenza sic et simpliciter di qualcosa, poichè tutto ciò di cui possiamo parlare o che possiamo pensare è necessariamente esistente.

Igiene fisica e mentale vuole però che si sappia distinguere nella realtà i dati di fatto dalla fiction. Vista pure la scarsa propensione dei numi a salvare chi confonde le due cose, fosse pure in loro nome ed invocando la loro divina Provvidenza.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 16 Novembre 2020, 12:17:36 PM
Citazione di: Aumkaara il 15 Novembre 2020, 22:43:11 PM
Molto confuciano, Occam, almeno nel modo in cui viene usato di solito, ovvero con parsimonia: qualche spuntatina qua e là. Un lavoro di fino, per chi adora acconciature alla moda, procedendo senza un vero motivo se non con i propri gusti: Zeus non piace allora via; mentre un'esistenza che assurdamente è sia unica che molteplice (come venne fuori in queste pagine tempo addietro) invece va bene. Incongruentemente, oltre che inspiegabilmente.
C'è un modo più taoista, quindi più radicale, quindi più realistico: usare il rasoio fino in fondo, rasando tutto, oppure spezzandolo e lasciare che la natura faccia il suo corso.
Con la rasatura totale, scopriamo che si può evitare di base di moltiplicare gli enti: l'ente può benissimo essere uno solo, e quando si considera l'esistenza di più enti è solo perché vediamo varie forme di quell'unico e concettualmente, e quindi falsamente, le consideriamo cose distinte e realmente diverse.
Se invece, viceversa ma sempre taoisticamente, gettiamo via il rasoio, si può scoprire, come diceva Gödel, che di un qualcosa non si dovrebbe dimostrare che esiste, ma che non esiste: e quindi gli enti possono essere senza fine, mettere un limite alla loro possibilità di esistere è un atto nostro dettato dai nostri, di limiti (o che consideriamo nostri).

Occam non invita all'Ente unico, ma alla parsimonia mentale di generare solo gli enti necessari.

Omnis determinatio est negatio, è utile strumento di classificazione del reale, il cui carattere è epistemologico piuttosto che ontologico. Il ragionamento di Gödel è appunto epistemologico, non ontologico, e corrisponde alla falsificazione di Popper.

Citando Parmenide, l'assurdità ontologica del non essere va presa seriamente e, in campo ontologico, l'onere della prova spetta sempre a chi afferma.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Aumkaara il 16 Novembre 2020, 12:21:35 PM
Citazione di: donquixote il 16 Novembre 2020, 00:50:30 AM
Citazione di: Aumkaara il 15 Novembre 2020, 22:43:11 PM
di un qualcosa non si dovrebbe dimostrare che esiste, ma che non esiste: e quindi gli enti possono essere senza fine, mettere un limite alla loro possibilità di esistere è un atto nostro dettato dai nostri, di limiti (o che consideriamo nostri).
Voler dimostrare che qualcosa non esiste (come anche che esiste) è una contraddizione logica, quindi un'assurdità. Prima di dimostrare che qualcosa non esiste dovremmo innanzitutto definirlo, sapere che cosa è. Ma per sapere che cosa è un "qualcosa" bisogna che questo esista, perchè se non esistesse non potremmo saperne assolutamente niente. Appare dunque totalmente insensata qualunque affermazione o qualunque domanda sull'esistenza o l'inesistenza sic et simpliciter di qualcosa, poichè tutto ciò di cui possiamo parlare o che possiamo pensare è necessariamente esistente.
Vero, ma si può dimostrare una relazione particolare e momentanea. Zeus può esistere effettivamente come immagine mentale, ma solo potenzialmente come causa materiale dei fulmini. Non è quindi assolutamente impossibile che possa esistere effettivamente, e non solo potenzialmente, in quest'ultima forma, ma magari non è così nell'attuale ordine delle cose (sospetto fortemente che appunto non sia così), e questo può essere almeno parzialmente dimostrabile: possiamo cercare e trovare altre relazioni che hanno a che fare con i fulmini, e attualmente non trovare nessun Zeus, anche se per il momento esiste già evidentemente almeno in altri modi.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: bobmax il 16 Novembre 2020, 12:39:03 PM
Citazione di: Ipazia il 16 Novembre 2020, 12:00:41 PM
Citazione di: donquixote il 16 Novembre 2020, 00:50:30 AM
Voler dimostrare che qualcosa non esiste (come anche che esiste) è una contraddizione logica, quindi un'assurdità. Prima di dimostrare che qualcosa non esiste dovremmo innanzitutto definirlo, sapere che cosa è. Ma per sapere che cosa è un "qualcosa" bisogna che questo esista, perchè se non esistesse non potremmo saperne assolutamente niente. Appare dunque totalmente insensata qualunque affermazione o qualunque domanda sull'esistenza o l'inesistenza sic et simpliciter di qualcosa, poichè tutto ciò di cui possiamo parlare o che possiamo pensare è necessariamente esistente.

Igiene fisica e mentale vuole però che si sappia distinguere nella realtà i dati di fatto dalla fiction. Vista pure la scarsa propensione dei numi a salvare chi confonde le due cose, fosse pure in loro nome ed invocando la loro divina Provvidenza.

La questione è più profonda di quando solitamente si ritenga.

Perché si può pensare solo l'esistente.
Il pensiero è sempre e solo pensiero di ciò che esiste.
E ciò che esiste è "qualcosa"

Viceversa, ciò che non esiste non è qualcosa, non può essere pensato. È nulla.

Premesso questo, che è fondamentale, possiamo provare a definire il qualcosa, che in quanto tale esiste necessariamente.

E nel definirlo potremo stabilire l'ambito della sua esistenza.
Ossia se esiste nel mondo fisico, o è un concetto oppure una costruzione fantastica...
Ma sempre di esistenza si tratta.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: viator il 16 Novembre 2020, 12:44:38 PM
Salve donquixote. Hai completamente ragione dal punto di vista logico-formale.

Dal punto di vista fattuale Zeus è unicamente un concetto (non certamente un Dio, una persona, un agente).

I concetti secondo te esistono ? Secondo me esistono e consistono in forme immateriali temporanee, frutto dell'attività bioenergetica di un sistema nervoso sufficientemente complesso dall'aver generato una coscienza ed una mente.

Per stabilire esistenza od inesistenza di un ente (materiale od immateriale che esso sia) dovrebbe essere sufficiente spostarsi dalla "impossibilità della sua compiuta identificazione" alla osservazione della sua appartenenza (o meno) ad una catena di cause ed effetti.

Conveniamo allora che tutto ciò che è generato da una causa e/o produca degli effetti sia da considerare come esistente, che ne dici ?. Saluti.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Aumkaara il 16 Novembre 2020, 12:46:39 PM
Citazione di: Ipazia il 16 Novembre 2020, 12:17:36 PM
Citazione di: Aumkaara il 15 Novembre 2020, 22:43:11 PM
Molto confuciano, Occam, almeno nel modo in cui viene usato di solito, ovvero con parsimonia: qualche spuntatina qua e là. Un lavoro di fino, per chi adora acconciature alla moda, procedendo senza un vero motivo se non con i propri gusti: Zeus non piace allora via; mentre un'esistenza che assurdamente è sia unica che molteplice (come venne fuori in queste pagine tempo addietro) invece va bene. Incongruentemente, oltre che inspiegabilmente.
C'è un modo più taoista, quindi più radicale, quindi più realistico: usare il rasoio fino in fondo, rasando tutto, oppure spezzandolo e lasciare che la natura faccia il suo corso.
Con la rasatura totale, scopriamo che si può evitare di base di moltiplicare gli enti: l'ente può benissimo essere uno solo, e quando si considera l'esistenza di più enti è solo perché vediamo varie forme di quell'unico e concettualmente, e quindi falsamente, le consideriamo cose distinte e realmente diverse.
Se invece, viceversa ma sempre taoisticamente, gettiamo via il rasoio, si può scoprire, come diceva Gödel, che di un qualcosa non si dovrebbe dimostrare che esiste, ma che non esiste: e quindi gli enti possono essere senza fine, mettere un limite alla loro possibilità di esistere è un atto nostro dettato dai nostri, di limiti (o che consideriamo nostri).

Occam non invita all'Ente unico, ma alla parsimonia mentale di generare solo gli enti necessari.

Omnis determinatio est negatio, è utile strumento di classificazione del reale, il cui carattere è epistemologico piuttosto che ontologico. Il ragionamento di Gödel è appunto epistemologico, non ontologico, e corrisponde alla falsificazione di Popper.

Citando Parmenide, l'assurdità ontologica del non essere va presa seriamente e, in campo ontologico, l'onere della prova spetta sempre a chi afferma.
Occam ha prodotto uno strumento, a quel punto nessuno può arrogarsi, se non con la forza, il diritto di usarlo in un modo o in un altro.
Lo stesso discorso vale per Gödel, che gli piacesse o meno: ci ha fornito uno strumento, sta a noi usarlo solo ontologicamente, solo epistemologicamente, o in qualche modo in entrambi i sensi, a seconda del contesto.
Sicuramente, se si vuole produrre trapani, è bene usare Gödel solo epistemologicamente, ma se si vuole comprendere cosa è un trapano (e tutto il resto) a prescindere dalle nostre classificazioni e dai nostri utilizzi, può essere un bene usare la dichiarazione di Gödel anche ontologicamente.
Lo stesso vale per Parmenide, che epistemologicamente tra l'altro è poco utile, perché porta a paradossi tipo quelli di Zenone, "facilmente" evitabili introducendo altri enti quali gli infinitesimi, che però sono poco in sintonia con l'uso epistemico di Occam, essendo numericamente indefiniti. Meglio usare Parmenide soprattutto ontologicamente: così facendo risulta non esserci niente di inesistente a parte l'inesistenza stessa, proprio il risultato che otteniamo con l'usare ontologicamente anche Occam e Gödel, che lo volessero o meno (Gödel forse sì).
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 16 Novembre 2020, 13:48:54 PM
Restando comunque, fuori dalla metafisica hard, l'obbligo epistemologico ed etico di definire i campi di esistenza a cui si riferisce la nostra ontologia. Cominciando dai due principali: dati esperiti vs. fiction. Prodotti naturali e della fantasia. Ontologia facilmente verificabile, mi si perdoni la banalità postmetafisica, dagli esiti di alimentazione di un vivente con cibo reale e con cibo virtuale. Magari celeste, come quello del Commendatore. Nobile pur'esso e forse pure necessario: nel SUO ambito del reale psicologico umano.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: bobmax il 16 Novembre 2020, 17:30:56 PM
L'esistente è per sua natura transeunte.
Ma non nel senso che è un qualcosa che dura solo un certo tempo. Perché quel qualcosa che dura, che rimane cioè identico a se stesso per almeno un po' di tempo, non esiste.

Perciò l'esistente è un divenire continuo, una metamorfosi. Al punto che è impossibile distinguere ciò che diviene dal suo stesso divenire.

E ciò è vero per qualsiasi esistente, sia fisico sia di ogni altra natura.

Di modo che, qualsiasi definizione di un esistente è il tentativo di rendere stabile ciò che non lo è in realtà mai.

Ma l'identificazione dell'esistente, attraverso una sua definizione, è indispensabile per il pensiero razionale.

A = A è il fondamento della razionalità.
Sebbene... A non sia mai uguale ad A.

In buona sostanza, ciò che pare essere più vicino alla Realtà non è l'esistente, bensì il Nulla.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 16 Novembre 2020, 17:41:08 PM
Bisognerebbe convincere di ciò anche l'esistente autocosciente, ostinatamente identitario, l'ultima cosa cui aspira è diventare Nulla (succursale nichilista dell'Assoluto), preferendo invece quei "pochi, maledetti e subito" anni di vita che l'evoluzione della sua specie gli consente.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: donquixote il 16 Novembre 2020, 23:26:06 PM
Citazione di: viator il 16 Novembre 2020, 12:44:38 PM
Salve donquixote. Hai completamente ragione dal punto di vista logico-formale.

Dal punto di vista fattuale Zeus è unicamente un concetto (non certamente un Dio, una persona, un agente).

I concetti secondo te esistono ? Secondo me esistono e consistono in forme immateriali temporanee, frutto dell'attività bioenergetica di un sistema nervoso sufficientemente complesso dall'aver generato una coscienza ed una mente.

Per stabilire esistenza od inesistenza di un ente (materiale od immateriale che esso sia) dovrebbe essere sufficiente spostarsi dalla "impossibilità della sua compiuta identificazione" alla osservazione della sua appartenenza (o meno) ad una catena di cause ed effetti.

Conveniamo allora che tutto ciò che è generato da una causa e/o produca degli effetti sia da considerare come esistente, che ne dici ?. Saluti.

Ovviamente i concetti esistono, conformemente al fatto che non si può affermare a rigor di logica che qualcosa non esiste, anche se non sono affatto d'accordo sulla descrizione che ne dai. Ogni parola "definita" dal vocabolario di un determinato linguaggio è, nei fatti, un concetto, una convenzione, una elaborazione mentale condivisa con chiunque parli il medesimo linguaggio: la mela non è una mela in sé, ma un concetto condiviso che permette a tutti quelli che parlano la stessa lingua di identificare una "cosa" particolare.
Se ogni "cosa" è dunque un concetto si tratta allora di vedere a quale piano di realtà si riferiscono queste "cose": quello materiale, quello psicologico, quello spirituale, quello dell'immaginazione eccetera. Qui le cose si complicano perchè se è vero che chiunque veda una mela la riconosce come tale i concetti a cui non corrisponde una immediata esperienza sensoriale sono più difficili da comunicare e condividere: forse che tutti hanno in mente la stessa cosa quando si parla dell'amore? o della libertà? o del bene? o della democrazia? o della coscienza? o della giustizia? o della bellezza? o dello spirito? Parlando semplicisticamente si dovrebbe dire che "non esistono", ma chi avrebbe il coraggio di affermarlo?
Ogni parte della realtà, anche quelle più assurde generate dalla fantasia umana (e forse soprattutto quelle), hanno una causa (la fantasia umana, appunto, in questo caso) e producono degli effetti: Un libro di fantascienza di successo, ad esempio, o un horror, permette all'autore di sopravvivere e stimola l'immaginazione e i sentimenti dei lettori che ne traggono soddisfazione. Come si fa a dire che quel che è stato raccontato "non esiste"?
Riflettendo un attimo si può notare che le "cose" che più incidono sulla realtà umana concreta sono proprio quelle che si possono definire "non esistenti". Si sono fatte guerre e ci sono stati martiri in nome della patria, della gloria, dell'onore, della libertà, dell'indipendenza, della giustizia, della democrazia e di tante altre ragioni più o meno nobili, che pur essendo basate su cose "inesistenti" sono molto più cogenti, nell'animo umano, rispetto a quelle "esistenti" e concrete.
Proviamo a prendere in considerazione i cosiddetti "diritti umani universali": esistono? Concretamente non esistono, sono solo una convenzione assai recente fra gruppi di nazioni, eppure quasi tutta l'umanita conforma i propri pensieri, le proprie azioni e i propri codici a tale convenzione. Una cosa "inesistente" dunque ha effetti sulla quasi interezza degli esseri umani: com'è possibile?
E perchè mai non dovrebbe accadere lo stesso per Zeus? La personificazione degli dei è cosa antica, ma anche questa è una semplice convenzione necessaria all'uomo per permettergli di esprimersi e di farsi capire da altri uomini. Certo è che se nessuno più conosce i concetti ai quali uno "Zeus" rimanda e che li sintetizza nella sua "persona" più che parlare di "inesistenza" bisognerebbe parlare di incomprensione.  Mi pare curioso, ad esempio, che nessuno metta in dubbio il fatto che la personificazione di Dike con la bilancia in mano sia solamente un simbolo che rimanda al concetto di giustizia, ma poi c'è chi è salito sull'Olimpo a cercare l'abitazione di Zeus, o quella di Efesto.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Jacopus il 17 Novembre 2020, 00:09:55 AM
Citazione poichè tutto ciò di cui possiamo parlare o che possiamo pensare è necessariamente esistente.
Vero, ma esistono diversi gradi di esistenza di ciò di cui possiamo parlare o pensare. Il minimo grado di questa esistenza è ciò che qualunque soggetto pensa nel suo foro interiore, senza comunicarlo ad altra anima viva. Anche quel rimuginio ha una sua inequivocabile esistenza. Il massimo grado di esistenza avviene quanto ciò di cui parliamo o pensiamo è condiviso dal maggior numero di soggetti.
Questo principio quantitativo di esistenza va però considerato accanto ad un principio qualitativo, poichè non è detto che tutto ciò che esiste nella maggioranza sia giusto, e dico giusto evitando di dire vero, perchè vorrei circoscrivere il discorso ai fatti etici dell'uomo, la libertà, l'uguaglianza, l'egoismo, l'altruismo e così via.
Ecco allora che ciò di cui possiamo parlare, se da un lato è aperto alla possibilità, dall'altro dovrebbe essere retto dalla responsabilità. La responsabilità del me connesso con gli altri. Del me che non vede gli altri come antagonisti ma come collaboratori ad un fine comune, quello della reciprocità della regola aurea. Da ciò deriva che anche Zeus, se si piega a questa legge, ha dignità ad esistere, mentre non ce l'ha Allah (è solo un esempio) nel momento in cui proclama la guerra santa contro gli infedeli. Se Allah o Zeus sono invece, come spesso è accaduto, i latori trascendenti dell'asimmetria dell'ordine del mondo, dove esistono dominatori e dominati, dove esiste "chi agisce e chi è agito", allora essi esistono comunque, ma esistono in quanto portatori di una ideologia alienante e alleata dell'ingiustizia e quindi sostanzialmente irresponsabile della sorte dell'uomo, tanto più dominante se portatrice anche di quella rigidità mortale connessa alla condanna della blasfemia, di cui ci potrebbero parlare tanto Socrate, quanto Cristo.

Ma tutto ciò come è connesso con la questione in argomento, con i postulanti dell'assoluto? E' presto detto, così come si può pensare all'assoluto, si può pensare al relativo, ed entrambi esistono come concetti e quindi esistono come realtà concettuali. Ma l'assoluto è disconfermato dalla nostra stessa esperienza vitale. I nostri corpi nascono, vivono, appassiscono e muoiono. E' disconfermato dai continui mutamenti di paradigmi della conoscenza umana, che per decine di migliaia di anni ha fatto a meno del Dio ebraico e si è accontentato di altri dei, così come continuano a fare, ancor oggi, miliardi di persone in Cina o in Nuova Guinea. E' disconfermato dall'esistenza, all'interno di un singolo concetto assoluto, di altri assoluti minori, come nel caso dei mussulmani sunniti e mussulmani sciti. E' disconfermato dall'esistenza di principi biologici ambivalenti persino rispetto alla nostra sessualità, per cui non possiamo dirci nè assolutamente maschi, nè assolutamente femmine. E come si concilia questa assolutezza con l'avvento casuale di homo sapiens dopo miliardi di anni, in cui altre specie hanno dominato il mondo? Come si concilia con la relativizzazione del concetto di tempo?
Un unico assoluto forse potrebbe avere spazio, a mio giudizio, ed è l'assoluto della responsabilità umana nei confronti dei suoi simili e del suo ambiente. Un assoluto talmente vertiginoso, che se applicato significherebbe probabilmente l'avvento di una nuova specie di homo sapiens. Ed è a questo che dobbiamo tendere.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: bobmax il 17 Novembre 2020, 05:41:18 AM
Citazione di: Ipazia il 16 Novembre 2020, 17:41:08 PM
Bisognerebbe convincere di ciò anche l'esistente autocosciente, ostinatamente identitario, l'ultima cosa cui aspira è diventare Nulla (succursale nichilista dell'Assoluto), preferendo invece quei "pochi, maledetti e subito" anni di vita che l'evoluzione della sua specie gli consente.

Certamente l'esistente vuole continuare a esistere.

Ma cova in se stesso il dubbio ineliminabile della nullità della propria esistenza.

E in questo dubbio, ogni volta respinto perché orrendo, si cela la verità.

Ogni opera, ogni creatura, ogni cosa, altro non sono che nulla.
Non nel senso che valgano poco, ma che sono effettivamente puro nulla!

Cosa resta allora?

L'Amore.

Che è Nulla, fonte d'infinite possibilità.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 17 Novembre 2020, 09:55:21 AM
L'amore non è Nulla, è relazione. Così come l'universo in cui tutto è in relazione con tutto. Ma la relazione, per esistere, deve far accadere qualcosa. E in tale qualcosa il nulla si nullifica, rimanendo solo il qualcosa, la relazione.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: bobmax il 17 Novembre 2020, 11:04:22 AM
Citazione di: Ipazia il 17 Novembre 2020, 09:55:21 AM
L'amore non è Nulla, è relazione. Così come l'universo in cui tutto è in relazione con tutto. Ma la relazione, per esistere, deve far accadere qualcosa. E in tale qualcosa il nulla si nullifica, rimanendo solo il qualcosa, la relazione.

No, relazione è l'Esistenza.

Esistere consiste infatti nella comunicazione.
Pura comunicazione, dove i poli che si relazionano non esistono di per sé, ma solo per la comunicazione.

L'Esistenza è l'Uno che cerca se stesso, attraverso la comunicazione.

Ciò che origina la comunicazione è l'Amore.

Dio ama se stesso.

Ed essendo Uno, è pure Nulla.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 17 Novembre 2020, 23:25:43 PM
Quindi il predatore che divora la preda lo fa per Amore sotto l'egida di un Dio che cosi ricompatta il fallace Due nella Verità dell'Uno. Uno, che per non farsi mancare nulla, è pure Nulla, realizzando così l'Uno Assoluto alfine postulabile nella sua assolutezza senza Nulla di resto.

Ci può stare per il predatore. Più difficile convincere la preda che di Amore si tratta.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: bobmax il 18 Novembre 2020, 03:20:33 AM
Citazione di: Ipazia il 17 Novembre 2020, 23:25:43 PM
Quindi il predatore che divora la preda lo fa per Amore sotto l'egida di un Dio che cosi ricompatta il fallace Due nella Verità dell'Uno. Uno, che per non farsi mancare nulla, è pure Nulla, realizzando così l'Uno Assoluto alfine postulabile nella sua assolutezza senza Nulla di resto.

Ci può stare per il predatore. Più difficile convincere la preda che di Amore si tratta.

Sì, il male ti sfida con lo sguardo della Medusa.
L'Amore appare essere proprio una pia illusione.
E sei gettata nel mondo in balìa di un destino cinico e baro.

Ma se ti coglie la compassione.
Allora, forse, tu figlia unigenita potrai infine vedere come non ci sia nessuno.
Solo tu e Dio.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Donalduck il 22 Novembre 2020, 23:32:35 PM
Citazione di: Ipazia il 15 Novembre 2020, 16:22:36 PM
Entia non sunt moltiplicanda praeter necessitatem

Il cosiddetto "rasoio di Occam" è solo un'indicazione metodologica pratica di massima, non sempre utile e certamente di validità tutt'altro che universale, senza nessun valore ontologico o metafisico. Invece qui si sta ragionando proprio in quest'ambito e in particolare del valore e della portata delle nostre "verità".
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Donalduck il 23 Novembre 2020, 00:45:39 AM
Citazione di: Ipazia il 16 Novembre 2020, 11:53:29 AM
Citazione di: Donalduck il 14 Novembre 2020, 23:15:10 PM
Ad esempio, cosa c'entra il termine "antropologico" applicato al mio discorso su soggetto e oggetto?
Sono categorie del pensiero umano, ergo antropologiche.
Qualsiasi categoria è una categoria del pensiero umano. Ragionando in questo modo qualsiasi cosa si possa dire o scrivere, è "antropologico".

Citazione
CitazioneE cosa c'entrano le verità assolute?
In coloro che negano la gerarchia del sapere e dei suoi fondamenti colgo una nostalgia di Assoluto.
Non capisco cosa voglia intendere per e a cosa si applichi "negare le gerarchie del sapere e dei suoi fondamenti".

Citazione
CitazioneQuello che dicevo è proprio che non ci può essere nessuna verità assoluta e in particolare nessuna oggettività indipendente dal soggetto (ed è questo che certo pensiero oscillante tra il filosofico e lo scientifico porta avanti, una realtà oggettiva esistente indipendentemente da qualunque soggetto, una realtà-in-sé, non credo di essermelo inventato io). E questo perché il concetto stesso di realtà non può prescindere dal binomio soggetto-oggetto, come il concetto d'informazione (ed è interessante che diverse correnti sia scientifiche che filosofiche comincino a convergere verso l'idea che l'informazione sia il concetto più fondamentale che possiamo individuare alla base della realtà) implica necessariamente una sorgente dell'informazione e un destinatario. Di conseguenza ogni realtà non può che essere relativa, ossia relazione essa stessa, e non mai "entità", "universalità" (qui fatico a trovare termini adatti) a sé stante.
Se tutto è ugualmente soggettivo si perde quel contenuto fatale di sapere che ne coglie le successioni e le gerarchie imposte dalla natura.
Non ho affatto detto che tutto è soggettivo, ma che tutto è una unione indissolubile di soggettivo e oggettivo, e che quello che consideriamo collettivamente oggettivo è intersoggettivo, ossia corrisponde a ciò che riusciamo a condividere delle nostre esperienze soggettive (ovvero delle nostre individuali oggettività).

Citazione
Concordo sull'intersoggettività che ci libera dagli assoluti, ma non sull'uso dell'intersoggettività che pone sullo stesso piano euristico l'affermazione che Mussolini venne appeso per i piedi a piazzale Loreto e che Gesù Cristo è Dio figlio di Dio. Anche l'intersoggettività deve sottostare alle forche caudine della verità e della immaginazione.
Anche questo, ossia mettere sullo stesso piano qualunque affermazione negando la possibilità di stabilire una maggiore o minore verosimiglianza non lo si può desumere dalle idee che ho espresso, e infatti non lo penso.

Citazione
CitazioneE non ho mai parlato di verità "fallaci", casomai della fallacia intrinseca del termine verità assolutizzato. Penso anche che niente di ciò che arriva alla coscienza sia fallace, ma lo siano casomai le interpretazioni che diamo, ossia lo scambiare una cosa per un'altra, ad esempio una cosa solo immaginata per una cosa esistente nel mondo esterno.
Concordo. Porrei però attenzione al fatto che ciò che giunge alla coscienza vi giunge già filtrato dalla dogmatica/maieutica che ha agito su quella coscienza nella sua fase costitutiva ed evolutiva.
Tutte le informazioni che più o meno coscientemente riceviamo e accumuliamo concorrono all'interpretazione (e quindi alla rappresentazione) delle nostre esperienze.

Citazione
CitazioneDella possibilità di realtà alternativa ho fornito un esempio parlando delle percezioni sotto effetto di sostanze psicoattive, il modo in cui si percepisce quello che consideriamo la comune (condivisa) realtà cambia effettivamente, e non possiamo liquidare l'alterazione della percezione parlando di chimica, l'essere umano è comunque legato a processi chimici e non è affatto detto che quelli che consideriamo normali siano gli unici atti a dare un'intepretazione coerente dell'esperienza (ossia una rappresentazione coerente della realtà).
E tantomeno ho parlato di oggettività sovrumane, casomai di potrei ipotizzare intersoggettività alternative, che potrebbero anche essere sub/sovra/para/extra-umane, ammesso che si dia una qualche definizione non del tutto astratta di certi termini.
Sognare di volare nel sonno o negli stati tossici non ha mai fatto crescere le ali a nessuno e pertando l'oggettività/intersoggettività "umana" - comprensiva di indicatori che stabiliscono la glicemia e alcolemia ottimali - resta il punto di riferimento obbligato su cui sviluppare un logos credibile.
Esattamente quello che dicevo prima. Scambiare un sogno per un'esperienza del mondo "esterno" o "oggettivo" (intersoggettivo) è una fallacia interpretativa. Ma percepire da svegli il mondo in un altro modo, con o senza l'uso di sostanze psicoattive, è un'altra cosa.

Citazione
CitazioneCredo anche che parlare di chiavette d'accensione e di macchine che funzionano non porti da nessuna parte, se non a banalizzare tutto il discorso rifacendosi al realismo più ingenuo, che è il punto zero di tutta l'evoluzione del pensiero metafisico.
Il quale si è subito avvitato in Assoluti, di cui uno in particolare, sub/sovra/para/extra umano ci dà ancora parecchio filo da torcere. Quando sarebbe meglio dipanarlo e farci condurre da esso attraverso il labirinto del reale con mente più sgombra da fantasmi immaginari.
Il pensiero metafisico in generale soffre certamente di questa pretesa di assolutezza, ma non il mio. In ogni caso il pensiero metafisico non nasce per caso, ma della constatazione che il realismo "ingenuo" o acritico non si regge in piedi da solo.
La supposizione di intersoggettività extraumane viene piuttosto naturale se pensiamo alle percezioni degli altri esseri viventi, ad esempio di cosa possa essere la realtà per un insetto, dato che da quello che osserviamo degli insetti appare assai verosimile che siano dotati di una forma di coscienza in qualche misura affine alla nostra ma presumibilmente diversa, anche molto diversa, e di una percezione altrettanto diversa. Se si parte dal presupposto che la realtà sia un "miscuglio" non separabile di soggettività e oggettività ne consegue che la realtà dell'insetto, pur avendo intersezioni con la nostra, non si può dire che sia la stessa.
Quanto ai "fantasmi immaginari" sono protagonisti irrinunciabili di qualunque inferenza, come anche della creatività scientifica, filosofica e artistica. Se troviamo le impronte di un cane e deduciamo che lì è passato un cane, questo "cane" non è altro che un'entità immaginaria. Per non parlare delle "spaziotempo curvo" o del "big-bang", o anche dell'"atomo". Ma io, sia per l'extraumano che per il cane immaginato o per le entità immaginate dalle teorie scientifiche, eviterei di parlare di "fantasmi", termine che secondo me porta fuori strada.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 23 Novembre 2020, 10:05:25 AM
Qui subentra appunto la "gerarchia" epistemologica cui accennavo sopra. Se confronto l'impronta del cane col cane in carne ed ossa, al fantasma subentra la realtà. E posso fare altrettanto col cervo, lupo, capriolo, cavallo (ferrato),... Se invece mi imbatto nel fantasma della parola di una divinità riportato in un testo scritto da un umano il fantasma divino rimane tale.

Tornando alla "gerarchia" o specificità, se preferisci, degli ambiti ontologici, i concetti soggetto-oggetto sono indubbiamente più antropologici degli enti semantici cane-gatto. E' l'astrazione tipica del concetto che fa la differenza tra un referente reale ed uno astratto.

Si può legittimamente ragionare di soggetto ed oggetto ma bisogna definire rigorosamente il campo di esistenza, il contesto, in cui agire queste due figure concettuali per non cadere in Soggetti e Oggetti postulati in senso assoluto, la cui evidente irreperibilità spalanca le porte al Nulla metafisico e alla notte in cui tutte le vacche sono sembrano nere. Da tale pretesa (e pre-tesi) metafisica ci può salvare una dose razionale di sano relativismo.

Nulla in contrario al sostituire l'oggettività con l'intersoggettività. Anzi: tale spostamento semantico toglie l'aura sacrale con la maiuscola davanti al concetto medesimo. Ma bisogna prestare attenzione al piano inclinato delle vacche nere perchè non tutte le deliberazioni intersoggettive si equivalgono. Il vaso di Pandora nol consente. C'è una gerarchia, o specificità, ontologica, epistemologica ed etica da rispettare anche quando ci si avventura nell'intersoggettività.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Donalduck il 03 Dicembre 2020, 20:17:16 PM
Citazione di: Ipazia il 23 Novembre 2020, 10:05:25 AM
Qui subentra appunto la "gerarchia" epistemologica cui accennavo sopra. Se confronto l'impronta del cane col cane in carne ed ossa, al fantasma subentra la realtà. E posso fare altrettanto col cervo, lupo, capriolo, cavallo (ferrato),... Se invece mi imbatto nel fantasma della parola di una divinità riportato in un testo scritto da un umano il fantasma divino rimane tale.
Tu supponi che il cane in carne e ossa esiste e venga individuato, e che le impronte corrispondano alle zampe del cane. Ma questo, in generale , non accade, e il cane resta immaginario. E torniamo alla problematicissima definizione di realtà, se non relativizzata a un preciso contesto. Un cane è più reale di un pensiero? Non direi proprio. Sono altrettanto reali ma non appartengono alla stessa "dimensione" o  "sistema" o "contesto" di realtà. La realtà psichica e quella fisica sono interrelate ma non sono la stessa cosa, non sono governate dalle stesse leggi, anche se interagiscono tra loro. E il fatto che la nostra unica esperienza sia vivere contemporaneamente queste due realtà che non si possono considerare né unite né separate a me suggerisce, anzi mostra, l'irrudicibilità del paradosso dell'esistenza, quello che rende velleitarie (anche se istruttive) tutte le ricerche di "verità ultime".

CitazioneTornando alla "gerarchia" o specificità, se preferisci, degli ambiti ontologici, i concetti soggetto-oggetto sono indubbiamente più antropologici degli enti semantici cane-gatto. E' l'astrazione tipica del concetto che fa la differenza tra un referente reale ed uno astratto.
Qui persiste l'uso del termine "realtà" come se avesse un referente definibile e non ambiguo. A parte questo, non sono d'accordo nel definire soggetto e oggetto come concetti riferiti all'uomo. Come rilevavo prima, se si ragiona così tutto è antropologico, compresa la matematica. Per me soggetto e oggetto sono concetti che stanno alla base di qualunque possibile concetto di realtà per il semplice fatto che una res, una cosa, può essere tale solo per un soggetto interpretante, e un soggetto può essere tale solo in quanto percettore e interprete di una realtà. E' un gatto che si morde la coda, ma questa circolarità è quanto di più fondamentale possiamo estrarre, o astrarre, dalla nostra esperienza (che è l'unica fonte della nostra conoscenza).

CitazioneSi può legittimamente ragionare di soggetto ed oggetto ma bisogna definire rigorosamente il campo di esistenza, il contesto, in cui agire queste due figure concettuali per non cadere in Soggetti e Oggetti postulati in senso assoluto, la cui evidente irreperibilità spalanca le porte al Nulla metafisico e alla notte in cui tutte le vacche sono sembrano nere. Da tale pretesa (e pre-tesi) metafisica ci può salvare una dose razionale di sano relativismo.
Soggetto e oggetto non sono postulati in senso assoluto, ma in relazione al nostro concepibile. Di assoluto si può solo parlare in termini poetici, mistici, allusivi, non razionali. Io dico che qualunque definizione di realtà deve fare i conti con soggetto e oggetto e se tenta di prescinderne, lo fa fraudolentemente o illusoriamente, ignorando o cercando di sminuire (magari con la parolina "epifenomeno") qualche aspetto della nostra esperienza. E non dobbiamo dimenticare che in questa stessa esperienza hanno una parte di rilevo l'ignoto, il misterioso, il paradossale, che nessuna scienza o conoscenza ha se non superficialmente intaccato. Liquidare il mistero del soggetto e dell'oggetto, dello psichico e del fisico parlando di "entità irreperibili" (quindi da ignorare?) che "spalancano le porte al nulla metafisico" mi sembra solo un modo per aggirare il problema e non voler vedere l'elefante seduto sul divano del salotto (senza sfondarlo).


CitazioneNulla in contrario al sostituire l'oggettività con l'intersoggettività. Anzi: tale spostamento semantico toglie l'aura sacrale con la maiuscola davanti al concetto medesimo. Ma bisogna prestare attenzione al piano inclinato delle vacche nere perchè non tutte le deliberazioni intersoggettive si equivalgono. Il vaso di Pandora nol consente. C'è una gerarchia, o specificità, ontologica, epistemologica ed etica da rispettare anche quando ci si avventura nell'intersoggettività.
Certamente il compito delle nostre menti è mettere un ordine, anche gerarchico, nel flusso di informazioni che vi giungono. Ma c'è modo e modo di concepire e applicare le gerarchie. Se si tratta di stabilire che la rappresentazione di un concreto oggetto fisico è subordinato alla percezione (e quindi all'esistenza fisica) di quell'oggetto va bene, questo permette di distinguere un ricordo da una fantasia. Se si cerca invece di subordinare in generale la dimensione psichica a quella fisica o viceversa entriamo nel campo dell'arbitrio ingiustificabile.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 05 Dicembre 2020, 18:34:45 PM
Citazione di: Donalduck il 03 Dicembre 2020, 20:17:16 PM
Citazione di: Ipazia il 23 Novembre 2020, 10:05:25 AM
Qui subentra appunto la "gerarchia" epistemologica cui accennavo sopra. Se confronto l'impronta del cane col cane in carne ed ossa, al fantasma subentra la realtà. E posso fare altrettanto col cervo, lupo, capriolo, cavallo (ferrato),... Se invece mi imbatto nel fantasma della parola di una divinità riportato in un testo scritto da un umano il fantasma divino rimane tale.
Tu supponi che il cane in carne e ossa esiste e venga individuato, e che le impronte corrispondano alle zampe del cane. Ma questo, in generale , non accade, e il cane resta immaginario.

Allora siamo messi davvero male, considerato che tutte le nostre conoscenze di basano sullo studio di "impronte"

CitazioneE torniamo alla problematicissima definizione di realtà, se non relativizzata a un preciso contesto. Un cane è più reale di un pensiero? Non direi proprio. Sono altrettanto reali ma non appartengono alla stessa "dimensione" o  "sistema" o "contesto" di realtà. La realtà psichica e quella fisica sono interrelate ma non sono la stessa cosa, non sono governate dalle stesse leggi, anche se interagiscono tra loro. E il fatto che la nostra unica esperienza sia vivere contemporaneamente queste due realtà che non si possono considerare né unite né separate a me suggerisce, anzi mostra, l'irrudicibilità del paradosso dell'esistenza, quello che rende velleitarie (anche se istruttive) tutte le ricerche di "verità ultime".

Concordo sull'illusorietà delle "verità ultime", ma qui non si tratta di stabilire se è più reale un cane, Paperino o Dio, ma di posizionarsi al livello di realtà dell'ente considerato. Se mischiamo i piani arbitrariamente tutta l'episteme, e l'ontologia che la segue, annichiliscono e si precipita nell'insensatezza.

Citazione
CitazioneTornando alla "gerarchia" o specificità, se preferisci, degli ambiti ontologici, i concetti soggetto-oggetto sono indubbiamente più antropologici degli enti semantici cane-gatto. E' l'astrazione tipica del concetto che fa la differenza tra un referente reale ed uno astratto.
Qui persiste l'uso del termine "realtà" come se avesse un referente definibile e non ambiguo. A parte questo, non sono d'accordo nel definire soggetto e oggetto come concetti riferiti all'uomo. Come rilevavo prima, se si ragiona così tutto è antropologico, compresa la matematica. Per me soggetto e oggetto sono concetti che stanno alla base di qualunque possibile concetto di realtà per il semplice fatto che una res, una cosa, può essere tale solo per un soggetto interpretante, e un soggetto può essere tale solo in quanto percettore e interprete di una realtà. E' un gatto che si morde la coda, ma questa circolarità è quanto di più fondamentale possiamo estrarre, o astrarre, dalla nostra esperienza (che è l'unica fonte della nostra conoscenza).

Il referente è dato dal piano del discorso: reale, fantastico, mitologico,... Soggetto e oggetto funzionano solo in un ambito rigorosamente relativistico dopo aver delimitato con precisione la sezione di realtà "oggetto" del nostro discorso, all'interno del quale posso individuare soggetti e oggetti. Il chirurgo oggetto della mia contravvenzione potrebbe diventare (malauguratamente) il soggetto dell'operazione chirurgica che da soggetto multante mi trasforma in oggetto paziente.

Citazione
CitazioneSi può legittimamente ragionare di soggetto ed oggetto ma bisogna definire rigorosamente il campo di esistenza, il contesto, in cui agire queste due figure concettuali per non cadere in Soggetti e Oggetti postulati in senso assoluto, la cui evidente irreperibilità spalanca le porte al Nulla metafisico e alla notte in cui tutte le vacche sono sembrano nere. Da tale pretesa (e pre-tesi) metafisica ci può salvare una dose razionale di sano relativismo.
Soggetto e oggetto non sono postulati in senso assoluto, ma in relazione al nostro concepibile. Di assoluto si può solo parlare in termini poetici, mistici, allusivi, non razionali. Io dico che qualunque definizione di realtà deve fare i conti con soggetto e oggetto e se tenta di prescinderne, lo fa fraudolentemente o illusoriamente, ignorando o cercando di sminuire (magari con la parolina "epifenomeno") qualche aspetto della nostra esperienza. E non dobbiamo dimenticare che in questa stessa esperienza hanno una parte di rilevo l'ignoto, il misterioso, il paradossale, che nessuna scienza o conoscenza ha se non superficialmente intaccato. Liquidare il mistero del soggetto e dell'oggetto, dello psichico e del fisico parlando di "entità irreperibili" (quindi da ignorare?) che "spalancano le porte al nulla metafisico" mi sembra solo un modo per aggirare il problema e non voler vedere l'elefante seduto sul divano del salotto (senza sfondarlo).

Ripeti il mio stesso concetto sui limiti del binomio soggetto-oggetto inserendo il cigno nero che mi pare ridondande rispetto al ragionamento. Se trovo nel salotto un elefante che sta seduto sul divano del salotto senza sfondarlo vedrò di studiare il fenomeno. Ma finchè non mi capita, dò per scontato che l'elefante si siede sulla poltrona sfondandola dopo aver sfondato pure un muro per entrare.

Citazione
CitazioneNulla in contrario al sostituire l'oggettività con l'intersoggettività. Anzi: tale spostamento semantico toglie l'aura sacrale con la maiuscola davanti al concetto medesimo. Ma bisogna prestare attenzione al piano inclinato delle vacche nere perchè non tutte le deliberazioni intersoggettive si equivalgono. Il vaso di Pandora nol consente. C'è una gerarchia, o specificità, ontologica, epistemologica ed etica da rispettare anche quando ci si avventura nell'intersoggettività.
Certamente il compito delle nostre menti è mettere un ordine, anche gerarchico, nel flusso di informazioni che vi giungono. Ma c'è modo e modo di concepire e applicare le gerarchie. Se si tratta di stabilire che la rappresentazione di un concreto oggetto fisico è subordinato alla percezione (e quindi all'esistenza fisica) di quell'oggetto va bene, questo permette di distinguere un ricordo da una fantasia. Se si cerca invece di subordinare in generale la dimensione psichica a quella fisica o viceversa entriamo nel campo dell'arbitrio ingiustificabile.

La gerarchia è data dal fatto che la realtà non fa sconti a chi non la prende sul serio confondendo i suoi piani. La subordinazione è materia neuropsicoscientifica laddove, senza pretese di "ultime verità" scientistiche, si cercano di stabilire le relazioni causali.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Donalduck il 08 Dicembre 2020, 17:32:18 PM
Citazione di: Ipazia il 05 Dicembre 2020, 18:34:45 PM
Allora siamo messi davvero male, considerato che tutte le nostre conoscenze di basano sullo studio di "impronte"
Certo, si tratta sempre di impronte, ossia di segni, ma i segni si organizzano, o li organizziamo (anche qui abbiamo la solita ambivalenza) secondo determinate gerarchie e relazioni. Quello che percepisco di un cane in carne e ossa è l'immagine visiva in movimento, i suoni, gli odori, tutti i dati sensoriali che sono sempre segni e sono tutto quello che costituisce la nostra sensazione di realtà (esterna), e di questo dobbiamo essere consapevoli, proprio per non peccare di eccesso di oggettivazione. Ma tra la percezione di un cane in carne ed ossa e quella di una rappresentazione immaginaria di un cane avvertiamo una grossissima differenza, stiamo parlando di quei piani ben distinti, anche se correlati, di realtà, di cui si è già parlato e di cui anche tu parli:
Citazione
Se mischiamo i piani arbitrariamente tutta l'episteme, e l'ontologia che la segue, annichiliscono e si precipita nell'insensatezza.
Appunto. Ma io non mischio nulla, anzi sottolineo la relativa indipendenza del mondo esterno e di quello interno. Chi mischia è casomai chi confonde la matematica con la realtà esperienziale e parla di "velocità del tempo" o di "espansione dello spazio" arrivando effettivamente a locuzioni insensate.

Citazione
Il referente è dato dal piano del discorso: reale, fantastico, mitologico,... Soggetto e oggetto funzionano solo in un ambito rigorosamente relativistico dopo aver delimitato con precisione la sezione di realtà "oggetto" del nostro discorso, all'interno del quale posso individuare soggetti e oggetti. Il chirurgo oggetto della mia contravvenzione potrebbe diventare (malauguratamente) il soggetto dell'operazione chirurgica che da soggetto multante mi trasforma in oggetto paziente.
No, no, quello di cui parlo è qualcosa di completamente diverso, non sto parlando di ruoli nelle relazioni in ambiti particolari, ma del fatto che qualunque tentativo di definizione di qualunque realtà non può in alcun modo prescindere da un soggetto percettore della realtà e di un qualcosa percepito da tale soggetto, ossia ciò che il soggetto riceve come oggetto della sua percezione. In altre parole della dipendenza intrinseca del concetto di realtà da quelli di soggetto e oggetto.

Citazione
Ripeti il mio stesso concetto sui limiti del binomio soggetto-oggetto inserendo il cigno nero che mi pare ridondante rispetto al ragionamento. Se trovo nel salotto un elefante che sta seduto sul divano del salotto senza sfondarlo vedrò di studiare il fenomeno. Ma finché non mi capita, do per scontato che l'elefante si siede sulla poltrona sfondandola dopo aver sfondato pure un muro per entrare.

Ma dai, che c'entra? E' chiaro che la mia era solo una citazione della famosa metafora dell'elefante in salotto, di quel fenomeno che Douglas Adams (l'ho già citato in qualche altro intervento) descriveva magistralmente come la sindrome del "not my problem". Quando percepisci qualcosa che è troppo in contrasto con la tua concezione delle cose, del mondo, con le tue consolidate aspettative, fingi talmente bene di non vederla che finisci con l'inibirne la percezione stessa. E non sto parlando di qualcosa che potrebbe capitare, ma qualcosa che capita continuamente, ossia la rimozione del Grande Mistero (le maiuscole non hanno alcun carattere divinizzante) che incombe su ogni istante della nostra vita, del paradosso permanente nel quale viviamo, dell'irremovibile irriducibilità della nostra esperienza a una rappresentazione razionale, della sua indescrivibilità (in senso unitario, globale) e dell'intrinseca lacunosità e frammentarietà della nostra conoscenza, non eliminabile da qualunque progresso scientifico.
Rimozione che porta a illusioni e illazioni come quelle di Stephan Hawking:
"What would it mean if we actually did discover the ultimate theory of the universe? ... if we do discover a complete theory, it should in time be understandable in broad principle by everyone, not just a few scientists. Then we shall all be able to take part in the discussion of why the universe exists. If we find the answer to that, it would be the ultimate triumph of human reason. For then we would know the mind of God."

Citazione
La gerarchia è data dal fatto che la realtà non fa sconti a chi non la prende sul serio confondendo i suoi piani. La subordinazione è materia neuropsicoscientifica laddove, senza pretese di "ultime verità" scientistiche, si cercano di stabilire le relazioni causali.

Questo che dici si accorda benissimo con quanto ho affermato, ma non è pertinente al discorso che facevo, ossia al rilevare l'arbitrarietà e l'insostenibilità del far derivare la coscienza e la psiche dalla materia, dal considerare la materia e le leggi fisiche (che tra l'altro non sono di natura fisica ma psichica) come "causa" dei fenomeni psichici (e in generale della vita).
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 08 Dicembre 2020, 19:13:14 PM
Citazione di: Donalduck il 08 Dicembre 2020, 17:32:18 PM
Citazione di: Ipazia il 05 Dicembre 2020, 18:34:45 PM
Allora siamo messi davvero male, considerato che tutte le nostre conoscenze di basano sullo studio di "impronte"
Certo, si tratta sempre di impronte, ossia di segni, ma i segni si organizzano, o li organizziamo (anche qui abbiamo la solita ambivalenza) secondo determinate gerarchie e relazioni. Quello che percepisco di un cane in carne e ossa è l'immagine visiva in movimento, i suoni, gli odori, tutti i dati sensoriali che sono sempre segni e sono tutto quello che costituisce la nostra sensazione di realtà (esterna), e di questo dobbiamo essere consapevoli, proprio per non peccare di eccesso di oggettivazione. Ma tra la percezione di un cane in carne ed ossa e quella di una rappresentazione immaginaria di un cane avvertiamo una grossissima differenza, stiamo parlando di quei piani ben distinti, anche se correlati, di realtà, di cui si è già parlato e di cui anche tu parli:

Nel caso in esame abbiamo due piani del reale di cui uno impresso sulla retina di un naturalista esperto e l'altro sensorialmente più completo alla portata di chiunque, ma entrambi convergono verso la rappresentazione psichica di un cane. Due piani molto contigui, nessuno dei quali necessita di acrobazie metafisiche.

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Se mischiamo i piani arbitrariamente tutta l'episteme, e l'ontologia che la segue, annichiliscono e si precipita nell'insensatezza.
Appunto. Ma io non mischio nulla, anzi sottolineo la relativa indipendenza del mondo esterno e di quello interno. Chi mischia è casomai chi confonde la matematica con la realtà esperienziale e parla di "velocità del tempo" o di "espansione dello spazio" arrivando effettivamente a locuzioni insensate.

Sulle diavolerie dei fisici non mi esprimo, ma penso abbiano le loro buone ragioni che non possono essere banalizzate. Tutte le grandezze fisiche hanno le loro derivate che, anche se poco intuitive, all'atto pratico permettono di fare calcoli predittivi azzeccati. Non mi risulta che i fisici, cominciando da Galileo, intendano ridurre tutta la realtà esperenziale a formule matematiche. Se col relativismo fisico hanno avuto i loro ostici problemi matematici da risolvere, col relativismo umano sanno anche loro che l'impresa sarebbe impossibile.

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Il referente è dato dal piano del discorso: reale, fantastico, mitologico,... Soggetto e oggetto funzionano solo in un ambito rigorosamente relativistico dopo aver delimitato con precisione la sezione di realtà "oggetto" del nostro discorso, all'interno del quale posso individuare soggetti e oggetti. Il chirurgo oggetto della mia contravvenzione potrebbe diventare (malauguratamente) il soggetto dell'operazione chirurgica che da soggetto multante mi trasforma in oggetto paziente.
No, no, quello di cui parlo è qualcosa di completamente diverso, non sto parlando di ruoli nelle relazioni in ambiti particolari, ma del fatto che qualunque tentativo di definizione di qualunque realtà non può in alcun modo prescindere da un soggetto percettore della realtà e di un qualcosa percepito da tale soggetto, ossia ciò che il soggetto riceve come oggetto della sua percezione. In altre parole della dipendenza intrinseca del concetto di realtà da quelli di soggetto e oggetto.

Indubbiamente la nostra percezione della realtà ha aspetti intersoggettivi caratteristici della specie. Un gatto o una civetta, di notte, "vedono la realtà" sicuramente meglio di noi allo stato naturale. Ma da qui a "insinuare" che il referente del concetto di realtà dipenda dal rapporto soggetto-oggetto ce ne vuole  ;D

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CitazioneRipeti il mio stesso concetto sui limiti del binomio soggetto-oggetto inserendo il cigno nero che mi pare ridondante rispetto al ragionamento. Se trovo nel salotto un elefante che sta seduto sul divano del salotto senza sfondarlo vedrò di studiare il fenomeno. Ma finché non mi capita, do per scontato che l'elefante si siede sulla poltrona sfondandola dopo aver sfondato pure un muro per entrare.
Ma dai, che c'entra? E' chiaro che la mia era solo una citazione della famosa metafora dell'elefante in salotto, di quel fenomeno che Douglas Adams (l'ho già citato in qualche altro intervento) descriveva magistralmente come la sindrome del "not my problem". Quando percepisci qualcosa che è troppo in contrasto con la tua concezione delle cose, del mondo, con le tue consolidate aspettative, fingi talmente bene di non vederla che finisci con l'inibirne la percezione stessa. E non sto parlando di qualcosa che potrebbe capitare, ma qualcosa che capita continuamente, ossia la rimozione del Grande Mistero (le maiuscole non hanno alcun carattere divinizzante) che incombe su ogni istante della nostra vita, del paradosso permanente nel quale viviamo, dell'irremovibile irriducibilità della nostra esperienza a una rappresentazione razionale, della sua indescrivibilità (in senso unitario, globale) e dell'intrinseca lacunosità e frammentarietà della nostra conoscenza, non eliminabile da qualunque progresso scientifico.
Rimozione che porta a illusioni e illazioni come quelle di Stephan Hawking:
"What would it mean if we actually did discover the ultimate theory of the universe? ... if we do discover a complete theory, it should in time be understandable in broad principle by everyone, not just a few scientists. Then we shall all be able to take part in the discussion of why the universe exists. If we find the answer to that, it would be the ultimate triumph of human reason. For then we would know the mind of God."

Stavamo meglio quando affidavamo il "Grande Mistero" ai teologi e al loro Libro Unico ?

Galileo ha preso in prestito dai greci un impolverato libro dell'Universo ed ha cominciato a narrarcelo. Hawking pensa che prima o poi qualcuno ci metterà la parola fine. Autostopisti galattici dell'universo, unitevi ! Fosse mai ... Ma resterebbe comunque in sospeso la proposizione 6.52 del Tractatus.

Citazione
CitazioneLa gerarchia è data dal fatto che la realtà non fa sconti a chi non la prende sul serio confondendo i suoi piani. La subordinazione è materia neuropsicoscientifica laddove, senza pretese di "ultime verità" scientistiche, si cercano di stabilire le relazioni causali.
Questo che dici si accorda benissimo con quanto ho affermato, ma non è pertinente al discorso che facevo, ossia al rilevare l'arbitrarietà e l'insostenibilità del far derivare la coscienza e la psiche dalla materia, dal considerare la materia e le leggi fisiche (che tra l'altro non sono di natura fisica ma psichica) come "causa" dei fenomeni psichici (e in generale della vita).

La scienza si occupa della causa efficiente, ed è innegabile che in assenza di supporto materiale l'attività psichica annichilisce. Se vogliamo completare il discorso con le altre tre causalità aristoteliche, la psiche dimostra altrettanto inequivocabilmente una certa sua autonomia funzionale. Ma da qui all'indimostrata, e probabilmente indimostrabile, anima dei sovrannaturalisti ci passa l'intero universo.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Donalduck il 09 Dicembre 2020, 11:48:27 AM
Citazione di: Ipazia il 08 Dicembre 2020, 19:13:14 PM
Indubbiamente la nostra percezione della realtà ha aspetti intersoggettivi caratteristici della specie. Un gatto o una civetta, di notte, "vedono la realtà" sicuramente meglio di noi allo stato naturale. Ma da qui a "insinuare" che il referente del concetto di realtà dipenda dal rapporto soggetto-oggetto ce ne vuole[/size]
Io non insinuo, affermo, che non c'è modo di definire nessun concetto di realtà se si prescinde da quelli di soggetto e oggetto. La realtà può essere tale solo per un soggetto che la percepisce, e solo in relazione a questo si può parlare di esistenza o non esistenza. Se la pensi diversamente, perché non provi a definire il concetto di "realtà" (contrapposto a "irrealtà") e in che modo si possa individuare la differenza tra qualcosa di reale e qualcosa di irreale, sempre senza far riferimento a un soggetto o a un insieme di soggetti, piuttosto che respingere semplicemente la mia affermazione?


Comunque credo che viaggiamo su binari talmente divergenti che non sia possibile individuare un terreno comune su questo tipo di questioni. Ogni affermazione che faccio su un certo piano, la interpreti su un piano differente. Ogni processo di comunicazione ha i suoi limiti, e mi pare che a questo giro li abbiamo raggiunti.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 10 Dicembre 2020, 10:05:52 AM
Citazione di: Donalduck il 09 Dicembre 2020, 11:48:27 AM
Citazione di: Ipazia il 08 Dicembre 2020, 19:13:14 PM
Indubbiamente la nostra percezione della realtà ha aspetti intersoggettivi caratteristici della specie. Un gatto o una civetta, di notte, "vedono la realtà" sicuramente meglio di noi allo stato naturale. Ma da qui a "insinuare" che il referente del concetto di realtà dipenda dal rapporto soggetto-oggetto ce ne vuole[/size]
Io non insinuo, affermo, che non c'è modo di definire nessun concetto di realtà se si prescinde da quelli di soggetto e oggetto. La realtà può essere tale solo per un soggetto che la percepisce, e solo in relazione a questo si può parlare di esistenza o non esistenza. Se la pensi diversamente, perché non provi a definire il concetto di "realtà" (contrapposto a "irrealtà") e in che modo si possa individuare la differenza tra qualcosa di reale e qualcosa di irreale, sempre senza far riferimento a un soggetto o a un insieme di soggetti, piuttosto che respingere semplicemente la mia affermazione?

Comunque credo che viaggiamo su binari talmente divergenti che non sia possibile individuare un terreno comune su questo tipo di questioni. Ogni affermazione che faccio su un certo piano, la interpreti su un piano differente. Ogni processo di comunicazione ha i suoi limiti, e mi pare che a questo giro li abbiamo raggiunti.

Auspicando di poter riprendere a girare, per me la questione è  molto semplice: l'universo esiste indipendentemente da un soggetto che lo osservi ? Il realismo risponde sì,  l'idealismo, no. Io sono realista e pertanto ritengo l'ontologia, in linea di principio, indipendente dal rapporto soggetto-oggetto.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Alexander il 10 Dicembre 2020, 11:16:08 AM
Senza un soggetto percipiente l'universo, anche se esistesse in maniera indipendente dal soggetto stesso, sarebbe esattamente come se non esistesse. Il concetto stesso di esistenza ha necessità di un soggetto che percepisce qual-cosa. Ogni cosa è tale perché è posta di fronte ad un soggetto che la definisce come "cosa". Allo stesso tempo il soggetto si definisce in rapporto all'oggetto: "io non sono questo; sono Altro da ciò".
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: viator il 10 Dicembre 2020, 11:39:12 AM
Salve alexander. Inserisco nel tuo testo qualche mia piccola osservazione, in grassetto :


Citazione di: Alexander il 10 Dicembre 2020, 11:16:08 AMSenza un soggetto percipiente l'universo, anche se esistesse in maniera indipendente dal soggetto stesso, sarebbe esattamente come se non esistesse(.....sarebbe esattamente come SE PER IL SOGGETTO STESSO non esistesse., quindi non esisterebbe soggettivamente). Il concetto stesso di esistenza ha necessità di un soggetto che percepisce qual-cosa. (ciò secondo il punto di vista tuo e di molti altri. Poichè l'esistere-essere potrebbe anche venir definito come "la condizione per la quale le cause generano i propri effetti", le cause oggettive esistenti al di fuori di un soggetto potrebbero continuare a produrre effetti oggettivi anche in mancanza di soggetti. Anzi, uno degli effetti oggettivi delle cause oggettive potrebbe essere (essere stato) la produzione dei soggetti umani). Ogni cosa è tale perché è posta di fronte ad un soggetto che la definisce come "cosa". Allo stesso tempo il soggetto si definisce in rapporto all'oggetto: "io non sono questo; sono Altro da ciò".(L'"io" è termine denotante l'esistenza di individui, non di soggetti. Tieni presente, tanto per aumentare la confusione, che la definizione di "soggetto" sarebbe "chi o ciò che agisce".....ma anche "ciò o chi E' SOGGETTO A ....", cioè subisce. Tale seconda definizione mi sembra del tutto confinante con quella di "oggetto".....in fondo la differenza - ampiamente mistificabile - consiste in una semplice "S-"). Saluti.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 10 Dicembre 2020, 11:42:01 AM
"Essere esattamente come non esistesse" è diverso da "non esistere". E' l'antinomia della hybris antropocentrica idealistica contro i fondamenti ontologici realistici, che vanno dalle tracce dei fossili alla legge di gravità. Pure universale.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Alexander il 10 Dicembre 2020, 13:41:26 PM

Buongiorno viator


(.....sarebbe esattamente come SE PER IL SOGGETTO STESSO non esistesse., quindi non esisterebbe soggettivamente)SENZA un soggetto percipiente significa senza la presenza di alcun soggetto , non del singolo.
le cause oggettive esistenti al di fuori di un soggetto potrebbero continuare a produrre effetti oggettivi anche in mancanza di soggetti.


Certo, ma in mancanza di soggetti percipienti sarebbe esattamente COME SE non le producessero.


Anzi, uno degli effetti oggettivi delle cause oggettive potrebbe essere (essere stato) la produzione dei soggetti umani)


Questa però è un'ipotesi che fa il soggetto. In mancanza del soggetto non nascono ipotesi.


(L'"io" è termine denotante l'esistenza di individui, non di soggetti. Tieni presente, tanto per aumentare la confusione, che la definizione di "soggetto" sarebbe "chi o ciò che agisce".....ma anche "ciò o chi E' SOGGETTO A ....", cioè subisce. Tale seconda definizione mi sembra del tutto confinante con quella di "oggetto".....in fondo la differenza - ampiamente mistificabile - consiste in una semplice "S-")


Qui per "io" s'intende la facoltà di percepirsi come ALTRO dall'oggetto percepito.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Alexander il 10 Dicembre 2020, 13:47:14 PM

Buongiorno Ipazia

"Essere esattamente come non esistesse" è diverso da "non esistere". E' l'antinomia della hybris antropocentrica idealistica contro i fondamenti ontologici realistici, che vanno dalle tracce dei fossili alla legge di gravità. Pure universale.


Non c'è identità tra "come se non esistesse" e "non esiste". In mancanza del soggetto quell'esistere diventa come se non esistesse.Punto.
I fondamenti ontologici realistici li pone il soggetto. Chi altri?
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: bobmax il 10 Dicembre 2020, 15:52:49 PM
Citazione di: Alexander il 10 Dicembre 2020, 11:16:08 AM
Senza un soggetto percipiente l'universo, anche se esistesse in maniera indipendente dal soggetto stesso, sarebbe esattamente come se non esistesse. Il concetto stesso di esistenza ha necessità di un soggetto che percepisce qual-cosa. Ogni cosa è tale perché è posta di fronte ad un soggetto che la definisce come "cosa". Allo stesso tempo il soggetto si definisce in rapporto all'oggetto: "io non sono questo; sono Altro da ciò".

Sì, di modo che pure il soggetto esiste solo in quanto vi è un oggetto.

L'esistenza, intesa come esserci, consiste nella scissione originaria soggetto/oggetto.

Forte è la tentazione di propendere per uno dei due poli. Considerandolo così il fondamento, in modo che l'altro ne derivi soltanto.
Tuttavia questa tentazione non è forse espressione di un'allucinazione?
Cioè l'assurda pretesa di risolvere l'enigma pur rimanendo, evidentemente, nell'esistenza?

Che sia un'assurdità lo possiamo ben vedere considerando cosa significhino, per davvero, queste due contrapposte posizioni.

Svuotare cioè l'oggetto di ogni effettiva realtà, che rimane appannaggio del solo soggetto...
Oppure considerare l'oggetto a prescindere dal soggetto...

In entrambi i casi pure il polo che si vorrebbe "salvare" non può che svanire.

Ma in questa necessità di un reciproco legittimarsi, non vi è solo l'intrinseca debolezza di ognuno dei due.
Perché vi si può pure intravedere il Nulla che li origina.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Donalduck il 10 Dicembre 2020, 20:06:17 PM
Citazione di: Ipazia il 10 Dicembre 2020, 10:05:52 AM
Auspicando di poter riprendere a girare, per me la questione è  molto semplice: l'universo esiste indipendentemente da un soggetto che lo osservi ? Il realismo risponde sì,  l'idealismo, no. Io sono realista e pertanto ritengo l'ontologia, in linea di principio, indipendente dal rapporto soggetto-oggetto.
Non per voler riprendere il discorso da capo, ma quel che tentavo di dimostrare è che il realismo è insostenibile, a meno di non riuscire a dare una definizione di realtà che non poggi sui concetti di soggetto e oggetto. Ritengo che  questo sia impossibile e ti invitavo a provare a farlo. E per quanto riguarda l'idealismo, credevo che fosse chiaro che lo trovo altrettanto infondato del realismo. Sono due tipi di riduzionismo che pretendono di ridurre, appunto, i due inscindibili e imprescindibili aspetti della realtà a uno soltanto, un po' come voler ridurre un dei due lati di un foglio a uno soltanto dei due, pretendendo che uno derivi o sia generato dall'altro. Ma questi concetti li ho ripetuti parecchie volte, il fatto che siano stati sempre ignorati, pur essendo centrali nel mio discorso, mi fa capire che manca o non funziona un canale di comunicazione essenziale.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Donalduck il 10 Dicembre 2020, 20:22:31 PM
Citazione di: Alexander il 10 Dicembre 2020, 11:16:08 AM
Senza un soggetto percipiente l'universo, anche se esistesse in maniera indipendente dal soggetto stesso, sarebbe esattamente come se non esistesse. Il concetto stesso di esistenza ha necessità di un soggetto che percepisce qual-cosa. Ogni cosa è tale perché è posta di fronte ad un soggetto che la definisce come "cosa". Allo stesso tempo il soggetto si definisce in rapporto all'oggetto: "io non sono questo; sono Altro da ciò".
Bisognerebbe specificare cosa significa "anche se esistesse in maniera indipendente dal soggetto". Il punto è sempre la definizione di esistenza o realtà (io non faccio distinzioni tra i due termini e li uso come sinonimi). Ritengo che sia impossibile definire l'"esistenza in sé" indipendentemente da qualunque soggetto, tutt'al più si può fare appello a una precaria (e a mio avviso fallace) concezione intuitiva non razionalmente esprimibile. In particolare mi sembra impossibile spiegare, sempre senza ricorrere al concetto di soggetto percipiente in cosa consista la differenza tra esistere e non esistere, in cosa consista questo attributo di "esistente". Senza questa definizione anche la frase citata non può avere un senso, basandosi su un concetto indefinito.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Donalduck il 10 Dicembre 2020, 20:46:51 PM
Citazione di: bobmax il 10 Dicembre 2020, 15:52:49 PM
Sì, di modo che pure il soggetto esiste solo in quanto vi è un oggetto.

L'esistenza, intesa come esserci, consiste nella scissione originaria soggetto/oggetto.

Forte è la tentazione di propendere per uno dei due poli. Considerandolo così il fondamento, in modo che l'altro ne derivi soltanto.
Tuttavia questa tentazione non è forse espressione di un'allucinazione?
Cioè l'assurda pretesa di risolvere l'enigma pur rimanendo, evidentemente, nell'esistenza?

Che sia un'assurdità lo possiamo ben vedere considerando cosa significhino, per davvero, queste due contrapposte posizioni.

Svuotare cioè l'oggetto di ogni effettiva realtà, che rimane appannaggio del solo soggetto...
Oppure considerare l'oggetto a prescindere dal soggetto...

In entrambi i casi pure il polo che si vorrebbe "salvare" non può che svanire.

Ma in questa necessità di un reciproco legittimarsi, non vi è solo l'intrinseca debolezza di ognuno dei due.
Perché vi si può pure intravedere il Nulla che li origina.
Quasi esattamente quello che intendevo, solo che cambierei l'ultima frase. Non parlerei di "intrinseca debolezza" ma semplicemente di complementarietà a al posto del "Nulla" (termine che trovo assai problematico, ambiguo e in definitiva arbitrario) e di "origine", parlerei di Insondabile Mistero da essi evocato, a indicare qualcosa che non può essere né conosciuto né definito, almeno razionalmente, ma solo, appunto, evocato.

Il tuo Nulla però mi ricorda certi concetti esoterici, non saprei come altro chiamarli, che cercano di descrivere in termini puramente astratti la genesi come un passaggio dallo zero al tre: zero=nulla, uno=esistenza potenziale, due=manifestazione, tre=esistenza piena (con l'aggiunta del terzo elemento, che io identifico con quello che Peirce, parlando del segno, chiamava "interpretante", il terzo elemento della triade semiotica). Almeno questa è la mia personale estrema sintesi di concetti che si trovano in varie fonti espressi in varie forme, ma sempre in maniera molto più oscura e complicata.
Trovo questo schema molto interessante, anche se confinato a un ambito puramente astratto e intraducibile in termini esperienziali.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: viator il 10 Dicembre 2020, 20:54:38 PM
Salve donalduck. Timidamente, vergognandomene un pochetto (mi sembra di star facendo il pedante insistente supponente rompiattributi, nel ripetere per la (circa) trentesima volta un certo mio personale concetto e definizione dell'essere-esistente)..............., mi decido tuttavia ad assillare anche te con le mie osservazioni che qui sotto inserisco grassettando :

Citazione di: Donalduck il 10 Dicembre 2020, 20:22:31 PMBisognerebbe specificare cosa significa "anche se esistesse in maniera indipendente dal soggetto". Il punto è sempre la definizione di esistenza o realtà (io non faccio distinzioni tra i due termini e li uso come sinonimi) (Secondo me fai bene a considerarli sinonimi fattuali). Ritengo che sia impossibile definire l'"esistenza in sé" indipendentemente da qualunque soggetto, (ecco, invece secondo me l'esistenza-essere altro non è che la condizione al cui interno le cause generano i propri effetti.......e le cause e gli effetti non possono venir considerati soggetti poichè risultano indistinguibilmente compenetrati e contemporaneamente entrambi incarnanti - se lo si vuole - sia il ruolo di soggetto che quello di oggetto), tutt'al più si può fare appello a una precaria (e a mio avviso fallace) concezione intuitiva non razionalmente esprimibile. In particolare mi sembra impossibile spiegare, sempre senza ricorrere al concetto di soggetto percipiente in cosa consista la differenza tra esistere e non esistere, in cosa consista questo attributo di "esistente" (limpossibilità con la quale, da bravo ignorante, mi sono appena permesso di confrontarmi). Senza questa definizione anche la frase citata (quella di alexander) non può avere un senso, basandosi su un concetto indefinito (a meno di tentare nuovi confronti basati su quanto ho qui sopra definito).
Amichevoli saluti.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 10 Dicembre 2020, 21:12:51 PM
Citazione di: Alexander il 10 Dicembre 2020, 13:47:14 PM

Buongiorno Ipazia

"Essere esattamente come non esistesse" è diverso da "non esistere". E' l'antinomia della hybris antropocentrica idealistica contro i fondamenti ontologici realistici, che vanno dalle tracce dei fossili alla legge di gravità. Pure universale.


Non c'è identità tra "come se non esistesse" e "non esiste". In mancanza del soggetto quell'esistere diventa come se non esistesse.Punto.
I fondamenti ontologici realistici li pone il soggetto. Chi altri?

La natura, l'universo, le partorienti,... Non si può confondere "ta onta" con "logos" e non si può subordinare la loro esistenza alla logica che la descrive. La Santa Trinità semantica è chiara in tal proposito: referente, significato e significante.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Alexander il 10 Dicembre 2020, 21:22:43 PM

Buona sera Donalduck

Bisognerebbe specificare cosa significa "anche se esistesse in maniera indipendente dal soggetto". Il punto è sempre la definizione di esistenza o realtà (io non faccio distinzioni tra i due termini e li uso come sinonimi). Ritengo che sia impossibile definire l'"esistenza in sé" indipendentemente da qualunque soggetto, tutt'al più si può fare appello a una precaria (e a mio avviso fallace) concezione intuitiva non razionalmente esprimibile. In particolare mi sembra impossibile spiegare, sempre senza ricorrere al concetto di soggetto percipiente in cosa consista la differenza tra esistere e non esistere, in cosa consista questo attributo di "esistente". Senza questa definizione anche la frase citata non può avere un senso, basandosi su un concetto indefinito.



Esistere come essere in atto, presente nella realtà.
Quindi se l'universo fosse in atto anche in mancanza di alcun soggetto conoscente, quindi in mancanza di un soggetto che esiste,in atto, sarebbe COME SE non esistesse ( come se non fosse in atto).
Il soggetto è naturalmente quello che dice:"Esisto!".
Uso il termine "soggetto" per indicare l'ente che percepisce o pensa, in opposizione all'"oggetto"  che viene percepito ( o più correttamente che pensa di percepire).
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: bobmax il 10 Dicembre 2020, 22:30:34 PM
Citazione di: Donalduck il 10 Dicembre 2020, 20:46:51 PM
...al posto del "Nulla" (termine che trovo assai problematico, ambiguo e in definitiva arbitrario) e di "origine", parlerei di Insondabile Mistero da essi evocato, a indicare qualcosa che non può essere né conosciuto né definito, almeno razionalmente, ma solo, appunto, evocato.

Il tuo Nulla però mi ricorda certi concetti esoterici, non saprei come altro chiamarli, che cercano di descrivere in termini puramente astratti la genesi come un passaggio dallo zero al tre: zero=nulla, uno=esistenza potenziale, due=manifestazione, tre=esistenza piena (con l'aggiunta del terzo elemento, che io identifico con quello che Peirce, parlando del segno, chiamava "interpretante", il terzo elemento della triade semiotica). Almeno questa è la mia personale estrema sintesi di concetti che si trovano in varie fonti espressi in varie forme, ma sempre in maniera molto più oscura e complicata.
Trovo questo schema molto interessante, anche se confinato a un ambito puramente astratto e intraducibile in termini esperienziali.

Sì, potremmo chiamarlo Insondabile Mistero invece che Nulla.
Tuttavia il termine è sempre inadeguato. Con Nulla si cerca di ribadire che non è "qualcosa". Solo questo è lo scopo.
Comunque irraggiungibile, perché nulla richiama inevitabilmente alla mente il non esserci di... qualcosa.

Pur non trattandosi di qualcosa, ritengo che non si possa considerarlo proprio astrazione...
Perché sembra viceversa essere l'autentica concretezza! Rispetto alla quale la realtà del nostro esserci mondano impallidisce.

Una tale concretezza si può pure percepire aprendosi per davvero. Uno sguardo però molto difficile da sostenere.

D'altronde dovremmo chiederci, senza più addurre scuse, cosa conta davvero in questa nostra vita.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Donalduck il 10 Dicembre 2020, 22:50:51 PM
Citazione di: viator il 10 Dicembre 2020, 20:54:38 PM
l'esistenza-essere altro non è che la condizione al cui interno le cause generano i propri effetti.......e le cause e gli effetti non possono venir considerati soggetti poichè risultano indistinguibilmente compenetrati e contemporaneamente entrambi incarnanti - se lo si vuole - sia il ruolo di soggetto che quello di oggetto

Ciao viator. Il grosso problema della tua definizione è che usa come concetti fondamentali quelli di causa ed effetto, che ovviamente presuppongono l'esistenza, si applicano solo all'esistente, possono essere definiti solo sulla base del concetto di esistenza.
Ma io penso che qualunque tentativo di trovare il "fondamento ultimo" di qualsiasi cosa nel migliore dei casi possa portare a due concetti (in genere di più) che si definiscono l'un l'altro. Del resto basta pensare alla natura del linguaggio, del segno, del pensiero. Niente si regge da solo, ogni cosa ha bisogno di un sostegno, anche se assistiamo al paradosso di due sostenenti-sostenuti ognuno dei quali sostiene l'altro e nessuno dei due cade, come due persone che restassero sospese in aria afferrando ognuno l'altro per un braccio, in tal modo impedendogli di cadere.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Donalduck il 10 Dicembre 2020, 23:02:45 PM
Citazione di: Alexander il 10 Dicembre 2020, 21:22:43 PM
Esistere come essere in atto, presente nella realtà.
Quindi se l'universo fosse in atto anche in mancanza di alcun soggetto conoscente, quindi in mancanza di un soggetto che esiste,in atto, sarebbe COME SE non esistesse ( come se non fosse in atto).

Eh, ma siamo sempre lì... Vedi che usi il termine realtà per definire l'esistenza (ma io ho specificato di considerarli sinonimi; se per te non sono la stessa cosa, dovresti definirli entrambi). Quello che sostengo è che senza soggetto, non c'è modo di distinguere potenza e atto, presenza e assenza, e neppure di definirli. L'esistenza presuppone la relazione e la relazione presuppone almeno due "estremi" della relazione.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Donalduck il 10 Dicembre 2020, 23:12:39 PM
Citazione di: bobmax il 10 Dicembre 2020, 22:30:34 PM
Pur non trattandosi di qualcosa, ritengo che non si possa considerarlo proprio astrazione...
Perché sembra viceversa essere l'autentica concretezza! Rispetto alla quale la realtà del nostro esserci mondano impallidisce.
Una tale concretezza si può pure percepire aprendosi per davvero. Uno sguardo però molto difficile da sostenere.
D'altronde dovremmo chiederci, senza più addurre scuse, cosa conta davvero in questa nostra vita.
A questo livello le parole valgono poco, si può contare solo sull'esperienza. Concordo sul fatto che per progredire su questo versante della conoscenza aprirsi è fondamentale, e aprirsi significa rinunciare a pregiudizi, paure, ego e "solide realtà". E quel che conta nella nostra vita non credo che possa essere espresso come una risposta a una domanda, ma solo essere rappresentato da un sentire (un "dato") solo vagamente esprimibile.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Alexander il 10 Dicembre 2020, 23:26:06 PM
Buonasera Donalduck



Penso che non riusciamo a comprenderci bene.Forse perché diamo significati diversi ai termini. Allora: per me "realtà" è  ciò che esiste, che è in atto. Comprende l'agente conoscente e l'oggetto conosciuto. L'agente conoscente crea la realtà ( agisce)e ne viene a sua volta creato (re-agisce).
Faccio mio questo celeberrimo passo:


«La vera filosofia deve in ogni caso essere idealista: anzi deve esserlo, se vuole semplicemente essere onesta. Perché niente è più certo, che nessuno può mai uscire da se stesso, per identificarsi immediatamente con le cose distinte da lui: bensì tutto ciò che egli conosce con sicurezza, cioè immediatamente, si trova dentro la sua coscienza. [...] Solo la coscienza è data immediatamente, perciò il fondamento della filosofia è limitato ai fatti della coscienza: ossia essa è essenzialmente idealistica.» Schopenhauer
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 11 Dicembre 2020, 00:15:12 AM
Citazione di: Alexander il 10 Dicembre 2020, 23:26:06 PM

Faccio mio questo celeberrimo passo:

«La vera filosofia deve in ogni caso essere idealista: anzi deve esserlo, se vuole semplicemente essere onesta. Perché niente è più certo, che nessuno può mai uscire da se stesso, per identificarsi immediatamente con le cose distinte da lui: bensì tutto ciò che egli conosce con sicurezza, cioè immediatamente, si trova dentro la sua coscienza. [...] Solo la coscienza è data immediatamente, perciò il fondamento della filosofia è limitato ai fatti della coscienza: ossia essa è essenzialmente idealistica.» Schopenhauer

La coscienza è data immediatamente in potenza, ma appena comincia a muoversi in qualche atto i contenuti che la "inquinano" o "fecondano", secondo il punto (ideologico) di vista, provengono dall'esterno fin dal primo imprinting parentale. L'integralismo autoreferenziale idealistico è caratteristico di una visione ottocentesca borghese che, idealisticamente, doveva inventarsi un uomo stirneriano per sopravvivere alla frustrazione del fallimento dell'illusione liberal-liberista.

Citazione di: bobmax il 10 Dicembre 2020, 22:30:34 PM
D'altronde dovremmo chiederci, senza più addurre scuse, cosa conta davvero in questa nostra vita.

Vivere. Esistere è un valore autogeno e autosufficiente. Col valore aggiunto della consapevolezza (qui sì il soggetto "pesa") di essere una singolarità evolutiva nell'infinito solitario silenzio dell'universo che ci circonda.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: bobmax il 11 Dicembre 2020, 09:05:17 AM
Citazione di: Donalduck il 10 Dicembre 2020, 23:12:39 PM
A questo livello le parole valgono poco, si può contare solo sull'esperienza. Concordo sul fatto che per progredire su questo versante della conoscenza aprirsi è fondamentale, e aprirsi significa rinunciare a pregiudizi, paure, ego e "solide realtà". E quel che conta nella nostra vita non credo che possa essere espresso come una risposta a una domanda, ma solo essere rappresentato da un sentire (un "dato") solo vagamente esprimibile.

Sì, penso anch'io che non sia possibile dare una risposta.

Se non, forse, il nostro diventare quella risposta.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: bobmax il 11 Dicembre 2020, 11:12:18 AM
Citazione di: Ipazia il 11 Dicembre 2020, 00:15:12 AM
Citazione di: bobmax il 10 Dicembre 2020, 22:30:34 PM
D'altronde dovremmo chiederci, senza più addurre scuse, cosa conta davvero in questa nostra vita.
Vivere. Esistere è un valore autogeno e autosufficiente. Col valore aggiunto della consapevolezza (qui sì il soggetto "pesa") di essere una singolarità evolutiva nell'infinito solitario silenzio dell'universo che ci circonda.

L'esistere, se lo si guarda senza infingimenti, cioè obiettivamente come la razionalità dovrebbe se fosse onesta con se stessa... è un puro nulla.

È sufficiente essere coerenti con la propria visione razionalista.
Una coerenza però difficile da attuare, per il terrore del nulla.

Ciò che conta infatti non è la vita in sé, ma ciò che sta oltre.

Per nostra fortuna vi è il male. Senza il male saremmo perduti nel nulla.

E allora, visto che c'è il male... cos'è che conta in questa vita?
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Alexander il 11 Dicembre 2020, 15:07:55 PM
La coscienza è data immediatamente [/size]in potenza[/size], ma appena comincia a muoversi in qualche [/size]atto[/size] i contenuti che la "inquinano" o "fecondano", secondo il punto (ideologico) di vista, provengono dall'esterno fin dal primo imprinting parentale. L'integralismo autoreferenziale idealistico è caratteristico di una visione ottocentesca borghese che, idealisticamente, doveva inventarsi un uomo [/size]stirneriano[/size] per sopravvivere alla frustrazione del fallimento dell'illusione liberal-liberista.[/size]


Niente è più lontano dal mio modo di sentire dell'Unico stirneriano.
Osservando il mondo attuale non mi sembra, tuttavia, che l'illusione liberal-liberista se la passi male..ci sono altri pensieri ottocenteschi che se la passano peggio (come il marxismo per esempio).
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: viator il 11 Dicembre 2020, 21:38:58 PM
Citazione di: Donalduck il 10 Dicembre 2020, 22:50:51 PM
Citazione di: viator il 10 Dicembre 2020, 20:54:38 PM

Ciao viator. Il grosso problema della tua definizione è che usa come concetti fondamentali quelli di causa ed effetto, che ovviamente presuppongono l'esistenza, si applicano solo all'esistente, possono essere definiti solo sulla base del concetto di esistenza.
Ma io penso che qualunque tentativo di trovare il "fondamento ultimo" di qualsiasi cosa nel migliore dei casi possa portare a due concetti (in genere di più) che si definiscono l'un l'altro. Del resto basta pensare alla natura del linguaggio, del segno, del pensiero. Niente si regge da solo, ogni cosa ha bisogno di un sostegno, anche se assistiamo al paradosso di due sostenenti-sostenuti ognuno dei quali sostiene l'altro e nessuno dei due cade, come due persone che restassero sospese in aria afferrando ognuno l'altro per un braccio, in tal modo impedendogli di cadere.

Salve donalduck. Sensatissima osservazione. Solamente che l'essere non viene da me dato come unico e fondamentale ingrediente costitutivo e generativo del Mondo.

Così come cause ed effetti risultano inestricabilmente connessi e mai disgiungibili all'interno della condizione dell'essere, l'altra faccia della medaglia vede raffigurati, all'interno del binomio causa-effetto, l'inestricabile complementare connessione tra l'essere ed il divenire.
Mentre causa ed effetto rappresentano la veste d'impronta percettiva-fisicistica di ogni cosa, l'essere ed il divenire ne sono la veste d'impronta concettual-filosofica. Saluti.
Titolo: Re:I postulanti dell'Assoluto
Inserito da: Ipazia il 11 Dicembre 2020, 22:20:31 PM
Citazione di: Alexander il 11 Dicembre 2020, 15:07:55 PM
La coscienza è data immediatamente [/size]in potenza[/size], ma appena comincia a muoversi in qualche [/size]atto[/size] i contenuti che la "inquinano" o "fecondano", secondo il punto (ideologico) di vista, provengono dall'esterno fin dal primo imprinting parentale. L'integralismo autoreferenziale idealistico è caratteristico di una visione ottocentesca borghese che, idealisticamente, doveva inventarsi un uomo [/size]stirneriano[/size] per sopravvivere alla frustrazione del fallimento dell'illusione liberal-liberista.[/size]

Niente è più lontano dal mio modo di sentire dell'Unico stirneriano.
Osservando il mondo attuale non mi sembra, tuttavia, che l'illusione liberal-liberista se la passi male..ci sono altri pensieri ottocenteschi che se la passano peggio (come il marxismo per esempio).


Certamente. L'individualismo ha vinto sull'illusionismo borghese di una società di uguali con rapporti di proprietà disuguali. L'Unico stirneriano è il superamento dell'utopia (libertè, egalitè, fraternitè) fallita già con Napoleone. La nuova borghesia stirneriana arriva trionfante fino ai giorni nostri perfettamente incarnata da personaggi alla Genovese, dopo che pensavamo di aver visto il peggio con Berlusconi. Di contro, tutte le prospettive egualitarie e solidaristiche se la passano male, com'è ovvio che sia di fronte ad un mercato che riesce a riciclare pure la solidarietà in forma mercificata ("coi clandestini si fanno più soldi che con la droga") importando schiavi ed esercito di riserva come due secoli fa. Vincendo pure su quel fronte.