Un sapere che tenda a qualcosa (diciamola verità) e che è quindi finalizzato, deroga alle leggi dell'evoluzione, ma se vi deroga, come fa ad essere proprietà di un essere che vi sottostà?
Nella mia ignoranza filosofica a un certo punto mi sono fatto una domanda, che non se che riscontro abbia nella storia della filosofia.
Della verità, rispetto a un sapere relativo, cosa di diverso ce ne dovremmo fare, oltre a contemplarla?
A un uomo che si caratterizza per un percorso di ricerca di verità, cosa succede una volta che l'abbia trovata?
Come farà a sapere di averla trovata, un volta che vi sia giunto?
Da cosa se ne accorgerà?
Che forma avrà questa verità?
Una frase di linguaggio, una formula matematica?
Mi sembra inverosimile che una verità possa ridursi a una forma simbolica. E perchè quella particolare frase o equazione e non un altra?
Io la vedrei piuttosto come una illuminazione.
Ma anche così la domanda rimane.
Poi di questa verità cosa ce ne faremo?
L'uomo che da sempre la cerca si sarà mai chiesto quali conseguenze potrebbe avere questo possesso, e in particolare se possano essere non desiderabili?
Se chiedendoselo arrivasse alla conclusione che desiderabili non sono, allora smetterebbe di cercarla?
Se quindi smettesse di cercarla finirebbe il suo percorso di ricerca, in quanto non è immaginabile una ricerca non finalizzata?
Sembra paradossale che nessuno possegga la verità, pur possedendone tutti il concetto.
Se pure non esistesse una verità, il concetto di verità esiste, e dunque da dove è saltato fuori?
Se non c'è nulla di perfetto a caratterizzarci, coscienza compresa, quali prodotti spuri questa potrebbe produrre nel suo esercizio, senza pur invalidarne l'efficacia?
Potrebbe essere il concetto di verità uno di questi prodotti?
Se smettessimo di cercare la verità il nostro percorso di ricerca cesserebbe?
Non è possibile trovare altrove ad esso sostegno, fosse anche la pura curiosità?
Penso che la verità riguardi qualcosa (la verità di...) e l'aspirazione a qualcosa ( la ricerca della verità). "Verità" in sé, svincolata dal discorso, è solo un termine. Cosa dovremmo farcene? Dipende. Se, per esempio, Dio fosse vero, non dovremmo adeguare la nostra vita a 'questa" verità? Se la sua esistenza risplendesse come un sole non vivremmo in modo diverso? È come la verità della realtà. Possiamo avere 8 miliardi di opinioni diverse sulla realtà, ma nessuna che dubita che ci sia qualcosa (sia nel senso di realtà comune che autoprodotta) "là fuori".
Nell'aspirazione alla verità metterei anche la visione di Bobmax, per esempio: essere la verità ( cioè fare della propria vita una manifestazione di essa).
Citazione di: Pio il 15 Luglio 2024, 10:02:37 AMNell'aspirazione alla verità metterei anche la visione di Bobmax, per esempio: essere la verità ( cioè fare della propria vita una manifestazione di essa).
Mi pare sia esperienza comune che ciò cui si aspira, una volta ottenutolo, non mostra di essere così appagante come avevamo sperato.
Perchè pensi che nel caso della verità le cose dovrebbero andare diversamente?
Non solo, ma una volta sperimentato eventualmente che la verità non dia gli effetti che avevi sperato, ma anzi magari il suo contrario, sei entrato così in una trappola dalla quale è impossibile uscire, perchè la verità una volta nota è impossibile metterla in discussione.
Noi in questo tipo di trappole ci cadiamo in continuazione, e magari trovandoci bene ci restiamo, ma penso che ce le godiamo al meglio nella misura in ne possediamo le chiavi.
Bèh, se la verità dà degli effetti non sono effetti sottoposti al piacere/dispiacere come qualsiasi altra cosa. Se sono verità condizionate possono alla fine deludere, essere abbandonate, superate o altro. Ma dalla verità come puoi essere deluso? Deluso sei della tua volubilità che ti porta ad avvicinarti o allontanarti da essa. Se sei vicino la vedi meglio, se sei lontano la vedi meno chiara, se sei ancora più lontano non la vedi più e dici: " la verità non esiste". Non è che non esista, sei tu che non la vedi più. :'(
Naturalmente se sei verità (Bobmax) anche se sei lontano e non la vedi più non è che non sei più verità. Casomai attesti la verità di esserne lontano.
Simplex sigillum veri. Scoprire l'assassino. I Wikileaks di Assange e le e-mail di Von der Leyen. Gli americani sulla luna. Copernico e Galileo. Anche nel mondo relativo la verità vale assai
Citazione di: Ipazia il 15 Luglio 2024, 14:21:58 PMSimplex sigillum veri. Scoprire l'assassino. I weekyleaks di Assange e le e-mail di Von der Leyen. Gli americani sulla luna. Copernico e Galileo. Anche nel mondo relativo la verità vale assai
Parli di verità relative, in quanto discutibili, da cui in qualche modo traiamo il concetto di verità assoluta.
Ma quali sarebbero gli effetti del possesso di una verità assoluta su di noi, e sulle nostre relazioni?
Gli effetti che vedo sulle persone, che anche solo credono di possedere la verità assoluta, non mi sembrano desiderabili.
Personalmente ridurre la conoscenza a semplicità è quanto mi basta per giustificare la mia ricerca.
Detto ciò il mio interesse residuo sul concetto di verità sta nella sua genesi e/o nell'essere stato fin qui uno strumento concettuale utile, più che una meta.
Se una conclusione della coscienza, ormai pur desueta, è stata ''non credo se non vedo'', mi sembra più interessante analizzare oggi la funzione più nascosta del suo contrario, ''non vedo se non credo''.
Senza questa ultima funzione non ''credo'' che potremmo scambiare le apparenze con la realtà.
La verità ha lo stesso valore di una ipotesi, rifiutabili entrambi, ma entrambi non discutibili.
Se è vera l'ipotesi allora ne segue che è vera....ma un ipotesi non è vera, ma semplicemente indiscutibile, come indiscutibile è la verità.
La si accetta oppure no, e finché non la si accetta nessuna costruzione, cosciente o meno, sarà possibile.
Quanto è importante riuscire a scambiare le apparenze con la realtà, come finora abbiamo fatto?
Si può immaginare questo fraintendimento che ha avuto certamente la sua utilità, ripetersi ancora, indipendentemente dalla quantità di coscienza coinvolta nell'operazione?
Può ancora ripetersi il miracolo in cui il verbo si fa sostanza della cosa in se?
L'essere potrà continuare ad essere ciò che è solo perchè si può continuare a dire che sia?
O perchè, anche non dicendolo, lo si è sottinteso?
Ma se era sufficiente sottintenderlo, come cosa che essendo ovvia, non andrebbe detta, allora in questa esplicitazione non dovuta, è scritto l'inizio della sua fine.
Non importa se la definizione dell'essere è circolare, e se nel definirlo in effetti non definiamo nulla, perchè il sentire l'esigenza di doverne dare una definizione, per quanto problematica, è significativo del fatto che l'essere ha iniziato ad entrare nell'orbita della coscienza, e quindi del dubbio.
Se la verità fin qui ha svolto una funzione essenziale,
riuscirà il dubbio a farne le veci?
Certo, stiamo parlando di due opposti, che però riguardati come strumenti concettuali potrebbero svolgere le stesse funzioni.
Ma ci si potrebbe chiedere, se possedevamo già uno strumento che funzionava, perchè cambiarlo sperando almeno in un pari risultato?
Immagino perchè non potevamo neanche lontanamente sperare che un incremento dell'uso di coscienza lasciasse tutto invariato come era, e se questo incremento continuerà quali altri effetti possiamo immaginare, per non lasciarci sorprendere da essi trovandoci a rimirare ancora una volta un mondo al contrario?
I mondi al contrario in effetti non esistono, perchè per esistere dovrebbero esistere un sopra e un sotto, che però non esistono, per quanto noi li percepiamo.
Ma siccome li percepiamo c'è chi crede ancora che perciò esistono, perchè la percezione, utente di evidenze, ammettiamolo, è ciò che tiene ancora in vita la verità nella nostra considerazione.
E che fine poteva dunque fare la verità in un contesto in cui sempre più abbiamo delegato la percezione della realtà agli strumenti di misura?
Insomma, l'unico modo per riuscire a capire perchè la verità stia facendo una brutta fine, lasciando da parte sterili lamenti funebri, e capire quale sia stata la sua genesi concettuale.
Perchè sia venuta al mondo, e perchè adesso sembra volerci lasciare?
La verità più assoluta disponibile è che non esistono verità assolute. Tale assioma deriva dal combinato disposto di causalità e verità. Non avendo accesso a causalità prime non possiamo nemmeno postulare verità ultime.
Il rischio della scepsi radicale è la sindrome da orfano della verità assoluta, ovvero ancora una subalternità al Santo Graal dell'assoluto.
Come ho postato sopra, le verità relative bastano e avanzano per vivere bene, a la loro assenza per vivere male nella menzogna. Sia lode a chi scopre almeno una verità relativa, capace di arricchire il patrimonio del logos e della verità possibile.
Le prefiche non hanno mai resuscitato alcun morto e l'assoluto prima lo si seppelisce meglio è. Anche per questione d'igiene: mentale.
La verità, come molti altri concetti che si trovano in linguaggi specializzati e nel linguaggio comune (altro esempio classico: coscienza), ha un significato polisemantico. C'è la verità giudiziaria, la verità di senso comune, la verità scientifica, la verità filosofica, quella teologica. Cito, en passant, che verità, nelle lingue indoiraniche deriva dal prefisso vir, che significa originariamente "fede". Una traccia di questo nesso è rimasto nella "vera" che è un altro nome per definire l'anello coniugale, simbolo della "fedeltà".
Oggi però ci siamo distaccati da quel significato originario, di verità come fede. Vogliamo la dimostrazione di ciò che riteniamo vero e da li discende che la verità è sempre relativa, frammentata, temporanea, ambigua. Ovvero l'opposto di tutto ciò che una certa tradizione ci ha tramandato: la verità come assoluto, fondato, sicuro, indiscutibile e intramontabile. La verità pertanto come scudo a ciò che accade nella vita, ovvero alla nostra situazione transeunte. La verità fissa nell'empireo è la consolazione dei nostri corpi destinati a perire e a relativizzarsi in una serie di reazioni chimiche (quelle sì, molto vere).
Eppure la verità assoluta diventa una specie di campanello che continua a suonare, proprio quando sembra sia stato sostituito dal campanello della verità relativa. Concordo con l'appello all'igiene mentale, ma la nostra cultura o la nostra natura ci ha soffiato dentro questo meccanismo, che ci sor-prende e che non sappiamo neppure più com-prendere. Senza far riferimento a verità teologiche piuttosto sanguinarie e spesso igienicamente a rischio, la verità ci consegna, se raggiunta, un senso di pienezza e soddisfazione che nessuna relatività può darci. Tendiamo a questo stato di armonia e la verità pertanto la vedo collegata alla bellezza e all'arte, come modo impreciso ed umano di acquisirla (Hegel).
L'arte ha indubbiamente un carattere veritativo, che la Secessione Viennese fece proprio mischiando il corpo disvelato con la primavera (ver sacrum).
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Nuda_Veritas
Un concetto è ciò che può essere pensato.
E ciò che può essere pensato è necessariamente qualcosa.
Assumere che la ricerca della Verità sia ricerca del "concetto di verità" dà per scontato che la Verità sia qualcosa.
Mostrando così di non aver presente che il qualcosa è tale soltanto perché espressione di relazioni con qualcos'altro...
La Verità non è un concetto.
Ma è ciò che permette qualsiasi concetto.
Non so. Forse hai ragione tu Bob, ma non necessariamente ciò che puó essere pensato è qualcosa o perlomeno non sempre è qualcosa di fisico. Talvolta è la stessa tradizione del pensiero a creare qualcosa, come Dio, che potrebbe non esistere in un altro tradizione (confucianesimo). Dio è comunque qualcosa nella tradizione che l'ha pensato, su questo possiamo essere d'accordo. Ma come Dio è sceso dal paradiso e viene osservato come creazione umana, lo stesso destino spetta alla verità. Porre la verità come deus ex machina del pensiero e di ciò che può essere pensato è rischioso come nel caso di ogni assoluto. Può essere accettabile solo una definizione di verità non veritativa, ovvero continuamente sottoposta a critica e a falsificabilità. Il Grund non è più individuabile, neppure nella verità. Ciò comporta gravi conseguenze, ne sono consapevole, prima fra tutte, la sostituzione della verità con il denaro, ma la verità è bifronte e la sua adorazione può comportare l'adesione alla schiavitù o alla violenza o a entrambe. La verità della assenza di verità come Grund, imporrebbe un grande sforzo collettivo ma non ne vedo traccia. Vedo invece masse minoritarie cercare la verità tradizionale come Grund o fede, e maggioranze che relativizzando ogni cosa, finiscono per perdere la direzione etica che ogni società non dovrebbe mai abbandonare.
Le verità del mondo, così come delle teorie. é qualcosa di dinamico, non statico. Essa si muove, esattamente come si muove la vita attraverso i secoli . Parlavamo ieri della cosa in sè. La cosa in sè non è mai esistita , essa è nata tramite l'idea di essenza naturalmente o di sostanza.
la ricerca della filosofia occidentale era in gran misura quella della ricerca di un fondamento , cosa vi è di fondamentnoale nell esistenza di una rosa? la fisica moderna risponde a questa domanda in maniera molto chiara e dice : niente.
Non vi può essere alcun fondamento nella rosa , tutto esiste solo in dipendenza da qualcosa d altro, in relazione a qualcosa d altro, la materia non ha qualità primarie propie , nemmeno le quattro forze fondamentali. Se l intera storia della filosofia intesa come noi la ricostruiamo è la storia del logos , ovvero della ragione filosofica , delle proposizioni filosofiche e anche del suo lessico; l'essere , l'ente presi come oggetti assoluti, l'essenza..
Bene, questa cosa , signori, è finita! e questa non è affatto la morte della filosofia , anzi è la grandezza della filosofia , la capacità di mettere in discussione i suoi stessi fondamenti. Dobbiamo avere anche noi il coraggio di criticare la nozione stessa di "entità" da sempre presa come fondamento in molte tradizioni filosofiche a partire da Eraclito.
È curioso notare come si possano fare affermazioni corrette, intendendo però proprio il contrario di ciò che in realtà si dice!
Infatti, sostenere che la Verità non esiste è corretto.
Ma spesso, costoro che lo dicono intendono che la Verità non è. Il che è invece del tutto assurdo.
Confondono cioè l'esistere con l'essere. Ritenendo, erroneamente, che siano meri sinonimi.
Per loro essere = esistere.
Mentre l'essere è incomparabile rispetto all'esistere.
Manca in costoro la percezione della profondità del reale, che appare loro invece piatto.
Ma perché appare piatto?
E vi è un bel pari a farglielo notare, non si schiodano.
Come mai?
Non sarà il Nulla, che trapela dietro alla esistenza, a far loro distogliere lo sguardo?
Quel Nulla è proprio l'Essere che si annuncia. Ma uscire dalla caverna platonica non è facile...
Il concetto di verità esiste, e tutti sappiamo di possederlo, mentre la verità potremmo possederla senza saperlo, nel senso che essa potrebbe agire in noi a nostra insaputa.
Provare a definire la verità, andando oltre il possesso del suo concetto , come per tutti i concetti, significa potenzialmente snaturarlo, perchè intendiamo in tal modo definire la natura di ciò che, pur possedendolo, non siamo in grado in effetti di ben precisare.
Però finché non si attua questa precisazione ognuno può parlare di verità senza che si sappia bene di cosa stia parlando, richiamando soltanto un concetto comune, ma fino a che punto comune non si sà.
Una possibile definizione di verità è come ''ciò che non si può negare'', e data questa definizione non resta che cercare i motivi per cui è impossibile questa negazione.
1.Uno è il possedere una verità senza saperlo, non potendola perciò negare.
2.Un altro è fare un affermazione gratuita, come ad esempio un ipotesi, la quale ponendosi a monte di una deduzione logica, non si può negare, in quanto ciò equivarrebbe ad abortire l'operazione che si intendeva fare.
Semmai saranno gli altri liberi di non accettare l'ipotesi, ma senza che ciò equivalga a negarla.
Di altri esempi al momento non me ne vengono in mente, ma sui due esempi fatti c'è già molto da dire.
I due punti io li porrei rispettivamente in relazione con la percezione, il primo, una verità nascosta in noi, che indirettamente si manifesta nell'evidenza con cui ci appare la realtà, nella misura in cui evidente ci appare.
Il secondo punto, ca va sans dire, sta a monte della ''percezione'' scientifica, se così possiamo dire, ponendosi essa in alternativa alla percezione naturale.
Se fra i due tipi di percezione c'è stato inizialmente un conflitto, per cui si pensava che solo una delle due poteva dire la verità, conflitto oltretutto ancora attuale, il conflitto si può risolvere ponendo, come ho fatto, la verità a monte, piuttosto che a valle.
Non credo ci sia altro da aggiungere se ci limitiamo a considerare la percezione scientifica o naturale come modi alternativi di rapportarsi con la realtà.
Diversamente la verità, in mancanza di una definizione, si presta a tutto e al contrario di tutto.
Che ci sia ancora qualcuno che parli di verità, senza sentirsi in dovere di specificare con precisione di cosa stia parlando, volendo su ciò fondare una filosofia, il cui fondamento però risiede, e resta incomunicabile, solo nella sua testa, mi sembra un operazione oggi non più accettabile.
Bei tempi quando bastava un comandamento biblico per definire la verità: 8.vo non dire falsa testimonianza.
La verità dovrebbe occuparsi della menzogna reale, prima della inarrivabile verità metafisica.
Laddove è l'essere entificato a mentire, la verità lo deve inchiodare sulla croce dell'inesistenza. Poi si procede per enti, definendo rigorosamente di ciascuno il campo di esistenza, con le sue sfumature e proprusioni, ma pure con i suoi confini chiari e distinti, secondo la negazione che è determinazione.
Il logos è faccenda umana e i dizionari sono istituzioni rispettabili.
Citazione di: Ipazia il 16 Luglio 2024, 15:51:39 PMBei tempi quando bastava un comandamento biblico per definire la verità: 8.vo non dire falsa testimonianza.
La verità dovrebbe occuparsi della menzogna reale, prima della inarrivabile verità metafisica.
Laddove è l'essere entificato a mentire, la verità lo deve inchiodare sulla croce dell'inesistenza. Poi si procede per enti, definendo rigorosamente di ciascuno il campo di esistenza, con le sue sfumature e proprusioni, ma pure con i suoi confini chiari e distinti, secondo la negazione che è determinazione.
Il logos è faccenda umana e i dizionari sono istituzioni rispettabili.
Spinoza : «la determinazione non appartiene alla cosa secondo il suo essere; al contrario essa è il suo non essere»
Hegel : ogni determinazione è una negazione.
Tutto bene, a patto di non dimenticarsi per strada chi le determinazioni fa.
La determinazione e la sua negazione, sommati fanno una contraddizione, che si può accettare piuttosto che provare a risolvere, ma senza dimenticarsi del suo autore.
Se ci si dimentica del suo autore, la contraddizione allora viene da se, ed è quindi autorizzata ad essere sostanza della realtà, come tutte le cose che vengono da se.
Se invece si tiene conto dell'autore, allora la realtà è una sua costruzione, che, volendo salvare il suo essere sostanza, e magari indifferenziata, dovremo farla arretrare dietro le quinte metafisiche, rimanendo al suo posto il mondo in cui di fatto viviamo, con tutte le sue relatività.
Differenziati saranno invece i mondi che da questa realtà potremo trarre, in base alle contraddizioni che scegliamo.
Questa possibilità di scelta riposa su una contraddizione che non scegliamo, quella di essere noi realtà , ma da essa distinti.
Questa è l'unica differenziazione in essere nella realtà che non scegliamo, che produce tute le altre.
Chi sceglie non è il prodotto di una scelta, ma non è neanche quel noi a cui ci riferiamo, ma qualcosa che sta dietro alla nostra percezione insieme al resto della realtà.
Se dalla percezione naturale passiamo a quella scientifica non c'è motivo di credere che cambi qualcosa di sostanziale, e in tutto ciò che si è detto in questo post della verità non si è fatta mensione.
E allora da dove spunta fuori questa verità?
Per capirlo secondo me bisogna tornare alla scelta che facciamo.
Quando di questa scelta non abbiamo coscienza infatti, allora la realtà ci apparirà come fatta di verità, cioè di non scelte, di non contraddizioni, ma di cose che appaiono da se, un pò come quegli infiltrati nelle feste che nessuno ha invitato.
Sempre per muoverci un po' nell'etere. La dicotomia che potrebbe essere usata per aggredire il "concetto" di verità è Atene vs Gerusalemme, ovvero le due tradizioni, insieme al pensiero giuridico romano che hanno modellato la nostra cultura. Atene come pensiero critico che non si appoggia a nulla se non al "sapere di non sapere" (e la verità non fa eccezione) e che sfocia nella continua ricerca di una provvisoria solidità sempre sottoponibile a verifica. Gerusalemme come verità indiscutibile e fondante, la Verità esiste ed è la veste finemente ricamata del potere ma anche del senso del mondo. Il mondo, con la verità, ottiene una direzione. Atene, invece, continua a smascherare falsi idoli e continua ad uscire da caverne verso la luce, che si rivela, ad un esame più attento, una nuova caverna. In questo modo, spalancando la porta al senso critico, alla libertà d'espressione, permette anche l'ingresso al nichilismo e al principio quantitativo come unica misura del mondo. Gerusalemme preserva il senso del mondo ma il rischio sta nel senso che sta in una verità che non può che essere unica, simbolica e non diabolica e quindi alfiere ideologico di ogni totalitarismo. È una partita a Ping/pong fra valori di cui è intessuto in profondità l'Occidente. Quello che mi domando è se sia possibile, in una sorta di processo dialettico hegeliano sollevarsi sopra le aporie di entrambi i principì di questa dicotomia.
Citazione di: Jacopus il 16 Luglio 2024, 17:51:01 PMQuello che mi domando è se sia possibile, in una sorta di processo dialettico hegeliano sollevarsi sopra le aporie di entrambi i principì di questa dicotomia.
Non so di che superuomo parlasse F.N., ma per farlo ci vuole un superuomo, che però non è propriamente un superuomo, ma è l'uomo che dialetticamente viene dopo, che noi lo si invochi oppure no.
E' l'uomo per il quale tutte le realtà consolidate, fisiche, giuridiche, e quant'altro, saltano tutte insieme, perchè abito fatto su misura di un uomo che non c'è più, o meglio che ancora c'è in forma residuale, e che prova a resistere con ogni mezzo, come è umano che sia.
Il passaggio da un uomo ad un altro è in effetti un invenzione narrativa, visto che questo passaggio è continuo, ma discontinua è la coscienza del passaggio, e perciò così lo narriamo.
Le complessità che questo nuovo uomo è chiamato ad affrontare, dovendo ricostruire tutto daccapo, potrebbero costituire apparentemente un impresa disperata, come fosse la prima volta che l'affrontassimo, ma non c'è mai nulla di veramente nuovo sotto il sole, se il fatto che siamo noi, adesso, ad affrontare le solite situazioni, non costituisca una differenza essenziale.
Secondo il premio nobel Parisi le complessità tendono a risolversi da ''sole'' usando espedienti di una semplicità disarmante.
quindi forse è eccessiva la nostra preoccupazione, che è la preoccupazione di quello che crede che il mondo dipenda tutto da lui, il che come abbiamo detto è,
ma nella misura in cui la coscienza non continua ad agire da sola, il peso risulta sempre più leggero di quel che siamo portati a pensare, e nella misura in cui non tutto dipende dalla coscienza, ''esisterà'' sempre per noi una fetta di mondo da poter confondere in modo rassicurante con la realtà.
Citazione di: Jacopus il 16 Luglio 2024, 17:51:01 PMQuello che mi domando è se sia possibile, in una sorta di processo dialettico hegeliano sollevarsi sopra le aporie di entrambi i principì di questa dicotomia.
Penso che Se due principi sono inconciliabili fra loro avremo sempre una divisione. il processo dialettico in questo caso metterebbe in evidenza l'inconciliabilità . Però devo dire che vi è una dicotomia ancora più pericolosa ,in termini tecnicamente filosofici si chiama "fallacia della falsa dicotomia" e si ha quando di fronte a due possibilità si pensa che ve ne debba essere per forza una che esculde l altra. Se è vera una deve essere falsa l altra si pensa , questo è molto comune , lo si riscontra spesso , neppure i filosofi di professione ne sono immuni.
Ma infatti Alberto, ho citato Hegel che non fonda la sua filosofia sull'esclusione di un principio contro un altro, ma sul suo superamento attraverso una sintesi di entrambi, il che è anche un ottimo antidoto ad ogni pensiero paranoico (che sono sempre in agguato e pronti ad andare "verso la mente", para-νοῦς).
Ala fine, se posso così sintetizzare il mio pensiero, nel suo divenire, come se potessi staccarmi da esso per riguardarlo, non è l'uso di coscienza a togliere progressivamente i veli di Maia uno dopo l'altro, perchè dietro quei veli non c'è niente di svelabile.
E' semmai l'uso di coscienza a concorrere diversamente alla creazione di mondi che riescono a stare più meno per la realtà, e sempre meno ci riescono quanto più concorre la coscienza.
La scienza comporta quell'agir coscienzioso, che implica la creazione di mondi sempre più evanescenti, ma che ci permettono ancora di interagire con la realtà, dimostrando che non è la solida concretezza necessaria in se all'azione.
Trattare di fantasmatici quanti e onde di probabilità non rende problematico il nostro agire nella realtà, ma anzi qualcuno dice il contrario.
Che sia il contrario oppure no la sostanza è che il nostro agire, seppur modificato, non viene compromesso.
Ma se diversa è divenuta l'azione allora diverso è l'agente, che alle sue azioni non resta mai indifferente, mutando la percezione di se insieme a quella della restante realtà.
Se esistesse una verità, e se noi riuscissimo raggiungerla, questo processo si cristallizzerebbe, e nella misura in cui questo processo noi siamo, cosa resterebbe di noi?
E a questo punto mi sentirei di restituire al mittente l'accusa di nichilismo al sostenitore di verità, il quale in effetti pur di sopravvivere a se stesso, è disposto contraddittoriamente ad annullarsi in questa verità.
Infatti se noi siamo chi effettua scelte, non importa se in modo cosciente oppure no, la conoscenza della verità annulla ogni possibilità di scelta, ed in essa quindi ci annulliamo.
Questa possibilità di conoscere la verità implica inoltre che nulla di nascosto resti ad agire in noi, in una piena realizzazione della coscienza che non lasci spazio ad altro da sè.
Citazione di: iano il 16 Luglio 2024, 19:57:16 PMQuesta possibilità di conoscere la verità implica inoltre che nulla di nascosto resti ad agire in noi, in una piena realizzazione della coscienza che non lasci spazio ad altro da sè.
Bella frase, Freud l'avrebbe sottoscritta. Prendo il problema da una nuova prospettiva, l'
ἀλήθεια greca in cosa differisce dalla ricerca della verità moderna? Differisce? La natura che si svela è l'aletheya. Quasi che la verità non abbia bisogno di un procedimento per il suo ritrovamento. La verità è un processo spontaneo che "avviene". Ma la verità moderna è una verità che si nasconde e che non è mai raggiunta definitivamente. In qualche modo si ottiene solo "consumando il mondo". L'aletheya invece è imprevedibile, non risponde a un programma ma ad eventi che rimandano ad un ordine non facilmente conoscibile. Ma nello stesso tempo, essendo svelamento, rimandano ad un ordine unico e indifettibile, permanente. Si tratta solo di attendere la sua scoperta. L'uomo moderno invece diventa un investigatore della verità. Non ci si limita ad accettare lo svelamento, ma si lavora affinché la verità diventi potenza e quindi consunzione del mondo. Ma nello stesso tempo è "vero" anche questo:
Citazione di: iano il 16 Luglio 2024, 19:57:16 PME a questo punto mi sentirei di restituire al mittente l'accusa di nichilismo al sostenitore di verità, il quale in effetti pur di sopravvivere a se stesso, è disposto contraddittoriamente ad annullarsi in questa verità.
Infatti se noi siamo chi effettua scelte, non importa se in modo cosciente oppure no, la conoscenza della verità annulla ogni possibilità di scelta, ed in essa quindi ci annulliamo.
La consunzione del mondo allora è inevitabile se vogliamo sentire di partecipare a questa verità da scoprire ed in continua "trasmutazione"? Perché la consunzione del mondo è la conseguenza dell'azione per la verità moderna, ma la verità moderna nel suo continuo cambiamento ci rende fautori del nostro destino, salvo però scoprire che il nostro destino è allora la consunzione del mondo. Ritorna il monito di Nietzsche, quando avvertiva che l'uomo è un essere non ancora ben congegnato.
Citazione di: Jacopus il 16 Luglio 2024, 21:35:03 PMLa consunzione del mondo allora è inevitabile se vogliamo sentire di partecipare a questa verità da scoprire ed in continua "trasmutazione"? Perché la consunzione del mondo è la conseguenza dell'azione per la verità moderna, ma la verità moderna nel suo continuo cambiamento ci rende fautori del nostro destino, salvo però scoprire che il nostro destino è allora la consunzione del mondo.
Sono affermazioni che fanno riflettere.-C'è tanto in gioco , se la verità, qualsiasi verità , non è al servizio della libertà , della nostra essenza specifica di esseri umani, per quanto caotica possa sembrare , per quanto violenta ,anche assassina , anche tutto quello che volete voi ma noi siamo di questo impasto! e io personalmente non voglio diventare di un altra pasta ed essere una rotellina che obbedisce all argoritmo della nuova verità , magari sfornata dall intelligenza artificiale che ci dice cosa è vero e cosa bisogna fare e cosa non bisogna fare. Non voglio sembrare nemmeno luddista che non capisce l importanza di una società dove tutto funziona , lo capisco. Però se il funzionamento della società è a discapito della capacità di anarchia, di ribellione, di sogno, di utopia , di sognare qualche cosa di
diverso! ...bhè , in questo caso si che si deteriora e si consuma qualche cosa, si perde la specifica umana.
La ricerca della verità è superiore al possesso della verità. è questa ricerca della verità che ci fa sentire vivi che ci fa crescere ed entusiasmarci. Se un genio dovesse comparire dalla lampada e in una mano tenesse tutta la verità e dall altra la sola pulsione verso la ricerca della verità, ovvero il vecchio uomo che ammicca e che procede e che sbaglia e che riformula . Io sceglierei la seconda.
Citazione di: Jacopus il 16 Luglio 2024, 21:35:03 PMPrendo il problema da una nuova prospettiva, l'ἀλήθεια greca in cosa differisce dalla ricerca della verità moderna? Differisce? La natura che si svela è l'aletheya. Quasi che la verità non abbia bisogno di un procedimento per il suo ritrovamento. La verità è un processo spontaneo che "avviene".
Che la realtà si presenti a noi in modo immediato, nella sua evidenza, potrebbe essere il risultato di un procedimento nascosto.
Ma quando questo procedimento nascosto non è, come nel caso della ricerca scientifica, otteniamo davvero nella sostanza risultati diversi?
Certamente formalmente lo sono, ma se i due risultati sono confrontabili nella sostanza, come a me pare, allora abbiamo un indizio che ciò che si può fare in coscienza lo si può fare anche senza.
Abbiamo cioè due diversi modi di fare, assimilabili comunque al fare umano in generale.
L'aleteia, di cui mi sono andato cercare il significato, è la parte finale del risultato cui giunge il processo, ed è la sola cui la nostra coscienza ha accesso.
E' come se avessimo affidato la nostra ricerca ad un intelligenza artificiale, che, seppur da noi programmata, non siamo in grado di seguirne però i processi, potendo solo leggere il risultato finale del suo lavoro.
Ma come facciamo allora ad essere sicuri del risultato se non abbiamo potuto seguire in modo critico il suo lavoro?
Poniamo allora pure che siamo in grado di riuscire a farlo, non essendovi una impossibilità teorica a far ciò, ma il processo ne uscirebbe allora talmente rallentato da renderlo di fatto inutile.
Sembra allora che vi siano dei buoni motivi per rinunciare a un pervasivo controllo cosciente sul nostro agire, che diversamente, seppur ciò sia teoricamente possibile fare, renderebbe il processo insostenibile economicamente, cioè irrealizzabile di fatto.
Ma forse che la nostra intelligenza non agisca in modo simile a quella artificiale?
Abbiamo forse il pieno controllo sui nostri processi intelligenti, dei quali a volte abbiamo solo l'evidenza del risultato, come quando usiamo l'intuizione?
A un certo punto intuiamo la soluzione di un problema, ma senza sapere come abbiamo fatto.
Eppure rifiutiamo l'intelligenza artificiale accusandola di ciò di cui potremmo accusare l'intelligenza naturale, di non aver cioè il pieno controllo sui suoi processi.
Quindi facciamo figli e figliastri?
Ora anche la ricerca scientifica è giunta alle stesse ''conclusioni'' della percezione naturale, di non poter fare a meno di usare processi nascosti.
Certo l'evidenza di un risultato sul monitor non ha la poesia di una aurora o di un tramonto, ma chi di noi ha più pratica delle cose della scienza pur parla della bellezza di un equazione.
La notizia buona è che non ponendosi la scienza in alternativa alla percezione, come quando dividendoci in due fazioni assegnavamo all'una o all'altra patente di verità, allora possiamo aggiungere la bellezza di una equazione a quella di un tramonto.
Citazione di: Jacopus il 16 Luglio 2024, 21:35:03 PMLa consunzione del mondo allora è inevitabile se vogliamo sentire di partecipare a questa verità da scoprire ed in continua "trasmutazione"?
Se capisco cosa intendi dire, la consunzione è il prezzo che ci chiede la coscienza per il suo uso, per cui quantomeno è improprio mitizzarla.
La nostra conoscenza non potrà non essere antropocentrica, ma conoscere significa decentrarsi in continuazione, spostandoci da un centro all'altro, di modo che una centralità diversa diventa ogni volta rappresentativa di noi.
Scoprire queste centralità nascoste è una specie di gioco, cui forse ci costringe la nostra immaturità costituzionale, per cui il nostro cervello non smette di plasmarsi giocando alla realtà.
La verità è il risultato di un gioco nascosto dentro di noi al quale abbiamo affiancato giochi nuovi, perdendo la verità così la sua unicità, e quindi la sua supposta univocità.
Unica è la realtà, ed unica è rimasta la verità finché abbiamo giocato a un gioco solo, potendosi assimilare perciò fino a un certo punto in una ovvia corrispondenza le due unicità.
Citazione di: Alberto Knox il 16 Luglio 2024, 23:02:08 PMLa ricerca della verità è superiore al possesso della verità. è questa ricerca della verità che ci fa sentire vivi che ci fa crescere ed entusiasmarci. Se un genio dovesse comparire dalla lampada e in una mano tenesse tutta la verità e dall altra la sola pulsione verso la ricerca della verità, ovvero il vecchio uomo che ammicca e che procede e che sbaglia e che riformula . Io sceglierei la seconda.
E questo cosa significa?
Non significa forse che la Verità ha bisogno di te?
Che la Verità non può essere senza di te?
E non vuole dire pure che la Verità non può esistere?
Se esistesse e ti comparisse davanti in tutto il suo splendore... semplicemente non sarebbe la Verità.
Questa tua considerazione ricorda Dostoevskij, che tra Cristo e la verità sceglie Cristo.
È l'Essere che è Essere Vero. E in quanto tale non esiste.
Citazione di: Alberto Knox il 16 Luglio 2024, 23:02:08 PMLa ricerca della verità è superiore al possesso della verità. è questa ricerca della verità che ci fa sentire vivi che ci fa crescere ed entusiasmarci. Se un genio dovesse comparire dalla lampada e in una mano tenesse tutta la verità e dall altra la sola pulsione verso la ricerca della verità, ovvero il vecchio uomo che ammicca e che procede e che sbaglia e che riformula . Io sceglierei la seconda.
E non saresti il solo: "Se Dio tenesse chiusa nella mano destra tutta la verità e nella sinistra il solo desiderio sempre vivo della verità e mi dicesse: scegli! Sia pure a rischio di sbagliare per sempre e in eterno mi chinerei con umiltà sulla sua mano sinistra e direi: Padre, dammela! La verità assoluta è per te soltanto" (Lessing;
fonte).
Citazione di: Phil il 17 Luglio 2024, 08:52:42 AME non saresti il solo: "Se Dio tenesse chiusa nella mano destra tutta la verità e nella sinistra il solo desiderio sempre vivo della verità e mi dicesse: scegli! Sia pure a rischio di sbagliare per sempre e in eterno mi chinerei con umiltà sulla sua mano sinistra e direi: Padre, dammela! La verità assoluta è per te soltanto" (Lessing; fonte).
Una fantasia basata su pessime concezioni filosofiche: Dio e la verità assoluta, ricorda anche il Socrate di Platone che sa di non sapere perchè non è un dio.
Nella mia vita di verità ne ho trovate molte, alla luce del sole, senza tema di smentita, a partire dal fatto che il nulla non esiste.
Ogni sistema ha le sue verità. Qui mi pare si indulga molto sui "massimi sistemi", inconoscibili per definizione, laddove la scepsi vince facile. Anch'io nel corso della mia vita ne ho trovate molte di verità. Relative al sistema in cui avevano senso, evitando di mischiare sacro e profano.
Al mattino al risveglio almeno una verità si impone, via via più dolente e dolorante, ma talvolta gioiosa: quella della propria esistenza come inscindibile entità psicosomatica. Verità confermata dal riconoscimento da parte di umani e animali della nostra vita, che noi a nostra volta confermiamo nella loro.
Io vado in controtendenza :) : conoscere (con tutto il proprio essere e quindi non solo intellettualmente) la verità è preferibile alla ricerca della verità senza un approdo. Per diversi motivi:
1 - la verità è somma perfezione . È preferibile la perfezione all'imperfezione.
2 - la verità è somma bellezza. È preferibile una bellezza superiore ad una inferiore.
3 - la verità è compimento della vera pace. È preferibile la vera pace al conflitto perenne.
4 - la verità è approdo definitivo di ogni ricerca. È preferibile un approdo definitivo che navigare in eterno trasportato dai venti.
5 - la ricerca della verità senza esito STANCA. Si abbandona la ricerca della verità per stanchezza e i giorni (miei) si fanno vuoti e privi di significato. Chi , affamato e assetato, invece di un frigo pieno preferirebbe vagare continuamente in cerca di un supermercato, di un frutteto o di una fonte? Per me solo uno stolto. Chi potendo attingere ad una fonte di acqua pura, vagherebbe contento di stagno in stagno, di palude in palude? Solo uno stolto. Chi , potendo ammirare una bellezza incomparabile preferirebbe attardarsi ad ammirare una latrina? Un campione di stoltezza! Comunque il mondo è pieno di stolti che vagano di qua e di là e celebrano la bellezza di vagare. Se si potesse stare sulla cima di un monte così da poter ammirare TUTTO il paesaggio, non sarebbe da sommi stolti preferire vagare ai piedi del monte vedendo solo una porzione minuscola di paesaggio? In più, stoltezza della stoltezza, denigrare colui che può ammirarlo tutto? Ahinoi mortali! 😎 😑
Per queste e molte altre ragioni dico: fatemi conoscere la verità e voi, se preferite, vagate pure...😆😘
Citazione di: Pio il 17 Luglio 2024, 17:08:54 PM5 - la ricerca della verità senza esito STANCA. Si abbandona la ricerca della verità per stanchezza e i giorni (miei) si fanno vuoti e privi di significato.
tutti i 5 punti da te elencati sono ragionevoli, ma appunto le ragioni di tutti e 5 si condensano in questa piccola frase in neretto, e fa trasparire una grande verità in se stessa, ovvero, noi cerchiamo e aneliamo la verità , perchè non possiamo sopportare una vita priva di senso.
Citazione di: Phil il 17 Luglio 2024, 08:52:42 AME non saresti il solo: "Se Dio tenesse chiusa nella mano destra tutta la verità e nella sinistra il solo desiderio sempre vivo della verità e mi dicesse: scegli! Sia pure a rischio di sbagliare per sempre e in eterno mi chinerei con umiltà sulla sua mano sinistra e direi: Padre, dammela! La verità assoluta è per te soltanto" (Lessing; fonte).
Sì, phil mi sono ispirato a Lessing , hai centrato il bersaglio ;)
Citazione di: Phil il 17 Luglio 2024, 08:52:42 AME non saresti il solo: "Se Dio tenesse chiusa nella mano destra tutta la verità e nella sinistra il solo desiderio sempre vivo della verità e mi dicesse: scegli! Sia pure a rischio di sbagliare per sempre e in eterno mi chinerei con umiltà sulla sua mano sinistra e direi: Padre, dammela! La verità assoluta è per te soltanto" (Lessing; fonte).
La verità inizia dall'archè. Senza archè non può esserci verità. "En archè en o logos (verità). E la verità era presso Dio (possesso). Subito corretto: "e la verità era Dio (essere)".
Il logos di Giovanni assomiglia a quello di Eraclito, magari meno dinamico, ma il senso arcaico del logos-verità finisce con l'identificarsi con la Legge suprema, che possiede ed è la verità.
Purtroppo per noi postumi quell'archè veritativa, ancora fiorente tra Spinoza e Lessing, si è dissolta e ci dobbiamo accontentare di un prosaico bigbang e di verità relative. Che però conservano tutto il valore della verità perché "la verità è rivoluzionaria". Come ben sa Assange e chiunque lotti contro le menzogne del potere.
Citazione di: Pio il 17 Luglio 2024, 17:08:54 PMIo vado in controtendenza :) : conoscere (con tutto il proprio essere e quindi non solo intellettualmente) la verità è preferibile alla ricerca della verità senza un approdo. Per diversi motivi:
1 - la verità è somma perfezione . È preferibile la perfezione all'imperfezione.
2 - la verità è somma bellezza. È preferibile una bellezza superiore ad una inferiore.
3 - la verità è compimento della vera pace. È preferibile la vera pace al conflitto perenne.
4 - la verità è approdo definitivo di ogni ricerca. È preferibile un approdo definitivo che navigare in eterno trasportato dai venti.
5 - la ricerca della verità senza esito STANCA. Si abbandona la ricerca della verità per stanchezza e i giorni (miei) si fanno vuoti e privi di significato. Chi , affamato e assetato, invece di un frigo pieno preferirebbe vagare continuamente in cerca di un supermercato, di un frutteto o di una fonte? Per me solo uno stolto. Chi potendo attingere ad una fonte di acqua pura, vagherebbe contento di stagno in stagno, di palude in palude? Solo uno stolto. Chi , potendo ammirare una bellezza incomparabile preferirebbe attardarsi ad ammirare una latrina? Un campione di stoltezza! Comunque il mondo è pieno di stolti che vagano di qua e di là e celebrano la bellezza di vagare. Se si potesse stare sulla cima di un monte così da poter ammirare TUTTO il paesaggio, non sarebbe da sommi stolti preferire vagare ai piedi del monte vedendo solo una porzione minuscola di paesaggio? In più, stoltezza della stoltezza, denigrare colui che può ammirarlo tutto? Ahinoi mortali! 😎 😑
Per queste e molte altre ragioni dico: fatemi conoscere la verità e voi, se preferite, vagate pure...😆😘
Sì, la ricerca della Verità non è in effetti "ricerca".
Perché si cerca sempre e comunque qualcosa.
Mentre la Verità, non esistendo, qualcosa non è.
Si andrebbe cercando chi, cosa?
Il Nulla?
La ricerca implica il cercare di raggiungere una conoscenza. E la conoscenza è sempre un sapere circa qualcosa.
Difatti, almeno nel mio caso, non sono mai andato a cercare la Verità. Che non saprei nemmeno da che parte incominciare...
Spesso ho voluto conoscere la verità di qualcosa, sapere il perché e il percome di ciò che avviene, ma certo non ho mai indagato la Verità. Sarebbe un non senso.
Come intendere allora la "ricerca della Verità"?
Cos'è questa ricerca che non è una ricerca?
È una apertura.
Non una apertura a qualcos'altro da me, che dovrei lasciar entrare in me.
Ma una apertura nella mia scorza, che impedisce che si mostri l'Essere che è in me, che io stesso sono.
Perciò è un lasciar emergere da me il Vero.
E come si fa?
Si ama.
E più si ama e più si soffre. Per tutto l'amore che abbiamo negato.
Ma più si ama e più la Verità traspare.
Il fatto è che non avete dato una vostra definizione di verità, né criticato la mia.
Dare una definizione significa snaturare l'idea che ne avete,
ma significa anche poter condividere un concetto di verità.
E' dunque questa la differenza fra filosofia e scienza,
laddove la filosofia non dà definizioni?
A meno che non l'abbiate data e a me è sfuggita fra le righe, e a meno che altri filosofi non l'abbiano già data e io non la conosca.
Secondo la definizione che io ne ho dato, sono convinto che la scienza sia basata su delle verità, innegabili perchè nascoste.
Qui il velo di maia però funziona al contrario, perchè quando togli il velo da queste verità esse ''scompaiono'', perchè diventano negabili.
Non mi risulta che ci sia una ricerca di queste verità che stanno a monte della scienza, una volta smesso di cercare quelle a valle.
La storia della scienza ci da esempi di questi svelamenti, che comunque prima o poi avvengono, anche quando non li si agevola, e io sospetto che questo processo non abbia una fine, perchè una nuova verità, portata dentro di sè da un uomo nuovo, e che da essa è caratterizzato, prende sempre il posto di quella svelata, che se và col vecchio uomo.
Questa ricerca di ''verità'' potrebbe essere un compito per filosofi, andare cioè cercare la verità nascosta senza aspettare che emerga da sola, che equivale ad andare in cerca dell'uomo nuovo.
Avete link da darmi in tal senso?
Cioè esiste o è esistita una ricerca filosofia del genere?
Se le cose stanno così, la ricerca di verità, intesa sempre secondo come l'ho definita, non finisce mai, perchè scoperta una verità, un'altra prende il suo posto, o almeno io credo che le cose stiano così.
Queste verità sono le metafisiche su cui la fisica si basa.
E se le cose stanno così questa cosa sarebbe da approfondire.
Dico solo a livello intuitivo che non si potrebbe fare una fisica che non sia basata su delle ''verità''.
In definitiva credo che la verità stia dentro l'uomo, ma che non sia eterna, perchè con esso muore, mentre nuove verità e nuovi uomini ne prendono il posto.
La verità è dentro di noi, ed lì che va cercata, ma tenendo conto che questo uomo è parte di una realtà cn la quale si relaziona, e la verità più che essere contenuta nell'uomo potrebbe essere il cordone ombelicale che lo lega al resto della realtà.
Citazione di: iano il 18 Luglio 2024, 12:48:46 PMSecondo la definizione che io ne ho dato, sono convinto che la scienza sia basata su delle verità, innegabili perchè nascoste.
io, non trovo sia così, cioè che la scienza si basa su verità nascoste. Sarebbe il contrario invece, cioè che la scienza si basa su assunzioni ( e non verità) verificabili da chiunque. IL problema è che a volte queste assunzioni ,che possono essere delle nuove scoperte, sono molto specialistiche ed accessibile a pochi. Un caso fra tutti è la scoperta del bosono di Higgs. Come lo si può verificare se non con un accelarotore di particelle? Non è che possiamo costruircelo, ci dobbiamo fidare del loro esperimento. La verifica sperimentale non è nascosta, è difficile da ripetere. Vedete bene che la scienza procede per teorizzazioni , prima si teorizza che all interno del modello standard ci debba essere tale particella mediatrice , poi si eseguono le sperimentazioni, se le sperimentazioni confermano le ipotesi , si ha la scoperta. la scienza parte da ipotesi, non da verità nascoste.
La scienza, come osservato da knox, scopre le verità che ha gli strumenti d'indagine per scoprire: analisi chimica, cannocchiale, microscopio, bilancia, ...
L'atomo è ben nascosto ai nostri sensi; era stato intuito dagli atomisti ellenici, ma c'è voluto la potenza tecnologica della chimica moderna per darne una rappresentazione verosimile.
Non c'è una (cono)scienza per tutte le stagioni, ma solo per quelle tecnologicamente propizie.
Citazione di: Alberto Knox il 18 Luglio 2024, 15:41:36 PMio, non trovo sia così, cioè che la scienza si basa su verità nascoste. Sarebbe il contrario invece, cioè che la scienza si basa su assunzioni ( e non verità) verificabili da chiunque.
Chi potrebbe darti torto...ma le conclusioni cui sono giunto, non necessariamente in modo rigoroso, partono appunto da una assunzione, laddove ho dato una definizione di verità.
Verità come ciò che non può essere negato.
Quindi passo a fare un possibile elenco dei motivi di questa impossibilità, uno dei quali è qualcosa che agendo in incognito, non può perciò essere negato.
Ciò equivale banalmente ad affermare che non tutto ciò che agisce in noi passa per la coscienza, essendo la coscienza un modo di agire che non esaurisce il nostro fare.
Quindi se c'è una cosa che agisce celata in noi, coerentemente con la definizione che ho dato di verità, non potendosi negare in quanto celata, allora essa è una verità.
La scienza si basa sulla verità, ma è la diversa verità di ognuno di noi, cioè la soggettiva idea che ne abbiamo senza esplicitarla, finché non se ne dà una definizione, su cui poi si è liberi di convergere, per fare eventualmente un gruppo di lavoro scientifico, cioè un insieme di individui che fa un lavoro basato su cose condivise.
Che le prove scientifiche vengano ripetute da noi oppure no, ciò che conta è che siano ripetibili, ed essendo ripetibili qualcuno le ripeterà.
Quante volte?
Quelle che avremo la voglia di fare nei limiti del numero di quelle che sono fattibili.
Citazione di: Ipazia il 18 Luglio 2024, 16:11:09 PMLa scienza, come osservato da knox, scopre le verità che ha gli strumenti d'indagine per scoprire: analisi chimica, cannocchiale, microscopio, bilancia, ...
L'atomo è ben nascosto ai nostri sensi; era stato intuito dagli atomisti ellenici, ma c'è voluto la potenza tecnologica della chimica moderna per darne una rappresentazione verosimile.
Non c'è una (cono)scienza per tutte le stagioni, ma solo per quelle tecnologicamente propizie.
Io sono anche d'accordo su quello che dici, però questo accordo fra noi riposa sull'assunzione che per verità intendiamo la stessa cosa, che è una ipotesi un pò forte.
Meglio sarebbe se il nostro accordo si basasse su una definizione di verità condivisa, non foss'altro perchè, che esista o meno la verità, esistono certamente tante idee soggettive di verità, ma noi ne parliamo invece correntemente come fosse un oggettività.
Ma poi si vede bene come in questa discussione ognuno ha una sua personale idea di verità non comunicabile di fatto.
In sintesi quello che voglio dire è che anche nel regno del dubbio esistono delle verità di fatto, se vero è ciò che non può essere negato.
Quindi individuo due motivi che determinano questa impossibilità.
1. Ciò che pur agendo resta celato non si può negare, cioè non gli si può impedire di agire.
Come corollario aggiungo che nel momento in cui si svelasse gli impediremo di spadroneggiare, entrando alle dipendenze della coscienza giudicatrice.
2. una ipotesi scientifica non si può negare, perchè non si può negare ciò che liberamente si afferma, potendosi solo rifiutare l'affermazione.
Il punto 1 presiede alla percezione naturale, mentre il 2 a quella scientifica.
Entrambe si basano su una verità che sta a monte, e che quindi è inutile cercare a valle.
Se è vero che non si può fare scienza senza matematica e logica, ogni teoria scientifica è una elaborazione logica delle ipotesi di partenza, i cui risultati valgono il riscrivere le premesse in diverso modo, ciò che comporta che conclusioni e premesse sono intercambiabili.
Se qualcuno applicando la logica pensa di poter giungere a verità che non possiede già, si illude.
Citazione di: iano il 18 Luglio 2024, 16:58:52 PMLa scienza si basa sulla verità, ma è la diversa verità di ognuno di noi, cioè la soggettiva idea che ne abbiamo senza esplicitarla, finché non se ne dà una definizione, su cui poi si è liberi di convergere, per fare eventualmente un gruppo di lavoro scientifico,
Darò quindi la mia definizione di verità ;
la verità è intollerante , perchè la verità è sostanzialmente la capacità che ha un affermazione di negare tutte le sue negazioni. Per questo motivo bisogna smettere di parlare di verità scientifica allo stesso modo in cui bisogna smettere di parlare di verità di fede. la scienza non si basa sulla verità perchè i propi risultati non sono verità , sono ipotesi confermate . Per essere verità devono essere in grado di negare qualsiasi negazione nel tempo , ovvero devono essere sempre valide. Essendo il metodo scientifico basato su ipotesi e conferma , se si troverà un ipotesi più esplicativa , più completa e più efficace si assumerà questa nuova ipotesi come teoria predominante o legge di natura . Se così non fosse la scienza sarebbe dogma e non ricerca della verità. Anche i filosofi non hanno verità da divulgare al mondo , tutto quello che può fare un filosofo è di vedere se nelle assunzioni vi siano o meno delle contraddizioni, se non ne ha la si tiene in gioco se ne ha è fuori gioco. Questo perlomeno se si assume come metodo filosofico il metodo Socratico .
Citazione di: Alberto Knox il 18 Luglio 2024, 20:47:03 PMEssendo il metodo scientifico basato su ipotesi e conferma , se si troverà un ipotesi più esplicativa , più completa e più efficace si assumerà questa nuova ipotesi come teoria predominante o legge di natura .
mi son dimenticato di evidenziare questo punto per Iano e lo faccio qui. Chiaramente qui quando dico "se si troverà una nuova ipotesi..." sto parlando di ipotesi confermate sperimentalmente non ipotesi campate in aria .
Citazione di: Alberto Knox il 18 Luglio 2024, 20:52:15 PMsto parlando di ipotesi confermate sperimentalmente non ipotesi campate in aria .
Si, ma io direi la stessa cosa in un diverso modo, considerando che le teorie matematiche sono per loro nuovo statuto, dopo Euclide, campate in aria, ma ciò non esclude che possano trovare applicazione.
Sono cioè strumenti già pronti alla bisogna, se l'occasione si dovesse presentare.
La previsione probabilistica che ciò possa verificarsi però è veramente infima, eppure è proprio ciò che si verifica con una frequenza sospetta, e ancor più sospetto il fatto che teoria fisica e la matematica che gli bisogna nascono in modo indipendente nello stesso periodo storico.
Ma allora cos'è che agendo sottotraccia smentisce clamorosamente il nostro calcolo di probabilità?
Per Euclide la sua geometria è la descrizione dello spazio reale.
Per Einstein, la geometria di uno spazio tempo irreale, perchè non euclideo, cioè che non descrive alcuna realtà, diventa la realtà della sua teoria.
La matematica che serviva ad Einstein c'era già, ma lui non lo sapeva, e senza quasi cambiare una virgola si è limitato ad applicarla alla sua idea di spazio tempo.
Tutto ciò sembra il risultato di una azione coordinata fra matematici e fisici, ma non vi è stato alcun coordinamento, nessun direttore d'orchestra.
Come si spiega?
Sembra un quesito da porre agli studiosi della complessità.
Siamo come le formiche che agiscono in modo coordinato pur senza avere un progetto e qualcuno che le dirige?
Qual'è ''la verità'' che ci guida a nostra insaputa?
Non saprei dirlo, ma sospetto che si tratti di una verità diversa da quella che guidava Euclide e i suoi contemporanei, una verità che rendeva evidenti gli assiomi della sua geometria.
La definizione migliore di verità per me resta quella dell'aquinate: "adaequatio rei et intellectus". Avendo chiaro che è l'intelletto che si deve adeguare alle cose, così come fa la matematica quando traduce in funzione un fenomeno naturale.
Se la funzione ci azzecca sembra un evento eccezionale, mentre si tratta soltanto di abile uso di uno strumento logico.
Citazione1. Ciò che pur agendo resta celato non si può negare, cioè non gli si può impedire di agire.
Come corollario aggiungo che nel momento in cui si svelasse gli impediremo di spadroneggiare, entrando alle dipendenze della coscienza giudicatrice.
Più che di giudizio si tratta di azione: si indaga un fenomeno sconosciuto, si individuano gli agenti causali, e si opera. Consueto metodo scientifico.
Citazione2. una ipotesi scientifica non si può negare, perchè non si può negare ciò che liberamente si afferma, potendosi solo rifiutare l'affermazione.
Ma si può falsificare, uscendo dal terreno della doxa ed entrando in quello della "verità". La falsificazione non è opinabile, che ci si trovi in laboratorio o tribunale.
Citazione di: iano il 18 Luglio 2024, 21:56:09 PMSi, ma io direi la stessa cosa in un diverso modo, considerando che le teorie matematiche sono per loro nuovo statuto, dopo Euclide, campate in aria, ma ciò non esclude che possano trovare applicazione.
Sono cioè strumenti già pronti alla bisogna, se l'occasione si dovesse presentare.
La previsione probabilistica che ciò possa verificarsi però è veramente infima, eppure è proprio ciò che si verifica con una frequenza sospetta, e ancor più sospetto il fatto che teoria fisica e la matematica che gli bisogna nascono in modo indipendente nello stesso periodo storico.
sì è vero che i matematici che avevano formulato operazioni algebriche erano interessanti solo dal punto di vista matematico , un esercizio potremmo dire ma che non avevano alcuna attinenza con gli atomi ad esempio o in fisica in generale. Poi si è visto che quelle equazioni potevano essere applicate alle regolarità che si trovano in natura, non facendo un copia e incolla naturalmente, riadattandole , nuove formule come le equazioni differenziali alle derivate parziali. Ora non vi è dubbio che la matematica sia come lo strumento , la matematica è uno strumento che consente di svelare o di provare a svelare alcuni segreti dell universo . Come il linguaggio alfabetico ha diritto di essere utilizzata e senza la quale è impossibile spiegare fenomeni fisici come ad es che l elettrone non orbita attorno al nucleo come un pianeta attorno al sole ma come un onda.
Citazione di: Ipazia il 18 Luglio 2024, 22:43:28 PMLa definizione migliore di verità per me resta quella dell'aquinate: "adaequatio rei et intellectus".
Una definizione lungimirante, perchè che esperienza poteva avere l'aquinate di un adeguamento delle cose all'intelletto?
Ma che definizione di verità sarebbe, se in questo rapporto paritario fra intelletto e cose, nessuna delle due si impone sull'altra con la sua verità?
vorrei presentare un video che illustra egregiamente come la scienza procede per ipotesi e collaborazioni successive e come la matematica sia uno strumento indispensabile per tale lavoro
Abbiamo al meno un mistero da giocarci.
Dove lo mettiamo?
Io il mistero lo piazzo nel fatto che in una realtà che possiamo supporre indistinta, cioè senza una forma, esistano al suo interno un osservatore come parte, e la restante parte da osservare, e che questo osservatore pur rileva forme in questa realtà osservandola, segno che è stata l'osservazione a trarre una forma dalla realtà che la realtà non possiede, e non possedendo una forma può assumerne qualunque in relazione a come l'osservatore la sollecita osservandola.
La realtà è assoluta, ma relativa è l'osservazione, per cui relativo sarà il suo risultato.
Diversamente possiamo dire che la realtà sia fatta di forme in se, se astraiamo il fatto che queste forme appaiono solo quando le osserviamo.
La luna esiste anche quando non la osserviamo?
Forse si e forse no, ma continua ad esistere la realtà da cui l'abbiamo tratta come forma osservandola, per cui tornando ad osservarla allo stesso modo, la luna sembrerà essere rimasta sempre li, da cui erroneamente potremmo dedurre che possieda una esistenza in sè, che non dipende dalla nostra osservazione.
Se nel frattempo poi la luna si è spostata ciò dimostrerebbe che ha una vita propria indipendente dalla nostra osservazione, che ha cioè una dinamica proprietaria.
Basterebbe però ammettere che sia la realtà ad avere una dinamica intrinseca.
Io non tiferei per una posizione o per l'altra in modo pregiudiziale, se non per un pregiudizio di semplicità che dovrebbe mettere ordine nella complessità che osserviamo, e il risultato della cui applicazione dipenderà quindi dalla relativa complessità osservata.
In base alle complessità che oggi osserviamo derivanti da una evoluzione dell'osservatore, che quindi diversamente osserva, l'ipotesi di una luna che possieda un esistenza in se diventa problematica.
E' vero che continuiamo ad osservare la luna sempre allo stesso modo, per cui basta aprire gli occhi come sempre e la luna è sempre là, ma è anche vero che la luna non esaurisce la realtà.
Per salvare le solite apparenze si dirà allora che esiste una microfisica e una macrofisica, giocandoci così un altro mistero.
Ma semplicità significa ridurre i misteri da giocarsi allo stretto necessario, piuttosto che il contrario.
Se al mistero della separazione fra osservatore e osservato aggiungiamo il mistero di una realtà che si sdoppia, chi ci impedisce di portare avanti all'occorrenza questa accumulazione di ipotesi a scapito della semplicità?
Se questa accumulazione di ipotesi nel tempo abbiamo praticato, dovremmo privilegiare fra le nuove ipotesi quelle che ne riducono il numero che sembra essere al momento necessario.
Se la luna esiste di per sè come facciamo a spiegare che in questa esistenza non è compresa l'attrazione gravitazionale con la terra, aggiungendo ancora un mistero che stia per la relazione non necessaria che le cose che esistono sembrano intrattenere fra loro?
Mi sembra più semplice pensare che traiamo forme dalla realtà, osservandola, insieme alle loro relazioni.
Come possiamo affermare che esistano cose in se se questa esistenza non è comprensiva delle loro puntuali relazioni?
Fino a che punto possiamo considerare separate, come cose in se, cose che non mancano mai di essere relazionate?
Se la nostra ricerca finora è stata caratterizzata come ricerca di verità, questa impostazione oggi blocca la ricerca che sembra imbottigliata dentro un mondo che più non comprendiamo, se non volgendo con nostalgia lo sguardo indietro.
L'ipotesi che esistano le cose in sè, astraendo il fatto che da una evidenza noi l'abbiamo tratta, oggi non sembra funzionare.
Ma se veramente di una ipotesi si tratta dove sta il problema?
Infatti morta un ipotesi se ne fa un altra, che non è più o meno vera della prima, essendo che sono fatte tutte della stessa sostanza ipotetica.
La verità potrebbe essere il prodotto dell'abitudine alle ipotesi che facciamo, per cui sistematicamente assurde ci appariranno nuove ipotesi che pur ci apparirà necessario dover fare.
Se le cose stanno così nessuna nuova verità apparirà all'orizzonte, stante la velocità con cui scorre il paesaggio delle ipotesi nuove, perchè su nessuna di esse il nostro intelletto avrà il tempo di fissarsi fino a farci l'abitudine.
Le cose sembrano essere così come le vediamo e non sembrerebbe esserci la necessità di aggiungere altro.
Ma è sufficiente distrarci dall'abitudine di osservale perchè ci appiano estranee.
Se poi dell'uscire da questa abitudine avremo fatto il nostro mestiere, che dovrebbe essere appunto il mestiere del filosofo, la realtà allora non smetterà di apparirci strana, e quanto più strana ci apparirà tanto più sapremo di aver fatto bene il nostro mestiere, di dare sulla realtà uno sguardo non distratto.
Penso che sia la percezione a trarre le forme dalla "realtà". Noi le pensiamo distinte DOPO averle percepite come distinte. Su questa percezione di distinzione creiamo e sosteniamo il linguaggio. Non sarebbe possibile un linguaggio senza distinzione e quindi un mondo condiviso senza linguaggio. Il percepito lo possiamo pensare come interdipendente e interconnesso ma noi non percepiamo l'interdipendenza delle cose. Ne percepiamo la forma, il suono, l'odore e la consistenza. La verità è naturalmente costruita sui nostri sensi, ma i sensi sono porte della mente e quindi giocoforza viene costruita anche, se non principalmente, dalla mente. Possiamo pensarlo come una casa da cui si entra e si esce in continuazione e che è consapevole di questo andirivieni. Abbiamo la "verità de l'andirivieni" (mentale). 😀
La verità quanto ha a che vedere con le CONVINZIONI? Poco o tanto? Noi costruiamo le nostre convinzioni su ciò che pensiamo sia verità o su ciò che ci dicono sia verità? O forse quello che pensiamo è solo quello che ci dicono di pensare?
Si procede per ambiti di conoscenza consolidata attraverso un procedimento deduttivo-induttivo progressivo:
1) il fuoco brucia
2) sempre
3) si può spegnere con l'acqua
4) ...
Tutto ciò era vero e noto millenni prima che Lavoisier spiegasse il meccanismo chimico della combustione scoprendo l'elemento chimico "ossigeno".
Ora ne sappiamo di più, ma erano vere anche le deduzioni precedenti. E gli sforzi per individuarne le cause. Sappiamo pure che la combustione avviene anche in assenza di nostre osservazioni per "motu proprio". Gli esiti di un incendio sono incontrovertibili quanto le tracce dei fossili.
La verità funziona così. In laboratorio, tribunale e nella vita quotidiana.
Ritorno su alcuni punti della discussione che mi premono.
1) sistema duale della verità. Intendo con esso, la necessità di distinguere fra verità scientifica, empiricamente verificabile e verità politica, collegata con l'etica. La prima realizza una conoscenza forte perché non contradiccibile, almeno fino all'avvento di un nuovo modello che la sostituisce.
La seconda è agitata dagli interessi dei singoli, delle classi sociali, è condizionata dalla storia e dalle relazioni intessute di stati emotivi tra gruppi e singoli.
È vera la libertà o la costrizione e che grado di libertà e di costrizione? È vero il libero arbitrio o il determinismo? È vera la differenza in classi o il potere del proletariato? È vera la punizione corporale o quella comportamentale? È vero l'egoismo o l'altruismo dell'uomo?
Fino all'avvento del metodo scientifico moderno, paradossalmente si riteneva più facile dare una risposta veritativa su queste domande, a causa del monopolio della visione religiosa cristiana (almeno in Occidente).
Oggi, la verità "scientifica" tende a colonizzare anche gli spazi della "verità politica", basti pensare all'esempio più famoso del materialismo storico ma anche, più in basso, alla "osservazione scientifica della personalità" prevista da molti ordinamenti penali per valutare il grado di responsabilità individuale.
Ciò per dire che il discorso sulla verità non è un discorso neutro ma è un discorso interconnesso con il discorso sul potere e sulla sua legittimazione.
2) la verità come "ricerca" è un processo collegato anche alla possibilità di cambiare e usare il mondo secondo i nostri bisogni. La verità deve funzionare, deve essere replicata sperimentalmente, altrimenti non è verità. Ma nel mondo politico ciò comporta una empasse, poiché deve essere la politica a determinare la linea in grado di creare un certo tipo di società. Mentre il discorso scientifico diventa in questo senso, l'alfiere di una visione politica che viene considerata razionale perché "scientifica" e che si fonda sul consumo del mondo, e sul riversare nel mondo fisico le contraddizioni del nostro sistema di sviluppo. Questo perché la scienza moderna appare sempre come scienza applicata e quindi come diretta alla tecnologia.
Oggi, che quello sversamento risulta sempre più difficile (cambiamento climatico, inquinamento globale, inaridimento, nuove pandemie), la legittimazione tramite " verità scientifica" del mondo politico è entrata in crisi.
E per finire, l'unico modo per risolvere questo garbuglio è effettivamente il richiamo che Bob fa sull'amore, che risulterebbe la verità più potente e in grado di cambiare la civilita umana in profondità.
Citazione di: Alberto Knox il 18 Luglio 2024, 20:47:03 PMDarò quindi la mia definizione di verità ; la verità è intollerante , perchè la verità è sostanzialmente la capacità che ha un affermazione di negare tutte le sue negazioni. Per questo motivo bisogna smettere di parlare di verità scientifica allo stesso modo in cui bisogna smettere di parlare di verità di fede. la scienza non si basa sulla verità perchè i propi risultati non sono verità , sono ipotesi confermate . Per essere verità devono essere in grado di negare qualsiasi negazione nel tempo , ovvero devono essere sempre valide. Essendo il metodo scientifico basato su ipotesi e conferma , se si troverà un ipotesi più esplicativa , più completa e più efficace si assumerà questa nuova ipotesi come teoria predominante o legge di natura . Se così non fosse la scienza sarebbe dogma e non ricerca della verità. Anche i filosofi non hanno verità da divulgare al mondo , tutto quello che può fare un filosofo è di vedere se nelle assunzioni vi siano o meno delle contraddizioni, se non ne ha la si tiene in gioco se ne ha è fuori gioco. Questo perlomeno se si assume come metodo filosofico il metodo Socratico .
Che la scienza si basi su ipotesi è una verità o una ipotesi?
Citazione di: baylham il 19 Luglio 2024, 12:16:34 PMChe la scienza si basi su ipotesi è una verità o una ipotesi?
la verità per me rimane un concetto difficile , come il credere , perchè devo credere ad una cosa ? o la so o non la so. Ora io , come voi , so che la scienza lavora in un certo modo. Ovvero partendo da ipotesi e giungendo a dimostrazioni.
Se queste dimostrazioni fossero vere allora avremmo verità definitive. Ma la scienza non può dare verità definitive ad opera di quelle stesse leggi del ragionamento che ci spingono a farci questo tipo di domanda. Non puoi dire che visto che si è scoperto il secondo principio della termodinamica allora tale principio è vero. Benchè non si sia mai osservato una violazione di tale principio questo non ci garantisce che sarà sempre così anche in futuro. Non importa in quante singole occasioni il principio o anche una legge fisica sia confermata, non possiamo essere certi in modo assoluto che sia infallibilmente valida . Sulla base dell induzione si può concludere solo che è molto probabile che la legge supererà il prossimo controllo. Perciò alla tua domanda devo rispondere che non è una verità, perchè possono sempre esserci alcune cose che siano sempre e comunque valide anche se non lo possiamo dimostrare.
Citazione di: baylham il 19 Luglio 2024, 12:16:34 PMChe la scienza si basi su ipotesi è una verità o una ipotesi?
E' un fatto.
Citazione di: iano il 19 Luglio 2024, 16:04:47 PME' un fatto.
Se è un fatto, siamo nell'ambito della verità. Confondere i fatti con le opinioni e pretendere verità "assolute" (con le loro infinite catene causali "risolte") è il modo sicuro per soffocare qualsiasi ricerca di verità.
Noto in particolare un persistente mescolamento tra episteme scientifica e politica che alimenta la confusione, essendo l'adaequatio della prima comandata dalle cose naturali e la seconda dalle decisioni (soggettive, di classe,...) umane.
Per quanto auspicabile sia una "scienza politica" più "pura" possibile, essa non avrà mai l'oggettività dei fatti naturali, per cui il concetto di verità non potrà che aumentare il suo grado di relatività a seconda del grado di divisione in classi e interessi "particulari".
Spiegare a chi è nato in una reggia che tutti gli uomini nascono uguali appartiene al regno del comico, non della verità. Anche la verità giudiziale rasenta l'assurdo in tale contesto e i giudici a Berlino latitano.
L'unica verità possibile nel contesto antropologico è la critica sociale che tiene conto dei disgiunti interessi tra le parti in causa. Perfino l'episteme scientifica viene travolta dalla contrapposta dialettica sociale, figurarsi gli aspetti etici, amore incluso.
Non resta che cercare la verità, comunque sempre in divenire sia ontologicamente che gnoseologicamente, nel contesto naturale, laddove le passioni e gli interessi "particulari" si stemperano nella fantastica rappresentazione del cosmo. Con tutti i suoi misteri, fecondanti ipotesi e "scoperte". Essenze di a-letheia.
Citazione di: Ipazia il 20 Luglio 2024, 06:05:01 AMNon resta che cercare la verità, comunque sempre in divenire sia ontologicamente che gnoseologicamente, nel contesto naturale, laddove le passioni e gli interessi "particulari" si stemperano nella fantastica rappresentazione del cosmo. Con tutti i suoi misteri, fecondanti ipotesi e "scoperte". Essenze di a-letheia.
Una verità in divenire è la verità di chi divenire, non indipendente dunque da chi la cerca e dal modo in cui la cerca.
La critica alla ''cosa in se'' è per me il tentativo di prendere coscienza dell'uomo che fù e che ancora è in me.
Critica e presa di coscienza per me vanno in parallelo.
Ma si può criticare solo ciò di cui si può parlare, e a un certo punto della nostra storia abbiamo iniziato a parlare della ''cosa in se'', e questo è stato l'inizio della sua fine.
La cosa in se esisteva anche prima che iniziassimo a parlarne, ma se ne stava al riparo di ogni critica, come una verità.
Quella che noi chiamiamo ricerca della verità è in effetti il superamento della verità, e in questa ricerca ci superiamo.
Prendere coscienza di quel che si è significa superare ciò che si è.
Resteremo ciò che siamo finché di ciò che siamo non potremo parlare.
Criticare la cosa in se è voler vincere facile, perchè fra tutte le definizioni è quella che più si presenta senza difese.
Perchè dunque parliamo della cosa in se?
Perchè il parlarne richiama qualcosa che è in me, e che in me ha agito indisturbata, finché non l'ho richiamata, finché non ho iniziato con essa un dialogo, come fosse altro da me, e come in effetti altro da me sta diventando.
Diventa cosa in se ciò che porto fuori di me, acquisendo una sua indipendenza.
Finché stava in me nascosta, essa era la causa dell'evidenza con cui la realtà ci appare, e siccome ancora a questa evidenza partecipiamo non è ancora completa la fase di svelamento, svelamento che più va avanti meno la realtà ci appare evidente, e meno evidente ci appare più ne possiamo dubitare.
Se la conoscenza è ciò che ci permette di interagire con la realtà, questa conoscenza era già in noi se con la realtà già interagivamo.
Il portarla fuori comporta solo un diverso modo di interagire ed è l'inizio di una nuova storia della conoscenza, di quella conoscenza di cui si può dire, e che perciò non potrà più essere verità.
Prendere coscienza delle proprie verità significa esporle al dubbio decretandone la fine, dopodiché toccherà al dubbio fare il lavoro che prima faceva la verità.
Ciò di cui dibattiamo, anche in modo feroce, è dei pro e dei contro di questi diversi modi di procedere nel nostro interagire con la realtà, feroce perchè la verità, finché resiste in noi, è un fatto personale, per cui l'attacco alla verità vale come un attacco alla nostra persona, almeno nella misura in cui siamo ancora portatori di verità, cioè nella misura in cui non l'abbiamo ancora del tutto delegata alla tecnologia, ciò che è possibile fare una volta che la portiamo allo scoperto.
C'è n'è abbastanza per sentirsi alienati, come infatti ci sentiamo, e adesso ciò che occorre fare, è rifare pace con quella parte di noi che essendo stata portata fuori , sembra per ciò essere altro da noi, un altro da noi a cui è possibile dare le colpe di ogni cosa che sembra andare storto nel nostro mondo.
Perchè forse è arrivato il momento di parlare di questo noi, definendolo come ciò è buono in sè, perchè è così che noi ci vediamo ''veramente'', ed è così ci presentiamo nel dialogo con gli altri, e se ne ho dato una definizione è per il desiderio di veder finire questa storia che noi ''siamo i buoni'', per iniziarne una nuova.
Citazione di: iano il 20 Luglio 2024, 07:15:38 AMUna verità in divenire è la verità di chi divenire, non indipendente dunque da chi la cerca e dal modo in cui la cerca.
La critica alla ''cosa in se'' è per me il tentativo di prendere coscienza dell'uomo che fù e che ancora è in me.
Critica e presa di coscienza per me vanno in parallelo.
Ma si può criticare solo ciò di cui si può parlare, e a un certo punto della nostra storia abbiamo iniziato a parlare della ''cosa in se'', e questo è stato l'inizio della sua fine.
Non la farei così tragica. Ad un certo punto abbiamo scoperto di non essere il centro dell'universo e siamo sopravvissuti lo stesso. Vale pure per la cosa in sè.
CitazioneLa cosa in se esisteva anche prima che iniziassimo a parlarne, ma se ne stava al riparo di ogni critica, come una verità.
Quella che noi chiamiamo ricerca della verità è in effetti il superamento della verità, e in questa ricerca ci superiamo.
Prendere coscienza di quel che si è significa superare ciò che si è.
Resteremo ciò che siamo finché di ciò che siamo non potremo parlare.
Criticare la cosa in se è voler vincere facile, perchè fra tutte le definizioni è quella che più si presenta senza difese.
La cosa in sè non è mai esistita se non nell'illusione umana, ed è tutt'altro che indifesa, visto che ha tormentato per millenni anime e corpi di chi voleva sottrarsi alla sua forma suprema costituita.
CitazionePerchè dunque parliamo della cosa in se?
Perchè il parlarne richiama qualcosa che è in me, e che in me ha agito indisturbata, finché non l'ho richiamata, finché non ho iniziato con essa un dialogo, come fosse altro da me, e come in effetti altro da me sta diventando.
Diventa cosa in se ciò che porto fuori di me, acquisendo una sua indipendenza.
Finché stava in me nascosta, essa era la causa dell'evidenza con cui la realtà ci appare, e siccome ancora a questa evidenza partecipiamo non è ancora completa la fase di svelamento, svelamento che più va avanti meno la realtà ci appare evidente, e meno evidente ci appare più ne possiamo dubitare.
Direi che se ne parla da tempi immemorabili per il bisogno umano di avere, citando il bravo Battiato, un
centro di gravità permanente. Bisogno frustrato dalle evidenze epistemiche che ne hanno falsificato ogni pretesa ontologica, riducendola a più prosaiche e impegnative
cose per noi.
CitazioneSe la conoscenza è ciò che ci permette di interagire con la realtà, questa conoscenza era già in noi se con la realtà già interagivamo.
Il portarla fuori comporta solo un diverso modo di interagire ed è l'inizio di una nuova storia della conoscenza, di quella conoscenza di cui si può dire, e che perciò non potrà più essere verità.
Prendere coscienza delle proprie verità significa esporle al dubbio decretandone la fine, dopodiché toccherà al dubbio fare il lavoro che prima faceva la verità.
Deo gratias. Era comunque una conoscenza empirica, evolutiva, inscritta nel dna: unica "cosa in sè" di cui possiamo avere qualche evidenza. Mentre le "verità costituite" hanno avuto, e avranno sempre, la sorte che si meritano.
Noi che siamo su questo forum a confrontarci sotto il nome della filosofia siamo abitati da due tipi differenti di amore, uno verso la realtà e l altro verso l'ideale . Perchè vedete, che cosa ama chi sente dentro di sè philo- sophía? lo dice la parola stessa , ama sophia , e che cos'è sophia? tutti voi lo sapete, sophia noi la traduciamo con sapienza e cosa intendiamo con sapienza? intendiamo una propietà che alcuni esseri umani hanno, poichè tutta la conoscenza e conoscenza umana. E che quandi alcuni, rari, qualche volta, non sempre , hanno. E così noi pensiamo che la sapienza sia qualcosa che abbia a che fare col cuore e con la mente degli esseri umani. è giusto? sì, ma fino a un certo punto perchè secondo coloro che coniaro questo termine " philosophía" in realtà la sophia era una propietà , prima ancora di alcuni esseri umani, della natura , del cosmo , abitato da armonia , ed è grazie esattamente al fatto che il caos primordiale da subito era compenetrato da sophia , noi ci siamo. Altrimenti non sarebbe stato possibile questo lavoro così complesso dell universo nel produrre la vita, l intelligenza , l 'intelligenza buona che cerca la giustizia , che si innamora della bellezza . E allora gli antichi hanno detto "noi non siamo figli del caso visto che siamo! e pensiamo e viviamo, siamo figli di sophia" cioè di un itelligenza cosmica che abita l'essere e lo compenetra e fa si che questo essere possa formare ; vita, intelligenza, cuore , ragione , mente , sapienti e sono sapienti in quanto vivono, aderiscono ad una sophia che sta prima di loro.
Se fosse solo così il mondo allora sarebbe perfetto, non sarebbe la contraddizione che invece è. Perchè dopo tutto questo bel ragionamento , uno guarda fuori dalla finestra, magari immerso ancora in queste riflessione e vede la stupidità, e vede il contrario della sapienza e vede che propio quelle creature, frutto del piu alto lavoro dell universo , invece di essere sapienti sono insapienti, invece di essere buoni sono cattivi , invece di essere genorosi sono furbacchioni, affaristi e poi vede che la vita non è sempre giusta e che ci sono i propi cari che muoiono prematuramente , perchè un conto è morire sazi di giorni dove la morte arriva quasi come una attesa conclusione e un conto è morire a 17 anni. allora dov'è questa sapienza? questa sophia? sembra che ci sia un anti-sophia ed è da qui che nasce la filosofia perchè da una parte ci si innamora di sophia in quanto ideale e dall altra si apre gli occhi in maniera disincantata, ferma e onesta sul reale . Anche quando fa male ,anche quando è scarnificante , anche quando lacera e da questa tempesta fra l amore per l ideale e l amore per il reale che nasce non sophia ma philosophia l amore per qualcosa che c'è e che non c'è , che ha volte c'è e lo incontri, lo vedi negli occhi di persone che risplendono di bontà , gentilezza e intelligenza e in altre non c'è , tante volte si incontra il contrario. Sto dicendo che la costituzione che abita una mente filosofica ( e non è affatto necessario esserlo ma noi siamo qui sotto il nome della filosofia) se siamo qui è perchè questa forma della mente e del cuore è abitata da questo duplice amore, per il reale e per l ideale e questa duplicità provoca una tempesta nella mente e nel cuore e da questa tempesta nasce il pensiero.
Mi limito, per ora, a questa domanda: che cosa è la verità?
Ripeto il titolo della discussione perchè è fondamentale.
Forse, se noi discutessimo com'è la veritã sarebbe più facile parlarne perchè discuteremmo descrittivamente.
Io ci provo: io vedo veritá là dove le parole coincidono con i fatti, le intenzioni con i risultati,le descrizioni con i dati a disposizione
La verità è sempre verità della cosa a cui rivolgiamo l'attenzione.
In alcuni casi la cosa a cui siamo interessati è il tutto, il cosmo, ma per quanto smisurato sia l'oggetto in questione, si tratta pur sempre di un qualcosa.
Non ha senso cioè parlare di verità in generale.
Naturalmente è sempre possibile fare un discorso meta-teorico sull'accezione di verità, come fa Heidegger nei suoi saggi dedicati alla differenza tra verità come adaequatio e aletheia.
Quando invece nel Vangelo si asserisce che è Cristo ad essere la verità, s'intende semplicemente che l'immagine di Cristo, espressa in quei testi, racchiude la verità etica e metafisica dell'uomo. Il suo autentico ethos, la sua essenza, la sua provenienza (Dio) e il suo destino (l'Inferno).
Della cosa che ci interessa determinare la verità, abbiamo tante sue manifestazioni. Il punto è capire se la verità della cosa è ciò che appare, è l'insieme delle sue manifestazioni, oppure è qualcosa di nascosto, un'essenza interna.
La tradizione occidentale ha sempre cercato di trovare un fondamento sostanziale all'apparire fenomenico. Come a voler salvare la cosa dalla contingenza.
Ma come dice Feynman "quello che al nostro occhio miope sembra immobile è una danza selvaggia".
La cosa non può essere determinata in modo sostanziale e definitivo per due ragioni.
Primo, ogni sguardo specifico rivolto ad un aspetto della cosa esclude gli altri. Posso sì approfondire un lato della cosa, con enorme precisione, ma ciò finisce per oscurare tutti gli altri.
Secondo, l'ente si dà solo nella relazione con l'Io dell'osservatore.
E ciò rimette il prospettivismo di Nietzsche nella sua più interessante ottica, in affinità cioè con l'epistemologia di fine ottocento e con le successive scoperte della fisica novecentesca, quindi ben al di là del relativismo alla Protagora.
Citazione di: pandizucchero il 20 Luglio 2024, 15:46:57 PMIo ci provo: io vedo veritá là dove le parole coincidono con i fatti, le intenzioni con i risultati,le descrizioni con i dati a disposizione
L'unica descrizione che coincide coi dati è il loro elenco.
Nel momento in cui da questi dati traiamo qualcosa, trascendendoli, la coincidenza finisce.
Più interessante è valutare se le parole possano coincidere coi fatti, ma dovremmo perciò fare un ipotesi forte, che fatti e parole siano fatti della stessa sostanza.
Citazione di: Koba II il 20 Luglio 2024, 17:18:03 PMLa verità è sempre verità della cosa a cui rivolgiamo l'attenzione.
Però quando aprendo gli occhi la realtà ci appare non è perchè vi stiamo rivolgendo l'attenzione.
Possiamo rivolgere la nostra attenzione a ciò che a noi si presenta già come vero, e semmai è l'attenzione che gli rivolgiamo a poter mettere in dubbio la sua verità.
Citazione di: Koba II il 20 Luglio 2024, 17:18:03 PMl'ente si dà solo nella relazione con l'Io dell'osservatore.
Si, e per quanto ciò possa apparire banale col senno di poi, anche se non per tutti è ancora banale, come facciamo a darci ragione del fatto che non sia stata la prima cosa a venirci in mente?
Come giustifichiamo a noi stessi la lunga storia che c'è voluta per giungere a questa banalità?
Non è che ci dobbiamo giustificare con alcuno di ciò, ma è che questa giustificazione ci direbbe qualcosa su chi siamo noi, su come funzioniamo, e ci indicherebbe perciò la strada per accorciare la storia di chissa quante altre banalità in cui ancora ci dibattiamo.
Scriveva Maral:
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I Greci chiamavano la verità aletheia ove quell' a è alfa privativo, quindi la parola significa in negativo: non-latenza, non-velato. Vero è qui il negativo di ciò che si nasconde e la verità sta nel nudo apparire delle cose, nel loro darsi spontaneo in superficie, senza maschere a sovrapporsi.
...Omissis...
Ben diverso da quello greco classico è il concetto che maturerà sulla verità il pensiero filosofico posteriore, cristiano e poi scientifico. La verità (intesa non più nell'accezione greca, ma in quella latina di veritas): diventerà sotterranea, recondita e profonda, essa abiterà l'interiorità sotto la superficie per cui occorrerà scavare per trovarla sotto una miriade di mascheramenti e superficiali apparenze ingannevoli messe in atto dalla natura nel mondo e nell'uomo. La verità non è più aletheia, ma prodotto risultante da una ricerca fatta per costringere la natura a svelarsi usando un preciso metodo di interrogazione (come fa il giudice in tribunale, dice Kant) e con mezzi di indagine e tortura sempre più sofisticati. La verità non è più un nudo mostrarsi spontaneo, ma un denudare la natura refrattaria per poi usarle violenza.
...omissis....
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Chiara esposizione di Maral in una discussione del 2016 sul forum su ''Cosa è la verità?''
La non latenza implica che non occorra un tempo per presentarsi alla verità, alla quale quindi non media un processo che abbisognerebbe di tempo per svolgersi.
Insomma per i greci la verità è evidenza, e credo noi si possa capire bene cosa intendessero, perché lo è ancora per noi.
Quindi nel momento in cui una latenza vi sia, non c'è più verità, e possiamo dunque far risalire la scienza, come alternativo processo ''percettivo'' alla scoperta che una latenza c'è sempre, e quindi non vi è alcuna verità.
Ed ecco dunque dove sta l'origine del concetto di verità, nella sensazione di una mancanza di latenza, per cui fra l'aprire gli occhi e l'apparire della realtà non passi alcun tempo, e non vi sia quindi alcun processo che medi, da cui la sensazione di un rapporto diretto con la realtà, come ciò che immediatamente ci appare.
Tutto ciò ovviamente oggi è insostenibile, per quanto noi di quella sensazione di immediatezza, di quella evidenza, di quell'a-letheia, siamo ancora testimoni.
Ieri c'erano i sensi a mediare, e ancora ci sono, e oggi vi si è affiancata la scienza, ognuna con un processo da svelare o da esporre a critica.
Ma il senso ultimo della scienza non è diverso da quello della percezione naturale, laddove si condivide un processo che può essere ignoto, eventualmente da svelare, o noto perchè costruito a tavolino, come il metodo scientifico.
Da svelare quindi è rimasto eventualmente solo il suddetto processo, ma nessuna verità, perchè la verità nasce nuda, senza veli.
Nel prosieguo della storia della verità come scrive Maral evocando una immagine drammatica ''La verità non è più un nudo mostrarsi spontaneo, ma un denudare la natura refrattaria per poi usarle violenza.''
Ma presumibilmente si parla ancora di verità per l'inerzia che mostrano i termini del linguaggio, di cui facciamo un uso post-mortem, a volte facendoli rivivere in un nuovo significato, mentre altre volte sembrano restare sospesi fra la vita e morte , come nel caso della verità per la quale abbiamo usato fin qui un feroce accanimento terapeutico, volendo eguagliare Maral in quanto a drammaticità.
Perchè questo accanimento?
Penso perchè in ciò ci sentiamo molto emotivamente coinvolti, essendo ancora vivi testimoni dell'a-letheia dei greci.
Si tratta di un caro parente del quale non riusciamo a pensare di poter fare senza, e che perciò egoisticamente teniamo ancora in vita.
Il brano di Maral è solo in parte corretto.
In Platone e Aristotele la verità della cosa è cercata al di là di ciò che appare, al di là delle sue manifestazioni.
Che la cristianità latina abbia tradito la filosofia classica greca e preparato le "oscure" manipolazioni della scienza è tutto da dimostrare. Anzi, direi che è un pregiudizio che come tale rimane indimostrabile.
Ma a parte questo, non capisco Iano le tue osservazioni successive.
Anche se ci convinciamo che la cosa in sé non esiste, che non c'è alcuna essenza nascosta della cosa, la cosa, nel suo disvelarsi, si manifesta ad un soggetto.
Il quale a sua volta, non essendo più un soggetto trascendentale puro, ma, esattamente come l'oggetto, essendo privo di un fondamento, essendo il suo essere riportato alle sue manifestazioni, quindi un Io "traballante" e sempre affetto da perturbazioni imprevedibili, si relazione alla cosa con impegno e fatica, dando vita così al processo infinito della conoscenza che è cattura impossibile dell'immagine vera della cosa.
Citazione di: iano il 20 Luglio 2024, 18:23:30 PMdovremmo perciò fare un ipotesi forte, che fatti e parole siano fatti della stessa sostanza.
ti sembra una buon ipotesi possibile?
Citazione di: Koba II il 21 Luglio 2024, 11:08:45 AMIl brano di Maral è solo in parte corretto.
In Platone e Aristotele la verità della cosa è cercata al di là di ciò che appare, al di là delle sue manifestazioni.
Che la cristianità latina abbia tradito la filosofia classica greca e preparato le "oscure" manipolazioni della scienza è tutto da dimostrare. Anzi, direi che è un pregiudizio che come tale rimane indimostrabile.
Ma a parte questo, non capisco Iano le tue osservazioni successive.
Anche se ci convinciamo che la cosa in sé non esiste, che non c'è alcuna essenza nascosta della cosa, la cosa, nel suo disvelarsi, si manifesta ad un soggetto.
Il quale a sua volta, non essendo più un soggetto trascendentale puro, ma, esattamente come l'oggetto, essendo privo di un fondamento, essendo il suo essere riportato alle sue manifestazioni, quindi un Io "traballante" e sempre affetto da perturbazioni imprevedibili, si relazione alla cosa con impegno e fatica, dando vita così al processo infinito della conoscenza che è cattura impossibile dell'immagine vera della cosa.
Io pongo il fondamento nell'osservatore e nell'osservato che insieme fanno la realtà intera, laddove l'essere è il prodotto della loro interazione, il quale dicendoci al contempo indirettamente qualcosa dei due soggetti , non ci dice nulla in modo esclusivo di ognuno dei due.
Lo stesso divenire dell'essere è quindi al contempo determinato dal divenire dei due soggetti, per cui ieri era una palla da biliardo a divenire, e oggi, essendo l'osservatore divenuto altro da sè, al divenire della palla si è affiancato il divenire di un quanto .
Cioè alla percezione naturale, a quell'aletheia di cui tutti facciamo esperienza, si è affiancata una percezione scientifica di cui tutti possiamo fare esperienza, essendo quell'esperienza ripetibile.
La nostra conoscenza quindi è in modo inestricabile conoscenza di noi e del resto della realtà, cioè della realtà nella sua interezza, conoscenza che cambia più che progredire, se cambia almeno uno dei due soggetti.
Non ''esistendo'' quanti senza l'interazione strumentale con la realtà, ammetto che quegli strumenti sono parte di noi come lo sono i sensi.
La verità, l'aletheia, la intendo come ignoranza del processo che produce l'essere, ciò che dona ad esso la sua evidenza, ammettendo che non tutto passa per la nostra coscienza.
Nella percezione scientifica questa ignoranza non c'è, e l'essere che viene prodotto non ha più perciò carattere di evidenza.
Poi magari le cose non sono così lineari come le racconto, perchè usando gli strumenti non smettiamo di usare i sensi.
Il punto cruciale però è la coscienza, e il nostro pretendere che essa e/o i sensi naturali non debbano essere del tutto esclusi dal processo, motivo per cui abbiamo difficoltà ad accettare l'intelligenza artificiale.
Si tratta però di un rifiuto ''artificioso'' in quanto sulla nostra intelligenza abbiamo lo stesso controllo che abbiamo su quella artificiale, cioè nessuno.
Ma se accettiamo di non conoscere il processo, pur sapendo che un processo vi sia, torniamo in qualche modo all'aletheia di partenza, essendo che noi potremo disporre solo del risultato del processo.
Il sapere però ora che un processo vi sia ci impedisce di parlare di verità perché la verità con la sua evidenza ha a che fare con la mancanza di un processo, cioè con la immediatezza della conoscenza.
Citazione di: Alberto Knox il 21 Luglio 2024, 11:50:59 AMti sembra una buon ipotesi possibile?
Mi sembra un ipotesi praticabile.
Il linguaggio parlato non è altro che onda,quindi non ha alcuna sostanza,
quello scritto tanto meno.
Inoltre non ha alcuna "magia", non "teletrasporta" un bel niente e, di per sè stesso, è aria fritta o segni, simboli e bit frutti.
Voglio dire questo: qualunque parola uno dica,scriva,pensi o legga non è un oggetto reale, non ha sostanza,non occupa spazio,tempo e dimensioni.
Inoltre non ha il potere di "trasportare" o veicolare qualcosa di reale e oggettuale
Infine, non ha alcun potere "magico'!
Da questo ne esce che il linguaggio orale e non orale , scritto,parlato, codificato,ecc....è ben poca rispetto all'idealizzazione o demonizzazione che ne facciamo fin troppo spesso.
In altre parole, se gli esseri umani stessero zitti sarebbe meglio per tutti, se la specie fosse muta e sorda anche, passi per la vista ...
Pensateci bene: quante parole indispensabili per voi avete detto o scritto oggi?
Quante necessarie ma non indispensabili?
Quante non necessarie ,superflue ,inutili ecc..?
L' energia che gli esseri umani spendono nel linguaggio è incredibile: se una persona usasse il linguaggio solo per l'indispensabile,alla sera sarebbe molto meno stanca e, perfino, contenta e rilassata!
Se poi parliamo del linguaggio non verbale.....povero corpo umano....
Il linguaggio umano, di solito, è un driver di perfezionismo, sforzi mentali,autocompiacimento,
compiacimento altrui, un tentativo di dimostrare la salute della propria mente e la sua velocità di pensiero.
Cioè, la summa di tutte le patologie umane concentrate in quella che viene considerata la dote umana per eccellenza!
Se non ci credete fate una prova: smettete per un momento di compiacervi e compiacere,lasciate perdere ogni illusione di perfezione e perfezionamento proprio e altrui, smettete di fare sforzi su sforzi , svestite la mente dalla mimesi di velocitá, forza e dimostrazioni di non essere pazzi e vi renderete conto che ...forse ...sto dicendo cose vere.
Se così è , ho risposto alla domanda "che cos'è la veritá".
La transizione posta da Maral tra aletheia e veritas trovo sia invece molto esplicativa del passaggio da una realtà misteriosa ad una infusa, soprattutto nella contrapposizione tra episteme naturalistica presocratica e veritas cristiana. Transizione già in nuce nella formalizzazione idealistica di Platone.
La episteme moderna è tornata al naturalismo presocratico, almeno in sede filosofica, rifiutando l'approccio violento sulla natura e l'incasellamento in ontologie preconfezionate, che invece la nuova religione tecnoscientifica predilige. Anche perché in ballo c'è un gran mucchio de quattrini.
Non bisognerebbe mai confondere ontologia con epistemologia , ovvero quello che c'è ( e non dipende da schemi concettuali) con quello che sappiamo di ciò che c'è ( che dipende da schemi concettuali). Le due circostanze non si equivalgono. Il sapere che una certa chiave mi consente di aprire una certa porta , non mi permette di aprire la porta qualora abbia perso le chiavi.
Nei saperi consolidati le porte si aprono senza chiavi e si può anche fare a meno delle porte. Liberi comunque di mettercele, pure con la chiave.
Il problema si presenta quando una rivoluzione scientifica demolisce la casa (ontologia). Ma a quel punto, con o senza chiave, si può fare ben poco.
Bisogna ricostruire la casa.
È accaduto quando i numi non hanno più potuto fermare il sole e quando Napoleone scoprì che Dio sta sempre dalla parte dell'esercito con la migliore artiglieria.
Così come l'epistemologia non ha l'imprimatur del metodo, l'ontologia non ha quello della realtà. Non quella umana.
stavo rispondendo a iano perchè mi è parso che quel che vuole arrivare a dire è che noi "costruiamo" la realtà e con essa la relativa verità. Allora in questo modo anche il fatto che sulla luna ci sono catene montuose non è indipendente dai nostri schemi concettuali o anche dal linguaggio che usiamo . Daltronde potremmo dire che sulla luna ci sono montagne se non avessimo il concetto di luna e di montagna? . "le intuizioni senza concetti sono cieche " la dove intuizioni significa la percezione dei sensi . Di per sè questa asserzione kantiana non avrebbe nulla di problematico, giacchè ci sono piu circostanze in cui si può applicare e appare pienamente giusficato. è difficile agire nella ricerca scientifica o sociale se non si è muniti di concetti. Il problema è che kant intendeva che fossero necessari concetti per avere una qualsiasi esperienza.
il che non è solo falso in sè ma da avvio ad un processo che conduce ad un costruzionismo assoluto.
Perchè dal momento che noi assumiamo che gli schemi concettuali hanno un valore costitutivo nei confronti di qualsiasi genere di esperienza allora, con un passo ulteriore, potremmo asserire che hanno un valore costitutivo nei confronti con la realtà (alemeno se, kantianamente parlando, assumiamo che c'è una realtà fenomenica del mondo che coincide con l'esperienza che ne abbiamo) . A questo punto , con una piena realizzazione dell essere/sapere , quello che c'è risulta determinato da quello che ne sappiamo. è questo che volete supportare?
Condivido il fatto che la realtà è indipendente dall'osservatore, ma non sottovaluto il fatto che vi è una mediazione tra la realtà e come viene percepita e concettualizzata dall'osservatore umano.
Mediazione che si assottiglia fino a rendere inutili porte e chiavi nei saperi consolidati che solo le rivoluzioni scientifiche possono modificare. Prestando attenzione al ciarpame ideologico-affaristico che viene spacciato per tale, tanto in sede ontologica che epistemologica, nei media come nella "comunità scientifica".
Citazione di: Ipazia il 22 Luglio 2024, 06:52:37 AMCondivido il fatto che la realtà è indipendente dall'osservatore, ma non sottovaluto il fatto che vi è una mediazione tra la realtà e come viene percepita e concettualizzata dall'osservatore umano.
Se siamo tutti ormai d'accordo sul fatto che intersoggettività non equivale a verità, immagino però che il dover dare conto di una ''soggettività'' condivisa, del fatto cioè che la realtà appare agli uomini allo stesso modo, può aver innescato il concetto di verità.
Come fanno opinioni diverse, perchè soggettive, ad uniformarsi in tal modo nel percorso evolutivo?
Una risposta semplice è che c'è una verità fuori di noi a cui non ci resta che uniformarci.
Un altra potrebbe essere che per esseri sociali è fondamentale vedere le cose, prima ancora che nel modo in cui veramente sono, allo stesso modo, che essi cioè riescano ad armonizzare le loro soggettività che convergano in una visone comune della realtà, per poter agire su di essa come un solo individuo che possegga la sua soggettiva visone.
Altre specie sociali avranno a loro volta una visione intersoggetiva della realtà, funzionale ad una diversa interazione con essa.
Citazione di: Alberto Knox il 21 Luglio 2024, 19:33:58 PMstavo rispondendo a iano perchè mi è parso che quel che vuole arrivare a dire è che noi "costruiamo" la realtà e con essa la relativa verità. Allora in questo modo anche il fatto che sulla luna ci sono catene montuose non è indipendente dai nostri schemi concettuali o anche dal linguaggio che usiamo . Daltronde potremmo dire che sulla luna ci sono montagne se non avessimo il concetto di luna e di montagna? . "le intuizioni senza concetti sono cieche " la dove intuizioni significa la percezione dei sensi .
Si, grazie, è questo che volevo dire.
La superficie della terra ha una geometria, e una superficie geometrica è priva di caratteristiche sue, ma si ''appropria'' delle caratteristiche che noi gli vorremo dare, e questa è la vera orogenesi delle montagne.
A questa poi segue l'orogenesi propriamente detta, che però non può darsi che in seguito ad una orogenesi culturale.
Le montagne poi sono per la geologia come le specie per l'evoluzione.
Può apparire contraddittorio, e infatti lo è, che si definiscano prima le montagne, astraendole dalla superficie della terra, e poi se ne studi l'origine che però sappiamo già essere nella loro definizione.
Noi in effetti non studiamo l'origine delle montagne ma l'evoluzione geologica attraverso semplificazioni della realtà, considerata come fosse fatta di montagne, di valli etc... e queste semplificazioni si prestano in modo più o meno efficace nel descrivere le dinamiche terrestri, ma in ogni caso nascono solo allo scopo di descriverle, perchè diversamente non siamo in grado di farlo, se non in teoria.
Le montagne non ''esistono'', esistono gli atomi di cui sono fatte, e conosciamo anche le leggi cui sottostanno, ma non siamo in grado di spiegare le dinamiche terrestri atomo per atomo per via del loro numero.
Lo stesso avviene quando descriviamo l'evoluzione biologica attraverso la semplificazione delle specie.
Citazione di: iano il 22 Luglio 2024, 08:57:41 AMCome fanno opinioni diverse, perchè soggettive, ad uniformarsi in tal modo nel percorso evolutivo?
Una risposta semplice è che c'è una verità fuori di noi a cui non ci resta che uniformarci.
e perchè questo uniformarsi a concetti comuni accade nelle varie branche delle scienze e invece non accade per la filosofia e le religioni? Ognuno di noi può ben notare come la scienza avanza, procede, cammina in una maniera più o meno condivisa ma che poi di fatto diviene condivisa quando le dimostrazioni non lasciano spazio più ad alcun dubbio.
Se è vero che i nostri concetti determinano il mondo esattamente come 2 pgreco / R determina la lunghezza della circonferenza di un cerchio perchè ciò non accade nella filosofia e nelle religioni?
è vero che con i concetti tracciamo i confini del mondo , determinare significa tracciare confini , circoscrivere , definire , indicare con precisione , specificare e stabilire. La stessa parola "termine" deriva dal Dio Terminus che era il dio protettore dei confini. Quindi è vero, noi tracciamo e confiniamo pezzi del mondo attraverso i giudizi di sostanza, peso, colore , di spazio e di tempo ecc . Però attenzione , i nostri concetti che facciamo per tracciare i confini del mondo , sono impalcature. Non serve avere il concetto di scivolosità del ghiaccio per ritrovarsi col culo per terra. E poi non sarebbe presunzione affermare che coi nostri concetti umani determiniamo la natura e con essa la verità ?
Sono sempre stato accusato di antropocentrismo per le mie affermazioni su alcune qualità umane che secondo voi innalzavano fin troppo l essere umano a essere speciale . Però ora vi sembra lecito dire che l'uomo è il dententore della verità, non che costruttore di realtà. E vi pare bene non specificare che questo è prettamente un assunzione antropocentrica. Ci si chiede il perchè.
iano scrive:
"Un altra potrebbe essere che per esseri sociali è fondamentale vedere le cose, prima ancora che nel modo in cui veramente sono, allo stesso modo, che essi cioè riescano ad armonizzare le loro soggettività che convergano in una visone comune della realtà, per poter agire su di essa come un solo individuo che possegga la sua soggettiva visione."
la penso anch'io così con una precisazione: ci sono persone che vedono, capiscono e agiscono oltre questo genere di condivisione.
La realtà per un artista,un genio, un buon filosofo ecc....non è la realtá "comune".
Un sigaro è un sigaro per tutti gli esseri umani,come diceva Freud ma può diventare qualcosa di molto diverso, non solo nei sogni ma anche in realtà(Clinton docet)
Citazione di: Alberto Knox il 22 Luglio 2024, 10:39:33 AMSono sempre stato accusato di antropocentrismo per le mie affermazioni su alcune qualità umane che secondo voi innalzavano fin troppo l essere umano a essere speciale . Però ora vi sembra lecito dire che l'uomo è il dententore della verità, non che costruttore di realtà. E vi pare bene non specificare che questo è prettamente un assunzione antropocentrica. Ci si chiede il perchè.
Non prendere le critiche troppo sul personale.
Se la tua critica è rivolta me, e se io avessi detto ciò, avresti ragione.
La realtà per me è assoluta.
Quello che noi creiamo nel nostro interagire con la realtà è un mondo che si interfaccia con la realtà, che è il mondo in cui di fatto viviamo, e che è diverso dal mondo in cui vivevano i nostri antenati, fatto di evidenze e di verità.
Noi, in quanto sedicenti filosofi, dovremmo considerare la fortuna di vivere in un momento di transizione fra un vecchio mondo e uno nuovo, piuttosto che soffermarci sul disagio che ciò comporta.
Ma se questo mondo, (e non la realtà), come tu giustamente obietti, è centrato su di noi, allora come facciamo a dirci non antropocentrici?
La differenza sta fra un mondo che non può che essere necessariamente centrato su di noi, e un mondo che vogliamo centrare su di noi.
Una cosa è mettersi al centro del mondo, un altra è trovarcisi.
Essere non antropocentrici non significa non essere al centro del mondo, ma significa spostarsi da quel centro quando riusciamo a individuarlo , e una delle centralità da cui ci stiamo spostando, avendola individuata, è la verità.
Ma ci spostiamo da un centro solo per ritrovarci in un altro, che a suo tempo magari individueremo continuando nel nostro percorso di decentramento, laddove ogni tappa del percorso equivale a una presa di coscienza di se.
Citazione di: Alberto Knox il 22 Luglio 2024, 10:32:24 AMe perchè questo uniformarsi a concetti comuni accade nelle varie branche delle scienze e invece non accade per la filosofia e le religioni? Ognuno di noi può ben notare come la scienza avanza, procede, cammina in una maniera più o meno condivisa ma che poi di fatto diviene condivisa quando le dimostrazioni non lasciano spazio più ad alcun dubbio.
La condivisione nella scienza non sta propriamente a valle, ma a monte, nella condivisione del metodo scientifico, cioè nelle procedure da adottare per fare ricerca.
Per trovare una condivisione a valle il processo è oltremodo travagliato, fino a divenire violento, e di questo processo ormai siamo tutti partecipi essendo stato sdoganato sul web, e da ciò derivano i no-ognicosa.
I filosofi non condividono un metodo, perchè ogni filosofo è un metodo, ed è giusto che sia così, perchè da questa ricchezza di vedute è nato il metodo scientifico, e questa ricchezza va quindi preservata, senza porla in contrapposizione con la scienza.
La scienza cammina in una maniera più o meno condivisa perchè segue precise procedure in modo acritico, riservando la fase critica, dove ognuno potrà dire la sua ''al modo dei filosofi'', all'elaborazione dei risultati della ricerca.
Ci sono millemila verità non soggettive e non opinabili: incendi, terremoti, alluvioni, la morte e la nascita. Solo per citare quanto di meno confutabile e astratto. Poi vi sono ancora più casi di eventi meno macroscopici, ma altrettanto veri-ficabili, senza scomodare opinabili intersoggettività.
Perché insistere solo su ciò che essendo opinabile poco si presta al concetto di verità ?
Citazione di: Ipazia il 22 Luglio 2024, 22:56:59 PMCi sono millemila verità non soggettive e non opinabili: incendi, terremoti, alluvioni, la morte e la nascita. Solo per citare quanto di meno confutabile e astratto. Poi vi sono ancora più casi di eventi meno macroscopici, ma altrettanto veri-ficabili, senza scomodare opinabili intersoggettività.
Perché insistere solo su ciò che essendo opinabile poco si presta al concetto di verità ?
Perchè la mamma degli essenti non fà figli e figliastri. ;D
Si consideri che far dipendere l esistenza delle cose dalle risorse dei miei organi di senso non è di per sè nulla di diverso dal farle dipendere dalla mia immaginazione. Altra cosa è dire che per parlare di incendi, terremoti, alluvioni, la morte e la nascita, temporali e ombrelli dobbiamo passare per gli schemi concettuali ma temporali, terromoti , alluvioni e incendi per verificarsi come eventi reali non hanno alcun bisogno dei nostri schemi concettuali.
Citazione di: Alberto Knox il 22 Luglio 2024, 23:45:55 PMSi consideri che far dipendere l esistenza delle cose dalle risorse dei miei organi di senso non è di per sè nulla di diverso dal farle dipendere dalla mia immaginazione. Altra cosa è dire che per parlare di incendi, terremoti, alluvioni, la morte e la nascita, temporali e ombrelli dobbiamo passare per gli schemi concettuali ma temporali, terromoti , alluvioni e incendi per verificarsi come eventi reali non hanno alcun bisogno dei nostri schemi concettuali.
Sono le dinamiche della realtà a non aver bisogno delle nostre concettualizzazioni, mentre alluvioni, incendi e ombrelli, non esistono senza le nostre concettualizzazioni, essendo esse descrizioni fra le tante possibili delle dinamiche della realtà, di cui siamo noi ad aver bisogno, per evitare di essere alluvionati, o restare abbrustoliti, o di bagnarci quando piove, mentre la realtà da ciò non ha nulla da temere.
Dipende poi da quanta coscienza impieghiamo nel processo se le cose sebrino venire da se, o sembrano venire ''da noi'', dalla nostra immaginazione. Meno ne impieghiamo di coscienza più sembrano venire da se.
Di ciò di fatto ne abbiamo ormai una prova, essendo che le nostre concettualizzazioni sono sempre più coscienti, in quanto derivanti dal NOSTRO metodo scientifico, e in conseguenza di ciò sempre più sfuggenti o meno evidenti mostrano di ''essere'' gli essenti che ne derivano.
A questi argomenti di solito si ribatte con l'esempio del burrone nel quale si rischia di cadere se non lo si considera reale.
Sarebbe come dire che dell'energia nucleare invece non ci dobbiamo preoccupare, non presentandosi essa a noi con l'evidenza di un burrone.
Perchè alla fine questa energia chi l'ha mai vista?
Per quello che ne sappiamo potrebbe trattarsi di un complotto della casta degli scienziati. :)
Immaginando le cose ci sembra di vederle , perchè è con l'immaginazione che vediamo le cose.
Se non siamo coscienti di starle immaginando, le cose permangono alla nostra visione, diversamente spariscono quando volutamente interrompiamo il processo di immaginazione.
Nel sogno, dove la coscienza funziona a intermittenza, le cose appaiono e scompaiono in continuazione.
Se potessimo trattenere i sogni ognuno di noi vivrebbe in quel sogno dal quale non si vorrebbe mai svegliare.
La realtà è quel sogno, non necessariamente bello, dal quale non riusiamo a svegliarci, ma essendo un sogno non può essere la realtà.
I quanti, le onde di probabilità, sembrano essere frutto della nostra immaginazione, e infatti lo sono, come lo sono i burroni.
A noi adesso resta solo da rivalutare la nostra immaginazione, per dare a tutte queste diverse cose pari dignità, rivalutare l'immaginazione in tutte le sue diverse manifestazioni, da quella sensoriale, a quella artistica, a quella scientifica, perchè sono tutte diverse sfaccettature della stessa cultura, la nostra.
Posso ''immaginare che l'immaginazione'' sia un muscolo da esercitare per essere sempre pronto alla bisogna, e che sia nell'arte, compresa quella della filosofia, ad esercitarsi l'immaginazione che poi applichiamo nel processo scientifico.
Non penso che nessuno creda realmente che le cose siano "create" dal nostro pensiero.
La materialità delle cose, la fisicità, la durezza, etc., indipendentemente da come le definisco, sono fattori che appartengono alla cosa che sta di fronte a me. Questo è ovvio e non ci sarebbe nemmeno bisogno di ripeterlo.
Questi fattori possono però essere descritti in vari modi.
La scelta dei modi però non è soggettiva. Non è una convenzione.
Se così fosse non ci sarebbe differenza tra doxa ed episteme, cosa che arresterebbe all'improvviso la nostra intera civiltà, essendo essa basata su scelte, operazioni, più pregnanti di altre.
Si può decidere in modo ingenuo di tracciare una riga sul termine verità, poi però bisogna industriarsi per trovare un sinonimo che renda giustizia al fatto che la conoscenza complessiva dei singoli aspetti che la cosa manifesta è superiore a convenzioni immaginate.
Del resto se si asserisce che la realtà si forma dall'interazione tra oggetto e soggetto, non si può poi dimenticare di ciò che viene dall'oggetto.
Se l'oggetto non si nasconde, se l'oggetto si offre al soggetto, se si manifesta, allora ciò che dona, per quanto filtrato dalla nostra particolarità di specie e di singoli, deve evidentemente svolgere un ruolo nella costruzione della conoscenza.
Il fatto che non si possa arrivare mai ad un'essenza definitiva dell'oggetto, che l'identità dell'oggetto sia la sintesi degli infiniti modi di relazionarsi con esso, non implica affatto che tale identità dipenda solo dal soggetto e dalla sua immaginazione nel dare i nomi alle cose.
Citazione di: Koba II il 23 Luglio 2024, 08:56:10 AMQuesto è ovvio e non ci sarebbe nemmeno bisogno di ripeterlo.
Stante la chiarezza con cui hai esposto le tue idee, dispongo di ampia scelta su cosa sottoporre a critica (di solito purtroppo non è così, e si risponde criticamente solo a quella parte che si è capita).
Uscendo dall'imbarazzo di cosa scegliere, il tema di ciò che è ovvio, è quello che più sembra sollecitarmi.
Quindi inizio con una provocazione della quale chiedo perdono in partenza.
Se tutto fosse ovvio che bisogno avremmo dei filosofi?
Siccome non tutte le cose sembrano essere ovvie ci chiederemo allora perchè alcune appaiono tali ed altre no, almeno se vogliamo dare in partenza pari dignità a tutte le cose che ci appaiono.
Se non riusciamo in tal mondo a ridurre ad ovvietà ciò che sembra non esserlo, sembrerà un voler vincere facile affermare che nulla è ovvio, ma è la soluzione che io ho scelto di considerare, e più la considero più mi sento di confermarla, per il modo semplice in cui ogni domanda sembra trovare una risposta, laddove spesso la risposta sta nella perdita di senso di una domanda che sembrava ovvio dovessimo farci.
D'altronde mi pare che anche a te piaccia vincere facile quando dici che di certe ovvietà non si dovrebbe neanche dire, non sapendo cosa dirne.
Le cose appunto non sono ovvie in se, ma nella misura in cui non sappiamo dirne, ed è così che si presenta a noi la verità, come ciò che noi non siamo in grado di negare.
Poi, come nella favola della volpe e l'uva, questa incapacità di negare si trasforma in una impossibilità di negare che da alla verità il suo carattere di assolutezza.
Iano sta volgendo l attenzione al soggetto e non sull oggetto. Ed è esattamente il lavoro che fece kant. la rivoluzione copernicana , invece di guardare l'oggetto per conoscerlo partiamo dal soggetto. Mi sembra che è questo che infine stai dicendo.
Citazione di: Alberto Knox il 23 Luglio 2024, 10:44:02 AMIano sta volgendo l attenzione al soggetto e non sull oggetto. Ed è esattamente il lavoro che fece kant. la rivoluzione copernicana , invece di guardare l'oggetto per conoscerlo partiamo dal soggetto. Mi sembra che è questo che infine stai dicendo.
Si, dico che soggetto ed oggetto meritano pari attenzione, e che se alla conoscenza abbiamo potuto dare un valore assoluto ciò è stato possibile solo astraendo il soggetto della conoscenza, come se il soggetto potesse essere un contenitore passivo della conoscenza che da fuori arrivava.
Se il soggetto non è passivo allora la conoscenza non è assoluta, ma ciò non vuol dire che allora essa è slegata dalla realtà, ma anzi che essa riguarda la realtà nella sua interezza, comprensiva del soggetto.
Come la realtà faccia a dividersi in soggetto e oggetto della conoscenza questo è un mistero, ma accettato questo non mi sembra vi siano altri misteri e altre metafisiche necessarie da considerare.
Quindi se cambia il soggetto, a parità di oggetto, cambia la conoscenza.
Questa conoscenza poi si traduce nel mondo nel quale di fatto viviamo, che non è la realtà, ma che si pone fra noi ed essa.
Questo mondo poi asseconda di quanta coscienza è stata impiegata nel processo di conoscenza, non essendo la coscienza a ciò necessaria, ci apparirà fatto di cose più o meno concrete, verso le quali avremo la tentazione di fare figli e figliastri, dividendole fra ovvietà e cose meno ovvie.
Più complicata diventa la questione se ammettiamo però che tutte queste cose, dalle più ovvie alle meno ovvie, abbiano tutte la stessa discendenza, e che siano fatte perciò della stessa sostanza.
Di quale sostanza sia fatta la realtà invece resterà sempre un mistero, ed essendone parte noi partecipiamo a questo mistero, e a dire il vero non sappiamo neanche se chiedersi di che sostanza sia fatta la realtà sia sensato.
Io mi sono convinto che non ci siano domande senza risposta, ma al massimo solo domande insensate che perciò non hanno un risposta, non essendo vere domande.
Quante di queste domande insensate ci sono?
Se potessimo contarle avremmo la misura di quanto tendiamo ad assimilare la realtà alle sue descrizioni, cioè alla nostra conoscenza.
In sostanza noi non abbiamo alcuna conoscenza della realtà, perchè la conoscenza si produce dal nostro rapporto con la realtà, prodotto che diventa a sua volta causa del come proseguirebbe ad interagire con la realtà.
Il fare diventa causa del fare con l'intermediazione della conoscenza, sfuggendo così alle leggi cui sottostà la materia il cui fare si ripete quando si ripetono le condizioni iniziali.
E'la vita, bellezza. :))
Citazione di: iano il 23 Luglio 2024, 11:18:44 AMQuante di queste domande insensate ci sono?
Se potessimo contarle avremmo la misura di quanto tendiamo ad assimilare la realtà alle sue descrizioni, cioè alla nostra conoscenza.
in attesa di trovare queste domande insensate vorrei proporti questo video che parla di una critica della cosa in sè. Noterai che tocca molti punti tracciati dalla tua teoria. E potrebbe anche darti nuove chiarezze da cui estendere il discorso.
Non l'ho ancora visto tutto il filmato, ma lo trovo estremamente interessante sopratutto per i riferimenti che vi sono e coi quali potrei finalmente iniziare ad affrontare la filosofia in modo serio, e non come ho fatto finora prendendomi ogni libertà che il forum mia ha concesso.
D'altra parte è grazie a questa libertà che mi sono preso, che non è successo che leggendo ad esempio Kant, come mi pare di capire, vi sarei rimasto letteralmente invischiato, incapace poi di venirne fuori.
Non è perciò che il mio pensiero sia del tutto libero, privo di condizionamenti, ma è un pensiero che ho evitato volutamente di condizionare, per quanto possibile.
Cioè ho mantenuto la mia ignoranza per quanto possibile, ma temo sia giunto adesso il momento di una filosofia responsabile, quella che ti irreggimenti in qualche corrente filosofica dalla quale poi più ad uscire.
Amen :))
In quali letture filosofiche vi è parso di restare invischiati, senza riuscire più a venirne fuori?
Un altra discussione da aprire.
Cho sono dunque io?
Un antirealista, un antirappresentativo, o magari solo un irresponsabile. :))
Per la mia natura di bastiancontrario certamente un antiqualcosa sarò, e sollecitato da Alberto proverò a scoprirlo, anche se mi basterebbe di essere antipigro, a dire il vero, a non essere quel tipico italiano che scrive tanto ma legge poco.
Come dice Ferraris la cosa in se prima era una cosa e basta, e quel se rafforzativo è divenuto indizio della sua sopraggiunta debolezza.
O come dicono a Catania, quando si sono rubati i gioielli di Sant'Agata, gli hanno fatto le porte di ferro, essendo ormai inutili, e chi potrebbe negare che quel ''in se'' sembri un aggiunta inutile, ''un di più di troppo''.
Non ho apprezzato l'intervento di Ferraris, ma non era di questo che volevo parlare.
Cos'è la verità? La verità è che si è concluso il tour de France 2024.
Sempre nel 2024, da agnostico, trovo quasi nocivo parlare tanto di verità quanto di realtà. Per quello che mi riguarda sarebbe più opportuno invece soffermarci nell'ambito di verità e/o realtà relative a qualcosa, proprio quelle che legittimamente ci permettono di separarci nel dualismo conoscitore/conosciuto (ed eventuali possibili perturbazioni annesse). In questo senso si ricordi cioè che nella realtà ci sta pure l'io pensante, e scrivente nel nostro caso; e che non ci si solleva da terra tirandosi per i capelli. Allora accade, in questo caso, che non ci si trova più nel luogo (l'ambito scientifico) dove fisiologicamente si consuma la possibile perturbazione imposta dall'osservatore; pertanto e per come la vedo non vi sarebbe alcuna legittimità di ordine logico a giustificare una separatezza (conoscitore/conosciuto) tra colui che medita sui massimi sistemi (verità, realtà e mettiamoci pure Dio) e i massimi sistemi. ... Omissis ... In senso metafisico "concreto" troverei più sensato e probabilmente anche più fruttuoso (fruttuoso per la società umana) indagare filosoficamente di pari passo con la scienza i motivi ancora poco chiari della nostra così variegata interpretazione soggettiva
Citazione di: daniele22 il 23 Luglio 2024, 22:00:51 PMpertanto e per come la vedo non vi sarebbe alcuna legittimità di ordine logico a giustificare una separatezza (conoscitore/conosciuto) tra colui che medita sui massimi sistemi (verità, realtà e mettiamoci pure Dio) e i massimi sistemi.
Non c'è separazione nel senso che il pensare ai massimi sistemi non è altro che il pensare stesso, e siamo noi a pensare . Così questa sfera dell essere (l io penso kantiano) coincide in larghissima misura con quella del conoscibile. Credo che kant annuirebbe a quanto ho detto ma se le cose stanno così, allora dovremmo chiederci che differenza ci sia tra il fatto che ci sia un oggetto X e il fatto che noi conosciamo l oggetto X . Trovo anche che il mondo non sia solo ciò che noi possiamo conoscere , ci possono essere cose di cui non possiamo dare alcuna spiegazione propio per via del nostro particolare sistema di organizzazione dell esperienza umana. E altre che non hanno spiegazione alcuna.
Citazione di: daniele22 il 23 Luglio 2024, 22:00:51 PMtra colui che medita sui massimi sistemi (verità, realtà e mettiamoci pure Dio) e i massimi sistemi. .
Qualcosa non mi torna. Verità, realtà e Dio non sono argomentazione sui massimi sistemi. Dio è prettamente da inserire in metafisica , realtà è il mondo e quindi altro concetto metafisico (noi non possiamo avere accesso alla totalità del mondo ma solo ad una parte) e verità ci può rientrare solo se si intende verità relativa ha...
Col termine massimi sistemi si intende argomentazione inerenti la fisica e la cosmologia , analisi di una teoria cosmologica in maniera filosofica o specialistica mi pare. Questo se prendiamo come esempio i dialoghi sui massimi sistemi di Galileo, quindi è probabile che ti riferivi ad altro.
Esatto. E anche la nostra sensorialità, come quella di ogni altro vivente, ha una taratura evolutiva oggettivamente determinabile (spettro visivo, cellule olfattive, materiali isolanti, conformazione padiglione auricolare,...), che nulla ha in comune con l'immaginazione, che può vedere giganti dove sono soltanto nubi.
Il mio precedente post voleva essere un invito a non perdere tempo in bizzarre elucubrazioni.
Il relativismo filosofico ha l'importante compito di spiegare un fatto: la differenza qualitativa del sapere, la differenza tra doxa ed episteme.
Per esempio: sull'arte della lavorazione dei metalli il fabbro e l'ingegnere ne sanno infinitamente più di me. Se io decidessi di recuperare terreno studiando la tradizione alchemica arriverei sì ad un sapere, ma tale sapere sarebbe sempre inferiore al loro, non solo dal punto di vista dell'efficacia.
Mi verrebbe da dire che il loro sapere è più adeguato all'oggetto, ma dal punto di vista del relativismo, non si può né accettare l'ontologia tradizionale dell'identità dell'oggetto come essenza o forma "interna", che le mie rappresentazioni ed i miei esperimenti vorrebbero gradualmente catturare, né ovviamente il realismo gnoseologico, legato a tale struttura metafisica.
Quindi, come spiegare questi gradi differenti di conoscenza?
Le aporie a cui si va incontro parlando di convenzioni, abitudini, cioè riprendendo in generale un approccio di sociologia della conoscenza, alla fine non si riescono a sciogliere. Non le si può semplicemente dimenticare. Pena: il ritorno regressivo ad ambigue epistemologie un po' kantiane, un po' realiste, etc., che però cozzano completamente con l'impostazione teoretica che vorrebbe essere post-metafisica.
Penso sia su questo che il relativismo serio, realmente filosofico (non quel soggettivismo superficiale), si debba concentrare.
Citazione di: Koba II il 24 Luglio 2024, 09:28:42 AMQuindi, come spiegare questi gradi differenti di conoscenza?
per prima cosa dovremmo stabilire se questi gradi differenti di conoscenza sono antitetici fra loro. Conosco le rose in modo discreto , un botanico le conosce più a fondo , un biologo ancora piu a fondo, un chimico potrebbe dirne qualcosa d altro. Ma a me non serve unificare tutti questi approcci conoscitivi per avere un bella e sana pianta di rose.
Citazione di: Alberto Knox il 22 Luglio 2024, 23:45:55 PMSi consideri che far dipendere l esistenza delle cose dalle risorse dei miei organi di senso non è di per sè nulla di diverso dal farle dipendere dalla mia immaginazione. Altra cosa è dire che per parlare di incendi, terremoti, alluvioni, la morte e la nascita, temporali e ombrelli dobbiamo passare per gli schemi concettuali ma temporali, terromoti , alluvioni e incendi per verificarsi come eventi reali non hanno alcun bisogno dei nostri schemi concettuali.
Esatto. E anche la nostra sensorialità, come quella di ogni altro vivente, ha una taratura evolutiva oggettivamente determinabile (spettro visivo, cellule olfattive, materiali isolanti, conformazione padiglione auricolare,...), che nulla ha in comune con l'immaginazione, che può vedere giganti dove sono soltanto nubi.
I fenomeni fisici sono reali a prescindere dalle nostre classificazioni e concettualizzazioni e lo strumento di misura naturale, evolutivamente determinato, di cui disponiamo è altrettanto indipendente dalla nostra immaginazione.
Citazione di: iano il 23 Luglio 2024, 09:41:16 AMSe tutto fosse ovvio che bisogno avremmo dei filosofi?
Abbiamo bisogno dei filosofi per tutte le cose (etica, estetica, politica, norma,...) che non trovano risposta nell'ambito delle scienze naturali. Wittgenstein l'ha esplicato benissimo nel Tractatus.
Mentre le scienze naturali si occupano di tutto ciò che è
a priori delle nostre concettualizzazioni e classificazioni. Ovvero il mondo, gli stati di fatto. Con i loro criteri oggettivi (fino a prova contraria"), di verità.
Citazione di: Alberto Knox il 23 Luglio 2024, 23:53:34 PMallora dovremmo chiederci che differenza ci sia tra il fatto che ci sia un oggetto X e il fatto che noi conosciamo l oggetto X . Trovo anche che il mondo non sia solo ciò che noi possiamo conoscere , ci possono essere cose di cui non possiamo dare alcuna spiegazione propio per via del nostro particolare sistema di organizzazione dell esperienza umana. E altre che non hanno spiegazione alcuna.
Siccome vediamo la realtà fatta di cose allora presumiamo che , per quanto perfettibile possa essere la nostra conoscenza, la realtà di quelle cose sia fatta.
C'è un atteggiamento umile in ciò, ma non abbastanza secondo me.
Le cose sono il prodotto della nostra interazione con la realtà, se non vogliamo andare presuntuosamente oltre ciò che sappiamo.
Le cose sono una funzione di due variabili, noi e il resto della realtà, dunque perchè le cose dovrebbero stare nel dominio di una sola delle due variabili, cioè nel resto della realtà. Esse non stanno necessariamente in nessuno dei due domini.
Citazione di: Ipazia il 24 Luglio 2024, 07:30:05 AMEsatto. E anche la nostra sensorialità, come quella di ogni altro vivente, ha una taratura evolutiva oggettivamente determinabile (spettro visivo, cellule olfattive, materiali isolanti, conformazione padiglione auricolare,...), che nulla ha in comune con l'immaginazione, che può vedere giganti dove sono soltanto nubi.
I dati sensoriali non sono immagini tout court.
Perchè si trasformino in un immagine occorre elaborali, e questo processo di elaborazione è l'immaginazione, che funziona anche ad occhi chiusi elaborando i dati in memoria.
E' certamente una elaborazione sofisticata, che gli scienziati possono solo sognarsela.
Riusciamo a vedere i prodotti dell'elaborazione scientifica solo indirettamente, facendo analogie coi prodotti di una altra elaborazione, quella immaginativa.
Possiamo ''sbirciare'' l'onda di probabilità per analogia, solo perchè un altro processo elaborativo distinto da quello scientifico ha prodotto immagini di onde.
Non solo possiamo vedere giganti dove ci sono solo nubi, ma possiamo vedere guanti ove dove non vi è nulla, usando diversamente il processo di immaginazione, slegandolo dalla visione.
Mi riferisco per semplicità al senso della vista, ma il discorso vale per ogni senso.
Citazione di: Koba II il 24 Luglio 2024, 09:28:42 AMSe io decidessi di recuperare terreno studiando la tradizione alchemica arriverei sì ad un sapere, ma tale sapere sarebbe sempre inferiore al loro, non solo dal punto di vista dell'efficacia.
Se non lo è solo dal punto di vista dell'efficacia allora hai sbagliato esempio.
L'episteme è il manuale del fabbro, che il fabbro non legge, per cui se tu vorresti imparare la sua arte non ti resterebbe che osservarlo lavorare, perchè egli, ignaro del manuale, non saprebbe spiegartela a parole.
Paradossalmente il fabbro potrebbe spiegarti come è fatto invece il cosmo, ma te lo spiegherebbe in termini di mantici incudini e martelli, perchè il fabbro il manuale di metallurgia ce l'ha nascosto dentro, e lavora dentro di lui come una verità.
La doxa è la materia di cui è fatto l'episteme.
La scienza nasce dalla ricchezza di opinioni.
La scienza cerca la condivisione a valle, e seppur con grande travaglio ci riesce.
La verità invece vince facile ponendo la condivisione a monte.
La scienza è soggettività portate a soluzione, cioè a intersoggettività.
La verità, se pure fosse posseduta da tutti gli uomini, rimane intersoggettività, a meno di non trascendere la loro natura equiparandola a quella di Dio.
Citazione di: Ipazia il 24 Luglio 2024, 15:04:37 PMAbbiamo bisogno dei filosofi per tutte le cose (etica, estetica, politica, norma,...) che non trovano risposta nell'ambito delle scienze naturali. Wittgenstein l'ha esplicato benissimo nel Tractatus.
Mentre le scienze naturali si occupano di tutto ciò che è a priori delle nostre concettualizzazioni e classificazioni. Ovvero il mondo, gli stati di fatto. Con i loro criteri oggettivi (fino a prova contraria"), di verità.
In questo modo ci si condanna a rimanere bloccati per via di due forze contrarie: da una parte la spinta anti-filosofica (a volte inconsapevole) che ritiene che il reale sia conoscibile solo dalla scienza, dall'altra l'esigenza drammatica del nostro tempo di dare risposte alla questione dell'etica.
Se accettiamo che la verità sia sostanzialmente declinata dalla scienza, anche se poi dichiariamo l'importanza del mondo dello spirito umano, su che cosa si potrà mai basare l'etica?
Su una specie di sintesi delle informazioni fisico-biologiche della specie umana?
No, la filosofia ha il compito di costruire un discorso teoretico preliminare, un discorso di filosofia prima o metafisica se volete, in cui si tenti di chiarire la struttura originaria delle cose, da cui poi fondare un'etica, una politica, un'estetica, e via dicendo.
Ma senza questo tentativo, che ovviamente non dovrà essere né reazionario (nel senso di un recupero a-problematico della tradizione metafisica in una delle sue versioni), né superficiale (nel senso di non volersi confrontare sul serio con la tradizione filosofica decidendo fin dall'inizio che certe ontologie non hanno senso e via dicendo), senza questo tentativo, dicevo, si rimarrà al livello della sola espressione dell'esigenza di avere "un'etica al livello della scienza".
Citazione di: Alberto Knox il 23 Luglio 2024, 23:53:34 PM.. allora dovremmo chiederci che differenza ci sia tra il fatto che ci sia un oggetto X e il fatto che noi conosciamo l oggetto X . .
Va bene, una disquisizione sulla realtà non apparterrebbe a un discorso sui massimi sistemi, ma resta comunque il fatto che il nostro pensiero non sarebbe propriamente "libero", nel senso che, chi più chi meno, ciascuno tende a difendere il suo territorio di pensiero. O almeno, non ci è noto il motivo e l'intenzione di chi parla. La scienza poi dirà la sua.Detto questo, ho trattenuto solo la parte citata del tuo intervento che mi sembra la più rilevante e carica di conseguenze. Ignoro il pensiero di Kant e faccio fatica a usare la terminologia del linguaggio filosofico, purtuttavia da eretico quale mi sento dico che non vi sarebbe alcuna differenza tra i due fatti. L'esistenza dell'oggetto X, per come la penso, non si costituirebbe come un'offerta della realtà ai nostri sensi per cui noi, in successione, si possa eventualmente conoscerlo. L'esistenza di un oggetto sarebbe dovuta bensì ad un atto di conoscenza (di apprendimento). Quello che voglio dire sarebbe che il momento in cui un oggetto si afferma come oggetto mentale, generalizzato quindi, tale momento sarebbe dovuto al nostro ineluttabile e spontaneo, necessario se vuoi, recepirne un senso (un significato) per ragioni che probabilmente sarebbero in un certo senso di vitale importanza (intendi non strettamente questioni di vita o di morte). Fintanto che non si consumi quest'atto è come se l'oggetto non esistesse. I sensi cioè lo percepirebbero sì, ma senza realizzarlo. Pertanto, il fatto di conoscere l'oggetto (il secondo termine della differenza da te proposta) si costituirebbe come semplice ampliamento di una conoscenza che già esiste, ampliamento che può pure entrare in conflitto con l'imprinting conoscitivo originario. Traendo infine da tutto ciò una personale opinione conclusiva, il culto alla conoscenza, più che mosso da stupore e meraviglia, sarebbe più che altro spinto da una paura preoccupante che, ai giorni nostri rischia di assumere aspetti patologici. L'atteggiamento scettico da una parte, e falso da un'altra, sarebbero i sintomi più evidenti di tale patologia. Assomiglia quasi a una fase acuta di una sindrome bipolare collettiva
Citazione di: daniele22 il 25 Luglio 2024, 09:11:29 AML'esistenza dell'oggetto X, per come la penso, non si costituirebbe come un'offerta della realtà ai nostri sensi per cui noi, in successione, si possa eventualmente conoscerlo. L'esistenza di un oggetto sarebbe dovuta bensì ad un atto di conoscenza (di apprendimento). Quello che voglio dire sarebbe che il momento in cui un oggetto si afferma come oggetto mentale, generalizzato quindi, tale momento sarebbe dovuto al nostro ineluttabile e spontaneo, necessario se vuoi, recepirne un senso (un significato) per ragioni che probabilmente sarebbero in un certo senso di vitale importanza (intendi non strettamente questioni di vita o di morte). Fintanto che non si consumi quest'atto è come se l'oggetto non esistesse. I sensi cioè lo percepirebbero sì, ma senza realizzarlo.
Mi viene in mente un neonato. Il neonato guarda, tocca delle cose , si può dire che il neonato conosce quelle cose? no, le conoscerà poco alla volta e questo conoscerlo poco alla volta da parte del neonato sarà attaccare alle cose che vede , che tocca e che sente dei significati e questi significati son dell cose che stanno dentro la testa, non la fuori. Noi il mondo come tale non lo conosceremo mai , lo conosciamo solo e soltanto attraverso a delle mediazioni che possono essere i filtri dei sensi e la scienza. -non di meno se vuoi conoscere il mondo devi passare attraverso l'uomo perchè l'uomo è quella specie di paio di occhiali che ti rende conoscibile il mondo. Un altra cosa fondamentale è che noi conosciamo il mondo attraverso quello che kant chiama "giudizi determinanti" la dove giudizi significa una proposizione "questa rosa ha le spine" questo determinare il mondo non significa che noi lo costruiamo , anche se di fatto è ciò che molti diranno dopo kant. Ma è come se noi dessimo i confini del mondo attraverso i nostri strumenti conoscitivi , attraverso le nostre forme della sensibilità e attraverso le nostre regole logiche . Il mondo è questa cosa determinata dai nostri concetti.
daltronde se non passiamo attraverso l'uomo per conoscere il mondo da dove dobbiamo passare? dire che dobbiamo passare attraverso la scienza equivale a dire passare attraverso l'uomo. Perchè la scienza è una costruzione umana.
Citazione di: Alberto Knox il 25 Luglio 2024, 10:48:21 AMdaltronde se non passiamo attraverso l'uomo per conoscere il mondo da dove dobbiamo passare? dire che dobbiamo passare attraverso la scienza equivale a dire passare attraverso l'uomo. Perchè la scienza è una costruzione umana.
E' dal fare che traiamo la conoscenza, la quale poi condizionerà il nostro fare.
E' il fare che attraverso la mediazione del sapere diventa, causa che agisce senza limiti di tempo.
L'uomo è fatto anche di questo sapere, e quando esso cambia, cambia l'uomo, o viceversa.
Il sapere è il frutto del nostro agire nella realtà, per cui riguarda noi quanto la realtà.
E' uno schemino tanto semplice da risultare deludente.
Citazione di: Koba II il 25 Luglio 2024, 08:46:21 AMIn questo modo ci si condanna a rimanere bloccati per via di due forze contrarie: da una parte la spinta anti-filosofica (a volte inconsapevole) che ritiene che il reale sia conoscibile solo dalla scienza, dall'altra l'esigenza drammatica del nostro tempo di dare risposte alla questione dell'etica.
Se accettiamo che la verità sia sostanzialmente declinata dalla scienza, anche se poi dichiariamo l'importanza del mondo dello spirito umano, su che cosa si potrà mai basare l'etica?
Su una specie di sintesi delle informazioni fisico-biologiche della specie umana?
La questione non si supera contrapponendo due riduzionismi: scientismo e idealismo etico, ma prendendo atto che l'etica non può che germogliare dall'ethos, ovvero dalla rigorosa conoscenza etologica della nostra specie (evolutivamente determinata) e che essa non è un'automatica applicazione di riduzionismi fisicistici, ma realizzazione di progetti razionali sulla base di ciò che la natura rende possibile e desiderabile.
Quindi nessuna contrapposizione, ma sintesi dialettica tra necessità e libertà.
CitazioneNo, la filosofia ha il compito di costruire un discorso teoretico preliminare, un discorso di filosofia prima o metafisica se volete, in cui si tenti di chiarire la struttura originaria delle cose, da cui poi fondare un'etica, una politica, un'estetica, e via dicendo.
Ma senza questo tentativo, che ovviamente non dovrà essere né reazionario (nel senso di un recupero a-problematico della tradizione metafisica in una delle sue versioni), né superficiale (nel senso di non volersi confrontare sul serio con la tradizione filosofica decidendo fin dall'inizio che certe ontologie non hanno senso e via dicendo), senza questo tentativo, dicevo, si rimarrà al livello della sola espressione dell'esigenza di avere "un'etica al livello della scienza".
Ritengo impossibile per la filosofia costruire un discorso teoretico a priori, ignorando ciò che a priori c'è davvero: la natura.
Da non confondersi con la scienza tout court, su cui la filosofia esercita un controllo critico attraverso lo strumento epistemologico, superato il quale la filosofia non può non tenere conto del dato ontologico affluente dalle scienze naturali.
Sulle quali si innesta in modo razionale l'universo delle scienze umane, il nostro margine di libertà esistenziale ed etica, teorica e pratica.
E' possibile parteggiare per un primato della filosofia aut della scienza, solo se non si vede come le due cose siano intimamente connesse.
Se la conoscenza condiziona il fare, una conoscenza condivisa è la premessa di un etica come comportamento condivisibile.
Non è possibile espellere completamente la metafisica dalla fisica, ma ogni volta che la si individua lo si deve fare, e non per assestargli il colpo di grazia definitivo , ma per fare un salto nella nostra visione del mondo, la quale resterà comunque legata in modo inscindibile ad una metafisica.
la vera metafisica però non è quella che dichiarano i filosofi, ma quella che agisce in incognito, e perciò innegabile come lo è una verità indicibile.
Allo stesso tempo il compito dei filosofi è quello di sistematizzare il sapere attuale in modo chiaro, perchè solo ciò permetterà di negarlo, superandolo.
Non è un caso che certi filosofi insuperati abbiano lasciato a metà questo processo chiarificatore.
Altri sedicenti filosofi giocano invece volutamente sporco, difendendo il primato della filosofia dietro una cortina fumogena.
Ma questo non è amore del sapere, ma amore dell'amore del sapere, cioè della filosofia, una amore che crea pregiudizi al sapere.
Il sapere è per me una sfida contro noi stessi, una lotta continua fra ciò che eravamo e ciò che saremo.
Per innescare il cambiamento occorre svelare la metafisica che ci sostiene per superarla, ma dopo aver fatto ciò se stiamo ancora in piedi è perchè una nuova metafisica è venuta in nostro soccorso senza far clamore, e sarà la nostra nuova verità, finché resterà nascosta.
Mettere l'accento sull'etica in modo prioritario significa voler arrivare alla fine del processo, per un ansia verso il bene, mettendolo all'inizio, di modo che questo inizio non potendosi reggere su nulla, dovrà reggersi da solo divenendo un assoluto.
Il problema è che ogni assoluto, nella misura in cui viene dichiarato, potrà essere perciò negato, e perciò sarà sempre la verità di pochi, per quanto tanti.
Ciò che ci fà uguali è la verità che sentiamo, ma che non sappiamo dire.
Ciò che ci divide è la verità una volta dichiarata.
il nostro mondo è fatto ancora di evidenze e di ovvietà, ma come facciamo a far finta di non sapere che molti di nostri mondi si sono estinti con le loro ovvietà?
Mi pare che in ciò ci sia una malafede, che pure umanamente comprendo.
L'Etica è fondata su nient'altro che non se stessa.
Se infatti fosse qualcos'altro a fondarla, che mai potrebbe essere se non ancora Etica?
L'Etica è la ragione della esistenza.
Non può esservi dubbio alcuno.
È sufficiente infatti supporre il contrario, che cioè non sia l'Etica il fondamento e considerare davvero questa possibilità, per indietreggiare inorriditi!
Occorre però proprio pensare il mondo, la vita, la tua vita, che potrebbero prescindere dall'Etica.
Appunto, pensare.
Citazione di: Ipazia il 25 Luglio 2024, 17:32:33 PMLa questione non si supera contrapponendo due riduzionismi: scientismo e idealismo etico, ma prendendo atto che l'etica non può che germogliare dall'ethos, ovvero dalla rigorosa conoscenza etologica della nostra specie (evolutivamente determinata) e che essa non è un'automatica applicazione di riduzionismi fisicistici, ma realizzazione di progetti razionali sulla base di ciò che la natura rende possibile e desiderabile.
Quindi nessuna contrapposizione, ma sintesi dialettica tra necessità e libertà.
Ritengo impossibile per la filosofia costruire un discorso teoretico a priori, ignorando ciò che a priori c'è davvero: la natura.
Da non confondersi con la scienza tout court, su cui la filosofia esercita un controllo critico attraverso lo strumento epistemologico, superato il quale la filosofia non può non tenere conto del dato ontologico affluente dalle scienze naturali.
Sulle quali si innesta in modo razionale l'universo delle scienze umane, il nostro margine di libertà esistenziale ed etica, teorica e pratica.
Quando ci occupiamo di
caso,
necessità,
libertà,
divenire,
tempo, etc., facciamo il tentativo di articolare un discorso propriamente filosofico, preliminare nel senso di generale e antecedente allo studio specifico delle diverse discipline.
Non è corretto dire che questo discorso sia a priori, perché ovviamente si basa anche sulla nostra esperienza del mondo.
E in esso, quando parliamo di natura, certo ciò che esprimiamo non è il risultato di qualche definizione distaccata dalla realtà, ma l'amalgama di riflessioni su ciò che di essa ha pensato la tradizione e ciò che è riuscito a catturare il nostro sguardo, la nostra esperienza specifica.
In questo senso intendevo dire che solo da una chiarificazione generale di tipo teoretico si può poi per esempio articolare un discorso etico che risulti essere "fondato", nel senso di più consapevole, di più profondo, diciamo così.
La contrapposizione non è tra necessità e libertà, ma tra natura e libertà.
Natura e libertà sono mutuamente incompatibili.
Questo perché la libertà è prerogativa dell'essere, mentre la natura è esserci.
E l'Essere non c'è.
Proprio non può esserci.
C'è infatti sempre e solo qualcosa.
Mentre l'Essere non è qualcosa.
Di modo che in natura non vi è alcuna libertà. Essendo un non essere.
La necessità è la legge dei qualcosa. Nei quali, tuttavia, ribolle il caso.
Ed è proprio il caso, ad alludere all'Essere. Che infatti è libertà.
Libertà non dei qualcosa, bensì dell'Essere!
Citazione di: Koba II il 26 Luglio 2024, 09:04:46 AMQuando ci occupiamo di caso, necessità, libertà, divenire, tempo, etc., facciamo il tentativo di articolare un discorso propriamente filosofico, preliminare nel senso di generale e antecedente allo studio specifico delle diverse discipline.
Non è corretto dire che questo discorso sia a priori, perché ovviamente si basa anche sulla nostra esperienza del mondo.
E in esso, quando parliamo di natura, certo ciò che esprimiamo non è il risultato di qualche definizione distaccata dalla realtà, ma l'amalgama di riflessioni su ciò che di essa ha pensato la tradizione e ciò che è riuscito a catturare il nostro sguardo, la nostra esperienza specifica.
In questo senso intendevo dire che solo da una chiarificazione generale di tipo teoretico si può poi per esempio articolare un discorso etico che risulti essere "fondato", nel senso di più consapevole, di più profondo, diciamo così.
L'etica dunque non viene da sè, e in particolare non nasce con l'invenzione della scrittura, a partire dalla quale possiamo solo considerarne la storia, ma se non sappiamo come è venuta, come facciamo a completare, perfezionandolo, un percorso che ci è quasi del tutto ignoto?
Di fatto voler mettere mano all'etica significa quindi rifondarla in un modo che possa risultare condivisibile.
L'unico esempio che abbiamo di cose condivisibili, cioè non tali in quanto vengano da se, come condivise di fatto, ma come risultati della ricerca lo abbiamo in campo scientifico.
Dobbiamo quindi rifondare la nuova etica sulla scienza, o su quale altra istituzione che garantisca pari condivisibilità di risultati, posto che a ciò non è adatta la filosofia?
Possiamo caricare la scienza di ogni nostro problema, per accusarla poi che si prende carico di cose che stanno fuori della sua competenza?
Quando Ipazia parla di un etica che sorge in modo naturale, a cui pur possiamo aver dato contributi dimostrabili in quanto riscontrabili nella storia della filosofia, l'etica pur sempre resta nel dominio delle cose che ci appaiono venire da se, cioè della metafisica per come la intendo io.
la metafisica al pari dell'etica sorge dalla natura, ma non sappiamo come, ne sappiamo bene quindi come fare proseguire questo percorso, o come in alternativa eventualmente interromperlo.
A un certo punto ci appaiono evidenti le metafisiche che fondano la fisica, e potendole perciò negare, su questa negazione fondiamo la nuova fisica.
Un operazione parallela con l'etica, avendo a che fare con esseri viventi non si può fare allo stesso modo.
Dovremo quindi accettare giocoforza un etica che continui in parte a venire da sè, perchè sorge da una natura ben più complessa da quella cui la fisica fa riferimento.
Limitare solo a tal difficile compito la filosofia, rinunciando al controllo epistemico sulla fisica, come ben di Ipazia, compito più facilmente riconducibile al dominio della coscienza, significherebbe impoverirla senza motivo.
Se poi uno vuole occuparsi in modo esclusivo di etica è libero di farlo, ma senza venire adire che siccome ciò egli predilige, allora ciò equivale in modo esclusivo fare filosofia, come se dovesse giustificare la sua libera e legittima scelta.
Personalmente non mi occupo di etica, forse anche per vigliaccheria, perchè ben intravedo i pericoli che ciò comporta.
Vigliaccheria nel senso che, se dovessi veramente dire come la penso io sulla questione, mettendo al primo posto l'onestà intellettuale, direi cose che l'esperienza fatta da Galilei mi suggerisce di tacere.
Infatti ciò che possiamo dire dell'etica, in base alla breve storiografia che ne possediamo, è che essa non è più inestricabilmente legata alla fisica, per cui mi posso occupare solo di quella, del controllo epistemico richiamato da Ipazia, senza più correre pericolo alcuno.
Non posso poi escludere che indirettamente tale lavoro non abbia influenza sul divenire dell'etica, non avendo piena contezza del percorso col quale essa sembra giungere a noi, come fosse altro da noi, ma che riguarda invece strettamente noi, e siccome noi diveniamo dovremo rassegnarci a pari destino per l'etica.
Chi a ciò non si rassegna negherà che l'essere vivente sia libero, perchè solo così, riducendolo a materia, potrà sperare in un etica che valga come una legge fisica.
La seconda parte dell'articolo 3 della nostra costituzione recita: è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana...etc. Alla luce di queste pretese non ci vuole certo un genio per capire che esista, da parte umana, l'esigenza di un'etica che si confronti col tema della giustizia.
Come dice bobmax il conflitto è tra natura e libertà. Suppongo che tutti, chi più chi meno, sentiamo che la natura limiti le nostre aspettative e che per superare questo limite cerchiamo ovviamente di impadronirci di quelle che riteniamo le sue leggi per poterla manipolare a nostro uso e consumo. Dato quindi che le pretese di cui sopra a me sembrano proprio non soddisfatte direi che se volessimo improntare uno stile di vita che soddisfi tutti e non solo una parte di questi tutti mi sembrerebbe ovvio che ogni individuo dovrebbe cedere parte della propria sovranità (intellettuale intendo e con riferimento all'inizio del mio post precedente). Sarebbe infatti proprio quella parte di sovranità ceduta, quella che specialmente per le persone agiate sembra dare maggiore libertà di azione, ad ostacolare invece la nostra individuale ambizione di libertà. Sembra una sciocchezza, ma provate a riflettervi un attimo
Volevo dire quella parte di sovranità che non si vuol cedere
Citazione di: iano il 26 Luglio 2024, 14:05:35 PML'etica dunque non viene da sè, e in particolare non nasce con l'invenzione della scrittura, a partire dalla quale possiamo solo considerarne la storia, ma se non sappiamo come è venuta, come facciamo a completare, perfezionandolo, un percorso che ci è quasi del tutto ignoto?
Di fatto voler mettere mano all'etica significa quindi rifondarla in un modo che possa risultare condivisibile.
L'unico esempio che abbiamo di cose condivisibili, cioè non tali in quanto vengano da se, come condivise di fatto, ma come risultati della ricerca lo abbiamo in campo scientifico.
Dobbiamo quindi rifondare la nuova etica sulla scienza, o su quale altra istituzione che garantisca pari condivisibilità di risultati, posto che a ciò non è adatta la filosofia?
Possiamo caricare la scienza di ogni nostro problema, per accusarla poi che si prende carico di cose che stanno fuori della sua competenza?
Quando Ipazia parla di un etica che sorge in modo naturale, a cui pur possiamo aver dato contributi dimostrabili in quanto riscontrabili nella storia della filosofia, l'etica pur sempre resta nel dominio delle cose che ci appaiono venire da se, cioè della metafisica per come la intendo io.
la metafisica al pari dell'etica sorge dalla natura, ma non sappiamo come, ne sappiamo bene quindi come fare proseguire questo percorso, o come in alternativa eventualmente interromperlo.
A un certo punto ci appaiono evidenti le metafisiche che fondano la fisica, e potendole perciò negare, su questa negazione fondiamo la nuova fisica.
Un operazione parallela con l'etica, avendo a che fare con esseri viventi non si può fare allo stesso modo.
Dovremo quindi accettare giocoforza un etica che continui in parte a venire da sè, perchè sorge da una natura ben più complessa da quella cui la fisica fa riferimento.
Limitare solo a tal difficile compito la filosofia, rinunciando al controllo epistemico sulla fisica, come ben di Ipazia, compito più facilmente riconducibile al dominio della coscienza, significherebbe impoverirla senza motivo.
Se poi uno vuole occuparsi in modo esclusivo di etica è libero di farlo, ma senza venire adire che siccome ciò egli predilige, allora ciò equivale in modo esclusivo fare filosofia, come se dovesse giustificare la sua libera e legittima scelta.
Personalmente non mi occupo di etica, forse anche per vigliaccheria, perchè ben intravedo i pericoli che ciò comporta.
Vigliaccheria nel senso che, se dovessi veramente dire come la penso io sulla questione, mettendo al primo posto l'onestà intellettuale, direi cose che l'esperienza fatta da Galilei mi suggerisce di tacere.
Infatti ciò che possiamo dire dell'etica, in base alla breve storiografia che ne possediamo, è che essa non è più inestricabilmente legata alla fisica, per cui mi posso occupare solo di quella, del controllo epistemico richiamato da Ipazia, senza più correre pericolo alcuno.
Non posso poi escludere che indirettamente tale lavoro non abbia influenza sul divenire dell'etica, non avendo piena contezza del percorso col quale essa sembra giungere a noi, come fosse altro da noi, ma che riguarda invece strettamente noi, e siccome noi diveniamo dovremo rassegnarci a pari destino per l'etica.
Chi a ciò non si rassegna negherà che l'essere vivente sia libero, perchè solo così, riducendolo a materia, potrà sperare in un etica che valga come una legge fisica.
Anche l'etica ha i suoi fondamenti che sono stati codificati dalla ethos techne dei classici della filosofia greca ed in particolare da Aristotele.
Ma ancor prima, prescindendo dal richiamo ai numi, il decalogo mosaico enumera i fondamenti etici della convivenza umana: non uccidere, non rubare, non mentire, onora chi ti ha messo al mondo, non stuprare ( in declinazione patriarcale).
La "teoria del comportamento", etica, sempre da lì riparte per tenere in piedi qualsiasi forma di convivenza civile. Lo fa anche senza i numi, che complicano inutilmente la questione. E senza necessità di arcane "leggi morali dentro di me".
Citazione di: Ipazia il 26 Luglio 2024, 21:22:50 PMAnche l'etica ha i suoi fondamenti che sono stati codificati dalla ethos techne dei classici della filosofia greca ed in particolare da Aristotele.
Ma ancor prima, prescindendo dal richiamo ai numi, il decalogo mosaico enumera i fondamenti etici della convivenza umana: non uccidere, non rubare, non mentire, onora chi ti ha messo al mondo, non stuprare ( in declinazione patriarcale).
La "teoria del comportamento", etica, sempre da lì riparte per tenere in piedi qualsiasi forma di convivenza civile. Lo fa anche senza i numi, che complicano inutilmente la questione. E senza necessità di arcane "leggi morali dentro di me".
... e a scanso di equivoci, arretrando ancora nel tempo, forse, a prescindere da chi avesse il potere di imporla, l'esigenza di un'etica fonderebbe sulla comune consapevolezza dell'esistenza del dolore, una delle poche certezze della nostra sapienza
Citazione di: daniele22 il 27 Luglio 2024, 08:15:06 AM... e a scanso di equivoci, arretrando ancora nel tempo, forse, a prescindere da chi avesse il potere di imporla, l'esigenza di un'etica fonderebbe sulla comune consapevolezza dell'esistenza del dolore, una delle poche certezze della nostra sapienza
Dolore mentale causato dall'autocoscienza dell'impermanenza e fisico causato dalla nostra biologica vulnerabilità. Il decalogo ne tiene conto in ognuno dei suoi comandamenti più o meno realisticamente fondati. Ogni trasgressione diventa un vulnus che causa dolore aggiuntivo a quello naturalmente imposto.
@daniele22Tu dici "
Cos'è la verità? La verità è che si è concluso il tour de France 2024."
Ne sei sicuro?
Magari continua su stati di materia energia diversi dal nostro stato.
Su questo pianeta l'unica verità è che la verità è latitante.
Perfino questa frase potrebbe essere non vera o vera a metà,e ciò conferma proprio il fatto che la verità è latitante
Allora siccome io odio i paradossi, dico:"su questo pianeta l'unica verità sta nel dire che, PROBABILMENTE, la verità è latitante e quindi non se ne vede neppure l'ombra!"
Gli unici che cercano di formattare uomini e cose proponendo/imponendo verità sono soltanto dei burattini e dei burattinai la cui baracca terrena fa acqua da tutte le parti!
Citazione di: pandizucchero il 27 Luglio 2024, 11:00:56 AMSu questo pianeta l'unica verità è che la verità è latitante.
Perfino questa frase potrebbe essere non vera o vera a metà,e ciò conferma proprio il fatto che la verità è latitante
Allora siccome io odio i paradossi, dico:"su questo pianeta l'unica verità sta nel dire che, PROBABILMENTE, la verità è latitante e quindi non se ne vede neppure l'ombra!"
Gli unici che cercano di formattare uomini e cose proponendo/imponendo verità sono soltanto dei burattini e dei burattinai la cui baracca terrena fa acqua da tutte le parti!
Però il concetto di verità è formattato in tutti noi.
Perchè? Che ci sta a fare?
Di sicuro dietro ad esso non vi è un complotto.
Quindi quale altra spiegazione possiamo trovare?
la cosa si fa ridondante e circolare. Quello su cui vorrei tornare per un momento è sapere come la pensate riguardo l assunzione di kant secondo cui noi conosciamo attraverso giudizi determinanti. Se prendo in mano un foglio della stampante io non mi limito a prendere atto della sua presenza come oggetto, intanto gli attribuisco un colore bianco ma so che altri esseri potrebbero vederlo di un altro colore oppure non vederlo affatto . gli attribuisco una dimensione spaziale, applico su di esso una geometria, è rettangolare . Ha un certo peso , un certo spessore , permane nel tempo e nello spazio. E posso dire anche ciò che non è, non è elastico, non è resistente a prove di torsione ecc. tutte queste descrizioni che io do kant li chiama giudizi determinanti. In un certo senso ho tracciato i confini del foglio di carta tramite i miei giudizi?
Tu riconosci un foglio della stampante in base a una matrice cognitiva basata su dati percettivi
Ma questo non significa niente per quanto riguarda la verità.
Non esiste alcuna verità umana al di fuori dell' esperienza umana.
Secondo me ne esistono molte altre ma solo pochissimi esseri umani sono in grado di coglierne qualche aspetto.
Quando lo fanno,meglio stiano zitti perchè ogni cosa può essere usata contro di loro in ogni momento e senza preavviso.
Citazione di: pandizucchero il 27 Luglio 2024, 15:29:23 PMTu riconosci un foglio della stampante in base a una matrice cognitiva basata su dati percettivi
Ma questo non significa niente per quanto riguarda la verità.
quindi non cambia niente se dico che il foglio è rotondo e non rettangolare come di fatto è.
Ho evidenziato la parola "significato" per far notare che il significato è qualcosa che è nella nostra testa. Un fenomeno fisico di per sè non significa niente. Mettiamo un fulmine, cosa significa il fulmine di per sè?
Certo, noi possiamo spiegare i meccanismi che stanno alla base del fenomeno fulmine e il vederlo significa che in arrivo un temporale molto problabilmente. Ma di per sè, il fulmine, può avere forse significato?
'
Puoi dire quello che vuoi ma il foglio resta tale e quale.
Un fulmine può avere significati diversi a seconda del momento anche per una stessa persona.
Di sicuro la natura se ne f.....a del significato che gli diamo noi uomini.
Però, se uno non conosce la meccanica dei fulmini,qualsiasi senso poi gli dia, è meglio che non si metta sotto un albero o vi ino a uno specchio d'acqua.
Quindi il vero meccanismo dei fulmini è noto,il significato che gli diamo volta per volta varia perfino per la stessa persona.
Possiamo essere tutti d'accordo per quanto riguarda la veritá relativa ai meccanismi dei fulmini, poi ognuno di noi li veda e viva come vuole.
Non si sfugge alla realtà con il significato che le diamo, ma la possiamo vivere geadevolmente evitandone i pericoli.
Citazione di: pandizucchero il 27 Luglio 2024, 16:42:25 PMPuoi dire quello che vuoi ma il foglio resta tale e quale.
Un fulmine può avere significati diversi a seconda del momento anche per una stessa persona.
il foglio rimarrà tale e quale ma si ha la verità se dico che è rettangolare e non si ha la verità se dico che un elefante. kant parlava di conoscenza umana , non aliena
Un fulmine può avere per
noi significati diversi anche per la stessa persona infatti ho detto che il fulmine in se stesso non ha nessun significato.
il regno dei significati è qualcosa che viene dalla mente umana. Essendo che la verità coniscibile è puramente umana , anche i significati sono puramente umani, e le convenzioni sono puramente umane , noi applichiamo un impalacatura sulla realtà, che sono i nostri schemi concettuali e le forme della sensibilità. Esse non ci garantiscono di poter conoscere il mondo come è propio perchè applichiamo impalcature, filtri, mediazioni.
Rileggi quello che hai scritto, ti stai contraddicendo.
Il significato è il segno lasciato da qualcosa su di noi.
Questo segno può accentuarsi nel tempo, perché confermato più volte, oppure può ridursi, fino persino a svanire, quando altri segni lo cancellano.
Ciò avviene attraverso l'accordo o non accordo tra di loro.
È il meccanismo della induzione. Dove il segno è verità probabilistica.
Che è poi la verità tout court nell'esserci mondano.
In quanto il "vero" nell'esserci è sempre relativo.
Relativo a che cosa?
Ad altro considerato "vero".
Ossia ai segni che maggiormente ci marcano.
Quindi il significato è la verità.
Che è verità mai assoluta. Perché vi è sempre la possibilità che compaiano altri segni che la neghino.
Infatti la verità, nell'esserci, è negazione di ogni possibile falsità contraria. E questo è il suo limite.
Viceversa la Verità assoluta non necessita di negare alcunché.
È negazione della negazione.
Perciò prescinde da significati, e quindi da segni. Ma li racchiude in sé permettendone il gioco.
Citazione di: pandizucchero il 27 Luglio 2024, 11:00:56 AM@daniele22
Tu dici "Cos'è la verità? La verità è che si è concluso il tour de France 2024."
Ne sei sicuro?
Magari continua su stati di materia energia diversi dal nostro stato.
Su questo pianeta l'unica verità è che la verità è latitante.
Perfino questa frase potrebbe essere non vera o vera a metà,e ciò conferma proprio il fatto che la verità è latitante
Allora siccome io odio i paradossi, dico:"su questo pianeta l'unica verità sta nel dire che, PROBABILMENTE, la verità è latitante e quindi non se ne vede neppure l'ombra!"
Gli unici che cercano di formattare uomini e cose proponendo/imponendo verità sono soltanto dei burattini e dei burattinai la cui baracca terrena fa acqua da tutte le parti!
Ciao Pensarbene, ne sono certo per quello che ci è dato di sapere. Ma dimmi, stai facendo qualche esperimento su di noi a nostra insaputa?
Citazione di: Alberto Knox il 27 Luglio 2024, 14:18:20 PMla cosa si fa ridondante e circolare. Quello su cui vorrei tornare per un momento è sapere come la pensate riguardo l assunzione di kant secondo cui noi conosciamo attraverso giudizi determinanti. Se prendo in mano un foglio della stampante io non mi limito a prendere atto della sua presenza come oggetto, intanto gli attribuisco un colore bianco ma so che altri esseri potrebbero vederlo di un altro colore oppure non vederlo affatto . gli attribuisco una dimensione spaziale, applico su di esso una geometria, è rettangolare . Ha un certo peso , un certo spessore , permane nel tempo e nello spazio. E posso dire anche ciò che non è, non è elastico, non è resistente a prove di torsione ecc. tutte queste descrizioni che io do kant li chiama giudizi determinanti. In un certo senso ho tracciato i confini del foglio di carta tramite i miei giudizi?
Nella mia visione, come spesso ripetuto, la conoscenza non parte dai sensi. Chiaro sarebbe che tutti quelli che pensano che la conoscenza parta dalla elaborazione dell'immagine percepita dai sensi si troverebbero di fatto in questo errore iniziale. Di persone che in tal senso la pensano come me non ho testimonianza alcuna e Kant non sarà certo tra questi. Più che ragionevole sarebbe per me pensare che sia io ad essere in errore, ma non ho ancora dubbi al riguardo. Pertanto, per come la penso, i giudizi determinanti potrebbero essere espressi solo temporalmente a valle della conoscenza che già si possiede di un qualsiasi oggetto, non a costituirla
Citazione di: iano il 27 Luglio 2024, 12:58:36 PMPerò il concetto di verità è formattato in tutti noi.
Perchè? Che ci sta a fare?
Di sicuro dietro ad esso non vi è un complotto.
Quindi quale altra spiegazione possiamo trovare?
Ci sta a fare per salvarci la pelle.
E non è nemmeno "formattazione" peculiare dell'homo sedicente sapiens: un cucciolo che confondesse l'odore della madre con quello di un predatore sarebbe un cucciolo morto.
La natura insegna la verità. Per nulla apparente, ma integralisticamente e drammaticamente reale.
. meglio non dire nulla
Citazione di: Ipazia il 27 Luglio 2024, 18:16:08 PMCi sta a fare per salvarci la pelle.
E non è nemmeno "formattazione" peculiare dell'homo sedicente sapiens: un cucciolo che confondesse l'odore della madre con quello di un predatore sarebbe un cucciolo morto.
La natura insegna la verità. Per nulla apparente, ma integralisticamente e drammaticamente reale.
Posso essere d'accordo, ma non sull' ''integralisticamente''.
Al cucciolo è sufficiente rilevare quanto basta.
Cioè, seppure esistesse una verità, basterebbe all'uso conoscerne una parte ,non foss'altro che per una questione di sostenibilità, avendo la conoscenza un costo.
Se anche conoscessimo l'intera verità non perciò spareremmo a una mosca con un cannone, solo perchè è vero che in tal modo la uccidiamo.
Citazione di: daniele22 il 27 Luglio 2024, 17:54:16 PMNella mia visione, come spesso ripetuto, la conoscenza non parte dai sensi.
Mi pare ci sia stato qualcuno che lo abbia ipotizzato, ma non ricordo chi (forse Aristotele?). Però ormai nessuno accetta più questa ipotesi.
Quindi forse volevi dire un altra cosa.
Citazione di: Alberto Knox il 27 Luglio 2024, 14:18:20 PMIn un certo senso ho tracciato i confini del foglio di carta tramite i miei giudizi?
Sarebbe per me meglio tacere, visto che Kant non lo conosco, però non taccio.
Il foglio con i suoi confini geometrici è un prodotto della tua interazione con la realtà.
Quindi se tu cambi, a parità di realtà, la tua determinazione potrebbe cambiare.
Non c'è una verità a valle per noi finché la determinazione dipende da noi, se noi possiamo cambiare.
Ma esiste un altro me?
Si, perchè se ammetto che la tecnologia possa fare parte di me, l'altro me è fatto da quegli strumenti di rilevamento della realtà aggiuntivi che decido di usare.
Posso però aggiungere e togliere questi strumenti ricomponendomi solo nella misura in cui ho coscienza di usarli, per cui ad esempio non posso decidere aprendo gli occhi di non vedere quello che vedo perchè c'è una parte di me su cui non ho il controllo cosciente.
Quindi un foglio con i confini è altrettanto ''reale'' di un foglio percepito senza confini, secondo chi lo percepisce, per cui l'unica verità che mi sento di supporre è che la realtà stia dietro alle nostre relative percezioni.
Percepisco la realtà e quindi la realtà è, tanto quanto io lo sono, volendo aggiornare l'affermazione di Cartesio, che conosco un pelo più di Kant.
E alla fine quanto c'è di me nel foglio, con o senza confini, e quanto c'è di realtà?
Questa mi pare sia l'unica domanda che abbia senso porsi, andando oltre il solipsismo cartesiano, e non credo sia possibile dare una risposta, perchè ognuno potrà affermare senza tema di essere smentito che la geometria di cui sono fatti i confini del foglio stia dentro di noi, quanto che stia fuori di noi.
Posso affermare che ciò che vedo è, solo nella misura in cui non controllo il processo della mia interazione con la realtà, e posso affermare che ciò che vedo è vero, nella misura in cui non posso sperimentare interazioni alternative, ed è quello che di fatto abbiamo affermato in un era ''before scienze'' per citare Brian Eno, che conosco ancora meglio di Cartesio.
https://open.spotify.com/intl-it/album/6lU1MDxi3TqhKnYNQm555u?si=vs8aKw3GSfWKtqc3X-aMJQ
Citazione di: iano il 27 Luglio 2024, 18:31:25 PMPosso essere d'accordo, ma non sull' ''integralisticamente''.
Al cucciolo è sufficiente rilevare quanto basta.
Cioè, seppure esistesse una verità, basterebbe all'uso conoscerne una parte ,non foss'altro che per una questione di sostenibilità, avendo la conoscenza un costo.
Se anche conoscessimo l'intera verità non perciò spareremmo a una mosca con un cannone, solo perchè è vero che in tal modo la uccidiamo.
L'odore è una verità assoluta
nel contesto citato. Una delle infinite verità assolute nei loro contesti dati. Se si ragiona in plurale e si delimita rigorosamente il contesto,
le verità, di cui è costituita la scienza, svolgono la loro funzione veridicamente.
Il plurale elimina l'empasse che congela le metafisiche dell'Uno nel discorso sulla verità, vista l'impossibilità di giungere ad un accordo tra tutte le forze e le ragioni in gioco.
Citazione di: Ipazia il 27 Luglio 2024, 19:23:20 PML'odore è una verità assoluta nel contesto citato. Una delle infinite verità assolute nei loro contesti dati. Se si ragiona in plurale e si delimita rigorosamente il contesto, le verità, di cui è costituita la scienza, svolgono la loro funzione veridicamente.
Il plurale elimina l'empasse che congela le metafisiche dell'Uno nel discorso sulla verità, vista l'impossibilità di giungere ad un accordo tra tutte le forze e le ragioni in gioco.
Sicuramente la cosa funziona, a patto di rinunciare alle pretese di universalità.
Però dobbiamo coniare un nuovo termine, quello di ''verità relativa'', perchè se ciò che conta come credo sia la condivisione, è certamente più agevole ottenerla in un ambito ristretto, purché l'operazione non si riduca a rinchiudersi in un ambito ristretto pur di salvare la verità.
Di fatto poi questa ''verità relativa'' sarebbe ciò che io chiamo prodotto della nostra interazione con la realtà, che necessariamente avviene sempre dentro un ristretto ambito.
Non è che dunque diciamo diversamente la stessa cosa?
Citazione di: pandizucchero il 27 Luglio 2024, 15:29:23 PMNon esiste alcuna verità umana al di fuori dell' esperienza umana.
Secondo me ne esistono molte altre ma solo pochissimi esseri umani sono in grado di coglierne qualche aspetto.
Quando lo fanno,meglio stiano zitti perchè ogni cosa può essere usata contro di loro in ogni momento e senza preavviso.
Anche secondo me non esiste altra verità.
Quelle che chiami ''verità accessibili a pochi'', essendo altre verità dunque non esistono.
Però è vero che, uscendo dall'abitudine, e il ''pochi'' è appunto da riferire a quelli che lo fanno, basta porre maggior attenzione a ciò che vediamo, perchè diversamente ci appaia, ed è anche vero che se su quell'abitudine i tuoi simili si sono seduti, potrebbero non gradire che tu gli tolga la sedia sotto il c..o. ;D
Citazione di: iano il 27 Luglio 2024, 19:47:56 PMPerò dobbiamo coniare un nuovo termine, quello di ''verità relativa''
in realtà questo termine è molto vecchio eh "la verità è sempre relativa" lo si dice anche nel film anime il Re leone :D
Citazione di: Alberto Knox il 27 Luglio 2024, 20:13:51 PMin realtà questo termine è molto vecchio eh "la verità è sempre relativa" lo si dice anche nel film anime il Re leone :D
Ma Kant, nella misura in cui studiandolo sei riuscito ad immedesimartici, che cosa risponderebbe al mio post ignorante?
Citazione di: iano il 27 Luglio 2024, 20:20:57 PMMa Kant, nella misura in cui studiandolo lo ha compreso, che cosa risponderebbe al mio post ignorante?
penso che risponderebbe così ; il mondo in cui viviamo è , almeno in una certa parte , anche il frutto del nostro modo peculiarmente umano di esistere.
Citazione di: iano il 27 Luglio 2024, 19:47:56 PMSicuramente la cosa funziona, a patto di rinunciare alle pretese di universalità.
Però dobbiamo coniare un nuovo termine, quello di ''verità relativa'', perchè se ciò che conta come credo sia la condivisione, è certamente più agevole ottenerla in un ambito ristretto, purché l'operazione non si riduca a rinchiudersi in un ambito ristretto pur di salvare la verità.
Di fatto poi questa ''verità relativa'' sarebbe ciò che io chiamo prodotto della nostra interazione con la realtà, che necessariamente avviene sempre dentro un ristretto ambito.
Non è che dunque diciamo diversamente la stessa cosa?
Verità è un concetto antropologico e la adaequatio lo spiega assai bene (l'intelletto umano si adegua al mondo circostante). Non è una cosa, un ente, come metafisicamente la si vorrebbe imporre. Per cui, concordando con knox, è relativa al contesto di cui fa parte.
Se c'è un omicidio, verità (necessaria e sufficiente) è scoprire l'assassino. Dopodiché la missione è compiuta.
Citazione di: Alberto Knox il 27 Luglio 2024, 20:25:31 PMpenso che risponderebbe così ; il mondo in cui viviamo è , almeno in una certa parte , anche il frutto del nostro modo peculiarmente umano di esistere.
Grazie, Allora in una certa parte vivo sul pianeta di Kant.
Citazione di: iano il 27 Luglio 2024, 20:56:47 PMGrazie, Allora in una certa parte vivo sul pianeta di Kant.
se invece di guardare le cose guardi come il soggetto arriva a conoscere le cose allora sei sulla stessa onda .
Citazione di: Ipazia il 27 Luglio 2024, 20:44:16 PMVerità è un concetto antropologico e la adaequatio lo spiega assai bene (l'intelletto umano si adegua al mondo circostante). Non è una cosa, un ente, come metafisicamente la si vorrebbe imporre. Per cui, concordando con knox, è relativa al contesto di cui fa parte.
Se c'è un omicidio, verità (necessaria e sufficiente) è scoprire l'assassino. Dopodiché la missione è compiuta.
Si, io dico la stessa cosa, ma aggiungendo una precisazione, che l'intelletto si adegua a una realtà che non conosciamo nella sua essenza, ma che scambiamo col ''mondo in cui viviamo'' che da questa adequatio nasce.
Di conoscere la realtà nella sua essenza, posto che sia possibile, dubito che ci serva, e anzi temo che tale conoscenza equivalga al nostro annichilimento di fatto, potendo sorgere da ciò un etica indiscutibile come una legge naturale, alla quale saremmo costretti a derogare per poterci sentire ancora uomini così come ci sentiamo quando andiamo in cerca della ''verità''.
Io voglio essere ciò che in questa ricerca continua a cambiare, senza dover rientrare dentro al determinismo materiale passando per la porta dell'etica, essendo il determinismo solo parte della nostra adeguato alla realtà.
Determinismo significa che le cose si producono dalla realtà per via della nostra interazione con essa, insieme alle loro relazioni.
Diversamente non si capisce perchè l'esistenza sia immancabilmente causa di qualcos'altro, non essendo l'essere causa necessaria all'esistenza.
la mia tesi l avevogià esposta in "immagina di essere una mosca" ed è la seguente:
La tesi è che la tua vita, il tuo tempo, il tuo spazio ..non sono determinazioni oggettive della realtà cui la nostra mente si adegua ma, al contrario, sono schemi mentali (kant le chiama appunto "forme a priori" ) che precedono, condizionano e strutturano ogni nostra percezione del mondo esterno.
per approfondire prendiamo lo spazio, noi sappiamo che c'è uno spazio intorno a noi, e lo consideriamo oggettivo e di fatti è oggettivabile ma se noi non avessimo nella nostra mente quella facoltà dell orientamento spaziale e dell ordinare spazialmente le cose , cosa sarebbe per noi lo spazio? immagino il caos. Ad esempio il disorientamento spaziale e temporale lo si può riscontrare nel morbo di parkinson o in quella che viene definita sindrome da neglicenza spaziale unilaterale.
Citazione di: Alberto Knox il 27 Luglio 2024, 21:11:29 PMla mia tesi l avevogià esposta in "immagina di essere una mosca" ed è la seguente:
La tesi è che la tua vita, il tuo tempo, il tuo spazio ..non sono determinazioni oggettive della realtà cui la nostra mente si adegua ma, al contrario, sono schemi mentali (kant le chiama appunto "forme a priori" ) che precedono, condizionano e strutturano ogni nostra percezione del mondo esterno.
per approfondire prendiamo lo spazio, noi sappiamo che c'è uno spazio intorno a noi, e lo consideriamo oggettivo e di fatti è oggettivabile ma se noi non avessimo nella nostra mente quella facoltà dell orientamento spaziale e dell ordinare spazialmente le cose , cosa sarebbe per noi lo spazio? immagino il caos. Ad esempio il disorientamento spaziale e temporale lo si può riscontrare nel morbo di parkinson o in quella che viene definita sindrome da neglicenza spaziale unilaterale.
Allora vivo solo con un piede sul pianeta di Kant, perchè se è vero che non possiamo fare a meno di ''a priori'', dovremmo però non andare oltre la loro stretta necessità.
Lo spazio non è oggettivatile, ma semmai lo possiamo assumere come un ''a priori'' e sarebbe un ''a priori'' di troppo.
Lo spazio serve a descrivere le dinamiche della realtà, che possono essere descritte in diversi modi, ad ognuno delle quali corrisponde un diverso spazio.
C'è uno spazio nella descrizione di Newton, e un altro nella descrizione di Einstein, ma questo Kant non lo poteva sapere.
Finché la descrizione era unica unico era lo spazio, e coincideva, e ancora coincide, con lo spazio della nostra percezione
La descrizione dello spazio che fà Euclide è basata su concetti primitivi ( gli a priori di Euclide, che essendo evidenti non vanno definiti).
Non occorre definirli perchè essi sono di fatto l'oggetto della nostra percezione.
Ma a cosa ci serve la descrizione di uno spazio che noi già perfettamente percepiamo?
Serve perchè la percezione, come una verità, non può essere negata.
Io non posso negare di percepire uno spazio euclideo.
Ma nel momento in cui decido di darne una descrizione, potendosi la descrizione negare, sto aprendo la porta alla relativizzazione dello spazio, e così sono nate le geometrie non euclidee, cioè le geometrie nate dalla negazione della descrizione che Euclide fa dello spazio della percezione, una delle quali Einstein usa per la sua descrizione della realtà, che però non possiamo percepire, se con analogie fatte con la spazio euclideo di cui ancora conserviamo, per fortuna, la percezione.
La scienza non produce verità, perchè non produce ''a priori'' come fà la metafisica, ma ''a posteirori''.
La scienza però parte da '' a priori'', negabili, e quindi non veri, nella misura in cui li definiamo.
Saranno invece ''verità'' in quanto non negabili, nella misura in cui agiscono in noi ''a priori'', senza cioè che noi li abbiamo assunti.
Dare un descrizione degli ''a priori'' , come fà Kant, significa fare l'appello a una riunione di kamikaze, come già aveva fatto Euclide, ma nessun dei due questo poteva saperlo.
Ho tirato un pò ad indovinare, perchè io Kant non lo conosco se non per quello che me ne dice Alberto, che potrà quindi dirmi quanto ho indovinato.
Ma il discorso in sostanza è che , e non so a quanti di voi sia noto, o essendo noto che sia stato digerito il fatto , che lo spazio che percepiamo non è assoluto, ma relativo.
Ciò non è un difetto dei sensi e non significa perciò che i sensi ci ingannano, in quanto essi non sono fatti per dirci la verità, ma per farci sopravvivere alla realtà.
Essi equivalgono di fatto ad una fisica che ponga lo spazio euclideo come un ''a priori''.
Una volta avuta consapevolezza di ciò abbiamo potuto ipotizzare spazi nuovi per nuove fisiche che non hanno una funzione diversa dalla nostra percezione, ma fanno la stessa cosa in diverso modo.
Finché lo spazio della percezione non aveva concorrenti, potevamo ben confondere i prodotti della percezione con la realtà, ma oggi non possiamo più farlo.
Se da un lato abbiamo perso la comoda evidenza delle cose, abbiamo però acquisito maggiore duttilità nel rapporto con la realtà.
Non c'è quindi da preoccuparsi se un quanto o un onda di probabilità non ci appaiono evidenti, perchè l'evidenza non è strettamente necessaria nel rapportarsi con la realtà, ed essa sarà proporzionale alla ignoranza dei processi attraverso i quali ci rapportiamo, e siccome diversi sono i gradi di conoscenza di questi processi, la ''realtà'' ci apparirà composta di essenti tali in diverso grado, che erroneamente classificheremo in illusori e reali, essendo fatti tutti della stessa sostanza diversamente impastata.
Il problema è che per la maggioranza di noi lo spazio della filosofia coincide ancora con lo spazio della percezione, come se la recente storia della scienza la potessimo ignorare, No non la possiamo ignorare, senza perciò dover essere scienziati.
Ogni verità comporta un rapporto imbalsamato con la realtà, per cui volere salvare ad ogni costo la verità significa trasformarsi nel tempo, se va bene , in morti viventi.
Però se mi dite, come era bella la vita quando c'era la verità, condivido con voi questa nostalgia.
Citazione di: iano il 28 Luglio 2024, 00:32:06 AMHo tirato un pò ad indovinare, perchè io Kant non lo conosco se non per quello che me ne dice Alberto, che potrà quindi dirmi quanto ho indovinato.
Ma il discorso in sostanza è che , e non so a quanti di voi sia noto, o essendo noto che sia stato digerito il fatto , che lo spazio che percepiamo non è assoluto, ma relativo.
Ciò non è un difetto dei sensi e non significa perciò che i sensi ci ingannano, in quanto essi non sono fatti per dirci la verità, ma per farci sopravvivere alla realtà.
Essi equivalgono di fatto ad una fisica che ponga lo spazio euclideo come un ''a priori''.
Una volta avuta consapevolezza di ciò abbiamo potuto ipotizzare spazi nuovi per nuove fisiche che non hanno una funzione diversa dalla nostra percezione, ma fanno la stessa cosa in diverso modo.
-non ho molto da aggiungere se non far notare che con la geometria possiamo spingerci ben oltre le tre dimensioni spaziali .
possiamo disegnare una proiezione dell ipercubo a 4 dimensioni rendendolo un disegno a tre dimensioni . questo vuol dire che c'è uno spazio che ospita l ipercubo a 4 dimensioni spaziali? non solo si può continuare e procedere con l aggiunta di dimensioni, essendo la geometria come la matematica e dal punto di vista della matematica non c'è dunque limite al numero di dimensioni . infiniti sono i numeri e infinite sono le coordinate possibili . questo è un concetto astratto come astratta è la geometria iperspaziale e la matematica.
attenzione: però la mente ci è arrivata alle iper dimensioni spaziali . ma non è detto che ciò chel'uomo formula con le sue elaborazioni mentali esista. Le dimensioni spaziali rappresentano un problema perchè sebbene le si riesca a intravedere grazie alla geometria non c'è nessuna prova che esse esistano (fisicamente ) come estensioni delle 3 coordinate spaziali note.
Citazione di: Alberto Knox il 28 Luglio 2024, 01:02:08 AMquesto vuol dire che c'è uno spazio che ospita l ipercubo a 4 dimensioni spaziali?
C'è uno spazio per ogni cosa, ma non è detto che sia ospitale con noi come adesso siamo, mentre potrebbe essere ospitale per come saremo. Chi può mai dirlo!
Nessuno di questi spazi coinciderà però mai con la realtà, perchè lo spazio è il nostro modo di vivere la realtà e il nostro modo di vivere cambia.
nella misura in cui poi il nostro io è divenuto ''componibile'' includendo la tecnologia, di fatto possiamo vivere in diversi spazi allo stesso tempo.
Viviamo ancora allora nello spazio della nostra percezione, che nessuno vuol mettere in discussione, se non per il fatto di essere l'unico.
Non è l'unico e non essendo unico non possiamo più farlo coincidere con l'unica realtà.
Stiamo vivendo una transizione che a sua volta non è unica, ma è la prima che siamo in grado di monitorare, per il nostro aumentato uso di coscienza, il che comporta non poche difficoltà in cui si rivelano utili gli specialisti del pensiero, i filosofi, che perciò dovrebbero evitare di unirsi alle comprensibili lamentele di chi del pensare non fa il suo mestiere.
Citazione di: Alberto Knox il 28 Luglio 2024, 01:08:30 AMattenzione: però la mente ci è arrivata alle iper dimensioni spaziali . ma non è detto che ciò chel'uomo formula con le sue elaborazioni mentali esista. Le dimensioni spaziali rappresentano un problema perchè sebbene le si riesca a intravedere grazie alla geometria non c'è nessuna prova che esse esistano (fisicamente ) come estensioni delle 3 coordinate spaziali note.
Non esistono se non come prodotti della nostra interazione con la realtà, che sforna al contempo cose concrete e cose astratte asseconda se poca coscienza abbiamo usato (concrete) o molta (astratte), nel processo, il cui essere astratte o concrete non è quindi nella loro natura.
Diversamente, se nella loro natura ciò fosse, diventa difficile capire come possano convivere dentro la stessa ''realtà''.
Platone infatti non accetta questa convivenza e crea due mondi a parte ad hoc per essi, ma in effetti ne occorrerebbero molti di più presentandosi gli essenti con diversi gradi di concretezza, e se ciò Platone avesse fatto meglio ci sarebbe apparsa l'assurdità dell'operazione, per quanto lui comunque una possibile soluzione ce l'ha indicata.
Noi possiamo riadattarla sovrapponendo questi diversi mondi vivendoci in contemporanea.
Possiamo vivere al contempo nel mondo di Newton e in quello di Einstein senza smettere di vivere nel mondo della nostra percezione, che però sono tutti virtuali rispetto alla realtà che vi sta dietro, perchè nessuno di essi è la realtà, ma una descrizione della realtà dentro cui è possibile vivere. Possiamo scegliere di viverci oppure ci viviamo di fatto, asseconda con quanta coscienza vi partecipiamo.
Nel mondo di questo forum abbiamo scelto di viverci, continuando a vivere pure in altri in modo più o meno ''obbligato''.
Non è però che la mia filosofia sia migliore di quella di Kant o di Platone, perchè così come non c'è una verità non c'è una filosofia migliore di un altra.
E' solo , il modesto tentativo di creare una filosofia che stia al passo col divenire dell'uomo.
Citazione di: iano il 27 Luglio 2024, 18:38:08 PMMi pare ci sia stato qualcuno che lo abbia ipotizzato, ma non ricordo chi (forse Aristotele?). Però ormai nessuno accetta più questa ipotesi.
Quindi forse volevi dire un altra cosa.
Aristotele proprio no. Se tu avessi detto (forse Carneade?) ti avrei messo un like
Citazione di: Alberto Knox il 27 Luglio 2024, 18:20:55 PM. meglio non dire nulla
Se era riferito a me non ho capito. Comunque avendo letto il tuo dialogo con iano ho trattenuto questo tuo pensiero: "se invece di guardare le cose guardi come il soggetto arriva a conoscere le cose allora sei sulla stessa onda" (quella di Kant). Per conto mio il soggetto non arriva a conoscere le cose descrivendole in modo costretto dalle forme a priori, ma le conosce per la loro significatività nell'hic et nunc. Il nostro sguardo sulla realtà non è libero, ma preoccupato ed è per questo che la realtà risulta infine soggettiva. Appartenendo cioè alla stessa specie abbiamo molte preoccupazioni simili, e di qui un'intersoggettività che giunge a sfiorare un'oggettività, ma ciascun individuo, in quanto a preoccupazioni, presenterebbe varianti di queste da mettere addirittura in crisi l'intersoggettività della specie. Ripensa a quell'esempio che mi avevi a suo tempo fornito sul fatto che andavi a prendere la tua ragazza alla stazione ... e che tutte le cose circostanti non esistevano tanto eri teso ad individuare la tua ragazza. Ebbene, di questo tipo sarebbe il nostro atteggiamento speculativo sulla realtà
Citazione di: daniele22 il 28 Luglio 2024, 07:12:10 AMSe era riferito a me non ho capito.
No Daniele , era riferito a ciò che hai detto di pensaperbene alias pandizucchero. Per il resto non sono qui per convincere nessuno e rispetto il tuo punto di vista.
Citazione di: Alberto Knox il 27 Luglio 2024, 21:11:29 PMla mia tesi l avevo già esposta in "immagina di essere una mosca" ed è la seguente:
La tesi è che la tua vita, il tuo tempo, il tuo spazio ..non sono determinazioni oggettive della realtà cui la nostra mente si adegua ma, al contrario, sono schemi mentali (kant le chiama appunto "forme a priori" ) che precedono, condizionano e strutturano ogni nostra percezione del mondo esterno.
per approfondire prendiamo lo spazio, noi sappiamo che c'è uno spazio intorno a noi, e lo consideriamo oggettivo e di fatti è oggettivabile ma se noi non avessimo nella nostra mente quella facoltà dell orientamento spaziale e dell ordinare spazialmente le cose , cosa sarebbe per noi lo spazio? immagino il caos. Ad esempio il disorientamento spaziale e temporale lo si può riscontrare nel morbo di parkinson o in quella che viene definita sindrome da neglicenza spaziale unilaterale.
La nostra esperienza del mondo è naturalmente diversa da quella di una mosca o di un bruco.
Ma a noi esseri umani è stato fatto un dono che va oltre l'esperienza del mondo, che è la conoscenza.
Tale conoscenza, essendo conoscenza umana, non può che essere espressa da segni linguistici e immagini umane. In questo senso è ovvio che la conoscenza sia relativa, relativa appunto ai caratteri della nostra specie.
Il punto però è questo: al di là della convenzionalità di specie dei nostri segni, le nostre immagini riescono a dar conto delle cose del mondo per come esse sono oppure no?
Per esempio sappiamo dalla biologia molecolare che le proteine riescono a svolgere la loro attività grazia alla loro forma tridimensionale. Questa nozione, qui espressa ineluttabilmente nei termini di una specie che vede il mondo in tre dimensioni etc., è vera? O dovremmo definirla piuttosto un'interpretazione?
O forse è discutibile e descrivibile come interpretazione solo l'aver separato l'attività complessiva della cellula nelle operazioni delle singole proteine, forse è questo a doversi assegnare alla relatività culturale di un paradigma, quello meccanicista, che avrebbe potuto anche non svilupparsi etc.?
Citazione di: Koba II il 28 Luglio 2024, 15:45:20 PMIl punto però è questo: al di là della convenzionalità di specie dei nostri segni, le nostre immagini riescono a dar conto delle cose del mondo per come esse sono oppure no?
riescono a darne conto entro i limiti conoscitivi , sensoriali e percettivi . Noi vediamo che il foglio è bianco ma altri esseri lo possono vedere di un altro colore oppure non vedere affatto i colori. Ma per quanto ci riguarda il foglio è bianco, è rettangolare, è leggero , occupa un certo spazio e persiste nel tempo. Tutte queste propieta derivano in ultima analisi dalle forme a priori. i miei occhi vedono fino a una certa gamma dello spettro elettromagnetico, non vedono l infrarosso.
Citazione di: Koba II il 28 Luglio 2024, 15:45:20 PMPer esempio sappiamo dalla biologia molecolare che le proteine riescono a svolgere la loro attività grazia alla loro forma tridimensionale. Questa nozione, qui espressa ineluttabilmente nei termini di una specie che vede il mondo in tre dimensioni etc., è vera? O dovremmo definirla piuttosto un'interpretazione?
bhè le proteine si presentano come molecole costituite da una lunga catena di peptidi tridimensionali ma non è una catena di peptidi qualsiasi, al contrario è altamente specifica.
Citazione di: Koba II il 28 Luglio 2024, 15:45:20 PMetc., è vera? O dovremmo definirla piuttosto un'interpretazione?
non mi chiedo se è vera o no,mi chiedo se funziona, se un interpretazione funziona e noi conosciamo solo tramite interpretazioni , allora la assumeremo come esatta e non vera. la scienza non ci da verità, solo esattezze, possibilità legittime ma non definitivi pur quanto al momento funzionanti.
Citazione di: Koba II il 28 Luglio 2024, 15:45:20 PMO forse è discutibile e descrivibile come interpretazione solo l'aver separato l'attività complessiva della cellula nelle operazioni delle singole proteine, forse è questo a doversi assegnare alla relatività culturale di un paradigma, quello meccanicista, che avrebbe potuto anche non svilupparsi etc.?
come dicevo l assemblamento di una catena di peptidi a formare una proteina non è casuale, non basta infondere una certa quantità di energia al sistema. Le proteine non sono formate di catene di peptidi qualsiasi , ma da sequenze di amminoacidi estremamente specifiche , dotate delle speciali propietà di cui ha bisogno la vita , il numero di combinazioni alternative che possono formare gli amminoacidi è superastronomico. E qui arriva il punto, ottenere la combinazione di amminoacidi utili tra i miliardi di miliardi di sequenze inutile non è che uno specifico reperimento di un informazione. Si può liberare tutta l'energia che si vuole per far sequenziare gli amminoacidi in catene , ma se non si abbina l'energia a uno spostamento controllato e ordinato dei mattoni ci son ben poche speranze di produrre qualcosa di piu che un ammasso caotico. Per essere adatta l'informazione in questione deve essere significativa per il sistema che la riceve , deve essere collocata in un contesto . in altri termini l'informazione deve essere specificata . L aspetto veramente significativo non è tanto la conformazione tridimensionale delle proteine, ne la complessità del sistema ma la sua complessità organizzata. La cosa richiede un approccio olistico non riduzionistico.
Se metti un cane e un essere umano in un labirinto, entrambi cercheranno di uscire.
Il cane probabilmente si affiderà alle tracce olfattive.
L'uomo invece per poter uscire dovrà astrarre da ciò che gli dicono i sensi, tenere conto di tutti i tentativi fatti fino a quel momento e costruirsi un'immagine panoramica del labirinto. Una mappa.
La mappa mentale è qualcosa che soltanto un altro essere umano comprenderà. Al cane non dirà nulla. Ma l'immagine, che magari il nostro uomo disegnerà nella sabbia, rimanda a come di fatto è costituito il labirinto.
Perché l'immagine che lo salverà non deve essere considerata vera?
Evidentemente se non intendi concedere che il nostro esploratore alla fine sia giunto alla verità del labirinto, allora vuol dire che intendi la verità come l'essenza eterna e oggettiva della cosa, la quale implicherebbe il punto di vista di Dio.
Ma visto che tale punto di vista non c'è, visto che la cosa in sé è un concetto aporetico, dal momento che il sapere comporta ineluttabilmente una relazione tra soggetto e oggetto, comporta la presenza di un osservatore, allora mi chiedo che senso ha non concedere che quell'immagine sia vera ma solo esatta?
Vera, insieme ad altre immagini, altrettanto vere, che colgono del labirinto altri aspetti. Per esempio la simmetria, se si trattasse del labirinto dell'Overlook Hotel di Shinning...
Citazione di: Koba II il 28 Luglio 2024, 17:38:18 PMPerché l'immagine che lo salverà non deve essere considerata vera?
ripartendo dal tuo esempio ho una mappa che indica le vie da seguire per uscire dal labirinto, la percorro un giorno e ne esco, la percorro un altro giorno e ne esco, la percorro un altro giorno e finisco in una trappola che un ipotetico propietario sadico si è preso la libertà di produrre a mia insaputa. la mappa non poteva prevedere questa variabile.
piu in generale e più semplicemente mi limito a tenere sempre a mente il monito di Hume che ci mette in guardia dal ragionamento induttivo.
Perchè dovremmo essere certi che se una cosa funziona dovrà funzionare sempre anche in futuro? la credenza che ciò avverrà si basa sull assunto che il corso della natura rimane sempre uniformemente invariabile, ma come si giustifica questa assunzione?
Martin Heidegger aveva espresso lo stesso concetto in maniera più pittoresca immaginando che un tacchino fosse in grado di formulare un ragionamento induttivo sulla base di causa e effetto , avere cioè il concetto di causalità. Allora il tacchino che al susseguirsi dell entrata nel seraglio da parte dell allevatore vedeva il riempimento della zona cibo collegò le due cose come causa ed effetto, poi un giorno , vicino a Natale, succede tutt altro.
Citazione di: Alberto Knox il 28 Luglio 2024, 19:26:26 PMripartendo dal tuo esempio ho una mappa che indica le vie da seguire per uscire dal labirinto, la percorro un giorno e ne esco, la percorro un altro giorno e ne esco, la percorro un altro giorno e finisco in una trappola che un ipotetico propietario sadico si è preso la libertà di produrre a mia insaputa. la mappa non poteva prevedere questa variabile.
piu in generale e più semplicemente mi limito a tenere sempre a mente il monito di Hume che ci mette in guardia dal ragionamento induttivo.
Perchè dovremmo essere certi che se una cosa funziona dovrà funzionare sempre anche in futuro? la credenza che ciò avverrà si basa sull assunto che il corso della natura rimane sempre uniformemente invariabile, ma come si giustifica questa assunzione?
Martin Heidegger aveva espresso lo stesso concetto in maniera più pittoresca immaginando che un tacchino fosse in grado di formulare un ragionamento induttivo sulla base di causa e effetto , avere cioè il concetto di causalità. Allora il tacchino che al susseguirsi dell entrata nel seraglio da parte dell allevatore vedeva il riempimento della zona cibo collegò le due cose come causa ed effetto, poi un giorno , vicino a Natale, succede tutt altro.
Un'ultima considerazione.
Mi sembra strano che tu sostenga all'inizio una posizione affine a Kant e che poi citi Hume, visto che il criticismo kantiano è stato una risposta allo scetticismo moderno espresso nella sua forma più radicale da Hume appunto.
Ma a parte questa apparente contraddizione, bisogna capire che la conoscenza riguarda sempre e soltanto casi singoli. Per cui la generalizzazione dell'induzione per quanto utile non è mai ovviamente garantita, visto che ha a che fare con casi somiglianti ma mai identici.
Ogni esperimento scientifico è unico.
Questo ci dovrebbe gettare nel panico?
Lo scetticismo mette in crisi l'idea metafisica della verità come essenza eterna, legge assoluta.
Ma tolto questo presupposto ontologicamente impossibile, tutti questi dubbi, queste pretese di oggettività e di assolutezza, di garanzia di eternità etc., semplicemente spariscono e lasciano il posto all'avventura della conoscenza. Avventura umana, non divina. Umana, con tutti i suoi limiti e le sue meraviglie.
Citazione di: Koba II il 28 Luglio 2024, 20:49:32 PMUn'ultima considerazione.
Mi sembra strano che tu sostenga all'inizio una posizione affine a Kant e che poi citi Hume, visto che il criticismo kantiano è stato una risposta allo scetticismo moderno espresso nella sua forma più radicale da Hume appunto.
conoscere a fondo kant mi ha permesso di trovare motivi anche di critica , penso che un vero filosofo non deve mai prendere come oro colato quello che dicono i giganti della filosofia e cercare sempre di giustificarli sempre e comunque ma vagliarli, metterli sotto esame, sotto critica appunto. se guardi in questa discussione ci sono diversi punti dove dico che kant in questo o in quello si sbagliava.
Lo spaziotempo antropologico, come quello di ogni altro vivente, è stato deciso dall'evoluzione naturale che ha tarato i sensori, incluso il centrale, al meglio delle possibilità di sopravvivenza e al netto di ogni speculazione metafisica.
Basta una scena qualsiasi di predazione per dimostrare che quello spaziotempo non poteva essere che così, inarrivabile alla matematica più complessa che le nostre università e IA possano calcolare e mettere in una funzione.
Il tempo biologico è quello del suo invecchiamento, lo spazio quello del suo habitat. La sua laurea la capacità di sopravvivere, come predatore e come preda. Senza neppure un teorema metafisico necessario.
La metafisica non può che inchinarsi di fronte alla sapienza della natura. Al di qua del bene e del male.
Citazione di: Koba II il 28 Luglio 2024, 20:49:32 PMMa a parte questa apparente contraddizione, bisogna capire che la conoscenza riguarda sempre e soltanto casi singoli. Per cui la generalizzazione dell'induzione per quanto utile non è mai ovviamente garantita, visto che ha a che fare con casi somiglianti ma mai identici.
Ogni esperimento scientifico è unico.
Ne sei sicuro? prendiamo allora come esempio una cosa consolidata come la legge dell inverso del quadrato che regola la forza elettrica , questo non è un caso unico perchè lo si riscontra in tutti i casi. Essa è stata controllata in vari modi ed è sempre stata confermata. La definiamo legge perchè ,sulla base dell induzione, concludiamo che la propietà che essa esprime sarà sempre valida. Comunque , il fatto che nessuno ha mai osservato alcuna violazione della legge dell inverso del quadrato non prova che essa debba essere vera nello stesso modo in cui, dati gli assiomi della geometria euclidea , il teorema di pitagora deve essere vero. Non importa in quante singole occasioni la legge risulti confermata, non possiamo essere certi in modo assoluto che sia infallibilmente valida. Se non prendessi in considerazione questa possibilità sarei un dogmatico, ma non un vero filosofo a patto che io mi possa ritenere tale .
Citazione di: Koba II il 28 Luglio 2024, 20:49:32 PMMa a parte questa apparente contraddizione, bisogna capire che la conoscenza riguarda sempre e soltanto casi singoli. Per cui la generalizzazione dell'induzione per quanto utile non è mai ovviamente garantita, visto che ha a che fare con casi somiglianti ma mai identici.
Attraverso il processo di induzione sui singoli fatti si riduce l'incertezza con cui si verificano i singoli fatti, e di conseguenza il nostro agire diviene sempre meno aleatorio, riducendosi i il numero dei casi fra i quali il libero arbitrio è chiamato a scegliere.
Anche quando i singoli fatti sembrano avere origine nel caso, riuscendo a calcolare la probabilità con cui si verificano, riduciamo l'incertezza nella previsione del loro verificarsi.
il risultato è che alla fine ci interfacciamo con la realtà con maggior sicurezza e in modo potenzialmente più responsabile.
Di fatto le nostre azioni diventano causa delle nostre azioni in un mix di determinismo e casualità, in quante le cause agiscono in modo deterministico, ma è il nostro libero arbitrio, assimilabile di fatto al caso, a decidere quali agiranno.
Un libero arbitrio assimilabile al caso nel senso che noi stessi non siamo in grado di prevedere cosa decideremo, ma allo stesso tempo non è pensabile che il nostro agire non venga condizionato dalla nostra esperienza.
Se questo condizionamento poi sembra avere conseguenze positive, allora può valere la pena di fare delle nostre esperienze sistema, e questo sistema si chiama scienza nella sua versione moderna, o percezione nella sua versione originaria.
Mi pare di aver detto così cose banali, sotto gli occhi di tutti, purché vi si ponga attenzione.
Se però in questa ovvia descrizione introduciamo una conoscenza che sia caratteristica esclusiva degli umani, come tu affermi, le cose si complicano non poco e non è mai una buona idea complicare le cose, a meno che ciò non sia necessario, come quando ad esempio potessimo dimostrare ciò che tu affermi, che a me sembra invece del tutto arbitrario, e anzi mi pare che vi siano indizi del contrario.
Infatti se consideriamo scienza e percezione, una agente nel dominio della coscienza e l'altra no, come rivolti allo stesso scopo, che è quello di interfacciarci con la realtà al fine di sopravvivere, la coscienza e quindi la conoscenza non sembrano avere un ruolo centrale, se anche gli incoscienti animali sopravvivono.
C'è però secondo me un modo diverso di dire la stessa cosa più interessante, laddove non leghiamo la conoscenza alla coscienza, ma al possesso di nozioni comuni che agiscano anche indipendentemente dal nostro libero arbitrio, e a ciò io farei risalire quel che sorge in ognuno di noi, il concetto di verità, come quella cosa che non posso negare non avendo si di essa controllo cosciente.
Che sia cosciente oppure no, non credo che ci sia da esaltarsi comunque per il possesso di questa conoscenza che anche una intelligenza artificiale possiede nella sua versione incosciente, come la possiede ogni essere vivente supportata da un grado variabile di coscienza.
La verità è il senso comune nascosto dentro noi.
Se è già un impresa intellettuale degna di un genio riuscire ad andare contro il senso comune (Newton, Einstein e compagnia), è impresa impossibile andare contro il senso comune nascosto dentro ognuno di noi, come se questo senso comune che agisce in incognito fosse una verità.
Certo, si può anche provare a tirarlo fuori, attraverso la meditazione, cercando di sondarlo come fanno certi santoni.
Ma si tenga presente che è un attività che li impegna in modo esclusivo per tutta la vita, e alla fine non è mai chiaro se alcuno di loro da questo profondo mare abbia pescato qualcosa.
Succede piuttosto che nelle dinamiche della vita, come in quelle geologiche, ci si ritrovi prima o poi con montagne che prima erano i fondali di un oceano.
E' più facile conoscere la lontana luna che i vicini fondali oceanici.
Si può sottoporre tutto a critica, come pretende Kant, ma solo nella misura in cui vi abbiamo accesso, e nella misura in cui non riusciamo ad accedervi, e fin tanto che non vi riusciamo, esistono delle verità di fatto che agiscono in noi, che hanno il valore degli ''a priori'' di Kant, laddove l'essere tali non è però il loro destino segnato.
Il processo critico stesso che Kant mette in campo parte necessariamente da universali che a questa critica si sottraggono, la cui caratteristica è però più quella di sottrarsi alla critica, che l'essere universali.
Essi si presentano semplicemente a noi come a priori perchè non ne conosciamo l'origine, e questa origine anche quando venisse svelata rimanderebbe comunque ad altri a priori, perchè degli a priori, cioè di ciò che spiega senza essere spiegato, è propriamente fatta la conoscenza.
Nella sua versione cosciente l'a priori è una ipotesi che scegliamo senza subirla, perchè comunque non vi è altro modo di far procedere la conoscenza.
La verità è una ipotesi che non essendo stata scelta non può essere rinnegata.
Questa verità non è un universale, ma la carta di identità dell'uomo, di cui periodicamente bisogna aggiornare la foto, per poter continuare ad identificare attraverso di essa un uomo i cui connotati cambiano nel tempo, e perciò la conoscenza cambia aggiornandosi all'uomo, ma restando comunque sempre aderente a una realtà che pur cambiando, non muta le sue dinamiche di cambiamento.
Però certo non pretendo di aver penetrato Kant con la lettura di poche righe su Wikipedia.
A prima vista comunque mi pare che nella critica della ragion pura di Kant manchi il soggetto criticante, e che questa mancanza venga tradotta negli universali.
Le leggi della fisica che descrivono i mutamenti della realtà attraverso le variabili matematiche non potrebbero essere scritte se non in connubio con le costanti.
Come dire che tutto cambia per restare sempre uguale, con l'unica eccezione della variabile impazzita della vita, variabile che però non compare nelle equazioni della fisica, perchè è il soggetto che le produce.
Naturalmente sto attribuendo in modo improprio le equazioni alla vita, essendo invece proprietà esclusiva dell'uomo, ma si tratta in effetti solo di un esempio a noi noto di ciò che la vita produce nel suo interfacciarsi col resto della realtà.
Secondo me dovreste tenere conto di questo: il cervello umano non è una tabula rasa e non costruisce ex novo .
Nasce con una dote di informazioni e una sistemica cognitiva embrionale .
Matrici e informazioni che funzionano sin dall'inizio e poi si sviluppano sequenzialmente e progressivamente
In un certo senso l'essere umano è programmato e pronto a funzionare bene su questo pianeta.
Portandolo su un altro con caratteristiche diverse e/o contrarie non saprebbe neanche che fare.
La programmazione del cervello umano è dovuta sia all'umanizzazione naturale e spontanea che a un quid di cui non si sa praticamente niente.
Quel quid ad esempio regola l'apertura di salti di qualità e di porte intellettive e creative
La storia ce lo dice chiaramente dalla politica all'arte,dalla musica alla letteratura.Perfino la scienza segue questo quid e lo si può dimostrare facilmente
Le invenzioni arrivano sempre al momento opportuno in cui scienza e tecnologia ne hanno bisogno per progredire oppure per consolidare lo status.
Io sono stupito da come questa verità non sia ancora stata capita ma capisco il perchè:sarebbe un riconoscere qualcosa di scomodo nella natura umana.
Comunque io penso che ,dopo Copernico,Einstein,Freud e Planck, arriverà tra un po' qualcuno che spiegherà bene la natura e e la meccanica dell'Informazione.
Un esempio è il fatto che, ad esempio, nell'arte la creatività appare fase dopo l'altra,in paesi diversi e da artisti che neppure si conoscono o sono in contrasto personalmente.
Citazione di: Alberto Knox il 28 Luglio 2024, 21:31:13 PMNe sei sicuro? prendiamo allora come esempio una cosa consolidata come la legge dell inverso del quadrato che regola la forza elettrica , questo non è un caso unico perchè lo si riscontra in tutti i casi. Essa è stata controllata in vari modi ed è sempre stata confermata. La definiamo legge perchè ,sulla base dell induzione, concludiamo che la propietà che essa esprime sarà sempre valida. Comunque , il fatto che nessuno ha mai osservato alcuna violazione della legge dell inverso del quadrato non prova che essa debba essere vera nello stesso modo in cui, dati gli assiomi della geometria euclidea , il teorema di pitagora deve essere vero. Non importa in quante singole occasioni la legge risulti confermata, non possiamo essere certi in modo assoluto che sia infallibilmente valida. Se non prendessi in considerazione questa possibilità sarei un dogmatico, ma non un vero filosofo a patto che io mi possa ritenere tale .
Se cerchiamo conferma di una legge scientifica dobbiamo isolare e semplificare il nostro oggetto in un sistema ideale, dopodiché compiere la misurazione, cioè "perturbare" l'oggetto con la nostra strumentazione. Questa interazione, anche là dove la prima approssimazione del fenomeno nel sistema ideale fosse trascurabile, comporta comunque sempre un'alterazione decisiva, da un punto di vista ontologico, quasi mai da quello pragmatico della scienza.
Abbiamo così a che fare sempre con un'interazione unica.
Variazioni che appunto possono essere trascurate nell'attività scientifica, ma che comunque esistono.
La scienza contemporanea è basata su un paradigma probabilistico, non deterministico.
Citazione di: pandizucchero il 29 Luglio 2024, 09:07:50 AMLe invenzioni arrivano sempre al momento opportuno in cui scienza e tecnologia ne hanno bisogno per progredire oppure per consolidare lo status.
Io sono stupito da come questa verità non sia ancora stata capita ma capisco il perchè:sarebbe un riconoscere qualcosa di scomodo nella natura umana.
Forse ne restrei stupito anch'io se capissi cosa intendi dire. Fai un esempio.
Citazione di: Koba II il 29 Luglio 2024, 09:10:28 AMLa scienza contemporanea è basata su un paradigma probabilistico, non deterministico.
Confondi la probabilità con il caso, perchè se il caso è imprevedibile la probabilità si può determinare.
Consulta internet dgtando "cronologia delle invenzioni significative" e anche "cronistoria della scienza e tecnologia"
Citazione di: Koba II il 29 Luglio 2024, 09:10:28 AMSe cerchiamo conferma di una legge scientifica dobbiamo isolare e semplificare il nostro oggetto in un sistema ideale, dopodiché compiere la misurazione, cioè "perturbare" l'oggetto con la nostra strumentazione.
Isolando e semplificando stai solo ricreando le stesse condizioni che hanno prodotto la legge al fine di poterla confermare.
Se la realtà è una collezione di oggetti, la misurazione fatta su uno di questi oggetti lo perturberà, per cui non rileveremo con la misurazione l'essenza del suo essere .
Se la realtà non è una collezione di oggetti, una misura fatta su di essa la perturberà di modo che con la misurazione non rileveremo l'essenza del suo essere, e se il risultato della misurazione sarà una collezione di oggetti, allora quella collezione di oggetti non è l'essenza della realtà.
L'essere in questo secondo caso sarebbe allora l'imperfezione con cui la realtà ci appare quando, interagendovi, la perturbiamo.
L'essere allora è il prodotto di questa perturbazione.
Citazione di: Alberto Knox il 28 Luglio 2024, 11:50:03 AMNo Daniele , era riferito a ciò che hai detto di pensaperbene alias pandizucchero. Per il resto non sono qui per convincere nessuno e rispetto il tuo punto di vista.
Alberto, ti ringrazio del tuo avere rispetto per il mio pensiero, ma questa sembra un'affermazione che tende a chiudere un dialogo nel quale ciascuno di noi si arrocca nella sua tesi senza più esporla a critica. Giusto quindi per riaprire il dialogo ti riporto a un tuo pensiero espresso l'otto dicembre scorso nelle tematiche filosofiche (Oltre la cenere - post 39)."Si è scoperto che , attraverso degli esperimenti neuropisichiatrici, e potendo vedere su un monitor il flusso sanguigno che attiva aree del cervello deputati all azione e poi a qualle aree deputate invece alla decisione. Ebbene facendo questi esperimenti si è scoperto che la parte del cervello che si attiva per prima quando facciamo una scelta non è quella della decisione ma quella dell azione. Cosa vuol dire? vuol dire che tu prima agisci e poi interpreti quella tua azione secondo quella che è la tua canzone preferita che ti piace cantare e così via ma in realtà c'è prima l'istinto, poi la decisione. Ma sai che c'è? c'è che io poi posso rivedere la mia azione , quell azione istintiva che ho fatto la posso pesare, soppesare e posso riformarla e il giorno dopo, quando sarò nella stessa situazione, agirò diversamente."Non so se il dato sia confermato dalla scienza, ma di sicuro la mia tesi "filosofica" si sposa benissimo con questa visione e anche il commento che tu hai offerto in quel frangente tende a coincidere con la mia tesi. Sembra invece che Kant si disinteressi di questioni psichiche circa l'umana azione intellettuale volta a stabilire a cosa corrisponda la conoscenza. Quello che pesa infine sarebbe proprio la possibilità di rivedere le proprie azioni, nel nostro caso quelle intellettuali
Su questo vi posso informare io: le basi della gestione cerebrale di azione e decisione stanno nell',infanzia.
Immaginate un bambino camminare in equilibrio su un muro:se gli dite "fai un passo alla volta e vai adagio" il bambino lo fa. Se gli dite "attento a non cadere" di solito cade.
Perchè? Perché il bambino prima si immagina l'azione e poi prende una decisione.
Nel primo caso, vede bene l'azione da fare e decide di farla Nel secondo si immagina di cadere e fa fatica a decidere cosa fare se non traballare un po'.
Il cervello di un adulto funziona allo stesso modo: prima si immagina l'azione poi decide che cosa fare.
Se io dico a un adulto :"attento a non sbagliare tasto" è facile che lo sbagli o che testi in attimo perplesso,a volte confuso.
Se gli dici:"usa quel tasto" lui lo fa senza problemi.
Quandoeravamo trogloditi,questo succedeva quotidianamente e spesso realmente : il troglodita agiva e poi cercava di decidere che c....o fare .
Poi è passato ad immaginare l'azione ma in modo ambiguo e pericoloso. Quindi ha capito che immaginando l'azione direttamente e positivamente poteva decidere che cosa fare molto più facilmente.
Citazione di: Koba II il 29 Luglio 2024, 09:10:28 AMSe cerchiamo conferma di una legge scientifica dobbiamo isolare e semplificare il nostro oggetto in un sistema ideale,
io ho paralto di una legge, quella definita "legge di Coulomb" che dice ;La forza di attrazione/repulsione fra due particelle elettricamente cariche è inversamente proporzionale al quadrato della distanza fra di esse; questo fatto è noto come legge di Coulomb.
le leggi sono appunto enuciati relativi a classi di fenomeni. il successo del metodo scientifico può essere attribuito all abilità dello scienziato di scoprire le leggi universali che permettono di discernere in sistemi fisici differenti certe caratteristiche comuni . Per esempio i proiettili non sono tutti identici tuttavia descrivono tutte delle traiettorie paraboliche. Se ogni proiettile o sistema richiedesse una sua descrizione individuale , non esisterebbe una scienza quale noi la conosciamo.
Citazione di: daniele22 il 29 Luglio 2024, 14:23:27 PMNon so se il dato sia confermato dalla scienza, ma di sicuro la mia tesi "filosofica" si sposa benissimo con questa visione e anche il commento che tu hai offerto in quel frangente tende a coincidere con la mia tesi.
Sì daniele , quello studio dice così, ma io non penso di essere agito solo dai miei impulsi istintuali come dice invece lo studio. Non lo penso perchè io posso reprimere certe pulsioni o istinti con la ragione , soffermarmi, soppesare , analizzare e poi prendere una decisione. Certo che mi è capitato di agire in maniera istintiva e molte volte. Ma non sempre, quel non sempre mi fa capire che se anche nel mio cervello si attivano prima quelle zone adebite all azione come spinta ad agire io posso fermarmi e rifletterci su. Quello studio mi ha fatto capire che il cervello è molto legato ai meccanismi evolutivi arcaici che ci han portato da arrampicarci sugli alberi a cammire eretti e guardare le stelle , il mio cervello parte in quarta, istintivamente sa già cosa fare. Il trucco sta nel non far decidere a un organo del mio corpo quello che devo fare. Per quanto riguarda kant se le chiesto , si è chiesto che cosa posso sapere , che cosa devo fare, che cosa mi è lecito sperare. E poi ha scritto il suo lavoro
Citazione di: Alberto Knox il 29 Luglio 2024, 15:54:23 PMSì daniele , quello studio dice così, ma io non penso di essere agito solo dai miei impulsi istintuali come dice invece lo studio. Non lo penso perchè io posso reprimere certe pulsioni o istinti con la ragione , soffermarmi, soppesare , analizzare e poi prendere una decisione. Certo che mi è capitato di agire in maniera istintiva e molte volte. Ma non sempre, quel non sempre mi fa capire che se anche nel mio cervello si attivano prima quelle zone adebite all azione come spinta ad agire io posso fermarmi e rifletterci su. Quello studio mi ha fatto capire che il cervello è molto legato ai meccanismi evolutivi arcaici che ci han portato da arrampicarci sugli alberi a cammire eretti e guardare le stelle , il mio cervello parte in quarta, istintivamente sa già cosa fare. Il trucco sta nel non far decidere a un organo del mio corpo quello che devo fare. Per quanto riguarda kant se le chiesto , si è chiesto che cosa posso sapere , che cosa devo fare, che cosa mi è lecito sperare. E poi ha scritto il suo lavoro
Per curiosità ho fatto una piccola ricerca in merito allo studio e mi è saltato fuori questo articolo datato 2011:https://www.scienzainrete.it/articolo/neuroni-decidono-noi/tommaso-bruni/2011-04-05Il fatto che nell'esperimento si chiedesse di decidere di fare una cosa mi sembrerebbe un po' forzare l' inferenza che successivamente se ne trae. A prescindere quindi dall'esperimento per me sarebbe chiaro che tu puoi "migliorare" te stesso solo se entri in conflitto con l'azione che hai fatto giudicandola riprovevole. Ma un autoemendamento sull'azione sarebbe possibile solo la prima volta che tu hai compiuto l'azione. Cioè ci dovrebbe già essere qualcosa in te che ti dice che c'è qualcosa che non andava in quello che hai fatto; altrimenti solo gli altri potrebbero darti la possibilità di cambiare, o, in alternativa, un'esperienza che ti dissuada dal reiterare l'azione. In ogni caso, se hai un "vizio", non è scontato che tu possa sbarazzartene e la cosiddetta forza di volontà ... beh, questa sì secondo me è una grossa balla.Per finire con Kant anch'io mi sono chiesto cosa posso conoscere e la risposta che mi sono dato è: solo ciò che è utile all'essere umano; immagino quindi che la realtà che sta là fuori possa essere di gran lunga ben più vasta di quello che noi si possa sapere di essa
Citazione di: daniele22 il 30 Luglio 2024, 07:11:43 AMPer finire con Kant anch'io mi sono chiesto cosa posso conoscere e la risposta che mi sono dato è: solo ciò che è utile all'essere umano; immagino quindi che la realtà che sta là fuori possa essere di gran lunga ben più vasta di quello che noi si possa sapere di essa
Dire che ciò che non posso conoscere è inutile, somiglia alla favola della volpe e l'uva.
Conoscete Viktor Frankl e la logoterapia?
Mai sentito, ma leggendo questo breve commento al suo pensiero e l'ancora più breve virgolettato tenderei ad essere in sintonia con lui.
"La logoterapia è stata ideata da Frankl come intervento per aiutare a ritrovare il senso della propria esistenza. In quanto tale, essa si fonda su una concezione propria dell'uomo, con postulati di base e dottrine che la giustificano, nella convinzione che "non c'è una psicoterapia senza una teoria dell'uomo ed una sottostante filosofia della vita" (Frankl 1998b, p. 31)."
Citazione di: daniele22 il 30 Luglio 2024, 07:11:43 AMA prescindere quindi dall'esperimento per me sarebbe chiaro che tu puoi "migliorare" te stesso solo se entri in conflitto con l'azione che hai fatto giudicandola riprovevole. Ma un autoemendamento sull'azione sarebbe possibile solo la prima volta che tu hai compiuto l'azione.
sì ma questo fa parte della formazione e autorealizzazione del propio sè , non si nasce già con le esperienze, solo facendo esperienza e poi confrontando l'esperienza con altre possiamo crescere e autorealizzarci e fondare una propia morale e quindi un certo comportamento etico , perchè poi alla fine è di questo che si parla . Quando è stata la prima volta che l'uomo ha provato rimorso? evidentemente deve essere accaduto qualcosa . è quando ti accade qualcosa che ti fa male che impari cos'è la morale autonoma . Certo si viene educati nel tenere un certo comportamento etico ma poi è l'esperienza che te la fa penetrare nella mente, nelle viscere e giù fino alle ossa. è qualcosa che ti rimane impresso come l inchiostro sulla carta, non ha caso la parola "carattere" deriva etimologicamente da incisione, impronta, stampo. Il primato sta alla morale autonoma non a quella eteronoma.
Citazione di: Alberto Knox il 30 Luglio 2024, 20:18:24 PMsì ma questo fa parte della formazione e autorealizzazione del propio sè , non si nasce già con le esperienze, solo facendo esperienza e poi confrontando l'esperienza con altre possiamo crescere e autorealizzarci e fondare una propia morale e quindi un certo comportamento etico , perchè poi alla fine è di questo che si parla . Quando è stata la prima volta che l'uomo ha provato rimorso? evidentemente deve essere accaduto qualcosa . è quando ti accade qualcosa che ti fa male che impari cos'è la morale autonoma . Certo si viene educati nel tenere un certo comportamento etico ma poi è l'esperienza che te la fa penetrare nella mente, nelle viscere e giù fino alle ossa. è qualcosa che ti rimane impresso come l inchiostro sulla carta, non ha caso la parola "carattere" deriva etimologicamente da incisione, impronta, stampo. Il primato sta alla morale autonoma non a quella eteronoma.
Penso sia utile poter fissare dei punti altrimenti non ci si capisce. Secondo me l'individuo, quando viva in società, è un anonimo; è nulla più che un'impronta genetica che fin da quando nasce soffre e gode. Il suo comportamento non si cura di rivolgersi a valori morali, che gli vengono invece impartiti dalla collettività quando questa ritenga che la sua (dell'individuo) tecnica di vita debordi in modi poco sostenibili dalla tradizione in uso. Pertanto riterrei che Il codice morale non possa che essere di natura eteronoma. Se tu quindi ti formi una legge morale autonoma questo deriva dal fatto che conosci il dolore e non vuoi riservarlo agli altri, ma questa nozione è l'altro che te la fornisce
Citazione di: daniele22 il 31 Luglio 2024, 08:25:00 AMPertanto riterrei che Il codice morale non possa che essere di natura eteronoma. Se tu quindi ti formi una legge morale autonoma questo deriva dal fatto che conosci il dolore e non vuoi riservarlo agli altri, ma questa nozione è l'altro che te la fornisce
il dolore può essere anche riferito a quello che gli altri fanno a te stesso , di conseguenza, conoscendo il dolore non vuoi farlo tu stesso agli altri. Ma questo non è affatto scontanto, vediamo bene come nella società chi si comporta in modo violento, o insulta è spesso una persona che ha una sofferenza di fondo
"fu un antica miseria o un torto subito, a fare del ragazzo un feroce bandito" . E quindi? cosa entra in gioco oltre il fatto di vedere la sofferenza altrui?
Citazione di: Alberto Knox il 31 Luglio 2024, 12:14:52 PMil dolore può essere anche riferito a quello che gli altri fanno a te stesso , di conseguenza, conoscendo il dolore non vuoi farlo tu stesso agli altri. Ma questo non è affatto scontanto, vediamo bene come nella società chi si comporta in modo violento, o insulta è spesso una persona che ha una sofferenza di fondo "fu un antica miseria o un torto subito, a fare del ragazzo un feroce bandito" . E quindi? cosa entra in gioco oltre il fatto di vedere la sofferenza altrui?
La conoscenza, l'esperienza del dolore, fatta salva una patologia che te lo procuri, viene solitamente riferita attribuendo cause all'altro da te, ma non ne conseguirebbe, come dici, che tu non voglia recarlo all'altro. Tra l'altro, normalmente, non è che uno voglia esplicitamente far del male all'altro, a meno che non si tratti di un sadico. E infatti, come dici, nella nostra società vediamo bene... Ora, Alberto, tu vedi chi si comporta in modo violento, ma io vedo pure chi fa del male in modo non violento magari favorendo la violenza e fa finta di non accorgersene, oppure mistifica. Proseguendo quindi, pur potendovi essere nel "reo" una sofferenza, tale sofferenza non è affatto scontata. Chiedi infine cosa entra in gioco oltre il vedere la sofferenza altrui? A livello dell'individuo potrebbe entrare in gioco il corredo genetico, ma non ho chiarezza nel merito; entra senz'altro in gioco, come già detto, gli esiti della tua relazione con altro da te, cose animate e non, fin dai primi vagiti. In sintesi: l'individuo può pretendere che la forza con cui affronta la vita, quindi anche il modo in cui lo fa, sia in un certo senso inviolabile, ma è l'insieme degli individui (non una casta) ad avere il primato a normare l'ethos in senso morale ed eventualmente contenere gli eccessi del troppo quando arrechi danno
Pensa che "Il bandito e il campione" ha occupato un'intera estate della mia vita, e naturalmente tifavo per Sante Pollastri. Ma chi era l'ipotetico traditore? Sulla faccenda vi furono pure delle schermaglie, ma mi sembra che de Gregori non si sia mai pronunciato. E affaticato ormai vaga tra questi caldissimi tour estivi ... almeno una volta potrebbe farlo evadere!
Citazione di: daniele22 il 31 Luglio 2024, 15:36:28 PMma è l'insieme degli individui (non una casta) ad avere il primato a normare l'ethos in senso morale ed eventualmente contenere gli eccessi del troppo quando arrechi danno
ci sono le norme etiche, ci sono le multe e ci sono gli arresti, ma sai cosa non c'è al riguardo? l'educazione. Che è il contrario di istruzione. is-truere , mettere dentro. E-ducere , tirare fuori. la scuola si occupa molto di istruire (ed è giusto) e ben poco di educare. Si potrebbe dire che questo è compito dei genitori ma se questi non ne hanno gli strumenti per educare? allora dovrebbe intervenire la società visto che come dici il primato sull etica sta alla società e non all individuo.
chi insegna l'etica ai ragazzi?
Citazione di: Alberto Knox il 31 Luglio 2024, 17:44:27 PMci sono le norme etiche, ci sono le multe e ci sono gli arresti, ma sai cosa non c'è al riguardo? l'educazione. Che è il contrario di istruzione. is-truere , mettere dentro. E-ducere , tirare fuori. la scuola si occupa molto di istruire (ed è giusto) e ben poco di educare. Si potrebbe dire che questo è compito dei genitori ma se questi non ne hanno gli strumenti per educare? allora dovrebbe intervenire la società visto che come dici il primato sull etica sta alla società e non all individuo.
chi insegna l'etica ai ragazzi?
Chiedilo alla sua dottrina Alberto. Il problema non è l'educazione, bensì l'educatore. Da quale pulpito predica la sua sapienza? ... segue altro, forse ed eventualmente
Alcuni sostengono che "la verità è una terra senza sentieri". Che sia per questo motivo che si vede la gente girare di qua e di là come co...oni senza meta? O:-)
Citazione di: Pio il 01 Agosto 2024, 08:41:53 AMAlcuni sostengono che "la verità è una terra senza sentieri".
Jiddu Krishnamurti certo ma ci sono anche altri pensatori come Gurdjieff e Ouspensky che promuovono la ricerca della verità interiore tramite l'osservazione e l auto-osservazione.
Citazione di: daniele22 il 01 Agosto 2024, 07:52:46 AMDa quale pulpito predica la sua sapienza?
Sì, abbiamo un bisogno immenso di grandi uomini che mettano se stessi al servizio del bene comune e non solo del propio.
Citazione di: Alberto Knox il 01 Agosto 2024, 14:09:33 PMSì, abbiamo un bisogno immenso di grandi uomini che mettano se stessi al servizio del bene comune e non solo del propio.
Non ci sarebbe in verità bisogno di grandi uomini Alberto, bensì di un po' d'ordine mentale. A meno quindi che il sole non porti a ebollizione il nostro sangue se la nostra società fosse in declino sarebbe perché manca di giustizia. Manca più che altro un metro per definirla, ma il metro chi ce lo dovrebbe fornire? Il pensiero di un individuo, quello di una parte di individui, o quello di tutti gli individui? Ovviamente penso che il metro dovrebbe essere dato da tutti gli individui assieme ... ha ha ha ahhaaaaah! ... intendo con questo che dovrebbe saltar fuori dalla ragione umana, dall'umano pensiero, non dalla ragione del singolo; questo poiché la sfera emotiva vincolerebbe la ragione dell'individuo, e di conseguenza sarebbe opportuno, giusto, che tale sfera dovesse essere in parte emendata da una ragione collettiva comunque emotivamente direzionata, la quale però dovrebbe almeno elevarsi dall'emotività parcellizzata che si configura negli interessi di vario genere in cui si trova costretta la ragione individuale. Fintanto allora che l'individuo non abbia piena nozione, piena coscienza della distinzione che vi sarebbe tra quello che vi è là fuori e quello che sta dentro nella sua testa resteremmo inesorabilmente costretti a gravitare attorno a un concetto di giustizia arbitrario, intendi solo nel senso che puzza troppo di una imposizione elitaria accettata perché vagamente condivisibile pure da chi elite non è; è facile far capire che uccidere non è una buona azione. Tutto troppo umano insomma. E gli oggetti che gravitano attratti fatalmente verso questa nebulosa giustizia sarebbero, come già ventilato in post precedenti in questo topic, le molteplici e spesso inconciliabili descrizioni della realtà che produciamo facendone parte appunto. Non considerando cioè che tali popolazioni di varianti, i nostri discorsi appunto, probabilmente sarebbero l'esito del coinvolgimento di natura emotiva che pregna le nostre produzioni certo ben confezionate nella migliore delle ipotesi, ma poco convincenti ugualmente; e va ben che qua dentro a parte me sembra che quasi nessuno voglia convincere chicchessia, ma insomma, non facciamo i ridicoli! Convincere quindi di cosa? Convincere, per quel che mi riguarda, del fatto che la realtà di cui pensiamo di parlare non è quella là fuori ... Errata ed erratica presunzione mentale ... Se si vive costantemente calati in un mondo in cui la sfera emotiva è costantemente pronta a manifestarsi per via dell'incessante divenire che può stimolarla, come possiamo pretendere di comporre dipinti del reale epurandolo della memoria che tali stimolazioni producono in noi. La conoscenza è sinonimo di realtà, quella di un individuo però, ma lui non se ne dà conto, pensa che vi sia una separazione, e i giusti e gli ingiusti di cui tutti parlano inebriati dal libero arbitrio non sono definibili secondo il senso del decalogo mosaico. Anche un assassino, o peggio, un traditore, o un falso, possono essere nel giusto, ma noi non lo sapremo mai, nemmeno se ce lo dice lui; ulteriore risposta, limitante e inquietante, da fornire al "cosa posso conoscere" kantiano. Dato quindi che alla prima domanda avrei già risposto con due formulazioni distinte (quella precedente era che posso conoscere solo ciò che è utile), se ti piace Kant risponderei pure alla sua seconda domanda sul "cosa devo fare?"; dicendo che, purtroppo, devo convincere gli altri di questi loro limiti che perniciosamente oltrepassano senza ragione alcuna che non sia mossa da pretese di potere e/o vanagloria
Citazione di: daniele22 il 02 Agosto 2024, 11:45:17 AMConvincere quindi di cosa? Convincere, per quel che mi riguarda, del fatto che la realtà di cui pensiamo di parlare non è quella là fuori ... Errata ed erratica presunzione mentale ...
avevamo già detto che il mondo per come è tale noi non lo conosceremo mai. Alla domanda che cosa posso sapere risponde la scienza e la scienza esclude dal metodo le attività emotive del ricercatore sul fenomeno in osservazione e sperimentazione. Alla domanda che cosa devo fare risponde l'etica che per kant doveva essere autonoma , ovvero come risultato della legge morale in me. kant fonda la sua etica non sulla società , lo fonda su un imperativo categorico e formula questo imperativo in diversi modi , anzitutto dice che devi agire sempre in modo che la massima della tua azione possa sempre valere come principio di una legislazione universale. Ovvero quando faccio qualcosa , devo poter desiderare che altri, in analoghe situazioni, facciano lo stesso. kant formulò l imperativo categorico dicendo anche che tu devi trattare l umanità , sia nella tua persona sia in quella di qualunque altro, sempre anche come fine e non semplicemente come mezzo perchè tutti gli uomini sono in sè un fine. Ed è una legge che vale anche per te stesso, infatti non devi usare te stesso soltanto come mezzo per ottenere qualcosa . Se fai qualcosa
perchè senti che è tuo dovere seguire la legge morale , allora puoi parlare di azione morale. Per questo l'etica di kant si chiama "etica del dovere" . Kant avrebbe aggiunto che solo quando
sappiamo di agire in conformità con la legge morale agiamo in
libertà. sembra una contraddizione ma non lo è . Come esseri dotati di sensi , noi apparteniamo all ordine naturale e pertanto siamo sottomessi alla legge di causalità , di conseguenza non possediamo una volontà libera (non puoi decidere di voler rimbalzare per la tua stanza perchè anche tu appartieni all ordine naturale del mondo) . Come creature razionali, però , facciamo parte di ciò che kant chiama la cosa in sè e quindi del mondo come è in sè , indipendentemente dalle nostre sensazioni. Se seguiamo la nostra ragion pratica possiamo compiere scelte morali e perciò la nostra volontà è libera , infatti, piegandoci di fronte alla legge morale , siamo noi stessi a formulare quella legge a cui ci adeguiamo. In ogni caso non si è particolarmente liberi e indipendenti se si seguono soltanto i propi desideri.
Miao chiese a Maramao:" Per te, vero e verità sono la stessa cosa?". Maramao fece un lungo sbadiglio e poi rispose:" la verità non può essere falsa, ma il vero può esserlo per uno ma non per un altro. È per te vero, visto che continui a stare sotto il sole, che oggi fa un caldo bestia; ma per me , che me ne sto all'ombra di questo albero non lo è". Miao restò perplesso.
Ti vedo perplesso disse Maramao.
Si infatti, rispose Miao, perchè non ho caldo, ma freddo, ed è per questo che me ne sto al sole. :)
Miao chiese a Maramao:" Se è vero che dove sto io fa caldo e se è vero che dove stai tu non fa caldo, si tratta di due verità di uguale valore?". Maramao finse di osservarlo, poi disse:" Certamente, ma la mia è più fresca". Miao continuò a riflettere perplesso.
Se questa è la verità allora stiamo freschi! :)
Disse infine Miao.
@Alberto Knox
A prescindere dal fatto che non conosco il pensiero di Kant, questi era comunque un religioso e questo non può non aver influenzato il suo pensiero. Può essere quindi che lui, emendando il suo pensiero di credente al fine di trovare un'universalità etico/morale abbia cercato delle norme che si rifacessero alla ragione e non a Dio, trovandole infine nella formulazione degli imperativi. Ma se non sapeva per quali vie si attua la conoscenza, vie che mancano a tutt'oggi essendo che non esiste una teoria universalmente accettata della conoscenza, mi chiedo quanto attendibili possano essere le sue formulazioni che a detta ragione si appellavano. Seguendo il suo pensiero pure io mi appello alla ragione, ma da ateo, e ancor mancando ad oggi una teoria della conoscenza, mi trovo nella sua stessa condizione, però mi guardo ben dal dire "bisogna fare così", pure se mi arrogo di sapere come l'essere umano conosce la realtà. La morale, per come la penso, si attua attraverso la conoscenza comune, la consapevolezza, e comunque l'individuo ha il diritto di disobbedire fermo restando che la comunità ha il diritto/dovere di difendersi
"La legge morale dentro di me" ha avuto derive inguardabili, peggiori della peggiore barbarie. Ma anche aspetti sublimi, come la replica di Antigone a Creonte.
Molta sapienza ci vuole per districare bene il bandolo della matassa etico/morale. Laddove la verità combatte la sua battaglia più fatale.
Citazione di: Ipazia il 06 Agosto 2024, 07:48:17 AMMolta sapienza ci vuole per districare bene il bandolo della matassa etico/morale. Laddove la verità combatte la sua battaglia più fatale.
In effetti la verità con l'etica/morale vince facile, perchè chi potrebbe negare la bontà del bene, come per tutte le cose che vengono da sè?
Il fatto è che delle cose che vengono da se non ci sarebbe nulla da dire, ma dicendo che vengono da se quel nulla si è detto.
Qualunque cosa di buono vi sia nella realtà, parlandone non se ne fa il suo bene, perchè una volta affermatolo lo so si può negare, e smette perciò di essere una verità.
Le teorie scientifiche non sono vere fino a prova contraria, perchè la loro non verità resiste a qualunque prova, essendo che si può dimostrare che non vengono da se.
D'altra parte non abbiamo motivo di non credere che ciò che sembra venire da se, essendone ignota l'origine, non sia fatto della stessa sostanza di cui sono fatte le teorie scientifiche, avendo lo stesso fine.
Tutto dipende dal ruolo che vogliamo ritagliare alla coscienza.
La scienza è la versione in chiaro del nostro fare, ma non per questo ha necessariamente maggior valore della versione ignota, oppure il contrario.
Se assumiamo la tecnologia come parte di noi, si vede oggi bene come la coscienza o la sua assenza giochino la stessa partita, perchè le macchine che divengono parte di noi, costruite secondo coscienza, di coscienza non ne hanno, ma allo stesso tempo nel confronto con esse, acquisiamo maggior coscienza di noi, per esclusione, perchè possiamo escludere la tecnologia cosi come la possiamo includere.
In effetti la tecnologia è una nostra esplicitazione, derivando dal nostro fare, che solo quando esplicitata possiamo negare essere parte di noi, potendone in effetti, una volta esplicitata, farne a meno, almeno in teoria, perchè ciò equivarrebbe ad una amputazione volontaria.
Citazione di: Ipazia il 06 Agosto 2024, 07:48:17 AMLaddove la verità combatte la sua battaglia più fatale.
E sembra perderla quando all'Olimpiade costringono degli atleti a nuotare nella Senna
Citazione di: daniele22 il 05 Agosto 2024, 15:36:08 PMperò mi guardo ben dal dire "bisogna fare così", pure se mi arrogo di sapere come l'essere umano conosce la realtà.
l'imperativo non è una norma che dice come bisogna fare in una determinata situazione , dice cosa fare in qualsiasi situazione , non come legge esterna ( devi restituire il portafoglio che hai trovato perterra perchè lo dice il Papa, perchè lodice la buona norma civile , perchè lo dice Gesù, perchè lo dice la legge) no devi restituire il portafoglio per la stessa legge morale che è in te. Lo puoi anche tenere naturalmente e far finta di niente ma in questo caso non hai agito secondo la tua morale , hai agito secondo interesse personale. Ma nessuno può obbligarti a restituire il portafoglio, è una scelta che devi fare tu. Non te lo impone la società
Citazione di: Alberto Knox il 06 Agosto 2024, 11:21:29 AMl'imperativo non è una norma che dice come bisogna fare in una determinata situazione , dice cosa fare in qualsiasi situazione , non come legge esterna ( devi restituire il portafoglio che hai trovato perterra perchè lo dice il Papa, perchè lodice la buona norma civile , perchè lo dice Gesù, perchè lo dice la legge) no devi restituire il portafoglio per la stessa legge morale che è in te. Lo puoi anche tenere naturalmente e far finta di niente ma in questo caso non hai agito secondo la tua morale , hai agito secondo interesse personale. Ma nessuno può obbligarti a restituire il portafoglio, è una scelta che devi fare tu. Non te lo impone la società
Con tutto il rispetto che ho per Kant, bisognerebbe allargare la visuale, altrimenti la norma che è in me rischia di diventare tautologica (la norma che è in me magari mi dice di rubare più portafogli possibili). E le strade che mi vengono in mente ora, sono due. La prima riguarda il discorso della morale come tradizione. Se in un dato paese è morale aggredire i poliziotti o dare fuoco agli ebrei, tale atteggiamento sarà considerato come morale. Siamo esseri molto meno legati a programmi automatici (cosiddetto istinto) e possiamo facilmente riprogrammarci, grazie alla "combo" fatale SNC altamente complesso e cultura.
La seconda strada è quella che invece riguarda proprio le basi neurobiologiche della specie umana e insieme ad essa di tutti i mammiferi, di tutti gli uccelli e probabilmente anche di qualche altro vertebrato (per mammiferi e uccelli è ampiamento provato). In queste basi neurobiologiche sussistono stati affettivi che ci mettono in difficoltà nel commettere atti ingiusti e/o violenti. Tanto per fare un esempio: Gli Einsatzgruppen, con il compito di sterminare gli ebrei nelle retrovie furono con il tempo, arruolati sempre di più fra ucraini, bielorussi e collaborazionisti vari, poichè i tedeschi a forza di uccidere si ammalavano e non erano più in grado di combattere.
Le due considerazioni sono in conflitto e l'unica strada che mi viene in mente per conciliarle è ancora una volta, l'educazione. Su questo punto, Platone, che per altri versi mi è particolarmente indigesto, aveva perfettamente ragione. Siamo una specie che va educata e questa educazione può condurre in qualsiasi direzione e pertanto resta il dilemma famoso di chi educa gli educatori, rispetto a quali valori, a quali obiettivi.
Una possibile soluzione potrebbe essere quella di abbattere quanto più possibile le differenze di accesso alla cultura così come al benessere, poichè le differenze estreme attuali non permettono una visione lucida alla stragrande maggioranza della popolazione, rispetto alla quale il "tu devi" si può anche declinare nel "tu devi permettere che i migranti anneghino nei loro barconi schifosi".
La giustizia materiale e il conseguente benessere è la premessa per ogni discorso etico.
Citazione di: Jacopus il 06 Agosto 2024, 12:28:39 PMLa giustizia materiale e il conseguente benessere è la premessa per ogni discorso etico.
ma non dovrebbe essere forse l amore il pilastro su cui si regge l etica? amore di cui anche tu stesso hai detto che c'è bisogno di parlarne?
Citazione di: Alberto Knox il 06 Agosto 2024, 12:44:14 PMma non dovrebbe essere forse l amore il pilastro su cui si regge l etica? amore di cui anche tu stesso hai detto che c'è bisogno di parlarne?
Si in effetti in qualche momento mi sono lasciato un pò trasportare. A mente lucida direi che più che l'amore è il bisogno (istinto?) di cura che fonda l'etica. Noi ci curiamo della nostra prole e indirettamente di tutti gli individui della nostra specie ed ancora più indirettamente di tutto l'ecostistema. Fatto sta che questo in realtà non avviene, o se avviene, avviene a corrente alternata. Per questo motivo credo che serva un concetto di giustizia che vada oltre la cura. Agostino, credo, diceva che laddove c'è la carità non c'è bisogno della giustizia. Molto vero, fatto sta che chi non è abituato alla carità per "imprinting" culturale, ha bisogno che vi siano criteri di giustizia applicabili.
Citazione di: Jacopus il 06 Agosto 2024, 12:51:52 PMSi in effetti in qualche momento mi sono lasciato un pò trasportare.
io ci ho scritto un topic in nome di quella falsa onda :'(
Citazione di: Jacopus il 06 Agosto 2024, 12:51:52 PMfatto sta che chi non è abituato alla carità per "imprinting" culturale, ha bisogno che vi siano criteri di giustizia applicabili.
la giustizia umana mi riporta alla giurisprudenza e di conseguenza ci saranno sempre trasgressori della legge , mi pare che tu voglia "educare" col pugno di ferro. in piu l essere umano non è ad una sola dimensione one dimensional man come diceva marcuse in relazione ad una certa casta capitalista che ci vorrebbero ad una sola dimensione, tutti allineati e sorridenti nella grande catena di montaggio sociale in virtù dell economia. Piu che criteri di giustizia abbiamo bisogno di criteri di responsabilità.
Citazione di: Alberto Knox il 06 Agosto 2024, 13:10:11 PMla giustizia umana mi riporta alla giurisprudenza e di conseguenza ci saranno sempre trasgressori della legge , mi pare che tu voglia "educare" col pugno di ferro. in piu l essere umano non è ad una sola dimensione one dimensional man come diceva marcuse in relazione ad una certa casta capitalista che ci vorrebbero ad una sola dimensione, tutti allineati e sorridenti nella grande catena di montaggio sociale in virtù dell economia. Piu che criteri di giustizia abbiamo bisogno di criteri di responsabilità.
Il concetto di giustizia, fin dai tempi della Dikè greca e dello ius romano, è variegato e complesso. Non ritengo che abbia scritto da qualche parte che voglio educare con il pugno di ferro. L'educazione e i valori da perseguire con l'educazione dovrebbero essere condivisi e condivisibili ma affinchè questo avvenga dovremmo essere più simili come risorse disponibili, come esperienze vissute, come principi acquisiti nel corso della vita. L'omogeneità di una certa Weltanschaung non la vedo come l'uomo a una dimensione, ma come il necessario retroterra di scelte condivise ed accettate. In questa Weltanschaung ad esempio vi può anche essere (forse deve esserci) la necessaria capacità di accettare Weltanshaungen diverse. Ma senza esagerare, poichè altrimenti subentra il rischio della frammentazione e della indecidibilità. La giustizia quindi come "Phronesis" o se preferisci come "prudentia" è una giustizia che non usa il pugno di ferro, ma che cerca sembra la declinazione della norma alla situazione concreta.
Il tema "responsabilità" è ulteriormente importante ma è intimamente collegato con la giustizia e con il senso di giustizia e di riconoscimento che offriamo agli altri consociati e che gli altri consociati offrono a noi.
Citazione di: Jacopus il 06 Agosto 2024, 13:43:18 PMLa giustizia quindi come "Phronesis" o se preferisci come "prudentia" è una giustizia che non usa il pugno di ferro, ma che cerca sembra la declinazione della norma alla situazione concreta.
se la giustizia è intesa non come norma giuridica ma come virtù allora sono pienamente d accordo. Quello che manca, per essere consociati come affermi. è una visione comune, non totalizzante, ma una visione condivisa di valori , di Dio,dell uomo e del mondo.
Non esiste nessuna legge umana che sia assoluta. Né potrà mai esistere.
Se esistesse... sarebbe la fine della esistenza.
Perché l'esistenza consiste proprio nella ricerca etica in noi stessi.
Dio, la Verità, ha bisogno di me.
Che io ne sia testimone.
Solo in questo modo l'Essere, Dio, può diventare certezza a me stesso.
L'imperativo categorico non è una verità certa a cui semplicemente mi devo adeguare.
Ma è ciò che preme in me per venire alla luce.
Ma anche solo per palesarsi, ha bisogno di me.
Che cioè si rompa la scorza del mio esistere, che lo tiene sepolto in me.
Questo provare ad aprire una crepa, nella mia dura scorza, è forse l'unica autentica libertà che, come esistenza, mi è concessa.
Ed è dolore.
Citazione di: daniele22 il 06 Agosto 2024, 10:53:38 AME sembra perderla quando all'Olimpiade costringono degli atleti a nuotare nella Senna
A perdere ci è abituata. La novità sorprendente è quando vince.
Citazione di: iano il 06 Agosto 2024, 09:05:17 AMIn effetti la verità con l'etica/morale vince facile, perchè chi potrebbe negare la bontà del bene, come per tutte le cose che vengono da sè?
Il fatto è che delle cose che vengono da se non ci sarebbe nulla da dire, ma dicendo che vengono da se quel nulla si è detto.
Qualunque cosa di buono vi sia nella realtà, parlandone non se ne fa il suo bene, perchè una volta affermatolo lo so si può negare, e smette perciò di essere una verità.
Se c'è una cosa che non nasce sotto i funghi è proprio l'etica/morale. Per tal motivo ci vuole sapienza. Non basta l'amore, perché le contraddizioni del reale costringono spesso a fare scelte che vanno aldilà dell'amore particolare. E pure di quello metafisico universale. La natura impone una Dike non sempre amorevole. Come insegna il massimo poeta italico.
Citazione di: Alberto Knox il 06 Agosto 2024, 11:21:29 AMl'imperativo non è una norma che dice come bisogna fare in una determinata situazione , dice cosa fare in qualsiasi situazione , non come legge esterna ( devi restituire il portafoglio che hai trovato perterra perchè lo dice il Papa, perchè lodice la buona norma civile , perchè lo dice Gesù, perchè lo dice la legge) no devi restituire il portafoglio per la stessa legge morale che è in te. Lo puoi anche tenere naturalmente e far finta di niente ma in questo caso non hai agito secondo la tua morale , hai agito secondo interesse personale. Ma nessuno può obbligarti a restituire il portafoglio, è una scelta che devi fare tu. Non te lo impone la società
Non hai letto bene il mio pensiero. Dico semplicemente che non è l'azione a determinare l'immoralità del gesto. Hai fatto l'esempio del portafoglio ed è un buon esempio proprio perché non implica presenza di reato; ebbene, se un ricco perdesse cento euro per strada non reputerei un'azione immorale non restituirglieli. Se li perdesse un povero cristo sí. Questo naturalmente perché la mia morale disapprova la funzione del danaro nella nostra società. Ora, non è che la "ragione umana" possa sentenziare che il nostro sistema socio-economico sia una cosa immorale, ma se il codice morale di una persona stabilisce di non recare danno agli altri, una volta che ci si renda conto che la ricchezza altrui corrisponde necessariamente alla povertà di altri.... Beh, non denunciare almeno questo fatto sarebbe secondo me un atto immorale al cospetto della "ragione umana". Mi sembra infine che tu abbia una visione ingenua della realtà che si palesa pure nel topic che hai recentemente aperto ... nel senso che non si hanno evidenze di amore "globale" e amore e odio sono solo due facce complementari della vita; per dirla con Bohr, "contraria sunt complementa"
Citazione di: daniele22 il 07 Agosto 2024, 08:09:16 AM.. nel senso che non si hanno evidenze di amore "globale" e amore e odio sono solo due facce complementari della vita; per dirla con Bohr, "contraria sunt complementa"
ma in quel topic dissi che l amore e l'odio sono dimensioni soggettive. Se sono soggettive sono individuali.
nella ragione pratica kant si domanda una cosa; esiste nella ragione umana un
principio seguendo il quale giungeremo ad un azione sicuramente morale?
ma cosa vuol dire un azione sicuramente morale? vuol dire che agiremo secondo il bene , dimensione oggettiva. Quindi anzitutto bisogna tenere conto di questa duplice dimensione , soggettia e oggettiva ( il bene è la dimensione oggettiva, e ciò che fa si che tu ti predisponga a favore del bene è l amore). esiste il bene e la giustizia universale?
cioè qualcosa che è bene per tutta l umanità? forse è qui che comincia la mia ingenuità. -perchè penso ad un bene e a una giustizia piu grande e più importante dei nostri meri tornaconti. Solevo dire che non c'è etica senza l'emozione vitale di porsi al cospetto di qualcosa più grande e di piu importante di noi e questo qualcosa è il
bene e la giustizia.Torniamo a kant, esiste un principio nella ragione in grado di portare a tale universalità? nella critica della ragion pura si domandava se la ragione ha in se delle strutture universali e necessarie seguendo le quali giungeremo a conoscenza certa. Nella critica della ragion pratica si chiede ; esistono dei principi universali seguendo i quali giungeremo ad un azione che è bene? tali principi devono essere universali ma non possono essere necessari , il che significherebbe che tutti dovremmo seguirli necessariamente. Ma non è così, ciascuno sarà libero di scegliere una strada piuttosto che l altra (restituire le 100 euro indipendentemente dal fatto che le abbia perse un ricco o un povero oppure no)
kant qui fa una distinzione , se seguiamo i nostri impulsi, le nostre emozioni, i sentimenti, istinto, allora stiamo seguendo quello che lui chiama
l'imperativo ipotetico il cui slogan è "se vuoi...allora devi" che non è necessariamente sbagliato l'imperativo ipotetico è legato alle condizioni contingenti, è legato alle decisioni, alla volontà . Se invece sceglieremo di seguire la ragion pratica , ovvero la ragione allora seguiremo l'imperativo categorico il cui slogan è "devi" . dovere per il dovere, non c'è contingenza , non c'è un "se vuoi.." ma
devi! A questo punto kant fa una distinzione fra
libertà e libero arbitrio. la quale distinzione sarà meglio rimandarla alla prossima volta.
Citazione di: daniele22 il 07 Agosto 2024, 08:09:16 AMDico semplicemente che non è l'azione a determinare l'immoralità del gesto.
hai ragione ma questo vale anche per l azione morale. Non è tanto l azione in sè nel suo concretizzarsi ma piuttosto è l
'intenzione che ci mettiamo dentro. Non è tanto importante poi alla fine come agiremo ma quanto che in realtà
vogliamo agire nel bene ,
vogliamo la giustizia. Kant parla di
volontà buona ed è propio questa intenzione all azione, non faccio l'elemosina per farmi bello ma perchè davvero voglio il bene. Allora l azione massimamente morale è sì nella sua concretezza ma sopratutto nella sua
intenzione.
Ma cosa c'entra il concetto di verità in una discussione sull'etica e su Kant? ;D
Citazione di: iano il 07 Agosto 2024, 17:50:03 PMMa cosa c'entra il concetto di verità in una discussione sull'etica e su Kant? ;D
portala avanti dunque. Mi ritiro dalla discussione
Citazione di: Alberto Knox il 07 Agosto 2024, 18:02:57 PMportala avanti dunque. Mi ritiro dalla discussione
Ma no, non hai visto il faccino? :)
Mi pare di aver detto tutto quello che avevo da dire, non tanto sulla verità, ma su come nasce il concetto di verità, visto che nessuno possiede la verità, ma tutti ne possediamo il concetto.
E' un valore che diamo a ciò in base a cui agiamo, ma non essendo strettamente necessaria la coscienza all'agire questo valore deve avere un corrispondente inconscio una ''vera varità'' in quanto non negabile perchè non affermata, ma non perciò non agente.
Il concetto di verità è l'inizio della presa di coscienza di ciò, volendosene creare un corrispondente in chiaro.
Il concetto di verità è cioè l'inizio di una critica alla verità, e in genere alle motivazioni per le quali agiamo, quindi l'etica è la morale non sono comunque aliene a questa discussione.
Di tutte le versioni di verità che nascono dal tentativo di esplicitarla, la più interessante mi sembrano quelle affermazioni che in quanto tali si possono negare, ma che nascono da una volontà di non negarle, la cui affermazione è cioè comprensiva della loro innegabilità, per cui ciò che possiamo fare al massimo è rifiutarle.
Come le possiamo chiamare, o come si chiamano se un nome già ce l'hanno.
Io nella mia ignoranza rischio di usarne uno per l'altro, e quindi mi astengo.
Nella matematica l'esternazione della verità ha prodotto un condizionale, se è vero A allora ne segue che è vero B, secondo una precisa logica.
Secondo quella logica dunque A=B
dobe B è logicamente lo stesso A in forma diversa.
@Alberto Knox
La prima cosa che mi è passata per la mente leggendoti è che io posso dialogare con te, ma non con te che riporti il pensiero di Kant, primo perché questo topic non è dedicato a Kant e poi ho notato che quando si parla di questI giganti del pensiero vi siano puntualmente dei disaccordi. Tra l'altro Kant imputa all'essere umano uno stato di minorità per non avvalersi del proprio pensiero, e su questo sono senz'altro d'accordo con lui. Aggiungi a questo fatto che io sono in disaccordo con tutti tali giganti (Eraclito escluso forse) perché il loro pensiero parte da premesse sbagliate. Comunque proprio per oppormi a Kant e a chi abbia fatto riferimento ad un bene oggettivo, supremo, sommo, massimo etc etc. posso dire che non esiste alcun bene oggettivo che non sia Dio. Dio è il bene supremo. Fuori da Dio trovi solo cose relative. E io non sono un credente
Citazione di: daniele22 il 07 Agosto 2024, 19:03:26 PMDio è il bene supremo. Fuori da Dio trovi solo cose relative. E io non sono un credente
Ma infatti non c'è bisogno di essere credenti.
Diverse religioni lo definiscono l'innominabile, definizione che è la madre di tutte le contraddizioni.
Se io e te fossimo credenti quindi definendolo, o aderendo a questa definizione, già staremmo trasgredendo alla nostra religione, ed è una trasgressione che non si ferma qua, per cui le religioni si distinguono per quanto trasgrediscono a ciò.
Come si può negare ciò che non ha un nome?
La verità è ciò che non si può negare perchè non si può affermare, tanto che il solo dargli un nome equivale ad una negazione di fatto, perchè solo allora potrò dire che ''Dio non è'', cioè non prima di averlo nominato.
La scienza inizia con la nominazione dell'innominabile, e la verità una volta portata fuori si trasforma in una assunzione di responsabilità, in un etica che non è ricerca di verità, ma che anzi nasce dalla sua negazione, è che è invece una necessità di giustificare il nostro agire, cioè una assunzione di responsabilità.
Citazione di: iano il 07 Agosto 2024, 18:50:41 PMSecondo quella logica dunque A=B
dobe B è logicamente lo stesso A in forma diversa.
Ma come fà A ad essere uguale a B se hanno forme diverse.
Se la loro uguaglianza è logica, in questa eguaglianza è implicita la definizione di logica, come ciò che è capace di ridurre in modo fittizio la complessità decretando per legge logica l'uguaglianza di ciò che uguale in se non è.
La logica più che dirci la verità ci dice il falso quindi, dicendoci che due cose diverse sono uguali.
Ma è su questa falsità che riposa la possibilità di un agire cosciente, perchè la realtà possiede una complessità la cui constatazione ci impedirebbe di fatto un azione cosciente, e che perciò necessità di essere ridotta ad altro, laddove di fatto la sua necessaria semplificazione equivale alla sua negazione, ed ecco perchè non possiamo dire reale ciò che pure ci appare come tale, perchè dietro ciò che ci appare c'è una complessità irriducibile ad altro, se non attraverso un utile finzione.
Possiamo vivere nella realtà secondo coscienza nella misura in cui riusciamo efficacemente a ridurla in altro da se, e questa riduzione è il mondo in cui di fatto viviamo descrivibile matematicamente perchè è la stessa logica a produrlo.
In altre parole, se la logica è cosa relativa, attraverso essa riduco fittiziamente cose diverse a cose uguali.
Se la logica invece è assoluta allora cose solo apparentemente diverse si dimostra logicamente che sono uguali.
Un logica assoluta non può dipendere da noi, ma deve essere elemento della realtà, ma in effetti lo è solo nella misura in cui con essa ci possiamo confondere.
L'amore sta sicuramente dietro ad ogni legge morale perchè esso di fatto certifica ''l'imperfezione'' delle nostre individualità, come cose che nascono già comprensive di una relazione, e che perciò non sono vere individualità.
Ciò però non riguarda solo noi, ma ogni cosa dell'universo che con ogni altra ha un legame.
Non è ''l'essere'' causa, ma l'essere causa è compresa nella sua nascitura.
Di fatto l'essere causa equivale alla negazione della sua esistenza come cosa in se, in quanto non è mai veramente tale, come cosa che con le altre non ha relazione.
@iano
Nel primo intervento sul tema dicevo che trovavo quasi nocivo parlare della verità. Sappiamo tutti cosa sia la verità e per quale motivo sia apprezzata. Trovo inoltre che i tuoi interventi siano spesso a me incomprensibili e li trovo un po' leziosi, oltre che prolissi. Non voglio dire con questo che la lunghezza sia di per sé un difetto
Citazione di: Alberto Knox il 07 Agosto 2024, 12:34:02 PMhai ragione ma questo vale anche per l azione morale. Non è tanto l azione in sè nel suo concretizzarsi ma piuttosto è l'intenzione che ci mettiamo dentro. Non è tanto importante poi alla fine come agiremo ma quanto che in realtà vogliamo agire nel bene , vogliamo la giustizia. Kant parla di volontà buona ed è propio questa intenzione all azione, non faccio l'elemosina per farmi bello ma perchè davvero voglio il bene. Allora l azione massimamente morale è sì nella sua concretezza ma sopratutto nella sua intenzione.
Giusto appunto l'intenzione. Bisogna far sì che l'intenzione, imperscrutabile, diventi chiara ai tuoi occhi
Citazione di: daniele22 il 08 Agosto 2024, 06:30:05 AM@iano
Nel primo intervento sul tema dicevo che trovavo quasi nocivo parlare della verità. Sappiamo tutti cosa sia la verità e per quale motivo sia apprezzata. Trovo inoltre che i tuoi interventi siano spesso a me incomprensibili e li trovo un po' leziosi, oltre che prolissi. Non voglio dire con questo che la lunghezza sia di per sé un difetto
Ma almeno l'argomento della discussione l'hai afferrato?
Se non posso diminuire la leziosità posso sempre provare ad aumentare la chiarezza espositiva riguardo l'argomento della discussione, se richiesto, sempre che per te la leziosità non sia un ostacolo insormontabile alla lettura dei miei post.
Non pretendo di essere del tutto comprensibile, se spesso rileggendo i miei post anch'io non li comprendo, immagino perchè sono pensieri espressi al loro nascere, con la speranza che col tempo vengano meglio a precisarsi, del che posso darti conferma di solito avvenga..
Naturalemnte non pretendo da te ciò che io non posso dare, e intervengo infatti sul minimo che comprendo dei tuoi post.
Però se vuoi che anche sul quel minimo non intervenga dillo chiaramente.
Anche per me è una fatica riuscire a dialogare con te, ma quando questa fatica non dovessi più riuscire a sostenere te lo dirò chiaramente, anche se ti dico già che sarà molto difficile ciò avvenga essendo una fatica cui sono ben avvezzo (nota la leziosità del mio dire), e nel caso tu saresti il primo a cui lo avrei detto.
Colpirmi ai fianchi con offese velate non serve. Prova con un dritto.
Citazione di: iano il 08 Agosto 2024, 09:13:30 AMMa almeno l'argomento della discussione l'hai afferrato?
Se non posso diminuire la leziosità posso sempre provare ad aumentare la chiarezza espositiva riguardo l'argomento della discussione, se richiesto, sempre che per te la leziosità non sia un ostacolo insormontabile alla lettura dei miei post.
Non pretendo di essere del tutto comprensibile, se spesso rileggendo i miei post anch'io non li comprendo, immagino perchè sono pensieri espressi al loro nascere, con la speranza che col tempo vengano meglio a precisarsi, del che posso darti conferma di solito avvenga..
Naturalemnte non pretendo da te ciò che io non posso dare, e intervengo infatti sul minimo che comprendo dei tuoi post.
Però se vuoi che anche sul quel minimo non intervenga dillo chiaramente.
Anche per me è una fatica riuscire a dialogare con te, ma quando questa fatica non dovessi più riuscire a sostenere te lo dirò chiaramente, anche se ti dico già che sarà molto difficile ciò avvenga essendo una fatica cui sono ben avvezzo (nota la leziosità del mio dire), e nel caso tu saresti il primo a cui lo avrei detto.
Colpirmi ai fianchi con offese velate non serve. Prova con un dritto.
Premessa sulla realtà. Intanto non capisco che bisogno ci fosse di legiferare sui tappi delle bottiglie di plastica; evidente necessità dei tempi moderni.
Dopodiché, della realtà non sono interessato a produrre un dipinto che sarebbe composto da me che mi trovo nella parte di scrivano che parla della realtà all'interno di essa nel suo divenire. Ho cercato invece di chiedermi, rispondendomi pure, in quale modo tale realtà divenga. Comprensibilmente il mio pensiero si è rivolto al moto umano in relazione al medium in cui si muove. Moto umano, metafisica. Risolvere il moto umano significherebbe quindi far entrare nella fisica la metafisica. Partii quindi dal moto incerto dell'individuo. Fine premessa.
Tempo fa ti anticipai in una replica dicendoti che tu, di fronte alla mia eresia, temevi che l'affermarsi di questa potesse toglierti la creatività. E tu hai risposto sì, che era così. Solo tu sai se sei stato sincero. Può essere comunque che io mi sbagli, ma mi è sembrato che in questo topic che hai aperto tu abbia articolato razionalmente tale timore cercando di contrattaccare.
Proseguendo quindi, il mese scorso, manifestando un certo disprezzo nei confronti della tua postura filosofica e senza pretendere da te un "dover essere", ti ho pure accusato di dire falsità nei riguardi di quello che dicevo. Insomma iano, tra me e te ad oggi c'è reciproca repulsione, nulla più che una delle componenti che muove il divenire. Cosa questa che di fatto si riscontra anche in natura; difficilmente troverai una molecola di cloro, bromo ed elio, così come l'olio non si mischia con l'acqua. Facciamocene quindi una ragione, giacché pure tu in questi ultimi post mi hai provocato più o meno velatamente.
Saluti
Ps: Da parte mia ho già espresso l'idea che ogni scoperta corrisponda a una provocazione e ora cerco di provocare pure io. In ogni caso, solo quando cessi la sete di sapere verrà meno il bisogno della verità
Si Daniele, hai ragione, c'è fra noi una incompatibilità di fatto che difficilmente si risolverà, che non direi nemmeno personale, ma relativa al diverso soggettivo modo di utilizzare il forum.
Quindi, al fine di non intasare il forum con le nostre piccinerie, direi di sospendere momentaneamente il dialogo.
Sospendere nel senso che, siccome mutiamo, la nostra incompatibilità di oggi potrebbe non essere quella di domani.
Intanto comunque è stato un piacere.
Se dovessi attenermi a quello che tu auspichi dovrei andarmene dal forum e non solo dato che sono in guerra col mondo intero. Comunque è da un bel po' di tempo che non intervengo direttamente sui tuoi post, a meno che non sia tu a farlo per primo. Secondo me sarebbe meglio infine sentirci liberi di agire come ci sembra più opportuno con tutte le conseguenze che possano derivarne. Motivandola, l'offesa ci sta per quello che mi riguarda, ma senza calcare troppo. Saluti