Il filosofo che non sono.

Aperto da iano, 29 Agosto 2025, 16:12:41 PM

Discussione precedente - Discussione successiva

iano

#30
Citazione di: Koba il 26 Ottobre 2025, 10:28:53 AMSe si vuole fare filosofia bisogna rispondere, accettare di andare fino in fondo, non si può dire che va bene A ma anche B e perché no, mettiamoci pure C, tanto per non sbagliare.
E però il fondamento non c'è. Il gioco sta in piedi proprio perché mancando, si è spinti a cercarlo, a definirlo, a esplorarne i confini.
Esempio: il ritorno di Heidegger sul pensiero dell'essere. Per quanto lo si barri, per quanto ci si affatichi a parlarne al di fuori e contro la storia della metafisica, la cosa puzza (o profuma, a seconda dei gusti) di teologia. Inevitabile.
Ma allora qual è esattamente il compito del filosofo?
Il compito del filosofo, scienziato, e financo dell'uomo che vi trovi diletto , è porre le fondamenta delle teorie attraverso le quali interagire con la realtà, che può essere A,B e financo C, dipende da cosa ci devi fare. A queste costruzioni occorre affiancare anche la ricerca dei fondamenti delle ignote teorie attraverso cui abbiamo interagito finora con la realtà.
Non ti fare infatti ingannare dal fatto che noi con la realtà abbiamo interagito in mancanza di teorie, perchè questo rapporto immediato non c'è mai, anche quando appare, bastando dire che ogni azione ha come causa le precedenti, secondo schemi che si possono indagare e riprodurre.
Non bisogna conoscere la realtà per agirvi, bastando sapere come agirvi, e non c'è un solo modo di farlo, ognuno secondo la sua specie, o, nel caso della nostra, secondo le sue specializzazioni, con l'eccezione del filosofo che non se ne darà alcuna in particolare, seguendo in libertà il suo pensiero, ovunque vada.



Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

daniele22

Citazione di: Koba il 26 Ottobre 2025, 10:28:53 AMAlla fine le domande filosofiche non possono che suscitare una ricerca che, se rigorosa, si spinge fino al fondamento, all'origine.
Per esempio Cartesio con il suo cogito che senza un Dio garante si perde nei suoi stessi dubbi iperbolici. Deve arrivare fino a Dio, fino alla fede nella natura buona di Dio, per poter uscire dal suo incubo e iniziare a costruire la nuova enciclopedia del sapere.
Si può partire da una semplice domanda attinente una virtù, ma poi da lì – se si prende sul serio il domandare – non si può che essere trascinati al fondamento del sapere. Una definizione di cos'è la generosità ci cattura nel gioco spietato della filosofia. Platone lo ha mostrato in modo esemplare. Se si vuole fare filosofia bisogna rispondere, accettare di andare fino in fondo, non si può dire che va bene A ma anche B e perché no, mettiamoci pure C, tanto per non sbagliare.
E però il fondamento non c'è. Il gioco sta in piedi proprio perché mancando, si è spinti a cercarlo, a definirlo, a esplorarne i confini.
Esempio: il ritorno di Heidegger sul pensiero dell'essere. Per quanto lo si barri, per quanto ci si affatichi a parlarne al di fuori e contro la storia della metafisica, la cosa puzza (o profuma, a seconda dei gusti) di teologia. Inevitabile.
Ma allora qual è esattamente il compito del filosofo?
Papale papale. Il compito del filosofo è rispondere alla mia precedente domanda indiretta "mi chiedo come mai Hegel non abbia detto che il noumeno rappresenta il concetto del concetto. Perché si tratta di una fesseria? Perché è un'ovvietà che solo io non conosco? O per quale altro motivo?
Si tratta cioè di rispettare un codice deontologico non scritto a cui dovrebbe attenersi un filosofo che non racconti frottole ben confezionate.. il diavolo veste prada

Koba

Citazione di: daniele22 il 26 Ottobre 2025, 14:14:35 PM
Papale papale. Il compito del filosofo è rispondere alla mia precedente domanda indiretta "mi chiedo come mai Hegel non abbia detto che il noumeno rappresenta il concetto del concetto. Perché si tratta di una fesseria? Perché è un'ovvietà che solo io non conosco? O per quale altro motivo?
Si tratta cioè di rispettare un codice deontologico non scritto a cui dovrebbe attenersi un filosofo che non racconti frottole ben confezionate.. il diavolo veste prada

Ma per "concetto del concetto" che cosa intendi? Una nozione (un concetto) che esprimerebbe la caratteristica generale del concetto? È così?
Se è così non credo che la critica di Hegel vada in quella direzione (per quanto ne so io).
Il "noumeno" è un concetto che vorrebbe rimandare alla realtà in sé, quindi ad una conoscenza (impossibile) che si pone al di là dei meccanismi dell'intelletto. Ma nello stesso tempo è esso stesso un concetto, quindi ancora un prodotto del pensiero. Questo vuol dire che non siamo mai usciti dal pensiero, abbiamo solo immaginato che ci possa essere un'esperienza pura, che infatti abbiamo subito dichiarato come impossibile.
Io quindi posso più o meno risponderti come ho fatto l'ultima volta.

Non ti è venuto in mente di documentarti per conto tuo, risolvere l'enigma e poi metterci al corrente delle conclusioni a cui sei arrivato?
O ti aspetti che qualcuno passi la domenica pomeriggio sui libri così da poterti dire se la tua intuizione è sensata oppure no?

daniele22

Citazione di: Koba il 26 Ottobre 2025, 14:56:48 PMMa per "concetto del concetto" che cosa intendi? Una nozione (un concetto) che esprimerebbe la caratteristica generale del concetto? È così?
Se è così non credo che la critica di Hegel vada in quella direzione (per quanto ne so io).
Il "noumeno" è un concetto che vorrebbe rimandare alla realtà in sé, quindi ad una conoscenza (impossibile) che si pone al di là dei meccanismi dell'intelletto. Ma nello stesso tempo è esso stesso un concetto, quindi ancora un prodotto del pensiero. Questo vuol dire che non siamo mai usciti dal pensiero, abbiamo solo immaginato che ci possa essere un'esperienza pura, che infatti abbiamo subito dichiarato come impossibile.
Io quindi posso più o meno risponderti come ho fatto l'ultima volta.

Non ti è venuto in mente di documentarti per conto tuo, risolvere l'enigma e poi metterci al corrente delle conclusioni a cui sei arrivato?
O ti aspetti che qualcuno passi la domenica pomeriggio sui libri così da poterti dire se la tua intuizione è sensata oppure no?
Da Wp:
"Il noumeno compare anche nella filosofia di Immanuel Kant[7] (dove è anche chiamato cosa in sé, in tedesco Ding an sich). In Kant il noumeno è un concetto dai caratteri problematici che si riferisce a una realtà inconoscibile e indescrivibile che, in qualche modo, si trova "al fondo" dei fenomeni che osserviamo, sullo sfondo, al di là dell'apparenza (di come cioè le cose ci appaiono).
I termini 'noumeno' e 'cosa in sé' non sono in Kant perfettamente sovrapponibili: il noumeno è comunque una rappresentazione o idea della ragione, e come tale risiede nella mente umana; è il modo in cui il pensiero cerca di rappresentare ciò che va oltre la sua capacità di conoscere. La cosa in sé invece è ciò a cui il noumeno si riferisce: è la 'realtà' in quanto esterna alla mente del soggetto, ciò con cui per definizione non si può entrare in alcun rapporto se non tramite il pensiero poiché questo si pone al di là di ogni esperienza possibile".
Io ragiono con la mia testa e quello che ho detto era pure una conseguenza del post in cui dicevi riferendoti a Nietzsche:
"....se Hegel ha portato a termine la dissoluzione dell'oggetto (del realismo ingenuo), ora viene il momento per la decostruzione del polo soggettivo.
Non c'è più un soggetto che pensa il suo oggetto, ma piuttosto un soggetto e un oggetto che emergono insieme nell'ambito di un'attività specifica".
Con tutta la buona volontà, o ti spieghi meglio, oppure faccio fatica a immaginare un'azione "che porti a un "non c'è più un soggetto che pensa il suo oggetto", e vedo inoltre nebbiosa l'immagine di una loro "emersione insieme nell'ambito di un'attività specifica".
Dato quindi che possiedo l'uso della ragione, se Hegel avesse fatto una buona critica a Kant, mi chiedo come mai si siano prodotti in seguito pensieri così astrusi. Di fatto, quello che al limite posso capire è che sia velleitario separare il soggetto dall'oggetto quando il soggetto viva all'interno di ciò che vorrebbe descrivere, la realtà appunto. Posso capire anche che ci si faccia manipolare (instupidire) dall'oggetto (cosa, concetto o persona che sia). Ma è difficile pensare che non vi sia un soggetto pensante. Quello che ho detto non è una fesseria o una ovvietà, e questo fatto del concetto del concetto (sicuramente un problema) l'ha messo in evidenza anche Phil quando mi disse se dovessimo giungere infine a metterci d'accordo su cosa si potesse intendere col termine catastrofe. Prova ora immaginare di aprire un thread dal titolo "Perché la mela è una mela ... astenersi perditempo". O un thread sul noumeno, o sull'amicizia.
Concludendo, io che non sono un filosofo, ma pretenderei di esserlo nei miei limiti, pongo ad altri che pretendano di esserlo questa semplice questione:
Naturalmente, il concetto del concetto genera al più solo confusione, ma non risolve comunque una questione importante.. Che sarebbe, riferendomi alla citazione di cui sopra da Wp ¿vale la pena chiedersi di definire meglio ciò che rende possibile la concezione di "inconoscibilitá" della cosa? O, più direttamente ¿Qual è la natura dell'inconoscibilitá della mela? Se faccio la domanda va da sé che io abbia la mia risposta, ma riterrei opportuno un parere

iano

#34
Citazione di: daniele22 il 27 Ottobre 2025, 09:04:40 AMCon tutta la buona volontà, o ti spieghi meglio, oppure faccio fatica a immaginare un'azione "che porti a un "non c'è più un soggetto che pensa il suo oggetto", e vedo inoltre nebbiosa l'immagine di una loro "emersione insieme nell'ambito di un'attività specifica".
Risposta non richiesta di un non filosofo, a uno che lo è nei suoi limiti, e che critica quei filosofi totali per le risposte che gli danno, con obbligo perciò di rispondergli in un modo più confacente all'essersi dichiarati filosofi, i quali però non si sono mai dichiarati tali, ne poco , ne tanto, e lui che pur filosofo non è del tutto, ha però precisa cognizione di cosa significhi essere filosofi a tutto tondo, anche se non si sa come faccia a saperlo, non essendolo.

Sembra che tu ti diverta a mettere su un alto piedistallo la gente, perchè poi facendola cadere possa farsi più male.

Ma veniamo alla risposta non richiesta.

Il soggetto che pensa c'è sempre, ma non è più quello che pensi, allo stesso modo che non lo è la pensata realtà.
Questo soggetto pensante dispone solo del prodotto di interazioni con la realtà, attraverso i quali si fa un idea indirettamente della realtà e di se stesso, quanto basta per sopravvivere.
La conoscenza, indipendentemente dal valore che vogliamo dargli, è il risultato di un processo, e perciò non c'è nulla che viene da se, potendosi fare eccezione, giocoforza, e usando comunque parsimonia, solo per ciò che lo fa divenire.
I prodotti sono concetti coi quali possiamo interagire, che a loro volta possono quindi  ben produrre altri concetti, finché allontanandoci dal processo originale, e di quello perciò ormai ignari, siamo giustificati nel credere che non ve ne sia alcuno, e che il soggetto sia direttamente legato ad una realtà che appaia in quanto tale.
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

Koba

Citazione di: daniele22 il 27 Ottobre 2025, 09:04:40 AM
Da Wp:
"Il noumeno compare anche nella filosofia di Immanuel Kant[7] (dove è anche chiamato cosa in sé, in tedesco Ding an sich). In Kant il noumeno è un concetto dai caratteri problematici che si riferisce a una realtà inconoscibile e indescrivibile che, in qualche modo, si trova "al fondo" dei fenomeni che osserviamo, sullo sfondo, al di là dell'apparenza (di come cioè le cose ci appaiono).
I termini 'noumeno' e 'cosa in sé' non sono in Kant perfettamente sovrapponibili: il noumeno è comunque una rappresentazione o idea della ragione, e come tale risiede nella mente umana; è il modo in cui il pensiero cerca di rappresentare ciò che va oltre la sua capacità di conoscere. La cosa in sé invece è ciò a cui il noumeno si riferisce: è la 'realtà' in quanto esterna alla mente del soggetto, ciò con cui per definizione non si può entrare in alcun rapporto se non tramite il pensiero poiché questo si pone al di là di ogni esperienza possibile".
Io ragiono con la mia testa e quello che ho detto era pure una conseguenza del post in cui dicevi riferendoti a Nietzsche:
"....se Hegel ha portato a termine la dissoluzione dell'oggetto (del realismo ingenuo), ora viene il momento per la decostruzione del polo soggettivo.
Non c'è più un soggetto che pensa il suo oggetto, ma piuttosto un soggetto e un oggetto che emergono insieme nell'ambito di un'attività specifica".
Con tutta la buona volontà, o ti spieghi meglio, oppure faccio fatica a immaginare un'azione "che porti a un "non c'è più un soggetto che pensa il suo oggetto", e vedo inoltre nebbiosa l'immagine di una loro "emersione insieme nell'ambito di un'attività specifica".
Dato quindi che possiedo l'uso della ragione, se Hegel avesse fatto una buona critica a Kant, mi chiedo come mai si siano prodotti in seguito pensieri così astrusi. Di fatto, quello che al limite posso capire è che sia velleitario separare il soggetto dall'oggetto quando il soggetto viva all'interno di ciò che vorrebbe descrivere, la realtà appunto. Posso capire anche che ci si faccia manipolare (instupidire) dall'oggetto (cosa, concetto o persona che sia). Ma è difficile pensare che non vi sia un soggetto pensante. Quello che ho detto non è una fesseria o una ovvietà, e questo fatto del concetto del concetto (sicuramente un problema) l'ha messo in evidenza anche Phil quando mi disse se dovessimo giungere infine a metterci d'accordo su cosa si potesse intendere col termine catastrofe. Prova ora immaginare di aprire un thread dal titolo "Perché la mela è una mela ... astenersi perditempo". O un thread sul noumeno, o sull'amicizia.
Concludendo, io che non sono un filosofo, ma pretenderei di esserlo nei miei limiti, pongo ad altri che pretendano di esserlo questa semplice questione:
Naturalmente, il concetto del concetto genera al più solo confusione, ma non risolve comunque una questione importante.. Che sarebbe, riferendomi alla citazione di cui sopra da Wp ¿vale la pena chiedersi di definire meglio ciò che rende possibile la concezione di "inconoscibilitá" della cosa? O, più direttamente ¿Qual è la natura dell'inconoscibilitá della mela? Se faccio la domanda va da sé che io abbia la mia risposta, ma riterrei opportuno un parere

Quando ho parlato del compito del filosofo non mi riferivo a me naturalmente, ma a autori riconosciuti. Implicitamente mi stavo chiedendo verso quali autori rivolgere la mia attenzione, verso quali orientamenti. Era una specie di riflessione sul "piano di studi" per questo inverno.

Chiarisco ciò che ho scritto sul rapporto soggetto-oggetto.
Alcuni studiosi come Havelock hanno detto: a un certo punto in Grecia emerge la figura di un nuovo sapiente capace di rompere con un rapporto di immedesimazione rispetto a quello che fa, a quello che vive, un nuovo soggetto che inizia a domandarsi la definizione di ciò che prima faceva e basta.
L'emergere quindi nello stesso tempo sia di un soggetto logico che di un oggetto da indagare. Due poli che emergono insieme, quindi.
Nei primi dialoghi platonici si vedono questi ateniesi più o meno noti che vengono "molestati" da Socrate che chiede loro – essendo considerati sapienti in quel determinato settore – che cos'è, per esempio, la santità in generale. Naturalmente la santità in generale prima dell'evoluzione di quel dualismo tra mente e mondo (un modo specifico di interpretare l'esperienza) non è mai esistita. Proprio qui inizia a prendere vita il concetto generale di santità. Cioè la possibilità di definirla. Prima c'era il santo, quel determinato santo, ecc. Non la santità in generale.
Ora, la possibilità di porre quella distanza tra sé e le cose del mondo, secondo Havelock nasce con la scrittura alfabetica. È un effetto materiale e tecnico della scrittura. L'effetto del passaggio da una civiltà orale a una civiltà della scrittura.
Così, secondo alcuni autori, la filosofia di Platone avrebbe come base materiale questo passaggio epocale. La scrittura alfabetica non causa direttamente la nascita del soggetto logico, ma crea le condizioni simboliche e materiali perché tale forma di soggettività emerga. Rende possibile l'astrazione.
Quindi rende possibile anche la riflessione sul metodo e sulla natura del sapere.
Il metodo costruito da Platone è quello della dialettica: saper indagare le idee nelle loro relazioni di somiglianza e differenza. Rispetto a Parmenide dirà: un'idea, una forma, è identica a se stessa, e nello stesso è diversa da tutte le altre. L'essere che Parmenide intendeva come uno, eterno e immobile, diventa con Platone molteplice e ha la struttura di una rete di idee.
Dunque per conoscere la "giustizia", non solo non devo fermarmi a esempi concreti di "uomo giusto", ma non posso nemmeno limitarmi a contemplare l'idea di giustizia: la devo esplorare nelle relazioni che essa ha con tutte le altre.
Fatto questo, stabilito quindi che conoscere significa riuscire a dare una definizione logica, e che la definizione logica consiste nella rappresentazione delle relazioni tra idee, rimane il problema che attraversa tutta la storia della filosofia fino al Novecento: che rapporto c'è tra idea e cosa reale, tra forma generale e cosa sensibile? Cosa c'è in comune tra quella cosa lì e la parola che uso per indicarla?
Problema che ora non può più essere risolto con la fede in un Dio che ha creato il mondo avendo in mente le idee e dando nello stesso tempo alla sua creatura privilegiata, l'uomo, la facoltà naturale di afferrarle.
Problema che in Galileo assume questa versione: Dio ha creato la natura secondo una struttura matematica; l'uomo sa fare matematica. Quindi l'uomo può conoscere la vera struttura del mondo, a patto di seguire il metodo corretto.
Con il collasso dei grandi sistemi metafisici incontriamo per esempio Wittgenstein che cerca di risolvere il problema con la forma logica. L'elemento comune tra concetto e cosa sarebbe la forma logica.
Ammesso che la risposta ci soddisfi, si può chiedere (come hanno fatto alcuni filosofi): ma qual è il contenuto della forma? Proprio il contenuto concreto della forma pura? Non è che questa presunta forma logica pura, questo schematismo, non sia plasmato da qualcosa di più concreto?
Per farla breve: certe ricerche hanno tentato di capire quale sia la base materiale di questo schematismo. Indagini sul costituirsi fisico, pratico della possibilità di significazione del linguaggio. Ricerche su una gestualità originaria, o ricerche secondo cui le lettere dell'alfabeto conserverebbero la traccia di una loro origine figurativa, una stilizzazione di tratti che esprimerebbero immagini e simboli archetipici (Alfred Kallir), ecc.

Venendo infine alla tua domanda "sulla natura dell'inconoscibilità della mela", da quello che ho scritto sopra si potrebbe rispondere che tale inconoscibilità è solo apparente, e legata ai paradossi che vengono dall'emergere di quel dualismo, soggetto da una parte, oggetto dall'altro, e linguaggio come strumento di connessione. Rimanendo all'interno di questa condizione, problematizzandola, salta agli occhi innanzitutto che conoscere la mela significa disporre del suo concetto, ma che tale concetto si definisce a partire da ciò che non è, dalle relazioni con concetti che esprimono ciò che la mela non è. La sua identità rimanda sempre ad altro: e tuttavia è proprio in questo rinvio – in questa rete di differenze – che consiste la possibilità stessa di conoscerla.

daniele22

Citazione di: iano il 27 Ottobre 2025, 10:50:34 AMRisposta non richiesta di un non filosofo, a uno che lo è nei suoi limiti, e che critica quei filosofi totali per le risposte che gli danno, con obbligo perciò di rispondergli in un modo più confacente all'essersi dichiarati filosofi, i quali però non si sono mai dichiarati tali, ne poco , ne tanto, e lui che pur filosofo non è del tutto, ha però precisa cognizione di cosa significhi essere filosofi a tutto tondo, anche se non si sa come faccia a saperlo, non essendolo.

Sembra che tu ti diverta a mettere su un alto piedistallo la gente, perchè poi facendola cadere possa farsi più male.

Ma veniamo alla risposta non richiesta.

Il soggetto che pensa c'è sempre, ma non è più quello che pensi, allo stesso modo che non lo è la pensata realtà.
Questo soggetto pensante dispone solo del prodotto di interazioni con la realtà, attraverso i quali si fa un idea indirettamente della realtà e di se stesso, quanto basta per sopravvivere.
La conoscenza, indipendentemente dal valore che vogliamo dargli, è il risultato di un processo, e perciò non c'è nulla che viene da se, potendosi fare eccezione, giocoforza, e usando comunque parsimonia, solo per ciò che lo fa divenire.
I prodotti sono concetti coi quali possiamo interagire, che a loro volta possono quindi  ben produrre altri concetti, finché allontanandoci dal processo originale, e di quello perciò ormai ignari, siamo giustificati nel credere che non ve ne sia alcuno, e che il soggetto sia direttamente legato ad una realtà che appaia in quanto tale.

Come da costume fine anni 70, quando si diceva "Senti un po'! guarda che ti stai facendo un film".... Estendo pure a te l'invito di ritrovarci da Mario.. bicchiere dopo bicchiere nel fiume divino - fiumi di vino - manco due ore e avrai conferma che la mente non si bagna mai identica a sé stessa nel fiume del buon nettare
Buon natale nel frattempo

Alberto Knox

Citazione di: daniele22 il 27 Ottobre 2025, 09:04:40 AMQual è la natura dell'inconoscibilitá della mela?
la natura umana. Se si studia la questione ci si rende conto di un fatto , il fatto che noi ci approcciamo sempre al mondo attraverso un particolare angolo prospettico. innanzitutto quella di essere umani . La nostra conoscenza dovrà sempre , in un certo senso, tradurre il mondo nel linguaggio delle nostre facoltà , dei nostri sensi , del nostro ragionamento. Ma la mela è estranea a queste traduzioni, estranea ai nostri sensi percettivi, estranea alla nostra ragione. La mela , semplicemente è. Siamo noi che la imbastiamo di concetti, di percezione , di gusto, di colore , che sono qualità secondarie, non l'essenza. La domanda è allora "perchè non posso conoscere l essenza della mela?" o sbaglio? 
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Alberto Knox

Citazione di: Koba il 27 Ottobre 2025, 17:26:56 PMsalta agli occhi innanzitutto che conoscere la mela significa disporre del suo concetto, ma che tale concetto si definisce a partire da ciò che non è, dalle relazioni con concetti che esprimono ciò che la mela non è. La sua identità rimanda sempre ad altro: e tuttavia è proprio in questo rinvio – in questa rete di differenze – che consiste la possibilità stessa di conoscerla.
Eraclito ti darebbe senz altro ragione, la conoscienza è per diversità. 
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

daniele22

Citazione di: Alberto Knox il 28 Ottobre 2025, 00:15:27 AMla natura umana. Se si studia la questione ci si rende conto di un fatto , il fatto che noi ci approcciamo sempre al mondo attraverso un particolare angolo prospettico. innanzitutto quella di essere umani . La nostra conoscenza dovrà sempre , in un certo senso, tradurre il mondo nel linguaggio delle nostre facoltà , dei nostri sensi , del nostro ragionamento. Ma la mela è estranea a queste traduzioni, estranea ai nostri sensi percettivi, estranea alla nostra ragione. La mela , semplicemente è. Siamo noi che la imbastiamo di concetti, di percezione , di gusto, di colore , che sono qualità secondarie, non l'essenza. La domanda è allora "perchè non posso conoscere l essenza della mela?" o sbaglio?
Sì Alberto, la domanda è senz'altro auspicata e corretta.. segue risposta a koba


daniele22

Citazione di: Koba il 27 Ottobre 2025, 17:26:56 PMQuando ho parlato del compito del filosofo non mi riferivo a me naturalmente, ma a autori riconosciuti. Implicitamente mi stavo chiedendo verso quali autori rivolgere la mia attenzione, verso quali orientamenti. Era una specie di riflessione sul "piano di studi" per questo inverno.

Chiarisco ciò che ho scritto sul rapporto soggetto-oggetto.
Alcuni studiosi come Havelock hanno detto: a un certo punto in Grecia emerge la figura di un nuovo sapiente capace di rompere con un rapporto di immedesimazione rispetto a quello che fa, a quello che vive, un nuovo soggetto che inizia a domandarsi la definizione di ciò che prima faceva e basta.
L'emergere quindi nello stesso tempo sia di un soggetto logico che di un oggetto da indagare. Due poli che emergono insieme, quindi.
Nei primi dialoghi platonici si vedono questi ateniesi più o meno noti che vengono "molestati" da Socrate che chiede loro – essendo considerati sapienti in quel determinato settore – che cos'è, per esempio, la santità in generale. Naturalmente la santità in generale prima dell'evoluzione di quel dualismo tra mente e mondo (un modo specifico di interpretare l'esperienza) non è mai esistita. Proprio qui inizia a prendere vita il concetto generale di santità. Cioè la possibilità di definirla. Prima c'era il santo, quel determinato santo, ecc. Non la santità in generale.
Ora, la possibilità di porre quella distanza tra sé e le cose del mondo, secondo Havelock nasce con la scrittura alfabetica. È un effetto materiale e tecnico della scrittura. L'effetto del passaggio da una civiltà orale a una civiltà della scrittura.
Così, secondo alcuni autori, la filosofia di Platone avrebbe come base materiale questo passaggio epocale. La scrittura alfabetica non causa direttamente la nascita del soggetto logico, ma crea le condizioni simboliche e materiali perché tale forma di soggettività emerga. Rende possibile l'astrazione.
Quindi rende possibile anche la riflessione sul metodo e sulla natura del sapere.
Il metodo costruito da Platone è quello della dialettica: saper indagare le idee nelle loro relazioni di somiglianza e differenza. Rispetto a Parmenide dirà: un'idea, una forma, è identica a se stessa, e nello stesso è diversa da tutte le altre. L'essere che Parmenide intendeva come uno, eterno e immobile, diventa con Platone molteplice e ha la struttura di una rete di idee.
Dunque per conoscere la "giustizia", non solo non devo fermarmi a esempi concreti di "uomo giusto", ma non posso nemmeno limitarmi a contemplare l'idea di giustizia: la devo esplorare nelle relazioni che essa ha con tutte le altre.
Fatto questo, stabilito quindi che conoscere significa riuscire a dare una definizione logica, e che la definizione logica consiste nella rappresentazione delle relazioni tra idee, rimane il problema che attraversa tutta la storia della filosofia fino al Novecento: che rapporto c'è tra idea e cosa reale, tra forma generale e cosa sensibile? Cosa c'è in comune tra quella cosa lì e la parola che uso per indicarla?
Problema che ora non può più essere risolto con la fede in un Dio che ha creato il mondo avendo in mente le idee e dando nello stesso tempo alla sua creatura privilegiata, l'uomo, la facoltà naturale di afferrarle.
Problema che in Galileo assume questa versione: Dio ha creato la natura secondo una struttura matematica; l'uomo sa fare matematica. Quindi l'uomo può conoscere la vera struttura del mondo, a patto di seguire il metodo corretto.
Con il collasso dei grandi sistemi metafisici incontriamo per esempio Wittgenstein che cerca di risolvere il problema con la forma logica. L'elemento comune tra concetto e cosa sarebbe la forma logica.
Ammesso che la risposta ci soddisfi, si può chiedere (come hanno fatto alcuni filosofi): ma qual è il contenuto della forma? Proprio il contenuto concreto della forma pura? Non è che questa presunta forma logica pura, questo schematismo, non sia plasmato da qualcosa di più concreto?
Per farla breve: certe ricerche hanno tentato di capire quale sia la base materiale di questo schematismo. Indagini sul costituirsi fisico, pratico della possibilità di significazione del linguaggio. Ricerche su una gestualità originaria, o ricerche secondo cui le lettere dell'alfabeto conserverebbero la traccia di una loro origine figurativa, una stilizzazione di tratti che esprimerebbero immagini e simboli archetipici (Alfred Kallir), ecc.

Venendo infine alla tua domanda "sulla natura dell'inconoscibilità della mela", da quello che ho scritto sopra si potrebbe rispondere che tale inconoscibilità è solo apparente, e legata ai paradossi che vengono dall'emergere di quel dualismo, soggetto da una parte, oggetto dall'altro, e linguaggio come strumento di connessione. Rimanendo all'interno di questa condizione, problematizzandola, salta agli occhi innanzitutto che conoscere la mela significa disporre del suo concetto, ma che tale concetto si definisce a partire da ciò che non è, dalle relazioni con concetti che esprimono ciò che la mela non è. La sua identità rimanda sempre ad altro: e tuttavia è proprio in questo rinvio – in questa rete di differenze – che consiste la possibilità stessa di conoscerla.

Avevo sentito parlare di Havelock circa il fatto che cercava di mettere in luce una stretta connessione tra la lingua alfabetica e la nascita della filosofia greca. Insomma, più o meno quello che dici. Pensai così di striscio a quali influenze potesse avere avuto l'uso di una lingua pittografica dove il segno non rappresenta semplicemente un suono (la filosofia orientale immagino). Risolsi così che l'alfabeto o la pittografia, ma pure il cuneiforme o il geroglifico fossero semplici possibilità nel mettere per iscritto l'orale. Non sarei pertanto incline a pensare che il segno alfabetico sia una raffinazione di ideogrammi o pittogrammi di cui si è persa traccia. Quello che mi induce a pensarlo sarebbe il fatto che se uno si cala nel mondo della lingua dovrebbe trovare infine che il sostantivo non si riferisce tanto all'oggetto, così come sembrerebbe in questo mondo moderno abituato all'esistenza delle cose, bensì alle azioni che l'oggetto può compiere o che gli si può far compiere. In altre parole, alla mente incarnata nel corpo non gliene frega nulla dell'oggetto in sé, essendo questo solo un mezzo per realizzare degli scopi (costruire oggetti che compiono azioni). Pertanto, la cosa in sé, più che essere inconoscibile sembrerebbe invece uno specchietto per allodole.
Riguardo al tuo pensiero segnalerei il fatto che pure nell'oralitá sia presente l'astrazione. Di fatto, un sostantivo è un'astrazione. L'esempio che hai fatto "dal santo alla santità" è chiaro e calzante, ma il concetto di un concetto tocca pure qualcosa di più vasto, del tipo di quello che ho detto nel topic "Inventare una nuova religione" in cui mi lamentavo del fatto che si volesse fare una parabola sulla parabola. Tutto questo evidenzia infine che un concetto può essere un corpo molto esteso, tal sì da considerarsi un concetto cose come ad esempio un pensiero immortalato, la rivoluzione francese e finanche la realtà: insomma, tutto ciò che la tua mente possa imbrigliare tanto da poterne parlare anche a vanvera. Evidentemente questo bisogno di commentare, di generare altre realtà nasce dallo stato delle cose, sarebbe un prodotto dell'evoluzione, del divenire, infine di un istinto alla verità, ma al tempo stesso fu nondimeno sufficiente a far sì che qualcuno abbia a suo tempo generato l'idea del noumeno, ovvero lo specchietto per allodole.. non penso che l'ideatore ne fosse consapevole, ma tant'è che lo fece
Un saluto

iano

Se riusciamo a riconoscere un cervo nelle casuali escrescenze del muro di una caverna alla luce di una torcia, è perchè è vitale per noi cacciatori riconoscere un cervo da pochi segni, come quelli di un cervo che si mimetizza nella boscaglia. Da li, a ricalcare quello che ci sembra di vedere con polvere di carbone è un attimo, e l'opera d'arte preistorica è servita.
La capacità di riconoscere un cervo dove non c'è è legata a un cervello che si è plasmato ad uno scopo, quello di cacciare.
Il nostro è un cervello di cacciatore, ma anche di essere sociale, capace perciò di affermare apparenti assurdità, come quelle che una faccina è un volto, perchè riconoscere un volto da pochi segni quando la tua sopravvivenza dipende da un contesto sociale, è cruciale.
In questo modo noi potremmo credere di star rappresentando la realtà, ma in effetti stiamo diversamente traducendo quella che è già una rappresentazione della realtà, ''la realtà come ci appare'', una rappresentazione di rappresentazione, che come tutte le traduzioni non è mai fedele, e questa infedeltà nel tempo si è accentuata, fino a renderci dimentichi dell'operazione che ha generato un simbolo che non richiama più nulla in modo immediato, cui ci sentiamo perciò liberi di assegnare un significato a caso, secondo una corrispondenza non più immediata, da cui il presunto carattere astratto del linguaggio, quando questo carattere è già presente nelle apparenze della realtà da cui viene tratto in origine.
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

iano

Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

Discussioni simili (5)