Così mi piace presentarvi li principio di indeterminazione, in forma di paradosso, anche se vi dico subito che non vi è alcun paradosso.
Il principio afferma che vi è un limite teorico alla precisione di una misura e allo stesso tempo afferma che non vi è alcun limite teorico.
Posso garantirvi che la precedente frase dice il vero. Ma come è possibile?
Soluzione: è possibile perché dice il vero, ma non tutta la verità .
A rigore però il principio di indeterminazione in se' non afferma alcuna verità, ma come tutte le affermazioni che si fanno in fisica, è vero fino a prova contraria.
Ma non solo non abbiamo avuto finora prove contrarie , ma su esso abbiamo costruito la meccanica quantistica la cui efficacia nessuno, fisico o filosofo che sia , mette in dubbio.
Precisato doverosamente in che senso deve intendersi il termine verità in questo contesto,
Il principio di indeterminazione, nonostante il nome, come detto non pone un limite teorico alle misure fisiche, ma modifica il senso in cui queste siano rappresentative dell'ente fisico misurato.
O diciamo meglio che questo è il punto di vista da cui vi invito, ad osservarlo.
Nella fisica classica una particella viene definita dalla sua massa, come dalla sua posizione , oppure dalla sua velocità, o ancora dalla sua carica elettrica,e quindi, se si vuole, da tutte queste cose insieme, ognuna misurata con la precisione che gli strumenti usati posseggono, essendo questo l'unico limite di fatto alla precisione della misura.
In fisica quantistica ciò non è del tutto vero.
L'ente fisico non può più essere rappresentato da tutte quelle cose insieme, ma da coppie di quelle.
Non dalla posizione e dalla velocità , ma dalla coppia posizione e velocità, perché il prodotto delle relative misure ha un limite di precisione teorico.
Possiamo ancora scegliere di rappresentare l'ente fisico con la sua posizione, oppure con la sua velocità, ma non possiamo scegliere di rappresentarlo con entrambe senza che qualcosa cambi rispetto alla fisica classica.
Non dico di aver compreso tutto e infatti di quanto precede non vi do' certezza, quindi correggetemi se sbaglio, e integrate le inevitabili lacune.
Lo scopo della discussione non è comprendere la meccanica quantistica, ma far partire riflessioni filosofiche dallo stesso punto, il principio di indeterminazione, da cui è partita la meccanica quantistica.
In particolare cosa sono "veramente" la posizione e la velocità?
In che senso dobbiamo pensarle diversamente?
Ciao Iano, senza che io incappi in strafalcioni c'è un bel saggetto (in effetti viene definito un articolo) di Majorana che si intitola "Il valore delle scienze statistiche nella fisica e nelle scienze sociali". In rete lo trovi facilmente.
In quel saggio il fisico compie delle speculazioni interessanti sugli aspetti della meccanica quantistica, riferendosi al fenomeno dell'esperimento quando esso si rivolga alla misurazione delle particelle subatomiche (perturbazione ineluttabile, costante di Plank etc.). Praticamente egli sostiene "inquietante", ancor più che una mancanza di determinismo delle leggi della fisica, il fatto che le misurazioni riguardino più lo stato in cui viene portato il sistema da misurare che quello inconoscibile in cui si trovava prima di essere misurato. L'ultimo paragrafo dell'articolo (riferito all'arte di governo) è in fondo un pensiero che esprimo anch'io
Citazione di: daniele22 il 28 Maggio 2021, 10:04:12 AM
Ciao Iano, senza che io incappi in strafalcioni c'è un bel saggetto (in effetti viene definito un articolo) di Majorana che si intitola "Il valore delle scienze statistiche nella fisica e nelle scienze sociali". In rete lo trovi facilmente.
In quel saggio il fisico compie delle speculazioni interessanti sugli aspetti della meccanica quantistica, riferendosi al fenomeno dell'esperimento quando esso si rivolga alla misurazione delle particelle subatomiche (perturbazione ineluttabile, costante di Plank etc.). Praticamente egli sostiene "inquietante", ancor più che una mancanza di determinismo delle leggi della fisica, il fatto che le misurazioni riguardino più lo stato in cui viene portato il sistema da misurare che quello inconoscibile in cui si trovava prima di essere misurato. L'ultimo paragrafo dell'articolo (riferito all'arte di governo) è in fondo un pensiero che esprimo anch'io
Volevo anche aggiungere, nota di magica curiosità, che quando lessi quel saggio non esisteva internet. Lo trovai nella biblioteca universitaria di Padova, detta da tanti biblioteca di santa Sofia anche se via santa Sofia incrocia solamente la via san Biagio. E' curiosa altresì anche la storia di san Biagio
Citazione di: iano il 27 Maggio 2021, 23:34:43 PM
In particolare cosa sono "veramente" la posizione e la velocità?
In che senso dobbiamo pensarle diversamente?
Prova a determinare l'esatta posizione di un'auto in corsa e poi ne riparliamo.
Citazione di: Ipazia il 28 Maggio 2021, 16:18:48 PM
Citazione di: iano il 27 Maggio 2021, 23:34:43 PM
In particolare cosa sono "veramente" la posizione e la velocità?
In che senso dobbiamo pensarle diversamente?
Prova a determinare l'esatta posizione di un'auto in corsa e poi ne riparliamo.
Fotofinish...😅
Sono ben cosciente che qualcosa mi sfugge, magari per un inevitabile difetto di comunicazione nella divulgazione scientifica, che ci costringe a lavorare di fantasia, se non siamo propriamente addetti ai lavori.
Un tale difetto mi pare di vederlo nell'espressione " non si può misurare precisamente posizione e velocità di una massa CONTEMPORANEAMENTE.
Lo credo bene ,se per misurare una velocità devo rilevare una distanza percorsa dalla massa in un delta t.
Allora subentra l'analisi infinitesimale che mi spiega come calcolare la velocità istantanea in un punto.
Essa è però la derivata dello spazio rispetto al tempo di una curva non misurata.
Dunque?
Dunque io suppongo di conoscere tutte le forze che agiscono sulla massa e da ciò derivo la curva di cui sopra.
È una supposizione che in pratica ben sappiamo funzionare, ma quando ho a che fare col microcosmo e relativi valori di misura lillipuziani, diventa una affermazione forte.
Ma io posso anche tenermi i miei inevitabili dubbi, e porre massima fiducia nella scienza, ma non posso evitare di provare a trarne le conclusioni filosofiche, chiedendomi cosa leghi posizione e velocità in modo così stretto, per cui quando parlo di "errore" di misura devo riferirlo al prodotto delle due distinte misure?
Da un punto di vista filosofico, cioè della rappresentazione che ci facciamo del mondo, ciò sembra essere più notevole del limite di precisione che il principio assume.
Ovviamente se le misure non sono contemporanee ogni loro limite teorico sparisce, pure se assumiamo ciò perché non ci è toccato ancora sperimentarlo.
Se la realtà, nella misura in cui la confondiamo con la sua rappresentazione , fosse un mazzo di carte, Einstein le ha rimescolate, e alla fine abbiamo ancora un mazzo di carte.
Ma il principio di indeterminazione cambia le carte del gioco rappresentativo, non limitandosi a mescolare il vecchio mazzo.
Naturalmente si ammette la possibilità di misure indirette, come per la velocità istantanea in quanto derivante da un calcolo, che rende ancora possibile parlare di misure contemporanee.
Forse a ciò ti riferivi Ipazia con la tua stringata risposta.
Parliamo banalmente di misure, che sono però qualcosa di complesso e variegato .
Lo stesso concetto di precisione prevede due segni.
Una misura più precisa significa una misura con migliore stima dell'errore in più o in meno, e il principio di indeterminazione pone un limite per tale stima, non alla misura di velocità e non a quella di posizione, ma alla stima del prodotto degli errori , per cui il termine stesso usato, errore, appare inadeguato.
Salve iano. Citandoti : "In particolare cosa sono "veramente" la posizione e la velocità?
In che senso dobbiamo pensarle diversamente?".
Cosa siano posizione e velocità da un punto divista fisicamente convenzionale è assodato a livello di insegnamento impartito dai programmi della scuola media inferiore (almeno ai tempi miei).
Se poi vogliamo spostarci in filosofia......la posizione di qualcosa rappresenta la nostra percezione sensoriale di quella cosa MESSA IN RELAZIONE ALLA NOSTRA ANATOMIA (il riferimento di ogni spazio e di ogni "posizione" al suo interno è costituito ovviamente dalle dimensioni e distanze del nostro corpo connotato fisicamente ed interpretato psichicamente).
La velocità di qualcosa rappresenta invece la nostra percezione sensoriale di quella cosa MESSA IN RELAZIONE AL NOSTRO METABOLISMO (il riferimento di ogni tempo e di ogni "velocità" di ciò che accade al suo interno è costituito altrettando ovviamente dai "tempi" entro i quali si svolgono le nostre funzioni e consapevolezze, cioè la nostra esistenza connotata biologicamente e - sempre comunque - interpretata psichicamente. Saluti.
Ciao Viator.
Mi sembra di essere tornato alle misure a palmi e a braccia, ma non lo dico con ironia, perché in effetti non sembra possibile allontanarsene se possiamo integrare i nostri strumenti nella nostra anatomia e le nostre teorie nella nostra psiche.
Ma in questo quadro come integriamo il nostro principio in discussione?
Se devo dirti il vero io , mettendo in campo la mia anatomia, la mia psiche e il mio intuito, non ci trovo niente di strano nel principio di indeterminazione , tanto che trovo strano non vi sia un limite più generale riferito ad ogni singola misura.
Non abbiamo evidenza ancora di ciò, ma non possiamo nemmeno escluderlo .
Anche su questa ipotesi ci si potrebbe esercitare filosoficamente, e ciò avrebbe un senso non solo filosofico, perché è dalle loro possibili conseguenze che a volte si risale indirettamente alle cose, così che si risale alla velocità istantanea con un calcolo a partire dalle forze note, dato che in se' la velocità istantanea non è cosa intuitiva, come lo è invece quella media.
Però se un limite è riferito all'insieme di cose che io intuisco come distinte , questo si mi sembra notevole.
Salve iano. Per me è tutto molto semplice : Il semplice osservare qualcosa (attività sensoriale, psichica o mentale......non importa......fai pure tu) richiede del tempo. Intervallo al cui interno il "qualcosa" muta (non importa di quanto) la propria posizione e/o la propria velocità relative all'osservatore. Impedendo qualsiasi misurazione assoluta. Saluti.
Ho appena letto il post di viator e confermo con un pensiero che ho ripescato tra i miei appunti storici.
[/size]Connotare con un aggettivo un sostantivo, significa di fatto pennellare un'entità che esiste.....foss'anche questa solo un'immagine mentale......ma la pennellata esiste temporalmente a valle dell'entità.
Parlare di realtà deterministica o probabilistica significa quindi dipingere con due tratti antitetici l'entità "realtà". Per quanto detto sopra, nel nostro tratteggiare ci poniamo però, per forza di cose, temporalmente a valle della realtà. Ma le evidenze ambigue che conducono al principio di indeterminazione di Heisemberg sono state e sono evidenze del presente...che hanno cioè un momento di esistenza rilevato nel presente della misurazione.......,quello che invece poi le connoterà diverse o ambigue nella loro evidenza, sarà a suo tempo stato ed è un giudizio che si colloca temporalmente a valle del momento della manifestazione del fenomeno. Ma anche il nostro giudizio avrà un momento di esistenza nel presente. Esiste sempre cioè un intervallo tra un fenomeno e il giudizio sul fenomeno ed è proprio l'esistenza necessaria di questo intervallo a suffragare la validità della concezione probabilistica della realtà, ovvero del presente. Gli uomini sono depositari di mezza verità!?[size=78%] [/size][/font]
Se vuoi un altro pensiero su cui riflettere mi viene in mente che le cose (le particelle inquisite) vanno sempre verso il futuro, mentre le immagini delle cose vanno sempre verso il passato. Non so se corrisponda proprio del tutto alle idee esposte prima da me e da viator. Non sono competente in materia. Comunque se dovessi indagare sui motivi di una non ancora avvenuta unificazione della relatività con la meccanica quantistica, indagherei sulla continuità della luce quando viaggia nel vuoto. Per quel che ne sai si considera continua la luce quando viaggia nel vuoto?
Citazione di: daniele22 il 28 Maggio 2021, 22:52:22 PM
Per quel che ne sai si considera continua la luce quando viaggia nel vuoto?
Per l'ulteriore principio di complementarietà la luce come la materia si manifestano come onda, quindi in forma continua, oppure come particelle, quindi in forma discontinua, in relazione all'esperimento che le rileva.
Ciò significa che la natura duale onda particella non si rivela mai in un singolo esperimento contemporaneamente.
Se faccio passare un fascio di elettroni da una singola fenditura li rilevo come particelle, se raddoppio le fenditure li rilevo come onde.
Anche per questo diverso principio la parolina magica è "contemporaneamente".
Qualunque sia la forma in cui la luce si presenta a noi nel vuoto non cambia invece la sostanza che è quella per cui la luce trasporta energia.
In analogia con le onde in uno stagno , per cui sembra non possano esservi onde senza un mezzo che le veicoli, i fisici si sono inventati i campi elettromagnetici, ma da un punto di vista sostanziale l'acqua dello stagno dissipa l'energia che trasporta l'onda.
Sia nel vuoto che nello stagno si ha trasporto di energia senza trasporto di materia, se si esclude appunto il movimento periodico delle molecole d'acqua in su e in giù , ma non in avanti, cioè nel senso in cui si propaga l'energia, movimento che alla fine dissipa l'energia dell'onda attenuandola.
L'analogia quindi non regge del tutto perché nel campo elettromagnetico nel vuoto non si dissipa energia. Tuttavia il concetto matematico di campo ha un vasto impiego in fisica al di là' del motivo per cui è nato.
La morale filosofica che possiamo trarne è che la forma in cui la realtà ci appare dipende da come la guardiamo e che possiamo descrivere questa forma attraverso la matematica e la logica, mediante i concetti di continuo, discontinuo, sovrapposto, complementare, esclusivo, etc... ma alla natura in se' nulla di tutto ciò necessariamente si attaglia, perché non c'è un esperimento che possa attestarlo in modo univoco.
La forma in cui il mondo appare alla nostra percezione è univoca perché una è l'esperienza percettiva.
La scienza può essere vista come un insieme di esperienze percettive alternative, quindi modi diversi di vedere il mondo con relative diverse apparenze.
Nella misura in cui riusciamo a descrivere queste nuove forme nei termini delle forme della percezione sensoriale esse risultano a noi ancora relativamente intuitive.
Ma ciò che conta ai fini pratici è che si possano esprimere quelle forme attraverso la matematica.
Una di queste è il principio di indeterminazione espresso da una disuguaglianza matematica che ha validità generale, ma che è nato nella dimensione micro, come un onda che nata in uno stagno si è propagata nello spazio.
Ciò non è strano perché la matematica sta dove la metti, anche quando nasce in un preciso contesto.
Se ci limitiamo alla percezione sensoriale in un contesto macro le forme della geometria euclidea bastano a descrivere la realtà che ci appare, e siccome per lungo tempo siamo rimasti a quel contesto relegati, ci è parso che la realtà fosse un libro leggibile per chi ne conoscesse il linguaggio con cui è scritto in caratteri geometrici.
Ma non esiste un linguaggio unico e diverse sono le possibili descrizioni, ma tutte nella sostanza veicolano la nostra esistenza.
Se volessimo traferire al mondo micro l'intuitività macro legata alla geometria euclidea, potremmo immaginare una particella come una sfera , il cui centro rappresenta la sua posizione, che vibra in continuazione con moto ondulatorio in un range descritto dalla disuguaglianza in cui si esprime il principio ,il che renderebbe conto del perché l'incertezza della posizione non si possa disgiungere dalla incertezza sulla velocità.
Ma se facciamo l'operazione inversa, andando dal micro al macro, con la nuova mentalità che l'esperienza micro ci ha dato, allora parimenti ci apparirà una natura duale , concreta e ideale.
Se la tocchiamo è una massa concreta ma se la osserviamo è una sfera ideale.
La natura in cui ci appare dipende ancora dal particolare esperimento percettivo con cui la riguardiamo.
La natura diversamente ci appare univoca nella misura in cui il cervello a nostra insaputa sovrappone le diverse forme dentro di se' creando un unico oggetto con diverse nature, e dove non arriva il cervello in forma implicita arriva la matematica in forma esplicita.
Una ulteriore dualità' apparente in ragione del fatto che si usi lo strumento della coscienza oppure no.
Citazione di: iano il 28 Maggio 2021, 23:19:22 PM
Citazione di: daniele22 il 28 Maggio 2021, 22:52:22 PM
Per quel che ne sai si considera continua la luce quando viaggia nel vuoto?
Anche per questo diverso principio la parolina magica è "contemporaneamente".
Qualunque sia la forma in cui la luce si presenta a noi nel vuoto non cambia invece la sostanza che è quella per cui la luce trasporta energia.
Praticamente, iano, si ripropone la stessa storia del sapere o non sapere il fondamento della conoscenza. Ritornando a Majorana e alla sua inquietudine sul fatto di non conoscere lo stato antecedente a quello in cui viene portato il sistema che innesca la misurazione, non potrebbe essere che la luce nel vuoto viaggi per onde quantizzate? E che tali onde siano generate dalla gravità delle masse, che ne lasciano scappare appunto una alla volta e ognuna con la sua quantità di informazione? Mi chiedo infine cosa sia una Pulsar
Onde quantizzate è una contraddizione in termini.
Sarebbe come ipotizzare un continuo discontinuo.
Vero è che la natura può essere descritta in forma continua , come onda, o discontinua, come quanto, a seconda del punto di vista che adottiamo, cioè del particolare esperimento con cui la sollecitiamo a rivelarsi a noi, ma ciò significa a mio parere che non è la natura ne l'una né l'altra cosa.
In fondo a noi dovrebbe bastare conoscere nella misura che basta e nella forma che serve al nostro agire.
Credo che il concetto di verità nasca da una distorsione mentale , potendosi separare , a ragione della loro consequenzialità temporale, il sapere dall'agire, e si considera quindi una conoscenza in se'.
Conoscere per il piacere di conoscere.
Vero è che il piacere ha la sua funzione, ma non si esaurisce mai in se'.
È un piacere mangiare, ma mangiamo per vivere.
È un piacere l'atto sessuale, ma serve a farci riprodurre.
È un piacere la conoscenza , ma serve ad agire con cognizione di causa.
Io credo che i principi che veniamo a scoprire, come quello ad esempio di indeterminazione, non ci dicano quello che il loro nome suggerisce, è cioè che la natura è fondamentalmente indeterminata, ma che i concetti che usiamo per descriverla servono appunto a non altro che descriverla, e quando li usiamo in contesti diversi da quelli in cui sono nati, essi mostrano perciò i loro limiti.
La conoscenza di questi limiti la esprimiamo in un principio a cui la natura sembra obbedire, ma non sono limiti propri alla natura, ma ai concetti usati per descriverla in funzione di un l'articolare uso, che è il contesto in cui nascono.
Quando cambiamo il contesto ci viene naturale provare ad usare vecchi concetti, ma che si prestano ancora allo scopo solo "denaturandi di fatto", cioè ponendovi un limite d'uso.
Cosa ci dice quindi alla fine di nuovo il principio di indeterminazione ed altri ad esso simili?
Se ci fermiamo alla loro formulazione essi sembrano un capriccio della natura.
Perché quelli, così formulati, e non altri?
La natura però non è capricciosa e sono questi principi stessi a confermarcelo se li si riguarda da un altra prospettiva.
Essi sono il piccolo rattoppo che consente ancora di descrivere contesti inesplorati della natura con vecchi concetti, se pur nati nei vecchi consueti contesti , a dimostrazione di una coerenza della natura .
È appunto la consuetudine a certi contesti a farci credere che debba esserci una aderenza fra essa e i concetti che la descrivono , motivo per cui le cose ci appaiono ovvie, ma ovvie non sono mai.
È pure vero che il credere di vivere circondati da ovvietà, in una dimensione affettiva per usare una tua espressione, se ben la interpreto, ha pure il suo buon motivo e la sua funzione.
Ma quando vogliamo cercare di capire bene le cose occorre distinguere le diverse funzioni e i diversi contesti , il che non è mai facile, e perciò non sempre è facile capire, perché non sempre abbiamo coscienza piena di essi., senza che ciò ci impedisca di manipolarli.
Vedi attuale discussione da te aperta sul l'intuito.
Naturalmente si può non essere d'accordo con il mio punto di vista, ma mi viene credo a suo puntello una analogia sociale.
Quando si traferisce la propria residenza, ad esempio per lavoro, non ci viene in mente, se non vagamente, che la nostra propria cultura, per il fatto che essa influenza le nostre azioni in automatico, senza cioè che ne abbiamo piena coscienza, possa non rivelarsi adatta al nuovo contesto.
La prima impressione è che quel nuovo contesto abbia qualcosa di sbagliato e che i suoi abitanti adottino strani comportamenti.
Poi capiamo che siamo noi a doverci adattare al nuovo contesto, e non viceversa, e se i cambiamenti che dovremo assumere sono relativamente minimo, allora non ci siamo spostati molto dalla nostra cultura trasferendoci.
Basteranno piccoli rattoppi di principio.
Certo non c'è ne accorgeremo mai quando ci spostiamo per turismo, che è un po' la condizione di chi cambia contesto, ma senza avere tempo è modo di immergervisi abbastanza per sentirsene parte affettivamente.
Non capisco cosa ci sia di paradossale nel principio di indeterminazione o nel carattere discreto dei fenomeni ondulatori. Dobbiamo renderci conto che tutta la nostra modellistica scientifica è una metafora antropologica di come la natura è. Cui si aggiunge il fatto che i nostri strumenti d'indagine sono fondamenti insuperabili di tale metafora. Senza microscopio ottico non avremmo mai potuto individuare i batteri, e senza quello elettronico, i virus.
Il principio di Heisenberg ci dice che non abbiamo tecniche adeguate per determinare simultaneamente alcuni parametri fisici ma, a differenza dei dogmi presi in prestito dalla religione, non esclude che un giorno lo si possa fare. Altra palla metafisica è la dicotomia tra onda e particella che la fisica moderna sta decostruendo attraverso la sperimentazione su particelle/onde del mondo subatomico.
Citazione di: Ipazia il 31 Maggio 2021, 15:12:35 PM
Non capisco cosa ci sia di paradossale nel principio di indeterminazione o nel carattere discreto dei fenomeni ondulatori. Dobbiamo renderci conto che tutta la nostra modellistica scientifica è una metafora antropologica di come la natura è. Cui si aggiunge il fatto che i nostri strumenti d'indagine sono fondamenti insuperabili di tale metafora. Senza microscopio ottico non avremmo mai potuto individuare i batteri, e senza quello elettronico, i virus.
Il principio di Heisenberg ci dice che non abbiamo tecniche adeguate per determinare simultaneamente alcuni parametri fisici ma, a differenza dei dogmi presi in prestito dalla religione, non esclude che un giorno lo si possa fare. Altra palla metafisica è la dicotomia tra onda e particella che la fisica moderna sta decostruendo attraverso la sperimentazione su particelle/onde del mondo subatomico.
Di paradossale nulla, avendo premesso che mi piaceva introdurre così il principio (stile Eutidemo🙂).
Il principio però non deriva da un limite tecnico, sennò che principio sarebbe!
Prendi il principio che ben conosci di "esclusione di Pauli".
Con l'affinarsi della tecnica troveremo tre elettroni sulla stessa orbita?
O forse hai ragione tu.
Non possiamo escludere una violazione del principio , e in tal caso dovremmo riscrivere tutta la teoria che su esso si basa ex novo.
Anche questa mi sembra una matassa da dipanare, ma solo perché io non so' come si origina il principio.
Comunque le fonti precisano che non deriva da un limite tecnico.
Ma in sostanza , secondo la visione che vi propongo, il principio ad una prima lettura sembra suggerire che posizione e velocità abbiano una natura diversa da quella che pensavamo, mentre ad essi è propria solo la natura che gli diamo noi in funzione di una descrizione della realtà , e ciò che è notevole è che possiamo ancora utilizzarli " con piccoli aggiustamenti di principio" in contesti diversi da quelli in cui sono nati, a conferma di una realtà omogenea .
Citazione di: iano il 31 Maggio 2021, 13:18:34 PM
Onde quantizzate è una contraddizione in termini.
Sarebbe come ipotizzare un continuo discontinuo.
Vero è che la natura può essere descritta in forma continua , come onda, o discontinua, come quanto, a seconda del punto di vista che adottiamo, cioè del particolare esperimento con cui la sollecitiamo a rivelarsi a noi, ma ciò significa a mio parere che non è la natura ne l'una né l'altra cosa.
In fondo a noi dovrebbe bastare conoscere nella misura che basta e nella forma che serve al nostro agire.
Ma perché si sente dire che l'essere sia il tempo mentre Hyde aveva intitolato il suo libro Essere e tempo? Cosa ci avrebbe raccontato su tempo ed essere, il racconto del dottor Jeckill? Avrà subito delle pressioni?
Che l'essere sia il tempo" è una contraddizione in termini nè più nè meno che "l'onda è quantizzata". Forse che anche i fisici si disinteressano delle inquietudini di Majorana? Fortuna che almeno la chimica è più tranquilla
Caspita ho trovato un pigro più pigro di me.
Majorana scrive, in un articolo che non pubblicherà:
————-
Qualunque esperienza eseguita in un sistema atomico esercita su di esso una perturbazione finita che non può essere, per ragioni di principio, eliminata o ridotta,
Il risultato di qualunque misura sembra perciò riguardare piuttosto lo stato in cui il sistema viene portato nel corso dell'esperimento stesso, che non quello inconoscibile in cui si trovava prima di essere perturbato.
—————
Qui si dice che un sistema possieda uno stato ancor prima che venga determinato, e che la perturbazione che la misura introduce nel determinarlo di fatto lo altera , in un modo che ci rende impossibile conoscerlo , in quanto non si tratta ,per principio , di un errore di misura dovuto alla imprecisione degli strumenti e/ o alla imperizia dello sperimentatore, stimabile in quanto tale e sommabile/sottraibile quindi dalla misura.
Però mi pare non si possa negare il fatto che l'ipotesi che il sistema possieda uno stato prima della misurazione sia arbitraria quanto non necessaria.
Noi sappiamo che il sole sorge ogni giorno , ma ciò non è la conseguenza del fatto che esso possieda uno stato, perché se così fosse, andando avanti o a ritroso con le cause dovremmo concludere che il fatto che oggi il sole sia sorto è da ricercare nel fatto che ieri sia sorto.
Affermeremmo quindi che la causa di un fenomeno che si ripete sia lo stesso fenomeno.
Se invece ci troviamo di fronte a un fenomeno che non si ripete tanto meno andremo a cercare le cause di tale mancata ripetizione in un suo stato precedente.
Lo stato precedente di cosa?
Un sistema non possiede uno stato, ma è la misura che glielo assegna.
Naturalmente si tratta solo di una possibile interpretazione .
Non si può fare a meno in generale di chiedersi quale sia la genesi dei principi in fisica.
Essi sembrano porre dei paletti alla realtà in se', in quanto si dice non dipendono dalle misure, dalla loro precisione e dal metodo usato, ma sono insiti nella realtà.
Si potrebbe parimenti affermare che essi non pongano limiti alla realtà, ma correggano le nostre distorsioni conoscitive, per cui pretendiamo di sapere già che un sistema possieda uno stato, prima ancora di misurarlo.
In effetti noi affermiamo di voler misurare lo stato di un sistema, ma in effetti facciamo solo una misura il cui risultato chiamiamo stato del sistema, e quindi lo stato non può che dipendere dal tipo di misurazione.
Così, a seconda della misura usata, assegneremo a un sistema uno "stato ondulatorio" piuttosto che di altro tipo.
La realtà mostra una natura duale perché noi ci vediamo doppio.
Il nostro metodo conoscitivo è inevitabilmente ridondante perché quando il sistema indagato muta siamo portati a trascinarci dietro le scorie dei sistemi precedentemente indagati, dove una ipotesi di troppo, per il fatto di non mostrare conseguenze che impediscano il successo dell'indagine, sembra perciò trovare conferma, ma richiedono poi un aggiustamento di principio quando il contesto muta per poterle mantenere.
E vogliamo mantenerle perché ad esse ci affezioniamo, come dice Daniele, come se fossero legate alla realtà e non alle modalità con le quali la indaghiamo.
Mi sembra iano che il tuo ragionamento sia viziato. Sei tu osservatore che postuli un'esistenza di uno stato, di un sistema. Non è che il sistema abbia uno stato di suo. Evidentemente Majorana si riferiva allo stato in natura della luce, non allo stato delle evidenze della sperimentazione dedotte dal sistema preparato. Se tu hai una fessura vedi nello schermo la caratteristica ondulare, se tu aggiungi una fessura vedi dei punti netti (o il contrario, non mi ricordo). Ma non conosci lo stato naturale della luce, il quale sarebbe inconoscibile. Che ti frega saperlo? L'ho già detto nel post precedente. Si tratta della stessa faccenda di quelli a cui frega sapere la fondazione della conoscenza e di quelli a cui non frega nulla. Ma io penso che se si procedesse magari per assurdo, immaginando quindi che la luce nel vuoto sia continua una prima volta, e poi immaginando che sia discontinua la seconda volta, e cercando una trappola naturale che fornisca delle evidenze in merito senza necessità di perturbare, forse si riuscirebbe a venire a capo del dissidio relatività/m.q. . Tu ne sai qualcosa delle onde gravitazionali? Insomma, iano, ci vorrebbe un fisico per parlare di queste cose, altrimenti diciamo solo .....
Citazione di: iano il 31 Maggio 2021, 15:41:16 PM
Citazione di: Ipazia il 31 Maggio 2021, 15:12:35 PM
Non capisco cosa ci sia di paradossale nel principio di indeterminazione o nel carattere discreto dei fenomeni ondulatori. Dobbiamo renderci conto che tutta la nostra modellistica scientifica è una metafora antropologica di come la natura è. Cui si aggiunge il fatto che i nostri strumenti d'indagine sono fondamenti insuperabili di tale metafora. Senza microscopio ottico non avremmo mai potuto individuare i batteri, e senza quello elettronico, i virus.
Il principio di Heisenberg ci dice che non abbiamo tecniche adeguate per determinare simultaneamente alcuni parametri fisici ma, a differenza dei dogmi presi in prestito dalla religione, non esclude che un giorno lo si possa fare. Altra palla metafisica è la dicotomia tra onda e particella che la fisica moderna sta decostruendo attraverso la sperimentazione su particelle/onde del mondo subatomico.
Di paradossale nulla, avendo premesso che mi piaceva introdurre così il principio (stile Eutidemo🙂).
Il principio però non deriva da un limite tecnico, sennò che principio sarebbe!
Prendi il principio che ben conosci di "esclusione di Pauli".
Con l'affinarsi della tecnica troveremo tre elettroni sulla stessa orbita?
O forse hai ragione tu.
Non possiamo escludere una violazione del principio , e in tal caso dovremmo riscrivere tutta la teoria che su esso si basa ex novo.
Anche questa mi sembra una matassa da dipanare, ma solo perché io non so' come si origina il principio.
Comunque le fonti precisano che non deriva da un limite tecnico.
Ma in sostanza , secondo la visione che vi propongo, il principio ad una prima lettura sembra suggerire che posizione e velocità abbiano una natura diversa da quella che pensavamo, mentre ad essi è propria solo la natura che gli diamo noi in funzione di una descrizione della realtà , e ciò che è notevole è che possiamo ancora utilizzarli " con piccoli aggiustamenti di principio" in contesti diversi da quelli in cui sono nati, a conferma di una realtà omogenea .
No iano, con l'affinarsi della tecnica non troveremo tre elettroni, almeno fino a quando il principio di Pauli non rappresenti un problema. Se lo fosse affineremo la tecnica anche per scovare il terzo uomo.
Un minimo di competenza in fisica c'è l'ho, ma non posso dirmi autorevole in materia.
Le onde gravitazionali sono l'ennesima previsione della teoria di Einstein che ha trovato recentemente conferma sperimentale.
Anche la teoria di Newton ha trovato piena conferma, ma correndo minor rischio di smentita, esponendosi meno, prevedendo molte meno cose.
Eppure da un punto di vista filosofico la teoria di Newton è più rivoluzionaria perché assume l'inammissibile, che sia possibile un azione a distanza, senza cioè un mezzo che medi, così inconcepibile che Einstein la esclude, ridando allo spazio tempo il compito di mediare , restituendoci una nuova immagine di stagno dove quando due buchi neri massicci si scontrano è come se cadesse un sassolino.
Scegli tu quale delle due teorie sia più cervellotica da un punto di vista filosofico , se credi che sia importante farlo , perché dal punto di vista scientifico i giochi sono fatti.
Newton ci dice che due corpi si influenzano senza toccarsi, esercitando reciprocamente una azione a distanza , non mediata da nulla, che li muove.
Einstein ci dice che essi si muovono senza che agisca alcuna forza a distanza.
Per eliminare il paradosso della forza che agisce a distanza elimina di fatto la forza.
Però muovendosi nello spazio tempo le masse lo increspano , ma di un tale nulla, che solo un evento catastrofico come lo scontro di due buchi neri supermassici diventa significativo.
Secondo gli antichi i corpi cadono per simpatia verso la terra.
Per,Einstein si muovono secondo "simpatia" con lo spazio tempo.
Sembra che si vada avanti tornando indietro, ma la differenza sta nel potere predittivo.
Però la palma di rivoluzionario va' a Newton, anche se la rivoluzione più grossa l'ha fatta un controrivoluzionario, Einstein.
Una cosa è certa fratello Daniele.
Se lo zio Albert non avesse previsto le onde gravitazionali non c'è ne saremmo mai accorti per caso, come quella volta che cadde una mela in testa al nonno Isaac, che ogni volta che c'è lo raccontiamo ci facciamo due risate.
Povero nonno.
E povera anche la mela.
Se andate al post #7 della discussione aperta da Eutidemo, "Levitazione casalinga", li trovate la suluzione possibile a un gioco di magia, che per analogia possiamo assumere anche come soluzione dei giochi di magia che la natura a volte sembra proporci.
Cosa è infatti la duplice natura onda particella se non un gioco di magia che inconsapevolmente la natura ci propone?
Eutidemo ci spiega come cucinare un problema.
La ricetta prevede stupore , meraviglia, costanza e fiducia nei propri mezzi, e sopratutto loro conoscenza in termini dei loro punti deboli.
Così mi pare che i principi della fisica non siano altro che le pezze con le quali copriamo i punti deboli del metodo scientifico.
In altri termini i maghi basano i loro trucchi sulle nostre debolezze percettive, sollecitandole .
Così , per analogia, quando è la natura che sembra mostrarci le sue magie chiediamoci quali siano le debolezze del metodo con il quale la indaghiamo.
Se assumiamo che gli strumenti della indagine scientifica non siano sostanzialmente diversi dagli strumenti usati dalla percezione, chiediamoci perché i primi a fronte di una maggiore precisione incappino in limiti di principio, mentre i secondi no.
E infatti, vi è forse un limite all'immaginazione?
La natura di cio' che osserviamo coi sensi sembra molteplice perché molteplici sono i sensi senza che di ciò ci sorprendiamo.
Quindi perché dovremmo sorprenderci quando i metodi di indagine scientifica ci ripropongono la stessa molteplicità?
La differenza sembra risiedere nel fatto che una mela ci appaia solida quanto rossa al contempo.
Mentre gli oggetti del microcosmo che indaghiamo coi metodi della scienza ci appaiono rossi, o , in alternativa solidi, per cui ci sembra strano poter riferire queste diverse apparenze allo stesso oggetto, perché tendiamo a riferire ognuna di queste apparenze all'essenza dell'oggetto, ed essendo esse diverse ci appaiono quindi contraddittorie.
La contraddizione quindi sparisce se non le riferiamo all'essenza dell'oggetto, riguardandole come le diverse forme in cui esso appare quando diversamente sollecitato sperimentalmente.
Qual'e' l'essenza di una mela, l'essere rossa o l'esser solida?
Nessuna delle due, ne' una loro combinazione per sovrapposizione.
L'essenza della mela non è quella di essere rossa, ne' quella di essere solida , nel quella di essere al contempo rossa e solida.
Se pensiamo di poter in tal modo determinare una mela, possiamo ben aspettarci allora poi di trovare un principio di indeterminazione.
Un principio , quindi cosa in se' vera , ma che è solo il contraltare della pretesa di poter davvero determinare qualcosa in se', nella sua vera essenza.
Salve iano. Un paio di precisazioni che trovo doverose per aiutarti-aiutarci a dare un senso più logico al non poco che scrivi di questi tempi : Citandoti : "Se assumiamo che gli strumenti della indagine scientifica non siano sostanzialmente diversi dagli strumenti usati dalla percezione, chiediamoci perché i primi a fronte di una maggiore precisione incappino in limiti di principio, mentre i secondi no.
E infatti, vi è forse un limite all'immaginazione?".Qui qualcuno potrebbe capire che l'immaginazione (la quale fa parte delle possibilità del CONCEPIRE) sia basata invece sulla PERCEZIONE (deduzione secondo me sbagliatissima). La percezione infatti è opera e funzione corporale dei sensi. La visione del Monte Cervino è opera della vista.........il concepire, l'immaginare di raggiungerne la vetta è invece opera della mente.
Ricitandoti : "Qual'e' l'essenza di una mela, l'essere rossa o l'esser solida?".Nessuna delle due, come tu affermi giustamente . Infatti l'essenza (altrove la chiamano la strafamosa "cosa in sè") di qualsiasi cosa altro non è che la FUNZIONE (ciò a cui serve precisamente e specificamente quella tal cosa).Nel caso della mela, la sua essenza e funzione consistono appunto nell'essere ciò che occorre - in via rigorosamente esclusiva e necessaria - per generare altre mele, una volta che essa mela sia maturata, caduta su suolo fertile, marcisca, liberi i semi...................Saluti.
Ciao Viator.
Grazie per le precisazioni.
Non è l'immaginazione ad essere basata sulla percezione infatti , ma azzarderei vero il contrario.
È il ragionevole quadro che ci facciamo della realtà ad essere suscettibile di essere condensato in una immagine, che nel caso della percezione appare come immediato, ma tale non è.
Mentre nel caso della scienza è ovvia la mediazione che lo genera, anche se non sempre riusciamo a tradurla in soddisfacimenti immagini che agevolino la nostra comprensione.
È vero, in questo periodo scrivo molto, come quando i nodi dei nostri tanti pensieri vengono al pettine.
Ti confesso che mi sarei aspettato una critica sull'assimilazione della percezione all'indagine scientifica, che però mi pare semplifichi la comprensione di molte cose diverse ponendole in un quadro coerente.
Così mi sono chiesto ciò che in ambito scientifico chiamiamo principio che corrispondente può avere in ambito percettivo, e non mi sembra di averlo trovato.
Il problema è che anche quando non si faccia coscientemente questa assunzione è inevitabile mischiare percezione e indagine facendo confusione.
Certamente i principi, come tutte le cose in fisica si assumono veri fino a prova contraria, ma con la differenza che su essi con fiducia costruiamo tutta l'impalcatura della nostra conoscenza, e a me sembra che essi siano lì per dirimere la confusione di cui sopra.
Sono veri in quanto rimediano ad un altrettanto certo, per quanto non chiaro, errore concettuale che nasce da una qualche spontanea e quindi non voluta analogia fra scienza e percezione.
L'essenza di una cosa è data pure dalla sua composizione chimica che con la percezione ha ben poco da spartire. La pirite non è oro e il diamante è parente stretto del carbone.
Ciao Ipazia.
Terrei separate scienza e percezione per quanto possibile, ma ognuna ha comunque da insegnare qualcosa all'altra.
Tenerle separate permette di continuare a baloccarci con l'illusionismo percettivo. Illusionismo che viene decostruito non appena si utilizzino metodologie scientifiche.
Tenerli separati significa considerarli strumenti distinti , che prevedono un diverso uso, ma che condividono la stessa funzione.
I diversi sensi sono gia' un esempio di "separati in casa".
Lo strumento scientifico si aggiunge ad essi a "modo suo" , ma non è un modo sostanzialmente diverso, solo diverso.
Tutti fanno capo alla stessa unità di elaborazione dati.
Il modo dello strumento scientifico, a differenza dei sensi, è esplicito , perché mediato da massiccio uso di coscienza.
Si guadagna in precisione , ma si perde in immediatezza.
La condivisione dello strumento invece rimane.
Con lo strumento scientifico si guadagna in flessibilità.
Si produce una teoria per ogni occorrenza in tempi non evolutivi.
Si produce una babele biblica. Si perde unità.
Si rimpiange la perdita di unità e si va alla ricerca della teoria del tutto, per ritrovarla.
Raramente tiro in ballo la metafisica, ma mi sembra l'unica giustificazione a questa ricerca di unità, il cui modello starebbe mell'unita' percettiva, che la scienza stessa però di fatto descrive come una illusione.
Una volta che la scienza ha rilevato le illusioni della percezione , non gli rimane che andare alla ricerca, per analogia, delle illusioni da essa prodotte .
La scienza altro non è che un esplicitazione del processo percettivo ancora in corso.
Naturalmente tutto ciò che affermo non è verità, ma una assunzione che ha valore nella misura in cui crei un quadro unitario, come una rastrelliera in cui riporre in modo ordinato vecchi e nuovi attrezzi.
In questo quadro mi chiedevo quali potessero essere gli analoghi percettivi dei principi fisici.
Di essi si dice che non dipendono ne' dalla variabile "bontà degli strumenti" , ne' dalla variabile "perizia dello sperimentatore" , e che perciò sono relativi alla realtà.
E se dipendessero da una variabile nascosta?
Cioè da quella parte ancora non esplicitata.
Il metodo scientifico è una chimera, mezzo animale e mezzo macchina.
È flessibile e variabile in quanto macchina, è immediato e costante in quanto animale.
Propongo di associare questa inflessibile costanza, alla certezza dei principi fisici., che quindi risiedono nella chimera e si riflettono sulla realtà, ciò che si può illustrare col mito della caverna di Platone, con riflessione in senso inverso.
P.S. Ho parlato di chimera per esemplificare il concetto, perché invece sono fautore di un uomo "esteso" , comprensivo della sua scienza, della sua percezione, dei suoi sensi, della sua unità elaborativa, dei suoi strumenti, etc...
Sono fautore di ciò sempre nel solito senso si ciò che meglio spiega le cose in quadro semplice e ordinato.
Ultima , ma non ultima, considerazione.
Nel processo di esplicitazione di cui sopra la filosofia gioca in casa.
Filosoficamente parlando, la vera illusione sta nel credere che sia possibile una conoscenza priva di pregiudizi, e che anzi essa , come eroe mitico, proceda abbattendo pregiudizi.
In effetti procede, o meglio ,muta, cambiando un pregiudizio con un altro.
Questo è un esempio, giusto o sbagliato che sia, di cosa intendo per contributo della filosofia all'esplicitazione del processo di conoscenza.
Prendere coscienza ad esempio della irrinunciabile funzione del pregiudizio, ma di nessuno di essi in particolare.
Certamente esso crea illusioni, il cui valore però allora va' parimenti rivisto e rivalutato.
Sono parte del processo, sia che medino i sensi, sia che medi la scienza.
Senza di essi non ci sarebbe alcuna scienza e percezione, e quindi alcuna conoscenza.
Perciò la matematica , con i suoi pregiudizi in forma di assiomi , si mostra così "spiegabilmente" efficace .
Ho usato in questa discussione il termine "paradosso" per attrarre audience, ma nonostante ciò, o forse per ciò audience non ha avuto.
Ma ciò che è nato come un gioco è diventato nel corso della discussione un sospetto, che la natura dei principi fisici sia davvero paradossale.
Non so' neanche se il termine sia adeguato a ciò che intendo.
Voglio dire che il mio intuito rifiuta di accettare che la natura sia condizionata da principi che appaiono ai miei occhi come arbitrari.
Certo non nel senso che sono una nostra invenzione gratuita.
Deriviamo essi infatti dalla nostra interazione con la natura.
Ma proprio perciò mi sento di ascriverli propriamente alla natura di questa interazione, che non alla natura.
Dal fatto stesso che questa interazione sia possibile possiamo derivare l'unico limite della natura, se così possiamo dirlo, che risiede in una sua coerenza di fondo che si riflette nelle teorie che la descrivono come requisito ad esse necessario.
Se non è possibile per principio misurare contemporaneamente posizione e velocità, prendendo il principio di indeterminazione ad esempio, ciò non è cosa che riguarda la natura, perché posizioni e velocità non riguardano la natura, ma una sua possibile descrizione.
In quanto limiti i principi riguardano più noi che la descriviamo.
Il termine stesso "limite" è insoddisfacente.
Noi non abbiamo limiti infatti che non derivino dalla nostra struttura fondamentale.
Il nostro limite coincide col nostro essere, e il descrivere l'essere come limite non sembra del tutto appropriato.
Il giorno che un principio della fisica fosse violato, dovremmo riscrivere le nostre teorie, e sapremo allora che noi siamo cambiati profondamente, perché noi siamo le nostre teorie ad immagine della natura. Cambiano i mezzi che riflettono, cambiano le immagini. Avversiamo le nuove teorie per spirito di conservazione, e non a caso esse spesso vengono proposte da personaggi poco raccomandabili , disadattati sociali, bastian contrari , diversamente sapiens.
Ma il tutto avviene in tempi così lunghi che non c'è ne accorgiamo.
Se qui ne parliamo è perché questi tempi si sono accorciati da farci intravedere qualcosa.
La conoscenza ci ha posti davvero fuori dal paradiso naturale, e ci è dato solo osservarlo da fuori.
La nostalgia del paradiso perduto è però una perfetta illusione.
Il paradiso non appare mai tale se non quando lo puoi guardare da fuori.
Quando ci sei dentro non lo sai, e quando lo sai ne sei fuori, quindi di fatto non te lo godi mai.
Quello di cui possiamo godere nel nostro vivere è dell'esser ciò che siamo, ma senza mai affezionarci troppo a quel che siamo se vogliamo godere di più vite insieme.
So' cosa risponderete in coro.
Una vita basta e avanza.
E se è così non mi resta , in fondo, che inchinarmi alla vostra saggezza.
Il dolore è funzionale alla vita, ma ad una sola, perché fa' si che nessuno voglia ripetere l'esperienza, a meno che non se ne perda memoria.
Eppure a me sembra di aver vissuto in questi tempi già più vite insieme.
Non male per un pigro strutturale, o forse proprio per ciò , tendendo a lasciarmi vivere.
Siamo stati generati dall'evoluzione per percepire, entro range fisico-chimico-biologici determinati, l'ambiente che ci circonda ed a cui dobbiamo la nostra possibilità di sopravvivenza. Inoltre, i nostri peculiari processi cognitivi ci hanno fornito strumenti materiali e teoretici in grado di avere una percezione della realtà più esatta di quella fornita dell'evoluzione naturale dei sensi.
Fin qui non c'è nulla di metafisico, nessuna cosa-in-sè a prova di fallacia percettiva. E non è nemmeno postulabile, dato il divenire che incessantemente modifica la realtà. Di fronte alla quale dobbiamo inventarci rette parallele e figure geometriche regolari per poter progettare ogni cosa a cominciare dalla tana.
Possiamo fare ciò perché la natura benigna tollera anche le nostre approssimazioni e, laddove esse non risolvono, ci concede l'escamotage dell' "hic sunt leones", nella moderna e gettonata versione del principio di indeterminazione relativo a fenomeni subatomici.
Gratificandoci inoltre di non escludere che anche nell'ipotetica regione di questi novelli leones prima o poi ci metteremo pure le nostre percezioni, auspicando che ciò non conduca all'estinzione dei leones e/o dei loro cacciatori-raccoglitori.
Il limite posto dal principio di indeterminazione non è solo strumentale, ma teorico, ovvero alcune grandezze non hanno significato simultaneo proprio perché alcuni eventi reciprocamente escludentisi su un piano macroscopico a livello microscopico si verificano simultaneamente.
L'elettrone in orbita intorno al nucleo ha tutte le posizioni possibili prima di essere osservato, non ne ha una inconoscibile che viene perturbata dalla misura, esiste l'effetto tunnel, l'esperimento della doppia fenditura, la non località degli stati entangled eccetera, quindi il linguaggio formale e matematico con cui descriviamo la simultaneità di quello che normalmente (macroscopicamente) non è simultaneo, non può implicare
anche, come possibilità espositiva dello stesso linguaggio, la "consueta" simultaneità di quello che normalmente (macroscopicamente) è simultaneo, pena il non riuscire a nominare correttamente quello che tale linguaggio si propone di nominare; un sasso che lancio con la fionda, per fare un esempio qualsiasi di oggetto macroscopico, ha una posizione e una quantità di moto simultaneamente significative, possiamo fotografarlo in una serie di istantanee del suo tragitto avendo cura di includere nell'immagine anche un metro o un qualche sorta di spazio graduato a cui farlo corrispondere e di tener conto del tempo a cui corrisponde ogni istantanea; possiamo attribuirgli, una serie, o meglio, due serie, di valori per la posizione e per la quantità di moto, tutti simultaneamente escludentisi come singoli valori di una possibile serie esprimente quel valore nel tempo, e tutti correlati in coppie simultaneamente significative di un valore e dell'altro allo stesso attimo; l'elettrone no, in ogni suo possibile tragitto è nella cosiddetta nuvola di probabilità, cioè in un'onda matematica astratta che trasporta la probabilità variabile di trovarlo in certo punto dello spazio ad un certo tempo, per questo dobbiamo entro certi limiti scegliere se rilevarne la posizione o la velocità e non possiamo rilevarle insieme.
Quindi, se riflettiamo bene, la perdita di simultaneità nella conoscibilità di posizione e quantità di moto di una particella quando passiamo dal percorso del sasso a quello dell'elettrone, dal linguaggio descrittivo della fisica classica a quello della fisica quantistica, corrisponde al guadagno per l'"oggetto" elettrone considerato nell'evento "percorso", di un'infinità di posizioni e velocità -simultaneamente significative- che a livello macroscopico, quindi nell'altro possibile linguaggio, si escluderebbero. L'impossibilità dell'accoppiamento dei valori di una serie e dell'altra per istante, corrisponde alla confluenza di più valori possibili per un singolo parametro di una singola serie per un singolo istante, al fatto che le cose siano probabilisticamente diffuse dappertutto ma non in un caos, ma in maniera in linea teorica ordinata e descrivibile, quindi la sopravvenuta indescrivibilità di alcuni stati di cose corrisponde alla sopravvenuta descrivibilità di altri, per questo la natura secondo i filosofi non farà pure salti, ma il modo fisico e matematico in cui
descriviamo la natura non riesce ancora a prescindere dal "salto" tra microscopico e macroscopico, quindi tra relatività generale e fisica quantistica.
Per fare un esempio più concreto, esiste l'effetto Zenone quantistico, per cui effettuando una grande quantità di misurazioni su una particella quantistica, e quindi provocando una grande quantità di collassi della sua funzione d'onda, la particella appare localizzata in una piccola porzione di spazio e quasi ferma e non evolventesi nel tempo, la misurazione impedisce al normale "tragitto" della particella di svolgersi e la riporta sempre allo stato iniziale pre-misurazione, nell'esempio del sasso lanciato, sarebbe come se il fatto che noi lo fotografiamo tante volte lungo il tragitto impedisse al sasso di procedere nella sua normale parabola e il sasso riproponesse all'infinito le condizioni in cui lo abbiamo colto nella prima foto, rendendo tutte le foto indistinguibili dalla prima e l'una dall'altra, finché non smettiamo di disturbarlo fotografandolo, insomma non solo in fisica quantistica la misurazione altera l'evento, ma una quantità enorme di misurazioni possono tendere a farlo svanire del tutto, l'evento, e a restituirci l'immagine della ripetizione indefinita e non più evolvetesi di un singolo attimo.
Quindi il limite posto dal principio di indeterminazione non è solo tecnico o tecnologico, ma epistemico, non si può costruire una macchina, ad esempio un microscopio, che misuri simultaneamente la posizione e la quantità di moto di una particella con arbitraria precisione così, come non si può costruire, in termodinamica per dire, la macchina del moto perpetuo che fa andare la filanda all'infinito, o in senso relativistico, l'astronave di star trek che va più veloce della luce; per quello che ne sappiamo attualmente di come funzione l'universo, queste macchine non sono possibili, mai, perché non sono solo un assurdo materiale e immaginativo, ma anche logico e formale rispetto al linguaggio con cui, a livello scientifico, pensiamo, descriviamo e comunichiamo l'universo stesso, quindi dovrebbe cambiare prima completamente il modo in cui descriviamo l'universo e la conoscenza che ne abbiamo, prima che queste macchine diventino possibili. In altre parole, sono macchine che nella loro impossibilità esprimono i limiti conosciuti del mondo e della natura, non solo dell'uomo nel suo essere storico e contingente. Se anche una sola di queste macchine impossibili esistesse, tutta la fisica da Newton in poi sarebbe da buttare, da riscrivere, cioè non esiterebbe nessuna conoscenza a disposizione nel bagaglio scientifico umano per giustificare non solo la costruzione, ma anche la mera esistenza, di tali macchine, tra cui a pieno titolo il microscopio che viola il principio di Heisenberg.
Il principio di Heisenberg è importante anche perché è violato in caso di una singolarità gravitazionale puntiforme arbitrariamente densa (la singolarità avrebbe energia e tempo simultaneamente significativi, non corrisponderebbe a nessuna oscillazione di energia nel tempo da un minimo a un massimo e quindi a nessun fenomeno fisico possibile), quindi è uno dei principali argomenti contro l'ipotesi teorica del big bang se assunta letteralmente; la singolarità gravitazionale del big bang, o anche quella che si trova nel centro di massa di un buco nero, secondo il principio di Heisenberg può essere micro estesa, piccolissima, qualcosa che possa avere degli estremi sia pur ravvicinatissimi, estremi tra cui avviene e si dispiega il processo corrispondente alla stessa esistenza, ma non inestesa, puntiforme.
Cosa che è anche molto intuitiva per l'uomo comune per quante altre cose controintuitive ci possano essere nella scienza moderna; infatti nell'esperienza quotidiana nessun oggetto reale o materiale può corrispondere all'astrazione del punto geometrico, astrazione che è sia spaziale, ma anche per estensione temporale: ogni segmento ha una lunghezza e ogni lasso di tempo ha una durata, punti e istanti puntiformi sono artifici di linguaggio che possono essere molto comodi a descrivere la realtà o la natura ma a cui non corrisponde nulla di reale o naturale, quindi arrivare a sostenere che un qualche cosa di esistente e producente effetti, sia davvero inesteso come un punto geometrico, indica con grande probabilità un errore nella teoria.
Far nascere il cosmo dall'inestensione, è come farlo nascere da un'entità metafisica.
In generale in filosofia da Cartesio in poi l'inestensione è l'attributo del pensiero, e l'estensione quello della materia; e io non credo che il mondo nasca dal pensiero, da entità che per definizione esistono sempre e solo in quanto pensate, e quindi nemmeno dal punto geometrico, o da qualcosa che ivi possa essere "contenuto".
Citazione di: niko il 08 Giugno 2021, 15:59:20 PM
Il limite posto dal principio di indeterminazione non è solo strumentale, ma teorico, ovvero alcune grandezzenonhanno significato simultaneo proprio perché alcuni eventi reciprocamente escludentisi su un piano macroscopico a livello microscopico si verificano simultaneamente.
È un limite di principio. Non dipende cioè ne' dalla bontà degli strumenti ne' dalla perizia dello sperimentatore.
Vale inoltre a qualunque scala dimensionale.
Infatti il principio non esclude la possibilità di misurare con precisione a piacere , metodo di misurazione permettendo, la posizione , oppure parimenti la QM, ma non le due cose contemporaneamente.
Il principio mette in crisi il determinismo nel definire completamente lo stato di un sistema non potendolo riferire a un preciso istante , o in alternativa perché, a scelta, si dovrà accettare un limite alla precisione delle misure che definiscono lo stato del sistema.
Su scala macroscopica il principio possiamo trascurarlo, ma continua a valere.
Quindi a livello macroscopico possiamo continuare ad assumere il determinismo come valido senza conseguenze dal punto di vista pratico.
Possiamo continuare a mandare razzi sulla luna con successo, come se il principio non esistesse.