Premessa (doverosa).
Questa é una questione che non interesserà, se non eventualmente per mera "curiosità intellettuale", chi non ha una concezione "nauralistica" della vita (per esempio chi crede a "disegni più o meno intelligenti", "provvidenze più o meno divine", "reincarnazioni di qualsivoglia genere"; mi scuso con tutti costoro, anche se mi piacerebbe che anch' essi si cimentassero sul probema che sto per porre considerandone le premesse sotto la condizione "come se" o "se per assurdo" o "ammesso e non concesso che", come in una sorta di divertissement raziocinativo).
La questione é questa.
Si può pensare ragionevolmente (secondo me non dimostrare) che alla vita animale corrisponda l' esperienza coscente (alcuni credono anche alla vita vegetale, altri anche a quella batterica e magari virale, taluni perfino agli enti ed eventi del "regno minerale" -pampsichismo- ma comunque é difficile trovare persone che "a la Descartes" ritengano gli animali o per o meno buona parte di essi del tutto privi di qualche pur rudimentale barlume di coscienza: mere "macchine naturali").
Inoltre grazie all' invenzione del linguaggio (secondo me, anticonformisticamente, non una "dotazione naturale" geneticamemnte determinata ma un' "invenzione artificiale", un grandioso, "fondamentale" evento culturale fra i primi cronologicamente e probabilmente il più "decisivo" in assoluto per le sorti umane), l' uomo é anche dotato di autocosienza (non solo sente e sa, come per lo meno gli animali dal sistema nervoso più complesso, ma anche sa di sentire, di sapere, di "esserci"; e sa pure di dover soffrire, oltre che gioire, in maggiore o minor misura, nonché di dover morire).
Ma all' enorme sviluppo del sistema nervoso centrale e delle connesse facoltà cognitive umane (e di qualsiasi altra specie vivente che ovunque e in qualsiasi momento nell' universo venisse ad essere dotata di un sistema nervoso similmente o magari anche più complesso) sono connesse alcune conseguenze inevitabli fortemente negative ai "fini" della nostra sopravvenza come specie biologica.
Una é la realizzazione, in conseguenza della conoscenza scientifica che inevitabilmente si svilupperebbe date le premesse, prima o poi della possibilità di autodistruggersi per la possibile (e purtroppo alquanto probabile) inadeguatezza dell' organizzazione sociale ad un uso sufficientemente razionale dei mezzi di trasformazione della natura (di produzione ma anche di distruzione) scientificamente fondati (le "tecniche"); é la fase che attualmente sta attraversando la "nostra umanità terrestre", la quale si trova nelle condizioni di un bambino che si sia venuto a trovare in possesso di una bmba a mano o di un mitra carico: o cresce presto e ragguinge una maturità e delle conoscenze teorche e pratiche adeguate, oppure prima o poi amazza se stesso e magari altri: e infatti molte altre specie le abbiamo di già ammazzate e le stiamo forsennatamente, dissennatamente ammazzando a tutto spiano).
Un' altra si porrebbe comunque anche qualora si riuscisse (e se si crede, come me, che l' universo sia infinito nel tempo e nello spazio si pone certamente poiché una qualche percentuale di specie autocoscienti ci riuscirà pure "da qualche parte e in qualche momento") a raggiungere per tempo una maturità e razionalità adeguata allo sviluppo della scienza e delle tecniche (per la cronaca implicante secondo me necessariamente la collettivizzazione-socializzazione sostanzialmente intergrale dei mezzi di produzione/distruzione).
Anche in tal caso infatti nella vita di ogni individuo autocosciente si potranno dare inevitabilmente gioe e dolori, felicità e infelicità in maggiore o minor misura (misura non prevedibile a priori). E allora vigerebbe (e a un tale ipotetico livello di civiltà non potrebbe di fatto certamente essere ignorato da nessuno) un principio etico per il quale non sarebbe giusto imporre ad alcun soggetto autocosciente, senza chiedergliene peventivamente il consenso (cosa di un' impossibilità letteralmente "logica"), il rischio di una vita in cui l' infelicità potrebbe anche prevalere sulla felicità; anche nel caso la probabilità di questo "triste destino individuale" fosse infima rispetto a quella di vivere più o meno felicemente.
Dunque mi sembra di poter concludere che l' autocoscienza (in realtà sarebbe per me corretto dire: "i correlati materiali, neurofisiologici dell' autocoscienza") sia una condizione predisponente e prima o poi determinante l' estinzione delle specie animali che ne fosssero dotate (sempre ed ovunque nell' unverso).
Del tutto naturalisticamente. Un po' come qualsiasi altra forma di "eccessiva" specializzazione, "eccessivo adattamento ambientale"; eccesivo "in tempi lunghi", relativamente alla necessaria flessibilità e dunque non specializzazione adattativa eccessivamente complessa e perciò inevitabilme troppo poco e poco rapidamente "rimaneggiabile", non modificabile in tempi sufficientemente brevi, come l' inevitabile continuo mutare dell' ambiente stesso impone perché una specie possa sopravvivere a lungo; é infatti noto che i procarioti o batteri, una fra le più "antiche", "primitive" e meno specializzate e complesse forme di vita, siano tuttora i più adattati, estesi (come quantità complessiva di biomassa che li costituisce), variegati (variabilità genetica che li caratterizza) e diffusi (molteplicità e diversità degli ambienti fisici e biologici occupati) esseri viventi.
Un inciso: il termine autocoscienza mi appare improprio, non ritengo possibile la coscienza della propria coscienza, semmai la coscienza di sé, termine distinto dalla coscienza. La consapevolezza di avere una coscienza non è la coscienza. Vorrei riprendere questo tema in seguito.
Nel merito del tema, la possibilità dell'estinzione dell'umanità per il motivo proposto esiste ma la ritengo assai improbabile per tre ragioni di ordine biologico.
La prima è che l'infelicità e la felicità sono sensazioni dinamiche transitorie, lo stato ordinario è neutro: i meccanismi biologici di adattamento, assuefazione riportano l'eccesso in un senso o nell'altro alla normalità. Un'eccezione è lo stato di depressione, stabile, abbastanza diffuso, ma non generale,nella popolazione umana.
La seconda è che l'uomo in generale ha un istinto di sopravvivenza potente, che innesca i meccanismi di adattamento al dolore, alla sofferenza, all'infelicità che gli consentono di superare moltissime avversità, basta vedere l'attaccamento alla vita di moltissimi anziani sofferenti. La speranza è l'ultima a morire è un proverbio che riassume precisamente la potenza di questo istinto primario.
La terza è la selezione naturale: chi accoglie questo principio di estinzione lascerà spazio alla vita e alla riproduzione di chi lo rifiuta. E' un meme che ha scarse modalità di trasmissione: culturalmente e biologicamente saranno favoriti e selezionati gli individui che rifiutano questo principio.
Cerco di pormi dal tuo punto di vista, non dal mio, per rispondere.
1) La coscienza, in termini materiali, potrebbe essere data da legami e scambi biochimici che quindi informano.
2) Potrebbe essere (uso sempre il condizionale) che la complessità delle funzioni e specializzazioni di queste con una "centrale" che comanda e sovraintende spinga ulteriormente a costruire informazioni sempre più numerose in quantità e affinate in qualità, per cui potrebbe essere che il cervello si sia modificato, evoluto su altre funzioni come il linguaggio (Broca ,ecc.)
3) se tolgo il concetto di morale e lo sostituisco con la convenienza a vivere socialmente, ritengo che l'unica possibilità che l'umanità abbia un futuro è proprio il soppesare la convenienza a fermarsi in tempo o spingersi oltre fino a possibliità fiscihe di estinzione.
Vincerà il "buon senso" non morale ,ma della convenienza a sopravvivere, ma non è detto che vi siano altissimi costi umani, dipenderà dagli scenari futuri
4) se per autocoscienza intendi una razionalità collegata a quella convenienza egoistica a socializzare e quindi dentro le leggi di natura, non finirà lo sfruttare il prossimo perchè l'istinto egoistico vince e continuerà a vincere in qualunque scenario futuro .
Quello che ferma l'egoista potente è solo la sua di sopravvivenza perchè tutto il resto è sacrificabile , basta che lui continui a vivere e prosperare.
Risposta a Baylham:
Premetto che respingo la teria dei "memi", che considero antiscientifica (ma questo potrebbe eventualmente essere l' argomento di un altra discussione, nella quale a dire il vero non mi sentirei particolarmente incline a partecipare).
Sono d' accordo che l' autocoscienza non si identifica con la coscienza (che é concetto ben più esteso: l' autocoscienza é un sottoinsieme della coscienza; allorché accade, perché vi sono pure esperienze coscienti non includenti l' autocoscienza, secondo me quelle di tutti gli animali: l' insieme degli autocoscienti é invece un sottoinsieme di quello dei coscienti); però autocoscienza é per me anzitutto coscienza della coscienza, coscienza che ha per "contenuto" se stessa (se poi, come credo ma ritengo non sia dimostrabile, esistono "soggetti di coscienza", allora si può anche definire "coscienza di se stessi" da parte dei soggetti di coscienza stessi, che ne sono soggetti-oggetti nella fattispecie).
Nella vita (umana) ci possono essere, a seconda dei casi, periodi più o meno lunghi di (prevalente) gioia e felicità intevallati a periodi più o meno lunghi di (prevalente) dolore e tristezza e a periodi più o meno lunghi sostanzialmente "neutri" (ciò é molto difficilmente valutabile, e comunque é assai variabile da esperienza individuale a esperienza individuale).
In ogni caso resta il fatto che se si genera una vita autocosciente il solo fatto che questa potrebbe essere complessivamente infelice (o più infelice che felice) dovrebbe bastare a considerare ingiusto, eticamente riprovevole il farlo nell' impossibilità insuperabile di chiedere preventivamente il consenso di colui a cui si farebbe correre il rischio, per bassissimo che fosse, di infelicità complessiva.
L' istinto di sopravvivenza pressocché ubiquitario non mi sembra una obiezione valida alle mie considerazioni.
Infatti:
a) non é assoluto e inderogabile (esiste il suicidio):
b) l' estinzione alla quale accennavo non sarebbe dovuta a un suicidio volontario generalzzato degli animali autocoscienti ma casomai a un suicidio non intenzionale, involontario (in caso di guerra nucleare generale o di distruzione "civile" delle condizioni ecologiche della spravvivenza umana per "bulimia produttiva/consumativa/distruttiva) oppure, anche nel caso l' organizzazione sociale arrivasse a prevenire simili rischi, ad astensione eticamente motivata dalla procreazione di altre persone autocoscienti (vedi appena qui sopra), ovvero di autoriporduzione.
La selezione naturale in questo caso eliminerebbe le specie autocoscienti lasciando sopravvivere-proliferare-diffondere-differenziarsi quelle prive di autocoscienza (vegetali -prive perfino di coscienza- e animali).
Citazione di: paul11 il 13 Maggio 2016, 16:29:41 PM
se per autocoscienza intendi una razionalità collegata a quella convenienza egoistica a socializzare e quindi dentro le leggi di natura, non finirà lo sfruttare il prossimo perchè l'istinto egoistico vince e continuerà a vincere in qualunque scenario futuro .
Quello che ferma l'egoista potente è solo la sua di sopravvivenza perchè tutto il resto è sacrificabile , basta che lui continui a vivere e prosperare.
Per parte mia non la penso così.
Sono infatti convinto che (anche per ragioni sostanzialmente verificabili e constatabili legate alla selezione naturale) l' uomo (come e molto più di altre specie) non sia affatto determinsiticamente, ineluttabilmente egoista, ma sia caratterizzato da un comportamento notevolissimamente creativo e plasmabile dalle circostanze macro- e micro- sociali (storicamente e geograficamente mutevoli), nel quale le potenzialità "altruistiche" (alla generosità, magnaminità, financo eroismo, ecc.) siano non meno presenti di quelle "egoistiche" (alla grettezza, mescinità, financo delinquenza, ecc.).
L'autocoscienza è coscienza di essere coscienti, dunque non è un termine improprio.
Devo ammettere che è capitato anche a me di pensare la stessa cosa, l'autocoscienza ci rende consapevolmente mortali e solo un individuo (o un gruppo sociale o biologico) autocosciente può concepire, sentire desiderabile e progettare il proprio suicidio.
Certamente poi il grande successo biologico di forme vitali che ci appaiono del tutto prive di una capacità cosciente, insieme con la notevole tendenza all'estinzione di tutte le specie del genere homo sembrano poter fare propendere per tale ipotesi.
Forse l'autocoscienza è solo un errore evolutivo del tutto marginale nell'economia universale, ma perdiana, solo essendo coscienti (e coscienti della propria coscienza) si può dirlo!
Solo alla luce di una coscienza che riconosce se stessa l'universo può apparire a se stesso e quello che appare è terrificante e meraviglioso insieme. Per godere di un simile spettacolo bisogna pagare il biglietto, anche se costa caro.
Citazione di: sgiombo il 13 Maggio 2016, 17:55:38 PM
Citazione di: paul11 il 13 Maggio 2016, 16:29:41 PMse per autocoscienza intendi una razionalità collegata a quella convenienza egoistica a socializzare e quindi dentro le leggi di natura, non finirà lo sfruttare il prossimo perchè l'istinto egoistico vince e continuerà a vincere in qualunque scenario futuro . Quello che ferma l'egoista potente è solo la sua di sopravvivenza perchè tutto il resto è sacrificabile , basta che lui continui a vivere e prosperare.
Per parte mia non la penso così. Sono infatti convinto che (anche per ragioni sostanzialmente verificabili e constatabili legate alla selezione naturale) l' uomo (come e molto più di altre specie) non sia affatto determinsiticamente, ineluttabilmente egoista, ma sia caratterizzato da un comportamento notevolissimamente creativo e plasmabile dalle circostanze macro- e micro- sociali (storicamente e geograficamente mutevoli), nel quale le potenzialità "altruistiche" (alla generosità, magnaminità, financo eroismo, ecc.) siano non meno presenti di quelle "egoistiche" (alla grettezza, mescinità, financo delinquenza, ecc.).
Stai cercando il luogo della speranza di un animale razionale che è diventato socievole solo per rispondere al proprio istinto di sopravvivenza, vale a dire conviene essere socievoli per innanzitutto dimorfismo sessuale ,per efficienza(meno energie da spendere per difendersi). Scientificamente è spiegabile la socialità umana senza necessità di una morale. Il sacrificio è solo un'imago culturale, è sempre per la continuità della specie e possibilmente la propria prole.
Una volta conquistato il primato dul mondo dei tre regni (animale, vegetale, minerale), si trattava di utilizzare quell'imago culturale per vincere la concorrenza interna alla specie, cioè i propri simili. Così le gerarchie del branco animale venivano sublimate nelle funzioni delle caste ,per censo, per religioni, infine inventando lo Stato.
Se non riusciamo a capire che la natura animale che è parte dell'uomo ha solo traslato sublimandola la legge di natura dentro le leggi religiose e degli Stati ,siamo ancora ingenui e illusi. Così la forza fisica è diventata forza culturale, economica, politica, ma sempre di rapporti di forza si tratta.Non è il cannone o l'artiglio o la zanna a fare la sostanziale differenza. La legge del più forte appare continuamente all'orizzonte e nulla nella storia, sebbene vi siano stati degnissimi esempi che credevano e sostenevano il contrario, hanno arrestato quell'essere sanguinario vestito da innocente, capace di tradire anche se stesso pur di avere potere,privilegi.
Se nell'altra discussione non si capisce ancora come ontologicamente possa essere definita la coscienza, che secondo scienza è un orpello per sentimentali, inesistente e inconsistenze , figuriamoci un'autocoscienza.
Il "buono" è quello che vince che dopo riscrive la storia del prima per giustificare se stesso e il suo potere.
Comunque la razionalità che è semplicemente un utilizzo della ragione relazionata nel mondo, è acquisizione di conoscenze che non hanno mai accompagnato una crescita di una morale.
Per cui la sentenza è che al crescere delle tecnologie aumenteranno le probabilità di auto estinzione, di chi ha il potere o di chi le utilizzeerà contro quel potere, per sostituirsi a quel potere, assetati tutti del proprio egoismo smisurato,compresi i lupi vestiti da agnello.
In risposta a Paul11 non posso che ribadire il mio netto dissenso dalle sue tesi generali (anche se alcune sue considerazioni sono certamente vere; ma secondo me indebitamente assolutizzate, stravolgendo di fatto la verità più sostanziale o "profonda" dei fatti): l' evoluzione biologica non determina affatto in generale e a maggior ragione nell' uomo, caratterizzato da un' estrema plasticità e "creatività" comportametale, unicamente (potenziali) tendenze egoistiche ma almeno altrettanto, se non più, fortemente (potenziali) tendenze altruistiche (e la loro maggiore o minore attuazione dipende da fattori ambientali; naturali e sopratutto culturali).
La questione (filosofica) della definibilità dei rapporti fra esperienza cosciente (ivi compresa, nell' uomo, l' autocoscienza) e materia, cevello é propriamente altra cosa da quanto da me considerato in questa discussione (se ne parla ampiamente in altre), e cioé quanto nel mondo materiale - natturale si può considerare "dotato de-" (o meglio, secondo la mia personale soluzione del problema filosofico, corrispondente a-) -l' autocoscienza.
A me non risulta che nella legge dell'uomo le guerre le vincono i "buoni", le vincono i più forti, i più tecnologicamente dotati di armi con alle spalle una potenza economica costruita sugli affari che non costituiti di elemosine, ma di sfruttamento visibile o invisibile che sia.
L'altruismo non è la regola ,se si intende dare per non avere un ritorno.
La coscienza (e sottolineo che io non sono paul11 perchè nelle premesse hai scritto di non volere trascendenze, per cui sono un empirista, scettico scienziato riduzionista) è un'attività che non osservo, perchè sono solo attività biochimiche che costituiscono scambi di informazione,Tant'è che mi basta somministrare una pillola per alterare le biochimiche e quello che altri definiscono stato di coscienza.
La regola della natura è che gli animali in branco quando si spostano hanno davanti e tutto attorno i maschi dominanti con il capobranco e in mezzo stanno femmine e prole:ma questa è difesa della specie.
La regola della natura è la simbiosii di un alga con un fungo per costituire il lichene,; così come il rhizobium è simbiotico alle radici delle leguminose ,si nutre della linfa della pianta e in cambio è azoto fissatore; coì' come abbiamo ceppi di batteri nel nostro intestino che convivono aiutandoci nella digestione, ecc. ecc.
Ergo, se il razionalismo umano è nella scala dell'evoluzione ciò che emerso, io non vedo emergere DNA caritatevoli .
Iindi, l'altruismo, la carità, la pietà sono solo eccezioni alla regola che invece è spietata perchè vince il più forte che non è il più buono, vince lo spietato, non la pietà, vince chi è privo di scupoli.
E sempre in tema di rrazionalità :facciamocene una ragione perchè pensare che il mondo vada al contrario di come va o di come andrà, fa solo male alla nostra....coscienza.
Perchè se coscienza e autocoscienza, ammesso che esistano, fossero solo ragione, quella ragione è usata contro-coscienza( e quì finalmente è paul11 che scrive)
Citazione di: paul11 il 14 Maggio 2016, 19:07:22 PM
A me non risulta che nella legge dell'uomo le guerre le vincono i "buoni", le vincono i più forti, i più tecnologicamente dotati di armi con alle spalle una potenza economica costruita sugli affari che non costituiti di elemosine, ma di sfruttamento visibile o invisibile che sia.
L'altruismo non è la regola ,se si intende dare per non avere un ritorno.
La coscienza (e sottolineo che io non sono paul11 perchè nelle premesse hai scritto di non volere trascendenze, per cui sono un empirista, scettico scienziato riduzionista) è un'attività che non osservo, perchè sono solo attività biochimiche che costituiscono scambi di informazione,Tant'è che mi basta somministrare una pillola per alterare le biochimiche e quello che altri definiscono stato di coscienza.
La regola della natura è che gli animali in branco quando si spostano hanno davanti e tutto attorno i maschi dominanti con il capobranco e in mezzo stanno femmine e prole:ma questa è difesa della specie.
La regola della natura è la simbiosii di un alga con un fungo per costituire il lichene,; così come il rhizobium è simbiotico alle radici delle leguminose ,si nutre della linfa della pianta e in cambio è azoto fissatore; coì' come abbiamo ceppi di batteri nel nostro intestino che convivono aiutandoci nella digestione, ecc. ecc.
Ergo, se il razionalismo umano è nella scala dell'evoluzione ciò che emerso, io non vedo emergere DNA caritatevoli .
Iindi, l'altruismo, la carità, la pietà sono solo eccezioni alla regola che invece è spietata perchè vince il più forte che non è il più buono, vince lo spietato, non la pietà, vince chi è privo di scupoli.
E sempre in tema di rrazionalità :facciamocene una ragione perchè pensare che il mondo vada al contrario di come va o di come andrà, fa solo male alla nostra....coscienza.
Perchè se coscienza e autocoscienza, ammesso che esistano, fossero solo ragione, quella ragione è usata contro-coscienza( e quì finalmente è paul11 che scrive)
Rispondo:
A me risulta invece che per esempio la seconda guerra mondiale é stata vinta dall' URSS di Stalin e dalla resistenza atinazifascista (innanzitutto, secondo le mie valutazioni, anche se in alleanza determinante con l' imperialismo angloamericano) e persa dal nazifascismo e dal imperialismo nippo-tedesco-italiano: a volte le guerre le vincono anche i "buoni" o per o meno relativamente meno cattivi.
Infatti l' altruismo (diffuso in natura e in cultura non meno dell' egoismo) non é affatto un "dare con l' intenzione di avere un ritorno".
Credo (pur non potendolo dimostrare ed essendo razionalisticamente ben consapevole di ciò) in molte relazioni di trascendenza fra enti ed eventi.
Non sono affatto scientista ma casomai fieramente "antiscientista" (infatti sono razionalista e ritengo lo scientismo una forma di irrazionalismo).
Sono (da razionasta) riduzionista per quanto riguarda i rapporti (nel' ambito della "res extensa") fra vita e materia non vivente (minerale).
La coscienza si osserva benissimo (é per così dire "sotto gli occhi di tutti"); e non é affatto "attività biochimiche che costituiscono scambi di informazione" (sono anzi queste ad essere -parte della- coscienza e non viceversa: "esse est percipi"); anche se "mi basta somministrare una pillola per alterare le biochimiche" e a ciò corrisponde (non: vi si identifica!) un cambiamento di quello che chiunque definisce stato di coscienza.
L' unica "regola" nella selezione natrale é che chi é sufficientemente (e non: "massimamente"!) adatto all' ambiente sopravvive e si riproduce e chi é eccessivamente (e non: anche solo un pochino meno di altri, dei presunti "adattatissimi che soli spravvivrebbero") si estingue.
Nel' evoluzione biologica emerge "di tutto e di più" (e ancor più nell' evoluzione culturale). E se tu (purtroppo per te) non vedi emergerne e affermarsi (anche), se non come "eccezione alla regola", l'altruismo, la carità, la pietà" per fortuna (mia e di tanti altri) ti sbagli di grosso!
Sottoscrivo convintamente quindi, ma rivolgendola verso di te, l' affermazione che "sempre in tema di razionalità: facciamocene una ragione perchè pensare che il mondo vada al contrario di come va o di come andrà, fa solo male alla nostra ...coscienza".
Sono convinto (io: Sgiombo) che coscienza ed autocoscienza esistano; e non ho mai pensato (nè men che meno affermato nel forum; anzi l' ho spessissimo vigorosisssimamente negato!) che siano solo ragione (che non vedo in che senso potrebbe essere usata contro-coscienza"; essendo reale -tutt' altro che come unica, esclusiva componente- nell' ambito della coscienza stessa).
Invece a me risulta che chi è arrivato primo sulla tecnologia fisica dell'energia atomica abbia lanciato delle bombe atomiche sapendo che avrebbe ucciso milioni di persone civili. E' un atto di forza dove il sacrificio è incluso come strategia di potere.
Affinchè si dirimi l'ambiguità del termine altruismo prova a definirlo.
Allora trascendi anche tu? ma la mia non vuole essere provocazione, ma semplice chiarimento di termini e relazioni.
Non penso affatto che lo scientista sia irrazionale, ritengo se vuoi come mia personale definizione che lo scientista sia lo scienziato che non si attiene ai fatti ,ai metodi e dimostrazioni, ma comincia a fare filosofia o teorie come quelle sull'evoluzione, ben sapendo che sta andando oltre alle dimostrazioni, reperti, ecc. in altri termini è colui che da ipotesi fa diventare tesi e addirittura teorie.Non ci trovo nulla di male quando uno scienziato fa il filosofi, La storia ha consegnato alla filosofia illustrissimi matematici, fisici e comunque uomini di scienza, Ma devono avere l'onestà intellettuale di dichiarare sotto quale veste, scienziato o filosofi, proclamano teorie.
A me pare, ma lo dico amichevolmente, che tu non riesca a conciliare l'aspetto meramente scientifico del cervello e il correlato che ne risulta come coscienza. Se l'attività biochimica non lo spiega, scientificamente non si capisce da dove e come "salti fuori".
Quale sarebbe la sua natura: materiale , trascendentale, o cos'altro ancora?
Dimentichi una regola formidabile: il più forte del branco si prende tutte le femmine e il cibo passa prima da lui e tutti devono fare atto di accondiscendenza, in cambio offre protezione. Non ti sembra chiaro se traslato nella metafora umana della cultura dentro le organizzazioni sociali?
Comunque, personalmente ritengo che come sia emersa una psiche , lì si trovi anche la coscienza e forse (sono ipotesi) sono entrambi emersi quando il cervello si è dotato di funzioni e aree fisiche linguistiche.
Ma attenzione la razionalità non ha mai vinto l'animalità connaturata nell'essere umano, può vincerla e questa è la mia speranza, solo se la riconosce e non finge di non non averla e deve educarla a sublimare gli istinti, cioè a spostare l'ira, la furia, la prepotenza.
Ma oggi culturalmente vince proprio chi ha utilizzato le teorie scientiste per potersi giustificare come animale razionale
Citazione di: paul11 il 15 Maggio 2016, 17:54:47 PM
Invece a me risulta che chi è arrivato primo sulla tecnologia fisica dell'energia atomica abbia lanciato delle bombe atomiche sapendo che avrebbe ucciso milioni di persone civili. E' un atto di forza dove il sacrificio è incluso come strategia di potere.
CitazioneRisulta anche a me.
Ma ciò non toglie che la seconda guerra mondiale é stata vinta dall' URSS e alleati e persa da nazismo, fascismo e imperialismo giapponese.
Io non ho mai sostenuto che vince sempre il bene.
Ho invece negato che vinca sempre e comunque il male.
Che per vincere le guerre si debba essere più complessivamente forti (militarmente innanzitutto, ma anche economicamente, culturalmente, eticamente) é ovvio; ma non é affatto detto che necessariamente non debbano esserlo i sostenitori di cause giuste, della civiltà e del progresso!
Affinchè si dirimi l'ambiguità del termine altruismo prova a definirlo.
CitazioneRispetto del bene o dell' interesse altrui e in generale del bene o dell' interesse comune nel perseguire il bene o l' interesse proprio.
L' essere felici della felicità altrui e tristi della tristezza altrui.
Il non essere disposti a fare ingiustamente del male agli altri come condizione del bene proprio, ovvero l' essere disposti a subire in qualche misura un male per se stessi come condizione per realizzare un bene altrui.
(Ma ovviamente sono solo alcune fra le tante definizioni che se ne possono dare. E inoltre non vanno assolutizzate: si può essere altruisti, esattamente come si può essere egoisti, in maggiore o minor misura; e non é detto che l' eccesso nelle qualità positive sia positivo).
Allora trascendi anche tu? ma la mia non vuole essere provocazione, ma semplice chiarimento di termini e relazioni.
CitazioneQuesta non l' ho proprio capita.
Non penso affatto che lo scientista sia irrazionale, ritengo se vuoi come mia personale definizione che lo scientista sia lo scienziato che non si attiene ai fatti ,ai metodi e dimostrazioni, ma comincia a fare filosofia o teorie come quelle sull'evoluzione, ben sapendo che sta andando oltre alle dimostrazioni, reperti, ecc. in altri termini è colui che da ipotesi fa diventare tesi e addirittura teorie.Non ci trovo nulla di male quando uno scienziato fa il filosofi, La storia ha consegnato alla filosofia illustrissimi matematici, fisici e comunque uomini di scienza, Ma devono avere l'onestà intellettuale di dichiarare sotto quale veste, scienziato o filosofi, proclamano teorie.
CitazioneLa teoria dell' evoluzione biologica per mutazioni genetiche casuali e selezione naturale (correttamente intesa e non assolutizzata) non é affatto scientismo ma scienza.
Per me lo scientismo é irrazionalismo perché é assunzione acritica (=irrazionale), assolutizzazione della validità della conoscenza scientifica e pretesa di una sua indebita estensione oltre il terreno che le é proprio (ove, per dirlo un po volgarmente, c' entra come i cavoli a merenda).
Dunque secondo me é pessima filosofia (e che la propongano e la seguano scienziati oppure filosofi non fa differenza).
A me pare, ma lo dico amichevolmente, che tu non riesca a conciliare l'aspetto meramente scientifico del cervello e il correlato che ne risulta come coscienza. Se l'attività biochimica non lo spiega, scientificamente non si capisce da dove e come "salti fuori".
Quale sarebbe la sua natura: materiale , trascendentale, o cos'altro ancora?
CitazioneSecondo me trattandosi di un problema filosofico e non affatto scientifico, é ovvio che non se ne può dare una spiegazione scientifica.
La scienza (neurologica) si limita a stabilire quali eventi neurologici cerebrali (più o meno potenzialmente e indirettamente nell' ambito delle esperienze coscienti di "osservatori") corrispondono biunivocamente a quali eventi coscienti (nell' ambito delle esperienze coscienti di "osservati").
Ma la la coscienza non "salta fuori" da alcunché di materiale (cervelli compresi). E' invece la materia che "salta fuori da-" (cioé fa parte de-, é reale nell' ambito de-, all' interno de-) -le esperinze fenomeniche coscienti: "esse est percipi"!
E le diverse esperienze fenomeniche cosciente sono reciprocamente trascendenti; e trascendenti le cose in sé (o noumeno).
Dimentichi una regola formidabile: il più forte del branco si prende tutte le femmine e il cibo passa prima da lui e tutti devono fare atto di accondiscendenza, in cambio offre protezione. Non ti sembra chiaro se traslato nella metafora umana della cultura dentro le organizzazioni sociali?
CitazioneNo, sei tu che dimentichi che non esistono solo società animali organizzate in questo modo. E che comunque anche in queste un capo branco troppo egoista porta all' estinzione dei portatori di geni differenti dai suoi, i quali ultimi al primo inevitabile mutamento ambientale di una certa consistenza si rivelano inadeguati a resistervi, di modo che la sua specie si estingue ben presto; al contrario di quelle nelle quali i capi-branco sono più altruisti e generosi nel consentire la sopravvivenza e la riproduzione degli altri individui permettendo alle loro specie di essere dotate di una maggiore variabilità genetica e dunque di essere di gran lunga meglio "attrezzate" di fronte agli inevitabili cambiamenti ambientali, cioé molto più in grado di non estinguersi allorché, prima o poi inevitabilmente, accadono.
Comunque, personalmente ritengo che come sia emersa una psiche , lì si trovi anche la coscienza e forse (sono ipotesi) sono entrambi emersi quando il cervello si è dotato di funzioni e aree fisiche linguistiche.
CitazioneCome ben chiarito anche da Maral in risposta a Jeangene coscienza non é sinonimo di autocoscienza.
Ritengo che l' uomo, coscientissimo, come per lo meno tantissimi animali di altre specie, anche prima sia potuto diventare cosciente solo dopo che l' invenzione del linguaggio gli ha consentito di pensare astrattamente, in termini di concetti astratti.
Ma attenzione la razionalità non ha mai vinto l'animalità connaturata nell'essere umano, può vincerla e questa è la mia speranza, solo se la riconosce e non finge di non non averla e deve educarla a sublimare gli istinti, cioè a spostare l'ira, la furia, la prepotenza.
CitazioneSu questo sono sostanzialmente d' accordo: la cultura non emanciperà mai completamente l' uomo dalla natura (alla faccia delle ridicole pretese dello scientismo)!
Ma oggi culturalmente vince proprio chi ha utilizzato le teorie scientiste per potersi giustificare come animale razionale
CitazioneNon é ancor detto!
E comunque personalmente spero che non mi arrenderò mai, anche solo se si trattasse unicamente di "vendere cara la pelle", ovvero di recitare degnamente la mia parte nella tragedia della vita: combattere valorosamente é più importante di vincere (il che non vuol certo dire non fare di tutto per vincere).
Inizio dalla tua ultima parte,; anch'io non mi arrendo anzi "sono un indignato sociale", parola d'ordine "resistere"
Ma so anche che ciò che esprimo può essere irrazionale, perchè la storia e la parte che ancora oggi si esprime nell'uomo è animalità razionale e quella razionalità in un animale è molto più pericolosa che un semplice animale privo di ragione. Perchè la capacità tecnica è utilizzata non ai fini della felicità dell'umanità, ma come privilegio e prevaricazione di pochi.
La storia insegna che gli USA dovevano scegliere il nemico e di conseguenza l'amico.
Il "mondo libero" doveva scegliere fra nazismo e comunismo chi fosse il più pericoloso.La storia ci ha insegnato chi ha scelto e dopo
il patto di Yalta chi fossero i contendenti dei due blocchi mondiali nella "guerra fredda".
Continui a non vedere che la storia è sempre volontà di dominio di chicchessia con dei contendenti e si risolve in tattiche e strategie diplomatiche quando convengono e militari quando servono ostentazioni di forza.
Non vince il bene o il male nella legge della natura, il leone non è il male perchè si nutre della zebra che è il bene.
Nella storia umana chi vince riscrive la storia facendosi passare per il bene.
O esiste l'interesse comune o esiste l'interesse proprio. L'empatia che si trova nei neuroni "a specchio" per cui un mammifero che vive in branco è triste se vede soffrire un suo simile ,potrebbe essere l'origine di qualcosa che non è però ragione, ma emozione e sentimento per gli umani, ma allora usciamo dal contesto della ragione.
Il vero altruismo o è totale disinteresse della propria condizione, e bisogna essere dei San Francesco per farlo, o ci si aspetta un ritorno di convenienza futura, Spesso gli umani si dicono : "ho un debito", come dire "ho un favore in sospeso che dovrò ricambiare".Ritengo che dietro moltissimo altruismo si nasconda un bieco ragionamento di interessi personali da riscuotere.
Quel trascendere, significava che se ritieni che vi sia coscienza correlata al cervello, ma non è dimostrato scientificamente fai un atto....di fede.
La teoria sull'evoluzione che è una teoria sulla biologia ha ancora oggi le stesse contraddizioni che ebbe in passato la fisica.
La fisica prima si sposò con la termodinamica e poi con l'elettromagnetismo e infine con la quantistica finì il determinismo .
La teoria evoluzionista è dapprima l'incontro fra macroevoluzione, microevoluzione e biologia molecolare.
Manca ancora un legame fra i vari livelli dell'evoluzione e manca l'unificazione con l'embriologia.Manca il ponte che unisce i geni del'organismo per capire quale collegamento esiste fra evoluzione molecolare, evoluzione fenotipica e macroevoluzione.
Ho l'impressione che sei riuscito a creare un limbo anche per la coscienza, non è paradiso, inferno o purgatorio, non è carne nè pesce, un c'è ma non c'è come se la filosofia fosse un mondo a sè, la scienza un altro mondo e la trascendenza una terzo mondo ancora.
Il capobranco semplicemente verrà prima o poi vinto e gli succederà qualcuno, proprio come nella storia umana i passaggi di regni con nuove casate al potere .
Le società fortemente organizzate come negli insetti c'è alta specializzazione dei ruoli.Chi ha fortuna nasce ape regina, chi ha sfortuna sarà "un soldato" o un lavoratore instancabile.E' una dittatura senza via di uscita..
Posso anche dire che c' un autocoscienza dell'autocoscienza, ma non cambia nulla se non si decide ontologicamente di cosa sia costituita. A te non piace la psiche, io la ritengo invece centrale,per identificare la coscienza , perchè diversamente un calcolatore elettronico con applicazioni di input sensoriali avrebbe già implicitamente una coscienza
Ulteriore risposta a Paul11
Concordo che la storiografia "che va per la maggiore", più o meno "ufficialmente ammessa", la scrivono i vincitori, ma gli sconfitti possono sempre lottare per imporre le loro interpretazioni e soprattutto per cambiare la storia futura.
Continuo invece a dissentire sul fatto che vincerebbero sempre i peggiori perchè sempre e inivitabilmente più forti.
Ritengo quella dei neuroni a specchio (scoperti dal mio antico professore di Fisiologia a Parma, quando nel lontano 1974 frequentavo il terzo anno di corso di Medicina; allora era solo "assistente") una scoperta decisamente sopravvalutata e fraintesa dalla neurofisiologia main stream e in realtà di scarso interesse circa i rapporti mente/cervello che a mio parere costituiscono un problena sostanzialmente filosofico e solo "marginalmente" scientifico.
E credo che in natura e in cultura esistano tanto l' intersse per se stessi quanto l' interesse per gli altri individui e per la società tutta, molto variamente declinati nei diversi casi individuali e sociali: l' uomo non é affatto meno potenzialmente (e di fatto) altruista di quanto sia potenzialmente (e di fatto; in altri casi, in altre circostanze) egoista.
Non sono d' accordo che Il vero altruismo sia solo e necessariamente un pressocché impossibile totale, assoluto disinteresse della propria condizione e che non ci siano alternative fra questo e lo pseudoaltruismo (o più o meno bieco ragionare di interessi personali da riscuotere) consistente nel favorire agli altri calcolando "un ritorno di convenienza futura": tertium datur, in questo caso, anzi "infiniticum datur", consistente in un indefinito ventaglio di forme più o meno spinte, più o meno ragionevoli di altruismo relativamente, non assolutamente disinteressato (che pure accadde ma é rarissimo e comunemente si chiama "eroismo", non "altruismo").
Nessun problema per il fatto, che ho sempre saputo e affermato chiaramente, che, ritenendo che vi sia coscienza correlata al cervello ma che non è dimostrato (nè tantomeno mostrato, empiricamente verificato né dimostrabile né verificabile) scientificamente (né filosoficamente), faccio un atto di fede.
Credo che la fisica non abbia mai "contratto alcun matrimonio", né con la meccanica classica, né con la termodinamica né con l'elettromagnetismo, né con al relatività, né con la meccanica quantistica che ne sono parti integranti e/o e fasi del suo sviluppo.
E nego recisamente che con la meccanica quantistica sia mai finito il determinismo (malgrado le pretese filosofiche irrazionalistiche di Bohr, Hisenberg e compagnia)!
Tutte le pretese "mancanze" della teoria dell' evolzione biologica cui accenni sono invece corposissime presenze.
Per me la cosicenza c' é ECCOME!!!
Certamente non meno della materia, ma ESATTAMENTE COME QUESTA "in qualità di insieme di sensazioni fenomeniche in divenire" e non di "cosa in sé".
Credo che fra filosofia e scienze si diano distinzione e integrazione, che siano in un certo senso complementari.
"Trascendenza" é un concetto filosofico che esprime i rapporti intercorrenti secondo me fra le diverse esperienze fenomeniche coscienti e fra ciascuna di esse e la realtà in sé o noumeno.
La storia umana conosce anche repubbliche più o meno democratiche (ma anche in alcune specie animali ci sono rapporti di sostanziale "uguaglianza"):
Inoltre un' eccessiva "prevaricazione" intraspecifica nella riproduzione tende inevitabilmente a portare a un' eccessiva uniformità genetica e dunque fragilità (tendenza al' estinzione) di fronte ai mutamenti ambientali, prima o poi inevitabli; al contrario di una "buona tolleanza per la diversità genetica intraspecifica".
Non vedo in che senso non mi debba piacere la psiche (invece non mi piace punto l' irrazionalistica e antiscientifica "psicoanalisi"!).
E non vedo di che utilità possa essere l' uso del temine "psiche" piuttosto che quello di "coscienza" nell' affrontare il problema dei rapporti mente/cervello ed "eventuale mente"/"fantascientifico calcolatore supersofisticato".
Mi par di capire ,Sgiombo, che tu abbia una visione più ottimistica su quella che ho definito legge di natura, riguardo all'uomo, strano perchè ti contraddici, mi pare nel post iniziale.
Ritornerei "a bomba" sulle tue considerazioni iniziali del topic. Tieni presente che io mi spoglio d visioni spirituali, se così possiamo dire.
la tua ipotesi è pessimistica come la mia sulla possibilità che l'uomo possa avere un remoto futuro .
Sostieni che l'autocoscienza ,che intendi come correlato del cervello, sia addirittura controindicata nella possibilità che l'umanità abbia un futuro . Mi par di capire che alla fine ,questa coscienza e/o autocoscienza è un bagaglio evolutivo che potrebbe portarci all'estinzione ,in quanto l' uomo autocosciente che ha costruito cultura ha espanso la sua dotazione tecnologica, ma non ha costruito le organizzazioni atte a gestire le problematiche che si evidenziano con quelle tecnologie,la possibilità di autodistruggersi per propria mano, per propria cultura.
C'è un ulteriore ipotesi,sempre pessimistica. Per quanto l'uomo autocosciente possa avere maturità di gestire le problematiche "esterne", è incapace di gestire felicità e infelicità. Io la intendo come immaturità morale, di sublimare i propri egoismi .
Se così fosse guarda che stai assolutamente dicendo le stesse cose che ho asserito finora. Anzi sei più pessimista di me.
Io lascio invece una via d'uscita all'umanità (sempre dal punto di vista NON ,diciamo così ,trascendentale), che saranno i problemi a "chiamare all'ordine" alla responsabilità umana. Ricordo la crisi cubana fra USA e URSS nei primi anni Sessanta del secolo scorso, con missili a testata nucleare,vicendevolmente puntati, sarebbe stata un'immane catastrofe dell'intero pianeta.
Citazione di: paul11 il 19 Maggio 2016, 09:48:34 AM
Mi par di capire ,Sgiombo, che tu abbia una visione più ottimistica su quella che ho definito legge di natura, riguardo all'uomo, strano perchè ti contraddici, mi pare nel post iniziale.
Ritornerei "a bomba" sulle tue considerazioni iniziali del topic. Tieni presente che io mi spoglio d visioni spirituali, se così possiamo dire.
la tua ipotesi è pessimistica come la mia sulla possibilità che l'uomo possa avere un remoto futuro .
Sostieni che l'autocoscienza ,che intendi come correlato del cervello, sia addirittura controindicata nella possibilità che l'umanità abbia un futuro . Mi par di capire che alla fine ,questa coscienza e/o autocoscienza è un bagaglio evolutivo che potrebbe portarci all'estinzione ,in quanto l' uomo autocosciente che ha costruito cultura ha espanso la sua dotazione tecnologica, ma non ha costruito le organizzazioni atte a gestire le problematiche che si evidenziano con quelle tecnologie,la possibilità di autodistruggersi per propria mano, per propria cultura.
C'è un ulteriore ipotesi,sempre pessimistica. Per quanto l'uomo autocosciente possa avere maturità di gestire le problematiche "esterne", è incapace di gestire felicità e infelicità. Io la intendo come immaturità morale, di sublimare i propri egoismi .
Se così fosse guarda che stai assolutamente dicendo le stesse cose che ho asserito finora. Anzi sei più pessimista di me.
Io lascio invece una via d'uscita all'umanità (sempre dal punto di vista NON ,diciamo così ,trascendentale), che saranno i problemi a "chiamare all'ordine" alla responsabilità umana. Ricordo la crisi cubana fra USA e URSS nei primi anni Sessanta del secolo scorso, con missili a testata nucleare,vicendevolmente puntati, sarebbe stata un'immane catastrofe dell'intero pianeta.
CitazionePenserei di chiudere la discussione (che speravo interessasse più frequentatori del forum; e ringrazio comunque te per avervi partecipato) con due precisazioni.
Per me l' uomo può arrivare all' estinzione "prematura e di sua propria mano" perché non supera per tempo l' organizzazione sociale capiatlitica che impone inevitabilmente la produzione e il consumo illimitato di merci in presenza di risorse naturali realisticamente (e non fantascientificamente) disponibili limitate: ci impone inevitabilmete di "segare il ramo su cui siamo seduti".
Oppure perché, superata per tempo (prima di autodistruggersi) questa "strettoia storica", una prevedibile superiore (all' attuale) coscienza morale generalmente diffusa gli impone di non riprodursi per evitare di costringere ingiustamente, forzatamente altri a correre il rischio di incorrere in una vita infelice, nell' impossibilità di chieder loro preventivamente se siano o meno disposto ad accettarlo.
Peraltro (se vogliamo continuare in quesa ipotesi alquanto vaga e non certamente attuale) probabilmente si disporrebbe della possibilità di consentire a chiunque di usufruire facilmente e rapidamente dell' eutanasia se la ritenesse necessaria, riducendo comunque moltissimo per lo meno la durata della propria eventuale infelicità).
Citazione di: sgiombo il 20 Maggio 2016, 12:30:56 PM
Per me l' uomo può arrivare all' estinzione "prematura e di sua propria mano" perché non supera per tempo l' organizzazione sociale capiatlitica che impone inevitabilmente la produzione e il consumo illimitato di merci in presenza di risorse naturali realisticamente (e non fantascientificamente) disponibili limitate: ci impone inevitabilmete di "segare il ramo su cui siamo seduti".
Oppure perché, superata per tempo (prima di autodistruggersi) questa "strettoia storica", una prevedibile superiore (all' attuale) coscienza morale generalmente diffusa gli impone di non riprodursi per evitare di costringere ingiustamente, forzatamente altri a correre il rischio di incorrere in una vita infelice, nell' impossibilità di chieder loro preventivamente se siano o meno disposto ad accettarlo.
Peraltro (se vogliamo continuare in quesa ipotesi alquanto vaga e non certamente attuale) probabilmente si disporrebbe della possibilità di consentire a chiunque di usufruire facilmente e rapidamente dell' eutanasia se la ritenesse necessaria, riducendo comunque moltissimo per lo meno la durata della propria eventuale infelicità).
Nel primo caso il discorso mi è chiaro: la coscienza, intesa nel suo aspetto implicante l'affermazione appropriativa dell'io che la incarna, determina l'estinzione di ogni io (e alla fine pure di me stesso).
Il secondo mi pare più problematico da inquadrare (sarà effetto dei tempi). Se il genere umano, in virtù di uno scrupolo di coscienza, cesserà di riprodursi in quanto la vita espone a un rischio di infelicità chi, senza poter scegliere, la riceve presuppone pensare che il soggetto che si trova gettato nella sua vita sia pre esistente a quella vita stessa, per cui si commette verso di lui un atto di scelta indebito facendolo esistere. In realtà, con un simile ragionamento non si tiene conto che quella vita che lui vive è lui stesso e che si può parlare di un soggetto solo in quanto vivente e non collocandolo in uno stato di pre-esistenza. In questo senso mettere al mondo qualcuno non significa compiere un arbitrio su una sorta di ente pre esistente alla sua stessa vita, al suo esserci, ma fare sì che un ente esista come l'ente che è nella possibilità, che è data solo dall'esistenza in atto, di aderire o meno a se stesso (e quindi di essere felici o meno). Generare non significa prevaricare con la propria scelta la possibilità di scelta del generato se esistere o meno proprio perché ogni scelta del generato è possibile solo se è stato generato. Nessuno sceglie se esistere o meno, ma solo dal momento che esiste, nella misura e nel modo in cui concretamente esiste, vivendo il significato della sua vita può scegliere.
Citazione di: maral il 21 Maggio 2016, 08:48:52 AMNel primo caso il discorso mi è chiaro: la coscienza, intesa nel suo aspetto implicante l'affermazione appropriativa dell'io che la incarna, determina l'estinzione di ogni io (e alla fine pure di me stesso).
Il secondo mi pare più problematico da inquadrare (sarà effetto dei tempi). Se il genere umano, in virtù di uno scrupolo di coscienza, cesserà di riprodursi in quanto la vita espone a un rischio di infelicità chi, senza poter scegliere, la riceve presuppone pensare che il soggetto che si trova gettato nella sua vita sia pre esistente a quella vita stessa, per cui si commette verso di lui un atto di scelta indebito facendolo esistere. In realtà, con un simile ragionamento non si tiene conto che quella vita che lui vive è lui stesso e che si può parlare di un soggetto solo in quanto vivente e non collocandolo in uno stato di pre-esistenza. In questo senso mettere al mondo qualcuno non significa compiere un arbitrio su una sorta di ente pre esistente alla sua stessa vita, al suo esserci, ma fare sì che un ente esista come l'ente che è nella possibilità, che è data solo dall'esistenza in atto, di aderire o meno a se stesso (e quindi di essere felici o meno). Generare non significa prevaricare con la propria scelta la possibilità di scelta del generato se esistere o meno proprio perché ogni scelta del generato è possibile solo se è stato generato. Nessuno sceglie se esistere o meno, ma solo dal momento che esiste, nella misura e nel modo in cui concretamente esiste, vivendo il significato della sua vita può scegliere.
Citazione di: sgiombo il 20 Maggio 2016, 12:30:56 PM(Mi rendo conto che l' ipotesi é un po' cervellotica, oltre che avveniristica e per me, nel mio pessimismo, che ritengo ovviamente realistico, in proposito, improbabile).
Sono perfettamente d' accordo che chi (ancora) non esiste non può decidere alcunché, ovviamete anche in merito alla propria eventuale meramente potenziale allora estenza o meno).
Ma é proprio per questo che a rigore si dovrebbe considerare ingiusto il generare dei figli.
Perché li si costringe a correre il rischio, per remoto, improbabile che sia, di essere infelici nell' impossibilità di averne il consenso: ciascuno ha il diritto di correre "in proprio" i rischi che più gli aggradano (in relazione alle possibilità positive che consentono), ma non quello di imporre alcun rischio (anche minimo; anche in alternativa a probabilissime prospettive fortunatissime) forzatamete ad altri, senza previo consenso da parte loro.
Ma per acconsentire o meno si deve necessariamente esistere.
Ciascuno di noi si ritrova dunque inevitabilmente a subre il fatto di venire ad esistere e vivere per decisione altrui, non propria.
Chi é felice non può che esserne grato (ai genitori ed eventualmente a Dio, al destino, il determinismo, il caso o chi per essi); ma chi é infelice non può che maledirli come prevaricatori che gli hanno imposto la sua vita rivelatasi infelice senza (nemmeno potergli) chiedere il suo consenso a correre il rischio dell' infelicità stessa.
A, dimenticavo: fra l' altro questo mi sembra anche un potente argomento contro il teismo; per lo meno contro il teismo delle tre religioni "del libro" o "Abramitiche": un Dio onnipotente, (onnisciente") e infinitamente giusto (oltre che infinitamente buono) non potrebbe creare alcun essere cosciente (e men che meno autocosciente), a meno che non lo creasse sicuramente, necessariamente felice, essendo indubbiamente ingiusto (sarebbe una gravissima ingiustizia perpetrata da Dio!) farlo nell' impossibilità logica di averne il consenso a correre il ben che minimo rischio di infelicità.
Citazione di: sgiomboChi é felice non può che esserne grato (ai genitori ed eventualmente a Dio, al destino, il determinismo, il caso o chi per essi); ma chi é infelice non può che maledirli come prevaricatori che gli hanno imposto la sua vita rivelatasi infelice senza (nemmeno potergli) chiedere il suo consenso a correre il rischio dell' infelicità stessa.
Secondo me non ha senso logico né l'essere grati per la nostra felicità a chi ci ha semplicemente procreato , né maledirli per la nostra infelicità. Non ha senso cioè biasimarli per averci esposti facendoci esistere a un rischio di infelicità, poiché quel rischio coincide con la nostra esistenza stessa e prima di essa, in quanto non esistevamo, non c'era alcun soggetto verso cui essere responsabili.
La responsabilità semmai viene dopo, ossia quando già nati ed esistenti, chi ci ha procreato, facendoci nascere, è chiamato a prendersi cura di chi è stato generato.
La faccenda di un Dio onnisciente e onnipotente è diversa, qui è proprio l'onniscienza che determina la responsabilità del Creatore per il quale ciò che egli concepisce in potenza, teologicamente parlando, è già in atto. Ma qui, nel rapporto tra Creatore e creatura, si innescano delle contraddizioni ardue da dipanare che lascerei ai teologi.
Citazione di: maral il 21 Maggio 2016, 23:34:47 PM
CitazioneChi é felice non può che esserne grato (ai genitori ed eventualmente a Dio, al destino, il determinismo, il caso o chi per essi); ma chi é infelice non può che maledirli come prevaricatori che gli hanno imposto la sua vita rivelatasi infelice senza (nemmeno potergli) chiedere il suo consenso a correre il rischio dell' infelicità stessa.
Secondo me non ha senso logico né l'essere grati per la nostra felicità a chi ci ha semplicemente procreato , né maledirli per la nostra infelicità. Non ha senso cioè biasimarli per averci esposti facendoci esistere a un rischio di infelicità, poiché quel rischio coincide con la nostra esistenza stessa e prima di essa, in quanto non esistevamo, non c'era alcun soggetto verso cui essere responsabili.
La responsabilità semmai viene dopo, ossia quando già nati ed esistenti, chi ci ha procreato, facendoci nascere, è chiamato a prendersi cura di chi è stato generato.
La faccenda di un Dio onnisciente e onnipotente è diversa, qui è proprio l'onniscienza che determina la responsabilità del Creatore per il quale ciò che egli concepisce in potenza, teologicamente parlando, è già in atto. Ma qui, nel rapporto tra Creatore e creatura, si innescano delle contraddizioni ardue da dipanare che lascerei ai teologi.
CitazionePrima che noi nascessimo c' erano i nostri genitori, ed appunto essi -persone ben reali- sono i responsabili della scelta di farci venire al mondo senza (avere nemmeno la possibilità di) chiederci se saremmo stati disposti o meno a correre il rischio di essere infelici.
A me pare evidentissimamente ingiusto verso di noi (anche se personalmente ho la fortuna di essere molto contento della mia vita e conseguentemente ne sono altrettanto grato ai miei genitori).
Il fatto che non potessero nemmeno consultarci perché eravamo inesistenti non è una giustificazione valida: forse che se sono nell' impossibilità di chiedere a un altro se è disposto o meno a correre un rischio ho per questo motivo il diritto di imporglielo?
Per questo motivo ho casomai il dovere di astenermi dall' imporglielo!
Che al momento della sopraffazione il coartato non esista non assolve gli autori della prepotenza in quanto fatta a "nessuno (di esistente al momento dell' azione)": l' esistenza è per l' appunto conseguenza della prevaricazione, e che sia una conseguenza successiva nel tempo non la rende meno "prevaricazione" (sarebbe come pretendere che un "Erode" che fosse stato avvertito prima della futura nascita del "potenziale usurpatore del suo regno" e avesse deciso prima la "strage degli innocenti" predisponendo tutto affinché venisse attuata ma fosse morto nel frattempo sarebbe stato meno colpevole perché al momento della sua decisione delittuosa non esistevano ancora le vittime di essa, mentre al momento della sua attuazione non ne esisteva più l' autore stesso).
Se quando esisteva la schiavitù (esplicitamente dichiarata) un uomo libero e facoltoso si impossessava di due schiavi coniugi non è che fosse moralmente responsabile solo della loro schiavitù e non anche di quella dei loro figli (anche se generati dopo che ne avesse ridotti in schiavitù i genitori); tant' è vero che sul mercato degli schiavi quelli in età fertile e non menomati "valevano" più di quelli che per qualche patologia fossero sterili, anche a parità di età e di prestanza fisica.
Trovo interessante e direi quasi "doveroso" mettere in luce le contraddizioni e le assurdità dei teologi (e di chiunque altro).
Io credo che, al di là delle molteplici varianti che entrano in gioco, la riproduzione se da un lato "costringe" all'esistenza un essere che non ha scelto di esserlo e che potrebbe vivere nell'infelicità, dall'altro è la condizione necessaria per cui sorge la stessa libertà umana: come è ovvio che sia, per essere liberi bisogna vivere. Il coefficiente di rischio di condannare un essere alla infelicità si accompagna al coefficiente di possibilità di "condannarlo" alla felicità. Ciò che fà la differenza è, credo, una razionale valutazione delle condizioni economiche all'interno delle quali una vita avrebbe la possibilità di vivere una vita serena, quantomeno da quel punto di vista non totalizzante ma comunque imprescindibile, accanto ad un'autoconsapevolezza dal parte del genitore delle proprie capacità di cura ed accudimento, superando lo stereotipo sociale e culturale per cui la genitorialità sarebbe un destino naturale e necessario di ogni uomo e riconoscendo che non tutti le persone.sono ugualmente adeguate ad essere genitori capaci di crescere figli in modo equilibrato, dunque felice. Aggungo che, anche nel caso della condanna all'infelicità, esiste, come possibilità estrema, da parte del soggetto in questione, la libertà di stabilire se la propria vita sia più o meno degna di essere vissuta ed in caso negativo, esiste la possibilità del suicidio, mentre in caso della non-nascita la possibilità di essere felice sarebbe nulla, cosicchè la riproduzione, al netto delle diverse opzioni, non si pone come atto irrazionale (questo modo di pensare, se si vuole ricalca, rivolto a un argomento diverso, la scommessa pascaliana...) In questo senso l'incremento di autocoscienza non conduce necessariamente ad un'estinzione, ma condizionerebbe la riproduzione a criteri di giudizio in base a cui riconosciamo come differenti scelte portino a differenti conseguenze
Sgiombo, la responsabilità non sussiste in sé, ma sussiste a carico di qualcuno verso qualcuno. Ma verso chi va quella responsabilità se quel qualcuno non esiste? chi viene caricato del rischio di esistere, se non c'è proprio nessuno, poiché i figli non ci sono? Certo che il padrone degli schiavi è responsabile verso i figli generati dai suo schiavi, ma dopo che questi sono nati, è responsabile verso di loro in quanto essi esistono, altrimenti è responsabile solo verso gli schiavi che esistono, ossia i loro potenziali genitori.
Certo, e in questo senso posso capire la tua posizione, si può valutare il rischio dell'esistenza, alla luce della coscienza che si è maturato su di essa, come troppo elevato per essere corso da chiunque esista, ma questo non ha a che vedere con un "senso di responsabilità", semplicemente si valuta l'esistenza come tale per tutti svantaggiosa, poiché si sente che ci si perde sempre, ma senza mascherare la propria intima stanchezza o il senso di umana sconfitta con il nome di responsabilità per farne quasi una sorta di etica. Non c'è proprio alcuna responsabilità, la responsabilità si attua verso chi, nascendo, esiste, con il prendersene cura (e certo, anche valutando le proprie possibilità e capacità di offrire a chi verrà ad esistere una sufficiente cura), in assenza dell'esistente c'è solo il proprio sentimento verso la vita, positivo o negativo che sia.
Sarà per questo che mi è sempre suonato estremamente falso quando sento qualcuno, in nome di un preteso "senso di responsabilità" proclamare di non volere figli: responsabilità verso chi? In questa proclamata responsabilità etica c'è invece al contrario solo il rifiuto a priori di ogni reale responsabilità in quanto non ci si sente in grado di assumerla. E, se lo si ammettesse, andrebbe benissimo così, ma ci si vuole sentire persone coscientemente responsabili!
Se, come disse Sileno, sarebbe meglio per i mortali non essere mai nati o, quanto meno, sperare di morire prima possibile, non è per senso di responsabilità che lo si può dire o pensare, ma per come si sente in coscienza il significato dell'esistenza propria, ossia del proprio essere tutti comunque destinati a morire.
Citazione di: maral il 24 Maggio 2016, 00:19:58 AM
Sgiombo, la responsabilità non sussiste in sé, ma sussiste a carico di qualcuno verso qualcuno. Ma verso chi va quella responsabilità se quel qualcuno non esiste? chi viene caricato del rischio di esistere, se non c'è proprio nessuno, poiché i figli non ci sono? Certo che il padrone degli schiavi è responsabile verso i figli generati dai suo schiavi, ma dopo che questi sono nati, è responsabile verso di loro in quanto essi esistono, altrimenti è responsabile solo verso gli schiavi che esistono, ossia i loro potenziali genitori.
Certo, e in questo senso posso capire la tua posizione, si può valutare il rischio dell'esistenza, alla luce della coscienza che si è maturato su di essa, come troppo elevato per essere corso da chiunque esista, ma questo non ha a che vedere con un "senso di responsabilità", semplicemente si valuta l'esistenza come tale per tutti svantaggiosa, poiché si sente che ci si perde sempre, ma senza mascherare la propria intima stanchezza o il senso di umana sconfitta con il nome di responsabilità per farne quasi una sorta di etica. Non c'è proprio alcuna responsabilità, la responsabilità si attua verso chi, nascendo, esiste, con il prendersene cura (e certo, anche valutando le proprie possibilità e capacità di offrire a chi verrà ad esistere una sufficiente cura), in assenza dell'esistente c'è solo il proprio sentimento verso la vita, positivo o negativo che sia.
Sarà per questo che mi è sempre suonato estremamente falso quando sento qualcuno, in nome di un preteso "senso di responsabilità" proclamare di non volere figli: responsabilità verso chi? In questa proclamata responsabilità etica c'è invece al contrario solo il rifiuto a priori di ogni reale responsabilità in quanto non ci si sente in grado di assumerla. E, se lo si ammettesse, andrebbe benissimo così, ma ci si vuole sentire persone coscientemente responsabili!
Se, come disse Sileno, sarebbe meglio per i mortali non essere mai nati o, quanto meno, sperare di morire prima possibile, non è per senso di responsabilità che lo si può dire o pensare, ma per come si sente in coscienza il significato dell'esistenza propria, ossia del proprio essere tutti comunque destinati a morire.
Innanzitutto, a scanso di equivoci, ribadisco che parlo in generale (per fortuna personalmente sono contento della vita e dunque ne sono grato ai miei genitori).
Ma ciò non toglie che in gnerale imporre forzatamente ad altri di correre qualsiasi rischio (di qualsiasi entità e con qualsiasi probabilità; e in cambio di qualsiasi vantaggio alternativamente possibile in caso di buon esito degli eventi e con qualsiasi probabilità di tale buon esito) senza il loro consenso non può che essere considerato una prepotenza e un' ingiustizia.
E in particolare lo é l' imporre il rischio dell' infelicità ai figli da parte dei genitori.
Che c' entra il fatto che al momento di compiere questa scelta ingiusta le vittime di essa ancora non esistono (se ne determina l' esistenza per l' appunto con tale scelta ingiusta)?
Anche se rapino una donna incinta condannadola alla povertà compio un ingiustizia contro di lei ma anche contro il suo figlio, sebbene quest' ultimo ancora non sia nato.
Anche se riduco in schiavitù una donna ancora non incinta il torto e l' ingiustizia della schiavitù lo impongo (e ne sono responsabilissimo) non meno ai suoi figli che a lei, anche se al momento di perpetrarlo non ci sono ancora!
I figli vengono ad esistere e a correre forzatamente, senza il loro preventivo consenso, il rischio dell' infelicità a causa di una scelta dei loro genitori, della quale i loro genitori sono pienamente responsabili verso di loro anche se al momento di tale scelta non esistono ancora, proprio per il fatto che esistono in conseguenza, per effetto di tale scelta.
Forse che delle conseguenze "dilazionate nel tempo" delle nostre scelte (ma perfettamente prevedibili ed eventualmente evitabili al momento delle nostre scelte) non siamo responsabili?
Forse che non ne siamo responsabili verso coloro che le subiscono e la cui esistenza magari non era ancora reale al momento delle nostre scelte ma -come le nostre scelte da loro subite- perfettamente prevedibile ed evitabile in conseguenza delle nostre scelte?
Forse che per il fatto che sono nato nel 1952 chi ha inventato le bombe atomiche nel 1945 e nel 1949 non é pienamente responsabile (anche) verso di me del rischio dell' olocausto nucleare cui sono sottoposto in seguito alla sua scelta?
Se so che da me nascerà un figlio affetto da una grave malattia genetica che lo farà gravemente soffrire e ciò malgrado lo faccio nascere non sono forse reponsabile a pieno titolo delle sue sofferenze, anche se al momento in cui ho deciso di imporgliele lui (colui che sarà danneggiato dalla mia scelta) non c' era ancora? (E questo indipendentemente dal fatto che un tale figlio potrebbe anche essere felice malgrado la malattia: in questo caso non dell' inesistente infelicità ma comunque a pieno titolo del' esistentissima malattia e delle conseguenti esistentissime sofferenze sarei responsabile).
Ma esattamente come chi, affetto da una grave malattia genetica, é responsabile delle sofferenze che essa arrecherà al suo figlio ancora inesistente, malgrado questa inestenza del figlio allorché decide di generarlo, nello stesso modo tutti i genitori sono responsabili verso i loro figli della sopraffazione ed ingiustizia consistente nell' imporre loro forzatamente, senza il loro consenso, il rischio dell' infelicità, anche se al momento della scelta ingiusta dei genitori i figli non esistono ancora.
Mi sono spiegato male.
Non vi è dubbio che vi sia una responsabilità attuale verso le generazioni future, ossia per le condizioni di esistenza delle generazioni future, rientra nel principio di cura verso ciò che è o sarà. Se oggi si decidesse ad esempio di riprendere la corsa agli armamenti atomici si determinerebbe senza dubbio una responsabilità anche verso chi nascerà domani e verrà esposto al rischio di utilizzo di tali armi e, valutando inevitabile questo rischio specifico, qualcuno potrà oggi anche decidere di non fare figli. Ma il rischio in questione non è dato dall'esistenza stessa in quanto tale, ma da una condizione specifica di essa ben determinata.
E' chiaro che l'esistenza significa di per se stessa inevitabilmente il poter essere infelici per un motivo o l'altro, ma non trovo alcuna responsabilità verso il non ancora esistente per un'infelicità espressa in questi termini, non specifici come nel caso di una guerra atomica, ma generalissimi, ontologici in quanto l'esistenza è matrice di ogni rischio e di ogni decisione, fosse pure anche quella di procreare o meno, poiché nel momento in cui decido di non procreare, resto pur sempre solo io a decidere e dunque paradossalmente a prevaricare comunque su chi, non esistendo, di nulla decide.
L'esistenza di per se stessa non è né buona né cattiva, né bella né brutta, perché è la condizione preliminare di ogni buono e cattivo, di ogni bello e brutto, di ogni giusto e ingiusto ecc. o si esiste o non si esiste, senza scelta perché è solo a partire da essa che si può quanto meno avere un'impressione, a volte, di scegliere. Per questo si sarà responsabili per la qualità che i propri atti determinano sui futuri esseri viventi, non per la loro esistenza in quanto esistenza. Se oggi mi sento responsabile per il futuro dei miei pronipoti è comunque a partire dalla qualità di come mi si prospetta la loro futura vita, il senso che potrà avere, è per questo che sento la responsabilità delle mie scelte attuali per come potrebbero condizionarla, non per un'esistenza in sé.
Non so se sono riuscito a spiegarmi.
C'è uno strano e stridente paradosso.
Mentre l'uomo occidentale ,culturale e tecnologico, si fa problemi di autocoscienza sulle responsabilità, sul mondo che consegnerà alle prossime generazioni , altri popoli sulla faccia della Terra prolificano anche nella scarsità economica non ponendosi problematiche di autocoscienza.
Finirà, come già indicano da tempo gli andamenti demografici , che gli indigeni europei saranno sostituiti da popolazioni immigrate.
C'è un problema fra natura e cultura
Citazione di: paul11 il 24 Maggio 2016, 12:55:32 PM
C'è uno strano e stridente paradosso.
Mentre l'uomo occidentale ,culturale e tecnologico, si fa problemi di autocoscienza sulle responsabilità, sul mondo che consegnerà alle prossime generazioni , altri popoli sulla faccia della Terra prolificano anche nella scarsità economica non ponendosi problematiche di autocoscienza.
Finirà, come già indicano da tempo gli andamenti demografici , che gli indigeni europei saranno sostituiti da popolazioni immigrate.
C'è un problema fra natura e cultura
Non è un problema essenzialmente di cultura ma di benessere, che poi si riflette sulla cultura come conseguenza del benessere. Fino ad una certa soglia marginale, ad un livello di pura sussistenza, è pressoché indifferente avere un figlio o dieci. Ma conquistato un certo livello di benessere, ogni figlio in più rende esponenzialmente più difficile mantenete quel benessere raggiunto. Ma paradossalmente è poi sempre il benessere che ha bisogno di nuove leve, per mantenere lo stato sociale. Si cerca forza lavoro fresca per tamponare i problemi di oggi, e aumentare esponenzialmente quelli di domani. Dato che le macchine non pagano i contributi, credo che in futuro per mantenere lo stato sociale sarebbe necessario de-automatizzare molti processi produttivi. Ciò che può fare l'uomo è giusto che lo faccia l'uomo per sostenere l'uomo: reddito e contributi per lo stato sociale. L'efficienza tecnologica è inoltre un cane che si morde la coda, si tagliano i costi ma si riduce il potere d'acquisto. Non serve produrre a meno se poi i beni restano invenduti. Sarebbe bello che i lavori che può fare l'uomo li facesse l'uomo, e che i robot servissero per fare la guerra: combattono e muoiono solo i robot. Sarebbe un bell'atto di autocoscienza non autodistruttivo.
@Maral
Dal fatto che l'esistenza significa di per se stessa inevitabilmente il poter essere infelici per un motivo o l'altro in quanto l'esistenza è matrice di ogni rischio mi sembra discendere evidentemente che nessuno ha il diritto di imporre questo rischio a nessun altro senza il consenso del diretto interessato (paradossalmente si potrebbe imporlo solo a se stessi, se ciò non fosse logicamente impossibile; mentre ci si può solo, limitare a scegliere se restare in vita o togliersela, non se darsela o meno).
Mentre nel momento in cui decido di non procreare non prevarico su nessuno, invece nel momento in cui decido di procreare prevarico su colui cui impongo l' esistenza, con il conseguente rischio dell' infelicità, senza potere avere il suo consenso.
E' vero che l' esistenza di per se stessa non è necessariamente né buona né cattiva, né bella né brutta, perché è la condizione preliminare di ogni buono e cattivo, di ogni bello e brutto, di ogni giusto e ingiusto ecc., e dunque può essere tanto buona quanto cattiva, tanto bella quanto brutta, ecc.
Proprio per questo imporre ad altri di correre il rischio che sia cattiva, brutta, ingiusta, ecc. anziché buona, bella, giusta, ecc. è una prepotenza (non lo sarebbe solo se -per assurdo!- la vita potesse essere data ad altri dopo averne avuto il consenso a correre il rischio dell' infelicità)
(Rilevo che è di fatto in corso d parte americana una forsennata e pericolosissima corsa agli armamenti soprattutto attraverso il tentativo di realizzare sistemi antimissile in grado di consentire un devastante "primo colpo nucleare"; che più o meno a breve termine metterebbe seriamente a repentaglio anche il benessere fisico e la sopravvivenza stessa dei "vincitori", novelli re Mida).
@ Paul11
Beh, non mi sembra proprio che l' "uomo occidentale", culturale (?) e tecnologico, si faccia problemi di autocoscienza sulle responsabilità, sul mondo che consegnerà alle prossime generazioni. Mi sembra anzi che lo stia forsennatamente devastando!
Mentre mi pare proprio che se altri popoli sulla faccia della Terra prolificano anche nella scarsità economica, essi si trovino appunto nella scarsità economica proprio a causa delle forsennate, violentissime, "terroristissime" rapine e aggressioni quotidianamente subìte da parte dell' "uomo occidentale", culturale (?) e tecnologico.
E se finirà che gli indigeni europei saranno sostituiti da popolazioni immigrate (cioè da coloro che saranno riusciti a salvarsi dai genocidi quotidianamente perpetrati dall' imperialismo occidentale) sarà solo per colpa delle elité indigene europee dominanti il mondo.
Probabilmente più che un problema tra natura e cultura (per l'uomo, per lo meno da quando ha sviluppato l'agricoltura diventando stanziale, la natura ha sempre avuto un senso culturale e ciò che noi oggi pensiamo natura è il risultato del progetto che l'essere umano ha fatto su di essa), mi sembra di un problema tra quanto l'attuale tecnologia richiede (e richiederà sempre più in futuro) e il modo ancora umano di sentirci. In altre parole l'attuale tecnologia presenta l'uomo a se stesso come inadeguato e antiquato.
Proporre di lasciare che l'uomo faccia quei lavori di cui è stato capace, alla luce dell'attuale concezione tecnologica senza reali alternative del mondo non ha senso, poiché le macchine, prive di autocoscienza, funzionano meglio, ossia più efficacemente ed efficientemente, ormai persino il progettare e decidere in situazioni complicate, attività che ingenuamente si riteneva dovessero restare di appannaggio umano. Oggi si chiede semmai che l'uomo si conformi alla macchina, si renda trattabile come macchina, produttiva e soprattutto di consumo, non certo il contrario.
Non so se avete presente i vecchi cavalli da tiro, quando ero giovane se ne vedeva ancora qualcuno in giro, oggi nemmeno uno. Sono scomparsi e oggi i cavalli servono solo per il divertimento nei maneggi, per tirare qualche carrozzella di ameni turisti o per fare bistecche. Proporre di riutilizzare i cavalli da tiro al posto dei tir non avrebbe nessun senso. L'uomo sta avvicinandosi alla medesima condizione, senza più trovare senso e significato in ciò che ancora, nel sistema tecnologico, gli resta per un po' permesso di fare in attesa che le macchine lo facciano meglio di lui, Per ora si tratta della posizione di terminale della catena tecnologica, utile allo smaltimento del prodotto tramite l'eccitazione programmata del suo desiderio. Ma i cavalli in fondo sono stati più fortunati, perché non hanno una coscienza di sé come hanno gli esseri umani, coscienza del proprio significare e quindi della propria inadeguatezza esistenziale. Per l'essere umano l'estinzione sarà più dolorosa, per questo, per evitare intoppi, lo si anestetizza.
Sgiombo, ma tu, dicendo che scegliendo la procreazione si impone un rischio a chi verrà ad esistere stai dicendo che la condizione di assenza di rischio data dall'inesistenza è in ogni caso meglio e questa è una valutazione che tu dai arbitrariamente e solo in quanto esisti. Io penso invece che il confronto sul significato di per sé (preso in modo del tutto autoreferente e astratto) di esistenza e inesistenza non si pone proprio, è logicamente assurdo, mentre ha senso decidere di non procreare in base a certi parametri con cui ci si configura, da un punto di vista sempre più o meno soggettivo, l'esistenza futura .
Ha senso cioè dire che in un mondo in cui le esistenze si troveranno sempre più compromesse, evito di procreare, poiché questo mondo non offrirà alcuna cura a chi vi vivrà. Ma questo non è un confronto tra esistenza e inesistenza, ma tra la mia esistenza attuale e l'esistenza di chi esisterà in futuro.
Citazione di: maral il 24 Maggio 2016, 19:54:49 PM
Probabilmente più che un problema tra natura e cultura (per l'uomo, per lo meno da quando ha sviluppato l'agricoltura diventando stanziale, la natura ha sempre avuto un senso culturale e ciò che noi oggi pensiamo natura è il risultato del progetto che l'essere umano ha fatto su di essa), mi sembra di un problema tra quanto l'attuale tecnologia richiede (e richiederà sempre più in futuro) e il modo ancora umano di sentirci. In altre parole l'attuale tecnologia presenta l'uomo a se stesso come inadeguato e antiquato.
Proporre di lasciare che l'uomo faccia quei lavori di cui è stato capace, alla luce dell'attuale concezione tecnologica senza reali alternative del mondo non ha senso, poiché le macchine, prive di autocoscienza, funzionano meglio, ossia più efficacemente ed efficientemente, ormai persino il progettare e decidere in situazioni complicate, attività che ingenuamente si riteneva dovessero restare di appannaggio umano. Oggi si chiede semmai che l'uomo si conformi alla macchina, si renda trattabile come macchina, produttiva e soprattutto di consumo, non certo il contrario.
Non so se avete presente i vecchi cavalli da tiro, quando ero giovane se ne vedeva ancora qualcuno in giro, oggi nemmeno uno. Sono scomparsi e oggi i cavalli servono solo per il divertimento nei maneggi, per tirare qualche carrozzella di ameni turisti o per fare bistecche. Proporre di riutilizzare i cavalli da tiro al posto dei tir non avrebbe nessun senso. L'uomo sta avvicinandosi alla medesima condizione, senza più trovare senso e significato in ciò che ancora, nel sistema tecnologico, gli resta per un po' permesso di fare in attesa che le macchine lo facciano meglio di lui, Per ora si tratta della posizione di terminale della catena tecnologica, utile allo smaltimento del prodotto tramite l'eccitazione programmata del suo desiderio. Ma i cavalli in fondo sono stati più fortunati, perché non hanno una coscienza di sé come hanno gli esseri umani, coscienza del proprio significare e quindi della propria inadeguatezza esistenziale. Per l'essere umano l'estinzione sarà più dolorosa, per questo, per evitare intoppi, lo si anestetizza.
A differenza dei cavalli da tiro, i lavoratori umani pagano tasse che servono per erogare le pensioni e sostenere lo stato sociale. Come ho detto l'efficienza è un cane che si morde la coda quando per tagliare i costi di produzione si annienta il potere d'acquisto della popolazione disoccupata. Le macchine funzioneranno meglio degli uomini, ma la rivoluzione tecnologica riduce esponenzialmente l'occupazione e in qualche modo bisognerà porre rimedio. Se non è il lavoro a redistribuire la ricchezza, in che altro modo si può farlo? Il reddito di cittadinanza è a malapena al livello di sussistenza, ma il sistema capitalistico non si regge con la sola vendita dei beni primari. La tecnologia in sè non è secondo me nè buona nè cattiva, dipende dall'uso. E l'uso che se ne sta facendo è quasi esclusivamente quello di supporto capitalistico con il disastroso effetto di ridurre l'occupazione e di creare un turn over sempre più veloce dei beni e servizi prodotti e distribuiti, per cui i cicli economici diventano sempre più effimeri e impossibili da cavalcare per chi non ha abbondanza di risorse da investire.
L'autocoscienza è secondo me uno strumento di adattamento e quindi di sopravvivenza, ma mi pare che ora sia intrappolata nel retaggio del benessere, per cui domina il terrore di dover rinunciare agli agi e standard conquistati, senza più la capacità di riflettere sui falsi bisogni indotti che alimentano il sistema di produzione e consumo superflui. In questa cornice la tecnologia è la guardia pretoriana del capitalismo, salita agli onori grazie alla suddivisione del lavoro a scopo industriale prima, e dall'organizzazione scientifica del lavoro poi. La tecnologia indirizzata ad uso e consumo degli interessi capitalistici rende l'uomo sempre più pigro, verificando ciò che Smith profetizzò riguardo alla suddivisione del lavoro che avrebbe reso l'uomo tanto stupido quanto può diventarlo.
Citazione di: maral il 24 Maggio 2016, 20:09:47 PM
Sgiombo, ma tu, dicendo che scegliendo la procreazione si impone un rischio a chi verrà ad esistere stai dicendo che la condizione di assenza di rischio data dall'inesistenza è in ogni caso meglio e questa è una valutazione che tu dai arbitrariamente e solo in quanto esisti.
CitazioneNon sto affatto dicendo che la condizione di assenza di rischio data dall' inesistenza é in ogni caso meglio della condizione di rischio data dall' esistenza.
Sto invece dicendo che il correre un rischio (qualsiasi, in generale; e in particolare il rischio dell' infelicità che la vita comporta) dovrebbe unicamente, necessariamente essere, secondo giustizia, conseguenza di una libera scelta di chi eventualmente decida di correrlo (oppure di non correrlo); e che il doverlo forzatamente correre per una scelta altrui, subita passivamente e non assunta liberamente di propria iniziativa o per lo meno liberamente accettata (dando il proprio consenso a chi semplicemente si limitasse a proporcela, e non invece ce la imponesse forzatamente, senza chiedere il nostro consenso), significa patire un' ingiusta prepotenza.
Questo anche nel caso in cui di fatto l' esistenza sia felice e dunque l' esistenza, con l' inevitabile rischio di infelicità, sia meglio (preferibile) del' inesistenza: non é questo il problema!
Il problema é quello se sia giusto imporre forzatamente ad altri di correre dei rischi.
E la risposta mi sembra indubbiamente "no".
Esempio (molto banale; me ne scuso):
Secondo te é giusto prelevare con l' inganno i risparmi di un altro e fare a suo nome, senza il suo consenso, un investimento (che magari si rivelerà fruttuoso e gli arrecherà grossi guadagni)?
A me pare proprio di no!
Sarebbe giusto invece proporgli l' investimento e lasciare decidere a lui quale uso fare dei suoi risparmi.
Io penso invece che il confronto sul significato di per sé (preso in modo del tutto autoreferente e astratto) di esistenza e inesistenza non si pone proprio, è logicamente assurdo, mentre ha senso decidere di non procreare in base a certi parametri con cui ci si configura, da un punto di vista sempre più o meno soggettivo, l'esistenza futura .
CitazioneMa infatti non sto affatto considerando un confronto sul significato di per sé (preso in modo del tutto autoreferente e astratto) di esistenza e inesistenza, ma invece fra l' ingiustizia di subire forzatamente, non per libera scelta, la condizione di correre un rischio (in generale; e in particolare quello di essere infelici in conseguenza del vivere) e la giustizia di correre (eventualmente) qualsiasi rischio liberamente, per libera scelta.
Mi sembra molto diverso: cerca di capire.
Citazione di: cvc il 24 Maggio 2016, 20:40:17 PM
A differenza dei cavalli da tiro, i lavoratori umani pagano tasse che servono per erogare le pensioni e sostenere lo stato sociale.
E infatti ormai da tempo ormai lo stato sociale è considerato il principale ostacolo alla crescita.
Certo si può discutere se la tecnologia sia legata o meno al capitalismo e cosa sia funzionale a cosa. Ad esempio Severino ne vede chiara la contrapposizione essendo il capitalismo in funzione dell'incremento del capitale, mentre la tecnica finalizzata alla soddisfazione di qualsiasi bisogno. E tra le due cose in contesa lui dice che sarà inevitabilmente la tecnica a prevalere. Io però non ne sono così sicuro: la tecnica ha avuto un ottimo alleato nel capitalismo, proprio poiché è esso che determina e fa permanere quello stato di bisogno che la tecnica ha lo scopo di soddisfare continuamente. La tecnica ha necessità di una domanda per continuare a produrre, il capitalismo ha necessità di una domanda per incrementare il capitale, dato che il capitale che si incrementa su se stesso, senza prodotto tecnico, è pura e catastrofica illusione. Entrambi hanno quindi bisogno della domanda in perfetta sinergia. Il problema su come sostenere la domanda è un problema tecnico e dunque il capitalismo muterà per quegli aspetti che si dimostreranno tecnicamente inadeguati al sostenimento della necessità di un consumo continuo e senza intoppi di quanto viene prodotto per non rischiare (come già accade) di finire sommersi da una marea di prodotto non consumato, ossia non immediatamente smaltito con il conseguente rischio di paralisi delle produzioni, alla cui efficienza la tecnica non può mai rinunciare. La ridistribuzione della ricchezza può funzionare, ma fino a un certo punto, poiché ciò che si rende veramente necessario è stimolare continuamente il bisogno di beni per produrli, è costringere a fare di tutto pur di entrare nel ciclo di produzione senza poterne uscire, facendo leva sul desiderio continuamente indotto.
Non è vero che la tecnica è neutra e dipende dall'uso che ne facciamo, poiché ormai è essa che ci usa e stabilisce gli usi confacenti al suo produrre, programmandoli al massimo delle possibilità. E' la tecnologia che detta la morale che si riduce a pura morale d'uso, non certo noi, e questa morale è necessariamente del tutto indifferente all'umano: ormai è l'uomo che, in quanto mezzo produttivo, non è più né buono né cattivo, ma solo funzionale o meno al calcolo dell'efficienza massima di produzione del sistema complessivo; pensare in termini di buono e cattivo secondo i vecchi parametri etici è già decisamente antiquato: essenziale è solo funzionare nel modo più pianificabile e prevedibile possibile. Per questo l'autocoscienza, tecnicamente parlando, è una complicazione indebita, comporta costi eccessivi, è ormai un lusso che non ci si può permettere per evitare errori di programmazione imprevisti. I falsi bisogni invece sono un'assoluta necessità tecnica, basta convincere che non sono per nulla falsi, ma diritti perpetuamente ribaditi a cui non si può rinunciare per vivere.
Citazione di: sgiombo il 24 Maggio 2016, 21:18:51 PM
Non sto affatto dicendo che la condizione di assenza di rischio data dall' inesistenza é in ogni caso meglio della condizione di rischio data dall' esistenza.
Sto invece dicendo che il correre un rischio (qualsiasi, in generale; e in particolare il rischio dell' infelicità che la vita comporta) dovrebbe unicamente, necessariamente essere, secondo giustizia, conseguenza di una libera scelta di chi eventualmente decida di correrlo (oppure di non correrlo); e che il doverlo forzatamente correre per una scelta altrui, subita passivamente e non assunta liberamente di propria iniziativa o per lo meno liberamente accettata (dando il proprio consenso a chi semplicemente si limitasse a proporcela, e non invece ce la imponesse forzatamente, senza chiedere il nostro consenso), significa patire un' ingiusta prepotenza.
Ma chi questo chi a cui viene sottratto il rischio di decidere se non esiste e scegli (
tu, alla luce della tua coscienza sull'esistenza e non certo lui) di non farlo in ogni caso esistere? Non è forse ancora un arbitrio questa decisione che sei pur sempre solo tu a prendere in base alla regola che non correre alcun rischio è in assoluto meglio del correrli?
Se non è giusto imporre forzatamente ad altri di correre rischi perché dovrebbe essere giusto imporre loro di non correrli?
Sempre imposizione è da parte di chi decide per un altro.
Ma tutto questo discorso non ha senso logico, proprio poiché qui si sta parlando di un puro astrattissimo e generalissimo esserci in quanto tale, un esserci che si incarnerà in gioie e dolori, e quindi correrà rischi, ma solo se ci sarà e solo se ci sarà potrà valutare,
lui a posteriori con la sua esistenza, e non tu a priori, se di correre tutto questo rischio di esistere in quanto tale è valsa la pena o no.
CitazioneEsempio (molto banale; me ne scuso):
Secondo te é giusto prelevare con l' inganno i risparmi di un altro e fare a suo nome, senza il suo consenso, un investimento (che magari si rivelerà fruttuoso e gli arrecherà grossi guadagni)?
Ma certo che non è giusto, ma quest'altro a cui sottraggo i risparmi esiste! Se io faccio nascere un figlio non lo inganno prelevandogli qualcosa da mettere a rischio. Cosa gli prelevo? Cosa gli metto a rischio? La sua inesistenza forse? La sua possibilità di scegliere se correre rischi o meno? Se non esiste cosa gli sottraggo di suo e cosa di suo metto a rischio?
Citazione di: maral il 24 Maggio 2016, 22:30:34 PM
Citazione di: cvc il 24 Maggio 2016, 20:40:17 PM
A differenza dei cavalli da tiro, i lavoratori umani pagano tasse che servono per erogare le pensioni e sostenere lo stato sociale.
E infatti ormai da tempo ormai lo stato sociale è considerato il principale ostacolo alla crescita.
Certo si può discutere se la tecnologia sia legata o meno al capitalismo e cosa sia funzionale a cosa. Ad esempio Severino ne vede chiara la contrapposizione essendo il capitalismo in funzione dell'incremento del capitale, mentre la tecnica finalizzata alla soddisfazione di qualsiasi bisogno. E tra le due cose in contesa lui dice che sarà inevitabilmente la tecnica a prevalere. Io però non ne sono così sicuro: la tecnica ha avuto un ottimo alleato nel capitalismo, proprio poiché è esso che determina e fa permanere quello stato di bisogno che la tecnica ha lo scopo di soddisfare continuamente. La tecnica ha necessità di una domanda per continuare a produrre, il capitalismo ha necessità di una domanda per incrementare il capitale, dato che il capitale che si incrementa su se stesso, senza prodotto tecnico, è pura e catastrofica illusione. Entrambi hanno quindi bisogno della domanda in perfetta sinergia. Il problema su come sostenere la domanda è un problema tecnico e dunque il capitalismo muterà per quegli aspetti che si dimostreranno tecnicamente inadeguati al sostenimento della necessità di un consumo continuo e senza intoppi di quanto viene prodotto per non rischiare (come già accade) di finire sommersi da una marea di prodotto non consumato, ossia non immediatamente smaltito con il conseguente rischio di paralisi delle produzioni, alla cui efficienza la tecnica non può mai rinunciare. La ridistribuzione della ricchezza può funzionare, ma fino a un certo punto, poiché ciò che si rende veramente necessario è stimolare continuamente il bisogno di beni per produrli, è costringere a fare di tutto pur di entrare nel ciclo di produzione senza poterne uscire, facendo leva sul desiderio continuamente indotto.
Non è vero che la tecnica è neutra e dipende dall'uso che ne facciamo, poiché ormai è essa che ci usa e stabilisce gli usi confacenti al suo produrre, programmandoli al massimo delle possibilità. E' la tecnologia che detta la morale che si riduce a pura morale d'uso, non certo noi, e questa morale è necessariamente del tutto indifferente all'umano: ormai è l'uomo che, in quanto mezzo produttivo, non è più né buono né cattivo, ma solo funzionale o meno al calcolo dell'efficienza massima di produzione del sistema complessivo; pensare in termini di buono e cattivo secondo i vecchi parametri etici è già decisamente antiquato: essenziale è solo funzionare nel modo più pianificabile e prevedibile possibile. Per questo l'autocoscienza, tecnicamente parlando, è una complicazione indebita, comporta costi eccessivi, è ormai un lusso che non ci si può permettere per evitare errori di programmazione imprevisti. I falsi bisogni invece sono un'assoluta necessità tecnica, basta convincere che non sono per nulla falsi, ma diritti perpetuamente ribaditi a cui non si può rinunciare per vivere.
Sullo stato sociale come ostacolo della crescita credo che sia una questione di posizione ideologica. Secondo i paesi più liberisti come gli USA lo stato sociale è insostenibile ed è di fatto inesistente, nei paesi del nord Europa come la Germania una spesa sociale elevata (livello Italia) non ha affatto impedito la crescita. La tecnica è strumento del capitalismo perché c'è l'idea di fondo che le risorse concentrate nelle mani di pochi possono, grazie appunto alla tecnica, produrre di più che se fossero divise fra molti. Accentramento della ricchezza e sfruttamento tecnologico delle risorse sono un tutt'uno. Anche dal punto di vista del sostegno della domanda la tecnica si mostra congeniale, in quanto la sua rapida evoluzione innovativa rende subito obsoleti i beni in circolazione, così che vengono sostituiti prima che esauriscono il loro ciclo di utilizzo.Non penso che sia la tecnica a dettare la morale, ma piuttosto l'uomo che essendosi assuefatto ad un elevato livello di benessere, si sente sempre più vincolato alla tecnologia nella speranza che possa sempre compiere nuovi miracoli. E questo è immorale, che l'uomo si affidi alla tecnica prima che a se stesso.L'autocoscienza diventa una complicazione indebita per l'uomo reso stupido dal troppo benessere e da una vita troppo semplificata, resa troppo assimilabile dall'automatizzazione delle macchine, un passaggio dall'analogico al digitale che per amore dell'efficienza rende il pensiero comune un fastidio e un intralcio. L'unico pensiero che conta deve essere quello che porta all'innovazione tecnica e che alimenta il solito ciclo di produzione, consumo, crescita, benessere.Ma se si esce da questo torpore si può scorgere il vero valore dell'autocoscienza, la possibilità unica che abbiamo di interrogarci sul senso dell'esistenza, di contemplare la realtà che ci circonda oltre i pregiudizi, i miti, le opinioni sconsiderate.
Il mio intervento non era volto alle discrrinazioni socio-economiche mondiali, ma di quanto l'autocoscienza dell'uomo occidentale produca contraddizioni e sia decadente.
Per quanto sia ancora il primo mondo e non si muoia di sete, fame, l'opulenza stride con la coscienza .Sgiombo la coscienza non è un orpello che a comando l'uomo può fingere di non avere, gli "rode" comunque. Mangia davanti al telegiornale e gli arrivano in casa le immagini ed eventi del mondo.La demografia del mondo occidentale o è in stasi o sta diminuendo e non per sterilità, ma per scelta, per volontà E' talmente vigliacco che sceglie il suicidio dell'estinzione pur di mantenere quell'ipocrita opulenza,E intanto la coscienza "rode"
Il "vero"povero non si fa l'elucubrazioni dell'occidentale; storicamente siamo nella fase in cui lì'impero romano è decadente e debosciato e arrivano i barbari determinati e affamati. Loro sanno cosa vogliono, noi non lo sappiamo più.
Noi siamo sbandati e la nostra cultura ha costruito una macchina in cui lo sterzo è bloccato, o forse manco c'è più.
C' è chi ne è consapevole, c'è chi finge di non vedere o fa le tre scimmiette, ma tutti sono accomunati da una sorta di malessere dentro un benessere
Maral:
Ma chi questo chi a cui viene sottratto il rischio di decidere se non esiste e scegli (tu, alla luce della tua coscienza sull'esistenza e non certo lui) di non farlo in ogni caso esistere? Non è forse ancora un arbitrio questa decisione che sei pur sempre solo tu a prendere in base alla regola che non correre alcun rischio è in assoluto meglio del correrli?
Rispondo (Sgiombo):
Se genero un figlio, allora il figlio che genero (anche se non c'é ancora al momento in cui decido di generarlo) é comunque vittima di un' ingiusta repotenza da parte mia nell' imporgli forzatamente e non consensualmente il rischio dell' infelicità (come lo é dell' imposizione delle sofferenze conseguenti la malattia genetica il figlio che genero inevitabilmente portatore della malattia stessa, anche se, allo stesso identico modo, non c'é ancora al momento in cui decido di generarlo).
Se invece non lo genero mi astengo dall' imporre ingiustamente alcunché forzatamente a chichessia.
Vedo che continui a fraintendermi attribuendomi ancora la credenza nella "regola che non correre alcun rischio è in assoluto meglio del correrli".
Può anche essere meglio correrli (e nel mio personale caso é certamente meglio), ma non é questo il problema, bensì quello della libertà o meno (ovvero la costrizione) nel correrli: la libertà é giusta, la costrizione é un' ingiusta prepotenza.
Maral:
Se non è giusto imporre forzatamente ad altri di correre rischi perché dovrebbe essere giusto imporre loro di non correrli? Sempre imposizione è da parte di chi decide per un altro.
Rispondo (Sgiombo):
Ma se genero un figlio gli impongo (a lui. al figlio stesso) forzatamente, ingiustamente i rischi della vita; mentre se non genero nessuno non faccio alcuna ingiusta imposizione a nessuno.
Maral:
Ma tutto questo discorso non ha senso logico, proprio poiché qui si sta parlando di un puro astrattissimo e generalissimo esserci in quanto tale, un esserci che si incarnerà in gioie e dolori, e quindi correrà rischi, ma solo se ci sarà e solo se ci sarà potrà valutare, lui a posteriori con la sua esistenza, e non tu a priori, se di correre tutto questo rischio di esistere in quanto tale è valsa la pena o no.
Rispondo (Sgiombo):
Ovviamente se sia valsa la pena o meno di correre un certo rischio lo si può valutare solo a posteriori.
Ma una decisione é rischiosa proprio per il fatto che non se ne consoce con certezza l' esito a priori.
Ed é palesemete ingiusto che non la prenda liberamente o meno chi ne dovrà subire le conseguenze, che la scelta gli sia forzatamente imposta da altri (anche se con le migliori intenzioni).
Sgiombo:
Esempio (molto banale; me ne scuso):
Secondo te é giusto prelevare con l' inganno i risparmi di un altro e fare a suo nome, senza il suo consenso, un investimento (che magari si rivelerà fruttuoso e gli arrecherà grossi guadagni)?
Maral:
Ma certo che non è giusto, ma quest'altro a cui sottraggo i risparmi esiste! Se io faccio nascere un figlio non lo inganno prelevandogli qualcosa da mettere a rischio. Cosa gli prelevo? Cosa gli metto a rischio? La sua inesistenza forse? La sua possibilità di scegliere se correre rischi o meno? Se non esiste cosa gli sottraggo di suo e cosa di suo metto a rischio?
Rispondo (Sgiombo):
Anche se imponi al figlio la malattia genetica di cui sei poratore la imponi (e ne sei pienamente responsabile verso di lui) a qualcuno che, allo stesso modo, non esite al momento della tua decisione.
Al figlio che generi (anche se non esiste ovviamente al momento di questa tua decisione, fatto del tutto irrilevante) imponi il rischio della propria infelicità.
Infatti non gli sottrai nulla bensì gli imponi qualcosa (ingiustamente): il rischio di essere infelice.
Ingiusto non é solo il sottrarre indebitamente qualcosa ma anche l' imporlo (altrattanto indebitamente!
Citazione di: cvc il 24 Maggio 2016, 23:21:58 PM
Sullo stato sociale come ostacolo della crescita credo che sia una questione di posizione ideologica. Secondo i paesi più liberisti come gli USA lo stato sociale è insostenibile ed è di fatto inesistente, nei paesi del nord Europa come la Germania una spesa sociale elevata (livello Italia) non ha affatto impedito la crescita.
Mi pare dimentichi che anche in Germania le tutele dello stato sociale sono state comunque ridotte.
La tecnica non è più strumento del capitalismo né di qualsiasi ideologia, ma è il capitalismo (e qualsiasi altra ideologia) ormai a essere strumento per la tecnica, ossia strumento che funziona per garantire l'efficacia e l'efficienza sistemica di produzine. La domanda è del tutto inserita nl sistema tecnico produttivo, poiché è indispensabile non per incrementare il capitale, ma per il continuo smaltimento del prodotto che rende possibile il continuare ad aumento di produzione (per cui è per ragioni tecniche che occorre un'obsolescenza programmata- materiale e psicologica- del prodotto che ne stimola il consumo), un aumento che è del tutto autoreferenziale, che non vede altro scopo oltre se stesso e utilizza ogni altro scopo (utili economici compresi) per se stesso. La concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi è effetto dello sviluppo tecnico, ma potrà essere corretto in ragione della tecnica stessa se si dimostrerà controproducente al produrre.
Nemmeno io penso che debba essere la tecnica a dettare la morale, ma di fatto è così: buono è ormai ciò che tecnicamente funziona in modo prevedibile, costante, secondo programmazione. E anche il vero ormai ha solo il senso del tecnicamente utilizzabile. La domanda è piuttosto se è ancora possibile opporre una resistenza a questa riduzione di ogni significato al funzionamento e in quali termini, con quali risorse che non appartengano esse stesse alla tecnica.
La tecnica fin dalle origini (che coincidono con le origini del genere umano, come ricorda il mito prometeico) ha per scopo la semplificazione, la riduzione della resistenza a scopo manipolativo, il problema è che questo scopo manipolativo (poietico) è diventato del tutto fine a se stesso (è diventato pura praxis) di cui pure il benessere reale derivante dalla "facilitazione tecnica" alla fine è solo strumento e per lo più illusorio.
L'autocoscienza è utile a mantenere una visione critica del disegno tecnico sul mondo, ma pure la coscienza che si ha di se stessi si forma in ragione di ciò che si viene a fare nel mondo, non è un'entità separata autonoma che domina dal di fuori della dimensione dell'agire, ma istituisce la visione del soggetto a partire da ciò che fa e usa per fare. Per questo oggi l'esigenza tecnica sull'uomo che ne rende inevitabile la disumanizzazione (la decostruzione di quel significato umano che ci è stato fin qui evidente) rende critica in termini di contraddizioni estremamente angoscianti la posizione stessa dell'uomo.
Citazione di: sgiombo il 25 Maggio 2016, 09:01:45 AM
Ma se genero un figlio gli impongo (a lui. al figlio stesso) forzatamente, ingiustamente i rischi della vita; mentre se non genero nessuno non faccio alcuna ingiusta imposizione a nessuno.
In ogni caso si decide e si impone una decisione (se è meglio correre il rischio di esistere o no, poiché anche la decisione per una non procreazione impone la scelta di chi così ha deciso) e ovviamente non può che essere così, dato che ciò per cui si decide non esiste e dunque non ha alcuna libertà perché ne manca assolutamente la precondizione che è appunto la sua esistenza. E' evidente che il soggetto è libero solo se esiste, non se non esiste ma è pensato in ragione di una futura libertà di un'esistenza che però gli viene negata per salvaguardarlo dai rischi di quella stessa libertà. Qui non si decide in ragione di una aspetto concreto di esistenza, ma di principio, sull'esistenza stessa negandola, del tutto a priori e dunque del tutto arbitrariamente. Si decide (e si impone) in assoluto che non vale la pena di correre il rischio, ossia che non vale proprio comunque la pena di esistere, perché solo il nulla (non l'esistere) garantisce la libertà.
Se un giorno il figlio (esistente), maledirà il genitore che lo ha procreato per averlo procreato esponendolo così al dolore di vivere, è solo in quanto procreato che potrà farlo e lo farà in nome di un'assurdità che non ha alcun senso.
Può anche essere che l'autocoscienza esponga al pericolo di questo estremo nichilismo ontologico esistenziale radicalmente autocontraddittorio: perché c'è qualcosa anziché il nulla che
sarebbe tanto meglio - che se non altro rimanendo nel nulla
si sarebbe più liberi e tranquilli.
Citazione di: maral il 25 Maggio 2016, 11:01:51 AM
Citazione di: sgiombo il 25 Maggio 2016, 09:01:45 AM
Ma se genero un figlio gli impongo (a lui. al figlio stesso) forzatamente, ingiustamente i rischi della vita; mentre se non genero nessuno non faccio alcuna ingiusta imposizione a nessuno.
In ogni caso si decide e si impone una decisione (se è meglio correre il rischio di esistere o no, poiché anche la decisione per una non procreazione impone la scelta di chi così ha deciso) e ovviamente non può che essere così, dato che ciò per cui si decide non esiste e dunque non ha alcuna libertà perché ne manca assolutamente la precondizione che è appunto la sua esistenza. E' evidente che il soggetto è libero solo se esiste, non se non esiste ma è pensato in ragione di una futura libertà di un'esistenza che però gli viene negata per salvaguardarlo dai rischi di quella stessa libertà. Qui non si decide in ragione di una aspetto concreto di esistenza, ma di principio, sull'esistenza stessa negandola, del tutto a priori e dunque del tutto arbitrariamente. Si decide (e si impone) in assoluto che non vale la pena di correre il rischio, ossia che non vale proprio comunque la pena di esistere, perché solo il nulla (non l'esistere) garantisce la libertà.
Se un giorno il figlio (esistente), maledirà il genitore che lo ha procreato per averlo procreato esponendolo così al dolore di vivere, è solo in quanto procreato che potrà farlo e lo farà in nome di un'assurdità che non ha alcun senso.
Può anche essere che l'autocoscienza esponga al pericolo di questo estremo nichilismo ontologico esistenziale radicalmente autocontraddittorio: perché c'è qualcosa anziché il nulla che sarebbe tanto meglio - che se non altro rimanendo nel nulla si sarebbe più liberi e tranquilli.
CitazioneRinuncio a cercare ulteriormente di farti capire che la questione che ho posto non é quella se valga la pena o no di correre il rischio di vivere infelicemente ma dell' ingiustizia di imporre questo rischio ad altri; e che é possibile (e per nulla contraddittorio), ed é moralmente ingiusto, inaccettabile compiere prepotenze anche ai danni di chi ancora non esiste e le subirà al momento di iniziare ad esistere (mentre verso chi non inizierà mai ad esistere non é possibile perpetrare ingiustizie, e dunque non generando nessuno non se ne compiono).
E' almeno la quarta o quinta volta che ripetiamo inutilmente le stesse cose e per quanto mi riguarda credo che non valga la pena di insistere ulteriormente: per parte mia la discussione finisce qui.
Citazione di: sgiomboRinuncio a cercare ulteriormente di farti capire che la questione che ho posto non é quella se valga la pena o no di correre il rischio di vivere infelicemente ma dell' ingiustizia di imporre questo rischio ad altri
Ma è proprio questo il punto: l'ingiustizia di imporre il rischio ad altri ha come correlato (inevitabile, dato che il rischio in questione coincide con l'esistenza stessa)
l'ingiustizia di parimenti imporre che questo rischio non sia corso. Comunque termino anch'io qui, tanto più che non penso che questa preoccupazione sarà motivo di futura estinzione, dettata semmai a livello psichico dalla maturata coscienza di un orizzonte nichilistico dell'esistenza.
Nel paradosso per cui la nascita di una vita, cioè di una libertà, è presente una costrizione nei confronti di una vita che non decide essa di esistere sta tutta la finitezza ontologica e creaturale dell'uomo. Mentre Dio si autoafferma e in un certo senso "decide" di esistere, l'uomo riceve l'esistenza da una volontà esterna: è una non-libertà che però rende possibili tutte le altre libertà. Una libertà limitata ma è l'unica libertà umanamente possibile. La costrizione è qui "al servizio" della libertà. Quindi secondo me ha poco senso ritenere ingiusta la riproduzione in nome del valore della libertà, quanto più, come scritto prima, in riferimento a una vita che liberamente ha la possibilità di rimediare ad un'esistenza non desiderata attraverso il suicidio. Ma quale libertà c'è nell'assoluto non-essere? Porre la libertà come valore in base al quale rinunciare alla riproduzione ha un senso unicamente in riferimento alla libertà del genitore che con la nascita di un figlio si priva inevitabilmente di una fetta considerevole della propria libertà vitale, dei propri spazi, gravato dal peso della responsabilità di un accudimento. Ingiusta la riproduzione diviene quando non preceduta da un' onesta autovalutazione delle proprie capacità genitorali, solo per obbedire ad una sorta di fantomatico e moralistico (non morale) "dovere di riprodursi", come purtroppo troppo spesso accade anche oggi, finendo con la creazione di un'infelicità nei figli cresciuti da genitori non adatti ad esserlo e un'infelicità dei genitori schiavi di figli non profondamente e non onestamente davvero voluti
Citazione di: davintro il 27 Maggio 2016, 21:56:05 PM
Nel paradosso per cui la nascita di una vita, cioè di una libertà, è presente una costrizione nei confronti di una vita che non decide essa di esistere sta tutta la finitezza ontologica e creaturale dell'uomo. Mentre Dio si autoafferma e in un certo senso "decide" di esistere, l'uomo riceve l'esistenza da una volontà esterna: è una non-libertà che però rende possibili tutte le altre libertà. Una libertà limitata ma è l'unica libertà umanamente possibile. La costrizione è qui "al servizio" della libertà. Quindi secondo me ha poco senso ritenere ingiusta la riproduzione in nome del valore della libertà, quanto più, come scritto prima, in riferimento a una vita che liberamente ha la possibilità di rimediare ad un'esistenza non desiderata attraverso il suicidio.
CitazioneMa la nascita di una vita non solo rende possibili tutte le altre (comunque limitate!) libertà umane; essa rende anche possibile l' infelicità.
Ed é questo il motivo per il quale ritengo ingiusto imporla, dal momento che non é giusto imporre ad altri senza il loro consenso di correre dei rischi; e in particolare di correre il rischio di essere infelice.
Certo, come ho rilevato anch' io, la possibilità dell' eutanasia (e più in generale del suicidio) da parte dei figli che ritenessero troppo infelice la propria vita per essere ulteriormente vissuta può costituire un importante "attenuante" per chi, essendo dotato di autocoscienza, procrea.
Ma ancora più moralmente retto sarebbe l' evitare di imporre a qualcuno senza il suo consenso il rischio anche di un' infelicità di breve durata alla quale si può mettere fine con relativa facilità e in modo indolore (n.b.: assenza di dolore limitata alla sua fine, e non a quella vita complessivamente intesa).
Porre la libertà come valore in base al quale rinunciare alla riproduzione ha un senso unicamente in riferimento alla libertà del genitore che con la nascita di un figlio si priva inevitabilmente di una fetta considerevole della propria libertà vitale, dei propri spazi, gravato dal peso della responsabilità di un accudimento. Ingiusta la riproduzione diviene quando non preceduta da un' onesta autovalutazione delle proprie capacità genitorali, solo per obbedire ad una sorta di fantomatico e moralistico (non morale) "dovere di riprodursi", come purtroppo troppo spesso accade anche oggi, finendo con la creazione di un'infelicità nei figli cresciuti da genitori non adatti ad esserlo e un'infelicità dei genitori schiavi di figli non profondamente e non onestamente davvero voluti
CitazioneIl valore in base al quale ritengo che sarebbe doveroso astenersi dal procreare (il condizionale perché devo confessare che io stesso ho un figlio; che é fortunatamente complessivamente contento della vita: la questione che pongo non é per nulla autobiografica o comunque incentrata sulla mia propria vita ma generale) non é affatto quello della libertà, bensì quello della giustizia (il fatto che imporre forzatamente a chichessia senza averne il consenso di correre il rischio dell' infelicità non é giusto).
Quella dei limiti che la paternità impone alla propria libertà, degli impegni che comporta e dei doveri che impone, delle capacità che presuppone é tutt' altra questione (pure interessante, ma tutt' altra).
Faccio alcune considerazioni in ordine sparso, nell'ottica del paradigma materialistico.
1) Se si assume valido il paradigma materialistico, non è possibile parlare di responsabilità etica nell'agire umano: il libero arbitrio non esiste, l'agire umano è totalmente determinato dai condizionamenti interni ed esterni (anzi, solo esterni, poiché la dimensione interiore è solo un'illusione); e pertanto un uomo non è responsabile di ciò che fa, più di quanto lo sia una bicicletta per la strada che si trova a percorrere. Di conseguenza, anche il mettere al mondo dei discendenti non può essere né una colpa né un merito: semplicemente avviene, senza valore né significato.
2) Non sono i genitori a stabilire l'individuo che viene al mondo. I genitori al massimo possono decidere di mettere al mondo un essere umano, ossia un corpo, ma non sono loro a decidere qual è l'individuo che "entrerà" nel corpo che essi hanno deciso di generare. Anche se i miei genitori decisero, a suo tempo, di generare il loro primogenito, non c'è nulla che leghi necessariamente la loro decisione alla mia presenza qui, in questo corpo. Io potrei ancora essere nel Nulla, qualche altra individualità potrebbe trovarsi nel corpo che ora io sento di occupare. Perché dunque i genitori dovrebbero essere responsabili dell'eventuale infelicità dei loro figli, se il vero responsabile della nostra presenza in questo mondo è in Grande Nulla da cui inesplicabilmente siamo tratti?
3) Se mi guardo intorno, vedo più gente che apprezza la vita, rispetto a gente che non l'apprezza. Vedo più voglia di esistere, che voglia di morire o di non essere mai esistiti. Dare un nuovo essere umano l'opportunità di vivere, può anche essere un'imposizione (nel senso che non è stata scelta dal soggetto), ma un'imposizione più gradita che sgradita. Perché dunque precludersela?
4) La civiltà che dovesse giungere al punto di ritenere preferibile non esistere, per non rischiare l'infelicità, sarebbe una ben trista (sic) civiltà, la quale, se non ritrova la voglia di vivere, è davvero meglio che si estingua.
Loris Bagnara ha scritto:
Faccio alcune considerazioni in ordine sparso, nell'ottica del paradigma materialistico.
1) Se si assume valido il paradigma materialistico, non è possibile parlare di responsabilità etica nell'agire umano: il libero arbitrio non esiste, l'agire umano è totalmente determinato dai condizionamenti interni ed esterni (anzi, solo esterni, poiché la dimensione interiore è solo un'illusione); e pertanto un uomo non è responsabile di ciò che fa, più di quanto lo sia una bicicletta per la strada che si trova a percorrere. Di conseguenza, anche il mettere al mondo dei discendenti non può essere né una colpa né un merito: semplicemente avviene, senza valore né significato.
Rispondo:
Ma di che cavolo (mi scuso per l' eufemismo) di "paradigma materialistico" parli?!?!?!?!
Per il monismo materialistico (ergo: non per me) il pensiero cosciente é illusorio o si identifica con la materia (cerebrale), ma ciò non implica affatto necessariamente che la "macchina umana" non si comporti più o meno moralmente bene (oppure male).
Inoltre il materialismo non é necessariamente deterministico (ma se lo é, allora l' agire umano é per il materialismo determinato da condizionamenti intrinseci; esplicantisi nell' ambito della neurofisiologia).
Ma comunque il determinismo (monistico materialistico o meno) é compatibilissimo, anzi a mio parere necessario (é una conditio sine qua non!) perché possa darsi valenza etica (o valutabilità etica) dei comportamenti, che altrimenti non sarebbero conseguenza (sul piano ontologico; e dimostrazione sul piano gnoseologico) delle qualità morali più o meno buone dei loro autori ma solo del caso (e dunque casomai della maggiore o minore fortuna dei loro autori): sarebbe come se ogni azione umana fosse decisa dal lancio di una moneta o di una coppia di dadi.
Loris Bagnara ha scritto:
2) Non sono i genitori a stabilire l'individuo che viene al mondo. I genitori al massimo possono decidere di mettere al mondo un essere umano, ossia un corpo, ma non sono loro a decidere qual è l'individuo che "entrerà" nel corpo che essi hanno deciso di generare. Anche se i miei genitori decisero, a suo tempo, di generare il loro primogenito, non c'è nulla che leghi necessariamente la loro decisione alla mia presenza qui, in questo corpo. Io potrei ancora essere nel Nulla, qualche altra individualità potrebbe trovarsi nel corpo che ora io sento di occupare. Perché dunque i genitori dovrebbero essere responsabili dell'eventuale infelicità dei loro figli, se il vero responsabile della nostra presenza in questo mondo è in Grande Nulla da cui inesplicabilmente siamo tratti?
Rispondo:
"Grande nulla" a parte (espressione con la quale non capisco che cosa si possa intendere), in questa discussione (nella quale sto subendo un rekord di fraintendimenti difficilmente eguagliabile!) non affermo affatto che i genitori sono responsabili del' infelicità (eventuale! E per fortuna nella stragrande maggioranza dei casi inesistente come bilancio complessivo delle loro vite) dei figli, ma invece dell' imposizione ad essi (ingiusta in quanto non concordata; e non concordata in quanto non concordabile: impossibilità addirittura logica! E dunque da loro non liberamente accettata) DEL RISCHIO dell' infelicità.
Ragazzi, ma come fate a persistere così pervicacemente, immancabilmente nel fraintendere questa mia affermazione nei modi più fantasiosamente infondati?!?!?!?!
Chi genera figli (specialmente se in gran numero) certamente di fatto fa esistere molta più felicità che infelicità (SU QUESTO SONO PERFETTAMENTE D' ACCORDO!!!).
Ma commette un' ingiustizia imponendo forzatamente ad altri IL RISCHIO dell' infelicità (e per quanta felicità facesse esistere per tantissimi figli questa non basterebbe di certo a compensare l' infelictà che facesse toccare di fatto a uno solo di essi: il fatto di beneficiare 1000 pesrone non mi autorizza di certo a fare del male a una sola altra persona! Non giustificerebbe di certo il male che arrecassi alla milleunesima! O si dice "milleprima"?).
Noto peraltro che i (potenziali) genitori non possono nemmeno decidere se metteranno al mondo nessuno, oppure uno o due o anche più figli, con ciascun loro rapporto sessuale (salvo il caso usino anticoncezionali affidabili; oppure siano provatamente sterili).
Loris Bagnara ha scritto:
3) Se mi guardo intorno, vedo più gente che apprezza la vita, rispetto a gente che non l'apprezza. Vedo più voglia di esistere, che voglia di morire o di non essere mai esistiti. Dare un nuovo essere umano l'opportunità di vivere, può anche essere un'imposizione (nel senso che non è stata scelta dal soggetto), ma un'imposizione più gradita che sgradita. Perché dunque precludersela?
Rispondo:
Vedo anch' io quel che vedi tu.
Ma basta la possibilità dell' infelicità (per quanto poco probabile) per rendere ingiusta l' imposizione ad altri, non da loro liberamente accettata, dell' esistenza: ti sembrerebbe giusto imporre ad altri senza il loro consenso di giocare alla roulette russa nei termini che indico qui di seguito?
Ci sono 1000 pistole delle quali sola una carica; se si spara con quella ci si ammazza (o magari ci si condanna a un' esistenza fortemente invalidata e piena di dolore fisico e probabilmente anche mentale); se ci si spara con una delle altre 999 si ottiene il diritto di avere esudito il proprio principale desiderio (che sia essere coltissimo, ricchissimo, fortunatissimo con le donne, ecc.).
A me sembrerebbe PROFONDAMENTE INGIUSTO (e personalmente se potessi scegliere non acceteri il cimento, anche perché ho già altri modi di realizzare ragionevolmente, limitatamente i miei più forti desideri e credo di riuscire a controllare e superare piuttosto bene quelli irrealizzabili. MA QUESTO NON E' PER NULLA RILEVANTE !!! Cercate di capire! Vi prego: Sforzatevi!).
Loris Bagnara ha scritto:
4) La civiltà che dovesse giungere al punto di ritenere preferibile non esistere, per non rischiare l'infelicità, sarebbe una ben trista (sic) civiltà, la quale, se non ritrova la voglia di vivere, è davvero meglio che si estingua.
Rispondo:
Ma secondo giustizia ognuno può decidere in base ALLA PROPRIA voglia di vivere o meno e non PER CONTO DI ALTRI!
Dunque una civiltà, non che ritenesse preferibile non esistere (e dai!!!), bensì che decidesse di non imporre forzatamente il rischio dell' infelicità a chi non potesse decidere autonomamente se assumerselo o meno, sarebbe certamente triste, ma innanzitutto sarebbe giusta (e per niente affatto trista!).
@loris bagnara
Non sono molto d'accordo che si vede più felicità che infelicità, più voglia di vivere che di morire. Profonde sono le radici della sofferenza che molti, moltissimi nascondono sotto una maschera di felicità. Spesso questa maschera non disegna un sorriso, ma un ghigno malcelato e la volontà di vivere un mero istinto naturale, un desiderare senza fine di arrivare infine a quella felicità che ci insegnano a cercare...ma non a trovare! Quasi sempre ci trova prima la morte...sorella morte , come direbbe Francesco d'Assisi, che può rivelarsi soave, liberante da questo groviglio inestricabile di passioni mai veramente appagate. Spesso molte persone che ho incontrato nella mia vita, e che mi sembravano le più felici e soddisfatte di sè, si rivelavano, appena aprivano il luoro cuore, le più tormentate dall'infelicità.
Quante persone , per esempio, che vivono l'esperienza di avere dei figli malati o con handicap, ti dicono di essere serene, che sperimentano l'amore di Dio, ecc. e però...però...il loro occhi non dicono le stesse parole e la maschera che portano a volte viene rigata dalle lacrime. No signori...chi dice di essere felice quasi sempre mente e soprattutto, con più forza ancora, mente a se stesso.
Più aumenta nel nostro animo la consapevolezza di quanto profondo è il dolore di vivere, più sorge spontanea la domanda che ha posto Sgiombo all'inizio. Sembrerò cinico ma credo che, se sulla Terra siamo arrivati ad essere miliardi di esseri umani, è perchè la consapevolezza è inversamente proporzionale al desiderio che spinge sempre in avanti questo formicaio chiamato umanità. Non troveremo mai la felicità, se non per brevi momenti fuggevoli.
Paradigma materialista, monismo materialista, concezione meccanicista... Comunque la si chiami, è una concezione secondo cui l'universo, dicevano gli scienziati del XIX secolo, è come il meccanismo di un orologio: totalmente determinato da leggi fisiche.
E se l'universo è come un grande orologio, noi esseri umani non siamo altro che piccoli orologi a cucù, che credono di fare cucù quando pare a loro, mentre invece lo fanno solo quando scocca l'ora. Se vogliamo parlare di etica per gli esseri umani, allora dobbiamo parlare di etica per gli orologi a cucù, per le biciclette, per i computer etc etc. Altrimenti non c'è coerenza.
Se la coscienza è illusoria, lo sono anche i valori morali posti a fondamento di un'etica pure illusoria...
Del resto non sono io a dire che è necessario postulare il libero arbitrio affinché si possa parlare di etica: lo ha già detto Kant, ad esempio, nella Critica della ragion pratica. Ma non è certo l'unico. Piuttosto, io non conosco filosofi che ritengano ammissibile parlare di etica senza riconoscere, almeno in parte, il libero arbitrio.
E se anche volessimo attenuare la rigida concezione meccanicista, ed introdurre un'aliquota di indeterminazione nei fenomeni fisici, non cambierebbe granché: otterremmo solo il risultato di far dipendere le azioni umane, anziché da cause materiali, dal caso. Ancora, non avrebbe senso parlare di etica.
Cos'è il Grande Nulla? Nella concezione meccanicista l'io-sono è un'illusione, che sorge dal Nulla e ritorna nel Nulla.
Ecco, proprio questo è il Grande Nulla; quel mago che tira fuori dal cappello, vuoto, dei conigli bianchi, che poi saremmo noi.
Lo so che sembra assurdo, tanto più che è la stessa scienza materialista a sbandierare la scoperta che "nulla si crea dal nulla"; e invece, questa magia, la scienza la riserva proprio al solo fenomeno dell'autocoscienza... Non pare un po' incoerente?
I genitori sarebbero responsabili dell'imposizione della vita a soggetti che non l'hanno scelta; se capitasse poi che questi soggetti fossero infelici, allora si potrebbe dire che i genitori sono indirettamente responsabili dell'infelicità dei loro figli. Questo intendevo.
Ma se si considerasse tale imposizione un'ingiustizia, se dunque si giudicasse che generare figli è un'ingiustizia che sarebbe meglio non compiere, quale sarebbe il risultato? La civiltà umana che decidesse di attenersi coerentemente a questo codice etico semplicemente sparirebbe, perché naturalmente non c'è alcun modo di chiedere al "concepturus" se vuol divenire "nasciturus".
Se questa è la conseguenza, non mi porrei nemmeno la domanda se tale codice etico sia giusto o meno: semplicemente, mi parrebbe più sensato non applicarlo, a meno che non ci si voglia abbandonare ad una sorta di romantico o decadente cupio dissolvi...
Loris Bagnara ha scritto:
Paradigma materialista, monismo materialista, concezione meccanicista... Comunque la si chiami, è una concezione secondo cui l'universo, dicevano gli scienziati del XIX secolo, è come il meccanismo di un orologio: totalmente determinato da leggi fisiche.
Rispondo:
No, questo (circa l' universo fisico - materiale; e limitatamente ad esso; il quale non esaurisce la realtà in toto) é semplcemente deteriminismo (non necessariamente legato al materialismo ma compatibile anche per lo meno con un dualismo fisico/mentale).
E per lo meno in una variante per così dire "novecentesca" (ammesso e non concesso da parte mia che il XX e XXI secolo abbiano visto il superamento del determinismo meccanicistico in fisica e nelle altre scienze naturali), "debole" o probabilistica - statistica é una conditio sine qua non della possibilità di conoscenza scientifica (della natura materiale stessa; e anche di valutabilità etica delle scelte, se attribuito, mutatis mutandis, ad agenti liberi da costrizioni ESTRINSECHE).
Loris Bagnara ha scritto:
E se l'universo è come un grande orologio, noi esseri umani non siamo altro che piccoli orologi a cucù, che credono di fare cucù quando pare a loro, mentre invece lo fanno solo quando scocca l'ora. Se vogliamo parlare di etica per gli esseri umani, allora dobbiamo parlare di etica per gli orologi a cucù, per le biciclette, per i computer etc etc. Altrimenti non c'è coerenza.
Se la coscienza è illusoria, lo sono anche i valori morali posti a fondamento di un'etica pure illusoria...
Rispondo:
C' é coerenza eccome!
Infatti biciclette e orologi a cucù, contrariamente all' uomo (e agli animali) non prendono autronomamente iniziative, ma sono manovrati dagli uomini (e se in modo intrinsecamente determinato dal loro modo di essere E NON LIBEROARBITRARIO = CASUALE, come personalmente credo, allora si tratta di iniziative autonome moralmente valutabili, caratterizzate da rilevanza etica: più o meno buone o malvage a seconda che siano intrinsecamente determinate dalla maggiore o minore bontà oppure malvagità dei loro autori, e non dal libero arbitrio = caso).
La coscienza (secondo me) non é affatto illusoria!
L' ho ribadito innumerevoli volte nel forum:
NON SONO MONISTA MATERIALISTA !!!.
Loris Bagnara ha scritto:
Del resto non sono io a dire che è necessario postulare il libero arbitrio affinché si possa parlare di etica: lo ha già detto Kant, ad esempio, nella Critica della ragion pratica. Ma non è certo l'unico. Piuttosto, io non conosco filosofi che ritengano ammissibile parlare di etica senza riconoscere, almeno in parte, il libero arbitrio.
E se anche volessimo attenuare la rigida concezione meccanicista, ed introdurre un'aliquota di indeterminazione nei fenomeni fisici, non cambierebbe granché: otterremmo solo il risultato di far dipendere le azioni umane, anziché da cause materiali, dal caso. Ancora, non avrebbe senso parlare di etica.
Rispondo:
Non seguo acriticamente l' autorità di Kant né di chichessia (nemmeno quella del grandissimo David Hume! Che non ne sarebbe affatto contento). L' autrità non é argomento valido in filosofia (e in secienza), se non come mero "stimolo euristico" ad esercitare autonomamente il proprio senso critico.
Ma ti informo che esiste un importante filone di pensiero detto "compatibilista" che ritiene per l' appunto perfettamente compatibili determinismo ed etica; ed esistono filosofi (antichi, moderni e contemporanei) che ritengono, per me a ragione, il determinismo una conditio sine qua non dell' etica.
Quella che pressocché tutti i filosofi ritengono necessaria per la valutabilità etica dell' agire umano é la libertà DA CONDIZIONAMENTI ESTRINSECI (se un' altro con la forza mi costringe a non soccorrere un terzo che ne ha bisogno non sono io responsabile dell' omissione di soccorso bensì chi mi ci costringe, ovviamente!), non necesariamente (non affatto tutti) DA DETERMINISMI INTRINSECI!
A far dipendere le azioni umane (interamente) dal caso (e non solo parzialmente come nel caso di un determinismo "debole") é per l' appunto la tesi del libero arbitrio: proprio ad essa si può e deve applicare la considerazione che fa dipendere le azioni umane dal caso (e dunque le rende eticamente irrilevanti).
Loris Bagnara ha scritto:
Cos'è il Grande Nulla? Nella concezione meccanicista l'io-sono è un'illusione, che sorge dal Nulla e ritorna nel Nulla.
Ecco, proprio questo è il Grande Nulla; quel mago che tira fuori dal cappello, vuoto, dei conigli bianchi, che poi saremmo noi.
Lo so che sembra assurdo, tanto più che è la stessa scienza materialista a sbandierare la scoperta che "nulla si crea dal nulla"; e invece, questa magia, la scienza la riserva proprio al solo fenomeno dell'autocoscienza... Non pare un po' incoerente?
Rispondo:
Infatti sembra propio assurdo (e fìino a prova contraria lo é).
Ma si può benissimo essere meccannicisti circa la natura materiale (proprio cervello compreso) e credere (per fede, indimostrabilmente!) nell' esistenza di un soggetto della (propria) esperienza cosciente direttamente esperita, l' "io".
Le leggi di conservazione delle scienze naturali non sono afatto "magie" e men che meno "incoerenti", bensì, espressioni dell' (indimostrabile: Hume!) ordine e relarìtiva costanza del divenire naturale - materiale (che della sua conoscibilità scientifica, oltre che della valutabilità etica delle scelte di agenti coscienti liberi da condizionamenti ESTRINSECI, é un' indispensabile, necessaria conditio sine qua non).
Loris Bagnara ha scritto:
I genitori sarebbero responsabili dell'imposizione della vita a soggetti che non l'hanno scelta; se capitasse poi che questi soggetti fossero infelici, allora si potrebbe dire che i genitori sono indirettamente responsabili dell'infelicità dei loro figli. Questo intendevo.
Ma se si considerasse tale imposizione un'ingiustizia, se dunque si giudicasse che generare figli è un'ingiustizia che sarebbe meglio non compiere, quale sarebbe il risultato? La civiltà umana che decidesse di attenersi coerentemente a questo codice etico semplicemente sparirebbe, perché naturalmente non c'è alcun modo di chiedere al "concepturus" se vuol divenire "nasciturus".
Se questa è la conseguenza, non mi porrei nemmeno la domanda se tale codice etico sia giusto o meno: semplicemente, mi parrebbe più sensato non applicarlo, a meno che non ci si voglia abbandonare ad una sorta di romantico o decadente cupio dissolvi...
Rispondo:
Non vedo come l' imposizione non concordata, forzata di un rischio ad altri non possa non essere consderata un' ingiustizia (se così fosse, lo schiavismo e l' imposizione ai figli di matrimoni concordati fra i genitori degli sposi o i loro clan sarebbero giustissimi e sacrosanti!).
Se leggi il titolo stesso che ho dato a questa discussione puoi ben comprendere che l' estinzione della specie umana é proprio ciò che credo l' autocoscienza tenda a determinare (in tempi "biologici", ovviamente).
Non si tratta di alcun "romantico o decadente cupio dissolvi..." ma del tentativo di valutare criticamete ed eticamente la riproduzione umana (cioé di una specie animale dotata di autocoscienza; l' unica finora di fatto nota).
Se vogliamo, di "guardare coraggiosamente in faccia" la realtà.
@Sgiombo:
CitazioneLa coscienza (secondo me) non é affatto illusoria!
L' ho ribadito innumerevoli volte nel forum:
NON SONO MONISTA MATERIALISTA !!!.
Lo sappiamo bene che non sei un monista materialista, e nemmeno io lo sono.
Però nell'introdurre questo 3D hai dato un'impostazione esplicitamente "naturalista", e ho pensato che ciò fosse un invito a sviluppare delle considerazioni ponendosi nell'ottica della concezione meccanicista.
Ma se non è così, se possiamo parlare della coscienza come di una realtà non illusoria, allora tutto il discorso ovviamente cambia.
Il problema del libero arbitrio è estremamente complesso.
Io vedo quattro possibilità:
1) l'agire umano è dettato dal caso;
2) l'uomo è condizionato sia nel volere che nell'agire;
3) l'uomo è condizionato nel volere, ma libero nell'agire;
4) l'uomo è libero tanto nel volere quanto nell'agire.
Solo nel caso n. 4 si ha il libero arbitrio e pertanto si può parlare di piena responsabilità etica. Ma tale condizione di piena libertà (se non attuale, almeno potenziale e futura, come obbiettivo dell'evoluzione umana) non la si può dimostrare "naturalisticamente", la si può solo postulare come una necessità per poter parlare appunto di etica (come fece Kant, torno a dire). Un po' come non si può dimostrare naturalisticamente l'esistenza del Sé, ma lo si può solo postulare.
Il caso n. 3 potrebbe corrispondere alla posizione "
compatibilista", ma in tal caso non si può parlare di piena responsabilità etica, perché l'uomo in tale ottica può solo liberamente agire secondo i suoi voleri, ma non può "volere i suoi voleri". I suoi voleri e le sue inclinazioni sono la natura dell'individuo, rispetto a cui l'individuo è passivo, è soggetto, e dunque non libero, non autonomo, non pienamente responsabile. Anche la giustizia terrena ammette questo principio quando riconosce che un individuo non può essere punito quando il suo comportamento delittuoso deriva dai condizionamenti della sua natura (ad esempio, disturbi psichici), benché il soggetto possa sempre, in teoria, comportarsi in modo da non assecondare i propri impulsi.
@Sgiombo:
CitazioneLe leggi di conservazione delle scienze naturali non sono afatto "magie" e men che meno "incoerenti",
Qui c'è stata un'incomprensione. Ovviamente la legge di conservazione non è una magia e non è incoerente. L'incoerenza a cui alludevo è nel fatto che la scienza meccanicista e riduzionista applica tale legge a tutti i fenomeni fisici ma NON al fenomeno della coscienza. Per la scienza riduzionista è perfettamente ammissibile ritenere che la coscienza sia un'illusione che sorge dal nulla e sparisce nel nulla (è questa la magia a cui alludevo); e si sente legittimata a farlo proprio perché descrive la coscienza come un'illusione e non come un fenomeno reale.
@Sgiombo:
CitazioneNon vedo come l' imposizione non concordata, forzata di un rischio ad altri non possa non essere consderata un' ingiustizia (se così fosse, lo schiavismo e l' imposizione ai figli di matrimoni concordati fra i genitori degli sposi o i loro clan sarebbero giustissimi e sacrosanti!).
Ammettiamo pure che l'imposizione della vita sia un'ingiustizia.Mi pare allora che il problema si riduca al confronto fra due valori: uno, è il principio di giustizia di cui sopra; l'altro, è il valore che si attribuisce alla vita.
Io sono convinto che nessuna civiltà umana arriverà mai ad attribuire ad un astratto principio di giustizia un valore superiore a quello della vita, che resta il fenomeno più straordinario dell'universo.E sono convinto, pertanto, che non sarà questo principio etico la causa dell'estinzione della specie umana.
Citazione di: Loris Bagnara il 01 Giugno 2016, 12:04:24 PMLoris Bagnara ha scritto:
Il problema del libero arbitrio è estremamente complesso.
Io vedo quattro possibilità:
1) l'agire umano è dettato dal caso;
2) l'uomo è condizionato sia nel volere che nell'agire;
3) l'uomo è condizionato nel volere, ma libero nell'agire;
4) l'uomo è libero tanto nel volere quanto nell'agire.
Solo nel caso n. 4 si ha il libero arbitrio e pertanto si può parlare di piena responsabilità etica. Ma tale condizione di piena libertà (se non attuale, almeno potenziale e futura, come obbiettivo dell'evoluzione umana) non la si può dimostrare "naturalisticamente", la si può solo postulare come una necessità per poter parlare appunto di etica (come fece Kant, torno a dire). Un po' come non si può dimostrare naturalisticamente l'esistenza del Sé, ma lo si può solo postulare.
Il caso n. 3 potrebbe corrispondere alla posizione "compatibilista", ma in tal caso non si può parlare di piena responsabilità etica, perché l'uomo in tale ottica può solo liberamente agire secondo i suoi voleri, ma non può "volere i suoi voleri". I suoi voleri e le sue inclinazioni sono la natura dell'individuo, rispetto a cui l'individuo è passivo, è soggetto, e dunque non libero, non autonomo, non pienamente responsabile. Anche la giustizia terrena ammette questo principio quando riconosce che un individuo non può essere punito quando il suo comportamento delittuoso deriva dai condizionamenti della sua natura (ad esempio, disturbi psichici), benché il soggetto possa sempre, in teoria, comportarsi in modo da non assecondare i propri impulsi.
Rispondo:
Il caso 4 (se per "l' uomo è libero nell' agire" si intende la totale assenza di costrizioni estrinseche) è evidentissimamente irrealistico (ora e in qualsiasi futuro possibile): si tratterebbe dell' "onnipotenza divina".
E non è che semplicemente postulando -ad libitum- l' impossibile si possa farlo diventare possibile (si ricadrebbe nella condizione dell' "onnipotenza divina").
E comunque, anche nel caso 4, il problema è che se di dà libero arbitrio (=non determinismo intrinseco bensì casualità di comportamento), allora non si può parlare di alcuna "responsabilità etica" poiché il comportamento di cui si tratta non può in alcun modo essere considerato più o meno eticamente buono o malvagio a seconda che sia intrinsecamente determinato dalla maggiore o minore bontà oppure malvagità del suo soggetto agente, bensì solamente casuale, fortuito: è esattamente se come se fosse determinato in base al lancio di una moneta o di dadi.
Il caso n. 3 corrispondere pienamente alla posizione "compatibilista", e in tal caso si può benissimo parlare di piena responsabilità etica, perché l'uomo in tale ottica può solo liberamente agire secondo i suoi voleri: se è buono vuole il bene, se malvagio vuole il male: le sua scelte conseguono alle (e dimostrano le) sue qualità morali (e non al caso = indeterminismo intrinseco = libero arbitrio).
E questo è precisamente ciò che si intende per "responsabilità etica".
Ovviamente non può "volere i suoi voleri": si tratta di una impossibilità logica: se avesse voluto (volontà2) i suoi attuali voleri (volontà1), allora la volontà2 se la sarebbe ritrovata senza averla voluta, se non in conseguenza di una ulteriormente precedente volontà3; a meno di cadere in un illogicissimo regresso all' infinito: volontà4, volontà 5 e così via senza mai arrivare a una volontà non subita passivamente.
In fatti la "giustizia terrena", che riconosce che un individuo non può essere punito quando il suo comportamento delittuoso deriva dai condizionamenti della sua natura (ad esempio, disturbi psichici), se fosse conseguente dovrebbe astenersi sempre dal punire chiunque (mai) dal momento che nessuno può essere come è e conseguentemente agire come agisce in conseguenza di una sua libera scelta non dovuta a come fosse (non per sua libera scelta) al momento di compierla.
Ma il fatto è che -a costo di cadere nell' incoerenza- bisogna pur imporre una giustizia, anche se ciascuno di noi inevitabilmente (inevitabilità "logica") si trova ad essere come è e ad agire come agisce non per sua volontà (e questo è fra l' altro un ulteriore motivo per sostenere l' ingiustizia del mettere al mondo figli).
...C' é chi ha la sorte (fortuna) di essere più o meno buono e onesto e chi ha la sorte (sfortuna) di essere più o meno malvagio e disonesto: é inevitabile, a meno che onestà e disonesta, bontà e malvagità non esistessero e il comportamento umano fosse del tutto casuale, aleatorio (= liberoarbitrario).
Nel primo caso si avrebbero le caratteristiche etiche che si hanno per caso, nel secondo non si avrebbero caratteristiche etiche ma si agirebbe a caso (francamente non so che di che "importanza sostanziale" potrebbe essere la differenza, ma tertium non datur).
Loris Bagnara ha scritto:
"Le leggi di conservazione delle scienze naturali non sono affatto "magie" e men che meno "incoerenti", (Sgiombo)
Qui c'è stata un'incomprensione. Ovviamente la legge di conservazione non è una magia e non è incoerente. L'incoerenza a cui alludevo è nel fatto che la scienza meccanicista e riduzionista applica tale legge a tutti i fenomeni fisici ma NON al fenomeno della coscienza. Per la scienza riduzionista è perfettamente ammissibile ritenere che la coscienza sia un'illusione che sorge dal nulla e sparisce nel nulla (è questa la magia a cui alludevo); e si sente legittimata a farlo proprio perché descrive la coscienza come un'illusione e non come un fenomeno reale.
Rispondo:
A me sembra che attribuire le leggi fisiche a tutti i fenomeni fisici (che sono anch' essi contenuti di coscienza -lo dice la parola stessa: "fenomeno"- anche se non esclusivi, esistendo con uguale "grado di realtà" o "valenza ontologica" anche quelli mentali) ma NON ai fenomeni mentali sia perfettamente coerente: sarebbe casomai incoerente non attribuirla a tutti i fenomeni fisici oppure pretendere di attribuirla a fenomeni che fisici non sono, cioé a quelli mentali.
E che per l' appunto il monismo materialistico, proprio nelle sua varianti riduzionistiche, compia invece proprio l' errore di pretendere di attribuire indebitamente le leggi fisiche anche ai fenomeni mentali.
Loris Bagnara ha scritto:
"Non vedo come l' imposizione non concordata, forzata di un rischio ad altri non possa non essere considerata un' ingiustizia (se così fosse, lo schiavismo e l' imposizione ai figli di matrimoni concordati fra i genitori degli sposi o i loro clan sarebbero giustissimi e sacrosanti!)" (Sgiombo).
Ammettiamo pure che l'imposizione della vita sia un'ingiustizia.
Mi pare allora che il problema si riduca al confronto fra due valori: uno, è il principio di giustizia di cui sopra; l'altro, è il valore che si attribuisce alla vita.
Io sono convinto che nessuna civiltà umana arriverà mai ad attribuire ad un astratto principio di giustizia un valore superiore a quello della vita, che resta il fenomeno più straordinario dell'universo.
E sono convinto, pertanto, che non sarà questo principio etico la causa dell'estinzione della specie umana.
Rispondo:
A parte la completa arbitrarietà e soggettività della considerazione della vita come "il fenomeno più straordinario dell'universo" (ma l' autocoscienza è della sola vita umana, almeno per quanto è dato finora di sapere), il male può anche essere "straordinario": pensa ai genocidi che sono stati può volte perpetrati (e non solo, come si pretenderebbe da qualcuno, quello tentato dai Nazisti contro gli Ebrei, che per chi non sia razzista non ha proprio nulla di sostanziale o rilevante che lo differenzi da ciascuno dei numerosi altri genocidi) o ai bombardamenti atomici del 1945 e ai loro effetti; ma non per questo cessa di essere male: da non farsi secondo gli imperativi etici
(lo é anzi a maggior ragione!)
Quanto all' autocoscienza come causa di estinzione dell' umanità "eticamente dettata", per me è solo un' ipotesi.
Ritengo più probabile che ben prima di potervi arrivare l' umanità si estinguerà "prematuramente e di sua propria mano" per la distruzione delle condizioni ambientali della sua sopravvivenza, in forma "acuta", in seguito a una guerra nucleare, oppure "cronica", in seguito alla devastazioni inevitabilmente connesse alla produzione-consumo tendenzialmente illimitata inevitabilmente imposta dai rapporti di produzione capitalistici in un ambiente limitato, dotato di risorse e "capacità rigenerative e di ripristino" limitate.
@Sgiombo:
CitazioneIl caso 4 (se per "l' uomo è libero nell' agire" si intende la totale assenza di costrizioni estrinseche) è evidentissimamente irrealistico (ora e in qualsiasi futuro possibile): si tratterebbe dell' "onnipotenza divina".
E non è che semplicemente postulando -ad libitum- l' impossibile si possa farlo diventare possibile (si ricadrebbe nella condizione dell' "onnipotenza divina").
E comunque, anche nel caso 4, il problema è che se di dà libero arbitrio (=non determinismo intrinseco bensì casualità di comportamento), [...]
Se nel mio elenco ho distinto il caso dal libero arbitrio c'era un motivo, non puoi ora appiattire il libero arbitrio riconducendolo al caso.
Il vero libero arbitrio non è il caso, ma è esattamente quel che hai detto: divino.
E' la manifestazione della scintilla divina che è nell'uomo.
Il percorso evolutivo dell'uomo (parlo nell'ottica della reincarnazione) porta proprio a liberarsi sempre più dai condizionamenti e a sviluppare, fino a manifestarla completamente, la libertà che è in lui. che è in ogni individuo. Ciò, ovviamente, in tempi enormemente lunghi.
Ma questa è la mia visione. "Mia" si fa per dire: diciamo quella che ho abbracciato dopo aver capito che, fra le tante visioni, questa è l'unica capace di dare un senso all'esistenza dell'uomo e dell'universo.
Citazione di: Loris Bagnara il 02 Giugno 2016, 14:39:32 PM
@Sgiombo:
CitazioneIl caso 4 (se per "l' uomo è libero nell' agire" si intende la totale assenza di costrizioni estrinseche) è evidentissimamente irrealistico (ora e in qualsiasi futuro possibile): si tratterebbe dell' "onnipotenza divina".
E non è che semplicemente postulando -ad libitum- l' impossibile si possa farlo diventare possibile (si ricadrebbe nella condizione dell' "onnipotenza divina").
E comunque, anche nel caso 4, il problema è che se di dà libero arbitrio (=non determinismo intrinseco bensì casualità di comportamento), [...]
Se nel mio elenco ho distinto il caso dal libero arbitrio c'era un motivo, non puoi ora appiattire il libero arbitrio riconducendolo al caso.
Il vero libero arbitrio non è il caso, ma è esattamente quel che hai detto: divino.
E' la manifestazione della scintilla divina che è nell'uomo.
Il percorso evolutivo dell'uomo (parlo nell'ottica della reincarnazione) porta proprio a liberarsi sempre più dai condizionamenti e a sviluppare, fino a manifestarla completamente, la libertà che è in lui. che è in ogni individuo. Ciò, ovviamente, in tempi enormemente lunghi.
Ma questa è la mia visione. "Mia" si fa per dire: diciamo quella che ho abbracciato dopo aver capito che, fra le tante visioni, questa è l'unica capace di dare un senso all'esistenza dell'uomo e dell'universo.
Citazione
Ma fra caso e ordine del divenire tertium non datur: o ciò che accade accade a casaccio, caoticamente, e ciò può implicare come suo caso particolare anche il libero arbitrio, oppure accade ordinatamente, deterministicamente (per lo meno in senso "debole" o "probabilistico–statistico": caso, imprevedibilità, incalcolabilità dei singoli eventi e ordine, prevedibilità, calcolabilità delle proporzioni fra i singoli eventi reciprocamente alternativi in insiemi sufficientemente numerosi di essi), e ciò è incompatibile con il libero arbitrio (in tutte e ciascuna le singola scelte nel caso del determinismo "forte", nelle proporzioni fra le singole scelte, cioé nel comportamento complessivo, in generale, nel caso del determinismo "debole", che lo ammette unicamente nella singola scelta: uno può compiere una singola scelta buona o cattiva a seconda che sia più o meno fortunato in quella determinata circostanza -irrilevanza etica, conseguenza e dimostrazione di circostanze fortuite- ma il complesso di tutte le sue scelte è determinato dal suo essere più o meno buono oppure malvagio: rilevanza etica, conseguenza e dimostrazione di qualità morali).