Secondo me un quesito difficile da risolvere riguarda il fatto se l'intelligenza e l'empatia (doti sicuramente UTILI...) rendono però l'uomo effettivamente più felice oppure portino ad aumentare complessivamente le ragioni di infelicità. Sicuramente essere intelligenti porta ad avere una maggiore istruzione (anche se non necessariamente....) e un buon livello di inserimento sociale, lavori più renumerativi, maggiore capacità di badare alla propria salute e al proprio benessere, tutti fattori che in teoria contribuiscono alla felicità. Avere intelligenza emotiva (empatia) porta poi anche a comprendere le intenzioni delle persone e quindi a tutelarsi, ad aiutarle meglio. Tuttavia, chi è molto intelligente soprattutto a livello emotivo oltre che cognitivo, proprio per il suo acume, si accorgerà prima degli altri delle ipocrisie, del fatto che gli altri agiscono spesso solo per il proprio meschino tornaconto, sono vili oppure sono conformisti come un gregge di pecore, spesso compiono azioni senza alcun senso vero e solo per conformismo e quindi l'intelligenza e la sensibilità lo porteranno ad essere più infelice e pessimista. Se si pensa oltretutto al caso di un bambino geniale e intelligentissimo, molto probabilmente sarà isolato dagli altri oppure egli stesso, per la sua intelligenza, tenderà a voler star da solo perché troverà gli altri (in fondo a ragione...) più stupidi e immaturi di lui, disprezzerà i loro giochi e i loro discorsi e questo causerà problemi al suo inserimento sociale. Molti psicologi stanno sempre di più notando come alcuni presunti disturbi della condotta e del comportamento siano addirittura associati a QI molto alti negli adolescenti e i problemi forse nascono proprio dal fatto che il soggetto iper-intelligente nota come determinate regole sociali (l'obbedienza a prescindere alle varie autorità ad esempio) e il conformismo siano in fondo delle routine immotivate e senza un vero fondamento, quindi finisce per sviluppare un carattere ribelle.
Di conseguenza secondo voi l'intelligenza contribuisce alla felicità oppure ne è un ostacolo? Ovviamente voglio solo discuterne, non pretendo di risolvere in un thread una questione così complessa.
Salve Socrate78 : Nulla di per sè è in grado di rendere felice od infelice la vita di un uomo.
La felicità (che io preferisco chiamare la soddisfazione esistenziale) se risulta raggiunta in modo stabile ed immutabile si chiama morte, se raggiunta per un breve attimo soltanto di chiama gioia, se fatta di nuvolette che giocano tra loro si chiama mutevole equilibrio.
Diciamo che l'intelligente avrà maggiori possibilità di vivere infelicemente se sarà circondato da imbecilli, mentre per l'mbecille dovrebbe accadere l'inverso (gli imbecilli sono dappertutto e si trovano bene quasi dappertutto).
Chi invece cerca e suscita empatia corre ugual rischio di venir sfruttato dai furbi o, a seconda delle vicende, aiutato dagli onesti.
Ma il contenuto esistenziale della vita del singolo rappresenta sempre l'inesplorabile. Saluti ed auguroni quasi in extremis.
Forse per le persone intellettivamente dotate la felicità è possibile se si accompagna ad una forza interiore che nei momenti decisivi della vita spinge a non guardarsi indietro, a concentrarsi sul piacere che viene dallo smascherare le illusioni e le ipocrisie piuttosto che sulla nostalgia di una maggiore integrazione sociale a tutti i costi.
Perché anche la conoscenza di tipo distruttivo dà piacere, gioia, quindi parziale felicità.
Non capisco la seguente frase di Viator: "La felicità (che io preferisco chiamare la soddisfazione esistenziale) se risulta raggiunta in modo stabile ed immutabile si chiama morte..."
La felicità coincide con il nulla? Con l'assenza di desideri?
A mio parere intelligenza/empatia sono prive di nesso con felicità/infelicità. Inoltre si può essere empatici e stupidi e/o non empatici e intelligenti.
Piccola nota a margine: empatico non coincide con altruista/buono. Molti serial killers sono empatici perché devono mettersi nei panni delle vittime per ghermirle o nei panni della polizia per non farsi scoprire.
Salve thomas-dQ. Benvenuto e Buon Anno. Certo, impossibile capire quanto ho scritto circa la felicità come condizione statica e permanente. Il senso, che qui riporto come estratto da quanto ho scritto in passato in questo Forum, sarebbe il seguente :
"La felicità consiste nello stato in cui risultino soddisfatti tutti i bisogni e tutti i desideri.
Nessuno la raggiunge da vivo poiché i bisogni (che solo semplicemente l'insieme di quelli detti "fisiologici") si rinnovano automaticamente mentre i desideri (che sono l'insieme delle facoltà, cioè di tutto cio che vorremmo fare una volta liberi dalla costrizione dei bisogni, e che consistono quindi semplicemente nella ricerca del piacere) ci perseguiteranno per tutta la vita a causa del nostro invincibile amore per le novità ed appunto i piaceri.
L'unica possibilità di raggiungere una felicità definitiva consiste quindi nell'eliminare in via definitiva sia i bisogni che i desideri.
Ovvio che solo la morte realizzi tale ultima e definitiva condizione.
Perciò la ricerca della vera felicità consiste nel voler trovare ciò da cui - se raggiunto - tutti vorrebbero sfuggire".
Ecco per quale ragione io sto alla larga dalla felicità assoluta, non cercandola, preferendo la "soddisfacente condizione esistenziale". Saluti.
Citazione di: Jacopus il 01 Gennaio 2019, 11:11:59 AM
A mio parere intelligenza/empatia sono prive di nesso con felicità/infelicità. Inoltre si può essere empatici e stupidi e/o non empatici e intelligenti.
Piccola nota a margine: empatico non coincide con altruista/buono. Molti serial killers sono empatici perché devono mettersi nei panni delle vittime per ghermirle o nei panni della polizia per non farsi scoprire.
E' vero.
Non so se dipenda da un pregiudizio, in genere però si dà per scontato che i superdotati intellettualmente non siano emotivi, empatici o ipersensibili, ma al contrario freddi e distaccati per un eccesso di razionalità che li allontana dalla gente normale. Sarebbe interessante scoprire se c'è un fondamento in questa opinione popolare, oppure se si tratta della solita bufala.
Ma ammettendo che un cervellone possieda anche il dono di un'empatia molto sviluppata, io credo che dovrebbe sentirsi terribilmente infelice scoprendo in quale valle di lacrime vive e constatando che i meno dotati intorno a lui/lei non sono in grado di capire, condividere o apprezzare la sua superiorità e le sue idee fuori del comune.
Cit. da Viator:CitazioneDiciamo che l'intelligente avrà maggiori possibilità di vivere infelicemente se sarà circondato da imbecilli, mentre per l'mbecille dovrebbe accadere l'inverso (gli imbecilli sono dappertutto e si trovano bene quasi dappertutto).
Infatti c'è questo rischio, non solo perché gli intelligenti mal sopportano la stupidità, soprattutto a lungo andare, ma anche perché, viceversa, i poco dotati e i mediocri hanno una caratteristica molto spiacevole: soffrono di antipatia (a volte proprio di odio viscerale) nei confronti di chi sentono diverso o peggio superiore a loro.
Invece di ammirarlo, lo deridono ed escludono.
In questi casi l'empatia non è d'aiuto, anzi complica le cose. Meglio forse l'indifferenza di chi si cura solo dei propri studi, per quanto faccia un po' tristezza pensare a una vita del genere, chiusi in una torre d'avorio.
Citazione di: Jacopus il 01 Gennaio 2019, 11:11:59 AM
A mio parere intelligenza/empatia sono prive di nesso con felicità/infelicità. Inoltre si può essere empatici e stupidi e/o non empatici e intelligenti.
Piccola nota a margine: empatico non coincide con altruista/buono. Molti serial killers sono empatici perché devono mettersi nei panni delle vittime per ghermirle o nei panni della polizia per non farsi scoprire.
Interessante questa estensione del concetto di empatia, che la interpreta in combinazione con l'intelligenza. Criminale in questo caso, ma nulla esclude che possa essere anche di segno e carattere opposto. Anche nella sua genesi, intendendo l'intelligenza come veicolo indispensabile per l'empatia. Per essere empatici bisogna, innanzitutto, capire cosa alberga nell'
altro. E questo è un esercizio di intelligenza.
Sulla domanda dell'argomento propenderei, illuministicamente, per la risposta positiva. Intendendo la felicità come consapevolezza di sè e del mondo di cui siamo parte. L'approccio al quale non può che essere empatico per essere felice. Col che non intendo il
buonismo, ma per ora mi fermo qui.
Il non empatico che però è intelligente secondo voi è comunque svantaggiato nelle relazioni e nella vita rispetto a uno di intelligenza normale/mediocre ma con alto tasso di empatia?
Salve Ipazia. "Intendendo la felicità come consapevolezza di sè e del mondo di cui siamo parte".
Scusa ma trovo fumoso il concetto. Sto pensando alla consapevolezza di sè di chi nasca tetraplegico e cieco ed alla sua eventuale consapevolezza di vivere magari in isolamento all'interno di un mondo a lui circostante in cui regna eventualmente una profonda miseria.
Il grado di felicità di ciascuno non è valutabile da alcuno. Per questo, secondo me, possiamo solo aggrapparci a disgustose, aride, lapidarie definizioni di una felicità astratta e solo tendenziale. Saluti.
Citazione di: viator il 02 Gennaio 2019, 15:52:24 PM
Salve Ipazia. "Intendendo la felicità come consapevolezza di sè e del mondo di cui siamo parte".
Scusa ma trovo fumoso il concetto. Sto pensando alla consapevolezza di sè di chi nasca tetraplegico e cieco ed alla sua eventuale consapevolezza di vivere magari in isolamento all'interno di un mondo a lui circostante in cui regna eventualmente una profonda miseria.
Il grado di felicità di ciascuno non è valutabile da alcuno. Per questo, secondo me, possiamo solo aggrapparci a disgustose, aride, lapidarie definizioni di una felicità astratta e solo tendenziale. Saluti.
Penso che Stephen Hawking sarebbe stato più d'accordo con me che con te. Ma anche un altro fisico, certamente più pessimista, Steven Weinberg si affida alla conoscenza:
«Lo sforzo di capire l'universo è tra le pochissime cose che innalzano la vita umana al di sopra del livello di una farsa, conferendole un po' della dignità di una tragedia.»
Citazione di: Socrate78 il 31 Dicembre 2018, 16:10:29 PM
Secondo me un quesito difficile da risolvere riguarda il fatto se l'intelligenza e l'empatia (doti sicuramente UTILI...) rendono però l'uomo effettivamente più felice oppure portino ad aumentare complessivamente le ragioni di infelicità. Sicuramente essere intelligenti porta ad avere una maggiore istruzione (anche se non necessariamente....) e un buon livello di inserimento sociale, lavori più renumerativi, maggiore capacità di badare alla propria salute e al proprio benessere, tutti fattori che in teoria contribuiscono alla felicità. Avere intelligenza emotiva (empatia) porta poi anche a comprendere le intenzioni delle persone e quindi a tutelarsi, ad aiutarle meglio. Tuttavia, chi è molto intelligente soprattutto a livello emotivo oltre che cognitivo, proprio per il suo acume, si accorgerà prima degli altri delle ipocrisie, del fatto che gli altri agiscono spesso solo per il proprio meschino tornaconto, sono vili oppure sono conformisti come un gregge di pecore, spesso compiono azioni senza alcun senso vero e solo per conformismo e quindi l'intelligenza e la sensibilità lo porteranno ad essere più infelice e pessimista. Se si pensa oltretutto al caso di un bambino geniale e intelligentissimo, molto probabilmente sarà isolato dagli altri oppure egli stesso, per la sua intelligenza, tenderà a voler star da solo perché troverà gli altri (in fondo a ragione...) più stupidi e immaturi di lui, disprezzerà i loro giochi e i loro discorsi e questo causerà problemi al suo inserimento sociale. Molti psicologi stanno sempre di più notando come alcuni presunti disturbi della condotta e del comportamento siano addirittura associati a QI molto alti negli adolescenti e i problemi forse nascono proprio dal fatto che il soggetto iper-intelligente nota come determinate regole sociali (l'obbedienza a prescindere alle varie autorità ad esempio) e il conformismo siano in fondo delle routine immotivate e senza un vero fondamento, quindi finisce per sviluppare un carattere ribelle.
Di conseguenza secondo voi l'intelligenza contribuisce alla felicità oppure ne è un ostacolo? Ovviamente voglio solo discuterne, non pretendo di risolvere in un thread una questione così complessa.
Di per sè non trovo siano garanzia di felicità: per uno stato d'animo di benessere, appagamento compiuto e duraturo, per come intendo la felicità, occorre un mix di ingredienti, componenti e disposizioni individuali e contestuali assai complesse. Tuttavia possono essere elementi che concorrono e contribuiscono al poterla vivere, a mio parere.
Citazione di: Socrate78 il 31 Dicembre 2018, 16:10:29 PM
Tuttavia, chi è molto intelligente soprattutto a livello emotivo oltre che cognitivo, proprio per il suo acume, si accorgerà prima degli altri delle ipocrisie, del fatto che gli altri agiscono spesso solo per il proprio meschino tornaconto, sono vili oppure sono conformisti come un gregge di pecore, spesso compiono azioni senza alcun senso vero e solo per conformismo e quindi l'intelligenza e la sensibilità lo porteranno ad essere più infelice e pessimista. Se si pensa oltretutto al caso di un bambino geniale e intelligentissimo, molto probabilmente sarà isolato dagli altri oppure egli stesso, per la sua intelligenza, tenderà a voler star da solo perché troverà gli altri (in fondo a ragione...) più stupidi e immaturi di lui, disprezzerà i loro giochi e i loro discorsi e questo causerà problemi al suo inserimento sociale.
Un uomo relativamente intelligente non pensa quanto sopra ed è consapevole di essere ignorante.
L'intelligenza relativa non procura la felicità, la gioa, solo in qualche occasione, ma la serenità e l'accettazione della vita.
Salve Ipazia. "«Lo sforzo di capire l'universo è tra le pochissime cose che innalzano la vita umana al di sopra del livello di una farsa, conferendole un po' della dignità di una tragedia.»"
Sono d'accordo con te, con Weinberg e quindi presumibilmente anche con Hawking.
Ma noi quattro siamo tutto sommato dei privilegiati. Mica vorrai eleggerci a parametro di base della felicità esistenziale.
C'è un sacco di gente che è costretta vivere senza disporre di tempo e risorse per speculare su ciò che non gli urge affatto, tipo l'universo. Saluti.
Ciao Ipazia e buon anno! :-*
La percezione della felicità - perché forse la felicità in sé non esiste - è del tutto soggettiva.
Steven Hawking apprezzava la vita anche se immobilizzato da una malattia dei neuroni, ma chissà, forse lui la felicità non la trovava nella prestanza fisica quanto nello studio del cosmo, della matematica e della fisica, e grazie al cielo le sue meravigliose facoltà mentali non erano intaccate dalla malattia, tanto che poteva scrivere libri e tenere conferenze su quel suo trabiccolo ipertecnologico .
Ma mi chiedo se, ad esempio, un campione sportivo finito in carrozzella nel bel mezzo della carriera agonistica riesca ad accettare la sorte con altrettanto coraggio e ottimismo.
@ BaylhamCitazioneUn uomo relativamente intelligente non pensa quanto sopra ed è consapevole di essere ignorante.
L'intelligenza relativa non procura la felicità, la gioa, solo in qualche occasione, ma la serenità e l'accettazione della vita.
Baylham, non so cosa intendi per 'intelligenza relativa'. Tutti sono relativamente intelligenti, ma qualcuno - obiettivamente - lo è di più. :)
Se parli di un uomo poi sono d'accordo, ma un bambino? Secondo te come sta un bambino quando capisce, perché lo si capisce anche a cinque anni, d'essere diverso dagli altri? D'accordo che un vero superdotato non si considera mai superiore, non è spocchioso, (non come il classico 'so tutto io' che alza sempre la mano), però se percepisce d'essere tenuto a distanza dai coetanei ci patisce, e non c'è ragionamento che lo possa consolare dalla tristezza della solitudine.
Da piccoli è difficile accettare filosoficamente che gli amichetti non vogliano mai giocare con te, che i compagni di classe ti prendano in giro perché sei l'unico che sa sempre rispondere alla prof e non sbaglia un problema o una versione di latino. E poi pensa che gioia se durante l'adolescenza non ti invitano alle feste perché ti trovano noioso e rompiscatole (magari perché loro adorano il rap e tu ti diverti solo con blues, soul e jazz).
Ti puoi confortare giocando a scacchi con il computer, ma insomma, per un teenager è abbastanza dura.
E non parliamo poi delle femminucce superdotate, che per loro tutto è più tremendo in ogni senso. ::)
Da adulti i problemi diventano altri, e il fatto di svolgere una professione 'elevata' tra colleghi colti dovrebbe facilitare un minimo le cose.
A volte però c'è un lieto fine...crescendo, alcuni talenti precoci tanto brillanti e promettenti rincretiniscono, così il divario sparisce e tutto per fortuna si sistema.
Sarà forse la livella che si prende una rivincita. ;D
ho sempre avuto il forte sospetto che l'idea per cui intelligenza e felicità siano tra loro in antitesi sia una sorta di autoconsolazione per le persone, che siccome conducono una vita dove nel complesso la sofferenza e la negatività prevalgono sulle soddisfazioni (preferisco non parlare di "infelicità" dato che considero la felicità una condizione mondanamente irraggiungibile, a cui al massimo possiamo avvicinarci ma mai realizzarla compiutamente, quindi in-felici, chi più, chi meno lo siamo tutti), cercano motivo di conforto nell'orgoglio di sentirsi più intelligenti, o più in generale "migliori" rispetto agli altri, il cui benessere viene svalutato in quanto frutto di immaturità, non davvero meritato. Insomma, un po' come la favola in cui la volpe si autoconvince di schifare l'uva solo perché non riesce a prenderla. Questo è un atteggiamento che non mi sento di demonizzare, se riesce davvero a consolare persone (senza arrivare a portarle a rancore distruttivo verso gli "stupidi felici"...)che ne sentono il bisogno ben venga, però è chiaramente una falsificazione, un autoinganno. Al contrario, penso che l'intelligenza sia proprio ciò che occorre potenziare al massimo per avvicinarsi il più possibile alla felicità, intendendo l'intelligenza come la capacità, nei suoi diversi campi di applicazione, (ci comprendo anche l'intelligenza emotiva a cui va fatta riferire l'empatia, che sarebbe da intendersi come coglimento teoretico dei vissuti degli alter ego, e non come un sentimento morale o di affetto, e dunque ho trovato del tutto opportuna e condivisibile la precisazione in merito di Jacopus, il sadico che gode della sofferenza delle sue vittime è necessariamente un empatico) di risolvere problemi ed eliminare gli ostacoli che ci separano dal raggiungere i nostri obiettivi esistenziali, cioè ciò da cui facciamo dipendere il nostro benessere. All'idea che l'intelligenza possa essere foriera di frustrazione perché ci porta alla consapevolezza dei difetti dell'umanità, come l'ipocrisia o il conformismo, si può opporre l'idea che essa porti anche alla consapevolezza dei pregi, al riconoscimento dei talenti e delle qualità positive delle persone spesso nascosti, che magari restando in un'ottica superficiale non potrebbero emergere. Tutto dipende dalla componente di ottimismo/pessimismo presente nelle nostre visioni personali del mondo. Quindi mi pare che la questione in questo senso debba spostarsi dal rapporto intelligenza-felicità a quello ottimismo vs pessimismo, se sia più ragionevole l'una o l'altra impostazione, questione che mi pare molto problematica nel tematizzarsi in modo razionale, considerando il peso dei condizionamenti delle nostre esperienze vissute e dei nostri stati d'animo contingenti che finiscono con l'essere inevitabilmente chiamati in causa
Se all'empatia manca pero la compassione allora e' molto probabile che la prima finisca per risultare sterile ed anche, come e' già stato sottolineato, per essere praticata ambiguamente, sia per tornaconto personale e sino ad arrivare ad azioni malvage
Mentre la compassione, che scaturisce comunque da un empatia iniziale porta alla vera com-prensione...
Inoltre credo che l'empatia da sola può portare a gravi fraintendimenti...perche a quel punto diventa tutto indistinguibile,fintanto che sarà appunto solo il mio io ,o il mio ego, sia pure (solo) empatico,che ne rimane comunque separato se privo appunto della compassione.
L'intelligenza e' com-prendere e com-prendersi..essendo la medesima cosa
Questa volta sono d'accordo con acquario. E' la compassione il motore dell'etica. L' empatia e' solo una precondizione.
A proposito della felicità invece direi che si tratta di un mito tipicamente moderno e asservito alle logiche del consumismo ora e del pensiero assolutista prima.
La felicità si può sfiorare in qualche occasione ed è per questo così appagante. Un essere umano sempre felice o indossa di proposito una maschera o è irrimediabilmente "semplice", di quella semplicità che tanto piace ai manipolatori religiosi.
Se dovessi pensare ad un agire che si avvicini alla felicità, l'unico modello accettabile è il Sisifo di Camus.
Citazione di: everlost il 03 Gennaio 2019, 00:18:20 AM
Ciao Ipazia e buon anno! :-*
La percezione della felicità - perché forse la felicità in sé non esiste - è del tutto soggettiva.
Steven Hawking apprezzava la vita anche se immobilizzato da una malattia dei neuroni, ma chissà, forse lui la felicità non la trovava nella prestanza fisica quanto nello studio del cosmo, della matematica e della fisica, e grazie al cielo le sue meravigliose facoltà mentali non erano intaccate dalla malattia, tanto che poteva scrivere libri e tenere conferenze su quel suo trabiccolo ipertecnologico .
Ma mi chiedo se, ad esempio, un campione sportivo finito in carrozzella nel bel mezzo della carriera agonistica riesca ad accettare la sorte con altrettanto coraggio e ottimismo.
Molto più dei comuni mortali che si abbacchiano facilmente. Le paraolimpiadi sono piene di atleti nati normodotati che, elaborato il lutto, hanno trovato nuovi stimoli sportivi da disabili. Sono persone meravigliose: scienziati del corpo e dello spirito. Auguri anche a te.
Citazione di: Jacopus il 03 Gennaio 2019, 08:06:45 AM
Questa volta sono d'accordo con acquario. E' la compassione il motore dell'etica. L' empatia e' solo una precondizione.
A proposito della felicità invece direi che si tratta di un mito tipicamente moderno e asservito alle logiche del consumismo ora e del pensiero assolutista prima.
La felicità si può sfiorare in qualche occasione ed è per questo così appagante. Un essere umano sempre felice o indossa di proposito una maschera o è irrimediabilmente "semplice", di quella semplicità che tanto piace ai manipolatori religiosi.
Se dovessi pensare ad un agire che si avvicini alla felicità, l'unico modello accettabile è il Sisifo di Camus.
Beh, a dire il vero, non ritengo la felicità un mito tipicamente moderno, nè la ritengo riducibile alla sola categoria di "mito".
L'etica aristotelica, cito un esempio tra gli altri, è impostata sull'eredità socratica, che ha come fine la felicità.
Lou: siamo certi che il concetto di felicità degli antichi sia lo stesso dei moderni e dei contemporanei?
Se non ne siamo certi, occorrerebbe chiarire a quale "concetto" (????) di felicità ci riferiamo. Ad ogni modo, non trovo che sia riducibile a mito moderno.
Citazione di: davintro il 03 Gennaio 2019, 02:28:00 AM
ho sempre avuto il forte sospetto che l'idea per cui intelligenza e felicità siano tra loro in antitesi sia una sorta di autoconsolazione per le persone, che siccome conducono una vita dove nel complesso la sofferenza e la negatività prevalgono sulle soddisfazioni (preferisco non parlare di "infelicità" dato che considero la felicità una condizione mondanamente irraggiungibile, a cui al massimo possiamo avvicinarci ma mai realizzarla compiutamente, quindi in-felici, chi più, chi meno lo siamo tutti), cercano motivo di conforto nell'orgoglio di sentirsi più intelligenti, o più in generale "migliori" rispetto agli altri, il cui benessere viene svalutato in quanto frutto di immaturità, non davvero meritato. Insomma, un po' come la favola in cui la volpe si autoconvince di schifare l'uva solo perché non riesce a prenderla. Questo è un atteggiamento che non mi sento di demonizzare, se riesce davvero a consolare persone (senza arrivare a portarle a rancore distruttivo verso gli "stupidi felici"...)che ne sentono il bisogno ben venga, però è chiaramente una falsificazione, un autoinganno. Al contrario, penso che l'intelligenza sia proprio ciò che occorre potenziare al massimo per avvicinarsi il più possibile alla felicità, intendendo l'intelligenza come la capacità, nei suoi diversi campi di applicazione, (ci comprendo anche l'intelligenza emotiva a cui va fatta riferire l'empatia, che sarebbe da intendersi come coglimento teoretico dei vissuti degli alter ego, e non come un sentimento morale o di affetto, e dunque ho trovato del tutto opportuna e condivisibile la precisazione in merito di Jacopus, il sadico che gode della sofferenza delle sue vittime è necessariamente un empatico) di risolvere problemi ed eliminare gli ostacoli che ci separano dal raggiungere i nostri obiettivi esistenziali, cioè ciò da cui facciamo dipendere il nostro benessere.
Sì, a volte la gente cerca di consolarsi come la volpe con l'uva irraggiungibile.
Un altro cliché oleografico ma molto popolare è quello che i soldi non diano la felicità, per cui i ricconi sarebbero da compatire mentre i poveracci no, perché hanno l'amore vero e tanta salute.
O che gli scienziati siano bruttini, scialbi e privi di fascino, fatto smentito in modo netto dall'evidenza, specialmente al giorno d'oggi.
E' un'illusione anche credere che le donne intelligenti siano particolarmente racchie e incapaci di amare, mentre le bellone sexy non saprebbero fare niente, a parte amoreggiare e laccarsi le unghie.
Se si vuole, per trovare conforto alle frustrazioni quotidiane è possibile illudersi su ogni cosa.
Come osservi giustamente, non ci sarebbe poi niente di male, SE ciò non fosse la base di pregiudizi rozzi e brutali che finiscono per escludere certe persone dividendo la società.
Il pericolo è proprio questo.
CitazioneAll'idea che l'intelligenza possa essere foriera di frustrazione perché ci porta alla consapevolezza dei difetti dell'umanità, come l'ipocrisia o il conformismo, si può opporre l'idea che essa porti anche alla consapevolezza dei pregi, al riconoscimento dei talenti e delle qualità positive delle persone spesso nascosti, che magari restando in un'ottica superficiale non potrebbero emergere. Tutto dipende dalla componente di ottimismo/pessimismo presente nelle nostre visioni personali del mondo. Quindi mi pare che la questione in questo senso debba spostarsi dal rapporto intelligenza-felicità a quello ottimismo vs pessimismo, se sia più ragionevole l'una o l'altra impostazione, questione che mi pare molto problematica nel tematizzarsi in modo razionale, considerando il peso dei condizionamenti delle nostre esperienze vissute e dei nostri stati d'animo contingenti che finiscono con l'essere inevitabilmente chiamati in causa
Giuste osservazioni. Anche se gli uomini non sono semplici spettatori di quanto accade nel mondo, ma vi partecipano, ne restano coinvolti.
Un conto è osservare con distacco e spirito filosofico quello che fanno gli altri, come se si vivesse su un altro pianeta, altro è dover subire le decisioni ottuse di persone illogiche e irrazionali che ti sovrastano con il loro potere economico e politico.
Insomma, finire a bere la cicuta o ad ardere sul rogo, anche solo metaforicamente, perché si vive in un paese arretrato in mezzo a gente...poco elevata mentalmente, non mi sembra il massimo della soddisfazione.
Naturalmente il mio è un discorso generico, senza riferimenti a persone o fatti specifici... :D
Citazione di: Ipazia il 03 Gennaio 2019, 18:18:46 PM
Citazione di: everlost il 03 Gennaio 2019, 00:18:20 AM
Ciao Ipazia e buon anno! :-*
La percezione della felicità - perché forse la felicità in sé non esiste - è del tutto soggettiva.
Steven Hawking apprezzava la vita anche se immobilizzato da una malattia dei neuroni, ma chissà, forse lui la felicità non la trovava nella prestanza fisica quanto nello studio del cosmo, della matematica e della fisica, e grazie al cielo le sue meravigliose facoltà mentali non erano intaccate dalla malattia, tanto che poteva scrivere libri e tenere conferenze su quel suo trabiccolo ipertecnologico .
Ma mi chiedo se, ad esempio, un campione sportivo finito in carrozzella nel bel mezzo della carriera agonistica riesca ad accettare la sorte con altrettanto coraggio e ottimismo.
Molto più dei comuni mortali che si abbacchiano facilmente. Le paraolimpiadi sono piene di atleti nati normodotati che, elaborato il lutto, hanno trovato nuovi stimoli sportivi da disabili. Sono persone meravigliose: scienziati del corpo e dello spirito. Auguri anche a te.
Già, hai proprio ragione: ci sono individui straordinari che non si lasciano mai abbattere ed altri che crollano per sciocchezze.
Avevo un'amica costretta a vivere in un polmone d'acciaio per via della poliomielite, non poteva alzarsi, uscire dalla stanza, respirare autonomamente...eppure aveva la forza di truccarsi, leggeva, scriveva lettere bellissime.
Altre che potevano e dovevano reputarsi più fortunate di lei avevano voglia di suicidarsi per un brufolo o per un brutto voto preso a scuola.
Questo dimostra che la felicità è uno stato d'animo soggettivo, legato a interpretazioni personali degli accadimenti.
Ciò non toglie che queste percezioni, anche se a un osservatore esterno sembrano sproporzionate e assurde, siano molto dolorose e insopportabili per chi le prova, quindi non è giusto giudicare.
E forse nemmeno si può generalizzare.
Leopardi soffriva moltissimo delle proprie mancanze fisiche, altri più menomati di lui ne fanno motivo di sfida esibendo il proprio handicap con orgoglio.
Non so come facciano, comunque li ammiro molto.
Citazione di: viator il 02 Gennaio 2019, 22:27:40 PM
Salve Ipazia. "«Lo sforzo di capire l'universo è tra le pochissime cose che innalzano la vita umana al di sopra del livello di una farsa, conferendole un po' della dignità di una tragedia.»"
Sono d'accordo con te, con Weinberg e quindi presumibilmente anche con Hawking.
Ma noi quattro siamo tutto sommato dei privilegiati. Mica vorrai eleggerci a parametro di base della felicità esistenziale.
C'è un sacco di gente che è costretta vivere senza disporre di tempo e risorse per speculare su ciò che non gli urge affatto, tipo l'universo. Saluti.
Come già osservato da everlost la felicità ha caratteristiche squisitamente soggettive che una mente intelligente e un animo empatico possono certamente stimolare. Direi pure: assai più dei loro contrari.
Citazione di: everlost il 03 Gennaio 2019, 22:48:04 PM
Avevo un'amica costretta a vivere in un polmone d'acciaio per via della poliomielite, non poteva alzarsi, uscire dalla stanza, respirare autonomamente...eppure aveva la forza di truccarsi, leggeva, scriveva lettere bellissime.
Altre che potevano e dovevano reputarsi più fortunate di lei avevano voglia di suicidarsi per un brufolo o per un brutto voto preso a scuola.
Questo dimostra che la felicità è uno stato d'animo soggettivo, legato a interpretazioni personali degli accadimenti.
Ciò non toglie che queste percezioni, anche se a un osservatore esterno sembrano sproporzionate e assurde, siano molto dolorose e insopportabili per chi le prova, quindi non è giusto giudicare.
E forse nemmeno si può generalizzare.
Leopardi soffriva moltissimo delle proprie mancanze fisiche, altri più menomati di lui ne fanno motivo di sfida esibendo il proprio handicap con orgoglio.
Non so come facciano, comunque li ammiro molto.
L'uomo é un animale che si abitua a tutto e da tutto sa trarre le sue gratificazioni. Io ho una certa età e provo grande soddisfazione nel misurare le mie prestazioni sportive con sportivi dilettanti più giovani di me (specie se sono maschi ;D) Tutto ció ha un costo in termini di allenamento fisico e mentale. Penso sia lo stesso atteggiamento psicologico che spinge un disabile a non arrendersi alla sua disabilità. Quando questa strategia esistenziale funziona é felicità pura.
Citazione di: Jacopus il 01 Gennaio 2019, 11:11:59 AM
A mio parere intelligenza/empatia sono prive di nesso con felicità/infelicità. Inoltre si può essere empatici e stupidi e/o non empatici e intelligenti.
Piccola nota a margine: empatico non coincide con altruista/buono. Molti serial killers sono empatici perché devono mettersi nei panni delle vittime per ghermirle o nei panni della polizia per non farsi scoprire.
I Serial Killer sono psicopatici patologici, una delle principali caratteristiche è proprio l'assenza di empatia. Empatia significa connettersi con l'altro a livello emozionale; caratteristica che non fa proprio parte di un serial killer.
In realtà dissento molto con l'idea comune secondo cui i criminali non siano empatici e non si compenetrino in qualche modo con le loro vittime. Ad esempio il sadico è in fondo empatico, poiché percepisce molto bene che la sua vittima sta soffrendo, solo che la percezione del dolore altrui nella sua mente perversa diventa fonte di piacere. Ma se il soggetto sadico NON percepisse il dolore dell'altro, non si accorgesse della sua sofferenza, anche la sua perversione verrebbe a cessare, proprio perché mancherebbe lo stimolo essenziale che la scatena, cioè la percezione del dolore! Alcuni psicologi dicono ad esempio che il sadico inconsciamente si identifica con la sua vittima, e quindi in realtà proverebbe piacere nel far soffrire se stesso, ecco perché sadismo e masochismo vanno a volte a braccetto.
I soggetti che veramente non hanno empatia non sono tanto i criminali, ma semmai il discorso dell'assenza di empatia vale per definire gli autistici, infatti una caratteristica del soggetto autistico (vedasi sindrome di Asperger) è quella di non percepire il mondo emotivo degli altri, da qui tutta la serie di fraintendimenti, difficoltà, che sono costretti ad affrontare.
Mtt94: i pareri sull'argomento sono contrastanti. Baron Cohen la pensa come te e parla di grado 0 dell'empatia condiviso fra autistici e antisociali gravi (fa ulteriori distinzioni che non riporto). A me sembra più interessante la teoria di A. Raine che distingue fra empatia e compassione. Effettivamente essere empatico significa solo mettersi nei panni degli altri ma questo potrebbe anche non essere sufficiente. Mettermi nei panni della vittima che soffre non fa altro che aumentare l'eccitazione del sadico violento. Se non riuscisse a immedesimarsi in quella condizione non riuscirebbe a trarne piacere. Solo avendo compassione per la condizione degli altri riusciamo a orientare la nostra azione in modo solidale. Ma come al solito è questione di termini. Se con empatia intendi capacità di connettersi emozionalmente il significato cambia, anche se, insisto, anche il serial killer si connette emozionalmente con la vittima. In ogni caso il serial killer non è un prodotto di fabbrica. Vi sono diverse classificazioni anche del serial killer, oltre che della personalità antisociale. Inoltre si può ovviamente essere non empatici e fare una vita tranquilla o addirittura di successo, considerando che molti dei vigenti rapporti economici e sociali sono regolati secondo principi strettamente antisociali.
Citazione di: Jacopus il 09 Gennaio 2019, 17:28:51 PMMtt94: i pareri sull'argomento sono contrastanti. Baron Cohen la pensa come te e parla di grado 0 dell'empatia condiviso fra autistici e antisociali gravi (fa ulteriori distinzioni che non riporto). A me sembra più interessante la teoria di A. Raine che distingue fra empatia e compassione. Effettivamente essere empatico significa solo mettersi nei panni degli altri ma questo potrebbe anche non essere sufficiente. Mettermi nei panni della vittima che soffre non fa altro che aumentare l'eccitazione del sadico violento. Se non riuscisse a immedesimarsi in quella condizione non riuscirebbe a trarne piacere. Solo avendo compassione per la condizione degli altri riusciamo a orientare la nostra azione in modo solidale. Ma come al solito è questione di termini. Se con empatia intendi capacità di connettersi emozionalmente il significato cambia, anche se, insisto, anche il serial killer si connette emozionalmente con la vittima. In ogni caso il serial killer non è un prodotto di fabbrica. Vi sono diverse classificazioni anche del serial killer, oltre che della personalità antisociale. Inoltre si può ovviamente essere non empatici e fare una vita tranquilla o addirittura di successo, considerando che molti dei vigenti rapporti economici e sociali sono regolati secondo principi strettamente antisociali.
Sono d'accordo e a questo proposito mi sentirei di far notare che l'intendere l'empatia come avvertimento in se stessi di un vissuto proveniente da un alter ego, da cui il nostro vivere originario resta distinto e dunque libero di poter formulare giudizi di valore negativo sull'estraneo, e dunque distinta dalla "simpatia", nella quale invece troviamo una coincidenza fra vissuto del simpatizzante e vissuti su cui simpatizzare, e in cui dunque c'è condivisione morale, per la quale non mi limito a sentire in me la gioia o la tristezza altrui ma gioisco della sua gioia e soffro del suo soffrire, è un prezioso apporto della fenomenologia di Edith Stein. Più in generale, la fenomenologia, per cui ogni specie di vissuto cosciente viene ricondotto ad un Io da cui scaturisce, è l'atteggiamento più adeguato a riconoscere la differenza tra un sentire che sento in me, ma che non sento come proveniente dal mio Io e che dunque non implica una determinata presa di posizione etica (empatia), ma dall'Io di un altro, e sentire che invece sento promanare in modo originario dal mio Io, dunque dalla mia soggettiva sensibilità etica, che viene in tutto e per tutto condivisa con quella di un altro (simpatia). Senza questo forte richiamo all'idea dell'Io come punto di discrimine fra i vissuti originariamente miei, e quelli altrui, che posso "ospitare" in me, ma che non esprimono davvero la mia soggettività, questa importante distinzione fra due specie di vissuti resterebbe inavvertita, creando un certo livello di confusione
Citazione di: Socrate78 il 09 Gennaio 2019, 17:27:16 PM
In realtà dissento molto con l'idea comune secondo cui i criminali non siano empatici e non si compenetrino in qualche modo con le loro vittime. Ad esempio il sadico è in fondo empatico, poiché percepisce molto bene che la sua vittima sta soffrendo, solo che la percezione del dolore altrui nella sua mente perversa diventa fonte di piacere. Ma se il soggetto sadico NON percepisse il dolore dell'altro, non si accorgesse della sua sofferenza, anche la sua perversione verrebbe a cessare, proprio perché mancherebbe lo stimolo essenziale che la scatena, cioè la percezione del dolore! Alcuni psicologi dicono ad esempio che il sadico inconsciamente si identifica con la sua vittima, e quindi in realtà proverebbe piacere nel far soffrire se stesso, ecco perché sadismo e masochismo vanno a volte a braccetto.
I soggetti che veramente non hanno empatia non sono tanto i criminali, ma semmai il discorso dell'assenza di empatia vale per definire gli autistici, infatti una caratteristica del soggetto autistico (vedasi sindrome di Asperger) è quella di non percepire il mondo emotivo degli altri, da qui tutta la serie di fraintendimenti, difficoltà, che sono costretti ad affrontare.
Non è un'idea comune, vengono fatte perizie psicologiche e psichiatriche su questi soggetti. Sono fortemente psicopatici e sociopatici e per nulla empatici, sono le principali caratteristiche che si riscontrano.
Sì, ma secondo te ciò che ho detto prima non ha una sua logica? Se si considera l'empatia come comprensione del vissuto emotivo di un altro, allora anche il peggiore dei manipolatori è empatico, poiché riesce a circuire proprio facendo leva sui bisogni (di affetto, anche di autostima, ecc.) delle sue vittime, altrimenti se non avesse consapevolezza di questi bisogni profondi dell'altro non potrebbe portare a termine i suoi raggiri. Continua a non convincermi l'idea che non ci sia comprensione del vissuto altrui nel criminale e nel sadico, secondo me questa comprensione è persino raffinata, solo che ne fanno un uso perverso. E' persino intuitivo che se un soggetto non riesce a comprendere che l'altro soffre, non potrà nemmeno perversamente godere della sofferenza della vittima, poiché semplicemente non riuscirà a comprenderne il vissuto. Hanno empatia senza avere compassione, in realtà quando si dice che l'empatia in loro è assente vuol dire che sono spietati, ma non per questo non comprendono ciò che gli altri sentono.
Citazione di: mtt94 il 09 Gennaio 2019, 20:05:34 PM
Citazione di: Socrate78 il 09 Gennaio 2019, 17:27:16 PMIn realtà dissento molto con l'idea comune secondo cui i criminali non siano empatici e non si compenetrino in qualche modo con le loro vittime. Ad esempio il sadico è in fondo empatico, poiché percepisce molto bene che la sua vittima sta soffrendo, solo che la percezione del dolore altrui nella sua mente perversa diventa fonte di piacere. Ma se il soggetto sadico NON percepisse il dolore dell'altro, non si accorgesse della sua sofferenza, anche la sua perversione verrebbe a cessare, proprio perché mancherebbe lo stimolo essenziale che la scatena, cioè la percezione del dolore! Alcuni psicologi dicono ad esempio che il sadico inconsciamente si identifica con la sua vittima, e quindi in realtà proverebbe piacere nel far soffrire se stesso, ecco perché sadismo e masochismo vanno a volte a braccetto. I soggetti che veramente non hanno empatia non sono tanto i criminali, ma semmai il discorso dell'assenza di empatia vale per definire gli autistici, infatti una caratteristica del soggetto autistico (vedasi sindrome di Asperger) è quella di non percepire il mondo emotivo degli altri, da qui tutta la serie di fraintendimenti, difficoltà, che sono costretti ad affrontare.
Non è un'idea comune, vengono fatte perizie psicologiche e psichiatriche su questi soggetti. Sono fortemente psicopatici e sociopatici e per nulla empatici, sono le principali caratteristiche che si riscontrano.
la filosofia, in particolare la fenomenologia, ha un proprio specifico metodo per analizzare e distinguere concetti a prima vista sovrapponibili, non c'è molto da sorprendersi se metodologie differenti come quelle della psicologia o psichiatria finiscano per utilizzare categorie e terminologie differenti da quelle filosofiche, magari intendendo come "empatia" significati distinti che invece la filosofia tende più fortemente a distinguere, anche a livello linguistico