A mio modo di vedere la filosofia ebraica, e in particolare quella di E.Levinas, è l'unica "risposta"
credibile al dilagante nichilismo del periodo post nietzschiano.
L'"accusa" di Levinas all'intera filosofia occidentale così come venuta a costituirsi è precisa:
l'intero "sguardo sul mondo" della filosofia occidentale è null'altro che una "ontologia dell'io".
L'"io", ovvero, ha nel suo percorso di emersione fagogitato ogni cosa. La "sintesi" idealistica, che
vede nell'"io" il proprio termine finale, è secondo Levinas cominciata già con Parmenide, verso il
quale c'è stato un "parricidio" soltanto apparente, visto che con Platone il molteplice è, sì, affermato,
ma in maniera subordinata all'uno.
Scrive Levinas: "a partire da Platone, l'ideale verrà sempre cercato nella fusione".
La radice filosofica con cui Levinas intende opporsi all'intero pensiero occidentale è esplicata nel
concetto di "altro". Ma cosa intende Levinas con "altro"?
L'"altro" è tutto ciò che è irriducibilmente "altro-dall'io", e che all'"io" non è riducibile.
L'"altro" sono "gli altri" e qualunque oggetto; l'"altro" è lo stesso "io" come sarà nel tempo ("altro"
è soprattutto il tempo, dice Levinas).
L'"io", in questo "universo-altro", è solo una briciola, non il signore indiscusso come nello "sguardo"
occidentale...
saluti
ciao Mauro(Oxdeadbeaf).
Levinas l'ho letto a suo tempo a pezzettini e bocconi e trovo, come spesso nei bravi filosofi che a fianco di una intuizione di verità vi sia sempre una contraddizione..
Sul nichilismo........dipende da quale pulpito culturale ci si ponga.Per Nietzsche è la tradizione, per i materialisti e naturalisti la metafisica,
per gli empiristi positivisti l'idealismo. Per Levinas?
Levinas è influito da Heidegger e dall'incontro con un saggio talmudista oltre che dalla sua biografia,dalla sua esistenza storica.
Ritenere che l'essere abbia poco senso ,come in fondo l'invenzione del dasein ,dell'esser-ci heideggeriano come risposta al non senso dell'essere, bensì come esistenza, mi pare intravvedere la stessa posizione di Levinas.
Lo trovo contraddittorio, perchè l'esistenza non è una verità in sè e per sè (è semmai la manifestazione dell'Essere) non è affatto vero che l'Essere parmenideo abbia costituito il soggetto a cui l'universo vi si riconduce, negando l'alterità, contrapponendo poi storicamente
l'Io dall'Altrui .Il sintomo indicato da Levinas è esatto, ma non la causa ,ma proprio perchè ogni Io è una storia per certi versi incomunicabile e irriducibile e ogni Altrui è un Io.Il sintomo che giustamente Levinas ci informa è ridurre l'Altrui al "nostro" pensiero, appiattirlo per fagocitarlo, ma se l'Altrui ,che ribadisco è un altro Io diverso dal Me stesso, compie la stessa fagocitazione, noi smettiamo di comunicare la nostra esistenza alla prossimità storica e al prossimo umano dell'Altrui, per farci infine guerra o cmunque incomunicabilità.
Non penso affatto che l'Essere sia l'ontologia dell'Io , ma l'esigenza di una verità ancora più alta dell'esistenza dell'IO .Semmai abbiamo obnulato, dimenticato, l'Essere per appiattirci sull' Io e finire nell'Ego Abbiamo smesso di essere persone ,per diventare nell'ultimo secolo solo corpo, bios e questo è soprattutto chiaro a Levinas che fu deportato dal nazismo.
L'irriducibilità è impossibile nell'Io e nella singola esistenza di ogni Altrui .Se ogni Io si confondesse perdendo il proprio Io nell'Altrui , diventeremmo Nessuno .Forse è una strada di risoluzione, ma forse anche di serio nichilismo autodistruttivo
"Io non esisto come un essere spirituale, come un sorriso o un vento che soffia, non sono libero di responsabilità. Il mio essere si carica di un avere...la materialità non esprime la caduta contingente dello spirito nella tomba o nella prigione di un corpo. Essa accompagna – necessariamente – la nascita del soggetto, nella sua libertà di esistente. Comprendere così il corpo a partire dalla materialità – evento concreto della relazione fra Io e Sé – significa ricondurlo a un evento ontologico. Le relazioni ontologiche non sono legami disincarnati. La relazione tra Io e Sé non è un'inoffensiva riflessione del pensiero su di sé. E' tutta la materialità dell'uomo."
Questo passo, che amo assai, a mio parere è emblematico dell'operazione di rovesciamento dell'idealismo che in Levinas ritengo si compia in una opera soggettivazione del soggetto e proprio come accennava Ox nell'incipit del suo intervento, una risposta, se non l'unica, dove in ogni caso si possono rintracciare tracce di filosofie "occidentali" quali la fenomenologia di Merleau Ponty, al dilagare nichilista. La declinazione che Levinas persegue trovo anch'io risponda a una esigenza prima etica che teoretica: il tema dell'altro, della responsabilità, dell'ascolto, del tempo, dell' "altrimenti che essere" sono ascrivibili al recupero di una dimensione che è posizione antinichilistica.
il riconoscimento dell'Altro in quanto "Altro" è reso possibile sempre sulla base dell'Io, cioè sulla base di un raffronto di distanza tra il mio Io e l'Alter Ego, ed è questo margine di distanza che ci consente di non riconoscere la nostra soggettività come l'unica possibile. Trovo inevitabile che ogni punto di vista sul mondo sia sempre incentrato sull'Io, sul soggetto pensante che elabora il punto di vista, utilizzando i propri parametri di giudizio teorico e di valore, se così non fosse l'Io non sarebbe tale, assorbirebbe in modo del tutto passivo e acritico gli stimoli del mondo esterno, senza alcuna traccia di intenzionalità, che presuppone sempre un orientamento dell'Io intenzionante sulla base di strutture e categorie interiori, a partire da cui aprirsi al riconoscimento di un mondo trascendente, altro, e entro cui comprendere anche la presenza di altri soggetti. Il problema di quando questa centralità dell'Io assume ripercussioni morali, credo dipenda dallo stabilire se dobbiamo intendere l'Io nell'accezione trascendentale, l'Io inteso come semplice punto originario degli atti di esperienza del mondo, e l'Io inteso come Io empirico, la mia persona particolare, con la sua individualità ed anche con i suoi limiti e mancanze. I due piani non coincidono in toto, l'arroganza del soggetto che pone la sua esistenza come l'unica degna di valore e importanza e vede l'alterità come un ostacolo da superare per i suoi fini soggettivi riguarda l'Io nella seconda accezione, il mio Io individuale. Nella sua prima accezione, l'Io come soggetto riflettente, l'lo ha la possibilità di esprimersi a livello autocritico, riconoscendo l'imperfezione dell'Io individuale, i suoi limiti, i suoi torti, e conseguentemente anche la positività della relazione con l'Altro, la sua autonomia da rispettare ecc. Penso sia stato un errore dell'idealismo immanentista far coincidere i due livelli dell'Io, passando dall'Io come punto di partenza metodologico della filosofia, l'indubitabilità della coscienza come fondamento razionale della conoscenza della realtà, all'Io che assolutizza se stesso come esistenza negando ogni alterità, ogni ulteriorità del mondo rispetto a se stesso. Ma non è affatto detto che quest'ultimo fosse l'unico esito teoretico possibile a partire dall'Io come premessa metodologico, come ad esempio è inteso da Cartesio (il fatto che storicamente sia stato così non esclude percorsi alternativi a livello teoretico, dato che un conto è la valutazione teoretica un altra quella storico-filosofica), Resta sempre valido quel filone ad esempio di tipo agostiniano (che nel complesso si può accettare anche a prescindere dall'adesione confessionale, a livello laico-filosofico), che pur partendo dalla certezza dell'Io pensante e vivente, riconosce anche come questo Io viva sempre in connessione con qualcosa che trascende i limiti dell'esistenza individuale in cui questo Io si realizza, un'alterità, sia nel senso "orizzontale" interumano, sia nel senso verticale della Trascendenza divina, connessioni che si rivelano nei conflitti interiori (pensiamo alle Confessioni) di un'esistenza mai del tutto padrona di se stessa, e quindi impossibilitata a risolvere nella sua immanenza assolutizzata i problemi che la attraversano, e conseguentemente necessitata a riconoscere l' "Altro", riconoscimento che però non ha implicato l'abbandono del piano di ricerca dell'Io, dell'interiorità, della coscienza soggettiva, bensì proprio il suo coerente approfondimento
Citazione di: davintro il 12 Marzo 2019, 20:21:59 PM....
Penso sia stato un errore dell'idealismo immanentista far coincidere i due livelli dell'Io, passando dall'Io come punto di partenza metodologico della filosofia, l'indubitabilità della coscienza come fondamento razionale della conoscenza della realtà, all'Io che assolutizza se stesso come esistenza negando ogni alterità, ogni ulteriorità del mondo rispetto a se stesso. Ma non è affatto detto che quest'ultimo fosse l'unico esito teoretico possibile a partire dall'Io come premessa metodologico, come ad esempio è inteso da Cartesio (il fatto che storicamente sia stato così non esclude percorsi alternativi a livello teoretico, dato che un conto è la valutazione teoretica un altra quella storico-filosofica),
....
sono abbastanza d'accordo sull'argomentazione generale del post.
Specificherei qualche passaggio dell'idealismo che a mio parere, ma sono in buona compagnia di insigni filosfi, è stato profondamente travisato soprattutto dagli empiristi-positivisti e dai materialisti-naturalisti. Il marxismo-egelismo è pieno di contradizioni sull'idealismo, per fare un esempio.
Hegel è definito idealista, a mio parere è una definizione contrabbandata proprio da coloro che ne furono suo detrattore.
Hegel instaura ,per dirla succintamente, un metodo gnoseologico,La conoscenza degli oggetti della realtà viene portata in deduzione nella coscienza, luogo centrale nel movimento dialettico del metodo conoscitivo. Quando un oggetto reale diventa pensiero e infine sapere signifca che l'oggetto reale "trascende" la materialità per porsi come oggetto appunto del sapere .il movimento opposto del sapere che entra nelle prassi è immanentistico.
Questo processo manca totalmente in Levinas. Non esiste una prassi per cui l'Io depaupera se stesso per essere assorbito dall'Altrui, sarebbe un annichilimento del proprio essere per gonfiare quello dell'Altrui .e poi chi sarebbe l'Altrui? E' ugualmente ben disposto anch'esso ad accettare a sua volta l'Altrui?Storicamente chi si è dato all'Altrui è finito male proprio grazie agli Altrui.
Manca il parametro per cui la Persona(volutamente maiuscolo) con ogni singola storia, sapere , cultura, esperienza, possa proporsi vesro l'Altrui su un livello superiore e nessuna etica può essere condvisa se al di sopra non c'è una stessa Giustizia condivisa. La Persona deve accettare il proprio limite affinchè l'incontro con l'Altrui non sia solo confronto ma assimilazione, assorbimento, disposizione anche della propria anima a perdersi pur di accettare l'Altrui.Ma qualunque Giustizia, spirtuale o filosfica che sia, ha nella sua premessa il giusto e lo sbagliato, il bene e il male.Senza la categoria di Giustizia la teoretica etica in questo caso non ha fondamento e la pratica non può che fallire, perchè troverà l'abbietto, il furbetto, l'avido,pronto ad annichilirlo,ad asservirlo.
Levinas è importante come pensatore fuori dal coro( scrisse un bellissimo testo sul nazismo e Hitler nel 1936,se non ricordo male) ed è all'opposto di Nietzsche , ma la posizione di Nietzsche ha più fondamento, perchè nega l'etica e accetta il naturalismo,esattamente il contrario di Levinas.L'errore di quest'ultimo è di stare in sospensione fra trascendenza e immanenza, non è sull'Essere e non ha forza pratica.Trovo semmai più importante nel suo pensiero la denuncia dell'ipocrisia umana nella modernità.
Perchè se una cultura come quella nazista ha potutto assurgere a potenza signifca che il germe della contraddizione è dentro la cultura occidentale.Ma sbaglia l'analisi teoretica della storia filosofica, lo stesso errore anche se diverso è in Heidegger, seppure sia un gran filosofo con notevoli intuizioni. Focalizzare la Persona e credere di trovarvi una verità nella relazione fra Io e altrui ,significa perdersi nella contraddizione della natura umana stessa,capace di grandi gesti umani e solidali quanto di altrettanti abomini e stermini.
L'Io è il settemiliardesimo di sette miliardi di Altri. La solitudine dei numeri primi naufraga nella complessità dei grandi numeri. Cosa su cui certamente Nietzsche, a differenza dei metafisici, disse qualcosa. Così come, più fecondamente, Marx.
Se riuscissimo a vedere l'io non come una monade, un' entità unitaria, indivisa, ma come un 'processo' perennemente in mutazione, cangiante come le nuvole nel cielo e di fronte a questo "io" cangiante l'altro , anche lui come processo cangiante , in trasformazione perenne, non ci sarebbe un annichilimento, ma bensì una profonda consapevolezza dell'interdipendenza reciproca. Allora si potrebbe forse vedere l'io e l'altro come fenomeni che si alimentano a vicenda. Io sono anche un pò dell'altro, nel senso che me ne nutro, lo assorbo, ne vengo educato e viceversa l'altro è anche un pò di me, nel senso che lo nutro, mi assorbe e lo educo...
Ragionare non più in termini di '"entità" ma di "processi" che si attivano sempre in relazione l'uno con l'altro e non autoesistenti, non dotati di sostanza inerente, ma che hanno la loro consistenza nella reciprocità della connessione, oltre a togliere gran parte del 'fantasma' che accompagna la sensazione dell'Io, ossia l'ego, il senso del "mio", solleva anche da un gran peso. Il peso cioè di spendere un sacco di energie per 'sostenere' questa monade illusoria e difenderla dall' altro, anche lui preda del suo fantasma...
Rompere la relazione dell'io con il mio , lungi dal significare annichilimento, perché la consapevolezza di sè è là, ben presente, ma libera dall'attaccamento al "mio" io, esalta il carattere 'puro' di questa coscienza che è allora vera coscienza dei processi di interdipendenza in atto in ogni momento del nostro esistere. :)
Citazione di: davintro il 12 Marzo 2019, 20:21:59 PM
il riconoscimento dell'Altro in quanto "Altro" è reso possibile sempre sulla base dell'Io, cioè sulla base di un raffronto di distanza tra il mio Io e l'Alter Ego, ed è questo margine di distanza che ci consente di non riconoscere la nostra soggettività come l'unica possibile. Trovo inevitabile che ogni punto di vista sul mondo sia sempre incentrato sull'Io, sul soggetto pensante che elabora il punto di vista, utilizzando i propri parametri di giudizio teorico e di valore, se così non fosse l'Io non sarebbe tale, assorbirebbe in modo del tutto passivo e acritico gli stimoli del mondo esterno, senza alcuna traccia di intenzionalità, che presuppone sempre un orientamento dell'Io intenzionante sulla base di strutture e categorie interiori, a partire da cui aprirsi al riconoscimento di un mondo trascendente, altro, e entro cui comprendere anche la presenza di altri soggetti. Il problema di quando questa centralità dell'Io assume ripercussioni morali, credo dipenda dallo stabilire se dobbiamo intendere l'Io nell'accezione trascendentale, l'Io inteso come semplice punto originario degli atti di esperienza del mondo, e l'Io inteso come Io empirico, la mia persona particolare, con la sua individualità ed anche con i suoi limiti e mancanze. I due piani non coincidono in toto, l'arroganza del soggetto che pone la sua esistenza come l'unica degna di valore e importanza e vede l'alterità come un ostacolo da superare per i suoi fini soggettivi riguarda l'Io nella seconda accezione, il mio Io individuale. Nella sua prima accezione, l'Io come soggetto riflettente, l'lo ha la possibilità di esprimersi a livello autocritico, riconoscendo l'imperfezione dell'Io individuale, i suoi limiti, i suoi torti, e conseguentemente anche la positività della relazione con l'Altro, la sua autonomia da rispettare ecc. Penso sia stato un errore dell'idealismo immanentista far coincidere i due livelli dell'Io, passando dall'Io come punto di partenza metodologico della filosofia, l'indubitabilità della coscienza come fondamento razionale della conoscenza della realtà, all'Io che assolutizza se stesso come esistenza negando ogni alterità, ogni ulteriorità del mondo rispetto a se stesso. Ma non è affatto detto che quest'ultimo fosse l'unico esito teoretico possibile a partire dall'Io come premessa metodologico, come ad esempio è inteso da Cartesio (il fatto che storicamente sia stato così non esclude percorsi alternativi a livello teoretico, dato che un conto è la valutazione teoretica un altra quella storico-filosofica), Resta sempre valido quel filone ad esempio di tipo agostiniano (che nel complesso si può accettare anche a prescindere dall'adesione confessionale, a livello laico-filosofico), che pur partendo dalla certezza dell'Io pensante e vivente, riconosce anche come questo Io viva sempre in connessione con qualcosa che trascende i limiti dell'esistenza individuale in cui questo Io si realizza, un'alterità, sia nel senso "orizzontale" interumano, sia nel senso verticale della Trascendenza divina, connessioni che si rivelano nei conflitti interiori (pensiamo alle Confessioni) di un'esistenza mai del tutto padrona di se stessa, e quindi impossibilitata a risolvere nella sua immanenza assolutizzata i problemi che la attraversano, e conseguentemente necessitata a riconoscere l' "Altro", riconoscimento che però non ha implicato l'abbandono del piano di ricerca dell'Io, dell'interiorità, della coscienza soggettiva, bensì proprio il suo coerente approfondimento
Il fatto è che la prospettiva aperta da Levinas, è, per come l'ho capita, mi riconosco "Io" in forza della chiamata dell' Altro, in questo senso ne sono "ostaggio", è grazie all'Altro che mi trovo "Me"( al completo oggetto ): è così che ho l'occasione di riconoscermi libero verso chi mi chiama a responsabilità, poichè è il sentirsi responsabili l'apertura alla libertà propria dell'Io, che lo fa emergere.
A mio parere, ribalta un tantino le dinamiche di riconoscimento, le sconquassa un po', come dicevo, l" "Io" sorge perchè chiamato a rispondere all'Altro.
Poi certamente sono in accordo con te sul punto che è un approfondimento della soggettività.
Citazione di: Sariputra il 13 Marzo 2019, 08:44:40 AM
Se riuscissimo a vedere l'io non come una monade, un' entità unitaria, indivisa, ma come un 'processo' perennemente in mutazione, cangiante come le nuvole nel cielo e di fronte a questo "io" cangiante l'altro , anche lui come processo cangiante , in trasformazione perenne, non ci sarebbe un annichilimento, ma bensì una profonda consapevolezza dell'interdipendenza reciproca. Allora si potrebbe forse vedere l'io e l'altro come fenomeni che si alimentano a vicenda. Io sono anche un pò dell'altro, nel senso che me ne nutro, lo assorbo, ne vengo educato e viceversa l'altro è anche un pò di me, nel senso che lo nutro, mi assorbe e lo educo...
Ragionare non più in termini di '"entità" ma di "processi" che si attivano sempre in relazione l'uno con l'altro e non autoesistenti, non dotati di sostanza inerente, ma che hanno la loro consistenza nella reciprocità della connessione, oltre a togliere gran parte del 'fantasma' che accompagna la sensazione dell'Io, ossia l'ego, il senso del "mio", solleva anche da un gran peso. Il peso cioè di spendere un sacco di energie per 'sostenere' questa monade illusoria e difenderla dall' altro, anche lui preda del suo fantasma...
Rompere la relazione dell'io con il mio , lungi dal significare annichilimento, perché la consapevolezza di sè è là, ben presente, ma libera dall'attaccamento al "mio" io, esalta il carattere 'puro' di questa coscienza che è allora vera coscienza dei processi di interdipendenza in atto in ogni momento del nostro esistere. :)
La metafisica occidentale è rimasta ferma ad un ego-centrismo neonatale che al massimo riconosce l'Altro come il neonato riconosce la tetta della mamma. E da lì non si schioda, rispecchiandosi come Narciso in un Altro che sono sempre Io. Mentre nella realtà non esiste l'Altro, ma gli altri, che sono già miriadi all'interno della specie, cosa che il neonato scopre assai presto (dietro la tetta c'è la mamma, accanto alla mamma il papà, ...). E diventano miriadi di miriadi se contiamo le altre speci. E miriadi all'infinito contando i fenomeni che in un incessante divenire combinano tra loro le "monadi" della filosofia occidentale entrando fisicamente e metafisicamente fin dentro il loro sancta sanctorum: l'Io.
Citazione di: Sariputra il 13 Marzo 2019, 08:44:40 AM
Se riuscissimo a vedere l'io non come una monade, un' entità unitaria, indivisa, ma come un 'processo' perennemente in mutazione, cangiante come le nuvole nel cielo e di fronte a questo "io" cangiante l'altro , anche lui come processo cangiante , in trasformazione perenne, non ci sarebbe un annichilimento, ma bensì una profonda consapevolezza dell'interdipendenza reciproca. Allora si potrebbe forse vedere l'io e l'altro come fenomeni che si alimentano a vicenda. Io sono anche un pò dell'altro, nel senso che me ne nutro, lo assorbo, ne vengo educato e viceversa l'altro è anche un pò di me, nel senso che lo nutro, mi assorbe e lo educo...
Ragionare non più in termini di '"entità" ma di "processi" che si attivano sempre in relazione l'uno con l'altro e non autoesistenti, non dotati di sostanza inerente, ma che hanno la loro consistenza nella reciprocità della connessione, oltre a togliere gran parte del 'fantasma' che accompagna la sensazione dell'Io, ossia l'ego, il senso del "mio", solleva anche da un gran peso. Il peso cioè di spendere un sacco di energie per 'sostenere' questa monade illusoria e difenderla dall' altro, anche lui preda del suo fantasma...
Rompere la relazione dell'io con il mio , lungi dal significare annichilimento, perché la consapevolezza di sè è là, ben presente, ma libera dall'attaccamento al "mio" io, esalta il carattere 'puro' di questa coscienza che è allora vera coscienza dei processi di interdipendenza in atto in ogni momento del nostro esistere. :)
Pur nel perenne mutare, una permanenza resta: la permanenza del mutare. Vedere il soggetto non come entità o sostanza, cosa che per altro, con tutti i limiti totalizzanti della filosofia occidentale, ritengo sia una prospettiva non a lei estranea, in molti casi - comunque pur in questa continua trasformazione una continuità tra quel che ero, è e sarò la vagheggiamo un po' tutti. O mi sbaglio? Non vi accompagna un senso di permanenza che attraversa i mutamenti? Una sorta di identità, ok un fantasma, una illusione con cui fare i conti, ma che resta irripetibile nelle sue trasformazioni?
La stessa prospettiva di "interdipendenza" non presuppone un "tra", ta me e te?
Citazione di: paul11 il 12 Marzo 2019, 13:08:36 PM
Sul nichilismo........dipende da quale pulpito culturale ci si ponga.Per Nietzsche è la tradizione, per i materialisti e naturalisti la metafisica, per gli empiristi positivisti l'idealismo. Per Levinas?
Levinas è influito da Heidegger e dall'incontro con un saggio talmudista oltre che dalla sua biografia,dalla sua esistenza storica...
...Se ogni Io si confondesse perdendo il proprio Io nell'Altrui , diventeremmo Nessuno .Forse è una strada di risoluzione, ma forse anche di serio nichilismo autodistruttivo
Il
nichilismo è uno, nessuno, centomila. In filosofia lo si dovrebbe usare sempre con l'asterisco accanto e
chiave di significato incorporata. E' una categoria affetta da bias congenito. Come il suo compare
cinismo che spesso lo accompagna.
Nella
Critica della ragion cinica, Peter Sloterdijk distingue tra
Kynismus, critica sociale dal p.d.v. dei dominati (Diogene cinico), e
Zynismus, assenza di scrupoli, ovvero nichilismo, dei dominanti. Tale distinzione sfugge del tutto all'analisi intrisa di bias classista di Nietzsche (morale di schiavi e signori)
Si tratta di categorie
sociali inaccessibili alla filosofia idealistica dei numeri primi, che finisce col considerare essenziale quello che è soltanto epigenetico.
Accanto all'opposizione io-altro, nella tradizione occidentale vi è da Hegel in poi, anche la ricomposizione intersoggettiva dell'io, che può esistere solo attraverso il confronto e la reciproca crescita:
"L'autocoscienza è in e per sé, in quanto e perché essa è in e per sé per un'altra autocoscienza. Ossia essa è soltanto come un qualcosa di riconosciuto".( Hegel, Fenomenologia dello spirito). Ridurre tutta la tradizione occidentale ad un super-ego tecnicizzante ed oggettivante è inesatto.
Citazione di: Ipazia il 13 Marzo 2019, 08:24:17 AML'Io è il settemiliardesimo di sette miliardi di Altri. La solitudine dei numeri primi naufraga nella complessità dei grandi numeri. Cosa su cui certamente Nietzsche, a differenza dei metafisici, disse qualcosa. Così come, più fecondamente, Marx.
dal punto di vista, quantitativo, certamente l'Io è solo un settemiliardesimo di altri Io, senza particolari tratti che lo contraddistinguono e lo valorizzano. ma da quello qualitativo, quello più legato alla concretezza, all'essere oggetto della nostra esperienza vissuta, le cose stanno molto diversamente. Su questo piano, il nostro Io non è solo uno dei tanti, ma possiede i criteri in base a cui alcune persone, i nostri cari, i nostri conoscenti acquisiscono un'importanza per la nostra vita ben superiore al resto dei sette miliardi. Un accadimento che colpisce, nel bene o nel male, uno di loro, ha per noi un peso insostituibile rispetto allo stesso accadimento riguardante una massa di estranei. E da ciò discende la possibilità di fare scelte, scegliere vuol dire selezionare, ogni momento passato con la nostra famiglia, con i nostri amici, è un momento che in tutta coscienza togliamo alla compagnia di qualunque altra persona. Senza tale differenziazione di valori, operata sulla base della sensibilità soggettiva del nostro Io, nessuna scelta sarebbe possibile, sulla base di una visione omologatoria, livellatrice, quantitativa, in cui ogni individuo è solo un' unità indifferenziata, il nostro impegno quotidiano nel coltivare relazioni umane smarrirebbe ogni senso, non avrebbe più coscienza di una meta verso cui rivolgersi, ogni scelta cadrebbe nell'indifferenza, perché il bene di ciascuna persona varrebbe come quella di chiunque altro, nessuna valutazione di priorità possibile. Ogni relazione cadrebbe nella superficialità del tentativo di espandersi a più persone possibili, seguendo un criterio meramente quantitativo, perdendo di vista la profondità, che invece presuppone il soffermarsi sull'ascolto di un singolo "tu", lasciando sullo sfondo tutti gli altri. Perché perdere minuti, ore ad ascoltare un amico, quando oltre lui ce si sarebbero miliardi di altre persone, di fronte a cui lui è solo uno dei tanti? Solo riferendoci a noi stessi, al mio Io, che recupero il senso di soffermarmi sulla relazione con il mio amico nella sua singolarità: lui non è uno dei tanti, lui è il MIO amico, merita dal MIO punto di vista un tempo, un'attenzione DECIDO di non dare agli altri. Quindi direi, questa soggettività, così demonizzata, superata, direi di tenercela stretta: solo partendo da essa preserviamo il senso delle differenze di valore, e conseguentemente del senso delle nostre scelte. L'appiattimento omologatorio del giudizio di valore fra tutti gli esseri umani non può che condurre alla stasi, cioè all'in-differenza delle scelte, cioè dell'agire vitale.
Citazione di: davintro il 16 Marzo 2019, 00:56:56 AM
dal punto di vista, quantitativo, certamente l'Io è solo un settemiliardesimo di altri Io, senza particolari tratti che lo contraddistinguono e lo valorizzano. ma da quello qualitativo, quello più legato alla concretezza, all'essere oggetto della nostra esperienza vissuta, le cose stanno molto diversamente...
La mia critica al dipolo Io-Altro è sul piano qualitativo, in quanto rappresentazione falsata della realtà antropologica. La relazione corretta è Io-Altri, perchè le relazioni umane sono di tipo plurale e anche se non possono abbracciare l'universo mondo già nel microcosmo esistenziale di ognuno di noi la relazione è uno-molti, con varie sfumature e priorità, non uno-due. L'errore di questa concezione è metafisico oltre che fisico.
Citazione di: paul11 il 12 Marzo 2019, 13:08:36 PM
ciao Mauro(Oxdeadbeaf).
Levinas l'ho letto a suo tempo a pezzettini e bocconi e trovo, come spesso nei bravi filosofi che a fianco di una intuizione di verità vi sia sempre una contraddizione..
A Paul (e a tutti quelli che leggono, ovviamente)
Non dico che Levinas sia LA risposta definitiva a Nietzsche: dico che in un mondo nel quale Nietzsche
domina pressochè incontrastato (e aggiungerei non compreso nella sua abissale profondità - vedi
quanti non capiscono che "tutto è lecito" (se "Dio è morto"), quello di Levinas è perlomeno un
abbozzo "serio" di risposta...
Concordo senz'altro quando affermi che in Levinas "manca il parametro" (in fondo cos'è che "dirime"
nell'incontro dell'"io" con l'"altro"?); ma il parametro, ritengo, non può essere trovato finchè l'"io"
pensa di ridurre a se stesso tutto l'universo (mi piace a tal proposito citare un tipo che una volta
sentii in un bar esclamare: "il giorno che muoio io finisce il mondo").
Non siamo forse, noi occidentali, addirittura arrivati a pensare che nulla esiste al di fuori del
soggetto pensante? Da dove pensiamo scaturisca una frase come quella che prima riportavo (quella
del tipo del bar, che sapeva si e no leggere e scrivere)?
Ecco, a parer mio il grande pregio di Levinas è di riportare la discussione all'evidenza (e
l'evidenza è, ad esempio, il pensare che esista un oggetto senza un soggetto che lo pensa).
Quanto all'"Essere" della tradizione filosofica occidentale, io credo che Levinas non abbia poi
tutti i torti quando lo vede un pò alla radice di questa "ontologia dell'io" che è diventata
lo "sguardo occidentale sul mondo".
Come disse Aristotele, l'"Essere" si dice in molti modi "ma uno solo è il suo significato primario
e fondamentale". E questo può solo e soltanto significare una "reductio ad unum", lo sappiamo (come
del resto sappiamo anche che senza questa "riduzione" viene a mancare il parametro...).
Quindi, ecco, la filosofia di Levinas non come "risposta" (quando mai poi la filosofia ha "risposto"...),
ma come domanda "ulteriore" che rimette in discussione, semmai, le presunte risposte di "altri"...
saluti
Citazione di: 0xdeadbeef il 16 Marzo 2019, 23:56:58 PM
A Paul (e a tutti quelli che leggono, ovviamente)
Non dico che Levinas sia LA risposta definitiva a Nietzsche: dico che in un mondo nel quale Nietzsche
domina pressochè incontrastato (e aggiungerei non compreso nella sua abissale profondità - vedi
quanti non capiscono che "tutto è lecito" (se "Dio è morto"), quello di Levinas è perlomeno un
abbozzo "serio" di risposta...
Concordo senz'altro quando affermi che in Levinas "manca il parametro" (in fondo cos'è che "dirime"
nell'incontro dell'"io" con l'"altro"?); ma il parametro, ritengo, non può essere trovato finchè l'"io"
pensa di ridurre a se stesso tutto l'universo (mi piace a tal proposito citare un tipo che una volta
sentii in un bar esclamare: "il giorno che muoio io finisce il mondo").
Non siamo forse, noi occidentali, addirittura arrivati a pensare che nulla esiste al di fuori del
soggetto pensante? Da dove pensiamo scaturisca una frase come quella che prima riportavo (quella
del tipo del bar, che sapeva si e no leggere e scrivere)?
Ecco, a parer mio il grande pregio di Levinas è di riportare la discussione all'evidenza (e
l'evidenza è, ad esempio, il pensare che esista un oggetto senza un soggetto che lo pensa).
Quanto all'"Essere" della tradizione filosofica occidentale, io credo che Levinas non abbia poi
tutti i torti quando lo vede un pò alla radice di questa "ontologia dell'io" che è diventata
lo "sguardo occidentale sul mondo".
Come disse Aristotele, l'"Essere" si dice in molti modi "ma uno solo è il suo significato primario
e fondamentale". E questo può solo e soltanto significare una "reductio ad unum", lo sappiamo (come
del resto sappiamo anche che senza questa "riduzione" viene a mancare il parametro...).
Quindi, ecco, la filosofia di Levinas non come "risposta" (quando mai poi la filosofia ha "risposto"...),
ma come domanda "ulteriore" che rimette in discussione, semmai, le presunte risposte di "altri"...
saluti
ciao Mauro(Oxdeadbeef)
non penso che Nietzsche(altro grande filosfo di grandi intuizioni e forti contraddizioni) domini questo tempo, tutt'altro.
Se si chiedesse ai filo nitzcheani, probabilemnte ti direbbero che il nchilismo permane in attesa del superuomo.
Il parametro infatti è un fondamento accettato e condiviso da io e l'altrui ed è qualcosa che viene prima del sociale e prima del politico: è l'umano. Affinchè decada il mio e il tuo e venga accettato il nostro, come "necessità" e quindi l'incontro o si fonda su un "bene superiore" che non è, ribadisco, una sovrastruttura del socio-politico o la struttura del socio-sconomico, la condivisione deve far decadere il possesso inteso come soverchiamento, come possibilità che l'io o l'altrui annullino l'altro invece di apririsi e accettare umanamente, non solo come simile, come fratellanza, l'altrui.Il fondativo non può essere l'agone politico ed economico, per questo le retoriche delle Costituzioni non hanno migliorato l'uomo, il sociale, il politico, è nell'abisso dell'animo umano che va ricercata la fratellanza originaria.
Fino al nomos la filosfia non accettava che l'uomo potesse oltrepassare il limite di un codice universale senza recare danno a se stesso, alla natura e alle regole universali.E trovo, come dire, risibile( per non dire drammatico e tragio) che oggi ci si muova per l'ambiente, per il pianeta terra, quando da circa duemila anni l'uomo ha cercato potere e denaro, egoismo e lo ha pure benedetto culturalmente nella modernità.
E' il limite ma l'io e l'altrui, fra noi umani e la natura, fra il pianeta Terra e l'intero firmamento che culturalmente è stato disgregato.
Ben venga un Levinas, se ci fa riflettere che se oggi il potere della'artifico tecnico umano può soverchiare le leggi naturali e portarci ad una fase di non ritorno, questo stesso limite fu superato fra l'io e l'altrui, con il possesso, con il potere sui destini altrui.
Aristotele non ha la colpa originaria sull 'Io, ma sul divenire.E' ovvio che il procedimento gnoseologico che nella modernità è diventato con la supremazia scientifica, epistemolologia, ponga un soggetto relazionale conoscitivo, un io pensante. L'errore semmai fu di cadere nella prassi e di pensare che l'esperienza pratica fosse più veritativa delal teoretica.Da quì il passo nella modernità è credere che la verità dimostrativa sia ciò che appare e diviene e l'uomo è divenuto se stesso apparenza e non sostanza.Credere la verità nel divenire e nelle apparenze fu la premessa degli errori e orrori contemporanei.
Ciao Paul
In un passo che ritemgo estremamente interessante Levinas si chiede: "in che modo l'io potrà
restare io in un tu, senza essere tuttavia l'io che io sono nel mio presente, cioè un io che
ritorna fatalmente a sé? In che modo l'io potrà diventare altro nei confronti di se stesso?".
E a ciò risponde: "questo è possibile in un modo soltanto: con la paternità".
Mi chiedo allora: è solo attraverso il vincolo del "sangue" che può essere superata l'
irriducibilità della dicotomia io-altro? E a quali possibili conseguenze politiche può portare
un simile fondamento? Non rischia, questo concetto, di annullare tutte quelle che a me sembrano
le "buone intenzioni" della filosofia di Levinas?
Allo stesso modo, ritengo che se tu affermi il "parametro" come fondamento necessario affinchè
decada il "mio" e il "tuo" (e si affermi il "nostro"); ma escludi che questo possa essere
frutto ("parto") della sfera socio-politica, finisci irrimediabilmente nel medesimo "cul se sac"
in cui si infila Levinas nel momento in cui afferma la paternità come unica maniera in cui
può essere superata l'irriducibilità della "alterità".
Voglio dire: che rapporto può mai legare un io e un altro fra i quali non intercorre alcun
legame "di sangue"? Su quale altra sfera che non sia quella, sovrastrutturale, socio-politica
può mai fondarsi la "comunione" di due entità che nulla hanno in comune?
saluti
Citazione di: Lou il 12 Marzo 2019, 18:15:31 PM
"Io non esisto come un essere spirituale, come un sorriso o un vento che soffia, non sono libero di responsabilità. Il mio essere si carica di un avere...la materialità non esprime la caduta contingente dello spirito nella tomba o nella prigione di un corpo. Essa accompagna – necessariamente – la nascita del soggetto, nella sua libertà di esistente. Comprendere così il corpo a partire dalla materialità – evento concreto della relazione fra Io e Sé – significa ricondurlo a un evento ontologico. Le relazioni ontologiche non sono legami disincarnati. La relazione tra Io e Sé non è un'inoffensiva riflessione del pensiero su di sé. E' tutta la materialità dell'uomo."
Questo passo, che amo assai, a mio parere è emblematico dell'operazione di rovesciamento dell'idealismo che in Levinas ritengo si compia in una opera soggettivazione del soggetto e proprio come accennava Ox nell'incipit del suo intervento, una risposta, se non l'unica, dove in ogni caso si possono rintracciare tracce di filosofie "occidentali" quali la fenomenologia di Merleau Ponty, al dilagare nichilista. La declinazione che Levinas persegue trovo anch'io risponda a una esigenza prima etica che teoretica: il tema dell'altro, della responsabilità, dell'ascolto, del tempo, dell' "altrimenti che essere" sono ascrivibili al recupero di una dimensione che è posizione antinichilistica.
Ciao Lou
Come dicevo, siamo ahimè ancora ben lungi dal dare una risposta non dico "risolutiva" (cosa
invero impossibile), ma anche solo "importante" al devastante pensiero nichilista degli
ultimi secoli.
Ciò non toglie che quella di Levinas sia una filosofia che, in un panorama che a me sembra davvero
avvilente per la sua pochezza, offre spunti di grande interesse.
Per cominciare, non bisogna necessariamente identificare l'"altro" levinasiano con un soggetto/persona.
L'"altro" è un soggetto ma non solo un soggetto: è tutto ciò che non è il "presente" del soggetto (è
persino il futuro di quello stesso soggetto): l'"altro" è essenzialmente "Mistero" (in quanto già la
conoscenza significherebbe aprire all'impossessamento dell'"altro" da parte dell'"io").
In un raffronto con la concezione classica occidentale dell'"Essere" (e contro la prima tesi di Heidegger
circa la coincidenza di "Essere" e "Tempo"), l'"altro" si "sublima" e viene a coincidere proprio con
il tempo (in quanto è "nel" tempo che viene a situarsi quel "totalmente-altro" che è la morte del
soggetto).
Quindi sì, quella di Levinas è una esigenza certamente etica, ma è anche teoretica, visto che intende
"attaccare" nei suoi stessi fondamenti la visione filosofica occidentale.
A parer mio, sarebbe oltremodo interessante un confronto/parallelo fra le tesi di Levinas e quelle
di Kant (il filosofo "meno occidentale" fra tutti quelli della modernità - forse proprio perchè meno moderno....).
saluti
ciao Mauro(Oxdeadbeef)
Levinas è influenzato dalla fenomenologia di Husserl e ancora di più dal suo "discepolo" Heidegger.
L'Essere e il Tempo sono ancora centrali anche in Levinas.
L'Altrui, per Levinas, è un asimmetria, una differenza, una diseguaglianza.La comunicazione con l'Altrui avviene con l'eros, con l'amore.
Per questo Levinas inserisce,a sorpresa, la femminilità e poi la conseguenza dell'eros, la paternità.perchè il figlio è nello stesso tempo Altrui e Io.
La rappresentazione della paternità e l'eros comunicativo con la femminilità(diversità ,asimmetria) sono le figure più rappresentative per configurare la relazione Io e Altrui. Perchè l'Altrui è ancora diversità nel figllio ma "sono ancora io" pur non essendo Io, ma essendo Altrui.
Il Tempo è ancora fondamentale perchè l'incontro anticipa in qualche modo il futuro, apre prospettive.Quì vi è il pensiero di Heidegger che lo pone con il dasein , l'esser-ci, nel progetto di un orizzonte temporale che deve anticipare la morte. La morte è ancora presente, come finitezza del destino.
Il Tempo è centrale dalla fenomenologia in poi nel pensiero filosofico;celebre fu un incontro sull'interpretazione del tempo fra Einstein e Bergson.
La mente umana presentifica il passato e il futuro, questo è il "senso".le diversità le asimmetrie permettono il "movimento" del pensiero che si muove per contrasti, per differenze, per comparazioni.Il trascendente non avvine sul piano metafisco "antico", è più simile alla trascendenza anche del tempo kantiana che permette l'appercezione dell'oggetto.Il tempo è continuità e simultaneità e agisce fisicamente ,ma la mente lavora su più piani temporali, costruendo intenzioni, pro-getti, prospettive, ed è chiaro che se l'Essere viene nascosto od obnulato per inserire in primo piano l'Esistenza, l'orizzonte temporale in cui vivamo, il senso, il movimento temporale fisco e dell'essere deve cercarsi appunto nel vissuto esperito.
In questo la relazione Io e altrui può dare nello stesso momento un senso e un orizzonte per Levinas.
Il mio pensiero rimane che la verità deve essere incontrovertibile nel principio originario, se non si vuole relativizzare il pensiero.
Non ha senso cercare un senso, solo nell'arco temporale di un esistenza, troveremmo che ogni esistenza umana potrebbe avere "un suo senso personale incondivisibile e in quanto tale incomunicabile e quindi "bloccare" l'eros, la comunicazione dell'amore.
Mi trovo invece d'accordo, aldilà dei contenuti molto condivisibili di Levinas(e anche Heidegger), che comunque vivere deve avere un senso, ma solo se ricondubile ad un piano più alto, per questo ritengo che il parametro deve essere superiore ai singoli sensi esistenziali umani ,comunuqe diversi, poichè l'Io non può annullare l'Altrui, lo può sopprimere persino, ma mai annullarlo. Se è venuto ad esistere l'Altrui anche questo deve avere un senso.El'Altrui è un Io per lui e Io sono un Altrui per lui.
L'evidenza ci insegna che due persone funzionano relazionalmente se sono compatibili per indole, carattere, personalità o sanno limare le differenze in maniera intelligente.La politica ha inventato il termine tolleranza.Ma la tolleranza è già un accettarsi pur sapendo le incompatibilità.
Una sovrastruttura, come la politica non può negare le differenze piallandole o peggio fingendo che siamo tutti eguali.
Insomma, le differnze elementari si amplificano in domini superiori, in altri termini se vi è già una contraddizione originaria nel sociale elementare fra un Io e l'Altrui, la complessità finge di farla tacere quando invece porta con sè miliardi di queste contraddizioni. Le pacifica solo armandosi (loStato)contro i disarmati(i cittadini che dovrebbe rappresentare). E' solo un conflitto in seno al dominio politico in attesa del momento che confliggerà. Levinas non supera questa contraddizione e come Heidegger ,rimane una filosofia monca
Citazione di: 0xdeadbeef il 17 Marzo 2019, 17:58:34 PM
Ciao Lou
Come dicevo, siamo ahimè ancora ben lungi dal dare una risposta non dico "risolutiva" (cosa
invero impossibile), ma anche solo "importante" al devastante pensiero nichilista degli
ultimi secoli.
Ciò non toglie che quella di Levinas sia una filosofia che, in un panorama che a me sembra davvero
avvilente per la sua pochezza, offre spunti di grande interesse.
Per cominciare, non bisogna necessariamente identificare l'"altro" levinasiano con un soggetto/persona.
L'"altro" è un soggetto ma non solo un soggetto: è tutto ciò che non è il "presente" del soggetto (è
persino il futuro di quello stesso soggetto): l'"altro" è essenzialmente "Mistero" (in quanto già la
conoscenza significherebbe aprire all'impossessamento dell'"altro" da parte dell'"io").
In un raffronto con la concezione classica occidentale dell'"Essere" (e contro la prima tesi di Heidegger
circa la coincidenza di "Essere" e "Tempo"), l'"altro" si "sublima" e viene a coincidere proprio con
il tempo (in quanto è "nel" tempo che viene a situarsi quel "totalmente-altro" che è la morte del
soggetto).
Quindi sì, quella di Levinas è una esigenza certamente etica, ma è anche teoretica, visto che intende
"attaccare" nei suoi stessi fondamenti la visione filosofica occidentale.
A parer mio, sarebbe oltremodo interessante un confronto/parallelo fra le tesi di Levinas e quelle
di Kant (il filosofo "meno occidentale" fra tutti quelli della modernità - forse proprio perchè meno moderno....).
saluti
Direi che certamente il parallelo con Kant lo trovo fecondo: l'alterità in Levinas ricorda assai il noumeno kantiano, irriducibile è indicibile a oggetto di conoscenza, solo pensabile. Resta da accordarci però su due punti, il noumeno in Kant è concetto limite, mentre in Levinas l'alterità esula la concettualità stessa, l'altro, nell'epifania del volto è autosignificante, non è concettualizzabile. Non è nemmeno altro inteso come alter-ego, in analogia con me stesso. Questa irruzione del trascendente nell'epifania del volto, però mi crea una sorta di imbarazzo poichè, da un lato ritengo che Levinas intenda mantenere una certa trascendenza del trascendente, non lo immanentizza del tutto, per altro verso lo fenomenicizza in epifania, annuncio, l'altrimenti. Qui manifesto le mie perplessità e i miei limiti rispetto a alla filosofia di cui stiamo discutendo, come dici bene "Mistero", ma non alla maniera del noumeno kantiano, pare una rottura a livello del pensabile stesso, eppure, che si presentifica, in lessico "espone" Come posso considerare una fenomenologia dell'alterità quando l'alterità è sottrazione di fenomenologità affermandosi al contempo in presenza, o come vedi tu l'esporsi, fuor di relazione? Detto altrimenti, l'irruzione dell'evento che non si salda in un tempo e perciò nell'essere, non lascia interdetti? Non so se sono riuscita a chiarirti le mie perplessità, rispetto ad alcune linee che mi hai indicato, si intersecano altri approfondimenti credo, come l' y la, un brusio anonimo che non sono io, il senso d'alterità in seno al soggetto stesso, ma non vorrei complicare.
Citazione di: 0xdeadbeef il 16 Marzo 2019, 23:56:58 PM
Concordo senz'altro quando affermi che in Levinas "manca il parametro" (in fondo cos'è che "dirime"
nell'incontro dell'"io" con l'"altro"?); ma il parametro, ritengo, non può essere trovato finchè l'"io"
pensa di ridurre a se stesso tutto l'universo (mi piace a tal proposito citare un tipo che una volta
sentii in un bar esclamare: "il giorno che muoio io finisce il mondo").
Non siamo forse, noi occidentali, addirittura arrivati a pensare che nulla esiste al di fuori del
soggetto pensante? Da dove pensiamo scaturisca una frase come quella che prima riportavo (quella
del tipo del bar, che sapeva si e no leggere e scrivere)?
"il giorno che muoio io finisce il mondo" mi appare in linea con il nucleo della filosofia di Levinas qui proposta: la relazione asimmetrica tra l'Io e l'Altro: se muore l'Io muore la relazione. Levinas non ha bisogno di presupporre alcun "parametro" perché ciò che vale è la relazione, che trascende l'Io e l'Altro.Credo che ci siano molti occidentali che pensano che la loro morte non sia la fine del mondo. Addirittura molti credono che la loro stessa morte sia un'illusione.
Invece io su questo punto non sono in accordo, il perno non è la relazione, ma si da nell'irrelato che da pensare, l'irrelato, ciò che vale, e per l'appunto non è, esonda dall'essere, proprio perchè vale, al di là dell'essere-in-relazione.
Se Kant è influito dalla meccanica galileana e newtoniana e dall'empirismo, la fenomenologia è influita dalla rivoluzione scientifica di fine Ottocento e inizi Novecento.
Nella fenomenologia il processo gnoseologico muta l'ontologia, non c'è più la netta separazione fra soggettività e oggettività che infatti la quantistica ontologicamente ed epistemologicamente ha mutato .
Il soggetto "sfuma" nell'oggetto e a sua volta l'oggetto altera in qualche modo il soggetto .Il sistema di relazione è lo strumento che permette la dialogia fra un Io e Altro (come persona o come oggetto) e crea una "sospensione" temporale.
Potremmo dire che ogni incontro, visto come relazione di conoscenza, qualcosa di noi cambia e potremmo dire ,in altro modo, che sia questa l'esperienza.Diventa positivo ,per Levinas se entra nella relazione l'eros , l'amore(che sfugge tipicamente nella fenomenologia al linguaggio puramente logico), per cui è la totalità di me stesso che è "investita" nella relazione mediante l'eros, e le diversità che incontriamo in tanto o poco ci mutano, nel senso che ora non siamo più qualcosa che eravamo prima dell'incontro.
Il linguaggio in Heidegger e Levinas è quasi sempre in sospensione temporale perchè presentifica sempre un qualcosa dell'avvenire, proprio perchè mi sta cambiando in ciò che ero prima.
In questo c'è qualcosa di affascinante, perchè c'è una verità e probabilmente il (o "un")senso dell'esistere, fatto di incontri, di esperienze.
Ma l'eros è ambiguo per sua natura, non è detto che l'incontro non possa diventare scontro .In questo trovo Levinas "romanticista" e poco"realista".O si è tutti disponibili a non avere pre-attaccamenti (ma è un assurdo) per cui ogni incontro diventa apertura senza pre-giudizi (di nuovo assurdo, perchè altri precedenti incontri, altre esperienze ci hanno "formato").Perchè solo un'apertura totalizzante, che investe fisica e anima, può nello stesso tempo prendere e capire le differenze con ogni Altrui e ontologicamente mutarci(perchè ora l'Altrui è anche nostro senza annullarlo, ma com-prendendolo, inglobandolo in noi stessi. questo può valere nell'esempio della femminilità e della paternità, in un amore totalizzante....ma con ogni altro simile ,nel prossimo ? E' possible solo se in ogni volto del mondo noi incontriamo un fratello.
il momento fondativo della fenomenologia è l'epoche, cioè la sospensione del giudizio riguardo il piano esistenziale e fattuale della realtà a cui si attestano le scienze naturali, quindi non penso che la fenomenologia possa vedersi come influsso, almeno non diretto, dell'evoluzioni della fisica. Al contrario trovo la fenomenologia come pervasa dalle sue fondamenta da una chiara critica al positivismo, in difesa dell'autonomia della filosofia, o comunque del modello di scienza trascendentale, rispetto alle scienze empiriche, sia dal punto di vista metodologico che del contenuto oggettivo di indagine (i due piani sono correlati), quindi nel dover dipendere dagli sviluppi di una scienza sperimentale, la fenomenologia negherebbe la sua stessa ragion d'essere. Sono d'accordo nel pensare la fenomenologia come superamento della rigida separazione soggetto-oggetto, in particolare nell'accezione del dualismo kantiano fenomeno-noumeno: l'essenza delle cose, che la riduzione mira a evidenziare, non è più un noumeno trascendente, separato e inconoscibile, ma coincide proprio con la cosa nella sua accezione di "fenomeno", contenuto intenzionale di coscienza, vale a dire l'accezione per la quale la cosa è vista nel suo carattere di assoluta indubitabilità, cioè come fenomeno immanente a una coscienza, al di là della possibilità della sua non-esistenza esterna. Però questo, come era per Cartesio, è solo un passaggio metodologico finalizzato a riguadagnare un punto di vista il più possibile oggettivo e adeguato al rispecchiamento delle "cose stesse", che è un recupero inevitabilmente di natura teoretica; accanto alle asserzioni delle scienze sperimentali, a essere messe fuori circuito sono le nostre arbitrarie proiezioni sulla visione delle cose, compresi i nostri condizionamenti storici, i nostri valori morali soggettivi, per lasciare che le cose stesse si manifestino il più possibile per come sono, al di là delle nostre precomprensioni. In questo la distanza soggetto-oggetto resta anche per la fenomenologia fondamentale, e il superamento della rigida separazione (per cui la cosa diviene "fenomeno") è più un necessario passaggio procedurale per delineare una distanza su basi più razionali
Per questo, quando ho l'impressione che nel momento in cui con Levinas si parla di "etica come filosofia prima" venga tradito l'assunto fenomenologica del ritorno alle cose stesse. Tale ritorno coincide con una visione teoretica che l'epoche dovrebbe mirare a ripulire della componente di arbitrarietà soggettiva, per la quale la visione teoretica rischierebbe di essere confusa con la visione della realtà come vorremmo fosse in base ai nostri valori, oppure la visione di come potremmo utilizzarla pragmaticamente per i nostri soggettivi fini. Quindi il metodo fenomenologico deve mirare a una conoscenza il più possibile disinteressata, contemplativa, insomma a porre non l'etica, ma la teoretica come filosofia prima. Il che non vuol dire che il fenomenologo ortodosso non si occupi di etica... se ne occuperà ma tematizzandola come OGGETTO di riflessione, una delle modalità in cui si articola il complesso delle esperienze con cui la coscienza si rapporta al mondo, una delle tante. Ma non potrà porre il suo approccio, l'impostazione formale delle sue riflessioni come "etica", pena la perdita dello sguardo disinteressato sulle cose stesse, l'etica per lui dovrebbe solo essere un tema da affrontare in modo assiologicamente neutrale, teoretico appunto. Se invece si parla di etica come filosofia prima, mi pare che forse siamo al di là di una fenomenologia dell'etica. Forse più che prosecutore dell'indirizzo fenomenologico, Levinas, da francese (naturalizzato) si è per questo aspetto più avvicinato agli orientamenti e al clima di tipo esistenzialistico, dove la rivendicazione, se non di un primato, quantomeno di un'autonomia, dell'etica dalla teoretica è molto forte.
A Paul e Lou
Riassumo in una sola risposta perchè la tesi che cerco di illustrare risponde (anzi: intenderebbe
rispondere...) sia a Paul e che a Lou.
Chiedevo: cos'è che "dirime" fra l'io e l'altro (cos'è che fa sì che l'incontro non diventi scontro)?
Questo Levinas non ce lo dice; ma ci dice, e lo trovo importante, che c'è un "altro" che è all'"io"
irriducibile; un esistere che "c'è" (l'"y'a") anche senza un esistente; un (non)-interpretato che
appare anche senza che venga ad esistere un soggetto che lo interpreti.
Non mi pare francamente poco per una forma-mentis, la nostra, che riesce a pensare l'oggettività solo
all'interno di un "campo" (o "contesto", come Severino fa notare, banalizzandone la portata, a M.Gabriel
all'interno della discussione sul "Nuovo Realismo" di qualche anno fa).
Ora, ciò che "dirime" non può essere altro che una "verità incontrovertibile"; ma è, questa, posta
nella sfera dell'esistente o in quella di ciò che "dovrebbe esistere"?
Ciò che "dirime" (e ciò che dirime è la "verità incontrovertibile"), in altre parole, può essere
frutto del solo "nomos" (che è la mia tesi) o lo è anche/solo della "physis"?
Perchè, chiaramente, escludere (come fa Paul) che possa essere frutto della sfera socio-politica
vuol dire escludere che possa essere esclusivo frutto del "nomos" (cioè vuol dire aprire alla
necessità che sia frutto esclusivo della "physis" - e, per dirla con Hegel, "nell'arena della physis
non v'è pretore" - che non sia la volontà di potenza, ovviamente).
Da questo punto di vista, l'unico pensatore la cui filosofia, muovendosi come Levinas all'interno
di uno "sguardo" che mantiene la differenza fra l'io e l'altro, non risulta "monca" è Kant. Ma
Kant, sappiamo bene, "postula" soltanto una verità incontrovertibile, che "dirime", appunto tenendola
ben saldamente fuori da ogni "fondabilità teoretica" di tipo, per così dire, "fisico"...
Quanto alla Fenomenologia, devo ancora capire di cosa consiste oltre ad una (per me arbitrarissima)
"elevazione" del fenomeno ad essenza (al proposito leggerò con vero piacere quanto scrive l'amico
Davintro).
saluti
Ciao Davintro
Ma se quella che chiamavo "elevazione" del fenomeno ad essenza è solo un: "passaggio metodologico
finalizzato a riguadagnare un punto di vista il più possibile oggettivo", che bisogno c'era di
non prendere in considerazione l'"io penso" kantiano (come unità originaria dell'appercezione)?
Voglio dire, questo "passaggio metodologico" già era stato individuato da Kant, non credi?
Ma non solo, direi che lo era stato su basi molto (ma molto) più razionali, che evitano (come la
peste...) le conseguenze inevitabili della sintesi idealistica di soggetto e oggetto (fra cui,
la principale, il considerare il soggetto come creatore dell'oggetto).
Una di queste (per me nefaste) conseguenze è visibile proprio nel concetto di "epoché", cioè di
quel qualcosa che: "dovrebbe ripulire dalla componente di arbitraria soggettività" ("mirando ad
una conoscenza il più possibile disinteressata, contemplativa").
Su questa base, l'affermare che il "fenomenologo ortodosso si occuperà dell'etica tematizzandola
come OGGETTO" significa null'altro che affermare la coincidenza di reale e razionale, come fa Hegel.
Nulla di particolarmente sbagliato, ma c'è a parer mio da essere consapevoli del fondamento
idealistico di tutta la costruzione fenomenologica (che, come ben argomenta Levinas, finisce col
risolversi in una "ontologia dell'io").
saluti
Citazione di: 0xdeadbeef il 20 Marzo 2019, 15:32:42 PM
A Paul e Lou
Riassumo in una sola risposta perchè la tesi che cerco di illustrare risponde (anzi: intenderebbe
rispondere...) sia a Paul e che a Lou.
Chiedevo: cos'è che "dirime" fra l'io e l'altro (cos'è che fa sì che l'incontro non diventi scontro)?
Questo Levinas non ce lo dice; ma ci dice, e lo trovo importante, che c'è un "altro" che è all'"io"
irriducibile; un esistere che "c'è" (l'"y'a") anche senza un esistente; un (non)-interpretato che
appare anche senza che venga ad esistere un soggetto che lo interpreti.
Non mi pare francamente poco per una forma-mentis, la nostra, che riesce a pensare l'oggettività solo
all'interno di un "campo" (o "contesto", come Severino fa notare, banalizzandone la portata, a M.Gabriel
all'interno della discussione sul "Nuovo Realismo" di qualche anno fa).
Ora, ciò che "dirime" non può essere altro che una "verità incontrovertibile"; ma è, questa, posta
nella sfera dell'esistente o in quella di ciò che "dovrebbe esistere"?
Ciò che "dirime" (e ciò che dirime è la "verità incontrovertibile"), in altre parole, può essere
frutto del solo "nomos" (che è la mia tesi) o lo è anche/solo della "physis"?
Perchè, chiaramente, escludere (come fa Paul) che possa essere frutto della sfera socio-politica
vuol dire escludere che possa essere esclusivo frutto del "nomos" (cioè vuol dire aprire alla
necessità che sia frutto esclusivo della "physis" - e, per dirla con Hegel, "nell'arena della physis
non v'è pretore" - che non sia la volontà di potenza, ovviamente).
Da questo punto di vista, l'unico pensatore la cui filosofia, muovendosi come Levinas all'interno
di uno "sguardo" che mantiene la differenza fra l'io e l'altro, non risulta "monca" è Kant. Ma
Kant, sappiamo bene, "postula" soltanto una verità incontrovertibile, che "dirime", appunto tenendola
ben saldamente fuori da ogni "fondabilità teoretica" di tipo, per così dire, "fisico"...
Quanto alla Fenomenologia, devo ancora capire di cosa consiste oltre ad una (per me arbitrarissima)
"elevazione" del fenomeno ad essenza (al proposito leggerò con vero piacere quanto scrive l'amico
Davintro).
saluti
Mi sono un po' persa. Ora, l'y'a è l'elementare indistinto, si da in forma anonima, evento puro senza soggetto, una dimensione, originaria, prelogica e prefilosofica, forse l'arte riesce meglio a non tradirla. A me pare che le distinzioni comincino con l'ipostasi del soggetto.
"Physis" è un concetto eminentemente filosofico, potrei dire che è con esso che si inaugura la stagione filosofica propriamente detta ed è in forza d'esso che è possibile dirimere e discriminare tra ciò che è physis e ciò che non lo è. Un criterio.
Detto ciò, domando, perchè si possa arrivare a una concettualizzazione in termini di physis non occorre un sistema di "nomos" intesi quali aspetti socio-politici-economici-culturali che lo permettono? È un po' un gatto che si morde la coda, ma soprattutto e venendo all'y'a senza un soggetto giudicante, è possibile distinguere tra esistenza ed esistente? A chi appare il brusio incessante che basso ci acconmpagna?nell'insonnia, ok, a un soggetto passivo e inibito e agito, non agente.
La stessa epokè non è un ammirabile metodo di farsi da parte del soggetto? Ma il medodo è la la scelta di una via, un sentiero, e se non c'è soggetto, chi compie questa scelta metodologica?
Citazione di: 0xdeadbeef il 20 Marzo 2019, 15:32:42 PM
A Paul e Lou
Riassumo in una sola risposta perchè la tesi che cerco di illustrare risponde (anzi: intenderebbe
rispondere...) sia a Paul e che a Lou.
Chiedevo: cos'è che "dirime" fra l'io e l'altro (cos'è che fa sì che l'incontro non diventi scontro)?
Questo Levinas non ce lo dice; ma ci dice, e lo trovo importante, che c'è un "altro" che è all'"io"
irriducibile; un esistere che "c'è" (l'"y'a") anche senza un esistente; un (non)-interpretato che
appare anche senza che venga ad esistere un soggetto che lo interpreti.
Non mi pare francamente poco per una forma-mentis, la nostra, che riesce a pensare l'oggettività solo
all'interno di un "campo" (o "contesto", come Severino fa notare, banalizzandone la portata, a M.Gabriel
all'interno della discussione sul "Nuovo Realismo" di qualche anno fa).
Ora, ciò che "dirime" non può essere altro che una "verità incontrovertibile"; ma è, questa, posta
nella sfera dell'esistente o in quella di ciò che "dovrebbe esistere"?
Ciò che "dirime" (e ciò che dirime è la "verità incontrovertibile"), in altre parole, può essere
frutto del solo "nomos" (che è la mia tesi) o lo è anche/solo della "physis"?
Perchè, chiaramente, escludere (come fa Paul) che possa essere frutto della sfera socio-politica
vuol dire escludere che possa essere esclusivo frutto del "nomos" (cioè vuol dire aprire alla
necessità che sia frutto esclusivo della "physis" - e, per dirla con Hegel, "nell'arena della physis
non v'è pretore" - che non sia la volontà di potenza, ovviamente).
Da questo punto di vista, l'unico pensatore la cui filosofia, muovendosi come Levinas all'interno
di uno "sguardo" che mantiene la differenza fra l'io e l'altro, non risulta "monca" è Kant. Ma
Kant, sappiamo bene, "postula" soltanto una verità incontrovertibile, che "dirime", appunto tenendola
ben saldamente fuori da ogni "fondabilità teoretica" di tipo, per così dire, "fisico"...
Quanto alla Fenomenologia, devo ancora capire di cosa consiste oltre ad una (per me arbitrarissima)
"elevazione" del fenomeno ad essenza (al proposito leggerò con vero piacere quanto scrive l'amico
Davintro).
saluti
ciao Mauro(Oxdeadbeef)
non c'è nulla che possa dirimere fra un incontro e uno scontro fra un Io e un Altrui.O accettano una condizione entrambi che "blocchi" la possibilità di uno scontro o tutto è possibile.
L'Io non è affatto irriducibile,perchè sono le componenti umane e l'uomo non ne ha una sola e le condizioni "interne" ed "esterne" all'Io che "motivano".
Non ho forse messo in luce abbastanza lo psicologismo che è fondamentale.ma lo psicologismo filosfico è nato dall'empirismo di Hume.
Brentano, maestro di Husserl, Steiner ed un certo Sigmund Freud (ed Husserl fondatore della fenomenologia è un mateamtico) è infatti celebre per aver scritto "Psicologia dal punto di vista empirico" Attenzione al termine empirico ,perchè non è più il razionalismo che da Cartesio passaper Leibniz e Spinoza. Dagli empiristi ,soprattutto Hume che mette in discussione la dimostrazione della causalità, il mondo si divide in "idee" e in "fatti" e l'empirismo e poi praticamente quasi tutte le filosfie moderne e contemporanee, scelgono la strada dove la verità è niente affatto incontrovertibile, perchè potrebbe esserlo solo nella metafisca.L'esperienza diventa fondamentale e da quì il passo all'Esistenza e alle relazioni fra il soggettivismo di kant ad arrivare al pragmatismo passando per la semiologia di Pierce e al linguaggio analitico di Wittgenstein, non è così distante come sembrerebbe. Tutti, quasi, cercano il "senso" semmai, ma la verità per Heidegger è una tensione attraverso aletheia(dis-velato) fra esistenza(esperienza) e una Verità che non si da, ma che solo l'esistenza e il senso di esso può protendendere .E' in questa chiave che Levinas costruise la "tensione" fra l'Io e l'Altrui come un "gioco" a disvelamento dove la verità non è ontologica, ma è nel "movimento" fra l'Io e l'Altrui ,nel sistema di relazione. Brentano apre al termine "intenzionalità",ma è uno psicologismo senza anima.
Quando Heidegger critica Platone e il concetto di Essere, di un "qualcosa" che è lì e che non ci dice nulla, Heidegger fra Essere ed Esistenza costruisce il dasein , l'esser-ci.L'essere gettati nel mondo è il dasein che attraverso l'esistenza fa esperienza nella tensione del senso dell'esistenza stessa, una sorta di ricerca della verità nel tempo della vita.Ma la verità è nell'Esistenza o nell'Essere? Che potrebbe voler dire: la verità diviene e quindi è continuo mutamento di credenze e opinioni o è eterna e quindi irriducibile e in quanto tale incontrovertibile dinanzi al divenire delle esistenze? Come può essere incontrovertibile la relazione fra un Io e un Altrui? Impossibile.
E infatti da maestri a discepoli con il fulcro nella fenomenologia si ha cronologicamente : Brentano- Husserl- Heidegger e infine Gadamer,per cui la scuola tedesca finisce nell'ermeneutica di Gadamer, la verità è interpretazione(che ricorda strumentalmente una frase di Nietzsche di cui avevi aperto una discussione su Umberto Eco, se non ricordo male....) e quindi daccapo esperienza empirica.La scuola tedesca della filosfia delega di fatto al pragmatismo e alla filosfia analitica(del linguaggio) americana(scuola anglosassone) il potere culturale del relativismo imperante e del postmodernismo.
Il nomos non nasce affatto dalla realtà emprica, la verità nel sesto secolo avanti Cristo era armonia di diversi domini fra loro interagenti: il divino- il cielo-la terra e semmai è il contrario, perchè la terra e l'uomo non erano affatto in grado di trovare verità , semmai di calpestare la verità -
La politica rispondeva attraverso la sovranità che rappresentava la regola superiore con la regola inferiore degli egoismi umani .Erano i comportamenti umani a doversi "registrare", "armonizzarsi" al nomos e non che la politica diventa sostanzialmente dalla modernità in poi lo scontro pacificato dallo stato armato che attraverso la norma e la punizione accetta "di fatto"gli egoismi ,interessi singoli o di associazioni di potere .. Intendevo dire questo in un precedente post.
Stai incensendo troppo Kant e stai deprecando troppo Hegel.
Perchè alcuni termini cari alla fenomenologia vengono dallo psicologismo di Hume, dalla trascendentalità di Kant, dalla coscienza di Hegel, e dall' epochè che è praticamente in tutta la filosfia moderna:per forza, non è nè carne e nè pesce.
Una filosofia che sdogana la metafisca, ma che critica dall'altra la scienza sperimentale moderna, si colloca in "sospensione" nel non-luogo di nessuna verità. Kant si inventa la trascendentalità dopo aver studiato Hume.Che cos'è analitica e sintetica se non ancora la diversità fra idee(metafisca) e il "fatto"(empirico), esperienza (luogo dalla modernità ad oggi di una verità indimostrabile)Quando un epistemologo come Popper si inventa una teoria di falsificazione sullle leggi scientifiche, signifca che ogni legge deve poter essere falsiifcata. E' come dire c'è una verità, ma è necessario poterne dire il contrario .Risultato la negazione si è fatta sistema culturale, e la contraddizone come porta bandiera culturale.
Il termine noumeno kantiano è la sua consapevolezza che se vuole stare nei limiti empirici esperienziali ,non può andare nella metafisica e lo inventa(prendendolo dall'antichità con tut'altra significazione)Basta leggere la prefazione della seconda edizione del testo "Critica della ragion pura".Kant non ha nessuna verità incontrovertibile.
La mia attuale posizione filosfica,ribadisco, è che vi sia una verità incontrovertibile e corrisponde con il termine antico di Archè, che è l'origine di tutto e tutti.E non è necessario puntare un telescopio per capirlo. L'esistenza è sì esperienza e il senso della vita è semmai legato all'archè e non come un fungo che forse troverò nel bosco L'esistenza intesa ome esperienza fine a se stessa è una contraddizione in termini di qualunque filosfia la professi: non se ne esce.e infatti hanno fallito.
Manca semma una metafisca contemporanea, che sappia misurare e armonizzare essere ed esistenza.L'errore fu,anticamente, di screditare l'esperienza umana e la vita così come oggi al contrario , di mistificare la metafisca e credere che la verità sia in una realtà inconoscibile al limite umano, ma che comunque sia l'esistenza il solo luogo dove trovarvi verità......relative.
Ciao Lou
In un capitolo de: "Il tempo e l'altro" Levinas parla appunto dell'esistere senza l'esistente; concetto
da cui, in seguito, egli ricaverà il "c'è" (l'"y'a"), così chiamato proprio perchè, etimologicamente, non
può esservi un "esistere" senza l'esistente.
Dunque, diciamo, una raffinatezza semantica per indicare che "qualcosa" sussiste anche nella totale assenza
di qualsiasi soggetto interpretante (Levinas - forse come me sofferente di acufeni...- parla di un "ronzio
cosmico" che ci sarebbe anche nella completa assenza di alcunchè).
L'"y'a" quindi come radicale negazione della "ontologia dell'io"; come definitiva risposta ad ogni
riduzione dell'oggetto interpretato al soggetto interpretante.
La distinzione fra "physis" e "nomos" l'ho tirata in ballo in risposta all'amico Paul11, il quale sostiene
la necessità di una "verità incontrovertibile" che dirima fra le istanze dell'io e dell'altro (cosa sulla
quale Levinas non chiarisce), che per me non può situarsi nella "physis" - nella quale non può darsi
alcun concetto metafisico.
Sull'epoché fenomenologica ti rimando alla mia risposta all'amico Davintro. Da "kantiano", ritenendo
l'oggetto noumenico conoscibile solo come "fenomeno", non comprendo come sia possibile "ripulire di
arbitraria soggettività" la conoscenza dell'oggetto.
saluti
Citazione di: 0xdeadbeef il 20 Marzo 2019, 16:51:27 PMCiao Davintro Ma se quella che chiamavo "elevazione" del fenomeno ad essenza è solo un: "passaggio metodologico finalizzato a riguadagnare un punto di vista il più possibile oggettivo", che bisogno c'era di non prendere in considerazione l'"io penso" kantiano (come unità originaria dell'appercezione)? Voglio dire, questo "passaggio metodologico" già era stato individuato da Kant, non credi? Ma non solo, direi che lo era stato su basi molto (ma molto) più razionali, che evitano (come la peste...) le conseguenze inevitabili della sintesi idealistica di soggetto e oggetto (fra cui, la principale, il considerare il soggetto come creatore dell'oggetto). Una di queste (per me nefaste) conseguenze è visibile proprio nel concetto di "epoché", cioè di quel qualcosa che: "dovrebbe ripulire dalla componente di arbitraria soggettività" ("mirando ad una conoscenza il più possibile disinteressata, contemplativa"). Su questa base, l'affermare che il "fenomenologo ortodosso si occuperà dell'etica tematizzandola come OGGETTO" significa null'altro che affermare la coincidenza di reale e razionale, come fa Hegel. Nulla di particolarmente sbagliato, ma c'è a parer mio da essere consapevoli del fondamento idealistico di tutta la costruzione fenomenologica (che, come ben argomenta Levinas, finisce col risolversi in una "ontologia dell'io"). saluti
l'Io penso kantiano è insufficiente a legittimare a livello metodologico il riconoscimento di una realtà oggettiva, se viene visto solo come una forma vuota da riempirsi materialmente di fenomeni, cioè di mere apparenze soggettive, nell'accezione kantiana del termine, cioè, fenomeno (ciò che si può conoscere), rispetto a noumeno (inconoscibile). Restando nel dualismo fenomeno-noumeno, si priva il fenomeno di ogni ancoraggio alla realtà oggettiva, resta "manifestazione", apparenza a una coscienza soggettiva, l'esito inevitabile è lo scetticismo. La fenomenologia recupera la possibilità di una scienza rigorosa, superando questo dualismo, cioè considerando la cosa nel residuo di indubitabilità che resta, una volta messo fuori circuito gli aspetti dubitabili e contingenti della cosa. Il fenomeno si fa essenza, ma questo non implica idealismo, la riduzione del reale nel suo complesso con il pensabile o il fenomenico, per il motivo che la realtà delle cose non si riduce alla loro essenza, alla loro fenomenicità, l'essenza rispecchia la loro struttura apriorica, costante, necessaria, ma nell'esistenza l'essenza convive con gli aspetti empirici, contingenti, che l'epoche mette tra parentesi, ma di cui non pretende di negare l'esistenza. Il sapere delle essenze non pretende di essere sapere della realtà nella totalità, ma si limita evidenziare una struttura di leggi necessarie, che è fondamentale per la realtà, senza però esaurirla. Quindi non c'è una totale coincidenza tra pensiero e realtà, associare i fenomeni all'essenza fissa solo un livello di conoscenze necessarie ma non esaustive. Del resto, proprio l'identificare idealisticamente l'essere col pensiero, e porre il pensiero come atto creatore del reale sarebbe una prospettiva incompatibile con l'assunzione metodologica dell'epoche, che è proprio uno strumento di "purificazione", autocritica, del soggetto nei confronti della sue arbitrarie proiezioni della soggettività sul mondo. Se tale soggettività fosse il fondamento creativo, non avrebbe senso questo autoridimensionamento, questo farsi da parte per lasciar posto al manifestarsi delle cose stesse nella loro oggettività. Non sarebbe il soggetto chiamato a adeguarsi a ricevere la verità delle cose, ma quest'ultima a storicizzarsi per seguire la mutevolezza dell'uomo che la fonda. La visione del pensiero creatore della realtà la trovo una visione prettamente storicistica: dato che il pensiero umano muta storicamente, non esiste una verità che non muti, che non sia relativa a una contingenza storica, e non avrebbe senso il tentativo fenomenologico di mettere fuori circuito proprio i condizionamenti derivanti dalla tradizione, dalla storia delle idee che influenzano la soggettività, per mettere a fuoco l'essenza, la cosa stessa. Al contrario, questo tentativo testimonia, almeno nella mia fallibilissima lettura, la proposta di un realismo, del riconoscimento dell'autonomia delle cose dalla soggettività, ma che per porsi come realismo non ingenuo, ma critico, necessita metodologicamente di partire dall'evidenziazione dei fenomeni e della coscienza
Ciao Paul
Ma per Heidegger: "l'esserci progetta il suo essere in possibilità", che non vedo cos'altro possa
voler dire se non che la "possibilità" e la "progettazione" identificano l'intima sostanza dell'
esistente (chiaramente è dell'Heidegger di "Essere e Tempo" che stiamo parlando).
Non mi pare assolutamente sia così in Levinas, per il quale l'essere sembra coincidere con il
"c'è" (l'"y'a"), ovvero con l'esistere senza l'esistente (scrive Levinas: "in Heidegger
l'esistere è sempre colto all'interno dell'esistente"..."non credo che Heidegger possa ammettere
un esistere senza esistente"). E del resto il tempo, che in Heidegger coincide con l'essere nel
senso proprio della "progettualità", in Levinas coincide con l'"altro" ("lo scopo di queste
conferenze - che vanno sotto il titolo di "Il Tempo e l'Altro" - consiste nel mostrare che il
tempo non fa parte del modo d'essere di un soggetto isolato e solo, ma è la relazione stessa
del soggetto con altri", dice Levinas).
Da un certo punto di vista mi sentirei di dire che per Levinas Essere, Tempo ed Altro sono la
medesima cosa...
Dice F.P.Ciglia nella prefazione a: "Il Tempo e l'Altro": "intravede il tempo non come
l'orizzonte ontologico dell'essere nell'essente, ma come modo dell'al di là dell'essere,
come relazione del pensiero con l'altro...come relazione con il Tutt'altro, con il
trascendente, con l'infinito".
Ecco, in Levinas non c'è traccia di quella centralità dell'"io" che ritroviamo in tutta la
teoresi filosofica occidentale degli ultimi secoli, Heidegger compreso; ma c'è piuttosto la
marginalità di esso, una "piccolezza" che sembra voler lasciare campo appunto all'infinità
rappresentata dal Mistero e dal Totalmente Altro (che per il credente Levinas è senz'altro
la divinità).
Non è "questo" il Levinas che, personalmente, mi interessa. Mi interessa invece il Levinas di,
diciamo così, un "attimo prima"; il Levinas che teorizza una realtà "altra all'io" che è
essenzialmente Mistero, e che lo sguardo occidentale ha obliato: questà, sì, è davvero una verità
incontrovertibile (come del resto è verità incontrovertibile l'"io").
Dunque, per me verità incontrovertibile "prima" è proprio il Mistero, l'Altro. E possiamo anche
chiamarlo "Arché", origine di tutto e tutti, ma senza che nulla cambi.
saluti
Citazione di: 0xdeadbeef il 21 Marzo 2019, 21:35:01 PM
Ciao Paul
Ma per Heidegger: "l'esserci progetta il suo essere in possibilità", che non vedo cos'altro possa
voler dire se non che la "possibilità" e la "progettazione" identificano l'intima sostanza dell'
esistente (chiaramente è dell'Heidegger di "Essere e Tempo" che stiamo parlando).
Non mi pare assolutamente sia così in Levinas, per il quale l'essere sembra coincidere con il
"c'è" (l'"y'a"), ovvero con l'esistere senza l'esistente (scrive Levinas: "in Heidegger
l'esistere è sempre colto all'interno dell'esistente"..."non credo che Heidegger possa ammettere
un esistere senza esistente"). E del resto il tempo, che in Heidegger coincide con l'essere nel
senso proprio della "progettualità", in Levinas coincide con l'"altro" ("lo scopo di queste
conferenze - che vanno sotto il titolo di "Il Tempo e l'Altro" - consiste nel mostrare che il
tempo non fa parte del modo d'essere di un soggetto isolato e solo, ma è la relazione stessa
del soggetto con altri", dice Levinas).
Da un certo punto di vista mi sentirei di dire che per Levinas Essere, Tempo ed Altro sono la
medesima cosa...
Dice F.P.Ciglia nella prefazione a: "Il Tempo e l'Altro": "intravede il tempo non come
l'orizzonte ontologico dell'essere nell'essente, ma come modo dell'al di là dell'essere,
come relazione del pensiero con l'altro...come relazione con il Tutt'altro, con il
trascendente, con l'infinito".
Ecco, in Levinas non c'è traccia di quella centralità dell'"io" che ritroviamo in tutta la
teoresi filosofica occidentale degli ultimi secoli, Heidegger compreso; ma c'è piuttosto la
marginalità di esso, una "piccolezza" che sembra voler lasciare campo appunto all'infinità
rappresentata dal Mistero e dal Totalmente Altro (che per il credente Levinas è senz'altro
la divinità).
Non è "questo" il Levinas che, personalmente, mi interessa. Mi interessa invece il Levinas di,
diciamo così, un "attimo prima"; il Levinas che teorizza una realtà "altra all'io" che è
essenzialmente Mistero, e che lo sguardo occidentale ha obliato: questà, sì, è davvero una verità
incontrovertibile (come del resto è verità incontrovertibile l'"io").
Dunque, per me verità incontrovertibile "prima" è proprio il Mistero, l'Altro. E possiamo anche
chiamarlo "Arché", origine di tutto e tutti, ma senza che nulla cambi.
saluti
ciao Mauro (Oxdeadbeef)
L'Essere(che si può semmai far corrispondere all'Archè, all'origine) non può che essere eterno se corrisponde alla verità .A me pare che nè Heidegger e forse nemmno Levinas chiariscano il rapporto fra Esistere nel tempo e l'Essere.
Esistere è una necessità, non è possiblità, noi siamo gettati nel mondo senza domande, lo siamo "di fatto".
Il rapporto fra Esistenza ed Essere, poichè esistere è conoscere, fare esperienza senza alcuna verità "in tasca", ed è quindi una ricerca e in questo caso possiamo dire è possiblità di svelare nell'Esistenza l'Essere, di intuirlo, di sapere, di conoscere.
il senso delal vita è la tensione fra Esistere ed Essere.Fra ciò che possiamo conoscere è una verità che c'è ed è originaria al fatto che noi siamo gettati nel mondo. Le grandi domande filosfiche del perchè esistiamo non possono essere che rivolte ad una unica verità che va oltre il tempo e le singole esistenze e che quindi è Tutto in quanto origine di Tutto.L'altrui è una modalità di conoscere di sapere,di comprendere poichè l'Altrui ha le mie stesse domande, porta con sè la sua esperienza nel mondo e conoscerlo signifca condividere esperienze che sono anche affettive, perchè queste sono le più abissali e profonde, svelano l'intimità umana priva di sovrastrutture e più è profonda e più è condivisibile, perchè ciò che è e non ciò che appare. Se tutto viene dall'Essere ,quindi l'esistere porta con sè la possibilità di svelare l'essere.
In Heidegger ho la sensazione che il dasein, l'esser-ci, l'esistere nel mondo si focalizza troppo nell'Esitenza perdendo di vista l'Essere.
L'Essere ,ribadisco non esiste, "è" da sempre.mentre l'Esisitenza è vivere il tempo,Quindi è la necessità, dell'essitenza che deve svelare l'essere e questo è il senso dell'esitenza ,poichè dovrà tornare all'origine, all'essere, il luogo della verità.
Non ha senso un'esistenza fine a se stessa, senza un prima e senza un dopo, perchè daccapo non possiamo venire dal nulla e finire nel nulla, poichè il Tutto sopravvive alle minuzie temporali delle singole esistenze che susseguono,con le stesse domande, con le stesse inquietudini, e in fondo, con le stesse ricerche anche se da punti divista culturali e temporali diversi.
L'altro non è l'Esssere è un'altra esistenza, un'altra tensione, un'altra inquietudine, un altro mistero;Ma nulla di tutto ciò è Essere. semmai portano con sè qualcosa dell'origine e quindi dell'Essere, per questo è importante conoscere l'Altrui.Il Mistero in fondo è la nostra ignoranza,perchè questa è la condizione dell'essitenza, diversamente non conosceremmo, non sapremmo, non avremmo forse nemmeno necessità di comunicare e comunicare in fondo è anche amare, per certi versi.
Non penso quindi che l'altrui e il Mistero corrispondano all'Essere o Archè.
Il punto debole delle filosofie di Heidegger e Levinas che non c'è un prima e un dopo l'esisitenza nel tempo.Il muro del tempo si rompe solo se l'Essitenza corrisponde all'Essere.Ho la netta sensazione che la filosofia non riesca o non voglia addirittura più andare oltre al fatto materiale esistenza/tempo, forse per il timore di entrare nelal sfera teologica.
Perchè già qualcuno disse ama il prossimo tuo come te stesso, ma è un mezzo, non un fine. Le religioni sono costruite su una "rivelazione" che va oltre l'esistenza, ma hanno la logica di costruire il senso dell'esisitenza e tutto ciò che nella modernità vada appunto oltre il vissuto "puzza" di teologico, religioso, metafisico.E' un errore.Per questo dicevo di filosofie "monche".
Mi sembra che quando si finisce a discettare se l'essere è l'esistente, ma non è l'esser-ci, il quale è diverso dall'essere ma forse non dall'esistente e se esisto non vuol dire che ci sono, ma forse che semplicemente penso di esser-ci, direi, da non filosofo...che la filosofia ha qualche problema. :(
Mi sembra che tutta questa riflessione manchi di una cosa importante: l'esperienza concreta della percezione di questo fantomatico "io" su cui poggia la speculazione "dura e pura", puramente mentale; un speculare senza aggancio con l'esperienza percettiva, svincolato, alieno...in fondo autoreferenziale.
-Soffro...Perché soffro?-
-E' per via del tuo esser-ci -
-Grazie capo!... Se non c'ero non soffrivo, questo l'avevo già capito da un bel pezzo. Ma tu che sei un filosofo mi sai dire perché?-
-E' per via che tu pensi all'essere e non all'esser-ci. Devi immergerti nell'esistente e così affiorare all'esser-ci, svincolato dall'Essere, ma non all'essere che, come sai, è ben diverso dall'Essere e dall'esistente.-
-Aaahhh...ecco!..Ecco dove sbagliavo...perché...in definitiva, sì...sì, hai proprio ragione...è che pensavo...non so...è una stupidaggine, lo so...pensavo fosse colpa di mia moglie!-
-Mi stai perculando?-
-No capo! No...non ti offendere...è che proprio questa mattina mia moglie mi ha fatto la domanda, capisci?-
-Che domanda?..-
- Sariiii!!!..Ci sei o ci fai?-
-Sì, mi stai proprio perculando..-
-Noo! Ti prego, non devi pensare questo...anzi, mi hai dato la chiave per la risposta. Una risposta saggia, profonda, filosofica per l'appunto. Le dirò: donna, ci sono, ma il mio esser-ci non significa affatto essere...quel che "tu" vuoi che "io" sia!...-
Scusate la digressione, continuate pure...ho scritto questo "intermezzo" giusto per ravvivare un pò ( o per deprimere, valutate voi..), visto il momento di 'stanca' nel forum...non prendetelo troppo seriamente... :) ;)
Salve Sari. Tu se modesto al punto da risultare autolesionista. Hai appena messo in luce di non riuscire a comprendere un'ovvietà : la base filosofica della distinzione tra l'io e l'altro consiste nel quesito esistenziale seguente : "per quale ragione se l'altro incorre in una forte vincita....all'io non va in tasca nulla ??". Ovviamente si tratta quindi di una distinzione incomprensibilmente discriminatoria che la filosofia deve assolutamente chiarire. Saluti.
citaz. Davintro
Il sapere delle essenze non pretende di essere sapere della realtà nella totalità, ma si limita evidenziare una struttura di leggi necessarie, che è fondamentale per la realtà, senza però esaurirla
Questo è un punto importante.
Mentre la cultura moderna è presa a fare conoscenza quantitativa , ad accumulare conoscenza e tenendola separata nei domini,
la vera conoscenza è qualitativa, è essenza, è la regola e la misura di come funziona l'universo e non orientandosi "solo" alle sensibilità empiriche, poi materialiste e naturaliste.
La deduzione porta al pensiero ciò che il mondo sensibile ed esperienziale manifesta.
Il tempo umano è sincronizzato al tempo universale ,delle galassie ,delle le stelle ,dei pianeti , così come il respiro lo è con il battito cardiaco.Tutto è correlato.
Pensare al Tempo e all'Esistenza umana,senza correlare all' Universo, è ancora egocentrismo umano.
Quindi temo che anche Levinas se non correla l'Esistenza ai parametri universali cade in una filosofia ancora egocentrista.
Ciao Paul
Ma cos'è l'"Essere"? A me pare che per Heidegger (sia pre che post "svolta") questo abbia lo stesso senso
che per Aristotele, cioè che sia un significato primario e fondamentale DELL'esistente.
E qui dici bene, perchè affermi che in Heidegger il "dasein" è focalizzato nell'esistenza. Ma
nell'esistenza "di chi", verrebbe da chiedersi; perchè infatti, come giustamente rilevi, l'Essere,
se "c'è", non può essere relativo a nessuna esistenza.
In realtà, trovo, l'Essere heideggeriano (e aristotelico) è un Essere "tecnico" (e perciò metafisico);
un Essere che ha già evidentemente perduto, in quanto legato all'esistenza, il connotato fondamentale
che aveva in Parmenide (e che è chiaramente la necessità di essere eterno).
Il medesimo connotato parmenideo che, credo, ritroviamo in Levinas, con il suo senso dell'Essere
come "l'esistere senza l'esistenza (l'"y'a").
Quindi, ecco, non credo che il senso dato all'Essere da Levinas possa essere confuso con quello di
Heidegger. Senonchè, dice Levinas, il concetto parmenideo va "superato" in quanto fondamento di
quella "ontologia dell'io" che contraddistingue la modernità (e la modernità è strutturata sul
pensiero occidentale); ma va superato, ed è questo il punto, non partendo dalla teoresi del
"parricidio", cioè del divenire, ma dalla affermazione dell'"altro" (dice Levinas: "l'Essere
si produce come multiplo e come scisso in Medesimo e in Altro. Questa è la sua struttura ultima").
A me, francamente, sembra un concetto molto interessante. Che rompe, eccome, quello che chiami il
"muro del tempo" laddove afferma chiaramente l'eternità nel senso che prima dicevo.
Naturalmente senza con questo rischiarare certe zone d'ombra, ci mancherebbe...
saluti
Citazione di: Sariputra il 22 Marzo 2019, 10:54:04 AM
Mi sembra che quando si finisce a discettare se l'essere è l'esistente, ma non è l'esser-ci, il quale è diverso dall'essere ma forse non dall'esistente e se esisto non vuol dire che ci sono, ma forse che semplicemente penso di esser-ci, direi, da non filosofo...che la filosofia ha qualche problema. :(
Ciao Sari
Stavolta devo, per così dire, "bacchettarti" ;) , perchè fingi di non capire la filosofia (che in
realtà capisci benissimo...).
Dicevo in un intervento precedente che una volta sentii un tizio in un bar dire: "il giorno
che muoio io finisce il mondo". Oppure, che so, hai mai sentito dire che il ladro pensa che
siano tutti ladri (o l'onesto che siano tutti onesti) o che "con la volontà si ottiene tutto"?
Ecco, questa in filosofia si chiama "ontologia dell'io", ed è esattamente il punto da cui sono
"partito" per questa riflessione.
Chiaramente si tratta di analizzare le cause i i fondamenti dei processi che hanno portato a
ragionare in questo modo (per me sbagliato, e lo si insegna anche ai bambini...); un "lavoro
di scavo" non semplice (ammetto tranquillamente che un "profano" che legga i dialoghi fra me
e l'amico Paul ci possa prendere per pazzi...)
saluti
Citazione di: Sariputra il 22 Marzo 2019, 10:54:04 AM
Mi sembra che quando si finisce a discettare se l'essere è l'esistente, ma non è l'esser-ci, il quale è diverso dall'essere ma forse non dall'esistente e se esisto non vuol dire che ci sono, ma forse che semplicemente penso di esser-ci, direi, da non filosofo...che la filosofia ha qualche problema. :(
Mi sembra che tutta questa riflessione manchi di una cosa importante: l'esperienza concreta della percezione di questo fantomatico "io" su cui poggia la speculazione "dura e pura", puramente mentale; un speculare senza aggancio con l'esperienza percettiva, svincolato, alieno...in fondo autoreferenziale.
CitazioneDa filosofo (ma razionalista...) quale presuntuosamente mi ritengo, concordo.
-Soffro...Perché soffro?-
-E' per via del tuo esser-ci -
-Grazie capo!... Se non c'ero non soffrivo, questo l'avevo già capito da un bel pezzo. Ma tu che sei un filosofo mi sai dire perché?-
-E' per via che tu pensi all'essere e non all'esser-ci. Devi immergerti nell'esistente e così affiorare all'esser-ci, svincolato dall'Essere, ma non all'essere che, come sai, è ben diverso dall'Essere e dall'esistente.-
-Aaahhh...ecco!..Ecco dove sbagliavo...perché...in definitiva, sì...sì, hai proprio ragione...è che pensavo...non so...è una stupidaggine, lo so...pensavo fosse colpa di mia moglie!-
-Mi stai perculando?-
-No capo! No...non ti offendere...è che proprio questa mattina mia moglie mi ha fatto la domanda, capisci?-
-Che domanda?..-
- Sariiii!!!..Ci sei o ci fai?-
-Sì, mi stai proprio perculando..-
-Noo! Ti prego, non devi pensare questo...anzi, mi hai dato la chiave per la risposta. Una risposta saggia, profonda, filosofica per l'appunto. Le dirò: donna, ci sono, ma il mio esser-ci non significa affatto essere...quel che "tu" vuoi che "io" sia!...-
Scusate la digressione, continuate pure...ho scritto questo "intermezzo" giusto per ravvivare un pò ( o per deprimere, valutate voi..), visto il momento di 'stanca' nel forum...non prendetelo troppo seriamente... :) ;)
Citazione
Sempre grande, Sari !
Citazione di: 0xdeadbeef il 22 Marzo 2019, 16:57:06 PM
Ciao Paul
Ma cos'è l'"Essere"? A me pare che per Heidegger (sia pre che post "svolta") questo abbia lo stesso senso
che per Aristotele, cioè che sia un significato primario e fondamentale DELL'esistente.
E qui dici bene, perchè affermi che in Heidegger il "dasein" è focalizzato nell'esistenza. Ma
nell'esistenza "di chi", verrebbe da chiedersi; perchè infatti, come giustamente rilevi, l'Essere,
se "c'è", non può essere relativo a nessuna esistenza.
In realtà, trovo, l'Essere heideggeriano (e aristotelico) è un Essere "tecnico" (e perciò metafisico);
un Essere che ha già evidentemente perduto, in quanto legato all'esistenza, il connotato fondamentale
che aveva in Parmenide (e che è chiaramente la necessità di essere eterno).
Il medesimo connotato parmenideo che, credo, ritroviamo in Levinas, con il suo senso dell'Essere
come "l'esistere senza l'esistenza (l'"y'a").
Quindi, ecco, non credo che il senso dato all'Essere da Levinas possa essere confuso con quello di
Heidegger. Senonchè, dice Levinas, il concetto parmenideo va "superato" in quanto fondamento di
quella "ontologia dell'io" che contraddistingue la modernità (e la modernità è strutturata sul
pensiero occidentale); ma va superato, ed è questo il punto, non partendo dalla teoresi del
"parricidio", cioè del divenire, ma dalla affermazione dell'"altro" (dice Levinas: "l'Essere
si produce come multiplo e come scisso in Medesimo e in Altro. Questa è la sua struttura ultima").
A me, francamente, sembra un concetto molto interessante. Che rompe, eccome, quello che chiami il
"muro del tempo" laddove afferma chiaramente l'eternità nel senso che prima dicevo.
Naturalmente senza con questo rischiarare certe zone d'ombra, ci mancherebbe...
saluti
No, è fuori da ogni logica "seria" ritenere che l'esistenza, e quindi un ente che vive e quindi un essente che diviene nel divenire possa costiture l'uguaglianza con l'Essere.Su questo rimango d'accordo con Severino.L'essere è eterno e non diveniente. L'esistenza nel divenire è necessità del disvelamento(aletheia ,molto utilizzato da Heidegger) e possibilità attraverso la conoscenza di giungere al "nocciolo" (che è l'essenza) che correla gli essenti (regole e misure,ecc.):esistenza,(essenti)-essenza- Essere,questo è il percorso che può permettere all'esistenza quanto meno di avvicinarsi alla verità. Che potrebbe ( e quì i filosfi applicano argomentazioni e metodologie diverse) voler dire collegare il mondo fenomenico fattuale alla deduzione del pensiero attraverso la coscienza.
ribadisco che Heidegger segue Aristotele(polemizzando con Platone) in quanto ritiene più pratico (è in un certo modo la stessa differenza che c'è fra Hegel e e Fichte, dove quest'ultimo è più prassi del primo). Così facendo heidegger "perde" l'Essere che era molto più chiaro in Platone e già confuso in Aristotele. E cosa c'è più pratico se non l'Esistenza?Ma l'Esistenza non è l'Essere.
La Technè non è l'Essere .
Aristotele sa beni ssimo che non può vincere Parmenide su l'Essere che è e non può non essere nell ostesso tempo e quindi divenire.
Per questo la logica dialettica utilizza il "negativo" il non-essere, come elemento identitario che diviene contraddittorio , per cui un ente che è non può diventare altro da sè.
Ed è il Tempo il discrimine, fra eterno e divenire.
Non capisco come Parmenide possa aver soggettivato l'Essere in un Io.Parmenide si riferisce ad ogni ente non all'io.Severino supera dialetticamente con la regola logica il principio parmenideo , ma è lo stesso Severino nel celebre esempio della legna e della cenere che indica che la legna non può essere cenere. L'errore è credere alla manifestazione perdendo l'essenza.Anche noi siamo "diversi" dal nascituro che fummo, ma che forse perdiamo una identità per averne un'altra ogni giorno? Cosa ci permette di identificarci nonostante cambiamo fiscamente? Cosa fa sì che nonostante mutiamo e appariamo diversi a noi stessi e agli altri ,siamo comunque sempre noi stessi?
Il pensiero antico greco è arrivato alla modernità soprattutto con Aristotele e la scuola peripatetica che a lui si ispira. La stessa scolastica e il tomismo sono più ispirati ad Aristotele che ad altri(Platone e Parmenide).Parmenide in poco o niente influisce nella modernità che è totalmente altra , accettando come luogo della verità l'empirismo del sensibile affermatosi come positivismo, ecc.
Ha totalmente spostato l'asse filosfico la modernità cancellando i concetti di Essere e di Eterno.
Non è l'Essere a scindersi in quella contraddizone moderna della molteplicità .Semmai ogni individuo della molteplicità ,in quanto correlato all'Essere che è origine può, ma come essenza, portare con sè un' indicazione di verità:questo sì.
L'Essere è il noumeno dell'essente. E' l'e(sse)nte in sè. Altrettanto chimerico della cosa in sè. L'Altro è il contronoumeno speculare. Narcisismo filosofico che finisce, come da leggenda, affogato nella pozza in cui si contempla. Mentre il mondo sta altrove.
Ci tengo a precisare che la filosofia non é "tutta qui".
Esistono anche filosofie razionalistiche che cercano di comprendere e conoscere criticamente, razionalmente il mondo (la realtà) e non si limitano a contemplare narcisisticamente il proprio ombelico o a elaborare sistemi di concetti arbitrari e "campati in aria".
Citazione di: Ipazia il 22 Marzo 2019, 23:31:05 PM
L'Essere è il noumeno dell'essente. E' l'e(sse)nte in sè. Altrettanto chimerico della cosa in sè. L'Altro è il contronoumeno speculare. Narcisismo filosofico che finisce, come da leggenda, affogato nella pozza in cui si contempla. Mentre il mondo sta altrove.
L'essere non è il noumeno dell'essente, ogni umano è motivato e intenzionato verso qualcosa, spesso nemmeno conosce il perchè.
Assolutamente l'essere non è l'essente in sè, diversamente non avrebbe motivazioni e neppure intenzioni.
L'atro è un essente che ha una sua esperienza e ontologicamente è come me. Allora signifca che conoscendo e comprendendo l'altrui posso avvicinarmi all'essere, verso una verità. e che non lo capiscano persone che ritenegono di essere "sociali", indica il livello.........
Levinas è niente affatto un narcisista, ha patito da ebreo la condizione umiliante e inumana nei lager nazisiti e ne è uscito non come risentimento, ma cercando di capire il perchè l'uomo possa arrivare a creare lager.E questo mi basta indipendentmente dal giudizio sulla sua costruzione di pensiero filosfico, a stimare la sua dignità umana.
Il mondo siamo anche tutti noi. E questo mondo è fatto di sputasentenze .
Ciao Davintro
Mah, parafrasando G.Gentile potrei risponderti che l'essenza, essendo pensata, non può essere una
realtà indipendente dal soggetto che la pensa.
Voglio dire che il fenomeno non è concetto facilmente eludibile....
Questo è ciò che Severino risponde al filosofo tedesco M.Gabriel nella discussione sul "Nuovo
Realismo" di qualche anno fa (non so se l'hai seguita). Gabriel, come Ferraris nel nostro paese,
sono i "paladini" di un nuovo (nuovo per modo di dire...) concetto di "oggettività"; in sostanza
quella che solo qualche decennio fa era chiamata "realismo ingenuo".
A questi Severino risponde citando Gentile: "l'oggetto, in quanto pensato, non può essere una
realtà indipendente dal soggetto che lo pensa" (concetto che ti ripropongo tal quale).
Ora, Gabriel rispose a Severino dicendo che l'oggetto è comunque pensabile all'interno di un
"campo", affermazione cui Severino replicò sostendo che un campo altro non è se non un "contesto"
(e che questo, essendo in possibilità riducibile fino al singolo individuo, esclude radicalmente
ogni pretesa di oggettività - perlomeno quella filosoficamente intesa).
Ora, non che io contesti del tutto la tesi fenomenologica: è che semplicemente la ritengo superflua,
visto che l'"io penso" di Kant già aveva, per me, esaurito l'argomento.
Certamente saprai che nella filosofia di Kant la conoscenza "trascendentale" è la conoscenza delle
possibilità della conoscenza oggettiva (e che quindi, sulla base di ciò, il "dato" riveste un ruolo
centrale).
Mi chiedo: si può andare "oltre" questo senza finire dritti nell'idealismo o nel suo contrario, cioè
nel materialismo? Cioè si può, come tu affermi ("l'essenza rispecchia - della realtà delle cose - la
loro struttura apriorica, costante, necessaria"), sostenere una conoscenza NON delle possibilità della
conoscenza oggettiva, ma della stessa conoscenza oggettiva senza fare, pari pari, il medesimo
ragionamento di Gabriel e di ogni "realista ingenuo"?
saluti
Citazione di: Ipazia il 22 Marzo 2019, 23:31:05 PM
L'Essere è il noumeno dell'essente. E' l'e(sse)nte in sè. Altrettanto chimerico della cosa in sè. L'Altro è il contronoumeno speculare. Narcisismo filosofico che finisce, come da leggenda, affogato nella pozza in cui si contempla. Mentre il mondo sta altrove.
Ciao Ipazia
E dove sta il mondo? Forse in quelle scuole o famiglie dove si insegna ai bambini che "con la
volontà si ottiene tutto"?
Come e da dove credi nascano questi sciocchi pensieri? Forse non vedi come in quel mondo che
menzioni l'"io", cioè l'individuo, sta fagogitando e riducendo a se ogni cosa?
Ritieni narcisismo filosofico il tentare di capire come questo abbia potuto originarsi?
Oppure ritieni il cercare di capire equivalente all'onanismo e pensi si debba in qualche modo
agire per cambiare le cose? In questo caso potrei consigliarti di iscriverti ad un partito
politico o di fondarne uno (o in altermativa iscriverti all'ottimo forum "Armi e Tiro"...)
saluti
Citazione di: 0xdeadbeef il 23 Marzo 2019, 22:55:33 PM
Ciao Davintro
Mah, parafrasando G.Gentile potrei risponderti che l'essenza, essendo pensata, non può essere una
realtà indipendente dal soggetto che la pensa.
Voglio dire che il fenomeno non è concetto facilmente eludibile....
Questo è ciò che Severino risponde al filosofo tedesco M.Gabriel nella discussione sul "Nuovo
Realismo" di qualche anno fa (non so se l'hai seguita). Gabriel, come Ferraris nel nostro paese,
sono i "paladini" di un nuovo (nuovo per modo di dire...) concetto di "oggettività"; in sostanza
quella che solo qualche decennio fa era chiamata "realismo ingenuo".
A questi Severino risponde citando Gentile: "l'oggetto, in quanto pensato, non può essere una
realtà indipendente dal soggetto che lo pensa" (concetto che ti ripropongo tal quale).
Ora, Gabriel rispose a Severino dicendo che l'oggetto è comunque pensabile all'interno di un
"campo", affermazione cui Severino replicò sostendo che un campo altro non è se non un "contesto"
(e che questo, essendo in possibilità riducibile fino al singolo individuo, esclude radicalmente
ogni pretesa di oggettività - perlomeno quella filosoficamente intesa).
Citazione
Probabilmente (l' argomento qui discusso non l' ho capito proprio) vado fuori tema, ma mi sembra interessante obiettare a Gentile e Severino (non che mi entusiasmi Gabriel e men che meno Ferraris) che si può pensare qualcosa di reale predicando l' esistenza reale di un soggetto (in senso grammaticale o meglio sintattico) il quale é un concetto avente, oltre che una connotazione o intensione "cogitativa" anche una denotazione o estensione reale.
Per esempio "esistono -realmente- cavalli", posto che cavalli reali esistono anche indipendentemente dall' eventuale fatto reale ulteriore che siano pensati o meno; contrariamente a "esistono -realmente- ippogrifi", posto che non esistono ippogrifi reali anche indipendentemente dall' eventuale fatto reale che siano pensati (ovvero: che sia reale meramente in quanto pensato, "contenuto di pensiero" il concetto di "ippogrifo -i" privo di denotato o estensione reale).
E' ovvio che tutto ciò che di reale conosciamo lo pensiamo; per definizione, "conoscenza (vera)" significando "predicazione come reale di qualcosa che é reale o come non reale di qualcosa che non é reale".
Ma ciò non implica che non possiamo pensare (e in particolare conoscere) l' esistenza (anche, non solo; ma in caso contrario si tratterebbe di pretesa conoscenza falsa nel caso la si predichi affermativamente) di qualcosa di reale che sarebbe reale anche nel caso non fosse pensato esserlo (nel caso la realtà fosse tale quale realmente é salvo l' inesistenza dell' evento costituito dal pensiero - conoscenza di tale cosa reale).
Il cavallo del mio vicino di casa é reale che io lo pensi o meno, ed era reale anche prima che io lo vedessi e ci pensassi e che te ne parlassi e tu ci pensassi; e sono reali anche se non tu le pensi anche tante altre cose che tu ignori ma io ben so essere reali e viceversa; ma anche tante cose (per esempio in sistemi stellari disabitati di lontane galassie) che nessuno pensa essere reali.
A me questo sembra realismo tutt' altro che "ingenuo" o sprovveduto.
Ciao Paul
A me sembra che l'Essere di Levinas abbia molto in comune con quello di Platone...
Dice infatti questo nel "Sofista": "cosa c'è di comune fra le cose corporee e quelle
incorpoee, posto che di entrambe si dice che sono?".
Ecco, allo stesso modo a me sembra che Levinas "dichiari" l'Essere non legato a
nessuna "esistenza", ed evidentemente eterno soprattutto nel pensare l'eterno nei termini
dell'"y'a".
Sicuramente l'Essere di Levinas, in quanto "multiplo e scisso in Medesimo e Altro", non
è l'Essere monolitico di Parmenide, ma questo può forse voler dire che l'Essere levinasiano
è un Essere che coincide con l'esistenza? Io non credo (credo invece, con Levinas, che proprio
questa, diciamo, "monolicità" dell'Essere parmenideo costituisca il fondamento di quella
"ontologia dell'io" da cui è partito tutto questo discorso - chiaramente non che Parmenide
abbia soggettivato l'Essere in un Io, ci mancherebbe).
Perciò non sarei così sbrigativo nel dichiarare la totale estraneità di Parmenide alla
modernità proprio nel senso, cui accennavo, indicatoci da Levinas (il quale dice: "la
concezione eleatica dell'Essere domina la filosofia di Platone, nella quale la
molteplicità è subordinata all'Uno...a partire da Platone l'ideale verrà sempre cercato
nella fusione").
Non è forse così nel Neoplatonismo, nel Cristianesimo o nell'Idealismo? Ma perfino nel
nichilismo odierno, direi, non è forse rinvenibile una traccia di quella antica monoliticità
(chiaramente "tradita", disillusa)?
saluti
Ciao Sgiombo
Per "realismo ingenuo" intendo la pretesa di conoscere l'oggetto escludendo da questa
conoscenza l'elemento soggettivo (così mi pare faccia anche la Fenomenologia, poi
l'amico Davintro certamente non sarà d'accordo...).
Sicuramente esiste una "cosa" che noi (italiani...) chiamiamo "cavallo". L'esistenza
di questa "cosa" è reale nel senso che essa ha indubitabilmente una estensione spaziale;
ma questa "cosa" noi la vediamo in un certo modo (ad esempio come uno strumento di trasporto,
di lavoro, di svago o come un animale anche da compagnia - in certe zone d'Italia anche come
ottima carne da gustare...) perchè la "interpretiamo" in un modo piuttosto che in un altro
(gli Inglesi, ad esempio, inorridiscono al pensiero di mangiare carne di cavallo).
Questo vuol semplicemente dire che l'oggetto (in questo caso il cavallo) non è indipendente
dal soggetto che lo pensa, quindi che Gentile aveva ragione.
saluti
Citazione di: 0xdeadbeef il 24 Marzo 2019, 10:34:31 AM
Ciao Sgiombo
Per "realismo ingenuo" intendo la pretesa di conoscere l'oggetto escludendo da questa
conoscenza l'elemento soggettivo (così mi pare faccia anche la Fenomenologia, poi
l'amico Davintro certamente non sarà d'accordo...).
Sicuramente esiste una "cosa" che noi (italiani...) chiamiamo "cavallo". L'esistenza
di questa "cosa" è reale nel senso che essa ha indubitabilmente una estensione spaziale;
ma questa "cosa" noi la vediamo in un certo modo (ad esempio come uno strumento di trasporto,
di lavoro, di svago o come un animale anche da compagnia - in certe zone d'Italia anche come
ottima carne da gustare...) perchè la "interpretiamo" in un modo piuttosto che in un altro
(gli Inglesi, ad esempio, inorridiscono al pensiero di mangiare carne di cavallo).
Questo vuol semplicemente dire che l'oggetto (in questo caso il cavallo) non è indipendente
dal soggetto che lo pensa, quindi che Gentile aveva ragione.
saluti
No!
Questo vuol dire semplicemente (unicamente) che
la nostra conoscenza dell' oggetto reale (in questo caso il cavallo),
e non l' oggetto reale, la sua esistenza (pensare questo sì che é davvero, oltre che errato, falso, anche molto ingenuo!) é relativamente (per certi aspetti) non indipendente dal soggetto che lo pensa (oltre che ovviamente incompleta) .
I cavalli esisterebbero (e sarebbero tali e quali a quelli che effettivamente sono) anche se gli Inglesi (che non sanno che cosa si perdono! Specie non mangiandola cruda e ben condita) si gustassero la loro carne o anche se tutti gi uomini inorridissero all' idea di mangiarla.
E di fatto tante specie animali esistenti da prima dell' homo sapiens (per esempio coccodrilli, tartarughe, squali,e cc.) erano reali anche se nessun uomo ne mangiava né ci pensava, né ne sapeva alcunché.
Questo vuol semplicemente dire che gli oggetti reali sono tali indipendentemente dagli eventuali soggetti che li pensassero o meno.
Quindi Gentile aveva torto (ed era decisamente ingenuo nel suo idealismo).
Ciao Sgiombo
Mi sembrava di aver detto: "per "realismo ingenuo" intendo la pretesa di conoscere l'oggetto
escludendo da questa conoscenza l'elemento soggettivo".
Ma forse ho detto un'altra cosa e non me ne sono accorto...
Ma se avessi detto quello, allora ciò sarebbe più o meno equivalente al tuo: "la nostra
conoscenza dell'oggetto reale, non l'oggetto reale, non è indipendente dal soggetto" (anche
se vi aggiungi un non ben chiaro "relativamente").
Non mi sogno neppure di dire che la "cosa" dipende dal soggetto che la pensa (dal mio punto
di vista sarebbe come dire che la "cosa in sè" è un fenomeno...); ma ribadisco che non appena
cerchiamo di conoscere (e anche il solo pensiero è già un "conoscere") in qualche modo la "cosa"
essa non è più indipendente dal soggetto- pensante che cerca di conoscerla.
Quanto a Gentile (che non apprezzo particolarmente in quanto era un idealista), aveva ragione perchè
esprimeva il termine "oggetto" non nel senso che, in questo discorso, noi gli attribuiamo (la "cosa
reale" - per me la "cosa in sè"), ma nel senso di un "già pensato"; di un "già interpretato".
saluti
@Ox e sgiombo
L'esistere o meno dell'essere-cavallo nulla aggiunge e nulle toglie all'essere-cavallo che è il sostrato eideietico che rimane immutato rispetto alle modalità in cui può apparirmi, ricordato, sognato, immaginato, cavalcabile, mangiabile... etc. Come lo vedo è intenzionato dallo sguardo del soggetto, e il variare dei modi d'apparire dipendono dal soggetto, ma poichè qualcosa appare, sicuramente è. Tanto apparire quanto essere. L'epochè mira a mettere tra parentesi ogni nostra intenzione nello sguardo che tanto meno è interessato più è "puro" quanto più l'esser-cavallo appare nella sua essenza, non "già interpretata", diciamo così.
Vedo che sgiombo ha già risposto abbondantemente ad Ox, per cui mi appoggio al suo discorso. Extra realismus, nulla salus...ma tante favole si possono raccontare dagli ippogrifi in su.
Citazione di: 0xdeadbeef il 24 Marzo 2019, 13:01:44 PM
Ciao Sgiombo
Mi sembrava di aver detto: "per "realismo ingenuo" intendo la pretesa di conoscere l'oggetto
escludendo da questa conoscenza l'elemento soggettivo".
Ma forse ho detto un'altra cosa e non me ne sono accorto...
Citazione
E invece a me sembrava di aver letto (scritto da te):
"Questo vuol semplicemente dire che l'oggetto (in questo caso il cavallo) [e non invece: "la pretesa di conoscere l'oggetto escludendo da questa conoscenza l'elemento soggettivo"; e non "la conoscenza dell' oggetto con i relativi aspetti soggettivi", N.d.R.] non è indipendente dal soggetto che lo pensa [eventualmente, N.d.R.], quindi che Gentile aveva ragione".
Ma forse ho letto un'altra cosa e non me ne sono accorto...
Ma se avessi detto quello, allora ciò sarebbe più o meno equivalente al tuo: "la nostra
conoscenza dell'oggetto reale, non l'oggetto reale, non è indipendente dal soggetto" (anche
se vi aggiungi un non ben chiaro "relativamente").
Non mi sogno neppure di dire che la "cosa" dipende dal soggetto che la pensa
Citazione
E questo é realismo (non ingenuo).
"Relativamente" perché non dipende unicamente (assolutamente) dal soggetto ma anche dall' oggetto.
(dal mio punto
di vista sarebbe come dire che la "cosa in sè" è un fenomeno...); ma ribadisco che non appena
cerchiamo di conoscere (e anche il solo pensiero è già un "conoscere") in qualche modo la "cosa"
essa non è più indipendente dal soggetto- pensante che cerca di conoscerla.
Citazione
A parte il fatto che il solo pensiero non é necessariamente già un conoscere (se penso che esistono realmente gli ippogrifi penso una balla e limitatamente a tale solo pensiero non conosco già un bel nulla di vero circa la realtà), la cosa continua ad essere ciò che é indipendentemente dal (l' eventuale) soggetto- pensante che cerca di conoscerla: il cavallo che predico veracemente (= conosco) correre nei terreni del mio collega F. N. (non é Nietzche malgrado un animale di tale specie abbia avuto notoriamente a che fare col per me pessimo tedesco, semplicemente non voglio violare la sua privacy), per il fatto che io lo predichi, non acquista né perde un grammo di peso, non cambia di una minima sfumatura il colore del suo pelo, non cambia per nulla alcuna sua propria altra caratteristica, ma rimane in tutto e per tutto tale e quale sarebbe se non ne avessi conoscenza.
E questo (tuo) invece non é realismo (o per lo meno é assai ingenuo).
Poche righe qui sopra hai scritto testualmente (faccio un copia-incolla):
"Non mi sogno neppure di dire che la "cosa" dipende dal soggetto che la pensa" [senza ulteriori specificazioni; ergo: anchenon appena cerchiamo di conoscere (e anche il solo pensiero è già un "conoscere") in qualche modo la "cosa", N. d. R. ];
e qui invece (idem):
"ribadisco che non appena cerchiamo di conoscere (e anche il solo pensiero è già un "conoscere") in qualche modo la "cosa" essa non è più indipendente dal soggetto- pensante che cerca di conoscerla".
Vedi di metterti d' accordo con te stesso, altrimenti gli altri non ti possono capire.
Quanto a Gentile (che non apprezzo particolarmente in quanto era un idealista), aveva ragione perchè
esprimeva il termine "oggetto" non nel senso che, in questo discorso, noi gli attribuiamo (la "cosa
reale" - per me la "cosa in sè"), ma nel senso di un "già pensato"; di un "già interpretato".
saluti
CitazioneBeh, allora sarebbe (stato) il caso che Gentile traducesse in italiano corrente le sue elucubrazioni.
Perché in italiano il concetto di "cosa in sé (indipendentemente dall' eventuale essere pensata o meno)" é ben diverso concetto (per certi aspetti contrario) che "cosa già pensata, già interpretata".
Ciao Sgiombo
La frase di Gentile citata da Severino (e da me riportata) è la seguente: "l'oggetto, in quanto pensato,
non può essere una realtà indipendente dal soggetto che lo pensa".
Mi sembra abbia ragione da vendere, e appunto perchè si riferisce NON all'oggetto "in sè" (che non dipende
certo dal soggetto che lo pensa), ma al pensiero dell'oggetto in sè.
Mi sembra sia sufficientemente chiaro...
saluti
Citazione di: 0xdeadbeef il 24 Marzo 2019, 18:39:54 PM
Ciao Sgiombo
La frase di Gentile citata da Severino (e da me riportata) è la seguente: "l'oggetto, in quanto pensato,
non può essere una realtà indipendente dal soggetto che lo pensa".
Mi sembra abbia ragione da vendere, e appunto perchè si riferisce NON all'oggetto "in sè" (che non dipende
certo dal soggetto che lo pensa), ma al pensiero dell'oggetto in sè.
Mi sembra sia sufficientemente chiaro...
saluti
Adesso é chiaro (ma banalissimo, tautologico).
Ma tu avevi scritto (un bel po' meno chiaramente): "
Quanto a Gentile (che non apprezzo particolarmente in quanto era un idealista), aveva ragione perchè esprimeva il termine "oggetto" non nel senso che, in questo discorso, noi gli attribuiamo (la "cosareale" - per me la "cosa in sè"), ma nel senso di un "già pensato"; di un "già interpretato".saluti"
la distinzione tra realismo ingenuo e realismo critico a mio avviso è soprattutto metodologica, prima che riguardante il contenuto specifico delle tesi. Il realismo ingenuo si fonda su una sorta di dogmatismo della datità, accettare i dati dell'esperienza come riflettenti la realtà oggettiva delle cose sulla base di un certo livello di costanza delle verifiche: una volta che l'esperienza ripete oltre un tot di verifiche lo stesso contenuto, mi convinco l'esistenza transcoscienziale di tale contenuto. L'errore sta nel non considerare come ogni fissazione di una quantità di verifiche oltre le quali poter conseguire la certezza di tale esistenza oggettiva sia arbitraria: la possibilità dell'inganno non viene eliminata oltre un determinato numero di verifiche, ma sussiste fintanto che non si riconosce la validità degli strumenti soggettivi coscienziali tramite cui conosciamo i dati. Occorre cioè orientare lo sguardo dall'apprensione ingenua e immediata dell'oggetto alla riflessione autocritica del soggetto su se stesso. Ed ecco che subentra il realismo critico, che riconosce l'esistenza oggettiva delle cose come indipendente dalla mente, ma criticamente, cioè sulla base di un approccio poggiante su una base certa e indubitabile. In questo l'epoche fenomenologica ripercorre le orme di Agostino e Cartesio, nell'individuare la coscienza e i fenomeni a essa immanenti come residuo indubitabile certezza da cui dedurre un livello di realtà oggettiva. Nella misura in cui l'esistenza della realtà oggettiva è riconosciuta come necessaria per il costituirsi stesso, nella loro essenzialità, dei vissuti coscienti, allora tale esistenza condivide con questi la certezza del loro esistere, Il fatto che questa realtà oggettiva sia stata convalidata a partire dalla riflessione sulla coscienza non implica che la coscienza sia la condizione effettiva del suo esistere. Cioè, non va confuso il piano metodologico/euristico del "come si è arrivati a conoscere", con il piano ontologico del "cosa siamo arrivati a conoscere". Il metodo è uno strumento teoretico, cioè constativo, ma non direttamente performativo, non produce la realtà che serva a riconoscere. Certamente esiste una correlazione fra i due piani, in quanto la realtà scoperta del metodo deve pur sempre essere adeguata in qualche modo agli strumenti conoscitivi operati dal metodo. Nel momento in cui riconosco l'esistenza di una realtà indipendente dal pensiero la sto pensando. Ma questo non è contraddittorio, se la pensabilità resta proprietà secondaria e conseguente e non fondamentale all'esistenza della cosa pensata. Il fatto che la posizione della realtà oggettiva come pensabile può interpretarsi come una sorta di "corrispondenza, di "armonia" tra realtà e pensiero, per la quale ogni aspetto della realtà è associabile a una categoria del pensiero che consente di averne un concetto e un livello di conoscenza. Ma questa corrispondenza non va necessariamente vista nell'ottica idealista del pensiero che determina l'esistenza di ciò che pensa, ma può essere vista in quella di un realismo per cui è la realtà stessa che nel suo esistenziarsi autonomo sviluppa proprietà adeguate a essere contenuto dei concetti. E la validità di questa seconda interpretazione ha anche una convalida fenomenologica, nella distinzione del senso del "pensiero" rispetto alla volontà. I dati su cui il pensiero lavora sono sempre appresi in un processo il cui primo momento è sempre passivo, sia nella passività del contenuto che i sensi ricevono da stimoli posti nel mondo esterno con cui il nostro corpo viene a contatto, sia nella passività intrapsichica che emerge nella necessità di riconoscere il significato oggettivo, cioè non posto arbitrariamente dall'Io, dei contenuti mentali su cui l'Io stesso dirige l'attenzione, non è l'Io che decide arbitrariamente il contenuto dei suoi ricordi, quando lo fa, riconosce implicitamente, che sta effettuando un altro tipo di vissuto, non un ricordo, bensì una fantasia liberamente attuata, e questa distinzione è resa possibile, proprio per il fatto, che al contrario della fantasia, il ricordo viene ricevuto dall'Io passivamente. Questa passività testimonia il carattere attivo della realtà che determina una corrispondenza fra se il pensiero per il quale essa è pensabile, ma una corrispondenza nella quale è il pensiero che recita il ruolo di termine, almeno inizialmente, passivo. Tale carattere attivo della realtà la pone come autonoma
Ciao Sgiombo
Mah guarda, ti rimando alla risposta all'amico Davintro (la #42 in pag.3), la prima in cui tocco
questi temi (in quanto Davintro aveva tirato in ballo la Fenomenologia). Lì puoi vedere in maniera
chiara che la mia critica al concetto fenomenologico di "essenza" è fondata sulla constatazione
che un pensato (e l'"essenza" è un pensato) non può essere una realtà indipendente dal soggetto che pensa.
Quanto all'ipotesi che il soggetto che pensa abbia un qualche "potere" sull'oggetto pensato, è una delle
(nefaste) conseguenze dell'Idealismo (che arriva addirittura a pensare un soggetto "creatore" dell'oggetto).
Queste tematiche sono apparse nell'ambito di questa discussione sull'"Io e l'Altro" proprio in quanto la
struttura del pensiero occidentale è, secondo Levinas (e per me con buone ragioni), una "ontologia dell'io",
cioè una forma-mentis nella quale l'"io" fagocita e riduce a se ogni altro elemento (quindi queste sono
ben altro che "banalissime tautologie"...)
saluti
Banalissimo, tautologico é quanto da te citato di Gentile:
"l'oggetto, in quanto pensato,
non può essere una realtà indipendente dal soggetto che lo pensa".
Ma l' oggetto può ben essere reale anche in quanto (se e quando é) non pensato, e dunque può ben essere anche "una realtà indipendente dal soggetto che la pensa".
Per il resto mi sembra che ottimamente critici le tue affermazioni Davintro nel suo ultimo intervento, col quale concordo in tutto tranne che sulla possibilità di acquisire certezza della conoscenza degli oggetti, che nego ritenendo con Hume che alcune conditiones sine qua non della conoscenza possano (e debbano) essere "ragionevolmente assunte" pur non essendo dimostrabili logicamente né provabili empiricamente (rimane per me un "residuo di dubbio" insuperabile).
A Lou (e anche a Davintro...)
Quello che della Fenomenologia mi rende perplesso è il suo, diciamo, "prestarsi" con troppa facilità
ad azzardate conclusioni...
Non si può, a mio parere, far finta che non è possibile "disinteressarsi" del tutto ed ammirare la
cosa nella sua "nudità": questo è più un concetto teologico (l'estasi, nella quale il soggetto si
"perde" nell'oggetto) che filosofico.
Ora, un cavallo rimane un cavallo a prescindere dal soggetto che lo interpreta; ma alcune cose di
esso cambiano a seconda che, ad esempio, l'interpretante sia un macellaio foggiano o un "gentleman"
di Oxford, che se anche si sforzassero parecchio di ammirare l"essenza" di quel che stanno
ammirando rimarrebbero in ogni caso con un "fondo" (c'è anche l'inconscio, se vogliamo...)
importante di differenza.
A livello concettuale, dicevo, mi sembra francamente molto più rigoroso l'"io penso" kantiano (e
la conoscenza "trascendentale" che ne deriva).
Diciamo che semmai è stata la teoria della relatività a rendere molto più facile allo
scetticismo quella base teoretica (come fece notare acutamente Cassirer), che di suo non trovo
avesse certo la necessità di un simile sbocco (non escludeva assolutamente la conoscenza "a priori",
cioè oggettiva).
saluti
Ciao Sgiombo
Naturalmente sei libero di concordare con chi vuoi, ma ti avverto che se concordi con la frase di Gentile
(al punto da ritenerla banale, tautologica) NON puoi concordare con Davintro.
Davintro sostiene infatti che l'oggetto è conoscibile nella sua "essenza" (e questo non è un punto fra
tanti, ma uno snodo filosofico assolutamente dirimente).
saluti
(sono dell tutto d'accordo con: l'oggetto come realtà indipendente dal soggetto - la chiamo "cosa in sè")
Citazione di: 0xdeadbeef il 25 Marzo 2019, 13:33:35 PM
Ciao Sgiombo
Naturalmente sei libero di concordare con chi vuoi, ma ti avverto che se concordi con la frase di Gentile
(al punto da ritenerla banale, tautologica) NON puoi concordare con Davintro.
Davintro sostiene infatti che l'oggetto è conoscibile nella sua "essenza" (e questo non è un punto fra
tanti, ma uno snodo filosofico assolutamente dirimente).
saluti
(sono dell tutto d'accordo con: l'oggetto come realtà indipendente dal soggetto - la chiamo "cosa in sè")
Grazie per l' avvertimento, ma é fuori luogo.
Infatti il fatto che l' oggetto reale possa essere conoscibile in quanto tale, quale é indipendentemente dall' eventuale fatto di essere pure conosciuto (credo sia la stessa cosa che afferma Davintro espressa più sobriamente; se così non fosse mi atterrei alle eventuali ulteriori spiegazioni di Davintro stesso) é logicamente compatibilissimo con la banale tautologia per la quale
"l'oggetto, in quanto pensato, non può essere una realtà indipendente dal soggetto che lo pensa" (evidenziazione in grassetto mia): l' oggetto può anche benissimo essere conosciuto per come (in quanto) é anche indipendentemente dall' essere (inoltre) pensato e conosciuto, quale sarebbe anche se non lo si conoscesse (per come sarebbe la realtà in toto se essa differisse da quella che effettivamente si dà per il solo particolare dell' inesistenza della conoscenza dell' oggetto e non dell' oggetto stesso, che ovviamente non sarebbe conosciuto ma non per questo non sarebbe ciò che é ma qualcos' altro).
Citazione di: 0xdeadbeef il 25 Marzo 2019, 13:14:36 PM
Ora, un cavallo rimane un cavallo a prescindere dal soggetto che lo interpreta; ma alcune cose di
esso cambiano a seconda che, ad esempio, l'interpretante sia un macellaio foggiano o un "gentleman"
di Oxford, che se anche si sforzassero parecchio di ammirare l"essenza" di quel che stanno
ammirando rimarrebbero in ogni caso con un "fondo" (c'è anche l'inconscio, se vogliamo...)
importante di differenza.
Le più o meno importanti differenze stanno tutte fra
i pensieri sul cavallo del (simpatico) macellaio foggiano (che sono "una certa cosa" reale) e dell' (antipatico) dandy britannico (che sono un' altra, diversa "certa cosa" reale), e non affatto ne
l cavallo (reale) che é uno solo (un' unica e sola "cosa reale"): lo stesso di cui il simpatico foggiano si pregusta la bistecca e l' antipatico oxoniense immagina di cavalcare per giocare a Polo.
Citazione di: 0xdeadbeef il 25 Marzo 2019, 13:14:36 PM
A Lou (e anche a Davintro...)
Quello che della Fenomenologia mi rende perplesso è il suo, diciamo, "prestarsi" con troppa facilità
ad azzardate conclusioni...
Non si può, a mio parere, far finta che non è possibile "disinteressarsi" del tutto ed ammirare la
cosa nella sua "nudità": questo è più un concetto teologico (l'estasi, nella quale il soggetto si
"perde" nell'oggetto) che filosofico.
Ora, un cavallo rimane un cavallo a prescindere dal soggetto che lo interpreta; ma alcune cose di
esso cambiano a seconda che, ad esempio, l'interpretante sia un macellaio foggiano o un "gentleman"
di Oxford, che se anche si sforzassero parecchio di ammirare l"essenza" di quel che stanno
ammirando rimarrebbero in ogni caso con un "fondo" (c'è anche l'inconscio, se vogliamo...)
importante di differenza.
A livello concettuale, dicevo, mi sembra francamente molto più rigoroso l'"io penso" kantiano (e
la conoscenza "trascendentale" che ne deriva).
Diciamo che semmai è stata la teoria della relatività a rendere molto più facile allo
scetticismo quella base teoretica (come fece notare acutamente Cassirer), che di suo non trovo
avesse certo la necessità di un simile sbocco (non escludeva assolutamente la conoscenza "a priori",
cioè oggettiva).
saluti
Scusami Ox, variano i modi d'apparire, il nostro sguardo, non il cavallo.
Il fantino ha uno sguardo su questo cavallo che non è lo sguardo di un etologo ad esempio, ed entrambi vedranno questo cavallo in base alle loro intenzioni e interessi che faranno emergere modi dell'essere cavallo, variabili e cangianti ( come tu sostieni, agli occhi di x è mangiabile, ad occhi y no, per fare un esempio ). "Mi disseta" e "H2O" è lo stesso essere-acqua che, detto all'aristotele, si dice in molti modi, ma senza questo sostrato d'essere, in nessun modo può esser visto quel qualcosa che è acqua. Che è correlato, ma autonomo rispetto ai nostri sguardi.
Sul primo punto, dissento dal considerarlo uno sguardo "teologico" o "estatico", è uno sguardo in primis teoretico, in cui sicuramente ritengo giochi un trend contemplativo nelle intenzioni, perciò sul completo disinteresse nutro anch'io in questo, senso, alcuni dubbi. Per l'appunto trovo che uscir dall'inter-esse non sia proprio nemmeno della fenomenologia, sebbene la trovo un respiro al "tutto è un utilizzabile" tanto in voga, provarsi a fermare, contemplare e non farsene di niente è una boccata d'aria. Ma su ciò vorrei leggere con attenzione i post di davintro e alcuni chiarimenti a riguardo che trovo interessanti.
A me, della fenomenologia, piace invece, il carattere di ogni provvisorietà delle conclusioni, tant'è che si va a vedere e rivedere e ririvedere, e ammiro una certa vocazione razionalistica nel considerare la ricerca e i contributi un esercizio di integrazione d'aspetti più che di opposizioni e obiezioni. E personalmente credo che il ritorno alle cose stesse lanci una inesausta sfida di ricerca, forse gli occhiali a-priori kantiani non possiamo toglierli, ma la possibilità di una filosofia trascendentale non ci impedisce, per sua natura, di non poter almeno tentare di pulirli se li troviamo un po' appannati. O meglio, trovati appannamenti e occhiali, da un lato abbiamo modo di indagare chi siamo, e, dall'altro provare a veder quel che resta.
Citazione di: sgiombo il 25 Marzo 2019, 15:31:23 PM
Grazie per l' avvertimento, ma é fuori luogo.
Infatti il fatto che l' oggetto reale possa essere conoscibile in quanto tale, quale é indipendentemente dall' eventuale fatto di essere pure conosciuto (credo sia la stessa cosa che afferma Davintro espressa più sobriamente; se così non fosse mi atterrei alle eventuali ulteriori spiegazioni di Davintro stesso) é logicamente compatibilissimo con la banale tautologia per la quale
"l'oggetto, in quanto pensato, non può essere una realtà indipendente dal soggetto che lo pensa" (evidenziazione in grassetto mia): l' oggetto può anche benissimo essere conosciuto per come (in quanto) é anche indipendentemente dall' essere (inoltre) pensato e conosciuto, quale sarebbe anche se non lo si conoscesse (per come sarebbe la realtà in toto se essa differisse da quella che effettivamente si dà per il solo particolare dell' inesistenza della conoscenza dell' oggetto e non dell' oggetto stesso, che ovviamente non sarebbe conosciuto ma non per questo non sarebbe ciò che é ma qualcos' altro).
Ciao Sgiombo
Per cui dovrei pensare che si può conoscere l'oggetto senza pensarlo?
Perchè è questo che io deduco da: "l' oggetto può anche benissimo essere conosciuto per come (in quanto)
é anche indipendentemente dall' essere (inoltre) pensato e conosciuto".
Se ho capito male ti pregherei di spiegarlo, ma questo mi sembra tu dica (a meno che, come in apertura
di risposta, tu non intenda sottolineare una differenza fra (oggetto) "conoscibile" e "conosciuto").
saluti
Ciao Lou
Che varino i modi d'apparire DEL cavallo al nostro sguardo e non IL cavallo è una cosa su cui non ci
piove (e questo dev'essere chiaro).
Per quanto riguarda l'"utile" (in relazione all'uscire dall'interesse propugnato dalla Fenomenologia)
temo proprio che la faccenda non sia così semplice, e che l'"utile" ritorni al di là dei buoni
propositi...
Voglio dire: siamo sicuri che il "motore primo" di ogni nostro agire non sia proprio l'utile? Questa
è la tesi che sostengo nel post: "La volontà di potenza da un altro punto di vista", cui ti rimando
per ulteriori spiegazioni.
Sono tutto sommato (non comprendo molto il riferimento agli occhiali kantiani...) d'accordo sul resto.
saluti
Citazione di: 0xdeadbeef il 25 Marzo 2019, 17:59:19 PM
Ciao Sgiombo
Per cui dovrei pensare che si può conoscere l'oggetto senza pensarlo?
Perchè è questo che io deduco da: "l' oggetto può anche benissimo essere conosciuto per come (in quanto)
é anche indipendentemente dall' essere (inoltre) pensato e conosciuto".
Citazione
Ma nemmeno per sogno!
Deduci male (scorrettamente).
Dovresti semplicemente pensare che l' oggetto reale può -eventualmente, forse- essere conosciuto (inevitabilmente pensandolo), oltre ad essere realmente esistente, ma -sicuramente- é reale anche se nessuno lo pensa e conosce; non meno reale e non affatto reale diversamente da come é nel caso sia eventualmente (inoltre, anche) conosciuto.
Se ho capito male ti pregherei di spiegarlo, ma questo mi sembra tu dica (a meno che, come in apertura
di risposta, tu non intenda sottolineare una differenza fra (oggetto) "conoscibile" e "conosciuto").
saluti
Citazione
Credo di avere spiegato: l' oggetto reale può essere conoscibile e sconosciuto, conoscibile e conosciuto, inconoscibile (e ovviamente sconosciuto), di fatto o anche il linea puramente teorica, di principio.
Ma quel che non può non darsi (in qualsiasi dei suddetti casi: che sia conoscibile e conosciuto, conoscibile e sconosciuto, inconoscibile e ovviamente sconosciuto, di fatto o in linea teorica, di principio), é che non sia reale.
E' una mera tautologia, ma evidentemente non banale, dal momento che c' é chi confonde "essere reale" e basta (ovvero: essere reale indipendentemente dal fatto di essere anche, inoltre realmente pensato o meno) ed "essere reale ed inoltre essere anche pensato essere reale" (ovvero essere reale essendo anche reale il fatto di essere pensato).
Citazione di: sgiombo il 25 Marzo 2019, 15:41:25 PM
Le più o meno importanti differenze stanno tutte fra i pensieri sul cavallo del (simpatico) macellaio foggiano (che sono "una certa cosa" reale) e dell' (antipatico) dandy britannico (che sono un' altra, diversa "certa cosa" reale), e non affatto nel cavallo (reale) che é uno solo (un' unica e sola "cosa reale"): lo stesso di cui il simpatico foggiano si pregusta la bistecca e l' antipatico oxoniense immagina di cavalcare per giocare a Polo.
Ciao Sgiombp
Mah guarda, giusto due parole per precisare (si spera definitivamente...) questo aspetto.
Quando dico: "un cavallo rimane un cavallo a prescindere dal soggetto che lo interpreta; ma alcune
cose di esso cambiano a seconda che, ad esempio, l'interpretante sia un macellaio foggiano o un
"gentleman" di Oxford" intendo, naturalmente, dire che a cambiare sono i pensieri degli interpretanti
SUL cavallo, non IL cavallo (l'ho precisato svariate volte ma non fa male ripeterlo, se non ancora chiaro).
Ora, dico sbrigativamente (forse troppo, visto che è ancora fonte di malintesi): "alcune cose di esso
cambiano" non in riferimento al cavallo "in sé", ma al cavallo inteso come "fenomeno", cioè al cavallo
"interpretato".
saluti
Citazione di: 0xdeadbeef il 25 Marzo 2019, 20:00:14 PM
Ciao Sgiombp
Mah guarda, giusto due parole per precisare (si spera definitivamente...) questo aspetto.
Quando dico: "un cavallo rimane un cavallo a prescindere dal soggetto che lo interpreta; ma alcune
cose di esso cambiano a seconda che, ad esempio, l'interpretante sia un macellaio foggiano o un
"gentleman" di Oxford" intendo, naturalmente, dire che a cambiare sono i pensieri degli interpretanti
SUL cavallo, non IL cavallo (l'ho precisato svariate volte ma non fa male ripeterlo, se non ancora chiaro).
Ora, dico sbrigativamente (forse troppo, visto che è ancora fonte di malintesi): "alcune cose di esso
cambiano" non in riferimento al cavallo "in sé", ma al cavallo inteso come "fenomeno", cioè al cavallo
"interpretato".
saluti
Citazione
Qualsiasi cavallo visto e sentito da qualcuno é insieme di sensazioni fenomeniche, é fenomeni.
Non certo casa in sé o noumeno (penso che anche Kant sarebbe d' accordo).
Citazione"l'oggetto, in quanto pensato, non può essere una realtà indipendente dal soggetto che lo pensa"
La discussione é interessante. Ma giunta a questo punto devia dal rapporto Io/altro, oppure oggettifica l'altro.
Torniamo sulla retta via:
CitazioneIl soggetto, in quanto pensato, non può essere una realtà indipendente dal soggetto che lo pensa"
È questo il mondo delle relazioni sociali e dello sviluppo psichico dell'uomo e non solo. Un'esperimento con le scimmie bonobo lo conferma. I cuccioli lasciati al solo nutrimento meccanico di un biberon, mostrano gravi difetti deambulatori e incapacità a socializzare con i loro simili. La stessa specie, nutrita da un biberon con in più una pelliccia dove potersi rifugiare adotta un comportamento più accettabile.
In homo sapiens questi processi sono ovviamente amplificati. Possiamo tranquillamente affermare che noi siamo ciò che siamo perché siamo stati pensati, all'inizio della nostra storia ontogenetica, come degni di pensiero e di essere pensati. Siamo nati alla vita psichica nel cervello dei nostri genitori e solo riconoscendo il fatto di essere pensati possiamo entrare nell'ambito delle relazioni umane in modo sufficientemente adeguato.
Qualche post fa si parlava proprio del riconoscimento soggetto/altro a partire dalle funzioni genitoriali. Questo è il prototipo, l'idealtipo weberiano della relazione io/altri. Il problema si presenta quando questa relazione é inadeguata. Da qui nascono le patologie più o meno gravi. Chiudo qui per fornire una prospettiva non strettamente filosofica ma psicologica al rapporto io/altri. Sulla presenza dell'alterita' dentro di noi, ovvero il freudiano "perturbante", vi parlerò altrove.
Ciao Sgiombo
Allora, mi par di capire che con il termine "oggetto reale" tu intendi quel che io chiamo "cosa in sé",
cioè l'oggetto scevro da ogni interpretazione: è questo che intendi?
Se è questo che intendi, sei però alle prese con un grosso problema (che è anche il mio, s'intende),
perchè l'oggetto scevro da ogni interpretazione può essere solo e soltanto un oggetto non ancora
conosciuto (che so: un pianeta non ancora scoperto).
Qualsiasi oggetto "noto" (come ad esempio un cavallo) è necessariamente un "pensato"; un "conosciuto";
un "interpretato". Ed in quanto pensato non può essere una realtà indipendente dal soggetto che lo
pensa (ecco dove risiede la profondità della frase di Gentile...).
saluti
Citazione di: Jacopus il 25 Marzo 2019, 20:07:04 PM
La discussione é interessante. Ma giunta a questo punto devia dal rapporto Io/altro, oppure oggettifica l'altro.
Ciao Jacopus
Beh, la discussione si è "allargata" senz'altro, ma senza poi perdere troppo di vista l'argomento
iniziale...
Dicevo in apertura che l'accusa che Levinas fa all'intero "sguardo" occidentale è precisa (e a
parer mio coglie nel segno): tutta la forma-mentis occidentale è volta alla "fusione", ed è
questo processo millenario che oggi ha portato alla "ontologia dell'io", cioè al "dispotismo"
dell'individuo che caratterizza la contemporaneità.
Tappa fondamentale di questo processo è stato naturalmente l'Idealismo, che con la sua pretesa
equivalenza di realtà e razionalità (come in Hegel) finisce, e forse oltre ogni intenzione, con
il considerare il soggetto come il creatore dell'oggetto.
E tuttavia l'Idealismo, per ammissione dello stesso Levinas, ci ha dato delle "grandi verità",
come ad esempio quella di Gentile (filosofo di primissimo piano, come dice Severino, ma troppo
snobbato forse a cause della sua appartenenza politica) da me riportata.
Gentile pone una sfida severa a chiunque pensi di relegare l'Idealismo fra le "favole" o le "fedi"
per rilanciare l'ennesima versione del "realismo", perchè non esiste modo di eludere l'affermazione
per cui un pensato non può essere una realtà indipendente da chi la pensa.
Dove trovare allora l'"Altro" levinasiano (che, ricordo, non è necessariamente riferito ad un
soggetto "altro", ma è un concetto che comprende tutta la realtà non riducibile all'"io")? Dove
trovare, cioè, quella realtà che è necessariamente dipendente dal soggetto che la pensa ma che
ad esso è, appunto, "altra"?
saluti
Per Oxdeaedbeef
che ogni modo di pensare la realtà sia sempre condizionato dalla situazione culturale in cui viviamo, e che i nostri interessi pratici finiscano inevitabilmente col sovrapporsi alla visione oggettiva delle cose è un dato di fatto, ma questo non impedisce di individuare la messa fra parentesi di questi fattori come ideale regolativo della ricerca, e, anche se sempre in modo imperfetto e parziale, di mirare a evidenziare il più possibile la struttura apriori dei fenomeni come livello in cui riconoscere verità oggettive e incontrovertibili. E all'interno di questa parzialità imperfetta ottenere alcuni risultati. Anche se la componente pregiudiziale e arbitraria influenza sempre, possiamo impegnarci a minimizzare tale influenza e il più possibile purificare le lenti tramite cui vediamo le cose. Questo era probabilmente anche l'intento della critica kantiana, ciò che contesto, nei limiti in cui penso di averla intesa, è che tale critica sia lo strumento più adeguato per raggiungere tale fine demistificatorio. Penso che il dualismo fenomeno-noumeno inteso in chiave gnoseologica come dualismo tra conoscibile e inconoscibile renda impossibile, al di là delle intenzioni, ogni oggettività della conoscenza, in quanto l'oggettività è relegata al livello dell'inconoscibile, mentre a essere conoscibili sono solo fenomeni, etimologicamente, "manifestazioni", apparenze soggettive, che non possono dirci nulla circa la loro eventuale corrispondenza con una realtà oggettiva al di fuori del pensiero, dato che la cosa in sé resta inconoscibile. Il passaggio metodologico dalla certezza della coscienza a quella di un livello, per così dire, minimale e trascendentale di certezza sulla realtà, necessitato dalla prima certezza, come invece sarebbe possibile in Cartesio e in modo più raffinato nella fenomenologia, è impossibile, nel momento in cui il dualismo fenomeno-noumeno è inteso in un'accezione così rigida, il circuito dei fenomeni, resta chiuso in se stesso senza collegamenti a una realtà oggettiva da svelare. Perché il collegamento si dia è necessario trattare la dualità fenomeno-noumeno non in chiave gnoseologico conoscibile-inconoscibile, ma in chiave logica: l'essenza come fenomeno coincide con un dato immanente alla coscienza, ma che riflette una realtà oggettiva, che esiste al di là del pensiero stesso, che il pensiero può riconoscere in quanto il suo stesso processo, ha come momento iniziale la ricezione passiva, cioè non volontaria, non arbitraria, del dato (non a caso Husserl, parla di sintesi passiva), sono due accezioni diverse ma corrispondenti, in quanto riferiti alla medesima cosa. In questo senso penso di trovarmi d'accordo con la lettura di Sgiombo, sulla non inconciliabilità tra pensabilità delle cosa e sua indipendenza dal pensiero: la pensabilità rende ragione del fatto che la cosa sia pensata, cioè sia fenomeno, l'indipendenza rende ragione del fatto che tale pensabilità è una conseguenza secondaria determinata da una causa che è immanente non al pensiero, ma alla cosa stessa, che se da un lato è pensabile in quanto le sue proprietà coincidono con le categorie con cui ne facciamo esperienza, dall'altro pone questa coincidenza come espressione di un sua condizione naturale, oggettiva, e non come prodotto di un Io pensante, come nelle varie forme di idealismo attualista
Citazione di: 0xdeadbeef il 25 Marzo 2019, 20:21:25 PM
Ciao Sgiombo
Allora, mi par di capire che con il termine "oggetto reale" tu intendi quel che io chiamo "cosa in sé",
cioè l'oggetto scevro da ogni interpretazione: è questo che intendi?
Se è questo che intendi, sei però alle prese con un grosso problema (che è anche il mio, s'intende),
perchè l'oggetto scevro da ogni interpretazione può essere solo e soltanto un oggetto non ancora
conosciuto (che so: un pianeta non ancora scoperto).
Citazione
Non é vero:
L'oggetto quale realmente é indipendentemente (anche in quanto "scevro") da ogni e qualsiasi interpretazione (la sua esistenza reale essendo altra cosa dall' esistenza reale o meno di eventuali interpretazioni) può anche benissimo essere un oggetto già conosciuto (che ne so: un pianeta già scoperto); che non diventa qualcos' altro nel momento in cui viene visto al telescopio e poi pensato - predicato- essere reale ovvero conosciuto), ma invece (solo per il fatto di essere visto e fatto oggetto di pensiero, predicazione, conoscenza, ovviamente a prescindere da eventuali altri eventi reali diversi dalla visione di esso e che lo cambierebbero comunque esattamente nello sesso identico modo anche senza che fosse visto, ecc.) rimane esattamente tale e qual era (e sarebbe) senza essere visto, ecc. (é casomai il resto della realtà che cambia per l' accadere di visione, pensiero, conoscenza del pianeta stesso).
Qualsiasi oggetto "noto" (come ad esempio un cavallo) è necessariamente un "pensato"; un "conosciuto";
un "interpretato".
Citazione
Ancora questa banale tautologia (da me ovviamente mai negata, e che "serve" solo a creare la confusione e ambiguità di cui appena sopra) ? ! ? ! ? !
Ed in quanto pensato non può essere una realtà indipendente dal soggetto che lo
pensa (ecco dove risiede la profondità della frase di Gentile...).
saluti
Citazione
E ri-ecco, puntualissimi. l' ambiguità e il fraintendimento!
In quanto pensato ovviamente, banalissimamente, tautologicamente non può essere una realtà indipendente dal soggetto che lo pensa (ecco dove risiede la sesquipedale banalità della frase di Gentile...) ... il che non toglie che continui realmente ad essere ciò che é esattamente così come é (e come era prima della conoscenza di esso, ovviamente a prescindere da eventuali altri eventi reali diversi dalla visione di esso e che lo cambierebbero comunque nello sesso identico modo anche senza che fosse visto) indipendentemente da qualsiasi eventuale soggetto che eventualmente lo pensasse o meno.
A questo punto sono certo che, come in tante altre occasioni, ripeterai ancora le solite obiezioni.
Ma poiché per parte mia non credo che una tesi falsa e/o scorretta diventi meno falsa e/o scorretta per il semplice fatto di essere ripetuta ad oltranza, né ho tempo da perdere per ripetere sempre inutilmente le stesse obiezioni alle stesse risposte, a meno di un (improbabilissima) proposta da parte tua di nuove argomentazioni (e non delle solite reiterazioni), mi asterrò per parte mia dall' opporvi le solite critiche: per me (anche) questa discussione finisce qui, con la peraltro pleonastica precisazione che in questo caso chi tace (di fronte alle tue reiterazioni) NON acconsente.
Citazione di: davintro il 25 Marzo 2019, 21:42:04 PM
Per Oxdeaedbeef
che ogni modo di pensare la realtà sia sempre condizionato dalla situazione culturale in cui viviamo, e che i nostri interessi pratici finiscano inevitabilmente col sovrapporsi alla visione oggettiva delle cose è un dato di fatto, ma questo non impedisce di individuare la messa fra parentesi di questi fattori come ideale regolativo della ricerca, e, anche se sempre in modo imperfetto e parziale, di mirare a evidenziare il più possibile la struttura apriori dei fenomeni come livello in cui riconoscere verità oggettive e incontrovertibili. E all'interno di questa parzialità imperfetta ottenere alcuni risultati. Anche se la componente pregiudiziale e arbitraria influenza sempre, possiamo impegnarci a minimizzare tale influenza e il più possibile purificare le lenti tramite cui vediamo le cose. Questo era probabilmente anche l'intento della critica kantiana, ciò che contesto, nei limiti in cui penso di averla intesa, è che tale critica sia lo strumento più adeguato per raggiungere tale fine demistificatorio. Penso che il dualismo fenomeno-noumeno inteso in chiave gnoseologica come dualismo tra conoscibile e inconoscibile renda impossibile, al di là delle intenzioni, ogni oggettività della conoscenza, in quanto l'oggettività è relegata al livello dell'inconoscibile, mentre a essere conoscibili sono solo fenomeni, etimologicamente, "manifestazioni", apparenze soggettive, che non possono dirci nulla circa la loro eventuale corrispondenza con una realtà oggettiva al di fuori del pensiero, dato che la cosa in sé resta inconoscibile. Il passaggio metodologico dalla certezza della coscienza a quella di un livello, per così dire, minimale e trascendentale di certezza sulla realtà, necessitato dalla prima certezza, come invece sarebbe possibile in Cartesio e in modo più raffinato nella fenomenologia,
Citazione
Credo di conoscere abbastanza bene Cartesio, e mi sembra evidente l' erroneità logica di tale preteso "passaggio" da parte sua oltre la prima certezza del "cogito" (la pretesa, cosiddetta "prova ontologica" dell' esistenza di Dio).
Vorrei che illustrassi (se appena possibile nei limiti di una discussione come questa) quale sia il "passaggio" in alternativa proposto dalla fenomenologia.
Peraltro per parte mia nego, con Hume, la certezza dl cartesiano "ergo sum".
è impossibile, nel momento in cui il dualismo fenomeno-noumeno è inteso in un'accezione così rigida, il circuito dei fenomeni, resta chiuso in se stesso senza collegamenti a una realtà oggettiva da svelare. Perché il collegamento si dia è necessario trattare la dualità fenomeno-noumeno non in chiave gnoseologico conoscibile-inconoscibile, ma in chiave logica: l'essenza come fenomeno coincide con un dato immanente alla coscienza, ma che riflette una realtà oggettiva, che esiste al di là del pensiero stesso, che il pensiero può riconoscere in quanto il suo stesso processo, ha come momento iniziale la ricezione passiva, cioè non volontaria, non arbitraria, del dato (non a caso Husserl, parla di sintesi passiva), sono due accezioni diverse ma corrispondenti, in quanto riferiti alla medesima cosa. (evidenziazione in grassetto coloratomia)
Citazione
Creo che sia qui che lo illustri.
Ma allora come può essere razionalmente provato (dimostrato logicamente o rilevato empiricamente) che il fenomeno, oltre a coincidere con un dato immanente alla coscienza riflette anche una realtà oggettiva, che esiste al di là del pensiero (cosciente, appartenente alla coscienza) stesso?
Secondo me dal fatto che lo stesso processo del pensiero ha come momento iniziale la ricezione passiva, cioè non volontaria, non arbitraria, del dato, non consegue logicamente (con necessità logica) che un dato immanente alla coscienza riflette (concetto fra l' altro di comprensibilità o significatezza per lo meno discutibile: riflessioni di immagini si danno nell' abito dei fenomeni, visivi in particolare: in che seno -metaforico?- potrebbero darsi anche fra fenomeni e noumeno?) una realtà oggettiva, che esiste al di là del pensiero stesso.
Talvolta anche i nostri propri pensieri (di noi soggetti di coscienza e non di oggetti diversi da noi) non possono essere volontariamente scelti, ma ci ci si impongono come "ricezione passiva, cioè non volontaria, non arbitraria, dei rispettivi dati": per esempio quando siamo ossessionati da ricordi, timori. ecc. cui non riusciamo ad evitare di pensare, o per converso non riusciamo a ricordare qualcosa malgrado i più tenaci "sforzi di memoria").
Ciao Davintro
Credo non ti siano sfuggite le ultime righe della mia risposta a Jacopus...
Perchè il mio "problema" (su cui verte tutta questa discussione) è il tuo: "dove trovare, cioè,
quella realtà che, pur essendo necessariamente dipendente dal soggetto che la pensa è, appunto,
ad esso "altra"?
L'intento di Levinas è stato appunto quello di dimostrare non solo che non tutta la realtà è
riducibile al soggetto che la pensa; ma anche che su questa base è possibile riformulare
un nuovo "sguardo" filosofico che non finisca necessariamente (si badi bene...) nel nichilismo
(senza scomodare Heidegger o Severino: è chiaro che se l'"io" è tutto, allora con la sua morte
finisce tutto - come diceva il tipo del bar da me più volte citato).
E' evidente che l'"altro" è un modo di dire l'"oggetto"...
Levinas dice chiaramente che ci sono "là fuori" degli "oggetti" sui quali l'"io" non ha alcun
potere; ma non lo fa, diciamo, restando "all'interno" della forma-mentis occidentale, che:
"è votata alla fusione già in Parmenide", dice Levinas.
Eccoci allora giunti al punto che ci interessa...
Per me la Fenomenologia è in tutto e per tutto "all'interno" della forma-mentis votata alla
"fusione", per cui non può vedere l'oggetto come "altro" dal soggetto che lo pensa.
Essa intuisce la "parzialità imperfetta" dell'epoché (cioè il dato di fatto che i nostri interessi
pratici finiscano inevitabilmente col sovrapporsi alla visione oggettiva delle cose, come tu dici),
ma non può, in maniera "molto occidentale", sottrarsi al bisogno di concludere con le: "verità oggettive
ed incontrovertibili" (che l'epoché permetterebbe di raggiungere...), cioè non può sottrarsi al
bisogno di effettuare sempre e comunque una "sintesi".
In altre parole, se: "la componente arbitraria e pregiudiziale influenza sempre", allora è bene
essere consapevoli dell'impossibilità di parlare di "verità oggettive ed incontrovertibili"
(non foss'altro che tali aggettivazioni della "verità" appartengono più alla sfera della Fede
che non a quella della ragione...).
Quindi, ecco, comprendo senz'altro lo "sforzo" fenomenologico (e lo apprezzo), ma mi pare
partire da basi sbagliate, che lo conducono poi inevitabilmente a conclusioni sbagliate.
saluti
Ciao Sgiombo
Premesso che non mi capacito come sia possibile "crucciarsi" per dei ragionamenti filosofici,
non capisco come tu faccia a non vedere un dato elementare: quando io vedo un cavallo (o penso
ad un cavallo), io lo "interpreto" secondo quella che è la mia "catena segnica" (cioè la catena
di significati che il mio "io" e la mia "cultura" gli attribuisce).
Un altra persona, con una diversa "catena segnica", probabilmente gli attribuirà qualità e
caratteristiche diverse da quelle che gli attribuisco io.
Nessuno di noi, ovviamente, cambierà il cavallo per come esso "è". Il cavallo, ovvero, cambierà
"per noi" (fenomeno), non "per se" (cosa in sé, noumeno).
Nessuno ti sta dicendo che l'oggetto cambia perchè il soggetto lo pensa, ma ci mancherebbe...
saluti
Per caso qualcuno qui si é mai "corrucciato"?
Io no di certo.
Ho già risposto nell ' interveto #71 (in particolare nel periodo finale).
Basta non confondere ontologia con gnoseologia e il "pensato" si risolve da sè. L'idealismo ciulla sul manico della gnoseologia spacciandola per ontologia.
Citazione di: Ipazia il 26 Marzo 2019, 18:30:56 PM
Basta non confondere ontologia con gnoseologia e il "pensato" si risolve da sè. L'idealismo ciulla sul manico della gnoseologia spacciandola per ontologia.
Ciao Ipazia
Sarebbe interessante sapere come fa il pensato a risolversi da sé...
(Levinas non fa certo dell'ontologia, ma è ben consapevole della difficoltà di "uscire" dal recinto posto dall'Idealismo)
saluti
Il pensato si risolve da sè avendo chiara la differenza tra i piani logici degli enti (ta onta) e della loro conoscenza (gnosi/episteme). Il cavallo esiste a prescindere dalla sua concettualizzazione e anche se non giungiamo, e neppure ci serve giungere, alla sua noumenica cavallinità, abbiamo tutti gli strumenti per conoscerlo nella sua fenomenica realtà che è la sommatoria di tutto quello che sappiamo di lui. E se ci mettiamo anche un briciolo di empatia, visto che anche il cavallo è un essere senziente, arriveremo pure a scoprire il cavallo per sè, oltre ad un più sfumato e opinabile cavallo in sè, che volentieri lascio ai metafisici. Anche F.Nietzsche, presso il limite della sua follia, scoprì il cavallo per sè, e questa "ecce cavallinità" lo sconvolse a tal punto da abbandonare per sempre la condizione umana, troppo ferocemente umana.
Citazione di: 0xdeadbeef il 24 Marzo 2019, 10:14:19 AM
Ciao Paul
A me sembra che l'Essere di Levinas abbia molto in comune con quello di Platone...
Dice infatti questo nel "Sofista": "cosa c'è di comune fra le cose corporee e quelle
incorpoee, posto che di entrambe si dice che sono?".
Ecco, allo stesso modo a me sembra che Levinas "dichiari" l'Essere non legato a
nessuna "esistenza", ed evidentemente eterno soprattutto nel pensare l'eterno nei termini
dell'"y'a".
Sicuramente l'Essere di Levinas, in quanto "multiplo e scisso in Medesimo e Altro", non
è l'Essere monolitico di Parmenide, ma questo può forse voler dire che l'Essere levinasiano
è un Essere che coincide con l'esistenza? Io non credo (credo invece, con Levinas, che proprio
questa, diciamo, "monolicità" dell'Essere parmenideo costituisca il fondamento di quella
"ontologia dell'io" da cui è partito tutto questo discorso - chiaramente non che Parmenide
abbia soggettivato l'Essere in un Io, ci mancherebbe).
Perciò non sarei così sbrigativo nel dichiarare la totale estraneità di Parmenide alla
modernità proprio nel senso, cui accennavo, indicatoci da Levinas (il quale dice: "la
concezione eleatica dell'Essere domina la filosofia di Platone, nella quale la
molteplicità è subordinata all'Uno...a partire da Platone l'ideale verrà sempre cercato
nella fusione").
Non è forse così nel Neoplatonismo, nel Cristianesimo o nell'Idealismo? Ma perfino nel
nichilismo odierno, direi, non è forse rinvenibile una traccia di quella antica monoliticità
(chiaramente "tradita", disillusa)?
saluti
ciao Mauro(Oxdeadbeef),
francamente non trovo similitudini fra l'Essere di Platone e quello di Levinas(il y a che tanto per chiarire signifca"c'è".
La fenomenologia di Levinas semmai trovo sia simile nella scrittura a quella di Heidegger,pur trattando su argomentazioni diversi.
C'è sempre una lievità, uno sfumato che sta fra fisicità e "Essere",ma stanno entrambi attenti di non superare il limite per arrivare
alla metafisica antica,quindi non è appunto simile a Platone.Perchè Husserl ha fatto sua le filosofie precedenti empirismo-criticismo kantiano-idealismo e ci teneva a cercare di trovare una sintesi fra psicologismo(soggettività) e diciamo realtà fisica.
Una caratteristica per chi legge i libri della fenomenologia è il linguaggio che è difficile a volte, ma ha spunti interessanti.
L'Essere per Levinas è tripartito :il y a, e l'ipostatico evento della separazione e dell'incontro.La fenomenologia tende ad un "movimento", la caratteristica di chi legge testi dell'antica Grecia è una staticità, una fissità. I greci dovevano istituire una filosofia, quindi si trattava di sancire i termini e di collocarli in un piano argomentativo. La fenomenologia si muove fra gli essenti e l'Essere.
Levinas quando costituisce il y a (ed il "c'è" è diverso dall'" è", nel c'è vi è esistenza nell'è vi è una fissità, una immobilità) lo intende come anonimo, impersonale Lo intende come quando si dice "piove", "fa caldo".Il y a viene descritto come rifiuto ad assumere una forma personale , quindi come "essere in generale".E' una presenza assenza e scrive Levinas "come una pienezza del vuoto o come il mormorio del silenzio".
Questa caratteristica di un linguaggio "poetante" ha senso nel momento in cui l'esistenza si muove fra due limiti imperscrutabili ,l'impossibilità di svelare i segreti della vita fisica e dall'altra quella dell'Essere.Per questo Heidegger dirà ad esempio che non trovava più le parole, per poi cercarle nell'arte.
Levinas ad esempio scrive: "Si dice di Dio che nessun nome può nominarlo. Ciò vale per me: nessun concetto mi esprime,niente di quanto mi viene indicato come mia essenza mi esaurisce; solo nomi"
La parola non esaurisce il pensiero ,così come l'Essere (l' il y a di Levians) sfugge o con il termine heideggeriano preso dall'antica grecia, aletheia, disvelamento, ciò che è velato , nascosto e che a volte ci viene dato per poi di nuovo velarsi.Questo darsi e ritrarsi dell'Essere in Levinas potrebbe essere ,per certi versi, separazione e l'incontro con l'Altrui
FRA SOGGETTO E OGGETTO
giustamente è entrata nella discussione la problematica della"realtà".Perchè l'esistenza è in rapporto alla realtà ,in quanto condizione fisica e del processo gnoseologico(conoscenza)
Bisogna partire da Kant per capire come Hegel svolgerà poi nella dialettica (importante anche per il marxismo per capire il materialismo storico e il materialismo dialettico) e quindi nella fenomenologia di Husserl, il rapporto fra"mondo di fatto" e quindi eventi naturali nel dominio del sensibile e"mondo delle idee" dove l'uomo procede alla sintesi mente/cervello/coscienza.
Penso che solo seguendo una strada metodologica già eseguita da Kant (ma originato dal limite della soggettività umana a capire il mondo di fatto e l'indimostrabilità della causazione, rapporto meccanicistico causa/effetto, posta dall'empirismo di Hume) sia possibile criticamente entrare nel processo dell'analitica e della sintesi attraverso il rapporto coscienza/trascendenza della deduzione.
I termini coscienza e trascendenza sono il passaggio del come Kant, Hegel e Husserl ritengono appunto svolgere e finalizzare e persino a giustificare ad esempio l'etica/morale(Kant arriverà alla "Critica del giudizio" dopo quelle della ragion pura e pratica.
Sono interessantissimi e con sviluppi contraddittori tant'è che il percorso filosofico poi ha cercato anche nella logica e nella filosofia del linguaggio la possibilità di una teoria della conoscenza
Ritornando a Levinas, se quindi Levinas pone l'Etica al centro della filosofia ,bisogna capire come si "sostanzia" un'etica ontologicamente.
Se l'etica fosse "interpretazione", ognuno(ogni Altrui) si sentirebbe libero dai vincoli ontologici a sviluppare una propria morale e quindi comportamento e sarebbe giustificato proprio dal fatto che non c'è una"verità" etica.
Citazione di: Ipazia il 27 Marzo 2019, 00:57:14 AM
Il pensato si risolve da sè avendo chiara la differenza tra i piani logici degli enti (ta onta) e della loro conoscenza (gnosi/episteme). Il cavallo esiste a prescindere dalla sua concettualizzazione e anche se non giungiamo, e neppure ci serve giungere, alla sua noumenica cavallinità, abbiamo tutti gli strumenti per conoscerlo nella sua fenomenica realtà che è la sommatoria di tutto quello che sappiamo di lui. E se ci mettiamo anche un briciolo di empatia, visto che anche il cavallo è un essere senziente, arriveremo pure a scoprire il cavallo per sè, oltre ad un più sfumato e opinabile cavallo in sè, che volentieri lascio ai metafisici. Anche F.Nietzsche, presso il limite della sua follia, scoprì il cavallo per sè, e questa "ecce cavallinità" lo sconvolse a tal punto da abbandonare per sempre la condizione umana, troppo ferocemente umana.
Ciao Ipazia
Che dire? A parte la "numenica cavallinità", che a parer mio denota una malcomprensione del
concetto kantiano di "noumeno" (semmai la "cavallinità" è relazionata alla "sostanza" aristotelica),
posso dire senz'altro di condividere.
In particolare, condivido quello che è il punto dirimente: la cosa (animale) che in italiano chiamiamo
"cavallo" esiste a prescindere dalla sua concettualizzazione.
Su cosa stiamo polemizzando, allora? Forse sul fatto che l'"in sé", o "per sé" dal punto di vista del
cavallo, non è conoscibile -o è conoscibile- dal particolare punto di vista del "per noi"
(cioè perchè si sta sostenendo, contro una conoscenza che può essere solo soggettiva, la possibilità
di una conoscenza oggettiva)?
saluti
Su "fra soggetto e oggetto" (Paul11)
A parer mio è necessario distinguere fra "esistenza" e "conoscenza" dell'oggetto.
L'esistenza significa lo "stare saldamente fuori", e va intesa, da parte dell'oggetto, come il suo
stare saldamente fuori dal soggetto interpretante (cioè l'essere "cosa in sé").
La conoscenza, nel suo significato generale, è invece l'avere, da parte del soggetto, una qualche
informazione circa l'oggetto.
Queste informazioni sull'oggetto, durante la storia del pensiero, sono ricavate in due modi
fondamentali. Il primo, quello della "conoscenza oggettiva", è ben esplicato da Platone: ("ciò
che assolutamente è, è assolutamente conoscibile") in un principio nel quale è evidente quell'
analogia fra "essenza" e "conoscenza" che porterà, prima, S.Agostino a formulare nella conoscenza
la sintesi di conoscente e conosciuto, poi l'Idealismo a decretare l'identità di reale e razionale.
Il secondo modo fondamentale non ha questa evidentissima radice metafisica, e nasce con Cartesio,
per il quale la distinzione fra "reale" e "pensato" non rende più possibile l'identificazione
platonica ed agostiniana (né, chiaramente, quella che di fatto è la creazione idealistica dell'
oggetto da parte del soggetto).
Personalmente, tendo ad escudere del tutto il primo modo, quello per cui la conoscenza è
immediatamente oggettiva, e a privilegiare il secondo modo, quello di una conoscenza soggettiva,
cioè fenomenica (una conoscenza meno "impregnata" di metafisica ma che non rinuncia ad una sua
"oggettività").
saluti
intanto premetto che non vorrei rischiare di finire a far brutta pubblicità alla fenomenologia, che è molto più ricca delle modalità in cui penso di averla compresa e in cui cerco di esprimerne i contenuti. Del resto, come per ogni cosa, non mi considero un esperto o uno specialista, ma cerco di trarne degli stimoli per riformularli in un modo mio personale, che può anche divergere dall'ispirazione originaria...
Per Sgiombo
La passività nell'apprensione dei dati fenomenici motiva l'ulteriorità del reale rispetto al pensiero, nel senso che se l'apprensione dei dati è passiva allora la causa, agente e attiva che produce l'evento della sensazione deve essere "altra" rispetto all'Io che li riceve, quindi posta in un mondo di cose oggettive, il che non vuol dire che ogni fenomeno sensibile necessariamente sia corrisposto a un fatto reale (realismo ingenuo), ma che esiste pur sempre un'oggettività X, indeterminata, responsabile del darsi in noi dell'apprensione di tali fenomeni, non necessariamente esistente con le proprietà che a noi si manifestano, ma comunque causa del loro prodursi. Il fatto che l'assenza di arbitrarietà sia constatabile anche nell'accadere di fenomeni psichici, come il ricordo, pensieri ossessivi non contravviene questo principio per il motivo che l' "ulteriorità" o "oggettività" non si riduce necessariamente alla cose fisiche del mondo esterno, ma può indicare anche una realtà psichica, interiore all'Io ma distinta da esso, da cui scaturiscono determinati contenuti, che l'Io non crea a partire da sé, riceve da qualcosa che deriva dal suo interno. Va cioè distinto l'Io inteso come puro soggetto libero e responsabile di propri atti coscienti, e l'individualità psichica su cui l'Io cosciente e volontario ha un potere di controllo solo parziale (da questa dicotomia discendono tutti i conflitti interiori, le indecisioni, il trovare anche in noi stessi delle resistenze mentali ai nostri propositi) e che si pone come realtà oggettiva, anche se interiore, che interagisce con l'Io suggerendo pensieri non completamente voluti o posti arbitrariamente da esso, alla stessa stregua dell'oggettività delle cose fisiche, esterne, che interagiscono dall'esterno col nostro corpo. Questa oggettività interiore in fondo credo sia quello che la psicanalisi ha tematizzato come "inconscio", in contrapposizione con l'Ego conscio, ma penso che anche utilizzando categorie diverse da quelle della psicanalisi per concettualizzarle, se la psicanalisi non convince, questa dimensione sia comunque sempre riconoscibile.
Per quanto riguarda Cartesio preciso che personalmente approvo il metodo della radicalizzazione del dubbio, indipendentemente dal giudizio sulla validità delle effettive applicazioni cartesiane, su cui si possono condividere delle perplessità
Per Oxdeadbeef
non trovo un nesso logico necessitante tra l'ammissione di una componente di pregiudizi e condizionamenti soggettivi nella visione del mondo e il rassegnarsi all'impossibilità di una conoscenza oggettiva, al di là delle interpretazioni. Il tentativo fenomenologico di evidenziazione delle essenze non pretende di essere tuttologia, ma di portare alla luce un livello di conoscenze certe e oggettive che sia fondamento di tutti gli altri livelli, corrispondenti alla molteplicità delle scienze particolari, e sui quali il sapere delle essenze si fa da parte per lasciare il posto a delle metodologie, di tipo empirico, in cui la provvisorietà, l'incertezza sono da sempre accettati come componente ineliminabile nei loro risultati. Questo livello fondamentale, trascendentale, non esaurisce tutta la realtà in sé, quindi la sua parzialità è coerente con la parzialità del margine entro cui possiamo svincolarci dai condizionamenti che ci vincolano alla nostra contingenza soggettiva, senza dunque che sia in conflitto o contraddizione con il riconoscimento di tali condizionamenti. Parzialità non vuol dire falsità, ma solo delimitazione dell'ambito di ricerca, sui cui però, fintanto che si resta al suo interno, si può legittimare la verità oggettiva di alcuni discorsi. Del resto, la stessa riflessione sui condizionamenti, sulla relatività delle interpretazioni, testimonia quel margine di distacco del pensiero rispetto ad essi, la possibilità di tematizzarli, oggettivarli, quindi di potersene, almeno in parte affrancare per poter fare su di essi le considerazioni che ora, anche in questa discussione, tutti stiamo facendo. Se fossimo del tutto immersi nella relatività delle interpretazioni non saremmo nemmeno in grado di accorgercene, non avremmo a disposizione quel margine di distanza che ci consente di svolgere una considerazione oggettiva su di essa, anche quando la si riconosce come presente. Insomma, come si dice... "il riconoscere la propria malattia è il primo sintomo di guarigione"
Per Davintro
Concordo con la distinzione fra parzialità (o limitatezza) della conoscibilità del reale oggettivo e pretesa (relativistica insuperabile) soggettività integrale delle conoscenze possibili che opponi ad Oxdeadbeef.
Invece resto scettico circa la passività del dato fenomenico (esterno - materiale), su cui predica il pensiero, come garanzia del suo riferirsi o corrispondere a qualcosa di extrafenomenico soggettivo ovvero oggettivo, in sé (che a mio parere, con Hume, non può razionalmente provarsi ma può solo essere fideisticamente creduto ad arbitrio del soggetto: contro il relativismo soggettivistico è ben possibile, ma comunque non necessario, non certo).
Infatti a proposito del fatto che l'assenza di arbitrarietà sia constatabile anche nell' accadere di fenomeni psichici, come il ricordo o pensieri ossessivi, non trovo sensato pensare a "una realtà psichica, interiore all' Io ma distinta da esso [sarebbe pur sempre una parte di "io oggetivo", nulla di oggettivo], da cui scaturiscono determinati contenuti, che l'Io non crea a partire da sé, riceve da qualcosa che deriva dal suo interno [qualcosa di derivante dall' interno dell' io ma diverso dall' io stesso, ovvero non parte di sé ma altro da se stesso, mi sembra un' evidente pseudoconcetto autocontraddittorio, assurdo, senza senso]"
Dal fatto poi che l'individualità psichica su cui l'Io cosciente e volontario ha un potere di controllo solo parziale di se stessa (ovvero conosce pulsioni e aspirazioni anche in ceti casi reciprocamente contraddittorie, incompatibili non può in nessun modo logicamente conseguire che non si tratti comunque di io-soggetto di sensazioni fenomeniche e di conoscenza di queste e nulla di oggettivo (si tratta comunque di realtà in parte autoconflittuale, ma comunque sempre soggettiva, interna al, costituente il soggetto dell' esperienza fenomenica cosciente; né che lo stesso possa dirsi delle sensazioni materiali – esteriori; non ne consegue necessariamente (ma solo possibilmente; non certamente ma solo ipoteticamnte) una qualsiasi relazione delle sensazioni fenomeniche coscienti stesse con alcunché di extrafenomenico - extrasoggettivo, di in sé - oggettivo.
Peraltro anche soltanto il fatto che si diano le sensazioni fenomeniche (materiali – esteriori o mentali – interiori che siano) passivamente "recepite" e non "prodotte ad ibitum" considerato di per se stesso non è "garanzia" (non ne consegue la necessità logica) dell' esistenza di qualcosa di diverso da esse (né come soggetto di esse né come oggetti da esse distinti e ad esse "ulteriori" nella realtà: non è infatti autocontraddittoria l' ipotesi che la realtà stessa (in toto) sia limitata alle sensazioni fenomeniche stesse e nient' altro (anche se non susseguenti rispetto ad altre sensazioni interiori -che peraltro sarebbero a loro volta indesiderate, a meno di cadere in un irrazionale regresso all' infinito- di "desiderio che accadano" ).
La garanzia dell'"oggettività" del fenomenico è data intersoggettivamente nel momento in cui l'Io e l'Altro diventano Noi. Il che può non piacere ha chi ha il culto dell'individualismo, ma sta alla base di una fenomenica ben collaudata e sperimentata gnosi e trascendenza ontologica. Ovvero scienza e realtà sub specie humana. Intesa quest'ultima nel senso del Tatsachenraum (spazio delle cose di fatto) postulato da Wittgenstein a cui possiamo ridurre il concetto di oggettività. Consapevoli che l'applicazione reale di quel concetto è contestuale, evolutiva e non dogmatica. Ma garantita dalla sua effettualità qui ed ora. Incontrovertibile fino a prova contraria.
.
Dissento (anche) da Ipazia.
Lungi da me il culto dell' individualismo, ovviamente, ma il fatto é che non c' é alcuna garanzia razionale che la realtà non sia limitata ai soli eventi fenomenici di coscienza immediatamente percepiti in quanto tali.
Il che non implica affatto che si debba abbracciare il solipsismo o qualsiasi forma di culto dell' individualismo, ma semplicemente ci dà (oltre alla possibilità di accettare in ultima analisi fideisticamente l' esistenza dell' oggettivo -e pure sociale- altro dal sé - soggettivo) anche la razionale consapevolezza dei limiti delle nostre conoscenze.
Ciao Davintro
No, non è questione di rassegnarsi all'impossibilità di una conoscenza oggettiva, ma di
rendersi consapevoli che tale oggettività non riposa, diciamo, sull'"in sé" della cosa.
Bisogna, in altre parole, "partire" da Cartesio e dalla sua tesi per cui l'idea è il solo
oggetto immediato della conoscenza (vedi anche la mia risposta a Paul su : "fra soggetto
e oggetto").
Il tentativo fenomenologico non pretenderà di essere "tuttologia", ma pretende (e per me
la cosa è arbitraria) appunto di evindenziare l'essenza, di: "portare alla luce un livello
di conoscenze certe e oggettive", il ché è in contraddizione con il "giusto" fondamento
cartesiano per cui l'unica cosa di cui posso avere certezza è il "cogito".
Quindi, diciamo così, la "strada" per arrivare a capire il "dove" risiede l'oggettività
della conoscenza (e non abbandonarci al più disperato relativismo) non comincia da Aristotele
e dalla sua "essenza", ma comincia appunto da Cartesio (per proseguire con Hume, con Kant).
saluti
Citazione di: sgiombo il 28 Marzo 2019, 09:16:04 AM
Dissento (anche) da Ipazia.
Lungi da me il culto dell' individualismo, ovviamente, ma il fatto é che non c' é alcuna garanzia razionale che la realtà non sia limitata ai soli eventi fenomenici di coscienza immediatamente percepiti in quanto tali.
Il che non implica affatto che si debba abbracciare il solipsismo o qualsiasi forma di culto dell' individualismo, ma semplicemente ci dà (oltre alla possibilità di accettare in ultima analisi fideisticamente l' esistenza dell' oggettivo -e pure sociale- altro dal sé - soggettivo) anche la razionale consapevolezza dei limiti delle nostre conoscenze.
Non era riferito a te il culto dell'individualismo. Semmai dovreste interrogarvi, voi che ci credete, sul culto della cosa in se', altrettanto indimostrabile di Dio, che ha introdotto surrettiziamente il "mistero della fede" nell'atto conoscitivo, nella gnosi. Un conto è dire che la conoscenza è imperfetta e l'induzione implica anche una atto di fede sulla sua riproducibilità ed un conto è postulare un Dio/noumeno corrispettivo della gnosi perfetta, ma irraggiungibile. Scherzi da "metafisica a parte".
Citazione di: Ipazia il 28 Marzo 2019, 13:55:33 PM
Non era riferito a te il culto dell'individualismo. Semmai dovreste interrogarvi, voi che ci credete, sul culto della cosa in se', altrettanto indimostrabile di Dio, che ha introdotto surrettiziamente il "mistero della fede" nell'atto conoscitivo, nella gnosi. Un conto è dire che la conoscenza è imperfetta e l'induzione implica anche una atto di fede sulla sua riproducibilità ed un conto è postulare un Dio/noumeno corrispettivo della gnosi perfetta, ma irraggiungibile. Scherzi da "metafisica a parte".
Ciao Ipazia
Scusa ma come dicevo in una precedente risposta (che forse ti è sfuggita) mi sembri aver
malcompreso il concetto kantiano di "cosa in sé".
La "cosa in sé" è qualunque cosa non interpretata, quindi è null'altro che un mero oggetto.
Dal punto di vista di Kant, fra l'altro, Dio non avendo realtà (cioè non avendo nessuna estensione
spazio-temporale) è per forza di cose un'idea, e quindi necessariamente non è "cosa in sé".
saluti
Forse per Kant Dio è un'idea, ma per un credente Dio è un noumeno inconoscibile tanto quello kantiano. Entrambi i concetti contengono la stessa contraddizione metafisica: se sono inconoscibili come possono essere postulati ? Siamo a livello ippogrifo.
Citazione di: Ipazia il 28 Marzo 2019, 13:55:33 PM
Non era riferito a te il culto dell'individualismo. Semmai dovreste interrogarvi, voi che ci credete, sul culto della cosa in se', altrettanto indimostrabile di Dio, che ha introdotto surrettiziamente il "mistero della fede" nell'atto conoscitivo, nella gnosi. Un conto è dire che la conoscenza è imperfetta e l'induzione implica anche una atto di fede sulla sua riproducibilità ed un conto è postulare un Dio/noumeno corrispettivo della gnosi perfetta, ma irraggiungibile. Scherzi da "metafisica a parte".
Credo che conosciamo ormai abbastanza bene le nostre convinzioni perché per parte mia non ti attribuisca l' attribuzione a me stesso (scusa il gioco di parole) del culto dell' individualismo (semplicemente "ci stava" nella tua affermazione e l' ho lasciato nella mia obiezione).
Di conseguenza nemmeno questo "
voi che ci credete" (nel culto della cosa in se', altrettanto indimostrabile di Dio, che ha introdotto surrettiziamente il "mistero della fede" nell'atto conoscitivo, nella gnosi) comprende affatto me; che di tutto ciò credo per fede solo nella cosa in sé(dell' indimostrabilità della quale mi rendo conto), punto e basta: niente "culto" (?), niente Dio (veramente un po' più indimostrabile del noumeno; ma nel caso di quello biblico-coranico essendo invece dimostrabilissimo trattarsi di uno pseudoconcetto autocontraddittorio, assurdo, senza senso), niente "misteri della fede" (ma invece consapevolezza dei limiti della ragione) nell' atto conoscitivo, niente gnosi (?)!Non ricavo l' ipotesi esplicativa del noumeno, in cui credo per fede, dal fatto che l'induzione implica anche una atto di fede* (sulla sua validità indefinita); noumeno comunque per niente "divino" e che dubito assai possa essere corrispettivo della gnosi perfetta, ma irraggiungibile (gnosi che ignoro completamente cosa sia; lo confesso candidamente: ne ho solo vagamente sentito parlare come di una eresia protocristiana o qualcosa di simile) . Propongo invece la realtà del noumeno per potermi spiegare come mai se chiudo gli occhi e mi turo e orecchie e il naso il meraviglioso cedro del Libano nel giardino del mio vicino di casa (unicamente costituito da sensazioni visive di varie sfumature di verde e di marrone, sensazioni olfattive di sfumature di odori resinosi, sensazioni uditive di fronde al vento, ecc. e nient' altro: esse est percipi" - Berkeley) non c' é più, ma nonappena li riapro c' é puntualmente di nuovo: qualcosa di reale ma non fenomenico, di diverso dalle sopra accennate sensazioni fenomeniche (necessariamente diverso, onde evitare di cadere in una eclatante contraddizione!) deve pur esserci anche quando impedisco di esserci al cedro del Libano; qualcosa (di propriamente oggettivo) che faccia sì che non appena riapro occhi, naso ed orecchie di nuovo c'é.E che più in generale giustifichi la credenza (indimostrabile) dell' intersoggettività delle sensazioni materiali in tutte le esperienze fenomeniche coscienti: il fatto che il cedro del Libano e tutto il resto del mondo materiale lo esperisca del tutto analogamente, "pubblicamente" chiunque compia le "opportune osservazioni", contrariamente ai pensieri, sentimenti, "stati d' animo" ecc. di ognuno che invece sono meramente soggettivi "privati": c' é una realtà in sé propriamente oggettiva -indipendente dai soggetti di sensazione e conoscenza- (e non meramente intersoggettiva) con cui sono in una qualche relazione tutti coloro che possono percepire le cose materiali come il meraviglioso albero; e invece qualcos' altro di diversamente reale "all' origine" di sensazioni coscienti solo soggettive, reali solo per ciascun osservatore di se stesso e per nessun altro, con cui é in qualche relazione chiunque può percepire i propri contenuti mentali, pensieri, sentimenti, ecc.Oserei anzi proporre che la stessa, medesima "cosa in sé" (me stesso) é in determinate relazioni "intrinseche" con se stessa allorché io e solo io esperisco le mie sensazioni fenomeniche mentali di cui sono oggetto e soggetto riflessivamente identificantesi con l' oggetto stesso -nell' ambito della mia esperienza cosciente°- mentre che tu e chiunque altro, collocandovi con essa in determinate altre relazioni "estrinseche", cioé compiendo "le opportune osservazioni", potreste benissimo osservare il mio cervello in determinate circostanze neurofisiologiche (in quanto oggetto diverso dal soggetto) -nell' ambito delle vostre proprie esperienze coscienti°° di osservatori; e viceversa. Come ben dimostrato -ma non spiegato: la spiegazione essendo per l' appunto per me quella del noumeno- dalle neuroscienze: in un certo senso i miei pensieri (sensazioni interiori o mentali in generale) sono la cosa in sé (io stesso, soggetto -e in questo caso anche oggetto- della mia esperienza fenomenica cosciente):a) quale fenomenicamente appare, si manifesta a se stessa;e il mio cervello nelle corrispondenti fasi di attività neurofisiologica:b) quale fenomenicamente appare a quella di altri soggetti da me -oggetto- diversi e viceversa.Sensazioni materiali ("pubbliche", intersoggettive) come manifestazioni fenomeniche di oggetti in sé (noumeno) diversi dai soggetti di esperienza cosciente, e sensazioni mentali ("private", meramente soggettive) come manifestazioni fenomeniche di oggetti in sé (noumeno) riflessivamente identici ai soggetti di esperienza coscienteDai, fate uno sforzo per seguire l' elucubrazione (intricata e contorta, lo ammetto; a renderla più semplice in poche parole non ci riesco)!_________________* Dunque constato di essere in tua (per me piacevole) compagnia nel credere anche qualcosa per fede.
Citazione di: 0xdeadbeef il 28 Marzo 2019, 14:07:31 PM
Ciao Ipazia
Scusa ma come dicevo in una precedente risposta (che forse ti è sfuggita) mi sembri aver
malcompreso il concetto kantiano di "cosa in sé".
La "cosa in sé" è qualunque cosa non interpretata, quindi è null'altro che un mero oggetto.
Dal punto di vista di Kant, fra l'altro, Dio non avendo realtà (cioè non avendo nessuna estensione
spazio-temporale) è per forza di cose un'idea, e quindi necessariamente non è "cosa in sé".
saluti
Per quanto ricordo dai lontani anni del liceo (in quanto riferito dal professore di filosofia e letto nel manuale scolastico di filosofia, non sui testi originali dell' Autore; ho letto solo i Prolegomeni, ma oltre 50 anni fa! E inoltre la memoria potrebbe ingannarmi) Kant nella Critica della ragion pratica identificherebbe (non per dimostrazione razionale: non nella Critica della ragion pura, infatti) con Dio e con il sé personale - anima immortale alcune delle entità proprie del -o costituenti il- noumeno o "cosa in sé".
Salvo deprecabili fraintendimenti o svarioni di memoria questa era la "vulgata corrente del kantismo", più o meno fedele all' originale che fosse.
Citazione di: Ipazia il 28 Marzo 2019, 15:13:33 PM
Forse per Kant Dio è un'idea, ma per un credente Dio è un noumeno inconoscibile tanto quello kantiano. Entrambi i concetti contengono la stessa contraddizione metafisica: se sono inconoscibili come possono essere postulati ? Siamo a livello ippogrifo.
Ciao Ipazia
Della "cosa in sé" kantiana si può dire di tutto (e specialmente che è un non-senso), ma
non che c'entri qualcosa con la metafisica.
Per Kant: "Dio non ha più realtà dell'idea che io abbia cento talleri in tasca" (te lo cito
integralmente in una celebre affermazione), quindi non può avere quel tipo di "oggettività
pura" (non l'idea dell'oggetto, ma l'oggetto) che è richiesta per avvalersi dell'appellativo
di "cosa in sè".
Ma mi chiedi: "se è inconoscibile (la cosa in sè) come può essere postulata?"
Per rispondere in maniera soddisfacente a questa domanda occorrerebbe fare la storia del
pensiero di diversi millenni...
Diciamo: con quella che viene definita (fin dallo Stoicismo, e poi nella Scolastica medievale
anglosassone per finire a Hume) "intuizione pura", cioè quel tipo di conoscenza "immediata"
che non è la conoscenza "intellettuale (come nella celebre distinzione di Duns Scoto).
Diciamo allora che della "cosa in sè" kantiana possiamo avere questo genere di conoscenza;
una conoscenza meramente intuitiva; un intuire che "c'è" (come mi pare di vedere ad esempio
anche in Levinas). E basta...
saluti
Salve. Per Sgombo : a proposito di "Dal punto di vista di Kant, fra l'altro, Dio non avendo realtà (cioè non avendo nessuna estensione
spazio-temporale) è per forza di cose un'idea, e quindi necessariamente non è "cosa in sé".
Vorrei solo osservare che Dio, qualora consistesse nel'insieme del mondo, avrebbe invece certo estensione ben sufficiente a farne la "cosa in sè".
C'è un solo punto di vista che può mettere d'accordo materialisti e spiritualisti circa Dio : considerare che esso sia "la causa dell'essere".
Ciò concilierebbe incontrovertibilmente ogni altra interpretazione. Saluti.
Salve. Per Ipazia ed Oxdeadbeef : "Forse per Kant Dio è un'idea, ma per un credente Dio è un noumeno inconoscibile tanto quello kantiano. Entrambi i concetti contengono la stessa contraddizione metafisica: se sono inconoscibili come possono essere postulati ? Siamo a livello ippogrifo."
Pur essendo inconoscibili secondo me possono tranquillamente venir postulati. Basta provare il bisogno interiore di affermare la loro esistenza. Infatti funziona proprio così. Saluti.
Ciao Sgiombo
Mah, diciamo che nella Ragion Pratica Dio è assunto come postulato allo scopo di fondare
l'agire morale (in maniera del tutto analoga al "se Dio non esiste, allora tutto è lecito"
di Dostoevskij).
Per Kant Dio è una speranza (ed improbabile, per giunta); egli dice che l'esistenza reale
di Dio può, al massimo, non essere del tutto esclusa.
Non mi risulta vi sia, in Kant, alcuna relazione fra l'idea di Dio e la "cosa in sé" (non
può logicamente esservi).
saluti
Citazione di: 0xdeadbeef il 28 Marzo 2019, 18:13:06 PM
Ciao Ipazia
Della "cosa in sé" kantiana si può dire di tutto (e specialmente che è un non-senso), ma
non che c'entri qualcosa con la metafisica.
Per Kant: "Dio non ha più realtà dell'idea che io abbia cento talleri in tasca" (te lo cito
integralmente in una celebre affermazione), quindi non può avere quel tipo di "oggettività
pura" (non l'idea dell'oggetto, ma l'oggetto) che è richiesta per avvalersi dell'appellativo
di "cosa in sè".
Ma mi chiedi: "se è inconoscibile (la cosa in sè) come può essere postulata?"
Per rispondere in maniera soddisfacente a questa domanda occorrerebbe fare la storia del
pensiero di diversi millenni...
Diciamo: con quella che viene definita (fin dallo Stoicismo, e poi nella Scolastica medievale
anglosassone per finire a Hume) "intuizione pura", cioè quel tipo di conoscenza "immediata"
che non è la conoscenza "intellettuale (come nella celebre distinzione di Duns Scoto).
Diciamo allora che della "cosa in sè" kantiana possiamo avere questo genere di conoscenza;
una conoscenza meramente intuitiva; un intuire che "c'è" (come mi pare di vedere ad esempio
anche in Levinas). E basta...
saluti
È implicito in Kant che la conoscenza fenomenica debba derivare da qualcosa che fenomeno non è. Nella seconda edizione il noumeno è una nozione limite, definibile "non fenomeno" che resta inconoscibile, poichè per esserlo dovrebbe cadere nelle intuizioni pure di spazio e tempo e unificata attraverso le categorie, pertanto si avrebbe non già la cosa in sè, ma un fenomeno, che è l'unico oggetto di conoscenza. Pertanto ritengo che in Kant, si approdi a una nozione limite unicamente definibile in termini negativi, appunto "non fenomeno".È la ragione che si spinge oltre questi limiti conoscitivi dell'intelletto puro avventurandosi in mari tempestosi, senza sapere perchè. Propriamente non si può conoscere se "c'è" o "non c'è". Non si da conoscenza della cosa in sè in Kant, in alcun modo. Non mi risulta esista una "intuizione pura" diversa dalle due forme della sensibilità che formano il fenomeno, che permetta di conoscere la cosa in sè, in Kant, una intuizione non sensibile che intuizione è per Kant?
Citazione di: viator il 28 Marzo 2019, 18:41:49 PM
Vorrei solo osservare che Dio, qualora consistesse nel'insieme del mondo, avrebbe invece certo estensione ben sufficiente a farne la "cosa in sè".
C'è un solo punto di vista che può mettere d'accordo materialisti e spiritualisti circa Dio : considerare che esso sia "la causa dell'essere".
Ciò concilierebbe incontrovertibilmente ogni altra interpretazione. Saluti.
Ciao Viator
E perchè mai "mettere d'accordo"; "conciliare" (ma allora Levinas ha ben ragione quando dice che
tutta la filosofia occidentale è volta alla fusione...)?
Perchè mai non lasciare "campo" all'alterità? Su queste questioni, poi...
Per finire consentimi una battuta: se Dio avesse l'estensione del mondo gli consiglierei di andare
immediatamente dal Dott. Nowzaradan a Houston...
saluti
Citazione di: viator il 28 Marzo 2019, 18:41:49 PM
Salve. Per Sgombo : a proposito di "Dal punto di vista di Kant, fra l'altro, Dio non avendo realtà (cioè non avendo nessuna estensione
spazio-temporale) è per forza di cose un'idea, e quindi necessariamente non è "cosa in sé".
Vorrei solo osservare che Dio, qualora consistesse nel'insieme del mondo, avrebbe invece certo estensione ben sufficiente a farne la "cosa in sè".
C'è un solo punto di vista che può mettere d'accordo materialisti e spiritualisti circa Dio : considerare che esso sia "la causa dell'essere".
Ciò concilierebbe incontrovertibilmente ogni altra interpretazione. Saluti.
Veramente l' aveva scritto Oxdeadbeef.
Io avevo solo obiettato che non quadrava con i miei (un p' traballanti) ricordi liceali circa Kant.
Citazione di: Lou il 28 Marzo 2019, 18:59:32 PM
È implicito in Kant che la conoscenza fenomenica debba derivare da qualcosa che fenomeno non è. Nella seconda edizione il noumeno è una nozione limite, definibile "non fenomeno" che resta inconoscibile, poichè per esserlo dovrebbe cadere nelle intuizioni pure di spazio e tempo e unificata attraverso le categorie, pertanto si avrebbe non già la cosa in sè, ma un fenomeno, che è l'unico oggetto di conoscenza. Pertanto ritengo che in Kant, si approdi a una nozione limite unicamente definibile in termini negativi, appunto "non fenomeno".È la ragione che si spinge oltre questi limiti conoscitivi dell'intelletto puro avventurandosi in mari tempestosi, senza sapere perchè. Propriamente non si può conoscere se "c'è" o "non c'è". Non si da conoscenza della cosa in sè in Kant, in alcun modo. Non mi risulta esista una "intuizione pura" diversa dalle due forme della sensibilità che formano il fenomeno, che permetta di conoscere la cosa in sè, in Kant, una intuizione non sensibile che intuizione è per Kant?
Ciao Ipazia
Ma perchè mai non si potrebbe conoscere se "c'è" o se "non c'è"?
Se, come dici, la conoscenza fenomenica deve derivare da qualcosa che fenomeno non è (o, detta
nei termini della semiotica, al "segno" deve corrispondere la cosa che il segno indica), allora
perchè mai, secondo logica, la "cosa in sé" non sarebbe conoscibile nella sua mera esistenza?
Ovviamente l'"intuizione pura" di Kant non è quella degli Stoici o di Duns Scoto, ma da quella
"forma-mentis" proviene (chiaramente per l'influenza di Hume), per cui la "cosa in sé" è da
Kant intesa come un qualcosa che il "nous", l'intelletto, può "afferrare" (nota il concetto
di chiara dericazione stoica) fermo restando, ed è ovvio, l'inconoscibilità.
Ma il concetto diviene poi a mio avviso palese proprio nella semiotica, la quale afferma
un "oggetto primo" che è all'origine della catena segnica degli interpretanti. Alcuni semiologi,
come ad esempio C.Sini, arrivano a sostenere che l'oggetto primo non esiste, ma per dire questo
sono costretti ad attribuire al verbo "esistere" un significato particolare e, direi, molto
discutibile (in sostanza che una cosa "esiste" solo dopo essere stata interpretata).
Altri, come U.Eco, hanno invece al proposito sostenuto tesi molto interessanti (la conoscenza
"negativa" etc.)
saluti
Salve Sgiombo. Perdona la svista ma recentemente mi sono iscritto al "Festival della Giovinezza". Tra i ricchi premi e cotillons è inclusa la rimbambitaggine. Saluti.
Citazione di: 0xdeadbeef il 28 Marzo 2019, 18:54:46 PM
Ciao Sgiombo
Mah, diciamo che nella Ragion Pratica Dio è assunto come postulato allo scopo di fondare
l'agire morale (in maniera del tutto analoga al "se Dio non esiste, allora tutto è lecito"
di Dostoevskij).
Per Kant Dio è una speranza (ed improbabile, per giunta); egli dice che l'esistenza reale
di Dio può, al massimo, non essere del tutto esclusa.
Non mi risulta vi sia, in Kant, alcuna relazione fra l'idea di Dio e la "cosa in sé" (non
può logicamente esservi).
saluti
Consapevole del poco che ho studiato in anni lontani circa Kant e dell' incertezza della mia memoria, non insisto circa la convinzione che avevo (e sulla quale ora sospendo il giudizio) circa il fatto che il nostro nella Critica della ragion pratica non abbia postulato Dio allo scopo di fondare la morale ma invece (al contrario) abbia ricavato l' esistenza di Dio (e del' anima immortale) come conseguenza dell' imperativo categorico che trovava "di già confezionato" con certezza dentro di sé e non "fondato" o insegnatogli da un Dio" alla cui esistenza previamente credesse (Non: c' é Dio, ergo c' é l imperativo categorico, ma c' é l' imperativo categorico: ergo c' é Dio).
Ma credo fermamente che una identificazione fra ciò che sta "oltre i fenomeni" e Dio può benissimo logicamente darsi (e di fatto si é data, se non da parte di Kant, prima di lui -senza usare la terminologia kantiana ma parlando delle stesse cose, apparenze sensibili e ciò che é reale indipendentemente dall' essere sensibilmente percepito- da parte di Berkeley).
Citazione di: 0xdeadbeef il 28 Marzo 2019, 20:41:18 PM
Ciao Ipazia
Ma perchè mai non si potrebbe conoscere se "c'è" o se "non c'è"?
Se, come dici, la conoscenza fenomenica deve derivare da qualcosa che fenomeno non è (o, detta
nei termini della semiotica, al "segno" deve corrispondere la cosa che il segno indica), allora
perchè mai, secondo logica, la "cosa in sé" non sarebbe conoscibile nella sua mera esistenza?
Ovviamente l'"intuizione pura" di Kant non è quella degli Stoici o di Duns Scoto, ma da quella
"forma-mentis" proviene (chiaramente per l'influenza di Hume), per cui la "cosa in sé" è da
Kant intesa come un qualcosa che il "nous", l'intelletto, può "afferrare" (nota il concetto
di chiara dericazione stoica) fermo restando, ed è ovvio, l'inconoscibilità.
Ma il concetto diviene poi a mio avviso palese proprio nella semiotica, la quale afferma
un "oggetto primo" che è all'origine della catena segnica degli interpretanti. Alcuni semiologi,
come ad esempio C.Sini, arrivano a sostenere che l'oggetto primo non esiste, ma per dire questo
sono costretti ad attribuire al verbo "esistere" un significato particolare e, direi, molto
discutibile (in sostanza che una cosa "esiste" solo dopo essere stata interpretata).
Altri, come U.Eco, hanno invece al proposito sostenuto tesi molto interessanti (la conoscenza
"negativa" etc.)
saluti
io mi riferivo esclusivamente a Kant, poi tanta acqua è passata sotto i suoi ponti. Ripeto,la cosa in sè in Kant non è conoscibile per l'umano, se mi mostri dei passaggi dove afferma il contrario sono tutta orecchi.
Citazione di: viator il 28 Marzo 2019, 20:53:42 PM
Salve Sgiombo. Perdona la svista ma recentemente mi sono iscritto al "Festival della Giovinezza". Tra i ricchi premi e cotillons è inclusa la rimbambitaggine. Saluti.
Benvenuto fra noi!
...Siamo una compagnia numerosa (e neanche troppo noiosa).
Citazione di: 0xdeadbeef il 28 Marzo 2019, 20:41:18 PMMa perchè mai non si potrebbe conoscere se "c'è" o se "non c'è"? Se, come dici, la conoscenza fenomenica deve derivare da qualcosa che fenomeno non è (o, detta nei termini della semiotica, al "segno" deve corrispondere la cosa che il segno indica), allora perchè mai, secondo logica, la "cosa in sé" non sarebbe conoscibile nella sua mera esistenza?
la "cosa in sé" è da Kant intesa come un qualcosa che il "nous", l'intelletto, può "afferrare" (nota il concetto di chiara dericazione stoica) fermo restando, ed è ovvio, l'inconoscibilità.
Salve 0xdeadbeef,
hai citato Gentile e Severino: in questo caso alla tua domanda Severino risponderebbe che il concetto di cosa in sé è contraddittorio, cioè secondo logica se l'intelletto la può afferrare, la cosa non è più "in sé", ma aperta al conoscere. Se anche solo la sua esistenza è manifesta, l'inconoscibilità non sussiste.
Premetto ancora una volta che su Kant, dati i miei limiti culturali, potrei sbagliarmi.
Ma indipendentemente da qualsiasi pretesa di fedeltà al konigsbegese (ragiono "a ruota libera", sulla questione, non allo scopo di capire Kant ma di cercare di capire la realtà in cui vivo), mi sembra chiaramente sensato e intelligibile intendere il noumeno o cosa in sé come non apparente sensibilmente alla coscienza (non-fenomeno, letteralmente) ma pensabile, immaginabile: ciò (qualcosa di in qualche inevitabilmente oscuro modo o senso reale) che continuerebbe ad esistere anche in assenza di percezione fenomenica dei fenomeni coscienti (che potrebbe includere il soggetto e gli oggetti di essi; ma essendo per definizione non osservabile potrebbe essere "di tutto e di più", ivi compreso eventualmente "il nulla", dal momento che é -per me; senza pretendere di fare una corretta esegesi di Kant- indimostrabile, oltre che ovviamente non empiricamente constatabile, -ma solo ipotizzabile: potrebbe anche non esserci realmente).
Citazione di: Lou il 28 Marzo 2019, 20:57:31 PM
io mi riferivo esclusivamente a Kant, poi tanta acqua è passata sotto i suoi ponti. Ripeto,la cosa in sè in Kant non è conoscibile per l'umano, se mi mostri dei passaggi dove afferma il contrario sono tutta orecchi.
Ciao Lou (e scusami per averti confusa con Ipazia...)
Dice Kant ("Analitica dei Principi": "se una conoscenza deve avere una realtà oggettiva,
cioè riferirsi a un oggetto e avere in esso significato e senso, l'oggetto deve, in un
modo qualsiasi, poter essere dato. Senza di questo i concetti sono vuoti, e se anche con
essi si pensa, di fatto questo pensiero non conosce nulla ma soltanto gioca con le
rappresentazioni. Dare un oggetto, se questo a sua volta non deve essere opinato
indirettamente, ma rappresentato immediatamente nell'intuizione, non è altro che
connettere la sua rappresentazione con l'esperienza".
Mi sembra chiarissimo. E' da tener sempre presente che il fondamento su cui Kant poggia
queste sue tesi è il "cogito" cartesiano, per cui l'unico oggetto "immediato" della
conoscenza è l'idea.
Tutto ciò "arriva a Kant" attraverso quello che viene definito "illuminismo inglese"
(direi soprattutto con la tesi di Hume sulla conoscenza come "operazione di connessione
fra le idee"). Ma Kant vi aggiunge un elemento importante, che era "sparito" da Hume come
da Locke (purchè sempre presente nella filosofia anglosassone, come dicevo a proposito di
Duns Scoto), ed appunto quello della "intuizione immediata", cioè di quell'"afferrare"
un oggetto di cui si intuisce l'esistenza senza comprenderlo intellettualmente.
Mi sembra francamente un passaggio che rende superfluo ed azzardato il discorso fenomenologico
(azzardato perchè recupera una oggettività intesa in senso idealistico).
saluti
"Tuttavia nel nostro concetto, quando denominiamo certi oggetti, come fenomeni, esseri sensibili (phaenomena), distinguendo il nostro modo di intuirli dalla loro natura in sé, c'è già che noi, per dir così, contrapponiamo ad essi o gli oggetti stessi in questa loro natura in sé (quantunque in essa noi non li intuiamo), o anche altre cose possibili, ma che non sono punto oggetti dei nostri sensi, come oggetti pensati semplicemente dall'intelletto, e li chiamiamo esseri intelligibili (noumena). Ora, si domanda se i nostri concetti puri dell'intellettorispetto a questi ultimi non abbiano un valore, e se di essi non possano essere una specie di conoscenza.
Ma qui si presenta subito un equivoco, che può dare occasione a un grosso malinteso, e cioè: che poiché l'intelletto, quando chiama semplicemente fenomeno un oggetto che è in una relazione, si fa ad un tempo, fuori di questa relazione, ancora una rappresentazione di un oggetto in sé, e quindi si immagina di potersi parimenti far dei concetti di tali oggetti; e poiché l'intelletto non fornisce altri concetti che le categorie, l'oggetto, nell'ultimo significato, si immagina che debba poter esser pensato almeno mediante codesti concetti puri dell'intelletto; ma così è indotto a ritenere un concetto affatto indeterminato di un essere intelligibile, come qualcosa in generale al di là della nostra sensibilità, per un concetto determinato di un essere, che noi possiamo in qualche modo conoscere mercé dell'intelletto. Se noi intendiamo per noumeno una cosa, in quanto essa non è oggetto della nostra intuizione sensibile, astraendo dal nostro modo d'intuirla, essa è un noumeno in senso negativo. Ma, se per esso invece intendiamo l'oggetto d'una intuizione non sensibile, allora supponiamo una speciale maniera di intuizioni, cioè l'intellettuale, la quale però non è la nostra, e della quale non possiamo comprendere nemmeno la possibilità; e questo sarebbe il noumeno in senso positivo.
Se io sottraggo ogni pensiero (per categorie) da una conoscenza empirica, non resta più nessuna conoscenza di un qualsiasi oggetto; giacché con la sola intuizione nulla assolutamente vien pensato, e il fatto che c'è in me questa affezione della sensibilità, non costituisce relazione di sorta di tale rappresentazione con un qualsiasi oggetto. Se invece io sottraggo ogni intuizione, mi rimane ancora la forma del pensiero, cioè la maniera di assegnare un oggetto al molteplice d`una intuizione possibile. Le categorie quindi si estendono più in là dell'intuizione sensibile, poiché pensano oggetti in generale, senza ancora guardare alla speciale maniera (di sensibilità), nella quale gli oggetti possono esserci dati. Ma esse non determinano perciò una sfera di oggetti più grande, poiché non è ammissibile che tali oggetti possano esser dati senza presupporre come possibile una specie di intuizione diversa dalla sensibile; al che non siamo in nessun modo autorizzati.
Chiamo problematico un concetto che non contiene contraddizione, e che, come limitazione di concetti dati, si connette anche con altre conoscenze ma la cui verità oggettiva non può essere in alcun modo conosciuta. Il concetto di un noumeno, cioè di una cosa che deve esser pensata non come oggetto dei sensi, ma come cosa in sé (unicamente per l'intelletto puro), non è per niente contraddittorio; giacché non si può della sensibilità asserire che sia l'unico modo possibile di intuzione. Anzi, questo concetto è necessario, acciò l'intuizione sensibile non venga estesa fino alle cose in sé, e sia così limitata la validità oggettiva della conoscenza sensibile; (giacché le restanti cose, a cui quella non giunge, si chiamano appunto per ciò noumeni, per indicare così che tale conoscenza non può estendere il suo dominio anche a ciò che pensa l'intelletto). Ma, in fine, nemmeno della possibilità di tali noumeni è possibile punto rendersi conto e il territorio di là dalla sfera dei fenomeni (per noi) è vuoto; cioè, noi abbiamo un intelletto, che si estende al di là problematicamente, ma non una intuizione, e neppure il concetto d'una possibile intuizione, onde possano esser dati oggetti fuori del campo della sensibilità, e l'intelletto possa essere usato al di là di essa in modo assertorio. Il concetto di noumeno è dunque solo un concetto limite (Grenzbegriff), per circoscrivere le pretese della sensibilità, e di uso, perciò, puramente negativo.Ma esso tuttavia non è foggiato ad arbitrio, sibbene si connette colla limitazione della sensibilità, senza poter nondimeno porre alcunché di positivo al di fuori del dominio di essa. Non può dunque ammettersi punto in senso positivo la divisione degli oggetti in fenomeni e noumeni, e del mondo in sensibile e intelligibile, sebbene i concetti consentano sempre di esser divisi in sensibili e intellettuali; giacché a questi ultimi non si può assegnare nessun oggetto, né essi perciò possono valere oggettivamente. Se ci si allontana dai sensi come concepire che le nostre categorie (che sarebbero i soli concetti rimanenti per i noumeni) significhino ancora qualche cosa dal momento che per il loro rapporto ad un qualsiasi oggetto dovrebbe esser dato qualcosa più che la semplice unità nel pensiero e cioè inoltre una intuizione possibile, a cui applicarle? Il concetto di noumeno, preso solo problematicamente, rimane, ciò malgrado, non soltanto ammissibile, ma anzi inevitabile, come concetto che limita la sensibilità. Ma, allora, esso non è un particolare oggetto intelligibile per il nostro intelletto; ma un intelletto, al quale esso appartenesse, sarebbe già di per sé un problema, in quanto intelletto capace di conoscere il proprio oggetto non discorsivamente, mediante le categorie, ma in modo intuitivo, con una intuizione non sensibile; né della possibilità di tale oggetto noi possiamo farci la più piccola idea. Ora il nostro intelletto riceve in tal modo una estensione negativa, cioè non viene limitato dalla sensibilità, ma piuttosto la limita, pel fatto che chiama le cose in sé (non considerate come fenomeni) noumeni." Cap 3. Analitica Trascendentale
(grassetto mio)
A me pare che si possa parlare correttamente di noumeno solo nel senso di non oggetto di intuizione sensibile.
Citazione di: Menandro il 28 Marzo 2019, 22:02:01 PM
Salve 0xdeadbeef,
hai citato Gentile e Severino: in questo caso alla tua domanda Severino risponderebbe che il concetto di cosa in sé è contraddittorio, cioè secondo logica se l'intelletto la può afferrare, la cosa non è più "in sé", ma aperta al conoscere. Se anche solo la sua esistenza è manifesta, l'inconoscibilità non sussiste.
Ciao Menandro
Ti "ri-cito" Gentile: "l'oggetto, in quanto pensato, non può essere una realtà indipendente
dal soggetto che lo pensa". Questo vuol chiaramente dire che la "cosa in sé", in quanto
pensata, è un fenomeno...
Certo, è così, e per comprendere questa (apparente) contraddizione è necessario tornare al
concetto di "intuizione immediata", concetto di radice stoica poi ripreso soprattutto dalla
filosofia anglosassone (come illustro sinteticamente in altri dei miei ultimi interventi).
Visto che quel che è in discussione è l'intero "sguardo sul mondo" occidentale (perchè è
questo che Levinas dice), è necessario tornare almeno un attimo alla radice "assoluta" (che,
come dice Levinas, è la "fusione" platonica di soggetto e oggetto - sono costretto a rimandarti
ai precedenti interventi).
Questa "fusione" (evidentissima in S.Agostino, che dice: "ogni conoscenza deriva insieme dal
conoscente e dal conosciuto"), nello Stoicismo, non avviene. Nello Stoicismo soggetto e oggetto
(conoscente e conosciuto) rimangono nettamente distinti, e l'oggetto, percepito in maniera
"evidente ed immediata", rimane appunto "altro" dal soggetto che ne viene a conoscenza.
Ora, chiaramente di acqua sotto i ponti ne passa parecchia prima di arrivare ai nostri giorni.
Diciamo che questi due "filoni" di pensiero sopravvivono appunto fino all'Idealismo, che sotto
certi aspetti fa piazza pulita perfino dell'empirismo anglosassone classicamente inteso (che
ancora distingueva il soggetto dall'oggetto). Un Idealismo che, si badi bene, anche per Levinas
non dice certo sciocchezze (quella di Gentile non è certo una sciocchezza), ma porta a conclusione
(appunto nella "ontologia dell'io" contemporanea) quella "fusione" che per Levinas parte già con
Parmenide.
Ora, il discorso è, ovviamente, molto complesso me ne rendo conto). Ma per capirlo occorre a mio
parere andare "là" dove l'oggetto "scompare" NEL soggetto. e questo luogo è "fra" Kant e Fichte.
saluti
Citazione di: 0xdeadbeef il 29 Marzo 2019, 10:00:46 AMCiao Menandro Ti "ri-cito" Gentile: "l'oggetto, in quanto pensato, non può essere una realtà indipendente dal soggetto che lo pensa". Questo vuol chiaramente dire che la "cosa in sé", in quanto pensata, è un fenomeno... Certo, è così, e per comprendere questa (apparente) contraddizione è necessario tornare al concetto di "intuizione immediata", concetto di radice stoica poi ripreso soprattutto dalla filosofia anglosassone (come illustro sinteticamente in altri dei miei ultimi interventi). Visto che quel che è in discussione è l'intero "sguardo sul mondo" occidentale (perchè è questo che Levinas dice), è necessario tornare almeno un attimo alla radice "assoluta" (che, come dice Levinas, è la "fusione" platonica di soggetto e oggetto - sono costretto a rimandarti ai precedenti interventi). Questa "fusione" (evidentissima in S.Agostino, che dice: "ogni conoscenza deriva insieme dal conoscente e dal conosciuto"), nello Stoicismo, non avviene. Nello Stoicismo soggetto e oggetto (conoscente e conosciuto) rimangono nettamente distinti, e l'oggetto, percepito in maniera "evidente ed immediata", rimane appunto "altro" dal soggetto che ne viene a conoscenza. Ora, chiaramente di acqua sotto i ponti ne passa parecchia prima di arrivare ai nostri giorni. Diciamo che questi due "filoni" di pensiero sopravvivono appunto fino all'Idealismo, che sotto certi aspetti fa piazza pulita perfino dell'empirismo anglosassone classicamente inteso (che ancora distingueva il soggetto dall'oggetto). Un Idealismo che, si badi bene, anche per Levinas non dice certo sciocchezze (quella di Gentile non è certo una sciocchezza), ma porta a conclusione (appunto nella "ontologia dell'io" contemporanea) quella "fusione" che per Levinas parte già con Parmenide. Ora, il discorso è, ovviamente, molto complesso me ne rendo conto). Ma per capirlo occorre a mio parere andare "là" dove l'oggetto "scompare" NEL soggetto. e questo luogo è "fra" Kant e Fichte. saluti
L'affermazione di Gentile "l'oggetto, in quanto pensato, non può essere una realtà indipendente dal soggetto che lo pensa" che sia vera o meno non è contraddittoria. E' contraddittorio, una volta che ci siamo posti da un punto di vista idealistico, continuare a parlare di cosa in sé. Per Gentile la cosa in sé non esiste, perché tutto appare all'interno del pensiero. Quindi, se Gentile ha ragione, Levinas ha torto, perché non c'è più niente che non sia riducibile al soggetto pensante. Quello che non ho capito è chi dei due secondo te ha ragione.
Chiedo scusa se mi esprimo sbrigativamente, non è un tono polemico, ma sto facendo due cose alla volta... mi rendo conto che per le mie capacità è un azzardo :)
Citazione di: sgiombo il 29 Marzo 2019, 08:14:32 AMPremetto ancora una volta che su Kant, dati i miei limiti culturali, potrei sbagliarmi. Ma indipendentemente da qualsiasi pretesa di fedeltà al konigsbegese (ragiono "a ruota libera", sulla questione, non allo scopo di capire Kant ma di cercare di capire la realtà in cui vivo), mi sembra chiaramente sensato e intelligibile intendere il noumeno o cosa in sé come non apparente sensibilmente alla coscienza (non-fenomeno, letteralmente) ma pensabile, immaginabile: ciò (qualcosa di in qualche inevitabilmente oscuro modo o senso reale) che continuerebbe ad esistere anche in assenza di percezione fenomenica dei fenomeni coscienti (che potrebbe includere il soggetto e gli oggetti di essi; ma essendo per definizione non osservabile potrebbe essere "di tutto e di più", ivi compreso eventualmente "il nulla", dal momento che é -per me; senza pretendere di fare una corretta esegesi di Kant- indimostrabile, oltre che ovviamente non empiricamente constatabile, -ma solo ipotizzabile: potrebbe anche non esserci realmente).
Anche a me sembra sensata l'idea che continui ad esistere ciò che non appare attualmente alla coscienza. Ma per come ho capito io - magari sbagliando, devo leggere con attenzione la citazione riportata da @Lou - per Kant il noumeno non è l'attualmente non noto, bensì un livello ulteriore della realtà a noi precluso (ulteriore rispetto al fenomeno).
Citazione di: Lou il 29 Marzo 2019, 09:37:48 AM
A me pare che si possa parlare correttamente di noumeno solo nel senso di non oggetto di intuizione sensibile.
Ciao Lou
Certamente non si può parlare della cosa in sè come oggetto di "conoscenza", questo è ovvio.
Se ne può però parlare in termini di "intuizione" (perchè questa, ritengo, è la domanda)?
Andiamo a vedere cosa Kant intende per "conoscenza": ("la conoscenza comprende
due punti: in primo luogo un concetto per cui in generale un oggetto è pensato secondo le
categorie, e in secondo luogo l'intuizione con cui esso è dato").
Quanto all'"intuizione" Kant distingue fra l'intuizione sensibile e quella intellettuale,
con solo la prima di pertinenza dell'essere umano, cui l'oggetto è "dato" (quindi che gli è
dato "passivamente", cioè in senso negativo).
E proprio in quanto l'oggetto "in sé" è dato passivamente al soggetto interpretante che esso
rappresenta un concetto-limite; che circoscrive le pretese della sensibilità (della conoscenza);
ma che le circoscrive in senso negativo IN QUANTO il senso positivo (l'intuizione intellettuale)
non è di pertinenza dell'essere umano.
In altre parole, Kant intende la "cosa in sé" come intuizione intellettuale "passiva"; "negativa"
(e sarebbe molto interessante confrontare le conclusioni di Kant con la "conoscenza negativa",
che dicevo, di U.Eco).
Ora, io credo che prenderemmo un grave abbaglio se restassimo ancorati alla tesi kantiana "in sé".
La cosa più importante che Kant ci dice è che l'oggetto "esiste" a prescindere dal soggetto che
lo interpreta, e che è conoscibile solo molto "problematicamente", come la teoria della relatività
(che Cassirer indicò come comprovante la teoresi kantiana), dopo molti decenni, confermerà.
Ma più importante ancora ritengo sia che Kant mantiene salda quella distinzione fra soggetto e oggetto,
fra "io" e "altro", che è alla base di questa discussione sulla filosofia di Levinas (e che a
parer mio non è mantenuta dalla Fenomenologia in quanto essa "prende" il fenomeno kantiano e lo
trasforma "idealisticamente" in essenza).
saluti
@ tutti
Volesse una persona concettualizzare il termine "noumeno" come "tutto quello che non cade all' interno della finestra percettiva" quanto sarebbe lontana dal vero?
Se un petalo che noi percepiamo rosso* e da altri esseri (insetti canguri elefanti...) viene percepito filtrato da una diversa capacità di percepire colori, posso io dire che tutto quello che il canguro non percepisce del petalo costituisca "noumeno" come ciò che non percepisco io del petalo costituisca "noumeno" ?
Ho sempre ritenuto come dato, senza ricorrere al concetto di "noumeno" che ho per ignoranza e pigrizia solamente "orecchiato", che nessun essere vivente potesse avere la più pallida idea di cosa sia un "oggetto" soltanto vedendolo, ed anche in seguito misurandolo, analizzandolo e via di seguito, per il fatto che anche se è possibile estendere la finestra percettiva con micro e macro analisi si può solo giungere ad un certo punto oltre il quale non si va.
Quanto lontana sarebbe questa scorciatoia da ciò che una persona introdotta alla terminologia filosofica considererebbe invece come "noumeno" ?
Non ho nessuna intenzione di aprire dibattiti o di questionare le vostre eventuali risposte, non ho le competenze per farlo, vorrei sapere solo quanto lontana sarebbe questa concezione da quello che ognuno di voi, che avranno tempo e voglia di rispondere, ritenga costituire "noumeno".
* ovviamente all'interno dei valori nominali che la cultura di ogni popolo ha dato a queste frequenze, di cui la luce dicono esser composta, evitandoci così la banale questione che il "verde" che "interpreto" io sia diverso da quello che un aborigeno dachissadovè "interpreta".
Citazione di: tersite il 29 Marzo 2019, 15:50:45 PM
@ tutti
Volesse una persona concettualizzare il termine "noumeno" come "tutto quello che non cade all' interno della finestra percettiva" quanto sarebbe lontana dal vero?
Se un petalo che noi percepiamo rosso* e da altri esseri (insetti canguri elefanti...) viene percepito filtrato da una diversa capacità di percepire colori, posso io dire che tutto quello che il canguro non percepisce del petalo costituisca "noumeno" come ciò che non percepisco io del petalo costituisca "noumeno" ?
Ho sempre ritenuto come dato, senza ricorrere al concetto di "noumeno" che ho per ignoranza e pigrizia solamente "orecchiato", che nessun essere vivente potesse avere la più pallida idea di cosa sia un "oggetto" soltanto vedendolo ed anche in seguito misurandolo, analizzandolo e via di seguito.
Quanto lontana sarebbe questa scorciatoia da ciò che una persona introdotta alla terminologia filosofica considererebbe invece come "noumeno" ?
Non ho nessuna intenzione di aprire dibattiti o di questionare le vostre eventuali risposte, non ho le competenze per farlo, vorrei sapere solo quanto lontana sarebbe questa concezione da quello che ognuno di voi, che avranno tempo e voglia di rispondere, ritenga costituire "noumeno".
* ovviamente all'interno dei valori nominali che la cultura di ogni popolo ha dato a queste frequenze, di cui la luce dicono esser composta, evitandoci così la banale questione che il "verde" che "interpreto" io è diverso da quello che un aborigeno dachissadovè "interpreta".
rispondo indirettamente anche a Mauro (Oxdeadbeef)
La differenza sostanziale fra le antiche filosofie e quelle moderne è dove si pensi e si cerca la verità e come venga dimostrata.
Quando Parmenide pone la celeberrima argomentazione sull'essere che è eterno e impossibilitato al divenire nega profondamente l'esistenza che è in divenire.L'idea è più "forte" del "fatto" la logica deduttiva è più dimostrativa della vita in divenire e di tutte le cose(enti)
Con Kant dopo i razionalisti Cartesio, Leibniz, Spinoza, arrivano gli empiristi anglosassoni Berkeley, Locke e Hume e siniziano a spostare l'asse filosofico dalle idee ai fatti e inizia a diventare più importante ,dopo l'esplosione scientifica galileana e newtoniana,
il mondo fisico e sensibile in divenire.
Il proposito di Kant è di rendere la filosofia simile alle scienze sperimentali del suo tempo .
La verità e la dimostrazione inizia dal mondo fattuale e non più dalle idee come nel mondo greco.
La teoria della conoscenza diventa più importante dell'ontologia: viene sdoganata la metafisica come luogo di una indimostrabilità secondo i nuovi parametri scientifici per cui una cosa fisica deve essere misurata per cui gli strumenti sono vedere, toccare e come la mente rappresenterà i segnali dei sensi .Se l'antico processo era che il mondo sensibile delle moltitudini degli enti dovesse sinteticamente rispondere ad una deduzione finale per arrivare all'Uno, Kant pone il limite del noumeno poichè oltre non può dimostrare, in quanto oltre il suo limite non è dimostrabile alcuna verità ,sempre secondo i parametri ora esperienziali del mondo fattuale sensibile.
Hegel invece spingerà oltre il noumeno nella Fenomenologia dello spirito ponendo la dialettica positiva e negativa, laddove le
cose-in-sè concrete(fenomeni fattuali) o astratte(il pensiero fine a se stesso) non correlano idue domini: natura fisica sensibile e pensiero. Il soggetto conoscitivo che si definisca Io penso, oppure coscienza, diviene centrale(come centrale per tutto la cultura umanistica è l'uomo).Il luogo della verità per Hegel è il concetto deduttivo mediato dalla coscienza umana che unisce il dominio del sensibile con quello del pensiero .
La fenomenologia husserliana ,ma sopratutto il pensiero di Heidegger e Levinas diventa una "mistica laica".
Centrale è sempre l'uomo come soggettivizzazione della propria totalità intesa come vissuto all'interno del divenire fattuale.
Come io vivo in termini logici, emotivi ,psichici, intuitivamente ,deduttivamente, persino esteticamente ed estaticamente il mio rapporto con un mondo fisico e con un essere che in quanto nascosti celano la verità .
Il dato di fatto è che nella modernità non c'è più la verità nemmeno nella filosofia e l'uomo vive la sua contraddizione di non avere verità nella segretezza segregata dentro la propria esistenza.Il vissuto è quello che conta e come lo vivo linguisticamente, empaticamente fenomenologicamente.
Oggi il mondo secondo parecchi scienziati e filosofi è costruzionismo: è rappresentazione.
Non importa, o importa meno, di come sia in verità il mondo(essendo limitato il processo conoscitivo dal nostro cervello), ma importa ciò che la mia mente ritene di credere e rappresentare ,perchè è ciò che io creo, come faccio la storia, come procedo nella mia esistenza.
Citazione di: tersite il 29 Marzo 2019, 15:50:45 PM
@ tutti
Volesse una persona concettualizzare il termine "noumeno" come "tutto quello che non cade all' interno della finestra percettiva" quanto sarebbe lontana dal vero?
Direi che aprirsi alla possibilità logica che la finestra percettiva non esaurisca "tutto" non sia un concetto contraddittorio. E qui mi fermo.
Citazione di: Menandro il 29 Marzo 2019, 11:41:00 AM
Anche a me sembra sensata l'idea che continui ad esistere ciò che non appare attualmente alla coscienza. Ma per come ho capito io - magari sbagliando, devo leggere con attenzione la citazione riportata da @Lou - per Kant il noumeno non è l'attualmente non noto, bensì un livello ulteriore della realtà a noi precluso (ulteriore rispetto al fenomeno).
Ma infatti (e mi sembra di capire che anche Lou potrebbe essere d' accordo, salvo smentite da parte sua di miei eventuali fraintendimenti) per me (e credo, senza presunzione, si parva licet, per Kant) ciò che non appare attualmente alla coscienza e continua ad esistere non può essere fenomeni (che se lo fossero contraddittoriamente apparirebbero alla coscienza; i fenomeni continuando inevitabilmente ad apparire fintanto che che sono reali in quanto tali: non sono e non possono essere per definizione altro che apparenze coscienti): può essere solo cosa in sé o noumeno, pensabile razionalmente ma non percepibile sensibilmente, non apparente ovvero letteralmente non-fenomeno.
Aggiungo che questa (anche mia) accezione del "noumeno" mi sembra coerente con quanto ne afferma
Tersite.
Citazione di: Menandro il 29 Marzo 2019, 11:37:18 AM
L'affermazione di Gentile "l'oggetto, in quanto pensato, non può essere una realtà indipendente dal soggetto che lo pensa" che sia vera o meno non è contraddittoria. E' contraddittorio, una volta che ci siamo posti da un punto di vista idealistico, continuare a parlare di cosa in sé. Per Gentile la cosa in sé non esiste, perché tutto appare all'interno del pensiero. Quindi, se Gentile ha ragione, Levinas ha torto, perché non c'è più niente che non sia riducibile al soggetto pensante. Quello che non ho capito è chi dei due secondo te ha ragione.
Chiedo scusa se mi esprimo sbrigativamente, non è un tono polemico, ma sto facendo due cose alla volta... mi rendo conto che per le mie capacità è un azzardo :)
Ciao Menandro
No, mi hai capito male o mi sono espresso male io: non è l'affermazione di Gentile ad essere
contraddittoria (anzi, io penso che essa descriva una "grande verità", per usare la terminologia
di Levinas), ma l'affermazione della "cosa in sè", che in quanto pensata non può essere tale,
ma fenomeno.
Quindi la mia risposta ai tuoi rilievi va riletta alla luce di questa precisazione.
saluti
Citazione di: sgiombo il 29 Marzo 2019, 18:24:00 PM
Ma infatti (e mi sembra di capire che anche Lou potrebbe essere d' accordo, salvo smentite da parte sua di miei eventuali fraintendimenti) per me (e credo, senza presunzione, si parva licet, per Kant) ciò che non appare attualmente alla coscienza e continua ad esistere non può essere fenomeni (che se lo fossero contraddittoriamente apparirebbero alla coscienza; i fenomeni continuando inevitabilmente ad apparire fintanto che che sono reali in quanto tali: non sono e non possono essere per definizione altro che apparenze coscienti): può essere solo cosa in sé o noumeno, pensabile razionalmente ma non percepibile sensibilmente, non apparente ovvero letteralmente non-fenomeno.
Aggiungo che questa (anche mia) accezione del "noumeno" mi sembra coerente con quanto ne afferma Tersite.
Appunto, ti sottoscrivo, sgiombo!, il noumeno non c'entra nulla con la coscienza, altrimenti sarebbe fenomeno!
Citazione di: tersite il 29 Marzo 2019, 15:50:45 PM
@ tutti
Volesse una persona concettualizzare il termine "noumeno" come "tutto quello che non cade all' interno della finestra percettiva" quanto sarebbe lontana dal vero?
Se un petalo che noi percepiamo rosso* e da altri esseri (insetti canguri elefanti...) viene percepito filtrato da una diversa capacità di percepire colori, posso io dire che tutto quello che il canguro non percepisce del petalo costituisca "noumeno" come ciò che non percepisco io del petalo costituisca "noumeno" ?
Ho sempre ritenuto come dato, senza ricorrere al concetto di "noumeno" che ho per ignoranza e pigrizia solamente "orecchiato", che nessun essere vivente potesse avere la più pallida idea di cosa sia un "oggetto" soltanto vedendolo, ed anche in seguito misurandolo, analizzandolo e via di seguito, per il fatto che anche se è possibile estendere la finestra percettiva con micro e macro analisi si può solo giungere ad un certo punto oltre il quale non si va.
Quanto lontana sarebbe questa scorciatoia da ciò che una persona introdotta alla terminologia filosofica considererebbe invece come "noumeno" ?
Non ho nessuna intenzione di aprire dibattiti o di questionare le vostre eventuali risposte, non ho le competenze per farlo, vorrei sapere solo quanto lontana sarebbe questa concezione da quello che ognuno di voi, che avranno tempo e voglia di rispondere, ritenga costituire "noumeno".
* ovviamente all'interno dei valori nominali che la cultura di ogni popolo ha dato a queste frequenze, di cui la luce dicono esser composta, evitandoci così la banale questione che il "verde" che "interpreto" io sia diverso da quello che un aborigeno dachissadovè "interpreta".
forse è meglio chiarire il noumeno nella processo analitico e sintetico di Kant.
L'intuizione passiva ed attiva, potremmo forse definire le prime impressioni che gli oggetti e gli eventi ci danno la prima senza che neessariamente attiviamo l'intelletto, i lsecondo è attivato. la sintesi per dirla in breve è data dalla deduzioneTRASCENDENTALE. Oltre vi è il noumeno.
La deduzione sintetizza concettualmente, un ragionamento sui dati sensibili-percettivi .Quindi potremmo dire il pensiero incorpora la percezione, il dato sensibile.Fin quì è dimostrabile il processo, perchè in fondo la scienza sperimentale attraverso il procedimento logico matematico trasforma il dato sensibile in leggi appunto logico matematiche,se i dati sono iterativi e finiscono per confluire agli stessi risultati.
L'induzione si processa in deduzione.
Ma il pensiero che pensa se stesso comincia ad uscire dal mondo percettivo sensibile,supera il confine del dimostrabile secondo i parametri scientifici,Come si potrebbe dimostrare Dio? Se non posso vederlo, toccarlo, sentirlo,
Il limite del noumeno è quindi non nel procedimento fra analisi e sintesi deduttivo ,ma quando il pensiero deduttivo trascende se stesso per andare nel dominio metafisico.
Ma il dominio metafisico non dovrebbe far altro che mantenere e procedere il sistema logico deduttivo argomentativo ,ed è quello che farà Hegel
Citazione di: tersite il 29 Marzo 2019, 15:50:45 PM
@ tutti
Volesse una persona concettualizzare il termine "noumeno" come "tutto quello che non cade all' interno della finestra percettiva" quanto sarebbe lontana dal vero?
Ciao Tersite
Mi perdonerai se provo a spostare un attimo il discorso da Kant alla semiotica (uno spostamento
poi non certo grandissimo), ma la terminologia kantiana, essendo quella che è (cioè per noi di
200 anni e passa successivi a lui desueta), rischia di complicare inutilmente il discorso.
Allora, anni fa parlando con un "cultore" della semiotica gli sentii dire: "l'oggetto primo, quello
da cui si origina la catena delle interpretazioni, non esiste".
Io gli replicai: "ma come fa a non esistere, se è l'oggetto cui il "segno" si riferisce? Qualcuno
può dire, ad esempio, che un segnale stadale preannuncia un qualcosa che non esiste?".
Lui mi replicò che l'"esistenza" è tale solo a seguito di una interpretazione (che è la posizione
di Carlo Sini, allora suo "maestro").
Beh, diversa è la posizione di altri eminenti semiologi, come ad esempio U.Eco, che si riferiscono
all'"oggetto primo" in termini negativi: come ciò non che "è", ma come ciò che non potrebbe sicuramente
essere (e qui ci starebbe più che bene il paragone con l'"intuizione intellettuale negativa" di Kant,
ma non complichiamo senza motivo).
Quindi ecco, volendo definire il "noumeno", o "cosa in sé" in una riga io direi: "l'oggetto puro, cioè al netto delle interpretazioni".
saluti
Salve Ox. Io mi permetterei di precisare come "ciò che produce un qualsiasi effetto anche se eventualmente estraneo alla nostra percezione".
Infatti il produrre degli effetti rappresenta il requisito indispensabile che consente l'esistere.
Citazione di: sgiombo il 29 Marzo 2019, 08:14:32 AM
Premetto ancora una volta che su Kant, dati i miei limiti culturali, potrei sbagliarmi.
Ma indipendentemente da qualsiasi pretesa di fedeltà al konigsbegese (ragiono "a ruota libera", sulla questione, non allo scopo di capire Kant ma di cercare di capire la realtà in cui vivo), mi sembra chiaramente sensato e intelligibile intendere il noumeno o cosa in sé come non apparente sensibilmente alla coscienza (non-fenomeno, letteralmente) ma pensabile, immaginabile: ciò (qualcosa di in qualche inevitabilmente oscuro modo o senso reale) che continuerebbe ad esistere anche in assenza di percezione fenomenica dei fenomeni coscienti (che potrebbe includere il soggetto e gli oggetti di essi; ma essendo per definizione non osservabile potrebbe essere "di tutto e di più", ivi compreso eventualmente "il nulla", dal momento che é -per me; senza pretendere di fare una corretta esegesi di Kant- indimostrabile, oltre che ovviamente non empiricamente constatabile, -ma solo ipotizzabile: potrebbe anche non esserci realmente).
Ciao Sgiombo
Condivido tutto fuorchè le ultime righe: perchè mai potrebbe non esserci?
Voglio dire: secondo logica come fa ad esserci l'interpretazione ma non l'interpretato?
saluti
Citazione di: paul11 il 29 Marzo 2019, 18:55:01 PM
Il limite del noumeno è quindi non nel procedimento fra analisi e sintesi deduttivo ,ma quando il pensiero deduttivo trascende se stesso per andare nel dominio metafisico.
Ciao Paul
A proposito dei modi cui, in Kant ma direi fin dallo Stoicismo (da cui queste tesi derivano),
l'oggetto è "dato" all'intuizione, dicevo in una precedente risposta all'amica Lou: "E proprio
in quanto l'oggetto "in sé" è dato passivamente al soggetto interpretante che esso rappresenta
un concetto-limite; che circoscrive le pretese della sensibilità (della conoscenza); ma che
le circoscrive in senso negativo IN QUANTO il senso positivo (l'intuizione intellettuale) non
è di pertinenza dell'essere umano.
In altre parole, Kant intende la "cosa in sé" come intuizione intellettuale "passiva"; "negativa".
Questo perchè Kant (sempre nella Analitica dei Principi) afferma: "lo stesso noumeno è l'oggetto
di una intuizione non sensibile", quindi verrebbe da dire necessariamente intellettuale, ma
ammessa in negativo, in quanto in positivo non potrebbe essere propria dell'essere umano.
Ora, a parer mio questi "ingarbugliamenti" sono dati dal fatto che Kant "intuiva" (in senso
moderno, per carità...) la relatività, ma naturalmente non ne aveva chiarezza.
Oggi è secondo me molto più facile capire il concetto che sottostà al noumeno, o oggetto in sé,
e lo si può facilmente intendere se pensiamo, ad esempio, all'oggetto "primo" della semiotica.
Vorrei un tuo parere su queste cose e un chiarimento sulla frase da me riportata in citazione.
saluti
Citazione di: 0xdeadbeef il 29 Marzo 2019, 21:30:27 PM
Ciao Sgiombo
Condivido tutto fuorchè le ultime righe: perchè mai potrebbe non esserci?
Voglio dire: secondo logica come fa ad esserci l'interpretazione ma non l'interpretato?
saluti
Per me (ma mi pare anche per Kant) fenomeno é ciò che appare alla coscienza, ciò che é sentito; e non ciò che é interpretato, pensato, ecc. (come invece mi pare lo intenda tu). Può anche essere pensato, ma allora alla coscienza appare (anche) il fenomeno "pensiero che pensa (considera, predica, ecc.) altri fenomeni coscienti (ulteriori rispetto ad esso)".
E noumeno é ciò che é reale in sé, non sentito, non apparente alla coscienza (che può esserci oppure no, che può anche essere costituito da nulla: non é dimostrabile né che nient' altro che i fenomeni esista né che esista qualcos' altro); e non invece (come invece mi pare lo intenda tu) ciò che é (qualsiasi cosa sia, anche fenomeni) senza essere fatto oggetto di (fenomeni costituenti) pensieri, considerazioni teoriche, perdicazioni, ecc.
Provo a contribuire con la mia interpretazione della filosofia kantiana della conoscenza (della quale non sono sicuro)...
Dunque, credo che sia necessario partire da alcune definizioni:
- Per idealismo (applicato a qualcosa)si intende una posizione per cui qualcosa esiste dipendentemente dal soggetto conoscente;
- Per realismo (applicato a qualcosa)si intende una posizione per cui qualcosa esiste indipendentemente dal soggetto conoscente;
- Per empirico si intende il contenuto della nostra esperienza cosciente;
- Per trascendentale si intendono gli oggetti di conoscenza indipendenti dall'esperienza;
Utilizzando questi termini, si può analizzare le opinioni dei filosofi pre-kantiani.
Il razionalista Cartesio proponeva un
realismo trascendentale: ovvero riteneva che gli oggetti della conoscenza erano indipendenti dall'esperienza cosciente ('trascendentale') e indipendenti dal soggetto conoscente. Per Cartesio, infatti, la nostra 'esperienza cosciente' (le impressioni sensoriali - ovvero: ciò che vediamo, sentiamo ecc) è una costruzione della nostra mente. In essa proprietà come colori, ruvidezza ecc sono definite 'qualità secondarie' perché sono 'aggiunte' dalla mente e quindi esistono solo in relazione ad essa. Le qualità primarie, invece, sono gli aspetti quantitativi della realtà, es: dimensioni, forme ecc. Secondo Cartesio, quindi, i contenuti della nostra esperienza cosciente non erano i veri oggetti della conoscenza. Tuttavia, potevamo dedurre tramite un'analisi quantitativa le proprietà della realtà all'infuori della nostra esperienza diretta ('trascendentale') che esiste indipendentemente da noi soggetti coscienti ('realismo'). Simili posizioni si trovano in Spinoza, Galileo ecc
L'empirista Berkeley proponeva un
idealismo empirico: i contenuti della nostra esperienza esistevano in dipendenza da noi soggetti conoscenti.
Kant propose invece:
- realismo empirico: i contenuti della nostra esperienza esistono indipendentemente da noi;
- idealismo trascendentale: gli oggetti della nostra conoscenza dipendono dal soggetto conoscente.
Che vuol dire, in pratica? Partiamo dall''idealismo trascendentale'. Secondo Kant, la nostra esperienza cosciente era dovuta alla presenza di una realtà esterna (Kant rifiuta l''idealismo empirico' o 'dogmatico' di Berkeley). Tuttavia, la nostra esperienza cosciente era 'ordinata' dalla nostra mente. In altre parole, la nostra mente non è una 'tabula rasa' - come sostenevano gli empiristi - che passivamente riceve informazioni. In realtà 'ordina' (attraverso determinate 'facoltà'*) l'esperienza e questo 'ordinamento' dipende dalla struttura della nostra mente. Dunque, nella nostra esperienza ciò che dipende dalla nostra mente è il
come gli oggetti della nostra esperienza appaiono, il
modo in cui essi appaiono. Tuttavia, questo non significa che l'esistenza di tale 'realtà' dipende da noi ('realismo empirico').
Queste 'facoltà' che ordinano l'esperienza ci sono note 'a priori' (trascendentale - indipendenza dalle esperienze particolari) e sono 'facoltà' che si trovano nella nostra mente (quindi 'idealismo', queste facoltà si trovano nella nostra mente).
Ora, per Kant la conoscenza aveva una doppia origine. Da un lato doveva partire dall'esperienza: nell'esperienza c'è il
contenuto della nostra conoscenza. Tuttavia, dall'altro lato tale contenuto se non viene 'ordinato' dalle 'facoltà ordinatrici' presenti nella nostra mente è incomprensibile. Deve essere 'formato', deve essere data ad esso una 'forma'.**
Lo studio delle 'facoltà ordinatrici', invece, non ci può dare vera conoscenza. Ci dice semplicemente il modo in cui la nostra mente 'funziona'.
In una analogia, studiare il funzionamento di una calcolatrice ci fa capire
come funziona. Tuttavia, per conoscere quanto fa una determinata somma dobbiamo inserire un input. Nel caso della nostra conoscenza, l'input è l'esperienza cosciente.
Detto ciò, passiamo al dualismo fenomeno/noumeno.
Il 'fenomeno' è il contenuto della nostra esperienza cosciente
così come appare a noi ovvero 'formato' dalle facoltà ordinatrici della nostra mente. Siccome qualsiasi studio approfondito della nostra esperienza cosciente si basa sulle facoltà della nostra mente, non possiamo conoscere una 'realtà al di fuori' della nostra esperienza. Infatti, non ci è possibile tramite la nostra mente vedere come è la realtà indipendentemente da essa (analogia: se abbiamo degli occhiali da sole e non possiamo toglierceli, qualsiasi nostra esperienza visiva sarà condizionata dal fatto che abbiamo quegli occhiali. E per quanto ci possiamo sforzare non possiamo 'trascurare' questo fatto).
Questa impossibilità di conoscere la realtà senza la mediazione della nostra mente è ciò che rende impossibile la conoscenza della 'cosa in sé' (il cosiddetto 'noumeno'). La 'cosa in sé' perciò è indeterminata.
Il 'noumeno' è inconoscibile perché per Kant la nostra conoscenza parte dall'esperienza, la quale è già condizionata dalla nostra mente che la ordina in un certo modo.
*facoltà non è un termine usato da Kant (credo) ma mi pare utile per spiegare la sua posizione...
**da qui la frase: "pensieri senza contenuto sono vuoti; intuizioni" (ovvero impressioni sensoriali, contenuti empirici) "senza concetti sono ciechi".
N.B. La filosofia kantiana è notoriamente ambigua ed è stata soggetta storicamente a molte interpretazioni contrastanti. E le mie analogie non devono essere prese troppo sul serio (se sono motivo di confusione, meglio ignorarle).
Citazione di: sgiombo il 29 Marzo 2019, 22:20:01 PM
Per me (ma mi pare anche per Kant) fenomeno é ciò che appare alla coscienza, ciò che é sentito; e non ciò che é interpretato, pensato, ecc. (come invece mi pare lo intenda tu). Può anche essere pensato, ma allora alla coscienza appare (anche) il fenomeno "pensiero che pensa (considera, predica, ecc.) altri fenomeni coscienti (ulteriori rispetto ad esso)".
E noumeno é ciò che é reale in sé, non sentito, non apparente alla coscienza (che può esserci oppure no, che può anche essere costituito da nulla: non é dimostrabile né che nient' altro che i fenomeni esista né che esista qualcos' altro); e non invece (come invece mi pare lo intenda tu) ciò che é (qualsiasi cosa sia, anche fenomeni) senza essere fatto oggetto di (fenomeni costituenti) pensieri, considerazioni teoriche, perdicazioni, ecc.
Ciao Sgiombo
Non mi è facile capire cosa intendi...
Personalmente la penso come C.S.Peirce: "già il pensare è inserire il pensato in una catena
segnica", che tradotto in termini kantiani vuol dire: "già il pensarla vuol dire far
diventare la cosa in sé fenomeno".
Dicevo precedentemente che Kant così definisce la conoscenza: "la conoscenza comprende
due punti: in primo luogo un concetto per cui in generale un oggetto è pensato secondo le
categorie, e in secondo luogo l'intuizione con cui esso è dato".
Riconosci in questa definizione la tua distinzione fra ciò che appare alla coscienza
(intuito) e ciò che è interpretato (pensato)?
saluti
Citazione di: 0xdeadbeef il 29 Marzo 2019, 22:15:53 PM
Ciao Paul
A proposito dei modi cui, in Kant ma direi fin dallo Stoicismo (da cui queste tesi derivano),
l'oggetto è "dato" all'intuizione, dicevo in una precedente risposta all'amica Lou: "E proprio
in quanto l'oggetto "in sé" è dato passivamente al soggetto interpretante che esso rappresenta
un concetto-limite; che circoscrive le pretese della sensibilità (della conoscenza); ma che
le circoscrive in senso negativo IN QUANTO il senso positivo (l'intuizione intellettuale) non
è di pertinenza dell'essere umano.
In altre parole, Kant intende la "cosa in sé" come intuizione intellettuale "passiva"; "negativa".
Questo perchè Kant (sempre nella Analitica dei Principi) afferma: "lo stesso noumeno è l'oggetto
di una intuizione non sensibile", quindi verrebbe da dire necessariamente intellettuale, ma
ammessa in negativo, in quanto in positivo non potrebbe essere propria dell'essere umano.
Ora, a parer mio questi "ingarbugliamenti" sono dati dal fatto che Kant "intuiva" (in senso
moderno, per carità...) la relatività, ma naturalmente non ne aveva chiarezza.
Oggi è secondo me molto più facile capire il concetto che sottostà al noumeno, o oggetto in sé,
e lo si può facilmente intendere se pensiamo, ad esempio, all'oggetto "primo" della semiotica.
Vorrei un tuo parere su queste cose e un chiarimento sulla frase da me riportata in citazione.
saluti
ciao Mauro(Oxdeadbeef)
ti sbagli ed è deducibile da quanto avevo scritto.
Kant segue la filosofia empirista soprattutto di Hume, ma vuole compiere un passo successivo dopo l'analitica, con la deduzione trascendentale.
ma ribadisco, bisogna focalizzare dove il filosofo sposta il suo asse argomentativo di dimostrazione di una verità
Nel caso di Kant la dimostrazione è ancora nel mondo fattuale e non nel mondo delle idee.
Un oggetto fisico è dimostrabile come esistente, è evidente, è tautologico.
ora prendi un oggetto astratto ,ippogrifo che piace tanto come esempi, e prova a darne una dimostrazione probatoria, evidente ,tautologica: ma chi ti crede? Questo è il noumeno, l'indimostrabilità degli oggetti astratti e per questo Kant è riconosciuto grande filosofo nella modernità, per la Critica della ragion pura.ma quando proseguirà a scrivere la ragion pratica e il giudizio, avrà difficoltà a costruire un paradigma oggettivo per fondare la morale e infine giudicare.
Se la verità viene ritenuta giustificabile tramite dimostrazione di un oggetto esistente e quindi appartenete al dominio sensibile, mi pare chiaro che Kant si ferma alla deduzione trascendentale di come l'uomo logicamente costruisce un concetto nel pensiero originatosi dalla percezione.
ma non è più possibile seguire questo metodo probatorio sui concetti astratti deduttivi riferiti a oggetti astratti, non più appartenenti al dominio sensibile.
Kant arrivo a dire che avrebbe anche voluto andare oltre il noumeno, nasce in Prussia da religione "pietisti"e si sente quando scrive sulla morale nella C.ragione pratica, ma ha scelto un metodo "scientifico" e si ferma con il noumeno.
A mio parere è possibile..............
la fenomenologia focalizza nel fenomeno non più l'oggetto in-sè diviso dal pensiero soggettivo, lo correla intimamente fino a quasi confondere oggetto e soggetto e il linguaggio della fenomenologia infatti rivela diverse modalità di argomentazione.
Ho letto adesso quello che ha scritto Aperion:ottimo.Ma tieni presente è Hume il centro focale dell'empirismo e il problema,anche se implicitamente è in ciò che hai scritto, è la prova di un oggetto del mondo sensibile fattuale ed esperienziale che è possibile e necessaria secondo la scienza moderna, mentre un oggetto astratto è deducibile solo secondo logica e fuori dal dominio fattuale.
Io direi che è un altro tipo di esperienza
Citazione di: Apeiron il 29 Marzo 2019, 22:22:31 PM
Queste 'facoltà' che ordinano l'esperienza ci sono note 'a priori' (trascendentale - indipendenza dalle esperienze particolari) e sono 'facoltà' che si trovano nella nostra mente (quindi 'idealismo', queste facoltà si trovano nella nostra mente).
@ tutti
sarebbe uscire dalla filosofia ritenere queste facoltà di origine biologica ?
Se conoscere, e mi pare, spero di non sbagliare, che anche per Kant, è giudicare, allora qualunque tematizzazione del noumeno, anche mirante a intenderlo come "idea-limite", strumento necessario per la delimitazione delle pretese della conoscenza sensibile, o puro oggetto di conoscenza negativa, ecc. presuppone dei giudizi rivolti alla sua sfera, e dunque una conoscibilità della stessa. Anche l'idea di una conoscenza "in negativo" (e del resto lo stesso problema che, in un contesto diverso, riguarda la teologia del negativo, come tempo fa cercai di trattare in un topic che avevo aperto) finisce in un certo senso, con l'essere autocontraddittoria, in quanto l'affermazione circa l'inconoscibilità di una cosa implica sempre necessariamente una visione della cosa che GIUDICHIAMO vera, dunque ne abbiamo una conoscenza, se restiamo coerenti con l'assunto "conoscere è giudicare". Quando dico che qualcosa è "inconoscibile" sto operando un raffronto tra i miei strumenti conoscitivi e la cosa che qualifico come inconoscibile, e ogni raffronto, come è evidente, presuppone sempre la conoscenza di entrambi i termini. In questo caso presuppone che riconosca la cosa "inconoscibile" come dotata di caratteristiche che la rendano irriducibile alle nostre facoltà soggettive di conoscenza. La contraddizione sta nel fatto che il riconoscimento di queste caratteristiche nella cosa è incompatibile con l'idea della sua totale inconoscibilità: se davvero ci fosse inconoscibilità, non potremmo nemmeno attribuire alla cosa quelle prerogative in base a cui la consideriamo come inattingibile per le nostre possibilità conoscitive, insomma il giudizio di una inconoscibilità di qualunque cosa nasconde sempre necessariamente un livello di conoscenza positiva, e l'unico modo per uscire dalla contraddizione sarebbe quello di ammettere, non una totale inconoscibilità, ma piuttosto una conoscenza parziale, l'impossibilità di un sapere esaustivo, ma comunque adeguato a cogliere degli aspetti che legittimino la sua pensabilità, tramite cui riconosciamo la sua stessa, parziale, irriducibilità alle nostre pretese conoscitive. In fondo la metafisica classica, contro cui tanto Kant si è contrapposto, non si è mai sognata di negare i limiti della conoscenza umana riguardo un livello metafisico della realtà da essa trattato, solo che questi limiti erano giustamente accompagnati dall'affermazione di un certo grado di conoscenza positiva, anche se parziale, nella misura in cui tale grado appariva fondato su argomentazioni razionali, e non superasse una certa soglia oltre la quale sarebbe diventato incompabatibile con il riconoscimento del piano del mistero e della trascendenza. Non credo che Platone, Aristotele, Agostino o Tommaso pretendessero da esseri umani di raggiungere una perfetta conoscenza della dimensione sovrasensibile da essi indicata, e i loro sistemi di conoscenza in positivo di tale dimensione, seppur magari discutibili per altre motivazioni, non avevano il difetto di essere in contraddizione con lo scarto tra l'ideale di una piena e perfetta adeguazione del pensiero alla realtà. Senza quella conoscenza in positivo anche se parziale, nemmeno il riconoscimento dello scarto sarebbe possibile (ad esempio, molto opportunamente Tommaso distingueva in Dio delle proprietà come l'esistenza, valutabile dalla teologia razionale, da altre che delegava al mistero della fede, distinta dalla scienza, la teologia rivelata). La contraddizione non è in loro, ma in chi come Kant, presume di poter tematizzare concetti come "noumeno", apriori", "trascendentale", tutti di natura intelligibile, affermandone al contempo la loro inconoscibilità, cioè l'impossibilità di porli come materiale di una scienza. In questo modo, la critica stessa viene squalificata nelle sue pretese di scientificità, dato che non è certo rivolta direttamente al materiale sensibile (l'unico su cui secondo Kant poter fare scienza), ma alle condizioni trascendentali, cioè sovrasensibili della conoscenza stessa, con tutto l'apparato concettuale che ne consegue. L'intenzionalità fenomenologica in questo supera il criticismo svelandone l'errore: se ogni atto di pensiero è intenzionale, cioè ogni pensiero è sempre pensiero "di qualcosa", cioè rivolto a un oggetto, allora anche l'intuizione intellettuale, come atto intenzionale possiede il proprio oggetto in quanto tale, cioè proprio in quanto oggetto, non meno di come avviene per l'intuizione sensibile con i propri oggetti. A questo punto la sfera dell'intelligibile, intesa come complesso di oggetti tematizzabili come tali, si presta ad essere terreno di giudizi e di conoscenza oggettiva nella stessa misura di come ciò è possibile per quanto riguarda la realtà materiale, ed è per questo che una critica trascendentale della conoscenza è possibile: è possibile in quanto intenziona il livello trascendentale tematizzandolo come particolare oggetto di conoscenza da studiare scientificamente, così come le scienze naturali intenzionano la realtà fisica (presupponendo implicitamente, anch'esse una visione trascendentale, in realtà... ma questo è un altro discorso anche se connesso con questo). Se le categorie dell'intelletto apriori, se il noumeno, fossero, poichè non sensibili, impossibili da oggettivare come contenuto scientifico, fossero solo riducibili a forme vuote, astrazioni, strumenti che si limitano a funzionare nel meccanismo della conoscenza, potrebbero continuare tranquillamente a svolgere il loro ruolo senza essere tematizzate da una critica che le tematizza trattandole a tutti gli effetti come oggetti della sua scienza, dunque non certo inconoscibili. In sintesi, la fenomenologia supera il kantismo nel senso che individua i presupposti stessi della possibilità di una critica della conoscenza in generale: l'intenzionalità, l'oggettivazione del proprio ambito di ricerca come disciplina peculiare e autonoma.
Citazione di: davintro il 29 Marzo 2019, 23:52:48 PM
A questo punto la sfera dell'intelligibile, intesa come complesso di oggetti tematizzabili come tali, si presta ad essere terreno di giudizi e di conoscenza oggettiva nella stessa misura di come ciò è possibile per quanto riguarda la realtà materiale, ed è per questo che una critica trascendentale della conoscenza è possibile: è possibile in quanto intenziona il livello trascendentale tematizzandolo come particolare oggetto di conoscenza da studiare scientificamente, così come le scienze naturali intenzionano la realtà fisica (presupponendo implicitamente, anch'esse una visione trascendentale, in realtà... ma questo è un altro discorso anche se connesso con questo).
Ho capito tutto ma ho bisogno di una precisazione di carattere esclusivamente lessicale. Non riesco a focalizzare bene i termini tematizzare e intenzionare.
Io li ho intesi come : " applicare alla analisi del livello trascendentale le regole della logica".
Non la logica banale del -non lo vedo quindi è logico non esista- e simili affermazioni(non lo sottolineo a tuo uso, ma a mia chiarificazione beninteso..per farmi capire meglio) ma la Logica consistente in "quella cosa da trecento pagine a volume".
E' giusto come li ho intesi ?
Premessa: mi conforta la cautela con la qual anche gli altri intervenuti (tranne mi pare Oxdeadbeef) parlano di ciò che pensano di avere capito di Kant (non sono il solo ad avere dubbi sul pensiero del grande konigsbergese). :)
X Oxdeadbeef
Citaz. Dall' intervento # 120:
<<[un un "cultore" della semiotica] mi replicò che l' "esistenza" è tale solo a seguito di una interpretazione (che è la posizione di Carlo Sini, allora suo "maestro")>>
Seguo la semiotica di Frege, per la quale i concetti (simboleggiati da vocaboli) possono riferirsi unicamente a un connotato o intensione "cogitativa mentale, reale unicamente in quanto pensata o "contenuto di pensiero" (se realmente accade il pensiero del concetto stesso; solito esempio dell' ippogrifo), oppure anche a un denotato o estensione reale (solito esempio del cavallo).
In questo secondo caso (quando e se accade) l' esistenza della denotazione o estensione reale del concetto pensato é tale (reale) anche a prescindere da qualsiasi eventuale (ulteriore evento reale costituito da un') interpretazione come denotazione o intensione del concetto che lo pensa (o mediante il quale un soggetto lo pensa).
Cioè l' esistenza reale (oggettiva, di un oggetto di pensiero, predicazione, eventuale conoscenza, ecc.) può (non: deve) benissimo essere tale anche senza alcuna interpretazione (da parte di un soggetto di pensiero, predicazione, eventuale conoscenza, ecc.).
Citaz. Dall' intervento # 122":
Condivido tutto fuorchè le ultime righe: perchè mai potrebbe non esserci [il noumeno o cosa in sé]?
Voglio dire: secondo logica come fa ad esserci l'interpretazione ma non l'interpretato?
Secondo me bisogna distinguere fra oggetto (e soggetto) di percezione fenomenica cosciente ed oggetto (e soggetto) di pensiero, predicazione, eventualmente conoscenza (sono due questioni ben diverse, da non confondere).
Le percezioni fenomeniche coscienti, sia materiali (Berkeley) sia mentali (Hume) realmente esistono-accadono solo ed unicamente in quanto tali, il loro "esse est percipi".
Se qualcosa esiste-accade anche se e quando esse non esistono accadono (per esempio i loro soggetti e i loro oggetti che ammettiamo essere reali non sempre necessariamente in quanto attualmente tali ma anche potenzialmente, anche se e quando non accadono percezioni fenomeniche coscienti, ovvero non sono percepiti fenomenicamente fenomeni), per non cadere in una plateale contraddizione, si deve ammettere che tale "qualcosa" non é (costituito da) percezioni fenomeniche coscienti, materiali o mentali (altrimenti si pretenderebbe che qualcosa é-accade realmente anche se e quando e in quanto non é-accade realmente !!!): può sensatamente) essere (si può sensatamente pensare che sia) solo qualcosa di non apparente alla coscienza, non percepito (non fenomeno) ma solo pensato, congetturato (noumeno).
Ma sottolineo il "se": non é detto che (lo si può pensare non contraddittoriamente, sensatamente = é possibile) la realtà non sia imitata solo ed unicamente alle percezioni o fenomeni coscienti e basta, senza alcunché d' altro di reale oltre ad essi.
Invece gli oggetti di (quelle peculiari percezioni fenomeniche coscienti interiori, mentali che sono) pensiero, predicazione, eventualmente conoscenza possono (essere pensati in maniera logicamente corretta, non contraddittoria, sensata) essere reali indipendentemente dall' eventuale accadere realmente o meno anche dei pensieri (di concetti) dei quali sono i denotati o estensioni reali: anche se questi pensieri non accadono (= si può pensare non contraddittoriamente, ovvero come possibile, una realtà diversa da quella comprendente enti ed eventi che costituiscono denotazioni o estensioni reali di concetti pensati e inoltre tali concetti pensati, i pensieri di tali concetti, solo ed unicamente per il fatto di non comprenderli: una realtà costituita da cavalli realmente esistenti senza nessun uomo che realmente li pensi, oltre che: una realtà da questa diversa unicamente per il fato di comprendere oltre a cavalli realmente esistenti anche qualche uomo che realmente li pensi).
E questo sia che si tratti di enti ed eventi certamente reali (se e quando sono-accadono: denotazioni o estensioni reali per lo meno potenziali di eventuali concetti) ovvero percezioni o fenomeni coscienti, sia che siano enti ed eventi non dimostrabili (né logicamente, né empiricamente) essere-accadere realmente (per o meno fra l' altro, se non unicamente, il noumeno o cose in sé; che potrebbe essere un concetto con una connotazione o intensione reale -ovviamente: altrimenti non sarebbe un concetto- ma "dotato" inoltre oppure anche "privo" di alcuna denotazione o estensione reale).
Quindi l' interpretato reale (il pensato veracemente esserci: la denotazione o estensione reale di concetti predicati essere-accadere realmente) é necessario ci sia-accada affinché ce ne sia-ne accada l' interpretazione; ma il noumeno o caso in sé non é necessario ci sia-accade affinché ce ne sia il fenomeno, le percezioni, la manifestazione fenomenica cosciente.
Il noumeno non é (#124) "dato passivamente al soggetto interpretante che esso rappresenta un concetto-limite; che circoscrive le pretese della sensibilità (della conoscenza)", non é i fenomeni (potenzialmente reali) non (o non ancora) accadenti in quanto tali (che anche se meramente potenziali non sono e non possono essere altro, nel momento in cui si attuassero ovvero accadessero realmente, che fenomeni, come giustamente sottolinea Lou), ma invece -se c'é- é ciò che trascende la sensibilità: per esempio soggetto ed oggetti dei fenomeni coscienti: io che -almeno potenzialmente o indirettamente- vedo il tuo cervello (ma ci sono anche quando non lo vedo) ovvero tu che -almeno potenzialmente o indirettamente- vedi il mio cervello (ma ci sei anche quando non lo vedi; e non invece i fenomeni materiali "mio cervello" di cui io-noumeno sono oggetto diverso dal soggetto nella tua esperienza cosciente e i fenomeni mentali "miei pensieri, sentimenti, ecc. di cui io-noumeno sono oggetto riflessivamente identico al soggetto nella mia esperienza cosciente; e viceversa).
Quindi, per rispondere alla domanda dell' intervento #126:
"Riconosci in questa definizione la tua distinzione fra ciò che appare alla coscienza
(intuito) e ciò che è interpretato (pensato)?" credo di avere spiegato come e perché non la riconosco.
X Viator
Citaz. Dall' intervento # 121:
"Infatti il produrre degli effetti rappresenta il requisito indispensabile che consente l'esistere".
Dissento: é ben pensabile in maniere logicamente corretta, non contraddittoria, sensata (= possibile) anche l' esistenza di qualcosa che non produce effetti.
Questo almeno in teoria, a prescindere da come di fatto é la realtà fenomenica materiale accessibile al senso comune e alla scienza nonché la realtà fenomenica mentale accessibile all' introspezione.
Cioè non é detto che di fatto esistano enti od eventi reali che non producono effetti, ma solo che é possibile esistano, ovvero che il produrre degli effetti non rappresenta il requisito indispensabile che consente l'esistere.
Peraltro (e forse questo intendevi dire) se consideriamo l' essere conosciuto un effetto (ma credo che ciò sia per lo meno problematico; dipendentemente dal significato che si attribuisce per definizione, arbitrariamente al concetto di "causare effetti"), allora il produrre degli effetti rappresenta il requisito indispensabile che consente l'esistere di qualcosa di conosciuto o per lo meno conoscibile, di qualcosa di cui si possa sapere qualcosa, che si possa pensare, su cui si possa ragionare.
Se anche ci fosse qualcosa che non produce l' effetto di essere conosciuto e pensato non se ne potrebbe sapere né comunque dire alcunché.
X Apeiron
La tua trattazione della questione mi sembra chiara e condivisibile.
La critica di Berkeley a Cartesio (la sola pars destruens) mi sembra inattaccabile (anche delle qualità primarie l' "esse est percipi", esattamente come delle secondarie).
Di Kant (come da te "schizzato" credo per lo meno in gran parte correttamente) rifiuto con gli empiristi le conoscenze a priori (la mente é una tabula rasa che senza -prima di compiere- esperienze non conosce nulla, ma solo ha la potenzialità di recepire sensazioni, comprese le sensazioni dei propri pensieri -che ha la facoltà di produrre attivamente- mediante i quali conosce le altre sensazioni passivamente recepite, nonché i pensieri attivi stessi); inoltre distinguo i fenomeni coscienti dei quali l' "esse st percipi" dalle cose in sé o noumeno. Il fatto che i primi siano manifestazioni coscienti del secondo non consente di identificarli: restano enti ed eventi reali (certamente i primi, senza inoppugnabile certezza i secondi) reciprocamente distinti seppure correlati.
X Tersite:
Filosofia e biologia trattano di coese diverse anche se correlate: la prima (fra l' altro) del nostro modo di conoscere e della realtà di ciò che conosciamo, la seconda del nostro cervello (il cui funzionamento nell' ambito delle esperienze coscienti** di chi lo osservi é biunivocamente corrispondente ad un' esperienza cosciente* per ciascun cervello diversa da quelle** degli osservatori dello stesso).
X Davintro
Circa la tua acuta distinzione fra oggetto di conoscenza in sé e oggetto di conoscenza in quanto conosciuto (diversa da quella fra fenomeni e noumeno - oggetto e/o soggetto di sensazione) a me pare che in realtà implichi non necessariamente l' inconoscibilità dell' oggetto di conoscenza in sé, in quanto non pensato, ma piuttosto l' incertezza (la possibilità o meno e non la necessaria negazione) di tale eventuale (possibile) conoscenza.
Credo che possa accadere (non é contraddittorio il pensarlo), o meno, che l' oggetto reale in quanto conosciuto (la connotazione o intensione cogitativa del concetto dell' oggetto reale) descriva "fedelmente", veracemente almeno in parte (ma inevitabilmente sempre in parte per lo meno di fatto) il denotato o estensione reale del concetto stesso (senza aggiungervi nulla di falso - non reale per lo meno; se non anche, per lo meno in linea puramente teorica, di principio, senza togliervi nulla di reale -vero).
Il fatto é che se anche ciò accadesse non si potrebbe sapere, se non attraverso predicazioni di ulteriori concetti dotati di estensione o denotazione reale (concetti dell' evento reale della conoscenza) fatto di cui a sua volta non si potrebbe sapere se non attraverso predicazioni di ulteriori concetti dotati di estensione o denotazione reale (concetti dell' evento reale della conoscenza della conoscenza), e così via in un regresso all' infinito.
Ma in fondo questo é solo un cervellotico cavillo, mentre consento convintamente con la tua affermazione che [#129]:
"il giudizio di una inconoscibilità di qualunque cosa nasconde sempre necessariamente un livello di conoscenza positiva, e l'unico modo per uscire dalla contraddizione sarebbe quello di ammettere, non una totale inconoscibilità, ma piuttosto una conoscenza parziale, l'impossibilità di un sapere esaustivo, ma comunque adeguato a cogliere degli aspetti che legittimino la sua pensabilità, tramite cui riconosciamo la sua stessa, parziale, irriducibilità alle nostre pretese conoscitive" (in quanto possibilità, ovviamente, in quanto riferito a ciò che di fatto si conosca; che non esaurisce la realtà in toto, non essendo certamente onniscienti; precisazione dovuta alla mia maniacale pognoleria, che credo del tutto pleonastica).
Naturalmente dissento, come già tante volte (noiosamente) affermato, dalla tesi del superamento del criticismo kantiano (o meglio ancora dello scetticismo humeiano) da parte dell' intenzionalità fenomenologica, in quanto ritengo che di certo e indubitabile (impensabile se non autocontraddittoriamente non essere-accadere realmente) vi siano unicamente i dati fenomenici immediati di percezione (se e quando accadono); e questo indipendentemente dalla loro "passività" o "attività" (= accadere o non accadere contemporaneamente o dopo che sia accaduta la volontà che accadano, e magari contemporaneamente alla volontà che non accadano).
Invece non capisco proprio come si possa ritenere scientificamente conoscibile, oltre ai fenomeni, il noumeno (il trascendentale, il -pensabile come- trascendente l' esperienza fenomenica cosciente; a meno di differenze che non colgo fra questi concetti):
"A questo punto la sfera dell'intelligibile, intesa come complesso di oggetti tematizzabili come tali, si presta ad essere terreno di giudizi e di conoscenza oggettiva nella stessa misura di come ciò è possibile per quanto riguarda la realtà materiale, ed è per questo che una critica trascendentale della conoscenza è possibile: è possibile in quanto intenziona il livello trascendentale tematizzandolo come particolare oggetto di conoscenza da studiare scientificamente, così come le scienze naturali intenzionano la realtà fisica".
E nemmeno come "le scienze naturali intenzionano la realtà fisica (presupponendo implicitamente, anch'esse una visione trascendentale, in realtà": per me le scienze naturali postulano (indimostrabilmente) l' intersoggettività dei fenomeni materiali, cioè la loro "poliunivoca corrispondenza per filo e per segno" fra tutte le diverse esperienze fenomeniche coscienti, ma non la loro "trascendentalità", ovvero realtà dei loro "dati" o "contenuti" anche indipendentemente dall' accadere delle esperienze fenomeniche coscienti stesse, come se -contradittoriamente- si trattasse di cose in sé o noumeno.
Secondo me il noumeno può essere trattato non affatto scientificamente ma solo filosoficamente (ontologicamente), come ipotesi esplicativa dei fenomeni e di ciò che di essi si postula (fra l' altro e soprattutto come conditiones sine qua non della conoscibilità scientifica di quelli materiali).
Citazione di: paul11 il 29 Marzo 2019, 22:57:13 PM
ciao Mauro(Oxdeadbeef)
ti sbagli ed è deducibile da quanto avevo scritto.
Kant segue la filosofia empirista soprattutto di Hume, ma vuole compiere un passo successivo dopo l'analitica, con la deduzione trascendentale.
ma ribadisco, bisogna focalizzare dove il filosofo sposta il suo asse argomentativo di dimostrazione di una verità
Nel caso di Kant la dimostrazione è ancora nel mondo fattuale e non nel mondo delle idee.
Ciao Paul
Questa volta non sono per nulla d'accordo con le tue argomentazioni (oltre che non
comprenderne del tutto il nesso con il mio discorso).
In primo luogo ho tirato in ballo Kant perchè la sua idea circa il "noumeno" mi sembra
ricalcare quella di Levinas dell'"altro": così come questo è "totalmente", o "assolutamente"
altro dall'io (e perciò, dice Levinas, è "mistero"), così il noumeno kantiano è inconoscibile
al soggetto, che può conoscerlo solo come fenomeno.
In secondo luogo, a me il noumeno, così come l'"altro", sembrano concetti perfettamente
rispondenti ad una logica. E sia per quel che riguarda la mera esistenza (la medesima logica per cui,
in semiotica, non può esservi interpretazione senza qualcosa da interpretare - o segno senza l'oggetto
che quel segno indica), sia per quel che riguarda l'inconoscibilità (ammesso sia vero, come
io ritengo vero, che: "l'oggetto, in quanto pensato, non può essere una realtà indipendente dal
soggetto che lo pensa" - G.Gentile).
Non capisco, quindi, l'accostamento che fai del noumeno ad un'idea irreale quale quella dell'ippogrifo.
Sembra che tu attribuisca al noumeno un carattere metafisico ("Il limite del noumeno è quindi non nel
procedimento fra analisi e sintesi deduttivo , ma quando il pensiero deduttivo trascende se stesso
per andare nel dominio metafisico") nel momento in cui l'"asse argomentativo di dimostrazione di
una verità è, nel caso di Kant, nel mondo fattuale" (argomento che senz'altro condivido - ma non
condivido affatto l'affermazione di "metafisicità" del noumeno...)
Non capisco nemmeno il perchè di questa critica "ad ampio raggio" all'intera filosofia di Kant (posto
anche che su alcuni aspetti la condivido, come ad esempio sulla problematicità di fondare un paradigma
oggettivo per la morale ed il giudizio - di fatto impossibile, dopo il "non sapere" decretato dalla
Ragion Pura). Ma, diciamo, ci può stare.
saluti
Citazione di: sgiombo il 30 Marzo 2019, 13:29:43 PMCioè l' esistenza reale (oggettiva, di un oggetto di pensiero, predicazione, eventuale conoscenza, ecc.) può (non: deve) benissimo essere tale anche senza alcuna interpretazione (da parte di un soggetto di pensiero, predicazione, eventuale conoscenza, ecc.).
Ciao Sgiombo
Ma certo che ci può essere esistenza di un oggetto senza che vi sia alcuna interpretazione di esso.
L'antica città di Ebla, in Siria, è stata scoperta solo negli anni 50 (se ricordo bene), eppure
esisteva indubitabilmente anche se erano passati millenni dall'ultima sua "interpretazione".
Nel momento in cui Ebla è stata scoperta, essa è diventata oggetto di interpretazione (nello
specifico di diatribe fra gli archeologi). E "insieme alla" interpretazione è sorto il
concetto (perchè è di un concetto che stiamo parlando) di una Ebla noumenica, cioè di una Ebla
come "in verità" era al netto dei diversi pareri degli archeologi.
E' insomma, chiarissimo che "fenomeno" e "noumeno" sono due concetti che si riferiscono al
medesimo oggetto (pur se c'è da citare la posizione di U.Eco, che ne: "La Soglia e l'Infinito"
sostiene - non del tutt assurdamente - l'esistenza di DUE oggetti).
In altre parole, non è che il noumeno SIA l'oggetto e il fenomeno sia la sua interpretazione: è
che ambedue i termini sono concetti che si riferiscono al medesimo oggetto.
saluti
Citazione di: 0xdeadbeef il 30 Marzo 2019, 18:18:56 PM
E "insieme alla" interpretazione è sorto il
concetto (perchè è di un concetto che stiamo parlando) di una Ebla noumenica, cioè di una Ebla
come "in verità" era al netto dei diversi pareri degli archeologi.
e quindi gli abitanti di ebla avrebbero dovuto vedere manifestarsi la ebla noumenica...c'è qualcosa che non funziona nell'analogia.
La programmazione ad oggetti prevede di raggruppare in una zona circoscritta del codice sorgente* (chiamata classe**), la dichiarazione delle strutture dati e delle procedure*** che operano su di esse.
Le classi, quindi, costituiscono dei modelli astratti, che a tempo di esecuzione vengono invocate per istanziare o creare oggetti software relativi alla classe invocata. Questi ultimi sono dotati di attributi (dati) e metodi (procedure) secondo quanto definito/dichiarato dalle rispettive classi.
Sarebbe possibile convertire questa "wikipediata" (che ho usato per brevità se no scrivevo un romanzo) nella terminologia filosofica ?
*codice sorgente ==linguaggio
** classe == categoria
***procedure == meccanismi logici
Vi sembra coerente ?
Citazione di: 0xdeadbeef il 30 Marzo 2019, 18:18:56 PM
Nel momento in cui Ebla è stata scoperta, essa è diventata oggetto di interpretazione (nello
specifico di diatribe fra gli archeologi). E "insieme alla" interpretazione è sorto il
concetto (perchè è di un concetto che stiamo parlando) di una Ebla noumenica, cioè di una Ebla
come "in verità" era al netto dei diversi pareri degli archeologi.
Citazione
No, Ebla come "in verità" (rectius: "in realtà", poiché non era un predicato che può essere vero o falso ma un fatto che può essere reale o meno) era al netto dei diversi pareri degli archeologi non é mai stata non é affatto noumenica (reale in sé indipendentemente dall' accadere che sia sensibilmente percepita, ma invece (ora attualmente, per parecchi secoli solo potenzialmente) al 100% fenomenica: il suo "esse est percipi", quando non si percepisce non c' é realmente (e se realmente allora qualcosa c' é, ad essa corrispondente, e c' é stato anche nei secoli nei quali nessuno l' ha vista, non si tratta di fenomeni percepiti -sarebbe platealmente contraddittorio pretenderlo!- ma invece di cosa in sé o noumeno.
E' insomma, chiarissimo che "fenomeno" e "noumeno" sono due concetti che si riferiscono al
medesimo oggetto (pur se c'è da citare la posizione di U.Eco, che ne: "La Soglia e l'Infinito"
sostiene - non del tutt assurdamente - l'esistenza di DUE oggetti).
In altre parole, non è che il noumeno SIA l'oggetto e il fenomeno sia la sua interpretazione: è
che ambedue i termini sono concetti che si riferiscono al medesimo oggetto.
saluti
Citazione
E' insomma, chiarissimo che "fenomeno" e "noumeno" sono due concetti che si riferiscono a due ben diverse cose: percezioni (il cui esse est percipi") l' uno, soggetti e oggetti di percezioni reali anche indipendentemente dall' accadere di percezioni l' altro (il cui "esse -dunque- non est percipi").
L' eventuale interpretazione dei fenomeni é un' altra cosa (fenomenica: altri fenomeni) che i fenomeni interpretati, mentre i fenomeni (anche quelli) non interpretati (ma solo realmente accadenti = realmente percepiti) sono tutt' altro genere di cose che il noumeno.
Citazione di: tersite il 30 Marzo 2019, 19:27:43 PM
La programmazione ad oggetti prevede di raggruppare in una zona circoscritta del codice sorgente* (chiamata classe**), la dichiarazione delle strutture dati e delle procedure*** che operano su di esse.
Le classi, quindi, costituiscono dei modelli astratti, che a tempo di esecuzione vengono invocate per istanziare o creare oggetti software relativi alla classe invocata. Questi ultimi sono dotati di attributi (dati) e metodi (procedure) secondo quanto definito/dichiarato dalle rispettive classi.
Sarebbe possibile convertire questa "wikipediata" (che ho usato per brevità se no scrivevo un romanzo) nella terminologia filosofica ?
*codice sorgente ==linguaggio
** classe == categoria
***procedure == meccanismi logici
Vi sembra coerente ?
Non vedo alcun interesse (filosofico) nell' eventuale farlo.
Citazione di: tersite il 30 Marzo 2019, 18:52:21 PM
e quindi gli abitanti di ebla avrebbero dovuto vedere manifestarsi la ebla noumenica...c'è qualcosa che non funziona nell'analogia.
Ciao Tersite
Mi sembra difficilino (che avrebbero dovuto vedere manifestarsi la loro città noumenica), visto
che il concetto di "noumeno" sorge contemporaneamente a quello di "fenomeno" nei diversi contesti
che vengono presi in consoderazione...
In soldono questo vuol dire che il concetto di una Ebla noumenica, cioè di un'Ebla com'era
in verità, sorge ad esempio fra gli archeologi del nostro tempo che disquisiscono se il commercio
possa o meno essere ritenuto all'origine della floridezza della città.
saluti
Citazione di: tersite il 30 Marzo 2019, 18:52:21 PM
e quindi gli abitanti di ebla avrebbero dovuto vedere manifestarsi la ebla noumenica...c'è qualcosa che non funziona nell'analogia.
Ebla é stata distrutta e i suoi resti disabitati e non visitati per secoli.
Ma quando era abitata e se mai fosse stata visitata dopo al distruzione sarebbero stati visti solo fenomeni e non cose in sè o noumeniche, solo le manifestazioni fenomeniche di oggetti in sé non costituenti fenomeni e non invece oggetti in sé non costituenti fenomeni (pretenderlo sarebbe pretendere che realmente siano accadute visioni -percezioni fenomeniche- di Ebla anche allorché visioni di Ebla realmente non sono accadute: mostruosa contraddizione ! ! !
L' analogia non funziona a causa della confusione fra visione fenomenica (anche se non "interpretata", non pensata), e non affatto alcunché di noumenico, di Ebla e (sensazioni fenomeniche interiori o mentali costituenti la) "interpretazione" (pensiero, considerazione, predicato, conoscenza di Ebla; fra quello che già realmente esisteva ma non -non attualmente, casomai solo potenzialmente- in quanto tale, e che poi sarebbe diventato attualmente il denotato o estensione reale del concetto di "Ebla", ma solo allorché la realtà avrebbe compreso anche il pensiero del concetto di "Ebla") e il concetto (il pensiero) di "Ebla" stesso.
Ciao Sgiombo
Si tratta di mettersi d'accordo sulla "lingua" che vogliamo usare per parlare, perchè definire
"noumeno" l'oggetto: "reale in sé indipendentemente dall'accadere che sia sensibilmente percepito"
(o almeno questo mi sembra di capire che tu intenda) rende il nostro discorso come quello fra un
arabo e un cinese che parlano solo i rispettivi idiomi...
Ma poi che vuol dire: "reale in sé" o: "Ebla come "in verità" (rectius: "in realtà", poiché non era
un predicato che può essere vero o falso ma un fatto che può essere reale o meno)?
Se si "parte" dal fondamento cartesiano per cui l'idea è il solo oggetto immediato della conoscenza
(come del resto è in Hume, il quale parla della conoscenza come di una "connessione di idee", concetto
poi ripreso da Kant), allora non si può non notare il rapporto "problematico" dell'idea con la "realtà"
e il "fatto"; perchè dal mio punto di vista se si dice "in realtà" si dovrebbe disporre di un
CRITERIO di connessione fra questa e l'idea di questa.
Ora, francamente non vedo traccia di questo criterio nei tuoi argomenti. Quindi come "arrivi" alla realtà?
Non puoi certamente dire con l'"esse est percipi" berkeleyano, che anzi estremizza il concetto cartesiano
che prima dicevo.
A parer mio (ma il discorso è lungo e complesso) hai una sola strada, che poi è quella di cui ti chiedevo
nella risposta #126, e cioè attraverso quel concetto di "intuizione immediata" che dallo Stoicismo
passa alla filosofia anglosassone attraverso Duns Scoto e G.d'Ockham. Ma è una strada che ti porta molto
lontano da Hume e Berkeley, e precisamente nella direzione di Kant (che infatti riprende il concetto allo
scopo - non pienamente raggiunto - di dare oggettività alla sua teoria della conoscenza - "la conoscenza comprende
due punti: in primo luogo un concetto per cui in generale un oggetto è pensato secondo le
categorie, e in secondo luogo l'intuizione con cui esso è dato", dice Kant-.).
saluti
Citazione di: tersite il 30 Marzo 2019, 19:27:43 PM
La programmazione ad oggetti prevede di raggruppare in una zona circoscritta del codice sorgente* (chiamata classe**), la dichiarazione delle strutture dati e delle procedure*** che operano su di esse.
Le classi, quindi, costituiscono dei modelli astratti, che a tempo di esecuzione vengono invocate per istanziare o creare oggetti software relativi alla classe invocata. Questi ultimi sono dotati di attributi (dati) e metodi (procedure) secondo quanto definito/dichiarato dalle rispettive classi.
Sarebbe possibile convertire questa "wikipediata" (che ho usato per brevità se no scrivevo un romanzo) nella terminologia filosofica ?
*codice sorgente ==linguaggio
** classe == categoria
***procedure == meccanismi logici
Vi sembra coerente ?
Ciao Tersite
Kant definisce così la conoscenza: ""la conoscenza comprende
due punti: in primo luogo un concetto per cui in generale un oggetto è pensato secondo le
categorie, e in secondo luogo l'intuizione con cui esso è dato".
Vedi tu se ci sono delle analogie interessanti...
saluti
Citazione di: tersite il 30 Marzo 2019, 18:52:21 PM
e quindi gli abitanti di ebla avrebbero dovuto vedere manifestarsi la ebla noumenica...c'è qualcosa che non funziona nell'analogia.
Quel che non "funziona" è che Ebla "non ancora conosciuta" non è equivalente a noumeno, l'Ebla inconoscibilile. Da abitanti e posteri e archeologi. Noumeno non significa "non ancora conoscibile", ma "inconoscibile". C'è uno scarto epistemico, proprio di abitanti e non abitanti.
ciao Mauro,
focalizzerei sul FENOMENO la problematica, per non uscire dalla discussione.
Noumeno è l'inconoscibile per Kant, ha ragione Lou.
Kant ha sicuramente un enorme merito, quello di aver tentato di argomentare l'intero processo conoscitivo, dalla percezione al concetto, dall'intuito alla logica.Lui stesso seppe benissimo che in alcuni passaggi del processo vi erano "zone ombra", erano o poco chiari o contraddittori.
Il fenomeno, taglio corto, è l'intero processo,Ed è questo ancor più importante nella filosofia kantiana,proseguirà Hegel con "Fenomenologia dello spirito", vi sarà una intera corrente filosofica"fenomenologia", parlerà di fenomeno e noumeno anche Schopenauer.
questo per sottolineare quanto è importante il processo conoscitivo umano e di quante interpretazioni su questo concetto vi sono state.
Perchè il fenomeno è inteso estensivo esperienziale, intensivo pensiero/concetto. Quindi diventerà a sua volta oggetto della filosofia del linguaggio, della logica formale, e nella fenomenologia sarà esteso a praticamente la totalità,se così posso dire, comprendendo estetica ed etica.
E' altrettanto chiaro che il passaggio successivo a quello kantiano e soprattutto alla fenomenologia sarebbe stata "l'interpretazione" e infine la"rappresentazione" come dicevo avvenuta come soggettivazione nel costruzionismo.
Citazione di: tersite il 30 Marzo 2019, 19:27:43 PM
La programmazione ad oggetti prevede di raggruppare in una zona circoscritta del codice sorgente* (chiamata classe**), la dichiarazione delle strutture dati e delle procedure*** che operano su di esse.
Le classi, quindi, costituiscono dei modelli astratti, che a tempo di esecuzione vengono invocate per istanziare o creare oggetti software relativi alla classe invocata. Questi ultimi sono dotati di attributi (dati) e metodi (procedure) secondo quanto definito/dichiarato dalle rispettive classi.
Sarebbe possibile convertire questa "wikipediata" (che ho usato per brevità se no scrivevo un romanzo) nella terminologia filosofica ?
*codice sorgente ==linguaggio
** classe == categoria
***procedure == meccanismi logici
Vi sembra coerente ?
certo che è simile, tutte le discipline scientifiche seguono questa procedura originariamente filosofica.
Fu Aristotele per primo a costruire i paradigmi, le categorie, la logica predicativa.
Gli enunciati i postulati, gli assiomi scientifico-matematici ,sono i paradigmi a fondamento di una corrente filosofica.
Le categorie ordinano e regolano i corollari argomentativi per le dimostrazioni che seguno una logica concettuale.
Ovviamente non tutto il pensiero filosofico è "schematizzabile" dipende dal contesto.
Ma ad es. la dogmatica teologica del tomismo e della scolastica segue l'influsso aristotelico con applicazioni rigide della logica.
Citazione di: tersite il 30 Marzo 2019, 19:27:43 PM
Vi sembra coerente ?
Citazione di: 0xdeadbeef il 31 Marzo 2019, 00:18:56 AM
Vedi tu se ci sono delle analogie interessanti...
Bastava si\ no\ nessuna risposta.
Così conosco del tuo pensiero tanto come prima :)
Citazione di: 0xdeadbeef il 31 Marzo 2019, 00:02:52 AM
Ciao Sgiombo
Si tratta di mettersi d'accordo sulla "lingua" che vogliamo usare per parlare, perchè definire
"noumeno" l'oggetto: "reale in sé indipendentemente dall'accadere che sia sensibilmente percepito"
(o almeno questo mi sembra di capire che tu intenda) rende il nostro discorso come quello fra un
arabo e un cinese che parlano solo i rispettivi idiomi...
Citazione
Ovvio.
Ma poi che vuol dire: "reale in sé" o: "Ebla come "in verità" (rectius: "in realtà", poiché non era
un predicato che può essere vero o falso ma un fatto che può essere reale o meno)?
Citazione
Reale in sé -se realmente c' é- é quello che era reale anche allorché nessuno vedeva Ebla (e dunque non poteva essere contraddittoriamente Ebla così come -ora- viene vista; ma allora no).
Se poi non capisci che (a) l' esistenza di Ebla (fatto) é diversa cosa (diverso fatto o evento) dalla (b) conoscenza (dell' esistenza) di Ebla, dal conoscere Ebla (predicato vero circa il fatto dell' esistenza reale di Ebla) non so proprio che farci.
Se si "parte" dal fondamento cartesiano per cui l'idea è il solo oggetto immediato della conoscenza
(come del resto è in Hume, il quale parla della conoscenza come di una "connessione di idee", concetto
poi ripreso da Kant), allora non si può non notare il rapporto "problematico" dell'idea con la "realtà"
e il "fatto"; perchè dal mio punto di vista se si dice "in realtà" si dovrebbe disporre di un
CRITERIO di connessione fra questa e l'idea di questa.
Citazione
Nulla di problematico: il "criterio sicuro indubitabile di realtà" é la constatazione (= l' accadere) dei fatti empirici (sensazioni, percezioni, fenomeni che dir si voglia).
Il cui "esse est percipi".
Di qualsiasi altro eventuale ente o evento forse reale (compreso ciò che eventualmente lo fosse mentre le sensazioni costituenti Ebla non le erano; e in generale eventuali soggetti ed oggetti delle sensazioni fenomeniche stesse persistenti anche mentre esse non persistono: cose in sé o noumeno) non può aversi nessuna certezza.
Ora, francamente non vedo traccia di questo criterio nei tuoi argomenti. Quindi come "arrivi" alla realtà?
Non puoi certamente dire con l'"esse est percipi" berkeleyano, che anzi estremizza il concetto cartesiano
che prima dicevo.
Citazione
A si?
E perché mai?
Dimostrare, please (come dicono gli a me antipatici anglofoni; quelli odierni)!
A parer mio (ma il discorso è lungo e complesso) hai una sola strada, che poi è quella di cui ti chiedevo
nella risposta #126, e cioè attraverso quel concetto di "intuizione immediata" che dallo Stoicismo
passa alla filosofia anglosassone attraverso Duns Scoto e G.d'Ockham. Ma è una strada che ti porta molto
lontano da Hume e Berkeley, e precisamente nella direzione di Kant (che infatti riprende il concetto allo
scopo - non pienamente raggiunto - di dare oggettività alla sua teoria della conoscenza - "la conoscenza comprende
due punti: in primo luogo un concetto per cui in generale un oggetto è pensato secondo le
categorie, e in secondo luogo l'intuizione con cui esso è dato", dice Kant-.).
saluti
Citazione
Per me queste sono farneticazioni metafisiche.
Non esiste modo di dare alle sensazioni fenomeniche (che sono tutto ciò di cui si può avere certezza nel loro immediato, presente accadere) alcuna oggettività: esse sono solo e unicamente "contenuti" (aspetti, elementi) del divenire dell' esperienza fenomenica cosciente, punto e basta (e non oggetti da questa indipendenti); e che oltre ad essi esista realmente anche qualcosa che ne sia oggetto e soggetto realmente persistente al loro non accadere realmente non é affatto certo.
Dimostrazione logica: si può pensare in maniera logicamente corretta, non contraddittoria, sensata (anche, oltre al contrario, anche) che tutto ciò non esiste.
(Nella scienza l' intersoggettività delle sensazioni materiali la si postula indimostrabilmente).
Citazione di: Lou il 31 Marzo 2019, 00:30:02 AM
Quel che non "funziona" è che Ebla "non ancora conosciuta" non è equivalente a noumeno, l'Ebla inconoscibilile. Da abitanti e posteri e archeologi. Noumeno non significa "non ancora conoscibile", ma "inconoscibile". C'è uno scarto epistemico, proprio di abitanti e non abitanti.
Ciao Lou
E' esattamente come dici. Fenomeno e noumeno sono CONCETTI riferiti al medesimo oggetto;
sono idee; ed in quanto tali sono necessariamente degli interpretati (come giustamente
afferma l'aforisma di Gentile da me più volte riportato).
Questa considerazione, naturalmente, apre all'interrogativo circa la natura del noumeno,
che in quanto interpretato è esso stesso fenomeno. Ma questo fa parte di un altro discorso
(da me già affrontato).
saluti
Ciao Paul
Certo, focalizzerei sul fenomeno IN QUANTO anche il noumeno lo è.
Ma qual'è, allora, la vera natura del noumeno, visto che anch'esso è un fenomeno? A parer
mio per rispondere a questa domanda bisogna, dicevo, ri-andare al concetto di "intuizione", di radice
stoica; un concetto che Kant a me sembra cerchi di riportare alla luce distinguendo, nella
sua definizione di "conoscenza", la parte, diciamo, "pensata" secondo l'ordine delle categorie
e la parte "intuibile" secondo questa definizione che del termine "intuizione" dà lo stesso
Kant: "l'intuizione è la rappresentazione quale sarebbe per la sua dipendenza dall'immediata
presenza dell'oggetto" (in termini meno desueti parleremmo di "evidenza", o "esperienza").
E in ogni caso questa è la definizione che Kant dà di "conoscenza": ""la conoscenza comprende
due punti: in primo luogo un concetto per cui in generale un oggetto è pensato secondo le
categorie, e in secondo luogo l'intuizione con cui esso è dato".
Ora, dov'è quella che chiami "zona d'ombra"?
Se accettiamo (come io penso vada accettata) l'idea che il "cogito" cartesiano rappresenti uno
spartiacque; un punto di non ritorno IN QUANTO disvelamento definitivo ed irrevocabile; allora
quell'idea di "intuizione" presenta una problematicità irrisolvibile.
Kant, dici bene, ne è consapevole, e cerca in ogni modo una soluzione (ne accennavamo: la
distinzione fra intuizione sensibile ed intellettuale, e di quest'ultima la distinzione fra
attiva e passiva), ma francamente ciò che ne esce fuori è un quadro non certo limpidissimo.
Ma in tutta questa "torbidezza" a me sembra che almeno una cosa ne esca chiaramente definita:
l'idea di noumeno, o cosa in sé.
Certo, parliamo di un'idea, quindi di un fenomeno. E in quanto idea essa è il prodotto di un
"io" che però persino nell'Idealismo di Fichte rimane distinto dal "non io" (e fino a quella
che per me è l'indistinzione operata da Hegel). Tanto che, e lo vediamo nel celebre: "non esistono
fatti ma solo interpretazioni" di Nietzsche, chi nega la "cosa in sé" è costretto a negare lo
stesso "fatto", la stessa "realtà".
Ovviamente ci sarebbero da dire altre e importanti cose sull'argomento.
saluti
X @Paul11,
concordo con quanto dici. Però, secondo me di Hume Kant condivide l'asserzione che è impossibile costruire una ontologia del noumeno tramite la 'ragione pura' (la pura teoria, in pratica). I due 'estremi' ontologici da cui voleva 'salvarsi' Kant erano secondo me la posizione di Cartesio, Spinoza ecc da un lato e la posizione di Berkeley dall'altro. Inoltre, c'è da dire che Kant precludeva ogni posizione 'teorica' sul noumeno. In altri termini, non negava la possibilità che 'in qualche modo' potesse essere conosciuto. La sua posizione era che non poteva essere conosciuto tramite la razionalità, secondo me.
X @tersite,
dire che le facoltà della coscienza provengono dalla biologia è una posizione filosofica, quindi, no, facendo una tale ipotesi non 'esci' dalla filosofia.
Kant però ti direbbe che la conoscenza che noi abbiamo della biologia è basata sull'esperienza cosciente, ovvero è una conoscenza che parte da tali 'facoltà' (per Kant forme e categorie a priori...) - le ammette come assiomi, in pratica. Sono 'a priori' perché precedono ogni esperienza e conoscenza empirica. 'Trascendentale' vuol dire proprio questo: qualcosa che è indipendente dall'esperienza e precede la conoscenza basata sull'esperienza perché tale conoscenza si basa su essa. Da qui questa mia affermazione: "Questa impossibilità di conoscere la realtà senza la mediazione della nostra mente è ciò che rende impossibile la conoscenza della 'cosa in sé' (il cosiddetto 'noumeno')".
Quindi giustificare tali facoltà appellandosi alla biologia è, nella filosofia Kantiana, un ragionamento circolare.
[Off-topic: Per quanto mi riguarda, anche se si rigetta il 'Kantismo', comunque la coscienza non potrebbe essere spiegata (interamente) dalla biologia, secondo me - le due principali argomentazioni filosofiche sono le seguenti, nel mio caso.
In primo luogo, il cosiddetto problema 'difficile' della coscienza (hard problem of consciousness), ovvero l'impossibilità - secondo me - di spiegare il fatto di 'avere esperienza' (e tutto quello che ne consegue) in termini puramente fisici. In secondo luogo, siccome ritengo che ci sia una qualche forma di 'autonomia' o di 'libero arbitrio' non credo che il libero arbitrio possa essa essere spiegato in termini puramente fisici.]
X @Davidintro,
Anche io ho più o meno gli stessi dubbi sulla consistenza della filosofia Kantiana (inoltre, concordo con te che la metafisica classica non è 'così male' come viene descritta spesso...anche perché secondo me è spesso travisata...). Riguardo all'inconoscibilità del noumeno, secondo me le difficoltà si pongono soprattutto se si pensa al noumeno come una 'cosa'. Mi spiego... la filosofia Kantiana ci dice che la ragione pura si può applicare all'esperienza, ovvero alla 'realtà-vista-da-noi'. Se si tiene fede a tale proposta la filosofia Kantiana ci dice semplicemente che non possiamo dire assolutamente niente sulla 'realtà-così-come-è', il noumeno. In pratica, tutte le teorie ontologiche sul 'noumeno' falliscono. In altre parole, non rimane che il 'Silenzio' (della ragione).
Sui 'giudizi' Kant comunque distingueva tre tipologie:
Il primo è il 'giudizio analitico a priori', un giudizio che in pratica è tautologico. Per esempio, '5 è un numero' - l''essere-numero' è una proprietà nota di '5', quindi non aggiunge niente alla nostra conoscenza.
Il secondo è il 'giudizio sintetico a priori'. Questo è il caso delle proposizioni matematiche. Per esempio, '5 + 7 = 12'. In questo caso '12' non è una proprietà di '5' o '7' e, quindi, per Kant questo è un giudizio 'sintetico' perché mette in relazione oggetti diversi. Tuttavia, è ancora a priori perché non aggiunge 'niente di nuovo' - la sua verità per Kant è, in realtà, 'a priori', indipendente dall'esperienza. Non può essere falso (così come '5+7=13' non può essere vero). Sono proposizioni puramente formali. La posizione di Kant nella filosofia della matematica è detta 'intuizionismo'.
Tramite lo studio della logica e della matematica per Kant possiamo 'conoscere' le forme.
Infine, vi sono i 'giudizi sintetici a posteriori', quelli che si riferiscono all'esperienza. Solo questi possono contenere vera e propria conoscenza, un vero e proprio 'contenuto'. Per esempio, 'la mela cade dall'albero' è un giudizio sintetico a posteriori. (L'unica precisazione è che secondo me - non so secondo Kant - la 'conoscenza' è ciò che ci permette di fare 'giudizi corretti'...)
L'unico che dà conoscenza è l'ultimo. E si riferisce ai fenomeni. Ogni 'posizione filosofica' applicata al noumeno non è sostenibile.
Riguardo alla fenomenologia, ti consiglio il filosofo francese Michel Bitbol (trovi facilmente delle interviste in italiano su youtube).
[Nota molto breve sulla teologia negativa/apofatica: secondo me si creano problemi quando uno elimina la teologia positiva/catafatica. Ci vuole una sorta di equilibrio. Da un lato concentrarsi troppo sulla teologia 'positiva' finisce per cadere nell'illusione che Dio possa essere compreso dalla razionalità umana. Dall'altro lato, concentrarsi troppo sulla teologia 'negativa' rende probabilmente impossibile la stessa fede - in fin dei conti per la vita di fede, è importante sapere che Dio è buono, ama ecc quindi un approccio troppo sbilanciato sul 'negativo' è problematico]
X @sgiombo,
Bene o male concordiamo su Kant. Anche se non sono sicuro se abbiamo la stessa interpretazione sul 'noumeno'. Secondo me Kant riteneva qualsiasi posizione ontologica sul noumeno problematica proprio perché le categorie e le forme a priori si potevano applicare ai soli fenomeni. Non so se concordi con questa analisi.
Ciao a tutti!
per Tersite
certamente tematizzare implica che da parte del soggetto tematizzante l'utilizzo delle regole della logica, senza le quali sarebbe impossibile alcuna conoscenza oggettiva di ciò che si tematizza. Fermo restando però che la necessità della logica nella tematizzazione non dovrebbe penso essere vista come una mero passaggio logico-deduttivo, alla stregua del modello di procedimento che Kant indica tipico dei giudizi analitici apriori, cioè una pura esplicitazione dei significati già compresi in una definizione, bensì un'applicare la logica a un "materiale" appreso sinteticamente tramite sintesi, che riflette un oggetto reale, e non un semplice ente logico-formale come una definizione. "Intenzionalità" indica una sorta, se si vuole metaforicamente, di tensione, di movimento della coscienza che si "dirige" verso l'attribuzione di senso a degli oggetti posti come qualcosa di "altro" dalla coscienza intenzionante soggettiva". La tematizzazione è sempre intenzionale, cioè indica il riferirsi del pensiero a questo altro da sé, e quindi una visione di questa alterità, che quindi non può essere ridotta alla scomposizione analitica di una definizione, cioè di un puro concetto immanente al pensiero, ma tende alla rappresentazione di qualcosa di reale. Quindi certamente la tematizzazione è logica, ma non come pura dialettica formale mirante alla valutazione della coerenza interna di un discorso chiuso in se stesso, ma sempre applicata a un concreto materiale (non materiale nel senso fisico, ma in senso più ampio come contenuto oggettivo riempiente un atto di conoscenza soggettivo) riferito al mondo reale e appreso tramite intuizione, per così dire
Per Sgiombo
una volta che si conviene sull'idea che ogni giudizio circa l' "inconoscibilità" di un livello della realtà comporta anche un certo margine di sapere in positivo, non vedrei problemi nell'ammettere la possibilità di una conoscenza scientifica anche del noumeno, anche intendendolo nella sua oggettività, distinta dalla fenomenicità immanente alla coscienza soggettiva. Tutto sta nel come intendere questa distinzione: intendendola nel modo kantiano, in senso gnoseologico, come dualismo conoscibile-inconoscibile, diviene fatalmente anche distinzione ontologica, fra una tipologia di realtà conoscibile (quella oggetto dei sensi, fisica) e una inconoscibile (intelligibile, metafisica), oppure intendendola, più opportunamente, in chiave strettamente logico-concettuale: non due tipologie di realtà distinte, bensì la stessa realtà solo intesa da punti di vista diversi, il punto di vista di cui ne abbiamo un'esperienza, e quello in cui la intendiamo come realtà oggettiva in sé, esistente indipendentemente dal fatto di esperirla. Il primo punto di vista non nasconderebbe il secondo, ma lo manifesterebbe, in quanto attinente alla sua stessa realtà, riflettendola, comunicandocela. Quindi, accettando la premessa del margine parziale di conoscenza positiva, come qualcosa sempre presente anche quando giudichiamo qualcosa come "inconoscibile", possiamo dire che questo margine di conoscenza positiva coincide con la misura in cui la cosa, oltre a essere "cosa in sé" è anche fenomeno, mentre resta inconoscibile nella misura in cui non lo è. Cioè è necessario che fenomenicità e oggettività siano due modi d'essere distinti della stessa realtà, cosicché la prima rifletta l'altra e non due ambiti ontologici separati. L'errore dell'accezione kantiana nell'intendere la dualità fenomeno-noumeno sta nel fatto che una volta identificato il noumeno come "inconoscibile" diviene impossibile non solo una scienza della metafisica, ma anche una scienza della realtà naturale, nonché della realtà delle strutture fondamentali della conoscenza umana verso cui si dirige la critica, insomma... diviene impossibile una scienza della realtà in generale! Questo perché, una volta intesi i fenomeni come scollegati dalle cose in sé, e impossibilitati a manifestarle, essi non rimarrebbero che come i MIEI fenomeni, qualcosa che solo arbitrariamente posso presumere di associare a una realtà al di là della mia soggettività, insomma l'esito è lo scetticismo o il solipsismo. Perché si dia scienza della realtà è necessario che all'interno della sfera dei fenomeni, accanto alle intuizioni sensibili, che manifestano la cosa senza necessariamente corrisponderne alla loro realtà (ipotesi dell'allucinazione o del genio ingannatore"), vengano comprese anche le intuizioni intellettuali, quelle tramite cui l'oggetto è visto come essenza ideale, coincidente con la cosa nelle sue proprietà necessarie: una volta intuita l'idea di una cosa, traiamo di quella il suo modo d'essere al di là di ogni contingenza, e quindi, diviene il terreno su cui operare speculativamente, indagando le relazioni logiche tra i vari concetti di cui cogliamo il senso generale, e ricavandone un certo livello, seppur minimo di certezze, di conoscenza trascendentale che poi sarà il presupposto fondamentale che le varie scienze applicheranno nei loro vari ambiti di ricerca. Come diceva giustamente Aristotele, la scienza, è sempre scienza dell'universale, mai del particolare. Ma in questo non c'è nulla di strano o astruso... ogni epistemologia, compresa la critica kantiana lavora in questo modo, non empiricamente ma speculativamente, come ad esempio fa Kant quando si occupa di indagare le relazioni tra categorie estetiche o categorie dell'intelletto, quando elenca le dodici categorie dell'intelletto ricavandole dalla tavola dei giudizi ecc. Il suo limite sta nel fatto che tutto questo lavoro di riflessione non può essere teoreticamente giustificato, fintanto che ci si ferma all'idea che la scienza sia possibile solo sul materiale delle sensazioni: non sono certo le intuizioni sensibili quelle tramite cui pensare a concetti come categorie, apriori, giudizi analitici, noumeno ecc. Se la critica vuole legittimarsi come scienza deve estendere alle intuizioni intellettuali il materiale su cui una scienza è possibile, quindi rompere la scissione fenomeno-noumeno, così come è stata concepita
X @tersite,
dire che le facoltà della coscienza provengono dalla biologia è una posizione filosofica, quindi, no, facendo una tale ipotesi non 'esci' dalla filosofia.
Riflettendo con più cura mi rendo conto di aver formulato ingenuamente la domanda.
Riformulo la questione :
queste facoltà kantiane hanno subito o no, una qualche sorta di processo evolutivo ?
Citazione di: sgiombo il 31 Marzo 2019, 11:06:41 AM
Se si "parte" dal fondamento cartesiano per cui l'idea è il solo oggetto immediato della conoscenza
(come del resto è in Hume, il quale parla della conoscenza come di una "connessione di idee", concetto
poi ripreso da Kant), allora non si può non notare il rapporto "problematico" dell'idea con la "realtà"
e il "fatto"; perchè dal mio punto di vista se si dice "in realtà" si dovrebbe disporre di un
CRITERIO di connessione fra questa e l'idea di questa.
Citazione
CitazioneNulla di problematico: il "criterio sicuro indubitabile di realtà" é la constatazione (= l' accadere) dei fatti empirici (sensazioni, percezioni, fenomeni che dir si voglia).
Il cui "esse est percipi".
Di qualsiasi altro eventuale ente o evento forse reale (compreso ciò che eventualmente lo fosse mentre le sensazioni costituenti Ebla non le erano; e in generale eventuali soggetti ed oggetti delle sensazioni fenomeniche stesse persistenti anche mentre esse non persistono: cose in sé o noumeno) non può aversi nessuna certezza.
Ciao Sgiombo
Non puoi "arrivare" alla realtà con l'"esse est percipi" di Barkeley semplicemente perchè per
quel concetto non esistono oggetti materiali, ma soltanto idee e relazioni fra le idee.
Sarebbe allora logico che tu la pensassi come Nietzsche ("non esistono fatti, ma solo
interpretazioni").
Come fai a riconoscere un fatto da una opinione? Su cosa ti basi? Qual'è il criterio, dicevo,
per riconoscerli e distinguerli se non si distingue, in radice, il soggetto dall'oggetto?
Dici: "criterio sicuro indubitabile di realtà" é la constatazione". Bene: la constatazione da
parte di chi? Cos'è che dà "validità" alla constatazione? L'autorità di chi constata? La
maggioranza dei constatanti? Che altro?
Sai meglio di me che Berkeley non arriva allo scetticismo radicale di Hume perchè pone, al
medesimo modo di Adam Smith in economia, una "mano invisibile" (che è ovviamente quella di Dio)
a garanzia che la pluralità delle constatazioni corrisponda alla "realtà".
saluti
Citazione di: tersite il 31 Marzo 2019, 18:16:43 PM
X @tersite,
dire che le facoltà della coscienza provengono dalla biologia è una posizione filosofica, quindi, no, facendo una tale ipotesi non 'esci' dalla filosofia.
Riflettendo con più cura mi rendo conto di aver formulato ingenuamente la domanda.
Riformulo la questione :
queste facoltà kantiane hanno subito o no, una qualche sorta di processo evolutivo ?
Per Kant no (da quanto mi risulta).
Per alcune filosofie più recenti
simili a quella di Kant credo di sì (ad esempio nel caso del filosofo Michel Bitbol).
Citazione di: davintro il 31 Marzo 2019, 17:59:08 PM
L'errore dell'accezione kantiana nell'intendere la dualità fenomeno-noumeno sta nel fatto che una volta identificato il noumeno come "inconoscibile" diviene impossibile non solo una scienza della metafisica, ma anche una scienza della realtà naturale, nonché della realtà delle strutture fondamentali della conoscenza umana verso cui si dirige la critica, insomma... diviene impossibile una scienza della realtà in generale!
Perché il noumeno è l'ennesima immagine di dio. L'errore sta tutto lì, quando si scrive\pensa della "inconoscibiltà" si finisce "gravitazionalmente" attratti dal pianeta concettuale "dio".
Vorrei proprio sapere da dove nasce questo concetto di inconoscibilità se non come ricalco della "conoscenza perfetta" guarda caso appartenente a dio.
Citazione di: 0xdeadbeef il 31 Marzo 2019, 11:30:08 AM
Ciao Lou
E' esattamente come dici. Fenomeno e noumeno sono CONCETTI riferiti al medesimo oggetto;
sono idee; ed in quanto tali sono necessariamente degli interpretati (come giustamente
afferma l'aforisma di Gentile da me più volte riportato).
Questa considerazione, naturalmente, apre all'interrogativo circa la natura del noumeno,
che in quanto interpretato è esso stesso fenomeno. Ma questo fa parte di un altro discorso
(da me già affrontato).
saluti
In attesa della risposta dirimente di Lou, a me non pare proprio che ci sia questa unanimità di vedute.Mi sembra che per Lou, come anche per me, fenomeni e noumeno non sono affatto concetti riferiti al medesimo oggetto; ovvero il noumeno "interpretato" (pensato, conosciuto, ecc.) o meno che sia, non é affatto esso stesso fenomeno, ma invece é realtà non apparente (= non fenomenica), non facente parte dell' esperienza cosciente.
Citazione di: Apeiron il 31 Marzo 2019, 17:31:56 PM
X @Paul11,
concordo con quanto dici. Però, secondo me di Hume Kant condivide l'asserzione che è impossibile costruire una ontologia del noumeno tramite la 'ragione pura' (la pura teoria, in pratica). I due 'estremi' ontologici da cui voleva 'salvarsi' Kant erano secondo me la posizione di Cartesio, Spinoza ecc da un lato e la posizione di Berkeley dall'altro. Inoltre, c'è da dire che Kant precludeva ogni posizione 'teorica' sul noumeno. In altri termini, non negava la possibilità che 'in qualche modo' potesse essere conosciuto. La sua posizione era che non poteva essere conosciuto tramite la razionalità, secondo me.
Citazione
Concordo.
Infatti non ne tenta una conoscenza mediante la (nella Critica della) ragion pura, ma invece soltanto mediante la (nella critica della) ragion pratica.
[Off-topic: Per quanto mi riguarda, anche se si rigetta il 'Kantismo', comunque la coscienza non potrebbe essere spiegata (interamente) dalla biologia, secondo me - le due principali argomentazioni filosofiche sono le seguenti, nel mio caso.
In primo luogo, il cosiddetto problema 'difficile' della coscienza (hard problem of consciousness), ovvero l'impossibilità - secondo me - di spiegare il fatto di 'avere esperienza' (e tutto quello che ne consegue) in termini puramente fisici. In secondo luogo, siccome ritengo che ci sia una qualche forma di 'autonomia' o di 'libero arbitrio' non credo che il libero arbitrio possa essa essere spiegato in termini puramente fisici.]
Citazione
Concordo in pieno con quanto affermi in primo luogo, dissento in pieno da quanto affermi in secondo luogo.
X @sgiombo,
Bene o male concordiamo su Kant. Anche se non sono sicuro se abbiamo la stessa interpretazione sul 'noumeno'. Secondo me Kant riteneva qualsiasi posizione ontologica sul noumeno problematica proprio perché le categorie e le forme a priori si potevano applicare ai soli fenomeni. Non so se concordi con questa analisi.
Citazione
Probabilmente in larga misura sì.
Però secondo me per Kant il noumeno é inconoscibile perché innanzitutto non é apparente alla coscienza; e ciò su cui si possono esprimere giudizi sintetici a posteriori (che se corretti, veri costituiscono conoscenze) sono unicamente i fenomeni di cui siamo coscienti.
Citazione di: davintro il 31 Marzo 2019, 17:59:08 PM
Per Sgiombo
una volta che si conviene sull'idea che ogni giudizio circa l' "inconoscibilità" di un livello della realtà comporta anche un certo margine di sapere in positivo, non vedrei problemi nell'ammettere la possibilità di una conoscenza scientifica anche del noumeno, anche intendendolo nella sua oggettività, distinta dalla fenomenicità immanente alla coscienza soggettiva.
Citazione
Ma la conoscenza scientifica può aversi unicamente di realtà empirica, apparente alla coscienza, fenomenica, non di una realtà in sé distinta dalle sensazioni empiricamente constatabili (una realtà non empiricamente constatabile e verificabile/falsificabile).
Tutto sta nel come intendere questa distinzione: intendendola nel modo kantiano, in senso gnoseologico, come dualismo conoscibile-inconoscibile, diviene fatalmente anche distinzione ontologica, fra una tipologia di realtà conoscibile (quella oggetto dei sensi, fisica) e una inconoscibile (intelligibile, metafisica), oppure intendendola, più opportunamente, in chiave strettamente logico-concettuale: non due tipologie di realtà distinte, bensì la stessa realtà solo intesa da punti di vista diversi, il punto di vista di cui ne abbiamo un'esperienza, e quello in cui la intendiamo come realtà oggettiva in sé, esistente indipendentemente dal fatto di esperirla. Il primo punto di vista non nasconderebbe il secondo, ma lo manifesterebbe, in quanto attinente alla sua stessa realtà, riflettendola, comunicandocela.
Citazione
Qui mi sembra che tu compia lo stesso fraintendimento di Oxdeadbeef.
L' unica realtà di cui possiamo fare esperienza é (direi per definizione) é quella costituita dai fenomeni (l' essere dei quali é per l' appunto "percipi", essere percepiti dalla, ovvero apparire alla, coscienza).
Essi non possono essere intesi come realtà oggettiva in sé, esistente indipendentemente dal fatto di esperirla; come realtà oggettiva in sé, esistente indipendentemente dal fatto di esperirla può essere inteso unicamente il noumeno, le cose in sé.
Già etimologicamente il concetto di "realtà intesa da un (qualsiasi) punto di vista" mi sembra inconciliabile con quello di noumeno non apparente alla coscienza in alcun modo, "da alcun punto di vista".
Che poi i fenomeni oltre a potere anche essere pensati, predicati accadere realmente, conosciuti, accadano comunque realmente (= sono realmente percepiti coscientemente), che possano accadere anche indipendentemente da (-l' eventuale accadere inoltre, anche di) qualsiasi eventuale considerazione, pensiero, predicazione di essi (cioè che rimarrebbero realmente tali e quali anche se realmente non accadesse anche, oltre ad essi, alcuna eventuale considerazione, pensiero, predicazione di essi) é un altro paio di maniche.
Quindi, accettando la premessa del margine parziale di conoscenza positiva, come qualcosa sempre presente anche quando giudichiamo qualcosa come "inconoscibile", possiamo dire che questo margine di conoscenza positiva coincide con la misura in cui la cosa, oltre a essere "cosa in sé" è anche fenomeno, mentre resta inconoscibile nella misura in cui non lo è. Cioè è necessario che fenomenicità e oggettività siano due modi d'essere distinti della stessa realtà, cosicché la prima rifletta l'altra e non due ambiti ontologici separati.
Citazione
Fra fenomeno e non-fenomeno (noumeno) tertium non datur: qualcosa o può apparire e appare alla coscienza (fenomeno rispettivamente potenziale o attuale) oppure non le può apparire e non le appare (noumeno).
E infatti, a considerare la cosa per bene, la conoscenza che possiamo avere del noumeno é in realtà "pari a zero" (non ne possiamo avere alcun margine sia pur parziale di conoscenza positiva): il noumeno potrebbe anche coincidere con (il) nulla di reale (non é contraddittorio pensare che la realtà in toto non ecceda per nulla i fenomeni).
Questo perché, una volta intesi i fenomeni come scollegati dalle cose in sé, e impossibilitati a manifestarle, essi non rimarrebbero che come i MIEI fenomeni, qualcosa che solo arbitrariamente posso presumere di associare a una realtà al di là della mia soggettività, insomma l'esito è lo scetticismo o il solipsismo.
L'errore dell'accezione kantiana nell'intendere la dualità fenomeno-noumeno sta nel fatto che una volta identificato il noumeno come "inconoscibile" diviene impossibile non solo una scienza della metafisica, ma anche una scienza della realtà naturale, nonché della realtà delle strutture fondamentali della conoscenza umana verso cui si dirige la critica, insomma... diviene impossibile una scienza della realtà in generale!
Citazione
La scienza é possibilissima (non della realtà in generale, la conoscenza della quale é filosofia, ontologia ma solo) del mondo dei fenomeni materiali, assumendo (indimostrabilmente: Hume!) la loro intersoggettività (= corrispondenza puntuale ed univoca fra tutte le esperienze fenomeniche coscienti).
Si assume cioè che i miei fenomeni sono solo miei (i qualia coscienti del "problema difficile" di Chalmers), ma cionondimeno corrispondono, in particolare nei loro aspetti quantitativi misurabili, con quelli di tutti gli altri: si assume che non siano oggettivi (per forza, inevitabilmente, necessariamente) ma soggettivi; ma nemmeno che siano meramente soggettivi, bensì intersoggettivi.
Perché si dia scienza della realtà è necessario che all'interno della sfera dei fenomeni, accanto alle intuizioni sensibili, che manifestano la cosa senza necessariamente corrisponderne alla loro realtà (ipotesi dell'allucinazione o del genio ingannatore"), vengano comprese anche le intuizioni intellettuali, quelle tramite cui l'oggetto è visto come essenza ideale, coincidente con la cosa nelle sue proprietà necessarie: una volta intuita l'idea di una cosa, traiamo di quella il suo modo d'essere al di là di ogni contingenza, e quindi, diviene il terreno su cui operare speculativamente, indagando le relazioni logiche tra i vari concetti di cui cogliamo il senso generale, e ricavandone un certo livello, seppur minimo di certezze, di conoscenza trascendentale che poi sarà il presupposto fondamentale che le varie scienze applicheranno nei loro vari ambiti di ricerca.
Citazione
Dissento radicalmente.
Le pretese "intuizioni intellettuali, quelle tramite cui l'oggetto è visto come essenza ideale, coincidente con la cosa nelle sue proprietà necessarie: una volta intuita l'idea di una cosa" (anziché essere inteso come fenomeni empiricamente constatabili e verificabili) non sono che metafisica infondata, assurda presunzione di costruire conoscenza della realtà unicamente su giudizi analitici a priori.
Come diceva giustamente Aristotele, la scienza, è sempre scienza dell'universale, mai del particolare. Ma in questo non c'è nulla di strano o astruso... ogni epistemologia, compresa la critica kantiana lavora in questo modo, non empiricamente ma speculativamente, come ad esempio fa Kant quando si occupa di indagare le relazioni tra categorie estetiche o categorie dell'intelletto, quando elenca le dodici categorie dell'intelletto ricavandole dalla tavola dei giudizi ecc. Il suo limite sta nel fatto che tutto questo lavoro di riflessione non può essere teoreticamente giustificato, fintanto che ci si ferma all'idea che la scienza sia possibile solo sul materiale delle sensazioni: non sono certo le intuizioni sensibili quelle tramite cui pensare a concetti come categorie, apriori, giudizi analitici, noumeno ecc. Se la critica vuole legittimarsi come scienza deve estendere alle intuizioni intellettuali il materiale su cui una scienza è possibile, quindi rompere la scissione fenomeno-noumeno, così come è stata concepita
Citazione
Infatti questa che descrivi di Kant (malgrado le sue illusioni) non é scienza ma metafisica (aprioristicamente fondata su assunzioni arbitrarie).
La scienza reale é conoscenza dell' universale, come ben diceva Aristotele perché assumendo la (indimostrabile: Hume!) verità dell' induzione, cerca le regolarità universali e costanti astraibili da parte del pensiero dagli aspetti particolari concreti, contingenti del divenire (solo ed unicamente) dei fenomeni materiali (misurabili ed assunti essere intersoggettivi).
Del noumeno (che pertiene all' ontologia filosofica) si disinteressa (in quanto tale: scienza naturale).
Citazione di: 0xdeadbeef il 31 Marzo 2019, 18:26:58 PMCiao Sgiombo
Non puoi "arrivare" alla realtà con l'"esse est percipi" di Barkeley semplicemente perchè per
quel concetto non esistono oggetti materiali, ma soltanto idee e relazioni fra le idee.
Citazione
Le quali sono realtà: dunque ci si arriva benissimo!
Sarebbe allora logico che tu la pensassi come Nietzsche ("non esistono fatti, ma solo
interpretazioni").
Citazione
Ma quando mai ? ? ?
Per me i fatti fenomenici materiali sono intersoggettivi (anche se non é dimostrabile -Hume!- ma lo credo letteralmente per fede -alla facciaccia di Nietzche!- come peraltro per lo meno di fatto si comporta come se lo credesse qualsiasi persona comunemente ritenuta sana di mente).
Come fai a riconoscere un fatto da una opinione?
Citazione
Mediante la verifica empirica.
Su cosa ti basi? Qual'è il criterio, dicevo,
per riconoscerli e distinguerli se non si distingue, in radice, il soggetto dall'oggetto?
Citazione
Si distingue il meramente soggettivo (le sensazioni fenomeniche interiori o mentali, non assumibili essere intersoggettive) dall' intersoggettivo (assumibile ed assunto essere tale; ma pur sempre soggettivo nel senso di reale unicamente in quanto insieme - successione di sensazioni, apparenze coscienti, fenomeni: le sensazioni fenomeniche, per l' appunto, esteriori o materiali).
Dici: "criterio sicuro indubitabile di realtà" é la constatazione". Bene: la constatazione da
parte di chi? Cos'è che dà "validità" alla constatazione? L'autorità di chi constata? La
maggioranza dei constatanti? Che altro?
Citazione
La verifica empirica intersoggettiva (possibile da parte di qualsiasi constatante).
Sai meglio di me che Berkeley no
n arriva allo scetticismo radicale di Hume perchè pone, al
medesimo modo di Adam Smith in economia, una "mano invisibile" (che è ovviamente quella di Dio)
a garanzia che la pluralità delle constatazioni corrisponda alla "realtà".
saluti
Citazione
Infatti Hume ha condotto conseguentemente la critica razionale della conoscenza ben più a fondo di Berkeley!
Citazione di: sgiombo il 31 Marzo 2019, 19:35:46 PM
In attesa della risposta dirimente di Lou, a me non pare proprio che ci sia questa unanimità di vedute.
Mi sembra che per Lou, come anche per me, fenomeni e noumeno non sono affatto concetti riferiti al medesimo oggetto; ovvero il noumeno "interpretato" (pensato, conosciuto, ecc.) o meno che sia, non é affatto esso stesso fenomeno, ma invece é realtà non apparente (= non fenomenica), non facente parte dell' esperienza cosciente.
Le idee non sono oggetti sensibili, pertanto l'oggetto "in" sè (noumeno) non è l'oggetto "per" me (fenomeno).
Citazione di: davintro il 31 Marzo 2019, 17:59:08 PM
luna volta che si conviene sull'idea che ogni giudizio circa l' "inconoscibilità" di un livello della realtà comporta anche un certo margine di sapere in positivo, non vedrei problemi nell'ammettere la possibilità di una conoscenza scientifica anche del noumeno, anche intendendolo nella sua oggettività, distinta dalla fenomenicità immanente alla coscienza soggettiva.
A Davintro
Concordo senz'altro sull'affermazione che già il dire del noumeno che è inconoscibile presuppone
un certo grado di conoscenza "positiva". Un pò come il socratico "sapere di non sapere", o il
non essere, o nulla, che non è, insomma...
Ma a me sembra che Kant fosse, se non del tutto, almeno in un certo qual modo consapevole di questo.
E che anzi cercasse questa "positività", ma che questa gli sfuggisse come in realtà non può che
sfuggire a chiunque la cerchi.
Nella risposta #148 all'amico Paul11 affermo come Kant cerchi di ri-andare al concetto, di radice
stoica, di "intuizione" ("l'intuizione è la rappresentazione quale sarebbe per la sua dipendenza dall'
immediata presenza dell'oggetto"). Quindi quest'oggetto è presente, eccome, nella sua "noumenicità",
ma deve fare i conti (e sono conti a parer mio inesorabili...) con il fondamento cartesiano del
"cogito" (per me, come dico in quell'intervento, "punto di non ritorno"), che affermando l'idea
come solo oggetto immediato di conoscenza esclude necessariamente la conoscenza "diretta"
dell'oggetto.
La teoria della conoscenza di Kant è la storia del tentativo (pressoché impossibile) di conciliare
questi due opposti...
A mio parere la Fenomenologia, come dire, la fa facile...
Siccome un pensiero è pensiero di qualcosa, dice questa, allora...questo qualcosa è un oggetto e
va inteso oggettivamente.
Che è come dire: il pensiero di Dio, essendo Dio l'oggetto di questo pensiero, comporta l'esistenza
oggettiva dello stesso. A me sembra somigli parecchio alla "prova ontologica" di S.Anselmo...
saluti
Citazione di: sgiombo il 31 Marzo 2019, 20:05:38 PM
Dici: "criterio sicuro indubitabile di realtà" é la constatazione". Bene: la constatazione da
parte di chi? Cos'è che dà "validità" alla constatazione? L'autorità di chi constata? La
maggioranza dei constatanti? Che altro?
Citazione
CitazioneLa verifica empirica intersoggettiva (possibile da parte di qualsiasi constatante).
A Sgiombo
A parer mio se l'intersoggettività è il criterio di discernimento del fatto dall'interpretazione
(come affermi esplicitamente), allora per coerenza dovresti ammettere che ciò che dice la maggioranza
degli interpretanti è "fatto", mentre quel che dice la minoranza è "interpretazione" ("maior pars,
melior pars", insomma).
A mio giudizio non si può dire che il criterio è "la verifica empirica intersoggettiva", perchè
per l'empiria l'oggetto è "immediatamente presente" al soggetto (come dico in altri interventi
descrivendo il concetto di "intuizione", dallo Stoicismo a Kant), senza nessun bisogno di "maggioranze"
che qualifichino il risultato raggiunto.
saluti
rispondo a Mauro (Oxdeadbeef)e Aperion
Kant fa esattamente il contrario di quello che ritenevano fosse Parmenide e Platone .
Gli stoici seguirono influenze di Eraclito ed Epicuro, diciamo che erano"materialisti"
Il punto fondamentale in Kant, l'origine veritativa è il mondo fattuale non quello delle idee.
La sintesi è data dalla percezione che viene incorporata da un concetto logico formale.
Ribadisco, in filosofia è fondamentale capire su quale dominio il filosofo vuole costruire la verità
Parmenide non riteneva che il dominio sensibile ,fattuale, fosse il luogo della verità in quanto diveniente e quindi contraddittorio rispetto l'asserto se una cosa è non può anche non essere.
Platone ,ma direi generalizzando tuttala metafisica, non utilizza l'intuizione immanentistica, nel mondo fattuale, bensì dopo la sintesi logico deduttiva del pensiero ed è il salto che permette di superare IL NOUMENO KANTIANO.Perchè è quì che si blocca Kant.La deduzione concettuale nel mondo delle idee che a sua volta nasce dall'induzione nel dominio del sensibile o fa il salto intuitivo verso l'Uno, verso Dio, verso un Archè, oppure non da risposte fondamentali .
Kant forse era credente ,ma non può spiegare Dio concettualmente nel suo processo gnoseologico se ha deciso che la verità fenomenologica sta nella fisicità dei corpi:questo è il punto.La sua dimostrazione non può permettere il salto per cui IL NOUMENO E' SI' PENSABILE, MA INDIMOSTRABILE .
Ribadisco che Hegel criticò Kant per non aver avuto il coraggio di superare il noumeno e arrivare alla coniugazione, al bilanciamento fra dominio fisico esperienziale e fattuale con il dominio delle idee del pensiero e infatti sposterà la fenomenologia fino allo spirito.
La fenomenologia husserliana fa tesoro di questi pensieri e i suoi epigoni, come Heidegger e Levinas si permettono allora di ri-concettualizzare l'Essere, che era del tutto stato obnulato nella filosofia moderna, che è un concetto metafisico, ma ponendolo nel mondo fattuale, dell'esperienza, dell'esistenza.
Citazione di: paul11 il 31 Marzo 2019, 23:33:48 PMHeidegger e Levinas si permettono allora di ri-concettualizzare l'Essere, che era del tutto stato obnulato nella filosofia moderna, che è un concetto metafisico, ma ponendolo nel mondo fattuale, dell'esperienza, dell'esistenza.
Levinas (fatta salva la sua profondissima umanità e il valore incontestabile valore della sua etica) non fa altro che reintrodurre dio nella speculazione filosofica..è sufficiente leggerlo.
Citazione di: tersite il 01 Aprile 2019, 00:54:12 AM
Levinas (fatta salva la sua profondissima umanità e il valore incontestabile valore della sua etica) non fa altro che reintrodurre dio nella speculazione filosofica..è sufficiente leggerlo.
autocitazione...
Se invece non volete sciropparvi levinas potete leggere la confutazione di derrida in un primo momento e del duo dolce&gabbana* ( Mille piani e l'Esausto...) in seguito.
Il volto di levinas è curiosamente diverso dal volto di derrida e deleuze..deciderete poi voi quale sia il senso restituito dal volto, e poi magari passare dal volto al corpo, dal corpo all'io, dall'io alle immagini carceranti l'io, da li alla rizomaticità del desiderio e poi forse abbraccerete il vostro cavallo pure voi ;D
* Deleuze&Guattari. Loro che si definivano gli Stanlio ed Ollio della filosofia sarebbero stati deliziati da questa sciocchezza...
Citazione di: tersite il 01 Aprile 2019, 00:54:12 AM
Levinas (fatta salva la sua profondissima umanità e il valore incontestabile valore della sua etica) non fa altro che reintrodurre dio nella speculazione filosofica..è sufficiente leggerlo.
Su questo sono assai d'accordo, tant'è che ritengo la fenomenologia di Levinas una fenomenologia declinata in chiave religiosa.
Citazione di: 0xdeadbeef il 31 Marzo 2019, 22:05:22 PM
Citazione da: sgiombo - 31 Marzo 2019, 20:05:38 pm
Citazione
Dici: "criterio sicuro indubitabile di realtà" é la constatazione". Bene: la constatazione da
parte di chi? Cos'è che dà "validità" alla constatazione? L'autorità di chi constata? La
maggioranza dei constatanti? Che altro?
Citazione
Citazione
CitazioneLa verifica empirica intersoggettiva (possibile da parte di qualsiasi constatante).
A Sgiombo
A parer mio se l'intersoggettività è il criterio di discernimento del fatto dall'interpretazione
(come affermi esplicitamente), allora per coerenza dovresti ammettere che ciò che dice la maggioranza
degli interpretanti è "fatto", mentre quel che dice la minoranza è "interpretazione" ("maior pars,
melior pars", insomma).
Citazione
Ma che sciocchezza!
L' intersoggettività postulata e indimostrabile dei fenomeni materiali é il fatto che tutti (=qualsiasi constatante) per lo meno in linea teorica di principio possono convenire (nelle loro "interpretazioni", nei loro predicati o giudizi) su quei fatti che sono le caratteristiche e i rapporti quantitativi dei fenomeni materiali stessi e del loro divenire (come presuppone la scienza).
A mio giudizio non si può dire che il criterio è "la verifica empirica intersoggettiva", perchè
per l'empiria l'oggetto è "immediatamente presente" al soggetto (come dico in altri interventi
descrivendo il concetto di "intuizione", dallo Stoicismo a Kant), senza nessun bisogno di "maggioranze"
che qualifichino il risultato raggiunto.
saluti
Citazione
Infatti le maggioranze e le minoranze (chi le avrebbe mai tirate in ballo?) c' entrano come i cavoli a merenda.
Ma ciò è "immediatamente presente" al soggetto (di esperienza fenomenica; ed eventualmente anche di predicato, eventualmente anche di conoscenza, eventualmente anche scientifica circa l' esperienza fenomenica) é fenomeni: "esse est percipi" (Berkeley).
Non é altro che eventi fenomenici (apparenti) di coscienza, nell' ambito del' esperienza cosciente stessa, e non affatto oggetti "in sé" reali indipendentemente (anche a prescindere) da essa.
Citazione di: tersite il 31 Marzo 2019, 19:09:43 PM
Perché il noumeno è l'ennesima immagine di dio. L'errore sta tutto lì, quando si scrive\pensa della "inconoscibiltà" si finisce "gravitazionalmente" attratti dal pianeta concettuale "dio".
Vorrei proprio sapere da dove nasce questo concetto di inconoscibilità se non come ricalco della "conoscenza perfetta" guarda caso appartenente a dio.
Infatti i postulanti di entrambi postulano lo stesso ente inconoscibile facendo ontologia laddove si dovrebbe fare soltanto gnosi. Gnosi dalla quale non li salva nemmeno l'escamotage concettualistico proposto da Lou perchè, fatti salvi i piani del discorso, chi venera la cosa in sè la considera un oggetto sensibile al pari di Dio e non si limita a concettualizzare nemmeno alla guisa del biscomunicato Spinoza.
Citazione di: Lou il 31 Marzo 2019, 21:20:12 PM
Le idee non sono oggetti sensibili, pertanto l'oggetto "in" sè (noumeno) non è l'oggetto "per" me (fenomeno).
E con ciò liquidiamo il noumeno dal mondo sensibile e lo consegnamo al regno che gli compete delle astrazioni antropologiche. Teniamoci invece il fenomeno che è l'approdo umano all'esperienza sensibile. Degno di ontologicizzarsi in contesti in cui recita tutte le parti, comprese quelle metafisicamente e mitologicamente riservate alla "cosa in sè". Dei cui cultori comprendo l'imbarazzo, che non è scansabile declinandolo all'inconoscibile, ma piuttosto all'indefinibile, fantasma consegnato al tempo da un apeiron che rivela i suoi confini ontologici nell'ambito semantico del concetto. E da quella gabbia, fenomenologicamente metafisica seppur sublime, non può fuggire.
(1000 e non più 1000 ?....)
.
Citazione di: Ipazia il 01 Aprile 2019, 21:01:24 PM
Citazione da: tersite - 31 Marzo 2019, 19:09:43 pm
CitazionePerché il noumeno è l'ennesima immagine di dio. L'errore sta tutto lì, quando si scrive\pensa della "inconoscibiltà" si finisce "gravitazionalmente" attratti dal pianeta concettuale "dio".
Vorrei proprio sapere da dove nasce questo concetto di inconoscibilità se non come ricalco della "conoscenza perfetta" guarda caso appartenente a dio.
Infatti i postulanti di entrambi postulano lo stesso ente inconoscibile facendo ontologia laddove si dovrebbe fare soltanto gnosi. Gnosi dalla quale non li salva nemmeno l'escamotage concettualistico proposto da Lou perchè, fatti salvi i piani del discorso, chi venera la cosa in sè la considera un oggetto sensibile al pari di Dio e non si limita a concettualizzare nemmeno alla guisa del biscomunicato Spinoza.
(Questa é una reazione stizzita; non ho difficoltà ad ammetterlo, in quanto la ritengo giustificatissima).
Ma "chi vi autorizza" ad identificare (quali fondamenti mai avrebbe il farlo, oltre ad un mero pregiudizio arbitrario) il noumeno con Dio e addirittura ad attribuire ad esso una "venerazione" da parte di chi lo propone come ipotesi razionalmente esplicativa metafisica (e metapsichica; letteralmente "al di là dei fenomeni sia materiali che mentali)?
Metafisica =/ teologia !Questa è una vostra del tutto gratuita, arbitraria interpretazione del pensiero altrui.
Che per quel che riguarda me in particolare destituisco di ogni fondamento: la mia (ma in realtà non solo) concezione del noumeno non consente alcuno "sbandamento" interpretativo verso il soprannaturale, ma é invece perfettamente compatibile col naturalismo (e ovviamente l' ateismo) delle scienze naturali: non c'é proprio nulla di "personale", né men che meno di "provvidenziale" nel noumeno, che non ha nulla a che vedere nemmeno col deismo (figurarsi col teismo) ! ! !
Citazione di: Ipazia il 01 Aprile 2019, 22:49:44 PM
E con ciò liquidiamo il noumeno dal mondo sensibile e lo consegnamo al regno che gli compete delle astrazioni antropologiche. Teniamoci invece il fenomeno che è l'approdo umano all'esperienza sensibile. Degno di ontologicizzarsi in contesti in cui recita tutte le parti, comprese quelle metafisicamente e mitologicamente riservate alla "cosa in sè". Dei cui cultori comprendo l'imbarazzo, che non è scansabile declinandolo all'inconoscibile, ma piuttosto all'indefinibile, fantasma consegnato al tempo da un apeiron che rivela i suoi confini ontologici nell'ambito semantico del concetto. E da quella gabbia, fenomenologicamente metafisica seppur sublime, non può fuggire.
(1000 e non più 1000 ?....)
.
Innanzitutto non vedo quale imbarazzo ci sarebbe da parte mia di sostenitore del noumeno, che tu (allucinatoriamente) ti illudi di comprendere (conditio sine qua non di essere compreso essendo l' esistere-accadere).
Inoltre quello del noumeno (credo di poter dire anche per Kant e per la fenomenologia; da cui personalmente dissento) non é il "regno delle astrazioni antropologiche" (é ben diversa cosa dalle idee platoniche), bensì quello dell' ontologia (in particolare metafisica e metapsichica, in una parola metafenomenica).
Il "regno" dei fenomeni, dell' esperienza sensibile non ha alcun bisogno di "ontologizzarsi" essendo già di per sé "ontologico" (reale).
Piuttosto a mio parere "ha bisogno" di essere integrato (o meglio: noi si ha bisogno di integrarlo, nell' ambito della nostra ontologia) dal noumeno perché siano spiegate (perché si comprenda che cosa si intende quando le si pensa; o si crede di pensarle senza comprendere bene di che si parla) cose come la (indimostrabile ma indispensabile per la conoscenza scientifica) intersoggettività dei fenomeni materiali e i rapporti cervello-coscienza.
Quindi si tratta di un concetto ben sensato (con una connotazione o intensione logicamente coerente) di cui non é provabile (ma nemmeno é provabile che non ci sia) la denotazione o intensione reale (ma é utilissima a comprendere importantissimi aspetti della realtà).
Che l' esistenza reale del noumeno non sia provabile (logicamente o empiricamente) non mi sembra poi così grave: se dovessimo credere solo a ciò che é provabile (logicamente o empiricamente) non potremmo sortire dal solipsismo, ma nemmeno semplicemente dal più radicale scetticismo; e allora dovremmo considerare un "
fantasma consegnato al tempo da un apeiron che rivela i suoi confini ontologici nell'ambito semantico del concetto", chiuso in una "gabbia, fenomenologicamente [ ? ? ? ] metafisica seppur sublime", da cui "non può fuggire" (fra l' altro, anche) l' intera conoscenza scientifica: scusa se é poco!
Certo che il fenomeno è ontologico, ma riesce perfino a stimolare l'ontologia dell'immaginario umano che comprende, con marcate similitudini, la cosà in sè metafisica e quella divina. Entrambe, seguendo il principio di Ockham, inutili a capire il reale. Tralasciando quella divina, la cosa in sè metafisica è del tutto ontologicamente insensata in quanto tutto il reale che possiamo conoscere e scoprire si manifesta fenomenicamente. Nel fenomeno c'è tutto quello che serve per capire il mondo e trasformarlo. Postulare un'essenza indefinibile dietro il fenomeno è il solito trito trucco del mondo dietro il mondo: la primula rossa della metafisica. E della religione.
Citazione di: Ipazia il 01 Aprile 2019, 22:49:44 PM
E con ciò liquidiamo il noumeno dal mondo sensibile e lo consegnamo al regno che gli compete delle astrazioni antropologiche. Teniamoci invece il fenomeno che è l'approdo umano all'esperienza sensibile. Degno di ontologicizzarsi in contesti in cui recita tutte le parti, comprese quelle metafisicamente e mitologicamente riservate alla "cosa in sè". Dei cui cultori comprendo l'imbarazzo, che non è scansabile declinandolo all'inconoscibile, ma piuttosto all'indefinibile, fantasma consegnato al tempo da un apeiron che rivela i suoi confini ontologici nell'ambito semantico del concetto. E da quella gabbia, fenomenologicamente metafisica seppur sublime, non può fuggire.
(1000 e non più 1000 ?....)
.
Ci sono idee, come l'idea di libertà, di mondo etc. che non sono oggetti sensibili, non si trovano tra la frutta del mercato che si mangia o le stelle del cielo, non sono consumabili, utilizzabili, la cui misurabilità e conoscenza non sono date al nostro intelletto eppure è in virtù di questi ideali regolativi che si muove la domanda inesausta e ricorsiva di conoscenza, di scienza per scoprire cosa possiamo conoscere di poter conoscere, chi siamo e cosa siamo. E che si è fatta la storia. Quella di Kant è l'ennesima riproposizione, in chiave moderna, del conosci te stesso, in forma di possibilità. La filosofia trascendentale è una possibilità, nessuno è costretto.
Citazione di: Ipazia il 02 Aprile 2019, 17:34:51 PM
Certo che il fenomeno è ontologico, ma riesce perfino a stimolare l'ontologia dell'immaginario umano che comprende, con marcate similitudini, la cosà in sè metafisica e quella divina. Entrambe, seguendo il principio di Ockham, inutili a capire il reale.
Citazione
Dissento.
Per me (l' ho già argomentato troppe volte nel forum per farlo anche qui) il noumeno é utilissimo, anzi necessario a capre il reale.
Tralasciando quella divina, la cosa in sè metafisica è del tutto ontologicamente insensata in quanto tutto il reale che possiamo conoscere e scoprire si manifesta fenomenicamente. Nel fenomeno c'è tutto quello che serve per capire il mondo e trasformarlo. Postulare un'essenza indefinibile dietro il fenomeno è il solito trito trucco del mondo dietro il mondo: la primula rossa della metafisica. E della religione.
Citazione
Nemmeno per sogno!
Nemmeno di quanto si manifesta fenomenicamente del reale ed ecceda la mera constatazione immediata delle sensazioni coscienti immediatamente in atto si può avere certezza, conoscenza certa.
Ed il noumeno, per nulla "indefinito", é ipotizzato allo scopo di rendere comprensibile, sensato il modo fenomenico in quanto non immediatamente constatato all' effimero presente, ma conosciuto scientificamente.
Ripeto che se si rade, con Ockam, il noumeno, allora, per essere coerenti, si dovrebbe radere anche l' intera conoscenza scientifica, altrettanto (nè più né meno) indimostrabile.
Concordo Lou, e mi guardo bene dall'irriverire al filosofo di Königsberg, da cui le scienze umane hanno tratto un poderoso impulso verso molteplici lidi. Ma noi postumi l'illusione della cosa in sè ce la siamo lasciata dietro le spalle dopo che nemmeno le sacre tavole della legge materiale prodotte da Mendeleev ci hanno fatto toccare il fondo solido su cui essa pretende di abitare. Il noumeno resta ontologicamente racchiuso nella libera immaginazione umana, come stato dell'arte laddove un contesto fenomenologico raggiunga il suo scopo, la sua completezza. Come quello che ci permette di comunicare in questo momento. Oppure come l'Utopia prossima ventura. Entrambi sempre migliorabili.
Caro sgiombo sei tu, non la scienza, ad aver bisogno di posare i piedi sul fondo inesistente della cosa in sè. Alla scienza basta esercitare la sua azione demiurgica sulle cose per noi, fenomenicamente ricche ed abbondanti, creandone sempre di nuove, teoriche e pratiche.
-------> Ma "chi vi autorizza" ad identificare (quali fondamenti mai avrebbe il farlo, oltre ad un mero pregiudizio arbitrario) il noumeno con Dio e addirittura ad attribuire ad esso una "venerazione" da parte di chi lo propone come ipotesi razionalmente esplicativa metafisica (e metapsichica; letteralmente "al di là dei fenomeni sia materiali che mentali)?
Non l'ho fatto.
Io ho proposto che il concetto di inconoscibilità fosse modellato sulla conoscena perfetta posseduta da dio.
La questione del noumeno di kant nasce con la ragion pura e viene risolto nella ragione pratica in dio, e questo lo fa kant; il noumeno e la legge morale risolvono in dio. Critica pura, pratica e giudizio, liscia gassata o ferrarelle ? ;D
Poi c'è il noumeno come lo intendi tu e che a me in fin dei conti non da nessun fastidio perché più o meno so da dove parti, ma non è una cosa generale, è una cosa mia.
Non potrei contestarti l'uso\riadattamento\stravolgimento dei termini perché è una mia metodologia di pensiero abituale.
Non potrei nemmeno darti del "metafisico" perché io stesso manipolo\i e mi balocco\con concetti che con il reale hanno contatti meno che vaporosi.
Tutte le volte però che scrivi noumeno devi assumere la consapevolezza di trascinarti un orpello gravido di scorie, che prima o poi, tra un discorso e l'altro e tra i mille fraintendimenti della parola scritta emergeranno qua e la, ogni tanto.
A Paul11 (e ovviamente a chi interessa)
Beh, è chiarissima la radice stoica del concetto che ha Kant dell'"intuizione". Appunto per questo
direi che è chiarissima la radice empirista di tutta la teoria della conoscenza di Kant.
Però, ed è fondamentale, dicevo anche che in Kant questa radice "materialista" deve fare i conti
(conti, dicevo, non certo facili...) con il "cogito" cartesiano, in quanto questo "svela" (e per
me in maniera propriamente filosofica. cioè in maniera definitiva ed irrevocabile) che l'oggetto
immediato di conoscenza non è l'oggetto stesso, come per l'intuizionismo, ma l'idea.
Quindi concordo senz'altro nel ritenere fondamentale il capire su quale dominio il filosofo vuole
costruire la verità. Naturalmente Parmenide, e con lui Platone e tutto il "platonismo" fino ai
giorni nostri, costruisce la verità sull'idea, non sul sensibile (come afferma Parmenide: "la
ragione, non l'occhio, vede il vero"). E Kant cerca, è vero, di "mediare" fra questi due mondi
e fra la loro supposta incomunicabilità (con risultati che sono senz'altro discutibili, ma sicuramente
affascinanti - tantè che stiamo, dopo secoli, ancora a discuterne).
Ora, il noumeno è il principale "frutto" di questa mediazione fra mondi...
C'è chi, in maniera risibile, ritiene questo concetto (perchè di un concetto si tratta, cioè di una idea)
"ennesima immagine di Dio", quando invece esso è appunto il tentativo di rendere palese l'evidenza empirica
di un "altro dall'io" (che è empiricamente evidente, come ovvio) tenendo conto che questo "altro" passa
necessariamente dall'"io", cioè che questo altro è una idea DELL'io (questo perchè: "l'oggetto, in quanto
pensato, non è una realtà indipendente dal soggetto che la pensa").
E dunque no, il noumeno non può chiaramente essere dimostrato. Ma non lo può in quanto in esso sono due le
evidenze logiche che si contrappongono e si escludono, gettando così nel dubbio più radicale tutto cio che
noi supponiamo essere "conoscenza"...
Può allora essere "pensabile"? Sì, senz'altro, e lo può essere appunto per mezzo del "nous", dell'intelletto,
che arriva a comprendere la contraddizione di cui il noumeno è il frutto "tangibile".
saluti
Citazione di: tersite il 02 Aprile 2019, 18:45:01 PM
Io ho proposto che il concetto di inconoscibilità fosse modellato sulla conoscena perfetta posseduta da dio.
La questione del noumeno di kant nasce con la ragion pura e viene risolto nella ragione pratica in dio, e questo lo fa kant; il noumeno e la legge morale risolvono in dio. Critica pura, pratica e giudizio, liscia gassata o ferrarelle ? ;D
Ciao Tersite
Ma prego, continuiamo a far finta di non sapere che per Kant: "Dio non ha più realtà dell'idea che io abbia cento talleri in tasca"...
saluti
Citazione di: 0xdeadbeef il 31 Marzo 2019, 21:35:43 PMA Davintro Concordo senz'altro sull'affermazione che già il dire del noumeno che è inconoscibile presuppone un certo grado di conoscenza "positiva". Un pò come il socratico "sapere di non sapere", o il non essere, o nulla, che non è, insomma... Ma a me sembra che Kant fosse, se non del tutto, almeno in un certo qual modo consapevole di questo. E che anzi cercasse questa "positività", ma che questa gli sfuggisse come in realtà non può che sfuggire a chiunque la cerchi. Nella risposta #148 all'amico Paul11 affermo come Kant cerchi di ri-andare al concetto, di radice stoica, di "intuizione" ("l'intuizione è la rappresentazione quale sarebbe per la sua dipendenza dall' immediata presenza dell'oggetto"). Quindi quest'oggetto è presente, eccome, nella sua "noumenicità", ma deve fare i conti (e sono conti a parer mio inesorabili...) con il fondamento cartesiano del "cogito" (per me, come dico in quell'intervento, "punto di non ritorno"), che affermando l'idea come solo oggetto immediato di conoscenza esclude necessariamente la conoscenza "diretta" dell'oggetto. La teoria della conoscenza di Kant è la storia del tentativo (pressoché impossibile) di conciliare questi due opposti... A mio parere la Fenomenologia, come dire, la fa facile... Siccome un pensiero è pensiero di qualcosa, dice questa, allora...questo qualcosa è un oggetto e va inteso oggettivamente. Che è come dire: il pensiero di Dio, essendo Dio l'oggetto di questo pensiero, comporta l'esistenza oggettiva dello stesso. A me sembra somigli parecchio alla "prova ontologica" di S.Anselmo... saluti
non vedo l'intenzionalità come qualcosa che legittimerebbe la pretesa di esistenza dei propri oggetti, in quanto tali, come la prova ontologica (per quanto anch'io tempo fa mi ero accorto di una certa affinità tra le due impostazioni, ma non da estremizzare così). Va sempre considerato che l'evidenziazione dell'intenzionalità è frutto della messa in sospensione (riduzione eidetica) proprio del problema dell'esistenza delle cose di cui abbiamo fenomeni, cosicché non ha senso pensare che gli oggetti intenzionati siano necessariamente esistenti, proprio perché la loro qualifica di "esistenza" è ciò che è stato necessario mettere da parte per evidenziarli come termini degli atti intenzionali. Quindi non trovo valida l'associazione tra essenze fenomenologiche e essenze di tipo platonico, intese come Idee di per sé autosufficienti nella loro realtà separata dalle cose sensibili: in fenomenologia la distinzione tra piano essenzialistico ed esistenziale è basilare (il che non esclude che in un secondo momento anche il problema esistenziale non possa essere in un certo senso ripreso, in un certa ottica, per la quale la "ripulitura delle lenti" è già stata effettuata, chiarendo un livello di conoscenze, se si vuole, "astratto", ma atto a fondare ogni altro discorso)
Invece penso che il significato profondo dell'intenzionalità stia nel richiamo al riconoscimento di un legame di corrispondenza e adeguazione tra le varie tipologie di modalità soggettive di esperienza e apprensione (noesi) e varie tipologie di oggetti (noemi): ad ogni forma di atto intenzionale è correlata una certa forma di oggettività che, anche non associata a una effettiva esistenza, esprime un certo contenuto di un sapere da poter tematizzare in modo autonomo dagli altri, una certa "regione dell'essere", che va indagata con una propria metodologia, distinta da quelle atte a indagare gli altri contenuti, sulla base del tipo di intenzionalità soggettiva a cui è correlato: non si può indagare un oggetto sulla base di un punto di vista soggettivo diverso da quello che lo pone come suo contenuto intenzionale. Ed è l'infrazione di questo fondamentale principio a produrre l'errore kantiano: aver elaborato una critica che sulla base delle sue stesse conclusioni "solo il materiale dei sensi può essere contenuto di una scienza", non può legittimarsi essa stessa come "scienza". Per farlo si sarebbe dovuto riconoscere come materiale scientifico, accanto, e a maggior ragione, al contenuto intenzionato dai sensi, un contenuto intenzionato dalle intuizioni intellettuali su cui la critica deve necessariamente fondarsi. L'errore sta nel non aver considerato la correlazione soggetto-oggetto nell'intenzionalità, presumendo di poter applicare le pretese di scientificità di un punto di vista intelligibile e trascendentale "la critica", non all'oggetto corrispondente, il materiale delle intuizioni intellettuali, ma a un altro, quello fisico dei sensi, posto come l'unico possibile di una scienza, non seguendo la corretta correlazione
Citazione di: Ipazia il 02 Aprile 2019, 17:34:51 PM
Certo che il fenomeno è ontologico, ma riesce perfino a stimolare l'ontologia dell'immaginario umano che comprende, con marcate similitudini, la cosà in sè metafisica e quella divina. Entrambe, seguendo il principio di Ockham, inutili a capire il reale. Tralasciando quella divina, la cosa in sè metafisica è del tutto ontologicamente insensata in quanto tutto il reale che possiamo conoscere e scoprire si manifesta fenomenicamente. Nel fenomeno c'è tutto quello che serve per capire il mondo e trasformarlo. Postulare un'essenza indefinibile dietro il fenomeno è il solito trito trucco del mondo dietro il mondo: la primula rossa della metafisica. E della religione.
Ciao Ipazia
Stai ripetendo come una liturgia (e toglierei persino il "come"...) le stesse credenze (cioè gli stessi
articoli di fede) senza tener minimamente in conto i rilievi che ti sono stati fatti (e a cui non hai
risposto).
Vogliamo discutere quanto di G.d'Ockham sia presente in Kant? Vogliamo dire che la "metafisica" sorge
allorquando vengono ipotizzate realtà eterne NEL divenire "fisico"?
E che c'entra il noumeno?
saluti
Citazione di: 0xdeadbeef il 02 Aprile 2019, 19:44:53 PM
Ciao Tersite
Ma prego, continuiamo a far finta di non sapere che per Kant: "Dio non ha più realtà dell'idea che io abbia cento talleri in tasca"...
saluti
Io so quel che sta scritto nella critica della ragion pratica. E la dentro sta scritto che tutto viene fatto risalire a dio.
Non farlo rivoltare nella tomba il povero kant levandogli anche dio lui che già per il suo pietismo si è privato di tante cose. Non dio, kant.
p.s.: di kant al massimo discutono nei licei con il professore di filosofia, o dove si tratta di storia della filosofia. Non se ne può fare a meno. Finchè mi si dice: prova a sostituire alla parola anima\spirito la parola mente e allora si può anche fare, ma quando proprio ti dicono dio nel senso di dio, con cosa lo sostituitsco ?
Ha stabilito tre postulati persino
p.s.01:----> C'è chi, in maniera risibile, ritiene questo concetto
risibile...facciamo finta di niente o cosa? decidi tu.. ;D
Se prendo cappello e mi fisso su quel risibile cosa dovrei dire di chi dice facciamo finta che e ignora (o finge di non sapere) dei tre postulati kantiani ?
Vogliamo continuare? E se ignora allora perché dice risibile non possedendo la materia e se invece la possiede perché finge di ignorare i tre postulati? Domande e domande..tutto per un risibile..la filosofia è strana...
Citazione di: Ipazia il 02 Aprile 2019, 18:24:26 PM
Caro sgiombo sei tu, non la scienza, ad aver bisogno di posare i piedi sul fondo inesistente della cosa in sè. Alla scienza basta esercitare la sua azione demiurgica sulle cose per noi, fenomenicamente ricche ed abbondanti, creandone sempre di nuove, teoriche e pratiche.
Che la scienza limiti le sue ricerche e le sue conoscenze al mondo fenomenico materiale l' ho sempre saputo, detto e ripetuto, anche qui nel forum.
Ma anche che per parte mia (senza pretendere che anche altri siano obbligati a condividere i miei interessi; anche questo l' ho sempre puntualmente precisato in ogni occasione in cui parlavo della questione) la conoscenza scientifica non (mi) basta.
Il mio razionalismo radicale (che cerca di essere) del tutto conseguente fino in fondo (reiterazioni volute) non si accontenta delle verità scientifiche (acriticamente accettate), ma mi impone anche di criticare la conoscenza scientifica, analizzandone significato, limiti, condizioni di verità, ed inoltre di prendere in considerazione la realtà tutta (di coltivare non solo le scienze naturali ma anche l' ontologia filosofica; con annesse eventuali -e di fatto secondo me reali- ipotesi metafisiche e metapsichiche, metafenomeniche), ivi compresi i fenomeni mentali o di pensiero altrettanto reali di e non identificabili con, né riducibili a, né emergenti da, né sopravvenienti a i fenomeni materiali, nonché di cercare di spiegarmi la reale natura ciò che le scienze (e i presupposti indimostrabili delle scienze) mi dicono del mondo (la realtà in generale) e di me stesso.
P.S.: Condivido e apprezzo molto quanto brillantemente sostieni nella discussione sui fascismo - antifascismo, ma "in quest' altra sede" mi corre i' obbligo di precisare che i termini da te colà usati di "fenomeno" e "noumeno" (e aggettivi derivati) sono meramente metaforici.
Certo che sono metaforiche, perchè il noumeno è null'altro che una metafora della nostra ignoranza (e con ciò rispondo anche ad Ox). Erede dell'essenza/sostanza greca che sta dietro il fenomeno. Che io uso pure, ma storicizzandola e contestualizzandola. Ockham ci sta perchè ci invita a non appesantire il mondo con enti non necessari. Tra cui il noumeno. La scienza l'ha capito sui fenomeni materiali, vediamo di capirlo anche noi sui fenomeni trascendentali umani. Stabilendo degli storicamente validi centri di gravità provvisori (anche Descartes era arrivato a questa saggia conclusione esistenziale) a prova di relativismo etico, ma lasciando quelli permanenti ai cantanti e quelli assoluti agli ultimi mohicani della metafisica.
Citazione di: tersite il 02 Aprile 2019, 18:45:01 PM
-------> Ma "chi vi autorizza" ad identificare (quali fondamenti mai avrebbe il farlo, oltre ad un mero pregiudizio arbitrario) il noumeno con Dio e addirittura ad attribuire ad esso una "venerazione" da parte di chi lo propone come ipotesi razionalmente esplicativa metafisica (e metapsichica; letteralmente "al di là dei fenomeni sia materiali che mentali)?
Non l'ho fatto.
Citazione
E' vero.
Ti avevo accomunato nella mia risposta ad Ipazia (sempre brillantemente caustica; ma a volte indebitamente secondo me) che riprendeva, ma anche integrava di considerazioni solo sue, una tua precedente risposta, indebitamente "facendo indebitamente di tutte le erbe un fascio".
Io ho proposto che il concetto di inconoscibilità fosse modellato sulla conoscena perfetta posseduta da dio.
Citazione
Da questo dissento (almeno per parte mia, almeno deliberatamente consapevolmente; ma non solo, dato che non credo all' "inconscio freudiano").
La questione del noumeno di kant nasce con la ragion pura e viene risolto nella ragione pratica in dio, e questo lo fa kant; il noumeno e la legge morale risolvono in dio. Critica pura, pratica e giudizio, liscia gassata o ferrarelle ? ;D
Citazione
Mi conforta questa tua affermazione perché é quanto anche da me "sempre" affermato contro Oxdeadbeef).
Poi c'è il noumeno come lo intendi tu e che a me in fin dei conti non da nessun fastidio perché più o meno so da dove parti, ma non è una cosa generale, è una cosa mia.
Non potrei contestarti l'uso\riadattamento\stravolgimento dei termini perché è una mia metodologia di pensiero abituale.
Non potrei nemmeno darti del "metafisico" perché io stesso manipolo\i e mi balocco\con concetti che con il reale hanno contatti meno che vaporosi.
Tutte le volte però che scrivi noumeno devi assumere la consapevolezza di trascinarti un orpello gravido di scorie, che prima o poi, tra un discorso e l'altro e tra i mille fraintendimenti della parola scritta emergeranno qua e la, ogni tanto.
Citazione
Che il noumeno vada "trattato con cautela" sono d' accordo; ma non su una valutazione così negativa: la possibilità di qualche ("mille" mi sembrano un po' troppi) travisamento é sempre in agguato, anche per la storia alquanto "travagliata" del termine, ma credo sia sempre possibile (e neanche tanto difficile, a dire il vero) destreggiandosi con le armi della critica razionale.
Citazione di: Ipazia il 03 Aprile 2019, 09:27:49 AM
Certo che sono metaforiche, perchè il noumeno è null'altro che una metafora della nostra ignoranza (e con ciò rispondo anche ad Ox). Erede dell'essenza/sostanza greca che sta dietro il fenomeno. Che io uso pure, ma storicizzandola e contestualizzandola. Ockham ci sta perchè ci invita a non appesantire il mondo con enti non necessari. Tra cui il noumeno. La scienza l'ha capito sui fenomeni materiali, vediamo di capirlo anche noi sui fenomeni trascendentali umani. Stabilendo degli storicamente validi centri di gravità provvisori (anche Descartes era arrivato a questa saggia conclusione esistenziale) a prova di relativismo etico, ma lasciando quelli permanenti ai cantanti e quelli assoluti agli ultimi mohicani della metafisica.
Come letteralmente in natura prima del famigerato "test del DNA", anche in filosofia le filiazioni dei concetti sono molto discutibili: "mater semper certa..."
Non riconosco assolutamente il "mio" noumeno come figlio
dell'essenza/sostanza greca e men che meno di qualsiasi divinità soprannaturale comunque intesa (ma sono convintissimo anche che Platone e C,. si guarderebbero bene dal riconoscerne la paternità).Il rasoio di Ockam, correttamente inteso, impone di eliminare ipotesi inutili a spiegare alcunché di ciò che si crede reale ed immediatamente constatabile.E per parte mia ritengo il noumeno utilissimo a spiegare importanti questioni altrimenti incomprensibili.Ripeto che la scienza "fa il suo mestiere", e dunque si occupa unicamente di quella parte della realtà che é costituita dai fenomeni materiali.Ma che al mio razionalismo (che cerca di essere) conseguente fino in fondo non basta (senza pretendere ovviamente che la filosofia sia interesse obbligatorio anche di tutti gli altri).Ritengo le scienze umane (praticabilissime, come quelle naturali, da chi ha interessi anche filosofici non meno che da chi si limita ad accettare le conoscenze scientifiche -in generale; anche naturali- "a scatola chiusa") inevitabilmente ben diverse dalle scienze naturali (con ben minore grado di certezza e precisione) in quanto nella loro materia di studio giocano un ruolo fondamentale i fenomeni mentali privi di misurabilità quantitativa e di (e di cui non si può postulare la) intersoggettività, che sono le caratteristiche che consentono la "solidità" e sicurezza (e l' universale concordanza sulle sue teorie, almeno dopo adeguate sperimentazioni) propria delle scienze naturali.
Citazione di: 0xdeadbeef il 02 Aprile 2019, 19:44:53 PM
Ciao Tersite
Ma prego, continuiamo a far finta di non sapere che per Kant: "Dio non ha più realtà dell'idea che io abbia cento talleri in tasca"...
saluti
Non so se questa famosissima e citatissima affermazione di Kant di fatto sia contenuta nella Critica della ragion pura.
Ma resto convinto di avere studiato (sia pure solo indirettamente, con un professore di liceo che ritengo molto attendibile e su libri scolatici pure ragionevolmente degni di attendibilità) che per Kant Dio non é bensì dimostrabile (come parte del noumeno) nella Critica della ragion pura, ma é ben é creduto ed affermato esserlo (insieme all' immortalità dell' anima) nella Critica della ragion pratica.
In questo confortato da quanto sostenuto in questa discussione anche da Tersite (e forse, se ben ricordo, da Lou).
(Invece non posso che concordare con quanto affermato nell' immediatamente precedente intervento #176).
Citazione di: davintro il 02 Aprile 2019, 19:54:36 PM
L'errore sta nel non aver considerato la correlazione soggetto-oggetto nell'intenzionalità, presumendo di poter applicare le pretese di scientificità di un punto di vista intelligibile e trascendentale "la critica", non all'oggetto corrispondente, il materiale delle intuizioni intellettuali, ma a un altro, quello fisico dei sensi, posto come l'unico possibile di una scienza, non seguendo la corretta correlazione
Di tutto questo intervento #178, che pur espresso in un linguaggio (fenomenologico?) che non sono sicuro di comprendere correttamente mi sembrerebbe almeno in gran parte condivisibile*, questa affermazione mi sembra sostenere che non colga la realtà effettiva della scienza (in senso stretto o forte: le "scienze naturali"), il materiale di ricerca e di conoscenza della quale é costituito proprio dai fenomeni "fisici dei sensi" e non da fantomatiche "intuizioni intellettuali" non empiricamente verificabili-falsificabili.
______________________
* Ma non la dimostrabilità o indubiltabilità di
"un legame di corrispondenza e adeguazione tra le varie tipologie di modalità soggettive di esperienza e apprensione (noesi) e varie tipologie di oggetti (noemi)"; che io intendo (ma potrei clamorosamente sbagliarmi) come l' intersoggettività dei fenomeni materiali, la quale a mio parere é ipotizzabile razionalmente e credibile solo arbitrariamente, letteralmente "per fede".
Correzione dell' osservazione finale nella discussione#183
Che il noumeno vada "trattato con cautela" sono d' accordo; ma non su una valutazione così negativa: la possibilità di qualche ("mille" mi sembrano un po' troppi) travisamento é sempre in agguato, anche per la storia alquanto "travagliata" del termine, ma credo sia sempre possibile (e neanche tanto difficile, a dire il vero) fronteggiare adeguatamente e superare questo pericolo destreggiandosi con le armi della critica razionale.
Citazione di: davintro il 02 Aprile 2019, 19:54:36 PM
non vedo l'intenzionalità come qualcosa che legittimerebbe la pretesa di esistenza dei propri oggetti, in quanto tali, come la prova ontologica (per quanto anch'io tempo fa mi ero accorto di una certa affinità tra le due impostazioni, ma non da estremizzare così). Va sempre considerato che l'evidenziazione dell'intenzionalità è frutto della messa in sospensione (riduzione eidetica) proprio del problema dell'esistenza delle cose di cui abbiamo fenomeni, cosicché non ha senso pensare che gli oggetti intenzionati siano necessariamente esistenti, proprio perché la loro qualifica di "esistenza" è ciò che è stato necessario mettere da parte per evidenziarli come termini degli atti intenzionali. Quindi non trovo valida l'associazione tra essenze fenomenologiche e essenze di tipo platonico, intese come Idee di per sé autosufficienti nella loro realtà separata dalle cose sensibili: in fenomenologia la distinzione tra piano essenzialistico ed esistenziale è basilare (il che non esclude che in un secondo momento anche il problema esistenziale non possa essere in un certo senso ripreso, in un certa ottica, per la quale la "ripulitura delle lenti" è già stata effettuata, chiarendo un livello di conoscenze, se si vuole, "astratto", ma atto a fondare ogni altro discorso)
Invece penso che il significato profondo dell'intenzionalità stia nel richiamo al riconoscimento di un legame di corrispondenza e adeguazione tra le varie tipologie di modalità soggettive di esperienza e apprensione (noesi) e varie tipologie di oggetti (noemi): ad ogni forma di atto intenzionale è correlata una certa forma di oggettività che, anche non associata a una effettiva esistenza, esprime un certo contenuto di un sapere da poter tematizzare in modo autonomo dagli altri, una certa "regione dell'essere", che va indagata con una propria metodologia, distinta da quelle atte a indagare gli altri contenuti, sulla base del tipo di intenzionalità soggettiva a cui è correlato: non si può indagare un oggetto sulla base di un punto di vista soggettivo diverso da quello che lo pone come suo contenuto intenzionale. Ed è l'infrazione di questo fondamentale principio a produrre l'errore kantiano: aver elaborato una critica che sulla base delle sue stesse conclusioni "solo il materiale dei sensi può essere contenuto di una scienza", non può legittimarsi essa stessa come "scienza". Per farlo si sarebbe dovuto riconoscere come materiale scientifico, accanto, e a maggior ragione, al contenuto intenzionato dai sensi, un contenuto intenzionato dalle intuizioni intellettuali su cui la critica deve necessariamente fondarsi. L'errore sta nel non aver considerato la correlazione soggetto-oggetto nell'intenzionalità, presumendo di poter applicare le pretese di scientificità di un punto di vista intelligibile e trascendentale "la critica", non all'oggetto corrispondente, il materiale delle intuizioni intellettuali, ma a un altro, quello fisico dei sensi, posto come l'unico possibile di una scienza, non seguendo la corretta correlazione
rispondo anche a Mauro(Oxdeadbeef)
perchè è molto simile l'argomentazione.
L'esposizione di Davintro è "quasi"(ma il quasi è solo un eufemismo) perfetta.
L'empirismo di Hume aveva già posto l'indimostrabilità della causazione ,tanto da già porre una "sospensione di giudizio"(epochè).
Questa sospensione di giudizio la ritroviamo anche nella fenomenologia e intanto Kant pone anche un "noumeno".
Cosa significa tutto questo? La consapevolezza del limite umano in termini di conoscenza"perfetta" non solo delle cose del mondo, ma anche di se stesso.Oggi, quì e ora, non c'è stato un passo avanti rispetto alla sospensione di giudizio, ma solo "aggiramenti".
La stessa scienza sperimentale se ben si riflette sulle argomentazioni dagli empiristi alla fenomenologia non ha nessun abase di certezza ontologica.
Oggi ,come ieri, siamo appunto ancora a chiederci della realtà in-sè, ma non solo, siamo a chiederci di DIMOSTRARE, la coscienza, l'anima, lo spirito, la psiche, la ragione, l'intuizione, l'intenzionalità, il ragionamento, vale a dire tutti argomenti delle scienze attuali neurologiche e cognitive.Si è indagato formalmente con la logica da Frege in poi, con Pierce nella semiologia, con Wittgenstein nel linguaggio , per arrivare a cosa?...a relativizzare.
Il noumeno kantiano sta all'epochè prima di Hume e dopo con Husserl.
Allora significa che la prospettiva soggettivistica a partire da un IO, dal cogito cartesiano, dall' io penso kantiano, ha prodotto appunto una stasi fra l'epochè e il noumeno.
Nell'antichità greca erano abbastanza chiari i punti di riferimento che erano le ontologie, in cui l'uomo si "muoveva".
Dell'uomo, indagato "psicologicamente" quasi niente, se non attraverso la dialogia e con le argomentazioni.
Era l'ontologia che dava la prospettiva esistenziale.
Nella modernità avviene il processo inverso. E' il punto di vista dell'osservatore senza più riferimento ontologici che attraverso i propri strumenti sensoriali e cognitivi (sensi e mente) definisce e dichiara le relazioni con il mondo, innanzitutto fisico-naturale.
Il processo viene incentrato sulla gnoseologia(epistemologia sarà poi il termine utilizzato), senza o pochissima ontologia.
L'uomo si accorge, detto succintamente, di essere inadeguato a dare risposte ontologiche, neppure sulla fisica-natura.
La fenomenologia è la presa d'atto che è la "coscienza",nemmeno i sensi che ci "tradiscono",a rappresentare il mondo a interpretarlo, dove il pensiero non esaurisce mai la realtà. L'ntenzionalità trascendentale(ecco un altro termine ricorrente) è l"aggancio" fra dominio fisico e pensiero ,ma in un piano di "sospensione di giudizio".
Sono d'accordo con Davintro: se la mente ha necessità di trascendere la realtà prelevando dal dominio fisico gli oggetti , il processo successivo è il trascendere il dominio mentale in quello ontologico,che manca totalmente.Ed è questa mancanza che ha relativizzato il pensiero. L'inadeguatezza umana, ha costruito l'incertezza del pensiero , ma che paradossalmente ha permesso alle prassi di andare oltre alla teoretica.
Citazione di: paul11 il 03 Aprile 2019, 14:37:33 PM
Si è indagato formalmente con la logica da Frege in poi, con Pierce nella semiologia, con Wittgenstein nel linguaggio , per arrivare a cosa?...a relativizzare.
Fuori da ogni polemica, davvero, come fosse un foglio appiccicato da qualche parte e non un mio post, ma solo due cose.
1-Il pensiero non si è fermato a Wittgenstein, il "primato" è passato alla francia negli ultimi cinquanta anni. Sono stati seriamente fatti i conti con questo dato di fatto ?
2-
Citazione di: paul11 il 03 Aprile 2019, 14:37:33 PM
L'inadeguatezza umana, ha costruito l'incertezza del pensiero , ma che paradossalmente ha permesso alle prassi di andare oltre alla teoretica.
Inadeguatezza.... ; siamo di nuovo nei demoni dell'in in-adeguatezza, in-conoscibilità, in-conscio e tutte queste limitazioni sempre ritornanti.
Sono proprio i territori che i francesi han zappato nell ultimo cinquantennio.
Citazione di: tersite il 02 Aprile 2019, 20:36:34 PM
Io so quel che sta scritto nella critica della ragion pratica. E la dentro sta scritto che tutto viene fatto risalire a dio.
A Tersite e Sgiombo
Si sta con ogni evidenza discutendo della teoria della conoscenza, non di quella della morale (nella
quale Kant, come dicevo in un altro post, la pensa come Dostoevskij - "se Dio non esiste, allora tutto
è lecito"). Quindi la Ragion Pratica non c'entra nulla (ammettevo infatti qualche intervento addietro,
in risposta a Davintro o a Paul, che vi è un Kant un forte "stacco" fra la Ragion Pura e quella Pratica).
Non credo ci sia bisogno di aggiungere altro.
saluti
Citazione di: 0xdeadbeef il 03 Aprile 2019, 17:04:39 PM
Quindi la Ragion Pratica non c'entra nulla (ammettevo infatti qualche intervento addietro,
in risposta a Davintro o a Paul, che vi è un Kant un forte "stacco" fra la Ragion Pura e quella Pratica).
Non credo ci sia bisogno di aggiungere altro.
saluti
Quindi è lecito prendere a prestito affermazioni scollegate dall'intero pensiero di un filosofo ed appicicarle qua e la secondo la convenienza ?
Non abbiamo ancora affrontato il postulato dell'esistenza dell'anima e di dio tra le altre cose e come questi postulati nutrano l'esistenza ed il pensiero del povero corpo di kant.
Citazione di: 0xdeadbeef il 03 Aprile 2019, 17:04:39 PM
A Tersite e Sgiombo
Si sta con ogni evidenza discutendo della teoria della conoscenza, non di quella della morale (nella
quale Kant, come dicevo in un altro post, la pensa come Dostoevskij - "se Dio non esiste, allora tutto
è lecito"). Quindi la Ragion Pratica non c'entra nulla (ammettevo infatti qualche intervento addietro,
in risposta a Davintro o a Paul, che vi è un Kant un forte "stacco" fra la Ragion Pura e quella Pratica).
Non credo ci sia bisogno di aggiungere altro.
saluti
E' inutile che la giri e rigiri e che tiri in ballo sempre la solita falsa pretesa da te per davvero continuamente
ripetuta come una liturgia (e toglierei persino il "come"...), la stessa credenza (cioè lo stesso articolo di fede) senza tener minimamente in conto i rilievi che ti sono stati fatti (e a cui non hai mai risposto), secondo cui
"se Dio non esiste, allora tutto è lecito".Resta il fatto che la Critica della ragion pratica é di Kant non meno della Critica della ragion pura e che Kant nella Critica della ragion pratica afferma convintamente, inequivocabilmente che Dio esiste (fa parte del noumeno).Per davvero non credo che ci sia bisogno di aggiungere altro.
Citazione di: sgiombo il 03 Aprile 2019, 17:51:16 PM
E' inutile che la giri e rigiri e che tiri in ballo sempre la solita falsa pretesa da te per davvero continuamente ripetuta come una liturgia (e toglierei persino il "come"...), la stessa credenza (cioè lo stesso articolo di fede) senza tener minimamente in conto i rilievi che ti sono stati fatti (e a cui non hai mai risposto), secondo cui
"se Dio non esiste, allora tutto è lecito".
Resta il fatto che la Critica della ragion pratica é di Kant non meno della Critica della ragion pura e che Kant nella Critica della ragion pratica afferma convintamente, inequivocabilmente che Dio esiste (fa parte del noumeno).
Per davvero non credo che ci sia bisogno di aggiungere altro.
Scusami sgiombo, la posizione kantiana sull'esistenza di dio è agnostica. Non c'è dimostrazione nè indimostrazione in Kant dell'esistenza di dio (anzi semmaisi assiste a una decostruzione delle prove e dimostrazioni a suo carico) poichè manca, come ogni idea trascendentale, di una fondazione fattuale, sebbene dal punto di vista concettuale sia possibile, alla stregua del noumeno. Poi c'è da dire che in un certo qualmodo rientra dalla finestra, tuttavia il Kant epistemologo è e non può essere altrimenti che agnostico in merito all'esistenza di dio.
Citazione di: tersite il 03 Aprile 2019, 16:38:36 PM
Fuori da ogni polemica, davvero, come fosse un foglio appiccicato da qualche parte e non un mio post, ma solo due cose.
1-Il pensiero non si è fermato a Wittgenstein, il "primato" è passato alla francia negli ultimi cinquanta anni. Sono stati seriamente fatti i conti con questo dato di fatto ?
2-
Inadeguatezza.... ; siamo di nuovo nei demoni dell'in in-adeguatezza, in-conoscibilità, in-conscio e tutte queste limitazioni sempre ritornanti.
Sono proprio i territori che i francesi han zappato nell ultimo cinquantennio.
...e chi sarebbero? Lo strutturalismo di levy Strauss, l'esistenzialismo di Sartre, il decostruzionismo di Deridda, Foucoult, Deleuze?
Oltre Wittegenstain c'è tutta l'analitica sul linguaggio: parole, parole, parole..........
Tutti pensatori anche con ottimi intuiti, nulla di costrutto tale da rappresentare un Kant, un Husserl, per non parlare degli antichi...
Ci sono Guattari, Benjamin e a noi contemporanei la filosfia politica di Agamben, Zizek....ma non hanno "forza" nonstante abbiano
ottimi spunti.
Prova a dire la tua?
Citazione di: Lou il 03 Aprile 2019, 18:29:36 PM
Scusami sgiombo, la posizione kantiana sull'esistenza di dio è agnostica. Non c'è dimostrazione in Kant dell'esistenza di dio (anzi semmaisi assiste a una decostruzione delle prove e dimostrazioni a suo carico), è indimostrabile poichè manca, come ogni idea trascendentale, di una fondazione fattuale, sebbene dal punto di vista concettuale sia possibile, alla stregua del noumeno. Poi c'è da dire che in un certo qualmodo rientra dalla finestra, tuttavia il Kant epistemologo è e non può essere altrimenti che agnostico in merito all'esistenza di dio.
ha perfettamente ragione Lou, per le ragioni metodologiche che ha scelto Kant e che non bisogna mai dimenticare se si vuole studiarlo.
E' agnostico per l'indimostrabilità di Dio, avendo scelto che il luogo veritativo che lo possa giustificare è il mondo fattuale e questo risponde in primo luogo ai sensi percettivi.
...e se non vedo e non sento....Dio non c'è.
Il presupposto su cui Kant ha costruito la sua filosofia era "scientificizzare la filosofia" e la scienza ha scelto il mondo dei fatti, non delle idee seguendo il dettame empirista.
Il secolo che ci apprestiamo a vivere sarà di deleuze.
Non ricordo chi lo ha detto ma se serve uno schieramento di campo - per quanto ridicolo possa essere, adesso che ho esplicitato l'appartenenza parlare di schieramento di campo e quanto sia grottesco all'interno della sua "ottica" - è quello.
Ma insisto, trovo la mia affermazione veramente ridicola e la fornisco per altrui uso, chiarezza, consumo ed esigenza.
Sempre a disposizione di chiunque,
suo tersite.
;D
Citazione di: tersite il 03 Aprile 2019, 17:48:35 PM
Quindi è lecito prendere a prestito affermazioni scollegate dall'intero pensiero di un filosofo ed appicicarle qua e la secondo la convenienza ?
Non abbiamo ancora affrontato il postulato dell'esistenza dell'anima e di dio tra le altre cose e come questi postulati nutrano l'esistenza ed il pensiero del povero corpo di kant.
Ciao Tersite
Scusami la franchezza, ma hai capito che si sta parlando della teoria della conoscenza?
saluti
Citazione di: paul11 il 03 Aprile 2019, 18:35:02 PM
...e chi sarebbero? Lo strutturalismo di levy Strauss, l'esistenzialismo di Sartre, il decostruzionismo di Deridda, Foucoult, Deleuze?
Oltre Wittegenstain c'è tutta l'analitica sul linguaggio: parole, parole, parole..........
Tutti pensatori anche con ottimi intuiti, nulla di costrutto tale da rappresentare un Kant, un Husserl, per non parlare degli antichi...
Ci sono Guattari, Benjamin e a noi contemporanei la filosfia politica di Agamben, Zizek....ma non hanno "forza" nonstante abbiano
ottimi spunti.
Prova a dire la tua?
Provo a dire la mia più diffusamente, non posso ritrarmi a precise richieste del resto, sarebbe amorale.
Se viene richiesta la "mia" è chiaro che la "mia" si riferisca alle affermazioni che hai fatto tu non certo la mia inutile visione del mondo.
Inanzitutto abbiamo una chiara valutazione della filosofia degli ultimi cinquant'anni.
Do per scontata conoscenza ed approfondimento ( non imposto mai la discussione sul piano accademico o pretesco-se non richiesto laddove devo citare le fonti- e quindi non te ne chiedo dimostrazione).
Quindi chiedo conto solo dei termini che hai usato che mi sembra il minimo per una discussione.
Tu parli di non avere "forza". Quindi assumo non abbiano forza e vengo dietro alla tua assunzione. E qui iniziano i problemi.
Se non hanno "forza" dire che hanno ottimi spunti che senso restituisce ?
Quello che intendo io è questo :
" dall'alto della mia conoscenza filosofica posso concedervi il beneficio del dubbio, alla luce della mia salda conoscenza, e non fosse salda la mia lo è quella della scuola a cui mi sono assegnato, affermo che non avete "forza" ma avete "ottimi spunti,
perché e per come non siete ancora in grado di capirlo, perché non avete ancora il mio grado di conoscenza o della mia scuola, ma prima o poi lo capirete.
Questa è la "mia".
Citazione di: 0xdeadbeef il 03 Aprile 2019, 19:14:09 PM
Ciao Tersite
Scusami la franchezza, ma hai capito che si sta parlando della teoria della conoscenza?
saluti
Ma sono io che ti ringrazio soprattutto per la franchezza.
Fosse sempre così accettata come viene distribuita il mondo filosofico sarebbe molto più vicino ad un mondo ideale che ad una cosa molliccia di tipo cartesiano.
Si ho capito che si sta trattando della teoria della conoscenza.
Sono anche disposto a rispondere alle successive trenta domande (in maniera succinta ed esaustiva) aspettando che nel corso delle tue argomentazioni mi infili di nuovo dio o qualche altra solfa idealistica, una volta con gentile, una volta con kant, una volta con agostino sino ad esaurimento, secondo i consueti metodi teologici a cui si ispirano i tuoi metodi argomentativi.
<<chiedo venia sgiombo ho fatto un caos con i pulsanti e non riesco ancora a ripristinare l'inserimento originale tuo, lo riporto.>>
***
Post di sgiombo:
Citazione di: Lou il 03 Aprile 2019, 18:29:36 PM
Scusami sgiombo, la posizione kantiana sull'esistenza di dio è agnostica. Non c'è dimostrazione nè indimostrazione in Kant dell'esistenza di dio (anzi semmaisi assiste a una decostruzione delle prove e dimostrazioni a suo carico) poichè manca, come ogni idea trascendentale, di una fondazione fattuale, sebbene dal punto di vista concettuale sia possibile, alla stregua del noumeno. Poi c'è da dire che in un certo qualmodo rientra dalla finestra, tuttavia il Kant epistemologo è e non può essere altrimenti che agnostico in merito all'esistenza di dio.
Appunto: "
Poi c'è da dire che in un certo qualmodo rientra dalla finestra".A me interessa Kant "in toto", non solo il Kant della critica della ragion pura (non vedo perché mai il resto che ha scritto, che non é poco, debba essere ignorato: non lo avrebbe pubblicato se non lo avesse ritenuto suo pensiero al 100% esattamente come quello della Critica della ragion pura)."Agnostico" significa "che si astiene dal pronunciarsi, che sospende il giudizio", e non "che
Non dà dimostrazione nè indimostrazione": si può credere anche senza dimostrare.Risposta che rivolgo anche a Paul11:Citazioneha perfettamente ragione Lou, per le ragioni metodologiche che ha scelto Kant e che non bisogna mai dimenticare se si vuole studiarlo.
E' agnostico per l'indimostrabilità di Dio, avendo scelto che il luogo veritativo che lo possa giustificare è il mondo fattuale e questo risponde in primo luogo ai sensi percettivi.
...e se non vedo e non sento....Dio non c'è.
Il presupposto su cui Kant ha costruito la sua filosofia era "scientificizzare la filosofia" e la scienza ha scelto il mondo dei fatti, non delle idee seguendo il dettame empirista.
Citazione di: tersite il 03 Aprile 2019, 19:36:12 PM
Provo a dire la mia più diffusamente, non posso ritrarmi a precise richieste del resto, sarebbe amorale.
Se viene richiesta la "mia" è chiaro che la "mia" si riferisca alle affermazioni che hai fatto tu non certo la mia inutile visione del mondo.
Inanzitutto abbiamo una chiara valutazione della filosofia degli ultimi cinquant'anni.
Do per scontata conoscenza ed approfondimento ( non imposto mai la discussione sul piano accademico o pretesco-se non richiesto laddove devo citare le fonti- e quindi non te ne chiedo dimostrazione).
Quindi chiedo conto solo dei termini che hai usato che mi sembra il minimo per una discussione.
Tu parli di non avere "forza". Quindi assumo non abbiano forza e vengo dietro alla tua assunzione. E qui iniziano i problemi.
Se non hanno "forza" dire che hanno ottimi spunti che senso restituisce ?
Quello che intendo io è questo :
" dall'alto della mia conoscenza filosofica posso concedervi il beneficio del dubbio, alla luce della mia salda conoscenza, e non fosse salda la mia lo è quella della scuola a cui mi sono assegnato, affermo che non avete "forza" ma avete "ottimi spunti,
perché e per come non siete ancora in grado di capirlo, perché non avete ancora il mio grado di conoscenza o della mia scuola, ma prima o poi lo capirete.
Questa è la "mia".
siamo tutti utili o inutili,,,,,,,dipende.
Questo forum, almeno da quando vi sono presente, purtroppo non ha mai analizzato parecchi filosofi o argomenti più specifici e meno generici. Deleuze, mi pare di capire ti interessa.Apri una discussione, un topic, e per quel che mi riguarda ti seguirò volentieri così come è avvenuto con questa discussione aperto sul pensiero di Levinas,ebreo francese.
Dal basso del mio analfabetismo , vedo singole vite correre spasmodicamente, dove vanno non lo sanno......
Sgiombo,
ci sarebbe voluto, a mio parere, una discussione solo su Kant per entrare su tuttei testi "critici".E' chiaro che Kant abbia voluto iniziare dalla teoria, passare alla pratica e infine al giudizio,seguendo un ordine.Penso che se già la teoria abbia problemi, la pratica spesso non li risolve, semmai li esalta.
Il mio personale parere, come da sempre espresso, è che nessuna morale ed etica possa essere fondata sull'uomo o sulla gnoseologia,
ha necessità di un vincolo ontologico che è solo possibile trascendendo il pensiero umano, e a suo modo, Levinas tenta di farlo.
Citazione di: paul11 il 03 Aprile 2019, 22:04:27 PM
siamo tutti utili o inutili,,,,,,,dipende.
Questo forum, almeno da quando vi sono presente, purtroppo non ha mai analizzato parecchi filosofi o argomenti più specifici e meno generici. Deleuze, mi pare di capire ti interessa.Apri una discussione, un topic, e per quel che mi riguarda ti seguirò volentieri così come è avvenuto con questa discussione aperto sul pensiero di Levinas,ebreo francese.
A me non importa nulla di deleuze, hai chiesto quali sono le mie preferenze filosofiche ed io te le ho esposte; tra le altre cose aprissi un topic su di lui verrebbe a tirarmi per i piedi ogni notte.
La questione era su levinas (perché poi specificare ebreo francese? nel caso fosse stato un inglese protestante non sarebbe stato uguale il suo peso? che c'entra ebreo francese...a meno che tu non ti riferissi all'influsso che la decennale ruminazione talmudica potesse aver avuto su il suo pensiero ma questo era un argomento che mi sarei riservato per dopo...) e su come il suo concetto di altro fosse pesantemente influenzato dal concetto di dio.
Deleuze era la solita fastidiosa deviazione dal discorso
Sgiombo scrive:
"Di tutto questo intervento #178, che pur espresso in un linguaggio (fenomenologico?) che non sono sicuro di comprendere correttamente mi sembrerebbe almeno in gran parte condivisibile*, questa affermazione mi sembra sostenere che non colga la realtà effettiva della scienza (in senso stretto o forte: le "scienze naturali"), il materiale di ricerca e di conoscenza della quale é costituito proprio dai fenomeni "fisici dei sensi" e non da fantomatiche "intuizioni intellettuali" non empiricamente verificabili-falsificabili.
______________________
* Ma non la dimostrabilità o indubiltabilità di "un legame di corrispondenza e adeguazione tra le varie tipologie di modalità soggettive di esperienza e apprensione (noesi) e varie tipologie di oggetti (noemi)"; che io intendo (ma potrei clamorosamente sbagliarmi) come l' intersoggettività dei fenomeni materiali, la quale a mio parere é ipotizzabile razionalmente e credibile solo arbitrariamente, letteralmente "per fede"."
Il punto fondamentale, secondo me, è che la possibilità per una critica mirante, come quella di Kant, a individuare le condizioni fondamentali di una scienza, nonché, connesso a ciò, a delimitarne le possibilità di applicazione, presuppone, perché la critica sia a sua volta "scientifica", di utilizzare strumenti, tra cui il contenuto di conoscenze, che non siano gli stessi delle scienze che essa intende sottoporre a indagine. Il semplice motivo è la necessità di evitare un evidente circolo vizioso argomentativo per il quale si presume di poter continuare a utilizzare la stessa metodologia e contenuto, quelle delle scienze naturali, basate sulla verificazione empirica e sul contenuto fisico appreso dai sensi, per riconoscere i loro limiti e possibili, insomma per mettere in discussione le loro pretese conoscitive. Appare evidente come sia assurdo pensare che, restando nello stesso punto di vista delle scienze naturali, sia possibile riconoscerne i limiti alle loro pretese di validità, esse resterebbero la premessa dogmatica della loro stessa "critica", che in questo modo verrebbe impossibilitata a poterle trascendere, riconoscendo i loro limiti, e le condizioni trascendentali, cioè intelligibili, della loro validità. Cioè, ogni riconoscimento di un limite nei confronti di un ambito scientifico, presuppone che si riconosca "materialmente", cioè come contenuto, la presenza di un altro ambito che trascende il primo, che proprio in quanto lo trascende, lo limita, e che questa trascendenza sia indagabile a sua volta scientificamente, sulla base di una propria peculiare metodologia correlata a un peculiare contenuto. Ecco perché, non solo la critica kantiana, ma ogni epistemologia è una branca della filosofia, cioè esiste una "filosofia della scienza", ma non una "scienza della filosofia": l'epistemologo lavora sulla base di un punto di vista che non può essere lo stesso a cui restano interne le scienze che sottopone a critica, e per forza di cosa dovrà considerare il proprio punto di vista come "scientifico" in un senso diverso, e più fondamentale delle scienze messe in discussione, se, come Kant, ritenesse che l'unico materiale scientificamente indagabile fosse quello sensibile su cui lavorano le scienze naturali, come potrebbe SCIENTIFICAMENTE, mettere in discussione le pretese di validità di quelle scienze? Che bisogno ci sarebbe? Essendo le scienze naturali le uniche scienze possibili, non dovrebbero, né potrebbero, richiedere di essere valutate e fondate da una riflessione scientifica ulteriore rispetto ad esse, ma semmai solo da dogmi di tipo religioso. Paradossalmente, l'identificazione kantiana della scientificità tout court con le scienze naturali, finisce per il relegare la sua critica, come ogni possibile epistemologia, a dogmatismo
Citazione di: paul11 il 03 Aprile 2019, 22:04:27 PM
Sgiombo,
ci sarebbe voluto, a mio parere, una discussione solo su Kant per entrare su tuttei testi "critici".E' chiaro che Kant abbia voluto iniziare dalla teoria, passare alla pratica e infine al giudizio,seguendo un ordine.Penso che se già la teoria abbia problemi, la pratica spesso non li risolve, semmai li esalta.
Il mio personale parere, come da sempre espresso, è che nessuna morale ed etica possa essere fondata sull'uomo o sulla gnoseologia,
ha necessità di un vincolo ontologico che è solo possibile trascendendo il pensiero umano, e a suo modo, Levinas tenta di farlo.
Con Hume, che a quanto mi risulta per primo l' ha rilevato, credo che nessuna morale ed etica possa essere fondata sulla gnoseologia o sulla ontologia, che possono dirci come conoscere come stanno le cose e come stanno le cose rispettivamente, ma non come le cose dovrebbero stare (non ho capito bene se é quanto anche tu sostieni parlando di "uomo e gnoseologia" come impossibili fondamenti).
Ma contro Levinas credo che trascendendo il pensiero umano non si possa raggiungere nulla di certo (si possono e secondo me si devono fare ipotesi antologiche; ma l' etica non può essere "ipotetica", deve necessariamente avere un fondamento certo: non si può proporsi di agire "forse bene, forse male", anche talora se può anche capitare di non riuscire a superare dubbi e incertezze sulle scelte giuste).Ma d' altra parte credo che i fondamenti dell' etica siano di fatto riscontrabili empiricamente nelle tendenze comportamemntali proprie di tutti gli uomini, in parte universalissime e congenite e immutabili in tempio storici (conseguenti l' evoluzione biologica), in parte più o meno particolari, acquisite con l' esperienza, culturalmente condizionate, storicamente transeunti.
Citazione di: paul11 il 03 Aprile 2019, 22:04:27 PM
Il mio personale parere, come da sempre espresso, è che nessuna morale ed etica possa essere fondata sull'uomo o sulla gnoseologia, ha necessità di un vincolo ontologico che è solo possibile trascendendo il pensiero umano, e a suo modo, Levinas tenta di farlo.
E che altro può fare l'animale umano una volta diventato sapiens se non fondare sulla conoscenza, sulla gnosi, tutto il suo universo sensibile e trascendentale, sottoponendo la gnosi ad un secondo grado di giudizio epistemologico ?
Quale vincolo ontologico che trascenda il pensiero umano è possibile una volta che la critica all'ontologia metafisica, di cui Kant e il suo noumeno sono ancora aldiqua, ci arriva già matura fin dalla notte dei tempi filosofici: non ci bagnamo mai il piede nello stesso fiume ?
E oggi sappiamo che non solo il fiume cambia, ma pure il piede. E pure il pensiero del suo detentore.
Doppiamo accontentarci di un'
ontologia fisica che nel divenire cristallizzi ambiti di costanza che sappiano superare di molto nel tempo l'esperienza sensibile e pensante del singolo individuo umano, e in base a ciò permettano di costruire ontologie fisiche - e metafisiche etico/morali - ragionevolmente persistenti e affidabili. Ma non assolute. Però scalari nelle tabelle dei valori che siamo sempre noi a darci, ma molto poco arbitrariamente proprio per i vincoli "empirici" cui siamo sottoposti. (La contraddizione è molto più creativa di Nulla e Tutto, e procede per congiunzioni avversative)
Abbiamo scelto la gnosi e l'empiria perchè non avevamo altra scelta. Ma questa scelta obbligata è anche il terreno in cui possiamo esprimere la
libertà della nostra capacità creativa. L'universo antropologico in cui siamo immersi, nel differenziale rispetto al mondo naturale da cui siamo emersi, ne è la dimostrazione; aldiqua, aldilà e ben dentro il bene e il male, che possiamo manipolare producendo ethos soltanto attraverso la gnosi. In alternativa al sogno, s'intende. Perchè legittimo è anche pensare che siamo fatti della stessa sostanza dei sogni. Compresi quelli di Dio. Ma dopo un po', fosse pure per volgari ragioni corporali, ci accorgiamo che i sogni non bastano per vivere. E filosofare.
@sgiombo
CitazioneA me interessa Kant "in toto", non solo il Kant della critica della ragion pura (non vedo perché mai il resto che ha scritto, che non é poco, debba essere ignorato: non lo avrebbe pubblicato se non lo avesse ritenuto suo pensiero al 100% esattamente come quello della Critica della ragion pura).
"Agnostico" significa "che si astiene dal pronunciarsi, che sospende il giudizio", e non "che Non dà dimostrazione nè indimostrazione": si può credere anche senza dimostrare.
Due mie puntualizzazioni:
- sul primo punto, a mio parere non deve essere ignorato che sia la critica della ragion pura che la critica alla ragion pratica che del giudizio sono opere che trovano nello stesso terreno il fondamento metodologico aperto dalla critica della ragion pura. Non dico che il resto che ha scritto debba essere ignorato, dico che non si ha da ignorare il terreno comune prima indicato da cui le critiche successive alla pura dipendono. Detto ciò tutto Kant certo non si esaurisce alle tre critiche, tuttavia direi che sono l'elaborazione pregnante e caratterizzante la rivoluzione copernicana operata in ambito filosofico da Kant
- sul secondo punto, concordo con la tua precisazione, sono stata poco precisa, tuttavia mi pareva un tantino azzardato fare di Kant il propugnatore dell'esistenza di dio. Nei confronti del concetto di dio la svolta operata da Kant è radicale, la ragione si pone dei problemi che trascendono l'esperienza, e dio è uno di questi concetti. Inconoscibile e non esperibile alla stregua di una sedia, ma pensabile è un concetto che in Kant avrebbe una funzione di ideale regolativo.
Citazione di: davintro il 03 Aprile 2019, 23:57:27 PM
... Ecco perché, non solo la critica kantiana, ma ogni epistemologia è una branca della filosofia, cioè esiste una "filosofia della scienza", ma non una "scienza della filosofia": l'epistemologo lavora sulla base di un punto di vista che non può essere lo stesso a cui restano interne le scienze che sottopone a critica, e per forza di cosa dovrà considerare il proprio punto di vista come "scientifico" in un senso diverso, e più fondamentale delle scienze messe in discussione, se, come Kant, ritenesse che l'unico materiale scientificamente indagabile fosse quello sensibile su cui lavorano le scienze naturali, come potrebbe SCIENTIFICAMENTE, mettere in discussione le pretese di validità di quelle scienze? Che bisogno ci sarebbe? Essendo le scienze naturali le uniche scienze possibili, non dovrebbero, né potrebbero, richiedere di essere valutate e fondate da una riflessione scientifica ulteriore rispetto ad esse, ma semmai solo da dogmi di tipo religioso. Paradossalmente, l'identificazione kantiana della scientificità tout court con le scienze naturali, finisce per il relegare la sua critica, come ogni possibile epistemologia, a dogmatismo
L'argomento è spinoso. Un tempo la scienza veniva definita
filosofia naturale e tutto il sapere "superiore" si connetteva alla filosofia. Col risultato di medici che ne sapevano meno dei barbieri-chirurghi e musici che ne sapevano meno degli strumentisti. Oggi siamo in presenza del fenomeno opposto che confluisce nello scientismo. Però che vi siano dei comuni denominatori in ogni forma di sapere è difficile da confutare e persino da applicare perchè il ragionamento logico è uno solo: quello umano. Tant'è che oggi è impossibile fare epistemologia senza una laurea in materie scientifiche, o comunque un'approfondita conoscenza delle teorie scientifche, tutt'altro che di facile comprensione, su cui si applica il proprio metodo, qualunque esso sia, di indagine epistemologica.
Inoltre mi pare che trattando epistemologicamente pure la filosofia ci si sia liberati, da Kant in poi, dal dogmatismo metafisico non meno ingombrante di quello scientista. Se devo dare il mio cent di contributo punterei l'epistemologia sulla figura dello scienziato-filosofo, che mi pare stia emergendo già di suo dal tumultuoso amalgama del sapere.
Risposta a Davintro (#203)
Sono perfettamente d' accordo che la critica della scienza non può essere a sua volta scientifica (nemmeno con le virgolette): si cadrebbe in un circolo vizioso, nell'utilizzo di strumenti, tra cui il contenuto di conoscenze, che non siano gli stessi delle scienze che essa intende sottoporre a indagine.
Ma criticare la scienza non vuol dire fondare la scienza, bensì individuarne i fondamenti e valutarli criticamente, sottoporli a verifica razionale, evidenziandone significato autentico, limiti e condizioni di validità.
Questo consente e implica certamente ipotesi e ragionamenti astratti (e anche l' uso di giudizi analitici a priori); ma non la sostituzione dei fondamenti empirici della scienza con arbitrarie verità (pretese) sintetiche a priori (come mi sembrava da te sostenuto nel passo del tuo intervento #178 in questa discussione da me criticato).
Dissento dall' affermazione che "ogni riconoscimento di un limite nei confronti di un ambito scientifico, presuppone che si riconosca "materialmente", cioè come contenuto, la presenza di un altro ambito che trascende il primo, che proprio in quanto lo trascende, lo limita, e che questa trascendenza sia indagabile a sua volta scientificamente, sulla base di una propria peculiare metodologia correlata a un peculiare contenuto".
Infatti riconoscere i limiti (che non sono necessariamente né esclusivamente spaziali) della conoscenza scientifica non implica affatto necessariamente che esista un' altro ambito della realtà che trascende i fenomeni materiali (anche se credo empiricamente rilevabile -e dunque provata altrettanto di quella fisica - materiale-anche la presenza reale dell' ambito fenomenico mentale non riducibile a quello materiale; e che sia proponibile a scopo esplicativo-ermeneutico e ragionevolmente credibile l' esistenza di un ambito in sé o noumeno; ma non in conseguenza necessaria del solo rilievo dei limiti della conoscenza scientifica).
Peraltro questa potrebbe sembrare questione di lana caprina, un dissenso un po' cervellotico; in realtà il mio dissenso era soprattutto dalla tesi da te sostenuta (almeno così mi pare) che la conoscenza scientifica abbia criteri veritativi diversi dalla constatazione empirica (integrata con, e valutata applicandovi postulati indimostrabili e non empiricamente verificabili come la verità dell' induzione e la intersoggettività dei fenomeni materiali; i quali sono astratte "conditiones sine qua non preliminari", per così dire, e non i "dati reali concreti" che le scienze vanno indagando e da cui vanno cercando conferme alle teorie; ovviamente presupponendo necessariamente tali necessari postulati preliminari).
Ma nei termini suddetti anch' io credo che "non solo la critica kantiana, ma ogni epistemologia è una branca della filosofia, cioè esiste una "filosofia della scienza", ma non una "scienza della filosofia": l'epistemologo lavora sulla base di un punto di vista che non può essere lo stesso a cui restano interne le scienze che sottopone a critica, e per forza di cosa dovrà considerare il proprio punto di vista come "scientifico" in un senso diverso, e più fondamentale delle scienze messe in discussione".
Peraltro mi pare (ma la mia conoscenza del konigsbegese é molto limitata ed elementare) che considersse per l' appunto "il proprio punto di vista come "scientifico" in un senso diverso, e più fondamentale delle scienze messe in discussione"; cioè che il concetto di "scientificità" da lui usato (per esempio intitolando i Prolegomeni ad ogni metafisica futura che intenda presentarsi come scienza; per la cronaca l' unica sua opera che ho letto, ma in anni remotissimi) mi sembra da intendersi non letteralmente ma piuttosto come sinonimo di "razionalità", di "impiego di fondamenti critici razionali"; mi sembra che lui stesso effettivamente critichi filosoficamente e non scientificamente la conoscenza scientifica (in maniera da me solo in modesta parte condivisa, per la mera cronica).
Ma secondo me non é per niente Paradossale, ma invece corretta, l'identificazione kantiana della scientificità tout court [scientificità in senso stretto o forte, per l' appunto non quello delle cosiddette "scienze umane" ma invece delle scienze naturali] con le scienze naturali; e non essendo la sua critica gnoseologica condotta con i medesimi criteri della scienza stessa che ne sono oggetto, non finisce per il relegare la sua critica a dogmatismo" (il che non significa che personalmente la condivida, se non in parte.
Ma in che senso "ogni possibile epistemologia" sarebbe "dogmatica"?
Forse (e allora sarei d' accordo) attribuendo al concetto di "epistemologia" il significato di "gnoseologia scientifica" anziché "filosofica", ovvero condotta con i criteri e gli strumenti conoscitivi stessi che sono propri di quel campo della conoscenza (includente, oltre al senso comune, la scienza) che si proporrebbe di criticare, assumendoli acriticamente?
In conclusione non mi é più ben chiaro in cosa concordiamo (certamente sulla necessità di una critica razionale non scientifica della conoscenza scientifica) e in cosa dissentiamo (probabilmente nella valutazione della gnoseologia kantiana come correttamente intesa o meno non in quanto scienza ma in quanto -fra l' altro- critica razionale della scienza; al di là dei concreti risultati conseguiti. E sulla limitabilità o meno della scientificità in senso stretto della conoscenza a quella dei fenomeni materiali).
Citazione di: Ipazia il 04 Aprile 2019, 09:52:08 AM
E che altro può fare l'animale umano una volta diventato sapiens se non fondare sulla conoscenza, sulla gnosi, tutto il suo universo sensibile e trascendentale, sottoponendo la gnosi ad un secondo grado di giudizio epistemologico ?
Quale vincolo ontologico che trascenda il pensiero umano è possibile una volta che la critica all'ontologia metafisica, di cui Kant e il suo noumeno sono ancora aldiqua, ci arriva già matura fin dalla notte dei tempi filosofici: non ci bagnamo mai il piede nello stesso fiume ?
Citazione
Come ho risposto poco fa a Davintro, ritengo quella di Kant (pur non condividendola che in parte) una critica razionale della gnoseologia, e (giustamente a mio parere) non una critica del' ontologia metafisica (intenzionalmente e correttamente Kant se ne sta ben al di qua, respingendo la presuntuosa pretesa che si tratti di qualcosa di "già matura [insindacabile, definitiva] fin dalla notte dei tempi filosofici").
E oggi sappiamo che non solo il fiume cambia, ma pure il piede. E pure il pensiero del suo detentore.
Doppiamo accontentarci di un'ontologia fisica che nel divenire cristallizzi ambiti di costanza che sappiano superare di molto nel tempo l'esperienza sensibile e pensante del singolo individuo umano, e in base a ciò permettano di costruire ontologie fisiche - e metafisiche etico/morali - ragionevolmente persistenti e affidabili. Ma non assolute. Però scalari nelle tabelle dei valori che siamo sempre noi a darci, ma molto poco arbitrariamente proprio per i vincoli "empirici" cui siamo sottoposti. (La contraddizione è molto più creativa di Nulla e Tutto, e procede per congiunzioni avversative)
Citazione
Per fortuna non siamo condannati ad accontentarci di un' ontologia unicamente fisica (che ci impedirebbe di accedere alla conoscenza di quella enorme e importantissima parte della realtà -anch' essa fenomenica- che constatiamo -empiricamente- che é rappresentata dai fenomeni mentali; anche se a proposito di essi ci dobbiamo accontentare del fatto che non sono postulabili essere intersoggettivi né misurabili e dunque del fatto che la conoscenza che ne possiamo ottenere non é propriamente scientifica; al massimo lo può essere "in senso lato o debole": materialismo storico, forse psicologia individuale, etica, estetica...).
Ti pregherei di spiegare cosa intendi per "gnosi": conoscenza (razionalmente fondata?) in generale o altro?
Citazione di: Lou il 04 Aprile 2019, 10:12:00 AM
@sgiombo
mi pareva un tantino azzardato fare di Kant il propugnatore dell'esistenza di dio. Nei confronti del concetto di dio la svolta operata da Kant è radicale, la ragione si pone dei problemi che trascendono l'esperienza, e dio è uno di questi concetti. Inconoscibile e non esperibile alla stregua di una sedia, ma pensabile è un concetto che in Kant avrebbe una funzione di ideale regolativo.
Concordo che Kant non sia un "
propugnatore" a dell'esistenza di dio particolarmente impegnato a sostenerla (ma comunque un credente in essa: non é per lui esperibile né conoscibile alla stregua di una sedia, ma non per questo meno reale di essa).
Citazione di: Ipazia il 04 Aprile 2019, 10:48:01 AM
Però che vi siano dei comuni denominatori in ogni forma di sapere è difficile da confutare e persino da applicare perchè il ragionamento logico è uno solo: quello umano. Tant'è che oggi è impossibile fare epistemologia senza una laurea in materie scientifiche, o comunque un'approfondita conoscenza delle teorie scientifche, tutt'altro che di facile comprensione, su cui si applica il proprio metodo, qualunque esso sia, di indagine epistemologica.
Citazione
Che ovviamente vi siano dei comuni denominatori comuni (razionalistici, logici) in ogni forma di sapere non lo nega nessuno.
Ma non é da confondersi con il metodo scientifico come preteso unico strumento di conoscenza (scientismo).
La conoscenza scientifica é utilissima ali filosofi, indispensabile per fare dell' epistemologia, ma non basta;
e però "epistemologia" (critica della conoscenza scientifica) =/= "gnoseologia" (critica della conoscenza in generale;
e inoltre, altrettanto ovviamente (direi tautologicamente) per criticare razionalmente la conoscenza scientifica, valutarne e nei limiti del possibile fondarne la verità (per fare dell' epistemologia) necessariamente non si possono dare aprioristicamente per scontati (assumere acriticamente) i rispettivi metodi.
Inoltre mi pare che trattando epistemologicamente pure la filosofia ci si sia liberati, da Kant in poi, dal dogmatismo metafisico non meno ingombrante di quello scientista. Se devo dare il mio cent di contributo punterei l'epistemologia sulla figura dello scienziato-filosofo, che mi pare stia emergendo già di suo dal tumultuoso amalgama del sapere.
Citazione
"Trattare epistemologicamente (pure) la filosofia" non mi é ben chiaro cosa possa significare (sottoporre a critica razionale invece sì).
Ma certamente, poiché l' epistemologia é critica della conoscenza scientifica, onde non cadere in un illogicissimo circolo vizioso, non si può "trattare scientificamente" la filosofia (in particolare l' epistemologia): significherebbe dare per scontato -in quanto vero- ciò che si tratta di criticare e (auspicabilmente, nei limiti del possibile) fondare, dimostrare vero.
@ davintro
mi hai fatto inscemire per dieci minuti....poi mi sono reso conto che ti\mi era sfuggito un errore di battuta. Al posto della virgola ci va il punto e virgola tra discussione e se.
-----> ma non una "scienza della filosofia": l'epistemologo lavora sulla base di un punto di vista che non può essere lo stesso a cui restano interne le scienze che sottopone a critica, e per forza di cosa dovrà considerare il proprio punto di vista come "scientifico" in un senso diverso, e più fondamentale delle scienze messe in discussione, se, come Kant, ritenesse che l'unico materiale scientificamente indagabile fosse quello sensibile su cui lavorano le scienze naturali, come potrebbe SCIENTIFICAMENTE, mettere in discussione
Citazione di: sgiombo il 04 Aprile 2019, 11:29:17 AM
Concordo che Kant non sia un "propugnatore" a dell'esistenza di dio particolarmente impegnato a sostenerla (ma comunque un credente in essa: non é per lui esperibile né conoscibile alla stregua di una sedia, ma non per questo meno reale di essa).
Non è un propugnatore dell'esistenza di dio perchè non può farlo, non può asserire che "dio è esistente" poichè l'esistenza, come è elaborata nella CRP, è un dato sintetico perciò si rende necessario uscire dal concetto e andare a vedere.
In merito all'esistenza di dio, la posizione kantiana sarebbe corretta in questi termini: qualcosa che esiste è dio, se esiste.
Citazione di: sgiombo il 04 Aprile 2019, 09:47:50 AM
Con Hume, che a quanto mi risulta per primo l' ha rilevato, credo che nessuna morale ed etica possa essere fondata sulla gnoseologia o sulla ontologia, che possono dirci come conoscere come stanno le cose e come stanno le cose rispettivamente, ma non come le cose dovrebbero stare (non ho capito bene se é quanto anche tu sostieni parlando di "uomo e gnoseologia" come impossibili fondamenti).
Ma contro Levinas credo che trascendendo il pensiero umano non si possa raggiungere nulla di certo (si possono e secondo me si devono fare ipotesi antologiche; ma l' etica non può essere "ipotetica", deve necessariamente avere un fondamento certo: non si può proporsi di agire "forse bene, forse male", anche talora se può anche capitare di non riuscire a superare dubbi e incertezze sulle scelte giuste).
Ma d' altra parte credo che i fondamenti dell' etica siano di fatto riscontrabili empiricamente nelle tendenze comportamemntali proprie di tutti gli uomini, in parte universalissime e congenite e immutabili in tempio storici (conseguenti l' evoluzione biologica), in parte più o meno particolari, acquisite con l' esperienza, culturalmente condizionate, storicamente transeunti.
...e ti risulta che Hume credesse ad una "buona morale", basata sul "buon uomo di natura"? A me risulta tutt'altro .
I fondamenti di un etica incentrata sull'uomo è falsa. In filosofia politica, per rimanere nella modernità, basta studiarsi tutto il dibattito sul pensiero giusnaturalista o diritto di natura, superato dallo storicismo con Hegel.
Ti risulta che Marx traendo la dialettica da Hegel "pacificamente" possa il proletariato vincere contro il capitale?
Laddove non esiste una cultura ontologica che possa limitare l'uomo, lo fa la legge umana istituzionale basata sulle convenzioni e sulle sanzioni non traggono origini certamente dal buonismo comportamentale umano.
Levinas fa l'errore di non costruire un'ontologia che possa sorreggere la sua bellissima argomentazione.
Se per lui l'Essere può essere nulla e la verità nascondimento, ognuno del mondo vede e vive secondo la sua pancia,detto in maniera molto schietta.
Citazione di: Ipazia il 04 Aprile 2019, 09:52:08 AM
E che altro può fare l'animale umano una volta diventato sapiens se non fondare sulla conoscenza, sulla gnosi, tutto il suo universo sensibile e trascendentale, sottoponendo la gnosi ad un secondo grado di giudizio epistemologico ?
Quale vincolo ontologico che trascenda il pensiero umano è possibile una volta che la critica all'ontologia metafisica, di cui Kant e il suo noumeno sono ancora aldiqua, ci arriva già matura fin dalla notte dei tempi filosofici: non ci bagnamo mai il piede nello stesso fiume ?
E oggi sappiamo che non solo il fiume cambia, ma pure il piede. E pure il pensiero del suo detentore.
Doppiamo accontentarci di un'ontologia fisica che nel divenire cristallizzi ambiti di costanza che sappiano superare di molto nel tempo l'esperienza sensibile e pensante del singolo individuo umano, e in base a ciò permettano di costruire ontologie fisiche - e metafisiche etico/morali - ragionevolmente persistenti e affidabili. Ma non assolute. Però scalari nelle tabelle dei valori che siamo sempre noi a darci, ma molto poco arbitrariamente proprio per i vincoli "empirici" cui siamo sottoposti. (La contraddizione è molto più creativa di Nulla e Tutto, e procede per congiunzioni avversative)
Abbiamo scelto la gnosi e l'empiria perchè non avevamo altra scelta. Ma questa scelta obbligata è anche il terreno in cui possiamo esprimere la libertà della nostra capacità creativa. L'universo antropologico in cui siamo immersi, nel differenziale rispetto al mondo naturale da cui siamo emersi, ne è la dimostrazione; aldiqua, aldilà e ben dentro il bene e il male, che possiamo manipolare producendo ethos soltanto attraverso la gnosi. In alternativa al sogno, s'intende. Perchè legittimo è anche pensare che siamo fatti della stessa sostanza dei sogni. Compresi quelli di Dio. Ma dopo un po', fosse pure per volgari ragioni corporali, ci accorgiamo che i sogni non bastano per vivere. E filosofare.
Non la penso così .
Sostengo che l'attuale cultura si è chiusa in un baratro, e solo una diversa cultura che tenga conto, anche
(e non solo) di una nuova metafisica potrà salvare anche l'umanità
Se riduci l'uomo ad animale, è fatta:togligli anche le "sembianze" divine e avrai una "cosa" che perderà anche la dignità di essere e senza questo non ci saranno valori morali che stiano in piedi, è solo la forza prepotente, l'arroganza che vince e vincerà.
L'uomo le scelte le ha da sempre.Il problema non è la contraddizione, il problema è non avere più nessun parametro di riferimento per dichiarare se un qualcosa è vero o falso, è giusto o sbagliato, e pensare che le scienze possano sostituire la necessità ontologica di una verità non opinabile e quindi incontrovertibile.
La fenomenologia, per rimanere in argomento , è infatti costruita sulle contraddizioni costruttive, ma non avendo un'ontologia, si avvita su se stessa. Quando Heidegger dichiarò la celebre frase che ci vorrebbe un Dio per salvarci e che la filosfia era morta, è la constatazione senza illusioni moderniste della inadeguatezza e ingenuità umana di pensare di costruire verità storiche relative e costruire le teorie scientifiche sulla fallibilità epistemologica. La contraddizione insomma è ritenere che i fondativi non sono fondativi, sono diventati "virtuali" e che l'episteme che è la verità sia fondata invece sulla falsità fallibile, vale a dire tutto diventa opinione e relativismo.
Il problema non è solo teorico o filosofico, non vogliamo ancora capire che le pratiche sociali e le istituzioni moderne sono anch'esse fondate (anzi in-fondate) su questa fallibile cultura e lo verifichiamo ormai ovunque. E' la prepotenza, l'arroganza, la forza a determinare la storia e le condizioni umane in cui sguazziamo e hanno addirittura l'alibi culturale che almeno un tempo non avevano. Oggi nemmeno il deterrente culturale può fermare la prevalenza del cretino perché anche l'indignazione popolare non ha più sostenitori culturali, tutti in balia del nulla.
Identificare l'etica col buonismo non rende nessun servizio all'etica. L'etica è soluzione provvisoria di conflitti di interessi. Il livello di civiltà si misura nella capacità di mediazioni pacifiche di tali conflitti, ma non sempre ciò è possibile. Comunque ammettiamo che il progresso etico, almeno a livello ideale, marci in quella direzione. Il fondamento di tale processo non può essere che umano, per chi non crede nei numi. Quindi non c'è via d'uscita nè ontologica (anche l'etica costituisce i suoi enti razionali), nè gnoseologica alternativa all'umano per fondare un'etica, qualunque essa sia.
I fondativi non sono virtuali perchè saldamente ancorati alla physis che determina la vita umana e che ci rende tutti uguali non di fronte a Dio, ma di fronte alla natura. Che non è certo un fondamento assolutamente intangibile, ma è ben più solido dei sogni divini. Cosa che Heidegger, e tutti i nostalgici di trascendenze extraumane, non sanno capire. Anche la prevalenza del cretino è negata dalla natura, che premia sempre il più idoneo. Per quanto nell'universo antropologico si dia anche quella possibilità, che nessun nume, ma solo l'uomo medesimo, indubbiamente animale ma trascendentale al pari del divino che si è inventato, può correggere.
.
Citazione di: Lou il 04 Aprile 2019, 12:15:54 PM
Non è un propugnatore dell'esistenza di dio perchè non può farlo, non può asserire che "dio è esistente" poichè l'esistenza, come è elaborata nella CRP, è un dato sintetico perciò si rende necessario uscire dal concetto e andare a vedere.
In merito all'esistenza di dio, la posizione kantiana sarebbe corretta in questi termini: qualcosa che esiste è dio, se esiste.
Devo sempre fare i conti con la mia limitatissima e temporalmente lontana conoscenza di Kant, ma mi sembra che nessun dubbio sussista (in particolare nella Critica della ragion pratica.
Citazione di: paul11 il 04 Aprile 2019, 13:39:26 PM
CitazioneCitazione da: sgiombo - Oggi alle 09:47:50
CitazioneCon Hume, che a quanto mi risulta per primo l' ha rilevato, credo che nessuna morale ed etica possa essere fondata sulla gnoseologia o sulla ontologia, che possono dirci come conoscere come stanno le cose e come stanno le cose rispettivamente, ma non come le cose dovrebbero stare (non ho capito bene se é quanto anche tu sostieni parlando di "uomo e gnoseologia" come impossibili fondamenti).
Ma contro Levinas credo che trascendendo il pensiero umano non si possa raggiungere nulla di certo (si possono e secondo me si devono fare ipotesi antologiche; ma l' etica non può essere "ipotetica", deve necessariamente avere un fondamento certo: non si può proporsi di agire "forse bene, forse male", anche talora se può anche capitare di non riuscire a superare dubbi e incertezze sulle scelte giuste).
Ma d' altra parte credo che i fondamenti dell' etica siano di fatto riscontrabili empiricamente nelle tendenze comportamemntali proprie di tutti gli uomini, in parte universalissime e congenite e immutabili in tempio storici (conseguenti l' evoluzione biologica), in parte più o meno particolari, acquisite con l' esperienza, culturalmente condizionate, storicamente transeunti.
...e ti risulta che Hume credesse ad una "buona morale", basata sul "buon uomo di natura"? A me risulta tutt'altro .
I fondamenti di un etica incentrata sull'uomo è falsa. In filosofia politica, per rimanere nella modernità, basta studiarsi tutto il dibattito sul pensiero giusnaturalista o diritto di natura, superato dallo storicismo con Hegel.
Ti risulta che Marx traendo la dialettica da Hegel "pacificamente" possa il proletariato vincere contro il capitale?
Laddove non esiste una cultura ontologica che possa limitare l'uomo, lo fa la legge umana istituzionale basata sulle convenzioni e sulle sanzioni non traggono origini certamente dal buonismo comportamentale umano.
Levinas fa l'errore di non costruire un'ontologia che possa sorreggere la sua bellissima argomentazione.
Se per lui l'Essere può essere nulla e la verità nascondimento, ognuno del mondo vede e vive secondo la sua pancia,detto in maniera molto schietta.
na cultura ontologica che potesse limitare l'uomo"). La legge e le coercizioni istituzionali non sostituiscono l' etica ma fino a un certo punto, entro certi limiti (obiezione di coscienza!) le si affiancano complementarmente.Spero che a questo punto non emulerai Oxdeadbeef nella reiterazione senza fine delle tue convinzioni contrarie alle mie: non siamo d' accordo, ma non é che risultano corrette e vere le tesi di chi di noi le espone per ultimo, altrimenti dovremmo passare il resto della vita a fare dei copia-incolla di noi stessi...).Sono dispostissimo a confrontarmi su argomenti (di volta in volta nuovi), non affatto, ma proprio per niente, a ripetere all' infinito le mie tesi contrapposte alla ripetizione all' infinito delle vostre.Come ben sapeva Hume (mi dispiace per te), né Levinas né nessun altro potrebbe argomentare razionalmente circa il "dover essere" o "dover fare" (fondamentale, etico, non strumentale; sui fini, ma casomai solo sui mezzi dell' agire), che semplicemente si avverte in conseguenza dell' evoluzione biologica (natura) modulata dalla storia (cultura).L essere non può essere il nulla (non mi sarei mai aspettato di fare il verso a Parmenide!), e indipendentemente da questo "le pance" degli uomini (per restare nella metafora) non presentano "appetiti e golosità" universali, tali che "l' uno vale l' altro".
CitazioneProvo a inviare la prima parte della risposta a Paul11 (il computer non ne vole sapere).
Sì, mi risulta che Hume credesse in un' etica naturalistica della simpatia e reciproca benevolenza umana.
L' etica non può essere più o meno vera o falsa perché propone in "dover essere" (o dover fare")" e non redica alcun "essere" (casomai può essere più o meno universalistica, più o meno rigorosa...).
Conseguentemente non può avere fondamenti epistemici, ma ha una realtà di fatto. ben spiegabile (e non fondabile, non dimostrabile) dalla biologia scientifica.
MI rsulta che per Marx la storia finora svoltasi e tutt' ora svolgentesi é una storia i lotte di classe (senza alcun problema per l' esistenza reale di fatto dell' etica, nei suoi aspetti biologici, "naturalistici", universalistici e immutabili in tempi storici e in quelli socialmente condizionato, relativamente più particolaristici, e variabili; senza alcun problema almeno per come intendo il marxismo io personalmente; so bene che c' chi lo interpreta diversamente a questo proposito).
Il comportamento umano é etico e non "buonistico" (se non in alcuni deprecabilissimi casi di ipocrisia che costituiscono comportamenti antietici, violazioni dell' etica; come ce ne sono sempre state, anche quando per tutti o quasi "Dio era vico e vegeto" nell' ambito di "
una cultura ontologica che potesse limitare l' uomo".
La legge e le coercizioni istituzionali non sostituiscono l' etica ma fino a un certo punto, entro certi limiti (obiezione di coscienza!) le si affiancano complementarmente.
Spero che a questo punto non emulerai Oxdeadbeef nella reiterazione senza fine delle tue convinzioni contrarie alle mie: non siamo d' accordo, ma non é che risultano corrette e vere le tesi di chi di noi le espone per ultimo, altrimenti dovremmo passare il resto della vita a fare dei copia-incolla di noi stessi...).
Sono dispostissimo a confrontarmi su argomenti (di volta in volta nuovi), non affatto, ma proprio per niente, a ripetere all' infinito le mie tesi contrapposte alla ripetizione all' infinito delle vostre.
Come ben sapeva Hume (mi dispiace per te), né Levinas né nessun altro potrebbe argomentare razionalmente circa il "dover essere" o "dover fare" (fondamentale, etico, non strumentale; sui fini, ma casomai solo sui mezzi dell' agire), che semplicemente si avverte in conseguenza dell' evoluzione biologica (natura) modulata dalla storia (cultura).
L essere non può essere il nulla (non mi sarei mai aspettato di fare il verso a Parmenide!), e indipendentemente da questo "le pance" degli uomini (per restare nella metafora) non presentano "appetiti e golosità" universali, tali che "l' uno vale l' altro".
Citazione
Mannaggia, che fatica!
Questa é la risposta completa.La precedente ignoratela (sarebbe meglio che i moderatori la eliminassero).
Citazione di: paul11 il 04 Aprile 2019, 14:33:38 PM
Se riduci l'uomo ad animale,
Citazione
L'uomo avrà comunque sempre qualche
parametro di riferimento per dichiarare se un qualcosa è giusto o sbagliato,
Citazione
Buono o cattivo.
Il problema non è solo teorico o filosofico, non vogliamo ancora capire che le pratiche sociali e le istituzioni moderne sono anch'esse fondate (anzi in-fondate) su questa fallibile cultura e lo verifichiamo ormai ovunque. E' la prepotenza, l'arroganza, la forza a determinare la storia e le condizioni umane in cui sguazziamo e hanno addirittura l'alibi culturale che almeno un tempo non avevano. Oggi nemmeno il deterrente culturale può fermare la prevalenza del cretino perché anche l'indignazione popolare non ha più sostenitori culturali, tutti in balia del nulla.
Citazione
Diagnosi che ritengo eccessivamente pessimista.
E che comunque secondo me nella limitata misura in cui é corretta riflette le conseguenze sovrastrutturali dell' attuale situazione di persistente dominio di rapporti di produzione "in avanzato stato di putrefazione", ampiamente superati dallo sviluppo delle forze produttive.
:)
Ho il capo metaforicamente cosparso di cenere per avere indebitamente aggiunto un "non" nell' ultima frase della travagliata (anche perché il computer non voleva saperne di scrivere quello che volevo: censura da parte dei mitici "hacker russi?) mia penultima risposta a Paul11 (#219), ovviamente capovolgendone il senso.
Che va letto così:
L' essere non può essere il nulla (non mi sarei mai aspettato di fare il verso a Parmenide!), e indipendentemente da questo di fatto "le pance" degli uomini (per restare nella metafora) non presentano (eccome!) "appetiti e golosità" universali.
A Davintro
Nell'intervento #150, in risposta a Sgiombo, affermavi: "perché si dia scienza della realtà è necessario
che all'interno della sfera dei fenomeni, accanto alle intuizioni sensibili, che manifestano la cosa senza
necessariamente corrisponderne alla loro realtà (ipotesi dell'allucinazione o del genio ingannatore"),
vengano comprese anche le intuizioni intellettuali, quelle tramite cui l'oggetto è visto come essenza ideale".
Ora, intendi la battuta sulla prova ontologica di S.Anselmo per quel che è: una caricatura della
Fenomenologia. Dunque certamente una estremizzazione del concetto; ma che come tutte le estremizzazioni non
sarebbe possibile senza qualcosa da estremizzare...
Ho capito che viene messa in sospensione l'esistenza; ma cos'è l'esistenza? Con il termine è solo da
intendersi la "res extensa" o anche, come io ritengo corretto fare, la "cogitans"? E se "esistesse" la
"res cogitans", perchè mai, secondo il ragionamento fenomenologico, non potrebbe "esistere" quella
particolare idea che è Dio (come altre idee particolari, naturalmente)?
Infatti quello che proprio non riesco a capire della Fenomenologia è il "dove" essa intenda porre il limite della,
chiamiamola, "oggettivazione del fenomeno".
Dai tuoi discorsi mi sembra di poter capire che viene dato un certo peso all'intersoggettività, per cui l'oggettivazione
del fenomeno avverrebbe nel: "richiamo al riconoscimento di un legame di corrispondenza e adeguazione tra le varie
tipologie di modalità soggettive di esperienza e apprensione (noesi) e varie tipologie di oggetti (noemi)".
Beh (se così fosse), legittimo e congruo pensarlo, ma questo non mette certo al riparo dal rilievo che E.Severino
fa al filosofo "neorealista" tedesco M.Gabriel (il quale parla di "oggettività all'interno di un campo"): "un
campo", dice Severino, "è null'altro che un contesto, quindi un già interpretato".
Perchè esattamente questo è il punto: il fenomeno è un già interpretato; ed essendo un già interpretato ogni
pretesa di renderlo "oggetto" deve fare i conti con le diverse interpretazioni che si danno del termine "oggetto".
Ora, queste interpretazioni, intendiamoci, possono anche avere una loro intrinseca validità (non è che io intendo
equiparare l'opinione di un sapiente a quella di un pazzo); possono, ovvero, offrire un qualche genere di
informazione attorno ad un qualcosa. Ma queste "informazioni" sono necessariamente parziali, e comunque relative
ad un "campo" o contesto che dir si voglia, mi sembra evidente.
(ovvero: dalla relatività non si scappa - se non congetturando un assoluto)
saluti
Citazione di: sgiombo il 04 Aprile 2019, 10:50:02 AMRisposta a Davintro (#203) Sono perfettamente d' accordo che la critica della scienza non può essere a sua volta scientifica (nemmeno con le virgolette): si cadrebbe in un circolo vizioso, nell'utilizzo di strumenti, tra cui il contenuto di conoscenze, che non siano gli stessi delle scienze che essa intende sottoporre a indagine. Ma criticare la scienza non vuol dire fondare la scienza, bensì individuarne i fondamenti e valutarli criticamente, sottoporli a verifica razionale, evidenziandone significato autentico, limiti e condizioni di validità. Questo consente e implica certamente ipotesi e ragionamenti astratti (e anche l' uso di giudizi analitici a priori); ma non la sostituzione dei fondamenti empirici della scienza con arbitrarie verità (pretese) sintetiche a priori (come mi sembrava da te sostenuto nel passo del tuo intervento #178 in questa discussione da me criticato). Dissento dall' affermazione che "ogni riconoscimento di un limite nei confronti di un ambito scientifico, presuppone che si riconosca "materialmente", cioè come contenuto, la presenza di un altro ambito che trascende il primo, che proprio in quanto lo trascende, lo limita, e che questa trascendenza sia indagabile a sua volta scientificamente, sulla base di una propria peculiare metodologia correlata a un peculiare contenuto". Infatti riconoscere i limiti (che non sono necessariamente né esclusivamente spaziali) della conoscenza scientifica non implica affatto necessariamente che esista un' altro ambito della realtà che trascende i fenomeni materiali (anche se credo empiricamente rilevabile -e dunque provata altrettanto di quella fisica - materiale-anche la presenza reale dell' ambito fenomenico mentale non riducibile a quello materiale; e che sia proponibile a scopo esplicativo-ermeneutico e ragionevolmente credibile l' esistenza di un ambito in sé o noumeno; ma non in conseguenza necessaria del solo rilievo dei limiti della conoscenza scientifica). Peraltro questa potrebbe sembrare questione di lana caprina, un dissenso un po' cervellotico; in realtà il mio dissenso era soprattutto dalla tesi da te sostenuta (almeno così mi pare) che la conoscenza scientifica abbia criteri veritativi diversi dalla constatazione empirica (integrata con, e valutata applicandovi postulati indimostrabili e non empiricamente verificabili come la verità dell' induzione e la intersoggettività dei fenomeni materiali; i quali sono astratte "conditiones sine qua non preliminari", per così dire, e non i "dati reali concreti" che le scienze vanno indagando e da cui vanno cercando conferme alle teorie; ovviamente presupponendo necessariamente tali necessari postulati preliminari). Ma nei termini suddetti anch' io credo che "non solo la critica kantiana, ma ogni epistemologia è una branca della filosofia, cioè esiste una "filosofia della scienza", ma non una "scienza della filosofia": l'epistemologo lavora sulla base di un punto di vista che non può essere lo stesso a cui restano interne le scienze che sottopone a critica, e per forza di cosa dovrà considerare il proprio punto di vista come "scientifico" in un senso diverso, e più fondamentale delle scienze messe in discussione". Peraltro mi pare (ma la mia conoscenza del konigsbegese é molto limitata ed elementare) che considersse per l' appunto "il proprio punto di vista come "scientifico" in un senso diverso, e più fondamentale delle scienze messe in discussione"; cioè che il concetto di "scientificità" da lui usato (per esempio intitolando i Prolegomeni ad ogni metafisica futura che intenda presentarsi come scienza; per la cronaca l' unica sua opera che ho letto, ma in anni remotissimi) mi sembra da intendersi non letteralmente ma piuttosto come sinonimo di "razionalità", di "impiego di fondamenti critici razionali"; mi sembra che lui stesso effettivamente critichi filosoficamente e non scientificamente la conoscenza scientifica (in maniera da me solo in modesta parte condivisa, per la mera cronica). Ma secondo me non é per niente Paradossale, ma invece corretta, l'identificazione kantiana della scientificità tout court [scientificità in senso stretto o forte, per l' appunto non quello delle cosiddette "scienze umane" ma invece delle scienze naturali] con le scienze naturali; e non essendo la sua critica gnoseologica condotta con i medesimi criteri della scienza stessa che ne sono oggetto, non finisce per il relegare la sua critica a dogmatismo" (il che non significa che personalmente la condivida, se non in parte. Ma in che senso "ogni possibile epistemologia" sarebbe "dogmatica"? Forse (e allora sarei d' accordo) attribuendo al concetto di "epistemologia" il significato di "gnoseologia scientifica" anziché "filosofica", ovvero condotta con i criteri e gli strumenti conoscitivi stessi che sono propri di quel campo della conoscenza (includente, oltre al senso comune, la scienza) che si proporrebbe di criticare, assumendoli acriticamente? In conclusione non mi é più ben chiaro in cosa concordiamo (certamente sulla necessità di una critica razionale non scientifica della conoscenza scientifica) e in cosa dissentiamo (probabilmente nella valutazione della gnoseologia kantiana come correttamente intesa o meno non in quanto scienza ma in quanto -fra l' altro- critica razionale della scienza; al di là dei concreti risultati conseguiti. E sulla limitabilità o meno della scientificità in senso stretto della conoscenza a quella dei fenomeni materiali).
ho l'impressione, ma potrei benissimo sbagliarmi, che la tua posizione, più o meno tra le righe, presupponga l'idea della non coincidenza tra "scienza" (operante su materiale appreso dai sensi e sulla base di una metodologia empirica) e "razionalità", che sarebbe ciò che caratterizzerebbe la critica filosofica atta a riflettere sulle condizioni di validità delle scienze, sui loro limiti, fondamenti ecc. O meglio, questa distinzione terminologia mi sembrerebbe l'unica soluzione per evitare che, una volta che si pone come unico materiale della scienza quello sensibile, la critica che studia concetti aventi un senso intelligibile come quelli riferiti alle strutture trascendentali della conoscenza, dovrebbe scadere nel dogmatismo. Basterebbe distinguere "razionalità" come procedimento teso a dedurre speculativamente da giudizi analitici a priori, riferito a enti intelligibili dell'epistemologia, così da intenderla anche se non scientifica, comunque razionale e dunque non dogmatica, dalla "scienza" come applicazione della razionalità alla natura fisica, identificandola col modello delle scienze naturali, il modello galileiano. Mi sembra chiaro che se invece scienza e razionalità si identificano, come nel concetto di "episteme" greca, cioè si intende "scienza", come qualunque discorso fondato su argomenti e principi di verità che ne fondino e legittimino la pretesa di rispecchiare la realtà, contrapponendola alla "doxa", all'opinione arbitraria e infondata, allora cadrebbe il veto ad allargare il campo della scienza, non solo alle scienze naturali, ma anche alla critica kantiana, applicata a un contenuto sovrasensibile, e dunque alla metafisica stessa, a prescindere dal fatto che un sapere di questo tipo non allarghi la conoscenza a nuovi fenomeni (essendo fondata sulla deduzione analitica e non sulla sintesi empirica). Ma in fondo, direi, una volta intesa la filosofia come sapere dei principi fondamentali, immutabili della realtà, il fatto che questo sapere non proceda progressivamente per acquisizioni, ma esplicitando dialetticamente delle implicazioni già logicamente conseguenti al significato apriori dei concetti, non sarebbe un difetto, ma qualcosa di coerente con il livello della realtà che le interessa, cioè non quello della molteplicità di enti di cui fare esperienza uno alla volta, ma quello di un sistema di verità necessariamente interconnesse fra loro, per cui partendo da una di queste si deducono tutte le altre in modo rigoroso e non contingente
Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Aprile 2019, 21:12:53 PM
secondo il ragionamento fenomenologico, non potrebbe "esistere" quella
particolare idea che è Dio (come altre idee particolari, naturalmente)?
Infatti quello che proprio non riesco a capire della Fenomenologia è il "dove" essa intenda porre il limite della,
chiamiamola, "oggettivazione del fenomeno".
finalmente qualcosa su cui siamo d'accordo.
Secondo il ragionamento della fenomenologia perché negare proprio quell'idea particolare che è dio, come altre idee particolari, naturalmente ?
Dove è il limite all'oggettivizzazione ti chiedi etc.etc.....
Quindi un limite alla fenomenologia va trovato in qualcosa che la limiti se no ci si potrebbe inventare qualsiasi cosa.
E' una domanda profonda a cui il nostro intelletto non può giungere perché l'ultimo ritrovato della filosofia è la fenomenologia e questa l'abbiamo appena visto non pone limiti. Dobbiamo quindi trovare qualcosa che al di fuori della fenomenologia ne definisca i limiti. Quando si parla di limiti e di paletti fissi niente di meglio che i classici, e ritenendo le confessioni robetta da femminucce mi sono gettato sui Dommatici (notare la maiuscola) e li, subito, aprendo le pagine a caso come a voler esser guidato dalla volontà dell'essere ho aperto il volume a caso proprio su queste parole che cito letteralmente a vostra duratura memoria ed erudizione :
Natura dei demoni e loro potere divinatorio.
3. 7. La natura dei demoni è tale che essi, data la sensibilità del loro corpo aereo, oltrepassano agevolmente la sensibilità propria dei corpi terreni e, anche per la superiore agilità di questo corpo aereo, per rapidità hanno la meglio, senza possibilità di confronto, non solo sulla corsa di qualsiasi uomo o animale, ma anche sul volo degli uccelli. Dotati di queste due qualità relative al loro corpo aereo, vale a dire l'acutezza della sensibilità e la rapidità del movimento, preannunziano o annunziano molti fatti conosciuti prima, fonte di meraviglia per gli uomini a causa della lentezza della propria sensibilità terrena. Nei demoni s'è aggiunta, per di più, durante tutto il lungo arco di tempo in cui si sviluppa la loro vita, un'esperienza della realtà di gran lunga superiore a quella che può provenire agli uomini per la brevità della loro vita. Grazie a queste proprietà, che sono toccate alla natura di un corpo aereo, i demoni non solo predicono molti fatti futuri, ma ne compiono addirittura molti di stupefacenti. Ora, dal momento che gli uomini non possono dire o compiere questi fatti, alcuni, stuzzicati soprattutto dal vizio della curiosità, amando una falsa felicità terrena e un prestigio effimero, ritengono i demoni degni d'essere serviti e fatti oggetto di onori divini. Quanti invece si liberano da tali passioni non si lasciano ingannare o catturare da loro, ma ricercano e amano quel che è sempre immutabile, e partecipandone sono felici; anzitutto osservano che i demoni non debbono esser posti al di sopra di sé in quanto prevalgono per la sensibilità più acuta del loro corpo, che è aereo, fatto di un elemento più leggero. Del resto non ritengono al di sopra di sé, nei loro stessi corpi terreni, nemmeno gli animali, che pure hanno sentore di molte cose in modo più acuto....
ho voluto condividere con voi il mio stupore, così magari leggete anche S.Agostino, e rendervi noto il futuro corso del mio sviluppo spirituale, nonchè le mie future letture e per questo mi sarà particolarmente caro il suggerimento su S.Anselmo che causa ignoranza e presunzione ho trascurato.
Citazione di: paul11 il 04 Aprile 2019, 14:33:38 PM
Sostengo che . La contraddizione insomma è ritenere che i fondativi non sono fondativi, sono diventati "virtuali" e che l'episteme che è la verità sia fondata invece sulla falsità fallibile, vale a dire tutto diventa opinione e relativismo. Il problema non è solo teorico o filosofico, non vogliamo ancora capire che le pratiche sociali e le istituzioni moderne sono anch'esse fondate (anzi in-fondate) su questa fallibile cultura e lo verifichiamo ormai ovunque. E' la prepotenza, l'arroganza, la forza a determinare la storia e le condizioni umane in cui sguazziamo e hanno addirittura l'alibi culturale che almeno un tempo non avevano. Oggi nemmeno il deterrente culturale può fermare la prevalenza del cretino perché anche l'indignazione popolare non ha più sostenitori culturali, tutti in balia del nulla.
Il sommo poeta aveva previsto tutto :
Piccolino, morta mamma,non ha più di che campare;resta solo con la fiammadel deserto focolare;poi le poche robe aduna,mette l'abito più belloper venirsene in città.Invocando la fortunacon il misero fardello,Piccolino se ne va.E cammina tutto il giorno,si presenta ad un padrone:- "Buon fornaio al vostro fornoaccoglietemi garzone". -Ma il fornaio con la moglieride ride trasognato:- "Piccolino, in veritàil mio forno non accoglieun garzone appena nato!Non sei quello che mi va". -Giunge al re nel suo palagio,si presenta ardito e fiero:- "Sono un piccolo randagio,Sire, fatemi guerriero". -Il buon Re sorride: - "Omino,vuoi portare lancia e màlia?Un guerriero? In veritàtu hai bisogno della balia!Tu sei troppo piccolino:Non sei quello che mi va". -Vien la guerra, dopo un poco,sono i campi insanguinati;Piccolino corre al fuocotra le schiere dei soldati.Ma le palle nell'assaltolo sorvolano dall'altoquasi n'abbiano pietà.- "È carino quell'omino,ma per noi troppo piccino:non è quello che ci va!" -Finalmente una di lorolo trafora in mezzo al viso;esce l'anima dal foro,vola vola in Paradiso.Ma San Pietro: - "O Piccolino,noi s'occorre d'un Arcangeloben più grande, in verità.Tu non fai nemmeno un Angeloe nemmeno un Cherubino...Non sei quello che ci va". -Ma dal trono suo divinoGesù Cristo scende intanto,e sorride a Piccolinoe l'accoglie sotto il manto:- "Perché parli in questo metro,o portiere d'umor tetro?Piccolino resti qua.Egli è piccolo e mendicosenza tetto e senz'amico:egli è quello che mi va...O San Pietro, te lo dico,te lo dico in verità!..."G. Gozzano
Aspettando la superiore risposta di davintro provo a dire la mia:
Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Aprile 2019, 21:12:53 PM
perchè mai, secondo il ragionamento fenomenologico, non potrebbe "esistere" quella particolare idea che è Dio (come altre idee particolari, naturalmente)?
Certo che esiste, nel campo fenomenologico degli oggetti immaginari insieme a ippogrifi, demoni, angeli e personaggi letterari.
Citazione
Infatti quello che proprio non riesco a capire della Fenomenologia è il "dove" essa intenda porre il limite della, chiamiamola, "oggettivazione del fenomeno".
Più che di fenomenologia descrittiva qui si deve affrontare la questione del metodo scientifico induttivo-deduttivo e dell'ontologia che ne deriva.
Citazione
Dai tuoi discorsi mi sembra di poter capire che viene dato un certo peso all'intersoggettività, per cui l'oggettivazione del fenomeno avverrebbe nel: "richiamo al riconoscimento di un legame di corrispondenza e adeguazione tra le varie tipologie di modalità soggettive di esperienza e apprensione (noesi) e varie tipologie di oggetti (noemi)".
Beh (se così fosse), legittimo e congruo pensarlo, ma questo non mette certo al riparo dal rilievo che E.Severino fa al filosofo "neorealista" tedesco M.Gabriel (il quale parla di "oggettività all'interno di un campo"): "un campo", dice Severino, "è null'altro che un contesto, quindi un già interpretato".
Perchè esattamente questo è il punto: il fenomeno è un già interpretato; ed essendo un già interpretato ogni pretesa di renderlo "oggetto" deve fare i conti con le diverse interpretazioni che si danno del termine "oggetto".
Ora, queste interpretazioni, intendiamoci, possono anche avere una loro intrinseca validità (non è che io intendo equiparare l'opinione di un sapiente a quella di un pazzo); possono, ovvero, offrire un qualche genere di informazione attorno ad un qualcosa. Ma queste "informazioni" sono necessariamente parziali, e comunque relative ad un "campo" o contesto che dir si voglia, mi sembra evidente.
(ovvero: dalla relatività non si scappa - se non congetturando un assoluto)
saluti
L'intersoggettività è necessaria, ma il metodo scientifico fa anche di più quando sottopone il dato empirico alla macchina analitica, per cui il riscontro fenomenologico si avvale anche dell'"oggettività" di giudizio della macchina. Che il sapere che ne deriva sia relativo e contestuale al fenomeno indagato secondo un bias ben preciso (l'acqua del chimico non è quella del marinaio dell'agricoltore del lavoro domestico ...) è irrilevante perchè questa disciplina conoscitiva ottiene i risultati voluti completando il ciclo causale dalla materia alla sua finalizzazione pratica. Con annesse le istruzioni teoriche, l'episteme, sempre in aggiornamento.
Io capisco che per i parmenidei orfani dell'Essere e del Vero tutto ciò sia poco interessante, ma così funziona il sapere umano e anche Severino sono convinta che ne tenga conto in tutte le sue pratiche della vita
reale. Funziona così anche quando manipola gli oggetti immateriali della creatività umana (le produzioni mentali care a sgiombo e non solo) perchè, come anche davintro osservava, la ratio è una sola. Tra gli oggetti immateriali la filosofia avrebbe il duro compito di distinguere tra realtà e supercazzole. Aiutandoci anche a capire il senso e la genesi di queste ultime. Questo la scienza non lo può fare da sola, però il suo ausilio è indispensabile per operare tale distinzione: come accade in tribunale quando si scomodano i periti.
bah, mi aspetto che arrivi uno scientista riduzionista che neghi la mente e la coscienza in quanto indimostrabili... e fra l'altro contraddicendosi.
La fenomenologia di Heidegger e Levinas non pone più al di sopra dell'esistenza l'Essere. ma lo riporta come necessità del senso della vita ,dentro l'esistenza. Questo in estrema sintesi.
Che cosa lo dimostra? Il fatto che l'uomo pensi anche senza vedere ,sentire, ascoltare, anche isolandosi dal dal mondo esteriore.
Chi contraddice questo ,contraddice la sua stessa contraddizione perchè non può esistere un Io cogito, Io penso, relegato alla dimostrazione veritativa fisico-naturale . C'è un mondo mentale ,di coscienza, che nessuna scienza sperimentale riuscirà mai a dimostrare: eppure esiste. Questo è il punto, che supera empiristi scetticisti che credono che l'etica nasca dai sentimenti, se fosse vero le prossime elezioni le eseguiremo su schede in Facebook inserendovi le emoticons.Infatti questi social vengono tutti dala lcultura americanoide di derivazione anglofona che ha infatti i suoi epigoni in Hume da cui arriverà Stuart Mill, fino a far diventare l'etica "l'utilità Questo è "lo spirito che cementa i popoli"? Che ha costruito nazioni e Stati?
L'indimostrabile appartiene alla filosofia, non alla scienza. E' il margine da essa presidiato tra conosciuto e sconosciuto, purchè abbia l'accortezza di spostarsi essa stessa con quel margine. Spostamento che spesso è merito della scienza. Quindi la prospettiva di un sapere integrato e dialogante, posta da davintro, diventa cruciale.
Citazione di: paul11 il 05 Aprile 2019, 10:18:22 AM
bah, mi aspetto che arrivi uno scientista riduzionista che neghi la mente e la coscienza in quanto indimostrabili... e fra l'altro contraddicendosi.
ora, anche questo potrebbe essere fatto, ma diventerebbe noiosissimo farlo e di poca utilità.
Siccome io, tu e tutti quanti, sappiamo benissimo essere indimostrabili mente e coscienza;
siccome io, tu e tutti quanti, sappiamo benissimo che mente e coscienza sono "enti" di cui avvertiamo in ogni minuto l' esistenza e sono "davvero" gli unici enti con cui abbiamo a che fare, di cui ci importa veramente, qualunque scientista (di cui non riesco a farmi un immagine se non quella del farmacista del paese in opposizione al curato) che volesse dimostrare l'inesistenza di mente e coscienza si ritroverebbe in una condizione (speriamo temporanea) di palese imbecillità.
Che poi la riconosca o no diventa un suo problema e di chi sente la necessità interiore di combattere la stupidità.
Io apprezzo davvero la tua maniera di porti nei confronti della filosofia perché (sempre a mio giudizio) denota sincerità di intenti e di propositi.
La signorina in questione però non può darti nulla di quello che cerchi : risposte sicure, fondamenta incrollabili ed una guida (intendi la parola "guida" nel senso che gli dai tu, quello positivo, che in questo caso è quello giusto,quello senza le mie sofisticherie) che ti dica quel che succede quando intorno grandinano pietre (piove merda era più calzante e meno ieratico ma magari non si può...) perché non può.
Lei arriva o troppo tardi o troppo presto perché la mondanità del divenire la disgusta.
Quello che cerchi non esiste e rischi di trovarlo in quelle signorine che non sono la filosofia ma si vestono come lei.
Rassegnati a non aver alcun fondamento che non sia la tua mente la tua sensibilità.
Tutto quel che rimane fuori non conta.
La poesiola non era per sghignazzare, ma per indicare altre strade e livelli di comprensione; c'e' la filosofia e c'e' la poesia anche, quando la filosofia ha veramente scassato (perché capita anche quello eh?...) allora arriva sua sorella.
p.s.: mi rendo conto di aver fatto il prete; capita di tutto sui forum ;)
Se la Fenomenologia, per ipotesi, non ponesse alcun limite alla oggettivazione del fenomeno, è chiaro che
ciò si risolverebbe in una teoresi che dà per "esistenti" (nel significato etimologico del termine, che
suppone lo "stare" fuori dal soggetto interpretante, cioè di essere "altro" dall'"io") le idee.
Per cui, dicevo provocatoriamente, essa legittimerebbe persino la prova ontologica di S.Anselmo...
Così evidentemente non è, ma quel che non mi è per niente chiaro, dicevo, è il "dove" si pone questo
limite (dove, cioè, il fenomeno come "oggetto intenzionato", cioè come oggetto non necessariamente
"esistente" - spazialmente?) "oltre" il quale l'oggettivazione non avviene (oltre il quale, per fare
un esempio, il fenomeno in questione viene ritenuto l'elucubrazione irreale di un pazzo).
Dunque questo limite, da qualche parte, ci DEVE essere (quindi come individuarlo?)...
Per la mia pratica discorsiva, direbbero i semiologi, Paul11 inquadra benissimo il problema. Perchè
per il pensiero corrente, che è scientista, quel limite lo si individua con le modalità della scienza
anche se il problema cui quella ricerca del limite si riferisce non abbia nulla a che spartire con la
scienza, come ad esempio nel caso di un problema di ordine morale o riguardante la sfera del diritto e
della giustizia.
Questo, in estrema sintesi, il motivo che mi induce a ritenere che la Fenomenologia non abbia fatto altro
che riproporre il medesimo problema da una angolazione diversa (ma potrebbe poi essere diversamente?).
Non intendo certo sostenere che Kant abbia "risolto" e fornito il sapere definitivo. Più volte, negli
interventi, ho sottolineato come in Kant non vi fosse per nulla chiarezza, soprattutto nella sintesi da
lui tentata fra l'antico concetto stoico di "intuizione" e il concetto cartesiano del "cogito", o come
nella sua teoresi vi fosse un netto "stacco" fra il non sapere decretato dalla Ragion Pura e l'imperativo
categorico della morale (teorizzabile solo e soltanto postulando Dio) nella Ragion Pratica.
Solo che non mi sembra la Fenomenologia aggiunga molto nella chiarificazione di queste problematiche. Ma
anzi, che esplicitamente teorizzando la trasformazione del fenomeno in essenza (quindi rimuovendo in
radice la distinzione kantiana di fenomeno e noumeno), abbia contribuito in maniera determinante a
far sì che il paradigma dominante (quello scientifico) non abbia più freno alcuno e sia libero di
esplicarsi ad ogni ambito (risultando in definitiva una diversa versione della sintesi idealistica).
saluti
Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Aprile 2019, 21:12:53 PMA Davintro Nell'intervento #150, in risposta a Sgiombo, affermavi: "perché si dia scienza della realtà è necessario che all'interno della sfera dei fenomeni, accanto alle intuizioni sensibili, che manifestano la cosa senza necessariamente corrisponderne alla loro realtà (ipotesi dell'allucinazione o del genio ingannatore"), vengano comprese anche le intuizioni intellettuali, quelle tramite cui l'oggetto è visto come essenza ideale". Ora, intendi la battuta sulla prova ontologica di S.Anselmo per quel che è: una caricatura della Fenomenologia. Dunque certamente una estremizzazione del concetto; ma che come tutte le estremizzazioni non sarebbe possibile senza qualcosa da estremizzare... Ho capito che viene messa in sospensione l'esistenza; ma cos'è l'esistenza? Con il termine è solo da intendersi la "res extensa" o anche, come io ritengo corretto fare, la "cogitans"? E se "esistesse" la "res cogitans", perchè mai, secondo il ragionamento fenomenologico, non potrebbe "esistere" quella particolare idea che è Dio (come altre idee particolari, naturalmente)? Infatti quello che proprio non riesco a capire della Fenomenologia è il "dove" essa intenda porre il limite della, chiamiamola, "oggettivazione del fenomeno". Dai tuoi discorsi mi sembra di poter capire che viene dato un certo peso all'intersoggettività, per cui l'oggettivazione del fenomeno avverrebbe nel: "richiamo al riconoscimento di un legame di corrispondenza e adeguazione tra le varie tipologie di modalità soggettive di esperienza e apprensione (noesi) e varie tipologie di oggetti (noemi)". Beh (se così fosse), legittimo e congruo pensarlo, ma questo non mette certo al riparo dal rilievo che E.Severino fa al filosofo "neorealista" tedesco M.Gabriel (il quale parla di "oggettività all'interno di un campo"): "un campo", dice Severino, "è null'altro che un contesto, quindi un già interpretato". Perchè esattamente questo è il punto: il fenomeno è un già interpretato; ed essendo un già interpretato ogni pretesa di renderlo "oggetto" deve fare i conti con le diverse interpretazioni che si danno del termine "oggetto". Ora, queste interpretazioni, intendiamoci, possono anche avere una loro intrinseca validità (non è che io intendo equiparare l'opinione di un sapiente a quella di un pazzo); possono, ovvero, offrire un qualche genere di informazione attorno ad un qualcosa. Ma queste "informazioni" sono necessariamente parziali, e comunque relative ad un "campo" o contesto che dir si voglia, mi sembra evidente. (ovvero: dalla relatività non si scappa - se non congetturando un assoluto) saluti
per quanto riguarda l'esistenza, non so se è ho capito bene la questione, direi che fenomenologicamente il problema di stabilire l'esistenza degli oggetti viene metodologicamente sospesa, ma anche che possa essere in un successivo passaggio recuperato, nella misura in cui il riconoscimento dell'esistenza appare necessario al darsi fenomenico dei vissuti coscienti, all'idea di Dio, come di ogni altra idea di oggetto potrà associarsi un'esistenza sulla base di tale condizione. Ecco perché a mio avviso (ma non saprei quanto nella lettura fenomenologica questo passaggio sia esplicitato, come sempre cerco di dare una mia interpretazione sulla base di come reputo più consequenziali i risvolti sulla base di determinate premesse) lo sbocco ontologico più coerente con la fenomenologia sia un "realismo trascendentale", cioè riconoscere l'autonomia di un livello minimo di realtà sufficiente a rendere ragione della struttura della coscienza, cioè il punto di partenza indubitabile del metodo: mentre sul piano metodologico un margine di realtà oggettiva è riconosciuto come condizionato alla necessità di rendere ragione della coscienza, a livello ontologico tale realtà oggettiva esisterebbe indipendentemente da essa. I due punti di vista sono compatibili perché rispondono a questioni tra loro diversa, la prima "come arrivo a conoscere", la seconda "cosa conosco". La sovrapposizione delle due questioni è tipica dell'idealismo storicista che vede la ricerca della verità, il suo metodo come determinante il contenuto reale di ciò che arrivo a conoscere, distinguendo (non separando) i due piani la fenomenologia mostra di poter respingere tale accusa di idealismo
Per il resto direi che la delimitazione degli oggetti, sulla base della loro correlazione intenzionale con la tipologia di atti soggettivi tramite cui ci rivolgiamo verso di loro e attribuiamo loro un senso, può essere intesa come una sorta di relativismo, o comunque di relatività inficiante le possibilità di una conoscenza oggettiva e razionale, solo non considerando la differenza che passa fra "parzialità" e "relatività". La parzialità dell'oggetto lo delimita quantitativamente, lo intende come non esaustivo della realtà, ma contestuale al punto di vista delle modalità di coscienza soggettiva a cui è intenzionalmente correlato, la "relatività del giudizio lo svaluterebbe nella possibilità di essere un campo entro cui concepire un sapere razionale, basto su fondamenti certi o evidenti. Il primo aspetto non determina il secondo, il fatto che un certa tipologia di oggetti non rappresenti la totalità degli strati della realtà indica la non estendibilità ad infinitum del campo di applicazione del sapere ad essa correlato, ma non la sua arbitrarietà e contingenza. Fissare un sistema di conoscenze riguardante i principi apriori della realtà non vuol dire negare il mistero dell'alterità della realtà nel suo complesso rispetto alle nostre pretese conoscitive, ma stabilire un livello di conoscenze fondamentali e trascendentali che tutte le altre scienze riguardanti gli altri livelli sono chiamate, anche implicitamente, a rispettare e applicare, anche se poi nel loro lavoro di ricerca estendono il materiale della conoscenza ben al di là di quel livello: in sintesi, il fatto che una casa non coincida con le fondamenta (parzialità delle fondamenta), non vuol dire negare la solidità di queste ultime (solidità e non relatività della capacità delle fondamenta di sostenere il peso del resto della struttura)
Citazione di: davintro il 05 Aprile 2019, 16:45:58 PM
Fissare un sistema di conoscenze riguardante i principi apriori della realtà non vuol dire negare il mistero dell'alterità della realtà nel suo complesso rispetto alle nostre pretese conoscitive, ma stabilire un livello di conoscenze fondamentali e trascendentali che tutte le altre scienze riguardanti gli altri livelli sono chiamate, anche implicitamente, a rispettare e applicare, anche se poi nel loro lavoro di ricerca estendono il materiale della conoscenza ben al di là di quel livello: in sintesi, il fatto che una casa non coincida con le fondamenta (parzialità delle fondamenta), non vuol dire negare la solidità di queste ultime (solidità e non relatività della capacità delle fondamenta di sostenere il peso del resto della struttura)
Esattamente l'impostazione adottata da J.S.Gould per fondare "La struttura della teoria dell'evoluzione" il suo lavoro di una vita intera.
La potrebbero mettere come riassunto a cinquanta pagine di introduzione.
Sei in buona compagnia.
Citazione di: davintro il 04 Aprile 2019, 21:38:39 PM
ho l'impressione, ma potrei benissimo sbagliarmi, che la tua posizione, più o meno tra le righe, presupponga l'idea della non coincidenza tra "scienza" (operante su materiale appreso dai sensi e sulla base di una metodologia empirica) e "razionalità", che sarebbe ciò che caratterizzerebbe la critica filosofica atta a riflettere sulle condizioni di validità delle scienze, sui loro limiti, fondamenti ecc. O meglio, questa distinzione terminologia mi sembrerebbe l'unica soluzione per evitare che, una volta che si pone come unico materiale della scienza quello sensibile, la critica che studia concetti aventi un senso intelligibile come quelli riferiti alle strutture trascendentali della conoscenza, dovrebbe scadere nel dogmatismo. Basterebbe distinguere "razionalità" come procedimento teso a dedurre speculativamente da giudizi analitici a priori, riferito a enti intelligibili dell'epistemologia, così da intenderla anche se non scientifica, comunque razionale e dunque non dogmatica, dalla "scienza" come applicazione della razionalità alla natura fisica, identificandola col modello delle scienze naturali, il modello galileiano. Mi sembra chiaro che se invece scienza e razionalità si identificano, come nel concetto di "episteme" greca, cioè si intende "scienza", come qualunque discorso fondato su argomenti e principi di verità che ne fondino e legittimino la pretesa di rispecchiare la realtà, contrapponendola alla "doxa", all'opinione arbitraria e infondata, allora cadrebbe il veto ad allargare il campo della scienza, non solo alle scienze naturali, ma anche alla critica kantiana, applicata a un contenuto sovrasensibile, e dunque alla metafisica stessa, a prescindere dal fatto che un sapere di questo tipo non allarghi la conoscenza a nuovi fenomeni (essendo fondata sulla deduzione analitica e non sulla sintesi empirica). Ma in fondo, direi, una volta intesa la filosofia come sapere dei principi fondamentali, immutabili della realtà, il fatto che questo sapere non proceda progressivamente per acquisizioni, ma esplicitando dialetticamente delle implicazioni già logicamente conseguenti al significato apriori dei concetti, non sarebbe un difetto, ma qualcosa di coerente con il livello della realtà che le interessa, cioè non quello della molteplicità di enti di cui fare esperienza uno alla volta, ma quello di un sistema di verità necessariamente interconnesse fra loro, per cui partendo da una di queste si deducono tutte le altre in modo rigoroso e non contingente
Per me sia la scienza (le scienze naturali), sia la filosofia (l' ontologia) sono teorie razionali, pensieri razionali circa la realtà, che tentano di conoscere (il più veracemente possibile) ciò che é / accade realmente.Differiscono per i loro oggetti.Cioè l' ontologia filosofica cerca di conoscere la realtà in toto nelle sue caratteristiche più generali complessivamente considerate, mentre le scienze naturali cercano di conoscere i fenomeni materiali, costituenti la (parte della) realtà (che é) fenomenica materiale - naturale negli aspetti generali astratti universali e costanti del suo divenire.Naturalmente la filosofia comprende, oltre all' ontologia, anche la gnoseologia, cioè l' analisi critica razionale e (il tentativo di realizzare) la fondazione (di trovare i criteri di giustificazione in quanto vera) della conoscenza, in generale e scientifica in particolare. Quindi sì, mi sento certamente di condividere la distinzione della "razionalità" come procedimento teso a dedurre speculativamente da giudizi analitici a priori, riferito a enti intelligibili dell'epistemologia, così da intenderla anche se non scientifica, comunque razionale e dunque non dogmatica, dalla "scienza" come applicazione della razionalità alla natura fisica, identificandola col modello delle scienze naturali, il modello galileiano. Non ho dunque problemi ad attribuire anche carattere razionale alla critica kantiana, applicata a un contenuto sovrasensibile, e dunque alla metafisica stessa, a prescindere dal fatto che un sapere di questo tipo non allarghi la conoscenza a nuovi fenomeni (essendo fondata sulla deduzione analitica [ipotetica, però, priva della certezza dei dati empirici, non dimostrabile logicamente se non in quanto possibile -non certa- né provabile empiricamente] e non sulla sintesi empirica): non contesto a Kant una pretesa "illegittimità" di fare dell' ontologia che non si autolimiti alle scienze empiriche o una pretesa irrazionalità di tutto ciò che esulasse da queste ultime.Semplicemente non condivido (se non limitatamente a determinati aspetti, come l' esistenza di un realtà in sé o noumeno, sulla quale ho peraltro diverse convinzioni, oltre a quella fenomenica, materiale e anche mentale alla materiale non identificabile, riducibile, emergente, sopravveniente, ecc.) la sua ontologia (che ritengo) giustamente non limitata alla materia scientificamente conoscibile.E inoltre sottolineo l' aspetto ipotetico, non razionalmente fondato, credibile solo irrazionalmente per fede della metafisica del noumeno. Ciò che di Kant recisamente rifiuto, ritenendola errata e falsa é la pretesa che possano darsi giudizi sintetici a priori (oltre che analitici a priori, certi ma conoscitivamente sterili, e sintetici a posteriori, conoscitivamente fecondi ma dubbi).Credo che un sapere che non proceda progressivamente per acquisizioni (per giudizi sintetici a posteriori), ma esplicitando dialetticamente delle implicazioni già logicamente conseguenti al significato a priori dei concetti (per giudizi analitici a priori, non dandosi giudizi sintetici a priori), sarebbe certamente qualcosa di coerente e anche di certo, ma non una reale conoscenza (di come é - diviene e/o non é - non diviene la realtà); che non abbia nulla a che fare con la molteplicità di enti di cui fare esperienza uno alla volta, ma invece solo con un sistema di verità necessariamente interconnesse fra loro, per cui partendo da una di queste si deducono tutte le altre in modo rigoroso e non contingente, ma tutto ciò per il semplice fatto che si tratta i arbitrari costrutti logici e non di giudizi circa la realtà (o meno): postulati matematici, ecc., e non fatti reali (denotazioni o intensioni reali di concetti ma concetti aventi unicamente connotazioni o estensioni cogitative).
Al limite (é il caso della metafisica del noumeno) con ipotesi credibili per ma non dimostrabili fede (e da ma creduti per fede in quanto spiegano benissimo tante altre mie credenze, più razionalmente fondate).
Mente e coscienza non hanno alcun bisogno di essere dimostrate, per il semplice fatto che si constatano empiricamente, esattamente come le cose materiali.
Le uniche differenze sono che contrariamente a queste non sono misurabili quantitativamente né credibili (ma non affatto dimostrabili!) essere intersoggettive.
Ma non per questo sono affatto meno reali!
Dice Davintro: (scusandomi per la citazione fatta non canonicamente)
"Fissare un sistema di conoscenze riguardante i principi apriori della realtà non vuol dire negare il mistero dell'alterità della realtà nel suo complesso rispetto alle nostre pretese conoscitive, ma stabilire un livello di conoscenze fondamentali e trascendentali che tutte le altre scienze riguardanti gli altri livelli sono chiamate, anche implicitamente, a rispettare e applicare, anche se poi nel loro lavoro di ricerca estendono il materiale della conoscenza ben al di là di quel livello"
Ciao Davintro
Il problema è semmai chi "fissa un sistema di conoscenze riguardante i principi apriori della realtà".
Perchè, e nella scienza economica è palese, certi principi non vengono fuori così, per "puro
amore della conoscenza", ma per precisi interessi particolari.
Ma anche nella scienza giuridica, lo "stabilire un livello di conoscenze fondamentali" non si
identifica certo con un "algido" ed impersonale rigore scientifico; bensì, tipicamente, con una ben più
pragmatica "costituzione", che come risaputo viene stabilita dalla forza militare.
E, naturalmente, gli esempi potrebbero continuare...
A parer mio c'è da notare piuttosto come il termine "scienza" venga usato con molta insistenza (e
direi anche disinvoltura, vista la problematicità dell'applicazione del metodo scientifico a certi
aspetti dell'esistente)
A caso? Non direi, visto che come afferma Severino l'apparato tecno-scientifico è lo strumento più
efficace di cui la volontà di potenza dominante può disporre.
Perchè temo proprio che chi "fissa un sistema di conoscenze riguardante i principi apriori della
realtà" non siano tanto dei seriosi scienziati quanto degli scaltri uomini di potere...
Non che il potere politico e economico si sia visto solo dopo l'intuizione kantiana del fenomeno e
la successiva trasformazione fenomenologica di questo in essenza, o dopo la scoperta della relatività,
ci mancherebbe solo che credessi questo.
Però è stato (anche) sulla base di questi processi che si è costruito l'odierno scientismo. Che, ricordo,
non solo è l'estensione indebita del metodo scientifico ad ogni aspetto dell'esistente; ma anche
l'estensione, sempre indebita naturalmente, della "verità epistemica" (cioè della verità incontrovertibile)
al metodo scientifico.
E tutto questo avviene appunto perchè si è abbandonata l'autentica relatività del "campo", o "contesto"
(nel senso cui lo descrivevo nei precedenti interventi), in favore appunto di un "sistema di conoscenze
fisso che riguarda i principi apriori della realtà".
saluti
Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Aprile 2019, 21:12:53 PM
Perchè esattamente questo è il punto: il fenomeno è un già interpretato; ed essendo un già interpretato ogni
pretesa di renderlo "oggetto" deve fare i conti con le diverse interpretazioni che si danno del termine "oggetto".
Ora, queste interpretazioni, intendiamoci, possono anche avere una loro intrinseca validità (non è che io intendo
equiparare l'opinione di un sapiente a quella di un pazzo); possono, ovvero, offrire un qualche genere di
informazione attorno ad un qualcosa. Ma queste "informazioni" sono necessariamente parziali, e comunque relative
ad un "campo" o contesto che dir si voglia, mi sembra evidente.
(ovvero: dalla relatività non si scappa - se non congetturando un assoluto)
Insisto sulla necessità di distinguere due diverse questioni nelle quali può accadere che si impieghino i termini "fenomeno" e "noumeno" in due modi diversi (dando origine complessivamente a quattro diversi concetti, reciprocamente correlati a due a due).
Prima questione: realtà in quanto apparenza (
fenomeno1) o in sè, indipendentemente dall' eventuale apparire, dall' accadere anche di sensazioni fenomeniche (
noumeno1).
Secondo me é il senso in cui impiegava questi termini Kant (ma non sono in grado e non ho alcuna intenzione di sostenere una discussione filologica sugli scritti del grande konigsbergese).
A questo proposito con Hume (che non usava questi due concetti ma trattava questa questione con altre parole) credo che di tutto quanto esperibile l' "esse est percipi": ciò che percepiamo sensibilmente o mentalmente é percezione, evento di coscienza (materiale o mentale), reale unicamente se e quando accade e in quanto tale: fenomeno1.
Se qualcosa esiste realmente anche allorché non esistono - accadono fenomeni materiali o mentali (se e quando non esistono né gli enti ed eventi materiali né quelli mentali dell' esperienza cosciente: per esempio ipotetici soggetti e oggetti di essa, comunemente considerati essere reali anche quando non percepiscono coscientemente alcunché) non può essere (costituito da) sensazioni ovvero fenomeni materiali o mentali (mostruosissima contraddizione essendo il pretendere che siffatto genere di eventi accada realmente anche se e quando non accade realmente). Può essere unicamente qualcosa di congetturabile e non sensibile (noumeno1 e non fenomeno 1).
Seconda ben diversa questione: realtà (solitamente fenomenica1 di fatto; ma il ragionamento vale indipendentemente dalla prima questione: potrebbe anche trattarsi di noumeno1 in teoria) indipendentemente dall' essere anche eventualmente pensata (possibile denotazione o estensione reali di eventuali pensieri: es. cavalli; "per la cronaca sono fenomeni1", ma qui non ci interessa) ==
noumeno2; oppure realtà unicamente cogitativa, in quanto connotazione o intensione di concetti privi di denotazione o estensione reale; es ippogrifi ==
fenomeno2.
Il fatto che i noumeni2 possano eventualmente anche essere pensati (coesistere a fenomeni2 costituiti dalle connotazioni o estensioni cogitative di concetti dei quali i noumeni2 stessi sono denotazioni o estensioni reali -o meno- non cambia per nulla la natura reale di essi: il fatto che un cavallo reale (noumeno2) possa essere pensato diversamente (fatto oggetto di considerazioni cogitative diverse), "diversamente interpretato soggettivamente" (per esempio come fonte di bistecche da parte di un simpatico zoticone calabrese o come possibile destriero da usare per giocare a polo da parte di un antipatico dandy britannico) non influisce minimamante in alcun senso sulla sua natura reale di cavallo: che sia pensato "golosamente" a Crotone o "ludicamente" a Cambridge o che non sia pensato in alcun modo da nessuna parte da parte di alcuno, o che sia pensato in qualsiasi altro modo, resta sempre e comunque "tale e quale".
Fino a prova contraria si può benissimo usufruire strumentalmente e anche godere come di un arricchimento interiore fine a se stesso della conoscenza scientifica (nel campo limitato del mondo materiale - naturale che le compete), magari essendo razionalmente consapevoli (da filosofi) dei suoi limiti, condizioni di verità, degli elementi di insuperabile fideismo che implicano, ecc., e gettare come si conviene nella spazzatura indifferenziata non riciclabile lo scientismo, criticare razionalmente il potere e lottare efficacemente contro di esso.
Fra scientismo e severinismo-heideggerismo tertium datur!
Un fideismo che vi permette di cianciare via internet 8)
Citazione di: Ipazia il 05 Aprile 2019, 21:55:34 PM
Un fideismo che vi permette di cianciare via internet 8)
No, guarda che fideismi acritici sono proprio il severinismo - heideggerismo e lo scientismo.
Mentre il tertium che datur é una sana filosofia critica razionalistica.
Io sono sconvolta da come il bravo davintro deve usare un linguaggio tanto contorto (buon per lui che lo padroneggia) per spiegare cose che sono di una evidenza lapalissiana. Poi mi dico che anche con un pitecantropo devi parlare il pitecantropese per instaurare un dialogo con lui. E me la metto via.
https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/l'io-e-l'altro/?action=post;quote=31106;last_msg=31759
https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/l'io-e-l'altro/msg31125/#msg31125
Rispondo ai vostri post iniziali.
A mio parere la questione dell'altro, non è la questione dell'altro da me,
in quanto di fronte a me, quanto quello dell'Altro con la lettera maiuscola.
Ossia del grande fratello, dell'ideologia, in una sola parola della metafisica
Platoniana, che crede che l'essere sia il diverso.
Ma se il diverso è tutto ciò che è essere allora anche il diverso è l'uguale.
Ciò che è altro diventa Altro. Ossia idealizzazione monista.
Questo tema è chiaramente lacaniano. Bisogna recuperarlo.
Mi spiace che non lo abbiate ancora fatto in tutti questi anni.
Il sintomo dell'Altro nell'altro, è l'ossessione paranoica, ossia la paranoia.
Fra i suoi fantasmi quello del divoramento (essere divorato), è uno dei
possibili. A vedere tutti i film degli zombie, in questi mesi anche nella
nostra pubblicità è comparsa. Capiamo già meglio lo stato di esasperazione
In realtà il cannibalismo ha un origo ben più complessa, ha ragione a tirarla
Leggendo Freud, è esattamente il totemismo animale.
Siamo proprio alle radici della questione filosofica, quella vera, quella
Mi lasciate sempre in un isolamento assordante.
I vostri silenzi sono assordanti.
E' stato di nuovo Agamben, dopo aver scoperto la legge del Basiliscus come
la legge della gerarchia (e vallo a spiegare ad un ebreo, lo negherebbe, pur
di fatto egli facendo del sacrificio la sua Missione).
Ad aver scoperto il mostro come la legge del cristianesimo.
La belva che mangia di nuovo....
Ripeto a me non interessano tanto queste spettografie, mi interesserebbe andare
avanti: nessuno lo sa fare.
Per quanto riguarda l'ebraismo, che come sapete sto studiacchiando, mi pare
sempre più evidente che sia la teologia negativa a fondarlo.
Ora è evidente che il Dio ebraico è l'opposto del Dio cristiano.
Il primo è nascosto, il secondo si è rivelato.
Ma la vera rivelazione anche nel cristianesimo se inteso in maniera corretta.
Non è tanto nella sua teofania, quanto nel suo messaggio ugualmente di
In questo senso chi è veramente contrario è l'idolo dei vari Platone e Aristotele
a dover essere smantellato.
Ma penso che l'idealismo (kant e hegel) e Nietzche ci abbiano già pensato
Ora questo è per dire che il nichilismo non va negato con il principio di
responsabilità (non cannibalizzare l'altro, nel senso etico di Levinas).
Quanto guardato in faccia nel suo abisso più profondo.
Il primo a partire è stato Nietzche (è evidente che Kant non l'abbia mai fatto
non a caso anche lui ci relega nella responsabilità, ma temo anche Hegel, che
fugge di fronte al suo stesso pensiero, come la maggioranza di noi pochi che
lo capiamo) il secondo ....il secondo deve ancora venire! heideger
ha preferito aspettare alla riva. Altri addirittura ci hanno costuito un sistema.
(decostruzionismo e scemenze simili, sebbene utili).Per restare su quella riva.
Attenzione lo stesso Lacan non l'ha fatto. E' molto difficile uscire dal soggetto.
Per dare un aiuto agli aspiranti filosofi, consiglio come primo passo: di pensare, sottolineo pensare, non razionalizzare, che l'esistente non è l'Ente.
Mi pare che su questa fenomenologia Heideger ci abbia lavorato su molto.
Quando sento dire che la filosofia greca si è dimenticata dell'essere, mi arrabbio.
Non l'essere, bensì l'esistente.
Ciò che vive, il corpo vivente.
Se non capiamo questo non possiamo andare veramente avanti,
Citazione di: paul11 il 04 Aprile 2019, 13:39:26 PM
...e ti risulta che Hume credesse ad una "buona morale", basata sul "buon uomo di natura"? A me risulta tutt'altro .
I fondamenti di un etica incentrata sull'uomo è falsa. In filosofia politica, per rimanere nella modernità, basta studiarsi tutto il dibattito sul pensiero giusnaturalista o diritto di natura, superato dallo storicismo con Hegel.
Ti risulta che Marx traendo la dialettica da Hegel "pacificamente" possa il proletariato vincere contro il capitale?
Laddove non esiste una cultura ontologica che possa limitare l'uomo, lo fa la legge umana istituzionale basata sulle convenzioni e sulle sanzioni non traggono origini certamente dal buonismo comportamentale umano.
Levinas fa l'errore di non costruire un'ontologia che possa sorreggere la sua bellissima argomentazione.
Se per lui l'Essere può essere nulla e la verità nascondimento, ognuno del mondo vede e vive secondo la sua pancia,detto in maniera molto schietta.
Ciao Paul ho fatto un salto in avanti, mi manca la parte intermedia, anche se vedo come al solito che la faccenda (mai che si parli di pensiero) si è di nuovo incancrenita nell'analitica americana, mente corpo verita e cazz'altro. Oltre al senz'anima Sgiombo sè aggiunto pure tersite.....andiamo bene....nuovi robot nel forum, potrebbero benissimo essere dei BOT che partono in automatico, appena leggono le parole chiave della metafisica speciale, mondo anima dio.
Ovviamente quella parte non mi interessa minimamente.
Forse sarà la presenza di davintro, ma perchè a levinas mancherebbe la parte ontologica?
D'altronde qua nel forum si parla di fenomenologia, ma un conto è quella astrusa husserliana, un conto quella vivente heideggeriana.
Ontologia heidegeriana, è fenomenologia heidegeriana, per esempio.
Intendi forse questo?
Comunque Levinas è uno dei pochi che segue Husserl, non a caso anche lui si rivolge alla matematica per creare un sistema che matematico non è (quello gnoseologico che pretende di fondare il soggetto, nel caso di Husserl finalmente trovate un audizione seria fatta non a caso alla normale di Pisa, la miglior università per distacco, proprio su Husserl. E che testimonia ancora una volta, come intuisca subito quale è il punto del filosofo, ossia che non è questione logica, quanto analitica, ma nel senso proprio che l'analitica è vivente. Il che è ridicolissimo, nessun matema è vivente, è l'uomo che lo suppone...buon husserl !!!salvo svegliarsi alla fine della vita con la questione della crisi delle scienze, chiaramente influenzato dall'allievo nel frattempo caduto in disgrazia).
Ma su questo credo che la questione ghematrica della Torah abbia un eco, non leggibile dal filosofo mediocre moderno.
Voglio dire anche qui....mi descrivono un Levinas occidentale, ma Levinas era ebreo.
La questione va letta su ben altre problematiche, per quel che mi riguarda superiori!
Temo che l'errore, se di errore vogliamo parlare sia quello di aver ribadito il patriarcato come necessità per la comunità-
Io sinceramente non vedo comunità reale, relazionale, al massimo comunità politca in quei termini. (principio di responsabilità etc....)
Ma in quel caso siamo dentro l'ideologia, e non fuori come si addice alla filosofia!!!
comunque mi rimane il dubbio sul tuo intervento, Ciao!
da qui in poi ci si divertirà davvero.
Arrivano le intuizioni e riapre il teatrino dada\numerologico\illuminato...avanti c'e' posto...
Citazione di: tersite il 06 Aprile 2019, 01:09:48 AM
da qui in poi ci si divertirà davvero.
Arrivano le intuizioni e riapre il teatrino dada\numerologico\illuminato...avanti c'e' posto...
Ciao Tersite, non ho ancora letto le tue argomentazioni, comunque risponderò anche alle questioni analitiche americane, anche se di base la soluzione di sgiombo mi piace, dualismo monista, usando l'accetta sulla questione tutta sua, sebbene filosofica (occam, hume etc).
Ora vado a nanna. Comunque dell'"illuminati" nessuno mi aveva ancora dato! del dadaista sì! che vuoi farci!
La numerologia (biblica) è cosa seria, scientificamente basata.
A Tel Aviv il dibattito UNIVERSITARIO è già da tempo e ampiamente iniziato.
Ciao tersite non ho ancora letto le tue argomentazioni ma tanto per conoscersi così, a pelle, ho deciso che sei un bot a risposta automatica.
Sempre senza aver letto le tue argomentazioni ( cosa che in effetti apprezzo dato che interessano poco anche a me) sei stato assegnato alle questioni analitiche americane (nel caso mi interessassero...) di cui mi occuperò a breve sbrigandole con la consueta competenza.
[quote author=green demetr date=1554506787
A Tel Aviv il dibattito UNIVERSITARIO è già da tempo e ampiamente iniziato.
Nella mia testa questo significa che il dipartimento che distribuisce alle università parte dei fondi statali gode di indiscussa buona salute ed in conseguenza di questo han trovato finalmente dove infilare i fondamentalisti rabbini e levarseli un poco di torno.
Oppure che il dipartimento che distribuisce alle università parte dei fondi statali è stato "influenzato" dai fondamentalisti rabbini per diffondere la loro ideologia.
Che sia oggetto di dibattito universitario a tel aviv è una notizia significante per i rabbini, non certo per il mondo intero.
Scendendo poi a noi, questa inclinazione per un sapere alternativo all'istituzionalizzazione del sapere unito alla compiaciutezza per l'accettazione universitaria, intona un accordo leggermente stonato.
Sicuramente ci sarà qualche rabbino, ventesimo discendente di una dinastia in cui il sapere si tramanda oralmente, che sghignazzerà (anzi no, allargherà lievemente gli avambracci chinando un poco la testa, a me appartiene lo sghignazzo, non a lui) di questa cosa.
P.s.: non ho premesso alcuna considerazione di quanto neutro e "pulito" sia l'uso che io faccia di parole come "ebreo", "rabbino" e simili, per non rischiare di essere offensivo nei tuoi confronti.
Lo devo però sottolineare ad uso dei soliti ignoti, e perché sì, ma ti prego di credermi che non riguarda te.
Per Ipazia
mi spiace di risultare contorto, probabilmente quello che dico potrebbe anche essere espresso in modo più semplice e sintetico, è che preferisco dilungarmi un po' a esporre delle implicazioni dall'idea centrale, che magari porta il discorso a essere meno diretto e lineare, ma, almeno nelle mie intenzioni, più ricercante la chiarezza, considerando le varie sfumature. Posso assicurare, nessuna volontà di ermetismo. Del resto questo è un topic tra i più discussi, segno che comunque i temi discussi non si fermano a delle evidenze da dare per scontato
Per Green Demetr
è vero che Husserl parte da una formazione matematica, ma questo non gli ha impedito di pervenire a una filosofia che è senza dubbio definibile a suo modo come "filosofia della vita". Nel momento in cui si parla di intuizione delle essenze si va indagare l'aspetto qualitativo dei fenomeni, che è proprio l'oggetto dei nostri vissuti, cioè della vita. Il fatto che tale intuizione necessiti di essere rischiarata tramite un passaggio metodologico astrattivo come la sospensione dell'aspetto esistenziale è funzionale a tematizzare il complesso delle modalità di vita in modo il più possibile adeguato a cogliere la struttura necessaria dei fenomeni, che resterebbe nascosta fermandoci a una visione ingenua in cui gli aspetti arbitrari e quelli oggettivamente costitutivi dei fenomeni sono confuse. "Filosofia della vita" e "vita" non sono la stessa cosa, la riflessione analitica tematizza la vita, sì, lasciando sullo sfondo determinati livelli, ma mettendone alle luce sfumature (essenze) fenomeniche, che restando immersi nel flusso immediato e irriflesso della vita non sarebbero riemerse ed esplicitate. L'idea che la razionalità analitica snaturi la vita vuol dire cadere in delle visioni irrazionalistiche/vitaliste che vedono vita e riflessione razionale su di essa come contrapposte, e che fossero seguite coerentemente dovrebbero portare a rinunciare alla filosofia come discorso teso ad andare al di là di una doxa, mera opinione, espressione di un'esperienza immediata e incapace di astrarsi e individuare i fondamenti delle sue pretese di corrispondenza con la realtà. Quando si parla di "essenza" si parla non di quantità, ma di qualità fenomeniche vissute, quindi l'idea del mondo della vita come qualcosa che non si riduce ai saperi matematizzanti è un aspetto della fenomenologia di Husserl a mio avviso presente ben prima della Crisi e dell'eventuale influenza heideggeriana, è già necessariamente insita nell'idea di filosofia come "scienza di essenze" e non di fatti
Citazione di: sgiombo il 05 Aprile 2019, 21:38:27 PM
Insisto sulla necessità di distinguere due diverse questioni nelle quali può accadere che si impieghino i termini "fenomeno" e "noumeno" in due modi diversi (dando origine complessivamente a quattro diversi concetti, reciprocamente correlati a due a due).
A Sgiombo
Credimi, vorrei sinceramente capire il tuo punto di vista, ma non mi è facile (come ho già avuto modo
di dirti).
Allora: un cavallo resta "tale e quale" a prescindere se l'interpretante sia un golosone veronese
(conosci la "pastissada de caval a l'amarone"?), un dandy britannico o nessuno (cioè allorquando
nessuno vede o pensa il cavallo). E siamo perfettamente d'accordo.
Ma, mi chiedo, dove divergono allora le nostre opinioni, visto il perfetto accordo che c'è sul punto
dirimente?
Quell'aggettivazione di "tale e quale" con cui ti riferisci al cavallo io la chiamo "cosa in sé", o
"noumeno"; e non mi riferisco ad essa come ad un oggetto, ma come ad un concetto (ragion per cui la
"cosa in sé", il "tale e quale", è l'idea dell'oggetto, non l'oggetto).
Questo, naturalmente, perchè assumo a fondamento della mia tesi la teoria cartesiana, per cui l'idea è
l'unico oggetto della conoscenza.
saluti
Citazione di: davintro il 06 Aprile 2019, 16:28:59 PM
Per Ipazia
mi spiace di risultare contorto, probabilmente quello che dico potrebbe anche essere espresso in modo più semplice e sintetico, è che preferisco dilungarmi un po' a esporre delle implicazioni dall'idea centrale, che magari porta il discorso a essere meno diretto e lineare, ma, almeno nelle mie intenzioni, più ricercante la chiarezza, considerando le varie sfumature. Posso assicurare, nessuna volontà di ermetismo. Del resto questo è un topic tra i più discussi, segno che comunque i temi discussi non si fermano a delle evidenze da dare per scontato
L'aggettivo che ho usato non è dei più azzeccati. Voleva essere un complimento alla capacità d'uso di un linguaggio filosofico "professionale" per fare lo slalon tra paletti esplicativi che paiono posti ad arte per complicare cose decisamente più semplici quali, ad esempio, l'unicità dei processi logici in tutti i campi del sapere. Ma forse hai ragione tu a non fermarti alle evidenze date per scontate e, da bravo fenomenologo, dissezionare la materia fino all'infinitesimale. In ogni caso mi sento sulla tua stessa lunghezza d'onda, seppur con molto minor rigore, in questa discussione.
Citazione di: 0xdeadbeef il 06 Aprile 2019, 16:37:21 PM
A Sgiombo
Credimi, vorrei sinceramente capire il tuo punto di vista, ma non mi è facile (come ho già avuto modo
di dirti).
Allora: un cavallo resta "tale e quale" a prescindere se l'interpretante sia un golosone veronese
(conosci la "pastissada de caval a l'amarone"?), un dandy britannico o nessuno (cioè allorquando
nessuno vede o pensa il cavallo). E siamo perfettamente d'accordo.
Ma, mi chiedo, dove divergono allora le nostre opinioni, visto il perfetto accordo che c'è sul punto
dirimente?
Quell'aggettivazione di "tale e quale" con cui ti riferisci al cavallo io la chiamo "cosa in sé", o
"noumeno"; e non mi riferisco ad essa come ad un oggetto, ma come ad un concetto (ragion per cui la
"cosa in sé", il "tale e quale", è l'idea dell'oggetto, non l'oggetto).
Questo, naturalmente, perchè assumo a fondamento della mia tesi la teoria cartesiana, per cui l'idea è
l'unico oggetto della conoscenza.
saluti
Citazione
Credo che non potrebbe esserci distanza più abissale fra le nostre rispettive convinzioni sulla realtà e la conoscenza della realtà.
Credo che se dopo tutto l' argomentare che ho sciorinato non riesci a capire la mia, ben difficilmente riuscirò a spiegartela con ulteriori tentatvi.
Ne faccio un ultimo decisamente disperato.
Quel cavallo cui mi riferisco io e che resta tale e quale tanto se accade che sia "interpretato" come fonte di bistecche o come destriero o in qualsiasi altro modo quanto se accade che non sia "interpretato" per niente (se nessuno ci pensa, nessuno lo prende in considerazione, tutti lo ignorano) é una cosa reale (fenomenica1). E' la denotazione o estensione reale del concetto simboleggiato dalla locuzione "quel cavallo", la quale intensione sarebbe reale talmente qualmente anche se nessuno la prendesse in considerazione, nessuno pensasse il concetto con tale denotazione o estensione reale (oltre che ovviamente, come tutti i concetti, una connotazione o intensione cogitativa), nessuno simboleggiasse tale concetto con la locuzione "quel cavallo".
La sua realtà é qualcosa di ben diverso (o forse a te pare uguale ?!?!?!) rispetto a quella di un' idea (reale) di qualcosa che non é reale (oltre all' dea di tale cosa e indipendentemente da essa), come potrebbe essere ad esempio il concetto simboleggiato dalla locuzione "Ippogrifo Bellerofonte", il quale presenta una connotazione o intensione cogitativa (un significato: é qualcosa di sensato e non una sequela di fonemi o grafemi senza senso come potrebbero essere "cerchio quadrato" o "triangolo euclideo la somma dei cui angoli interni é diversa da un angolo piatto", o "trallallerollerollà") ma a differenza del concetto di "quel cavallo" non esiste una sua denotazione o estensione reale (di "ippogrifo" é reale solo il concetto, il pensiero "ippopgrifo", mentre di "cavallo" é reale anche la cosa reale, il cavallo).
SE continui a non capire la differenza, beh, allora tanti saluti,: vuol dire che parliamo lingue diverse e non reciprocamente traducibili, o forse siamo addirittura specie animali diverse; ti auguro ogni bene ma, con tutta la buona volontà che potrei metterci, non potrei avere più nulla a che fare con te.
Sgiombo dice:
"Quel cavallo cui mi riferisco io e che resta tale e quale tanto se accade che sia "interpretato" come fonte di bistecche o come destriero o in qualsiasi altro modo quanto se accade che non sia "interpretato" per niente (se nessuno ci pensa, nessuno lo prende in considerazione, tutti lo ignorano) é una cosa reale (fenomenica1). E' la denotazione o estensione reale del concetto simboleggiato dalla locuzione "quel cavallo", la quale intensione sarebbe reale talmente qualmente anche se nessuno la prendesse in considerazione, nessuno pensasse il concetto con tale denotazione o estensione reale (oltre che ovviamente, come tutti i concetti, una connotazione o intensione cogitativa), nessuno simboleggiasse tale concetto con la locuzione "quel cavallo".
E io rispondo
Embé? E che differenza c'è con: "un cavallo resta "tale e quale" a prescindere se l'interpretante
sia un golosone veronese (conosci la "pastissada de caval a l'amarone"?), un dandy britannico o
nessuno (cioè allorquando nessuno vede o pensa il cavallo)".
Tu ci vedi forse delle differenze? E quali?
Ti ho forse detto che IL CAVALLO "tale e quale" è un'idea? E mica sono Berkeley, che nega la materia...
Ti ho invece detto che IL CONCETTO del cavallo "tale e quale" è una idea, e non mi pare davvero la
stessa cosa...
Mi hai mai sentito dire che la "res extensa" coincide con la "res cogitans" (come nell'Idealismo,
che fa coincidere realtà e razionalità)? Non credo proprio, visto che semmai mi hai sempre sentito
distinguerle, e nettamente.
Se poi tu mi vedi come un idealista e vedi "abissali distanze" con il tuo materialismo beh, direi
proprio che ci hai visto male.
saluti
Citazione di: tersite il 05 Aprile 2019, 14:18:07 PM
..............
Quello che cerchi non esiste e rischi di trovarlo in quelle signorine che non sono la filosofia ma si vestono come lei.
Rassegnati a non aver alcun fondamento che non sia la tua mente la tua sensibilità.
Tutto quel che rimane fuori non conta.
Molto bello tutto il post, come e cosa hai scritto.
Lascio evidenziata una tua constatazione che mi sono chiesto un milione di volta, se valesse la pena continuare a studiare la filosfia.
Ritengo di sì, nonostante tu abbia ottime ragioni nella tua argomentazione.
C'è chi vive senza sapere di vivere, o utilizza come orpello la propria mente, c'è chi crede che sia un prolungamento evoluzionistico animale per cui cerca l'utile e il dilettevole come se la vita fosse un conto corrente fra passività e attività.
Cerco altro........cerco di capire ad esempio perchè gli indivdui in determinate condizioni emotive e materiali dà il peggio o il meglio di sè, così come negli eventi sociali. ma soprattutto penso che la vita abbia un senso, non c'è niente nell'intero universo che esista senza un senso.
Questo significa non dover solo interessarsi di filosfia, ma un pò di tutto, compresa l'arte.
Citazione di: 0xdeadbeef il 06 Aprile 2019, 22:26:05 PM
Sgiombo dice:
"Quel cavallo cui mi riferisco io e che resta tale e quale tanto se accade che sia "interpretato" come fonte di bistecche o come destriero o in qualsiasi altro modo quanto se accade che non sia "interpretato" per niente (se nessuno ci pensa, nessuno lo prende in considerazione, tutti lo ignorano) é una cosa reale (fenomenica1). E' la denotazione o estensione reale del concetto simboleggiato dalla locuzione "quel cavallo", la quale intensione sarebbe reale talmente qualmente anche se nessuno la prendesse in considerazione, nessuno pensasse il concetto con tale denotazione o estensione reale (oltre che ovviamente, come tutti i concetti, una connotazione o intensione cogitativa), nessuno simboleggiasse tale concetto con la locuzione "quel cavallo".
E io rispondo
Embé? E che differenza c'è con: "un cavallo resta "tale e quale" a prescindere se l'interpretante
sia un golosone veronese (conosci la "pastissada de caval a l'amarone"?), un dandy britannico o
nessuno (cioè allorquando nessuno vede o pensa il cavallo)".
Tu ci vedi forse delle differenze? E quali?
Ti ho forse detto che IL CAVALLO "tale e quale" è un'idea? E mica sono Berkeley, che nega la materia...
Ti ho invece detto che IL CONCETTO del cavallo "tale e quale" è una idea, e non mi pare davvero la
stessa cosa...
Mi hai mai sentito dire che la "res extensa" coincide con la "res cogitans" (come nell'Idealismo,
che fa coincidere realtà e razionalità)? Non credo proprio, visto che semmai mi hai sempre sentito
distinguerle, e nettamente.
Se poi tu mi vedi come un idealista e vedi "abissali distanze" con il tuo materialismo beh, direi
proprio che ci hai visto male.
saluti
Per favore, non prendiamoci in giro!
Tu mi hai scritto nell' intervento #248 (faccio un copia-incolla):
"
Quell'aggettivazione di "tale e quale" con cui ti riferisci al cavallo io la chiamo "cosa in sé", o"noumeno"; e non mi riferisco ad essa come ad un oggetto, ma come ad un concetto (ragion per cui la "cosa in sé", il "tale e quale", è l'idea dell'oggetto, non l'oggetto)".E io ti ho risposto:Quel cavallo cui mi riferisco io e che resta tale e quale tanto se accade che sia "interpretato" come fonte di bistecche o come destriero o in qualsiasi altro modo quanto se accade che non sia "interpretato" per niente (se nessuno ci pensa, nessuno lo prende in considerazione, tutti lo ignorano) é una cosa reale (fenomenica1). E' la denotazione o estensione reale del concetto simboleggiato dalla locuzione "quel cavallo", la quale intensione sarebbe reale talmente qualmente anche se nessuno la prendesse in considerazione, nessuno pensasse il concetto con tale denotazione o estensione reale (oltre che ovviamente, come tutti i concetti, una connotazione o intensione cogitativa), nessuno simboleggiasse tale concetto con la locuzione "quel cavallo".La sua realtà é qualcosa di ben diverso (o forse a te pare uguale ?!?!?!) rispetto a quella di un' idea (reale) di qualcosa che non é reale (oltre all' dea di tale cosa e indipendentemente da essa), come potrebbe essere ad esempio il concetto simboleggiato dalla locuzione "Ippogrifo Bellerofonte", il quale presenta una connotazione o intensione cogitativa (un significato: é qualcosa di sensato e non una sequela di fonemi o grafemi senza senso come potrebbero essere "cerchio quadrato" o "triangolo euclideo la somma dei cui angoli interni é diversa da un angolo piatto", o "trallallerollerollà") ma a differenza del concetto di "quel cavallo" non esiste una sua denotazione o estensione reale (di "ippogrifo" é reale solo il concetto, il pensiero "ippopgrifo", mentre di "cavallo" é reale anche la cosa reale, il cavallo).ADDIO ! ! !
Ah, dimenticavo:
Se poi mi vedi come un materialista, beh, direi
proprio che ci hai visto male.
A - RI / ADDIO E STAVOLTA DAVVERO E PER SEMPRE ! ! !
Citazione di: green demetr il 06 Aprile 2019, 00:49:22 AM
Ciao Paul ho fatto un salto in avanti, mi manca la parte intermedia, anche se vedo come al solito che la faccenda (mai che si parli di pensiero) si è di nuovo incancrenita nell'analitica americana, mente corpo verita e cazz'altro. Oltre al senz'anima Sgiombo sè aggiunto pure tersite.....andiamo bene....nuovi robot nel forum, potrebbero benissimo essere dei BOT che partono in automatico, appena leggono le parole chiave della metafisica speciale, mondo anima dio.
Ovviamente quella parte non mi interessa minimamente.
Forse sarà la presenza di davintro, ma perchè a levinas mancherebbe la parte ontologica?
D'altronde qua nel forum si parla di fenomenologia, ma un conto è quella astrusa husserliana, un conto quella vivente heideggeriana.
Ontologia heidegeriana, è fenomenologia heidegeriana, per esempio.
Intendi forse questo?
Comunque Levinas è uno dei pochi che segue Husserl, non a caso anche lui si rivolge alla matematica per creare un sistema che matematico non è (quello gnoseologico che pretende di fondare il soggetto, nel caso di Husserl finalmente trovate un audizione seria fatta non a caso alla normale di Pisa, la miglior università per distacco, proprio su Husserl. E che testimonia ancora una volta, come intuisca subito quale è il punto del filosofo, ossia che non è questione logica, quanto analitica, ma nel senso proprio che l'analitica è vivente. Il che è ridicolissimo, nessun matema è vivente, è l'uomo che lo suppone...buon husserl !!!salvo svegliarsi alla fine della vita con la questione della crisi delle scienze, chiaramente influenzato dall'allievo nel frattempo caduto in disgrazia).
Ma su questo credo che la questione ghematrica della Torah abbia un eco, non leggibile dal filosofo mediocre moderno.
Voglio dire anche qui....mi descrivono un Levinas occidentale, ma Levinas era ebreo.
La questione va letta su ben altre problematiche, per quel che mi riguarda superiori!
Temo che l'errore, se di errore vogliamo parlare sia quello di aver ribadito il patriarcato come necessità per la comunità-
Io sinceramente non vedo comunità reale, relazionale, al massimo comunità politca in quei termini. (principio di responsabilità etc....)
Ma in quel caso siamo dentro l'ideologia, e non fuori come si addice alla filosofia!!!
comunque mi rimane il dubbio sul tuo intervento, Ciao!
L'Essere entra nella grande tematica della corrente fenomenologica quando Hidegger, essendo pro Aristotele e contro Platone( e per me è un luogo comune della grande battaglia culturale esistente contemporanea colpire Platone nell'antichità e spesso Hegel fra modern, perchè sono "pericolosi") attacca Platone sul concetto di Essere. Heidegger ritiene che fosse una fissità senza contenuto e per dagli un "senso" lo pone nell'esistenza, creando il dasein, l'esser-ci.
Il problema rimane ontologico filosoficamente .Solo un parametro eterno e non in divenire , può orientare il senso di un'esistenza, questo è il punto.
Diversamente cadiamo ,come ha compiuto il disepolo di Heidegger, Gadamer , nell'ermeneutica: interpretiamo.Ma vien fuori il free jazz, non una orchestazione sinfonica. Quale interpretazione è giusta?Ha più ragione Heidegger o Levinas quando discutono dell'Eseere, dell'esistenza e di argomenti importanti ad esempio del rapporto con l'etica? Heidegger è caduto nell'errore di diventare nazista, anche se per poco tempo.
Intendo dire che una filosfia non esenta da errori pratici, anzi bolla la teoretica, in questo caso di Heidegger, quanto meno di "ambigua".
Alla "polemos" Mauro(Oxdeadbeef) Sgiombo,
pacifichiamo chiarendo:
Sgiombo non è un materialista, direi un naturalista -empirista- comunita engelsiano che stima molto Timpanaro.
(Ho inquadrato almeno sufficentmente Sgiombo?) Apassionato fra l'altro di filosfia della mente ha sempre sostenuto che il cervello materiale non corrisponde affatto alla Mente (infatti ritiene che quest'ultima esista) e' un dualista (cervello da una parte, mente da un'altra parte).
Il problema è che la scienza sperimentale moderna è diversa dall'empirismo, la fenomenologia, è diversa da entrambe è nessuno a tutt'oggi è capace di dire ontologicamente(,una cosa, ente filosficamente, che"è"), prima ancora della procedura gnoseologica(conoscenza.
Che cosa è la mente, che cosa è la coscienza,(ma anche psiche, anima ,spirito) quali sono i loro contenuti chiari e distinti, perchè esistono intuizioni, intenzioni, una logica a priori, magari rudimentale (è innata?) come nasce la necessità lingusitica di relazionare con il mondo(prima ancora con i nostri simili umani, prima ancora di relazionare con noi stessi e quindi la "nascita" di una consapevolezza).Tutta questa zona fondamentale che è ontologica fra il dominio fisico materiale(cervello) e quello mentale(metafiscio?) è una zona grigia..
Si ì spesso con disnvoltura passati all'apprire della mente direi.Anche quì come tutta la nostra conoscenza nasce da una tautologia, da un'evidenza, verso cui ci "fidiamo".Se non conosco la mente allora studio le sue relazioni(gli effetti), quindi studio la linguistica, i segni i simboli, le signifcazioni: ma perchè?Nessuno conosce la mente, ma si conosce meglio oggi come condizionarla.
Il nobile tenttivo di Kant, e cerchiamo anche di capire il suo tempo storico privo di molte scoperte neuroscientifiche o sul cognitivismo, ecc.
è collegare l'uomo alla realtà con una scientificcizzazione filosfica, vale dire procederre con gli argomenti filosfici ma con una procedura scientifca. ora che sia giusto o sbagliato, o in parte giusto e in parte sbagliato è al vaglio da più di due secoli
Citazione di: paul11 il 06 Aprile 2019, 23:58:11 PM
Heidegger è caduto nell'errore di diventare nazista, anche se per poco tempo.
Intendo dire che una filosfia non esenta da errori pratici, anzi bolla la teoretica, in questo caso di Heidegger, quanto meno di "ambigua".
Citazione
Non conosco Heidegger, ma suppongo sia per lo meno discutibile che la sua adesione al nazismo sia stata semplicemente un "errore".
Mi pare che sia stata breve semplicemente perché breve é stato il potere del nazismo; che l' abbia abbandonato solo dopo la rovinosa sconfitta.
(Considerazione per niente filosofiche, casomai stoiche, e comunque di scarsissimo rilievo in questa sede: una polemica un po' gratuita, lo ammetto),
Sgiombo non è un materialista, direi un naturalista -empirista- comunsita engelsiano che stima molto Timpanaro.
(Ho inquadrato almeno sufficentmente Sgiombo?) Apassionato fra l'altro di filosfia della mente ha sempre sostenuto che il cervello materiale non corrisponde affatto alla Mente (infatti ritiene che quest'ultima esista) e' un dualista (cervello da una parte, mente da un'altra parte).
Citazione
Caspita!
Tu sì che mi hai capito benissimo!
(Devo amettere che non me n'e ro accorto dalla lettura -forse non sufficientemente attenta?- delle tue obiezioni).
Il problema è che la scienza sperimentale moderna è diversa dall'empirismo, la fenomenologia, è diversa da entrambe è nessuno a tutt'oggi è capace di dire ontologicamente(,una cosa, ente filosficamente, che"è"), prima ancora della procedura gnoseologica(conoscenza.
Citazione
Direi che la filosofia empirista é sempre stata diversa dalla scienza sperimentale. e (ma in minor misura) dalla fenomenologia.
Ma, come l' empirismo e non ovviamente le scienze naturali, si occupa di gnoseologia e "da sempre" tiene conto delle conoscenze scientifiche.
Che cosa è la mente, che cosa è la coscienza,(ma anche psiche, anima ,spirito) quali sono i loro contenuti chiari e distinti, perchè esistono intuizioni, intenzioni, una logica a priori, magari rudimentale (è innata?) come nasce la necessità lingusitica di relazionare con il mondo(prima ancora con i nostri simili umani, prima ancora di relazionare con noi stessi e quindi la "nascita" di una consapevolezza).Tutta questa zona fondamentale che è ontologica fra il dominio fisico materiale(cervello) e quello mentale(metafiscio?) è una zona grigia..
Si ì spesso con disnvoltura passati all'apprire della mente direi.Anche quì come tutta la nostra conoscenza nasce da una tautologia, da un'evidenza, verso cui ci "fidiamo".Se non conosco la mente allora studio le sue relazioni(gli effetti), quindi studio la linguistica, i segni i simboli, le signifcazioni: ma perchè?Nessuno conosce la mente, ma si conosce meglio oggi come condizionarla.
Citazione
Secondo me di innato ci sono unicamente tendenze comportamentali, capacità, "potenzialità di conoscenza" (le caratteristiche fisiche della famosa empiristica tabula rasa", come il colore, la ruvidezza e la durezza delle superficie, la forma e l' ampiezza, che condizionano i "materiali con cui ci si può scrivere", l' "estensione delle scritture possibili", i "modi di tracciarveli", ecc.: nessuna conoscenza a priori. Ben spiegate dalla biologia scientifica; spiegazione ovviamente ben diversa -tutt' altro!- che una critica filosofica della conoscenza o che una gnoseologia filosofica).
La mente secondo e si constata empiricamente come insiemi - successioni di sensazioni fenomeniche (interiori, non misurabili quantitativamente, non postulabili essere intersoggettive), esattamente come la materia (insiemi - successioni di sensazioni fenomeniche esteriori, misurabili quantitativamente, postulabili essere intersoggettive).
Quindi non é altro che (un determinato tipo di) "apparire" : fenomeni.
E il linguaggio é il peculiare modo umano (simbolico) di pensare e dunque di conoscere, da quando é stato inventato).
Il nobile tentativo di Kant, e cerchiamo anche di capire il suo tempo storico privo di molte scoperte neuroscientifiche o sul cognitivismo, ecc.
è collegare l'uomo alla realtà con una scientificcizzazione filosfica, vale dire procederre con gli argomenti filosfici ma con una procedura scientifca. ora che sia giusto o sbagliato, o in parte giusto e in parte sbagliato è al vaglio da più di due secoli
Citazione
Più che "scientifica" direi "razionale" (come nel caso di altre correnti filosofiche, empirismo i primis, anche Cartesio, ecc.: tutti "nobili ardimentosi ne cimento).
Citazione di: paul11 il 06 Aprile 2019, 23:58:11 PM
L'Essere entra nella grande tematica della corrente fenomenologica quando Hidegger, essendo pro Aristotele e contro Platone( e per me è un luogo comune della grande battaglia culturale esistente contemporanea colpire Platone nell'antichità e spesso Hegel fra modern, perchè sono "pericolosi") attacca Platone sul concetto di Essere. Heidegger ritiene che fosse una fissità senza contenuto e per dagli un "senso" lo pone nell'esistenza, creando il dasein, l'esser-ci.
Il problema rimane ontologico filosoficamente .Solo un parametro eterno e non in divenire , può orientare il senso di un'esistenza, questo è il punto.
Certamente. Ma essendo il divenire un parametro incontrovertibile bisogna imparare a scrivere l'ontologia sull'acqua della storia e a tal proposito ...
Citazione
Diversamente cadiamo ,come ha compiuto il disepolo di Heidegger, Gadamer , nell'ermeneutica: interpretiamo.Ma vien fuori il free jazz, non una orchestazione sinfonica.
... Il free jazz dell'ermeneutica (non semplice narrazione) storica diventa strumento indispensabile
Citazione
Quale interpretazione è giusta?Ha più ragione Heidegger o Levinas quando discutono dell'Eseere, dell'esistenza e di argomenti importanti ad esempio del rapporto con l'etica? Heidegger è caduto nell'errore di diventare nazista, anche se per poco tempo.
Intendo dire che una filosfia non esenta da errori pratici, anzi bolla la teoretica, in questo caso di Heidegger, quanto meno di "ambigua".
La risposta è la filosofia della prassi che non si limita ad enunciare principi astratti, ma li verifica costantemente,
dopo averli estratti dalla realtà antropologica - fenomenologicamente complessa - con le sue luci, da esaltare, e le sue ombre, da illuminare e regolamentare. Questo le permette anche di non prendere lucciole metafisiche per lanterne naziste.
Citazione
Il problema è che la scienza sperimentale moderna è diversa dall'empirismo, la fenomenologia, è diversa da entrambe è nessuno a tutt'oggi è capace di dire ontologicamente(,una cosa, ente filosficamente, che"è"), prima ancora della procedura gnoseologica(conoscenza.
Che cosa è la mente, che cosa è la coscienza,(ma anche psiche, anima ,spirito) quali sono i loro contenuti chiari e distinti, perchè esistono intuizioni, intenzioni, una logica a priori, magari rudimentale (è innata?) come nasce la necessità lingusitica di relazionare con il mondo(prima ancora con i nostri simili umani, prima ancora di relazionare con noi stessi e quindi la "nascita" di una consapevolezza).Tutta questa zona fondamentale che è ontologica fra il dominio fisico materiale(cervello) e quello mentale(metafiscio?) è una zona grigia..
Si ì spesso con disnvoltura passati all'apprire della mente direi.Anche quì come tutta la nostra conoscenza nasce da una tautologia, da un'evidenza, verso cui ci "fidiamo".Se non conosco la mente allora studio le sue relazioni(gli effetti), quindi studio la linguistica, i segni i simboli, le signifcazioni: ma perchè?Nessuno conosce la mente, ma si conosce meglio oggi come condizionarla.
Anche la materia e la cosmogonia erano zona grigia ai tempi di aria-acqua-terra-fuoco. Non si è arrivati per incanto alla tavola di Mendeleev e al bigbang, ma scavando nella fenomenologia naturale con procedimenti ermeneutici sempre più precisi. Il metodo scientifico è una somma di pratiche gnoseologiche sviluppatesi nel corso dei millenni in parallelo con lo sviluppo della "mente". La filosofia più consapevole, non arroccata nella necropoli di antiche entità metafisiche, non è rimasta estranea a questo sviluppo conoscitivo e - proprio per l'autonomia della "mente" - ha la piena capacità di trasferire quel rigore al suo campo d'elezione: l'ethos. Approfondendone i fondamenti e producendo le sue tavole. Dal durevole (posto che non esiste l'eterno) fino al contingente, ogni volta che un cigno nero diveniente rompe l'incanto provvisorio della struttura pensante induttiva-deduttiva consolidata.
Citazione
Il nobile tenttivo di Kant, e cerchiamo anche di capire il suo tempo storico privo di molte scoperte neuroscientifiche o sul cognitivismo, ecc. è collegare l'uomo alla realtà con una scientificcizzazione filosfica, vale dire procederre con gli argomenti filosfici ma con una procedura scientifca. ora che sia giusto o sbagliato, o in parte giusto e in parte sbagliato è al vaglio da più di due secoli
Secondum non datur.
Com'è la fenomenologia? É troppo difficile? Contrapponendosi alla scuola di Rickert, che si concentra
unicamente sulla struttura logica, la fenomenologia contiene elementi di esperienza e per questa ragione è
interessante. Mi chiedo, tuttavia, qualora continuasse a svilupparsi in maniera così statica, cosa ne sarà di essa.
Proprio come Goethe portava in giro Mendelssohn, la fenomenologia non finirà per uccidere la farfalla pur di
catturarne la bellezza?
Lettera di Nishida Kitaro all'allievo Kiba Ryohon (1922) che si era recato a Friburgo per studiare filosofia occidentale...
Nell'ottica di Nishida, «l'era moderna ha dato un posto preponderante alla
conoscenza, compromettendo l'unità di questa con sentimento e volontà» cosicché «le due
dimensioni tendono ora ad allontanarsi l'una dall'altra» (NKZ I, 47). Sarà dunque necessario
ricercare l'individuo nella sua integrità e, con chiara disillusione sulla possibilità di
autotrasparenza del cogito, percorrere un'altra via per rispondere alla domanda "Chi?". Come
ben sappiamo, la filosofia occidentale del Novecento ha imboccato, in larga misura, la "via
lunga" dell'ermeneutica, che si è aperta dalla greffe dell'ermeneutica sulla fenomenologia, e
non ha disdegnato la deviazione sui testi diversi da quella della tradizione filosofica, in
particolare i testi biblici. (Letizia Coccia-dottorato di ricerca sulla filosofia di Nishida Kitaro)
Noi possiamo prevedere l'avvenire a partire dall'esperienza del passato. Il linguaggio è inventato come un tal
metodo di adattamento: corrisponde all'esperienza. Tuttavia, resta creato dagli uomini. Attraverso di esso, non
arriviamo mai a riprodurre fedelmente l'esperienza. Io esprimo ancora la mia esperienza come un atto; ma
quando inizio a dire "Qui c'è un cavallo" io la sto solidificando. In questo caso sta già subentrando un postulato.
L'atto si vede rimpiazzato da qualcosa di stabile.
Buona domenica a tutti :)
Citazione di: sgiombo il 06 Aprile 2019, 22:49:36 PM
Ah, dimenticavo:
Se poi mi vedi come un materialista, beh, direi
proprio che ci hai visto male.
A - RI / ADDIO E STAVOLTA DAVVERO E PER SEMPRE ! ! !
Sembra quasi ci sia stato del tenero fra noi, ma figuriamoci...
Sei una persona passionale, a dir poco
saluti
Citazione di: paul11 il 06 Aprile 2019, 23:58:11 PM
Il nobile tenttivo di Kant, e cerchiamo anche di capire il suo tempo storico privo di molte scoperte neuroscientifiche o sul cognitivismo, ecc.
è collegare l'uomo alla realtà con una scientificcizzazione filosfica, vale dire procederre con gli argomenti filosfici ma con una procedura scientifca. ora che sia giusto o sbagliato, o in parte giusto e in parte sbagliato è al vaglio da più di due secoli
Ciao Paul
Mah guarda, secondo me Kant dice una cosa molto chiara (oltre che molto condivisibile): che il
"fatto" è presumibile/conoscibile solo all'interno di un "campo", cioè di un contesto o interpretazione che
dir si voglia (certo non usa questi termini, bensì i desueti "fenomeno", "noumeno" etc. ma la
"ciccia" di quel che dice è quello).
La cosa era ipotizzata già da un pezzo: fin da quando Tucidide (o era Erodoto?) pensava i diversi
modi di onorare i defunti che avevano Greci e Persiani; ma Kant, come dire, la "rilancia alla
grande" ponendo così fine al, chiamiamolo, "mondo degli oggetti" a lui antecedente.
In seguito, come noto, verrà un'ulteriore specificazione ad opera della fisica relativistica.
Questo, ritengo, è il motivo per cui si parla di Kant da così tanto tempo (non certo per le sue
teorie morali, pur importanti).
Con tutto il rispetto, ma credo che sicuramente non si parlerà altrettanto a lungo dei "dettagli"
proposti dalla neuroscienza, dal cognitivismo e dall Fenomenologia.
saluti
Citazione di: paul11 il 06 Aprile 2019, 23:58:11 PM
Solo un parametro eterno e non in divenire , può orientare il senso di un'esistenza, questo è il punto.
:)
Ma scusa, orientare il senso di una esistenza è una questione psicologica e non "filosofica", ma lasciando pure perdere questa questione che filosofia e psicologia,secondo me, hanno intrecci indicibili ed inscrivibili (inscrivibili sopratutto),
l'unico parametro "eterno" che un "soggetto osservante" possa riferire è nascita-morte, e non mi sembra sia una grande scoperta.
E poi un parametro eterno per misurare un esistenza (ovviamente umana, perché penso di umani si stia parlando...ignorando il resto) non ti sembra un poco gravoso per quella povera esistenza che magari dura trentanniventiquarantocento che siano?
E questo parametro eterno viene assunto per votazione referendum imposizione o che altro..
In pratica, prova a renderti conto ( in senso tecnico, come premesse logiche che poni, "renditi conto" in quel senso) di tutte le domande a cui "devi" dar risposta se vuoi "tenere" razionalmente quel "punto" e la spaventosa quantità di domande che pone dovrebbe segnalarti come minimo la sua dubbia utilità come parametro.
Citazione di: paul11 il 06 Aprile 2019, 23:58:11 PM.
Ha più ragione Heidegger o Levinas quando discutono dell'Eseere, dell'esistenza e di argomenti importanti ad esempio del rapporto con l'etica?
Nessuno dei due ovviamente.
Altrettanto ovviamente questo è per te (che sempre ovviamente significa anche me) totalmente irrilevante.
Chi dei due o degli altri mille abbia ragione nulla attiene a quello che sei, che eri e che diventerai.
Prendi di heidegger quel che ti serve e ti "piace" e da levinas pure che tutti e due come ovviamente gli altri mille han scritto un sacco di cose davvero carine.
L'etica non è un problema di marx o di socrate, da risolvere leggendo o imparando, è un tuo\mio problema che risolviamo ogni giorno.
Citazione di: Sariputra il 07 Aprile 2019, 09:35:32 AM
Noi possiamo prevedere l'avvenire a partire dall'esperienza del passato. Il linguaggio è inventato come un tal
metodo di adattamento: corrisponde all'esperienza. Tuttavia, resta creato dagli uomini. Attraverso di esso, non
arriviamo mai a riprodurre fedelmente l'esperienza. Io esprimo ancora la mia esperienza come un atto; ma
quando inizio a dire "Qui c'è un cavallo" io la sto solidificando. In questo caso sta già subentrando un postulato.
L'atto si vede rimpiazzato da qualcosa di stabile.
Buona domenica a tutti :)
Ciao Sari, e buona domenica anche a te.
Eccellente osservazione (tua o di Letizia Coccia?).
Il segno linguistico infatti (ma del resto come fa già lo stesso pensiero) "interpreta" l'oggetto.
Nel corso di questa discussione ho spesso citato un aforisma di G.Gentile: "l'oggetto, in quanto
pensato, non può essere una realtà indipendente dal soggetto che lo pensa". E l'ho citato appunto
perchè non sempre (cioè quasi mai...) è chiaro che l'idea del cavallo, poi seguita dalla parola
"cavallo", "mai riproduce fedelmente l'esperienza", cioè mai riproduce quello che è l'oggetto
"in sé" (oggetto in sé che viene solo postulato, come molto a proposito affermi).
saluti
Categorie--Primi approcci in mezzo ai cocci.
Le categorie kantiane sono un apriori se le consideriamo "ontologicamente" rispetto all'individuo, ma diventano un aposteriori se considerate "filogeneticamente" rispetto alla specie cui l'individuo appartiene.
Vorrei conoscere le vostre obiezioni a questa affermazione.
P.s.: anche quella di giove e minerva ;D
citaz Sgiombo
Secondo me di innato ci sono unicamente tendenze comportamentali, capacità, "potenzialità di conoscenza" (le caratteristiche fisiche della famosa empiristica tabula rasa", come il colore, la ruvidezza e la durezza delle superficie, la forma e l' ampiezza, che condizionano i "materiali con cui ci si può scrivere", l' "estensione delle scritture possibili", i "modi di tracciarveli", ecc.: nessuna conoscenza a priori. Ben spiegate dalla biologia scientifica; spiegazione ovviamente ben diversa -tutt' altro!- che una critica filosofica della conoscenza o che una gnoseologia filosofica).
La mente secondo e si constata empiricamente come insiemi - successioni di sensazioni fenomeniche (interiori, non misurabili quantitativamente, non postulabili essere intersoggettive), esattamente come la materia (insiemi - successioni di sensazioni fenomeniche esteriori, misurabili quantitativamente, postulabili essere intersoggettive).
Quindi non é altro che (un determinato tipo di) "apparire" : fenomeni.
E il linguaggio é il peculiare modo umano (simbolico) di pensare e dunque di conoscere, da quando é stato inventato).
C'è stata da Leibniz la problematica empiristica e innatistica.
Kant prendendo le categorie aristoteliche le porta nel dominio dell'esperienza.
L'esperienza è centrale come nuovo luogo del sapere nella modernità. che poi vuol dire esistenza che puoi vuol dire manifestazione delle apparenze che è diverso da sostanza, forma, essenza ed Essere della metafisica.Kant, se non ricordo male, ritine l"estensione" spazio/tempo innata ad esempio.
Non direi che la conoscenza è innata, se nascessimo "imparati" non avremmo necessità di esperienza per imparare, ma direi "le condizioni" affinchè sia possibile una conoscenza.
N.B. nota tecnica: la citazione non preleva automaticamente l'intero testo citato
Citazione di: Ipazia il 07 Aprile 2019, 09:04:34 AM
Certamente. Ma essendo il divenire un parametro incontrovertibile bisogna imparare a scrivere l'ontologia sull'acqua della storia e a tal proposito ...
... Il free jazz dell'ermeneutica (non semplice narrazione) storica diventa strumento indispensabile
La risposta è la filosofia della prassi che non si limita ad enunciare principi astratti, ma li verifica costantemente, dopo averli estratti dalla realtà antropologica - fenomenologicamente complessa - con le sue luci, da esaltare, e le sue ombre, da illuminare e regolamentare. Questo le permette anche di non prendere lucciole metafisiche per lanterne naziste.
Anche la materia e la cosmogonia erano zona grigia ai tempi di aria-acqua-terra-fuoco. Non si è arrivati per incanto alla tavola di Mendeleev e al bigbang, ma scavando nella fenomenologia naturale con procedimenti ermeneutici sempre più precisi. Il metodo scientifico è una somma di pratiche gnoseologiche sviluppatesi nel corso dei millenni in parallelo con lo sviluppo della "mente". La filosofia più consapevole, non arroccata nella necropoli di antiche entità metafisiche, non è rimasta estranea a questo sviluppo conoscitivo e - proprio per l'autonomia della "mente" - ha la piena capacità di trasferire quel rigore al suo campo d'elezione: l'ethos. Approfondendone i fondamenti e producendo le sue tavole. Dal durevole (posto che non esiste l'eterno) fino al contingente, ogni volta che un cigno nero diveniente rompe l'incanto provvisorio della struttura pensante induttiva-deduttiva consolidata.
Secondum non datur.
La citazione mi prende i tuoi scritti, ma non il mio scritto a tua volta citato, ma spero che si capisca ugualmente.
Che il luogo dell'esistenza sia dove debba essere ricondotta tutta la conoscenza, dalla scienza sperimentale alla metafiscia, questo è sempre stato implicito.Diversamente gli antichi non avrebbero toccato argomentazioni sul come comportarsi, etica/morale.
E' la modernità che ha focalizzato semmai la "fidelizzazione" sui sensi perdendo l'ontologia.
Prender la vita, importantissima, ma in sè-e-per- sè rischia di essere trattata biologicamente, bio-politicamente direbbero alcuni filosofi contemporanei,con il rischio che diventi"cosa", ente fra gli enti, senza nessuna o poca specificità.
Il paradosso quindi sarebbe ,esaltare la vita, per poi accorgersi che non è nemmeno rispettata dalla stessa cultura che l'ha esaltata
Citazione di: paul11 il 07 Aprile 2019, 15:05:08 PM
C'è stata da Leibniz la problematica empiristica e innatistica.
Kant prendendo le categorie aristoteliche le porta nel dominio dell'esperienza.
L'esperienza è centrale come nuovo luogo del sapere nella modernità. che poi vuol dire esistenza che puoi vuol dire manifestazione delle apparenze che è diverso da sostanza, forma, essenza ed Essere della metafisica.Kant, se non ricordo male, ritine l"estensione" spazio/tempo innata ad esempio.
Non direi che la conoscenza è innata, se nascessimo "imparati" non avremmo necessità di esperienza per imparare, ma direi "le condizioni" affinchè sia possibile una conoscenza.
CitazioneAppunto: la famosa "tabula rasa" degli empiristi.
--------> Eccellente osservazione (tua o di Letizia Coccia?)
Cambierebbe qualcosa ?
--------> Nel corso di questa discussione ho spesso citato un aforisma di G.Gentile
Ma si sta parlando del gentile giustiziato nel 44 ? Perché sarà la terza volta che lo citi e vorrei essere sicuro intendere la stessa persona che intendi tu.
--------> "l'oggetto, in quanto pensato, non può essere una realtà
indipendente dal soggetto che la pensa"
ebbene ? tipica fumisteria idealistica, cosa c'è di così profondo da sviscerare se non altre parole riferentesi a fumisticherie ?
p.s.: chissà cosa ne pensa ora g.gentile del suo aforisma
Citazione di: 0xdeadbeef il 07 Aprile 2019, 11:47:06 AM
Citazione di: paul11 il 06 Aprile 2019, 23:58:11 PM
Il nobile tenttivo di Kant, e cerchiamo anche di capire il suo tempo storico privo di molte scoperte neuroscientifiche o sul cognitivismo, ecc.
è collegare l'uomo alla realtà con una scientificcizzazione filosfica, vale dire procederre con gli argomenti filosfici ma con una procedura scientifca. ora che sia giusto o sbagliato, o in parte giusto e in parte sbagliato è al vaglio da più di due secoli
Ciao Paul
Mah guarda, secondo me Kant dice una cosa molto chiara (oltre che molto condivisibile): che il
"fatto" è presumibile/conoscibile solo all'interno di un "campo", cioè di un contesto o interpretazione che
dir si voglia (certo non usa questi termini, bensì i desueti "fenomeno", "noumeno" etc. ma la
"ciccia" di quel che dice è quello).
La cosa era ipotizzata già da un pezzo: fin da quando Tucidide (o era Erodoto?) pensava i diversi
modi di onorare i defunti che avevano Greci e Persiani; ma Kant, come dire, la "rilancia alla
grande" ponendo così fine al, chiamiamolo, "mondo degli oggetti" a lui antecedente.
In seguito, come noto, verrà un'ulteriore specificazione ad opera della fisica relativistica.
Questo, ritengo, è il motivo per cui si parla di Kant da così tanto tempo (non certo per le sue
teorie morali, pur importanti).
Con tutto il rispetto, ma credo che sicuramente non si parlerà altrettanto a lungo dei "dettagli"
proposti dalla neuroscienza, dal cognitivismo e dall Fenomenologia.
saluti
ciao Mauro(Oxdeadbeef)
Kant non arriva ancora ad argomentare di interpretazioni,cerca di costruire un processo gnoseologico, mentale,
L'oggetto mentale è il fenomeno ed è quello che viene consiuto.
Il noumeno verrà superato da Hegel, quando "spinge" la fenomenologia fino allo spirito, alle idee,, attraverso la dialettica.
La fenomenologia quando riprende un "oggetto" essenziale come l'Essere che "è" e non diviene e lo ripone nell'esistenza.riridefinisce l'Essere relativizzandolo nell'esitenza, ma perdendo la verità incontrovertibile: ora la verità è posta nella singola esistenza e diventa un processo di retrorica, il convincere, che possa essere verità condivisibile,Diventa politica.
La morale di Kant non mi convince nei fondativi, ma ha avuto un'enorme influenza nella dottrina della filosfia politica/morale,tanto da essere ispirazione nelle scienze giuridiche.I caposaldi delle Costituzioni degli Stati moderni , i principi dei valori, vengono anche da Kant.
La fenomenologia ha avuto profondi sviluppi in altre discipline, persino nella teologia del primo Novecento.
Molti docenti universitari hanno origine, per studi, per tesi da lì.Mi pare che Sini sia uno di questi.
Non so che sviluppi avranno le neuroscienze , il cognitivismo nella filosfia della mente, è una dialettica fra scienza e filosfia, alcuni grandi scienziati soprattutto matematici , hanno costruito pensieri filosfici importanti.
Ma rimarrà sempre centrale nella storia umana il come conosciamo e "cosa siamo noi umani".
Citazione di: tersite il 07 Aprile 2019, 12:06:41 PM
Citazione di: paul11 il 06 Aprile 2019, 23:58:11 PMSolo un parametro eterno e non in divenire , può orientare il senso di un'esistenza, questo è il punto.
:) Ma scusa, orientare il senso di una esistenza è una questione psicologica e non "filosofica", ma lasciando pure perdere questa questione che filosofia e psicologia,secondo me, hanno intrecci indicibili ed inscrivibili (inscrivibili sopratutto), l'unico parametro "eterno" che un "soggetto osservante" possa riferire è nascita-morte, e non mi sembra sia una grande scoperta. E poi un parametro eterno per misurare un esistenza (ovviamente umana, perché penso di umani si stia parlando...ignorando il resto) non ti sembra un poco gravoso per quella povera esistenza che magari dura trentanniventiquarantocento che siano? E questo parametro eterno viene assunto per votazione referendum imposizione o che altro.. In pratica, prova a renderti conto ( in senso tecnico, come premesse logiche che poni, "renditi conto" in quel senso) di tutte le domande a cui "devi" dar risposta se vuoi "tenere" razionalmente quel "punto" e la spaventosa quantità di domande che pone dovrebbe segnalarti come minimo la sua dubbia utilità come parametro.
Citazione di: tersite il 07 Aprile 2019, 12:23:39 PM
Citazione di: paul11 il 06 Aprile 2019, 23:58:11 PM.
Ha più ragione Heidegger o Levinas quando discutono dell'Eseere, dell'esistenza e di argomenti importanti ad esempio del rapporto con l'etica?
Nessuno dei due ovviamente.
Altrettanto ovviamente questo è per te (che sempre ovviamente significa anche me) totalmente irrilevante.
Chi dei due o degli altri mille abbia ragione nulla attiene a quello che sei, che eri e che diventerai.
Prendi di heidegger quel che ti serve e ti "piace" e da levinas pure che tutti e due come ovviamente gli altri mille han scritto un sacco di cose davvero carine.
L'etica non è un problema di marx o di socrate, da risolvere leggendo o imparando, è un tuo\mio problema che risolviamo ogni giorno.
La filosofia è ragione, penso che sia inscindibile dalla psiche se intendiamo l'uomo come totalità di oggetti(strumenti?) conoscitivi anche non solo attraverso la ragione, ad es. con i sentimenti.
E prima della nascita, e dopo lamorte? La vita, e soprattutto quella umana ,viene dopo le regole universali ,gli ordini e i domini.Noi siamo dentro regole ben più alte del come conosciamo, del come siamo fatti e perdendo di vista le regole e gli ordini universali ci autodistruggiamo.Diventiamo quella "coscienza infelice" di hegeliana memoria.
Sia le cosmologie religiose sia la cosmologia del big bang, ovvero rivelazioni spirituali e rivelazioni scientifiche sperimentali dicono di un origine e di regole e principi universali in cui tutto muta (l divenire), ma eterne sono le regole e gli ordini che modellano il divenire, che sia energia e materia, che sia il comportamento umanao , il determinato e l'indeterminato, il conosciuto o il non conosciuto.
i referendum sono la base del relativismo, vince una maggioranza che sia stolta o saggia non è più domanda da farsi in un mondo fatto di chiacchiere e opinioni.
Non è un problema di Marx o Socrate o Heidegger e Levinas è di settemiliardi di persone attualmente esistenti sul pianeta Terra e di tutte le vite passate e future,Se riduciamo l'uomo a obnulare anche la ragione, meglio essere nati da incoscienti amebe che non si pongono domande.
L'unico mezzo per trovare concordia e vivere almeno in serenità e in pace è trovare una regola universale comune e PRATICARLA ,che unisca tutte le tradizioni esistenti sul pianeta. E' una possibilità........
Citazione di: paul11 il 07 Aprile 2019, 17:07:42 PM
La fenomenologia quando riprende un "oggetto" essenziale come l'Essere che "è" e non diviene e lo ripone nell'esistenza.riridefinisce l'Essere relativizzandolo nell'esitenza, ma perdendo la verità incontrovertibile: ora la verità è posta nella singola esistenza e diventa un processo di retrorica, il convincere, che possa essere verità condivisibile,Diventa politica.
Ciao Paul (anch'io ho il problema che dici con le citazioni)
Mah guarda, non sono così convinto che la "verità" sia diventata: "un processo di retrorica, il
convincere, che possa essere verità condivisibile,Diventa politica".
O, per meglio dire, quello dovrebbe essere lo sbocco logico di una concezione "fenomenica" della
verità. Ma visto che per la modernità il fenomeno diventa "essenza" (perlomeno la Fenomenologia
ha la buona creanza di dirlo apertamente e chiaramente...), la verità, seppur sempre fenomenica,
continua allegramente ad essere quella che era per Platone, e cioè verità "epistemica".
Bah, in onore alla "prassi" si cerchi, ad esempio, di andare a dire ai santoni dell'economia che
i loro enunciati sono in realtà dei processi retorici, delle opere di convinzione e che, essendo
fondati sulla condivisibilità, sono in realtà degli enunciati politici e vediamo quante risposte
stizzite, scandalizzate e quante rivendicazioni di "scientificità" (naturalmente epistemicamente
intesa) suscitiamo...
saluti
PS
Di Sini una volta lessi che asseriva che l'oggetto indicato dal "segno" non esiste. Boh, forse
ricordo male...
Citazione di: 0xdeadbeef il 07 Aprile 2019, 17:46:56 PM
Bah, in onore alla "prassi" si cerchi, ad esempio, di andare a dire ai santoni dell'economia che
i loro enunciati sono in realtà dei processi retorici, delle opere di convinzione e che, essendo
fondati sulla condivisibilità, sono in realtà degli enunciati politici e vediamo quante risposte
stizzite, scandalizzate e quante rivendicazioni di "scientificità" (naturalmente epistemicamente
intesa) suscitiamo...
Lo sanno loro per primi che stanno truccando la realtà economica trasformandola in un casinò di scommesse virtuali. Cosa che li associa armoniosamente allo spirito kabbalistico dei tempi.
[quote author=0xdeadbeef link=topic=1500.msg31810#msg31810
Bah, in onore alla "prassi" si cerchi, ad esempio, di andare a dire ai santoni dell'economia che
i loro enunciati sono in realtà dei processi retorici, delle opere di convinzione e che, essendo
fondati sulla condivisibilità, sono in realtà degli enunciati politici e vediamo quante risposte
stizzite, scandalizzate e quante rivendicazioni di "scientificità" (naturalmente epistemicamente
intesa) suscitiamo...
[/quote]
Nessunissima; avrebbe solo sostegno pieno e totale da parte mia, incondizionatamente.
Se invece tu avessi scritto di andare a dire qualcosa ai santoni della fisica allora----> sghignazzo
Citazione di: Ipazia il 07 Aprile 2019, 18:00:42 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 07 Aprile 2019, 17:46:56 PM
Bah, in onore alla "prassi" si cerchi, ad esempio, di andare a dire ai santoni dell'economia che
i loro enunciati sono in realtà dei processi retorici, delle opere di convinzione e che, essendo
fondati sulla condivisibilità, sono in realtà degli enunciati politici e vediamo quante risposte
stizzite, scandalizzate e quante rivendicazioni di "scientificità" (naturalmente epistemicamente
intesa) suscitiamo...
Lo sanno loro per primi che stanno truccando la realtà economica trasformandola in un casinò di scommesse virtuali. Cosa che li associa armoniosamente allo spirito kabbalistico dei tempi.
Ciao Ipazia
D'accordo, ma sto dicendo che c'è ben altro che non un "banale" complotto...
Ora, non so cosa tu intendi per "spirito kabbalistico dei tempi". Per quel che mi riguarda
intendo dire esattamente quel che ho detto: se, all'interno di una certa catena segnica (quella
che stiamo seguendo in questi discorsi sulla Fenomenologia), si parla di trasformazione del
fenomeno in essenza così come, in altri ambiti discorsivi, di "ricostituzione dell'Inflessibile" (come
in Severino), dal punto di vista della concretezza pratica stiamo assistendo ad un grande "revival"
della verità "punto e basta" (cioè di quella detta "epistemica").
Così, semplicemente ed "allegramente"; come se non solo Kant e la sua "rivoluzione" (consistente nel
mettere al centro il soggetto), ma anche Nietzsche e tutto quel che si è detto e si dice sul "relativismo"
fossero materia da diatriba teologica o poco più.
L'Inflessibile si è ricostituito; e si è ricostituito non solo nell'indebito debordare in ogni dove
della scienza (siamo giunti persino alla "scienza politica" e a quella del diritto...),
ma soprattutto in una concezione caricaturale che vede la scienza tradita nei suoi stessi
presupposti - la scienza non presenta finalità o verità epistemiche).
saluti
Citazione di: 0xdeadbeef il 07 Aprile 2019, 20:02:13 PM
.... la scienza non presenta finalità o verità epistemiche.
saluti
Cavolo, non mi ero accorta che stiamo comunicando telepaticamente !
Citazione di: paul11 il 07 Aprile 2019, 15:20:48 PM
... Che il luogo dell'esistenza sia dove debba essere ricondotta tutta la conoscenza, dalla scienza sperimentale alla metafiscia, questo è sempre stato implicito.Diversamente gli antichi non avrebbero toccato argomentazioni sul come comportarsi, etica/morale.
E' la modernità che ha focalizzato semmai la "fidelizzazione" sui sensi perdendo l'ontologia.
Prender la vita, importantissima, ma in sè-e-per- sè rischia di essere trattata biologicamente, bio-politicamente direbbero alcuni filosofi contemporanei,con il rischio che diventi"cosa", ente fra gli enti, senza nessuna o poca specificità.
Il paradosso quindi sarebbe ,esaltare la vita, per poi accorgersi che non è nemmeno rispettata dalla stessa cultura che l'ha esaltata
Quale modernità ? Quella di un attento osservatore del mondo circostante che scrive "
Povera, e nuda vai, Filosofia, Dice la turba al vil guadagno intesa. Pochi compagni avrai per l'altra via; Tanto ti prego più, gentile spirto, Non lassar la magnanima tua impresa." parecchi secoli prima dell'utilitarismo e della fenomenologia.
Quale cultura moderna ? Io ne vedo molte e tra esse le dominanti sono ben lungi dall'esaltare la vita umana puntando piuttosto sulla sua alienazione mercatistica (con la sua subcultura meccanicistico-scientista) o religiosa (col suo mondo dietro il mondo a denigrare il mondo). La cultura umanistica, l'unica che si faccia carico della vita umana
in sè e per sè, è ampiamente minoritaria, come nella testimonianza medioevale, e risollevare la filosofia da quella condizione di nudità e povertà effettuale, affermando la
magnanima sua impresa, è compito ancora ampiamente irrealizzato. Che dubito passi per il catafalco funebre dell'Essere e della Verità Incontrovertibile. Ennesime mimesi, riesumate dall'oltretomba del pensiero, dell'alienazione umana.
.
Citazione di: Ipazia il 08 Aprile 2019, 07:55:32 AM
Citazione di: paul11 il 07 Aprile 2019, 15:20:48 PM
... Che il luogo dell'esistenza sia dove debba essere ricondotta tutta la conoscenza, dalla scienza sperimentale alla metafiscia, questo è sempre stato implicito.Diversamente gli antichi non avrebbero toccato argomentazioni sul come comportarsi, etica/morale.
E' la modernità che ha focalizzato semmai la "fidelizzazione" sui sensi perdendo l'ontologia.
Prender la vita, importantissima, ma in sè-e-per- sè rischia di essere trattata biologicamente, bio-politicamente direbbero alcuni filosofi contemporanei,con il rischio che diventi"cosa", ente fra gli enti, senza nessuna o poca specificità.
Il paradosso quindi sarebbe ,esaltare la vita, per poi accorgersi che non è nemmeno rispettata dalla stessa cultura che l'ha esaltata
Quale modernità ? Quella di un attento osservatore del mondo circostante che scrive "Povera, e nuda vai, Filosofia, Dice la turba al vil guadagno intesa. Pochi compagni avrai per l'altra via; Tanto ti prego più, gentile spirto, Non lassar la magnanima tua impresa." parecchi secoli prima dell'utilitarismo e della fenomenologia.
Quale cultura moderna ? Io ne vedo molte e tra esse le dominanti sono ben lungi dall'esaltare la vita umana puntando piuttosto sulla sua alienazione mercatistica (con la sua subcultura meccanicistico-scientista) o religiosa (col suo mondo dietro il mondo a denigrare il mondo). La cultura umanistica, l'unica che si faccia carico della vita umana in sè e per sè, è ampiamente minoritaria, come nella testimonianza medioevale, e risollevare la filosofia da quella condizione di nudità e povertà effettuale, affermando la magnanima sua impresa, è compito ancora ampiamente irrealizzato. Che dubito passi per il catafalco funebre dell'Essere e della Verità Incontrovertibile. Ennesime mimesi, riesumate dall'oltretomba del pensiero, dell'alienazione umana.
.
forse non ti sei accorta che da almeno 4 secoli siamo passati dai "numi" ai "lumi", invocando la fine della metafisica, la morte di Dio : e così è stato. Di questo passo arriveremo ai "lumini "dei cimiteri. La volontà di potenza è diventata delirio di onnipotenza
Ora la parola d'ordine è BENVENUTI AL NUOVO ORDINE MONDIALE, dove i cuori sono salvadanai e dove la vita è misurata su il conto corrente, persino gli affetti, i sentimenti , sono un "dare" e "avere"
-------> La volontà di potenza è diventata delirio di onnipotenza
Parlando di filosofia, tanto per cambiare, spero tanto tu non intenda la "volontà di potenza" di nietetc.. perché in tal caso occorrerebbe una seria rilettura dell' argomento.
-Volontà di potenza che diventa delirio di onnipotenza- siamo a livelli di propaganda pura e semplice.
Quello che intendeva nietetc.. con "volontà di potenza" non avrebbe in nessunissimo modo potuto diventare delirio di onnipotenza.
Sin che rimaniamo allo sfogo personale va tutto bene e siamo tutti d'accordo, ma nieetc..lasciamolo in pace.
Citazione di: paul11 il 08 Aprile 2019, 13:01:02 PM
forse non ti sei accorta che da almeno 4 secoli siamo passati dai "numi" ai "lumi", invocando la fine della metafisica, la morte di Dio : e così è stato. Di questo passo arriveremo ai "lumini "dei cimiteri. La volontà di potenza è diventata delirio di onnipotenza
Ora la parola d'ordine è BENVENUTI AL NUOVO ORDINE MONDIALE, dove i cuori sono salvadanai e dove la vita è misurata su il conto corrente, persino gli affetti, i sentimenti , sono un "dare" e "avere"
Forse non ti sei accorto che nell'epoca dei numi oltre 4 secoli fa avvenne un grande scisma in Europa proprio per la confusione, non proprio accidentale, tra Nume e Nummus. Niente di nuovo sotto il cielo, eccetto il fatto che Nummus si è fatto nume in proprio e i Numi di una volta, un pochino ridimensionati dai tre giorni canonici di sepoltura, sono risorti e si sono adattati bene al condominio con Nummus. E come nell'antichità, marciano trionfalmente uniti sopra il corpo dell'umano.
Fra razionalismo e ingordigia capitalistica tendenzialmente umanicida non v' é alcun nesso di necessità logica.
Anzi, la logica capitalistica della produzione - consumo illimitati (inevitabile per l' imprescindibile ricerca dl massimo profitto possibile a qualsiasi costo e a breve termine fra unità produttive in reciproca indipendenza e concorrenza) in un ambiente naturale di fatto (e non fantascientificamente; o meglio: scientisticamente) disponibile limitato é quanto di più irrazionalistico possa darsi (é puramente e semplicemente logicamente contraddittoria).
Capitalismo e scientismo sono palesi elementi residui di irrazionalismo, meglio confacenti alle antiche ideologie oscurantistiche religiose e superstiziose che alla diffusione dei "lumi della ragione".
Dato che quella di un ritorno a un modo pre-scientifico e pre-tecnico é solo un' irrealistica utopia reazionaria, ciò di cui abbiamo bisogno come del pane per sopravvivere e ulteriormente sviluppare la civiltà umana (in senso inevitabilmente non tanto quantitativo quanto qualitativo) é un "di più" di razionalismo, non un "di meno", é un pieno dispiegamento della razionalità umana.
Incompatibile col predominio degli oggettivamente intrinsecamente irrazionalistici rapporti sociali classistici, necessitante come conditio sine qua non di una struttura economica collettivistica e di una prudente pianificazione generale di produzioni e consumi.
Per difficilissimo e dolorosissimo che sia (le marxiane doglie del parto della storia, che non conoscono tagli cesarei e anestesie), hic Rhodus, hic salta (homine spaiens)!
Oggi non si fa quasi più "scienza": si fa "scientismo", che della scienza è il decadimento e
la strumentalizzazione.
O per meglio dire: la scienza autenticamente intesa (che non presenta finalità o verità
epistemiche, come concordavamo con Ipazia) è rimasta marginale, e riguarda campi di applicazione ove
non sono presenti interessi utilitaristici immediati.
Ora, il perchè si sia avviata questa dinamica è un qualcosa che a parer mio riguarda molto da
vicino gli argomenti che abbiamo toccato in questa discussione.
"Dio è morto" diceva Nietzsche: ovviamente intendendo con ciò qualcosa che va ben oltre il
Dio della tradizione religiosa. Con Dio muore infatti il valore etico/morale tradizionalmente
inteso (cioè assolutamente inteso). E muore, appunto, il "finalismo" e la "verità epistemica",
di cui abbiamo detto che non riguardano la scienza autenticamente intesa.
Quello che io vedo (e magari ci vedo anche male...) è però una "resurrezione". Certo non del
Dio della tradizione religiosa, ma di tutti quegli attributi e quelle aggettivazioni che
Nietzsche gli riferiva, come appunto la finalità "ultima" e la verità epistemicamente intesa
(cioè assolutamente, incontrovertibilmente intesa).
Usiamo allora i ben più congrui termini di Severino (visto anche che il termine "Dio" suscita violente
reazioni allergiche...): "l'Inflessibile si è ricostituito", e lo ha fatto sotto le spoglie
di una scienza travisata ed appunto decaduta nello "scientismo", che altro non è se non la
riproposizione del "finalismo" (non vedete, ad esempio, come l'economia si sia trasformata, da
mero mezzo qual'era, in mezzo E scopo?) e della verità epistemicamente intesa.
E allora ha ragione l'amico Paul, quando parla di un uomo che ha invocato, persino, la morte
di Dio e l'avvento di una scienza fisica e sperimentale ritenuta capace di soddisfare tutti i
problemi e i bisogni dell'uomo come "liberazione" dall'oscurantismo passato e come presagio di
un avvenire radioso.
Ma questa invocazione non aveva fatto i conti con l'attore principale: l'uomo...
La cui "tecnica", come rimedio contro l'angoscia suscitata dal divenire delle cose, ieri
edificava la "metafisica" come fondamento della finalità e della verità epistemica ed oggi
una "scienza" in cui ne ha riproposto le medesime caratteristiche.
Per cui spariscono i "campi"; i contesti interpretativi all'interno dei quali, soltanto, è possibile parlare di
"oggettività"; i fenomeni diventano essenze e il "relativismo" un concetto buono per diatribe sulla
teologia.
E' proprio vero che: "morto un Dio se ne fa un altro"...
saluti
Citazione di: 0xdeadbeef il 08 Aprile 2019, 19:50:38 PM
Oggi non si fa quasi più "scienza": si fa "scientismo", che della scienza è il decadimento e
la strumentalizzazione.
O per meglio dire: la scienza autenticamente intesa (che non presenta finalità o verità
epistemiche, come concordavamo con Ipazia) è rimasta marginale, e riguarda campi di applicazione ove
non sono presenti interessi utilitaristici immediati.
Ora, il perchè si sia avviata questa dinamica è un qualcosa che a parer mio riguarda molto da
vicino gli argomenti che abbiamo toccato in questa discussione.
"Dio è morto" diceva Nietzsche: ovviamente intendendo con ciò qualcosa che va ben oltre il
Dio della tradizione religiosa. Con Dio muore infatti il valore etico/morale tradizionalmente
inteso (cioè assolutamente inteso). E muore, appunto, il "finalismo" e la "verità epistemica",
di cui abbiamo detto che non riguardano la scienza autenticamente intesa.
Quello che io vedo (e magari ci vedo anche male...) è però una "resurrezione". Certo non del
Dio della tradizione religiosa, ma di tutti quegli attributi e quelle aggettivazioni che
Nietzsche gli riferiva, come appunto la finalità "ultima" e la verità epistemicamente intesa
(cioè assolutamente, incontrovertibilmente intesa).
Usiamo allora i ben più congrui termini di Severino (visto anche che il termine "Dio" suscita violente
reazioni allergiche...): "l'Inflessibile si è ricostituito", e lo ha fatto sotto le spoglie
di una scienza travisata ed appunto decaduta nello "scientismo", che altro non è se non la
riproposizione del "finalismo" (non vedete, ad esempio, come l'economia si sia trasformata, da
mero mezzo qual'era, in mezzo E scopo?) e della verità epistemicamente intesa.
E allora ha ragione l'amico Paul, quando parla di un uomo che ha invocato, persino, la morte
di Dio e l'avvento di una scienza fisica e sperimentale ritenuta capace di soddisfare tutti i
problemi e i bisogni dell'uomo come "liberazione" dall'oscurantismo passato e come presagio di
un avvenire radioso.
Ma questa invocazione non aveva fatto i conti con l'attore principale: l'uomo...
La cui "tecnica", come rimedio contro l'angoscia suscitata dal divenire delle cose, ieri
edificava la "metafisica" come fondamento della finalità e della verità epistemica ed oggi
una "scienza" in cui ne ha riproposto le medesime caratteristiche.
Per cui spariscono i "campi"; i contesti interpretativi all'interno dei quali, soltanto, è possibile parlare di
"oggettività"; i fenomeni diventano essenze e il "relativismo" un concetto buono per diatribe sulla
teologia.
E' proprio vero che: "morto un Dio se ne fa un altro"...
saluti
Pensavo lo scientismo fosse una cosa passata, chi se li ricorda più comte e s.simon.
Poi abbiamo la scienza epistemicamente intesa che chissà cosa vuole dire, anzi se qualcuno me lo spiegasse gliene sarei veramente grato.
Scienza epistemicamente intesa....insisto....cosa significa ?
Per quanto riguarda nietcetc..datosi che ho seri dubbi che chi ne scrive ( e non mi riferisco solo a te ovviamente) ne conosca il pensiero facciamo così:
parlerò di niecetc, solo con chi dimostrerà di averlo capito senza pronunciare enormi bestialità come quelle che ho letto ultimamente.
Ho un breve test che consente in poche frasi di evidenziare il grado di comprensione del nostro..come al solito chiunque è invitato..
In caso contrario trarrò la conseguenza (è retorica, lo so già da adesso) che chi di nieetc straparla in questi termini ne abbia capito un benemerito zero.
Tra le altre cose,
in genealogia della morale,
viene esaminato il processo attraverso cui i "preti"
facendo uso delle stesse argomentazioni che stai usando tu
hanno costruito la "morale", basata sull'invidia del coraggio (del pensiero).
Quindi guarda quanto tardi arrivi, di quanto manchi il bersaglio ( restaurazione ordine morale, e se non è questo dimmelo tu qual è...) e quanto tu sia lontano dall'aver compreso nietcetc...
E ancora, almeno bergson se volete fare gli antipositivisti un pochino aggiornati...almeno bergson....
Citazione di: paul11 il 06 Aprile 2019, 23:58:11 PM
Citazione di: green demetr il 06 Aprile 2019, 00:49:22 AM
Ciao Paul ho fatto un salto in avanti, mi manca la parte intermedia, anche se vedo come al solito che la faccenda (mai che si parli di pensiero) si è di nuovo incancrenita nell'analitica americana, mente corpo verita e cazz'altro. Oltre al senz'anima Sgiombo sè aggiunto pure tersite.....andiamo bene....nuovi robot nel forum, potrebbero benissimo essere dei BOT che partono in automatico, appena leggono le parole chiave della metafisica speciale, mondo anima dio.
Ovviamente quella parte non mi interessa minimamente.
Forse sarà la presenza di davintro, ma perchè a levinas mancherebbe la parte ontologica?
D'altronde qua nel forum si parla di fenomenologia, ma un conto è quella astrusa husserliana, un conto quella vivente heideggeriana.
Ontologia heidegeriana, è fenomenologia heidegeriana, per esempio.
Intendi forse questo?
Comunque Levinas è uno dei pochi che segue Husserl, non a caso anche lui si rivolge alla matematica per creare un sistema che matematico non è (quello gnoseologico che pretende di fondare il soggetto, nel caso di Husserl finalmente trovate un audizione seria fatta non a caso alla normale di Pisa, la miglior università per distacco, proprio su Husserl. E che testimonia ancora una volta, come intuisca subito quale è il punto del filosofo, ossia che non è questione logica, quanto analitica, ma nel senso proprio che l'analitica è vivente. Il che è ridicolissimo, nessun matema è vivente, è l'uomo che lo suppone...buon husserl !!!salvo svegliarsi alla fine della vita con la questione della crisi delle scienze, chiaramente influenzato dall'allievo nel frattempo caduto in disgrazia).
Ma su questo credo che la questione ghematrica della Torah abbia un eco, non leggibile dal filosofo mediocre moderno.
Voglio dire anche qui....mi descrivono un Levinas occidentale, ma Levinas era ebreo.
La questione va letta su ben altre problematiche, per quel che mi riguarda superiori!
Temo che l'errore, se di errore vogliamo parlare sia quello di aver ribadito il patriarcato come necessità per la comunità-
Io sinceramente non vedo comunità reale, relazionale, al massimo comunità politca in quei termini. (principio di responsabilità etc....)
Ma in quel caso siamo dentro l'ideologia, e non fuori come si addice alla filosofia!!!
comunque mi rimane il dubbio sul tuo intervento, Ciao!
L'Essere entra nella grande tematica della corrente fenomenologica quando Hidegger, essendo pro Aristotele e contro Platone( e per me è un luogo comune della grande battaglia culturale esistente contemporanea colpire Platone nell'antichità e spesso Hegel fra modern, perchè sono "pericolosi") attacca Platone sul concetto di Essere. Heidegger ritiene che fosse una fissità senza contenuto e per dagli un "senso" lo pone nell'esistenza, creando il dasein, l'esser-ci.
Il problema rimane ontologico filosoficamente .Solo un parametro eterno e non in divenire , può orientare il senso di un'esistenza, questo è il punto.
Diversamente cadiamo ,come ha compiuto il disepolo di Heidegger, Gadamer , nell'ermeneutica: interpretiamo.Ma vien fuori il free jazz, non una orchestazione sinfonica. Quale interpretazione è giusta?Ha più ragione Heidegger o Levinas quando discutono dell'Eseere, dell'esistenza e di argomenti importanti ad esempio del rapporto con l'etica? Heidegger è caduto nell'errore di diventare nazista, anche se per poco tempo.
Intendo dire che una filosfia non esenta da errori pratici, anzi bolla la teoretica, in questo caso di Heidegger, quanto meno di "ambigua".
Alla "polemos" Mauro(Oxdeadbeef) Sgiombo,
pacifichiamo chiarendo:
Sgiombo non è un materialista, direi un naturalista -empirista- comunita engelsiano che stima molto Timpanaro.
(Ho inquadrato almeno sufficentmente Sgiombo?) Apassionato fra l'altro di filosfia della mente ha sempre sostenuto che il cervello materiale non corrisponde affatto alla Mente (infatti ritiene che quest'ultima esista) e' un dualista (cervello da una parte, mente da un'altra parte).
Il problema è che la scienza sperimentale moderna è diversa dall'empirismo, la fenomenologia, è diversa da entrambe è nessuno a tutt'oggi è capace di dire ontologicamente(,una cosa, ente filosficamente, che"è"), prima ancora della procedura gnoseologica(conoscenza.
Che cosa è la mente, che cosa è la coscienza,(ma anche psiche, anima ,spirito) quali sono i loro contenuti chiari e distinti, perchè esistono intuizioni, intenzioni, una logica a priori, magari rudimentale (è innata?) come nasce la necessità lingusitica di relazionare con il mondo(prima ancora con i nostri simili umani, prima ancora di relazionare con noi stessi e quindi la "nascita" di una consapevolezza).Tutta questa zona fondamentale che è ontologica fra il dominio fisico materiale(cervello) e quello mentale(metafiscio?) è una zona grigia..
Si ì spesso con disnvoltura passati all'apprire della mente direi.Anche quì come tutta la nostra conoscenza nasce da una tautologia, da un'evidenza, verso cui ci "fidiamo".Se non conosco la mente allora studio le sue relazioni(gli effetti), quindi studio la linguistica, i segni i simboli, le signifcazioni: ma perchè?Nessuno conosce la mente, ma si conosce meglio oggi come condizionarla.
Il nobile tenttivo di Kant, e cerchiamo anche di capire il suo tempo storico privo di molte scoperte neuroscientifiche o sul cognitivismo, ecc.
è collegare l'uomo alla realtà con una scientificcizzazione filosfica, vale dire procederre con gli argomenti filosfici ma con una procedura scientifca. ora che sia giusto o sbagliato, o in parte giusto e in parte sbagliato è al vaglio da più di due secoli
Quindi facciamo un pò di chiarezza.
Ripartiamo dalla metafisica speciale di cui parla Kant nella sua dialettica.
DIO, ANIMA, MONDO.
per te queste tre idee, sono correlabili a livello ontologico.
Partiamo dalla nozione che ci accomuna certamente, ossia che DIO, è l'esistente (visibile e non). Direi che è l'ontologia fondamentale. Ma per essere logia dell'ontos, ossia discorso sull'essere, abbiamo bisogno di introdurre termini medi.
Ossia le idee come evincibile da Platone (o almeno quella tradizione sotto cui lo pseudonimo Platone converge, perchè sennò si impazzisce se si pensa che era una sola persona). E da Hegel (? non saprei con sicurezza, ma direi che dovrebbe essere così).
Che diventano così i nemici, che hanno dato il "mezzo! con cui parlare dell'Essere.
Quindi che sia un iperuranio, o la filosofia (il sapere) alla fine della Storia (cristiana), sempre di un idea si sta parlando. anche se ovviamente dell'Idea con la lettera maiuscola.
E che io chiamo l'originario.
Il problema è ora qui di coniugare ciò che incontrovertibilmente è (e quindi a mio parere oltre platone, e con hegel, l'idea è un mezzo, non la verità, come la manualistica riporta) con le idee di mondo e anima.
Se l'Idea è ciò che è ontologico, capisco il problema, e come mai interagisci con chi snobba lo spirito.
Anima e Mondo, ossia Mente e Cervello.
Che l'Anima sia animata da Dio e non dal Mondo è questa la grande questione.
Ovviamente in un Mondo dove Dio è morto, capisco benissini che i cani dell'impero come li chiamava anche Preve, ossia i cinici, i prezzolati; facciano a cazzotti per dimostrare che la mente è il cervello, ossia il monismo riduzionista della filosofia analitica.
In realtà come la italia theory ha ampiamente esposto (R.Esposito,G.Agamben) si tratta di mordere l'osso e non più l'anima, essendo l'anima già fagocitata dall'ideologia (Levinas arriva con un giro di ritardo, ovviamente se letto in maniera occidentale, con le cazzate sulla responsabilità).
E' proprio tramite il principio di responsabilità che si uccide la gente....sveglia!
Ossia si tratta di trattare DIRETTAMENTE i corpi.
DEVE esistere una teoria che la appoggi.
I filosofi che io chiamo robot, non sanno fare di quest conti, perchè troppo complicati per loro.
I conti è meglio farli in tasca agli altri.
Da qui allo smantellamento del wellfare, e alle prossime torture il passo è breve (fratelli d'italia purtroppo tra buone intenzioni e buone leggi, ci ha già messo un bomba, fortunatamente non votata...ma quanto durerà? visto che anche il 5stelle dice che la scienza...ossia il monismo riduzionista, dice la verità????
Ora fatta la solita nojosa sparata politica, rimane il problema che se il mondo è tale come è tale, allora come mai questo stato di cose, che non possiamo non dire ONTOLOGICO, ossia le cose stanno come stanno, si votano cose come stanno. Si rende legge, ossia ESISTENTE, Mondo direbbe il buon Sini, nella sua accezione più ampia, di costumi dovute ai gesti.
Norma.
Possiamo dire che le norme non sono ontologia?
E allora come potresti uscire da questo impasse?
O forse questo delirio di desiderio di morte, che chiamiamo per comodità, capitalismo è ciò che è vero e dunque Giusto?
No perchè non mi pare che queste idee ti abitino, io vedo un grosso problema a vedere il Mondo come cervello.
Il mondo è la rappresentazione, ma la rappresentazione di un anima, ossia di un soggetto che si determina certamente tramite il suo oggetto, i suoi oggetti, ma necessariamente anche tramite il fatto, che DIO esiste, che vi è un esistente che non è visto.
Non il ribaltamento della questione ossia che il soggetto, è un oggetto, sebbene di carattere aleatorio, vedi le teorie di sfondo, e di progressiva determinazione, intenzionale, come se un DIO ci formi.
Quindi intenzione non dell'uomo ma del suo Burattinaio.
La fenomenologia di Husserl è sbagliata.
Quella di Heidegger si rende conto che invece non esiste alcun intenzionale, l'intenzionale è forse lo scontro tra la radura dell'esisitente e l'esistente stesso, che medianamente è l'uomo, ossia l'unico oggetto che la PENSA.
Ossia è il soggetto che pensa, non Dio.
Dio si da negativamente, la sua Legge è solo tramite la negazione in atto, delle ideologie delle comunutà.
Ossia si dà come negazione dell'ideologia, come Abramo ha capito PRIMA DI TUTTI, e per PRIMO. (ossia il popolo eletto).
La legge è rispettare da SOGGETTO, il DIO eveniente, che viene, non che si DA' prima.
E' vivente il DIO, proprio ontologicamente, come è vivente la sua datità come essente, ovvero vivente.
Quindi ovviamente DIO è l'UOMO, ma era così anche nella tradizione giudaica.
Non è che Nietzche non l'avesse capito! DIO è morto, si intende che è morta la sua ideologia, ossia che ora abbiamo a che fare con il vero DIO, che annichilisce, e a cui rispondiano tramite la comunità.
La comunità è però dei viventi soggetti. Dei soggetti che scelgono.
Non della SCIENZA; ossia di cose che non esistono, e che sono il cammuffamento dell'arrivo del nichilismo.
Il monismo è il nichilismo.
Che l'ente sia è uno degli errori alla base.
DIo è, l'uomo è, il MONDO NON è. Il mondo sembra, è sembiante. E' il NOUMENO.
Questa è la mia posizione.
E le domande che mi vengono pensando ad un possibile intreccio con le tue soluzioni, che dubito siano saltate fuori parlando con gli altri (i robot dell'ontologia).
Citazione di: 0xdeadbeef il 08 Aprile 2019, 19:50:38 PM
Oggi non si fa quasi più "scienza": si fa "scientismo", che della scienza è il decadimento e
la strumentalizzazione.
O per meglio dire: la scienza autenticamente intesa (che non presenta finalità o verità
epistemiche, come concordavamo con Ipazia) è rimasta marginale, e riguarda campi di applicazione ove
non sono presenti interessi utilitaristici immediati.
Ora, il perchè si sia avviata questa dinamica è un qualcosa che a parer mio riguarda molto da
vicino gli argomenti che abbiamo toccato in questa discussione.
"Dio è morto" diceva Nietzsche: ovviamente intendendo con ciò qualcosa che va ben oltre il
Dio della tradizione religiosa. Con Dio muore infatti il valore etico/morale tradizionalmente
inteso (cioè assolutamente inteso). E muore, appunto, il "finalismo" e la "verità epistemica",
di cui abbiamo detto che non riguardano la scienza autenticamente intesa.
Quello che io vedo (e magari ci vedo anche male...) è però una "resurrezione". Certo non del
Dio della tradizione religiosa, ma di tutti quegli attributi e quelle aggettivazioni che
Nietzsche gli riferiva, come appunto la finalità "ultima" e la verità epistemicamente intesa
(cioè assolutamente, incontrovertibilmente intesa).
Usiamo allora i ben più congrui termini di Severino (visto anche che il termine "Dio" suscita violente
reazioni allergiche...): "l'Inflessibile si è ricostituito", e lo ha fatto sotto le spoglie
di una scienza travisata ed appunto decaduta nello "scientismo", che altro non è se non la
riproposizione del "finalismo" (non vedete, ad esempio, come l'economia si sia trasformata, da
mero mezzo qual'era, in mezzo E scopo?) e della verità epistemicamente intesa.
E allora ha ragione l'amico Paul, quando parla di un uomo che ha invocato, persino, la morte
di Dio e l'avvento di una scienza fisica e sperimentale ritenuta capace di soddisfare tutti i
problemi e i bisogni dell'uomo come "liberazione" dall'oscurantismo passato e come presagio di
un avvenire radioso.
Ma questa invocazione non aveva fatto i conti con l'attore principale: l'uomo...
La cui "tecnica", come rimedio contro l'angoscia suscitata dal divenire delle cose, ieri
edificava la "metafisica" come fondamento della finalità e della verità epistemica ed oggi
una "scienza" in cui ne ha riproposto le medesime caratteristiche.
Per cui spariscono i "campi"; i contesti interpretativi all'interno dei quali, soltanto, è possibile parlare di
"oggettività"; i fenomeni diventano essenze e il "relativismo" un concetto buono per diatribe sulla
teologia.
E' proprio vero che: "morto un Dio se ne fa un altro"...
saluti
Ciao Mauro, volevo complimentarmi, un analisi che condivido in toto.
Ci dobbiamo però aggiungere la questione dell'ideologia politica, oltre che quella religiosa.
Infine anche se sò che sei uno dei molti disillusi (ma è normale! erano ideologie, hanno avuto i loro meriti, come la costruzione del wellfare, ma nutrivano già in fasce, nel mondello liberale di democrazia, i germi della distruzione) direi di ripensare il concetto di comunità.
Anche se ora che mi sovviene forse eri un fan del marginalismo, ma spero di sbagliare.
PS (non perchè il concetto di democrazia liberale sia sbagliato in sè, ma perchè nasconde ideologicamente la volontà tecnica di accumulo del capitalismo, ossia il suo esatto opposto)
Citazione di: tersite il 08 Aprile 2019, 22:04:10 PM
Per quanto riguarda nietcetc..datosi che ho seri dubbi che chi ne scrive ( e non mi riferisco solo a te ovviamente) ne conosca il pensiero facciamo così:
parlerò di niecetc, solo con chi dimostrerà di averlo capito senza pronunciare enormi bestialità come quelle che ho letto ultimamente.
Ho un breve test che consente in poche frasi di evidenziare il grado di comprensione del nostro..come al solito chiunque è invitato..
In caso contrario trarrò la conseguenza (è retorica, lo so già da adesso) che chi di nieetc straparla in questi termini ne abbia capito un benemerito zero.
Come al solito devo intervenire a difendere il maestro, perchè dubito che i robot possano capire che non esiste alcun test, per capire cosa dice Nietzche.
Mi sembrano affermazioni assolutamente non argomentate, il fatto che tu conosca Nietzche.
Se mi dici dove ne parli ne sono felice. Visto che su questo forum cè una discussione infinita sul nostro.Almeno noi ne abbiamo parlato!
Citazione di: tersite il 08 Aprile 2019, 22:04:10 PM
Pensavo lo scientismo fosse una cosa passata, chi se li ricorda più comte e s.simon.
Poi abbiamo la scienza epistemicamente intesa che chissà cosa vuole dire, anzi se qualcuno me lo spiegasse gliene sarei veramente grato.
Scienza epistemicamente intesa....insisto....cosa significa ?
Citazione
Guarda che oggi imperversano, fra gli altri irrazionalisti (non solo scientisti, ovviamente, anche superstiziosi, religiosi, "olisti", "nipotini di Heidegger", "pronipoti di Nietzche", ecc.: le ideologie al servizio delle classi dominanti sono più che mai molteplici! Ma tutte in varia misura irrazionalitiche), Dawkins, Dennett, Churchland e C. , a mio modesto parere anche più irrazionalisti dei positivisti classici.
Sulla confusione fra scienza ed epistemologia (che é filosofia, per quanto della scienza) penso che sia una colossale sciocchezza.
Per quanto riguarda nietcetc..datosi che ho seri dubbi che chi ne scrive ( e non mi riferisco solo a te ovviamente) ne conosca il pensiero facciamo così:
parlerò di niecetc, solo con chi dimostrerà di averlo capito senza pronunciare enormi bestialità come quelle che ho letto ultimamente.
Ho un breve test che consente in poche frasi di evidenziare il grado di comprensione del nostro..come al solito chiunque è invitato..
In caso contrario trarrò la conseguenza (è retorica, lo so già da adesso) che chi di nieetc straparla in questi termini ne abbia capito un benemerito zero.
Citazione
Se costui é il Friederich.2 (per me il Friederich.1 é il suo connazionale e quasi perfetto contemporaneo Engels), per quanto mi riguarda é completamente al di fuori dei miei interessi (dunque non io posso averne straparlato, dato che tendo ad ignorarlo completamente; a parte il "minimale" accenno qui sopra come "prozio"; come non io, evidentemente, sono il confusionario fra scienza ed epistemologia).
Citazione di: 0xdeadbeef il 08 Aprile 2019, 19:50:38 PM
Oggi non si fa quasi più "scienza": si fa "scientismo", che della scienza è il decadimento e
la strumentalizzazione. O per meglio dire: la scienza autenticamente intesa (che non presenta finalità o verità epistemiche, come concordavamo con Ipazia) è rimasta marginale, e riguarda campi di applicazione ove non sono presenti interessi utilitaristici immediati. Ora, il perchè si sia avviata questa dinamica è un qualcosa che a parer mio riguarda molto da vicino gli argomenti che abbiamo toccato in questa discussione.
Certo che la scienza si occupa di "verità epistemiche": quelle relative alla natura. Che sia strumentalizzata è un dato costante fin dalla notte dei tempi. Che la strumentalizzazione ideologica scientista sia molto attuale e dal positivismo in poi abbia fatto passi da gigante è altrettanto vero. Ma totalmente falso è che di "episteme scientifica" ne sia rimasta poca. Checchè ne dicano gli spiritisti, dall'epoca dei numi a quella dei lumi, negli ultimi quattro secoli, il Bene Assoluto Incontrovertibile dei viventi per gli umani si è raddoppiato, nella durata. Sulla qualità ognuno si rifarà ai suoi bias, ma il dato oggettivo è incontestabile. E quello soggettivo è migliorabile, anche grazie al contributo dell'episteme scientifica. Pur rimanendo terreno d'elezione della filosofia, le cui sorti tra robot e spiritisti non sono però delle migliori. E questo allarga anche il terreno improprio della scienza secondo la legge dell'horror vacui.
Citazione
"Dio è morto" diceva Nietzsche: ovviamente intendendo con ciò qualcosa che va ben oltre il Dio della tradizione religiosa. Con Dio muore infatti il valore etico/morale tradizionalmente inteso (cioè assolutamente inteso). E muore, appunto, il "finalismo" e la "verità epistemica", di cui abbiamo detto che non riguardano la scienza autenticamente intesa. Quello che io vedo (e magari ci vedo anche male...) è però una "resurrezione". Certo non del Dio della tradizione religiosa, ma di tutti quegli attributi e quelle aggettivazioni che Nietzsche gli riferiva, come appunto la finalità "ultima" e la verità epistemicamente intesa
(cioè assolutamente, incontrovertibilmente intesa). Usiamo allora i ben più congrui termini di Severino (visto anche che il termine "Dio" suscita violente reazioni allergiche...): "l'Inflessibile si è ricostituito", e lo ha fatto sotto le spoglie di una scienza travisata ed appunto decaduta nello "scientismo", che altro non è se non la
riproposizione del "finalismo" (non vedete, ad esempio, come l'economia si sia trasformata, da mero mezzo qual'era, in mezzo E scopo?) e della verità epistemicamente intesa.
Non solo scientismo, ma anche spiritismo e kabbala. Con liturgie assai simili nei templi dove si adorano i numi antichi e il dio Nummus. Sempre esistito, ma oggi assunto al rango di Giove dell'Olimpo spiritistico moderno.
Citazione
E allora ha ragione l'amico Paul, quando parla di un uomo che ha invocato, persino, la morte di Dio e l'avvento di una scienza fisica e sperimentale ritenuta capace di soddisfare tutti i problemi e i bisogni dell'uomo come "liberazione" dall'oscurantismo passato e come presagio di un avvenire radioso.
Ma questa invocazione non aveva fatto i conti con l'attore principale: l'uomo...
... il che è vero, ma non come la intendi nel prosieguo, ma come l'umanesimo intende l'uomo, al di là del bene e del male di apocalittici e integrati.
Citazione
La cui "tecnica", come rimedio contro l'angoscia suscitata dal divenire delle cose, ieri edificava la "metafisica" come fondamento della finalità e della verità epistemica ed oggi una "scienza" in cui ne ha riproposto le medesime caratteristiche. Per cui spariscono i "campi"; i contesti interpretativi all'interno dei quali, soltanto, è possibile parlare di "oggettività"; i fenomeni diventano essenze e il "relativismo" un concetto buono per diatribe sulla teologia.
E' proprio vero che: "morto un Dio se ne fa un altro"...
saluti
Sulle diatribe teologiche, siano esse religiose o economiche, non mi pronuncio. Si tratta solo di scacciare i mercanti dal tempio dell'umano. Tutto il resto è tempo perso. La tecnica è destino antropologico su cui vale la pena esercitare l'amor fati nicciano, senza lasciarsi ingabbiare da aspetti meno transumananti della sua filosofia. I "campi", i piani del reale, non spariscono. L'unico problema è che la scienza i suoi li coltiva fin troppo bene, con i benefici e malefici che ne conseguono, mentre la filosofia, ovvero il campo
essenziale dell'umano - epistemico esistenziale (...la "gaia scienza", rivista e corretta ...), è allo sbando.
Citazione di: Ipazia il 09 Aprile 2019, 09:02:01 AM
Certo che la scienza si occupa di "verità epistemiche": quelle relative alla natura. Che sia strumentalizzata è un dato costante fin dalla notte dei tempi. Che la strumentalizzazione ideologica scientista sia molto attuale e dal positivismo in poi abbia fatto passi da gigante è altrettanto vero. Ma totalmente falso è che di "episteme scientifica" ne sia rimasta poca. Checchè ne dicano gli spiritisti, dall'epoca dei numi a quella dei lumi, negli ultimi quattro secoli, il Bene Assoluto Incontrovertibile dei viventi per gli umani si è raddoppiato, nella durata. Sulla qualità ognuno si rifarà ai suoi bias, ma il dato oggettivo è incontestabile.
Citazione
Ma del tutto insufficiente.
A proposito d civiltà (e felicità) umana i dati oggettivi sono imprescindibili condizioni necessarie ma non sufficienti.
E quello soggettivo è migliorabile, anche grazie al contributo dell'episteme scientifica. Pur rimanendo terreno d'elezione della filosofia, le cui sorti tra robot e spiritisti non sono però delle migliori. E questo allarga anche il terreno improprio della scienza secondo la legge dell'horror vacui.
Citazione
Ma non esistono solo filosofi pretesi (da GreerDmetr) "robot" e spiritisti.
L' allargamento improprio del terreno della scienza é quello dell' irrazionalismo scientistico (certo, di fatto propiziato dagli irrazionalismi spiritistici).
I "campi", i piani del reale, non spariscono. L'unico problema è che la scienza i suoi li coltiva fin troppo bene, con i benefici e malefici che ne conseguono, mentre la filosofia, ovvero il campo essenziale dell'umano - epistemico esistenziale è allo sbando.
Citazione
Il fatto che effettivamente é messa male é un motivo in più, per i razionalisti, per impegnarsi e lottare onde ridarle slancio.
Citazione di: green demetr il 09 Aprile 2019, 06:46:29 AM
Quindi facciamo un pò di chiarezza.
Ripartiamo dalla metafisica speciale di cui parla Kant nella sua dialettica.
DIO, ANIMA, MONDO.
per te queste tre idee, sono correlabili a livello ontologico.
Partiamo dalla nozione che ci accomuna certamente, ossia che DIO, è l'esistente (visibile e non). Direi che è l'ontologia fondamentale. Ma per essere logia dell'ontos, ossia discorso sull'essere, abbiamo bisogno di introdurre termini medi.
Ossia le idee come evincibile da Platone (o almeno quella tradizione sotto cui lo pseudonimo Platone converge, perchè sennò si impazzisce se si pensa che era una sola persona). E da Hegel (? non saprei con sicurezza, ma direi che dovrebbe essere così).
Che diventano così i nemici, che hanno dato il "mezzo! con cui parlare dell'Essere.
Quindi che sia un iperuranio, o la filosofia (il sapere) alla fine della Storia (cristiana), sempre di un idea si sta parlando. anche se ovviamente dell'Idea con la lettera maiuscola.
E che io chiamo l'originario.
Il problema è ora qui di coniugare ciò che incontrovertibilmente è (e quindi a mio parere oltre platone, e con hegel, l'idea è un mezzo, non la verità, come la manualistica riporta) con le idee di mondo e anima.
Se l'Idea è ciò che è ontologico, capisco il problema, e come mai interagisci con chi snobba lo spirito.
Anima e Mondo, ossia Mente e Cervello.
Che l'Anima sia animata da Dio e non dal Mondo è questa la grande questione.
Ovviamente in un Mondo dove Dio è morto, capisco benissini che i cani dell'impero come li chiamava anche Preve, ossia i cinici, i prezzolati; facciano a cazzotti per dimostrare che la mente è il cervello, ossia il monismo riduzionista della filosofia analitica.
In realtà come la italia theory ha ampiamente esposto (R.Esposito,G.Agamben) si tratta di mordere l'osso e non più l'anima, essendo l'anima già fagocitata dall'ideologia (Levinas arriva con un giro di ritardo, ovviamente se letto in maniera occidentale, con le cazzate sulla responsabilità).
E' proprio tramite il principio di responsabilità che si uccide la gente....sveglia!
Ossia si tratta di trattare DIRETTAMENTE i corpi.
DEVE esistere una teoria che la appoggi.
I filosofi che io chiamo robot, non sanno fare di quest conti, perchè troppo complicati per loro.
I conti è meglio farli in tasca agli altri.
Da qui allo smantellamento del wellfare, e alle prossime torture il passo è breve (fratelli d'italia purtroppo tra buone intenzioni e buone leggi, ci ha già messo un bomba, fortunatamente non votata...ma quanto durerà? visto che anche il 5stelle dice che la scienza...ossia il monismo riduzionista, dice la verità????
Ora fatta la solita nojosa sparata politica, rimane il problema che se il mondo è tale come è tale, allora come mai questo stato di cose, che non possiamo non dire ONTOLOGICO, ossia le cose stanno come stanno, si votano cose come stanno. Si rende legge, ossia ESISTENTE, Mondo direbbe il buon Sini, nella sua accezione più ampia, di costumi dovute ai gesti.
Norma.
Possiamo dire che le norme non sono ontologia?
E allora come potresti uscire da questo impasse?
O forse questo delirio di desiderio di morte, che chiamiamo per comodità, capitalismo è ciò che è vero e dunque Giusto?
No perchè non mi pare che queste idee ti abitino, io vedo un grosso problema a vedere il Mondo come cervello.
Il mondo è la rappresentazione, ma la rappresentazione di un anima, ossia di un soggetto che si determina certamente tramite il suo oggetto, i suoi oggetti, ma necessariamente anche tramite il fatto, che DIO esiste, che vi è un esistente che non è visto.
Non il ribaltamento della questione ossia che il soggetto, è un oggetto, sebbene di carattere aleatorio, vedi le teorie di sfondo, e di progressiva determinazione, intenzionale, come se un DIO ci formi.
Quindi intenzione non dell'uomo ma del suo Burattinaio.
La fenomenologia di Husserl è sbagliata.
Quella di Heidegger si rende conto che invece non esiste alcun intenzionale, l'intenzionale è forse lo scontro tra la radura dell'esisitente e l'esistente stesso, che medianamente è l'uomo, ossia l'unico oggetto che la PENSA.
Ossia è il soggetto che pensa, non Dio.
Dio si da negativamente, la sua Legge è solo tramite la negazione in atto, delle ideologie delle comunutà.
Ossia si dà come negazione dell'ideologia, come Abramo ha capito PRIMA DI TUTTI, e per PRIMO. (ossia il popolo eletto).
La legge è rispettare da SOGGETTO, il DIO eveniente, che viene, non che si DA' prima.
E' vivente il DIO, proprio ontologicamente, come è vivente la sua datità come essente, ovvero vivente.
Quindi ovviamente DIO è l'UOMO, ma era così anche nella tradizione giudaica.
Non è che Nietzche non l'avesse capito! DIO è morto, si intende che è morta la sua ideologia, ossia che ora abbiamo a che fare con il vero DIO, che annichilisce, e a cui rispondiano tramite la comunità.
La comunità è però dei viventi soggetti. Dei soggetti che scelgono.
Non della SCIENZA; ossia di cose che non esistono, e che sono il cammuffamento dell'arrivo del nichilismo.
Il monismo è il nichilismo.
Che l'ente sia è uno degli errori alla base.
DIo è, l'uomo è, il MONDO NON è. Il mondo sembra, è sembiante. E' il NOUMENO.
Questa è la mia posizione.
E le domande che mi vengono pensando ad un possibile intreccio con le tue soluzioni, che dubito siano saltate fuori parlando con gli altri (i robot dell'ontologia).
Ciao Green,
tolgo i termini Dio e anima, ma i significati ontologici non mutano mutando le parole.
L'Essere non è esistenza, l'essere "è".L'Essere non è in divenire , è un eterno è nell'origine di tutto, è l'archè.
L'essente dell'Essere (ad es. il dasein, l'esser-ci di Heidegger) è esistenza=diveniente.
L'Essere è pre-esistente in quanto verità incontrovertibile , per cui l'esistenza è la ricerca delle significazioni, tramite le essenze, per tornare all'Essere e questo dà il senso della vita.
E' contraddittorio dire che l'esistenza disvela(aletheia) l'Essere, se già l'Essere non fosse un immutabile e verità incontrovertibile.
L'esistenza è fondamentale è il cammino verso l'Essere(direi il ritorno all'Essere) attraverso significazioni e le essenze.
Le essenze sono degli immutabili ontologicamente e sono regole e ordinamento universale.
Lo stesso Kant, confutando Anselmo che riteneva le essenze come esistenze, con l'esempio dei 100 tallari ritiene che le essenze siano pensabili senza necessità di esperienza.
Tutti i filosofi e direi la grandissima parte dell'attuale filosofia, si è persa nel divenire.
La regola non logica, ma veritativa e convenzionale eper nulla epistemica su cui tutto è adagiato è che i risultati delle prassi portano utilità e autovalidazione.
Il capitalismo funziona? Allora è vero
Il politico ha vinto le lezioni?Allora è vero
Lo sportivo è il top? Allora è vero.
La scienza sperimentale porta risultati: allora è vera.
Le pratiche non necessitano di supporti teoretici. Non è vero che vince la teoria saggia su quella stupida, il risultato finalistico avvalora il processo in retroazione.
Ribadisco quindi che la verità attuale è :risultato-funzionale- utile e questo deve essere tangibile e fattuale diversamente è "avulsa metafisica". E' l'evidenza dei successi che convalidano una teoria, ma convivono tranquillamente una infinità di teorie ad uso e consumo:tanto sono i risultati fattuali quello che contano.
Questa impasse prima di tutto deve essere analizzata ,come fanno Agamben( con i dispositivi culturali della mimesi)e Zizek. Ma per uscirne bisogna ammettere che l'esistenza del venire dal nulla per finire nel niente , non solo non ha senso, ma è contraddittoria.Perchè non è venuta ontologicamente prima l'esistenza di un origine, un archè che regola e ordina i domini e ammettere che la mente non è un suppellettile che ci serve solo mangiare, bere e dormire........Ma ormai siamo talmente immersi nel relativismo figlio della fattualità e del divenire, che manca persino il coraggio di uscire fuori dal coro dei gargarismi .
Se tutto viene da un origine l'Archè è lampante che anche le singole cose che si manifestano apparendo e quindi essenti in quanto esistenti, hanno con sé un "frammento " di verità originaria.
La cultura dell'essere e non dell'avere, è appunto alimentare la sensibilità della totalità umana(anima, spirito, psiche, ragione, intuito, ecc.) verso un frammento di verità che sarà consegnato alla morte nell'esistenza per ritornare all'Essere.
In questa cultura di lobotomizzati è paradossale, ma vince chi crede di più.
Chi crede di più in se stesso, in una idea, in una religione e la porta avanti con forza. Ha poca importanza, come ho precedentemente scritto, se sia giudicata vera ,falsa, giusta, sbagliata.
Questa cultura moderna teme molto quindi le ideologie, le religioni, e qualunque forma culturale idealistica.
E hanno talmente tambureggiato per decenni i mass media così da far assomigliare il servo con il padrone, il pastore con la pecora .
I servi pensano da padroni e le pecore da pastori
------> Come al solito devo intervenire a difendere il maestro, perchè dubito che i robot possano capire che non esiste alcun test, per capire cosa dice Nietzche.
Ed in cosa consiste questa difesa ? In quali parole riferite a cosa ?
Si che esistono i test e ne hai già passati due quindi hai già una media spaventosa :D (<-----ovviamente su cose che hai scritto e quindi valutabili)
------> Se mi dici dove ne parli ne sono felice. Visto che su questo forum cè una discussione infinita sul nostro.Almeno noi ne abbiamo parlato!
Mi basta quel che leggo in giro.
La comprensione di un filosofo si riflette nella maniera in cui, di lui e del suo pensiero, si parla riferendosi ad altri argomenti che non riguardino egli medesimo.
Per gli "argomenti" che riguardano nietcetc esistono i libri e Wikipedia ( dipendendo questo dalle fonti cui uno attinge ) e basta il noto cut&paste (con ricerca sinonimi per gli utenti più evoluti) per discutere su nietcetc.
Quando invece non si parla di nietcetc, allora è più facile distinguere chi lo ha mal interpretato e chi lo ha giustamente inquadrato ( o meglio, stia ancora tentando di farlo), perché basta osservare quanto le sue conclusioni, le sue argomentazioni e le sue obiezioni viaggino su binari totalmente opposti a quelli di nietcetc..
-----> Dawkins, Dennett, Churchland e C. , a mio modesto parere anche più irrazionalisti dei positivisti classici.
;)
Solo perché sostengono che non esiste "fisicamente" una mente ?
Solo perché non sono dualisti ?
Solo perché alla domanda : "sei un cervello o hai una mente ?", rispondono: "sono un cervello" ?
Rifiutare il dualismo mente-cervello significa quindi essere più irrazionalisti dei positivisti classici.
Vero che hai scritto " a mio modesto parere" ma è un parere per te importante e quindi inficiante ( a mio modesto parere, ovviamente) la visione generale.
P.s.: "visione generale" riguardo l'argomento "dawkins,church,dennet"(bizzarro questo nomen-omen), non visione generale nel senso "guarda che hai capito zero"; inutile dirlo ma ridirlo è meglio :) )
Ciao Green
L'ideologia politica dominante è lo "spontaneismo", così come teorizzato da Von Hayek (del quale
sono tutt'al più ammiratore nel senso cui si può ammirare un nemico valoroso - non sono affatto un
"fan" del Marginalismo: già lo spiegai una volta che mi facesti la medesima osservazione, ma con
ogni probabilità non hai letto quella risposta).
La sua forza risiede, ovviamente, nell'adattarsi a qualsiasi situazione; a qualsiasi mutamento.
La forza prorompente con cui nella modernità si è affermato l'"io" riducendo a se l'"altro" è
il "motore primo" che ha permesso allo spontaneismo di affermarsi.
Nel sempre più marcato oblio di ogni "altro-dall'io" (e l'organizzazione comunitaria appunto lo
è), i singoli individui gestiscono i loro rapporti mediante lo strumento più efficace: il "contratto
fra due parti private" (termini naturalmente da intendersi in senso molto "largo"...).
Probabilmente il Dio della tradizione religiosa (e tutto ciò che ne è correlato) "muore" proprio
perchè muore la comunità con le sue leggi "ab-solute" (cioè "uguali per tutti"), come ipotizza
E.Durkheim nei suoi studi sul totemismo ("Dio è la comunità", dice Durkheim).
Ma Dio E la comunità vengono presto rimpiazzati. Certo non da altre leggi uguali per tutti ma
da una sola ed assoluta legge, l'unica che può sorgere nella dissoluzione del "generale" e nel
conseguente trionfo del "particolare": la tecno-scienza, ora elevata a vera e propria religione.
Di essa si serve, oggi, la volontà di potenza dominante; come del resto ieri si serviva della
religione tradizionale.
Come fa a parer mio acutamente notare Severino, essa, la volontà di potenza dominante, sarebbe
pronta ad abbandonare la tecno-scienza qualora la preghiera "smuovesse le montagne" (cioè
qualora rappresentasse un mezzo più efficace della tecno-scienza allo scopo di mantenere ed
anzi incrementare la propria potenza).
In questo risiede la tremenda forza dello "spontanismo"...
saluti (concordo sulla democrazia liberale - tant'è che penso che la democrazia o è "sociale"
o non è)
Citazione di: 0xdeadbeef il 09 Aprile 2019, 21:14:16 PM
Come fa a parer mio acutamente notare Severino, essa, la volontà di potenza dominante, sarebbe
pronta ad abbandonare la tecno-scienza qualora la preghiera "smuovesse le montagne" (cioè
qualora rappresentasse un mezzo più efficace della tecno-scienza allo scopo di mantenere ed
anzi incrementare la propria potenza).
Beh, allora "noi robot" (Asimov) possiamo dormire sonni tranquilli. Pfui, l'abbiamo scampata bella :o
@Ox
"Nel sempre più marcato oblio di ogni "altro-dall'io" (e l'organizzazione comunitaria appunto lo
è), i singoli individui gestiscono i loro rapporti mediante lo strumento più efficace: il "contratto
fra due parti private" "
Scusami, ho bisogno di una spiegazione di questo passaggio che non mi fila, ogni singolo individuo è di per sè stesso io e altro dall'io, il contratto tra privati sancisce questo: le parti sono l'una per l'altra e viceversa altro rispetto all'io, o no? La dividualità e l'individualità, l'altro e l'io sono supposti e presupposti per un contratto tra parti, altrimenti perchè un contratto se viene a mancare la coppiona io/altro?
L'altro dall'io siamo sicuri sia comunità?
----> Come fa a parer mio acutamente notare Severino, essa, la volontà di potenza dominante, sarebbe
pronta ad abbandonare la tecno-scienza qualora la preghiera "smuovesse le montagne" (cioè
qualora rappresentasse un mezzo più efficace della tecno-scienza allo scopo di mantenere ed
anzi incrementare la propria potenza).
Acutamente; bene, vediamo cosa dice mr. Severino.
Una persona come me ( me come tersite, e non altre, diciamo una delle infime manifestazioni dell'essere) , abbandonerebbe la volontà di potenza dominante qualora la preghiera smuovesse le montagne. (alla parentesi rispondo dopo).
Ovviamente si, funzionasse la preghiera lo farei eccome, sarei diventato pure cardinale talmente fede vi avrei messo, quale deficiente non lo farebbe.
Funzionasse crederei anche alla macumba ed alla divinazione con interiora.
Ma che acuta osservazione : funzionasse la preghiera anche gli atei pregherebbero; che dire, siamo ai vertici del pensiero, lo riconosco.
Veniamo ora alla parentesi ( messa ovviamente per pudore e per lenire l'enormità che precedeva).
La parentesi dice :
-----> cioè
qualora rappresentasse un mezzo più efficace della tecno-scienza allo scopo di mantenere ed
anzi incrementare la propria potenza
laddove una persona abituata a "leggere" intende :
qualora funzionasse meglio della scienza nel sostenere le cose che afferma essere vere.
Ma ti rendi conto di quel che scrivi ?
perché risulta difficile Severino abbia scritto delle banalità simili... o non pare anche a te.
Citazione di: tersite il 09 Aprile 2019, 16:39:45 PM
-----> Dawkins, Dennett, Churchland e C. , a mio modesto parere anche più irrazionalisti dei positivisti classici.
;)
Solo perché sostengono che non esiste "fisicamente" una mente ?
Solo perché non sono dualisti ?
Solo perché alla domanda : "sei un cervello o hai una mente ?", rispondono: "sono un cervello" ?
Citazione
Sì, anche (ma non solo) per questo.
Perché assumono acriticamente la verità della conoscenza scientifica come unica (possibile) conoscenza vera sulla realtà in toto, bollando come "metafisici" e accomunando indebitamente a superstiziosi e religiosi vari coloro che la sottopongono a critica razionale e che cercano di inquadrarla in una più ampia visione della realtà in toto, cercando di comprendere la natura fenomenica (e non in sé, non indipendente dalle esperienze fenomeniche coscienti) di ciò che di essa ci é empiricamente accessibile, ponendosi il problema dell' eventualità di ulteriori enti ed eventi reali in sé, inoltre rendendosi conto della realtà anche dei fenomeni mentali e della loro diversità da quelli materiali (la mente non é il cervello), le esperienze coscienti non sono nei cervelli ma invece i cervelli sono nelle esperienze coscienti).
Rifiutare il dualismo mente-cervello significa quindi essere più irrazionalisti dei positivisti classici.
Citazione
Rifiutarlo acriticamente sì; o per lo meno significa essere altrettanto irrazionalisti, che per me é già decisamente troppo!
Ho usato l' espressione iperbolica "almeno altrettanto irrazionalisti di" o -non ricordo bene e non ho voglia di controllare- non meno irrazionalisti di": li ritengo almeno pari e forse più irrazionalisti dei positivisti ottocenteschi).
Correzione dell 9, 12: per quanto possa valere la questione, ho controllato, ed effettivamente ho scritto "anche più irrazionalisti"; va beh, mi sono lasciato trascinare dall' impeto polemico, ma intendevo dire "almeno altrettanto"
Vero che hai scritto " a mio modesto parere" ma è un parere per te importante e quindi inficiante ( a mio modesto parere, ovviamente) la visione generale.
Citazione
Questa non l' ho capita: inficiante che?
P.s.: "visione generale" riguardo l'argomento "dawkins,church,dennet"(bizzarro questo nomen-omen), non visione generale nel senso "guarda che hai capito zero"; inutile dirlo ma ridirlo è meglio :) )
Citazione
Hai fatto bene a precisarlo a scanso di equivoci, anche se nel mio caso non ce n' era bisogno.
Dawkins in particolare si distingue anche per propugnare una distorsione ideologica reazionaria dell' evoluzionismo darwiniano.
Dall' intervento #296
Ma ti rendi conto di quel che scrivi ?
perché risulta difficile Severino abbia scritto delle banalità simili... o non pare anche a te.
Citazione
A me che Severino scriva banalità non risulta per niente difficile.
Mi sembrerebbe piuttosto difficile aspettarmi che scriva cose non banali.
Citazione di: Ipazia il 09 Aprile 2019, 21:32:20 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 09 Aprile 2019, 21:14:16 PM
Come fa a parer mio acutamente notare Severino, essa, la volontà di potenza dominante, sarebbe
pronta ad abbandonare la tecno-scienza qualora la preghiera "smuovesse le montagne" (cioè
qualora rappresentasse un mezzo più efficace della tecno-scienza allo scopo di mantenere ed
anzi incrementare la propria potenza).
Beh, allora "noi robot" (Asimov) possiamo dormire sonni tranquilli. Pfui, l'abbiamo scampata bella :o
Ciao Ipazia
Ci sta la battuta, ma quel che dice Severino ritengo non sia da sottovalutare. Perchè la
tecno-scienza rappresenta, secondo Severino, lo strumento più efficace che la volontà di potenza
dominante possiede al fine di incrementare indefinitamente la propria potenza.
La tecno-scienza, ovvero, non come strumento finalizzato ad un utopistico "bene comune", ma
come strumento di potere che, importante, sarebbe subito abbandonato qualora venisse trovato
uno strumento più efficace (l'importante non è partecipare, ma vincere...).
A livello filosofico, quel che ritengo vada indagato più e meglio è il rapporto fra tecno-scienza
e potere politico (rapporto ritengo poco o punto considerato dai "cultori ad ogni costo della scienza"...).
saluti
Io indagherei meglio il rapporto tra potere economico-politico-militare e tecno-scienza, volendo mettere i puntini sull'archè.
@ sgiombo.
Conosci le mie posizioni materialistiche, "intollerabili e intolleranti", e non c'è bisogno quindi di premesse.
La tua è una posizione integralmente dualistica.
Cervello e mente sono entità separate.
Io invece penso che il concetto di "mente" sia un concetto funzionale ad raggruppare le caratteristiche del cervello che non siamo ancora riusciti a comprendere.
Non abbiamo niente di meglio che "mente" per definire tutta una serie di funzioni che non siamo riusciti ancora a riferire ad un sostrato organico.
Sono anche convinto che la mente avrà lo stesso destino dei demoni degli spiriti e dell'anima; oltre che materialista sono anche eliminativista (così hai chiarissimo il quadro di riferimento ).
Prima spariscono gli spiriti della natura, poi spariscono gli spiriti,poi spariscono i demoni,poi sparisce l'anima, poi sparisce dio, poi sparisce l'io...chi pensi sarà il prossimo?
Citazione di: Lou il 09 Aprile 2019, 21:38:55 PM
@Ox
"Nel sempre più marcato oblio di ogni "altro-dall'io" (e l'organizzazione comunitaria appunto lo
è), i singoli individui gestiscono i loro rapporti mediante lo strumento più efficace: il "contratto
fra due parti private" "
Scusami, ho bisogno di una spiegazione di questo passaggio che non mi fila, ogni singolo individuo è di per sè stesso io e altro dall'io, il contratto tra privati sancisce questo: le parti sono l'una per l'altra e viceversa altro rispetto all'io, o no? La dividualità e l'individualità, l'altro e l'io sono supposti e presupposti per un contratto tra parti, altrimenti perchè un contratto se viene a mancare la coppiona io/altro?
L'altro dall'io siamo sicuri sia comunità?
Ciao Lou
Naturalmente non che l'"io" non sia consapevole che esista qualcosa che non è il "sé medesimo" (ad es.
in Fichte vediamo ipotizzato un "io" e un "non-io"): è che esso tende a ridurre a se stesso questo
qualcosa che è "altro".
Nell'individualismo odierno ritengo centrale il concetto di "contratto fra due parti private", che
lungi dall'essere una rappresentazione giuridica o commerciale illustra molto bene quelli che sono
i rapporti in un insieme di singoli "io" (la "società" di una volta...).
Nel progressivo oblio di qualsiasi "comune sentire" (perchè questo già comporterebbe la consapevolezza
di un "altro" a me irriducibile, e verso il quale "io" dovrei pormi in una situazione che comporta
in ogni caso una "responsabilità"), i due "io" sono l'uno di fronte all'altro.
E quando due "io" sono l'uno di fronte all'altro senza la mediazione costituita da un comune sentire,
vi è SEMPRE (quindi a prescindere dalla volontà di predominio) il tentativo di uno dei due di ridurre
a se l'altro.
In altre parole, è a parer mio sempre il "corpo intermedio" (costituito dal "comune sentire" cioè, nella
prassi, da una organizzazione collettiva) che, impedendo l'affermazione totale di uno degli "io", rende
im-possibile la riduzione dell'"altro" all'"io" (cioè la riduzione di uno degli "io" all'altro "io").
L'esempio pratico più evidente e banale di quanto vado dicendo sono i contratti di lavoro, sempre meno
collettivamente intesi e, di conseguenza (cioè in quanto sempre meno collettivamente intesi), sempre più
coercitivi per una delle parti private dello "scambio" (naturalmente la parte debole: il lavoratore).
saluti
Citazione di: 0xdeadbeef il 09 Aprile 2019, 21:14:16 PM
Probabilmente il Dio della tradizione religiosa (e tutto ciò che ne è correlato) "muore" proprio
perchè muore la comunità con le sue leggi "ab-solute" (cioè "uguali per tutti"), come ipotizza
E.Durkheim nei suoi studi sul totemismo ("Dio è la comunità", dice Durkheim).
Non conosco Levinas direttamente, tramite le sue opere, ma attraverso la lettura di Bauman
in le "Sfide dell'etica".La tua concezione di comunità è proprio quella "fusione" cui Levinas oppone la relazione Io<>Altro, in cui l'Io è un termine non annullabile, il centro della relazione.
Per l'asimmetria della relazione, l'Io di Levinas è l'unico soggetto morale, responsabile. L'Altro con cui l'Io è in relazione non è la comunità, di cui altrimenti l'Io sarebbe parte, ma "il volto dell'Altro o d'Altri".Il salto dal singolo al collettivo è contrario alla logica: i singoli si relazionano tra di loro, non si relazionano con la comunità, che li trascende. Il salto logico è ben oltre l'impotente "volontà di potenza", è un delirio di onnipotenza.
------> Nell'individualismo odierno ritengo centrale il concetto di "contratto fra due parti private", che
lungi dall'essere una rappresentazione giuridica o commerciale illustra molto bene quelli che sono
i rapporti in un insieme di singoli "io" (la "società" di una volta...).
No, quello non è individualismo odierno che tra l'altro non so cosa sia e data la sua evanescenza non riusciresti a definirlo se non in quaranta pagine, e non è un concetto utilizzabile per una analisi serrata. Individualismo odierno è concetto da sermone e non è nemmeno stato definito.
Poi passi a definire cosa sia per te il concetto di "contratto privato tra due parti" .
Lo definisci come la cosa che illustra molto bene quelli che sono i rapporti in un insieme di singoli "io" ".
Poi si va a cercare cosa sia quella cosa "che illustra" e come sua definizione troviamo "contratto tra le parti" ma del concetto di "contratto tra le parti " non sappiamo nulla, sappiamo solo che illustra benissimo i rapporti tra i singoli io.
--------> Nel progressivo oblio di qualsiasi "comune sentire"
e di nuovo : cosa è il "comune sentire" ?...che significa..un ideologia condivisa ? un segno di riconoscimento comune ? una morale coindivisa ? cosa significa "comune sentire"...cosa.
Sono concetti che presuppongono la coindivisione dei medesimi concetti, una sorta di continuo ragionamento circolare, rivolto ad una comunità coesa sulla base di quei concetti.
----> il tentativo di uno dei due di ridurre a se l'altro.
No. il tentativo della comunità legata dal "comune sentire" di ridurre l'io\altro al suo io di comunità.
----> E quando due "io" sono l'uno di fronte all'altro senza la mediazione costituita da un comune sentire,
vi è SEMPRE (quindi a prescindere dalla volontà di predominio) il tentativo di uno dei due di ridurre a se l'altro
Ovviamente come sopra e quel sempre in maiuscolo è semplicemente stupendo . DEUS VULT..meraviglioso davvero
-----> In altre parole, è a parer mio sempre il "corpo intermedio" (costituito dal "comune sentire" cioè, nella
prassi, da una organizzazione collettiva) che, impedendo l'affermazione totale di uno degli "io", rende
im-possibile la riduzione dell'"altro" all'"io" (cioè la riduzione di uno degli "io" all'altro "io").
L'esempio pratico più evidente e banale di quanto vado dicendo sono i contratti di lavoro, sempre meno
collettivamente intesi e sempre più coercitivi per una delle parti private dello "scambio
Come conclusione il tentativo di agganciare le considerazioni campate in aria di cui sopra sulla prassi dei rapporti di classe, legando così l'analisi del "corpo sociale" alla pseudo analisi filosofica, e trasferendo il giudizio di valore sui rapporti di classe (evidentemente orribili e quindi ingiustificabili) sulla analisi filosofica.
spiegato meglio il trucco funziona così:
ho ragione ad aver sostenuto quel che ho sostenuto nelle affermazioni precedenti (sulla base di concetti indimostrati e fideistici) perché i contratti di lavoro fan schifo per i motivi che le affermazioni precedenti giustificavano.
Citazione di: tersite il 10 Aprile 2019, 16:57:05 PM
@ sgiombo.
Conosci le mie posizioni materialistiche, "intollerabili e intolleranti", e non c'è bisogno quindi di premesse.
La tua è una posizione integralmente dualistica.
Cervello e mente sono entità separate.
Io invece penso che il concetto di "mente" sia un concetto funzionale ad raggruppare le caratteristiche del cervello che non siamo ancora riusciti a comprendere.
Non abbiamo niente di meglio che "mente" per definire tutta una serie di funzioni che non siamo riusciti ancora a riferire ad un sostrato organico.
Sono anche convinto che la mente avrà lo stesso destino dei demoni degli spiriti e dell'anima; oltre che materialista sono anche eliminativista (così hai chiarissimo il quadro di riferimento ).
Prima spariscono gli spiriti della natura, poi spariscono gli spiriti,poi spariscono i demoni,poi sparisce l'anima, poi sparisce dio, poi sparisce l'io...chi pensi sarà il prossimo?
Gli spiriti, le anime, i demoni, dio, ecc. con il mio dualismo dei fenomeni - monismo del noumeno e in particolare con la mia concezione della mente non hanno proprio nulla a che vedere.
Cervello e mente sono due diversi enti - eventi fenomenici, necessariamente coesistenti - codivenienti. come dimostrato ad abundantiam dalle neuroscienze (le menti finiscono di esistere - divenire con la fine del funzionamento dei corrispondenti cervelli: gli "spiriti" o "anime" immortali, i "demoni", ecc. c' entrano come i cavoli a merenda).
Per parte mia tollero tutto tranne il fascismo: non ho mai considerato il materialismo in generale ed eliminativistico in particolare "intollerabile"; invece lo considero profondamente errato e falso.
Nessuna
caratteristica del cervello che non siamo ancora riusciti a comprendere, nessuna funzione che non siamo riusciti ancora a riferire ad un sostrato organico si identificherà mai (quando riusciremo a comprenderla) con altro che non siano eventi neurofisiologici per il semplice fatto che le funzioni organiche del cervello sono costituite esclusivamente da cose come potenziali d' azione ed eccitazioni o inibizioni trans-sinaptiche ("perfettamente" riducibili ad eventi fisici riguardanti particelle-onde subatomiche e campi di forza), i quali accadono nell' ambito di esperienze fenomeniche coscienti, sono fenomeni (materiali).Nei cervelli ci sono solo neuroni e altre cellule e strutture biologiche ed avvengono unicamente trasmissioni di impulsi nervosi (e funzioni fisiologiche "di supporto", come la circolazione sanguigna) "perfettamente" riducibili ad eventi microfisici ma nessuna coscienza (esperienza fenomenica cosciente), essendo invece i cervelli con i loro processi neurofisiologici "perfettamente" riducibili ad eventi microfisici indovati nelle (accadenti nell' ambito delle) coscienze (esperienze fenomeniche coscienti): il loro "esse est percipi" (Berkeley e Hume).
Citazione di: Ipazia il 10 Aprile 2019, 15:03:41 PM
Io indagherei meglio il rapporto tra potere economico-politico-militare e tecno-scienza, volendo mettere i puntini sull'archè.
Ciao Ipazia
Beh, volendo mettere i puntini sull'arché ti si potrebbe obiettare che il potere economico e/o militare
è sempre un potere politico. O che il rapporto fra tecno-scienza e potere politico c'è, è reale (basti
pensare al "biopotere" in M.Foucault), ma non lo ritrovo in certe acritiche ed ingenue esaltazioni della
scienza che sento spesso fare in questo forum...
saluti
PS
Certo che un intervento dell'amico Paul, che so "ferrato" in questo argomento, sarebbe molto gradito
Citazione di: baylham il 10 Aprile 2019, 18:16:54 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 09 Aprile 2019, 21:14:16 PM
Probabilmente il Dio della tradizione religiosa (e tutto ciò che ne è correlato) "muore" proprio
perchè muore la comunità con le sue leggi "ab-solute" (cioè "uguali per tutti"), come ipotizza
E.Durkheim nei suoi studi sul totemismo ("Dio è la comunità", dice Durkheim).
Non conosco Levinas direttamente, tramite le sue opere, ma attraverso la lettura di Bauman in le "Sfide dell'etica".
La tua concezione di comunità è proprio quella "fusione" cui Levinas oppone la relazione Io<>Altro, in cui l'Io è un termine non annullabile, il centro della relazione.
Per l'asimmetria della relazione, l'Io di Levinas è l'unico soggetto morale, responsabile.
L'Altro con cui l'Io è in relazione non è la comunità, di cui altrimenti l'Io sarebbe parte, ma "il volto dell'Altro o d'Altri".
Il salto dal singolo al collettivo è contrario alla logica: i singoli si relazionano tra di loro, non si relazionano con la comunità, che li trascende.
Il salto logico è ben oltre l'impotente "volontà di potenza", è un delirio di onnipotenza.
Ciao Baylam
Bah, certamente la comunità può essere vista come un "io" collettivo (per cui, rispetto ad essa, "altro"
sono le altre comunità). Quindi da questo punto di vista non hai tutti i torti...
Però, se per Levinas "altro" è anche ciò che l'"io" sarà nel tempo futuro (fino all'"assolutamente-altro"
della morte), quindi presumibilmente ciò che l'"io" è stato nel passato, allora non ritengo del tutto
incoerente pensare che "altro rispetto all'io" sia, o possa essere, anche la comunità.
Non dimentichiamo poi che quella di Levinas è una vera e propria accusa all'occidente di aver "ontologizzato"
l'"io" (e sulla base di quanto dicevo di aver ontologizzato con esso anche l'attimo presente), per cui
penserei congruo che una tale accusa passi per l'oblio della comunità (un fenomeno che avviene, se non già
avvenuto, in tutto l'occidente).
Sull'illogicità di quello che definisci "salto dal singolo al collettivo" dovresti spiegarti meglio.
saluti
Anche tra schiavo e padrone c'è un rapporto, ma questo non autorizza a confonderli. La tecnoscenza è la gallina dalle uova d'oro di un potere che sta altrove: economico-politico-militare sotto l'occhio vigile di Sauros-Capitale che è il deus-ex-machina di tutto l'ambaradan. Almeno per ora. Se non bastano le guerre irachene, libiche e siriane per capirlo, getto la spugna.
------> non ho mai considerato il materialismo in generale ed eliminativistico in particolare "intollerabile"; invece lo considero profondamente errato e falso.
Se consideri falso il materialismo ogni discussione è assolutamente inutile.
Non abbiamo un terreno comune su cui discutere; se consideri profondamente falso il materialismo non so proprio che discussione potremmo fare e su cosa poi, su parole che si riferiscono ad altre parole.
Materia o fede, non se ne esce.
x Paul
1) L'essere è l'archè. Lo condivido. Ossia è ciò da cui per induzione ragiono su Dio. Nel senso anche religioso, come sto facendo negli ultimi 2 anni.
(ma tranquilli sempre con Nietzche e Sini a mente).
"per cui l'esistenza è la ricerca delle significazioni, tramite le essenze, per tornare all'Essere e questo dà il senso della vita." cit Paul
Qua c'è un errore a mio parere, meglio specificare: tu stesso dici che l'ESSERE non è un ente, ma è ciò che è. Esserere primordiale, prima del tempo. La base, l'unica episteme possibile, in quanto necessaria.
L'esistenza non può tornare all'Essere, in quanto è un fenomeno dell'Essere.
Noi tentiamo di dare un significato di senso proprio a partire tra ciò che appare e ciò che lo abita come archè, usando il tuo linguaggio, io direi come fondamento (comunque non stiamo troppo sulle parole, sebbene ovviamente acquistino significati ulteriori diversi, per me l'archè è ciò che parla per le Religioni per es.).
Tornare all'Essere significa perciò anzitutto pensare su queste questioni radicali. Il Pensiero di Heideger è questo.
Non credo che siamo troppo lontani come interpretazione delle possibili relazioni.
"Lo stesso Kant, confutando Anselmo che riteneva le essenze come esistenze, con l'esempio dei 100 tallari ritiene che le essenze siano pensabili senza necessità di esperienza." cit Paul
2) Io invece sono con Anselmo ;) , infatti non si tratta di qualsiasi ente, ma dell'Ente Primo, ovvero quello che parla archetipicamente.
Il tallero non parla archetipicamente...d'altronde su questo Hegel è molto caustico.
PS.
Certamente l'intento di Kant era però quello di dividere definitivamente Fenomeno e Dio. Il primo rintracciabile razionalmente, il secondo no.
PPS
Anche se il neo Kantiano Peirce, arriva a capire che se la razionalità è un induzione, allora all'infinito la categoria universale, ossia quello della copula è potrebbe essere la base di tutto. Purtroppo lo sfiora soltanto, nel suo "le nuove categorie kantiane" (unico testo letto finora :( )
"Il capitalismo funziona? Allora è vero
Il politico ha vinto le lezioni?Allora è vero
Lo sportivo è il top? Allora è vero.
La scienza sperimentale porta risultati: allora è vera." cit Paul
3) Certo ma io intendevo con Vero, la questione dell'Esistenza di certe forme politiche, non del fatto che le forme politiche si illudano di costruire verità.
Concordiamo "in buona compagnia di Severino" che l'unica episteme è l'Essere.
".Ma ormai siamo talmente immersi nel relativismo figlio della fattualità e del divenire, che manca persino il coraggio di uscire fuori dal coro dei gargarismi!" cit Paul
3,1) Ma il relativismo Nietzchiano come quello religioso (nella sua forma Pensata) non riguarda tanto il rapporto tra fenomeno e l'essere (ossia appunto l'uomo) inteso come mimesi, ossia come assunzione che l'essere sia qualcosa di funzionale, nell'antichità al potere dei sacerdoti, ed oggi al potere degli scienziati. Bensì al reale rapporto con l'archè (sempre usando la tua terminologia).
Che il rapporto oggi sia fenomenologicamente parlando il nichilismo, è la verità. Intendo questo.
Severino non si cura certo di dire che il nazismo sia qualcosa di vero, e che solo la morale nostra ci fa dire che sia sbagliato. :-\
Ecco io non vorrei arrivare MAI a queste conclusioni.
E' chiaro che il nazismo non aveva a che fare con l'archè, sebbene è ampiamente noto, che ne conoscesse i motivi. Bensì è stato il prodotto paranoico della relazione con L'Essere, l'essere inteso mimeticamente come l'origine MATERIALE biologica della razza.
ps
In realtà mutatis mutandis, la scienza è il nuovo nazismo. E' evidente. E ricordo che Lacan lo scrisse anche come monito per il futuro.
"il lavoro vi renderà liberi" come leit-motiv dei nuovi campi di concentramento del futuro-presente.
Penso a tutta quella povera gente nelle fauci della psichiatria, e peggio ancora degli esperimenti pilotati di bio-genetica e modellazione sociale, effettuati dalla BIG PHARMA.
La mimesi è quella BIO-POLITICA.
Cosa ha a che fare con la PRESUNZIONE degli enti di Severino? (critica di Sini)
Vogliamo dire che la mimesi "è" e come tale è correlata con l'Essere, essendo di fatto un ente?
Bisogna stare attenti a dare un valore universale a quell' "l'essere è, ed è soltanto".
4) Il mondo non è! questo sì, è ovvio. Il mondo è il fantasma da dissipare come in tutte le grandi religioni.
Il mondo fenomenico spazzato via da buddismo e induismo, per intenderci.
(anche, certo!e perchè no!).
Il fantasma è il fenomeno. La relazione. Come dice Lacan, originariamente solo Fantasma, e subito doplo, nel tempo, Fantasma del padre, ossia della significiazione infinita.
Del tentativo umano di dare infinite spiegazioni.
Ma il fantasma del padre ha dei discorsi al suo interno, che invece che ricondurci al fantasma originario, ci conducono al fantasma materno, ossia il discorso della morte, i cui paradigmi finora studiati sono quelli da me citati all'infinito della paranoia e della isteria. Le nevrosi.
Ossia da curare è la relazione tra Essere e Mondo, ossia da curare è L'UOMO che è la relazione stessa incarnata, come dicono sia Husserl che Heidegger.
Ossia da curare è il Pensiero.
3,2) Il discorso di Severino, che mi pare tu segua, non è che cade.
Ma figuriamoci, tiene eccome! (quello della tecnica ovvio)
4) Ma il Divenire, come male dell'occidente, è dovuto non tanto a che il divenire esista o meno, tanto è comunque fenomenologia (apparire/apparenza nel discorso di Severino), quanto alla pazia dell'uomo di credere a quel mondo. come se fosse DIO.
Questo è il nostro tempo cinico. (NECESSITA' DI AZZANNARE IL MONDO COME SE FOSSE, REALE, ETC.. Severino nel suo discorso sul trauma come Thauma, stupore della filsofia! ossia che le gente siano dei cagnacci! alias distruzione dell'altro, e torniamo a Levinas etc...)
Non trovi?
Non so se mi sono spiegato molto bene, pechè di fatto negli effetti siamo d'accordo, ma su come ci si arrivi forse anche no!
Voglio dire la mia critica potrebbe anche semplicemente essere: ma come fai a ritenere VERO, il Mondo, gli ENTI?
Citazione di: 0xdeadbeef il 09 Aprile 2019, 21:14:16 PM
Ciao Green
L'ideologia politica dominante è lo "spontaneismo", così come teorizzato da Von Hayek (del quale
sono tutt'al più ammiratore nel senso cui si può ammirare un nemico valoroso - non sono affatto un
"fan" del Marginalismo: già lo spiegai una volta che mi facesti la medesima osservazione, ma con
ogni probabilità non hai letto quella risposta).
La sua forza risiede, ovviamente, nell'adattarsi a qualsiasi situazione; a qualsiasi mutamento.
La forza prorompente con cui nella modernità si è affermato l'"io" riducendo a se l'"altro" è
il "motore primo" che ha permesso allo spontaneismo di affermarsi.
Nel sempre più marcato oblio di ogni "altro-dall'io" (e l'organizzazione comunitaria appunto lo
è), i singoli individui gestiscono i loro rapporti mediante lo strumento più efficace: il "contratto
fra due parti private" (termini naturalmente da intendersi in senso molto "largo"...).
Probabilmente il Dio della tradizione religiosa (e tutto ciò che ne è correlato) "muore" proprio
perchè muore la comunità con le sue leggi "ab-solute" (cioè "uguali per tutti"), come ipotizza
E.Durkheim nei suoi studi sul totemismo ("Dio è la comunità", dice Durkheim).
Ma Dio E la comunità vengono presto rimpiazzati. Certo non da altre leggi uguali per tutti ma
da una sola ed assoluta legge, l'unica che può sorgere nella dissoluzione del "generale" e nel
conseguente trionfo del "particolare": la tecno-scienza, ora elevata a vera e propria religione.
Di essa si serve, oggi, la volontà di potenza dominante; come del resto ieri si serviva della
religione tradizionale.
Come fa a parer mio acutamente notare Severino, essa, la volontà di potenza dominante, sarebbe
pronta ad abbandonare la tecno-scienza qualora la preghiera "smuovesse le montagne" (cioè
qualora rappresentasse un mezzo più efficace della tecno-scienza allo scopo di mantenere ed
anzi incrementare la propria potenza).
In questo risiede la tremenda forza dello "spontanismo"...
saluti (concordo sulla democrazia liberale - tant'è che penso che la democrazia o è "sociale"
o non è)
Ah scusa non ricordavo la precisazione su Hayek d'altronde è stato un breve periodo in cui mi occupavo del hayek vs keynes https://www.youtube.com/watch?v=d0nERTFo-Sk0
ah ah bei tempi (e sono una merdaccia che non si è mai letto von mises....) ;D ::)
Non conosco Durkheim, ma quello dice ha molto, molto senso.
Hai notato che Tersite non ha capito la tua ironia (quello della preghiera).....ah ah ah!!! impagabile!!! /e preoccupante!
Citazione di: tersite il 11 Aprile 2019, 01:09:58 AM
------> non ho mai considerato il materialismo in generale ed eliminativistico in particolare "intollerabile"; invece lo considero profondamente errato e falso.
Se consideri falso il materialismo ogni discussione è assolutamente inutile.
Non abbiamo un terreno comune su cui discutere; se consideri profondamente falso il materialismo non so proprio che discussione potremmo fare e su cosa poi, su parole che si riferiscono ad altre parole.
Materia o fede, non se ne esce.
Materia o fede un corno ! ! !
E' casomai fede la tua (nel monismo materialistico:materia
e fede!), dato che ritieni "ogni discussione inutile"!
In questo forum ho discusso ripetutamente con molto interesse con vari monisti materialisti
non fideisti e non dogmatici, e sono sempre ben disposto a farlo ancora.Roba da fare "invidia" ai più dogmatici religiosi, che ormai raramente si spingono a dire "Se consideri falso il teismo (se non credi in Dio) ogni discussione è assolutamente inutile".
Non è bello che tutti si debba pensare allo stesso modo, è la differenza di opinioni quella che rende possibili le corse dei cavalli. ;)
(Mark Twain)
Quanto è difficile accettare (e perdonare...) la diversità dell'"altro"? Come superare questo scoglio, questo peso che proviamo quando non siamo capiti dall'altro? Quando anche l'altro vorrebbe imporci il suo di peso? Non basta lo zaino pieno di sassi che ci portiamo sempre appresso?
"Ama il tuo nemico" diceva Yeoshwa...ma l'altro ci minaccia! Rispondiamo....
Se facciamo fatica a sopportare persino noi stessi, come sopportare l'altro? Se a volte sono un peso anche le persone amate che vivono con noi, che consumano i loro giorni con noi ( e mai siamo consapevoli e grati di questo...), quanto più grande sarà il peso del volto altrui? Tutti quei volti fatti così, che spesso ci respingono solo allo sguardo, solo vedendo la loro importuna presenza nella "nostra" vita...
Tutta quella folla che 'costruisce' il mondo, che segue il carro dove facciamo fatica a salire, che ci carica di pesi continuamente, che fa cambiare tutto continuamente...anche quello che 'noi' non vorremmo mai che cambiasse...il canale ombroso costeggiato di robinie.. estirpate, strappate con le loro radici con furore tutto umano per un nuovo muretto in cemento di contenimento, illuminato da una triste fila di lampade, assai 'civile' e decoroso. Una bella foto di com'era e com'è adesso riempie la pagina dell'amministrazione: "Guardate il bene che abbiamo fatto...Votateci ancora!"...
Citazione di: sgiombo il 11 Aprile 2019, 07:57:12 AM
Citazione di: tersite il 11 Aprile 2019, 01:09:58 AM
------> non ho mai considerato il materialismo in generale ed eliminativistico in particolare "intollerabile"; invece lo considero profondamente errato e falso.
Se consideri falso il materialismo ogni discussione è assolutamente inutile.
Non abbiamo un terreno comune su cui discutere; se consideri profondamente falso il materialismo non so proprio che discussione potremmo fare e su cosa poi, su parole che si riferiscono ad altre parole.
Materia o fede, non se ne esce.
Materia o fede un corno ! ! !
E' casomai fede la tua (nel monismo materialistico:materia e fede!), dato che ritieni "ogni discussione inutile"!
In questo forum ho discusso ripetutamente con molto interesse con vari monisti materialisti non fideisti e non dogmatici, e sono sempre ben disposto a farlo ancora.
Roba da fare "invidia" ai più dogmatici religiosi, che ormai raramente si spingono a dire "Se consideri falso il teismo (se non credi in Dio) ogni discussione è assolutamente inutile".
Al difuori della materia non esiste nulla.
Esistono cose che possono essere accettate per fede e su questo io non ho nulla da obiettare, motivo per cui mi ritiravo dalla discussione; non posso e sarebbe anche moralmente sbagliato discutere le profonde convinzioni di una persona.
Tu sei convinto che il cervello si indovi nella coscienza,e amen, cosa posso discutere se ogni volta che ti dico che cosa sia la coscienza esce fuori il totem di berkley;(profondissimo credente e fermo ai tempi di galeno; quella cosa degli spiriti animali e naturali, il sangue che passa dal fegato e carica gli spiriti a poi una parte passa dal cuore e carica gli spiriti b e via a seguire, ...galeno..la sua concezione è durata sino ad Harvey, sei un medico, potresti darmi lezioni tu su questo).
Quindi per discutere dovrei anche assumere come verità assoluta le teorizzazioni di un anglicano del 700.
Non è esattamente quel che intendo come discussione perché se ogni volta che dovessi affermare (potrebbe anche capitare) che berkeley magari ragionava con la testa del suo tempo e forse non è che avesse trovato la verità assoluta non so come andrebbe a finire.
Se si discute, si discute ( e si discute su tutto ) e possiamo iniziare anche da Berkeley, datosi anche, che per me quel che dice ha poco senso; se invece vogliamo continuare con la mente, una volta appurato chiaramente che di berkeley mi cale tanto quanto di s.anselmo possiamo pure andare avanti ma non ti aspettare che io dia per scontata la visione sua.
-----> Materia o fede un corno ! ! !
Nonostante l'enfasi non cambia la cosa : Materia o fede.
Se non esiste sostrato organico non esiste realtà oggettiva, il resto son sofismi, e son buoni quelli di berkeley come di quelli di kant (ed anche quelli di guenon che fortunatamente non ha avuto tempo di caricare su youtube, ma questi son discorsi per iniziati del primo cerchio,e non mi riferisco a te, sto solo giocando con i bimbi che iniziano a leggere ;D )
P.s.: E' casomai fede la tua (nel monismo materialistico:materia e fede!), dato che ritieni "ogni discussione inutile"!
se vuoi dire che ho fede in quel che vedo si, ho fede in quel che vedo.
In conseguenze di questo ritengo molto più probabile che la mente non sia una specie di anima mortale ma sia un ente temporaneo, un ente di utilità, che serve a qualcosa, sinchè le sue funzioni non saranno "materialmente" esplicitate. Non è fede, è un aspettativa no una fede.
---------> Hai notato che Tersite non ha capito la tua ironia (quello della preghiera).....ah ah ah!!! impagabile!!! /e preoccupante!
Allora, (mi scuso con gli altri) questo lo dico per la tua crescita personale e soprattutto perché tu non debba subire ulteriori ferite al tuo narcisismo;
non dovresti scrivere queste cose da cui, risulta evidente il ricorso alle meccaniche tipiche dei rapporti sociali all'interno dei gruppi, attraverso le quali (le cose che scrivi, nel caso ti fossi perso) inconsapevolmente o meno "concretizzi", verbalmente, il meccanismo di esclusione\coalizzazione.
Fai un torto a te stesso e a tutto quel vagolare tra percorsi iniziatici alla madonna ciccone e paesaggi mistici che la cementificazione ha risparmiato.
Se posso darti un altro consiglio ci sarebbe da moderare anche l'aggettivazione , meno aggettivi si usano e meglio è, sono eccessivamente caratterizzanti il tono emotivo dello scrivente e si ha sempre la spiacevole sensazione di osservare una persona con le braghe in mano, da quanto questi aggettivi invece che descrivere il sostantivo descrivano lo scrivente..e soprattutto rileggersi :-[
P.s.: fortunatamente con queste affermazioni hai scalato qualche posizione sulla scala niciana ma evidentemente la mia prima impressione era errata. Conosci bene in quanto lo hai sperimentato tu stesso, l'ho letto in qualche post, quanto sia facile sopravalutare le persone.
@Tersite
Green Demetr conosce Nietzsche e lo filtra attraverso il suo bias spiritista. L'ho lasciato che cercava l'oltreuomo e la Verità incontrovertibile in Umano troppo umano. Presa dal suo entusiasmo l'ho letto recentemente, dopo aver letto tutto il resto di FN, e mi aspettavo chissacchè. Per carità ... libro chiave lo è in quanto passaggio dalla mistica artistica ad altre e più consistenti teorizzazioni che FN svilupperà nelle opere successive. Ma certi elementi sono banali (l'amicizia e gran parte della raffica di massime da bignami ottocentesco), e quello sulle donne e i bambini illeggibile nel suo perbenismo veteropatriarcale piccolo borghese. Insomma anche il vate della morte di Dio ha i suoi limiti umani troppo umani e in quel libro si vedono tutti.
Penso anch'io che tra materialisti e spiritisti vi sia un koinè oceanica di mezzo. Ma mi sforzo comunque, quando dall'altra parte scorgo un minimo di grano salis, di interloquire, evitando il battibecco e scansando le dinamiche di branco.
------> Ma certi elementi sono banali (l'amicizia e gran parte della raffica di massime da bignami ottocentesco), e quello sulle donne e i bambini illeggibile nel suo perbenismo veteropatriarcale piccolo borghese.
Ovviamente risponderai di questo ;D e sono veramente contento di farlo con un "soggetto materialista" , potendo chiaccherare senza pensare che ci si ritenga ( io non lo suppongo spesso, ma gli "altri" invece pare lo suppongono più di quanto dovrebbero...) vicendevolmente dei cretini.
Se lo faccio adesso però mi dovrei mettere nelle condizioni dell'uno contro tutti, alla costanzo sciò diciamo, e fa un po te quanto ridicolo sarebbe...non ce lo meritiamo, ne te ne io.
Quindi ci vediamo tra qualche giorno, fretta non ne abbiamo e "pagherai caro, pagherai tutto" ;D , che tanto quel che pagherai\pagherò, io e te sappiam benissimo essere soltanto due chiacchere..possiamo divertirci sinchè vogliamo quindi.
-----> Ma mi sforzo comunque, quando dall'altra parte scorgo un minimo di grano salis, di interloquire, evitando il battibecco e scansando le dinamiche di branco.
poi ti rendi conto che è inutile e la smetti, ma poi non ci credi che sia così e ci riprovi..e ancora o cavolo è ricapitato, e vabbè un caso, e riprovi...ad libitum, ma questo perchè sei\ sono(?) "geneticamente" un ottimista.
Diciamo che è un ottimismo "metafisico" perchè anche le ragioni dello spirito, andando alla loro origine, per chi è materialista nascono dalla materia.
<<Se si intende proseguire su questa linea il topic sarà chiuso. Come sapete c'è spazio e tempo per aprire topic dedicati su come ognuno si relaziona agli interventi altrui e per approfondire le dinamiche comunicative >>
Citazione di: 0xdeadbeef il 10 Aprile 2019, 17:52:13 PM
Citazione di: Lou il 09 Aprile 2019, 21:38:55 PM
@Ox
"Nel sempre più marcato oblio di ogni "altro-dall'io" (e l'organizzazione comunitaria appunto lo
è), i singoli individui gestiscono i loro rapporti mediante lo strumento più efficace: il "contratto
fra due parti private" "
Scusami, ho bisogno di una spiegazione di questo passaggio che non mi fila, ogni singolo individuo è di per sè stesso io e altro dall'io, il contratto tra privati sancisce questo: le parti sono l'una per l'altra e viceversa altro rispetto all'io, o no? La dividualità e l'individualità, l'altro e l'io sono supposti e presupposti per un contratto tra parti, altrimenti perchè un contratto se viene a mancare la coppiona io/altro?
L'altro dall'io siamo sicuri sia comunità?
Ciao Lou
Naturalmente non che l'"io" non sia consapevole che esista qualcosa che non è il "sé medesimo" (ad es.
in Fichte vediamo ipotizzato un "io" e un "non-io"): è che esso tende a ridurre a se stesso questo
qualcosa che è "altro".
Nell'individualismo odierno ritengo centrale il concetto di "contratto fra due parti private", che
lungi dall'essere una rappresentazione giuridica o commerciale illustra molto bene quelli che sono
i rapporti in un insieme di singoli "io" (la "società" di una volta...).
Nel progressivo oblio di qualsiasi "comune sentire" (perchè questo già comporterebbe la consapevolezza
di un "altro" a me irriducibile, e verso il quale "io" dovrei pormi in una situazione che comporta
in ogni caso una "responsabilità"), i due "io" sono l'uno di fronte all'altro.
E quando due "io" sono l'uno di fronte all'altro senza la mediazione costituita da un comune sentire,
vi è SEMPRE (quindi a prescindere dalla volontà di predominio) il tentativo di uno dei due di ridurre
a se l'altro.
In altre parole, è a parer mio sempre il "corpo intermedio" (costituito dal "comune sentire" cioè, nella
prassi, da una organizzazione collettiva) che, impedendo l'affermazione totale di uno degli "io", rende
im-possibile la riduzione dell'"altro" all'"io" (cioè la riduzione di uno degli "io" all'altro "io").
L'esempio pratico più evidente e banale di quanto vado dicendo sono i contratti di lavoro, sempre meno
collettivamente intesi e, di conseguenza (cioè in quanto sempre meno collettivamente intesi), sempre più
coercitivi per una delle parti private dello "scambio" (naturalmente la parte debole: il lavoratore).
saluti
Quello che sostengo che un "contratto tra parti private" presuppone il rapporto io/altro. Perchè? L'ho scritto già precedentemente, in un contratto tra parti private tu sei x e io y: y rispetto a x è altro, così come x rispetto ad y è altro, sono altro, l'uno per l'altro.
Ora, su questo punto, che ne pensi?
Il soggetto di questa discussione "L'Io e L'Altro" è quanto di più svagotopico si possa immaginare. Restando nel campo metafisico nulla è più divisivo del rapporto tra un Io idealista e un Altro materialista (o viceversa). Ma proprio per la svagotopicità si può, ad esempio, rinchiudere la discussione nel teatrino pricoanalitico della soggettività borghese e della sua asfittica dialettica Robinson-Venerdì. Oppure avventurarsi verso i lidi del prossimo evangelico, nei confronti della cui massima più celebrata un mio dubbio bramerebbe una risposta: nel caso che uno si odi, deve odiare anche il prossimo come se stesso ?
E ci sarebbe pure da approfondire la pirandelliana alterità che vive dentro ognuno di noi, nel gioco di specchi, e di maschere, che va oltre il mantra in questione.
@Ipazia
<<L'approfondimento è una cosa, le tue o altre valutazioni sulla lettura e interpretazione di Nietzsche di altri utenti (vedi #315) si possono fare direttamente nei topic dedicati, citando ció che si intende valutare o, almeno , utilizzando la funzione link>>
Citazione di: tersite il 11 Aprile 2019, 12:38:21 PM
Citazione di: sgiombo il 11 Aprile 2019, 07:57:12 AM
Citazione di: tersite il 11 Aprile 2019, 01:09:58 AM
------> non ho mai considerato il materialismo in generale ed eliminativistico in particolare "intollerabile"; invece lo considero profondamente errato e falso.
Se consideri falso il materialismo ogni discussione è assolutamente inutile.
Non abbiamo un terreno comune su cui discutere; se consideri profondamente falso il materialismo non so proprio che discussione potremmo fare e su cosa poi, su parole che si riferiscono ad altre parole.
Materia o fede, non se ne esce.
Materia o fede un corno ! ! !
E' casomai fede la tua (nel monismo materialistico:materia e fede!), dato che ritieni "ogni discussione inutile"!
In questo forum ho discusso ripetutamente con molto interesse con vari monisti materialisti non fideisti e non dogmatici, e sono sempre ben disposto a farlo ancora.
Roba da fare "invidia" ai più dogmatici religiosi, che ormai raramente si spingono a dire "Se consideri falso il teismo (se non credi in Dio) ogni discussione è assolutamente inutile".
Al difuori della materia non esiste nulla.
Esistono cose che possono essere accettate per fede e su questo io non ho nulla da obiettare, motivo per cui mi ritiravo dalla discussione; non posso e sarebbe anche moralmente sbagliato discutere le profonde convinzioni di una persona.
Tu sei convinto che il cervello si indovi nella coscienza,e amen, cosa posso discutere se ogni volta che ti dico che cosa sia la coscienza esce fuori il totem di berkley;(profondissimo credente e fermo ai tempi di galeno; quella cosa degli spiriti animali e naturali, il sangue che passa dal fegato e carica gli spiriti a poi una parte passa dal cuore e carica gli spiriti b e via a seguire, ...galeno..la sua concezione è durata sino ad Harvey, sei un medico, potresti darmi lezioni tu su questo).
Citazione
Ma che modo di "ragionare" (si fa per dire...) sarebbe mai questo?
Ti informo che un certo Isaac Newton, oltre che cedere in Dio, agli spiriti animali, ecc. come Berkeley, credeva perfino nell' astrologia e nell' alchimia.
...e dovremmo gettare nella spazzatura le leggi della dinamica e quella di gravitazione universale solo per questo ? ! ? ! ? ! ?
Ti informo inoltre che l' "esse est percipi" berkeleyano fu accolto dal grande David Hume (che non andava a sindacare sui limiti e difetti degli autori geniali che leggeva ma ne imparava quanto di validissimo insegnavano: non gettava stoltamente bambini con le rispettive acque sporche), e da lui esteso anche alle sensazioni mentali (dalle "res cogitans" alla "res extensa").
Che i cervelli si trovino nelle coscienze e non viceversa non lo credo affatto per fede, ma invece lo constato empiricamente (direttamente, immediatamente per quanto riguarda i cervelli degli altri la mia; per fede in quanto mi raccontano gli altri per quanto riguarda le loro coscienze, comprendenti fra l' altro la mia testa con dentro il mio cervello).
Quindi per discutere dovrei anche assumere come verità assoluta le teorizzazioni di un anglicano del 700.
Citazione
E perché mai tutte le teorizzazioni e non quelle pertinenti la discussione?
Ma da dove salterebbe mai fuori questa gran cazzata ? ! ? ! ? !
Non è esattamente quel che intendo come discussione perché se ogni volta che dovessi affermare (potrebbe anche capitare) che berkeley magari ragionava con la testa del suo tempo e forse non è che avesse trovato la verità assoluta non so come andrebbe a finire.
Citazione
E' del tutto evidente che ignori completamente che cosa significhi discutere razionalmente.
MI dispiace per te.
Non sai che cosa ti perdi!
Se si discute, si discute ( e si discute su tutto ) e possiamo iniziare anche da Berkeley, datosi anche, che per me quel che dice ha poco senso; se invece vogliamo continuare con la mente, una volta appurato chiaramente che di berkeley mi cale tanto quanto di s.anselmo possiamo pure andare avanti ma non ti aspettare che io dia per scontata la visione sua.
Citazione
E quando mai avrei preteso che la visione mia sia data per scontata da altri ? ! ? ! ? !
Io do per scontato che chi discute con me legga quel che scrivo e non meni il can per l' aia (per esempio se parlo del carattere fenomenico delle sensazioni coscienti do per scontato che non tiri in ballo le credenze di Berkeley sulla teologia, sulla fisiologia della circolazione e altro) ma invece che critichi le mie affermazioni.
-----> Materia o fede un corno ! ! !
Nonostante l'enfasi non cambia la cosa : Materia o fede.
Citazione
Nonostante la reiterazione non cambia l' infondatezza e la falsità dell' affermazione.
Se non esiste sostrato organico non esiste realtà oggettiva, il resto son sofismi, e son buoni quelli di berkeley come di quelli di kant (ed anche quelli di guenon che fortunatamente non ha avuto tempo di caricare su youtube, ma questi son discorsi per iniziati del primo cerchio,e non mi riferisco a te, sto solo giocando con i bimbi che iniziano a leggere ;D )
Citazione
Guenon mi interessa esattamente quanto Nietzche == 0 (zero).
P.s.: E' casomai fede la tua (nel monismo materialistico:materia e fede!), dato che ritieni "ogni discussione inutile"!
se vuoi dire che ho fede in quel che vedo si, ho fede in quel che vedo.
In conseguenze di questo ritengo molto più probabile che la mente non sia una specie di anima mortale ma sia un ente temporaneo, un ente di utilità, che serve a qualcosa, sinchè le sue funzioni non saranno "materialmente" esplicitate. Non è fede, è un aspettativa no una fede.
Citazione
NO, non hai fede in quel che percepisci sensibilmente (che comprende anche il pensieri, i sentimenti, i desideri, gli "stati d' animo", ecc.), ma nei tuoi pregiudizi irrazionalistici, che ti impediscono di "vedere" ciò che hai sotto gli occhi.
La mente é l' insieme delle sensazioni fenomeniche coscienti non materiali (non misurabili e non postulabili -indimostrabilmente: Hume!- essere intersoggettive al contrario delle altrettanto fenomeniche sensazioni fenomeniche materiali; ma non per questo meno reali; e men che meno identificabili con le sensazioni fenomeniche cerebrali alle quali corrispondono essendo ben altro).
"Materialmente" si possono spiegare i processi neurofisiologici cerebrali (ma già si sa tutto ciò che serve per capire che sono -nelle coscienze** di osservatori- in necessaria corrispondenza biunivoca agli eventi coscienti* di osservati: nella mia coscienza** il tuo cervello corrisponde alle tue esperienze fenomeniche coscienti accadenti nella tua coscienza* e viceversa).
-----> Ma che modo di "ragionare" (si fa per dire...) sarebbe mai questo?
Ti informo che un certo Isaac Newton, oltre che cedere in Dio, agli spiriti animali, ecc. come Berkeley, credeva perfino nell' astrologia e nell' alchimia.
...e dovremmo gettare nella spazzatura le leggi della dinamica e quella di gravitazione universale solo per questo ? ! ? ! ? ! ?
grazie dell'informazione (non lo sapevo); infatti non butto nella spazzatura le sue leggi, ma la sua alchimia !!!!!!! gli esclamativi per adeguarmi....
-----> Ti informo inoltre che l' "esse est percipi" berkeleyano fu accolto dal grande David Hume (che non andava a sindacare sui limiti e difetti degli autori geniali che leggeva ma ne imparava quanto di validissimo insegnavano: non gettava stoltamente bambini con le rispettive acque sporche), e da lui esteso anche alle sensazioni mentali (dalle "res cogitans" alla "res extensa").
Ti ringrazio di nuovo per l'informazione (non lo sapevo) ; stoltamente cosa...si getta la spazzatura non le cose sensate.
-----> Che i cervelli si trovino nelle coscienze e non viceversa non lo credo affatto per fede, ma invece lo constato empiricamente (direttamente, immediatamente per quanto riguarda i cervelli degli altri la mia; per fede in quanto mi raccontano gli altri per quanto riguarda le loro coscienze, comprendenti fra l' altro la mia testa con dentro il mio cervello).
E questo ti sembra empirismo ? Questo è praticantato.
-----> Ma da dove salterebbe mai fuori questa gran cazzata ? ! ? ! ? !
Apprezzo la carducciata ma rileggi meglio e poi ne riparliamo.
Citazione di: Lou il 11 Aprile 2019, 18:19:43 PM
Quello che sostengo che un "contratto tra parti private" presuppone il rapporto io/altro. Perchè? L'ho scritto già precedentemente, in un contratto tra parti private tu sei x e io y: y rispetto a x è altro, così come x rispetto ad y è altro, sono altro, l'uno per l'altro.
Ora, su questo punto, che ne pensi?
Ciao Lou
Certo, come dicevo non è che l'"io" pensa di essere solo nell'universo...
Però pensa, ed è questo il punto, che l'universo sia riducibile al "sé medesimo" ("riducibile", intendo,
nel senso di pensare che l'intero universo "ragioni come il sé medesimo" -cioè abbia il medesimo punto di
vista del sé medesimo).
In altre parole, l'"io" non contempla il "relativo"; ma appunto ragiona per assoluti (l'"io" fa cioè
metafisica...).
La qual cosa vuol dire che l'"io" pensa all'altro non come "altro", ma come ad un replicante di se stesso
(la popolare: "il ladro pensa siano tutti ladri" - o l'onesto che tutti siano onesti, aggiungerei...)
Ad esempio, quando una multinazionale fa un contratto di lavoro a termine ad un precario (...) non solo
fa valere la sua maggior "potenza" (intesa, diciamo, nietzschianamente), ma la fa valere in quanto fa
soprattutto valere la maggior "portata" razionalistica ed efficientistica del proprio punto di vista
(tesi che lo scientismo dilagante gli suffraga, naturalmente).
Non so se mi sono spiegato bene...
saluti
Citazione di: tersite il 11 Aprile 2019, 19:44:55 PM
-----> Ma che modo di "ragionare" (si fa per dire...) sarebbe mai questo?
Ti informo che un certo Isaac Newton, oltre che cedere in Dio, agli spiriti animali, ecc. come Berkeley, credeva perfino nell' astrologia e nell' alchimia.
...e dovremmo gettare nella spazzatura le leggi della dinamica e quella di gravitazione universale solo per questo ? ! ? ! ? ! ?
grazie dell'informazione (non lo sapevo); infatti non butto nella spazzatura le sue leggi, ma la sua alchimia !!!!!!! gli esclamativi per adeguarmi....
Citazione
A si?
E infatti nel tuo intervento che qui criticavo affermavi papale papale:
"cosa posso discutere se ogni volta che ti dico che cosa sia la coscienza esce fuori il totem di berkley;(profondissimo credente e fermo ai tempi di galeno; quella cosa degli spiriti animali e naturali, il sangue che passa dal fegato e carica gli spiriti a poi una parte passa dal cuore e carica gli spiriti b e via a seguire, ...galeno..la sua concezione è durata sino ad Harvey, sei un medico, potresti darmi lezioni tu su questo).
Quindi per discutere dovrei anche assumere come verità assoluta le teorizzazioni di un anglicano del 700.
[Ho fatto un semplice copia-oncolla]
-----> Ti informo inoltre che l' "esse est percipi" berkeleyano fu accolto dal grande David Hume (che non andava a sindacare sui limiti e difetti degli autori geniali che leggeva ma ne imparava quanto di validissimo insegnavano: non gettava stoltamente bambini con le rispettive acque sporche), e da lui esteso anche alle sensazioni mentali (dalle "res cogitans" alla "res extensa").
Ti ringrazio di nuovo per l'informazione (non lo sapevo) ; stoltamente cosa...si getta la spazzatura non le cose sensate.
Citazione
Infatti tu gettavi nella spazzatura l ' "esse est percipi" di Berkeley insieme alla sua teologia, fisiologia della circolazione, ecc.
-----> Che i cervelli si trovino nelle coscienze e non viceversa non lo credo affatto per fede, ma invece lo constato empiricamente (direttamente, immediatamente per quanto riguarda i cervelli degli altri la mia; per fede in quanto mi raccontano gli altri per quanto riguarda le loro coscienze, comprendenti fra l' altro la mia testa con dentro il mio cervello).
E questo ti sembra empirismo ? Questo è praticantato.
Citazione
Sì, questo é precisamente constatazione di dati empirici (sotto "gli occhi" di chiunque non se ne neghi pregiudiziailmente la visone).
Quindi per discutere dovrei anche assumere come verità assoluta le teorizzazioni di un anglicano del 700 (Tersite).
Citazione
CitazioneE perché mai tutte le teorizzazioni e non quelle pertinenti la discussione?
Ma da deve salterebbe mai fueori questa gran cazzata ? ! ? ! ? ! (Sgiombo)
Apprezzo la carducciata ma rileggi meglio e poi ne riparliamo. (Tersite)
C' é poco da rileggere, come da me qui sopra citato tu pretenderesti che per discutere della fenoemenicità della meeria (l' "esse est percipi") si dovesse "anche assumere come verità assoluta le teorizzazioni [tutte: articolo determinativo, N.d.R.] di un anglicano del 700" [mia enfatizzazione in grassetto sottolineato delle tue parole]. (Sgiombo)
Ciao Green,
Non ho scritto chel'Essere non sia un ente, l'Essere è un ente.Alcuni filosofi utilizzano l'Essere,altri no. Chi utilizza l'Essere spesso lo compie per distinguerlo dagli enti, che sarebbero ogni "cosa", diciamo che Essere è un ente"speciale".
L'essente è l'ente che esiste, che si manifesta, che appare.
Se la vita comunque è, esiste come diveniente, dovrà pur avere un senso rispetto all'Essere:questo in fondo è Essere e Tempo di Heidegger.
Kant distingue l'essenza dall'esistenza, in quanto l'essenza non necessita di esperienza per essere compresa.Ho esperienza delle cose che mi appaiono, che si manifestano nella vita, con cui costruisco una relazione di conoscenza sensibile. Non ho necessità di avere fisicamente in tasca 100 tallari, per pensarli solamente. Kant cerca nella Critica della ragion pura e ragion pura significa il solo "mentale", il solo pensiero, di coniugare la conoscenza dell'esperienza dei mondo dei fatti con il pensiero.Diciamo che si accorge, riflettendo, che vi sono degli "apriori" nel pensiero e sono questi che permettono al mentale di prelevare dal mondo sensibile le percezioni e diciamo trasformarli, utilizza il termine, trascendente, in pensieri. Così come riflettendo il pensiero di Hume sull'indimostrabilità della causazione e anche della sostanza che Hume imputava non ad una dimostrata causazione, ma ad una "abitudine" consolidata che ci fa credere che una relazione fra la nostra mente è fatti o cose fisco-naturali sia "certa", quando invece è probabile razionalmente.
Kant prosegue il pensiero di Hume, fra un limite conoscitivo fra l'esperienza e la capacità mentale
di costruire pensieri relazionati, e sposta il limite ad un livello superiore, poiché Kant sostiene la possibilità di una metafisica, ma che sia correlata con l'esperienza ,Significa che cerca un "ponte" razionale fra il mondo dei fatti e il mondo delle idee.
Kant non scarta affatto l'idea di Dio, purché, ribadisco abbia un senso nell'esistenza,
L'importanza di Kant e lo si constata dall'utilizzo dei termini di fenomeno e trascendentale, utilizzati da Husserl e prima ancora da Hegel è in questa possibilità di unire esperienza dell'esistenza, e trascenderlo nel pensiero, nel mondo delle idee.
A mio parere l'archè l'abbiamo perso,culturalmente ,filosoficamente.Il proseguimento storico del pensiero di Kant-Hegel-Husserl è nella linguistica, sullo strumento della relazione fra un Io e il Mondo fisico, in termini di capacità o meno del linguaggio, con i suoi segni e simboli, con la sua logica predicativa e proposizionale, di costruire significati, descrizioni, definizioni più o meno veritatitive. Le famose aporie, antinomie linguistiche che già venivano dall'antichità proseguono nella filosofia analitica del linguaggio ad es. in Russell.
Nietzsche è a mio parere a se stante,fortemente strumentalizzato da i pro e i contro : è un pensatore che divide.Non avendo costruito una vera e propria trattazione filosofica il suo pensiero rimane implicito nei suoi aforismi, nelle sue narrazioni. Questa estate ho studiato Così parlò Zarathustra e ultimamente ho finalmente finito Genealogia della morale. A mio parere è un grande conoscitore dell'animo umano, ha capito le mimesi dei dispositivi culturali, come il "senso di colpa", ma estremizza i concetti, li generalizza troppo. C'è in lui una forma "isterica"estremizzante, ma è abissale nella capacità di analisi e di saperla rendere nella scrittura, un grandissimo letterato in questo.La sua parte più "bella" è la sua umanità "fanciullesca", naturale, oserei dire innocente, in simbiosi con la natura, spoglio dei sitemi culturali che hanno appesantito e spesso negato all'uomo la sua stessa umanità,In Zarathustra alcune parti come il finale in cui il con l'aquila e il serpente , lascia i suoi ospiti, tutti uomini simbolicamente deboli, decadenti, nella sua caverna e descrive il sole come sua energia vitale, la sua gioia di vivere.
Nietzsche, leggendo alcuni suoi scritti, diciamo minori, ritene, questo è un mio parere, di non doversi porre delle riflessioni diciamo metafisiche. Lui, scrive, prende atto che esiste e l'uomo per lui è essenzialmente natura, non ama la cultura intesa come sovrastruttura che appesantisca come un fardello l'esistenza, che lo ingabbi, che lo imprigioni, rendendole "intristito e debole",si pone antimoralmente in quanto questi pongono scrupoli anche ai gesti naturali ,li condizionano.
La storia del pensiero umano è correlata al ,diciamo materialismo storico.
Mettiamola così, se Kant cerca di unire l'esperienza all'idea mentale, in passato, ma non solo in passato , hanno utilizzato strumentalmente un'idea per asservire il prossimo, popoli, facendo il percorso inverso : "uso dio, o un qualcosa di metafisico per schiavizzare le esistenze"
Ma bisogna stare attenti a non cadere in queste strumentalizzazioni .
Sono d'accordo che una mimesi fondamentale sia la bio-politica, intesa come furto della propria esistenza da parte dei poteri umani.Quì sta la capacità di smascherare i dispositivi culturali.
La mimesi è un ente, un concetto culturale la cui radice è psicologica, religiosa, morale, che muta storicamente, è il senso di colpa, è il senso di responsabilità, che possono nascere come regolatori naturali "giusti", ma che i poteri nella storia della umanità e i mass media attuali ad esempio usano psicologicamente. Ad esempio il "mercato", lo Stato, molti istituti anche giuridici, non sono affatto fattuali, o per meglio dire, non sono originariamente fattuali , sono letteralmente invenzioni umane per intimorire, indebolire, relegare e condizionare i comportamenti umani ,spostando le correlazioni.Ecco allora che una nevrosi nata in famiglia si trasformi mimeticamente sul lavoro con il capo, nel sociale nell'ubbidineza senza sapere il perchè di questa origine cuturale.
Per uscire dalle nevrosi, dall'indebolimento dell "animo" umano, continuo a pensare che ci voglia qualcosa di non fattuale.affinchè l'uomo impari ad aver cura di sé, del prossimo, del pianeta, della natura, ha necessità di avere un'idea forte, universale che unisca le diversità non che le appiattisca, perché è giusto che ognuno tenga alla propria identità e dignità umana.
Questa cultura strumentalizzata ad arte ha utilizzato antiche forme culturali, appunto mutandole ,mimetizzandole. L'aletheia heideggeriano, che è una mimesi del mondo greco, questo disvelamento dovrebbe anche essere utilizzato nel mondo dei fatti ad esempio nel mercato economico.
La forza di Marx è la costruzione di un concetto come il materialismo storico per individuare ciò che non muta, lo sfruttamento di un uomo su un uomo, ma storicamente mimetico, trasformato dai mezzi di produzione, dalla tecnica. dallo stesso mercato ,concetto così impalpabile eppure condizionante nella vita fattuale Ma il concetto di fondo è ancora attuale più che mai.
C'è necessità che il ponte fra un concetto o più concetti universali, che uniscano popoli, venga proiettato nel mondo storico delle esistenze. Dobbiamo richiederci cosa ci fa veramente felici, se siano i comfort o i gesti umani
Non sono un seguace di qualcuno in particolare , mi attraggono e mi fanno riflettere qua e là pensieri, argomentazioni.Ma non ho,diciamo così un maestro.
Severino è molto difficile da capire e ancora di più da spiegare.E' un grande logico a mio parere e utilizza la logica dialettica che pone come negazione gli essenti contraddittori, che per lui sono gli essenti .Un conto è dire, che ha ragione logicamente e un conto è costruire una filosofia, un pensiero che sappia dare senso all'unione fra il mondo fattuale e il mondo delle idee.
E' esatto quando scrivi che l'errore è credere che il mondo dove appaiono e scompaiono gli essenti sono veri. La fisica con la legge della termodinamica, dice che il nostro corpo si decompone, si "smolecoralizza", ma non sparisce, si trasforma in altre cose.ora questa spiegazione ha senso nel dominio di una energia fisica Ma se nulla viene dal niente e non sparisce nel niente, se seguo la teoria cosmologica allora l'intero universo era nel big bang iniziale, all'origine.
La logica dice che se un ente esiste non può "trasformarsi" in un altro ente e sparire,sono due enti separati e la regola dell'identità verrebbe contraddittoriamente asserita. Noi mutiamo fisicamente da bebè ad anziani, ma è nel mentale l'identità che rimane nonostante il corpo muti.E questa identità non può venire dal nulla e sparire nel nulla con il corpo fisico.
Quando lo stesso Kant ammette che vi sono degli apriori mentali, significa che ad esempio lo spazio e tempo mentale ci permette di relazionare le percezioni dei sensi nel mentale, la stessa logica, la stessa matematica che non sono oggetti fisici e naturali .quando diciamo che sono innati, da dove vengono? Dal DNA?E il DNA originariamente come è spiegabile? E il passaggio da natura inorganica in organica e infine nella vita come è spiegabile?
Fin quando la scienza non sarà in grado ,se mai lo sarà, di dare spiegazioni fondamentali, qualunque dubbio o domanda rimane per lo meno "un giudizio di sospensione", un epochè.
Ci sono diversi modi di interpretare il mondo .
Ad esempio se prendo Nietzsche, per quello che ho capito, lo si può fare eccome.Il vero problema è sapersi spogliare di tutti i condizionamenti e tornare fanciulli e riprendersi la vita. Che detta così sembra facile, ma è difficilissimo. Sarebbe vivi la vita e pensa alla vita felice.
Questo potrebbe essere un punto di partenza. Perché temo risulterebbero a sua volta molte contraddizioni di carattere sociale.Puoi fare uno Zarathustra, ma senza famiglia, senza vincoli, isolato e magari deriso dai tuoi stessi simili a cui invece vorresti donare una via felice di vita.
Se si entra nel sociale, ecco lo scambio economico, il valore, il possesso, la proprietà, gli istituti.......
Necessariamente bisogna fare i conti con la storia, la sua cultura che detta i modi di essere
x PAUL
parte 1 sorry per la lunghezza, per la leggibilità se di fretta non leggere i vari approfondimenti sotto il nome ps (post scriptum).
La seconda parte domani o nei prossimi giorni.
ai moderatori ma anche ai lettori casuali.
Mi rendo conto che forse non si capisce il legame con il discorso sull'Altro, ma essendo a mio parere questo il topic per eccellenza della filosofia contemporanea, è quasi necesario fare dei preamboli, che chiariscano le idee generali, per affrontare un tema tanto importante, e che rischia di venir banalizzato.
con fiducia nella pubblicazione grazie e scusate ancora. mi accorgerò di essere più conciso nei prossimi interventi, ma ci tengo alla completezza di questo.
"Non ho scritto chel'Essere non sia un ente, l'Essere è un ente.Alcuni filosofi utilizzano l'Essere,altri no. Chi utilizza l'Essere spesso lo compie per distinguerlo dagli enti, che sarebbero ogni "cosa", diciamo che Essere è un ente"speciale". cit Paul
"Se la vita comunque è, esiste come diveniente, dovrà pur avere un senso rispetto all'Essere:questo in fondo è Essere e Tempo di Heidegger." cit Paul
Credo che non apprezzi il fatto che in Heideger l'Essere non è l'ente.
Infatti il destino, non è quello dell'ente, che si manifesta, fenomenologicamente nel tempo, ma il suo rapporto (quello dell'ente, con l'Essere).
Pensare all'Essere come ente, è possibile, ma in quel caso staremmo parlando di un Dio, e Heideger non credeva in alcun Dio infatti, pur rendendosi conto della necessità della sua invocazione (opere Holderlin e l'intervista alla televisione pubblica tedesca, l'ultima che fece, quasi un testamento.)
PS
Come sai, e se non sai ti consiglio l'agile volumetto della Adelphi di Volpi, gli ultimi capitoli. Heideger tenta nelle sue ultime opere di far capire tramite l'"essere sbarrato", cioè proprio sbarrato tipograficamente, che l'Essere NON E' l'ente.
Questa cosa è molto difficile, me ne rendo conto, a partire dal fatto che lo stesso Volpi taccia Heideger di cadere per l'ennesima volta nella metafisica speciale, già distrutta da Nietzche.
Ma non è minimamente così, certo i continui tentativi di riscrittura forse sono un pò comici, evidentemente però Hediger ci teneva che qualcuno lo capisse.
Lo posso capire io. Non so quanti altri. (finora nessun filosofo che io abbia letto, ma ho letto poco, questo bisogna dirlo).
E di certo non serviva tutta quella attenzione sulla lingua, se una cosa non può essere detta, semplicemente la devi dare per com-presa.
Lui ci teneva, ma il risultato è stato l'esatto opposto, ossia che tanti autori compreso Calciolari che cita LeFay, ma possiamo dire anche la De Agostini, e mille altri...sono veramente tanti (anche la sua miglio studente la Harendt, l'unico che qualcosa subodorava era Husserl...e ho detto tutto! dicevo...;che pensano che la filosofia di heideger sia veramente nazista Ossia il mondo è l'ente, un riduzionismo che fa a pugni con tutti i presupposti di essere e tempo. Era l'esatto opposto!!!
L'essere non è se non in quanto è PURA ESISTENZA, è la radura al massimo, quel momento appena prima che l'ente si scopra ente...etc...appunto come dici tu esistente (ossia incontro, nella radura dell'Essere...un attimo prima)
Comunque ripartiamo pure dall'esistente come Essere. per seguire il tuo vocabolario.
"Kant prosegue il pensiero di Hume, fra un limite conoscitivo fra l'esperienza e la capacità mentale" cit paul
Si certo, ma Kant non coglie che l'essenza è l'Ente (sopratutto quello della metafisica speciale, ente in quanto esistente, non in quanto essenza, che sarebbe un dualismo cartesiano, ma almeno su questo fa distinzione ed è lì la sua grandezza).
PS
Infatti rimarrà bloccato, e si rammaricherà di non aver creato quella scienze riduzionista newtoniana, sulla indimostrabilità della "cosa in sè".
Certo qui rientra quel canone che critica Anselmo senza capire la questione del "speciale".
Ente Primo. Ossia originario. (ovviamente per me non è originario in quanto Ente primo, ma perchè accoglie l'evento dell'essere necessariamente qualcosa di ciò che viene prima.)
Nella Bibbia sta scritto infatti Bereshit, all'inizio, ossia quando Dio si situa nel tempo. Vuol dire che prima era altro! appunto puro Essere, non mi servono nemmeno gli attributi della metafisica speciale, che comunque ripeto, infinità, onnipresenza, eternità. Ossia tutto ciò che nega la fenomenologia che si situa nello spazio tempo, come Kant ha dimostrato.
Per me sono cose ovvie, mi sforzo di non darle per scontate, cerco di far vedere alcuni risvolti, alcune consonanze, ma di fatto l'importante è la Relazione.
"l' Importanza di Kant e lo si constata dall'utilizzo dei termini di fenomeno e trascendentale, utilizzati da Husserl e prima ancora da Hegel è in questa possibilità di unire esperienza dell'esistenza, e trascenderlo nel pensiero, nel mondo delle idee. " cit Paul
Si sono pienamente d'accordo, ma dubito che qui ci possa raggiungere qualcuno, siamo già ai piani alti dell'idealismo trascendentale. Appunto l'Idealismo tout court.
PS
Non so se puoi notare insieme a me che però il buon Kant rimanga al di qua dell'idealismo, pur avendolo inventato, paradosso, perchè per lui è importante il mondo materiale, più che quello spirituale (e la sua morale non a caso è una delle più spaventose, non a caso in reinassance proprio negli imperialisti e psichiatrizzati USA).
Non a caso bisogna ricordare che era un docente di biologia e non di filosofia.
Bisogna ricordare che era un maniaco ossessivo.
Basta leggere le sue stesse opere sulla medicina dove insiste per una dietetica, ante-nietzche (e d'altronde anche Nietzche cedeva spesso alla sua malattia, pur essendone pienamente padrone dei suoi (della "malattia", per i pochi non è malattia ma è fantasmatica...ma vabbè) meccanismi.
Anch'egli ossesionato dal suo corpo, dalle sue malattie. (gotta etc...etc...era un accozzaglia di malattie, che oggi facilmente diremmo nevrotiche).
Si tende sempre a separare l'opera dall'uomo, si sono d'accordo, ma nemmeno possiamo non notare di come la vita dell'uomo incida nella direzione del suo pensiero.
Direi che Kant era un grandissimo pensatore Nonostante Kant!!! ;)
"A mio parere l'archè l'abbiamo perso,culturalmente ,filosoficamente.Il proseguimento storico del pensiero di Kant-Hegel-Husserl è nella linguistica, sullo strumento della relazione fra un Io e il Mondo fisico, in termini di capacità o meno del linguaggio, con i suoi segni e simboli, con la sua logica predicativa e proposizionale, di costruire significati, descrizioni, definizioni più o meno veritatitive. Le famose aporie, antinomie linguistiche che già venivano dall'antichità proseguono nella filosofia analitica del linguaggio ad es. in Russell." cit Paul
Purtroppo la questione linguistica nella sua complessità ha virato nel depensamento dell'analitica americana.
ps
Nell'anno sabbatico che mi presi, frequentando l'università, ebbi l'occasione di parlare con il professore Buozzo, al suo ultimo anno in cattedra.
Mi interessava parlare di Peirce, per verificare se avevo capito bene la questione di connotazione e denotazione. (questione che non credo risolta, purtroppo sono l'unico che possa derimerla, gli altri hanno smesso di pensare se non fosse che proprio al corso di Buozzo, capii che per capirla a fondo servivano qualità matematiche che non ho, e che dovrei costruire nel tempo...e chi c'à voglia.)
Insomma alla fine si rese conto di che tipo ero, e mi fece un breve cenno sul fatto che fu proprio Heideger a partire dalla questione linguistica, cosa che pochi sanno! infatti a parte Buozzo nessuno la tira fuori.
La sua prima opera è proprio la dismissione della linguistica a favore di una nuova scienza che lui crede possa essere all'interno della filosofia.
E che si illuderà di trovare in Husserl, salvo poi crearsene una nuova.
Sono da leggere le lettere di Husserl che vuole capire l'allievo, ma non riesce mai a farlo.
Insomma la lingua DEVE essere pensiero incarnato. Se no non ha alcun senso.
Ovviamente pur non avendo mai letto l'opera, forse in italiano manco l'anno pubblicata, ma in inglese cè-
Capii subito.
Ci lasciammo da simpatici avversari.
Uno dei pochi analitici che aveva un anima vera. una passione per la sua materia!! un bel ricordo davvero. (no il corso non lo capii ;) )
" C'è in lui una forma "isterica"estremizzante, ma è abissale nella capacità di analisi e di saperla rendere nella scrittura, un grandissimo letterato in questo.La sua parte più "bella" è la sua umanità "fanciullesca", naturale, oserei dire innocente, in simbiosi con la natura, spoglio dei sitemi culturali che hanno appesantito e spesso negato all'uomo la sua stessa umanità,In Zarathustra alcune parti come il finale in cui il con l'aquila e il serpente , lascia i suoi ospiti, tutti uomini simbolicamente deboli, decadenti, nella sua caverna e descrive il sole come sua energia vitale, la sua gioia di vivere.
Nietzsche, leggendo alcuni suoi scritti, diciamo minori, ritene, questo è un mio parere, di non doversi porre delle riflessioni diciamo metafisiche. Lui, scrive, prende atto che esiste e l'uomo per lui è essenzialmente natura, non ama la cultura intesa come sovrastruttura che appesantisca come un fardello l'esistenza, che lo ingabbi, che lo imprigioni, rendendole "intristito e debole",si pone antimoralmente in quanto questi pongono scrupoli anche ai gesti naturali ,li condizionano." cit Paul
Paul hai compreso abbastanza il nostro. Meglio di altre volte mi pare. :)
Ora lo riscrivo: in lui cè una forma nevrotica ossesiva (ma di tipo paranoico non isterico, infatti è Lou a mollarlo, non il contrario).
La sua grandezza è il fatto di analizzare quella stessa forma nevrotica, superandola in maniera abissale.
PS 1
Come preso dalla lotta con essa, ossia come preso dal tentativo di superare l'istinto di morte, che egli conosce per via anche fisica con continue emicranie. Egli supera la nevrosi addirittura inventando la psicanalisi, Freud non lo cita mai, ma è evidente che lo deve aver letto. Tesi di Derrida e anche del filosofo francese Onfray.
Ma lo fa abissalmente, perchè non solo ne rivela il carattere fondamentalmente metafisico, il carattere totemico arriverà a dire Freud per altre vie, quelle antropologiche.
Egli supera di slancio questo impedimento che ha nome cristianesimo, gente come Marcuse e Reich, ci arrivano per strade diverse, sociologiche.
E va oltre il totem per scoprire quel tabù che ha nome nichilismo, e che Freud chiama principio di morte, in un libretto d'oro, nella collezione cento pagine della newton compton. Una lettura di me stesso liceale.
Sempre all'università misi in difficoltà il professore di psichiatria fenomenologica, una specie di psichiatria contestuale contro la psichiatria americana monista e bio-imperialista.
Perchè nessuno parla più dell'istinto di morte?
Perchè mai nessun giovane fa queste domande? che io mi facevo già adolescente?
PS 2
La parte più bella ossia quella fanciullesca, è ahimè di nuovo uno dei sintomi della paranoia. Un illusione che possa permettere al malato di reiterare i suoi sogni di dominio.
Al fanciullo tutto si perdona.
Ovviamente nel sogno, nella realtà Nietzche è costantemente messo in scacco dalla parte femminile, che egli sogna succube, e che invece fa opposizione, come ogni cosa nella vita. Dicesi principio di realtà.
PS 3
Gli stolti che non capiscono Nietzche si fermano alla datità della sua vita mediocre, o alle sue malattie presunte. Lasciamo da perdere i cinici che lo usano in maniera ideologica. Vale a dire il 99.9% degli intellettuali.
PS 4
Io non riesco a raggiungerlo sulle vette più elevate.
Perchè dire di capire Nietzche vuol dire capire che razza di sforzo sovrumano, intellettualmente parlando, si è costretti a fare per arrivare anche solo a capire quali venti soffiano alle sue altezze.
Ps 5
Io ne capisco gli abissi, le vette, quelle meravigliose vette, temo non le raggiungerò mai.
Per esempio il commiato dagli amici nel "viandante e la sua ombra"-
Ma in generale tutto il viandante e la sua ombra...un opera sublime, non la capirò mai.
O meglio forse introiettando umano troppo umano, ormai fermo a 2 o 3 anni fa nella ottava rilettura.
Ogni volta che lo riprendo, si squarcia qualcosa, che nel frattempo si era sedimentato.
Ci vuole tempo.Molto tempo per capirlo.
Io stupisco a chi legga Nietzche una sola volta e dica, l'ho capito.
A scanso di equivoci la riflessione sull'Altro e sugli altri DEVE ripartire da Nietzche e da nessun "altro" .
La seconda parte domani o nei prossimi giorni.
---------> A mio parere l'archè l'abbiamo perso,culturalmente ,filosoficamente.Il proseguimento storico del pensiero di Kant-Hegel-Husserl è nella linguistica, sullo strumento della relazione fra un Io e il Mondo fisico, in termini di capacità o meno del linguaggio, con i suoi segni e simboli, con la sua logica predicativa e proposizionale, di costruire significati, descrizioni, definizioni più o meno veritatitive. Le famose aporie, antinomie linguistiche che già venivano dall'antichità proseguono nella filosofia analitica del linguaggio ad es. in Russell.
se lo dico io ( o cerco di farlo capire ) si irritano quasi tutti
-----> Lui, scrive, prende atto che esiste e l'uomo per lui è essenzialmente natura, non ama la cultura intesa come sovrastruttura che appesantisca come un fardello l'esistenza, che lo ingabbi, che lo imprigioni, rendendole "intristito e debole",si pone antimoralmente in quanto questi pongono scrupoli anche ai gesti naturali ,li condizionano.
Come sopra
------> La storia del pensiero umano è correlata al ,diciamo materialismo storico.
------> Sono d'accordo che una mimesi fondamentale sia la bio-politica, intesa come furto della propria esistenza da parte dei poteri umani.Quì sta la capacità di smascherare i dispositivi culturali.
Come sopra
------> La mimesi è un ente, un concetto culturale la cui radice è psicologica, religiosa, morale, che muta storicamente, è il senso di colpa, è il senso di responsabilità, che possono nascere come regolatori naturali "giusti", ma che i poteri nella storia della umanità e i mass media attuali ad esempio usano psicologicamente.
Che dire, è come se mi risparmiassi la fatica di scrivere..
----> Ecco allora che una nevrosi nata in famiglia si trasformi mimeticamente sul lavoro con il capo, nel sociale nell'ubbidineza senza sapere il perchè di questa origine cuturale.
Per questo hanno dato una risposta (ovviamente la loro..) dolce&gabbana con l'antiedipo. In ogni caso già porre la questione è fare filosfia di quella che piace a me.
-----> La forza di Marx è la costruzione di un concetto come il materialismo storico per individuare ciò che non muta, lo sfruttamento di un uomo su un uomo, ma storicamente mimetico, trasformato dai mezzi di produzione, dalla tecnica. dallo stesso mercato ,concetto così impalpabile eppure condizionante nella vita fattuale Ma il concetto di fondo è ancora attuale più che mai.
Il vangelo secondo tersite. Incominciavo a sentirmi solo.
-----> Noi mutiamo fisicamente da bebè ad anziani, ma è nel mentale l'identità che rimane nonostante il corpo muti.E questa identità non può venire dal nulla e sparire nel nulla con il corpo fisico.
Buona la prima parte, la seconda invece fa parte quelle cose che attengono a te come persona e che nemmeno sotto tortura (metaforica) mi sognerei di obiettare. Anche il sostenere non sono d'accordo non avrebbe senso perchè potrei solamente dirti per me no, ma non potrei dirti perchè.
Non possiamo giustificare o contestare uno all'altro il reciproco profondo sentire. Possiamo discutere su tutto quello di cui sopra, ma su questo---> E questa identità non può venire dal nulla e sparire nel nulla con il corpo fisico<------ non possiamo discutere perchè non c'è nulla da discutere. Il tuo profondo sentire ti porta a questa conclusione, il mio profondo sentire mi porta alla conclusione opposta. Il fatto che io avrei potuto scrivere ognuna delle frasi che hai scritto sopra è la dimostrazione che io e te abbiamo idee e impostazioni di pensiero simili, con la differenza che tu credi in questo ---> E questa identità non può venire dal nulla e sparire nel nulla con il corpo fisico<------ ed io no, e la questione finisce li, non è dirimente. Non c'è discussione perchè sarebbe sciocco discuterne, sono cose nostre.
Già a naso hai toccato i fondamenti che portano all'antiedipo...quella è filosofia, non il fatto che tu pensi non si possa sparire nel nulla ed io si. Su quei concetti si deve "filosofare" non di cosa "sentiamo" noi, a meno non decidiamo di farlo, ma diventerebbe una conversazione intima, non una chiaccherata filosofica.
Io posso dicutere, ed anzi lo discuto in toto, il concetto di "mentale" ma non nel senso di "identità che non può venire dal nulla e sparire dal nulla".
Se tu identifichi l' "identità che non può venire dal nulla e sparire dal nulla" con il "mentale" lo sottrai al mio campo di analisi.
Io invece non identifico l' "identità che non può venire dal nulla e sparire dal nulla" con il "mentale", ma la identifico con qualcosa che appartiene a te\persona\che\solo\tu\sai\cosa\sia\ (come io\persona\che\solo\ioso\cosa\sia, che è quello che fa di te quel che sei, come il mio non crederci, esattamente speculari, non io\altro ma io\io indiscutibili inquestionabili e irriducibili e poi perchè dovremmo essere riducibili....a cosa...
------> Fin quando la scienza non sarà in grado ,se mai lo sarà, di dare spiegazioni fondamentali, qualunque dubbio o domanda rimane per lo meno "un giudizio di sospensione", un epochè.
A questo punto è certo io abbia seri problemi di relazione. Quello che hai scritto è uno dei miei "cardini", forse il principale, ma se lo sostengo viene fuori il finimondo...spero se la prendano con te da ora in poi...
-----> Questo potrebbe essere un punto di partenza. Perché temo risulterebbero a sua volta molte contraddizioni di carattere sociale.Puoi fare uno Zarathustra, ma senza famiglia, senza vincoli, isolato e magari deriso dai tuoi stessi simili a cui invece vorresti donare una via felice di vita.
Se si entra nel sociale, ecco lo scambio economico, il valore, il possesso, la proprietà, gli istituti.......
Necessariamente bisogna fare i conti con la storia, la sua cultura che detta i modi di essere
abbracciare il cavallo...abbracciare il cavallo, o continuare a chiaccherare.
P.s.: siccome sono persona pigra e oziosa tieni per certo che userò esattamente le tue frasi come risposte perchè in pratica rispondono all'ottanta per cento delle obiezioni che leggo e voglio vedere..
Seconda e ultima parte per Paul
Sulla seconda parte sono assolutamente d'accordo. E quindi sono d'accordo anche con Tersite, con mia sorpresa perchè non capisco come si faccia a passare da un mondo riduzionista ad uno che di fatto contiene il ragionamento delle cose.(Ma il ragionamento delle cose come può essere contenuto nel cervello? Mistero! Cmq, forse capirò più in là.)
"C'è necessità che il ponte fra un concetto o più concetti universali, che uniscano popoli, venga proiettato nel mondo storico delle esistenze. Dobbiamo richiederci cosa ci fa veramente felici, se siano i comfort o i gesti umani" cit Paul
Se presupponiamo che l'identità sia l'io (e non lo è), certamente sarebbe un tentativo non solo possibile ma necessario.
Ma ti rimando al topic che gioco forza ho dovuto aprire. (cfr appunto sull'identità-
La cosa non è semplice anzi è infinitamente complicata dal fatto che la comunità deve sapere ciascuno per sè anzitutto quali sono i propri desideri, quali quelli fondamentali e quali quelli accessori, provvisti dalla tecnica cioè.
La comunità che non conosce la questione del desiderio, non ha alcun senso, qualsiasi narrazione proverà a fare.
E' destinata alla mimesi, alla ideologia.
"Severino....
Un conto è dire, che ha ragione logicamente e un conto è costruire una filosofia, un pensiero che sappia dare senso all'unione fra il mondo fattuale e il mondo delle idee."
Concordo, infatti formalmente è un grande filosofo, ma ha commesso un terribile errore, quello di non essersi accorto della mimesi che lo riguarda, per cui parla dell'identità, astraendola come al solito a concetto formale, ma non si rende conto che è di se stesso, del suo io che sta parlando. (e quindi è effettivamente la sua filosofia, e non la Filosofia come si ostina a dire, ovviamente preso dalle maglie della nevrosi, come tutti noi). Per cui di nuovo ti rinvio al 3d sulla identità.
"La logica dice che se un ente esiste non può "trasformarsi" in un altro ente e sparire,sono due enti separati e la regola dell'identità verrebbe contraddittoriamente asserita." cit Paul
Certamente come già detto, concordo.
Ecco per me questa pan-cosmologismo che tanto ti appassiona e ti distingue, non ha però valore rispetto agli enti che lo costituiscono. Perchè se seguiamo Severino, l'originario non esiste nemmeno, o meglio è la pazzia dell'occidente quella di essere rimasti traumatizzati. Se leggi le note che riguardano i suoi ultimi libri, capisci che ormai sta andando verso teorie naziste, nella totale idiozia dei suoi commentatori taciuta ogni critica. Egli teorizza la liberazione della potenza della Tecnica, alla fine della distruzione di qualsiasi politica, un nichilismo tale che alla fine, secondo lui, l'uomo sarà costretto ad aprire gli occhi e di fronte alla morte, che la tecnica porterà, capire di essere immortale.....Discorsi deliranti a dire poco. (e che ora che ricordo erano gli stessi in uno speciale televisivo condotta su la7 da Lerner, con un agguerrito Vattimo, unico a stagliarsi contro il Maestro. A ragione dico io).
ps.
Anche se questi scritti presi come politicamente scorretti, sono una specie di monito a qualsiasi politica ideologica (che pretenda di dominare la tecnica nel caso). E' l'etos di fondo che mi preoccupa.
Ma torniamo al tuo pan-cosmologismo, certo è così, l'archè ci dice che qualcosa di primitivo agisce in ogni cosa.
Ma ciò che intendiamo, non è il suo meccanismo originario (potrebbe anche non essere un meccanismo a dirla tutta, no?)
bensì il suo apparire, appunto la sua fenomenologia.
Non ha senso formalizzarla a livello universale. Già la fisica quantistica ha toccato il fondo conoscibile.
Esistono solo modelli, tutt'altro che universali, ma che ben spiegano le forze agenti. (ove il bene è quello strumentale della tecnica).
Ora di nuovo a livello politico, e quindi comunitario. Trovare quella funzione che regoli il mondo, diverrebbe questione della tecnica. Ma di nuovo torniamo alla critica della italian theory, che rigurda il bio-politico.
Dire che quella funzione sia universale, è esattamente quel "lavoro vi renderà liberi" che però nasconde l'ossesione cinica che porta a milioni di morti. Non esistono funzioni universali. Siamo ben lontani dal lavoro comunitario se continuiamo a pensare teologicamente così.
"Necessariamente bisogna fare i conti con la storia, la sua cultura che detta i modi di essere" cit Paul
Si non possiamo non fare i conti con questo.
Comunque per dare la direzione è proprio questo che Nietzche invece chiede di fare: uccidere la cultura, il serpente morso via dal pastore.Nello zarathustra (interpretazione di Sini).
Ora secondo Sini questo è impossibile. E' per questo che recentemente continua a sottolineare la morte della Filosofia.
Ed è per questo che anch'egli è nelle maglie della nevrosi.
Ti ripeto benchè difficile, la comunità degli amici che non sappia fare a meno della propria identità, è mera follia.
Per accogliere l'altro la mia identità deve performarsi al desiderio altrui laddove quel desiderio non sia quello originario, che mi vuole vedere morto.
Sono gli istinti di Thanatos a dover esser eliminati, cosa impossibile, e dunque si necessita di forze sublimanti, ossia agenti che ci permettano di sorpassare proprio sul proprio campo quella necessità.
Per quel che mi riguarda è abbastanza semplice scegliere la vita piuttosto che la morte. All'interno delle pulsioni annichilenti, rilanciare invece quelle desideranti la vita, anche quella del proprio nemico. (sempre Nietzche, sullo sfondo, questa volta).
Ma per farlo bisogna capire l'istinto cinico che ci porta anche solo a pensare la morte.
Un lavoro personale immenso, figuriamoci comunitario.
Solo quando il gruppo degli amici si sarà formato, saremo agli albori del comunitarismo.
Per ora rimane solo il lavoro personale, pensandolo non come ognuno di noi, ma ciascuno di noi. In ordine proprio di un movimento verso l'altro, e non verso se stessi (che è sempre un implosione)
Grazie dello scambio Paul, sempre un piacere.
Citazione di: green demetr il 17 Aprile 2019, 02:16:17 AM
Seconda e ultima parte per Paul
Sulla seconda parte sono assolutamente d'accordo. E quindi sono d'accordo anche con Tersite, con mia sorpresa perchè non capisco come si faccia a passare da un mondo riduzionista ad uno che di fatto contiene il ragionamento delle cose.(Ma il ragionamento delle cose come può essere contenuto nel cervello? Mistero! Cmq, forse capirò più in là.)
"C'è necessità che il ponte fra un concetto o più concetti universali, che uniscano popoli, venga proiettato nel mondo storico delle esistenze. Dobbiamo richiederci cosa ci fa veramente felici, se siano i comfort o i gesti umani" cit Paul
Se presupponiamo che l'identità sia l'io (e non lo è), certamente sarebbe un tentativo non solo possibile ma necessario.
Ma ti rimando al topic che gioco forza ho dovuto aprire. (cfr appunto sull'identità-
La cosa non è semplice anzi è infinitamente complicata dal fatto che la comunità deve sapere ciascuno per sè anzitutto quali sono i propri desideri, quali quelli fondamentali e quali quelli accessori, provvisti dalla tecnica cioè.
La comunità che non conosce la questione del desiderio, non ha alcun senso, qualsiasi narrazione proverà a fare.
E' destinata alla mimesi, alla ideologia.
"Severino....
Un conto è dire, che ha ragione logicamente e un conto è costruire una filosofia, un pensiero che sappia dare senso all'unione fra il mondo fattuale e il mondo delle idee."
Concordo, infatti formalmente è un grande filosofo, ma ha commesso un terribile errore, quello di non essersi accorto della mimesi che lo riguarda, per cui parla dell'identità, astraendola come al solito a concetto formale, ma non si rende conto che è di se stesso, del suo io che sta parlando. (e quindi è effettivamente la sua filosofia, e non la Filosofia come si ostina a dire, ovviamente preso dalle maglie della nevrosi, come tutti noi). Per cui di nuovo ti rinvio al 3d sulla identità.
"La logica dice che se un ente esiste non può "trasformarsi" in un altro ente e sparire,sono due enti separati e la regola dell'identità verrebbe contraddittoriamente asserita." cit Paul
Certamente come già detto, concordo.
Ecco per me questa pan-cosmologismo che tanto ti appassiona e ti distingue, non ha però valore rispetto agli enti che lo costituiscono. Perchè se seguiamo Severino, l'originario non esiste nemmeno, o meglio è la pazzia dell'occidente quella di essere rimasti traumatizzati. Se leggi le note che riguardano i suoi ultimi libri, capisci che ormai sta andando verso teorie naziste, nella totale idiozia dei suoi commentatori taciuta ogni critica. Egli teorizza la liberazione della potenza della Tecnica, alla fine della distruzione di qualsiasi politica, un nichilismo tale che alla fine, secondo lui, l'uomo sarà costretto ad aprire gli occhi e di fronte alla morte, che la tecnica porterà, capire di essere immortale.....Discorsi deliranti a dire poco. (e che ora che ricordo erano gli stessi in uno speciale televisivo condotta su la7 da Lerner, con un agguerrito Vattimo, unico a stagliarsi contro il Maestro. A ragione dico io).
ps.
Anche se questi scritti presi come politicamente scorretti, sono una specie di monito a qualsiasi politica ideologica (che pretenda di dominare la tecnica nel caso). E' l'etos di fondo che mi preoccupa.
Ma torniamo al tuo pan-cosmologismo, certo è così, l'archè ci dice che qualcosa di primitivo agisce in ogni cosa.
Ma ciò che intendiamo, non è il suo meccanismo originario (potrebbe anche non essere un meccanismo a dirla tutta, no?)
bensì il suo apparire, appunto la sua fenomenologia.
Non ha senso formalizzarla a livello universale. Già la fisica quantistica ha toccato il fondo conoscibile.
Esistono solo modelli, tutt'altro che universali, ma che ben spiegano le forze agenti. (ove il bene è quello strumentale della tecnica).
Ora di nuovo a livello politico, e quindi comunitario. Trovare quella funzione che regoli il mondo, diverrebbe questione della tecnica. Ma di nuovo torniamo alla critica della italian theory, che rigurda il bio-politico.
Dire che quella funzione sia universale, è esattamente quel "lavoro vi renderà liberi" che però nasconde l'ossesione cinica che porta a milioni di morti. Non esistono funzioni universali. Siamo ben lontani dal lavoro comunitario se continuiamo a pensare teologicamente così.
"Necessariamente bisogna fare i conti con la storia, la sua cultura che detta i modi di essere" cit Paul
Si non possiamo non fare i conti con questo.
Comunque per dare la direzione è proprio questo che Nietzche invece chiede di fare: uccidere la cultura, il serpente morso via dal pastore.Nello zarathustra (interpretazione di Sini).
Ora secondo Sini questo è impossibile. E' per questo che recentemente continua a sottolineare la morte della Filosofia.
Ed è per questo che anch'egli è nelle maglie della nevrosi.
Ti ripeto benchè difficile, la comunità degli amici che non sappia fare a meno della propria identità, è mera follia.
Per accogliere l'altro la mia identità deve performarsi al desiderio altrui laddove quel desiderio non sia quello originario, che mi vuole vedere morto.
Sono gli istinti di Thanatos a dover esser eliminati, cosa impossibile, e dunque si necessita di forze sublimanti, ossia agenti che ci permettano di sorpassare proprio sul proprio campo quella necessità.
Per quel che mi riguarda è abbastanza semplice scegliere la vita piuttosto che la morte. All'interno delle pulsioni annichilenti, rilanciare invece quelle desideranti la vita, anche quella del proprio nemico. (sempre Nietzche, sullo sfondo, questa volta).
Ma per farlo bisogna capire l'istinto cinico che ci porta anche solo a pensare la morte.
Un lavoro personale immenso, figuriamoci comunitario.
Solo quando il gruppo degli amici si sarà formato, saremo agli albori del comunitarismo.
Per ora rimane solo il lavoro personale, pensandolo non come ognuno di noi, ma ciascuno di noi. In ordine proprio di un movimento verso l'altro, e non verso se stessi (che è sempre un implosione)
Grazie dello scambio Paul, sempre un piacere.
ciao green,
stò approfondendo Kant, la sua gnoseologia(termine da non confondere per storia all'epistemologia).
Mi sembra che Kant deve riconoscere che nel cervello/mente ci sono degli apriori, che non sono dati dall'esperienza e che quindi sono intrinseci all'uomo. Prima accetta un apriori dello spazio e e tempo e poi dovrà riconoscere 12 categorie suddivise a loro volta in 4 tipologie del giudizio, se vuole legittimare che la conoscenza umana abbia un "grado veritativo". e quì nasce un' antinomia.
Da dove vengono gli apriori della mente/cervello umano? Se non derivano dall'esperienza dei mondo dei fatti vengono dal mondo o delle idee. Ed è questo che Hegel recriminerà a Kant, il non aver avuto il coraggio di spingersi alla metafisica.
Sull'identità scriverò sul topic da te aperto, anche perchè Tersite non ha forse capito a cosa alludessi con "identità".
Tutti e tutto veniamo da un origine comune, questo non lo dice solo la metafisica.
Sempre rifacendomi a Kant, quando si dice "oggettivo" significa universale. Una formula ,una legge ,fisica o matematica non è opinabile ,o la si accetta come paradigma, o non la si accetta.
la metafisica, tratta la SINTASSI, che sono le regole ordinative universali ,Quando studiamo gli elementi fondativi matematici,studiamo le proprietà delle operazioni(somma, moltiplicazione ecc.). le proprietà di commutazione, invarianza, ecc.
Ogni scienza nasce da enunciati, postulati, ricordiamoci di questo.E ogni programma algoritmico dentro l'informatica ha un codice sorgente, ricordiamocelo. Già appunto il termine"codice sorgente" che gli hacker rubano al sistema operativo Windows.
Queste sono le regole dove i numeri sono la semantica. La metafisica deve svelare le regole universale che relazionano tutti i domini compresa l'esistenza.
Perchè il vero scopo umano ,relazionato alla metafisica, è la costruzione di un'etica che non è contrapposta alla physis.
Quando Anassimandro nel celebre "frammento"scrive il termine physis, non intende affatto "materia", o solo materia.
Moltissimi termini antichi sono stati manipolati nei significati nella modernità e bisogna quindi fare attenzione alla "mimesi", e questo è politica.
Ha senso eccome il modello universale diversamente esistono oggi quasi sette miliardi di tesi, quanti sono gli umani sulla Terra, di come comportarsi e vivere la vita, e chi vuole il "dividi et impera" ha in mano il potere culturale che stipendia a libro paga. La cultura è politica, non si scappa da questo. I modelli "condivisi" o sono negoziati che ritualizzano lo scambio economico con lo scambio politico, "io dò una cosa a te e tu la dai a me" e quindi si riducono a rapporti di forza .
Per quale motivo pensi che Zizek ed Agamben cerchino anche nell'antichità la risposta ai problemi politici e culturali attuali?
La verità, che è la vera traduzione di episteme, non cambia con la storia o le apparenze, diversamente non è verità.Non cambia con una cultura della finta evoluzione e progressione culturale come una verità da fiorellino che spunta in primavera e sparisce in inverno.
La tecnica non regola il mondo, è l'uomo che ha scelto la tecnica perchè gli dà potere sulla natura, un potere illusorio.
La cultura della tecnica ,in termini filosofici, significa la scelta di una pratica che non ha fondativi veritativi, perchè le scienze non le hanno.Se ogni scoperta mette in crisi un sistema veritativo di una scienza, vuol dire che quella scienza fino alla nuova verità, si era mossa su una falsa verità.
L'epistemologia, la filosofia delle scienze moderna, si prende l'alibi di falsificare o addirittura mantenere più teorie anche contrastanti.
La gnoseologia ,temine proprio filosofico, perchè la gnosi antica dava fastidio come la dà la filosofia, non può mutare gli immutabili a seconda da dove tira il vento.
Heidegger e Levinas sanno bene tutto ciò e a loro modo, ciascuno in modo suo originale, hanno tentato di dare risposte
E' stato un piacer anche per me.