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LOGOS - Argomenti => Tematiche Filosofiche => Discussione aperta da: 0xdeadbeef il 06 Giugno 2019, 19:03:12 PM

Titolo: L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: 0xdeadbeef il 06 Giugno 2019, 19:03:12 PM
L'esempio forse più eclatante è quello dell'economia ("lo studio dei mezzi più efficaci per
raggiungere un fine prestabilito" - L.Robbins); ma un pò dappertutto lo scientismo dilagante
attribuisce alla scienza compiti che non solo non le sono propri, ma che le sono spesso
addirittura antitetici.
E', questo dell'indistinzione fra mezzo e fine, uno dei tratti più peculiari della contemporaneità.
Già M.Weber, ne: "L'etica protestante e lo spirito del capitalismo", edita mi pare nel 1904,
intuiva come il capitalismo fosse entrato in una "gabbia d'acciaio", ovvero in una forma-mentis
nella quale i soldi servivano solo a fare altri soldi (concetto ormai macroscopicamente evidente
nella speculazione finanziaria).
Il concetto è ribadito in una ormai vasta saggistica, fra cui particolarmente interessante mi
sembra quella di E.Severino ("Intorno al senso del nulla"), il quale afferma che scopo della volontà di
potenza è di accrescere se stessa; e ciò vuol dire che non vi è uno scopo, un fine, perchè ormai il mezzo
ne ha preso il posto rendendo anacronistica la loro distinzione.
Mi sono spesso chiesto quali processi e quali dinamiche abbiano potuto determinare tutto questo,
e sono arrivato alla "conclusione" (si fa per dire...) che tutto questo è accaduto perchè nell'
uomo moderno, che è essenzialmente individuo, si è obliato il tempo.
Si sono obliati sia il passato che il futuro, e l'uomo moderno vive ormai in un "eterno presente"
che non è più "nel" mondo, come intendeva Heidegger, ma nel luogo "del" mondo ove l'individuo si
trova in quel momento presente.
Che senso ha "progettare" qualcosa in vista di un certo fine quando si vive solo ed esclusivamente
nel presente?
saluti
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: viator il 06 Giugno 2019, 21:41:43 PM
Salve Ox. Cinicamente, come mio solito, preferisco dare la mia approvazione alla mancanza di un fine.
Mi sembra tu sottintenda che - in epoche passate - l'operare umano fosse finalistico mentre oggi non lo sia più.
E allora spiegami quale fine si proponevano i nostri progenitori.........(no, lasciamo perdere, argomento troppo confuso!).....spiegami invece se le generazioni e culture trascorse - tendendo ad un fine - lo abbiano raggiunto e quale esso sia stato.
Ora, è ovvio che :

In realtà "nulla di nuovo sotto il sole". Le "novità" appaiono tali a chi è costretto (noi tutti, appunto) a comprimere il senso delle cose all'interno del breve spazio della nostra esistenza biologica.

Meglio che gli umani non raggiungano mai un vero "fine". Che senso avrebbe l'arrivare e doversi fermare quando è così interessante viaggiare ?? E' questa secondo me  la risposta al tuo quesito finale in cui domandi : "Che senso ha "progettare" qualcosa in vista di un certo fine quando si vive solo ed esclusivamente
nel presente?"
. Saluti.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: paul11 il 07 Giugno 2019, 01:21:25 AM
ciao Mauro (Ox...)
l'uomo si costruisce durante la vita, non siamo su un treno a vedere il paesaggio,da osservatori. Noi costruiamo relazioni e queste sono temporali.La mente umana riesce a "presentifcare" il passato mnemonico,  e in questo trascorso c'è già l'inidirizzo di senso verso il futuro.
Perchè ogni cosa ha un verso, una direzione, un suo ciclo.
Vivamo il presente,oggi, perchè la prevalenza del cretinismo ,è quello di far finta di essere eternamente giovani, la sindrome di petere pan, perchè abbiamo paura da sempre di morire, e adatto che Dio è morto, secondo la cultura imperante, c'è un vuoto assoluto di senso, un abisso di mancanza di senso che non è colmabile..In politica nessuno progetta, gli statisti erano coloro che pensavano per generazioni, oggi pensano alal sedia del potere, alle public relation quando lasceranno la "cadrega", perchè tutti vogliono tutto e subito.Il sacrificio oggi è una ridicola e vetusta etica/morale. Bisogna arrivare al top.
Questo anche grazie al pragmatismo americano con la sua cultura di potere esportata, in una società di plastica e liquida.
Il cretinismo è quello del godersela, significa consumare, aver soldi, fregarsene altamente dei problemi come avere cura degli altri, del pianeta, direi persino di se stessi. Poi passano la vita a tracannare alcolici, a farsi di cocaina, a riempirsi di ansiolitici.Perchè un umano privo di spessore, è incapace di costruire relazioni solide, per cui bisogna sempre fare una"toccata e fuga",
Perchè la coscienza intenzionale ce l'hanno tutti, anche la prevalenza del cretinismo, e "morde" la coscienza stessa, perchè cerca relazioni serie, non banali e superfiziali, ha necessità di un senso logico, emotivo, spirituale,
L'uomo deve sentirsi coinvolto anima e corpo in qualcosa e la vita ,come dicevo, è un costruirsi attraverso i rapporti ,le relazioni umane, conoscenze, Non esiste forse un fine, ma la consapevolezza che qualcosa dentro di noi ha senso e cerca un senso, la trovaimo quindi nell'immanenza, negli attimi dopo attimi, nel tempo che scorre, in un amore che si trasforma e trasforma noi stessi, in delusioni, ma anche "vittorie".Non c'è un bilancio, non c'è un fine, perchè la fine è nota ,ma temporalmente è una sorpresa...e poi chissà?
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: 0xdeadbeef il 07 Giugno 2019, 18:50:41 PM
Citazione di: viator il 06 Giugno 2019, 21:41:43 PM
Salve Ox. Cinicamente, come mio solito, preferisco dare la mia approvazione alla mancanza di un fine.
Mi sembra tu sottintenda che - in epoche passate - l'operare umano fosse finalistico mentre oggi non lo sia più.


Ciao Viator
No. non mi riferisco tanto a questioni, per così dire, finalistico-escatologiche quanto a questioni
molto più concrete e terra-terra, come ad esempio quelle cui accennavo (l'economia che da scienza dei
mezzi diviene "decisore politico" sui fini; i soldi - che fino a prova contaria sono un mezzo - che
nella finanza divengono fine - tant'è che ormai la massa monetaria circolante ammonta a decine di
volte il PIL mondiale), cui se ne possono aggiungere tante altre, come la mancata programmazione
di farsi una famiglia, acquistare una casa, mettere al mondo dei bambini.
Manca una qualsiasi progettualità forse perchè, in fondo, è un senso ed uno scopo questa volta
finalisticamente inteso che manca (lo scopo, il "senso" della vita, insomma). Ma, sia chiaro, questo
non si risolve nella solita ed ormai stucchevole diatriba fra, chiamiamoli, fisici e metafisici, bensì
si riversa in maniera drammatica nella realtà di tutti i giorni (mi viene in mente anche l'esempio di
una politica - beninteso di tutti i partiti - che abbandona ogni programmaticità e vive ormai di "tweet"
e di messaggi che hanno la loro unica ragion d'essere nell'immediatezza del "qui ed ora")
saluti
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: 0xdeadbeef il 07 Giugno 2019, 19:29:55 PM
Ciao Paul
Mi chiedo se questo non sia lo sbocco "necessario", il "destino dell'occidente" che è ormai destino di
tutto il mondo, visto che tutto il mondo è occidente.
Se così fosse, starei guardingo prima di parlare di "cretinismo", come se la situazione attuale
riguardasse in fondo solo una parte (appunto quella dei cretini).
Alla fin fine se la nostra vita è come quella degli animali perchè non godersela finchè si è in
tempo e se se ne hanno le possibilità (dice, in punto di morte, il nichilista Bazarov - "Padri e Figli"
alla donna amata: "vivete, questo è importante, e approfittatene finchè siete in tempo".
E allora: non sono forse più cretini quelli che, pur potendo, non "vivono e non approfittano della vita"?
Non ne era forse, di questo, consapevole anche Leopardi laddove sembrava rattristarsi di avere uno
"spirito" incline allo studio e non alla "vita"?
saluti
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: davintro il 07 Giugno 2019, 19:50:06 PM
l'assunzione di un fine è un tratto essenziale, che contraddistingue l'agire di un essere per definizione razionale, come l'essere umano. Questo è un dato che non può perdersi e ogni ricerca dell'utile la conferma: per definizione, l'utile è sempre tale in relazione a un fine a cui è subordinato, il linguaggio lo dimostra, "utile a...". Dal punto di vista sociologico-culturale anch'io ho spesso la netta impressione di assistere a un ipertrofia dell' "utile", un'esasperazione dell'importanza del pragmatismo e della vita pratica, a scapito di una svalutazione di tutto ciò che è valore in se stesso, da cui trarre piacere disinteressato. D'altra parte però questo fenomeno non inficia l'inevitabilità dell'assunzione del fine come condizione per ogni azione umana possibile. Riflettendo meglio si nota come anche chi appare come focalizzarsi sugli interessi presenti e immediati non stia affatto rigettando in generale un finalismo, bensì persegua un diverso fine, che non consisterà in un valore immateriale, spirituale, come può essere l'amore per la conoscenza, o la salvezza oltremondana, ma nel possesso di beni materiali, di cui abbiamo un'esperienza fisica contingente. Possesso che però non è dal loro punto di vista "utile", ma fine ultimo in base a cui pensare a una strategia d'azione. La retorica dell' "utile" non si può pensare come oblio in senso assoluto del fine, ma più come un lasciare quest'ultimo implicito, non apertamente tematizzato, ma in fondo basta un po' di maieutica perché anche il più utilitarista degli uomini sia portato a riconoscere che tutti i suoi calcoli non avrebbero alcun senso in assenza di un fine ultimo a cui subordinare la rilevanza degli "utili" passaggi intermedi dell'azione. Il fine, proprio perché condizione essenziale dell'agire razionale, è prima di tutto una forma, il cui quid, il cui contenuto determinato può riempire in modo diverso sulla base delle differenti sensibilità soggettive degli individui, ed è un errore di prospettiva pensare che ci siano persone che hanno perso la coscienza del fine, solo perché perseguono fini diversi da quelli che perseguiremmo noi, proprio perché non esiste un determinato fine necessariamente implicato nell'idea di finalità intesa come categoria formale indeterminata. I vari Boldrin, o Forchielli o altri opinionisti che in tv  e non solo, raccomandano ai giovani di non iscriversi a facoltà per il puro piacere di studiare, come le umanistiche, ma a quelle più utili per trovare in fretta lavoro, non solo "utilitaristi" che hanno perso il senso del fine, semplicemente muovono da fini o valori di tipo materialistico (il successo economico come primario parametro di valutazione della realizzazione personale) a differenza di chi considera la formazione dello spirito come fine in relazione a cui trovare utile, per l'appunto, un certo corso di laurea "umanistico". Chi si iscrive a filosofia per un desiderio di formazione spirituale, non è affatto meno utilitarista di chi si iscrive a ingegneria sperando di trovare al più presto un lavoro ben remunerato, entrambi perseguono un fine a cui attribuiscono diverse determinazioni. Non trovo dunque un vero e proprio conflitto tra "utilitarismo" e "teleologismo", che invece si richiamano fra loro necessariamente, ma fra diverse scale di valori (come ad esempio materialismo vs spiritualismo) con cui ciascuno di noi riempie la categoria, di per sé, indeterminata, generica e formale di "fine", che resta per tutti il comune riferimento ultimo che contraddistingue ogni razionalità. Non a caso, entrando un attimo in un piano più teoretico, tutti i vari immanentismi, pur fermando la visione del reale al complesso degli contingenti di cui abbiamo un'esperienza mondana, devono giocoforza attribuire a tale complesso un carattere di "fine" o "senso ultimo", non meno di come il trascendentista attribuisce questi caratteri all'idea di una realtà extramondana: cambia il substrato a cui applicare la categoria di "fine", ma non il riconoscimento della necessità di tale categoria, ragion per cui, senza generalizzazioni forzate, ha senso considerare ogni immanentismo come secolarizzazione di categorie che non vengono mai cancellate, ma solo trasferite dal riferimento a una realtà trascendente, come il Dio del teismo, a realtà immanenti, poste come "assoluti", "motori della storia", "valori sommi" ecc, siano essi la "materia", la "razza", "lo stato etico", "la classe", "la logica dialettica immanente al processo storico nel suo complesso", l' "atto puro dello spirito" ecc.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: viator il 07 Giugno 2019, 21:11:09 PM
Salve Ox. Okey. Dovendo restringere l'argomento, secondo me la fine della cultura è paradossalmente generata dall'esplosione della cultura.
Cioè la cultura nel suo insieme - essendosi dilatata e ramificata fuor di misura - non risulta più organizzabile e gestibile da parte di singoli o piccoli nuclei. E' questo che provoca la perdita della sua visione d'insieme e del suo senso-fine.
Gli eclettici, gli autodidatti ma in definitiva anche i genialoidi oggi non hanno più spazio.
Tutti devono essere specialisti di qualcosa ma nessuno è in grado di stabilire cosa uscirà dalla confluenza di questi qualcosa. Saluti.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: 0xdeadbeef il 07 Giugno 2019, 21:27:42 PM
Ciao Davintro
Devo francamente dire di non condividere il tuo punto di vista.
Sicuramente il titolo che ho scelto per questa discussione non è azzeccatissimo, ma credevo fosse chiaro
che non era mio intento affermare l'oblio del, chiamiamolo, "retto fine"...
Dicevo infatti che uno dei tratti più peculiari della contemporaneità è l'indistizione fra il mezzo e il fine.
Riprendendo gli esempi che facevo, alla luce delle tue annotazioni mi sembra di rilevare che, ad esempio
nel caso della proliferazione incontrollata di massa monetaria, il fine (i soldi) coincide con il mezzo (sempre
i soldi). Cioè i soldi servono a fare altri soldi, come diceva Weber...
Cosa c'entra l'utile? Mi sembra chiaro che la finanza globale ritiene che il proprio utile sia fare soldi per
poi poterne fare altri; ma proprio per questo a parer mio si può parlare di indistinzione fra mezzo e fine,
non credi?
Come si fa a non vedere che nella contemporaneità è assente non "una certa" progettualità (ad esempio
quella "retta"...), ma la progettualità stessa?
Ad esempio nel caso di coloro che decidono di non metter su famiglia o/e di non fare figli (o, per meglio
dire, che decidono di vivere la vita giorno per giorno). Certamente ritengono sia questo il loro utile, ma è
forse questa "progettualità"?
Magari si dirà: beh, anche questa è una forma di progettualità, perchè costoro, bene o male, sono persuasi
di star perseguendo il proprio utile. Certo, chi lo mette in dubbio, ma la progettualità è un'altra cosa, perchè
si situa necessariamente nel futuro laddove questo utile si situa nell'immediato.
Alla fin fine anche un criminale può avere un progetto, un fine, quindi non è di questo che si tratta...
saluti
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: Jacopus il 07 Giugno 2019, 23:33:45 PM
Mi riconosco nel discorso che fa Ox e provo a declinarlo, a interpretarlo, per scovare altri possibili significati. La fine della progettualita' è equiparabile alla fine della vita. Questo vivere in un fasullo eterno presente serve a demonizzare il pensiero della morte e a farci "consumare" il più possibile. Paradossalmente questa dinamica, questa cultura dominante, produce l'esatto effetto contrario, perché dal ripudio della morte, dal nostro senso di immortalità discende la inutilità di procreare figli. E dal declino demografico discende il declino dei consumi, proprio ciò che si combatteva.
Ogni progetto in effetti è un unico progetto: lasciare un mondo migliore alle generazioni successive, sia che ciò sia visto in modo collettivo o familiare. Ma se si crede di non dover lasciare il mondo, non dobbiamo neppure migliorarlo. Insomma solo attraverso l'accettazione della nostra finitezza possiamo pensare di progettare e si progetta solo se si dona la propria vita alle generazioni successive.
Non sono esattamente le considerazioni di Weber, ma forse possiamo trovare un legame con esse e volevo condividerle con voi.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: paul11 il 08 Giugno 2019, 02:11:40 AM
Non è chiaro l'argomento, per cui se non si comprende la logica è difficile avere un esercizio critico.
"Presentificare" non è irrazionale o illogico, è una scelta in una storia  in cui domina ,come nel forum, fisicalismo, materialismo e naturalismo.
Significa non rimandare al doman e vivere l'attimo, perchè la morta è il "nulla",  fine di tutto. Domani essendo già oltre il presente,
potrebbe già essere la fine.
La precarietà esistenziale impone la presentifcazione del fare quì e ora.
Se è questo che si vuol dire, non hanno importanza le definizioni di mezzo o fine, e nemmeno di debiti o crediti, perchè rimandano ancora al domani.

Il problema ,ribadisco se questo è il fulcro della discussione, è che manca il senso, il nesso fra ieri, oggi e domani,Per cui è implicita la rottura temporale e la discontinuità.
Ma è la cultura che lo impone, è il sistema politico ed economico coerente alla cultura.nessuno è in grado di sapere cosa avverrà fra 5 anni.
essendo tumultuoso il futuro, allora il rischio lo si presentifica vivendo assolutamente l'oggi, per non perderlo già domani.
Quindi l'occasione dell'attimo fuggente è da cogliere al volo.Il rimpianto è lasciare le occasioni per strada.

Non c'è il senso dell'immortalità, questo mondo ha  assetti precari e i tempi del cambiamento sono velocissimi, questo non permette la pianifcazione. Siamo in tempi di migranti per lavoro di alti livelli come di poveri cristi che mgrano per il mondo in cerca di luoghi più fortunati.
Tutti sono comunque accomunati dallo spostarsi. Creare qualcosa di "solido", una famiglia ,una casa, in un tempo in cui oggi sei in un luogo e domani devi necessariamente per  lavoro spostarti, porta con sè una cultura della dislocazione continua della mobilità fisica e mentale,della'dattamento. continuo.Fare figli è un "impedimento", una condizione, un bagaglio con annessi e connessi.Infatti chi non si muove o sono troppo giovani o troppo veccchi, la via dimezzo l'età del tempo del lavoro che sostiene giovani e vecchi è spinta a scegliere, da condizoni a lei esterne, più che per sua scelta volontaria.Certo alla fine sceglie, ma in base al contesto che gli sta attorno.
La famiglia è precaria, il lavoro è precario, la vita è precaria, i politici sono eternamente precari, l'economia è precaria priva di sicurezze.
Allora o ci si deprime in una eterna incertezza dove più nulla è sicuro, è "rifugio"e tanto vale spendere oggi piuttosto che risparimiare per il domani.
Nelle nuove generazioni è in atto da tempo: non sanno se arriveranno ad una pensione, meglio non pensarci, meglio non pensare più a problemi privi di soluzione nell'oggi.
Quindi la differenza di chi progettava nel passato  era nel fare sacrifici oggi per ottenre un utile domani, la nuova generazione è fortemente condizionata dall'esterno e sceglie di vivere oggi perchè è inutile fare sacrifici. La contraddizone sta nel fatto che i giovani possono permettersolo essendo coperti alle spalle dalla vecchia gnerazione che li auta economicamente, perchè aveva fatto quei sacrifici.
Finiti i risparmi ne vedremo delle belle.
Stiamo bruciando quindi i sacrifici per il risparmio ,stiamo bruciando il futuro.Il rischio è accettare qualunque cosa proporrà il futuro, perchè si è perso il senso che teneva insieme il passato-presente-futuro.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: Ipazia il 08 Giugno 2019, 07:48:50 AM
E possibile che non abbiamo un futuro, ma un passato ce l'abbiamo e il confronto con le apocalissi passate ci aiuta a collocare nella sua proporzione quella attuale. Apocalisse serissima fu quella che precipitò la civis greco-romana nella barbarie medioevale che culminò nell'apocalisse più insulsa: mille e non più mille. Ci eravamo appena ripresi quando scoprimmo che non eravamo il centro dell'universo ma un pianeta che gira intorno ad un astro in un sistema solare ai margini dell'universo il quale era rimasto senza centro pure lui. Superata questa apocalisse, ennesima mazzata: tutti i soldi messi nella banca dell'aldilà volatilizzati dalla megatruffa epocale dei banchieri di Dio. Da allora la finanza religiosa si è ripresa ma i suoi funzionari non hanno più il carisma di una volta e i titoli celesti hanno perso gran parte del loro appeal, diversificandosi e personalizzandosi.

Apocalissi serie, alle quali siamo sopravissuti approdando all'hic et nunc. Apocalittico per chi non se lo sa godere. Per quanto devo ammettere che la transizione da Mosè a Freud non è stata proprio una passeggiata e le vittime della psiche non sono certo diminuite rispetto a quelle del peccato.

Il futuro. C'è ancora un luogo in cui ha significato e valore: la cono-scienza. Il futuro prevedibile non è solo il titolo di un libro ma pure quello che ci raccontarono gli ecologisti mezzo secolo fa nei "limiti dello svilupo". Oggi siamo nel bel mezzo dell'apocalisse della crescita infinita. Economica e demografica. Per cui fare pochi figli non è necessariamente sintomo apocalittico ma procreazione responsabile, che è altra cosa. La chiusura dei porti mi pare l'unica risposta razionale a chi non l'ha ancora capito, tenendoli aperti solo a chi se li merita. Perchè la novità, peraltro ampiamente prevedibile, di questa apocalisse è che il futuro non è più garantito da qualche nume o dalle tette possenti di mamma Gea, ma dobbiamo meritarcelo rispettando i suoi limiti. Di ciò ci aveva avvertito anche Anassimandro con la storia del filo da pagare. E non è proprio cosa di ieri: lo sappiamo da sempre ed oggi siamo nel pieno della restituzione del debito. Sui limiti dello sviluppo e la caduta degli dei, incluso quello pernicioso e pervadente della crescita infinita, si può fare della buona filosofia e costruire della buona etica adeguata alle questioni che la nostra apocalisse ci pone.

Sulla demografia direi che Malthus si prende una bella rivincita su Marx, ma il filosofo Marx ci consola affermando che l'umanità si pone solo i problemi che è in grado di risolvere e che quando si presentano la levatrice è già pronta fuori dalla porta. In un modo o nell'altro è sempre andata così. Vediamo se funziona anche stavolta. Il futuro è anche avventura, non solo programma. E la fine della storia può essere nient'altro che la fine di una brutta storia.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: 0xdeadbeef il 08 Giugno 2019, 17:12:31 PM
Citazione di: paul11 il 08 Giugno 2019, 02:11:40 AM
Non è chiaro l'argomento, per cui se non si comprende la logica è difficile avere un esercizio critico.
"Presentificare" non è irrazionale o illogico, è una scelta in una storia  in cui domina ,come nel forum, fisicalismo, materialismo e naturalismo.
Significa non rimandare al doman e vivere l'attimo, perchè la morta è il "nulla",  fine di tutto. Domani essendo già oltre il presente,
potrebbe già essere la fine.
La precarietà esistenziale impone la presentifcazione del fare quì e ora.
Se è questo che si vuol dire, non hanno importanza le definizioni di mezzo o fine, e nemmeno di debiti o crediti, perchè rimandano ancora al domani.



A Paul e Jacopus
In realtà lo scopo che mi ero prefisso presentando questo argomento era proprio quello di mostrare come
venendo meno la finalità, diciamo, escatologica ogni altra finalità segua necessariamente il medesimo
destino.
Perchè, come ben dice l'amico Jacopus, "ogni progetto è un unico progetto". E se alla vita manca il
"senso ultimo" allora non ha senso né l'intenzione di lasciare un mondo migliore alle nuove generazioni
né l'impegno per una, chiamiamola, "ricompensa futura" (qualsiasi cosa questo voglia dire).
Credo del resto che se non si fanno figli non è perchè si abbia un senso di immortalità, ma perchè i
figli costano e sono un impegno, e gli individui egotici contemporanei vogliono spendere per se stessi,
e non vogliono intralci.
Tutto ciò non rimane materia di studi sociologici o di riflessione filosofico/religiosa sui "massimi
sistemi". Tutto ciò ha una ricaduta reale, concreta, che vediamo tutti i giorni e che condiziona
pesantemente le nostre vite (pensiamo solo, come dicevo, alle ricadute politiche ed economiche).
Ed è per questi aspetti immanenti che le definizioni di "mezzo" e "scopo" hanno grande importanza.
Perchè la contemporaneità mostra chiaramente di aver obliato, con il "fine ultimo", qualsiasi parvenza
di progettualità futura.
E del resto (e su questo punto ritengo sia palese ciò che intendo), nello "spontaneismo" hayekiano,
che è l'autentico fondamento filosofico su cui poggia tutta la cultura attuale, lo scopo non ha
nessun senso, visto che la realtà si viene formando, appunto, spontaneamente (Von Hayek chiama, con
evidente intento derisorio, "costruttivisti" coloro che credono necessario darsi una progettualità
economico/politica).
saluti
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: baylham il 08 Giugno 2019, 18:37:00 PM
Ritengo che l'eliminazione dei fini ultimi, degli ideali, delle utopie, riveli al contrario che l'uomo moderno ha un maggiore, acuto senso del fine, del progetto esistenziale rispetto al passato. L'angoscia dei filosofi esistenzialistici  è un esempio in tal senso.

Non fare figli è normalmente  la prospettiva consapevole di chi ha un progetto individuale e collettivo: la specie umana è infestante.

Non comprendo la sopravvalutazione di Von Hayek, i cui punti teorici essenziali sono sviluppi di nuclei già anticipati da altri esponenti della scuola austriaca. Scuola austriaca che è totalmente superata da Keynes in poi, un rifugio di fanatici ideologi del "libero mercato" refrattari ad ogni evidenza empirica.
Immagino Von Hayek che "spontaneamente" progetta la sua vita per non darsi un progetto economico politico, divertente.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: 0xdeadbeef il 08 Giugno 2019, 21:10:00 PM
A Baylam
Stai dando, dell'uomo moderno, un giudizio qualitativo che è tutto da dimostrare.
Quanto al non fare figli, beh, sai bene che puoi parlare di scelta individuale ma non certo
collettiva, a meno che con quello tu voglia dire che l'occidente sceglie deliberatamente di
non fare figli perchè gli altri ne fanno troppi...
Quanto a Von Hayek non credo di sopravvalutarlo. Ti dirò anzi che per me è, dopo Nietzsche,
il pensatore più rappresentativo della modernità.
Non credo che altri prima di lui abbiano pensato con eguale rigore e coerenza le intime relazioni
che intercorrono fra economia e società. Non credo che altri prima di lui abbiano teorizzato
con una simile chiarezza lo svilupparsi "spontaneo" delle istituzioni collettive e di ogni altra
cosa (che è il punto che su questo discorso maggiormente mi interessa).
Von Hayek, come certo saprai, dice semplicemente che non occorre nessuna progettazione, quindi
che non occorre porsi nessuno scopo, visto che le cose si sistemano spontaneamente per il meglio.
Occorre quindi, continua, che ognuno persegua il proprio utile immediato, senza essere o sentirsi
"legato" da qualsivoglia idea, progetto o istituzione collettiva.
A me sembra proprio che chi lo ritiene superato non veda come le dinamiche economiche e sociali
(e direi persino antropologiche...) ne ricalchino alla perfezione le impronte.
saluti
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: paul11 il 09 Giugno 2019, 00:11:26 AM
Ciao Mauro(Oxdeadbeaf)
ha delle buone ragioni anche Baylham.
Von Hayek crede ad uno spontaneismo economico,senza che il suo pensiero sia ancorato a nessuna filosofia.Lo spontaneismo dovrebbe essere collocato come naturalismo filosoficamente.
Ma l'uomo contemporaneo, è più cultura che natura.
Se non fa figli, va contro natura.Se accumula, va contro natura. Un leone non uccide un intero branco di gazzelle e poi le mette in banca.
Von Hayek è rappresentante di una ideologia dei poteri forti, che non ha nessi e senso, dal punto di vista filosofico e culturale.Non è "forte" come posizione culturale ,è forte per i poteri forti, quindi, privi di una cultura.

Trovo che sia la sottrazione della filosofia ad un suo dovere , una delle colpe, se colpa si può dire,
di essersi posta in subordine di fatto e come scelta alla scienza, dall'empirismo ad oggi.
Per quanto i massimi filosofi e pensatori del Novecento abbiano o abiurato o criticato fortemente il capitalismo, sostenuto dal lascia fare al mercato da Von Hayek,nessuno ha trovato un antidoto, compreso Marx.
Perché tutti non hanno costruito una filosofia capace di sostenere "il mondo della vita" e il "senso della vita".Non è l'anti mercato, l'anti-capitalismo ,non sarà l'ennesimo ambientalismo sventolato dai media(se fosse davvero contro il sistema attuale i media non lo promuoverebbero, e questo fa pensare....) a far cambiare la direzione di marcia dell'attuale cultura globale nella sua essenza.

E' chiaro che ogni individuo, ogni persona, collocata in questo sistema, accettato o meno, vi ritaglia i suoi spazi di vivibilità, che spesso significa adattarsi.Ognuno nonostante tutto vi cerca i suoi significati, vive insomma.
Tutti i pensatori e filosofi, hanno saputo anche brillantemente descrivere le nefaste ricadute esistenziali sull'uomo, ma ribadisco saper analizzare un sistema non significa averne trovato un'alternativa teoretica e soprattutto pratica, per poterne uscire in un mondo più vivibile.
Dopo diversi secoli di scientismo, tecnicismo, invenzioni e scoperte, anche ammaliati dall'enorme
luna park del capitalismo, temo che non siamo più abituati a pensare diversamente da questo sistema, siamo condizionati fino al midollo per trovarne alternative fattibili,ammesso che sia fattibile per via pacifica, perché questo potere finto democratico e finto libero, non lascia veri spazi e tempi di alternatività, Quindi ,abbiamo capito molto della parte distruttiva del pensiero moderno, ma non siamo in grado di costruirne uno seriamente alternativo, piegati al relativismo postmoderno. Che significa poi una cultura prostrata di fatto ad osservare il cinico mondo del "fotti l'altrui prima che ti fotta lui" che non è spontanesimo, perchè costruito sulla diffidenza, piuttosto che sulla fiducia, sull'ostilità e la sopraffazione, piuttosto che sulla compagnia sincera e amicizia.. Temo  che il risultato dell'adattabbilità ci stia insegnando a non più vivere
spontaneamente: questo è il paradosso sull'altro  spontaneismo di Von Hayek che non è affatto  spontaneità del gesto umano.
Non siamo macchine, siamo umani che piangono di gioia e di dolore.Dovremmo recuperare il gesto della vita.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: baylham il 09 Giugno 2019, 10:08:57 AM
Citazione di: 0xdeadbeef il 08 Giugno 2019, 21:10:00 PM
Von Hayek, come certo saprai, dice semplicemente che non occorre nessuna progettazione, quindi
che non occorre porsi nessuno scopo, visto che le cose si sistemano spontaneamente per il meglio.
Occorre quindi, continua, che ognuno persegua il proprio utile immediato, senza essere o sentirsi
"legato" da qualsivoglia idea, progetto o istituzione collettiva.

Infatti Von Hayek ha passato la sua vita a scrivere libri per spiegare agli altri come si persegue "spontaneamente" "il proprio utile immediato": aveva qualche dubbio sulla validità della sua teoria?

Ti ripeto che teoricamente e praticamente la teoria economica di Von Hayek e della scuola austriaca è un residuato storico.
Keynes e  Nash l'hanno completamente demolita.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: 0xdeadbeef il 09 Giugno 2019, 12:05:03 PM
A Paul e Baylam
Voglio premettere che la mia ammirazione per Von Hayek (come del resto quella per Nietzsche) non è
l'ammirazione per il "creatore"; per il "maitre a penser" che fonda un modo di pensare cui gli
altri vanno dietro o si adeguano. Ma è l'ammirazione verso l'"interprete" del proprio tempo, come
colui che più di ogni altro sa "guardare in profondità" e mettere a nudo ciò che il proprio tempo
pensa (ma questo vale un pò per tutti i pensatori).
Non sono d'accordo che lo "spontaneismo" sia un concetto solo economico. Von Hayek su questo punto
è molto chiaro: ogni entità collettiva nasce come idea degli individui che compongono quella
collettività. Quindi di "reale" ci sono solo gli individui (come non vederci quel concetto che parte
da Cartesio, passa per Locke e Hume - e pure per Kant -, ed arriva dritto fino al liberalismo
politicamente inteso?).
E se ogni entità collettiva nasce come idea degli individui che compongono quella collettività,
argomenta Von Hayek, allora è solo dalla relazione, dall'interscambio fra gli individui, che nasce
l'entità collettiva (qui è evidentissima la radice filosofica dell'attuale "contrattualismo", cioè
dell'idea che ogni cosa sia risolvibile con un rapporto di tipo contrattuale fra individui intesi
come "parti contraenti private").
A me sembra evidentissimo come tutto questo rappresenti una specie di "legittimazione filosofica"
di quel concetto economico che, originariamente, ebbe origine fra i Fisiocratici francesi ("laissez
faire, laissez passer"), e cui nemmeno il Liberalismo inglese classico sepper dare tanta radicalità
e coerenza.
Quindi, se questi concetti sono derubricabili a mera economia io sono bello, ricco e famoso...
E questi concetti "incontrano" il discorso che cercavo di fare sull'oblio del fine proprio sulla
innaturalità e anzi dannosità, dice Von Hayek, di porsi "costruttivamente" un progetto.
Come le api non hanno bisogno di alcuna "mente" per edificare strutture molto complesse, così
gli uomini, continua Von Hayek, devono affidarsi ai loro atti intenzionali immediati (cioè
perseguire il proprio utile immediato), perchè le conseguenze inintenzionali (cioè non progettate)
costituiranno necessariamente il miglior "sistema" possibile (come già Marx con il "valore" come
"valore-lavoro" edifica un intero sistema filosofico/politico, così Von Hayek arriva a queste
conclusioni filosofiche dalla considerazione del "valore" come valore di scambio).
Sul fatto, Baylam, che Von Hayek sia stato "demolito" da Keynes e Nash permettimi di sorridere...
Giusto adesso si sta parlando di "sforamenti" del rapporto deficit/PIL da parte del nostro
governo e della contrarietà dell'Europa o mi sbaglio?
Ma non vorrei con questo iniziare un discorso sull'attualità economica...
saluti
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: baylham il 09 Giugno 2019, 15:38:49 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 09 Giugno 2019, 12:05:03 PM
Come le api non hanno bisogno di alcuna "mente" per edificare strutture molto complesse, così
gli uomini, continua Von Hayek, devono affidarsi ai loro atti intenzionali immediati (cioè
perseguire il proprio utile immediato), perchè le conseguenze inintenzionali (cioè non progettate)
costituiranno necessariamente il miglior "sistema" possibile (come già Marx con il "valore" come
"valore-lavoro" edifica un intero sistema filosofico/politico, così Von Hayek arriva a queste
conclusioni filosofiche dalla considerazione del "valore" come valore di scambio).
Sul fatto, Baylam, che Von Hayek sia stato "demolito" da Keynes e Nash permettimi di sorridere...

Keynes e Nash hanno demolito rispettivamente la tesi sostenuta da Von Hayek che il mercato e la concorrenza (non cooperazione) costituiscano il "migliore "sistema" possibile" di relazioni.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: 0xdeadbeef il 09 Giugno 2019, 15:55:58 PM
A Baylam
Anche se fossi parzialmente d'accordo, non mi pare proprio che la società se ne sia accorta...
E del resto già P.Sraffa mi pare avesse più o meno "demolito" la teoria dell'equilibrio perfetto
dei mercati senza che nessuno (tranne, per assurdo che possa sembrare, P.Samuelson) se ne sia
accorto.
E allora diciamo, riprendendo anche ciò che diceva l'amico Paul, che la teoria di Von Hayek,
come del resto quella di Samuelson, è "funzionale" al potere costituito, il quale non fa altro
che..."attendere che passi la moda". E nel frattempo, complice il "sistema", gettare cenere
sul fuoco (o annacquare il vino, se si preferisce); i modi non gli mancano di certo...
Insomma, dalla "spontaneità" hayekiana (che, oltre l'aspetto meramente economico, è il concetto
che in questa discussione mi interessa) emerge necessariamente il più forte.
E questo, a chi è più forte, non può che stare bene, non trovi?
saluti
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: paul11 il 09 Giugno 2019, 21:35:41 PM
ciao Mauro(Oxdeadbeaf),
Stai sbagliando i paragoni giustificativi e argomentativi.
Un Von Hayek e il suo pensiero è potuto assurgere a giustificazione(non certo causazione) di una ideologia imperante, grazie al pensiero moderno applicato alla tecnica.
Il pensiero moderno ha sbagliato a parametrarsi su quello scientifico, che ha conseguentemente e storicamente comportato la "morte della filosofia. Se il pensiero empirista nasce denunciando "il sonno dogmatico" della metafisica, di fatto si è consegnato al dominio scientifico, ben più potente nella pratica e ben meno perspicace del pensiero filosofico.

Quale è la definizione di"spontaneismo": a quale dominio appartiene? E' atto istintivo o atto meditato? Una contrattazione a tuo parere è un atto calcolato, meditato oppure istintivo?
Di quale spontaneità si tratta?

In termini squisitamente filosofici, non confondere il soggettivismo con l'individualismo.

Una comunità non nasce per l'economia, ma per identità collettiva,Chi pensa che sia economico il modo per cui è nata la comunità, sbaglia l'origine identifcativa (prima parentale, poi per tribù o clan...) con le necessità pratiche di difesa e cooperazione interna.
Un ape non si chiede il perché il destino lo ha voluto fuco o regina: l'uomo sì.

In filosofia la modernità razionalista del cogitans cartesiano, passando per l'io penso kantiano e arrivando all'io trascendentale fenomenologico, non ha nulla a che fare con la pseudo dottrina spontaneista di Hayek.

L'errore di Marx è sottovalutare la coscienza umana sopravvalutando il materialismo storico, e di fatto ponendosi più come economista che filosofo, sullo stessso piano di Hayek: uguale e contrario e quindi entrambi errati.
Infatti non sono il fisicalismo, il materialismo, il naturalismo le alternative a Von Hayek

Hayek è un ideologo che ritenendo la libertà negativa (libertà DA .) essenziale e negando la libertà positiva ( libertà PER.) ha postulato ,contro il Welfae State, contro la pianificazione economica del sistema comunista,   infine ritenendo il liberismo economico  uguale al liberalismo politico.Questa è ideologia, con nessuna profondità di pensiero filosofico.
Il soggetto è un io come dubbio, come pensiero, come psicologia, come conoscenza intenzionale, dove al centro vi è una coscienza non riducibile ad uno spontaneismo che non c'è nemmno nello scambio economico.
Il principo edonistico, non è l'io filosofico, l'utilità non è etica/morale. Quindi lo spontanesimo si colloca come pensiero nettamente di "destra" politica, mettendo in contraddizione il pensiero comunista materialista storico, perchè di identica origine, pur su mezzi diversi(l'uno parla di una sponateità egoistica, l'altro di cooperazione), e con effetti uguali.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: Ipazia il 10 Giugno 2019, 13:10:18 PM
Citazione di: paul11 il 09 Giugno 2019, 21:35:41 PM
L'errore di Marx è sottovalutare la coscienza umana sopravvalutando il materialismo storico, e di fatto ponendosi più come economista che filosofo, sullo stessso piano di Hayek: uguale e contrario e quindi entrambi errati.
Infatti non sono il fisicalismo, il materialismo, il naturalismo le alternative a Von Hayek

L'errore di paul11 è conoscere approssimativamente il pensiero di Marx colmando il non conosciuto con i cliches  di area teista e capitalista.

Marx nasce come filosofo. Il suo umanesimo filosofico è chiarissimo laddove afferma che l'economicismo capitalistico ha ridotto l'umano al bestiale (le gozzoviglie) e l'umano (il lavoro) al bestiale (sfruttamento). La sua filosofia toglie la parrucca ai massimosistemisti e scopre la prassi, com'è nell'archè della filosofia dal conosci te stesso al mito della caverna.

L'approdo di Marx all'economia avviene attraverso l'ermeneutica storica, depurata dai paludamenti ideologici con cui si copre, mistificandolo, il vero motore della storia consistente nell'affrancamento dal lavoro delle caste dei sacerdoti e degli aristocratici, spesso convergenti nell'unica figura del capo supremo deificato. Lavorando filosoficamente sui processi storici di mistificazione della realtà sociale, sui processi di reificazione dei valori e disvalori umani in processi apparentemente "oggettivi", arriva finalmente ad occuparsi dell'economia politica dominante della sua epoca - che è pure, mutate le forme ma non la sostanza, la nostra.

In definitiva il vituperato economicismo di Marx si riduce alla critica più spietata che dell'economicismo sia mai stata fatta. Il superamento del quale non può avvenire che per via politico sociale realizzando alfine una società in cui non sia l'economia, ovvero i suoi padroni, a determinare i destini umani.

Dargli dell'economicista non può essere peggiore abbaglio del pensiero, insieme alla negazione del valore ancora immanente della sua filosofia. Forse si illudeva, sulla scia del positivismo, un po' troppo sulle magnifiche e progressive sorti dell'umanità, ma non si e mai illuso che il loro conseguimento avvenisse per via economicistica visto che ne aveva demolito tutti i totem. Inclusi quelli a cui ci si inchinano i contemporanei nostri.



Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: InVerno il 10 Giugno 2019, 13:26:40 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 09 Giugno 2019, 15:55:58 PM
A Baylam
Anche se fossi parzialmente d'accordo, non mi pare proprio che la società se ne sia accorta...
E del resto già P.Sraffa mi pare avesse più o meno "demolito" la teoria dell'equilibrio perfetto
dei mercati senza che nessuno (tranne, per assurdo che possa sembrare, P.Samuelson) se ne sia
accorto.
E allora diciamo, riprendendo anche ciò che diceva l'amico Paul, che la teoria di Von Hayek,
come del resto quella di Samuelson, è "funzionale" al potere costituito, il quale non fa altro
che..."attendere che passi la moda". E nel frattempo, complice il "sistema", gettare cenere
sul fuoco (o annacquare il vino, se si preferisce); i modi non gli mancano di certo...
Insomma, dalla "spontaneità" hayekiana (che, oltre l'aspetto meramente economico, è il concetto
che in questa discussione mi interessa) emerge necessariamente il più forte.
E questo, a chi è più forte, non può che stare bene, non trovi?
saluti
Secondo me confondi la vacuità della sinistra "fukuyamista", quella che non concepisce un alternativa al vigente ordine economico e sociale, con l'effettivo attechimento di queste teorie economiche perlomeno in Europa. Una volta mi è capitato di prendere in mano un libro di Rothbard, chiamato "L'etica della libertà" (sic!) dove lo stesso proponeva il diritto dei genitori di lasciar morire di fame i bambini in esubero dal mercato del lavoro, o in alternativa di creare un mercato di bambini, dove poterli vendere al miglior offerente. Siccome le idee di questo criminale del pensiero non mi paiono applicate (sebbene qualcuno vorrà sostenere che con l'utero in affitto ci andiamo pericolosamente vicino) direi che c'è ancora una certa distanza da percorrere. Fukuyama al contrario mi pare esageratamente più influente sul pensiero, la sua idea di "fine della storia" mi pare largamente abbracciata da tutti e pertinente al tuo topic. Chi oggi saprebbe avvocare un alternativa al mercato e alla democrazia parlamentare? Ma se anche solo proponi la gente schizza sulla sedia e ti tira i coltelli, questo è il "miglior mondo possibile" e infatti la sinistra è scomparsa perchè tenta di conservare lo status post bellico anzichè progredire, rendendosi completamente inutile.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: 0xdeadbeef il 11 Giugno 2019, 14:34:31 PM
A Paul
Francamente non ho capito dove avrei sbabliato i paragoni giustificativi e argomentativi...
Ho detto innanzitutto che a parer mio Von Hayek interpreta e "spiega" come gli uomini del suo
tempo, quindi del nostro, pensano.
E gli uomini del suo e del nostro tempo pensano essenzialmente come dei Sofisti: se non c'è la
"radice soprannaturale", la natura dice che è giusto che il lupo mangi la pecora...
Lo "spontaneismo" appartiene a questo dominio, cioè ad un dominio nel quale oggi si è rinunciato
a dire un giusto diverso dal giusto animale.
Se un giorno, parafrasando Severino, la "radice soprannaturale" dovesse ri-prendere il sopravvento,
allora è di un altro spontaneismo che dovremmo parlare (lo spontaneismo in definitiva non appartiene
a nessun dominio, ma è "ciò che è").
Non ho affermato che è lo spontaneismo "in sé" a derivare dal "cogito" cartesiano, ma che lo è il
concetto per cui l'entità collettiva non possiede una vera e propria esistenza, ma che "esiste"
solo come idea degli individui che la pensano, e che secondo Von Hayek sono i soli a possedere
"realtà".
E'dall'interscambio fra individui liberi "da" (come giustamente noti), cioè liberi di perseguire
il proprio utile immediato senza i "lacci e lacciuoli" costituiti da una progettualità che crede
erronenamente di "costruire", cioè di darsi uno scopo futuro, che nascono le entità collettive.
Quindi lo spontaneismo non come a-priori, ma come postulato che Von Hayek re-inserisce nel discorso
a seguito della teoria economica per cui il valore di un bene è il valore che a quel bene attribuiscono
gli attori dello scambio economico.
Dicevo, come Marx costruisce il suo "sistema" proprio a partire dalla considerazione del valore come
valore-lavoro, così Von Hayek arriva alla teorizzazione dello "spontaneismo" a seguito di una tesi
meramente economica. Se, infatti, il valore di un bene è il valore che a quel bene attribuiscono
gli attori dello scambio economico, allora il valore di un bene non solo non è in alcun modo
prevedibile (prima dello scambio, ovviamente), ma non è nemmeno bene lo sia, perchè la situazione
ottimale di scambio la si ottiene soltanto al momento dello scambio (qui c'è la radice di fondamentali
teorie economiche moderne, quali l'"equilibrio perfetto" o la teoria dei prezzi).
Ora, ciò che io credo è che si possa negare alla radice tutta l'impalcatura hayekiana (e naturalmente
non lo si può fare senza negarne alla radice il sofismo), ma misconoscerne la grandezza no, questo
non lo trovo onesto.
saluti
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: 0xdeadbeef il 11 Giugno 2019, 18:26:15 PM
Citazione di: InVerno il 10 Giugno 2019, 13:26:40 PMSecondo me confondi la vacuità della sinistra "fukuyamista", quella che non concepisce un alternativa al vigente ordine economico e sociale, con l'effettivo attechimento di queste teorie economiche perlomeno in Europa.
A Inverno
Chiariamo che mia intenzione non è certo fare l'apologia del pensiero di Von Hayek o del "mercatismo"
attuale (di cui Von Hayek è a parer mio padre indiscutibile).
Mia intenzione è quella di fare una "descrizione" del pensiero di questo geniale filosofo/economista
(e magari di coglierne aspetti che lo possano connettere con gli argomenti che mi ero proposto di
trattare in questa discussione - mi sembra evidente che nello "spontaneismo" il porsi uno scopo, o
la progettualità in genere, viene visto in maniera negativa, mentre viene esaltato l'attimo presente).
Premesso questo, il pensiero di Von Hayek presenta diversi e fondamentali aspetti che sono criticabili
(ne accennavo giusto uno, il sofismo, in risposta all'amico Paul). Però, e trovo sia indispensabile
rendersene conto, il "sistema hayekiano" ha una logica ed una coerenza da far paura, perchè nei fatti
risulta essere il punto di arrivo di processi e dinamiche secolari.
Ora, non ho capito cosa intendi quando dici che confondo la "sinistra fukuyamista" (bell'aggettivazione,
probabilmente sinomimo di "renziana"...) con l'effettivo attecchimento di queste teorie...
Che queste teorie abbiano attecchito mi pare lapalissiano. Mi sembra che sia sorta una certa resistenza
ad esse nel "sovranismo", che però non ha la benchè più pallida idea del "mostro" che sta sfidando (certo
che pensare a Salvini, alla Le Pen o ad Orban che culturalmente cercano una strada alternativa a Von Hayek...)
Quanto alla "sinistra", essa non esiste più per il semplice fatto che, accettando i presupposti di quelle
teorie, se ne accettano anche le conseguenze (il "mercato", hayekianamente inteso, rimuove qualunque
ostacolo al suo dipanarsi "spontaneo").
saluti
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: paul11 il 12 Giugno 2019, 13:47:29 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 11 Giugno 2019, 14:34:31 PM
A Paul
Francamente non ho capito dove avrei sbabliato i paragoni giustificativi e argomentativi...
Ho detto innanzitutto che a parer mio Von Hayek interpreta e "spiega" come gli uomini del suo
tempo, quindi del nostro, pensano.
E gli uomini del suo e del nostro tempo pensano essenzialmente come dei Sofisti: se non c'è la
"radice soprannaturale", la natura dice che è giusto che il lupo mangi la pecora...
Lo "spontaneismo" appartiene a questo dominio, cioè ad un dominio nel quale oggi si è rinunciato
a dire un giusto diverso dal giusto animale.
Se un giorno, parafrasando Severino, la "radice soprannaturale" dovesse ri-prendere il sopravvento,
allora è di un altro spontaneismo che dovremmo parlare (lo spontaneismo in definitiva non appartiene
a nessun dominio, ma è "ciò che è").
Non ho affermato che è lo spontaneismo "in sé" a derivare dal "cogito" cartesiano, ma che lo è il
concetto per cui l'entità collettiva non possiede una vera e propria esistenza, ma che "esiste"
solo come idea degli individui che la pensano, e che secondo Von Hayek sono i soli a possedere
"realtà".
E'dall'interscambio fra individui liberi "da" (come giustamente noti), cioè liberi di perseguire
il proprio utile immediato senza i "lacci e lacciuoli" costituiti da una progettualità che crede
erronenamente di "costruire", cioè di darsi uno scopo futuro, che nascono le entità collettive.
Quindi lo spontaneismo non come a-priori, ma come postulato che Von Hayek re-inserisce nel discorso
a seguito della teoria economica per cui il valore di un bene è il valore che a quel bene attribuiscono
gli attori dello scambio economico.
Dicevo, come Marx costruisce il suo "sistema" proprio a partire dalla considerazione del valore come
valore-lavoro, così Von Hayek arriva alla teorizzazione dello "spontaneismo" a seguito di una tesi
meramente economica. Se, infatti, il valore di un bene è il valore che a quel bene attribuiscono
gli attori dello scambio economico, allora il valore di un bene non solo non è in alcun modo
prevedibile (prima dello scambio, ovviamente), ma non è nemmeno bene lo sia, perchè la situazione
ottimale di scambio la si ottiene soltanto al momento dello scambio (qui c'è la radice di fondamentali
teorie economiche moderne, quali l'"equilibrio perfetto" o la teoria dei prezzi).
Ora, ciò che io credo è che si possa negare alla radice tutta l'impalcatura hayekiana (e naturalmente
non lo si può fare senza negarne alla radice il sofismo), ma misconoscerne la grandezza no, questo
non lo trovo onesto.
saluti
ciao Mauro (Oxdeadbeaf)
avresti sbagliato a paragonare Von Hayek ai filosofi, non è un uomo di cultura, è un ideologo dei poteri forti, un giustificatore che più avanti spiego.
Non esiste tanto il concetto di spontaneismo che utilizza ambiguamente Von Hayek, esiste l'innatismo e/o istinto.
Von Hayek fa l'operazione ambigua ideologica, di portare un concetto naturale dentro le organizzazioni umane che sono culturali.

Tutto nasce dal naturalismo dottrinario della teoria dell'evoluzione di Darwin, interpretata e strumentalizzata ideologicamente dall'estrema destra politica .La sinistra storica che si illuse di scegliere anch'essa la strada del naturalismo ai fini comunisti ha perso storicamente già nella fase teorica, nell'interpretazione originaria del concetto soggettività (concetto moderno filosofico)- individuo(concetto sociologico)-individualismo(concetto economico),, etica (nell'ambiguissimo concetto naturalistico).
La prassi storica ha dato ragione ai poteri"forti" e Von Hayek più che costruire ex-nihilo una elaborazione argomentativa, non ha fatto altro che suffragare e giustificare l'interpretazione di spontaneismo=individualismo. Di un Von Hayek, i poteri forti, avrebbero anche potuto farne a meno, ma è stato il periodo storico del keynesianesimo (più stato ,meno privato) e delle rivendicazioni sociali   civili con il comunismo in Russia, a chiamare in causa  il "megafono"Von Hayek.

Il giusnaturalismo(diritto di natura) finisce con lo storicismo di marca hegeliana, perchè nasce il concetto di stato politico e non più  di stato contrattuale.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: Ipazia il 12 Giugno 2019, 15:28:56 PM
Citazione di: paul11 il 12 Giugno 2019, 13:47:29 PM
Tutto nasce dal naturalismo dottrinario della teoria dell'evoluzione di Darwin, interpretata e strumentalizzata ideologicamente dall'estrema destra politica .

Fin qui ci siamo. Tutta la bagarre egoismo-altruismo si gioca qui e non a caso si fa pesare la spada di Brenno del padrone delle ferriere sul piatto teorico dell'egoismo.

Citazione
La sinistra storica che si illuse di scegliere anch'essa la strada del naturalismo ai fini comunisti ha perso storicamente già nella fase teorica, nell'interpretazione originaria del concetto soggettività (concetto moderno filosofico)- individuo(concetto sociologico)-individualismo(concetto economico),, etica (nell'ambiguissimo concetto naturalistico).

Qui invece siamo nella serie: cambiando i fattori il prodotto non cambia. E rimane comunque sbajato. Perchè la sinistra marxista ha adottato un'unica categoria concettuale che è quella del materialismo storico, che è filosofico-sociologico-economico nelle ricadute teoriche, ma non nei fondamenti che sono storico-fenomenologici. Nei quali bisogni e desideri giocano un ruolo teoreticamente acquisibile, ma non inscatolabile nella classificazione accademica a compartimenti stagni da te posta. Quanto all'etica della sinistra comunista, essa si concentra sul concetto assai poco naturalistico della "coscienza di classe", del tutto ignoto a mamma Natura.

Che poi sul piano pratico quella sinistra abbia perso è un dato "à la guerre comme à la guerre". Una guerra ancora in corso, ben lungi dall'aver decretato la fine capitalistica della storia.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: paul11 il 12 Giugno 2019, 18:51:37 PM
Citazione di: Ipazia il 12 Giugno 2019, 15:28:56 PM
Citazione di: paul11 il 12 Giugno 2019, 13:47:29 PM
Tutto nasce dal naturalismo dottrinario della teoria dell'evoluzione di Darwin, interpretata e strumentalizzata ideologicamente dall'estrema destra politica .

Fin qui ci siamo. Tutta la bagarre egoismo-altruismo si gioca qui e non a caso si fa pesare la spada di Brenno del padrone delle ferriere sul piatto teorico dell'egoismo.

Citazione
La sinistra storica che si illuse di scegliere anch'essa la strada del naturalismo ai fini comunisti ha perso storicamente già nella fase teorica, nell'interpretazione originaria del concetto soggettività (concetto moderno filosofico)- individuo(concetto sociologico)-individualismo(concetto economico),, etica (nell'ambiguissimo concetto naturalistico).

Qui invece siamo nella serie: cambiando i fattori il prodotto non cambia. E rimane comunque sbajato. Perchè la sinistra marxista ha adottato un'unica categoria concettuale che è quella del materialismo storico, che è filosofico-sociologico-economico nelle ricadute teoriche, ma non nei fondamenti che sono storico-fenomenologici. Nei quali bisogni e desideri giocano un ruolo teoreticamente acquisibile, ma non inscatolabile nella classificazione accademica a compartimenti stagni da te posta. Quanto all'etica della sinistra comunista, essa si concentra sul concetto assai poco naturalistico della "coscienza di classe", del tutto ignoto a mamma Natura.

Che poi sul piano pratico quella sinistra abbia perso è un dato "à la guerre comme à la guerre". Una guerra ancora in corso, ben lungi dall'aver decretato la fine capitalistica della storia.
Quando si potrà cedere il passo dall'apologia comunista a una seria riflessione di una sinistra sia rivoluzionaria che riformista pragmatica, entrambe fallite, e di questo bisogna seriamente farsene una ragione, allora forse si sarà pronti a cercare di capire dove hanno sbagliato le seguenti persone:
Marx- Engels- Kautsky- Lenin – Stalin.
Ricorderei che il pensiero di Engels è più naturalismo che materialismo storico, lo dimostra il famoso scritto :" Anti- Duhring"

E Vob Hayek ha vinto,come megafono dei poteri forti, rispetto ai concetti comunisti.,
O è sbagliata l'analisi sull'uomo (natura e cultura),  e/o è sbagliata l'analisi dei pensatori comunisti.

Essendo il sottoscritto di sinistra, mi interessa eccome capire come, dove, chi ha interpretato "male" e costruito un pensiero "forte", perchè ha avuto il comunismo apici di forza sociale . Ma alla lunga invece di finre il capitalismo in socialismo è finito il comunismo, dimostrando il capitalismo capacità adattive superiori al pensiero comunista.
Si tratta seriamente di capire gli errori e se possibile recuperare qualcosa del pensiero socialcomunista. o almeno del pensiero sociale.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: odradek il 12 Giugno 2019, 19:38:00 PM
paul11:
Quando si potrà cedere il passo dall'apologia comunista a una seria riflessione di una sinistra sia rivoluzionaria che riformista pragmatica, entrambe fallite,
e di questo bisogna seriamente farsene una ragione, allora forse si sarà pronti a cercare di capire dove hanno sbagliato le seguenti persone:
Marx- Engels- Kautsky- Lenin – Stalin.

o:

1. sinistra pragmatica fallita
2. sinistra rivoluzionaria fallita

poi, derubricando stalin dalla categoria dei filosofi per ricollocarlo in quella dei criminali contro l'umanità e inserendo Kautsky in quella del wikipediabile in futuro (e non wikipediabile per risposta rapida tamponativa, la qual cosa si traduce in linguaggio odradekiano con : "mai sentito nominare in vita mia ma se ne avrò il tempo ci darò una occhiata") abbiamo inoltre che

3. Marx ed Engels han sbagliato.

su che basi teoriche puoi ancora definirti di sinistra dati i presupposti numerati ?

paul11:
Essendo il sottoscritto di sinistra, mi interessa eccome capire come, dove, chi ha interpretato "male" e costruito un pensiero "forte"

o:
prima dici che i teorici han sbagliato poi adesso dici che sono stati male interpretati,
e non si capisce il punto che vuoi controbattere o mantenere.

paul11:
Ma alla lunga invece di finre il capitalismo in socialismo è finito il comunismo, dimostrando il capitalismo capacità adattive superiori al pensiero comunista.

o:
Ancora, il capitalismo è per natura vincente (ha dimostrato capacità adattative superiori al pensiero comunista), quindi il pensiero comunista è per natura perdente, e sto seguendo le tue notazioni.
Ora, quale persona porrebbe fede in un sistema che hai definito naturalmente e necessariamente sbagliato e perdente ? (sto sempre seguendo le tue conclusioni, tutta farina del tuo sacco, non mia).

Ti chiedevi prima perchè hanno fallito e adesso ti sei dato la risposta, che dovrebbe valere anche per la tua maniera di essere di sinistra, che magari potrebbe anche essere uno dei motivi per cui la sinistra è in queste condizioni; dato che  sbaglia Marx potresti sbagliare pure tu no? od io certo, ma io sono abituato a sbagliare.

paul11:
Si tratta seriamente di capire gli errori e se possibile recuperare qualcosa del pensiero socialcomunista. o almeno del pensiero sociale.

o:
non servirebbe a nulla perchè nel frattempo son cambiate le condizioni sociali e quindi capire gli errori del passato si riduce solo ad un esercizio storico e non politico e nemmeno programmatico.

p.s.: incidentalmente si fa notare che applichi categorie naturalistiche a tematiche sociali, compiendo lo stesso errore dei darwinisti sociali. Lo fai quando dici che il capitalismo ha capacità adattative superiori.
Quindi sei in pieno sociodarwinismo, magari a tua insaputa ma ci sei.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: paul11 il 12 Giugno 2019, 21:33:56 PM
Citazione di: odradek il 12 Giugno 2019, 19:38:00 PM
paul11:
Quando si potrà cedere il passo dall'apologia comunista a una seria riflessione di una sinistra sia rivoluzionaria che riformista pragmatica, entrambe fallite,
e di questo bisogna seriamente farsene una ragione, allora forse si sarà pronti a cercare di capire dove hanno sbagliato le seguenti persone:
Marx- Engels- Kautsky- Lenin – Stalin.

o:

1. sinistra pragmatica fallita
2. sinistra rivoluzionaria fallita

poi, derubricando stalin dalla categoria dei filosofi per ricollocarlo in quella dei criminali contro l'umanità e inserendo Kautsky in quella del wikipediabile in futuro (e non wikipediabile per risposta rapida tamponativa, la qual cosa si traduce in linguaggio odradekiano con : "mai sentito nominare in vita mia ma se ne avrò il tempo ci darò una occhiata") abbiamo inoltre che

3. Marx ed Engels han sbagliato.

su che basi teoriche puoi ancora definirti di sinistra dati i presupposti numerati ?

paul11:
Essendo il sottoscritto di sinistra, mi interessa eccome capire come, dove, chi ha interpretato "male" e costruito un pensiero "forte"

o:
prima dici che i teorici han sbagliato poi adesso dici che sono stati male interpretati,
e non si capisce il punto che vuoi controbattere o mantenere.

paul11:
Ma alla lunga invece di finre il capitalismo in socialismo è finito il comunismo, dimostrando il capitalismo capacità adattive superiori al pensiero comunista.

o:
Ancora, il capitalismo è per natura vincente (ha dimostrato capacità adattative superiori al pensiero comunista), quindi il pensiero comunista è per natura perdente, e sto seguendo le tue notazioni.
Ora, quale persona porrebbe fede in un sistema che hai definito naturalmente e necessariamente sbagliato e perdente ? (sto sempre seguendo le tue conclusioni, tutta farina del tuo sacco, non mia).

Ti chiedevi prima perchè hanno fallito e adesso ti sei dato la risposta, che dovrebbe valere anche per la tua maniera di essere di sinistra, che magari potrebbe anche essere uno dei motivi per cui la sinistra è in queste condizioni; dato che  sbaglia Marx potresti sbagliare pure tu no? od io certo, ma io sono abituato a sbagliare.

paul11:
Si tratta seriamente di capire gli errori e se possibile recuperare qualcosa del pensiero socialcomunista. o almeno del pensiero sociale.

o:
non servirebbe a nulla perchè nel frattempo son cambiate le condizioni sociali e quindi capire gli errori del passato si riduce solo ad un esercizio storico e non politico e nemmeno programmatico.

p.s.: incidentalmente si fa notare che applichi categorie naturalistiche a tematiche sociali, compiendo lo stesso errore dei darwinisti sociali. Lo fai quando dici che il capitalismo ha capacità adattative superiori.
Quindi sei in pieno sociodarwinismo, magari a tua insaputa ma ci sei.
"essere di sinistra" signifca  necessariamente essere  seguaci degli elecati personaggi storici? Con tutto il rispetto per loro, ben inteso.

paul11:
Essendo il sottoscritto di sinistra, mi interessa eccome capire come, dove, chi ha interpretato "male" e costruito un pensiero "forte"

o:
prima dici che i teorici han sbagliato poi adesso dici che sono stati male interpretati,
e non si capisce il punto che vuoi controbattere o mantenere.


chi(fra le personalità elencate ) ha interpretato "male" e costruito un pensiero "forte".


Così è più chiaro? Quel chi è riferito alle personalità che ha hanno costruito il pensiero comunista.E' un pensiero "forte" in quanto ha  comunque trainato milioni di persone e per generazioni.Quindi significa che qualcosa di quel pensiero potrebbe ancora  oggi essere "forte".

La tesi è: se( è condizionale...) Von Hayek da una parte  e il pensiero comunista avessero come matrice comune il pensiero del naturalismo, i concetti di spontaneismo e adattivo, allora  il capitalismo ha avuto capacità di adeguarsi e mutare le strutture, mentre il pensiero comunista non ha avuto la capacità di adeguarsi a questi mutamenti ,perdendo la sua forza attrattiva sul popolo.
Vincente e perdente a mio parere non sono definitivi storicamenteE infatti non li ho utilizzati ,volendo seguire più i concetti natualisti.E' mia convinzione che i valori etico morali come la giustizia sociale non possono tramontare, e la giustizia sociale ,come etica non ha nulla a che fare con il naturalismo.
Quindi i punti forti del pensiero comunista non sono le analisi materialiste e naturaliste, ma la capacità di evocare etiche e morali forti coesive di gruppi sociali.
Arrivo addirittura ad aggiungere che la forza del comunismo e del pensiero sociale in generale è forte quando evoca il pensiero cristiano orginario.


Un pensiero forte se viene dagli abissi umani non ha tempo e neppure spazio, non è storicizzabile.Semmai sono storicizzabili le condizioni umane, le possibilità e i presupposti per far sì che quel pesniero dalla teoria diventi praticabile.

sociodarwinista io ????  ma per favore.........leggi più attentamente .


Seguo semplicemente una discussione sullo spontaneismo di Von Hayek e la mia tesi è che parte o gran parte del pensiero comunista ha le stesse origini ,anche se su finalità opposte.
Lo stesso capitalismo e la storia vengono visti,analizzati, come una "evoluzione", un destino , come se fosse un corpo vivente.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: Ipazia il 13 Giugno 2019, 10:06:17 AM
Citazione di: odradek il 12 Giugno 2019, 19:38:00 PM

paul11:
Si tratta seriamente di capire gli errori e se possibile recuperare qualcosa del pensiero socialcomunista. o almeno del pensiero sociale.

o:
non servirebbe a nulla perchè nel frattempo son cambiate le condizioni sociali e quindi capire gli errori del passato si riduce solo ad un esercizio storico e non politico e nemmeno programmatico.

p.s.: incidentalmente si fa notare che applichi categorie naturalistiche a tematiche sociali, compiendo lo stesso errore dei darwinisti sociali. Lo fai quando dici che il capitalismo ha capacità adattative superiori. Quindi sei in pieno sociodarwinismo, magari a tua insaputa ma ci sei.

Se non lo è l'ideologia lo è il metodo di argomentare. Ed è sul metodo di argomentare che la teoria marxista ha vinto. Ha vinto nell'ermeneutica storica e antropologica che non può prescindere, se vuole avere un barlume di scientificità, dalle condizioni materiali dell'esistenza del contesto studiato. Vincente lo è in maniera sorprendente pure a livello "spirituale", visto che da lì Bergoglio trae i suoi argomenti forti contro l'inumanità capitalistica, mica dal pilatesco "dà a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio" che lascia l'umano nudo e crudo. Non lo aiuta neppure il fondatore vero della sua religione che raccomandava allo schiavo di rispettare il padrone.

Citazione di: Paolo di Tarso"Doveri verso l'autorità – Ognuno sia soggetto alle autorità superiori; poiché non c'è un'autorità che non venga da dio, e quelle che esistono sono costituite da dio. Perciò chi si oppone all'autorità resiste all'ordine stabilito da dio; e coloro che resistono attirano la condanna sopra sé stessi. I magistrati non son di timore per le buone azioni, ma per le cattive. Vuoi tu non aver paura dell'autorità? Diportati bene e riceverai la sua approvazione. Essa è infatti ministra di dio per il tuo bene. Se invece agisci male, temi; non per nulla essa porta la spada: è infatti ministra di dio, esecutrice di giustizia contro chi fa il male. E' necessario, quindi, che siate soggetti, non solo per paura della punizione, ma anche per motivo di coscienza. Per questo dovete anche pagare le imposte: perché sono pubblici funzionari di dio, addetti interamente a tale ufficio. Rendete a tutti quanto è dovuto: a chi l'imposta, l'imposta; a chi la gabella, la gabella; a chi la riverenza, la riverenza; a chi l'onore, l'onore." Paolo di Tarso, lettera ai Romani 13, 1-7

C'è voluto lo spartachismo - altro che naturalismo ! - marxista per ribaltare questa etica tanto cara anche al padrone delle ferriere della finanza, preferibilmente tossica. Eggià, perchè le condizioni sono davvero cambiate e il Palazzo d'Inverno si è diffuso in ogni atomo di plusvalore che popola il Mercato, per cui le vecchie ricette rivoluzionarie non funzionano più, ma dire che all'epoca non funzionarono è quantomeno ingeneroso. Lenin e Mao hanno vinto la loro rivoluzione. Perfino Fidel Castro e Ho Chi Minh, contro una macchina di distruzione capitalistica mica da poco. Stalin ha scavato la fossa alla retorica escatologica del socialismo reale, ma ha vinto pure lui: Stalingrado e la bandiera rossa sul Reichstag in macerie sono mica noccioline della Storia. Hanno perso gli epigoni ma, come diceva Falcone, tutte le cose umane hanno un inizio e una fine. Il socialismo reale è durato appena un po' più della rivoluzione francese, dilazionata da Robespierre alla Comune, che Marx analizzò con grande puntiglio per trovare le ragioni della sconfitta (altro che meccanicismo naturalistico o naturalismo meccanicistico !). Lo fecero anche Lenin e Mao e vinsero la loro  rivoluzione.

Chi invece ha sempre perso è il "rinnegato" Kautsky, dal voto ai crediti della guerra interimperialistica al voto al golpe antipopolare Monti-Napolitano che consegnò una sorprendente bandiera rossa alle camicie verdi (sorpresi loro per primi, ma tutt'altro che spiazzati), fruttificata in un decennio dal 5 al 30% dell'elettorato nazionale. E' quella cultura social-liberista, caporalato subalterno di catene, ad avere sempre perso. Questo dice la storia e conviene farne tesoro perchè dopo Noske c'è sempre un Hitler pronto a raccogliere gli stracci dei compagni caduti, uccisi dal caporale di giornata.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: InVerno il 13 Giugno 2019, 10:35:36 AM
Citazione di: 0xdeadbeef il 11 Giugno 2019, 18:26:15 PM
Citazione di: InVerno il 10 Giugno 2019, 13:26:40 PMSecondo me confondi la vacuità della sinistra "fukuyamista", quella che non concepisce un alternativa al vigente ordine economico e sociale, con l'effettivo attechimento di queste teorie economiche perlomeno in Europa.
A Inverno
Chiariamo che mia intenzione non è certo fare l'apologia del pensiero di Von Hayek o del "mercatismo"
attuale (di cui Von Hayek è a parer mio padre indiscutibile).
Mia intenzione è quella di fare una "descrizione" del pensiero di questo geniale filosofo/economista
(e magari di coglierne aspetti che lo possano connettere con gli argomenti che mi ero proposto di
trattare in questa discussione - mi sembra evidente che nello "spontaneismo" il porsi uno scopo, o
la progettualità in genere, viene visto in maniera negativa, mentre viene esaltato l'attimo presente).
Non ti accusavo di apologie di VonHayek, anche se sarebbe una posizione piuttosto interessante da sostenere, perchè è parecchio rara, proprio per questo non credo alle sue qualità interpretative. Sarà per via della mia ignoranza, ma io trovo sempre elogiatori dello spontaneismo tra broker, speculatori, accoliti della finanza allegra, darwinisti sociali mascherati, conservatori  etc Ma sono davvero questi personaggi quelli che contano? che rendono lapalissiano lo spontaneismo? Io guardo al mondo economico asiatico, Cina, Russia, India.. non vedo nessuna applicazione dello spontaneismo, anzi vedo capitalismo di stato. Guardo al sudamerica...e vedo altro capitalismo di stato.. Guardo agli USA.. e vedo altro capitalismo di stato (con Trump poi, sempre di più).  E' vero in Europa siamo stati più realisti del re (re inteso come gli states) particolarmente finchè ci siamo affidati ai liberisti bavaresi, ma mi pare che  alcune recenti dichiarazioni facciano intendere che presto anche qui si raddrizzerà il tiro (per esempio permettendo gli aiuti di stato). Di che spontaneismo parliamo perciò? Ben inteso considero il tema che hai aperto molto interessante, ma non riesco davvero a incentrarlo sulle frescacce del mercato autoregolato. Mi pare che il problema stia a monte, nel non saper rivoluzionare il presente nei fondamentali, non nelle teorie conservative che esistono sempre esisteranno, e devono essere per forza superate da chi vuole immaginare un futuro oltre alla "fine della storia".
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: 0xdeadbeef il 13 Giugno 2019, 16:57:53 PM
A Paul
Le cose da dire sarebbero così tante che non so da dove cominciare...
Trovo sarebbe sbagliato attribuire a Von Hayek, così, una patente da ideologo senza cercare di capire
come egli svolga il suo discorso con estremo rigore, "marxianamente" direi, partendo appunto dal valore
di un bene economico come valore di scambio (che è teoria di tutto il Marginalismo).
Ma di questo ho già parlato, seppur per sommi capi, naturalmente. Semmai una critica che potremmo fargli
è quella di estendere un concetto economico (in definitiva si tratta della teoria dei prezzi) a quella
che è la sfera della politica; ma questo è un pò il vizio di tutta la modernità, se ben ci pensi (e io
infatti dicevo che Von Hayek descrive la modernità, ne è interprete, la spiega; ne è ovvero "condotto",
non "condottiero").
Il momento dell'"innesto" della teoria di Darwin nello "sguardo" della filosofia anglosassone classica
(operato soprattutto da H.Spencer) è un momento cruciale, ma non trovo sia il momento "in cui tutto nasce".
E' evidente che da quel momento nasce il cosidetto "evoluzionismo" (sociale e non solo), cioè la falsa
teoria per cui il cambiamento è "evoluzione" (cioè è sostanzialmente "progresso"), ma forse più
importanti "momenti" lo avevano preceduto (penso ad Adam Smith come a Hume, se non addirittura ad Ockham).
In parole povere tutto ciò che fece Spencer è di accorgersi che la teoria di Darwin "ci azzeccava" alla
perfezione con la "mano invisibile"...
E questo è un'altro e fondamentale rilievo che potremmo fare a Von Hayek, ovvero che l'"ordine spontaneo"
di cui egli parla non è un ordine "giusto" come lui pretenderebbe che sia, perchè la giustizia con cui
lo ammanta è un "refuso" metafisico che gli viene direttamente dal Reverendo Smith...
Quindi per quel che mi riguarda, ecco, credo sia importante scorgere nel pensiero di Von Hayek, quindi
nel pensiero di tutta la modernità (che, ripeto, pensa esattamente come lui), una radice sofista
che appare evidentissima a chi sappia, almeno in pò, ripercorrere all'indietro la catena segnica che
porta agli attuali significati: l'ordine spontaneo null'altro è se non la legge del più forte.
saluti
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: 0xdeadbeef il 13 Giugno 2019, 19:52:38 PM
Citazione di: paul11 il 12 Giugno 2019, 18:51:37 PME Vob Hayek ha vinto,come megafono dei poteri forti, rispetto ai concetti comunisti.,
O è sbagliata l'analisi sull'uomo (natura e cultura),  e/o è sbagliata l'analisi dei pensatori comunisti.

Essendo il sottoscritto di sinistra, mi interessa eccome capire come, dove, chi ha interpretato "male" e costruito un pensiero "forte", perchè ha avuto il comunismo apici di forza sociale . Ma alla lunga invece di finre il capitalismo in socialismo è finito il comunismo, dimostrando il capitalismo capacità adattive superiori al pensiero comunista.
Si tratta seriamente di capire gli errori e se possibile recuperare qualcosa del pensiero socialcomunista. o almeno del pensiero sociale.


A Paul e Ipazia
Dicevo che l'ordine spontaneo di Von Hayek è, in ultima analisi, la legge del più forte (perchè
questo è se depuriamo il concetto dalle implicazioni metafisiche - delle quali Von Hayek non sembra,
o non vuole, accorgersi).
E del resto questa è l'unica legge che vige fra gli animali, i quali infatti (tanto per ricondurmi
al titolo della discussione) vivono nel presente senza porsi alcuno scopo che non sia l'utile
immediato.
Ora, Ipazia dice giustamente che la coscienza di classe è concetto "del tutto ignoto a Mamma natura".
Ma, mi chiedo, quei pensatori che hanno solo e sempre ricondotto il marxismo a "struttura che determina
la sovrastruttura" (dimenticando allegramente il fondamentale "in ultima istanza), e che lo hanno solo
e sempre qualificato come scienza "dura", che coscienza hanno avuto che vi sono fondamentali parti
del pensiero di Marx che sono "del tutto ignote a Mamma natura"?
In parole povere, l'analisi dei pensatori comunisti è a parer mio sbagliata proprio sul fondamentale
punto del rapporto che lega fra loro struttura economica e sovrastruttura ideologica.
E naturalmente chi sbaglia il primo passo poi necessariamente sbaglia anche tutti gli altri...
Si è sbagliato sull'origine perchè si è accettata (chiaramente "rovesciata") la sintesi idealista,
e si è erroneamente creduto che struttura economica e sovrastruttura ideologica andassero verso una
"reductio ad unum".
L'errore è dunque in radice, e consiste nel non opporre al "naturalismo" (lo chiamo così solo per
comodità, visto che molto ci sarebbe da specificare) di Von Hayek, che si esplicita nello "spontaneo"
prevalere del forte sul debole, un "umanesimo" che, pur considerando l'importanza della struttura
economica, non tralascia quella della sovrastruttura ideologica. Una sovrastruttura, dunque, "umana",
quindi espressione di un uomo che, pur necessariamente vivendo il presente, conosce il passato e si
prefigge scopi futuri; che non può e non deve limitarsi al perseguimento di un utile immediato che,
nella mancanza assoluta di un'etica regolatrice, si risolve necessariamente nell'ordine stabilito
dalla catena alimentare.
saluti
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: Ipazia il 13 Giugno 2019, 20:19:17 PM
La struttura determina la sovrastruttura perchè la storia umana dimostra che è sempre andata così e continua a funzionare così anche oggi che la struttura è diventata, in termini di prevalente valore economico, un'accozzaglia di titoli tossici. Il marxismo non ha sponsorizzato tale dato storico antropologico ma l'ha semplicemente registrato, classificandolo per giunta "preistoria dell'umanità" al pari del modello sociodarwinista che vi si crogiola dentro e che si inventa spontaneità tutt'altro che spontanee (che vanno dalle alabarde alla bomba atomica). Quindi nessuna mitizzazione da parte di Marx della struttura, a differenza dei ministri del culto economico capitalistico.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: 0xdeadbeef il 13 Giugno 2019, 21:31:42 PM
A Ipazia
Forse la mitizzazione non è tanto di Marx (il quale afferma perlomeno un "in ultima istanza" che è
a parere mio tutto da chiarire), ma lo è sicuramente dei pensatori che hanno creduto di, per così
dire, prenderne il testimone.
Non solo, ma che hanno spesso creduto o ad un rigido necessitarismo (i "socialisti") che, sulla
scia proprio dell'evoluzionismo, portasse verso il sol dell'avvenire; o ad un ruolo del "soggetto
storico" che, negando radicalmente la prima ipotesi, portasse verso il medesimo sol dell'avvenire,
ma per mezzo della "rivoluzione".
Eppure proprio la geniale visione di Marx circa il ruolo della struttura economica avrebbe meritato
epigoni migliori (che ci sono anche stati, ma che sono stati ridotti al silenzio dalla "realpolitik").
Sarebbe stato da sviluppare adeguatamente quel concetto di "frattura epistemologica" che L. Althusser
teorizzò, ma che rimase lettera morta. E molte altre cose...
Il "problema" della sinistra, se così vogliamo chiamarlo, è che essa non ha trovato, dopo Marx,
nessun altro grande interprete. E mentre la destra trovava Von Hayek la sinistra si gingillava
con l'"eurocomunismo", il "sessantotto" e la sicurezza di una "superiorità culturale".
Non c'è proprio stata partita...
saluti
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: paul11 il 13 Giugno 2019, 21:33:57 PM
Ciao Mauro(Oxdeadbeaf),
sono d'accordo con Inverno, la successiva evoluzione del liberismo, che non è il superamento dell'ideologia di Von Hayek, ma è stata la prassi, è l'uso che i poteri forti hanno fatto dello Stato,
fregando il pragmatismo riformista parlamentare delle sinistre occidentali.
Come dire, fingiamo di dire che noi vogliamo più mercato e meno stato, ma di fatto usufruiamo di tutti gli aiuti che lostato da alle imprese sul piano del credito agevolato, delle finte crisi aziendali, delle defiscalizzazioni, dell decontribuzioni. Lo Stato del welfare per i poveri si è evoluto pattegiando coni poteri forti sul piano finanziario e indistriale dei grandi gruppi transnazionali a scapito della fase originaria de ldare più servizi (scuola, sanità) alla povera gente.
Sul piano economico quindi e di strategia politica, in realtà i poteri forti sono collusi con lo stato,
ben altro dallo spontaneismo, questo è opportunismo, patteggiando e foraggiando le campagne elettorali .

Il comunismo è la forma immanente di una escatologia religiosa/spirituale,per questo a suo tempo lo stesso Severino lo annoverava ,insieme al cristianesimo come ultimi baluardi contro la tecnica. Perche danno senso alla storia, essendo interno al loro pensiero un "progetto".Il cristianesimo con una trascendenza, il comunismo con la dittatura proletaria e infine la fine dello stesso stato.
Il liberismo non ha un progetto, si limita all'antitesi,Se il materialismo storico scopre lo schiavo, il plebeo, il servo della gleba, il proletario e li unisce dal filo storico, dall'altra i Von Hayek dicono che se c'è stato un padrone, un patrizio, un feudatario, un padrone della ferriera industriale o di banche, è perché "è sempre stato così". I rapporti di forza, che da quella bruta passano sul filo dell'astuzia nel cinismo, nel sapere occupare i posti di potere e determinare così la storia, è il "più bravo".
Sì è vero , la modernità intesa come filosofia e cultura, non ha mai impensierito questa argomentazione più pratica e storica che teorica. Non lo ha appoggiata, ma di fatto accettando il tempo immanentistico , non è mai stata contrapposta nemmeno teoricamente,tranne Hegel.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: odradek il 13 Giugno 2019, 23:03:35 PM
O:
A Paul e Ipazia
Dicevo che l'ordine spontaneo di Von Hayek è, in ultima analisi, la legge del più forte
E del resto questa è l'unica legge che vige fra gli animali, i quali infatti (tanto per ricondurmi
al titolo della discussione) vivono nel presente senza porsi alcuno scopo che non sia l'utile
immediato.

o:
il titolo della discussione non ha nulla a che fare con la tua argomentazione principale.
L'argomentazione principale la ricavi dal 3d sull'etica ma siccome non vedevi l'ora di utilzzarla da qualche parte la hai scaricata qui.
Poco male, sapevo che sarebbe successo, ma non immaginavo tutta questa fretta.
Non ti riconduci al titolo della discussione, ti riconduci a quel che inaspettatamente ti ritrovi per le mani da quella discussione.
Un argomento "storto" che puoi utilizzare contro chi l'ha incautamente utilizzato. Quanto bello sarebbe stato si ?
E tanto per cominciare con una gran ignorantata in natura vige la sopravvivenza del più adatto, non quella del più forte è invenzione appunto dei naturalisti fascistoidi, ma guarda che caso.
Forse ti sei lasciato ingannare da quel zanne e sangue, un peccato davvero confondere mediocre ed infima retorica (la mia) con le  leggi naturali.

O:
Ora, Ipazia dice giustamente che la coscienza di classe è concetto "del tutto ignoto a Mamma natura".

o:
no, è perfettamente in natura. Lotta di sopravvivenza intraspecifica.  E' il trionfo della lotta di classe speci come classi;se hai tanta fantasia da immaginare il cinemashow di severino puoi anche immaginare i ceti sociali come classi animali, se puoi immaginare di saltare qua e la da un fotogramma puoi anche farlo con le speci e le classi sociali; se hai la sufficiente elasticità mentale per digerire parmenide e severino che vuoi che sia questo piccolo salto) la natura.
Lotta di cani tra cani, o tra maiali, scegli tu l'immagine che preferisci e lascia perdere Ipazia che non è che debba esser crocifissa per una scivolata che gli scappa ogni tanto.
O:
Ma, mi chiedo, quei pensatori che hanno solo e sempre ricondotto il marxismo a "struttura che determina
la sovrastruttura" (dimenticando allegramente il fondamentale "in ultima istanza), e che lo hanno solo
e sempre qualificato come scienza "dura", che coscienza hanno avuto che vi sono fondamentali parti
del pensiero di Marx che sono "del tutto ignote a Mamma natura"?

o:
ti è piaciuto così tanto quello scivolone che adesso lo ciclostilerai di post in post.
Se quello di Ipazia rimane uno scivolone teorico (dovuto ad affrettatezza dialettica ed all'affetto che prova per il suo cagnolino) il tuo invece è un rimaneggiamento strumentale, come al solito gesuitico (intendendo con gesuitico subdolo negli intenti e nelle argomentazioni)  delle più infime posizione alla Spenceriane.

O:
In parole povere, l'analisi dei pensatori comunisti è a parer mio sbagliata proprio sul fondamentale
punto del rapporto che lega fra loro struttura economica e sovrastruttura ideologica.
E naturalmente chi sbaglia il primo passo poi necessariamente sbaglia anche tutti gli altri...
Si è sbagliato sull'origine perchè si è accettata (chiaramente "rovesciata") la sintesi idealista,
e si è erroneamente creduto che struttura economica e sovrastruttura ideologica andassero verso una
"reductio ad unum".

o:
non si capisce una parola di quanto sopra, niente di niente, sarebbe gradito chiarimento ma sicuramente non arriverà.

O:
L'errore è dunque in radice, e consiste nel non opporre al "naturalismo" (lo chiamo così solo per
comodità, visto che molto ci sarebbe da specificare) di Von Hayek, che si esplicita nello "spontaneo"
prevalere del forte sul debole, un "umanesimo" che, pur considerando l'importanza della struttura
economica, non tralascia quella della sovrastruttura ideologica. Una sovrastruttura, dunque, "umana",
quindi espressione di un uomo che, pur necessariamente vivendo il presente, conosce il passato e si
prefigge scopi futuri; che non può e non deve limitarsi al perseguimento di un utile immediato che,
nella mancanza assoluta di un'etica regolatrice, si risolve necessariamente nell'ordine stabilito
dalla catena alimentare.

o:
per la quarta volta nello stesso ragionamento la solita piccola cosina della legge del più forte, dimostrando ulteriore misconoscenza delle leggi naturale.
La legge del più forte vige tra i porci e gli umani.
Tra gli animali vige la legge della sopravvivenza del più adatto.
Sono sempre esistiti pensatori (li chiamo mestatori di letame nei forum moderati) il cui scopo preciso  è spargere memi nazisti qua e la. Con risultati pietosi.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: 0xdeadbeef il 14 Giugno 2019, 14:56:34 PM
A Paul e InVerno
Giuste le osservazioni che fa l'amico InVerno sulla realtà economica, ma è da tener a mio parere
presente che lo "spontaneismo" non coincide tanto con il "mercato" così come inteso dal
Liberalismo classico (contrasto alla formazione di "trusts"; uguali condizioni di partenza etc.),
ma è piuttosto molto vicino alla mera volontà di potenza.
Ed in effetti a me sembra che tutto il discorso di Von Hayek sia volto all'esaltazione di ciò che
rappresenta il perseguimento dell'utile immediato, e non del rispetto per "regole" che per loro
stessa natura non possono che costituire delle premesse "costruttiviste" (un mercato regolato,
come viene, anzi veniva, predicato dal Liberalismo classico e come viene proposto dalle sinistre
"fukuyamiste" e/o "renziane" non credo abbia molto a che vedere con lo spontaneismo).
Sulla "finzione" (si predica più mercato mentre si razzola con il potere statuale) sarebbe
oltremodo interessante andare a vedere cosa dice l'ideologia "neocon" (sulla scia del pensiero
di L.Strauss), ma ci farebbe forse troppo divagare.
Il comunismo e il liberalismo (tranne quello dei "neocon", che non saprei se poter definire ancora
"liberalismo") condividono, di fondo, la convinzione che l'essere umano sia naturalmente buono.
Come Adam Smith, e con lui tutto il Liberalismo successivo, sosteneva che bastasse lasciar liberi
gli esseri umani di perseguire il proprio utile affinchè il mondo fosse il migliore fra quelli
possibili (concetto ancora presente in Von Hayek), così in Marx lo svilupparsi delle società avrebbe
portato "necessariamente" all'affermazione del "comunismo", cioè di una società anarchica nella quale
il potere sanzionatorio dell'autorità politica sarebbe stato inutile (in quanto nulla vi sarebbe stato
da sanzionare).
Questo, perlomeno, per il "secondo Marx", in quanto per il "primo" (cioè per quello precedente
l'"Ideologia Tedesca") fondamentale sembra essere il ruolo del "soggetto storico" (che tipicamente è
il "partito", cioè un elemento sovrastrutturale).
Sarebbe invero interessante tracciare un parallelo fra "primo" e "secondo" Liberalismo e "primo" e
"secondo" Marx: a parer mio vi sono, nei processi e nelle dinamiche, delle similitudini da non
sottovalutare...
saluti
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: Ipazia il 14 Giugno 2019, 18:12:55 PM
Citazione di: odradek il 13 Giugno 2019, 23:03:35 PM
O:
Ora, Ipazia dice giustamente che la coscienza di classe è concetto "del tutto ignoto a Mamma natura".

o:
no, è perfettamente in natura. Lotta di sopravvivenza intraspecifica.  E' il trionfo della lotta di classe speci come classi;se hai tanta fantasia da immaginare il cinemashow di severino puoi anche immaginare i ceti sociali come classi animali, se puoi immaginare di saltare qua e la da un fotogramma puoi anche farlo con le speci e le classi sociali; se hai la sufficiente elasticità mentale per digerire parmenide e severino che vuoi che sia questo piccolo salto) la natura.
Lotta di cani tra cani, o tra maiali, scegli tu l'immagine che preferisci e lascia perdere Ipazia che non è che debba esser crocifissa per una scivolata che gli scappa ogni tanto.

Mi auguro sia solo uno scivolone parodistico verso il più becero sociodarwinismo (di O, non di o) che assimilerebbe il padrone all'animale più idoneo della zooantropologia. Altrimenti non si spiegherebbe la sviolinata a davintro nella discussione sull'etica e le accuse infamanti di meme nazista e sociodarwinismo contenute nello stesso post alla fine.


CitazioneO:
Ma, mi chiedo, quei pensatori che hanno solo e sempre ricondotto il marxismo a "struttura che determina la sovrastruttura" (dimenticando allegramente il fondamentale "in ultima istanza), e che lo hanno solo e sempre qualificato come scienza "dura", che coscienza hanno avuto che vi sono fondamentali parti
del pensiero di Marx che sono "del tutto ignote a Mamma natura"?

o:
ti è piaciuto così tanto quello scivolone che adesso lo ciclostilerai di post in post.
Se quello di Ipazia rimane uno scivolone teorico (dovuto ad affrettatezza dialettica ed all'affetto che prova per il suo cagnolino) il tuo invece è un rimaneggiamento strumentale, come al solito gesuitico (intendendo con gesuitico subdolo negli intenti e nelle argomentazioni)  delle più infime posizione alla Spenceriane.

L'unico scivolone è quello dei miei cagnoloni che si scomp rotolano sul tappeto dalle risate. Dalla "dialettica della natura" di Engels fino al famigerato diamat lissenko-stalinista vi è stato in effetti una ideologizzazione socialdarwinista della teoria della rivoluzione e della dialettica storica messa in movimento dalla lotta di classe incessante. Tale scivolone è dovuto probabilmente alla semplificazione della dottrina ad  usum vili, poco coerente con la mission comunista e pure con la realtà storica che giustamente l'ha bacchettata fino al dileggio. In tale inaccettabile semplificazione non è  caduto Gramsci e tutta la corrente neomarxista che ha individuato nell'autonomia del politico (coscienza di classe), il grimaldello per decostruire la dominante retorica naturalista sociodarwiniana liberal-liberista.

Gli istituti (privatizzazione del suolo, riduzione in schiavitù di grandi masse umane) su cui si regge l'edificazione classista della società e la risposta dialettica delle classi oppresse non hanno nulla di naturalistico e fin dall'epoca degli antichi numi ci sono volute dose massicce di nomos ideologico per reggere tale asimmetria sociale, e in aggiunta molta tecnoscienza per giustificarla e controllarla. Cosa che ai miei cagnoloni, normati da mamma natura, è stata risparmiata. L'unica alterazione del loro status è la domesticazione, ma il risultato, in termini di do ut des è assai più equilibrato. Tant'è che guardandoli bene negli occhi scodinzolanti, dopo il ritorno dal mio cartellino mi chiedo: ma tra noi chi è schiavo di chi ? E chi lo è di più ?

Non vi è un Marx1 della soggettività e un Marx2 dell'oggettività farlocca. Vi è un Marx che tiene ben distinto l'andamento storicistico oggettivo delle classi e della loro lotta e l'elemento soggettivo della rivoluzione che non ha nulla di deterministico ma richiede intelligenza umana e forza collettiva che nell'epoca di Marx si configurava storicamente nell'organizzazione sociale "partito". Per quanto tale forma appaia superata non mi pare che i partiti-nonpartiti abbiano molta più capacità di incidere sullo "stato di cose presenti"; ma siamo in una fase in cui la lotta di classe l'hanno vinta i padroni (cit. di un loro teorico) - anno zero per gli schiavi e la politica - per cui ogni opzione è possibile. Incluse quelle dello spontaneismo anticapitalistico comportamentale faidatè che in epoca di vacche magre riesce a sfamare le coscienze di una classe atomizzata*.

L'eterno presente ha comunque risvolti diversi dalla forma merce - metafisicamente intesa - in cui si concretizza l'ideologia dominante o spirito dei tempi che pare incombere su tutto e tutti. Vi è pure un'antica matrice epicurea che in sede filosofica è decisamente più pregnante.

*la fissione della classe antagonista è il più grande risultato "marxista" della tecnoscienza economica capitalistica, rifondata sull'automazione intelligente. I padroni Marx l'hanno sempre letto con molta intelligenza e "coscienza di classe" ed anche per questo continuano ad essere padroni.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: odradek il 14 Giugno 2019, 19:17:10 PM
In un post reagivo a dichiarazioni che -secondo me- portano ad ideologie naziste (antisemitismo a parte che il nazismo non era solo quello) ed in un altro mi felicitavo nel leggere un discorso di metodo che non ponesse determinazioni concettuali un tanto al chilo, ma si soffermasse sul metodo e sull'importanza dell'analisi.

Dove uno era zeppo di affermazioni gratuite ingiustificate, subdole ed incorrette l'altro poneva questioni di metodo e si concentrava sul tentativo di riportare il discorso in ambito filosofico.
Non riesco a vedere nessuna correlazione tra i due post.

Uno lo trovo ributtante e l'altro lo trovo perfetto; ho scritto cosa ne penso di entrambi ed ora non riesco a vedere dove esista la correlazione secondo cui dando torto ad uno non potrei esser d'accordo con l'altro.
Parlano di due cose differenti e ho dato giudizi differenti.

E' stato ovviamente "letto" il termine sviolinata, ma non val certo la pena di farne esegesi ed ermeneutica; parla da solo e per se stesso.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: 0xdeadbeef il 14 Giugno 2019, 21:42:32 PM
Citazione di: Ipazia il 14 Giugno 2019, 18:12:55 PMNon vi è un Marx1 della soggettività e un Marx2 dell'oggettività farlocca. Vi è un Marx che tiene ben distinto l'andamento storicistico oggettivo delle classi e della loro lotta e l'elemento soggettivo della rivoluzione che non ha nulla di deterministico ma richiede intelligenza umana e forza collettiva che nell'epoca di Marx si configurava storicamente nell'organizzazione sociale "partito"

A Ipazia
Naturalmente mi riferisco alla celebre "frattura epistemologica", che L.Althusser individua appunto
ne: "L'Ideologia Tedesca".
Credo tu non voglia negare che certo "oggettivismo" (che la tradizione filosofico/politica
attribuisce al "socialismo"), non si coniughi proprio alla perfezione con l'accento posto sul "soggetto
storico" (più di pertinenza del "comunismo").
Naturalmente non c'è bisogno che io ti spieghi come nel periodo successivo a Marx questi aspetti siano
stati al centro di infinite discussioni (culminate nella celebre e "concreta" diatriba fra la "classe"
trotzkista ed il "partito" stalinista).
saluti
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: Ipazia il 15 Giugno 2019, 10:38:50 AM
La "rottura epistemologica" è il passaggio da una concezione storico-filosofica idealistica culminata in Kant ed Hegel alla concezione materialistica della storia che investe tutti gli aspetti della Kultur: politica, religione, arte, letteratura. La contrapposizione non è tra oggettivismo e soggettivismo astratti, philosophisch, ma tra l'individuazione dei soggetti della storia e il loro rapporto con le condizioni oggettive della realtà in cui essi si muovono. Nella sua realizzazione conta non tanto il salto teorico quanto l'incarnazione della teoria nella prassi. In ciò sta la scientificità del passaggio: nell'evoluzione verso un nuovo paradigma del reale antropologico che ha investito, insieme alla "rottura epistemologica" di Darwin, Freud, Einstein, il mondo in cui ancora oggi viviamo.

La vicenda Stalin-Trotskij è più politica che epistemologica. Semmai è nella successiva elaborazione marxista che va cercato l'adeguamento della dottrina alla realtà perchè il metodo marxista solo nel suo continuo relazionarsi coi mutamenti dell'universo antropologico reale può mantenere la sua scientificità, salvandosi dalla fossilizzazione dogmatica della dottrina. Peraltro tale metodologia è intrinseca alla episteme in divenire della concezione materialistica della storia.

Tornando IT: il divenire riscrive incessantemente il futuro che non è quindi più collocabile in un iperuranio costante, soltanto illusoriamente postulabile. La prevedibilità e prefigurabilità del futuro può avvenire solo a partire da un presente conosciuto a fondo ed è sempre limitata nella profondità della nostra capacità visiva epistemica. L'aleatorietà di ogni profezia riconduce l'umano alla solidità (relativa) dell'hic et nunc, teorizzato compiutamente già dalla filosofia epicurea.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: Ipazia il 15 Giugno 2019, 17:12:13 PM
L'altra questione in discussione è l'oblio del fine. Questo dato è più peculiare della nostra epoca rispetto al passato. Fosse la liberazione della città santa, l'evangelizzazione dei selvaggi che non avevano ancora avuto la fortuna di conoscere la Verità o le magnifiche e progressive sorti del progresso tecnoscientifico, gli umani di questa parte del globo hanno sempre avuto un grande fine collettivo a cui votarsi e da cui attendersi un futuro migliore.

In realtà anche la formazione sociale che si è venuta delineando dopo la autoproclamata "fine della storia" un suo fine universale ce l'ha, solo che, proposto nudo e crudo, è impresentabile. Si chiama profitto capitalistico. E' esso che muove la macchina sociale planetaria e noi tutti lo sappiamo, ma ci balocchiamo con surrogati retorici tipo: sviluppo, crescita, investimenti, competenza, meritocrazia, e balle cantanti.

Per cui alla fine non ci resta che l'hic et nunc, sapendo che la nottata non passerà così rapidamente da vedere quello che c'è dopo.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: 0xdeadbeef il 16 Giugno 2019, 08:43:36 AM
A Ipazia
Come certo sai, Althusser non è precisamente un "signor nessuno" nell'ambito degli studi su Marx (del
resto non è nemmeno la verità incarnata, come ovvio). Quindi va perlomeno preso sul serio; anche perchè,
ripeto, comiugare un materialismo evoluzionista "duro", come è nel "Capitale", con il ruolo del "soggetto
storico" non è per nulla agevole, come le infinite discussioni in materia dimostrano.
A parer mio, non si può "far luce" su questo fondamentale aspetto del pensiero di Marx senza far luce su
quel, per certi versi enigmatico, "in ultima istanza".
Sai meglio di me come per troppi degli epigoni successivi la struttura determinasse la sovrastruttura...
e basta.
Ritengo il punto assolutamente dirimente, perchè esso è per me la radice più profonda della crisi
culturale in cui versa la sinistra mondiale.
L'errore concettuale è stato enorme, e drammatico. Si è verificata una "saldatura" fra la predicata
necessità che l'evoluzione storica portasse al "comunismo" e l'idea dell'essere umano come sola
"struttura" materiale. Ciò che ne è risultato è stata l'idea di un essere umano "buono per natura".
Si è ovvero "andati a giocare a casa" della filosofia anglosassone e del suo "braccio" politico: il
Liberalismo. E le conseguenze sono state catastrofiche (anche perchè il Liberalismo, mutato in
Mercatismo, aveva fior di campioni da far scendere in campo - se mi è permessa questa metafora sportiva).
Le cose da dire e da specificare sarebbero tantissime, e più di qualche accenno non è possibile fare.
Per tornare un attimo "in topic", la mia intenzione era quella di descrivere non l'oblio del "finalismo",
ma l'oblio del fine come di qualsiasi progettualità (e il vivere, della società moderna, in un "eterno
presente").
Ora, ciò che io volevo e voglio dire non è che si è obliato il fine "assolutamente"; ma che il fine va
sempre più a coincidere con il mezzo (i soldi che servono a fare altri soldi, come diceva Weber, sono
un esempio perfetto di ciò che intendo dire).
E dunque sì, certamente, nella formazione sociale contemporanea il profitto capitalistico è senz'altro
"fine universale", ma la domanda: "cosa me ne faccio del profitto capitalistico?", la releghiamo nella
metafisica e non ce ne curiamo?
saluti
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: 0xdeadbeef il 16 Giugno 2019, 11:15:43 AM
Citazione di: 0xdeadbeef il 16 Giugno 2019, 08:43:36 AM

L'errore concettuale è stato enorme, e drammatico. Si è verificata una "saldatura" fra la predicata
necessità che l'evoluzione storica portasse al "comunismo" e l'idea dell'essere umano come sola
"struttura" materiale. Ciò che ne è risultato è stata l'idea di un essere umano "buono per natura".

Scusami se mi auto-cito ma questo punto merita qualche parola in più...
Dunque un essere umano "buono per natura", che solo i "lacci e lacciuoli" del potere politico (dal punto
di vista liberal/mercatista) o l'ideologia sovrastrutturale frutto di certi rapporti di produzione (dal punto
di vista pseudo-marxiano) rendono "cattivo".
Per entrambe le ideologie (uso questo termine in senso largo, visto che per me tutto è ideologia) basta
quindi "liberare" questo "buon selvaggio" dalle "incrostazioni sovrastrutturali" che vi si sono depositate
nei millenni, e questo è il compito precipuo della politica (una politica che dunque, da entrambi i punti di
vista, va nel tempo esaurendo il suo compito).
saluti
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: Ipazia il 16 Giugno 2019, 18:47:28 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 16 Giugno 2019, 08:43:36 AM
...E dunque sì, certamente, nella formazione sociale contemporanea il profitto capitalistico è senz'altro "fine universale", ma la domanda: "cosa me ne faccio del profitto capitalistico?", la releghiamo nella metafisica e non ce ne curiamo?
...

Per la quotaparte umana che ci sguazza non è certo metafisica. E sanno ben loro cosa farci di questo "fine" dominante. Per i rimanenti neppure è metafisica, visto che condiziona materialmente le loro vite. Possono decidere che non c'è alcuna alternativa e mettersi a disposizione o decidere che un "fine" diverso è possibile. Ma se lo fanno non è per quella caricatura del marxismo ingenuamente buonista su cui non intendo nemmeno discutere, ma perchè la condizione di sfruttamento inumano collegato al "fine" profitto è superabile verso forme di vita sociale più umane.

Tale superamento non è possibile restando all'interno dello schema capitalistico perchè la legge del profitto/mercato si impone su ogni altra legge che la politica possa decidere di fare per limitare il potere dal Capitale. Cosa peraltro eccezionale perchè il costo stesso della politica (dalla formazione alla propaganda) finisce col selezionare chi governa nelle democrazie liberal-liberiste e non sono certo costoro che porranno vincoli al profitto/mercato. Nel caso fortuito che le urne premiassero qualcuno fuori dal coro ci pensa la potenza di fuoco dell'Economics politico-militare a ripristinare, alla Tacito, la pace.

Quindi resta soltanto la possibilità di un superamento fuori dallo schema capitalistico. Non vi è altra politica non omologata possibile.


Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: 0xdeadbeef il 16 Giugno 2019, 21:00:32 PM
A Ipazia
La domanda: "cosa me ne faccio del profitto capitalistico?" sottintende la domanda circa il fine del
profitto capitalistico; ma tutto lo "sguardo" moderno non si pone quella domanda, perchè non si pone
proprio alcun fine (chi vive, come noi viviamo, solo nel presente non si pone fine alcuno).
In realtà non sanno/sappiamo nemmeno loro/noi cosa farne di questo fine/mezzo. E' noto che ormai la
massa monetaria circolante ammonta a decine di volte il PIL mondiale, per cui la moneta non ha più
nessun aggancio con un eguale valore in merce. I soldi servono ormai, assurdamente, a fare altri soldi,
come acutamente osservava Weber.
Quanto al fatto che la mia sarebbe una "caricatura del marxismo ingenuamente buonista" su cui tu non
intendi nemmeno discutere, ti faccio notare che parlavo non a caso di "epigoni non all'altezza del
maestro", quindi semmai prenditela con loro per aver fatto una caricatura del pensiero originario
di Marx - ma poi una caricatura non "buonista", ma che presuppone un essere umano naturalmente buono,
e non è affatto la stessa cosa (ed in ogni caso, onde evitare di perdere e far perdere del tempo,
se non si intende discutere di un certo argomento è bene dirlo subito e chiaramente).
saluti
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: paul11 il 17 Giugno 2019, 01:08:43 AM
Citazione di: 0xdeadbeef il 16 Giugno 2019, 21:00:32 PM
A Ipazia
La domanda: "cosa me ne faccio del profitto capitalistico?" sottintende la domanda circa il fine del
profitto capitalistico; ma tutto lo "sguardo" moderno non si pone quella domanda, perchè non si pone
proprio alcun fine (chi vive, come noi viviamo, solo nel presente non si pone fine alcuno).
.......

ed è la forza del capitalismo che sguazza in un clima culturale anche permesso filosoficamente dall'ambiguità della fenomenologia, che dice tutto per non dire nulla.
Von Hayek e gli epigoni del marginalismo tedesco si rifanno al pensiero di Adam Smith, come saprai.
La forza di questo pensiero è di non avere premesse sula natura umana, non si pone se sia originariamente "buono"o " cattivo", saranno gli effetti a decidere, le pratiche ciò che le teorie non riescono a predicare,
Il pensiero di Von Hayek, e in fondo di Adam Smith è semplice, banale, come i gesti quotidiani, quindi alla fine son i più veri e reali.
Perchè le azioni socio economiche di milioni di individui sono intenzionali, ma l'effetto aggregato è inintenzionale. Come dire ,tutti agiscono ,ma ogni singolo individuo pensando al solo suo gesto e non sapendo cosa e come altri milioni di individui stanno agendo, il risultato finale è un qualcosa di non voluto, inintenzionale. Qualunque ente economico o politico che cerchi   di governare e sapere predittivamente ciò che milioni di azioni socio economiche, di gesti pratici, stanno producendo è solo probabilità, statistica, dati, che nulla hanno analiticamente a che fare con le singole azioni.
Questo è il pensiero attuale dominante, e gli enti economici e politici, ritarano continuamente le loro predizioni, non le azzeccano. Se l'effetto è inintenzionale, significa che produce un qualcosa che non è governabile, questo è lo spontaneismo di Von Hayek, produce il mutamento. Von Hayek non è un conservatore, è inquadrabile nei liberal ,addirittura progressisti. Von Hayek infatti ritiene che i mutamenti forzando le regole conservatrici, producano sollecitazioni all'intera struttura/sovrastruttura, compreso i capitalisti, qualcuno sparisce ,qualcuno emergerà, perchè il mutamento genera novità. Il fine quindi è il movimento stesso dell'azione intenzionale che produce un effetto inintenzionale che di nuovo produce un mutamento strutturale che nessuno è in grado di predire, per quanto gli strumenti economici con le leggi e statistici mirino a cercare di predirlo.

Questo mutamento strutturale/sovrastrutturale è alla base della contraddizioni marxiste. I mutamenti avrebbero dovuto riempire il proletariato, lasciando nudo il capitalismo. In realtà le strutture sociologiche, l'identifcazione della classe rivoluzionaria con la classe proletaria a sua volta identifcata nell'operaismo ,ha fallito . Il nuovo capitalista che emerge è spesso un vecchio proletario genealogicamente.
Il problema è che non è la struttura economica a determinare la rivoluzione, ma quella coscienza di classe che la classe cosiddetta sfruttata a volte ha ,e spesso no.
Oggi è molto più difficile dei tempi di Marx, costruire una solidarietà di classe, perchè agiscono tali e tante differenze socio economiche, motivazioni, aspettative, cultura, ecc. Oggi emergono molto più le differenze fra uno stessa classe sociale, piuttosto che ciò che potrebbe unirla.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: viator il 17 Giugno 2019, 12:47:47 PM
Salve. Per Paul 11. Perfetto. Il discorso è semplicemente quello dell'illusione del libero arbitrio, la quale vige ed opera lasciandoci credere di possedere un libero arbitrio. Siamo incapaci di distinguere e calibrare la nostra influenza individuale e collettiva dai meccenismi naturali sui quali non possiamo intervenire poichè son quelli che intervengono su di noi avendoci - tra l'altro - generati. Saluti.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: Ipazia il 17 Giugno 2019, 14:18:06 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 16 Giugno 2019, 21:00:32 PM
A Ipazia
La domanda: "cosa me ne faccio del profitto capitalistico?" sottintende la domanda circa il fine del profitto capitalistico; ma tutto lo "sguardo" moderno non si pone quella domanda, perchè non si pone proprio alcun fine (chi vive, come noi viviamo, solo nel presente non si pone fine alcuno).

Allora chiediamoci perchè non si pone alcun fine ? Non puoi rispondere alla domanda da te posta nella discussione con una tautologia che si limita a menare il can per l'aia.

CitazioneIn realtà non sanno/sappiamo nemmeno loro/noi cosa farne di questo fine/mezzo. E' noto che ormai la massa monetaria circolante ammonta a decine di volte il PIL mondiale, per cui la moneta non ha più nessun aggancio con un eguale valore in merce. I soldi servono ormai, assurdamente, a fare altri soldi, come acutamente osservava Weber.

Forse te. Ma il deus ex machina onnipresente Soros sa perfettamente cosa fare di quel fine. E chi non lo annusa nemmeno ha comunque un altro importantissimo fine operante fin dalla notte dei tempi darwiniani: sopravvivere.

CitazioneQuanto al fatto che la mia sarebbe una "caricatura del marxismo ingenuamente buonista" su cui tu non intendi nemmeno discutere, ti faccio notare che parlavo non a caso di "epigoni non all'altezza del maestro", quindi semmai prenditela con loro per aver fatto una caricatura del pensiero originario di Marx - ma poi una caricatura non "buonista", ma che presuppone un essere umano naturalmente buono, e non è affatto la stessa cosa (ed in ogni caso, onde evitare di perdere e far perdere del tempo, se non si intende discutere di un certo argomento è bene dirlo subito e chiaramente).

E ci risiamo con la tautologia di chi non ha capito Marx e neppure gli epigoni a questo punto. Il focus del marxismo e la giustizia, non la bontà. Se per epigoni intendi i buonisti cattocomunisti siamo veramente agli antipodi della visione del mondo marxista e rivoluzionario in genere. Ma di questa questione non parlo qui perchè è OT e qualcuno potrebbe accorgersene, mentre mi interessa discutere di oblio del fine (ho già detto perchè secondo me è obliato) e di eterno presente, su cui c'è ancora molto da dire partendo da Epicuro, visto che siamo tra "filosofi".
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: Ipazia il 18 Giugno 2019, 15:46:37 PM
Avevo già risposto a Paul, ma forse il post è rimasto prigioniero dell'anteprima. Starò più attenta questa volta. Spero non ci sia di mezzo qualche secondo di troppo, nel qual caso dovrò trarre le debite conclusioni. Poco male comunque. L'intervento di Paul11 meritava più cura di quel post perduto.

Citazione di: paul11 il 17 Giugno 2019, 01:08:43 AM
Perchè le azioni socio economiche di milioni di individui sono intenzionali, ma l'effetto aggregato è inintenzionale. Come dire ,tutti agiscono ,ma ogni singolo individuo pensando al solo suo gesto e non sapendo cosa e come altri milioni di individui stanno agendo, il risultato finale è un qualcosa di non voluto, inintenzionale. Qualunque ente economico o politico che cerchi   di governare e sapere predittivamente ciò che milioni di azioni socio economiche, di gesti pratici, stanno producendo è solo probabilità, statistica, dati, che nulla hanno analiticamente a che fare con le singole azioni.
Questo è il pensiero attuale dominante, e gli enti economici e politici, ritarano continuamente le loro predizioni, non le azzeccano. Se l'effetto è inintenzionale, significa che produce un qualcosa che non è governabile, questo è lo spontaneismo di Von Hayek, produce il mutamento. Von Hayek non è un conservatore, è inquadrabile nei liberal ,addirittura progressisti. Von Hayek infatti ritiene che i mutamenti forzando le regole conservatrici, producano sollecitazioni all'intera struttura/sovrastruttura, compreso i capitalisti, qualcuno sparisce ,qualcuno emergerà, perchè il mutamento genera novità. Il fine quindi è il movimento stesso dell'azione intenzionale che produce un effetto inintenzionale che di nuovo produce un mutamento strutturale che nessuno è in grado di predire, per quanto gli strumenti economici con le leggi e statistici mirino a cercare di predirlo.

Nessuno in ambito marxista sottovaluta l'intelligenza del Capitale e dei suoi maître à penser, i cui strumenti probabilistici di previsione sono assai accurati e beneficiano pure del pieno controllo economico e politico della realtà sociale per cui, come con lo spread italiano, sono sempre in grado di manovrare le leve che rendono le probabilità assai più deterministiche che casuali. Nello spirito del sociodarwinismo "spontaneo" auspicato.

CitazioneQuesto mutamento strutturale/sovrastrutturale è alla base della contraddizioni marxiste. I mutamenti avrebbero dovuto riempire il proletariato, lasciando nudo il capitalismo. In realtà le strutture sociologiche, l'identifcazione della classe rivoluzionaria con la classe proletaria a sua volta identifcata nell'operaismo ,ha fallito. Il nuovo capitalista che emerge è spesso un vecchio proletario genealogicamente.

E il nuovo proletario è spesso un capitalista fallito. Questi mutamenti sono alla base delle contraddizioni della realtà, non del marxismo. Quelle contraddizioni che hanno taroccato il futuro rendendolo un gioco azzardo. Azzardo in cui chi controlla la plancia di comando della nave globale si trova perfettamente a suo agio, tanto che se una tempesta, chiamiamola Von Hayek, spostasse la nave in mari sconosciuti sarebbero sempre loro a decidere la rotta, il futuro, e in assenza di una concreto ammutinamento, solo un gigantesco iceberg li può fermare. Non del tutto improbabile ma indipendente dal "vecchio proletariato". Non si può negare la loro bravura nel mostrare che la tigre di carta le zanne e gli artigli li ha ancora perfettamente funzionanti. E la coscienza pure.

CitazioneIl problema è che non è la struttura economica a determinare la rivoluzione, ma quella coscienza di classe che la classe cosiddetta sfruttata a volte ha ,e spesso no. Oggi è molto più difficile dei tempi di Marx, costruire una solidarietà di classe, perchè agiscono tali e tante differenze socio economiche, motivazioni, aspettative, cultura, ecc. Oggi emergono molto più le differenze fra uno stessa classe sociale, piuttosto che ciò che potrebbe unirla.

La questione è che la struttura socioeconomica non è, come solo retoricamente (ma il Capitale sa che non è cosi) si vorrebbe far credere, un'entità indeterministica e casuale alla quale ci si può solo genuflettere, ma può essere plasmata a volontà da chi la coscienza di classe ce l'ha ancora integra e leve efficienti per poter adattare la struttura ai suoi fini.

Se non si costruisce una solidarietà di classe dal basso non è per le contraddizioni del marxismo ma perchè l'avversario ha destrutturato la classe antagonista, atomizzando la struttura economica classica che ha partorito il modello rivoluzionario marxista/comunista, abolendo il proletariato e pure la fascia intermedia di borghesia lavoratrice e con essi i loro fini e futuro.

Il capolavoro che ha rianimato la tigre di carta è stato il trasferimento del plusvalore dalla critica materialità della produzione alla iniziatica inviolabilità, ancora più immateriale della carta di un tempo, della finanza, che ha comunque bisogno della produzione  - perchè dal nulla non si può creare profitto e l'economia reale è pur sempre necessaria - ma sottomessa alle sue "leggi economiche" che finiscono sempre col premiare chi detiene la mannaia che chiude ogni discorso: il capitale finanziario. Producendolo anche ope legis dal nulla nei momenti di massima crisi (Federal, BCE), ma sempre condizionato al paradigma dominante, la rianimazione del profitto.

Agenzie di rating, organismi economici nazionali e internazionali, pubblici e privati e, dulcis in fundo, leggi degli stati (dai co.co.co a seguire con la trovata social-liberista nazionale: meglio il lavoro nero che nessun lavoro) assecondano il tutto. Altro che "spontaneismo". Tutto ben pilotato e teleguidato dall'alto perchè nulla trovi una via di fuga nel caso.

Evidentemente tale "fine", che assomiglia più ad una fine dell'umanesimo, non è politicamente presentabile e va obliato. Ma rimane un fine altro perseguibile anche in questo mondo sociodarwinisticamente robottizzato: riprendiamoci la vita. Trasferiamo in essa il nostro futuro fatto di tanti atomi di presente ritrovato, sottratti allo sguardo inumano di Sauron e al suo tempo prestabilito. Troviamo la nostra personale, e collettiva, via di fuga, nello stile e nei contenuti di vita quotidiani. Dopo averci ragionato sopra le mistificazioni del mondo in cui siamo stati gettati.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: 0xdeadbeef il 19 Giugno 2019, 14:08:55 PM
A Paul
Von Hayek parte da una considerazione "tecnica": il valore di un bene economico è il valore che ad
esso attribuscono gli attori dello scambio (che poi è la tesi fondante di tutto il Marginalismo).
La genialità di Von Hayek consiste nell'aver coniugato questo tecnicismo con la tradizionale visione
filosofica anglosassone, che è contrattualista, utilitarista ed evoluzionista (tra le altre cose...).
Da quel tecnicismo, Von Hayek ripropone l'utilitarismo classico sotto una nuova e "potenziata" veste:
il "valore" consiste nell'utile, nel desiderato individuale ed immediato.
Al medesimo modo ripropone il contrattualismo classico: "valore" è ciò che viene contrattato al
momento da due parti contraenti (private, naturalmente, visto che l'utile è inteso solo come quello
individuale).
E, a scorrere, l'evoluzionismo: le conseguenze inintenzionali di atti individuali intenzionali (e
intenzione dell'individuo è solo il perseguire il proprio utile) conducono necessariamente al
migliore dei mondi possibili.
Su quest'ultimo punto è macroscopica la "metafisicità" del sistema hayekiano (Von Hayek definisce
infatti "giusto" l'ordine spontaneo); una metafisicità fra l'altro indagata da J.Stiglitz in
un ciclo di lezioni sul "Trickle and Down" (lo "sgocciolare" che, secondo la teoria economica
dominante, rappresenta il necessario passaggio della ricchezza dai ceti più alti ai più bassi -
da noi prosaicamente nota come : "non tassate i ricchi perchè loro reinvestono i soldi portando
ricchezza a tutti").
Ora, a fondamento di qualsiasi evoluzionismo c'è sempre l'idea di "progresso", dunque l'idea
che ogni cambiamento è per il meglio (e se è per il peggio questa è solo una contingenza
negativa e momentanea, che comunque sarà superata). Ma questo è perchè alla base vi è l'idea
dell'uomo come di un essere naturalmente buono; un'idea che al sistema hayekiano viene, ancor
prima che dalla teoria morale di A.Smith, dall'"homo homini deus" di Spinoza e dalla stessa
Riforma Protestante.
Ora, se proprio volessimo andare alle origini è infatti proprio nella Riforma (e forse prima
ancora, nel francescanesimo e nell'agostinismo) che dovremmo cercare le cause di questa attuale
mancanza di ogni finalità e progettualità. In fondo a che serve darsi un fine o un progetto quando
ogni cosa è predestinata?
Nel sistema hayekiano la mancanza di qualsiasi fine o progetto è vista come condizione necessaria
del progresso. Abbiamo infatti visto, seppur per sommi capi, come il "valore" (che dal significato
meramente economico diventa più esteso e generalizzante) consista nell'utile, nel desiderato
individuale ed immediato, così come il "contratto" fra parti private non può avere una estensione
temporale ampia, perchè una estensione temporale ampia tradisce il principio-base dell'utile
immediato, e si risolve nell'aborrito - da Von Hayek - "costruttivismo", che proprio nel carattere
di "progetto futuro" ha la sua peculiarità (non vorrei esagerare, ma io vi vedo chiaramente la
legittimazione filosofica del precariato...).
saluti
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: 0xdeadbeef il 19 Giugno 2019, 17:33:36 PM
Citazione di: Ipazia il 17 Giugno 2019, 14:18:06 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 16 Giugno 2019, 21:00:32 PM
A Ipazia
La domanda: "cosa me ne faccio del profitto capitalistico?" sottintende la domanda circa il fine del profitto capitalistico; ma tutto lo "sguardo" moderno non si pone quella domanda, perchè non si pone proprio alcun fine (chi vive, come noi viviamo, solo nel presente non si pone fine alcuno).

Allora chiediamoci perchè non si pone alcun fine ? Non puoi rispondere alla domanda da te posta nella discussione con una tautologia che si limita a menare il can per l'aia.


A Ipazia
Lo "sguardo" moderno non si pone alcun fine perchè "fine" è l'utile immediato, cioè il mezzo.
E ciò vuol naturalmente dire che mezzo e fine coincidono. Sul "perchè" succede questo ti rimando
al famoso: "l'esserci progetta il suo essere in possibilità", di Heidegger: l'esserci non ha (più)
un essere, cioè l'uomo non viene più visto nella sua "sostanza" umana.
Soros sa perfettamente quel che sapeva il "principe" machiavelliano: per mantenere il potere bisogna
accrescere la propria potenza. Quindi sì, da un certo punto di vista sa benissimo quel che farci con
i soldi; ma anche qui, ripeto, si tratta di capire che non è tanto scomparso il fine, quanto che
ormai esso coincide con il mezzo.
Per epigoni di Marx non intendo affatto i "cattocomunisti", bensì praticamente TUTTI i pensatori
di scuola marxiana. E quando dico: "uomo naturalmente buono" non intendo certo dire che la dottrina
marxista si fonda sul "buonismo", come del resto già accennavo. Ma se ritieni (non senza buone ragioni)
che questo argomento sia fuori tema la chiudo qui.
saluti
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: Ipazia il 19 Giugno 2019, 21:14:11 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 19 Giugno 2019, 17:33:36 PM
Citazione di: Ipazia il 17 Giugno 2019, 14:18:06 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 16 Giugno 2019, 21:00:32 PM
A Ipazia
La domanda: "cosa me ne faccio del profitto capitalistico?" sottintende la domanda circa il fine del profitto capitalistico; ma tutto lo "sguardo" moderno non si pone quella domanda, perchè non si pone proprio alcun fine (chi vive, come noi viviamo, solo nel presente non si pone fine alcuno).

Allora chiediamoci perchè non si pone alcun fine ? Non puoi rispondere alla domanda da te posta nella discussione con una tautologia che si limita a menare il can per l'aia.


A Ipazia
Lo "sguardo" moderno non si pone alcun fine perchè "fine" è l'utile immediato, cioè il mezzo.
E ciò vuol naturalmente dire che mezzo e fine coincidono. Sul "perchè" succede questo ti rimando
al famoso: "l'esserci progetta il suo essere in possibilità", di Heidegger: l'esserci non ha (più)
un essere, cioè l'uomo non viene più visto nella sua "sostanza" umana.

Quale sguardo moderno ? Del capitalista, del lavoratore, del filosofo ?

Ognuno tira la modernità dalla sua parte e alla fine si casca sempre nella tautologia di prendere come dimostrazione quello che si deve dimostrare.

Lo sguardo moderno è frammentato nella sua condizione di classe ed esistenziale. Anche se esso non è riducibile all'individuale ma è socialmente determinato non è neppure quell'unicum che la retorica dominante, politico-economica o filosofica, sponsorizza.

La visuale marxista è completamente altra tanto nella definizione del valore economico, che è d'uso e non di scambio o di rischio (sulla pelle altrui per lo più), quanto nel valore etico che è sostanza umanistica - checchè ne dica Heidegger - centrata sul concetto di homo faber, proiettato nel futuro di migliori condizioni di vita e determinato a rimuovere gli ostacoli a questo progetto. Il primo dei quali è il mercato universale di corpi e anime.

Il fine c'è, ed è riportare l'umano nell'inumano dominante, senza illusioni buoniste perchè è vero che si vorrebbe dare a ciascuno secondo i suoi bisogni, ma in cambio non si fanno sconti sulla contropartita che ognuno deve dare secondo le sue capacità.

Sulla qual cosa la tolleranza (e il buonismo e le tattiche semantiche fraudolente intorno al concetto di "capacità") dell'homo faber comunista è zero.

Citazione
l'esserci non ha (più) un essere, cioè l'uomo non viene più visto nella sua "sostanza" umana.

Qui il fraintendimento della realtà, tuo, e probabilmente anche di Heidegger, è totale. L'essere è Dio: "Io sono colui che sono" dice Elohim a Mosè. Dio è colui che è. L'Essere è sostanza divina, non umana. Tutta la metafisica fino ad Heidegger compreso è confusione tra divino ed umano, pur avendo capito alla fine che la sostanza dell'umano è l'esserci. L'errore degli orfani del Dio/Essere è pensare che questo esserci abbia un rango ontologico inferiore, ed in questo sentirsi orfani infilano pessima metafisica sulla fine del fine, fine della storia, fine della sostanza umana e un Nulla incombente e inarginabile. Quando, tralasciando pure la escatologia marxista metafisicamente strutturata, l'umano è colui che esiste da sempre e da sempre, anche quando non filosofava, ha avuto un fine incontrovertibile nella sopravvivenza sua e della sua prole. Fine rimasto immutato dalla notte dei tempi, su cui si fonda una filosofia liberata dal fantasma dell'Essere e delle sue pseudoescatologie celesti fin dai tempi di Epicuro.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: viator il 19 Giugno 2019, 21:36:04 PM
Sembrerebbe alla maggioranza che il porsi sia individualmente che collettivamente un fine rappresenti motivazione altamente etica. Al punto che, come da titolo della presente discussione, sembra ci si lamenti del fatto che la latitanza di un qualsiasi fine costituisca una ipotesi desolante.

E perchè mai ? Esistono - e a quanto sembra sono persino troppo diffusi - i fini assolutamente disetici, della cui assenza dovremmo invece rallegrarci.

I fini più diffusi infatto sono quelli di genere edonistico, altro che storie !

Vero che qui dovremmo parlare dei fine CULTURALI, ma in effetti a me in verità sembra che sia proprio la cultura quella tal manifestazione che - in nome della neutralità e della ricerca di sempre nuovi orizzonti - dai FINI (il raggiungimento dei quali ne sarebbe la tomba) dovrebbe star ben lontana.

Il fine-mezzo del capitalismo è comunque anch'esso solo la edonistica tendenza a realizzare - attraverso il denaro - il conseguimento di quantità sempre crescenti di soddisfazione sotto forma di potere e piacere, dei quali conta la quantità e non certo la specificità finalistica. Saluti.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: Jacopus il 20 Giugno 2019, 08:38:44 AM
Ciao Viator. Non ho capito se la tua ultima affermazione sia una constatazione o se ne condividi il senso. Ad ogni modo esistono modi di soddisfazione ben diversi dall'accumulo di denaro per ottenere piacere e potere. Questa è la visione tragica del nostro tempo e di come il capitalismo sia riuscito a distorcere la nostra visione del mondo.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: viator il 20 Giugno 2019, 11:46:16 AM
Salve Jacopus. Le mie sono sempre solo ipotesi o constatazioni soggettive. La mia eventuale condivisione è fuori causa poichè facente parte delle mie personali propensioni che tendo a non manifestare poichè io non faccio propaganda a ciò in cui credo, ma al massimo lo propongo alla riflessione critica di chi vuole leggerlo.

Per quanto riguarda i modi per realizzare la soddisfazione, è vero che ce ne sono altri, ma il guaio è che questi altri appartengono tutti all'interiorità e all'evoluzione mental-intellettuale (particolarmente alta) di chi li pratica.

La maggioranza preferisce modi assai più concreti, visibili, "palpabili" i quali forniscono la ulteriore soddisfazione della visibilità del proprio "valore" personale convenzionale.

Vale la massima per la quale chi E' (interiormente) non sente il bisogno di apparire, mentre chi non E' compiutamente sarà costretto a cercar di SEMBRARE.

Infatti, estendo ai massimi termini tale concetto, l'egualitarismo sarebbe la condizione al cui interno l'unica soddisfazione sociale consisterebbe nell'ESSERE (......consapevoli della propria utilità sociale), mentre il capitalismo più o meno selvaggio si basa sulla soddisfazione del SEMBRARE DI ESSERE (autoaffermazione individualistica) attraverso l' AVERE. Saluti.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: InVerno il 20 Giugno 2019, 12:00:18 PM
Citazione di: Ipazia il 19 Giugno 2019, 21:14:11 PM
La visuale marxista è completamente altra tanto nella definizione del valore economico, che è d'uso e non di scambio o di rischio (sulla pelle altrui per lo più), quanto nel valore etico che è sostanza umanistica - checchè ne dica Heidegger - centrata sul concetto di homo faber, proiettato nel futuro di migliori condizioni di vita e determinato a rimuovere gli ostacoli a questo progetto. Il primo dei quali è il mercato universale di corpi e anime.
L'homo faber e il valore economico "proiettato"possono incontrarsi ma generalmente uno non definisce l'altro, te lo dice uno che viene da 4 generazioni di fabbri (battutaccia). L'homo faber vive ancora la sua dimensione di "reciprocatore forte" (si può donare senza nulla in cambio), in questo è parente dell'homo ludens, loquens, ma sopratutto empaticus. Ma l'homo faber è praticamente estinto, si trova nei musei, non è un carattere genetico, è semai memetico-culturale. Oggi vive l'homo economicus, colui che è davvero definitivo dal valore economico, quello che non apre mai la bottiglia di vino perchè ha letto che essa guadagna valore ogni anno che passa. Anche per questo manca di un finalità, la finalità è in questo la fine delle sue possibilità di guadagno, il termine della sua esistenza utilitaristica. Questo invece vive una dimensione di sola "reciprocazione debole" (si dona solo in cambio di un valore economico).
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: Ipazia il 20 Giugno 2019, 16:01:02 PM
Citazione di: InVerno date=1561024818Ma l'homo faber è praticamente estinto, si trova nei musei, non è un carattere genetico, è semai memetico-culturale. Oggi vive l'homo economicus, colui che è davvero definitivo dal valore economico, quello che non apre mai la bottiglia di vino perchè ha letto che essa guadagna valore ogni anno che passa.

Homo economicus è ancora più memetico-culturale nella sua demenzialità valoriale tutta umana di anteporre lo scambio all'uso. Non è per nulla genetico, eppure prospera e domina.

Non mi pare che homo faber sia estinto visto che sulle sue spalle si regge tutta l'economia reale. Inclusa quella più libera, sottratta all'alienazione del mercato: il lavoro che si fa per sè e per il proprio contesto affettivo e solidale.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: 0xdeadbeef il 20 Giugno 2019, 17:13:30 PM
A Ipazia
Lo "sguardo", chiaramente traduzione raffazzonata del celebre "weltanshauung", è di tutti, o perlomeno
della stragrande maggioranza delle persone.
E lo "sguardo" occidentale, che è essenzialmente individualista e utilitarista, sta ormai rapidamente
diventando lo sguardo del mondo intero.
E non è neppure quel frutto che certa retorica attribuisce all'elité politico-economica dominante, visto
che la sua storia data ormai qualche buon millennio (come vado spesso ripetendo, tutta la storia dell'
occidente è la storia del progressivo emergere dell'individuo - e di conseguenza dell'utilitarismo).
Ritengo incredibile che si cerchi di obliare un dato di fatto di una simile evidenza: basta solo
conoscere un minimo di storia del pensiero e...aprire gli occhi sulle persone che ci circondano.
Dopo essere arrivati dove siamo, trovo del tutto "naturale" che si arrivi alla concezione del "valore"
(non solo economico, come dico in risposta all'amico Paul11) come valore che ad un certo "oggetto"
attribuiscono gli individui.
Come già ebbi occasione di dirti, a quel tempo le opere di Michelangelo non erano belle perchè erano di
Michelangelo, ma perchè ritenute belle "in sé". Oggi sarebbero belle perchè di Michelangelo, come certi
obbrobri "firmati" mostrano con le loro valutazioni astronomiche.
In altre parole, il "brand" oggi conta molto di più che non la quantità di lavoro necessaria a produrre
un certo bene; ed è per questo che la teoria di Marx è oggi perdente su quella di Von Hayek.
Tornando al "fine", esso non c'è (più) proprio perchè non c'è (più) l'"in sé" delle cose.
Trovo che ridurre l'Essere filosofico a "Dio" non sia del tutto assurdo, ma sia in ogni caso una "soluzione"
troppo semplicistica.
In quel passaggio, Heidegger voleva a parer mio dire che l'essere umano (l'"esserci") ha una "sostanza";
un qualcosa di identico nel molteplice; e questo qualcosa è (anzi era, visto che ha poi cambiato
idea) la capacità di darsi un progetto futuro.
Quindi, per Heidegger, l'essere umano come quell'essere che ha la capacità specifica di "progettar-si",
cioè di darsi un "fine".
Ora, secondo la mia tesi l'essere umano non è (più) quello di Heidegger, ed è evidente che non lo è più
proprio perchè non più capace di progettar-si, di darsi un fine che non sia quello immediato e
coincidente con il mezzo. E l'essere umano è incapace di ciò perchè, dicevo, non c'è più l'"in sé"
delle cose, cioè appunto perchè non c'è più una "sostanza"; una qualcosa di identico nel molteplice
a caratterizzarlo (l'essere umano).
In questo vi è evidentemente una radice metafisica, ma ridurre tutto questo discorso a "Dio" (e magari
al dio di una qualche religione storica) è, ripeto, troppo riduttivo.
saluti
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: Jacopus il 20 Giugno 2019, 17:27:02 PM
Volendo fare un discorso di filosofia della storia le prove che vanno verso una progressiva ascesa dell'individualismo sono identiche a quelle che proclamano l'ascesa del collettivismo. Ad ogni modo vorrei dei dati, qualcosa a cui si possa replicare perché dire "evidente" "incredibile" "minimo di coscienza storica" è tautologico e impedisce un confronto serio.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: Ipazia il 20 Giugno 2019, 17:48:53 PM
Il valore come merce, valore di scambio, è strettamente correlato allo sviluppo capitalistico, che dura da non più di 5 secoli, nei quali, almeno fino al '900 il valore d'uso ha mantenuto la sua importanza nella produzione capitalistica. Lo "sguardo" mercificante si libera totalmente dal valore d'uso solo con l'avvento del capitalismo finanziario. L'utilitarismo spiega poco, come l'antinomia egoismo-altruismo. Ciò che conta - antropologicamente - è il concetto di valore che ha un'aura semantica complessa che si distende dalla metafisica, all'etica, all'economia (l'ordine di priorità è casuale).

L'utilità di un bene è una precondizione economica, ma non così centrale da poterci costruire una Weltanschauung totalizzante. Cose utili in un contesto socioeconomico diventano inutili in un altro. Lo stesso vale per gli individui. Se lo sviluppo occidentale si fosse limitato a individui e utilità sarebbe già fallito. I social imperversano e seppelliscono ogni illusionalità individualistica nella vita privata. In quella pubblica va ancora peggio. Il successo economico orientale poggia sulla coscienza sociale, non su quella individualistica. Spiace per tutti gli orfani dell'Individuo che con Dio ed Essere fa una bella terna di utilità metafisiche un tantino fuori corso.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: 0xdeadbeef il 20 Giugno 2019, 17:49:30 PM
A Jacopus
Ne ho (a proposito di dati) appena illustrato, seppur per sommi capi, uno molto significativo: il cambiamento di paradigma
circa il valore di un bene economico (che da valore-lavoro come era per l'economia classica diventa
valore di scambio nel Marginalismo).
Potrei, ad esempio, iniziare con la celebre difesa di Socrate dei generali imputati del disastro delle
Arginuse (Socrate disse, contro la tradizione che voleva punizioni collettive, che la responsabilità
era sa intendersi solo come individuale), per poi passare al Cristianesimo e al suo concetto di
colpa e merito individuali.
Attraverso numerosi e significativi momenti, sia "reali" che filosofici (come non citare l'avvento su
larga scala delle democrazia,  il "rasoio di Ockham o la "rivoluzione copernicana del pensiero" di Kant?)
potremmo arrivare alla odierna sempre minor importanza dell'istituzione collettiva (stato, sindacato, etc.),
non trovi?
Certo non mi sono sfuggite le tue considerazioni (cui ho risposto) circa il momento attuale, con la ripresa
"sovranista", ma di sento di poter affermare che l'emersione dell'individuo costituisca, durante il corso
della storia, una specie di "filo rosso" di assoluta evidenza.
saluti
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: Ipazia il 20 Giugno 2019, 18:00:57 PM
Citazione di: Jacopus il 20 Giugno 2019, 17:27:02 PM
Volendo fare un discorso di filosofia della storia le prove che vanno verso una progressiva ascesa dell'individualismo sono identiche a quelle che proclamano l'ascesa del collettivismo. Ad ogni modo vorrei dei dati, qualcosa a cui si possa replicare perché dire "evidente" "incredibile" "minimo di coscienza storica" è tautologico e impedisce un confronto serio.

La polemica è totalmente datata di fronte al "dato" della IA. La macchina è individuale o collettiva ? A quale delle due botteghe filosofiche porta i suoi voti ?
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: Jacopus il 20 Giugno 2019, 18:37:36 PM
Lasciando da parte, per un momento, la riflessione di Ipazia, tuttavia valida, mi concentrerei sulle obiezioni di Ox, le quali non mi sembrano tutte rivolte all'affermazione dell'individualismo. Ad esempio la democrazia non mi sembra un esempio valido di affermazione dell'individualismo, o meglio, contiene sia aspetti di individualismo che di collettivismo, ma li sposta ad un livello superiore. Mentre la monarchia esplicitava il suo unanimismo/collettivismo attraverso il potere tirannico, la democrazia cerca l'unanimismo/collettivismo attraverso l'isomorfismo. Idem per cristianesimo. E' vero che la colpa diventa individuale, ma il cristianesimo, per la prima volta, ci dice che siamo tutti uguali: il collettivismo allargato all'universalità ( καθολικος ). Se vogliamo, l'emergere dell'individuo, innegabile, si accompagna all'emergere della considerazione che gli altri sono "come noi" e che hanno gli stessi nostri diritti, fino al punto che ormai siamo di fronte alla proliferazione dell'isonomia applicata oltre che agli esseri viventi particolari (stati di coma, feti) anche agli animali e alle piante e ben presto anche alle strutture geologiche.
C'è però un ulteriore riflessione da fare che da ragione sia agli individualisti che ai collettivisti e mi servo in questo caso di G.H.Mead che scrisse:
"Le idee etiche, entro qualsiasi società umana, sorgono nella coscienza dei singoli membri di quella società dal fatto della comune dipendenza sociale di tutti questi individui l'uno dall'altro".

In altri termini e generalizzando si può dire che la nostra razionalità, compresa la scelta fra individualismo e collettivismo è sempre presa in termini cooperativi, essendo noi, come altri primati a noi simili, ζοον πολιτικον. In questo senso teniamo conto del fatto che 1) aiutare il nostro prossimo quando è possibile è la cosa giusta da fare, 2) che gli altri sono ugualmente degni dello stesso rispetto che riserviamo a noi stessi 3) che un noi creato da un impegno sociale prende legittime decisioni per sè e per gli altri.
Tutto ciò non deve farci dimenticare che l'uomo non è per sua propria natura nè egoista/individualista nè altruista/collettivista. Sono le innumerevoli immagini del mondo a determinare e influenzare la nostra visione del mondo, e di conseguenza il nostro comportamento. Detto questo, se non fosse a causa della cooperazione e quindi di sforzi collettivi, oggi ci sogneremo di vivere in questo modo così confortevole e staremmo drignando i denti verso qualche altra creatura feroce (in questo caso la qualità dell'aria sarebbe comunque notevolmente migliore).

Questi sono solo alcuni slegati ragionamenti sull'argomento, ma potrei trovare altri innumerevoli reperti sulla moralità collettivistica dell'uomo che ovviamente, al suo interno, ha anche motivazioni egoistiche, questo non è da mettere in dubbio. Ciò che metto in dubbio, e posso fornire tutte le prove che volete, è che ci sia questa specie di autostrada dell'egoismo e dell'individualismo, che conduce ancora una volta all'homo homini lupus, senza pensare che si tratta di una mera ideologia per giustificare a posteriori rapporti di potere fondati sulla forza e non su un destino già scritto.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: 0xdeadbeef il 21 Giugno 2019, 14:23:41 PM
Citazione di: Ipazia il 20 Giugno 2019, 17:48:53 PM
Il valore come merce, valore di scambio, è strettamente correlato allo sviluppo capitalistico, che dura da non più di 5 secoli, nei quali, almeno fino al '900 il valore d'uso ha mantenuto la sua importanza nella produzione capitalistica. Lo "sguardo" mercificante si libera totalmente dal valore d'uso solo con l'avvento del capitalismo finanziario. L'utilitarismo spiega poco, come l'antinomia egoismo-altruismo. Ciò che conta - antropologicamente - è il concetto di valore che ha un'aura semantica complessa che si distende dalla metafisica, all'etica, all'economia (l'ordine di priorità è casuale).

L'utilità di un bene è una precondizione economica, ma non così centrale da poterci costruire una Weltanschauung totalizzante. Cose utili in un contesto socioeconomico diventano inutili in un altro. Lo stesso vale per gli individui. Se lo sviluppo occidentale si fosse limitato a individui e utilità sarebbe già fallito. I social imperversano e seppelliscono ogni illusionalità individualistica nella vita privata. In quella pubblica va ancora peggio. Il successo economico orientale poggia sulla coscienza sociale, non su quella individualistica. Spiace per tutti gli orfani dell'Individuo che con Dio ed Essere fa una bella terna di utilità metafisiche un tantino fuori corso.


A Ipazia
Sullo sviluppo capitalistico che: "dura da non più di 5 secoli" dico semplicemente che questa
affermazione è, al massimo, coerente con la visione che aveva Marx del capitalismo...
In realtà, non saprei se già l'accumulo, che probabilmente comincia con le tecniche di conservazione
del cibo, possa essere definito come una forma capitalistica (per non parlare poi di certi
sviluppi mercantili, già nella Mesopotamia o nell'Atene classica, fino alle vere e proprie
rendite capitalistiche presenti, soprattutto, a Genova e nelle città marinare sia italiane che
nordeuropee - con tanto di banche e finanza modernamente intesa - già nel medioevo).
Per come io la vedo, lo sviluppo "capitalistico" (da me naturalmente inteso non nel senso dell'
ortodossia marxiana, come accennato, ma in uno molto più "largo") va di pari passo con
l'emergere dell'individuo. E non potrebbe essere altrimenti, perchè il capitalismo è, nella
sua stessa essenza, LA forma economica dell'individualismo.
L'utilitarismo inteso come: "cose utili in un contesto socioeconomico diventano inutili in un
altro" non è, semplicemente, l'utilitarismo così come inteso dalla filosofia anglosassone (che è
l'utilitarismo così come è oggi inteso dallo "sguardo moderno").
La qual filosofia definisce "l'utile" non solo come ciò che è oggetto di volizione individuale,
ma anche come ciò che è "bene".
La tua definizione di "utile" è oggettiva ("continentale e costruttivista", la definirebbe
Von Hayek), in quanto suppone un utile "universalmente noto" che, appunto, può risultare
anche inutile laddove si sottoponesse a critica quell'"universalmente noto" (come tu in effetti
fai).
L'utile come oggetto di volizione e desiderio individuale non si cura del "contesto"; rimane se
stesso in quanto espressione soggettiva (non ha nessuna importanza se il mio utile non equivale
al tuo).
Sul "successo economico orientale che poggia sulla coscienza sociale, non su quella individualistica"
mi permetto di esprimere una forte perplessità circa il fatto se tu stia scherzando o meno...
E infine, vorrei saperne un pò di più su ciò che intendi circa l'intelligenza arfificiale.
Che vuol dire che questa polemica è totalmente datata di fronte ad essa?
saluti
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: Ipazia il 21 Giugno 2019, 15:43:10 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 21 Giugno 2019, 14:23:41 PM
Sullo sviluppo capitalistico che: "dura da non più di 5 secoli" dico semplicemente che questa affermazione è, al massimo, coerente con la visione che aveva Marx del capitalismo...
In realtà, non saprei se già l'accumulo, che probabilmente comincia con le tecniche di conservazione del cibo, possa essere definito come una forma capitalistica (per non parlare poi di certi sviluppi mercantili, già nella Mesopotamia o nell'Atene classica, fino alle vere e proprie rendite capitalistiche presenti, soprattutto, a Genova e nelle città marinare sia italiane che
nordeuropee - con tanto di banche e finanza modernamente intesa - già nel medioevo).

Il capitalismo richiede una serie di circostanze concomitanti che non si realizzano prima del rinascimento europeo. Enumerandole succintamente (poi si può approfondire)

1) libero lavoratore salariato (superamento del regime della servitù della gleba e delle corporazioni professionali)
2) un surplus produttivo che generi "valore di scambio" in quantità economicamente significativa

in una fase più avanzata, ma ancora classica, ottocentesca:

3) razionalizzazione dei processi produttivi mediante la parcellizzazione delle operazioni manuali e l'automazione;
4) un esercito industriale di riserva;
5) un peso sempre maggiore della produzione per il mercato rispetto alla produzione per il fabbisogno personale e locale.

Ma tali condizioni non soddisferebbero nemmeno le richieste attuali di accumulazione di capitale che richiedono

6) una compiuta globalizzazione del mercato e una mercificazione totale dei beni, materiali e immateriali.

CitazionePer come io la vedo, lo sviluppo "capitalistico" (da me naturalmente inteso non nel senso dell'ortodossia marxiana, come accennato, ma in uno molto più "largo") va di pari passo con l'emergere dell'individuo. E non potrebbe essere altrimenti, perchè il capitalismo è, nella sua stessa essenza, LA forma economica dell'individualismo.

Il capitalismo è innanzitutto un modo di produzione che adegua la norma alle sue necessità di accumulazione. Come la vede 0x può andare bene qui pour parler, ma conviene invece tenere la barra ferma sul significato testuale. Che poi la struttura determini anche la sovrastruttura nel caso della storia del capitalismo è più che confermato, ma non può essere certo l'individuo (umano) il precipitato sociologico di una formazione sociale che porta piuttosto alla massificazione e alla omologazione. Perfino i tratti individuali subiscono un processo di omologazione al business dello star system. Direi che di individuo nel capitalismo ce n'è davvero poco. C'è molta giungla, molta clava. Intendi ciò per individuo ? Se è così non serviva il capitalismo, bastava Darwin e il pitecantropo.

CitazioneL'utilitarismo inteso come: "cose utili in un contesto socioeconomico diventano inutili in un altro" non è, semplicemente, l'utilitarismo così come inteso dalla filosofia anglosassone (che è l'utilitarismo così come è oggi inteso dallo "sguardo moderno"). La qual filosofia definisce "l'utile" non solo come ciò che è oggetto di volizione individuale, ma anche come ciò che è "bene".

Certo che una cosa utile è un bene, ma il bene "acqua" è un bene assai diverso nel Sahara e in Irlanda. Vendere gelati al polo non è una buona idea. Quindi anche l'utile non è assolutizzabile, ma varia col contesto ambientale.
Il bene merceologico non è il bene platonico, ma la merceologia non ha mai avuto la pretesa di fare filosofia. Se qualche filosofo la rifonda su base merceologica, evidentemente ha degli interessi da tutelare. Suoi, non dell'umanità e nemmeno della verità.

CitazioneLa tua definizione di "utile" è oggettiva ("continentale e costruttivista", la definirebbe Von Hayek), in quanto suppone un utile "universalmente noto" che, appunto, può risultare anche inutile laddove si sottoponesse a critica quell'"universalmente noto" (come tu in effetti fai).
L'utile come oggetto di volizione e desiderio individuale non si cura del "contesto"; rimane se stesso in quanto espressione soggettiva (non ha nessuna importanza se il mio utile non equivale al tuo).

La mia definizione di utile è pragmatica, contestuale, non universale. L'espressione soggettiva del desiderio individuale di acqua nel Sahara, stai certo che assomiglia per tutti allo stesso modo. Compreso il capitalista che trova il modo di farci soldi, privatizzandola. La bufala della "personalizzazione" del desiderio funziona così bene solo perchè dà una individualità fittizia a chi non ce l'ha più, avendola ceduta al mercato del lavoro e del consumo. E' come l'idea della salvezza eterna per chi non ha accesso nemmeno alla salvezza terrena.

CitazioneSul "successo economico orientale che poggia sulla coscienza sociale, non su quella individualistica"
mi permetto di esprimere una forte perplessità circa il fatto se tu stia scherzando o meno...

Per nulla, nella cultura orientale la dimensione sociale pesa molto più che in quella occidentale. Hai presente il giapponese che sciopera lavorando con la fascetta al braccio che dice che sta scioperando. Il sacrificio capitalistico che accumula e produce piuttosto che godere e consumare si sposa assai bene con la socialità orientale. Appena i cinesi hanno riscoperto Confucio è arrivato subito il boom (ovviamente semplifico). Che spalmato su 2 miliardi di produttori molto coesi ha rivoltato la storia. Altro che fine della stessa ...

CitazioneE infine, vorrei saperne un pò di più su ciò che intendi circa l'intelligenza artificiale.
Che vuol dire che questa polemica è totalmente datata di fronte ad essa?

Vuol dire che se già in assenza dell'AI le antinomie egoista/individualista vs. altruista/collettivista sono infondate, come già sviluppato da Jacopus (ma si può proseguire a oltranza), figurati con l'AI che è un prodotto di intelligenza collettiva che interfaccia socialmente la macchina con il mondo socialmente inteso. Tutta la problematicità di questa relazione non ha nulla di individualistico, perchè l'AI deve operare correttamente nei più svariati contesti antropologici. Pluralmente intesi.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: InVerno il 21 Giugno 2019, 16:48:09 PM
Citazione di: Jacopus il 20 Giugno 2019, 18:37:36 PMQuesti sono solo alcuni slegati ragionamenti sull'argomento, ma potrei trovare altri innumerevoli reperti sulla moralità collettivistica dell'uomo che ovviamente, al suo interno, ha anche motivazioni egoistiche, questo non è da mettere in dubbio. Ciò che metto in dubbio, e posso fornire tutte le prove che volete, è che ci sia questa specie di autostrada dell'egoismo e dell'individualismo, che conduce ancora una volta all'homo homini lupus, senza pensare che si tratta di una mera ideologia per giustificare a posteriori rapporti di potere fondati sulla forza e non su un destino già scritto.
Ne ho letti tanti anche io di questi studi, ma posso dire che la sensazione dopo averli letti è quella di un gruppo di uomini che vanno in fondo ad un pozzo a cercare l'acqua? Se si prende l'individualismo e la reciprocità (o qualsiasi sostantivo che non sia "collettivismo") come due monoliti è facile soprendersi di trovarli dappertutto, ma se si comicia a dargli delle gradazioni le cose si fanno più complicate. Un idealista weberiano e un adepto della cowboy economy formalmente sono due "individualisti", ma tra uno e l'altro c'è il giorno e la notte. Lo stesso vale per un reciprocatore debole quale può essere anche un capitalista e un reciprocatore forte, che sarà un medico senza frontiere ad esempio. Sarebbe interessante vedere uno studio che trova che siamo tutti individualisti avidi, o reciprocatori forti, ma basterebbe uscire dalla porta di casa per rendersi conto che le premesse di questo studio devono essere sbagliate. In questo caso possiamo anche dire che la scienza stia perdendo tempo rispetto al sapere tradizionale, perchè bastava chiedere a qualsiasi tradizione spirituale per sapere che a cadere nel peccato è un attimo, e la strada per Dio (l'altro) può durare tutta la vita,  che una è in discesa e l'altra in salita, e che mentre sacrificare se stessi è quasi impossibile sacrificare l'altro è dannatamente semplice.

Edit: non posso non notare con il sorriso come Ipazia parli degli scioperi dei giapponesi, siccome quelli dei cinesi non esistono( :D) , a proposito del perchè mi rifiuto di usare collettivismo come antinomico di individualismo.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: 0xdeadbeef il 21 Giugno 2019, 16:50:22 PM
A Jacopus
La democrazia nasce come superamento del vincolo del sangue, quindi come ripartizione territoriale
("damoi", da cui "demos") di ciò che prima era tribù, clan, "fratria" (oggi, facci caso, il medesimo
concetto si ripropone nel dibattito circa il diritto di cittadinanza - lo "ius sanguinis" che viene
superato in favore dello "ius soli").
Il passaggio mi sembra dunque molto chiaro e molto "moderno": viene negata la "fratellanza"; dunque la
"comunità" è obliata in favore della "società" (come spiegato dal sociologo F.Tonnies); ma questo
sempre avviene, nella storia, quando si è in presenza di un crescente sentimento di individualità
che, appunto, va "governato" secondo metodi che non possono più essere quelli propri delle comunità
strette da dei vincoli parentali.
Non a caso, la forma politica della democrazia (che è da distinguere dalla repubblica) nasce nella
mercantile Atene, e si ripropone secoli e secoli più tardi nella "capitalistica" Inghilterra.
Chiaramente la percezione di una propria individualità "monade" (cioè bastevole a se stessa, come nella
celebre definizione di Leibniz) coincide con la percezione di individualità "altre".
E' vero che per il Cristianesimo siamo tutti uguali in quanto tutti creature di Dio; ma questo solo in
potenza, perchè negli effetti alcuni finiscono in paradiso ed altri all'inferno.
E del resto sull'argomento già aveva detto qualcosa di molto significativo Aristotele con la celebre
distinzione circa la giustizia "distributiva" e/o "commutativa".
Quindi ecco, certamente la percezione di una propria individualità è la percezione di altre individualità.
Ma la percezione DELL'individualità (propria e altrui) è anche la percezione della "differenza" (una
percezione solo molto attenuata nelle comunità unite dal vincolo parentale - in queste comunità, notano
molti studi antropologici ed etnologici, praticamente non esiste l'accumulo).
Infine, per quanto concerne una presunta "necessità" (nel senso di "inevitabilità") che l'individualismo
conduca all'egoismo, cioè per quanto concerne la presunzione circa la naturalità dell'"homo homini lupus",
personalmente credo che l'unica "natura" dell'uomo sia il "progettarsi in possibilità" (come nel primo
Heidegger - cosa che in teologia si chiama "libero arbitrio")
Di conseguenza credo anche che, come non esiste una natura umana necessariamente "ferina", così non esiste
una natura umana necessariamente "buona" (l'homo homini deus di Spinoza), come invece credono i Liberali
e troppi epigoni non all'altezza di Marx.
saluti
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: Ipazia il 21 Giugno 2019, 17:17:41 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 21 Giugno 2019, 16:50:22 PM
Di conseguenza credo anche che, come non esiste una natura umana necessariamente "ferina", così non esiste
una natura umana necessariamente "buona" (l'homo homini deus di Spinoza), come invece credono i Liberali
e troppi epigoni non all'altezza di Marx.

I liberali sono quelli che proclamavano il diritto dell'uomo alla felicità mentre si facevano servire a tavola, nei campi e a letto da schiavi africani (non è che siano cambiati molto col tempo). I marxisti, epigoni compresi, credono così tanto alla "natura umana necessariamente buona" da aver postulato la dittatura del proletariato per tenere a bada la borghesia che evidentemente doveva avere una natura umana di tipo diverso  ;D
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: Jacopus il 21 Giugno 2019, 17:41:20 PM
Per Ox. Sull'ultimo punto da te toccato sono perfettamente d'accordo. L'uomo non è né divino, né diabolico. Egoismo e altruismo coesistono necessariamente. Che l'individualismo possa essere pensato come bildung necessaria della storia dell'uomo mi lascia invece perplesso. Passare dalla inevitabilità del comunismo, come credeva Marx, all'inevitabilitá dell'individualismo come processo di potenziamento mi sembra faccia parte, in entrambi i casi, di un discorso ideologico. Ribadisco, anzi, che l'uomo nasce filogeneticamente più altruista che individualista. L'individualismo del resto non è mica una brutta cosa. Ha significato prendere coscienza della propria separatezza dagli altri e pensare un mondo possibile a partire da sé stessi. È possibile che la stessa arte abbia avuto bisogno, per crearsi come concetto, di persone estremamente individualiste.
Ma una volta accettato il fatto che siamo individui, irripetibili, e proprio per questo dotati ognuno di una propria dignità unica ed uguale, riemerge il problema dell'agire collettivo, come problema etico, che può essere risolto o accettando di essere anche parte di istituzioni e legami che trascendono la vita singola e quindi disponibili a cedere parte della nostra individualità, oppure sottolineare l'individualismo come processo che erode progressivamente ogni altro diverso approccio, ha un significato ideologico, nella fattispecie, rientrante nella sfera del sempre redivivo  darwinismo sociale.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: Ipazia il 21 Giugno 2019, 19:34:47 PM
Citazione di: InVerno il 21 Giugno 2019, 16:48:09 PM

Edit: non posso non notare con il sorriso come Ipazia parli degli scioperi dei giapponesi, siccome quelli dei cinesi non esistono( :D) , a proposito del perchè mi rifiuto di usare collettivismo come antinomico di individualismo.

Quale individualismo ?  Nel capitalismo, sia esso liberal-liberista classico o ibridato col comunismo l'unico soggetto reale, l'unico "individuo", è il profitto. L'individuo (umano), o meglio il suo residuo, lo trovi fuori dallo spazio dell'accumulazione, per chi ha la fortuna di trovarlo (anche il "consumatore" è dentro lo spazio massificante dell'accumulazione).
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: 0xdeadbeef il 23 Giugno 2019, 12:37:01 PM
A Ipazia
Sì certo, non discuto la tua definizione di "capitalismo"; ma essa è appunto quella peculiare del
pensiero di Marx (il quale, non è sicuramente un "signor nessuno" in materia, intendiamoci).
Mi chiedo, dicevo, se già l'accumulo e il capitale "familiare" (nel senso di "famiglia" come
unità sempre più ristretta ed "individuata", che nel corso della storia passa da una concezione
"larga", quale quella della tribù o del "clan", alla attuale) già non possano pregigurare una
forma capitalistica (o precapitalistica nel senso indicato dallo stesso Marx).
E in ogni caso ritengo molto problematico l'affermare che l'economia mercantile mediaevale non è
capitalistica.
In essa, del capitalismo abbiamo forse già la caratteristica principale: l'interesse (che non a caso
genera le prime banche e la prima forma finanziaria - oltre ad una prima forma di globalizzazione,
con il Fiorino fiorentino assunto come moneta di scambio internazionale).
Quando la filosofia anglosassone afferma che l'utile individuale è "bene" non lo intende in senso
merceologico (sarebbe in ogni modo intelligente chiedersi il perchè un certo prodotto merceologico
viene definito "bene"...).
No, per essa il "bene" non è quel qualcosa di stabilito a priori della filosofia "continentale"
(chiaramente sulla base del "comandamento divino"), ma è l'utile individuale stesso, con il
quale coincide.
Da questo punto di vista, non parlavo del "bene" come di un prodotto merceologico, ma del "bene"
metafisicamente inteso (o naturalisticamente inteso, se preferisci...).
L'utile individuale è, per la filosofia anglosassone, SEMPRE bene (tant'è vero che coloro che
non sanno perseguire questo utile, i poveri, finiscono dritti all'inferno...).
Sul successo economico orientale vorrei segnalarti un'opera molto "originale" ("Democrazia e
mercato", di J.P.Fitoussi), in quanto mi risulta essere uno dei pochissimi (almeno fino a qualche
anno fa) studi sul rapporto che lega fra loro le forme politiche della democrazia e le forme
economiche del mercato.
Bene, Fitoussi afferma che il momento più "efficiente" in termini di mercato è stato quello della
democrazia messicana negli anni 70. La qual cosa vuol dire che mercato e democrazia si "sposano"
bene fino a un certo punto, che è quel punto in cui i diritti democratici non vanno "troppo" (...)
ad intaccare la libertà economica...
Insomma, mi sembra evidente che i pochi diritti di cui godono i lavoratori orientali si sposano
alla perfezione con l'estremismo capitalistico che vige in quei paesi. Semmai ci sarebbe da
fare un certo discorso per quanto riguarda l'individualismo, ma dire che il successo economico
orientale poggia sulla "coscienza sociale" mi sembra un paradosso.
saluti
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: 0xdeadbeef il 23 Giugno 2019, 16:06:24 PM
Citazione di: Ipazia il 21 Giugno 2019, 17:17:41 PM
I liberali sono quelli che proclamavano il diritto dell'uomo alla felicità mentre si facevano servire a tavola, nei campi e a letto da schiavi africani (non è che siano cambiati molto col tempo). I marxisti, epigoni compresi, credono così tanto alla "natura umana necessariamente buona" da aver postulato la dittatura del proletariato per tenere a bada la borghesia che evidentemente doveva avere una natura umana di tipo diverso  ;D


A Ipazia
Su questo punto credo tu faccia finta di non capirmi, visto che ho più volte ripetuto che NON
ritengo il marxismo una dottrina buonista, ghandiana insomma; ma che ritengo il marxismo poggiare
sull'idea di un essere umano naturalmente buono (sull'idea rousseiana del "buon selvaggio",
insomma).
Sai meglio di me come la "dittatura del proletariato", nell'ideologia marxista, serva a rimuovere
ogni parvenza ideologica sovrastrutturale borghese. E come, attraverso la completa "rivoluzione" dei
rapporti di produzione, serva in ultima istanza (...) a rimuovere ogni forma di potere politico
(fino all'anarchia rappresentata dal "comunismo").
Ovviamente questo "fine" non sarebbe ipotizzabile né nel caso si considerasse l'essere umano come
"homo homini lupus", né lo si considerasse dotato di "libero arbitrio".
E' evidentissimo, al punto che risulta banale sottolinearlo, come in tutto il "sottosuolo" del
pensiero di sinistra la "colpa" giuridica venga attribuita ad agenti esterni (che in ultima
istanza sono riconducibili ai rapporti di produzione); mai ad un atto dovuto a "dolo", cioè ad
un atto di piena e consapevole volontà di agire al fine di nuocere.
saluti
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: 0xdeadbeef il 23 Giugno 2019, 16:53:21 PM
A Jacopus
No, non ritengo che il processo di "individuazione" sia necessario nel senso di "inevitabile
destino" (non credo ad alcuna "necessità", quindi neanche a questa).
Men che meno credo a fantomatici "processi di potenziamento", che mi rimandano direttamente ai
fraintendimenti della teoria darwiniana e, in ultima analisi, alla teoria metafisica del "progresso".
Nel corso della storia abbiamo molte volte assistito a forti riprese del collettivismo inteso come
cambiamento di prospettiva davanti alla, chiamiamola, "monadicità" dell'individuo (in parole povere
alla considerazione dell'individuo come "universo a sé"). Ma, per così dire, sempre si è fatto un
passo avanti per poi farne due indietro, visto che l'emergere dell'individuo sembra, come tendenza,
essere costante.
Diciamo che questo mi sembra essere ciò che "avviene" (se poi uno crede che ciò che avviene, avviene
per necessità è libero di farlo, ma non è il mio punto di vista).
Credo che né l'individualismo né il collettivismo siano "necessariamente" (questo avverbio ritorna
fatalmente, e non a caso...) brutta o buona cosa.
Però, come giustamente noti, oggi che l'individuo ha assunto veste totalizzante (è soprattutto Von
Hayek a mostrarlo chiaramente, come ho cercato di spiegare lungo questa discussione), il problema è
il problema dell'agire collettivo come problema etico.
Ma non solo, perchè visto che il problema etico è anche il problema giuridico, il problema diventa
allora, e direi drammaticamente, il problema del "diritto".
Non a caso nell'ottica liberale si parla non di "diritto", ma di "libertà" (il diritto "vive" infatti
in una dimensione collettiva che non è quella della "libertà" come intesa dagli anglosassoni).
Lo "sguardo del mondo" moderno, che è plasmato su quello della filosofia anglosassone, "risolve"
il problema con lo strumento del "contratto", che come afferma Von Hayek è lo strumento più efficace
per risolvere le controversie fra gli individui.
saluti
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: viator il 23 Giugno 2019, 18:21:27 PM
Salve Ox. Citandoti : "Ma, per così dire, sempre si è fatto un
passo avanti per poi farne due indietro, visto che l'emergere dell'individuo sembra, come tendenza,
essere costante.".


E per fortuna, dico io. Purtroppo tutte le ideologie collettivistiche sembrano ignorare o schernire un certo dato di fatto di natura statistica : L'affermarsi di principi demo-anarco-ugualitari-collettivistici favorisce ovviamente i soggetti meno dotati (i meno intelligenti, meno intrapredendenti, i comunque svantaggiati). Ciò in nome  di un principio di fraternità ed eguaglianza veramente lodevole ed entusiasmante il quale però, dal punto di vista naturale è solo una pia velleità).

Viene trascurato il fatto che il favorire gli svantaggiati comporti inesorabilmente il comprimere le eccellenze umane.
Cioè chi potrebbe eccellere (individualmente quindi egoisticamente) deve limitarsi o verrà limiitato dalla società.
E tutto ciò che le eccellenze vorrebbero o potrebbero fare al di sopra del livello medio stabilito dall'ugualitarsmo, non verrà fatto da nessuno.

Ecco la bieca ragione del primato dell'utilitarismo individuale capitalistico che tanto fa piangere comunisti, anarchici, pauperisti, cattointegralisti etc. etc. etc.............Saluti.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: Ipazia il 23 Giugno 2019, 18:33:43 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 23 Giugno 2019, 16:06:24 PM
A Ipazia
Su questo punto credo tu faccia finta di non capirmi, visto che ho più volte ripetuto che NON ritengo il marxismo una dottrina buonista, ghandiana insomma; ma che ritengo il marxismo poggiare sull'idea di un essere umano naturalmente buono (sull'idea rousseiana del "buon selvaggio", insomma).

Ma quale essere umano naturalmente buono ! Tra Rousseau e Marx ci sta Darwin e nel passaggio del socialismo "dall'utopia alla scienza" c'è moltissimo Darwin tanto che Marx gli dedicò il primo libro del Capitale.

CitazioneSai meglio di me come la "dittatura del proletariato", nell'ideologia marxista, serva a rimuovere ogni parvenza ideologica sovrastrutturale borghese. E come, attraverso la completa "rivoluzione" dei rapporti di produzione, serva in ultima istanza (...) a rimuovere ogni forma di potere politico (fino all'anarchia rappresentata dal "comunismo"). Ovviamente questo "fine" non sarebbe ipotizzabile né nel caso si considerasse l'essere umano come "homo homini lupus", né lo si considerasse dotato di "libero arbitrio".

L'uomo è, darwinianamente e non hobbesianamente, homo omini lupus. Solidale e rissoso come può esserlo un branco di lupi, animali sociali quanto noi. Ma  decisamente più egualitari. In un branco di lupi umani non ha senso parlare di bene e male, e di colpa, in senso metafisico...

Citazione
E' evidentissimo, al punto che risulta banale sottolinearlo, come in tutto il "sottosuolo" del pensiero di sinistra la "colpa" giuridica venga attribuita ad agenti esterni (che in ultima istanza sono riconducibili ai rapporti di produzione); mai ad un atto dovuto a "dolo", cioè ad un atto di piena e consapevole volontà di agire al fine di nuocere.

... ma il tutto va riportato al contesto sociale. Fatta la tara del quale, ma solo allora, si può parlare di bene e male, buono e cattivo. Il mito del buon selvaggio è stato demolito dagli studi antropologici e i marxisti non sono così sprovveduti, come certi filosofi socialutopistici, da ignorarlo. L'esperienza del socialismo reale ha confermato al di là di ogni ragionevole dubbio che una società egualitaria va continuamente presidiata perchè rimanga tale e lo si fa sulla base di un libero arbitrio collettivo che ha scelto (coscienza) quel modello sociale contrapponendolo ad uno, storicamente prevalente, ancora dominante e sempre risorgente, di tipo classista. Semmai appare storicamente costante il classismo, lo sfruttamento interspecista e intergender, pertanto nessuna illusione, almeno da parte marxista, che vi siano dei banali errori da rimuovere per vivere felici e contenti.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: Ipazia il 23 Giugno 2019, 19:15:16 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 23 Giugno 2019, 12:37:01 PM
.Mi chiedo, dicevo, se già l'accumulo e il capitale "familiare" (nel senso di "famiglia" come unità sempre più ristretta ed "individuata", che nel corso della storia passa da una concezione "larga", quale quella della tribù o del "clan", alla attuale) già non possano pregigurare una
forma capitalistica (o precapitalistica nel senso indicato dallo stesso Marx).
E in ogni caso ritengo molto problematico l'affermare che l'economia mercantile mediaevale non è capitalistica. In essa, del capitalismo abbiamo forse già la caratteristica principale: l'interesse (che non a caso genera le prime banche e la prima forma finanziaria - oltre ad una prima forma di globalizzazione, con il Fiorino fiorentino assunto come moneta di scambio internazionale).

La caratteristica peculiare del capitalismo è: produzione prevalente per il mercato e non per l'uso. Il mercantilismo copre sole la parte commerciale, la banca solo quello creditizio, ma manca l'elemento più importante, ovvero non lo scambio del surplus eventuale della produzione, ma produzione deliberata di un surplus per lo scambio. Inoltre conta la scala del processo, la ricerca della produttività, l'avvento della forma merce e del mercato come luogo centrale dell'economia che si "emancipa" sempre più dal valore d'uso del prodotto contando - economicamente - ormai solo il suo valore di scambio.

CitazioneQuando la filosofia anglosassone afferma che l'utile individuale è "bene" non lo intende in senso merceologico (sarebbe in ogni modo intelligente chiedersi il perchè un certo prodotto merceologico viene definito "bene"...). No, per essa il "bene" non è quel qualcosa di stabilito a priori della filosofia "continentale" (chiaramente sulla base del "comandamento divino"), ma è l'utile individuale stesso, con il quale coincide. Da questo punto di vista, non parlavo del "bene" come di un prodotto merceologico, ma del "bene" metafisicamente inteso (o naturalisticamente inteso, se preferisci...). L'utile individuale è, per la filosofia anglosassone, SEMPRE bene (tant'è vero che coloro che non sanno perseguire questo utile, i poveri, finiscono dritti all'inferno...).

L'utilitarismo inglese è una "filosofia" appartenente al corpus dell'ideologia capitalistica e del suo modo di intendere l'individualismo come legittimazione dell'appropriazione dell'altrui tempo di vita a fini socialmente utili. Quindi il motore del progresso sarebbe dall'individuo alla società. Che questa posizione "filosofica" sia una bufala lo dimostra il fatto che una sua rappresentante di successo potè affermare che "la società non esiste, esiste solo l'individuo" solo perchè aveva dietro una società capace di impedire al primo minatore di passaggio di sgozzarla.

Si fosse trattato solo di utile individuale sarebbe finita così.

Citazione
Sul successo economico orientale vorrei segnalarti un'opera molto "originale" ("Democrazia e mercato", di J.P.Fitoussi), in quanto mi risulta essere uno dei pochissimi (almeno fino a qualche
anno fa) studi sul rapporto che lega fra loro le forme politiche della democrazia e le forme economiche del mercato.
Bene, Fitoussi afferma che il momento più "efficiente" in termini di mercato è stato quello della democrazia messicana negli anni 70. La qual cosa vuol dire che mercato e democrazia si "sposano" bene fino a un certo punto, che è quel punto in cui i diritti democratici non vanno "troppo" (...) ad intaccare la libertà economica...
Insomma, mi sembra evidente che i pochi diritti di cui godono i avoratori orientali si sposano alla perfezione con l'estremismo capitalistico che vige in quei paesi. Semmai ci sarebbe da fare un certo discorso per quanto riguarda l'individualismo, ma dire che il successo economico
orientale poggia sulla "coscienza sociale" mi sembra un paradosso.

Ma anche no. Il lavoratore giapponese che lavora con la fascia al braccio in cui dice che è in sciopero antepone il valore sociale dell'azienda al valore individuale della sua azione di protesta, che comunque individualmente manifesta e di cui il padrone dovrà tener conto se vuole che l'azienda rimanga un valore sociale condiviso. Io me la spiego così, altrimenti è solo una bizzarria orientale.

Sulla Cina devo approfondire, perchè le contraddizioni tra politica ed economia sono enormi. Secondo me anche lì la cosa sta in piedi per l'unio mystica tutta orientale tra stato (società) e lavoratore (individuo), in cui la società finisce sempre col prevalere anche a livello di coscienza. Forse dovremmo imparare anche noi, dagli orientali, il disvalore dell'individualismo. Se non con la filosofia, col PIL.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: 0xdeadbeef il 23 Giugno 2019, 19:51:12 PM
A Viator
Negli anni 50 ci si stupiva fin quasi allo scandalo che Adriano Olivetti (famoso imprenditore che
precorse i tempi nel campo del calcolo elettronico) guadagnasse 50 volte il salario di un suo
operaio. Fai tu il calcolo di quante volte, oggi, un "manager" o un campione dello sport eccede il
salario di un operaio (chiaramente precario)...
Quel che voglio dire è che, sì, al collettivismo possono essere attribuite molte nefandezze (fino
addirittura alle peggiori tragedie del 900), ma non è che con questo possiamo dare "campo libero"
all'individuo, come lo stiamo dando (l'individuo ha ormai assunto una veste totalizzante, ontologica
direi).
Lo accennavo già in quella risposta all'amico Jacopus che citi: è una questione di misura (e qui non
ce n'è più nessuna).
E non soltanto per una questione di mera giustizia sociale, ma è anche per un motivo propriamente
economico che le eccessive diseguaglianze sono dannose, come molti ed autorevoli studi
dimostrano (ad es. T.Piketty e R.Reich).
saluti
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: Ipazia il 24 Giugno 2019, 08:09:51 AM
Citazione di: viator il 23 Giugno 2019, 18:21:27 PM
Salve Ox. Citandoti : "Ma, per così dire, sempre si è fatto un
passo avanti per poi farne due indietro, visto che l'emergere dell'individuo sembra, come tendenza,
essere costante.".


E per fortuna, dico io. Purtroppo tutte le ideologie collettivistiche sembrano ignorare o schernire un certo dato di fatto di natura statistica : L'affermarsi di principi demo-anarco-ugualitari-collettivistici favorisce ovviamente i soggetti meno dotati (i meno intelligenti, meno intrapredendenti, i comunque svantaggiati). Ciò in nome  di un principio di fraternità ed eguaglianza veramente lodevole ed entusiasmante il quale però, dal punto di vista naturale è solo una pia velleità).

Viene trascurato il fatto che il favorire gli svantaggiati comporti inesorabilmente il comprimere le eccellenze umane.
Cioè chi potrebbe eccellere (individualmente quindi egoisticamente) deve limitarsi o verrà limiitato dalla società.
E tutto ciò che le eccellenze vorrebbero o potrebbero fare al di sopra del livello medio stabilito dall'ugualitarsmo, non verrà fatto da nessuno.

Ecco la bieca ragione del primato dell'utilitarismo individuale capitalistico che tanto fa piangere comunisti, anarchici, pauperisti, cattointegralisti etc. etc. etc.............Saluti.

É proprio vero: in una società egualitaria dovremmo rinunciare a eccellenze come John Elkann.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: Jacopus il 24 Giugno 2019, 13:28:27 PM
Il discorso sul emersione dei più dotati ha senso. Ma razionalmente si dovrebbe, al termine della propria vita donare i proprio beni, accumulati grazie alle proprie doti ad un fondo comune, che lo utilizzerà per investimenti pubblici. Nel frattempo, affinché emergano le qualità intrinseche delle persone, andranno abolite le scuole private d'eccellenza, i quartieri a rischio, le guerre nei paesi del terzo mondo, i pregiudizi razziali, culturali e di genere.
Alla fine se il capitalismo volesse fare sul serio, avrebbe la possibilità di farlo e in realtà nei paesi del nord-europa c'è un'etica in questo senso, basti pensare che le tasse sulla successione sono molto più basse o inesistenti nei paesi latini. L'italia come al solito è un ibrido: per metà democrazia liberale, per metà feudalesimo applicato al capitalismo.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: InVerno il 24 Giugno 2019, 14:38:27 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 23 Giugno 2019, 19:51:12 PMNegli anni 50 ci si stupiva fin quasi allo scandalo che Adriano Olivetti (famoso imprenditore che
precorse i tempi nel campo del calcolo elettronico) guadagnasse 50 volte il salario di un suo
operaio. Fai tu il calcolo di quante volte, oggi, un "manager" o un campione dello sport eccede il
salario di un operaio (chiaramente precario)...
Cinquanta volte era la media anche in america negli anni 60 senza che vi fossero limiti, lo scandalo sarebbe stato aggiungere uno zero, e la risposta a come fosse possibile si può semplificare nel fatto che l'imprenditore alla domenica andava in chiesa con i suoi operai. Non tanto per dare meriti alla chiesa di per se, quanto con il fatto che gli operai non erano ghettizzati ed era una comunità molto diversa. Oggi è praticamente impossibile che un "CEO" condivida spazi comuni con i propri subordinati, sono due mondi che comunicano sempre meno, e il rischio di trovarsi le gomme tagliate  (nel senso di insubordinazione) è ridotto al minimo anche per i vasti poteri di controllo di cui sono stati dotati grazie alla tecnologia e a ricatti di vario tipo in atto grazie alla morbidezza (eufemismo) sindacale.
Peraltro quella generazione usciva fuori dalla classe operaia nella maggior parte dei casi, non gestiva un eredità, cioè aveva realmente partecipato alla competizione capitalistica ed era stata formata da un etica del lavoro e del sacrificio attraverso questa competizione. Sono d'accordo con Jacopus, tolta una parte "di riserva" che giustamente possa assicurare le basi alla propria prol, penso che un regime capitalistico che voglia onorare i propri fondamentali dovrebbe agire in tal senso.Bill Gates per esempio ha deciso di lasciare 10milioni di dollari a testa ai propri figli (sono tanti, ma su 100miliardi di patrimonio nemmeno troppi).. certo lasciarlo a discrezione dei capitalisti e sperare che lo facciano per scrupolo è ridicolo.
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: 0xdeadbeef il 25 Giugno 2019, 11:01:23 AM
Citazione di: Ipazia il 23 Giugno 2019, 18:33:43 PML'esperienza del socialismo reale ha confermato al di là di ogni ragionevole dubbio che una società egualitaria va continuamente presidiata perchè rimanga tale e lo si fa sulla base di un libero arbitrio collettivo che ha scelto (coscienza) quel modello sociale contrapponendolo ad uno, storicamente prevalente, ancora dominante e sempre risorgente, di tipo classista.

A Ipazia
A parere mio non fai, o non fai abbastanza, i conti con quella "frattura epistemologica" di cui
parla Althusser.
Sembi infatti dar preminenza a quel "soggettivismo marxiano" che, in netto contrasto con
l'oggettivismo evoluzionista presente soprattutto in alcune letture de: "Il Capitale",
porterà molti pensatori a teorizzare appunto la preminenza del "partito" come soggetto
storicamente determinato.
Intendiamoci, credo anch'io che quell'interpretazione (che mi pare la tua) sia quella "giusta",
perchè rende conto di altre "istanze" che sono in definitiva di carattere sovrastrutturale
(seppur rimanendo l'"ultima" quella strutturale) e perchè giustifica appieno quell'aggettivazione
di "storico" che Marx attribuisce al materialismo.
Però, come dire, l'equivoco rimane sullo sfondo, e condiziona pesantemente ogni sviluppo successivo
del pensiero di Marx.
La presunta scientificità "dura" della dottrina marxiana, che si compie nel concetto della struttura
che determina la sovrastruttura senza che vi siano "istanze" diverse, porterà la sinistra mondiale,
davanti ai nuovi scenari e paradigmi posti dalla modernità, a considerare Marx come confutato, e dunque
da "rottamare".
Perchè questo è quel che è successo (basta leggere il fondamentale "Capitalismo e teoria sociale", di
A.Giddens, per rendersi conto di come questo equivoco abbia segnato profondamente il passaggio verso
questa pseudo-sinistra liberale odierna).
saluti
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: 0xdeadbeef il 25 Giugno 2019, 12:24:05 PM
A Jacopus e InVerno
Noto che negli USA vige ancora almeno un residuo di quella che fu l'etica capitalistica, che portava
appunto il miliardario, arrivato alla vecchiaia, a donare ad associazioni benefiche o ad istituire
delle fondazioni.
G.W.Bush senior lo chiamava "conservatorismo compassionevole", e lo riteneva perfettamente coerente,
come in effetti lo è, con la dottrina neoconservatrice di cui era il massimo esponente politico.
Una dottrina, Jacopus, che rifugge come la peste ogni regola "costruttivista" (nel senso dato a
tal termine da Von Hayek, e che in definitiva si sintetizza nella teoria di una visione
"escatologica" ed ontologizzante dell'utilitarismo classico).
Insomma: nemmeno ci si sogni di andare a dire ai seguaci più intransigenti del "mercatismo" di
abolire le scuole private d'eccellenza o tutto ciò che sorge "spontaneamente" dal perseguimento
dell'utile individuale. Perchè tutto ciò che sorge spontaneamente (da "spontaneismo") dal
perseguimento dell'utile individuale immediato rappresenta la realizzazione della migliore
fra le condizioni possibili.
saluti
Titolo: Re:L'oblio del fine nella cultura dell'eterno presente
Inserito da: Ipazia il 25 Giugno 2019, 16:28:07 PM
La "frattura epistemologica" si chiama concezione materialistica della storia.  Essa è frattura epistemologica in quanto ha seppellito lo stoicismo idealistico, innovando il paradigma della ricerca storica e antropologica. Di tale frattura ha tenuto conto non solo Ipazia, ma tutta la ricerca accademica, così come Darwin ha innovato i paradigmi naturalistici e Freud quelli psicologici.

Ridurre la concezione materialistica della storia a meccanicismo è critica faziosa di chi ha interesse a fraintenderla. Date le condizioni strutturali, intese in senso socioeconomico marxista, l'autonomia del politico (coscienza di classe) modifica la struttura in modo antimeccanicistico attraverso un processo rivoluzionario.