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LOGOS - Argomenti => Tematiche Filosofiche => Discussione aperta da: Carlo Pierini il 29 Giugno 2018, 19:25:21 PM

Titolo: La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 29 Giugno 2018, 19:25:21 PM
Il "noumenon" platonico è l'idea originaria, eterna, divina, il modello metafisico della cosa creata. 
In tal senso, la conoscenza di una cosa è un risalire al "noumenon" che la fonda, al suo paradigma o archetipo originario, che è ALTRO dalla cosa, ma conoscibile, intelligibile, proprio in quanto "idea" commensurabile alle idee umane ordinarie.
Kant lo ha manipolato fondendolo con la cosa e ottenendo un aborto concettuale: "la cosa in sé", che non ha alcun significato, con il solo scopo di contrapporre dualisticamente "fenomeno" e "noumeno" e dichiarare il primo conoscibile, e il secondo (al pari del "Trascendente") assolutamente inconoscibile.
Con questa mossa oscena ha costruito a tavolino una filosofia da vendere sia ai materialisti che ai mistici sostenitori dell'ineffabilità di Dio. 
Un vero mercante truffatore mascherato da filosofo. L'iniziatore della frattura inconciliabile e cruenta tra scienza e fede.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 29 Giugno 2018, 22:15:17 PM
Penosa pretesa liquidazione di Kant senza averlo capito.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 29 Giugno 2018, 23:35:49 PM
Citazione di: sgiombo il 29 Giugno 2018, 22:15:17 PM
Penosa pretesa liquidazione di Kant senza averlo capito.

Se tu l'hai capito, spiegami dov'è che mi sbaglio.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 30 Giugno 2018, 09:51:25 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 29 Giugno 2018, 23:35:49 PM
Citazione di: sgiombo il 29 Giugno 2018, 22:15:17 PM
Penosa pretesa liquidazione di Kant senza averlo capito.

Se tu l'hai capito, spiegami dov'è che mi sbaglio.
Citazione
Citazione di: Carlo Pierini il 29 Giugno 2018, 23:35:49 PM

PAROLE DI SGIOMBO E NON DI CARLO PIERINI

Eh, caro mio, ci vorrebbe troppo tempo.
Se non capisci che cosa sia la cosa in sé kantiana e la consideri un "aborto concettuale" dovresti cominciare col rileggere (o più verosimilmente col leggere) le sue Critiche, soprattutto la prima.

Posso solo accennare al fatto che il concetto kantiano di "noumeno" é un costrutto teorico originale e non affatto una "manipolazione" delle idee platoniche", col quale ha ben poco o piuttosto nulla a che fare, che é perfettamente ovvio che qualunque pensatore (anche Platone e qualsiasi altro) ricavi consenso (con malevola metafora -decisamente ridicola e penosa nel caso di Kant, come d' altra parte le taccie di operatore di "mosse oscene", di elaboratore di una "filosofia costruita a tavolino" e di "mercante truffatore travestito da filosofo"- denominabile "lucro") dalle sua proposte teoriche; ovviamente nella misura in cui siano e presso coloro per i quali siano convincenti.
Ma, contrariamente a Kant, Platone, se é vero quanto ci racconta il solitamente attendibile Diogene Laerzio, non si limitò a "lucrare lecitamente" consenso alle sue tesi, bensì cercò anche di imporlo forzatamente e in maniera intellettualmente disonesta, attraverso il tentativo di far distruggere -irreversibilmente censurare!- le opere chi chi, come Democrito, ne dissentiva e le criticava).

Quella di Kant come presunto "iniziatore della frattura inconciliabile e cruenta -sic!- tra scienza e fede" é un' altra penosissima e tragicomicissima sciocchezza.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Apeiron il 30 Giugno 2018, 10:53:17 AM
Forse può aiutare anche considerare che:
1) Kant era sosteneva il "realismo empirico", ovvero che il mondo fenomenico è reale e che noi abbiamo conoscenza di esso. Questo lo distingue dall'idealismo Berkeleyano. Da questo Kant deduce che non ci può essere conoscenza senza un "datum" ("i pensieri senza contenuto sono vuoti; le intuizioni [sensazioni, il "datum"] senza concetti sono vuoti"). Dunque non ci può una nemmeno una metafisica tipica dei "Razionalisti" ovvero, visto che la conoscenza delle cose "reali" viene dall'esperienza (dal "datum") non possiamo utilizzare i concetti per descrivere "altro" (sarebbero pensieri senza contenuto). Kant però riconosce che ci sono varie porte di accesso per la nostra conoscenza: le sensazioni fisiche, il senso morale, del bello ecc. Faccio notare che qui Kant si distanzia però anche dal materialismo o dal realismo "naive" visto che in fin dei conti il datum sono le sensazioni e non le "cose". "Realismo" = "indipendente dalla mia esistenza soggettiva", "empirismo" = "immanente nell'esperienza"
2) Kant sostiene l' "idealismo trascendentale", ovvero che abbiamo un particolare modo di conoscere che dipende da noi. Quindi noi "rappresentiamo" le cose ad esempio con la categoria della causalità, nello spazio e nel tempo. Notare che queste "categorie" sono indipendenti dalla particolare esperienza ("trascendentale") e dipendono dall'esistenza soggettiva ("idealismo"). Berkeley era un "idealista empirico", ovvero riteneva che conosciamo gli oggetti della nostra esperienza i quali dipendono da noi. Differisce anche da Hegel visto che le sensazioni non nascono dalla coscienza. Le "idee trascendentali" sono quindi idee che condizionano a priori tutta la nostra esperienza. Quindi secondo Kant ci sono idee in campo conoscitivo come la causalità che noi a priori imponiamo sul modo in cui rappresentiamo l'esperienza. Oppure i postulati della Ragion pratica condizionano il nostro senso morale (ovviamente "Dio" non dipende dall'esistenza soggettiva secondo Kant però l'idea dell'esistenza di Dio sì).  

Non possiamo però conoscere le cose senza intuizione, quindi il "noumeno" ci è inaccessibile, visto che la nostra facoltà di conoscere si basa sull'esperienza e sulle categorie. Dunque, mentre noi conosciamo le sensazioni e le "categorie", non possiamo conoscere le cose indipendentemente dalle nostre categorie. Vorrei far notare però che per Kant il "noumeno" è un concetto limite, visto che per noi è impossibile conoscere le cose al di fuori delle nostre categorie. La nostra mente non è una "tabula rasa", ma ha una sua "struttura di base", la quale condiziona la nostra esperienza (ovvero noi rappresentiamo l'esperienza in un certo modo - es: l'esperienza fenomenica è sempre nello spazio e nel tempo). Inoltre, per Kant, non ci è possibile "mutare" questa struttura di base (o almeno una parte di essa).

P.S. Dissento totalmente dal giudizio negativo su Kant. Riguardo all'altrettanto negativo giudizio su Platone espresso da Diogene Laerzio, possiamo solo speculare. Ad ogni modo Platone fa dire a Socrate* che il filosofo ha il piacere di essere confutato quando tale confutazione porta dalla falsità alla verità. Quindi, almeno negli scritti non dice di sopprimere il dissenso, anzi. Che poi in vita sia stato incoerente, non si può dire. Può esserlo stato, visto che incoerenze e ipocrisie varie purtroppo sono difficilmente separabili dalla nostra natura umana  :( ad ogni modo anche se è vero che Aristotele ha lasciato la sua accademia fondando una sua scuola, Speusippo diventò il successore di Platone alla guida dell'Accademia pur non condividendo la teoria platonica delle Forme. Quindi, è difficile dire quanto Platone era consono a sopprimere il dissenso.  



*"A che genere di uomini appartengo? A quello di chi prova piacere nell'essere confutato, se dice cosa non vera, e nel confutare, se qualcuno non dice il vero, e che, senza dubbio, accetta d'esser confutato con un piacere non minore di quello che prova confutando. Infatti, io ritengo che l'esser confutati sia un bene maggiore, nel senso che è meglio essere liberati dal male più grande piuttosto che liberarne altri. Niente, difatti, è per l'uomo un male tanto grande quanto una falsa opinione sulle questioni di cui ora stiamo discutendo. Se dunque anche tu sostieni di essere un uomo di questo genere, discutiamo pure; altrimenti, se credi sia meglio smettere, lasciamo perdere e chiudiamo il discorso." (Platone, Gorgia)
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: davintro il 30 Giugno 2018, 16:14:04 PM
penso che il limite della gnoseologia kantiana sia stato quello di costituirsi come di fatto una troppo rigida dualità fra "forme" con cui l'intelletto ordina e organizza i dati dell'esperienza sensibile, e una materia identificabile con i contenuti dell'esperienza intesa solo dal punto di vista degli oggetti fisici, che cadono primariamente sotto le categorie estetiche di spazio e tempo. Private di una propria specifica materialità, le categorie apriori dell'intelletto, cioè la componente di intelligibilità insita nella nostra mente, dovrebbero limitarsi ad essere "funzioni", ad operare nella loro attività di organizzazione e unificazione dei dati senza poter essere posti come oggetto di uno specifico sapere (di qui la squalifica della metafisica e dell'ontologia come scienza autonoma). Ma a questo punto la riduzione delle categorie presenti a priori nell'intelletto a "funzioni" impossibili da oggettivare dovrebbe limitarsi a spiegare il meccanismo della conoscenza del mondo esterno, ma sarebbe impossibilitata a giustificare le possibilità di una critica della conoscenza, cioè lo schema kantiano potrebbe bene spiegare come si sviluppa il processo conoscitivo, ma non riuscirebbe a rendere conto di sé, della possibilità di oggettivare in una riflessione ad hoc i fondamenti trascendentali dell'intelletto, dato che questi fondamenti essendo, per Kant, solo forme e funzioni, non potrebbero assurgere a materiale e oggetto di uno specifico tipo di intuizione e conoscenza. Come potrebbe Kant accorgersi dell'esistenza di strutture trascendentali se poi sulla base della sua concezione di "conoscenza" questa potrebbe solo ricevere un materiale sensibile, circoscrivibile a "spazio" e "tempo"? Se l'intuizione che fornisce sinteticamente i contenuti della conoscenza poi ordinata dalle "forme" può essere solo di natura sensibile, che tipo di intuizione ha utilizzato Kant per parlare di "apriori", "causalità", "spazio", "tempo", tutto ciò strutturalmente presente nella mente a livello trascendentale, cioè indipendentemente dalle condizioni empiriche di un certo tempo e spazio? E questo limite esplicativo si riflette poi sullo stesso dualismo fenomeno-noumeno: se il noumeno fosse del tutto inconoscibile sarebbe impossibile persino riconoscerne la distinzione rispetto al fenomeno, in quanto ogni riconoscimento di un limite, presuppone sempre una certa, seppur confusa e parziale, rappresentazione di ciò che sta al di là del limite stesso. La riflessione sui limiti della conoscenza sensibile è cioè resa possibile dall'individuazione di un "al di là" intelligibile, e solo in relazione ad esso la conoscenza sensibile può apparirmi come limitata, e quindi concepire una dualità, ma questo "al di là" intelligibile dovrebbe comunque in qualche misura essere oggetto di conoscenza. Altrimenti dovremmo limitarci a ricevere dati sensibili senza la possibilità di intraprendere una critica tesa a delimitare i confini di questo ambito. La mia impressione è che il dualismo fenomeno-noumeno in Kant sia il prodotto di un indebito passaggio dal rilevamento di una dualità tra la cosa come oggetto di esperienze, e la "cosa in sé" posta indipendentemente dal fatto di averne un'esperienza soggettiva, una dualità in un'accezione logica-formale, al rilevamento di una dualità gnoseologica e anche ontologico tra "fenomeno" e "noumeno", non considerando che, un conto è distinguere tra ciò che si può conoscere e ciò che non si può conoscere, un altro tra ciò che una cosa è oggettivamente, e ciò che è relativo a una mente soggettiva che ne fa esperienza. La confusione tra il piano logico (oggettività o inseità della cosa) e piano gnoseologico (inconoscibilità) conduce necessariamente al relativismo e solipsismo in quanto si fa coincidere la "cosa in sé", l'oggettività, con ciò che è al di là del fenomeno e dunque contenuto di un sapere scientifico, condizione da cui Kant spera di trarsene fuori con l'individuazione di una sfera di verità universali, quella dei giudizi sintetici a-priori. Ma l'errore sta nel ritenere che la nozione di "a priori" sia scindibile da quella di noumeno, di poter salvare la prima (come proprietà dei giudizi e delle categorie che si riconoscono nella nostra mente) relegando la seconda nell'ignoto. Perché nel momento in cui, criticamente, riconosco l'esistenza di strutture necessariamente presenti nell'intelletto e conseguentemente ne deduco un ambito di giudizi aprioristicamente veri, mi  sto riferendo a un correlato oggettivo di tale sfera di categorie e giudizi di cui colgo dei caratteri di universalità, cioè di indipendenza rispetto alla contingenza delle esperienze particolari, dunque a un nucleo noumenico, universale, che regge la possibilità di conoscere strutture a loro volta aprioriste, cioè universali, indipendentemente dal fatto che tale universalità non riguardi più il mondo esterno, ma il mondo interiore della nostra soggettività. Insomma, il limite della critica kantiana a mio avviso sta nel delineare un modello di meccanismo conoscitivo parziale, perché strutturalmente incapace di rendere ragione della critica stessa, perché il tipo di conoscenza che la critica utilizza non può essere lo stesso che pone come limite entro cui una scienza è possibile, dato che le strutture a priori dell'intelletto, nel momento in cui le riconosco in me, non possono più essere solo forme e funzioni al servizio di un materiale sensibile-estetico, ma devono essere a loro volta a tutti gli effetti "materia" e "oggetto" di scienza. Manca un momento autoriflessivo, "metacritico" nelle quali l'apriori sia oggetto di una modalità d'apprensione specifica, che non potrebbe che essere una sorta di intuizione intellettuale, autonoma rispetto a quella sensibile (anche se complementare ad essa nel concreto dell'esperienza) adeguata all'intelligibilità delle categorie apriori che la critica scopre, e che dunque renda possibile la critica stessa. Questa mancanza sarà poi un problema che la fenomenologia nel novecento proverà a colmare con il concetto di "intuizione eidetica", tramite cui rendere ragione della struttura universale, cioè essenziale dei fenomeni della coscienza, e risalire alle condizioni originarie dell'esperienza del mondo, riconnettendo il pensiero all' oggettività dell'essere, per superare il relativismo, e dunque recuperare a suo modo un'idea di ontologia, anche se in un'ottica diversa da quelle di tipo classico
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 30 Giugno 2018, 16:50:26 PM
Citazione di: Apeiron il 30 Giugno 2018, 10:53:17 AMP.S. Dissento totalmente dal giudizio negativo su Kant. 

Lo so che dissenti, ma tutto ciò che hai scritto è un monologo che nemmeno sfiora il contenuto della mia critica.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: 0xdeadbeef il 30 Giugno 2018, 16:52:54 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 29 Giugno 2018, 19:25:21 PM
Il "noumenon" platonico è l'idea originaria, eterna, divina, il modello metafisico della cosa creata.
In tal senso, la conoscenza di una cosa è un risalire al "noumenon" che la fonda, al suo paradigma o archetipo originario, che è ALTRO dalla cosa, ma conoscibile, intelligibile, proprio in quanto "idea" commensurabile alle idee umane ordinarie.
Kant lo ha manipolato fondendolo con la cosa e ottenendo un aborto concettuale: "la cosa in sé", che non ha alcun significato, con il solo scopo di contrapporre dualisticamente "fenomeno" e "noumeno" e dichiarare il primo conoscibile, e il secondo (al pari del "Trascendente") assolutamente inconoscibile.
Con questa mossa oscena ha costruito a tavolino una filosofia da vendere sia ai materialisti che ai mistici sostenitori dell'ineffabilità di Dio.
Un vero mercante truffatore mascherato da filosofo. L'iniziatore della frattura inconciliabile e cruenta tra scienza e fede.

Curioso. Per me il "noumeno" è l'equivalente dell'"evento" semiotico, del "primum assoluto" o "oggetto
primo" che dir si voglia".
Da un certo punto di vista direi, anzi, che la semiotica poco o nulla aggiunge alla filosofia di Kant.
Voglio dire, che c'entra l'idea platonica? Mica la "cosa in sè" è eterna, incorruttibile, paradigmatica
etc. etc.
La "cosa in sè" è il non (ancora) interpretato; l'oggetto che non dipende dall'osservatore (tanto
per parafrasare il Principio di Heisemberg); è una cosa materiale, e non è affatto associabile
al trascendente.
Quanto alla frattura inconciliabile fra scienza e fede perchè non indicare S.Francesco come il, diciamo,
"progenitore"?
Mi sembra che le prime ricerche sul naturalismo, così come le prime università, sono sorte in
Inghilterra proprio ad opera dei Francescani...
saluti
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Apeiron il 30 Giugno 2018, 17:45:25 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 30 Giugno 2018, 16:50:26 PM
Citazione di: Apeiron il 30 Giugno 2018, 10:53:17 AMP.S. Dissento totalmente dal giudizio negativo su Kant.

Lo so che dissenti, ma tutto ciò che hai scritto è un monologo che nemmeno sfiora il contenuto della mia critica.
@Carlo,

Capisco. Direi che nemmeno tu hai spiegato bene cosa critichi di Kant visto che non hai parlato del motivo per cui secondo Kant il noumeno sarebbe inconoscibile, fornendo una controargomentazione a riguardo. Certamente hai fatto una polemica ma non hai fatto una critica filosofica ben argomentata (o almeno così penso io)... per questo motivo ho fatto il "monologo", nel quale mi sembrava di essere rimasto in tema , spiegando quali sono (da quanto ho potuto capire io) le tesi di Kant:

Citazione di: Carlo Pierini il 29 Giugno 2018, 19:25:21 PMIl "noumenon" platonico è l'idea originaria, eterna, divina, il modello metafisico della cosa creata.

Ok, su questo hai ragione.

Citazione di: Carlo Pierini il 29 Giugno 2018, 19:25:21 PM
In tal senso, la conoscenza di una cosa è un risalire al "noumenon" che la fonda, al suo paradigma o archetipo originario, che è ALTRO dalla cosa,
ma conoscibile, intelligibile, proprio in quanto "idea" commensurabile alle idee umane ordinarie.

In un certo senso questa è la soluzione di Platone visto che non ci è possibile davvero conoscere il mondo sensibile, non avendo veri oggetti di conoscenza.


Citazione di: Carlo Pierini il 29 Giugno 2018, 19:25:21 PM
Kant lo ha manipolato fondendolo con la cosa e ottenendo un aborto concettuale: "la cosa in sé", che non ha alcun significato, con il solo scopo di contrapporre dualisticamente "fenomeno" e "noumeno" e dichiarare il primo conoscibile, e il secondo (al pari del "Trascendente") assolutamente inconoscibile.

Nella mia risposta cercavo di spiegare perchè secondo Kant il noumeno non è conoscibile. Il motivo è che noi possiamo conoscere solo i fenomeni attraverso le categorie dell'intelletto, che sono a-priori. Ma parlare delle "cose-in-sé" utilizzando l'intelletto è, secondo Kant, errato perchè si "esce" dall'"isola" fenomenica, ovvero dal limite di applicabilità dei fenomeni.  Per esempio la causalità si applica al mondo fenomenico, visto che la causalità è una categoria dell'intelletto che "rappresenta" il mondo fenomenico. Il "noumeno" per Kant è semplicemente un concetto limite che nasce dal riconoscere che essendo la nostra mente una tabula rasa e quindi non può avere una conoscenza "immediata" delle cose.

ho anche io le mie reticenze su Kant (almeno il "Kant interpretato da me"). Per esempio ritengo che possiamo dire che le nostre "concettualizzazioni" del mondo fenomenico sono approssimazioni e quindi possiamo avere una conoscenza approssimata come ho detto altrove ;)  se non fosse così, secondo me, nemmeno le rappresentazioni stesse sarebbero possibili. Però il "noumeno" è in parte non conoscibile da una mente concettuale. Ma certamente possiamo averne una conoscenza approssimata. Per Kant, invece, le categorie dell'intelletto hanno la loro validità solo in ambito fenomenico. E per certi versi ha ragione... in fin dei conti possiamo veramente fare una ontologia "perfetta"?Possiamo veramente comprendere in toto la realtà con i nostri concetti e le nostre categorie o hanno un limite di validità (oltre al quale non possiamo dire se valgono ancora o no)? Un kantiano potrebbe dirti: puoi dimostrare che puoi usare le categorie dell'intelletto all'infuori del "mondo fenomenico"? O anche: puoi dimostrare che ragionamenti fatti utilizzando le categorie dell'intelletto all'infuori del "mondo fenomenico" non producano ragionamenti senza contenuto? Se sì quali sono i contenuti?

Ah, comunque personalmente ritengo che quelli che tu chiami archetipi, un filosofo (quasi-)kantiano potrebbe considerarli "forme a priori dell'intelletto", come ad esempio la matematica. In sostanza, questi "archetipi" non stanno in un mondo a parte ma sono da trovare nella struttura della nostra stessa mente.

Leggi anche il messaggio di @davidintro, col quale sono abbastanza d'accordo  ;)

Ora per qualche giorno non risponderò... Spero di averti dato una risposta che reputi "in tema"...
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 01 Luglio 2018, 01:25:00 AM
APEIRON
Direi che nemmeno tu hai spiegato bene cosa critichi di Kant visto che non hai parlato del motivo per cui secondo Kant il noumeno sarebbe inconoscibile, fornendo una controargomentazione a riguardo.

CARLO
E' Kant, non io, che considera il "noumeno" - come "cosa in sé" - inconoscibile. Quindi è a lui che devi chiedere giustificazione di questa inconoscibilità, non a me.

Citazione da: Carlo Pierini - 29 Giugno 2018, 19:25:21 pm
CitazioneIn tal senso, la conoscenza di una cosa è un risalire al "noumenon" che la fonda, al suo paradigma o archetipo originario, che è ALTRO dalla cosa,
ma conoscibile, intelligibile, proprio in quanto "idea" commensurabile alle idee umane ordinarie.


APEIRON
In un certo senso questa è la soluzione di Platone visto che non ci è possibile davvero conoscere il mondo sensibile, non avendo veri oggetti di conoscenza.

CARLO
1 - Non si può usare un medesimo termine (noumeno) per riferirsi a due significati inconciliabili come quello platonico e quello kantiano. Quindi Kant avrebbe dovuto SOSTITUIRE il concetto di noumeno con quello di "cosa in se", invece di renderli SINONIMI.

2 - Se non possiamo conoscere il mondo sensibile, cos'altro possiamo conoscere?

Citazione da: Carlo Pierini - 29 Giugno 2018, 19:25:21 pm
CitazioneKant lo ha manipolato fondendolo con la cosa e ottenendo un aborto concettuale: "la cosa in sé", che non ha alcun significato, con il solo scopo di contrapporre dualisticamente "fenomeno" e "noumeno" e dichiarare il primo conoscibile, e il secondo (al pari del "Trascendente") assolutamente inconoscibile.

APEIRON
Nella mia risposta cercavo di spiegare perchè secondo Kant il noumeno non è conoscibile. Il motivo è che noi possiamo conoscere solo i fenomeni attraverso le categorie dell'intelletto, che sono a-priori.

CARLO
1 - Devi decidere: se mi dici, come hai fatto qualche riga fa, che <<il mondo sensibile non è conoscibile>> adesso non puoi dirmi che <<noi possiamo conoscere solo i fenomeni>>; che altro sarebbero i fenomeni, se non manifestazioni del mondo sensibile?

2 - <<Conoscere i fenomeni secondo le categorie a-priori dell'intelletto>> è ciò che sostiene anche Platone, se per <<categorie a-priori>> si intendono le categorie del noumeno (i modelli archetipi a-priori, le idee platoniche) e per <<fenomeni>> si intendono le platoniche <<cose sensibili>>.  E non è un caso che il "platonico" Jung interpreti l'a-priori kantiano negli stessi termini:

"L'idea, in quanto astrazione, appare come un prodotto della funzione del pensare. [...] Ma considerata psicologicamente, essa esiste a priori come una possibilità, già data, di connessioni di pensieri in genere. Perciò l'idea nella sua essenza (non nella sua formulazione) è un'entità psicologica esistente a priori e determinante. In questo senso essa è per Platone l'immagine originaria delle cose, per Kant  «l'immagine originaria dell'uso dell'intelletto»".     [JUNG: Tipi psicologici - pg.485]

Insomma, dov'è la differenza tra le <<categorie a-priori>> di Kant e i modelli archetipi di Platone? E per quale motivo Kant avrebbe stabilito questa differenza?


Mi fermo qui, perché ogni discussione ulteriore creerebbe solo ulteriore confusione, se prima non chiariamo questi concetti-base
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 01 Luglio 2018, 02:07:03 AM
Citazione di: davintro il 30 Giugno 2018, 16:14:04 PM
penso che il limite della gnoseologia kantiana sia stato quello di costituirsi come di fatto una troppo rigida dualità fra "forme" con cui l'intelletto ordina e organizza i dati dell'esperienza sensibile, e una materia identificabile con i contenuti dell'esperienza intesa solo dal punto di vista degli oggetti fisici, che cadono primariamente sotto le categorie estetiche di spazio e tempo. Private di una propria specifica materialità, le categorie apriori dell'intelletto, cioè la componente di intelligibilità insita nella nostra mente, dovrebbero limitarsi ad essere "funzioni", ad operare nella loro attività di organizzazione e unificazione dei dati senza poter essere posti come oggetto di uno specifico sapere (di qui la squalifica della metafisica e dell'ontologia come scienza autonoma). Ma a questo punto la riduzione delle categorie presenti a priori nell'intelletto a "funzioni" impossibili da oggettivare dovrebbe limitarsi a spiegare il meccanismo della conoscenza del mondo esterno, ma sarebbe impossibilitata a giustificare le possibilità di una critica della conoscenza, cioè lo schema kantiano potrebbe bene spiegare come si sviluppa il processo conoscitivo, ma non riuscirebbe a rendere conto di sé, della possibilità di oggettivare in una riflessione ad hoc i fondamenti trascendentali dell'intelletto, dato che questi fondamenti essendo, per Kant, solo forme e funzioni, non potrebbero assurgere a materiale e oggetto di uno specifico tipo di intuizione e conoscenza. Come potrebbe Kant accorgersi dell'esistenza di strutture trascendentali se poi sulla base della sua concezione di "conoscenza" questa potrebbe solo ricevere un materiale sensibile, circoscrivibile a "spazio" e "tempo"? Se l'intuizione che fornisce sinteticamente i contenuti della conoscenza poi ordinata dalle "forme" può essere solo di natura sensibile, che tipo di intuizione ha utilizzato Kant per parlare di "apriori", "causalità", "spazio", "tempo", tutto ciò strutturalmente presente nella mente a livello trascendentale, cioè indipendentemente dalle condizioni empiriche di un certo tempo e spazio? E questo limite esplicativo si riflette poi sullo stesso dualismo fenomeno-noumeno: se il noumeno fosse del tutto inconoscibile sarebbe impossibile persino riconoscerne la distinzione rispetto al fenomeno, in quanto ogni riconoscimento di un limite, presuppone sempre una certa, seppur confusa e parziale, rappresentazione di ciò che sta al di là del limite stesso. La riflessione sui limiti della conoscenza sensibile è cioè resa possibile dall'individuazione di un "al di là" intelligibile, e solo in relazione ad esso la conoscenza sensibile può apparirmi come limitata, e quindi concepire una dualità, ma questo "al di là" intelligibile dovrebbe comunque in qualche misura essere oggetto di conoscenza. Altrimenti dovremmo limitarci a ricevere dati sensibili senza la possibilità di intraprendere una critica tesa a delimitare i confini di questo ambito. La mia impressione è che il dualismo fenomeno-noumeno in Kant sia il prodotto di un indebito passaggio dal rilevamento di una dualità tra la cosa come oggetto di esperienze, e la "cosa in sé" posta indipendentemente dal fatto di averne un'esperienza soggettiva, una dualità in un'accezione logica-formale, al rilevamento di una dualità gnoseologica e anche ontologico tra "fenomeno" e "noumeno", non considerando che, un conto è distinguere tra ciò che si può conoscere e ciò che non si può conoscere, un altro tra ciò che una cosa è oggettivamente, e ciò che è relativo a una mente soggettiva che ne fa esperienza. La confusione tra il piano logico (oggettività o inseità della cosa) e piano gnoseologico (inconoscibilità) conduce necessariamente al relativismo e solipsismo in quanto si fa coincidere la "cosa in sé", l'oggettività, con ciò che è al di là del fenomeno e dunque contenuto di un sapere scientifico, condizione da cui Kant spera di trarsene fuori con l'individuazione di una sfera di verità universali, quella dei giudizi sintetici a-priori. Ma l'errore sta nel ritenere che la nozione di "a priori" sia scindibile da quella di noumeno, di poter salvare la prima (come proprietà dei giudizi e delle categorie che si riconoscono nella nostra mente) relegando la seconda nell'ignoto. Perché nel momento in cui, criticamente, riconosco l'esistenza di strutture necessariamente presenti nell'intelletto e conseguentemente ne deduco un ambito di giudizi aprioristicamente veri, mi  sto riferendo a un correlato oggettivo di tale sfera di categorie e giudizi di cui colgo dei caratteri di universalità, cioè di indipendenza rispetto alla contingenza delle esperienze particolari, dunque a un nucleo noumenico, universale, che regge la possibilità di conoscere strutture a loro volta aprioriste, cioè universali, indipendentemente dal fatto che tale universalità non riguardi più il mondo esterno, ma il mondo interiore della nostra soggettività. Insomma, il limite della critica kantiana a mio avviso sta nel delineare un modello di meccanismo conoscitivo parziale, perché strutturalmente incapace di rendere ragione della critica stessa, perché il tipo di conoscenza che la critica utilizza non può essere lo stesso che pone come limite entro cui una scienza è possibile, dato che le strutture a priori dell'intelletto, nel momento in cui le riconosco in me, non possono più essere solo forme e funzioni al servizio di un materiale sensibile-estetico, ma devono essere a loro volta a tutti gli effetti "materia" e "oggetto" di scienza. Manca un momento autoriflessivo, "metacritico" nelle quali l'apriori sia oggetto di una modalità d'apprensione specifica, che non potrebbe che essere una sorta di intuizione intellettuale, autonoma rispetto a quella sensibile (anche se complementare ad essa nel concreto dell'esperienza) adeguata all'intelligibilità delle categorie apriori che la critica scopre, e che dunque renda possibile la critica stessa. Questa mancanza sarà poi un problema che la fenomenologia nel novecento proverà a colmare con il concetto di "intuizione eidetica", tramite cui rendere ragione della struttura universale, cioè essenziale dei fenomeni della coscienza, e risalire alle condizioni originarie dell'esperienza del mondo, riconnettendo il pensiero all' oggettività dell'essere, per superare il relativismo, e dunque recuperare a suo modo un'idea di ontologia, anche se in un'ottica diversa da quelle di tipo classico

CARLO
Sono d'accordo con te. E ciò che scrivi è perfettamente conforme con quanto "mi è stato mostrato" nell'esperienza "estatica" di cui ho parlato nel seguente thread (sul quale gradirei un tuo eventuale pronunciamento):

https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/gli-archetipi-esistono-io-li-ho-'visti'!/
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 01 Luglio 2018, 02:42:15 AM
OXDEADBEEF
Curioso. Per me il "noumeno" è l'equivalente dell'"evento" semiotico, del "primum assoluto" o "oggetto
primo" che dir si voglia". 
Da un certo punto di vista direi, anzi, che la semiotica poco o nulla aggiunge alla filosofia di Kant.
Voglio dire, che c'entra l'idea platonica?


CARLO
L'idea platonica è "l'oggetto primo", il "primum" assoluto, l'"evento semiotico";  cioè, è il "noumenon". Quindi c'entra!

OXDEADBEEF
La "cosa in sè" è il non (ancora) interpretato; l'oggetto che non dipende dall'osservatore (tanto
per parafrasare il Principio di Heisemberg); è una cosa materiale, e non è affatto associabile
al trascendente.


CARLO
E' proprio ciò che ho scritto io: la cosa non è associabile al trascendente. E la "cosa in sé" è un concetto privo di senso, perché la conoscenza è la conoscenza della cosa fenomenica, non della "cosa in sé", che non vuol dir nulla.
<<La Terra gira intorno al Sole, e non viceversa>> è un elemento di conoscenza che ha rivoluzionato la cultura umana senza alcuna necessità di ricorrere a puttanate come la "Terra in sé", o il "Sole in sé" o il "girare in sé". E questo vale per TUTTE le altre migliaia e migliaia di cose o fenomeni che sono entrati a far parte della conoscenza. Esso, cioè, è solo un FALSO CONCETTO, utile solo alla ciarlataneria relativista.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: 0xdeadbeef il 01 Luglio 2018, 10:45:59 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 01 Luglio 2018, 02:42:15 AM
OXDEADBEEF
Curioso. Per me il "noumeno" è l'equivalente dell'"evento" semiotico, del "primum assoluto" o "oggetto
primo" che dir si voglia".
Da un certo punto di vista direi, anzi, che la semiotica poco o nulla aggiunge alla filosofia di Kant.
Voglio dire, che c'entra l'idea platonica?


CARLO
L'idea platonica è "l'oggetto primo", il "primum" assoluto, l'"evento semiotico";  cioè, è il "noumenon". Quindi c'entra!

OXDEADBEEF
La "cosa in sè" è il non (ancora) interpretato; l'oggetto che non dipende dall'osservatore (tanto
per parafrasare il Principio di Heisemberg); è una cosa materiale, e non è affatto associabile
al trascendente.


CARLO
E' proprio ciò che ho scritto io: la cosa non è associabile al trascendente. E la "cosa in sé" è un concetto privo di senso, perché la conoscenza è la conoscenza della cosa fenomenica, non della "cosa in sé", che non vuol dir nulla.
<<La Terra gira intorno al Sole, e non viceversa>> è un elemento di conoscenza che ha rivoluzionato la cultura umana senza alcuna necessità di ricorrere a puttanate come la "Terra in sé", o il "Sole in sé" o il "girare in sé". E questo vale per TUTTE le altre migliaia e migliaia di cose o fenomeni che sono entrati a far parte della conoscenza. Esso, cioè, è solo un FALSO CONCETTO, utile solo alla ciarlataneria relativista.



L'idea platonica non è affatto l'oggetto primo della semiotica (o la "cosa in sè" kantiana).
Non lo è per il semplice motivo che essa, l'idea platonica, è la sostanza essenziale, l'ideale, il modello
unitario che possiamo riscontrare nella molteplicità.
Con ogni evidenza non è questo che Kant intende per "cosa in sè". In essa, nella "cosa in sè", non vi è
nessun richiamo alla "sostanza", al modello, all'ideale (così come pure ai concetti di unità e di molteplicità
intesi in maniera "greca" - in Kant una unità siffatta non è concepita, e la molteplicità è intesa come
molteplicità di interpretazioni).
Se la "cosa in sè" fosse un concetto privo di senso, come tu affermi, il "fenomeno" assumerebbe, come in
Husserl, la connotazione di "essenza". Ma per così dire ancor più a monte, il soggetto diverebbe "creatore",
come di fatto avviene nell'Idealismo.
Tralascio, almeno per il momento, di approfondire sul quanto queste tesi (di Husserl e dell'Idealismo) siano
illogiche, errate, ed anche se vogliamo molto pericolose dal punto di vista morale, in quanto conducono,
dritte, ad una concezione "assolutistica" per cui la mia verità è la verità in sè ("la verità è ciò che dico
io", rifacendomi ad un mio precedente post su una affermazione di U.Eco).
Attenderei, in conclusione, di sentire qualcosa anche sulla "colpa", che tu attribuisci a Kant, di aver
provocato una "frattura inconciliabile" fra scienza e fede (per la qual cosa io ti ho rimandato a San
Francesco - o all'agostinismo in generale, potrei aggiungere).
saluti
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 01 Luglio 2018, 12:19:16 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 01 Luglio 2018, 10:45:59 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 01 Luglio 2018, 02:42:15 AM
OXDEADBEEF
Curioso. Per me il "noumeno" è l'equivalente dell'"evento" semiotico, del "primum assoluto" o "oggetto
primo" che dir si voglia".
Da un certo punto di vista direi, anzi, che la semiotica poco o nulla aggiunge alla filosofia di Kant.
Voglio dire, che c'entra l'idea platonica?


CARLO
L'idea platonica è "l'oggetto primo", il "primum" assoluto, l'"evento semiotico";  cioè, è il "noumenon". Quindi c'entra!

OXDEADBEEF
La "cosa in sè" è il non (ancora) interpretato; l'oggetto che non dipende dall'osservatore (tanto
per parafrasare il Principio di Heisemberg); è una cosa materiale, e non è affatto associabile
al trascendente.


CARLO
E' proprio ciò che ho scritto io: la cosa non è associabile al trascendente. E la "cosa in sé" è un concetto privo di senso, perché la conoscenza è la conoscenza della cosa fenomenica, non della "cosa in sé", che non vuol dir nulla.
<<La Terra gira intorno al Sole, e non viceversa>> è un elemento di conoscenza che ha rivoluzionato la cultura umana senza alcuna necessità di ricorrere a puttanate come la "Terra in sé", o il "Sole in sé" o il "girare in sé". E questo vale per TUTTE le altre migliaia e migliaia di cose o fenomeni che sono entrati a far parte della conoscenza. Esso, cioè, è solo un FALSO CONCETTO, utile solo alla ciarlataneria relativista.


...
Non lo è per il semplice motivo che essa, l'idea platonica, è la sostanza essenziale, l'ideale, il modello
unitario che possiamo riscontrare nella molteplicità.



CARLO
Platone non fonde insieme - identificandoli - il modello ideale METAFISICO (il noumeno) e la cosa FISICA di cui il noumeno è "modello celeste". Quindi non è vero che, come scrivi: <<l'idea platonica è ...il modello che possiamo riscontrare nella molteplicità>>

OXDEADBEEF
Con ogni evidenza non è questo che Kant intende per "cosa in sè". In essa, nella "cosa in sè", non vi è nessun richiamo alla "sostanza", al modello, all'ideale (così come pure ai concetti di unità e di molteplicità intesi in maniera "greca" - in Kant una unità siffatta non è concepita, e la molteplicità è intesa come
molteplicità di interpretazioni).

CARLO
Esattamente: la "cosa in sé" non si riferisce né alla "sostanza" della cosa né a qualcosa di conoscibile che possa essere chiamato "essenza" della cosa, ma si riferisce al NULLA, come ogni concetto privo di significato.

OXDEADBEEF
Se la "cosa in sè" fosse un concetto privo di senso, come tu affermi, il "fenomeno" assumerebbe, come in Husserl, la connotazione di "essenza".

CARLO
Non in una prospettiva platonica, secondo la quale l'"essenza" della cosa coinciderebbe con l'idea originaria su cui essa si fonda e la "sostanza" con il fenomeno che la rende manifesta. Cioé: il noumeno come essenza METAFISICA (inosservabile, ma intelligibile),  e il fenomeno come sostanza FISICA (osservabile e intelligibile). In questa prospettiva, per esempio, la formulazione matematica (metafisica) di un fenomeno rappresenta il noumeno (o una sua componente essenziale). Ma non c'è una fusione-identificazione tra il fenomeno e il noumeno, ma solo una corrispondenza biunivoca tra DUE realtà distinte e complementari, proprio come sosteneva Spinoza nel suo motto <<ordo et connexio rerum ac ordo et connexio idearum>> e come ribadiva Leibniz nella sua idea di <<armonia prestabilita>> tra idea e cosa.

OXDEADBEEF
Attenderei, in conclusione, di sentire qualcosa anche sulla "colpa", che tu attribuisci a Kant, di aver
provocato una "frattura inconciliabile" fra scienza e fede (per la qual cosa io ti ho rimandato a San
Francesco - o all'agostinismo in generale, potrei aggiungere).

CARLO
Esistono due forme di agnosticismo: quello ateo-materialista (<<Dio è solo un'idea insostanziale, quindi indimostrabile, quindi inessenziale alla conoscenza>>) e quello teista (<<Dio esiste, ma è inconoscibile, quindi oggetto solo di fede e non di conoscenza>>). Kant è il pilastro principale dell'agnosticismo materialista, mentre Francesco, insieme alla maggior parte dei mistici di ogni religione, è uno dei sostenitori di quello teista. Entrambi contribuiscono alla separazione schizofrenica e all'incomunicabilità tra le due "polarità" della cultura: quella scientifica e quella religiosa.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: davintro il 01 Luglio 2018, 13:58:31 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 01 Luglio 2018, 10:45:59 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 01 Luglio 2018, 02:42:15 AMOXDEADBEEF Curioso. Per me il "noumeno" è l'equivalente dell'"evento" semiotico, del "primum assoluto" o "oggetto primo" che dir si voglia". Da un certo punto di vista direi, anzi, che la semiotica poco o nulla aggiunge alla filosofia di Kant. Voglio dire, che c'entra l'idea platonica? CARLO L'idea platonica è "l'oggetto primo", il "primum" assoluto, l'"evento semiotico"; cioè, è il "noumenon". Quindi c'entra! OXDEADBEEF La "cosa in sè" è il non (ancora) interpretato; l'oggetto che non dipende dall'osservatore (tanto per parafrasare il Principio di Heisemberg); è una cosa materiale, e non è affatto associabile al trascendente. CARLO E' proprio ciò che ho scritto io: la cosa non è associabile al trascendente. E la "cosa in sé" è un concetto privo di senso, perché la conoscenza è la conoscenza della cosa fenomenica, non della "cosa in sé", che non vuol dir nulla. <> è un elemento di conoscenza che ha rivoluzionato la cultura umana senza alcuna necessità di ricorrere a puttanate come la "Terra in sé", o il "Sole in sé" o il "girare in sé". E questo vale per TUTTE le altre migliaia e migliaia di cose o fenomeni che sono entrati a far parte della conoscenza. Esso, cioè, è solo un FALSO CONCETTO, utile solo alla ciarlataneria relativista.
L'idea platonica non è affatto l'oggetto primo della semiotica (o la "cosa in sè" kantiana). Non lo è per il semplice motivo che essa, l'idea platonica, è la sostanza essenziale, l'ideale, il modello unitario che possiamo riscontrare nella molteplicità. Con ogni evidenza non è questo che Kant intende per "cosa in sè". In essa, nella "cosa in sè", non vi è nessun richiamo alla "sostanza", al modello, all'ideale (così come pure ai concetti di unità e di molteplicità intesi in maniera "greca" - in Kant una unità siffatta non è concepita, e la molteplicità è intesa come molteplicità di interpretazioni). Se la "cosa in sè" fosse un concetto privo di senso, come tu affermi, il "fenomeno" assumerebbe, come in Husserl, la connotazione di "essenza". Ma per così dire ancor più a monte, il soggetto diverebbe "creatore", come di fatto avviene nell'Idealismo. Tralascio, almeno per il momento, di approfondire sul quanto queste tesi (di Husserl e dell'Idealismo) siano illogiche, errate, ed anche se vogliamo molto pericolose dal punto di vista morale, in quanto conducono, dritte, ad una concezione "assolutistica" per cui la mia verità è la verità in sè ("la verità è ciò che dico io", rifacendomi ad un mio precedente post su una affermazione di U.Eco). Attenderei, in conclusione, di sentire qualcosa anche sulla "colpa", che tu attribuisci a Kant, di aver provocato una "frattura inconciliabile" fra scienza e fede (per la qual cosa io ti ho rimandato a San Francesco - o all'agostinismo in generale, potrei aggiungere). saluti

uscendo probabilmente per un attimo dal seminato del topic, mi interesserebbe chiarire che secondo me la coincidenza fenomenologica fra essenza e fenomeno non ha a che fare con un idealismo soggettivista per cui la realtà oggettiva diverrebbe una proiezione del pensiero soggettivo, nel quale "la verità per me" finirebbe col coincidere con "la verità in assoluto". Che l'essenza delle cose coincida con il suo darsi come fenomeno a una coscienza non implica che le cose siano un prodotto del pensiero, ma che il loro senso universale, al di là delle particolari determinazioni con cui si esistenziano, può essere colto nel momento in cui non sono più concepiti come "fatti reali", la cui esistenza in un determinato spazio-tempo è solo accidentale, ma come contenuti di un vivere cosciente, che è l'ambito, non nel quale le cose esistono (come sarebbe in un'ottica idealista), ma dove possono essere riconosciute ad un livello pieno di evidenza e necessarietà, facendo leva sul fatto che, mentre i giudizi sull'esistenza delle cose in un'oggettività trascendente possono sempre essere messi in dubbio in base a eventuali disfunzioni delle nostre capacità percettive, l'esperienza cosciente soggettiva delle cose resta un residuo indiscutibile indipendentemente dal fatto che al "fenomeno" nella coscienza coincida una realtà effettivamente esistente nel mondo. Cioè, va distinto il piano metodologico da quello ontologico: metodologicamente la ricerca parte considerando l'evidenza del darsi dei fenomeni a una coscienza che ne fa esperienza, ma all'interno di questa evidenza si cerca di mettere alla luce un modo d'essere degli oggetti correlati agli atti coscienziali che resta tale al di là del fatto che se ne abbia esperienza o meno. Se la preservazione dell'autonomia dell'oggettivo cadesse in questa prospettiva non avrebbe senso il lavoro dell' epochè, nel quale il soggetto mira a eliminare tutta la serie di pregiudizi e filtri legata alla sua condizione storica per lasciare trasparire il senso dei fenomeni. Nella "messa tra parentesi" di tutto ciò che lascerebbe l'esperienza nell'arbitrarietà soggettiva è implicito il rispetto dell'autonomia della realtà, da recepire senza proiezioni soggettive. Il riferimento alla coscienza cioè è strumentale a guadagnare una posizione di oggettività più forte, perché è l'ambito nel quale le cose possono manifestarsi nella loro evidenza, mentre il rischio della proiezione soggettivista c'è fintanto che pretendo di associare il mio vissuto a un'esistenza trascendente. Il fenomeno che coincide con l'essenza non è il vissuto che ingenuamente penso di poter far coincidere con una realtà oggettiva, ma è il senso della cosa che lascio risaltare dopo che autocriticamente riconosco l'arbitrareità dei pregiudizi della visione del mondo dovuti alla finitezza e imperfezione del mio essere soggetto empirico
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 01 Luglio 2018, 14:56:28 PM
Secondo me, contro Kant (e contro (@) Davintro, se bene intendo la sua critica a Kant, complessa e per me non facile da seguire;e fra l' altro non ho anora letto l' ultimo suo intervento #14) non esistono giudizi sintetici a priori ma solo giudizi sintetici a posteriori (a proposito dei quali la critica humeiana della causalità mi pare del tutto insuperata, da Kant e da chiunque altro) e giudizi analitici a priori.
I teoremi della logica e della matematica essendo per l' appunto, a mio parere, giudizi analitici a priori, certamente veri (se correttamente svolti) ma del tutto sterili conoscitivamente, nel senso che non ci dicono nulla di come é o non é la realtà (di ciò che realmente é/accade o meno) ma solo di come si possa correttamente parlare ovvero "linguisticamente pensare" (riguardano ciò che -realmente, se realmente accade di pensarlo- é mero "contenuto di pensiero", mera "concettualità" a prescindere da ciò che é/accade realmente o meno").
Invece i giudizi sintetici a posteriori ci dicono qualcosa di come é o non é la realtà (di ciò che realmente é/accade o meno) a prescindere da ciò che eventualmente (realmente, se lo si pensa di fatto realmente) se ne pensa o meno.
I giudizi sintetici a posteriori solitamente (e in particolare quelli propri delle conoscenze scientifiche) si riferiscono a (predicano circa) fenomeni o apparenze sensibili, coscienti (sia materiali sia mentali; ma solo materiali quelli delle scienze propriamente dette), sono dubbi (Hume!) e non riferiti alle "cose in sé" o noumeno (eventuali; se reale).
Ma non bisogna confondere il fatto che i giudizi analitici a priori sono certamente veri (se correttamente svolti) indipendentemente dal reale essere/accadere o meno di particolari e contingenti fenomeni (non essendo conoscenza della realtà -fenomenica o in sé che sia- ma solo di come si possa correttamente parlare ovvero "linguisticamente pensare") con una loro pretesa oggettività, ovvero con la pretesa che siano conoscenza (della realtà, di ciò che realmente é accade o meno indipendentemente dal fatto che sia eventualmente anche oggetto di pensiero o meno) come noumeno o cosa in sé indipendentemente dal reale ma soggettivo essere/accadere o meno di particolari e contingenti fenomeni.
La certezza universale e incontestabile, assoluta dei giudizi analitici a priori (conoscitivamente sterili circa la realtà quale é/accade indipendentemente dall' eventuale -reale accadere o meno del- pensiero circa la realtà stessa, essendo essi unicamente conoscenza di come si possa correttamente pensare) é ben diversa cosa da (e non va confusa con) una pretesa loro oggettività di conoscenza della realtà (pretesa in sé in quanto per l' appunto pretesa oggettiva, trascendente la insuperabile soggettività -e casomai intersoggettività- delle conoscenze dei fenomeni).
 
La conoscenza della realtà propria della "cosa in sé" come noumeno oggettivo (sintetica a posteriori, ammesso che sia possibile) contrapposta alla conoscenza (sintetica a posteriori) delle "apparenze sensibili o fenomeni soggettivi (casomai intersoggettivi, ma comunque limitati o "confinati nella loro realtà" alla-alle esperienza-e cosciente-i soggettive non confusa) non va confusa con la conoscenza analitica a priori certa (non soggettiva, non limitata alla soggettività dei fenomeni) ma comunque pur sempre conoscenza del modo corretto di pensare (indipendentemente dal fatto che eventualmente si pensi qualcosa di anche reale o meno) e non affatto conoscenza della realtà (indipendentemente dal fatto che eventualmente sia anche pensata o meno).
 
Nell' ambito della realtà il pensiero (allorché realmente accade) é qualcosa di decisamente peculiare, in quanto é predicazione (per lo meno se si tratta di pensiero linguistico) circa la realtà o meno, e dunque (per definizione) condizione (necessaria anche se non sufficiente) della conoscenza della realtà stessa.
Ai fini della (correttezza, verità della) conoscenza (della realtà) é fondamentale non confondere ciò che é in quanto "contenuto di pensiero (che sia reale/accada realmente anche una denotazione o estensione dei concetti costituenti tale contenuto di pensiero, oltre ai loro significati intrinseci "a prescindere dalla realtà" ovvero connotazioni o intensioni)" e ciò che é in quanto "ente/evento reale (che sia reale/accada realmente o meno anche il pensiero di concetti dei quali tali enti/eventi reali costituiscano la denotazione o estensione reale, oltre ai loro significati intrinseci "a prescindere dalla realtà" ovvero oltre alle loro connotazioni o intensioni)".
Secondo me dalla confusione di queste due accezioni di "essere" (in quanto concetto e in quanto realtà), da Parmenide e da Platone in poi, nascono molteplici fraintendimenti, errori, falsità metafisici.
Mi scuso per l' ennesima ripetizione, alquanto ossessiva, di questo mio "cavallo di battaglia".
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 01 Luglio 2018, 15:33:38 PM
Citazione di: davintro il 01 Luglio 2018, 13:58:31 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 01 Luglio 2018, 10:45:59 AMDavintro:
uscendo probabilmente per un attimo dal seminato del topic, mi interesserebbe chiarire che secondo me la coincidenza fenomenologica fra essenza e fenomeno non ha a che fare con un idealismo soggettivista per cui la realtà oggettiva diverrebbe una proiezione del pensiero soggettivo, nel quale "la verità per me" finirebbe col coincidere con "la verità in assoluto". Che l'essenza delle cose coincida con il suo darsi come fenomeno a una coscienza non implica che le cose siano un prodotto del pensiero, ma che il loro senso universale, al di là delle particolari determinazioni con cui si esistenziano, può essere colto nel momento in cui non sono più concepiti come "fatti reali", la cui esistenza in un determinato spazio-tempo è solo accidentale, ma come contenuti di un vivere cosciente, che è l'ambito, non nel quale le cose esistono (come sarebbe in un'ottica idealista), ma dove possono essere riconosciute ad un livello pieno di evidenza e necessarietà, facendo leva sul fatto che, mentre i giudizi sull'esistenza delle cose in un'oggettività trascendente possono sempre essere messi in dubbio in base a eventuali disfunzioni delle nostre capacità percettive, l'esperienza cosciente soggettiva delle cose resta un residuo indiscutibile indipendentemente dal fatto che al "fenomeno" nella coscienza coincida una realtà effettivamente esistente nel mondo. Cioè, va distinto il piano metodologico da quello ontologico: metodologicamente la ricerca parte considerando l'evidenza del darsi dei fenomeni a una coscienza che ne fa esperienza, ma all'interno di questa evidenza si cerca di mettere alla luce un modo d'essere degli oggetti correlati agli atti coscienziali che resta tale al di là del fatto che se ne abbia esperienza o meno.
CitazioneSgiombo:
Ma gli (i "contenuti de", ciò che costituisce gli") atti coscienziali non possono essere identificati con qualcosa che resta tale al di là del fatto che se ne abbia esperienza (= che accadano realmente in quanto tali: "atti coscienaziali") o meno.
O accadono oppure non accadono.
E se é reale qualcosa anche allorché non accadono (degli "oggetti correlati agli atti coscienziali"), ragion per cui "date le opportune circostanze gli atti coscienziali puntualmente accadono" (esempio: chiudo gli occhi e non vedo -id est: non esiste come "atti coscienziali"- il cedro del Libano nel giardino del mio vicino, ma se li riapro puntualmente lo rivedo, id est: torna d esistere come "atti coscienziali"), allora sarebbe una plateale contraddizione pretendere di affermare che tale "qualcosa" di correlato, che non é (costituito da) determinati "atti coscienziali", dal momento che é/accade realmente (anche) quando tali "atti coscienziali" non sono/non accadono, si identifichi con, sia (costituito da) tali determinati "atti coscienziali".

Se tale "qualcosa é reale, allora logica impone che sia altro, "diversa cosa" dagli atti coscienziali (fenomeni), reale anche allorché gli atti coscienziali (fenomeni) non lo sono, qualcosa di non "coscienzialmente apparente (non "atti coscienziali"), di non sensibile o apparente ai sensi (non fenomeni) ma invece di congetturabile (dal greco e a la Kant "noumeno).

Ma allora nulla ne posso conoscere: posso soltanto congetturare che "sia qualcosa di reale (e non fenomenico, non apparente, ergo: non immaginabile)".

Davintro:
Se la preservazione dell'autonomia dell'oggettivo cadesse in questa prospettiva non avrebbe senso il lavoro dell' epochè, nel quale il soggetto mira a eliminare tutta la serie di pregiudizi e filtri legata alla sua condizione storica per lasciare trasparire il senso dei fenomeni. Nella "messa tra parentesi" di tutto ciò che lascerebbe l'esperienza nell'arbitrarietà soggettiva è implicito il rispetto dell'autonomia della realtà, da recepire senza proiezioni soggettive. Il riferimento alla coscienza cioè è strumentale a guadagnare una posizione di oggettività più forte, perché è l'ambito nel quale le cose possono manifestarsi nella loro evidenza, mentre il rischio della proiezione soggettivista c'è fintanto che pretendo di associare il mio vissuto a un'esistenza trascendente. Il fenomeno che coincide con l'essenza non è il vissuto che ingenuamente penso di poter far coincidere con una realtà oggettiva, ma è il senso della cosa che lascio risaltare dopo che autocriticamente riconosco l'arbitrareità dei pregiudizi della visione del mondo dovuti alla finitezza e imperfezione del mio essere soggetto empirico
CitazioneSgiombo:
Come mai potrebbe sapersi qualcosa di definito, determinato circa questo "senso dei fenomeni", che mi pare coincidere con la cosa in sé o nuomeno?
A me sembra che al massimo se ne possa ipotizzare una corrispondenza biunivoca coi fenomeni, tale da giusìtificare l' intersoggettività (e non oggettività) dei fenomeni materiali (postulabile ma non dimostrabile): tutti possono vedere il Monte Bianco se non sono ciechi e si collocano e guardano "nei modi opportuni", gli esprimenti scientifici sono riproducibili da chiunque, sempre e dovunque e le leggi che non falsificano sono constatabili da chiunque osservi "nei modi opportuni"
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 01 Luglio 2018, 17:38:34 PM
Citazione di: sgiombo il 01 Luglio 2018, 14:56:28 PM
I teoremi della logica e della matematica essendo per l' appunto, a mio parere, giudizi analitici a priori, certamente veri (se correttamente svolti) ma del tutto sterili conoscitivamente, nel senso che non ci dicono nulla di come é o non é la realtà (di ciò che realmente é/accade o meno) ma solo di come si possa correttamente parlare ovvero "linguisticamente pensare" (riguardano ciò che -realmente, se realmente accade di pensarlo- é mero "contenuto di pensiero", mera "concettualità" a prescindere da ciò che é/accade realmente o meno").

CARLO
Certo, presi in sé isolatamente, i teoremi della logica sono SOLO teoremi della logica. Ma essi NON SONO fini a se stessi. Come dicevano Pitagora e Galilei, essi rappresentano le "lettere dell'alfabeto" del "Libro della Natura" e quindi rappresentano uno strumento insostituibile per la sua conoscenza. E I FATTI storici, cioè il grande balzo evolutivo compiuto dalla conoscenza umana dal momento in cui essi sono stati applicati metodicamente all'interpretazione del mondo fisico, dimostrano che le idee di Pitagora e Galileo sono molto più veritiere delle tue elucubrazioni campate per aria.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 01 Luglio 2018, 20:00:55 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 01 Luglio 2018, 17:38:34 PM
Citazione di: sgiombo il 01 Luglio 2018, 14:56:28 PM
I teoremi della logica e della matematica essendo per l' appunto, a mio parere, giudizi analitici a priori, certamente veri (se correttamente svolti) ma del tutto sterili conoscitivamente, nel senso che non ci dicono nulla di come é o non é la realtà (di ciò che realmente é/accade o meno) ma solo di come si possa correttamente parlare ovvero "linguisticamente pensare" (riguardano ciò che -realmente, se realmente accade di pensarlo- é mero "contenuto di pensiero", mera "concettualità" a prescindere da ciò che é/accade realmente o meno").

CARLO
Certo, presi in sé isolatamente, i teoremi della logica sono SOLO teoremi della logica. Ma essi NON SONO fini a se stessi. Come dicevano Pitagora e Galilei, essi rappresentano le "lettere dell'alfabeto" del "Libro della Natura" e quindi rappresentano uno strumento insostituibile per la sua conoscenza. E I FATTI storici, cioè il grande balzo evolutivo compiuto dalla conoscenza umana dal momento in cui essi sono stati applicati metodicamente all'interpretazione del mondo fisico, dimostrano che le idee di Pitagora e Galileo sono molto più veritiere delle tue elucubrazioni campate per aria.

CitazioneLo so benissimo che le deduzioni logiche si possono applicare a ipotesi sulla realtà (e la matematica alla fisica e alle altre scienze naturali) e in quanto tali servono a estenderne la comprensione e la conoscenza; però allora trattano di conoscenza acquisite mediante giudizi sintetici a posteriori circa dati empirici, esplicitandone aspetti impliciti (e consentendo astrazioni e generalizzazioni utili anche all' induzione; la quale peraltro é applicata a conoscenze ottenute con giudizi sintetici a posteriori e, come ci ha genialmente mostrato Hume (oso sperare ti asterrai da offensive liquidazioni di questo grandissimo, dato che sei solito elargirne a piene mani a molti grandi della filosofia e che peraltro -nel caso malaugurato invece ricascassi in questo tuo vizio-non farebbero che ricoprire te di ridicolo) non é dimostrabile essere vera; il che non impedisce necessariamente di crederla tale.

Lungi da me il paragonarmi a Pitagora e a Galileo; ma non c' é bisogno di essere come loro per compiere ragionamenti interessanti e non affatto "elucubrazioni campate per aria"
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: 0xdeadbeef il 01 Luglio 2018, 20:35:33 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 01 Luglio 2018, 12:19:16 PM
CARLO
Platone non fonde insieme - identificandoli - il modello ideale METAFISICO (il noumeno) e la cosa FISICA di cui il noumeno è "modello celeste". Quindi non è vero che, come scrivi: <<l'idea platonica è ...il modello che possiamo riscontrare nella molteplicità>>


Non vedo cos'altro possa essere l'idea platonica se non, dicevo: "il modello unitario che possiamo riscontrare
nella molteplicità".
E' come (ma non c'è davvero bisogno di specificarlo, visto che tutta la filosofia è, nei millenni, concorde
con questa definizione) se io dicessi "l'uomo" intendendo con ciò non "un" uomo, ma l'archetipo dell'uomo,
il modello, l'ideale, ciò che è costituito dalla "sostanza" (l'umanità) cui la molteplicità degli uomini
"partecipa".
Quanto alla "cosa in sè" essa è l'oggetto cui il "segno" (semiotico) si riferisce. E questo è il suo
significato, che chiaramente non è un mulla come tu affermi.
Ovvero: se il "segno" (parola o altro) è segno di qualcosa, allora la "cosa in sè" è questo qualcosa.
Personalmente considero grave errore concettuale il ritenere il "noumeno", o "cosa in sè", come
un essenza metafisica (e il "fenomeno" come una sostanza fisica).
La "cosa in sè" è una "cosa" fisica, visto che è l'oggetto cui il segno semiotico si riferisce (è l'oggetto
che, nel momento in cui è "conosciuto" dal soggetto interpretante, diventa un interpretato -cioè diventa
un "fenomeno").
In altre parole, il "noumeno" e il "fenomeno" sono/è lo stesso oggetto. Prima di essere interpretato dal
soggetto è "noumeno", mentre dopo è "fenomeno" (la questione è, per così dire, tutta "linguistica" e
"temporale", e la metafisica o la fisica non c'entrano nulla).
Per quanto riguarda la questione della fede e della scienza, a me non pare proprio che Kant sia un
"agnostico materialista". L'idea di Dio è anzi centrale nella sua riflessione (tanto che a quest'idea
egli si riallaccia in quella che, apparentemente, è una frattura - e forse lo è - fra la Ragion Pura e
quella Pratica).
Certo per Kant Dio, essendo indimostrabile, è "speranza", non "certezza" (ed in questo sì, anch'io lo
vedo come "discepolo" di S.Francesco - ma come del resto lo è tutta la Riforma protestante).
saluti
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 02 Luglio 2018, 12:21:29 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 01 Luglio 2018, 20:35:33 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 01 Luglio 2018, 12:19:16 PM
CARLO
Platone non fonde insieme - identificandoli - il modello ideale METAFISICO (il noumeno) e la cosa FISICA di cui il noumeno è "modello celeste". Quindi non è vero che, come scrivi: <<l'idea platonica è ...il modello che possiamo riscontrare nella molteplicità>>


Non vedo cos'altro possa essere l'idea platonica se non, dicevo: "il modello unitario che possiamo riscontrare
nella molteplicità".

CARLO
"Nella molteplicità" osservi NON il modello METAFISICO, ma le "cose" FISICHE che da quel modello discendono.

OXDEADBEEF
E' come (ma non c'è davvero bisogno di specificarlo, visto che tutta la filosofia è, nei millenni, concorde
con questa definizione) se io dicessi "l'uomo" intendendo con ciò non "un" uomo, ma l'archetipo dell'uomo,
il modello, l'ideale, ciò che è costituito dalla "sostanza" (l'umanità) cui la molteplicità degli uomini
"partecipa".

CARLO
Esattamente: l'archetipo, il progetto esistente in sé metafisicamente come idea divina, al quale si può virtualmente risalire (nel tempo) con l'intelletto (consustanziale all'intelletto divino) attraverso la conoscenza della "cosa" di cui l'archetipo è modello. Questa è la concezione platonica. Mentre Kant - fondendolo ILLEGITTIMAMENTE (con-fondendolo) con la "cosa" (la "cosa" fisica è ALTRO dal suo modello metafisico) - ottiene questo aborto concettuale che chiama la "cosa in sé", che non corrisponde né con la cosa fisica, né col suo archetipo, un "flatus vocis" assolutamente privo di senso, un fantasma inosservabile e inconoscibile che contagia della sua fantasmaticità-inconoscibilità tutto ciò che tocca, dal mondo fisico delle "cose" al mondo metafisico del noumeno divino. Un vero e proprio virus letale che paralizza sia la filosofia che la conoscenza

OXDEADBEEF
Quanto alla "cosa in sè" essa è l'oggetto cui il "segno" (semiotico) si riferisce.

CARLO
Non diciamo cazzate. C'è UN segno per indicare la "cosa" (fenomenica) e UN ALTRO segno per indicare il suo noumeno-archetipo. La loro fusione non è altro che una CON-FUSIONE.

OXDEADBEEF
Certo per Kant Dio, essendo indimostrabile, è "speranza", non "certezza" (ed in questo sì, anch'io lo
vedo come "discepolo" di S.Francesco - ma come del resto lo è tutta la Riforma protestante).
saluti


CARLO
Anche la "cosa in sé" è indimostrabile, quindi "speranza". La "speranza" di distruggere le fondamenta filosofiche della conoscenza (il mondo è inconoscibile, Dio è inconoscibile: quindi andate al mare invece di sprecare il vostro tempo a studiare scienza e teologia)
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 02 Luglio 2018, 17:49:19 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 01 Luglio 2018, 20:35:33 PM
CitazioneQuanto alla "cosa in sè" essa è l'oggetto cui il "segno" (semiotico) si riferisce. E questo è il suo
significato, che chiaramente non è un mulla come tu affermi.
Ovvero: se il "segno" (parola o altro) è segno di qualcosa, allora la "cosa in sè" è questo qualcosa.
Personalmente considero grave errore concettuale il ritenere il "noumeno", o "cosa in sè", come
un essenza metafisica (e il "fenomeno" come una sostanza fisica).
La "cosa in sè" è una "cosa" fisica, visto che è l'oggetto cui il segno semiotico si riferisce (è l'oggetto
che, nel momento in cui è "conosciuto" dal soggetto interpretante, diventa un interpretato -cioè diventa
un "fenomeno").
In altre parole, il "noumeno" e il "fenomeno" sono/è lo stesso oggetto. Prima di essere interpretato dal
soggetto è "noumeno", mentre dopo è "fenomeno" (la questione è, per così dire, tutta "linguistica" e
"temporale", e la metafisica o la fisica non c'entrano nulla).

Per poterci intendere io distinguerei fra denotazione o estensione reale (quando c'é; non sempre necessariamente, contrariamente al significato inteso come connotazione o intensione teorica, mentale) di un concetto da una parte e noumeno o cosa in sé dall' altra.

Comunemente le denotazioni o intensioni reali dei concetti sono "oggetti (enti o eventi) fenomenici".
Oggetti fenomenici materiali (res extensa) come per esempio un cavallo realmente esistente (denotazione o estensione reale del concetto di "cavallo" la cui connotazione o intensione é la definizione " grosso mammifero erbivoro con testa lunga, collo diritto rivestito di criniera coda corta con peli lunghissimi, orecchie corte e diritte, arti con un solo dito coperto dallo zoccolo"; mentre invece per esempio il concetto di "ippogrifo" non ha alcuna denotazione o estensione reale ma solo la connotazione o intensione "cavallo alato").
Oppure oggetti fenomenici mentali (res cogitans) come per esempio un sentimento (odio, amore, ecc. che realmente si provino, denotazioni o estensioni reali dei rispettivi concetti), un immaginazione (il fatto di realmente pensare a un ippogrifo, denotazione o estensione reale del concetto di "pensiero o immaginazione fantastica di un ippogrifo, ovvero di un cavallo alato"), un concetto o una qualità astratta (la denotazione o estensione reale -per quanto stratta- del concetto di "mammifero" o di quello di "intelligenza"; mentre i concetti di "mammiferi a sangue freddo" o di "cavallo alato" o di "angelo" non hanno denotazioni o estensioni reali), un predicato (l' affermazione o pensiero -reale, se accade realmente- "esiste un cavallo", denotazione o estensione reale del concetto di "predicazione dell' esistenza reale di un cavallo"), ecc.

Ma esiste anche il concetto di "cose in sé" o "noumeno", di cui non é possibile dimostrare, né men che meno (per definizione!) mostrare empiricamente, che esistano e nemmeno che non esistano denotazioni o estensioni reali, oltre al significato nel senso di connotazione o estensione: "ciò che é reale indipendentemente dal fatto che sia pure realmente oggetto di sensazioni fenomeniche; ovvero dal fatto che siano reali anche le corrispondenti sensazioni fenomeniche".
Per esempio ciò che continua ad esistere -se realmente esiste, e non é come gli ippogrifi o gli angeli- anche allorché non vedo il magnifico cedro del Libano nel giardino del mio vicino di casa e che fa sì che ogni volta che mi colloco nella giusta posizione e guardo dalla parte giusta (oppure semplicemente riapro gli occhi dopo averli chiusi) puntualmente (ri-) vedo lo splendido albero (=torna puntualmente ad esistere quell' insieme di sensazioni fenomeniche -verde fogliame, tronco e rami marroni, stormire del vento fra la fronde, odore di resina, ecc.- che costituisce quel cedro del Libano e che quando avevo gli occhi e gli orecchi e il naso chiusi o ero altrove non esisteva punto realmente; tutt' al più potevo immaginare esistesse, ovvero poteva esistere il mero pensiero di esso: ben altra cosa!).

Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: davintro il 03 Luglio 2018, 01:00:05 AM
Per Sgiombo

 

Il limite che mi è parso di cogliere nella critica kantiana non è il non aver sostanzializzato le categorie dell'intelletto ( anzi ritengo che la sostanzializzazione cartesiana del cogito come "res cogitans", "anima" sia stato un errore che ha condotto a un'antropologia eccessivamente dualista circa il rapporto spirito-materia), ma il non aver considerato le forme trascendentali dell'intelletto dal punto di vista di una "materia", nel senso di un contenuto specifico di un certo tipo di conoscenza che è quella su cui la critica dovrebbe far leva. Un tipo di conoscenza che per essere adeguato alla natura di questi contenuti, riconosciuti come universali e intelligibili, dovrebbe consistere in un tipo di intuizione diversa da quella disposta a ricevere il materiale sensibile empirico, cioè un'intuizione intellettuale che colga un contenuto a sua volta intelligibile e costitutivo di strutture mentali operanti al di là delle circostanze empiriche in cui l'uomo si trova storicamente a esistere. Cioè non dico affatto che Kant avrebbe dovuto considerare le categorie apriori come delle realtà in sé, trascendenti la mente, sostanzializzandole, ma che una critica capace di individuare la presenza nella mente di tali categorie avrebbe dovuto implicare l'ammettere all'interno del conoscibile, non solo i fenomeni sensibili, ma anche quelli intelligibili, il noumeno, liberando il piano dell'ideale e dell'intelligibile (il modo d'essere dell'apriori) dall'inconoscibilità e dall'indeterminazione, allargando così l'ambito delle possibilità della conoscenza scientifica (a meno di non dover concludere che la critica è capace di delimitare il campo della scienza senza essere essa stessa scienza, perché renderebbe conto di qualcosa di non-empirico e dunque al di fuori dei limiti che essa stessa impone alla scienza, ma sarebbe una conclusione abbastanza assurda e paradossale, una critica che dovrebbe ammettere di essere dogmatica)

 

 

Il messaggio sulle essenze nella fenomenologia come fenomeni di una coscienza voleva essere una replica rispetto all'idea di vedere la coincidenza fenomeno-essenza come tipica di un idealismo in cui la verità assoluta finisce con l'essere prodotto del pensiero di un singolo individuo, che confonde il suo punto di vista particolare con la realtà oggettiva. Volevo far notare l'equivoco che può nascere nell'intendere come "essenza" qualcosa di effettivamente reale. Su questo presupposto sarebbe corretto concludere che se l'essenza coincide con i fenomeni, allora la realtà coincide con l'idea che la coscienza ne ha (idealismo). Ma se si comprende che l "essenza" non è la fattualità, ma il residuo della "cosa" dopo che la riduzione fenomenologica ha sospeso il giudizio riguardo l'esistenza o meno della cosa, allora è chiaro che l'essenza della cosa coincida proprio col darsi come fenomeno, contenuto della mia esperienza cosciente, l'idea al di là del suo esistere in un certo contesto al di fuori di me. Distinta l'essenza dall'esistenza non ha più senso la pretesa di identificare i fenomeni della coscienza con una realtà oggettivamente esistente. Stabilire che la realtà esista o meno come dipendente dal pensiero vorrebbe dire restare ancora nell'ambito del problema dell'esistenza, mentre se fenomenologicamente mi limito a sostenere che il metodo per una conoscenza il più possibile rigorosa si basa sull'analisi del senso dei fenomeni della coscienza non sto dicendo nulla sul fatto che la realtà fuori di me esista come indipendente dal mio pensiero, quindi l'accusa di idealismo e solipsismo non è appropriata. Posso decidere metodologicamente di impostare una filosofia come descrizione essenziali dei fenomeni della mia coscienza senza ritenere che la realtà fuori di me non esista, o se esiste debba coincidere con questi fenomeni. Sono due ordini di problemi distinti e non sovrapponibili
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 03 Luglio 2018, 12:00:54 PM
CitazionePer Davintro
 
Dissento dal ritenere i contenuti del pensiero (più o meno astratti "a partire dalle" sensazioni particolari concrete, come credo di fatto avvenga; più o meno "di diritto" stabiliti arbitrariamente a priori per definizione o postulati, intesi come assiomi) qualcosa di reale (men che meno di "materiale", sia pure con le virgolette) se non nella loro mera "concettualità" (o "realtà meramente concettuale", contrapposta a "realtà effettiva, fattuale"), nel loro essere mero pensiero.
Si tratta di concetti che di per sé non é detto siano "dotati" di o "accompagnati" (anche) da un' estensione o denotazione reale (oltre ovviamente che da in intensione o connotazione "cogitativa").
Dunque ritengo che i giudizi a priori, per me necessariamente analitici, non escano dall' "ambito concettuale o di pensiero", non ci dicano nulla su ciò che realmente accade o meno (oltre ad essi; e che, se correttamente svolti, siano certi, certamente veri: certezza "pagata" con la loro ineludibile "sterilità conoscitiva" circa ciò che, esulando dal o eccedendo il concettuale, realmente é/accede o meno).
Solo i giudizi sintetici a posteriori possono essere predicazioni circa la realtà di concetti (eventualmente, non necessariamente: "fecondità conoscitiva" circa ciò che, esulando dal o eccedendo il concettuale, realmente é/accede o meno "pagata" con la loro ineludibile incertezza) "dotati" di o "accompagnati" da un' estensione o denotazione reale (e dunque circa la realtà fattuale e non meramente concettuale o cogitativa).
 
Dunque un' ipotetica critica alternativa a quella kantiana e capace di individuare la presenza nella mente delle kantiane categorie a priori e che implicasse l'ammettere all'interno del conoscibile (della realtà fattuale e non meramente concettuale conoscibile), non solo i fenomeni sensibili, ma anche quelli intelligibili, il noumeno, liberando il piano dell'ideale e dell'intelligibile (il modo d'essere dell'apriori) dall'inconoscibilità (come realtà fattuale e non meramente concettuale) e dall'indeterminazione, allargando così l'ambito delle possibilità della conoscenza scientifica, secondo me é impossibile perché costituirebbe un indebito (scorretto, falso) slittamento dalla realtà (meramente) concettuale (a priori) alla realtà effettiva, fattuale (a posteriori).
 
 
 
 
Sulla questione delle essenze nella fenomenologia i miei limiti culturali mi impediscono una piena comprensione di quanto argomenti.
Mi limito ad alcune osservazioni "naives" che onestamente non saprei dire se e quanto siano pertinenti.
 
Non saprei che cosa possa essere un' "essenza", ma mi pare di poter dire, come immediata constatazione empirica a posteriori, che i dati coscienti fenomenici (le sensazioni, materiali-esteriori e mentali-interiori), se e quanto realmente accadono (dubitabilità dei ricordi), sono reali (in quanto tali: non come cose in sé, non indipendentemente dal loro essere sensibilmente percepite): la realtà (almeno parte della realtà) coincide coi fenomeni i quali, in quanto eventualmente conosciuti, sono estensioni o denotazioni reali di concetti pensati: sono qualcosa di diverso e ulteriore rispetto a "l'idea che la coscienza ne ha (idealismo)".
 
Se l "essenza" non è la fattualità, ma il residuo della "cosa" dopo che la riduzione fenomenologica ha sospeso il giudizio riguardo l'esistenza o meno della cosa, allora mi sembra che venga a coincidere con le mere connotazioni o intensioni mentali dei concetti delle cose a prescindere da eventuali loro denotazioni o estensioni reali, e che dunque non possa coincidere proprio col darsi come fenomeno effettivamente reale, contenuto dell' esperienza cosciente.
L'idea al di là del suo esistere in un certo contesto al di fuori di me (a prescindere dall' esistenza di un suo denotato o estensione reale o meno) mi sembra semplice realtà concettuale e non fattuale.
 
E se decido metodologicamente di impostare una filosofia come descrizione essenziale dei fenomeni della mia coscienza senza ritenere che la realtà fuori di me non esista, o se esiste debba coincidere con questi fenomeni, faccio qualcosa di diverso dallo Stabilire che la realtà esista o meno come dipendente dal pensiero.
Infatti il fatto che si tratti di "fenomeni della mia coscienza" e non di cose in sé indipendentemente dal fatto di essere sensibilmente percepite (reali fuori di me) non ne fa mera realtà concettuale (posso anche pensare a un ippogrifo il quale non é reale nemmeno come mero fenomeno, ma se penso a un cavallo realmente visto, allora penso a qualcosa di reale fattualmente e non in maniera meramente concettuale).
Semplicemente limito la (o mi rendo conto della limitatezza della) mia conoscibilità della realtà fattuale (indipendente dal pensiero, non meramente concettuale) al fenomenico e non alla cosa in sé.
 
La fenomenicità é diversa dalla concettualità e la noumenicità (l' "inseità") é diversa dalla relta fattuale ("fattualità").
Possono darsi fenomeni non realmente fattuali ma meramente concettuali (ippogrifi) e fenomeni realmente fattuali (cavalli reali).
Il noumeno o casa in sé può senz' altro darsi come realtà non fattuale ma meramente concettuale (può reamente essere pensata); ma potrebbe anche (non é dimostrabile né che lo sia né che non lo sia) darsi come realtà fattuale e non meramente concettuale (una denotazione o estensione reale del concetto di "noumeno" potrebbe realmente esistere o meno).
 
 
 
Mentre se si da realmente a posteriori un dato empirico (fenomenico) su cui predicare come denotato o estensione reale di un concettosi é garantiti sul fatto di predicare circa la realtà fattuale; invece se si predica analiticamente su concetti a priori (che siano di fatto astratti da dati empirici a posteriori, comunque "di diritto" stabiliti arbitrariamente a priori e considerati unicamente in quanto tali) nulla garantisce che essi siano "dotati" di o "accompagnati" a denotazioni o estensioni reali (oltre che a connotazioni o intensioni cogitative), e dunque che si stia predicando (ed eventualmente conoscendo) circa la realtà fattuale e non solo "elucubrando concettualmente".
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 03 Luglio 2018, 14:45:36 PM
Citazione di: sgiombo il 02 Luglio 2018, 17:49:19 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 01 Luglio 2018, 20:35:33 PMAvevo scritto nell' ultima obiezione a Oxdeadbeef:

Ma esiste anche il concetto di "cose in sé" o "noumeno", di cui non é possibile dimostrare, né men che meno (per definizione!) mostrare empiricamente, che esistano e nemmeno che non esistano denotazioni o estensioni reali, oltre al significato nel senso di connotazione o estensione: "ciò che é reale indipendentemente dal fatto che sia pure realmente oggetto di sensazioni fenomeniche; ovvero dal fatto che siano reali anche le corrispondenti sensazioni fenomeniche".

Per esempio ciò che continua ad esistere -se realmente esiste, e non é come gli ippogrifi o gli angeli- anche allorché non vedo il magnifico cedro del Libano nel giardino del mio vicino di casa e che fa sì che ogni volta che mi colloco nella giusta posizione e guardo dalla parte giusta (oppure semplicemente riapro gli occhi dopo averli chiusi) puntualmente (ri-) vedo lo splendido albero (=torna puntualmente ad esistere quell' insieme di sensazioni fenomeniche -verde fogliame, tronco e rami marroni, stormire del vento fra la fronde, odore di resina, ecc.- che costituisce quel cedro del Libano e che quando avevo gli occhi e gli orecchi e il naso chiusi o ero altrove non esisteva punto realmente; tutt' al più potevo immaginare esistesse, ovvero poteva esistere il mero pensiero di esso: ben altra cosa!).

Aggiungo:
Oppure ciò che continua ad esistere -se realmente esiste, e non é come gli ippogrifi o gli angeli- anche allorché non avverto più pensieri, sentimenti, ricordi, ragionamenti, ecc. (res cogitans) e che fa sì che ogni volta che rivolgo nuovamente l' attenzione alla mia "interiorità", ai miei pensieri, sentimenti, ecc., essi puntualmente tornano ad esistere mentre quando non ci facevo caso non esistevano.

Dunque se é reale la cosa in sé o noumeno (se il rispettivo concetto presenta anche una denotazione o estensione reale (oltre ovviamente a una connotazione o intensione cogitativa) essa comprende gli oggetti delle sensazioni fenomeniche soggettive (eventualmente intersoggettive quelle materiali o res extensa), i loro soggetti (riflessivamente anche oggetti nel caso di quelle mentali o res cogitans).

E si può postulare (ovviamente non dimostrare logicamente né tantomeno mostrare empiricamente) che un' unica (la stessa) "situazione in sé" corrisponda alle determinate mie sensazioni mentali o materiali (fenomeni cogitantes o extensi) nell' ambito della mia esperienza fenomenica cosciente** e ai determinati processi neurofisiologici che accadono nel mio cervello  nell' ambito di altre esperienze fenomeniche coscienti* (più precisamente nell' ambito delle rispettive sensazioni materiali: fenomeni extensi): le stesse cose in sé soggetto della mia esperienza fenomenica cosciente**, oggetto di quelle* di "osservatori" (in quanto il mio cervello da loro osservato facente parte della res extensa), riflessivamente soggetto-oggetto (in quest' ultima veste in quanto pensieri, sentimenti, ecc.: res cogitans) sempre nella mia**.



Inoltre sottolineo l' importanza della differenza fra la soggettività delle sensazioni coscienti (materiali o mentali: fenomeni; e casomai intersoggettività nel caso di quelle materiali) in rapporto all' oggettività (se realmente si dà, cosa indimostrabile) della cosa in sé o noumeno (che se reale é appunto oggetto delle sensazioni fenomeniche; e anche i loro soggetti sono cosa in sé o noumeno) da una parte; e dall' altra la soggettività concettuale dei concetti circa i quali si predica (o comunque che si possono immaginare, pensare come "portatori" di, dotati di una connotazione o intensione cogitativa) in rapporto all' oggettività (se realmente si dà; cioè nei casi in cui realmente la si dà, per esempio nel caso di cavalli reali ma non di ippogrifi) dei loro denotati o estensioni reali (fenomeniche o in sé che siano: diversa differenza questa, rispetto a quella fra realtà di fatto e realtà concettuale).
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: 0xdeadbeef il 03 Luglio 2018, 17:00:43 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 02 Luglio 2018, 12:21:29 PM
OXDEADBEEF
Quanto alla "cosa in sè" essa è l'oggetto cui il "segno" (semiotico) si riferisce.

CARLO
Non diciamo cazzate. C'è UN segno per indicare la "cosa" (fenomenica) e UN ALTRO segno per indicare il suo noumeno-archetipo. La loro fusione non è altro che una CON-FUSIONE.


Allora, posto che (finalmente...) siamo arrivati a concordare sull'idea platonica come "archetipo";
come ciò che vi è di unitario nella molteplicità; ora ritengo sia arrivato il momento di discutere
seriamente (...) della filosofia kantiana in merito alla "cosa in sè".
Mi verrebbe da iniziare con "a mio parere" (come del resto faccio spessissimo), ma questa volta proprio
no; perchè questa volta non è un mio parere personale.
Stai continuando imperterrito a sostenere un'assurdità, e cioè che Kant "fonde illegittimamente", nel
concetto di "cosa in sè", il modello metafisico (l'idea platonica) e la cosa fisica, il "fenomeno".
Con ogni evidenza, non hai compreso per nulla quel concetto (la "cosa in sè").
Poco male, direi (sai quante volte io non ho compreso un concetto...). Senonchè chiami "cazzate" i
miei tentativi di spiegartelo, e questo invece è male assai (per modo di dire, perchè il vero male
è ben altro).
Allora tento di rispiegartelo meglio: la "cosa in sè" non è nessuna "fusione"; nessuna "lega" ottenuta
da quel materiale e da quell'altro. Essa è lo stesso oggetto fenomenico, la stessa cosa fisica PRIMA
che un qualche interprete la "nomini" (la "segni", anche col solo pensiero, cioè la introduca all'interno
di quella che in semiotica viene chiamata "catena segnica").
Naturalmente, la "cosa in sè" è inconoscibile; ma non perchè trattasi di un qualcosa di metafisico ed
indimostrabile; ma perchè, come dice Peirce, già il solo pensare è "interpretare" (dunque a rigor di
logica non potremmo neppure pensare la "cosa in sè" - tant'è che Kant la chiama appunto "noumeno" per
sottolinearne la mera "intuibilità" per mezzo dell'intelletto).
La semiotica chiama la "cosa in sè" "oggetto primo"; "primum assoluto" o in altri modi, indicando con
tali termini quel "qualcosa" che il segno indica (un qualcosa chè "c'è" indubitabilmente, ma che è
conoscibile appunto solo attraverso il segno appostovi almeno da un primo interprete).
Dunque, se c'è un segno si parla necessariamente di "fenomeno", mentre il segno riferito alla "cosa
in sè" è mera convenzione, finzione direi (ma una finzione necessaria).
In conclusione, non vedo proprio come la "cosa in sè" possa essere una "speranza" (sperare cosa?
Che esista un oggetto qualsiasi?). Quello che noi uomini chiamiamo "albero" viene forse visto dagli
insetti o dalle muffe che vi abitano come un qualcosa da cui ricavare ombra per proteggersi dal
sole? O legna da bruciare per scaldarsi o costruire suppellettili?
Come può essere conosciuto l'oggetto-albero fuori dal segno interpretativo che differenti specie
vi appongono? Ma questo vuol forse dire che non esiste un qualcosa che sta al di fuori di quei
certi segni?
In questo modo va intesa la "cosa in sè" kantiana. Poi se ne può discutere in molti modi, e anche
criticare questo concetto, ma in questo modo è stata teorizzata da Kant.
saluti
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 03 Luglio 2018, 20:29:18 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 03 Luglio 2018, 17:00:43 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 02 Luglio 2018, 12:21:29 PM
OXDEADBEEF
Quanto alla "cosa in sè" essa è l'oggetto cui il "segno" (semiotico) si riferisce.

CARLO
Non diciamo cazzate. C'è UN segno per indicare la "cosa" (fenomenica) e UN ALTRO segno per indicare il suo noumeno-archetipo. La loro fusione non è altro che una CON-FUSIONE.


Allora, posto che (finalmente...) siamo arrivati a concordare sull'idea platonica come "archetipo";
come ciò che vi è di unitario nella molteplicità; ora ritengo sia arrivato il momento di discutere
seriamente (...) della filosofia kantiana in merito alla "cosa in sè".
Mi verrebbe da iniziare con "a mio parere" (come del resto faccio spessissimo), ma questa volta proprio
no; perchè questa volta non è un mio parere personale.
Stai continuando imperterrito a sostenere un'assurdità, e cioè che Kant "fonde illegittimamente", nel
concetto di "cosa in sè", il modello metafisico (l'idea platonica) e la cosa fisica, il "fenomeno".
Con ogni evidenza, non hai compreso per nulla quel concetto (la "cosa in sè").
Poco male, direi (sai quante volte io non ho compreso un concetto...). Senonchè chiami "cazzate" i
miei tentativi di spiegartelo, e questo invece è male assai (per modo di dire, perchè il vero male
è ben altro).
Allora tento di rispiegartelo meglio: la "cosa in sè" non è nessuna "fusione"; nessuna "lega" ottenuta
da quel materiale e da quell'altro. Essa è lo stesso oggetto fenomenico, la stessa cosa fisica PRIMA
che un qualche interprete la "nomini" (la "segni", anche col solo pensiero, cioè la introduca all'interno
di quella che in semiotica viene chiamata "catena segnica").
Naturalmente, la "cosa in sè" è inconoscibile; ma non perchè trattasi di un qualcosa di metafisico ed
indimostrabile; ma perchè, come dice Peirce, già il solo pensare è "interpretare" (dunque a rigor di
logica non potremmo neppure pensare la "cosa in sè" - tant'è che Kant la chiama appunto "noumeno" per
sottolinearne la mera "intuibilità" per mezzo dell'intelletto).
La semiotica chiama la "cosa in sè" "oggetto primo"; "primum assoluto" o in altri modi, indicando con
tali termini quel "qualcosa" che il segno indica (un qualcosa chè "c'è" indubitabilmente, ma che è
conoscibile appunto solo attraverso il segno appostovi almeno da un primo interprete).
Dunque, se c'è un segno si parla necessariamente di "fenomeno", mentre il segno riferito alla "cosa
in sè" è mera convenzione, finzione direi (ma una finzione necessaria).
In conclusione, non vedo proprio come la "cosa in sè" possa essere una "speranza" (sperare cosa?
Che esista un oggetto qualsiasi?). Quello che noi uomini chiamiamo "albero" viene forse visto dagli
insetti o dalle muffe che vi abitano come un qualcosa da cui ricavare ombra per proteggersi dal
sole? O legna da bruciare per scaldarsi o costruire suppellettili?
Come può essere conosciuto l'oggetto-albero fuori dal segno interpretativo che differenti specie
vi appongono? Ma questo vuol forse dire che non esiste un qualcosa che sta al di fuori di quei
certi segni?
In questo modo va intesa la "cosa in sè" kantiana. Poi se ne può discutere in molti modi, e anche
criticare questo concetto, ma in questo modo è stata teorizzata da Kant.
saluti

Andiamo al concreto, senza impiccarci con circonvoluzioni verbali.
Nella realtà fisica chiamiamo "cosa" (p. es.: "elettrone") una bella "X" incognita che desumiamo sia la CAUSA di un insieme di fenomeni - osservabili e misurabili - riconducibili ad essa. Pertanto la "cosa" e la "cosa in sé" si riferiscono entrambe a quella "X",  cioè, sono SINONIMI (l'"in sé" aggiunto alla "cosa" non è che una ridondanza verbale).
Domanda: si tratta di una "X" assolutamente e totalmente inconoscibile?
Risposta: se per "conoscenza" di una "cosa" intendiamo la conoscenza delle sue proprietà osservabili, allora quella "X" è *conoscibile*; se invece per "conoscenza" intendiamo l'ONNISCIENZA (cioè la conoscenza di TUTTE le sue proprietà), allora potremmo parlare di *inconoscibilità*, ma SOLO SE fossimo certi che il numero delle sue proprietà sia infinito. Tuttavia, questa certezza non ce l'abbiamo, quindi non si può escludere a-priori nemmeno l'onniscienza.
Ergo, è del tutto arbitrario sentenziare l'inconoscibilità della "cosa in sé".

In altre parole, quella "X" è la "cosa in sé" compiuta, completa di TUTTE le sue proprietà conosciute e non ancora conosciute.
Il noumeno, invece, da almeno duemila anni, NON indica "X", NON indica la "cosa in sé", ma indica il modello METAFISICO di "X", della cosa (o della "cosa in sé), il suo archetipo, l'idea originaria che la esprime in TUTTA la sua compiutezza.
Questo significa che tra "noumeno" e "cosa in sé" non c'è IDENTITA', ma CORRISPONDENZA-COMPLEMENTARITA', come quella che esiste tra l'espressione METAFISICA (matematica) di una legge (p.es.: F=ma) e l'insieme dei fenomeni FISICI che quella legge governa.
Ergo, è illegittimo FONDERE (cioè, CON-FONDERE) una legge FISICA (che riguarda l'ordine con cui si relazionano delle grandezze fisiche) con la sua espressione METAFISICA (che riguarda l'ordine logico con cui si relazionano i numeri e i concetti).
Torniamo, cioè, alla dialettica spinoziano-platonica tra idea e cosa, che si sintetizza nel motto: <<Ordo et connexio rerum idem est ac ordo et connexio idearum>>.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Apeiron il 03 Luglio 2018, 22:44:28 PM
Rispondo alla risposta #9 di Carlo Pierini:

CitazioneCARLO
E' Kant, non io, che considera il "noumeno" - come "cosa in sé" - inconoscibile. Quindi è a lui che devi chiedere giustificazione di questa inconoscibilità, non a me.
Questo l'ho capito dal post di apertura  ;D  infatti ho cercato di dare una giustificazione a Kant. Nota che però 1) NON concordo con Kant su questa questione dell'incomprensibilità 2) non sono un esperto della filosofia kantiana (anche se, secondo me, ha i suoi lati positivi), quindile mie spiegazioni potrebbero non essere molto valide.


CitazioneCARLO
1 - Non si può usare un medesimo termine (noumeno) per riferirsi a due significati inconciliabili come quello platonico e quello kantiano. Quindi Kant avrebbe dovuto SOSTITUIRE il concetto di noumeno con quello di "cosa in se", invece di renderli SINONIMI.

2 - Se non possiamo conoscere il mondo sensibile, cos'altro possiamo conoscere?


1) su questo potrei darti ragione! purtroppo la filosofia è piena di cose del genere. Una simile critica è stata fatta da Schopenhauer (che per certi versi ha migliorato il kantismo, secondo la mia personalissima opinione). Ad ogni modo, ci sono alcuni studiosi che sono convinti che ci sia una sottile differenza tra i due termini nelle opere di Kant.

2) Penso che per Platone, l'unico oggetto di conoscenza fossero le Forme. Per Platone possiamo avere opinione sul mondo sensibile e vera conoscenza delle Forme. Per Platone quella che noi chiamiamo conoscenza è, in realtà, reminiscenza delle idee (anamnesis).

Citazione1 - Devi decidere: se mi dici, come hai fatto qualche riga fa, che <<il mondo sensibile non è conoscibile>> adesso non puoi dirmi che <<noi possiamo conoscere solo i fenomeni>>; che altro sarebbero i fenomeni, se non manifestazioni del mondo sensibile?

Chiedo scusa per la confusione. Per Platone non possiamo conoscere il mondo sensibile ma possiamo solo avere opinione di esso. Per Kant, possiamo conoscere i fenomeni e non la "X" della cosa-in-sé. Perchè? perchè la nostra mente organizza le sensazioni secondo le sue categorie. Per quanto mi riguarda, personalmente, ho un'opinione un po' diversa da entrambi. Come Kant ritengo che noi rappresentiamo le sensazioni attraverso le categorie (dunque, se le categorie cambiano, in linea di principio, la rappresentazione cambia). A differenza sua, però ritengo che la conoscenza della rappresentazione stessa sia solo parziale (i nostri concetti sono fissi e la nostra esperienza è mutevole, qui mi avvicino a Platone). Inoltre, Kant non spiega il motivo per cui sia possibile rappresentare una "X" indefinita attraverso le categorie. In fin dei conti, a priori, non c'è alcun motivo per cui ciò avvenga. Secondo me il motivo è che la "X" abbia una qualche "regolarità" e che quindi lo studio del mondo fenomenico ci fornisce anche una conoscenza parziale della "X" stessa. Riguardo alle Forme e alle categorie, secondo me sono più o meno la stessa cosa. E ritengo che esistano nella struttura della nostra mente (ovvero: che la nostra mente ha la caratteristica di "funzionare" in un certo modo). Su questo concordo (in parte) con Kant. Le Forme platoniche non esistono in un mondo "nell'iper-uranio" ma sono l'aspetto "formale" della nostra mente e delle cose (credo che Kant direbbe che sono l'aspetto "formale" della nostra mente e non delle cose).


Citazione2 - <<Conoscere i fenomeni secondo le categorie a-priori dell'intelletto>> è ciò che sostiene anche Platone, se per <<categorie a-priori>> si intendono le categorie del noumeno (i modelli archetipi a-priori, le idee platoniche) e per <<fenomeni>> si intendono le platoniche <<cose sensibili>>.  E non è un caso che il "platonico" Jung interpreti l'a-priori kantiano negli stessi termini:

"L'idea, in quanto astrazione, appare come un prodotto della funzione del pensare. [...] Ma considerata psicologicamente, essa esiste a priori come una possibilità, già data, di connessioni di pensieri in genere. Perciò l'idea nella sua essenza (non nella sua formulazione) è un'entità psicologica esistente a priori e determinante. In questo senso essa è per Platone l'immagine originaria delle cose, per Kant  «l'immagine originaria dell'uso dell'intelletto»".     [JUNG: Tipi psicologici - pg.485]

Insomma, dov'è la differenza tra le <<categorie a-priori>> di Kant e i modelli archetipi di Platone? E per quale motivo Kant avrebbe stabilito questa differenza?


Mi fermo qui, perché ogni discussione ulteriore creerebbe solo ulteriore confusione, se prima non chiariamo questi concetti-base

Credo che per Kant sono praticamente la stessa cosa. La differenza credo che stia "dove" risiedono per i due filosofi le categorie (o gli archetipi). Per Platone in un "altro mondo" di cui il mondo sensibile è un semplice riflesso. Per Kant, invece risiedono nella mente - più precisamente descrivono come "funziona" la nostra mente. Kant dunque ha voluto distinguere le categorie dalle forme platoniche perchè le forme, per Platone, dimorano nell'Iperuranio mentre le categorie rappresentano il modo in cui funziona la mente. Secondo me, la prospettiva di Kant è troppo riduttiva visto che non spiega come sia possibile che la mente riesca a dare una forma alle sensazioni seguendo le categorie. Sono dell'idea che tali proprietà siano anche l'aspetto "formale" delle cose. Per esempio, la matematica è certamente collegata alla nostra mente e anche al mondo naturale (lo sappiamo dal successo della fisica).  Studiare matematica significa capire le "regolarità" sia della nostra mente che della natura.  

Ho dichiarato di essere una sorta di "platonico" anche se, personalmente, non condivido il platonismo in toto. Il problema del platonismo è la teoria dell'anamnesis, ovvero che noi comprendiamo le Forme tramite il ricordo. Secondo me non stanno così le cose. Noi "comprendiamo" (in parte) le regolarità dei fenomeni e della nostra mente e le concettualizziamo secondo le categorie, gli archetipi e così via. Inoltre sostengo pure che queste regolarità siano "eterne" (o più precisamente indipendenti dal tempo). Anche se il mondo fenomenico è in continuo mutamento, il modo in cui muta rimane lo stesso ecc  credo inoltre che le regolarità abbiano un'ontologia positiva (ovvero che non sia una semplice proiezione del nostro intelletto). Quindi da questo punto di vista concordo con Platone (ovvero sul dare uno status ontologico positivo alle regolarità)! Per quanto riguarda l'etica invece, ritengo che descriva delle proprietà della nostra mente (es: quando si parla di "purezza della mente/cuore" ecc). Gli "archetipi" relativi all'etica sono ddescrizioni concettuali di queste proprietà della mente.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 04 Luglio 2018, 00:21:28 AM
Citazione di: Apeiron il 03 Luglio 2018, 22:44:28 PM
Credo che per Kant sono praticamente la stessa cosa. La differenza credo che stia "dove" risiedono per i due filosofi le categorie (o gli archetipi). Per Platone in un "altro mondo" di cui il mondo sensibile è un semplice riflesso. Per Kant, invece risiedono nella mente - più precisamente descrivono come "funziona" la nostra mente. Kant dunque ha voluto distinguere le categorie dalle forme platoniche perchè le forme, per Platone, dimorano nell'Iperuranio mentre le categorie rappresentano il modo in cui funziona la mente. Secondo me, la prospettiva di Kant è troppo riduttiva visto che non spiega come sia possibile che la mente riesca a dare una forma alle sensazioni seguendo le categorie. Sono dell'idea che tali proprietà siano anche l'aspetto "formale" delle cose. Per esempio, la matematica è certamente collegata alla nostra mente e anche al mondo naturale (lo sappiamo dal successo della fisica).  Studiare matematica significa capire le "regolarità" sia della nostra mente che della natura.  

Ho dichiarato di essere una sorta di "platonico" anche se, personalmente, non condivido il platonismo in toto. Il problema del platonismo è la teoria dell'anamnesis, ovvero che noi comprendiamo le Forme tramite il ricordo. Secondo me non stanno così le cose. Noi "comprendiamo" (in parte) le regolarità dei fenomeni e della nostra mente e le concettualizziamo secondo le categorie, gli archetipi e così via. Inoltre sostengo pure che queste regolarità siano "eterne" (o più precisamente indipendenti dal tempo). Anche se il mondo fenomenico è in continuo mutamento, il modo in cui muta rimane lo stesso ecc  credo inoltre che le regolarità abbiano un'ontologia positiva (ovvero che non sia una semplice proiezione del nostro intelletto). Quindi da questo punto di vista concordo con Platone (ovvero sul dare uno status ontologico positivo alle regolarità)! Per quanto riguarda l'etica invece, ritengo che descriva delle proprietà della nostra mente (es: quando si parla di "purezza della mente/cuore" ecc). Gli "archetipi" relativi all'etica sono ddescrizioni concettuali di queste proprietà della mente.

Hai allargato troppo il discorso, tanto da rendere necessario un confronto di ...mesi.
Per tagliare la testa al ...topo, leggi la mia Risposta #26 a Oxdeadbeef, dove passo ad un esempio concreto e dettagliato, senza uscire dal tema della "cosa in sé" in relazione al "noumeno".
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: 0xdeadbeef il 04 Luglio 2018, 10:22:47 AM
Citazione di: davintro il 01 Luglio 2018, 13:58:31 PM

uscendo probabilmente per un attimo dal seminato del topic, mi interesserebbe chiarire che secondo me la coincidenza fenomenologica fra essenza e fenomeno non ha a che fare con un idealismo soggettivista per cui la realtà oggettiva diverrebbe una proiezione del pensiero soggettivo, nel quale "la verità per me" finirebbe col coincidere con "la verità in assoluto".
Ciao Davintro (piacere di fare la tua conoscenza)
No, per carità, non intendevo davvero tracciare paralleli impropri fra la Fenomenologia e l'Idealismo.
(riconosco del resto di averle, in quelle due righe, impropriamente e troppo accomunate).
Ti confesso in ogni caso di non aver mai troppo capito la Fenomenologia (certamente per un mio limite;
o forse semplicemente, spero, per non averla mai approfondita adeguatamente).
Non so, mi sembra quasi che "alla fine dei giochi" essa si accosti "pericolosamente" all'Idealismo
(soprattutto in Heidegger e nella sua concezione dell'"essere" - almeno fino alla "svolta" -, che
io trovo confusa nel suo, dell'"essere", darsi e non darsi, apparire e non apparire).
O nella stessa "epoché", con quel non ben definito atteggiamento contemplativo nel quale "può
rivelarsi" (...) l'essenza stessa delle cose - fino ad arrivare a quel, per me, enigmatico ma quasi
idealistico concetto di "ego assoluto".
Insomma, ci sarà senz'altro modo di parlare di queste cose in un post magari più inerente (mi farebbe
del resto molto piacere e mi aiuterebbe a capire meglio).
saluti
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Apeiron il 05 Luglio 2018, 19:41:23 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 03 Luglio 2018, 20:29:18 PM
Andiamo al concreto, senza impiccarci con circonvoluzioni verbali.
Nella realtà fisica chiamiamo "cosa" (p. es.: "elettrone") una bella "X" incognita che desumiamo sia la CAUSA di un insieme di fenomeni - osservabili e misurabili - riconducibili ad essa. Pertanto la "cosa" e la "cosa in sé" si riferiscono entrambe a quella "X",  cioè, sono SINONIMI (l'"in sé" aggiunto alla "cosa" non è che una ridondanza verbale).
Domanda: si tratta di una "X" assolutamente e totalmente inconoscibile?
Risposta: se per "conoscenza" di una "cosa" intendiamo la conoscenza delle sue proprietà osservabili, allora quella "X" è *conoscibile*; se invece per "conoscenza" intendiamo l'ONNISCIENZA (cioè la conoscenza di TUTTE le sue proprietà), allora potremmo parlare di *inconoscibilità*, ma SOLO SE fossimo certi che il numero delle sue proprietà sia infinito. Tuttavia, questa certezza non ce l'abbiamo, quindi non si può escludere a-priori nemmeno l'onniscienza.
Ergo, è del tutto arbitrario sentenziare l'inconoscibilità della "cosa in sé"


@Carlo, grazie per la speigazione del tuo punto di vista!

Secondo me Kant ti direbbe (e qui in parte sono d'accordo) che si può distinguere tra "la X come la vedi tu" e la "X". Il punto è che noi possiamo vedere la X come la vediamo perchè la nostra mente è strutturata in un certo modo e quindi, in un certo senso, almeno una parte di quanto noi diciamo essere "conoscenza della X" in realtà è semplicemente "conoscenza della X vista da noi". A priori, quindi per conoscere "X" non abbiamo bisogno di conoscere tutte le proprietà che ascriviamo ad X (comprese le proprietà di "X vista da noi"). Quindi più che "onniscienza", la "X" verrebbe conosciuta con una "conoscenza vera".  

Dico di essere d'accordo "in parte" con Kant per due motivi. 1) per Kant noi non abbiamo la possibilità di vedere la "X" in modo diverso dal modo in cui la vediamo. Quindi noi vediamo sempre "la X come la vediamo noi".  Ovvero in linguaggio kantiano tramite le categorie dell'intelletto, lo spazio, il tempo e così via. Secondo me, invece, le categorie non sono così rigide. 2) secondo Kant non possiamo stabilire che la conoscenza della "X come la vediamo noi" ci può dare una conoscenza anche parziale della "X". Viceversa, secondo me il semplice fatto che possiamo parlare di "X come la vediamo noi" significa che una conoscenza parziale della X possiamo averla. Magari non possiamo avere la "conoscenza vera", ma almeno una conoscenza parziale sì.  


CitazioneIn altre parole, quella "X" è la "cosa in sé" compiuta, completa di TUTTE le sue proprietà conosciute e non ancora conosciute.
Il noumeno, invece, da almeno duemila anni, NON indica "X", NON indica la "cosa in sé", ma indica il modello METAFISICO di "X", della cosa (o della "cosa in sé), il suo archetipo, l'idea originaria che la esprime in TUTTA la sua compiutezza.
Questo significa che tra "noumeno" e "cosa in sé" non c'è IDENTITA', ma CORRISPONDENZA-COMPLEMENTARITA', come quella che esiste tra l'espressione METAFISICA (matematica) di una legge (p.es.: F=ma) e l'insieme dei fenomeni FISICI che quella legge governa.
Ergo, è illegittimo FONDERE (cioè, CON-FONDERE) una legge FISICA (che riguarda l'ordine con cui si relazionano delle grandezze fisiche) con la sua espressione METAFISICA (che riguarda l'ordine logico con cui si relazionano i numeri e i concetti).
Torniamo, cioè, alla dialettica spinoziano-platonica tra idea e cosa, che si sintetizza nel motto: <<Ordo et connexio rerum idem est ac ordo et connexio idearum>>.

Il punto è che le proprietà che noi ascriviamo alla "X" come dicevo prima potrebbero non essere della "X" ma solo della "X come la vediamo noi" e quindi l'onniscienza di cui parli sarebbe erronea perchè in linea di principio ascriverebbe delle proprietà della "X come la vediamo noi" alla "X" anche se la "X" non ha tali proprietà.
Sono d'accordo con l'idea che Kant non ha usato nel modo corretto la parola "noumeno".

Riguardo alla relazione tra fenomeni e leggi ho una opinione simile alla tua, credo (differisco però nel linguaggio usato e quindi forse c'è anche una differenza di idee - anche se indubbiamente ci sono analogie). In sostanza, secondo me, i fenomeni si "manifestano" (in realtà la parola stessa "fenomeno" significa "apparenza" nel senso di "cosa che si manifesta, che appare". Non significa necessariamente "illusione"). Questi fenomeni però si manifestano in un certo modo. Il "modo" è la "regolarità" o "legge". Siccome le regolarità non "appaiono" (almeno nello stesso senso in cui lo fanno i fenomeni), secondo le  regolarità sono l'aspetto "non manifesto" dei fenomeni.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: viator il 05 Luglio 2018, 21:56:04 PM
Salve. Scusate, ma se la cosa produce degli effetti da noi riconoscibili, potremmo sostenere che certamente esistono almeno due cose : la cosa in sè in quanto essa produce degli effetti e la cosa che noi chiamiamo tale e che non consiste in ciò che pruce gli effetti da noi percepiti, ma in ciò che percepiamo.
Quindi ogni singola cosa, per noi che non potremo mai capacitarci dell'unicità ma solamente - al minimo - della duplicità con cui siamo condannati a relazionarci, non può che risultare sdoppiata in cosa percepita e cosa concepita (la cosa concepita è quella che produce comunque degli  effetti (l'essere effetto di una causa ed il produrre degli effetti rappreseno le condizioni fondamentali dell'essere) che però non risultano da noi percepiti, e che quindi esiste senza poterci riguardare fisicamente).
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 06 Luglio 2018, 00:09:24 AM
Citazione di: Apeiron il 05 Luglio 2018, 19:41:23 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 03 Luglio 2018, 20:29:18 PM
Andiamo al concreto, senza impiccarci con circonvoluzioni verbali.
Nella realtà fisica chiamiamo "cosa" (p. es.: "elettrone") una bella "X" incognita che desumiamo sia la CAUSA di un insieme di fenomeni - osservabili e misurabili - riconducibili ad essa. Pertanto la "cosa" e la "cosa in sé" si riferiscono entrambe a quella "X",  cioè, sono SINONIMI (l'"in sé" aggiunto alla "cosa" non è che una ridondanza verbale).
Domanda: si tratta di una "X" assolutamente e totalmente inconoscibile?
Risposta: se per "conoscenza" di una "cosa" intendiamo la conoscenza delle sue proprietà osservabili, allora quella "X" è *conoscibile*; se invece per "conoscenza" intendiamo l'ONNISCIENZA (cioè la conoscenza di TUTTE le sue proprietà), allora potremmo parlare di *inconoscibilità*, ma SOLO SE fossimo certi che il numero delle sue proprietà sia infinito. Tuttavia, questa certezza non ce l'abbiamo, quindi non si può escludere a-priori nemmeno l'onniscienza.
Ergo, è del tutto arbitrario sentenziare l'inconoscibilità della "cosa in sé"


@Carlo, grazie per la speigazione del tuo punto di vista!

Secondo me Kant ti direbbe (e qui in parte sono d'accordo) che si può distinguere tra "la X come la vedi tu" e la "X". Il punto è che noi possiamo vedere la X come la vediamo perchè la nostra mente è strutturata in un certo modo e quindi, in un certo senso, almeno una parte di quanto noi diciamo essere "conoscenza della X" in realtà è semplicemente "conoscenza della X vista da noi".

CARLO
La tua non è una riflessione, ma un astratto congetturare senza tenere conto di quel fenomeno storico REALE chiamato "Scienza".

Supponiamo che X (la "cosa in sé") sia il modello dinamico del Sistema Solare. Ebbene, sia la teoria tolemaica (geocentrismo) che quella copernicano-kepleriana-newtoniana (eliocentrismo) erano entrambe "conoscenze di X viste da noi"; eppure con la teoria tolemaica noi non saremmo MAI stati in grado di inviare delle sonde su Marte, o intorno a Giove, Saturno, Urano, Nettuno, Plutone, o sulla cometa 67p, come invece siamo riusciti a fare sulla base di quella "conoscenza di X vista da noi" che chiamiamo teoria eliocentrica. Qual'è la differenza tra le due? Che la prima era essenzialmente FALSA, mentre la seconda era essenzialmente e DEFINITIVAMENTE VERA. Ormai, cioè, non ci sono più dubbi che i pianeti del Sistema Solare girano intorno al Sole e non intorno alla Terra.
Allora, di fronte a una tale verità definitiva dell'eliocentrismo, che importanza ha il fatto che sia anch'esso una "X vista da noi"? NESSUNA, perché l'importante è la verità delle cose, non che essa sia vista da noi o da chiunque altro.
E questa stessa riflessione può essere estesa alla totalità delle X della Scienza, le quali sono SEMPRE, inizialmente, poco più che delle X incognite, ma che col passare dei secoli, grazie all'osservazione metodica e alla verifica sperimentale, si vanno progressivamente avvicinando alla verità.
Insomma non esiste alcun motivo fondato per escludere a priori la conoscibilità delle "cose", visto che la conoscenza umana ha GIA' prodotto decine di migliaia di verità definitive sul mondo, e che questo processo evolutivo è ben lungi dall'essersi arrestato. L'evoluzione del sapere e della tecnologia che da esso discende non si fonda sulle chiacchiere, ma ESCLUSIVAMENTE sulle verità accertate. Non si costruisce una sonda spaziale o un semplice computer su opinioni filosofiche, ma su conoscenze assolutamente certe, altrimenti non funzionerà né l'una né l'altro.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 06 Luglio 2018, 08:39:20 AM
Secondo me non bisogna confondere la conoscenza sempre insuperabilmente limitata che possiamo avere dei fenomeni, cioé di ciò che possiamo esperire, sentire coscientemente (conoscenza limitata da distinguere rispetto alla loro conoscenza integrale, completa quale "potenzialità limite" cui asintoticamente la nostra conoscenza reale di fatto tende ad avvicinarsi senza mai raggiungerla) da una parte; e dall' altra il carattere, apparente, irriducibilmente appartenente alla nostra coscienza, reale unicamente in quanto insieme-successione di sensazioni in atto ed esclusivmente in quanto tale della realtà fenomenica da noi conoscibile ("esse est percipi", Berkeley e "soprattutto" Hume), da distinguere dalla realtà in sé, da ciò che é reale (se lo é; cosa indimostrabile né tantomeno empiricamente constatabile, mostrabile) anche indipendentemente dalle nostre sensazioni; per esempio ciò che é reale anche mentre non lo é (la visione de-) il magnifico cedro del Libano nel giardino del mio vicino di casa, ragion per cui puntualmente ogni volta che compio le opportune osservazioni lo (ri-) vedo (-la visione de- il magnifico cedro del Libano é -nuovamente- reale).
Quest' ultima "parte della realtà" (se esiste come tale) é solo congetturabile (dal greco: noumeno), mai sensibilmente, coscientemente apparente, empiricamente constatabile (dal greco: fenomeno); mentre la "parte fenomenica", i contenuti della nostra coscienza, oltre che pensabili, predicabili (più o meno veracemente) accadere realmente (o meno), sono anche apparenti, empiricamente constatabili.
L' altra é oggetto di conoscenza da "senso comune" e limitatamente alla sua componente materiale (res extensa), misurabile e postulabile essere intersoggettiva, anche di conoscenza scientifica: una conoscenza caratterizzata da un livello di maggiore sofisticazione ma senza differenza "qualitative sostanziali" (sia il senso comune che la scienza conoscono, sia pure con ben diversa "profondità", "le stesse cose" fenomeniche); invece il noumeno, se reale, può essere oggetto di (eventuale) conoscenza non scientifica ma filosofica (metafisica; letteralmente, cioé conoscenza di ciò che sta oltre la fisicità materiale coscientemente apparente; e pure oltre quella mentale -res cogitans-, altrettanto coscientemente apparente della res extensa, ed al mondo fenomenico materiale stesso non riducibile, non sopravveniente, da esso non emergente, qualsiasi cosa questi concetti possano significare).
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: 0xdeadbeef il 06 Luglio 2018, 10:27:37 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 03 Luglio 2018, 20:29:18 PM

Andiamo al concreto, senza impiccarci con circonvoluzioni verbali.
Nella realtà fisica chiamiamo "cosa" (p. es.: "elettrone") una bella "X" incognita che desumiamo sia la CAUSA di un insieme di fenomeni - osservabili e misurabili - riconducibili ad essa. Pertanto la "cosa" e la "cosa in sé" si riferiscono entrambe a quella "X",  cioè, sono SINONIMI (l'"in sé" aggiunto alla "cosa" non è che una ridondanza verbale).
Domanda: si tratta di una "X" assolutamente e totalmente inconoscibile?
Risposta: se per "conoscenza" di una "cosa" intendiamo la conoscenza delle sue proprietà osservabili, allora quella "X" è *conoscibile*; se invece per "conoscenza" intendiamo l'ONNISCIENZA (cioè la conoscenza di TUTTE le sue proprietà), allora potremmo parlare di *inconoscibilità*, ma SOLO SE fossimo certi che il numero delle sue proprietà sia infinito. Tuttavia, questa certezza non ce l'abbiamo, quindi non si può escludere a-priori nemmeno l'onniscienza.
Ergo, è del tutto arbitrario sentenziare l'inconoscibilità della "cosa in sé".




E' chiarissimo che Kant, con la teoria della "cosa in sè", anticipa la teoria della relatività, ed in
particolare quel principio di indeterminazione, di Heisemberg, che così in sostanza recita: "l'osservato
dipende dall'osservatore".
E' cioè chiarissimo che quell'"osservato", senza l'interpretazione che ad esso dà l'osservatore, non
può che rimanere un concetto meramente "intuibile", ovvero una "cosa in sè".
E allora ripeto: il concetto della cosa in sè, come del resto tutta la filosofia di Kant, può essere
discusso e criticato sotto vari aspetti; ma di esso NON SI POTRA' MAI DIRE che rappresenta la "fusione"
di una cosa fisica (il fenomeno) e di una metafisica (la cosa in sè).
"Conoscere" la cosa in sè vorrebbe semplicemente dire che l'osservato è conoscibile da un punto di vista
privilegiato, "oggettivo" nel senso che a questo termine veniva dato prima della "rivoluzione copernicana"
operata da Kant, che pone "al centro" non più l'oggetto ma il soggetto.
Con questo, la pretesa di tale conoscenza si porrebbe, essa, in un piano metafisico, non il contrario.
Per cui, tanto per: "andare al concreto senza impiccarci con circonvoluzioni verbali", l'oggetto X
NON E' AFFATTO "totalmente ed assolutamente inconoscibile"; MA LO E' nella sua "veste" di oggetto
"ab-soluto", cioè che si pone "saldamente fuori" dall'interpretazione di un soggetto/osservatore
(chiaramente qui il termine "ab-soluto" è usato come aggettivo, non come sostantivo).
Non comprendere questo, prima ancora della filosofia di Kant, vuol innanzitutto dire non comprendere
la fisica relativistica (come acutamente evidenziava Carnap).
saluti
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 06 Luglio 2018, 11:29:20 AM
Citazione di: 0xdeadbeef il 06 Luglio 2018, 10:27:37 AM


E' chiarissimo che Kant, con la teoria della "cosa in sè", anticipa la teoria della relatività, ed in
particolare quel principio di indeterminazione, di Heisemberg, che così in sostanza recita: "l'osservato
dipende dall'osservatore".
E' cioè chiarissimo che quell'"osservato", senza l'interpretazione che ad esso dà l'osservatore, non
può che rimanere un concetto meramente "intuibile", ovvero una "cosa in sè".
E allora ripeto: il concetto della cosa in sè, come del resto tutta la filosofia di Kant, può essere
discusso e criticato sotto vari aspetti; ma di esso NON SI POTRA' MAI DIRE che rappresenta la "fusione"
di una cosa fisica (il fenomeno) e di una metafisica (la cosa in sè).
"Conoscere" la cosa in sè vorrebbe semplicemente dire che l'osservato è conoscibile da un punto di vista
privilegiato, "oggettivo" nel senso che a questo termine veniva dato prima della "rivoluzione copernicana"
operata da Kant, che pone "al centro" non più l'oggetto ma il soggetto.
Con questo, la pretesa di tale conoscenza si porrebbe, essa, in un piano metafisico, non il contrario.
Per cui, tanto per: "andare al concreto senza impiccarci con circonvoluzioni verbali", l'oggetto X
NON E' AFFATTO "totalmente ed assolutamente inconoscibile"; MA LO E' nella sua "veste" di oggetto
"ab-soluto", cioè che si pone "saldamente fuori" dall'interpretazione di un soggetto/osservatore
(chiaramente qui il termine "ab-soluto" è usato come aggettivo, non come sostantivo).
Non comprendere questo, prima ancora della filosofia di Kant, vuol innanzitutto dire non comprendere
la fisica relativistica (come acutamente evidenziava Carnap).
saluti

Veramente il pr. di indeterminazione di Haisenberg recita che nelle particelle-onde subatomiche vi sono coppie di caratteristiche reciprocamente correlate (misure) conoscibili con approssimazione limitata in modo tale che il loro prodotto é costante (la costante di Plank) (cosicché la loro precisione é inversamente proporzionale), e dunque se si conosce (misura) l' una con elevata precisione la conoscenza (per misurazione diretta) che può aversi dell' altra é pessima (praticamente come dire che se di una una palla da tennis si sa che ha in un certo istante una velocità compresa fra 10 e 10,00000001 Km all' ora -"ottima" misura, precisissima!- allora si può rilevare che si trova in punto indeterminato della via lattea e oltre, cioé in pratica non si sa proprio dove sia -misura "pessima", imprecisissima- e viceversa; tanto per dare un' idea. L' interpretazione conformistica, corrente fra la maggioranza "bulgara" degli scienziati, spesso detta "di Copenhagen", pretende irrazionalmente di dedurne che effettivamente, realmente la pallina da tennis, o meglio la particella-onda subatomica di cui la pallina é metafora -e non solo la sua conoscenza da parte nostra- sarebbe in qualche insensato modo "spalmata in tutta la via lattea e oltre", cosa a mio modesto parere definitivamente confutata fin dai tempi del grande Erwin Schroedinger, col suo celebre esperimento mentale "del gatto"; ma questo é un altro discorso).

Ma la conoscenza fisica, prima e dopo Kant, prima e dopo la relatività e la meccanica quantistica é sempre e comunque conoscenza dei fenomeni, di ciò che ci appare alla coscienza (reale solo in quanto e fintanto che appare alla coscienza) e non della realtà in sé, esistenteindipendentemente dalle sensazioni fenomeniche che se ne possono avere o meno (se effettivamente esiste, come Kant ricava -a mio modesto parere pretende erroneamente di ricavare- dalla ragion pratica; infatti non é dimostrabile razionalmente -ragion pura- né tantomeno, per definizione, constatabile empiricamente).

Per me dunque la kantiana cosa in sé o noumeno (se c' é) é letteralmente metafisica (reale oltre la, al di là della, realtà fisica materiale fenomenica, della quale é l' oggetto; ma anche metapsichica, reale oltre la realtà mentale altrettanto fenomenica, della quale é l' oggetto e riflessivamente il soggetto, come lo é ma irriflessivamente -soggetto diverso dall' oggetto- anche di quella materiale).

Ciao!
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 06 Luglio 2018, 12:23:46 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 06 Luglio 2018, 10:27:37 AM
Per cui, tanto per: "andare al concreto senza impiccarci con circonvoluzioni verbali", l'oggetto X
NON E' AFFATTO "totalmente ed assolutamente inconoscibile"; MA LO E' nella sua "veste" di oggetto
"ab-soluto", cioè che si pone "saldamente fuori" dall'interpretazione di un soggetto/osservatore
(chiaramente qui il termine "ab-soluto" è usato come aggettivo, non come sostantivo).

...Quindi, se "l'oggetto" è, per esempio, il moto dei corpi all'interno del Sistema Solare, l'interpretazione del "soggetto Tolomeo" e quella dei "soggetti Keplero-Newton", essendo entrambe "interpretazioni soggettive", hanno lo stesso valore epistemico?
- Non è decidibile se sia la Terra a girare intorno al Sole, o se sia il Sole a girare intorno alla Terra?
- Il suddetto moto è "in sé" inconoscibile?
- E se la "cosa in sé" (l'"oggetto assoluto") è COMUNQUE inconoscibile, perché la Scienza rappresenta un salto evolutivo immenso rispetto alla conoscenza pre-scientifica? Le "cose in sé" della Scienza sono forse più conoscibili di quelle della conoscenza prescientifica?
La mia risposta (triviale) è: perché la "cosa in sé", l'"oggetto assoluto" (kantianamente intesi) sono pippe mentali allo stato puro, flatus vocis, fantasmi concettuali <<...con i quali e senza i quali il mondo rimane tale e quale>>, come dicevano un tempo gli studenti delle facoltà scientifiche a proposito dei concetti della filosofia. Infatti, la "cosa in sé" è inosservabile e inconoscibile semplicemente perché NON ESISTE. Esistono solo "cose" o "oggetti" virtualmente conoscibili e concetti costruiti sulle loro proprietà osservabili; e tutto ciò che è inconoscibile NON PUO' essere né una "cosa" né un "oggetto", ma solo un fonema privo di significato. <<Ciò di cui non si può parlare si deve tacere>> diceva il logico Wittgenstein.

La conoscenza umana è per definizione UMANA, cioè, PER NOI, non "in sé".
Non ci sono ragioni per credere che un muro fatto di mattoni PER NOI, sia fatto di ghiaccio per i pipistrelli e, nel caso, che siano loro ad avere ragione e noi torto. Le leggi della fisica, SE SONO TALI, valgono per noi, per i pipistrelli, per i lamellibranchi e per i batteri. Quindi, fino a prova contraria, "per noi" significa "per tutti". Se "per noi" è certo che la Terra gira intorno al Sole, non vedo che importanza possa avere il fatto che dei coleotteri o dei licheni la pensino diversamente. E anche soltanto porsi questo problema dimostra l'oziosità e l'insipienza del pensiero di Kant e di chi gli dà credito.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: 0xdeadbeef il 06 Luglio 2018, 13:34:52 PM
Ciò che nel nostro discorso è in questione non è tanto, dicevo, la discutibilità e la criticabilità
della filosofia di Kant in generale e del concetto di "cosa in sè", quanto il fatto che tu sostieni
che Kant abbia effettuato una "fusione" fra una cosa fisica, il "fenomeno", ed una metafisica, la
"cosa in sè" (e che su questo tu abbia parlato di "truffa filosofica", di scopo di lucro etc.).
Ciò che io sostengo, ma non tanto io quanto i fatti, è invece che in Kant la "cosa in sè" sia da
intendersi come cosa fisica allo stesso modo del fenomeno (perchè di fatto sono la medesima cosa).
Per venire alla tua ultima risposta, no. La conoscenza PRIMA di Kant e per tutta l'antichità era
una conoscenza di oggetti "dati" ai soggetti (i quali li "svelavano" nella loro indiscutibile e
ferma "oggettività").
Kant invece intuisce, in maniera assolutamente mirabile, che l'oggetto "conosciuto" non è semplicemente
"dato" al soggetto "conoscente"; ma che questo soggetto assume un "ruolo" che va ad incidere non solo
nella conoscenza, ma nella stessa "essenza" (dico così per comodità) dell'oggetto stesso.
Tale processo è la cosiddetta "rivoluzione copernicana del pensiero" (per evidente analogia con la
tesi di Copernico).
Proprio l'esistenza della "cosa in sè", e vengo alla tua seconda risposta/domanda, rappresenta un
argine contro quel relativismo che, indirettamente, viene introdotto dall'Idealismo (e che trova
nel celebre detto di Nietzsche: "non ci sono fatti ma solo interpretazioni" una delle sue
formulazioni più estreme e coerenti).
Kant, attraverso il metodo detto "trascendentale" (che nulla ha a che vedere con la trascendenza)
intravede una via verso una conoscenza "certa"; una conoscenza che, proprio per aver mantenuto saldo
il concetto di "fatto" (pur inconoscibile nella "cosa in sè"), non si arrende alla mera interpretatività
del relativismo.
Ma non divaghiamo oltre, perchè sarebbe oltremodo fuori luogo tirare in ballo Kant per gli sviluppi nei
secoli seguenti alla sua vita ed alla sua filosofia (non dimentichiamo che stiamo parlando di un uomo
del 700).
Quanto agli studenti delle facoltà scientifiche, che parlano di pippe mentali, flatus vocis, fantasmi
concettuali etc, io non so che farci se non posseggono profondità di pensiero a sufficienza per
comprendere certi concetti.
Del resto, lo stesso Wittgenstein che da giovane diceva quella cosa lì da più maturo si accorse che
"ciò di cui non si può parlare" era l'unica cosa che veramente contava...
saluti
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: 0xdeadbeef il 06 Luglio 2018, 17:02:22 PM
Citazione di: sgiombo il 02 Luglio 2018, 17:49:19 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 01 Luglio 2018, 20:35:33 PM



Per poterci intendere io distinguerei fra denotazione o estensione reale (quando c'é; non sempre necessariamente, contrariamente al significato inteso come connotazione o intensione teorica, mentale) di un concetto da una parte e noumeno o cosa in sé dall' altra.

Comunemente le denotazioni o intensioni reali dei concetti sono "oggetti (enti o eventi) fenomenici".
Oggetti fenomenici materiali (res extensa) come per esempio un cavallo realmente esistente (denotazione o estensione reale del concetto di "cavallo" la cui connotazione o intensione é la definizione " grosso mammifero erbivoro con testa lunga, collo diritto rivestito di criniera coda corta con peli lunghissimi, orecchie corte e diritte, arti con un solo dito coperto dallo zoccolo"; mentre invece per esempio il concetto di "ippogrifo" non ha alcuna denotazione o estensione reale ma solo la connotazione o intensione "cavallo alato").
Oppure oggetti fenomenici mentali (res cogitans) come per esempio un sentimento (odio, amore, ecc. che realmente si provino, denotazioni o estensioni reali dei rispettivi concetti), un immaginazione (il fatto di realmente pensare a un ippogrifo, denotazione o estensione reale del concetto di "pensiero o immaginazione fantastica di un ippogrifo, ovvero di un cavallo alato"), un concetto o una qualità astratta (la denotazione o estensione reale -per quanto stratta- del concetto di "mammifero" o di quello di "intelligenza"; mentre i concetti di "mammiferi a sangue freddo" o di "cavallo alato" o di "angelo" non hanno denotazioni o estensioni reali), un predicato (l' affermazione o pensiero -reale, se accade realmente- "esiste un cavallo", denotazione o estensione reale del concetto di "predicazione dell' esistenza reale di un cavallo"), ecc.

Ma esiste anche il concetto di "cose in sé" o "noumeno", di cui non é possibile dimostrare, né men che meno (per definizione!) mostrare empiricamente, che esistano e nemmeno che non esistano denotazioni o estensioni reali, oltre al significato nel senso di connotazione o estensione: "ciò che é reale indipendentemente dal fatto che sia pure realmente oggetto di sensazioni fenomeniche; ovvero dal fatto che siano reali anche le corrispondenti sensazioni fenomeniche".
Per esempio ciò che continua ad esistere -se realmente esiste, e non é come gli ippogrifi o gli angeli- anche allorché non vedo il magnifico cedro del Libano nel giardino del mio vicino di casa e che fa sì che ogni volta che mi colloco nella giusta posizione e guardo dalla parte giusta (oppure semplicemente riapro gli occhi dopo averli chiusi) puntualmente (ri-) vedo lo splendido albero (=torna puntualmente ad esistere quell' insieme di sensazioni fenomeniche -verde fogliame, tronco e rami marroni, stormire del vento fra la fronde, odore di resina, ecc.- che costituisce quel cedro del Libano e che quando avevo gli occhi e gli orecchi e il naso chiusi o ero altrove non esisteva punto realmente; tutt' al più potevo immaginare esistesse, ovvero poteva esistere il mero pensiero di esso: ben altra cosa!).


Francamente Sgiombo ho capito ben poco di quel che vuoi dire.
Perchè mai tirare in ballo questa cosa della distinzione fra "res cogitans" e "res extensa"? Sembra quasi
tu voglia dire, alla maniera di Carlo Pierini, che il fenomeno è una cosa fisica (res extensa) e il
noumeno un concetto (res cogitans)...
Quel magnifico Cedro del Libano che vedi nel giardino del tuo vicino è "fenomeno" nel tuo vederlo magnifico,
nel tuo nominarlo "Cedro del Libano" etc. Ma esso è ANCHE noumeno, nel senso che è un qualcosa di
indipendente dalle tue sensazioni (ad esempio, da appassionato di giardini ti potrei dire che i Giapponesi
hanno un senso estetico delle piante assai diverso dal nostro - per cui, che so, magari non lo vedrebbero poi
tanto magnifico) e dalle tue denominazioni.
Cioè voglio dire, non è che il fenomeno "magnifico Cedro del Libano" sia una cosa fisica mentre il
noumeno (intuibile solo nella sua presenza - la semiotica parla addirittura di assenza) non lo è.
Insomma, questo ho capito ma può darsi io abbia capito male...
saluti
PS
In altre parole il noumeno kantiano non è altro che una straordinaria anticipazione di quel concetto
di "relativo" a noi ormai tanto familiare.
E' da tener ben presente che fino a Kant il mondo era un mondo di oggetti "dati". Per cui, che so, un
quadro era bello "in sè", e non in relazione a chi lo osservava.
Kant, per primo, disse che non l'oggetto era "in sè", ma piuttosto lo era il soggetto, il quale
interpretava l'oggetto che A LUI si "dava" in un certo modo, secondo quelle che erano le sue
sensazioni, le sue idee e i suoi gusti particolari.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: davintro il 06 Luglio 2018, 17:56:17 PM
Per Sgiombo

 

Sono d'accordo sul fatto di non dover considerare le categorie a priori nella mente come reali di fatto, ciò che sostengo è che, anche se consistenti in enti non fattuali ma concettuali, sono comunque, evidentemente, oggetto di una conoscenza (altrimenti come potrebbe la critica kantiana accorgersi della loro presenza come strutture costitutive e necessarie della mente umana?), ma dovrà essere di un tipo di conoscenza diverso da quello sufficiente a ricevere i fenomeni degli oggetti sensibili, cioè dovrà fondarsi su un'intuizione intellettuale, appropriata a cogliere delle strutture e giudizi riconoscibili come validi aprioristicamente e universali. E questo tipo di conoscenza dovrà essere considerata "scienza" a tutti gli effetti, altrimenti la critica stessa, oggettivante questo nucleo aprioristico, dovrebbe negarsi come "scienza", per legittimare se stessa dunque dovrà allargare il campo della "scienza" al di là del campo ristretto del materiale consistente solo in fenomeni sensibili, riconducibili alle categorie estetiche di "spazio" e "tempo", cioè empirici. Insomma nel momento in cui Kant parla di "apriori", "trascendentale" questi concetti non possono più solo essere "forme", "funzioni", ma a tutti gli effetti "materia", "oggetto" di una specifica scienza, cioè la scienza critica, senza per forza bisogno di associarli a realtà fattuali o sostanziali. Del resto se si condivide l'assunto che qualunque cosa per essere conosciuta debba essere oggetto immanente di vissuti coscienti, indipendentemente dall'associarli a fatti reali (ed è per questo che dell'ippogrifo possiamo averne una conoscenza, cioè possiamo averne una rappresentazione e porlo come soggetto di giudizi anche consapevoli della non corrispondenza del concetto con un'esistenza fattuale), allora non vedo il problema di sostenere l'idea di una conoscenza, una scienza, oggettivante una sfera intelligibile, noumenica, identificabile con il complesso delle strutture necessarie, trascendentali della mente umana, senza per forza pretendere che tale sfera sia proiettabile come esistenza fuori dalla nostra mente, considerata come "realtà" o "sostanza"

 

 

I fenomeni intesi come "essenza" vanno visti come il residuo della messa tra parentesi di tutti gli aspetti del fenomeno, contingenti, cioè relativi alla condizione individuale del singolo soggetto che ne fa esperienza. Ciò che resta dopo la riduzione è ciò che del fenomeno resta tale indipendentemente dalle circostanze particolari, il nucleo costantemente e necessariamente presente in ogni sua possibile manifestazione empirica che accade in una certa coscienza individuale, un nucleo che vale per ogni individualità possibile. Così si passa dal soggetto empirico, questo singolo Io individuale con certe particolari proprietà, al soggetto trascendentale, il complesso delle strutture necessarie e fondamentali di ogni coscienza, del resto lo stesso ambito che Kant, a suo modo, ha provato a individuare nella sua critica. Questo "fenomeno-essenza", certamente, è un'astrazione, un concetto, non esistono autonomamente nella nostra realtà psichica, ma solo come comprendenti le determinazioni particolari inerenti le individualità, cioè nessuno concretamente ricorda il "ricordo in sé", l'essenza del ricordo, ma i SUOI ricordi, legati alla propria storia individuale. Eppure per un altro aspetto queste essenze non sono in assoluto astrazioni, ma possono essere considerate come "concrete" perché consistono nel senso generale che specifica una certa serie di fenomeni distinguendola dalle altre, un senso che riconosciamo come qualità dell'esperienza vissuta, che se non fosse esperita non potrebbe permettere di distinguere una specie di fenomeni dalle altre, e conseguentemente anche poterla definire in un certo modo. Nessuno ricorda il "ricordo in sé" in forma pura e autonoma, ma ci rendiamo conto di un senso, che ci consente di riconoscere il nostro particolare ricordo come appunto un "ricordo", e non una percezione presente o un aspettativa futura, dunque abbiamo un'intuizione intellettuale dell'essenza del fenomeno "ricordo", non realmente psichica a tutti gli effetti, perché psichicamente abbiamo esperienza di un particolare ricordo, ma comunque come qualità esperibile, quindi a suo modo concreta, in base a cui possiamo avere una nozione dell'idea di ricordo in generale.

 

 

Ricambio volentieri il saluto di Oxdeadbeef, e sottolineo come la fenomenologia, anche se da me studiata in alcuni suoi aspetti e "parti", mantiene anche per me molte zone d'ombre, pur non considerandomi un esperto la trovo comunque un filone di pensiero estremamente costruttivo per la riproposizione di un discorso filosofico realmente forte e razionalmente rigoroso, in contrapposizione con certe derive disfattiste nichiliste, oppure ingenuamente scientiste, purtroppo molto presenti nel panorama contemporaneo. Certamente, sarà un piacere discuterne, anche in altre discussioni
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 06 Luglio 2018, 18:27:35 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 06 Luglio 2018, 12:23:46 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 06 Luglio 2018, 10:27:37 AM
Per cui, tanto per: "andare al concreto senza impiccarci con circonvoluzioni verbali", l'oggetto X
NON E' AFFATTO "totalmente ed assolutamente inconoscibile"; MA LO E' nella sua "veste" di oggetto
"ab-soluto", cioè che si pone "saldamente fuori" dall'interpretazione di un soggetto/osservatore
(chiaramente qui il termine "ab-soluto" è usato come aggettivo, non come sostantivo).

Citazione...Quindi, se "l'oggetto" è, per esempio, il moto dei corpi all'interno del Sistema Solare, l'interpretazione del "soggetto Tolomeo" e quella dei "soggetti Keplero-Newton", essendo entrambe "interpretazioni soggettive", hanno lo stesso valore epistemico? 
- Non è decidibile se sia la Terra a girare intorno al Sole, o se sia il Sole a girare intorno alla Terra?
- Il suddetto moto è "in sé" inconoscibile?
- E se la "cosa in sé" (l'"oggetto assoluto") è COMUNQUE inconoscibile, perché la Scienza rappresenta un salto evolutivo immenso rispetto alla conoscenza pre-scientifica? Le "cose in sé" della Scienza sono forse più conoscibili di quelle della conoscenza prescientifica?
La mia risposta (triviale) è: perché la "cosa in sé", l'"oggetto assoluto" (kantianamente intesi) sono pippe mentali allo stato puro, flatus vocis, fantasmi concettuali <<...con i quali e senza i quali il mondo rimane tale e quale>>, come dicevano un tempo gli studenti delle facoltà scientifiche a proposito dei concetti della filosofia. Infatti, la "cosa in sé" è inosservabile e inconoscibile semplicemente perché NON ESISTE. Esistono solo "cose" o "oggetti" virtualmente conoscibili e concetti costruiti sulle loro proprietà osservabili; e tutto ciò che è inconoscibile NON PUO' essere né una "cosa" né un "oggetto", ma solo un fonema privo di significato. <<Ciò di cui non si può parlare si deve tacere>> diceva il logico Wittgenstein.

La conoscenza umana è per definizione UMANA, cioè, PER NOI, non "in sé".
Non ci sono ragioni per credere che un muro fatto di mattoni PER NOI, sia fatto di ghiaccio per i pipistrelli e, nel caso, che siano loro ad avere ragione e noi torto. Le leggi della fisica, SE SONO TALI, valgono per noi, per i pipistrelli, per i lamellibranchi e per i batteri. Quindi, fino a prova contraria, "per noi" significa "per tutti". Se "per noi" è certo che la Terra gira intorno al Sole, non vedo che importanza possa avere il fatto che dei coleotteri o dei licheni la pensino diversamente. E anche soltanto porsi questo problema dimostra l'oziosità e l'insipienza del pensiero di Kant e di chi gli dà credito.
Faccio mie le parole di Oxdeadbeef:

Quanto agli studenti delle facoltà scientifiche, che parlano di pippe mentali, flatus vocis, fantasmi
concettuali etc, io non so che farci se non posseggono profondità di pensiero a sufficienza per
comprendere certi concetti.
Del resto, lo stesso Wittgenstein che da giovane diceva quella cosa lì da più maturo si accorse che
"ciò di cui non si può parlare" era l'unica cosa che veramente contava...

Quei segaioli mentali (per lo meno...) di studenti delle facoltà scientifiche, essendo molto scarsi in filosofia, non si rendevano conto che della realtà materiale naturale studiata e conosciuta dalle scienze naturali (e anche di quella mentale non studiabile scientificamente) l' "esse est percipi" (Berkeley e "soprattutto" Hume), e dunque essa é reale unicamente in quanto e fintanto che esiste come meri insiemi e successioni di sensazioni.
E che é postulabile ma non dimostrabile (credibile per mera fede; anche se i segaioli di cui sopra non se ne rendevano conto, essendo scarsi in filosofia) che le sensazioni fenomeniche materiali siano intersoggettive e che divengano secondo modalità o leggi universali e costanti (e queste sono le due conditiones sine qua non -indimostrabili né mostrabili empiricamente o constatabili della conoscibilità scientifica del mondo fenomenico fisico-materiale-naturale stesso- e non, per lo meno nel senso stretto di "conoscenza scientifica, del mondo fenomenico mentale).

La conoscenza umana (di "senso comune" o anche, limitatamente alla materia, scientifica, é unicamente limitata al mondo fenomenico, alle sensazioni coscienti che proviamo).
Ma ciò non significa che necessariamente non sia/accada realmente nient' altro che esse; e l' ipotetica realtà di un mondo in sè, congetturabile ma non sensibile, non apparente ai sensi (esterni ed interno) in divenire biunivocamente correlato ai fenomeni (ma questa é farina del mio modestissimo sacco, non di Kant) é un' ottima spiegazione de:

l' intersoggettività della realtà fenomenica materiale naturale (indimostrabile ma inelubibile conditio sine qua non della sua conoscibilità scinetifica);

il puntuale "ri-" accadere ell' esistenza di certi aspetti (enti od eventi) relativamente costanti dei fenomeni materiali e mentali allorché si osserva nella maniera "appropriata" (cedro del Libano del mio vicino di casa, me stesso come mi autosento in quanto "miei pensieri e sentimenti");

la corrispondenza biunivoca (e non affatto l' identità, né la sopravvenienza a o l' emergenza da, qualsiasi cosa questi concetti possano significare) dimostrata dalle moderne neuroscienza fra determinati eventi neurofisiologici in determinati cervelli (attualmente o per lo meno potenzialmente nell' ambito delle coscienze* di osservatori) e determinati eventi di coscienza** (di un' altra diversa coscienza**, quella** del titolare del cervello osservato e non quelle altre* degli osservatori nelle quali si trova il cervello in questione).
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 06 Luglio 2018, 18:33:50 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 06 Luglio 2018, 13:34:52 PM
Kant invece intuisce, in maniera assolutamente mirabile, che l'oggetto "conosciuto" non è semplicemente
"dato" al soggetto "conoscente"; ma che questo soggetto assume un "ruolo" che va ad incidere non solo
nella conoscenza, ma nella stessa "essenza" (dico così per comodità) dell'oggetto stesso.
Tale processo è la cosiddetta "rivoluzione copernicana del pensiero" (per evidente analogia con la
tesi di Copernico).

La "rivoluzione copernicana" di Kant è un ennesimo estremismo; un estremismo uguale e contrario a quello che si vuol superare: se quello sacrificava il soggetto sull'altare dell'oggetto, Kant sacrifica l'oggetto sull'altare del soggetto. Due estremismi ugualmente squilibrati, laddove la conoscenza è, invece, la corrispondenza tra due realtà opposte – soggetto e oggetto – di pari dignità ontologica: 1) il fenomeno oggettivo che esiste in sé sul piano FISICO e 2) il paradigma di un soggetto che esiste anch'esso in sé, ma sul piano METAFISICO; quando si realizza una compiuta corrispondenza-complementarità tra le due realtà, esse si confermano reciprocamente e si unificano in un grado superiore di conoscenza, così come vuole il Principio di Complementarità degli opposti.
Per esempio, la seconda legge di Newton è la corrispondenza tra il paradigma matematico SOGGETTIVO-METAFISICO "F=ma" e la relazione OGGETTIVA che intercorre tra le grandezze FISICHE "massa", "forza" e "accelerazione".
Torniamo, cioè all'equilibrio del motto spinoziano: <<Ordo et connexio rerum idem est ac ordo et connexio idearum>>.

QUESTA è la vera rivoluzione della conoscenza. In essa, tra i due criteri opposti: "adaequatio intellectus ad rem" e "adaequatio rei ad intellectus", noi NON privilegiamo l'uno a detrimento dell'altro, ma li unifichiamo nella formula "adaequatio rei ET intellectus", cioè li complementarizziamo in una corrispondenza rigorosa tra METAFISICA (Logica dei concetti e Matematica dei numeri) e FISICA (relazioni tra grandezze fisiche). Il soggetto, cioè, NON "determina" l'oggetto PIÙ DI QUANTO l'oggetto non "determini" il paradigma soggettivo-metafisico, ma entrambi contribuiranno in egual misura alla costruzione del sapere, in una CORRISPONDENZA equilibrata tra un soggetto e un oggetto che hanno la stessa "massa ontologica" e che gravitano attorno a un medesimo "centro di massa" chiamato "verità".


OXDEADBEEF
Kant, attraverso il metodo detto "trascendentale" (che nulla ha a che vedere con la trascendenza)

CARLO
Certo, il "trascendent-ale"!! Un aggettivo che significa "riferito al trascendente", ma che con il trascendente non ha niente a che vedere! Un capolavoro concettuale, che, insieme al "soggetto", è altresì privo di una sua sostanzialità ontologica.  
...Mirabile filosofia, o insensata ciarlataneria?
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 06 Luglio 2018, 18:49:48 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 06 Luglio 2018, 17:02:22 PM
Citazione di: sgiombo il 02 Luglio 2018, 17:49:19 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 01 Luglio 2018, 20:35:33 PMFrancamente Sgiombo ho capito ben poco di quel che vuoi dire.
Perchè mai tirare in ballo questa cosa della distinzione fra "res cogitans" e "res extensa"? Sembra quasi
tu voglia dire, alla maniera di Carlo Pierini, che il fenomeno è una cosa fisica (res extensa) e il
noumeno un concetto (res cogitans)...
Quel magnifico Cedro del Libano che vedi nel giardino del tuo vicino è "fenomeno" nel tuo vederlo magnifico,
nel tuo nominarlo "Cedro del Libano" etc. Ma esso è ANCHE noumeno, nel senso che è un qualcosa di
indipendente dalle tue sensazioni (ad esempio, da appassionato di giardini ti potrei dire che i Giapponesi
hanno un senso estetico delle piante assai diverso dal nostro - per cui, che so, magari non lo vedrebbero poi
tanto magnifico) e dalle tue denominazioni.
Cioè voglio dire, non è che il fenomeno "magnifico Cedro del Libano" sia una cosa fisica mentre il
noumeno (intuibile solo nella sua presenza - la semiotica parla addirittura di assenza) non lo è.
Insomma, questo ho capito ma può darsi io abbia capito male...
saluti
PS
In altre parole il noumeno kantiano non è altro che una straordinaria anticipazione di quel concetto
di "relativo" a noi ormai tanto familiare.
E' da tener ben presente che fino a Kant il mondo era un mondo di oggetti "dati". Per cui, che so, un
quadro era bello "in sè", e non in relazione a chi lo osservava.
Kant, per primo, disse che non l'oggetto era "in sè", ma piuttosto lo era il soggetto, il quale
interpretava l'oggetto che A LUI si "dava" in un certo modo, secondo quelle che erano le sue
sensazioni, le sue idee e i suoi gusti particolari.

Sia la res extensa che la res cogitans, sia la materia che il pensiero, sono fenomeni dei quali l' "esse est percipi": sono reali unicamente in quanto e fintanto che accadono come insiemi e successioni di sensazioni coscienti, di dati di coscienza.
Infatti pretendere che il solito cedro del Libano o io stesso siano reali in quanto tali (insiemi-successioni di sensazioni rispettivamente materiali e mentali) anche in quando tali sensazioni realmente non accadono (= il cedro del Libano e io non siamo reali) sarebbe una patente contraddizione; se qualcosa di reale é/accade anche quando tali fenomeni (sensazioni) non sono reali così da spiegare il puntuale ri-essere reale del cedro e di me stesso allorché compio le opportune osservazioni, esso (per non contraddirsi) deve essere inteso come qualcosa di non fenomenico-apparente alla coscienza (non un insieme-successione di sensazioni, che altrimenti sarebbero/accadrebbero realmente anche quando non sono/non accadono realmente -!- ma invece come qualcosa di congetturabile: noumeno o cose in sé). 

Dunque la cosa fisica "magnifico Cedro del Libano" é un fenomeno (o insieme-successone di fenomeni) mentre il noumeno (intuibile solo nella sua presenza) non lo è; ma anche la cosa mentale "miei pensieri, sentimenti ecc." sono fenomeni (però mentali e non fisici - materiali), mentre il noumeno che esiste anche quando non sento pensieri o sentimenti (l' "io"; me stesso) non é fenomeno (apparenza sensibile cosciente (mentale in quest' ultimo caso): se pretendessi che lo fosse, cioé che esistesse in quando pensieri, sentimenti ecc., anche quando pensieri, sentimenti, ecc. non ci sono, mi contraddirei platealmente!
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Phil il 06 Luglio 2018, 20:14:03 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 06 Luglio 2018, 18:33:50 PM
Per esempio, la seconda legge di Newton è la corrispondenza tra il [/font][/size]paradigma matematico SOGGETTIVO-METAFISICO "F=ma" e la relazione OGGETTIVA che intercorre tra le grandezze FISICHE "massa", "forza" e "accelerazione".
La relazione cosìddetta "oggettiva" è comunque posta dal soggetto: le grandezze fisiche in questione sono state definite e identificate convenzionalmente dal soggetto, quindi sono soggettive (non nel senso di "opinabili", ma letteralmente: prodotte dal soggetto).
Anche la misurazione di tali grandezze (v. matematica applicata) è in tal senso soggettiva: è un'attività del soggetto secondo idee, strumenti logici e regole da lui formulate. Tali idee sono del soggetto, non dell'oggetto su cui vengono proiettate.
Il che non significa che la scienza più "manifesta" non funzioni in modo regolare e attendibile (è innegabile), ma soltanto che, esempio banale, quando misuro qualcosa in centimetri, tale unità di misura non è oggettiva (dell'oggetto), non appartiene alla "natura" o all'"essere" dell'oggetto, ma è soggettiva, ovvero è del soggetto che "sovrappone" le sua idea di "centimetro" (la sua "griglia") all'oggetto che misura.

Detto altrimenti, l'oggetto misurato, in quanto tale, non è fatto in/di centimetri, bensì è il soggetto che lo inquadra secondo l'idea astratta di centrimetro, che dà un senso al centrimetro come misura fisica, "leggendo" quindi l'oggetto secondo quella (convenzionale, dunque soggettiva) unità di misura.
Per cui, secondo me,
Citazione di: Carlo Pierini il 06 Luglio 2018, 18:33:50 PM
l'equilibrio del motto spinoziano: <<Ordo et connexio rerum idem est ac ordo et connexio idearum>>.
descrive una idilliaca (e utopica) simmetria che ignora l'impossibilità di conoscere l'"ordo et connexio rerum" senza l'inevitabile mediazione delle idee: non è possibile conoscere "in sé" qualcosa di empirico se non tramite le nostre idee, le nostre categorie (e la nostra intenzionalità, per dirla con Husserl).

Lo stesso concetto di "ordine" è un'astrazione: non possiamo dire sia "reale", poiché è piuttosto una categoria con cui interpretare la realtà; parlare di "ordo rerum" significa dunque utilizzare già l'"ordo idearum" (idea di ordine), che risulta quindi dominante e logicamente primario rispetto all'altro (supposto) "ordo", inglobandolo.

Inoltre, possono ovviamente esserci idee che non corrispondono a qualcosa di empirico (ma, in teoria, non può essere il contrario), ed ecco che non c'è quindi quella gaia simmetria fra apporto del soggetto e supporto dell'oggetto  ;)

Questo misterioso "qualcosa di empirico" che sfuggirebbe inevitabilmente al nostro "sguardo" conformante (non possiamo "guardarlo" senza usare i nostri occhi come strumento, e ogni strumento è sempre condizionante) è il (postulato) noumeno kantiano, la cosa-in-sé.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 09:33:53 AM
Citazione di: Phil il 06 Luglio 2018, 20:14:03 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 06 Luglio 2018, 18:33:50 PM
Per esempio, la seconda legge di Newton è la corrispondenza tra il [/font][/size]paradigma matematico SOGGETTIVO-METAFISICO "F=ma" e la relazione OGGETTIVA che intercorre tra le grandezze FISICHE "massa", "forza" e "accelerazione".

PHILL
La relazione cosìddetta "oggettiva" è comunque posta dal soggetto: le grandezze fisiche in questione sono state definite e identificate convenzionalmentedal soggetto, quindi sono soggettive (non nel senso di "opinabili", ma letteralmente: prodotte dal soggetto).
Anche la misurazione di tali grandezze (v. matematica applicata) è in tal senso soggettiva: è un'attività del soggetto secondo idee, strumenti logici e regole da lui formulate. Tali idee sono del soggetto, non dell'oggetto su cui vengono proiettate.
Il che non significa che la scienza più "manifesta" non funzioni in modo regolare e attendibile (è innegabile), ma soltanto che, esempio banale, quando misuro qualcosa in centimetri, tale unità di misura non è oggettiva (dell'oggetto), non appartiene alla "natura" o all'"essere" dell'oggetto, ma è soggettiva, ovvero è del soggetto che "sovrappone" le sua idea di "centimetro" (la sua "griglia") all'oggetto che misura.

Detto altrimenti, l'oggetto misurato, in quanto tale, non è fatto in/di centimetri, bensì è il soggetto che lo inquadra secondo l'idea astratta di centrimetro, che dà un senso al centrimetro come misura fisica, "leggendo" quindi l'oggetto secondo quella (convenzionale, dunque soggettiva) unità di misura.

CARLO
...Davvero?  ...E io che credevo  che le unità di misura fossero dei prodotti naturali!!!

Citazione da: Carlo Pierini - 06 Luglio 2018, 18:33:50 pm
Citazionel'equilibrio del motto spinoziano: <<Ordo et connexio rerum idem est ac ordo et connexio idearum>>.

PHIL

[Questo motto] descrive una idilliaca (e utopica) simmetria che ignora l'impossibilità di conoscere l'"ordo et connexio rerum" senza l'inevitabile mediazione delle idee: non è possibile conoscere "in sé" qualcosa di empirico se non tramite le nostre idee, le nostre categorie (e la nostra intenzionalità, per dirla con Husserl).
Lo stesso concetto di "ordine" è un'astrazione: non possiamo dire sia "reale", poiché è piuttosto una categoria con cui interpretare la realtà; parlare di "ordo rerum" significa dunque utilizzare già l'"ordo idearum" (idea di ordine), che risulta quindi dominante e logicamente primario rispetto all'altro (supposto) "ordo", inglobandolo.

CARLO
Non posso conoscere "in sé" il significato di quello che hai appena scritto. Tu ti illudi di aver detto la verità, ma la verità è solo una questione soggettiva. Il concetto stesso di "impossibilità di conoscere" è una astrazione, una tua interpretazione della conoscenza; pre-suppone una idilliaca (e utopica) corrispondenza tra ciò che dici e la verità, ma le tue sono, invece, solo parole il cui significato "in sé" è inconoscibile. ....Parole al vento...!
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: 0xdeadbeef il 07 Luglio 2018, 09:56:48 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 06 Luglio 2018, 18:33:50 PM

La "rivoluzione copernicana" di Kant è un ennesimo estremismo; un estremismo uguale e contrario a quello che si vuol superare: se quello sacrificava il soggetto sull'altare dell'oggetto, Kant sacrifica l'oggetto sull'altare del soggetto. Due estremismi ugualmente squilibrati, laddove la conoscenza è, invece, la corrispondenza tra due realtà opposte – soggetto e oggetto – di pari dignità ontologica: 1) il fenomeno oggettivo che esiste in sé sul piano FISICO e 2) il paradigma di un soggetto che esiste anch'esso in sé, ma sul piano METAFISICO; quando si realizza una compiuta corrispondenza-complementarità tra le due realtà, esse si confermano reciprocamente e si unificano in un grado superiore di conoscenza,

OXDEADBEEF
Kant, attraverso il metodo detto "trascendentale" (che nulla ha a che vedere con la trascendenza)

CARLO
Certo, il "trascendent-ale"!! Un aggettivo che significa "riferito al trascendente", ma che con il trascendente non ha niente a che vedere! Un capolavoro concettuale, che, insieme al "soggetto", è altresì privo di una sua sostanzialità ontologica.  
...Mirabile filosofia, o insensata ciarlataneria?


No, tutt'altro. Kant non "sacrifica nessun oggetto sull'altare del soggetto" (l'oggetto è mantenuto,
pur nell'inconoscibilità ultima, nella cosa in sè). Lo farà semmai l'Idealismo, che in pratica
teorizza un soggetto creatore (dell'oggetto).
E, cosa importante, lo farà tutto il pensiero post-idealistico fino ai nostri giorni (che io reputo
gravemente infetti del mortale veleno idealista).
Ma diciamo anche che, a tal proposito, sarebbe oltremodo interessante conoscere a quali pensatori
moderni il pensiero di Carlo Pierini si avvicina...
Lo dico perchè quella tesi per cui soggetto e oggetto: "si unificano in un grado superiore di
conoscenza" mi fa proprio pensare all'Idealismo; un Idealismo perlomeno nella sua versione "post",
del tipo di quella "ircocervica" di Croce, tanto per intenderci.
Certo che, da un tal punto di vista, sarebbe davvero paradossale quell'accusa a Kant...
Per quanto riguarda il "trascendentale" trovo davvero grottesco e semplicistico che si usi un tal giudizio
per le parole e la terminologia in genere di un uomo del XVIII secolo senza VOLER capire a fondo
il significato, per lui, di tali termini.
Se si avesse UN MINIMO di conoscenza del pensiero di Kant si saprebbe infatti molto bene che quel
termine è da lui inteso in tal modo: "chiamo trascendentale ogni conoscenza che si occupa non degli
oggetti, ma del nostro modo di conoscere gli oggetti".
saluti
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: 0xdeadbeef il 07 Luglio 2018, 10:31:03 AM
Citazione di: sgiombo il 06 Luglio 2018, 18:49:48 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 06 Luglio 2018, 17:02:22 PMDunque la cosa fisica "magnifico Cedro del Libano" é un fenomeno (o insieme-successone di fenomeni) mentre il noumeno (intuibile solo nella sua presenza) non lo è; ma anche la cosa mentale "miei pensieri, sentimenti ecc." sono fenomeni (però mentali e non fisici - materiali), mentre il noumeno che esiste anche quando non sento pensieri o sentimenti (l' "io"; me stesso) non é fenomeno (apparenza sensibile cosciente (mentale in quest' ultimo caso): se pretendessi che lo fosse, cioé che esistesse in quando pensieri, sentimenti ecc., anche quando pensieri, sentimenti, ecc. non ci sono, mi contraddirei platealmente!
Perdonami Sgiombo ma ancora credo di non ever capito (capirai bene che l'età avanza...)
Stai dicendo che anche il concetto di "noumeno" è un fenomeno? Certo che lo è, ci mancherebbe.
Il "noumeno", in quanto espresso dal soggetto interpretante Immanuel Kant, è indubitabilmente un fenomeno.
Aggiungerei anzi che persino il pensare (un certo oggetto o un certo concetto), prima ancora che il nominare,
"inserisce" quell'oggetto (con il termine "oggetto" ci si può riferire sia alla "res cogitans" che a quella
"extensa") all'interno di una precisa catena segnica, come afferma acutamente C.S.Peirce.
Questo vuol dire che QUALSIASI pensiero è fenomeno, quindi lo è anche il pensiero del noumeno.
Tuttavia, dice Kant, il noumeno come, diciamo, non-fenomeno è "intuibile" (ed ecco il perchè egli chiama
"noumeno" la cosa in sè).
Trovo che la semiotica abbia in seguito spiegato perfettamente il motivo di questa "intuibilità".
Se pensare è già "segnare", cioè è inserire l'oggetto pensato in un preciso riferimento interpretativo,
deve comunque esistere un "qualcosa" originario cui quel pensiero si è riferito.
La semiotica chiama in vari modi questo "qualcosa originario" ("evento", "primum" etc.). Ed esso è
solo e soltanto "intuibile" (come "assenza" dice la semiotica non del tutto a sproposito - anche se personalmente non sono del tutto d'accordo) appunto perchè già il solo pensarlo ne cambia radicalmente il riferimento.
Boh, spero di averci preso...
saluti
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 11:00:59 AM
Citazione di: 0xdeadbeef il 07 Luglio 2018, 09:56:48 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 06 Luglio 2018, 18:33:50 PM

La "rivoluzione copernicana" di Kant è un ennesimo estremismo; un estremismo uguale e contrario a quello che si vuol superare: se quello sacrificava il soggetto sull'altare dell'oggetto, Kant sacrifica l'oggetto sull'altare del soggetto. Due estremismi ugualmente squilibrati, laddove la conoscenza è, invece, la corrispondenza tra due realtà opposte – soggetto e oggetto – di pari dignità ontologica: 1) il fenomeno oggettivo che esiste in sé sul piano FISICO e 2) il paradigma di un soggetto che esiste anch'esso in sé, ma sul piano METAFISICO; quando si realizza una compiuta corrispondenza-complementarità tra le due realtà, esse si confermano reciprocamente e si unificano in un grado superiore di conoscenza,

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Kant, attraverso il metodo detto "trascendentale" (che nulla ha a che vedere con la trascendenza)

CARLO
Certo, il "trascendent-ale"!! Un aggettivo che significa "riferito al trascendente", ma che con il trascendente non ha niente a che vedere! Un capolavoro concettuale, che, insieme al "soggetto", è altresì privo di una sua sostanzialità ontologica.  
...Mirabile filosofia, o insensata ciarlataneria?
No, tutt'altro. Kant non "sacrifica nessun oggetto sull'altare del soggetto" (l'oggetto è mantenuto,
pur nell'inconoscibilità ultima, nella cosa in sè).

CARLO
Un oggetto inconoscibile è un non-oggetto, cioè, è un "significante" privo del suo "significato". Affermare che l' "oggetto in sé" è inconoscibile e che, invece, il "fenomeno" è conoscibile significa giocare con le parole, perché anche il fenomeno è un oggetto della conoscenza, quindi, con lo stesso gioco della minchia, potremmo dire che <<è conoscibile il fenomeno, ma non il "fenomeno in sé">>, infilandoci così in un circolo vizioso nel quale alla fine scopriamo che NULLA è conoscibile e che NULLA può essere considerato "verità", nemmeno la filosofia di Kant.

OXDEADBEEF
Ma diciamo anche che, a tal proposito, sarebbe oltremodo interessante conoscere a quali pensatori
moderni il pensiero di Carlo Pierini si avvicina...
Lo dico perchè quella tesi per cui soggetto e oggetto: "si unificano in un grado superiore di
conoscenza" mi fa proprio pensare all'Idealismo;

CARLO
A me invece fa pensare alla Scienza, laddove il concetto di "legge della fisica" (ordo et connexio rerum ac ordo et connexio ...numerorum) rappresenta un grado superiore di conoscenza (rispetto alla conoscenza pre-scientifica) dal momento che la scoperta di alcune (poche) leggi riguardanti il mondo fisico ci ha permesso di realizzare cose che solo quattro o cinque secoli fa si sarebbero chiamate "magìe" (volare, andare sulla luna, comunicare in tempo reale da distanze enormi, guarire quasi tutte le malattie che affliggono gli uomini e gli animali, ...e le altre migliaia di conquiste della conoscenza).
Di fronte a tutto ciò, l'inconoscibilità della "cosa in sé" di Kant fa ridere i polli.

OXDEADBEEF
Se si avesse UN MINIMO di conoscenza del pensiero di Kant si saprebbe infatti molto bene che quel
termine è da lui inteso in tal modo: "chiamo trascendentale ogni conoscenza che si occupa non degli
oggetti, ma del nostro modo di conoscere gli oggetti".
saluti

CARLO
Se si avesse UN MINIMO di buon senso, si capirebbe che, se è impossibile conoscere "l'oggetto in sé", sarà A MAGGIOR RAGIONE impossibile conoscere "in sé" <<il nostro modo di conoscere gli oggetti>>.
Solo delle seghe di filosofi come Kant non si rendono conto che predicando dei limiti DI PRINCIPIO alla conoscenza e alla verità si pongono GLI STESSI limiti alla verità di ciò che si predica, cioè, che si taglia il ramo su cui si è seduti.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Phil il 07 Luglio 2018, 12:06:52 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 09:33:53 AM
Davvero?  ...E io che credevo  che le unità di misura fossero dei prodotti naturali!!!
Chiaramente no, ma dato che avevi salomonicamente affermato
Citazione di: Carlo Pierini il 06 Luglio 2018, 18:33:50 PM
Il soggetto, cioè, NON "determina" l'oggetto PIÙ DI QUANTO l'oggetto non "determini" il paradigma soggettivo-metafisico, ma entrambi contribuiranno in egual misura alla costruzione del sapere, in una CORRISPONDENZA equilibrata
ho provato a suggerirti alcuni motivi per cui forse non è una relazione così bilanciata (e concordo che sarebbe bello lo fosse).
Ovviamente, siamo pur sempre in un forum, non sei certo costretto a contro-argomentare  :)

Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 09:33:53 AM
Non posso conoscere "in sé" il significato di quello che hai appena scritto
Colgo il sarcasmo, eppure mi concederai che l'"in sé" empirico non è proprio equivalente all'"in sè" semantico...

Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 09:33:53 AM
Tu ti illudi di aver detto la verità
Di certo ho le mie illusioni, ma riguardo a questa (ti auguro di aver di meglio da fare) puoi divertirti a leggere quello che ho scritto sul topic "la verità è ciò che si dice" o su altri con tematiche affini. Credo proprio cambierai idea  ;)

Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 09:33:53 AM
Il concetto stesso di "impossibilità di conoscere" è una astrazione, una tua interpretazione della conoscenza
Si parlava di Kant (più che di me) e credo concorderebbe (anche se, purtroppo, non lo dico a scopo di lucro ;D ).

Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 09:33:53 AM
ma le tue sono, invece, solo parole il cui significato "in sé" è inconoscibile. ....Parole al vento...!
Sicuramente per alcuni... tuttavia resto ottimista e, spero, non per tutti! :)
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 13:39:42 PM
Citazione di: Phil il 07 Luglio 2018, 12:06:52 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 09:33:53 AM
Davvero?  ...E io che credevo  che le unità di misura fossero dei prodotti naturali!!!

Chiaramente no, ma dato che avevi salomonicamente affermato:

Citazione di: Carlo Pierini il 06 Luglio 2018, 18:33:50 PM
Il soggetto, cioè, NON "determina" l'oggetto PIÙ DI QUANTO l'oggetto non "determini" il paradigma soggettivo-metafisico, ma entrambi contribuiranno in egual misura alla costruzione del sapere, in una CORRISPONDENZA equilibrata
ho provato a suggerirti alcuni motivi per cui forse non è una relazione così bilanciata (e concordo che sarebbe bello lo fosse).
CARLO
...Ma è sicuramente più bilanciata dell'idea kantiana che pone, non più l'oggetto, ma il soggetto al centro del processo conoscitivo. Kant, cioè, sostituisce un estremismo squilibrato con un altro estremismo altrettanto squilibrato. 
Per questo ho portato come esempio REALE di conoscenza (tra i tanti possibili) la seconda legge di Newton, nella quale non è centrale né il soggetto né l'oggetto, ma la CORRISPONDENZA equilibrata (dialettica) tra un paradigma matematico SOGGETTIVO-METAFISICO (F=ma) e  un insieme di fenomeni OGGETTIVI-FISICI che in esso si unificano.
Ed è su questa tipologia di processi epistemici che si è costruita la Scienza, cioè, la più rivoluzionaria ed efficace forma di conoscenza che l'uomo abbia mai concepito, non sulle chiacchiere inconcludenti di Kant.

Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 09:33:53 AM
Non posso conoscere "in sé" il significato di quello che hai appena scritto 


Colgo il sarcasmo, eppure mi concederai che l'"in sé" empirico non è proprio equivalente all'"in sè" semantico...

CARLO
La semantica è l'arte di associare dei segni a dei contenuti provenienti dall'esperienza (contenuti empirici). Quindi non esiste un "in sé" semantico separato da un "in sé" empirico.  Il "significante" trova il proprio "significato" esclusivamente nell'esperienza, altrimenti non è altro che un flatus vocis, un rumore fine a se stesso.
Cosicché, la verità non è <<ciò che si dice>>, come avventatamente sostieni tu, ma la corrispondenza tra ciò che si dice e ciò che è empiricamente, tra l'ordine dei fatti empirici e l'ordine dei segni che rispecchiano quei fatti nel linguaggio.
Se la "cosa in sé" non è conoscibile, TANTOMENO saranno conoscibili le chiacchiere in sé, separate da contenuti empirici di cui esse sono espressione.

Come dicevo a Oxdeadbeef, affermare che l' "oggetto in sé" è inconoscibile e che, invece, il "fenomeno" è conoscibile significa giocare con le parole, perché anche il fenomeno è un oggetto della conoscenza, quindi, con lo stesso stupido gioco, potremmo dire che <<è conoscibile il fenomeno, ma non il "fenomeno in sé">>, infilandoci così in un circolo vizioso nel quale alla fine scopriamo che NULLA è conoscibile e che NULLA può essere considerato "verità", nemmeno la filosofia di Kant.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: 0xdeadbeef il 07 Luglio 2018, 14:26:30 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 11:00:59 AM


CARLO
A me invece fa pensare alla Scienza, laddove il concetto di "legge della fisica" (ordo et connexio rerum ac ordo et connexio ...numerorum) rappresenta un grado superiore di conoscenza (rispetto alla conoscenza pre-scientifica) dal momento che la scoperta di alcune (poche) leggi riguardanti il mondo fisico ci ha permesso di realizzare cose che solo quattro o cinque secoli fa si sarebbero chiamate "magìe" (volare, andare sulla luna, comunicare in tempo reale da distanze enormi, guarire quasi tutte le malattie che affliggono gli uomini e gli animali, ...e le altre migliaia di conquiste della conoscenza).
Di fronte a tutto ciò, l'inconoscibilità della "cosa in sé" di Kant fa ridere i polli.


CARLO
Se si avesse UN MINIMO di buon senso, si capirebbe che, se è impossibile conoscere "l'oggetto in sé", sarà A MAGGIOR RAGIONE impossibile conoscere "in sé" <<il nostro modo di conoscere gli oggetti>>.
Solo delle seghe di filosofi come Kant non si rendono conto che predicando dei limiti DI PRINCIPIO alla conoscenza e alla verità si pongono GLI STESSI limiti alla verità di ciò che si predica, cioè, che si taglia il ramo su cui si è seduti.


Beh, direi che mi confermi appieno quanto sospettavo, e cioè che ragioni in termini idealistici.
O più precisamente, che hai della scienza una visione idealistica (la vedi cioè come una specie di
"spirito del mondo").
Dimentichi cioè, e colpevolmente, che la scienza è SOLO una branca specifica di quel sapere che
la filosofia abbraccia nella sua interezza; e di cui essa cerca le "relazioni" che intercorrono
fra le specificità.
Sarebbe, a tal proposito, interessante sapere come tu ti rapporti, "scientificamente", ai problemi
della politica, della morale o di quant'altro (informandoti preventivamente che la "cosa in sè"
kantiana vi si rapporta eccome).
In realtà il tuo modo di vedere le cose, il tuo "ordo", è ben conosciuto. Si chiama "scientismo".
Ed è appunto l'estensione indebita di una branca della filosofia, appunto la scienza, all'intera
filosofia in modo del tutto analogo a quanto l'Idealismo fa con un "io" che a se riduce l'intero
universo.
Chiaramente non sei solo a ragionare in questo modo, tutt'altro.
Oggi tutto è scienza, e CON la scienza si pretenderebbe di rispondere a qualsiasi interrogativo.
"Magari morirete", dice l'alter ego ad Ivan Karamazov nell'immortale capolavoro di Dostoevskij,
"ma almeno saprete con esattezza la malattia che vi sta uccidendo".
Non che, per carità, la filosofia abbia mai avuto una risposta consolatoria verso il pensiero della
morte, ma almeno ha avuto verso di essa un atteggiamento "serio", non come quello di certi scientisti
che, ultimamenti, parlano allegramente di vita fino a 120 e più (quando non addirittura fanno trapelare
l'idea della possibilità dell'immortalità).
Ma non divaghiamo.
Ciò che mi rende difficile il dialogo con te, Carlo Pierini, non è tanto il fatto che tu abbia una
opinione difforme dalla mia (che sarebbe cosa sacrosanta), quanto che ti rifiuti di ragionare in
termini filosofici (cioè in termini che presuppongono, sempre, una visione più "larga").
Hai dapprima detto un mucchio di sciocchezze sull'"idea" platonica (che hai allegramente accomunato
alla cosa in sè di Kant) poi su molto altro (e quando te lo si fa notare semplicemente fai finta di nulla
e cambi discorso - del resto anche altri hanno notato come, spesso, non contro-argomenti).
Non che io pensi tu sia uno sciocco, intendiamoci. Ma penso tu abbia una posizione filosofica (forse
tuo malgrado) ben precisa, che è appunto quella scientista.
La quale ti porta ad avere un atteggiamento da conservatore (così come il conservatore è descritto
da Platone); un atteggiamento per cui si abbandona il dialogo quando esso mette in discussione le
proprie radicate convinzioni.
A mio modo di vedere, semplicemente, sei convinto di sapere (ovvero non sai di non sapere).
La stessa terminologia che usi, in verità piuttosto volgarotta, ne è dimostrazione.
Eppure, dicevo, proprio la fisica relativistica dovrebbe indurti a grande cautela prima di esprimere certe
certezze assolute, o riproporre pari pari certi assiomi della meccanica newtoniana (che fra l'altro
Kant dava per certissimi).
Non era certo Kant, ma quella "sega di scienziato" di Einstein, a dire: "è la teoria a decidere cosa possiamo osservare". E che
altro vuol dire questo se non che è il soggetto ad essere "centrale"?

saluti (senza alcuna acredine)
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Phil il 07 Luglio 2018, 15:30:50 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 13:39:42 PM
...Ma è sicuramente più bilanciata dell'idea kantiana che pone, non più l'oggetto, ma il soggetto al centro del processo conoscitivo. Kant, cioè, sostituisce un estremismo squilibrato con un altro estremismo altrettanto squilibrato.
Chiedo: il "gioco filosofico" è trovare la prospettiva più bella, quella in cui più si bilanciano alla perfezione soggetto e oggetto, oppure cercare di capire come funziona davvero la conoscenza umana, accettando eventuali asimmetrie?

Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 13:39:42 PM
Per questo ho portato come esempio REALE di conoscenza (tra i tanti possibili) la seconda legge di Newton, nella quale non è centrale né il soggetto né l'oggetto, ma la CORRISPONDENZA equilibrata (dialettica) tra un paradigma matematico SOGGETTIVO-METAFISICO (F=ma) e  un insieme di fenomeni OGGETTIVI-FISICI che in esso si unificano.
In quella legge, come già accennavo, è centrale il soggetto: il soggetto definisce e identifica "F", "m" e "a", stabilisce la relazione fra loro e ne verifica la ripetibilità con esperimenti.
Non a caso, "F", "m" e "a" sono concetti, non cose... funzionano come chiave di lettura, ma non sono il libro (così come la percezione del fenomeno, non è il fenomeno, e il fenomeno della cosa, non è la cosa).

Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 13:39:42 PM
La semantica è l'arte di associare dei segni a dei contenuti provenienti dall'esperienza (contenuti empirici). Quindi non esiste un "in sé" semantico separato da un "in sé" empirico.  Il "significante" trova il proprio "significato" esclusivamente nell'esperienza, altrimenti non è altro che un flatus vocis, un rumore fine a se stesso.
Articoli, aggettivi e avverbi sono dunque tutti "flatus vocis"? Comunque piuttosto utili direi... ;)

Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 13:39:42 PM
Cosicché, la verità non è <<ciò che si dice>>, come avventatamente sostieni tu, ma la corrispondenza tra ciò che si dice e ciò che è empiricamente, tra l'ordine dei fatti empirici e l'ordine dei segni che rispecchiano quei fatti nel linguaggio.
L'isomorfismo è una delle concezioni possibili della verità, ma non l'unica... provare a ponderare anche le altre può essere di giovamento.

Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 13:39:42 PM
Se la "cosa in sé" non è conoscibile, TANTOMENO saranno conoscibili le chiacchiere in sé, separate da contenuti empirici di cui esse sono espressione.
Se non erro, le chiacchiere si capiscono, la cosa si conosce.
Semantico ed empirico mi sembrano proprio due livelli distinti: la relazione fra gli oggetti non è gli oggetti (e il discorso sulla relazione degli oggetti lo è ancora meno...).

Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 13:39:42 PM
affermare che l' "oggetto in sé" è inconoscibile e che, invece, il "fenomeno" è conoscibile significa giocare con le parole, perché anche il fenomeno è un oggetto della conoscenza,
Il fenomeno non è oggetto empirico (ma percettivo), l'oggetto in sé invece si suppone lo sia (empirico). Entrambi sono elementi della conoscenza, ma con modalità nettamente differenti: il secondo è, come dicevo, solo postulabile, il primo è studiabile.

Sulla differenza fra "fenomeno" e "oggetto in sé", se non ti fidi di me (e fai bene ;D ) puoi interrogare tanto la dottrina buddhista della percezione (duemila anni fa) quanto la citata fenomenologia husserliana (secolo scorso) e più in generale la storia della scienza mondiale, oppure (per far prima) qualche pagina di wikipedia.
Il che non significa che tu debba concordare con loro, ma certamente aiuta a chiarire come si intende tale differenza e, soprattutto, come mai ancora oggi non sia archiviata come mero sofisma (né dai filosofi, né dagli scienziati).
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Apeiron il 07 Luglio 2018, 16:33:50 PM
Rispondo al messaggio di Carlo Pierini numero #32:


Citazione
Supponiamo che X (la "cosa in sé") sia il modello dinamico del Sistema Solare.

No, per Kant non puoi farlo, visto che il Sistema Solare è nel reame dei fenomeni o apparenze.

CitazioneEbbene, sia la teoria tolemaica (geocentrismo) che quella copernicano-kepleriana-newtoniana (eliocentrismo) erano entrambe "conoscenze di X viste da noi"; eppure con la teoria tolemaica noi non saremmo MAI stati in grado di inviare delle sonde su Marte, o intorno a Giove, Saturno, Urano, Nettuno, Plutone, o sulla cometa 67p, come invece siamo riusciti a fare sulla base di quella "conoscenza di X vista da noi" che chiamiamo teoria eliocentrica. Qual'è la differenza tra le due? Che la prima era essenzialmente FALSA, mentre la seconda era essenzialmente e DEFINITIVAMENTE VERA. Ormai, cioè, non ci sono più dubbi che i pianeti del Sistema Solare girano intorno al Sole e non intorno alla Terra.
Kant ha inteso la sua filosofia come una giustificazione della scienza. Ed, effettivamente, la scienza può semplicemente descrivere il mondo dei fenomeni, delle apparenze. Non c'è bisogno di postulare che la scienza descriva la "realtà in sé". Questo non significa essere "relativisti" perchè comunque si riescono a trovare (almeno approssimazioni di) verità intersoggettive, valide per diversi soggetti (visto che la struttura della nostra mente è simile).

CitazioneAllora, di fronte a una tale verità definitiva dell'eliocentrismo, che importanza ha il fatto che sia anch'esso una "X vista da noi"? NESSUNA, perché l'importante è la verità delle cose, non che essa sia vista da noi o da chiunque altro.
Ok! Però dal punto di vista intellettuale mi piacerebbe sapere con certezza se vedo "la realtà così come è" oppure se il come la vedo perchè la mia mente è strutturata in un certo modo. Ovvero: le cose come appaiono a noi sono la "realtà in sé"? Se la risposta è "no", quali sono le leggi della "realtà in sé"? Per avere una risposta sicura, credo che ci vorrebbe tipo un "risveglio" o una "conoscenza sovrumana", qualcosa che ci permette di sfondare i nostri limiti facendoceli comprendere "dall'esterno", per così dire. Molti ritengono che Kant abbia distrutto la metafisica. Rimango dell'idea che la metafisica sia possibile, ma dopo Kant è più difficile affermare di avere la "sicurezza" nella metafisica. Ma, personalmente, per ora mi accontento di speculare nell'incertezza  ;)

CitazioneE questa stessa riflessione può essere estesa alla totalità delle X della Scienza, le quali sono SEMPRE, inizialmente, poco più che delle X incognite, ma che col passare dei secoli, grazie all'osservazione metodica e alla verifica sperimentale, si vanno progressivamente avvicinando alla verità.
Insomma non esiste alcun motivo fondato per escludere a priori la conoscibilità delle "cose", visto che la conoscenza umana ha GIA' prodotto decine di migliaia di verità definitive sul mondo, e che questo processo evolutivo è ben lungi dall'essersi arrestato. L'evoluzione del sapere e della tecnologia che da esso discende non si fonda sulle chiacchiere, ma ESCLUSIVAMENTE sulle verità accertate. Non si costruisce una sonda spaziale o un semplice computer su opinioni filosofiche, ma su conoscenze assolutamente certe, altrimenti non funzionerà né l'una né l'altro.
La scienza ci può fornire (approssimazioni di) verità sul mondo fenomenico. Queste verità sono intersoggettive (valgono per vari soggetti). Se poi non c'è la realtà-così-come-è coincide con la realtà vista da noi, non si può esserne sicuri. Forse, per te, è così. Ma, personalmente non ne sarei così sicuro  ;)

Commento, ora, il messaggio #51 di Phil (è un "commento", non una vera e propria risposta diretta):


CitazioneChiedo: il "gioco filosofico" è trovare la prospettiva più bella, quella in cui più si bilanciano alla perfezione soggetto e oggetto, oppure cercare di capire come funziona davvero la conoscenza umana, accettando eventuali asimmetrie?
Vero!

CitazioneIn quella legge, come già accennavo, è centrale il soggetto: il soggetto definisce e identifica "F", "m" e "a", stabilisce la relazione fra loro e ne verifica la ripetibilità con esperimenti.
Non a caso, "F", "m" e "a" sono concetti, non cose... funzionano come chiave di lettura, ma non sono il libro (così come la percezione del fenomeno, non è il fenomeno, e il fenomeno della cosa, non è la cosa).

Qui mi permetto di fare una precisazione. Quanto stai dicendo secondo me è giusto, ma se lo si intende in un certo modo. "F", "m", "a" sono concetti che sono stati creati dall'uomo per descrivere l'esperienza (le "manifestazioni"/apparenze/fenomeni...). Quindi, in un certo senso sono relativi: sono stati creati da noi e sono stati creati da noi in un certo contesto. Tuttavia, ciascuno può verificare che questi concetti descrivono molto bene i fenomeni. Quindi ci è possibile arrivare ad approssimazioni di verità intersoggettive (la teoria di Einstein è "più vera" di quella di Newton ecc). Sull'errore di confondere il concetto di "convenzione" con quello di "totale arbirarietà" si fonda il grosso errore in cui sono cadute scuole di pensiero come il "relativismo estremo", "la filosofia di Protagora", "post-modernismo", "post-strutturalismo", "decostruzione" (Derrida), "iper-scetticismo" ecc. Siccome la scienza ci ha permesso di descrivere in modo estrememante accurato i nostri fenomeni e siccome ciò vale per tutti i soggetti, o è una sorta di "mega colpo di fortuna" oppure un motivo c'è. Ma se accettiamo che la teoria di Einstein è migliore di quella di Newton, dobbiamo ammettere che ci sono verità inter-soggettive. Quindi il soggetto conta fino ad un certo punto! Su questo si è ben espresso anche Eco, come ci ha fatto sapere @epicurus in questo post https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/la-verita-e-cio-che-si-dice/msg21746/#msg21746. Anche se la mia posizione su ciò è diversa, si veda https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/la-verita-e-cio-che-si-dice/msg21749/#msg21749.

CitazioneL'isomorfismo è una delle concezioni possibili della verità, ma non l'unica... provare a ponderare anche le altre può essere di giovamento.
Vero. Ma a volte potrebbe essere la concezione giusta di verità. Concordo sul fatto che bisgona avere una mente aperta su tutte!

CitazioneIl fenomeno non è oggetto empirico (ma percettivo), l'oggetto in sé invece si suppone lo sia (empirico). Entrambi sono elementi della conoscenza, ma con modalità nettamente differenti: il secondo è, come dicevo, solo postulabile, il primo è studiabile.

Sulla differenza fra "fenomeno" e "oggetto in sé", se non ti fidi di me (e fai bene (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/grin.gif) ) puoi interrogare tanto la dottrina buddhista della percezione (duemila anni fa) quanto la citata fenomenologia husserliana (secolo scorso) e più in generale la storia della scienza mondiale, oppure (per far prima) qualche pagina di wikipedia.
Il che non significa che tu debba concordare con loro, ma certamente aiuta a chiarire come si intende tale differenza e, soprattutto, come mai ancora oggi non sia archiviata come mero sofisma (né dai filosofi, né dagli scienziati).
Totalmente d'accordo!
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Phil il 07 Luglio 2018, 17:38:36 PM
Citazione di: Apeiron il 07 Luglio 2018, 16:33:50 PM
Quanto stai dicendo secondo me è giusto, ma se lo si intende in un certo modo. "F", "m", "a" sono concetti che sono stati creati dall'uomo per descrivere l'esperienza (le "manifestazioni"/apparenze/fenomeni...). Quindi, in un certo senso sono relativi: sono stati creati da noi e sono stati creati da noi in un certo contesto. Tuttavia, ciascuno può verificare che questi concetti descrivono molto bene i fenomeni. Quindi ci è possibile arrivare ad approssimazioni di verità intersoggettive (la teoria di Einstein è "più vera" di quella di Newton ecc). Sull'errore di confondere il concetto di "convenzione" con quello di "totale arbirarietà" si fonda il grosso errore in cui sono cadute scuole di pensiero come il "relativismo estremo", "la filosofia di Protagora", "post-modernismo", "post-strutturalismo", "decostruzione" (Derrida), "iper-scetticismo" ecc. Siccome la scienza ci ha permesso di descrivere in modo estrememante accurato i nostri fenomeni e siccome ciò vale per tutti i soggetti, o è una sorta di "mega colpo di fortuna" oppure un motivo c'è. Ma se accettiamo che la teoria di Einstein è migliore di quella di Newton, dobbiamo ammettere che ci sono verità inter-soggettive. Quindi il soggetto conta fino ad un certo punto!
Certo, nel processo della conoscenza il soggetto non è da solo, c'è anche il supporto fondamentale di un "oggetto", un'alterità, che ispira la conoscenza e che innesca i fenomeni percepiti dal soggetto. Per quanto il soggetto si (auto)condizioni nel suo cercare di comprendere l'oggetto, ciò non può comportare l'assoluta indipendenza dall'esser-altro dell'oggetto.

Secondo me, la convenzione è "totale arbitrarietà" non nel senso di puro caso o imprevedibilità o assenza di regole possibili, ma di arbitrarietà degli assiomi (o delle definizioni) da cui deriva la non-arbitrarierà della loro applicazione e della loro coerenza; per questo la scienza funziona, si corregge e si "perfeziona".
Come dire, l'alfabeto e la grammatica di una lingua sono arbitrarie, puramente convenzionali, ma una volta accettate, ogni lingua funziona a meraviglia sul piano intersoggettivo e in modo niente affatto casuale (oppure si potrebbe far l'esempio dei differenti sistemi di misurazione, "centimetri" vs "pollici", ma credo che ci siamo intesi  ;) ).
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Apeiron il 07 Luglio 2018, 18:39:35 PM
Citazione di: Phil il 07 Luglio 2018, 17:38:36 PM
Citazione di: Apeiron il 07 Luglio 2018, 16:33:50 PMQuanto stai dicendo secondo me è giusto, ma se lo si intende in un certo modo. "F", "m", "a" sono concetti che sono stati creati dall'uomo per descrivere l'esperienza (le "manifestazioni"/apparenze/fenomeni...). Quindi, in un certo senso sono relativi: sono stati creati da noi e sono stati creati da noi in un certo contesto. Tuttavia, ciascuno può verificare che questi concetti descrivono molto bene i fenomeni. Quindi ci è possibile arrivare ad approssimazioni di verità intersoggettive (la teoria di Einstein è "più vera" di quella di Newton ecc). Sull'errore di confondere il concetto di "convenzione" con quello di "totale arbirarietà" si fonda il grosso errore in cui sono cadute scuole di pensiero come il "relativismo estremo", "la filosofia di Protagora", "post-modernismo", "post-strutturalismo", "decostruzione" (Derrida), "iper-scetticismo" ecc. Siccome la scienza ci ha permesso di descrivere in modo estrememante accurato i nostri fenomeni e siccome ciò vale per tutti i soggetti, o è una sorta di "mega colpo di fortuna" oppure un motivo c'è. Ma se accettiamo che la teoria di Einstein è migliore di quella di Newton, dobbiamo ammettere che ci sono verità inter-soggettive. Quindi il soggetto conta fino ad un certo punto!
Certo, nel processo della conoscenza il soggetto non è da solo, c'è anche il supporto fondamentale di un "oggetto", un'alterità, che ispira la conoscenza e che innesca i fenomeni percepiti dal soggetto. Per quanto il soggetto si (auto)condizioni nel suo cercare di comprendere l'oggetto, ciò non può comportare l'assoluta indipendenza dall'esser-altro dell'oggetto. Secondo me, la convenzione è "totale arbitrarietà" non nel senso di puro caso o imprevedibilità o assenza di regole possibili, ma di arbitrarietà degli assiomi (o delle definizioni) da cui deriva la non-arbitrarierà della loro applicazione e della loro coerenza; per questo la scienza funziona, si corregge e si "perfeziona". Come dire, l'alfabeto e la grammatica di una lingua sono arbitrarie, puramente convenzionali, ma una volta accettate, ogni lingua funziona a meraviglia sul piano intersoggettivo e in modo niente affatto casuale (oppure si potrebbe far l'esempio dei differenti sistemi di misurazione, "centimetri" vs "pollici", ma credo che ci siamo intesi ;) ).

Ben detto!  ;)
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 07 Luglio 2018, 19:42:30 PM
Citazione di: davintro il 06 Luglio 2018, 17:56:17 PM
Per Sgiombo



Sono d'accordo sul fatto di non dover considerare le categorie a priori nella mente come reali di fatto, ciò che sostengo è che, anche se consistenti in enti non fattuali ma concettuali, sono comunque, evidentemente, oggetto di una conoscenza (altrimenti come potrebbe la critica kantiana accorgersi della loro presenza come strutture costitutive e necessarie della mente umana?), ma dovrà essere di un tipo di conoscenza diverso da quello sufficiente a ricevere i fenomeni degli oggetti sensibili, cioè dovrà fondarsi su un'intuizione intellettuale, appropriata a cogliere delle strutture e giudizi riconoscibili come validi aprioristicamente e universali. E questo tipo di conoscenza dovrà essere considerata "scienza" a tutti gli effetti, altrimenti la critica stessa, oggettivante questo nucleo aprioristico, dovrebbe negarsi come "scienza", per legittimare se stessa dunque dovrà allargare il campo della "scienza" al di là del campo ristretto del materiale consistente solo in fenomeni sensibili, riconducibili alle categorie estetiche di "spazio" e "tempo", cioè empirici. Insomma nel momento in cui Kant parla di "apriori", "trascendentale" questi concetti non possono più solo essere "forme", "funzioni", ma a tutti gli effetti "materia", "oggetto" di una specifica scienza, cioè la scienza critica, senza per forza bisogno di associarli a realtà fattuali o sostanziali. Del resto se si condivide l'assunto che qualunque cosa per essere conosciuta debba essere oggetto immanente di vissuti coscienti, indipendentemente dall'associarli a fatti reali (ed è per questo che dell'ippogrifo possiamo averne una conoscenza, cioè possiamo averne una rappresentazione e porlo come soggetto di giudizi anche consapevoli della non corrispondenza del concetto con un'esistenza fattuale), allora non vedo il problema di sostenere l'idea di una conoscenza, una scienza, oggettivante una sfera intelligibile, noumenica, identificabile con il complesso delle strutture necessarie, trascendentali della mente umana, senza per forza pretendere che tale sfera sia proiettabile come esistenza fuori dalla nostra mente, considerata come "realtà" o "sostanza"
Citazione
Ma una cosa é la conoscenza*** di un racconto inventato, con una trama arbitrariamente stabilita indipendentemente da ciò che realmente é/accade o meno (per esempio l' Orlando Furioso, nell' ambito del quale esistono gli ippogrifi), oppure la conoscenza** di ciò che analiticamente a priori può essere ricavato da un insieme di definizioni, postulati, assiomi arbitrariamente stabiliti indipendentemente da ciò che realmente é/accade o meno (per esempio le vaie geometrie, a cominciare da quelle euclidea), un' altra ben diversa cosa é la conoscenza* (necessariamente attraverso giudizi sintetici a posteriori) di ciò che realmente é/accade o meno anche indipendentemente dall' eventuale essere pure pensato, predicato accadere o meno.

La conoscenza** logica-matematica (giudizi analitici a priori) é sì un tipo di conoscenza diverso da quello sufficiente a ricevere i fenomeni de- (più correttamente: i fenomeni, id est) -gli oggetti sensibili (i quali sono enti e/o eventi reali indipendentemente dal fatto che li si pensi, che li si predichi o giudichi sinteticamente a posteriori o meno), che dovrà fondarsi su ragionamenti appropriati a cogliere delle strutture e giudizi riconoscibili come validi aprioristicamente e universali ma che comunque nulla ci dicono di ciò che realmente é/accade o meno anche indipendentemente dal fatto eventuale che lo si pensi o meno.
E che si chiami anche questo tipo di conoscenza (logica o logico-matematica) "scienza" o meno é solo una questione terminologica arbitraria, convenzionale, sulla quale in linea di principio ci si può sempre accordare, ma che non inficia minimamente il fatto a mio parere estremamente importante che essa, al contrario delle scienze naturali costituite da giudizi sintetici a posteriori (constatazioni empiriche e induzioni e ipotesi teoriche empiricamente testate e induttivamente estese) gravati da un' insuperabile incertezza nulla ci dice di ciò che realmente é/accade o meno anche indipendentemente dal fatto eventuale che lo si pensi o meno.
Questo che scrivo in grassetto é per me "il problema" di una conoscenza, una scienza, oggettivante (?) una sfera intelligibile, noumenica (ma solo nel senso di non esserefenomenicamente percepita e non nel senso di essere qualcosa di reale -di proiettabile come esistenza fuori dalla nostra mente, di considerabile come "realtà"- anche indipendentemente dal fatto eventuale di essere pure oggetto di considerazione teorica, di pensiero o meno.





I fenomeni intesi come "essenza" vanno visti come il residuo della messa tra parentesi di tutti gli aspetti del fenomeno, contingenti, cioè relativi alla condizione individuale del singolo soggetto che ne fa esperienza. Ciò che resta dopo la riduzione è ciò che del fenomeno resta tale indipendentemente dalle circostanze particolari, il nucleo costantemente e necessariamente presente in ogni sua possibile manifestazione empirica che accade in una certa coscienza individuale, un nucleo che vale per ogni individualità possibile. Così si passa dal soggetto empirico, questo singolo Io individuale con certe particolari proprietà, al soggetto trascendentale, il complesso delle strutture necessarie e fondamentali di ogni coscienza, del resto lo stesso ambito che Kant, a suo modo, ha provato a individuare nella sua critica. Questo "fenomeno-essenza", certamente, è un'astrazione, un concetto, non esistono autonomamente nella nostra realtà psichica, ma solo come comprendenti le determinazioni particolari inerenti le individualità, cioè nessuno concretamente ricorda il "ricordo in sé", l'essenza del ricordo, ma i SUOI ricordi, legati alla propria storia individuale. Eppure per un altro aspetto queste essenze non sono in assoluto astrazioni, ma possono essere considerate come "concrete" perché consistono nel senso generale che specifica una certa serie di fenomeni distinguendola dalle altre, un senso che riconosciamo come qualità dell'esperienza vissuta, che se non fosse esperita non potrebbe permettere di distinguere una specie di fenomeni dalle altre, e conseguentemente anche poterla definire in un certo modo. Nessuno ricorda il "ricordo in sé" in forma pura e autonoma, ma ci rendiamo conto di un senso, che ci consente di riconoscere il nostro particolare ricordo come appunto un "ricordo", e non una percezione presente o un aspettativa futura, dunque abbiamo un'intuizione intellettuale dell'essenza del fenomeno "ricordo", non realmente psichica a tutti gli effetti, perché psichicamente abbiamo esperienza di un particolare ricordo, ma comunque come qualità esperibile, quindi a suo modo concreta, in base a cui possiamo avere una nozione dell'idea di ricordo in generale.
Citazione
Allora mi pare che tu semplicemente intenda per "essenza" gli aspetti generali e astratti (considerabili come tali da parte del pensiero che li distingue dal resto particolare e concreto) della realtà fenomenica.
Ma non comprendo come in ciò (che riguarda i fenomeni e non l' eventuale loro soggetto e gli eventuali loro oggetti in sé) si possa passare dal soggetto empirico, questo singolo Io individuale con certe particolari proprietà, al soggetto trascendentale, il complesso delle strutture necessarie e fondamentali di ogni coscienza (che non capisco che cosa possano essere).
I fenomeni sono integralmente appartenenti alla coscienza "individuale" in cui accadono (ovvero vengono esperiti, sentiti) e così pure i loro aspetti generali astratti considerabili dal pensiero, anche se i fenomeni materiali possono essere postulati (non dimostrati) essere intersoggettivi (cioè biunivocamente corrispondenti fra le diverse esperienze fenomeniche coscienti, pure postulabili e non dimostrabili essere reali, salvo la "propria" immediatamente sentita, apparente); e ciò é anzi necessario da postularsi perché se ne possa dare conoscenza scientifica.
 
Nessuno concretamente ricorda il "ricordo in sé", l'essenza del ricordo, ma i SUOI ricordi, legati alla propria storia individuale e tuttavia tutti possono avere la nozione astratta di che cosa sono i ricordi, di che cosa é ciascun ricordo, pensarci sopra, predicarne sensatamente e più o meno veracemente.
 
E non vedo proprio come queste astrazioni (nell' ambito dei fenomeni) possano non essere in assoluto astrazioni, ma possano essere considerate come "concrete" per il fatto che consistono nel senso generale che specifica una certa serie di fenomeni distinguendola dalle altre, un senso(unicamente nell' ambito dell' esperienza cosciente di chi le pensa e i rispettivi sensi ne stabilisce arbitrariamente) che riconosciamo come qualità dell'esperienza vissuta, che se non fosse esperita non potrebbe permettere di distinguere una specie di fenomeni dalle altre, e conseguentemente anche poterla definire in un certo modo: il fatto che i concetti astratti, arbitrariamente definiti in un certo medo per convenzione, consentano di distinguere le varie specie di fenomeni non vedo come possa renderli in un qualche modo sensato "concreti" (per esempio come possa rendere "concreto" il concetto astratto di "ricordo").





Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: davintro il 07 Luglio 2018, 20:36:10 PM
Carlo Pierini scrive:

"Un oggetto inconoscibile è un non-oggetto, cioè, è un "significante" privo del suo "significato". Affermare che l' "oggetto in sé" è inconoscibile e che, invece, il "fenomeno" è conoscibile significa giocare con le parole, perché anche il fenomeno è un oggetto della conoscenza, quindi, con lo stesso gioco della minchia, potremmo dire che <<è conoscibile il fenomeno, ma non il "fenomeno in sé">>, infilandoci così in un circolo vizioso nel quale alla fine scopriamo che NULLA è conoscibile e che NULLA può essere considerato "verità", nemmeno la filosofia di Kant."

"Se si avesse UN MINIMO di buon senso, si capirebbe che, se è impossibile conoscere "l'oggetto in sé", sarà A MAGGIOR RAGIONE impossibile conoscere "in sé" <<il nostro modo di conoscere gli oggetti>>.
Solo delle seghe di filosofi come Kant non si rendono conto che predicando dei limiti DI PRINCIPIO alla conoscenza e alla verità si pongono GLI STESSI limiti alla verità di ciò che si predica, cioè, che si taglia il ramo su cui si è seduti. "





Al di là dell'uso di alcuni toni, mi pare di poter condividere il senso fondamentale di questi passi, che sembrano avvicinarsi a quelle che sono anche le mie perplessità sulla gnoseologia kantiana. Il dualismo, gnoseologicamente impostato, tra una sfera di fenomeni (conoscibili) e una noumenica (inconoscibile), rende impossibile qualunque tipo di scienza, compresa la scienza della critica stessa, perché ciò che differenzia la scienza dalla mera opinione consiste proprio nella garanzia razionale della corrispondenza tra la tesi soggettiva e la realtà oggettiva, indipendentemente dal nostro pensiero, garanzia che caratterizza la scienza, in contrasto con la mera opinione, che non ha argomenti per garantire tale corrispondenza, e la presunzione di verità resta puramente arbitraria. Ora, ridurre il piano della conoscibilità e della scienza ai "fenomeni" vuol dire negarsi le basi per la possibilità di qualunque scienza, in quanto i fenomeni, in quanto tali, sono sempre manifestazioni ad una certa coscienza individuale, apparenze che non necessariamente corrispondono a una realtà oggettiva, e la mancata garanzia razionale della corrispondenza fra apparenze soggettive e realtà oggettive, non può che condurre a esiti teoretici solipsisti o scettici in quanto manca la possibilità di notare come i fenomeni coscienziali soggettivi rimandino a una realtà oggettiva trascendente rispetto a noi stessi, proprio perché il complesso dei fenomeni sarebbe intrascendibile dal punto di vista della ragione (al massimo solo per un atto di fede o in virtù di alcune esigenze morali). Eppure la critica kantiana è un impegno teoretico che si è presentato a tutti gli effetti come "scienza", costituita da una serie di affermazioni il cui portato di verità è stato presentato come oggettivo e razionale, cioè indipendente dall'arbitrarietà delle opinioni soggettive. Kant ha potuto sostenere le sue tesi perché convinto di aver oggettivamente ragione, che le sue idee non fossero solo apparenze, ma adeguate alla realtà delle cose, quindi le sue pretese implicano necessariamente un trascendimento dei fenomeni , cioè delle apparenze, come unico riferimento della scienza, ed è qui la sua implicita contraddizione. Perché le tesi della critica siano legittimate a essere valide dal punto di vista della verità è stato necessario rompere l'equivoca ed errata identificazione tra "oggettività" ed "esteriorità", e questo, a mio avviso è stato il grande merito di Kant (anche se già ampiamente preparato dalla svolta moderna del dubbio metodico e dal primato metodologico del cogito cartesiano). Nell'individuare come compito della critica l'individuazione delle strutture necessarie e apriori della conoscenza, egli ha riconosciuto un piano di oggettività non coincidente con l'oggettività naturalistica della realtà fisica dell'esperienza esteriore (a cui invece si ferma il realismo ingenuo che pretende in modo induttivo di far coincidere necessariamente le percezioni sensibili con le cose stesse fidando di una certa costanza quantitativa di ciò che le percezioni mostrerebbero come "reale fuori di noi"), bensì con la dimensione interna della mente, dei suoi meccanismi conoscitivi, ha trattato la questione della soggettività pur considerandola non soggettivisticamente, ma in un punto di vista oggettivo, scientifico. La sua critica non implica l'annullamento della cosa in sé" come conoscibile, solo il suo trasferimento tematico dal mondo esterno, fisico, a quello mentale, interno. Ma, sia che tematizzi il mondo esterno o quello interno, in ogni caso la scienza necessita di mostrare, argomentando, la corrispondenza fra i fenomeni e le "cose stesse", anche se queste non sono cose fisiche ma giudizi e categorie dell'intelletto e dell'estetica. Trovo in fondo un'ovvietà che ogni conoscenza non possa evitare di basarsi su fenomeni, che necessiti che le cose si manifestino a una coscienza, il problema da porsi è se questi fenomeni restino fermi in se stessi o siano in grado di rispecchiare qualcosa che "fenomeno" non è, ossia le cose nella loro oggettività, il cui manifestarsi a una certa coscienza non è un tratto essenziale del loro essere. Insomma, se la premessa da cui partire è " non possiamo conoscere che fenomeni" allora nessuna scienza, compresa la scienza della critica, è possibile, perché avrebbe a che fare solo con apparenze soggettive, senza la possibilità di individuare una corrispondenza fra tali apparenze soggettive "fenomeni" e le cose stesse,  cioè di formulare un qualsivoglia giudizio vero , vero non solo per me. Infatti dei due termini del confronto fra fenomeni o apparenze soggettive e cose stesse o realtà oggettive, potremmo conoscere solo il primo, e dunque il raffronto, la verifica della corrispondenza sarebbe impossibile. L'esito inevitabile è lo scetticismo più estremo Se invece la premessa è "non possiamo conoscere che TRAMITE i fenomeni" allora la possibilità di una scienza, quindi anche della legittimazione razionale della critica kantiana, si riapre. La sfera dei fenomeni non esaurirebbe in sé il complesso del "conoscibile", chiusa in se stessa, ma presenterebbe un certo carattere di dinamicità, nella capacità di rimandare a qualcosa di altro da sé, cioè la realtà oggettiva, che i fenomeni potrebbero adeguatamente a rispecchiare. Quel "TRAMITE" da un lato rende ragione di una relazione fra fenomeno e cosa oggettiva, che eviti ogni dogmatismo che pretenda di fare affermazioni sulla realtà oggettiva senza rendere conto delle forme con cui tale realtà si manifesterebbe alla sua esperienza, rendendosi, appunto, fenomeni, ma dall'altro rompe l'identità fra "fenomeno" e conoscibile", preservando un certo margine di distanza fra i due ambiti, che la razionalità può attraversare passando dall'uno all'altro (questo attraversamento della razionalità è penso ciò che la fenomenologia definirà come "intenzionalità", questa spinta dinamica della coscienza ad andare al di là della propria immanenza attribuendo senso a un mondo oggettivo, aprendosi così ad esso), partendo dalla ricezione dei fenomeni, ma non più fermandosi ad una pura ricezione passiva e indifferenziata, ma attivandosi cercando di interpretandoli, mirando a valutarne il livello di rispecchiamento con le cose stesse, sulla base dei propri criteri fondamentali logici di verità. I fenomeni resterebbero l'indispensabile punto di partenza della conoscenza, ma non più il suo necessario sbocco conclusivo
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 21:11:57 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 07 Luglio 2018, 14:26:30 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 11:00:59 AM


CARLO
A me invece fa pensare alla Scienza, laddove il concetto di "legge della fisica" (ordo et connexio rerum ac ordo et connexio ...numerorum) rappresenta un grado superiore di conoscenza (rispetto alla conoscenza pre-scientifica) dal momento che la scoperta di alcune (poche) leggi riguardanti il mondo fisico ci ha permesso di realizzare cose che solo quattro o cinque secoli fa si sarebbero chiamate "magìe" (volare, andare sulla luna, comunicare in tempo reale da distanze enormi, guarire quasi tutte le malattie che affliggono gli uomini e gli animali, ...e le altre migliaia di conquiste della conoscenza).
Di fronte a tutto ciò, l'inconoscibilità della "cosa in sé" di Kant fa ridere i polli.


CARLO
Se si avesse UN MINIMO di buon senso, si capirebbe che, se è impossibile conoscere "l'oggetto in sé", sarà A MAGGIOR RAGIONE impossibile conoscere "in sé" <<il nostro modo di conoscere gli oggetti>>.
Solo delle seghe di filosofi come Kant non si rendono conto che predicando dei limiti DI PRINCIPIO alla conoscenza e alla verità si pongono GLI STESSI limiti alla verità di ciò che si predica, cioè, che si taglia il ramo su cui si è seduti.
Beh, direi che mi confermi appieno quanto sospettavo, e cioè che ragioni in termini idealistici.
O più precisamente, che hai della scienza una visione idealistica (la vedi cioè come una specie di
"spirito del mondo").
Dimentichi cioè, e colpevolmente, che la scienza è SOLO una branca specifica di quel sapere che
la filosofia abbraccia nella sua interezza; e di cui essa cerca le "relazioni" che intercorrono
fra le specificità.
Sarebbe, a tal proposito, interessante sapere come tu ti rapporti, "scientificamente", ai problemi
della politica, della morale o di quant'altro (informandoti preventivamente che la "cosa in sè"
kantiana vi si rapporta eccome).
In realtà il tuo modo di vedere le cose, il tuo "ordo", è ben conosciuto. Si chiama "scientismo".
Ed è appunto l'estensione indebita di una branca della filosofia, appunto la scienza, all'intera
filosofia in modo del tutto analogo a quanto l'Idealismo fa con un "io" che a se riduce l'intero
universo.

CARLO
Dovresti limitarti a commentare quello che scrivo, invece di distribuire etichette superficiali e prive di fondamento. Giusto l'anno scorso scrivevo in un'altra sezione di questo NG:

<<...nel campo della cosiddetta "fenomenologia dello spirito umano" il metodo scientifico (descrizione matematica e verifica sperimentale) si rivela assolutamente inadeguato e infruttuoso. Pertanto, qualunque investigazione tesa a dare risposte alle domande di cui sopra, metterebbe in chiara luce la non universalità del metodo scientifico e la limitatezza del suo dominio di ricerca. In definitiva, scoprirebbe gli altarini della provincialità della Scienza, il suo essere regina NON del Sapere, ma solo di UNA delle DUE polarità di esso, quella rivolta al mondo materiale. >>

Ti sembrano le parole di uno "scientista"?
Se vuoi leggere l'intero post, lo trovi qui:

https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-spirituali/la-scienza-la-metafisica-e-la-favola-di-biancaneve/msg14057/#msg14057

OXDEADBEFF
Hai dapprima detto un mucchio di sciocchezze sull'"idea" platonica (che hai allegramente accomunato alla cosa in sè di Kant).

CARLO
Leggi meglio ciò che ho scritto: ho parlato di manipolazione da parte di Kant del concetto platonico di "noumeno"!
Insomma, se continui a emanare sentenze senza celebrare processi, il dialogo con te diventa ben difficile.

OXDEADBEFF
(e quando te lo si fa notare semplicemente fai finta di nulla e cambi discorso - del resto anche altri hanno notato come, spesso, non contro-argomenti).

CARLO
Io rispondo solo a chi critica ciò che scrivo, non a chi critica ciò che lui crede che io pensi.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 22:09:18 PM
Citazione di: davintro il 07 Luglio 2018, 20:36:10 PM
Carlo Pierini scrive:

"Un oggetto inconoscibile è un non-oggetto, cioè, è un "significante" privo del suo "significato". Affermare che l' "oggetto in sé" è inconoscibile e che, invece, il "fenomeno" è conoscibile significa giocare con le parole, perché anche il fenomeno è un oggetto della conoscenza, quindi, con lo stesso gioco della minchia, potremmo dire che <<è conoscibile il fenomeno, ma non il "fenomeno in sé">>, infilandoci così in un circolo vizioso nel quale alla fine scopriamo che NULLA è conoscibile e che NULLA può essere considerato "verità", nemmeno la filosofia di Kant."


Al di là dell'uso di alcuni toni, mi pare di poter condividere il senso fondamentale di questi passi, che sembrano avvicinarsi a quelle che sono anche le mie perplessità sulla gnoseologia kantiana. Il dualismo, gnoseologicamente impostato, tra una sfera di fenomeni (conoscibili) e una noumenica (inconoscibile), rende impossibile qualunque tipo di scienza, compresa la scienza della critica stessa, perché ciò che differenzia la scienza dalla mera opinione consiste proprio nella garanzia razionale della corrispondenza tra la tesi soggettiva e la realtà oggettiva, indipendentemente dal nostro pensiero, garanzia che caratterizza la scienza, in contrasto con la mera opinione, che non ha argomenti per garantire tale corrispondenza, e la presunzione di verità resta puramente arbitraria. Ora, ridurre il piano della conoscibilità e della scienza ai "fenomeni" vuol dire negarsi le basi per la possibilità di qualunque scienza, in quanto i fenomeni, in quanto tali, sono sempre manifestazioni ad una certa coscienza individuale, apparenze che non necessariamente corrispondono a una realtà oggettiva, e la mancata garanzia razionale della corrispondenza fra apparenze soggettive e realtà oggettive, non può che condurre a esiti teoretici solipsisti o scettici in quanto manca la possibilità di notare come i fenomeni coscienziali soggettivi rimandino a una realtà oggettiva trascendente rispetto a noi stessi, proprio perché il complesso dei fenomeni sarebbe intrascendibile dal punto di vista della ragione (al massimo solo per un atto di fede o in virtù di alcune esigenze morali). Eppure la critica kantiana è un impegno teoretico che si è presentato a tutti gli effetti come "scienza", costituita da una serie di affermazioni il cui portato di verità è stato presentato come oggettivo e razionale, cioè indipendente dall'arbitrarietà delle opinioni soggettive. Kant ha potuto sostenere le sue tesi perché convinto di aver oggettivamente ragione, che le sue idee non fossero solo apparenze, ma adeguate alla realtà delle cose, quindi le sue pretese implicano necessariamente un trascendimento dei fenomeni , cioè delle apparenze, come unico riferimento della scienza, ed è qui la sua implicita contraddizione. Perché le tesi della critica siano legittimate a essere valide dal punto di vista della verità è stato necessario rompere l'equivoca ed errata identificazione tra "oggettività" ed "esteriorità", e questo, a mio avviso è stato il grande merito di Kant (anche se già ampiamente preparato dalla svolta moderna del dubbio metodico e dal primato metodologico del cogito cartesiano). Nell'individuare come compito della critica l'individuazione delle strutture necessarie e apriori della conoscenza, egli ha riconosciuto un piano di oggettività non coincidente con l'oggettività naturalistica della realtà fisica dell'esperienza esteriore (a cui invece si ferma il realismo ingenuo che pretende in modo induttivo di far coincidere necessariamente le percezioni sensibili con le cose stesse fidando di una certa costanza quantitativa di ciò che le percezione mostrerebbero come "reale fuori di noi), bensì con la dimensione interna della mente, dei suoi meccanismi conoscitivi, ha trattato la questione della soggettività pur considerandola non soggettivisticamente, ma in un punto di vista oggettivistico, scientifico. La sua critica non implica l'annullamento della cosa in sé" come conoscibile, solo il suo trasferimento tematico dal mondo esterno, fisico, a quello mentale, interno. Ma, sia che tematizzi il mondo esterno o quello interno, in ogni caso la scienza necessita di mostrare, argomentando, la corrispondenza fra i fenomeni e le "cose stesse", anche se queste non sono cose fisiche ma giudizi e categorie dell'intelletto e dell'estetica. Trovo in fondo un'ovvietà che ogni conoscenza non possa evitare di basarsi su fenomeni, che necessiti che le cose si manifestino a una coscienza, il problema da porsi è se questi fenomeni restino fermi in se stessi o siano in grado di rispecchiare qualcosa che "fenomeno" non è, ossia le cose nella loro oggettività, il cui manifestarsi a una certa coscienza non è un tratto essenziale del loro essere. Insomma, se la premessa da cui partire è " non possiamo conoscere che fenomeni" allora nessuna scienza, compresa la scienza della critica, è possibile, perché avrebbe a che fare solo con apparenze soggettive, senza la possibilità di individuare una corrispondenza fra tali apparenze soggettive "fenomeni" e le cose stesse,  cioè di formulare un qualsivoglia giudizio vero , vero non solo per me. Infatti dei due termini del confronto fra fenomeni o apparenze soggettive e cose stesse o realtà oggettive, potremmo conoscere solo il primo, e dunque il raffronto, la verifica della corrispondenza sarebbe impossibile. L'esito inevitabile è lo scetticismo più estremo Se invece la premessa è "non possiamo conoscere che TRAMITE i fenomeni" allora la possibilità di una scienza, quindi anche della legittimazione razionale della critica kantiana, si riapre. La sfera dei fenomeni non esaurirebbe in sé il complesso del "conoscibile", chiusa in se stessa, ma presenterebbe un certo carattere di dinamicità, nella capacità di rimandare a qualcosa di altro da sé, cioè la realtà oggettiva, che i fenomeni potrebbero adeguatamente a rispecchiare. Quel "TRAMITE" da un lato rende ragione di una relazione fra fenomeno e cosa oggettiva, che eviti ogni dogmatismo che pretenda di fare affermazioni sulla realtà oggettiva senza rendere conto delle forme con cui tale realtà si manifesterebbe alla sua esperienza, rendendosi, appunto, fenomeni, ma dall'altro rompe l'identità fra "fenomeno" e conoscibile", preservando un certo margine di distanza fra i due ambiti, che la razionalità può attraversare passando dall'uno all'altro (questo attraversamento della razionalità è penso ciò che la fenomenologia definirà come "intenzionalità", questa spinta dinamica della coscienza ad andare al di là della propria immanenza attribuendo senso a un mondo oggettivo, aprendosi così ad esso), partendo dalla ricezione dei fenomeni, ma non più fermandosi ad una pura ricezione passiva e indifferenziata, ma attivandosi cercando di interpretandoli, mirando a valutarne il livello di rispecchiamento con le cose stesse, sulla base dei propri criteri fondamentali logici di verità. I fenomeni resterebbero l'indispensabile punto di partenza della conoscenza, ma non più il suo necessario sbocco conclusivo

CARLO
Sottoscrivo pressoché tutto ciò che hai scritto (non senza un briciolo di invidia per il tempo che hai di trattare il nostro tema così per esteso  :)  )
In fondo, quella di Kant non è che una variante della tesi relativista (anzi la madre storica di ogni successiva forma di relativismo): <<la verità è in sé inconoscibile>>, alla quale K.O. Apel risponde con una riflessione molto simile, anzi, parallela alla tua:

<<Come scrive Apel, chi sostenesse che noi dobbiamo ammettere che noi non possiamo giungere a verità indubitabili, cadrebbe in una «autocontraddizione performativa», poiché nel primo noi afferma ciò che nega nel secondo. Analogamente, chi tentasse di negare argomentativamente l'esistenza e le regole della situazione argomentativa, cadrebbe anche lui in una autocontraddizione performativa, in quanto negherebbe nella parte proposizionale ciò che nell'atto argomentativo necessariamente ammette o presuppone. [...]
Ma se la situazione argomentativa implica l'esistenza di verità «incontestabili» e di credenze «apodittiche», vuol dire che UNA FONDAZIONE ULTIMA RISULTA FILOSOFICAMENTE POSSIBILE. [...]
La costruzione di una semiotica trascendentale si accompagna a una polemica incessante contro gli aspetti relativistici, scettici e nichilistici del pensiero contemporaneo e a un rifiuto delle odierne prospettive di indebolimento della ragione. Prospettive alle quali Apel ha inteso contrapporre una rinnovata «fondazione della razionalità nei suoi aspetti teoretici, etici ed epistemologici» (S.PETRUCCIANI: Etica dell'argomentazione. Ragione, scienza e prassi nel pensiero di Karl Otto Apel) . Infatti, contro coloro per i quali non vi sono pretese di validità «ma solo narrazioni o conversazioni o qualcosa del genere», Apel sentenzia che «la pretesa di validità è per il filosofo, come aveva visto correttamente Hegel, una condanna inevitabile».
Del resto, le stesse tesi antifondative «continuano ad essere sostenute come tesi che rientrano nel contesto argomentativo,  vengono cioè sostenute con una pretesa universale di validità, esigenza che però dal punto di vista performativo è contraddittoria»".   [N. ABBAGNANO: Storia della filosofia, vol.IX - pp.224/227]
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 08 Luglio 2018, 00:27:18 AM
Citazione di: Apeiron il 07 Luglio 2018, 16:33:50 PM
Rispondo al messaggio di Carlo Pierini numero #32:


Citazione
Supponiamo che X (la "cosa in sé") sia il modello dinamico del Sistema Solare.

No, per Kant non puoi farlo, visto che il Sistema Solare è nel reame dei fenomeni o apparenze.

CARLO
A dire il vero, il moto apparente era quello descritto dalla teoria tolemaica (geocentrismo), mentre il vero moto in sé è quello di Keplero-Newton-Einstein (eliocentrismo).

Ma, comunque sia, se grazie alla sola conoscenza dei fenomeni, la scienza in soli tre secoli ha fatto i "miracoli" che tutti sappiamo (almeno sul piano materiale) e continua a progredire e a svilupparsi, allora mi domando:
1 - non sarà che la "cosa in sé" è solo un falso problema, e che l'essenziale della conoscenza sta semplicemente nella corretta interpretazione dei fenomeni?
2 - ammesso e non concesso che "la cosa in sé" sia un problema della conoscenza attuale, cos'è che ci obbliga a pensare che esso sia irrisolvibile in futuro?

Ecco, in attesa di risposte affidabili a questi miei interrogativi, io continuo a pensare alla "cosa in sé" come a una CAUSA X di fenomeni osservabili e conoscibili, quindi anch'essa VIRTUALMENTE conoscibile; e al "noumeno" come al concetto ESPRIMIBILE nel quale TUTTI i fenomeni riferibili a questa "causa x" (le sue proprietà) trovano la propria unità e la propria corrispondenza rigorosa.
Del resto, è su queste basi che funziona la scienza ...che funziona. E al di fuori del dominio materiale della scienza, la logica è la stessa: cambia solo la natura della "cosa": fisica nel dominio della scienza, e metafisica nel dominio delle discipline cosiddette dello spirito (o della cultura).
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 08 Luglio 2018, 02:56:07 AM
Citazione di: Phil il 07 Luglio 2018, 17:38:36 PM
Citazione di: Apeiron il 07 Luglio 2018, 16:33:50 PM
Quanto stai dicendo secondo me è giusto, ma se lo si intende in un certo modo. "F", "m", "a" sono concetti che sono stati creati dall'uomo per descrivere l'esperienza (le "manifestazioni"/apparenze/fenomeni...). Quindi, in un certo senso sono relativi: sono stati creati da noi e sono stati creati da noi in un certo contesto. Tuttavia, ciascuno può verificare che questi concetti descrivono molto bene i fenomeni.

CARLO
Non solo <<descrivono molto bene i fenomeni>>, ma la seconda legge della dinamica (come le altre leggi della natura) è stata scoperta proprio grazie ad essi. Cioè, solo in seguito all'applicazione ai fenomeni fisici di <<quelle cose soggettive create da noi>> che si chiamano "matematica" e "logica", l'uomo ha cominciato a scoprire le prime leggi della natura e a conoscere in profondità il mondo fisico; e io dubito fortemente che senza di esse sarebbe giunto a tanto. Per cui l'apporto soggettivo della logica e della matematica non va visto come un limite ma, al contrario, come uno dei DUE pilastri FONDANTI della conoscenza, quello METAFISICO; l'altro è quello FISICO dei fenomeni.
Per questo insisto spesso sull'idea di "conoscenza" intesa ONTOLOGICAMENTE come complementarità degli enti opposti metafisica/fisica, soggetto/oggetto, mente/materia, numero/cosa, ecc., laddove entrambi i termini dell'opposizione sono indispensabili e reciprocamente confermativi-rafforzativi. Infatti la logica/matematica si è evoluta grazie alla nascita della Fisica e la Fisica è diventata una scienza rigorosa grazie all'applicazione metodica della matematica ai fenomeni fisici.

Insomma, dovremmo finirla con questo frignare continuo sulla "soggettività" intesa come arbitrarietà, sulla "mappa che non è il territorio", sulla "cosa" che non è  "in sé" ma "per noi", sulla verità che non è assoluta ma relativa a noi, ...e altri piagnistei del genere, e cominciare a considerare come una autentica fortuna che "la mappa non sia il territorio" (le leggi non sono scritte nel territorio), che la "cosa" sia "per noi" (che siamo in grado di esplorarla e di cogliere le sue relazioni con altre cose) e che la verità sia "relativa a noi" (che possiamo distinguerla dalle false apparenze).
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: 0xdeadbeef il 08 Luglio 2018, 10:41:18 AM
A Davintro (come a tutti gli altri)
Ora, come ho spesso ripetuto, la filosofia di Kant dal punto di vista gnoseologico può essere
discussa e criticata sotto vari aspetti (mai però dicendo sciocchezze come quelle troppe volte lette in questo
post).
Ma trovo sarebbe oltremodo esagerato, ed ingiusto verso il filosofo, fare un discorso in cui sembra
presupposta la tesi per cui Kant debba essere considerato, diciamo, il filosofo "definitivo".
No, ripeto, da un certo punto di vista l'enorme importanza che per la filosofia rivestono i concetti di
"fenomeno" e di "cosa in sè" risiede nel fatto che, per la prima volta, è il soggetto ad assumere un ruolo
"centrale" in quello che, prima di Kant, era un mondo in cui invece la centralità era dell'oggetto (e mi
sembra che su questo punto anche Davintro sia d'accordo - pur precisando, e giustamente, che vi erano state delle
importanti anticipazioni, soprattutto nel pensiero di Cartesio).
La questione, che Davintro acutamente pone, e cioè se non si possa conoscere che fenomeni oppure se non si
possa conoscere che tramite i fenomeni trovo sia ancora aperta (ed ormai secoli dopo Kant...).
Del resto a me sembra che Kant, pur non certo "risolvendo" il problema, da questo punto di vista abbia comunque
detto qualcosa di "importante". E lo ha detto nel concetto di "trascendentalità".
Se il "trascendente" è la proprietà che tutte le cose hanno in comune (in quanto trascendono la diversità),
allora qualcosa di simile è da ricercare nel rapporto fra "fenomeno" e "cosa in sè". Perchè da un certo
punto di vista la "cosa in sè" è quella cosa che "trascende" la diversità dei "fenomeni" con cui la "cosa
in sè" si presenta ai vari soggetti che la interpretano.
Ora, chiaramente Kant definisce "trascendentale": "ogni conoscenza che si occupa non degli oggetti, ma del
nostro modo di conoscere gli oggetti". Quindi, diciamo, sembrerebbe ad un primo sguardo che poco o nulla cambi
nello "status ontologico", per così dire, di una "cosa in sè" che rimane, apparentemente in maniera irrimediabile,
"fuori" dalla possibilità di una conoscenza che sia "in sè" da parte del soggetto che la interpreta.
Tuttavia, Kant prosegue nel suo discorso sostenendo la possibilità A PRIORI del nostro modo di conoscere gli
oggetti, che altro non vuol dire se non la possibilità (certa o esperibile, su questo punto Kant non sembra
essere molto chiaro) della conoscenza degli oggetti e delle cose in se stesse.
Molto altro in proposito ci sarebbe da dire, come Davintro giustamente suggerisce, sugli sviluppi di questo discorso
nei campi della Fenonenologia (e io vi aggiungerei anche dell'Idealismo...).
saluti
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Phil il 08 Luglio 2018, 10:42:50 AM
Citazione di: davintro il 07 Luglio 2018, 20:36:10 PM
Il dualismo, gnoseologicamente impostato, tra una sfera di fenomeni (conoscibili) e una noumenica (inconoscibile), rende impossibile qualunque tipo di scienza, compresa la scienza della critica stessa, perché ciò che differenzia la scienza dalla mera opinione consiste proprio nella garanzia razionale della corrispondenza tra la tesi soggettiva e la realtà oggettiva, indipendentemente dal nostro pensiero, garanzia che caratterizza la scienza, in contrasto con la mera opinione, che non ha argomenti per garantire tale corrispondenza, e la presunzione di verità resta puramente arbitraria. Ora, ridurre il piano della conoscibilità e della scienza ai "fenomeni" vuol dire negarsi le basi per la possibilità di qualunque scienza, in quanto i fenomeni, in quanto tali, sono sempre manifestazioni ad una certa coscienza individuale, apparenze che non necessariamente corrispondono a una realtà oggettiva, e la mancata garanzia razionale della corrispondenza fra apparenze soggettive e realtà oggettive, non può che condurre a esiti teoretici solipsisti o scettici in quanto manca la possibilità di notare come i fenomeni coscienziali soggettivi rimandino a una realtà oggettiva trascendente rispetto a noi stessi, proprio perché il complesso dei fenomeni sarebbe intrascendibile dal punto di vista della ragione (al massimo solo per un atto di fede o in virtù di alcune esigenze morali).
Leggendo questo passo mi è sorta una domanda simile a quella di Carlo, che riformulo: perché è impossibile che la scienza sia (sempre stata) una scienza dei soli fenomeni e non degli "oggetti in sé"?

Metaforicamente: quando scrivo sul forum e premo il tasto "v", compare sullo schermo una "v". Questo fenomeno è lo stesso per tutti, è ripetibile e può essere relazionato con altri fenomeni affini che danno origine alla video-scrittura.
Eppure quel fenomeno percettivo che interpreto (centralità del soggetto) non come una macchia di colore insensata, bensì proprio come una lettera "v", non è in sé una "v" (in questo caso lo sappiamo già ;) ). L'"oggetto in sé" di quella "v" sono decine (numero a caso) di minuscoli pixel di un determinato colore, accesi in un determinato ordine, alimentati dallo schermo secondo gli input di un software, installato su un hardware che riceve input da una tastiera (ed è anche più complesso di così, credo). Tuttavia, anche ignorando tutto ciò che quella "v" è (e presuppone), pur non riconoscendo i singoli pixel, posso usare la "v" (causalmente attivata dal tasto corrispondente) in modo funzionale, proprio come accade con le leggi della scienza.
Possiamo affermare che "è veramente una "v"!" e che funziona da "v", solo a causa della nostra interpretazione soggettiva (culturale, etc.) di quei pixel che non distinguiamo, ma di cui vediamo solo l'insieme superficiale.

Secondo me, la verità al livello dei fenomeni è la verità dell'osservazione, dello studio e, soprattutto, della significazione (oltre che segnificazione) dell'aspetto fenomenico della realtà (e delle relazioni fra fenomeni), che è ciò che fa la scienza. Se "sotto" i fenomeni c'è la "cosa in sé", e sotto "la cosa in sé" c'è altro, e poi ancora altri livelli a noi ignoti, resta comunque quasi insignificante per l'uomo (anche qui mi sembra di concordare con Carlo), che "strutturalmente" non può andare epistemologicamente (quindi mistica a parte) oltre al livello dei fenomeni percepiti (e l'escamotage di sostenere che i fenomeni riproducano esattamente la cosa in sé non ha possibilità di essere verificato, al di là della sua autoreferenza).

Certo, nel momento in cui la scienza si presentasse come "scienza dell'oggetto in sé", dimenticando l'inaggirabile mediazione prospettica del soggetto, allora commetterebbe un passo falso (come dicevo, sarebbe come affermare "ho visto la realtà senza farmi condizionare dal mio sguardo"; impossibile direi...).


P.s.
@Carlo La consapevolezza metodologica del ruolo della soggettività e della sua mediazione, mi sembra un elemento importante per parlare di verità, scienza o qualunque altra forma di riflessione umana; anche perché tale mediazione non credo sia sempre la medesima (per rilevanza), e soppesarne ogni volta l'influenza non è (a parer mio) attività né banale né facile.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 08 Luglio 2018, 12:51:06 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 08 Luglio 2018, 10:41:18 AMl'enorme importanza che per la filosofia rivestono i concetti di
"fenomeno" e di "cosa in sè" risiede nel fatto che, per la prima volta, è il soggetto ad assumere un ruolo
"centrale" in quello che, prima di Kant, era un mondo in cui invece la centralità era dell'oggetto

CARLO
L'idea della centralità del linguaggio (soggettivo) logico-matematico nella conoscenza del mondo fisico (già sostenuta da Pitagora) prende piede con Galilei ed è l'idea FONDANTE della "Scientia Nova". Ma Galilei non concepisce un soggetto "centrale" e un oggetto "periferico" (come vuole la metafora copernicana di Kant), bensì una co-centralità di soggetto e oggetto, cioè una pari dignità epistemica tra i due, una equilibrata complementarità tra due enti, entrambi ugualmente indispensabili per la decifrazione del <<grande Libro della Natura>>. Ed è stata questa l'idea vincente che ha trasformato una sparuta setta di eretici in quella potentissima istituzione che oggi chiamiamo Scienza. Questa è stata la vera rivoluzione, non quella di Kant, che è solo uno sterile estremismo concettuale, un puerile rovesciamento dell'estremismo oggettivista.
Se Kant non si fosse limitato a elucubrare astrattamente su una idea SOGGETTIVA di "conoscenza" che non sta né in cielo né in terra (come il suo "trascendent-ale") e avesse cercato conferme in quell'OGGETTO reale chiamato "Scienza" (che già esisteva e prosperava da due secoli), si sarebbe reso conto che un SOGGETTO ipertrofico di fronte ad un OGGETTO marginale ...spara solo minchiate!
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: 0xdeadbeef il 08 Luglio 2018, 13:52:55 PM
Citazione di: Phil il 08 Luglio 2018, 10:42:50 AMPossiamo affermare che "è veramente una "v"!" e che funziona da "v", solo a causa della nostra interpretazione soggettiva (culturale, etc.) di quei pixel che non distinguiamo, ma di cui vediamo solo l'insieme superficiale.

Secondo me, la verità al livello dei fenomeni è la verità dell'osservazione, dello studio e, soprattutto, della significazione (oltre che segnificazione) dell'aspetto fenomenico della realtà (e delle relazioni fra fenomeni), che è ciò che fa la scienza. Se "sotto" i fenomeni c'è la "cosa in sé", e sotto "la cosa in sé" c'è altro, e poi ancora altri livelli a noi ignoti, resta comunque quasi insignificante per l'uomo


Insomma il classico dilemma che pose Whitehead: "l'oggetto su cui siedo è una sedia o una danza di elettroni"?
Comprendo bene come la verità al livello dei fenomeni sia, soprattutto, la verità della significazione e della
segnificazione. In proposito dovremmo a mio parere guardare meglio a ciò che dice l'epistemologia a proposito
dei "paradigmi" (oltre che al detto di Einstein che citavo: "è la teoria a decidere cosa possiamo osservare"),
ma non voglio divagare.
Tornando, per così dire, a bomba su Kant mi sento di non essere troppo d'accordo laddove affermi la "quasi
insignificanza" della "cosa in sè".
Da un punto di vista gnoseologico sì, effettivamente la "cosa in sè" ha anche per me un valore sostanzialmente
metodologico (che ha però una sua indubbia importanza, non foss'altro che per aver "aperto gli occhi" su di
un oggetto fin'allora considerato "svelabile" nella sua fissità). Non però da un punto di vista più generale
e "filosofico tout court", visto che quel concetto serve a Kant come fondamento della sua dottrina morale.
Come potrebbe, ad esempio, Kant istituire il "tribunale della ragione" senza quel fondamento? O come potrebbe,
più in generale, teorizzare quella "filosofia del limite e della finitezza" senza quell'elemento che circoscrive
le possibilità dell'essere umano (e che l'Idealismo rimuoverà con le note conseguenze)?
Non dimentichiamo, insomma, che Kant è stato filosofo a tutto tondo, e che la sua filosofia non è solo gnosi o
episteme...
saluti
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 08 Luglio 2018, 14:04:58 PM
Phil:
La relazione cosìddetta "oggettiva" è comunque posta dal soggetto: le grandezze fisiche in questione sono state definite e identificate convenzionalmente dal soggetto, quindi sono soggettive (non nel senso di "opinabili", ma letteralmente: prodotte dal soggetto).
Anche la misurazione di tali grandezze (v. matematica applicata) è in tal senso soggettiva: è un'attività del soggetto secondo idee, strumenti logici e regole da lui formulate. Tali idee sono del soggetto, non dell'oggetto su cui vengono proiettate.
Il che non significa che la scienza più "manifesta" non funzioni in modo regolare e attendibile (è innegabile), ma soltanto che, esempio banale, quando misuro qualcosa in centimetri, tale unità di misura non è oggettiva (dell'oggetto), non appartiene alla "natura" o all'"essere" dell'oggetto, ma è soggettiva, ovvero è del soggetto che "sovrappone" le sua idea di "centimetro" (la sua "griglia") all'oggetto che misura. 

Detto altrimenti, l'oggetto misurato, in quanto tale, non è fatto in/di centimetri, bensì è il soggetto che lo inquadra secondo l'idea astratta di centrimetro, che dà un senso al centrimetro come misura fisica, "leggendo" quindi l'oggetto secondo quella (convenzionale, dunque soggettiva) unità di misura.


Sgiombo:
Di soggettivo e arbitrario vi é solo la scelta dell' unità di misura, non le misure (i rapporti ra grandezze) reali di enti ed eventi fenomenici materiali, le quali invece possono benissimo essere postulate (anche se non dimostrate) essere intersoggettive; e a questa condizione non dimostrabile (ma postulabile: non é dimostrabile nemmeno il contrario, la sua negazione) la realtà fenomenica materiale é conoscibile scientificamente.
Puoi arbitrariamente, soggettivamente decidere di misurare l' altezza del Monte Bianco in pollici, in spanne, in braccia, in anni luce (numero decimale con molti "zero" dopo la virgola), ma il rapporto reale, (ammissibile essere) intersoggettivo fra di esso e la 40 000 parte del meridiano terrestre non può che risultare "sempre" (fino a colossali sconvolgimenti geologici) e per chiunque con buona approssimazione di 4810/1, e non affatto variare ad libitum secondo le soggettive preferenze di chichessia.



Phil:
Per cui, secondo me, descrive una idilliaca (e utopica) simmetria che ignora l'impossibilità di conoscere l'"ordo et connexio rerum" senza l'inevitabile mediazione delle idee: non è possibile conoscere "in sé" qualcosa di empirico se non tramite le nostre idee, le nostre categorie (e la nostra intenzionalità, per dirla con Husserl).


Sgiombo:
Che la conoscenza sia sempre inevitabilmente -per definizione- descrizione almeno limitatamente, relativamente, parzialmente "conforme" o verace della realtà da parte di un soggetto 
(tramite concetti o "idee" suoi propri) é a mio parere un fatto del tutto ovvio e alquanto banale che non toglie la postulabile intersoggettività della realtà fenomenica materiale.




Phil:
Lo stesso concetto di "ordine" è un'astrazione: non possiamo dire sia "reale", poiché è piuttosto una categoria con cui interpretare la realtà; parlare di "ordo rerum" significa dunque utilizzare già l'"ordo idearum" (idea di ordine), che ri
sulta quindi dominante e logicamente primario rispetto all'altro (supposto) "ordo", inglobandolo.

Sgiombo:
Il divenire naturale ordinato della natura (fenomenica) materiale é indimostrabile (Hume).
Ma ciò non toglie che sia postulabile realmente accadere consentendone la conoscenza scientifica (che a quanto pare dalle sue applicazioni tecniche funziona egregiamente, sia nel bene che nel male).




Phil:
Inoltre, possono ovviamente esserci idee che non corrispondono a qualcosa di empirico (ma, in teoria, non può essere il contrario), ed ecco che non c'è quindi quella gaia simmetria fra apporto del soggetto e supporto dell'oggetto  (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/wink.gif) 

Questo misterioso "qualcosa di empirico" che sfuggirebbe inevitabilmente al nostro "sguardo" conformante (non possiamo "guardarlo" senza usare i nostri occhi come strumento, e ogni strumento è sempre condizionante) è il (postulato) noumeno kantiano, la cosa-in-sé.


Sgiombo:
Per come la intendo io, la cosa in sé o noumeno kantiano é un' altra cosa: ciò che é reale "oltre" la realtà fenomenica materiale (e secondo me anche mentale), la realtà del quale (del noumeno), contrariamente a qaulla dei fenomeni, non si esaurisce nell' atto dell' apparire alla coscienza.
E infatti Kant ne considera giustamente impossibile una conoscenza da parte della ragion pura (una constatazione empirica), ma solo da parte della ragion pratica (in sostanza, a mio parere, per fede; come comprendente Dio e l' immortalità delle anime umane, a mio modestissimo parere erroneamente).



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Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 08 Luglio 2018, 15:14:40 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 07 Luglio 2018, 10:31:03 AM
Citazione di: sgiombo il 06 Luglio 2018, 18:49:48 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 06 Luglio 2018, 17:02:22 PMPerdonami Sgiombo ma ancora credo di non ever capito (capirai bene che l'età avanza...)
Stai dicendo che anche il concetto di "noumeno" è un fenomeno? Certo che lo è, ci mancherebbe.
Il "noumeno", in quanto espresso dal soggetto interpretante Immanuel Kant, è indubitabilmente un fenomeno.
Aggiungerei anzi che persino il pensare (un certo oggetto o un certo concetto), prima ancora che il nominare,
"inserisce" quell'oggetto (con il termine "oggetto" ci si può riferire sia alla "res cogitans" che a quella
"extensa") all'interno di una precisa catena segnica, come afferma acutamente C.S.Peirce.
Questo vuol dire che QUALSIASI pensiero è fenomeno, quindi lo è anche il pensiero del noumeno.
Tuttavia, dice Kant, il noumeno come, diciamo, non-fenomeno è "intuibile" (ed ecco il perchè egli chiama
"noumeno" la cosa in sè).
Trovo che la semiotica abbia in seguito spiegato perfettamente il motivo di questa "intuibilità".
Se pensare è già "segnare", cioè è inserire l'oggetto pensato in un preciso riferimento interpretativo,
deve comunque esistere un "qualcosa" originario cui quel pensiero si è riferito.
La semiotica chiama in vari modi questo "qualcosa originario" ("evento", "primum" etc.). Ed esso è
solo e soltanto "intuibile" (come "assenza" dice la semiotica non del tutto a sproposito - anche se personalmente non sono del tutto d'accordo) appunto perchè già il solo pensarlo ne cambia radicalmente il riferimento.
Boh, spero di averci preso...
saluti

Caro Mauro, anche la mia di età (malgrado la bicicletta, che credo entrambi continuiamo a praticare) avanza, e l' Alzheimer incombe: anzi, nel mio personale caso temo proprio inizi a imperversare...
Ma tant' é: teniamo duro!

A me non interessa tanto un' esegesi di Kant, che per parte mia conosco ben poco, avendolo studiato indirettamente (salvo l' unica lettura originale dei Prolegomeni) nei tempi ahimé ormai lontanissimi del liceo, mentre tu ne sei evidentemente un forte (e appassionato) conoscitore (per lo meno come io lo sono di Hume), quanto piuttosto un' originale riflessione sui problemi della conoscenza e della realtà in generale (gnoseologia e ontologia), anche attraverso "spunti kantiani liberamente -e magari alquanto sgangheratamente e poco o punto fedelmente- intesi e sviluppati".
Quindi il mio uso di concetti come "cosa in sé e "noumeno" potrebbe essere approssimativo e impreciso (quantomeno) e richiederci uno "sforzo di reciproca traduzione" onde intenderci.

Io distinguerei due ordini di questioni circa le quali é facile la confusione.
Il primo é quello generalissimo del "pensiero della realtà (intesa assolutamente in generale, fenomenica, in sé ovvero noumeno, o quant' altro)": la realtà in quanto pensata ed eventualmente conosciuta da parte del soggetto di pensiero (ed eventualmente di conoscenza: predicato o giudizio vero) di essa, la "realtà per il soggetto" di pensiero ed auspicabilmente di conoscenza, e della "realtà effettiva" (realtà sempre intesa assolutamente in generale: fenomenica, in sé ovvero noumeno, o quant' altro), tale indipendentemente dall' eventuale accadere realmente o meno, inoltre, anche del pensiero (ed eventualmente della conoscenza o pensiero vero, verità del pensiero) di essa.
A questo proposito mi permetto, in tutta modestia e con tutto il dovuto rispetto (esattamente al contrario di Carlo Pierini, per intenderci), di dissentire da Kant (fra l' altro, che in gran parte probabilmente nemmeno comprendo) circa la possibilità di giudizi sintetici a posteriori.
Per me si danno solo giudizi analitici a priori, certi ma conoscitivamente sterili (circa ciò che realmente é/accade o meno) e giudizi sintetici a poseriori, conoscitivamente fecondi (forse!) ma insuperabilmente incerti, dubbi (per l' appunto, forse conoscitivamente fecondi).

Il secondo ordine di questioni é quello dei rapporti fra fenomeni, soggetto e oggetti dei fenomeni ovvero sensazioni (e non, in questo secondo caso, di pensiero, predicato o giudizio meramente concettuali, mentali circa la realtà di fatto, ciò che realmente accade o meno indipendentemente dal fatto che inoltre, eventualmente, lo si pensi o meno), e cose in sé.
Secondo me di ciò che sentiamo (della realtà, sia materiale sia mentale, cui abbiamo "accesso" sensibile o fenomenico) l' "esse est percipi": accade realmente solo in quanto insiemi e/o successioni di sensazioni fenomeniche coscienti e fintanto che (e non "oltre" tutto ciò) sensazioni fenomeniche coscienti sono presentemente in atto.
Ciò significa che se c' é un soggetto (nota bene: in questo secondo caso non di pensiero -ed eventualmente di conoscenza- circa la realtà di fatto, ma invece di sensazione) e se ci sono oggetti (pure di sensazione), reali anche indipendentemente dall' accadere delle sensazioni fenomeniche stesse, anche se e quando esse non accadono (quando non vedo il solito splendido cedro del libano, che ormai avrete capito invidio al mio vicino di casa; in tutta benevolenza, però... O quando non sono cosciente anche di me stesso, oltre che di altro, come nel sonno senza sogni), allora esso é altro da esse (sarebbe una colossale contraddizione il pretendere che con esse si identifichi, essendo reale anche se e quando esse non sono reali!); e allora é invece qualcosa di "in sé", congetturabile (noumeno) e non sensibilmente (=ai sensi esterni ed interno, alla coscienza) apparente (non fenomeni).

Quindi concordo che qualsiasi pensiero (anche il pensiero del noumeno; ma non il noumeno suo denotato o estensione reale, se effettivamente c' é, cosa indimostrabile e tantomeno -per definizione!- empiricamente ovvero fenomenicamente constatabile) é fenomeno, cioé insieme di sensazioni coscienti, di tipo mentale (e non materiale).
Per me il noumeno é pensabile (e non sensibile, non percepibile coscientemente, al contrario del pensiero -ovviamente fenomenico- del noumeno), "intuibile", certo (in questo credo di concordare con Kant).

Personalmente in fatto di semantica seguo soprattutto Frege (che trovo geniale quasi quanto Hume, che é tutto dire!).
Dunque credo che Se pensare è già "segnare", cioè è inserire l'oggetto pensato in un preciso riferimento interpretativo, non necessariamente deve comunque esistere realmente (indipendentemente dall' eventuale realtà pure del pensiero di esso) un "qualcosa" originario cui quel pensiero si è riferito.
Necessariamente, per definizione, deve esistere una connotazione o intensione (meramente concettuale, "cogitativa") del concetto pensato (la sua arbitraria, di fatto più o meno convenzionale definizione), ma non una sua estensione o denotazione reale (può esistere per esempio nel caso del pensiero di un cavallo, non in quello del pensiero di un da me amatissimo ippogrifo (ma che nostalgia delle discussioni con l' ottimo Maral in proposito!).

Salutoni!
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 08 Luglio 2018, 15:33:44 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 11:00:59 AM


CARLO
Un oggetto inconoscibile è un non-oggetto, cioè, è un "significante" privo del suo "significato". Affermare che l' "oggetto in sé" è inconoscibile e che, invece, il "fenomeno" è conoscibile significa giocare con le parole, perché anche il fenomeno è un oggetto della conoscenza, quindi, con lo stesso gioco della minchia, potremmo dire che <<è conoscibile il fenomeno, ma non il "fenomeno in sé">>, infilandoci così in un circolo vizioso nel quale alla fine scopriamo che NULLA è conoscibile e che NULLA può essere considerato "verità", nemmeno la filosofia di Kant.
CitazioneBel gioco della minchia davvero (il tuo) !

Infatti apparente, sensibile =/= conoscibile



A me invece fa pensare alla Scienza, laddove il concetto di "legge della fisica" (ordo et connexio rerum ac ordo et connexio ...numerorum) rappresenta un grado superiore di conoscenza (rispetto alla conoscenza pre-scientifica) dal momento che la scoperta di alcune (poche) leggi riguardanti il mondo fisico ci ha permesso di realizzare cose che solo quattro o cinque secoli fa si sarebbero chiamate "magìe" (volare, andare sulla luna, comunicare in tempo reale da distanze enormi, guarire quasi tutte le malattie che affliggono gli uomini e gli animali, ...e le altre migliaia di conquiste della conoscenza).
Di fronte a tutto ciò, l'inconoscibilità della "cosa in sé" di Kant fa ridere i polli.
CitazioneA parte il fatto che le applicazioni tecniche della conoscenza scientifica hanno anche conseguenze dannosissime, oltre che utilissime, all' umanità, fino a farle correre il serio rischio di "estinguersi prematuramente e di sua propria mano" (ma questa é un' altra questione...), sarebbe come dire che, poiché Eddy Merckx é stato un supercampionissimo di ciclismo che é difficile pensare possa essere superato, allora Mark Marquez, o Ayrton Senna, o Pietro Mennea o Szlatan Ibrahimovic fanno ridere i polli (pretesa, questa sì, che fa sbellicare dalle risa qualsiasi gallinaceo e non solo).

Gli straordinari successi delle scienze naturali non scalfiscono minimamente la corposità e l' importanza delle questioni metafisiche (ed etiche, ed estetiche, e gnoseologiche, ecc.) né la genialità delle sue espressioni più elevate (al di là di qualsiasi eventuale dissenso, come da parte mia accade di fatto rispetto a Kant).


CARLO
Se si avesse UN MINIMO di buon senso, si capirebbe che, se è impossibile conoscere "l'oggetto in sé", sarà A MAGGIOR RAGIONE impossibile conoscere "in sé" <<il nostro modo di conoscere gli oggetti>>.
Solo delle seghe di filosofi come Kant non si rendono conto che predicando dei limiti DI PRINCIPIO alla conoscenza e alla verità si pongono GLI STESSI limiti alla verità di ciò che si predica, cioè, che si taglia il ramo su cui si è seduti.
CitazioneCaricaturale fraintendimento di Kant semplicemente osceno.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 08 Luglio 2018, 15:36:46 PM
Citazione di: Phil il 07 Luglio 2018, 12:06:52 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 09:33:53 AM
ma le tue sono, invece, solo parole il cui significato "in sé" è inconoscibile. ....Parole al vento...!
Sicuramente per alcuni... tuttavia resto ottimista e, spero, non per tutti! :)

Per esempio non per me (per quel poco che la cosa possa contare), malgrado i nostri reciproci dissensi non da poco.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 08 Luglio 2018, 16:06:38 PM
Citazione di: Phil il 07 Luglio 2018, 15:30:50 PMla percezione del fenomeno, non è il fenomeno, e il fenomeno della cosa, non è la cosa.

CitazioneDissento:

Fenomeno == (contenuto di) percezione.

Cosa può mai essere il fenomeno (materiale o mentale) di diverso da percezioni (le percezioni, per l' appunto, del fenomeno stesso)?

E cosa mai può essere una cosa, se il fenomeno é il fenomeno della cosa stessa, se non la cosa in sé o noumeno?

Il fenomeno non è oggetto empirico (ma percettivo), l'oggetto in sé invece si suppone lo sia (empirico). Entrambi sono elementi della conoscenza, ma con modalità nettamente differenti: il secondo è, come dicevo, solo postulabile, il primo è studiabile.
Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 13:39:42 PMDissento: per me fenomeno == oggetto empirico.

E oggetto in sé (per definizione) =/=  oggetto empirico (oggetto empirico == fenomeno =/= oggetto in sé ovvero noumeno).

Per definizione solo i fenomeni (etimologicamente, dal greco, ciò che appare, di cui si ha consapevlezza) sono oggetti della coscienza e non le cose (od oggetti) in sé.

E infatti proprio per questo le cose in sé sono postulabili, mentre i fenomeni (empirici) sono empiricamente (per l' appunto) evidenti e conseguentemente studiabili.


Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 08 Luglio 2018, 16:24:50 PM
Citazione di: Phil il 07 Luglio 2018, 17:38:36 PM

Certo, nel processo della conoscenza il soggetto non è da solo, c'è anche il supporto fondamentale di un "oggetto", un'alterità, che ispira la conoscenza e che innesca i fenomeni percepiti dal soggetto. Per quanto il soggetto si (auto)condizioni nel suo cercare di comprendere l'oggetto, ciò non può comportare l'assoluta indipendenza dall'esser-altro dell'oggetto.

Secondo me, la convenzione è "totale arbitrarietà" non nel senso di puro caso o imprevedibilità o assenza di regole possibili, ma di arbitrarietà degli assiomi (o delle definizioni) da cui deriva la non-arbitrarierà della loro applicazione e della loro coerenza; per questo la scienza funziona, si corregge e si "perfeziona".
Come dire, l'alfabeto e la grammatica di una lingua sono arbitrarie, puramente convenzionali, ma una volta accettate, ogni lingua funziona a meraviglia sul piano intersoggettivo e in modo niente affatto casuale (oppure si potrebbe far l'esempio dei differenti sistemi di misurazione, "centimetri" vs "pollici", ma credo che ci siamo intesi  ;) ).

Concordo con l' esempio delle diverse unità di misura, non con quello delle diverse lingue.

Infatti nel caso delle lingue le definizioni dei vocaboli sono integralmente arbitrarie, si potrebbe chiamare "male" il "bene", "bianco" il "nero", ecc. e viceversa e ci si potrebbe benissimo intendere ugualmente); invece nel caso delle misure arbitraria é solo la scelta dell' unità di misura, non arbitrari ma "intersoggettivamente vincolati" i rapporti quantitativi fra le cose misurate (qualunque unità convenzionalmente, soggettivamente, arbitrariamente si usi, indipendentemente da esse), id es: le misure stesse delle cose (qualsiasi unità di misura si usi per stabilirlo, non si potrebbe mai dire che il Cervino -per quanto molto più qualitativamente bello!- sia più alto del monte Bianco ...a meno di non cambiare arbitrariamente il significato del vocabolo "alto" per attribuirgli quello attualmente di fatto arbitrariamente attribuito al vocabolo "basso").
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 08 Luglio 2018, 17:18:04 PM
Citazione di: davintro il 07 Luglio 2018, 20:36:10 PM
Carlo Pierini scrive:

"Un oggetto inconoscibile è un non-oggetto, cioè, è un "significante" privo del suo "significato". Affermare che l' "oggetto in sé" è inconoscibile e che, invece, il "fenomeno" è conoscibile significa giocare con le parole, perché anche il fenomeno è un oggetto della conoscenza, quindi, con lo stesso gioco della minchia, potremmo dire che <<è conoscibile il fenomeno, ma non il "fenomeno in sé">>, infilandoci così in un circolo vizioso nel quale alla fine scopriamo che NULLA è conoscibile e che NULLA può essere considerato "verità", nemmeno la filosofia di Kant."

"Se si avesse UN MINIMO di buon senso, si capirebbe che, se è impossibile conoscere "l'oggetto in sé", sarà A MAGGIOR RAGIONE impossibile conoscere "in sé" <<il nostro modo di conoscere gli oggetti>>.
Solo delle seghe di filosofi come Kant non si rendono conto che predicando dei limiti DI PRINCIPIO alla conoscenza e alla verità si pongono GLI STESSI limiti alla verità di ciò che si predica, cioè, che si taglia il ramo su cui si è seduti. "





Al di là dell'uso di alcuni toni, mi pare di poter condividere il senso fondamentale di questi passi, che sembrano avvicinarsi a quelle che sono anche le mie perplessità sulla gnoseologia kantiana. Il dualismo, gnoseologicamente impostato, tra una sfera di fenomeni (conoscibili) e una noumenica (inconoscibile), rende impossibile qualunque tipo di scienza, compresa la scienza della critica stessa, perché ciò che differenzia la scienza dalla mera opinione consiste proprio nella garanzia razionale della corrispondenza tra la tesi soggettiva e la realtà oggettiva, indipendentemente dal nostro pensiero, garanzia che caratterizza la scienza, in contrasto con la mera opinione, che non ha argomenti per garantire tale corrispondenza, e la presunzione di verità resta puramente arbitraria.

CitazioneDissento dalla tesi che ciò che differenzia la scienza dalla mera opinione consiste proprio nella garanzia razionale della corrispondenza tra la tesi soggettiva e la realtà oggettiva, indipendentemente dal nostro pensiero, garanzia che caratterizza la scienza, in contrasto con la mera opinione, che non ha argomenti per garantire tale corrispondenza.

Infatti David Hume ci ha mostrato che anche al scienza inevitabilmente richiede di fondarsi si postulati indimostrabili, in linea teorica, di principio degni di dubbio.

Inoltre lo studio filosofico (razionalmente critico, ontologico - gnoseologico) della realtà in generale e delle condizioni, limiti, significato della sua conoscibilità non é la stessa cosa della "scienza" in senso stretto (le scienze naturali) e non é detto sia impossibile senza presupporre (aprioristicamente, acriticamente!) i criteri della verità scientifica.


Ora, ridurre il piano della conoscibilità e della scienza ai "fenomeni" vuol dire negarsi le basi per la possibilità di qualunque scienza, in quanto i fenomeni, in quanto tali, sono sempre manifestazioni ad una certa coscienza individuale, apparenze che non necessariamente corrispondono a una realtà oggettiva, e la mancata garanzia razionale della corrispondenza fra apparenze soggettive e realtà oggettive, non può che condurre a esiti teoretici solipsisti o scettici in quanto manca la possibilità di notare come i fenomeni coscienziali soggettivi rimandino a una realtà oggettiva trascendente rispetto a noi stessi, proprio perché il complesso dei fenomeni sarebbe intrascendibile dal punto di vista della ragione (al massimo solo per un atto di fede o in virtù di alcune esigenze morali).

Citazione
Essere consapevoli del fatto che i fenomeni, in quanto tali, sono sempre manifestazioni ad una certa coscienza individuale, apparenze che non necessariamente corrispondono a una realtà oggettiva, e la mancata garanzia razionale della corrispondenza fra apparenze soggettive e realtà oggettive non necessariamente conduce a esiti teoretici solipsisti o scettici in quanto che i fenomeni coscienziali soggettivi rimandino a una realtà oggettiva trascendente rispetto a noi stessi, proprio perché il complesso dei fenomeni sarebbe intrascendibile dal punto di vista della ragione si può, per quanto solo per un atto di fede (ed esserne consapevoli significa essere più conseguentemente razionalisti che ignorarlo coltivando beate illusioni in proposito).
Ma di fatto le sceinze naturali studiano e conoscono la realtà fenomenica materiale naturale (o divenire dei fenomeni materiali naturali).
Davintro:
Eppure la critica kantiana è un impegno teoretico che si è presentato a tutti gli effetti come "scienza", costituita da una serie di affermazioni il cui portato di verità è stato presentato come oggettivo e razionale, cioè indipendente dall'arbitrarietà delle opinioni soggettive. 

CitazioneSgiombo:
Credo (nei limiti della mia scadente conoscenza di Kant) che ciò sia effettivamente ciò che sostiene Kant stesso; ma mi permetto in tutta modestia da dissentirne.


Davintro:
Kant ha potuto sostenere le sue tesi perché convinto di aver oggettivamente ragione, che le sue idee non fossero solo apparenze, ma adeguate alla realtà delle cose, quindi le sue pretese implicano necessariamente un trascendimento dei fenomeni , cioè delle apparenze, come unico riferimento della scienza, ed è qui la sua implicita contraddizione. 

CitazioneSgiombo:
Per quel poco che ne so, qui credo di poter dissentire: solo attraverso la critica della ragion pratica (l' analisi del dovere morale), dunque non razionalmente, non dimostrandolo o empiricamente rilevandolo attraverso la (critica della) ragion pura, Kant crede di attingere alla conoscenza del noumeno trascendendo (quella de-) i fenomeni.

 Davintro:
Trovo in fondo un'ovvietà che ogni conoscenza non possa evitare di basarsi su fenomeni, che necessiti che le cose si manifestino a una coscienza, il problema da porsi è se questi fenomeni restino fermi in se stessi o siano in grado di rispecchiare qualcosa che "fenomeno" non è, ossia le cose nella loro oggettività, il cui manifestarsi a una certa coscienza non è un tratto essenziale del loro essere. Insomma, se la premessa da cui partire è " non possiamo conoscere che fenomeni" allora nessuna scienza, compresa la scienza della critica, è possibile, perché avrebbe a che fare solo con apparenze soggettive, senza la possibilità di individuare una corrispondenza fra tali apparenze soggettive "fenomeni" e le cose stesse,  cioè di formulare un qualsivoglia giudizio vero , vero non solo per me. 


CitazioneSgiombo:
Qui secondo me, come ho cercato di argomentare in risposta ad Oxdeadbeef (risposta #66), bisogna distinguere fra "inseità" degli oggetti di giudizio (eventualmente di conoscenza vera), fenomenici o neumenici che siano, da una parte e "inseità" del noumeno inteso come oggetti (e soggetto) delle sensazioni fenomeniche (e non della conoscenza, di essi o meno), reali anche indipendentemente dalla realtà o meno delle sensazioni stessi (anche allorché, se e quando queste non sono reali).

E la conoscenza dei fenomeni materiali, da parte del senso comune e a un livello di "profondità" o sofisticazione ben maggiore da parte della scienze naturali, é ben possibile a certe condizioni indimostrabili (Hume, a mio parere per niente superato da Kant).


Davintro:
Infatti dei due termini del confronto fra fenomeni o apparenze soggettive e cose stesse o realtà oggettive, potremmo conoscere solo il primo, e dunque il raffronto, la verifica della corrispondenza sarebbe impossibile.
L'esito inevitabile è lo scetticismo più estremo 
CitazioneSgiombo:
Sì, ma non impossibile é invece postulare l' intersoggettività (e non: l' oggettività, che potrebbe essere propria unicamente dalla cosa in sé) dei fenomeni materiali; e alla condizione (indimostrabile) che la fosse, la conoscenza scientifica (e comunque intersoggettiva, anche quella del "senso comune") dei fenomeni materiali stessi sarebbe possibile.

In questo senso l' esito dello scetticismo più estremo effettivamente é razionalisticamente inevitabile (ma non fideisticamente... Ed esserne consapevoli significa essere più conseguentemente razionalisti e sapere, capire di più della "realtà delle cose" che ignorarlo).


Davintro:
Se invece la premessa è "non possiamo conoscere che TRAMITE i fenomeni" allora la possibilità di una scienza, quindi anche della legittimazione razionale della critica kantiana, si riapre. La sfera dei fenomeni non esaurirebbe in sé il complesso del "conoscibile", chiusa in se stessa, ma presenterebbe un certo carattere di dinamicità, nella capacità di rimandare a qualcosa di altro da sé, cioè la realtà oggettiva, che i fenomeni potrebbero adeguatamente a rispecchiare. 

CitazioneSgiombo:

Ma come ? ? ?

Attraverso quali processi gnoseologici?


Davintro:
Quel "TRAMITE" da un lato rende ragione di una relazione fra fenomeno e cosa oggettiva, che eviti ogni dogmatismo che pretenda di fare affermazioni sulla realtà oggettiva senza rendere conto delle forme con cui tale realtà si manifesterebbe alla sua esperienza, rendendosi, appunto, fenomeni, ma dall'altro rompe l'identità fra "fenomeno" e conoscibile", preservando un certo margine di distanza fra i due ambiti, che la razionalità può attraversare passando dall'uno all'altro (questo attraversamento della razionalità è penso ciò che la fenomenologia definirà come "intenzionalità", questa spinta dinamica della coscienza ad andare al di là della propria immanenza attribuendo senso a un mondo oggettivo, aprendosi così ad esso), partendo dalla ricezione dei fenomeni, ma non più fermandosi ad una pura ricezione passiva e indifferenziata, ma attivandosi cercando di interpretandoli, mirando a valutarne il livello di rispecchiamento con le cose stesse, sulla base dei propri criteri fondamentali logici di verità. I fenomeni resterebbero l'indispensabile punto di partenza della conoscenza, ma non più il suo necessario sbocco conclusivo


CitazioneSgiombo:

Ma dov' é, che cos' é quel "TRAMITE" (al di là di una "intenzionalità" intendibile unicamente -a mio parere- come una mera aspirazione soggettiva, una del tutto soggettiva e velleitaria (senza alcun dimostrabile o empiricamente constatabile fondamento oggettivo) spinta dinamica della coscienza ad andare al di là della propria immanenza attribuendo senso a un mondo oggettivo, aprendosi così ad esso?

In questo modo a mio parere non si supera affattio Kant e il suo irrazionale, fideistico ricorso alla ragion pratica.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 08 Luglio 2018, 21:31:19 PM
X Carlo Pierini (in particolare in riferimento all' intervento #58 della presente discussione)

C' é una bella differenza fra "scetticismo", cioé dubbio ritenuto razionalmente insuperabile -e conseguente sospensione del giudizio (per lo meno in teoria, prescindendo da quanto eventualmente sottinteso nella pratica)- circa qualsiasi (eventuale, per l' appunto) conoscenza di come é/diviene la realtà effettiva, indipendentemente dal fatto che sia eventualmente anche (realmente) oggetto di pensiero, giudizio, eventualmente conoscenza o meno da una parte, e "relativismo" (per lo meno quel che correntemente oggi si intende per "relativismo", credo di poter dire "a là Angelo Cannata"; il quale purtroppo si é autoimposto di non potermi più replicare qui nel forum), cioé la pretesa che ogni e qualsiasi predicato o giudizio (compresi quelli reciprocamente contraddittori) che si desse circa la realtà effettiva sia ugualmente vero.

Il primo secondo me é la massima espressione del razionalismo, il secondo dell' irrazionalismo.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Phil il 08 Luglio 2018, 23:13:49 PM
Citazione di: sgiombo il 08 Luglio 2018, 16:06:38 PM
Fenomeno == (contenuto di) percezione.
[...]
fenomeno == oggetto empirico.
C'è qualcosa che non mi quadra: ne risulterebbe che oggetto empirico = (contenuto di) percezione... l'oggetto (esterno al soggetto) non dovrebbe piuttosto essere causa della percezione (e del suo contenuto) del soggetto?
Nel fenomeno, l'empiria è "lato oggetto", la percezione "lato soggetto", no?

Quelle parentesi su "contenuto di", secondo me, rischiano di risultare un po' ambigue: la percezione non è il contenuto di percezione (la vista non è il visto, ciò che si vede).

Non vorrei farne solo una questione di linguaggio, ma (Kant a parte) distinguerei fra percezione, fenomeno e cosa in sé. Se tu leggi un giornale su una panchina e io arrivo camminando verso di te, il contenuto della mia percezione del giornale non sarà identico al tuo (questione di prospettiva ottica), pur essendo entrambi relativi allo stesso fenomeno (il manifestarsi del giornale). C'è poi ciò che è causa del fenomeno-giornale, ovvero il supposto "giornale in sé" (che si manifesta tramite il "fenomeno giornale", che viene percepito dai miei sensi in modo differente dai tuoi).

Per considerazioni sugli altri tuoi commenti, mi permetto di rimandarti al messaggio #62 (@Oxdeadbeef, in quel post mi allontano dal discorso strettamente su Kant, sono considerazioni perlopiù personali ;) ).
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 09 Luglio 2018, 10:10:07 AM
Citazione di: Phil il 08 Luglio 2018, 23:13:49 PM
Citazione di: sgiombo il 08 Luglio 2018, 16:06:38 PM
Fenomeno == (contenuto di) percezione.
[...]
fenomeno == oggetto empirico.
C'è qualcosa che non mi quadra: ne risulterebbe che oggetto empirico = (contenuto di) percezione... l'oggetto (esterno al soggetto) non dovrebbe piuttosto essere causa della percezione (e del suo contenuto) del soggetto?
Nel fenomeno, l'empiria è "lato oggetto", la percezione "lato soggetto", no?
CitazioneMi scuso per avere usato ambiguamente il termine "oggetto" in due diversi significati.
Nel senso di "cosa" qualsiasi (percepita sensibilmente), cioé di insieme-successione di sensazioni coscienti, ovvero di enti/eventi fenomenici, di "fenomeno".

E nel senso di "oggetto di sensazione fenomenica" distinto dal "soggetto" della stessa" e dalla sensazione fenomenica medesima (distinto dal fenomeno stesso).
Limiterei il termine di "causa" all' ambito fenomenico materiale della realtà, nel quale si possono chiaramente stabilire e quantificare, calcolare relazioni di coesistenza-successione di eventi per induzione (giudizi sintetici a posteriori; dubitabili, non certi: Hume).
Comunque soggetto e oggetto delle sensazioni fenomeniche non possono essere (costituiti da) sensazioni fenomeniche, dal momento che si assumono esistere realmente anche quando le sensazioni fenomeniche stesse non accadono, non esistono realmente (sarebbe una palese contraddizione il pretendere che lo fossero). Non possono dunque che essere "cose in sé" non percepibili sensibilmente, non apparenti ai sensi (= non fenomeni) ma solo congetturabili (noumeno).

Fenomeno, sensazione, percezione (empiriche) secondo me sono sinonimi.

Quelle parentesi su "contenuto di", secondo me, rischiano di risultare un po' ambigue: la percezione non è il contenuto di percezione (la vista non è il visto, ciò che si vede).
CitazionePer "vista" (percezione visiva), nelle considerazioni di cui stiamo parlando, intendo ciò che si vede astrattamente considerato, per "visto" (contenuto di percezione visiva) ciò che concretamente si vede (lo stesso ovviamente vale per la percezione in generale, per qualsiasi tipo, anche diverso da quelle visive, di percezione o sensazione fenomenica cosciente.

Non vorrei farne solo una questione di linguaggio, ma (Kant a parte) distinguerei fra percezione, fenomeno e cosa in sé. Se tu leggi un giornale su una panchina e io arrivo camminando verso di te, il contenuto della mia percezione del giornale non sarà identico al tuo (questione di prospettiva ottica), pur essendo entrambi relativi allo stesso fenomeno (il manifestarsi del giornale). C'è poi ciò che è causa del fenomeno-giornale, ovvero il supposto "giornale in sé" (che si manifesta tramite il "fenomeno giornale", che viene percepito dai miei sensi in modo differente dai tuoi).
CitazioneNon riesco a "vedere" differenze fra "percezione" o "sensazione" (cosciente, sensibilmente apparente alla coscienza) e "fenomeno".

Invece ne vedo fra "fenomeno" (ovvero sinonimi) e "cosa in sé" o "noumeno" (se esiste realmente, cosa indimostrabile e tantomeno -per definizione!- empiricamente constatabile) quali sarebbero i soggetti e gli oggetti delle sensazioni fenomeniche ipotizzati continuare ad esistere realmente anche in assenza delle sensazioni fenomeniche stesse (ciò che c' é anche quando non vedo il cedro del Libano, me stesso che lo vede e che percepisco come miei pensieri anche quando non penso).
Non ha senso cercare di stabilire se le sensazioni (materiali, non mentali) assunte essere intersoggettive mie e tue siano uguali o meno, dal momento che ciascuno di noi non può "sbirciare nella coscienza dell' altro" per verificarlo o falsificarlo; assumere (indimostrabilmente) che siano intersoggettive (ma si può solo di quelle materiali, non di quelle mentali) significa postulare che vi sia una corrispondenza biunivoca fra di esse, cosicchè si possono descrivere verbalmente allo stesso modo: quando tu descrivi il giornale che vedi e io descrivo il giornale che vedo, nell' esempio da te proposto, usiamo le stesse parole.


Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 09 Luglio 2018, 14:45:17 PM
Citazione di: sgiombo il 08 Luglio 2018, 21:31:19 PM
X Carlo Pierini (in particolare in riferimento all' intervento #58 della presente discussione)

C' é una bella differenza fra "scetticismo", cioé dubbio ritenuto razionalmente insuperabile -e conseguente sospensione del giudizio (per lo meno in teoria, prescindendo da quanto eventualmente sottinteso nella pratica)- circa qualsiasi (eventuale, per l' appunto) conoscenza di come é/diviene la realtà effettiva, indipendentemente dal fatto che sia eventualmente anche (realmente) oggetto di pensiero, giudizio, eventualmente conoscenza o meno da una parte, e "relativismo" (per lo meno quel che correntemente oggi si intende per "relativismo", credo di poter dire "a là Angelo Cannata"; il quale purtroppo si é autoimposto di non potermi più replicare qui nel forum), cioé la pretesa che ogni e qualsiasi predicato o giudizio (compresi quelli reciprocamente contraddittori) che si desse circa la realtà effettiva sia ugualmente vero.

Il primo secondo me é la massima espressione del razionalismo, il secondo dell' irrazionalismo.

CARLO
Un <<dubbio ritenuto razionalmente insuperabile>> sulla verità di una certa affermazione, non è più un dubbio, ma un ritenere non-vera (o relativa) quella affermazione.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 09 Luglio 2018, 18:18:19 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 09 Luglio 2018, 14:45:17 PM
Citazione di: sgiombo il 08 Luglio 2018, 21:31:19 PM
X Carlo Pierini (in particolare in riferimento all' intervento #58 della presente discussione)

C' é una bella differenza fra "scetticismo", cioé dubbio ritenuto razionalmente insuperabile -e conseguente sospensione del giudizio (per lo meno in teoria, prescindendo da quanto eventualmente sottinteso nella pratica)- circa qualsiasi (eventuale, per l' appunto) conoscenza di come é/diviene la realtà effettiva, indipendentemente dal fatto che sia eventualmente anche (realmente) oggetto di pensiero, giudizio, eventualmente conoscenza o meno da una parte, e "relativismo" (per lo meno quel che correntemente oggi si intende per "relativismo", credo di poter dire "a là Angelo Cannata"; il quale purtroppo si é autoimposto di non potermi più replicare qui nel forum), cioé la pretesa che ogni e qualsiasi predicato o giudizio (compresi quelli reciprocamente contraddittori) che si desse circa la realtà effettiva sia ugualmente vero.

Il primo secondo me é la massima espressione del razionalismo, il secondo dell' irrazionalismo.

CARLO
Un <<dubbio ritenuto razionalmente insuperabile>> sulla verità di una certa affermazione, non è più un dubbio, ma un ritenere non-vera (o relativa) quella affermazione.
Citazione
Ma, caro Carlo Pierini, capiterà mai che tu capisca quello che scrivo???

Innanzitutto non é affatto vero che dubitare di qualcosa == ritenere non vera tale cosa, ma casomai non sapere se sia vera oppure non vera, non ritenerla sicuramente vera né sicuramente falsa: c' é una bella differenza ! ! !

Inoltre Non vero == falso =/= relativo.

Ma soprattutto con tutta evidenza non ho parlato di un determinato dubbio (ritenuto razionalmente insuperabile) circa una certa particolare verità o affermazione, ma invece del "dubbio" (scettico) "circa qualsiasi (eventuale, per l' appunto) conoscenza" (solo le evidenziazioni in grassetto non erano nelle mie parole da te platealmente travisate); essendo riferito a qualsiasi eventuale verità o conoscenza, con tutta evidenzia si applica anche alla (eventuale, per l' appunto) particolare conoscenza costituita da quella stessa affermazione (e infatti si configura come sospensione del giudizio e non come affermazione dell' autocontraddittoria, paradossale affermazione per cui "tutto é falso" (compresa questa affermazione stessa).
Lo scetticismo non é predicazione che tutto é falso, ma dubbio  (sospensione del giudizio) su tutto (compreso lo scetticismo stesso).
Lo scettico dubita di tutto, anche del suo dubitare stesso e del dubitare del suo dubitare, e se hai tempo da perdere puoi continuare fin che credi in questo regresso all' infinito...
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 09 Luglio 2018, 19:32:07 PM
CARLO
Un <<dubbio ritenuto razionalmente insuperabile>> sulla verità di una certa affermazione, non è più un dubbio, ma un ritenere non-vera (o relativa) quella affermazione.
Citazione
CitazioneMa, caro Carlo Pierini, capiterà mai che tu capisca quello che scrivo???

Innanzitutto non é affatto vero che dubitare di qualcosa == ritenere non vera tale cosa, ma casomai non sapere se sia vera oppure non vera, non ritenerla sicuramente vera né sicuramente falsa: c' é una bella differenza ! ! !

CARLO
Quello che dici tu vale per un semplice dubbio. Ma se lo consideri <<razionalmente INSUPERABILE>> significa che non considererai MAI vera la cosa di cui dubiti.

SGIOMBO
Ma soprattutto con tutta evidenza non ho parlato di un determinato dubbio (ritenuto razionalmente insuperabile) circa una certa particolare verità o affermazione, ma invece del "dubbio" (scettico) "circa qualsiasi (eventuale, per l' appunto) conoscenza" (solo le evidenziazioni in grassetto non erano nelle mie parole da te platealmente travisate); essendo riferito a qualsiasi eventuale verità o conoscenza, con tutta evidenzia si applica anche alla (eventuale, per l' appunto) particolare conoscenza costituita da quella stessa affermazione (e infatti si configura come sospensione del giudizio e non come affermazione dell' autocontraddittoria, paradossale affermazione per cui "tutto é falso" (compresa questa affermazione stessa).
Lo scetticismo non é predicazione che tutto é falso, ma dubbio  (sospensione del giudizio) su tutto (compreso lo scetticismo stesso).
Lo scettico dubita di tutto, anche del suo dubitare stesso e del dubitare del suo dubitare, e se hai tempo da perdere puoi continuare fin che credi in questo regresso all' infinito...

CARLO
Ripeto: finché dubiti, non consideri vera una certa cosa (sebbene non la consideri nemmeno falsa). Ma se il dubbio è per te insuperabile, vuol dire che non considererai MAI vera quella stessa cosa. Quindi non avrai voce in capitolo per contraddire né chi la ritiene vera né chi la ritiene falsa. E non mi sembra che è quello che hai fatto con i miei scritti.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Phil il 09 Luglio 2018, 23:09:40 PM
Citazione di: sgiombo il 09 Luglio 2018, 10:10:07 AM
Fenomeno, sensazione, percezione (empiriche) secondo me sono sinonimi.
Va benissimo, basta intendersi sulle definizioni che usiamo.
Ad esempio, nel buddismo si parla di cinque aggregati: forma della materia (siamo già "al di qua" della cosa in sé), sensazione, percezione, stati mentali e coscienza; Husserl parla invece di oggetto, noema, noesi, intenzionalità, appercezione, etc.
Questione di vocabolari...

Citazione di: sgiombo il 09 Luglio 2018, 10:10:07 AM
Non ha senso cercare di stabilire se le sensazioni (materiali, non mentali) assunte essere intersoggettive mie e tue siano uguali o meno, dal momento che ciascuno di noi non può "sbirciare nella coscienza dell' altro" per verificarlo o falsificarlo
Certo, eppure (anche senza "sbirciare") entrambi sappiamo per esperienza che guardare da seduti un giornale che si legge, tenendolo in mano, e guardare un giornale che un'altra persona seduta tiene in mano, mentre ci avviciniamo a lei, sono due prospettive ottiche e due percezioni ben differenti (giornale visto all'interno da vicino vs giornale visto all'esterno da più lontano; se ognuno scattasse la foto dal/del suo punto di vista, sarebbero molto diverse).

Citazione di: sgiombo il 09 Luglio 2018, 10:10:07 AM
assumere (indimostrabilmente) che siano intersoggettive (ma si può solo di quelle materiali, non di quelle mentali) significa postulare che vi sia una corrispondenza biunivoca fra di esse, cosicchè si possono descrivere verbalmente allo stesso modo: quando tu descrivi il giornale che vedi e io descrivo il giornale che vedo, nell' esempio da te proposto, usiamo le stesse parole.
Mi sembrava utile poter distinguere fra fenomeno (il manifestarsi del giornale, il suo ex-porsi come un oggetto empirico che descriveremmo probabilmente allo stesso modo: colore, dimensioni, sembianze varie) e percezione (come io lo vedo, lontano e dall'esterno, e come tu lo vedi, vicino e all'interno), così da poter discriminare molteplici percezioni differenti del medesimo fenomeno (che fa capo al medesimo oggetto, che sarebbe solo ciò che possiamo cogliere dell'oggetto in sé).
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: 0xdeadbeef il 10 Luglio 2018, 10:43:11 AM
Citazione di: sgiombo il 08 Luglio 2018, 15:14:40 PM
Dunque credo che Se pensare è già "segnare", cioè è inserire l'oggetto pensato in un preciso riferimento interpretativo, non necessariamente deve comunque esistere realmente (indipendentemente dall' eventuale realtà pure del pensiero di esso) un "qualcosa" originario cui quel pensiero si è riferito.
Necessariamente, per definizione, deve esistere una connotazione o intensione (meramente concettuale, "cogitativa") del concetto pensato (la sua arbitraria, di fatto più o meno convenzionale definizione), ma non una sua estensione o denotazione reale (può esistere per esempio nel caso del pensiero di un cavallo, non in quello del pensiero di un da me amatissimo ippogrifo (ma che nostalgia delle discussioni con l' ottimo Maral in proposito!).

Salutoni!


Sulla questione del "giudizio sintetico a posteriori" concordo con te. In effetti quella tesi ritengo faccia
parte di quella "frattura" (che dicevo, non so se l'hai letto) fra Ragion Pura e Pratica che molti hanno
rilevato.
E concordo anche sulla successiva affermazione per cui si danno solo "giudizi analitici a priori", cioè non
"sintetici". Il "problema", se così vogliamo chiamarlo, è che Kant dà per certissime le tesi della scienza
e della meccanica newtoniana in particolare (certezza che è smentita dalla fisica relativistica - ma questo,
come giustamente rileva Carnap, paradossalmente non fa che rafforzare la tesi di fondo di Kant, cioè quella
della "cosa in sè").
Credo sia in ogni caso indispensabile definire il significato del termine "esistenza".
Per me è valida la definizione etimologica: "esistere" vuol dire "stare saldamente fuori", cioè stare al
di fuori di ogni interpretazione soggettiva, esistere "in sè", "saldamente", sulla roccia e non sulle sabbie
delle interpretazioni.
Ora, è chiaro che secondo questa definizione un pensiero non può esistere. Un pensiero, foss'anche quello
dell'ippogrifo, "c'è" ma non "esiste", come del resto qualunque altro pensiero (di cosa reale o immaginifica).
L'"esistenza", da questo punto di vista, è dunque solo degli oggetti "concreti"; ma essendo per noi gli oggetti
"pensati", cioè interpretati (e già dire "oggetti" li fa rientrare in questa categoria), ciò non può che risolversi
che nella "esistenza" della sola "cosa in sè" (da questo punto di vista, ad esempio, per Kant Dio non può esistere
in quanto mero pensiero - contro certe interpretazioni precedenti che volevano una esistenza "fisica" sulla base
del pensiero).
Allo stesso modo, l'ippogrifo non può in ogni caso "esistere", in quanto di esso non esiste un riferimento reale, tangibile.
saluti (ci ho preso?)
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 10 Luglio 2018, 11:03:12 AM
Citazione di: Phil il 09 Luglio 2018, 23:09:40 PM
Citazione di: sgiombo il 09 Luglio 2018, 10:10:07 AM
Fenomeno, sensazione, percezione (empiriche) secondo me sono sinonimi.
Va benissimo, basta intendersi sulle definizioni che usiamo.
Ad esempio, nel buddismo si parla di cinque aggregati: forma della materia (siamo già "al di qua" della cosa in sé), sensazione, percezione, stati mentali e coscienza; Husserl parla invece di oggetto, noema, noesi, intenzionalità, appercezione, etc.
Questione di vocabolari...
CitazioneSì, ma se é così, allora tutto ciò non può essere confuso con la cosa in sé o noumeno per la quale invece non vale l' "esse est percipi" (B. e H.) essendo reale anche allorché non accadono sensazioni o fenomeni, indipendentemente dall' accadere di essi.



Citazione di: sgiombo il 09 Luglio 2018, 10:10:07 AM
Non ha senso cercare di stabilire se le sensazioni (materiali, non mentali) assunte essere intersoggettive mie e tue siano uguali o meno, dal momento che ciascuno di noi non può "sbirciare nella coscienza dell' altro" per verificarlo o falsificarlo
Certo, eppure (anche senza "sbirciare") entrambi sappiamo per esperienza che guardare da seduti un giornale che si legge, tenendolo in mano, e guardare un giornale che un'altra persona seduta tiene in mano, mentre ci avviciniamo a lei, sono due prospettive ottiche e due percezioni ben differenti (giornale visto all'interno da vicino vs giornale visto all'esterno da più lontano; se ognuno scattasse la foto dal/del suo punto di vista, sarebbero molto diverse).
CitazioneMa non é una questione di "prospettiva".
Anche qualora ci ponessimo ad osservare una certa scena esattamente dallo stesso luogo a brevissima distanza di tempo nella quale assumiamo nulla sia cambiato nella scena stessa, non avrebbe comunque senso dire che le nostre sensazioni siano uguali o diverse (per esempio potrebbe aversi un "inversione cromatica" fra le mie e le tue), ma solo che sono biunivocamente corrispondenti (e dunque descrivibili con le stesse parole; anche se per esempio io chiamassi "rosso" quello che tu chiami "blu" e viceversa: dell' eventuale differenza -o meno- non potremmo in alcun modo accorgerci).



Citazione di: sgiombo il 09 Luglio 2018, 10:10:07 AM
assumere (indimostrabilmente) che siano intersoggettive (ma si può solo di quelle materiali, non di quelle mentali) significa postulare che vi sia una corrispondenza biunivoca fra di esse, cosicchè si possono descrivere verbalmente allo stesso modo: quando tu descrivi il giornale che vedi e io descrivo il giornale che vedo, nell' esempio da te proposto, usiamo le stesse parole.
Mi sembrava utile poter distinguere fra fenomeno (il manifestarsi del giornale, il suo ex-porsi come un oggetto empirico che descriveremmo probabilmente allo stesso modo: colore, dimensioni, sembianze varie) e percezione (come io lo vedo, lontano e dall'esterno, e come tu lo vedi, vicino e all'interno), così da poter discriminare molteplici percezioni differenti del medesimo fenomeno (che fa capo al medesimo oggetto, che sarebbe solo ciò che possiamo cogliere dell'oggetto in sé).
CitazioneVedi sopra circa il fatto che non ponevo la questione delle "diffenze prospettiche" ma invece dell' insensatezza della questione del' uguaglianza o diversità fra i fenomeni di diverse esperienze coscienti nel caso le medesime cose in sé costituissero l' oggetto di coscienza delle diverse esperienze fenomeniche coscienti di diversi soggetti (e dunque fosse postulabile una corrispondenza biunovoca fra i fenomeni ad esso corrispondenti (= loro intersoggettività) in ciascuna di esse.

La percezione particolare tua in un certo momento e mia in un altro momento del giornale sono due eventi particolari concreti appartenenti alla medesima classe generale astratta delle "percezioni".
Ma non c' é "completezza" reale o meno, possibile o meno di percezioni (particolari concrete)  "da diverse prospettive" e/o in diversi momenti che tenga: si tratterebbe sempre e comunque di fenomeni (dei quali l' "esse est percipi"!) e non di noumeno.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Phil il 10 Luglio 2018, 19:07:12 PM
Citazione di: sgiombo il 10 Luglio 2018, 11:03:12 AM
Anche qualora ci ponessimo ad osservare una certa scena esattamente dallo stesso luogo a brevissima distanza di tempo nella quale assumiamo nulla sia cambiato nella scena stessa, non avrebbe comunque senso dire che le nostre sensazioni siano uguali o diverse (per esempio potrebbe aversi un "inversione cromatica" fra le mie e le tue), ma solo che sono biunivocamente corrispondenti (e dunque descrivibili con le stesse parole; anche se per esempio io chiamassi "rosso" quello che tu chiami "blu" e viceversa: dell' eventuale differenza -o meno- non potremmo in alcun modo accorgerci).
Certo, come è possibile che siamo solo una farfalla che sta sognando di essere un uomo (come dice Chuang Tzu) oppure siamo cervelli in vasca (Putnam, se non erro) o altro... tuttavia credo, per comodità e serenità, ci convenga, come "ipotesi di lavoro" (non certezza dogmatica assoluta), supporre che il mio rosso sia molto affine al tuo e non ci siano inversioni cromatiche fra i nostri apparati percettivi. Il senso di questo assunto intersoggettivo è che altrimenti la scienza (ma non solo) perderebbe buona parte del suo senso e si ridurrebbe a pragmatismo utilitaristico ("con la luce del semaforo posta più in alto ci si ferma, non conta di che colore è", "un sangue sano non ha quel colore; io lo chiamo verde, voi forse lo percepite come il mio azzurro, eppure lo chiamate verde e va comunque bene", etc.).


Citazione di: sgiombo il 10 Luglio 2018, 11:03:12 AM
Citazione di: Phil il 09 Luglio 2018, 23:09:40 PM
Citazione di: sgiombo il 09 Luglio 2018, 10:10:07 AM
Fenomeno, sensazione, percezione (empiriche) secondo me sono sinonimi.
Va benissimo, basta intendersi sulle definizioni che usiamo.
[...] Questione di vocabolari...
Sì, ma se é così, allora tutto ciò non può essere confuso con la cosa in sé o noumeno
Se ti riferisci a me (e così sembrerebbe), non mi pare che questa confusione m'appartenga: ho sempre posto il noumeno come postulato e inconoscibile; non è che mi confondi con altri?

A scanso di equivoci, cerco di riepilogare (e Kant ormai non c'entra più), prendendo ad esempio il solito giornale e partendo da ciò che è meno "accessibile":
- noumeno (che non è nemmeno un giornale, essendo inconoscibile e privo di identità per l'uomo)
- oggetto empirico: il giornale come pensabile esist-ente, anche indipendentemente da qualunque soggetto
- fenomeno: il giornale come oggetto empirico manifesto, che è percepito da uno o più soggetti
- percezione: il giornale percepito da un soggetto in particolare, secondo i suoi sensi, le sue capacità, la sua prospettiva, etc. ecco che un unico fenomeno dà origine a tante percezioni quanti sono i soggetti che lo percepiscono
- identificazione logica: il cervello interpreta quegli input sensoriali e identifica concettualmente l'oggetto come "giornale" (le percezioni acquisiscono un "senso cognitivo", richiamando un'idea formale o formandone una nuova).
- interpretazione dell'oggetto nel contesto (quindi con altri fenomeni che il soggetto osservante coglie): il "giornale" (ormai identificato) è tenuto in mano da un uomo che sembra leggerlo, etc.
- ... e così via.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 10 Luglio 2018, 22:02:27 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 09 Luglio 2018, 19:32:07 PM
CARLO
Un <<dubbio ritenuto razionalmente insuperabile>> sulla verità di una certa affermazione, non è più un dubbio, ma un ritenere non-vera (o relativa) quella affermazione.
Citazione
CitazioneMa, caro Carlo Pierini, capiterà mai che tu capisca quello che scrivo???

Innanzitutto non é affatto vero che dubitare di qualcosa == ritenere non vera tale cosa, ma casomai non sapere se sia vera oppure non vera, non ritenerla sicuramente vera né sicuramente falsa: c' é una bella differenza ! ! !

CARLO
Quello che dici tu vale per un semplice dubbio. Ma se lo consideri <<razionalmente INSUPERABILE>> significa che non considererai MAI vera la cosa di cui dubiti.

SGIOMBO
Ma soprattutto con tutta evidenza non ho parlato di un determinato dubbio (ritenuto razionalmente insuperabile) circa una certa particolare verità o affermazione, ma invece del "dubbio" (scettico) "circaqualsiasi(eventuale, per l' appunto) conoscenza" (solo le evidenziazioni in grassetto non erano nelle mie parole da te platealmente travisate); essendo riferito a qualsiasi eventuale verità o conoscenza, con tutta evidenzia si applica anche alla (eventuale, per l' appunto) particolare conoscenza costituita da quella stessa affermazione (e infatti si configura come sospensione del giudizio e non come affermazione dell' autocontraddittoria, paradossale affermazione per cui "tutto é falso" (compresa questa affermazione stessa).
Lo scetticismo non é predicazione che tutto é falso, ma dubbio  (sospensione del giudizio) su tutto (compreso lo scetticismo stesso).
Lo scettico dubita di tutto, anche del suo dubitare stesso e del dubitare del suo dubitare, e se hai tempo da perdere puoi continuare fin che credi in questo regresso all' infinito...

CARLO
Ripeto: finché dubiti, non consideri vera una certa cosa (sebbene non la consideri nemmeno falsa). Ma se il dubbio è per te insuperabile, vuol dire che non considererai MAI vera quella stessa cosa. Quindi non avrai voce in capitolo per contraddire né chi la ritiene vera né chi la ritiene falsa. E non mi sembra che è quello che hai fatto con i miei scritti.
CitazioneContinui platealmente a confondere "dubbio" con "falso".

Se dubito insuperabilmente di un' affermazione non la considero certamente vera né certamente falsa insuperabilmente (cioé senza che possa darsi alcun modo per dimostrarla vera o falsa), ma forse vera e forse falsa insuperabilmente (cioé senza che possa darsi alcun modo per confutare la possibilità della sua verità o della sua falsità).

Ed é chi obietta a tutto ciò che, fino a prova contraria (che non hai mai portato), non ha voce in capitolo per contraddirlo.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 10 Luglio 2018, 22:41:56 PM
Citazione di: Phil il 10 Luglio 2018, 19:07:12 PM
Citazione di: sgiombo il 10 Luglio 2018, 11:03:12 AM
Anche qualora ci ponessimo ad osservare una certa scena esattamente dallo stesso luogo a brevissima distanza di tempo nella quale assumiamo nulla sia cambiato nella scena stessa, non avrebbe comunque senso dire che le nostre sensazioni siano uguali o diverse (per esempio potrebbe aversi un "inversione cromatica" fra le mie e le tue), ma solo che sono biunivocamente corrispondenti (e dunque descrivibili con le stesse parole; anche se per esempio io chiamassi "rosso" quello che tu chiami "blu" e viceversa: dell' eventuale differenza -o meno- non potremmo in alcun modo accorgerci).
Certo, come è possibile che siamo solo una farfalla che sta sognando di essere un uomo (come dice Chuang Tzu) oppure siamo cervelli in vasca (Putnam, se non erro) o altro... tuttavia credo, per comodità e serenità, ci convenga, come "ipotesi di lavoro" (non certezza dogmatica assoluta), supporre che il mio rosso sia molto affine al tuo e non ci siano inversioni cromatiche fra i nostri apparati percettivi. Il senso di questo assunto intersoggettivo è che altrimenti la scienza (ma non solo) perderebbe buona parte del suo senso e si ridurrebbe a pragmatismo utilitaristico ("con la luce del semaforo posta più in alto ci si ferma, non conta di che colore è", "un sangue sano non ha quel colore; io lo chiamo verde, voi forse lo percepite come il mio azzurro, eppure lo chiamate verde e va comunque bene", etc.).
CitazioneAnch' io credo per pura fede, arbitrariamente di non essere un cervello in una vasca e nell' intersoggettività delle sensazioni materiali.

Che però significa solo che esse si corrispondono puntualmente e univiìocamente fra le diverse esperienze fenomeniche coscienti, non avendo senso chiedersi se siano uguali o diverse fra di esse.

Ma la scienza non perde nulla in caso di inversione cromatica.

Le posizioni delle luci dei semafori hanno hanno senso per i daltonici, ma in caso di inversione cromatica che faccia vedere verde la luce accesa sopra, che ne fosse affetto si fermerebbe perché la chiamerebbe "rossa" come quelli che la vedono rossa (e infatti mentre il daltonismo é diagnosticabilissimo, nessuno potrebbe stabilire se nell' esperienza cosciente di qualcuno ci fosse inversione cromatica o meno; id est: non ha senso porsi il problema dell' uguaglianza o diversità dei fenomeni assunti essere intersoggettivi (ovvero biunivocamente -o meglio poliunivocamente- corrispondenti fra loro) delle diverse esperienze coscienti.


Citazione di: sgiombo il 10 Luglio 2018, 11:03:12 AM
Citazione di: Phil il 09 Luglio 2018, 23:09:40 PM
Citazione di: sgiombo il 09 Luglio 2018, 10:10:07 AM
Fenomeno, sensazione, percezione (empiriche) secondo me sono sinonimi.
Va benissimo, basta intendersi sulle definizioni che usiamo.
[...] Questione di vocabolari...
Sì, ma se é così, allora tutto ciò non può essere confuso con la cosa in sé o noumeno
Phil:
Se ti riferisci a me (e così sembrerebbe), non mi pare che questa confusione m'appartenga: ho sempre posto il noumeno come postulato e inconoscibile; non è che mi confondi con altri?

A scanso di equivoci, cerco di riepilogare (e Kant ormai non c'entra più), prendendo ad esempio il solito giornale e partendo da ciò che è meno "accessibile":
- noumeno (che non è nemmeno un giornale, essendo inconoscibile e privo di identità per l'uomo)
- oggetto empirico: il giornale come pensabile esist-ente, anche indipendentemente da qualunque soggetto
- fenomeno: il giornale come oggetto empirico manifesto, che è percepito da uno o più soggetti
- percezione: il giornale percepito da un soggetto in particolare, secondo i suoi sensi, le sue capacità, la sua prospettiva, etc. ecco che un unico fenomeno dà origine a tante percezioni quanti sono i soggetti che lo percepiscono
- identificazione logica: il cervello interpreta quegli input sensoriali e identifica concettualmente l'oggetto come "giornale" (le percezioni acquisiscono un "senso cognitivo", richiamando un'idea formale o formandone una nuova).
- interpretazione dell'oggetto nel contesto (quindi con altri fenomeni che il soggetto osservante coglie): il "giornale" (ormai identificato) è tenuto in mano da un uomo che sembra leggerlo, etc.
- ... e così via.
CitazioneSgiombo:
Il giornale come fenomeno é un inseme di sensazioni manifeste che non può esistere che nell' ambito dell' esperienza cosciente di uno o più soggetti (se e quando e fintanto che costoro le percepiscono), e dunque non può esistere indipendentemente da un (qualunque) soggetto: esse est percipi (in quelle di più soggetti possono esistere insemi di sensazioni reciprocamente corrispondenti -intersoggettive- che tutti -i parlanti la medesima lingua- denominano col medesimo.vocabolo).
Inoltre esso (il giornale come fenomeno) é percepito da ciascun soggetto in particolare, secondo i suoi sensi, le sue capacità, la sua prospettiva; un fenomeno non dà origine a percezioni ma é percezioni (esse est percipi).
Il cervello (che non contiene nessun "omino" in grado di farlo) non interpreta proprio nulla: in esso gli imput sensoriali danno luogo solo e unicamente a successioni di trasmissioni di impulsi (potenziali d' azione) lungo assoni che si concludono o in determinate contrazioni muscolari o in modificazioni dei circuiti cerebrali (creazione di nuove sinapsi, eliminazione di altre e/o potenziamento o depotenziamento di sinapsi già esistenti) foriere di di cambiamenti comportamentali, di diversità fra i comportamento futuri e i passati e presenti. E basta. Non vi accade nient' altro (men che meno alcuna identificazione logica o interpretazione di alcunché: non contiene nessun "omino che lo possa fare!).
Il noumeno invece é (se c' é, come credo senza poterlo dìmostare né tantomeno mostrare) per esempio qualcosa di non sensibile, non apparente, non fenomenico che continua ad esistere anche quando guardo dall' altra parte e dunque il giornale non c'é, (nella mia esperienza fenomenica cosciente) tale che se guardo nella parte giusta il giornate torna ad esserci (a mano che sia stato distrutto); cioé tale ce ogni volta che si danno determinati rapporti fra tale qualcosa del noumeno (che affinché ciò accada deve continuare ad esistere e non essere distrutto) e un' altra "cosa" del noumeno che sono io, persona cosciente, soggetto di sensazioni e di pensieri, allora nell' ambito dell' esperienza cosciente fenomenica correlata a me, persona cosciente, soggetto di sensazioni e di pensieri, esistono le sensazioni fenomeniche costituenti il giornale (se in analoghi rapporti ti trovi tu, altra persona cosciente, soggetto di sensazioni e di pensieri, allora nell' esperienza fenomenica cosciente correlata a te esistono sensazioni fenomeniche alle mie -e alla cosa in sé persistente anche in loro assenza che se in relazione con una "cosa in sé soggetto cosciente" da luogo ai fenomeni "giornale" nella coscienza fenomenica ad essa correlata biunivocamente- corrispondenti ma che non ha senso cercare di stabilire se uguali o diversi; entrambi le denominamo "giornale").
.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Phil il 10 Luglio 2018, 23:14:47 PM
@sgiombo
Adesso ho capito meglio le differenze fra i nostri "vocabolari".
Su alcune questioni ("esse est percipi", il cervello, il senso della scienza) abbiamo altre differenze (non solo di vocabolario), ma preferisco non approfondirle qui (di qualcosa abbiamo già discusso in passato).
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 11 Luglio 2018, 02:55:30 AM
Citazione di: sgiombo il 10 Luglio 2018, 22:02:27 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 09 Luglio 2018, 19:32:07 PM
CARLO
Un <<dubbio ritenuto razionalmente insuperabile>> sulla verità di una certa affermazione, non è più un dubbio, ma un ritenere non-vera (o relativa) quella affermazione.
Citazione
CitazioneMa, caro Carlo Pierini, capiterà mai che tu capisca quello che scrivo???

Innanzitutto non é affatto vero che dubitare di qualcosa == ritenere non vera tale cosa, ma casomai non sapere se sia vera oppure non vera, non ritenerla sicuramente vera né sicuramente falsa: c' é una bella differenza ! ! !

CARLO
Quello che dici tu vale per un semplice dubbio. Ma se lo consideri <<razionalmente INSUPERABILE>> significa che non considererai MAI vera la cosa di cui dubiti.

SGIOMBO
Ma soprattutto con tutta evidenza non ho parlato di un determinato dubbio (ritenuto razionalmente insuperabile) circa una certa particolare verità o affermazione, ma invece del "dubbio" (scettico) "circaqualsiasi(eventuale, per l' appunto) conoscenza" (solo le evidenziazioni in grassetto non erano nelle mie parole da te platealmente travisate); essendo riferito a qualsiasi eventuale verità o conoscenza, con tutta evidenzia si applica anche alla (eventuale, per l' appunto) particolare conoscenza costituita da quella stessa affermazione (e infatti si configura come sospensione del giudizio e non come affermazione dell' autocontraddittoria, paradossale affermazione per cui "tutto é falso" (compresa questa affermazione stessa).
Lo scetticismo non é predicazione che tutto é falso, ma dubbio  (sospensione del giudizio) su tutto (compreso lo scetticismo stesso).
Lo scettico dubita di tutto, anche del suo dubitare stesso e del dubitare del suo dubitare, e se hai tempo da perdere puoi continuare fin che credi in questo regresso all' infinito...

CARLO
Ripeto: finché dubiti, non consideri vera una certa cosa (sebbene non la consideri nemmeno falsa). Ma se il dubbio è per te insuperabile, vuol dire che non considererai MAI vera quella stessa cosa. Quindi non avrai voce in capitolo per contraddire né chi la ritiene vera né chi la ritiene falsa. E non mi sembra che è quello che hai fatto con i miei scritti.
CitazioneContinui platealmente a confondere "dubbio" con "falso".

Se dubito insuperabilmente di un' affermazione non la considero certamente vera né certamente falsa insuperabilmente (cioé senza che possa darsi alcun modo per dimostrarla vera o falsa), ma forse vera e forse falsa insuperabilmente (cioé senza che possa darsi alcun modo per confutare la possibilità della sua verità o della sua falsità).

Ed é chi obietta a tutto ciò che, fino a prova contraria (che non hai mai portato), non ha voce in capitolo per contraddirlo.

CARLO
...Come riesci a farmi incazzare tu con le tue circonvoluzioni verbali non ci riesce nessuno.  >:(
Non ho scritto mai "falso". Chi dubita non sottoscrive la verità (non-verità), ma non sottoscrive nemmeno la falsità (non-falsità). Chi ritiene insuperabile il dubbio non sottoscriverà mai la verità né la falsità. Cioè rimarrà ebete in eterno riguardo a quel certo argomento.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 11 Luglio 2018, 08:24:52 AM
Citazione di: 0xdeadbeef il 10 Luglio 2018, 10:43:11 AM


Credo sia in ogni caso indispensabile definire il significato del termine "esistenza".
Per me è valida la definizione etimologica: "esistere" vuol dire "stare saldamente fuori", cioè stare al
di fuori di ogni interpretazione soggettiva, esistere "in sè", "saldamente", sulla roccia e non sulle sabbie
delle interpretazioni.
Ora, è chiaro che secondo questa definizione un pensiero non può esistere. Un pensiero, foss'anche quello
dell'ippogrifo, "c'è" ma non "esiste", come del resto qualunque altro pensiero (di cosa reale o immaginifica).
L'"esistenza", da questo punto di vista, è dunque solo degli oggetti "concreti"; ma essendo per noi gli oggetti
"pensati", cioè interpretati (e già dire "oggetti" li fa rientrare in questa categoria), ciò non può che risolversi
che nella "esistenza" della sola "cosa in sè" (da questo punto di vista, ad esempio, per Kant Dio non può esistere
in quanto mero pensiero - contro certe interpretazioni precedenti che volevano una esistenza "fisica" sulla base
del pensiero).
Allo stesso modo, l'ippogrifo non può in ogni caso "esistere", in quanto di esso non esiste un riferimento reale, tangibile.
saluti (ci ho preso?)

Un pensiero può esistere (realmente); è ciò che il pensiero intende che può non esistere (realmente), come nel caso del pensiero (il quale ultimo può darsi sia realmente esistente) di un ippogrifo, il quale ippogrifo -e non il pensiero di esso- non può darsi esista.
Ciò che il pensiero intende, di cui tratta, può essere costituito da concetti aventi unicamente una intensione o connotazione "cogitativa", teorica senza che realmente ne esista una estensione o denotazione reale di fatto.


Insisterei sulla differenza fra le questioni dell' "inseità" (o meno) nel senso del sentito (percepito sensibilmente) e nel senso del pensato (esistente per lo meno come intensione o connotazione di concetti pensati; o pensabili; essendo i pensieri insiemi e successioni di percezioni coscienti o sensazioni, di tipo mentale).

Ciò che é sentito é fenomeno (insieme e/o successione di percezioni o apparenze sensibili: fenomeni), reale solo ed unicamente se e quando e fintanto che le percezioni o apparenze sensibili stesse sono reali (accadono realmente), cioé non "in sé" nel senso di "indipendentemente dall' essere sentito (da un soggetto di sensazione)". Mentre invece il noumeno o cosa in sé (se reale, cosa non constatabile né dimostrabile) é per l' appunto "in sé" nel senso di "indipendentemente dall' essere sentito (da un soggetto di sensazione)": per esempio ciò che esiste realmente anche quando non vedo il famoso cedro del Libano o non sento i miei pensieri e sentimenti e fa sì che nonappena osservo "nel modo opportuno" fuori o dentro me stesso, allora puntualmente cedro e pensieri e sentimenti rispettivamente tornano ad esistere realmente).

Altra questione é quella per cui ciò che é pensato é innanzitutto e sicuramente, inevitabilmente intensione o connotazione di concetti (tanto nel caso dell' ippogrifo quanto nel caso del cavallo); ma mentre nel caso del cavallo esiste realmente anche un' estensione o denotazione reale del concetto, qualcosa di "in sé" nel senso di "reale indipendentemente dall' eventuale fatto che sia anche oggetto di pensiero -reale- o meno", ovvero "indipendentemente dall' eventuale esistenza reale di un soggetto di pensiero o meno", invece nel caso dell' ippogrifo una tale estensione o denotazione reale del concetto non esiste, ma esiste solo e unicamente un' intensione o connotazione cogitativa dipendente dall' esistenza reale di un soggetto di pensiero.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 11 Luglio 2018, 09:04:10 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 11 Luglio 2018, 02:55:30 AM


CARLO
...Come riesci a farmi incazzare tu con le tue circonvoluzioni verbali non ci riesce nessuno.  >:(
Non ho scritto mai "falso". Chi dubita non sottoscrive la verità (non-verità), ma non sottoscrive nemmeno la falsità (non-falsità). Chi ritiene insuperabile il dubbio non sottoscriverà mai la verità né la falsità. Cioè rimarrà ebete in eterno riguardo a quel certo argomento.
CitazioneOh, forse una volta tanto si riesce ad intendersi (e magari non ti faccio incazzare).

Però "scettico" molto ma molto =/= "ebete" (contrariamente a te ho molta pazienza non mi incazzo nemmeno quando mi si offende; specie se l' offesa é ridicola e squalifica unicamente chi le arreca e non certo chi la riceve); penso anzi che per lo più la consapevolezza scettica dei limiti delle proprie conoscenze é indice di intelligenza.


Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: 0xdeadbeef il 11 Luglio 2018, 11:18:21 AM
Citazione di: sgiombo il 11 Luglio 2018, 08:24:52 AM
Insisterei sulla differenza fra le questioni dell' "inseità" (o meno) nel senso del sentito (percepito sensibilmente) e nel senso del pensato (esistente per lo meno come intensione o connotazione di concetti pensati; o pensabili; essendo i pensieri insiemi e successioni di percezioni coscienti o sensazioni, di tipo mentale).

. Mentre invece il noumeno o cosa in sé (se reale, cosa non constatabile né dimostrabile) é per l' appunto "in sé" nel senso di "indipendentemente dall' essere sentito (da un soggetto di sensazione)":


Si certo (immaginavo questa tua nota), un pensiero esiste in quanto "trasmissione di dati neuronali fra le sinapsi del
cervello" (o qualcosa di simile; capirai bene che questo non è proprio il mio campo...), ma non esiste come contenuto.
Dunque esiste la "cosa in sè" che sottostà al pensiero dell'ippogrifo (e che interpretiamo come trasmissione neuronale),
non esiste l'ippogrifo in quanto contenuto di quella trasmissione.
Mi pare (scusami se mi riferisco ad esempi concreti, ma ho delle difficoltà a seguire il tuo ragionamento) che tu
distingua fra il Cedro del Libano nel momento in cui lo vedi presente e nel momento in cui esso è oggetto di un "ricordo".
Dal mio punto di vista (ma credo proprio di poter dire "dal punto di vista di Kant") questa distinzione non pone alcun
"problema".
La tua distinzione fra "sentito" e "pensato" trovo non abbia attinenza con i concetti di "cosa in sè" e di "fenomeno".
Il "sentito- cedro" (ad esempio quando vedi o tocchi il cedro) è "fenomeno" in quanto chiamato "cedro", ritenuto "magnifico"
etc. Ed è "cosa in sè" come "sostrato" dell'oggetto cui attribuiamo le qualità di "cedro", "magnifico" etc.
Il "pensato-cedro" (quando solo lo ricordi) è "fenomeno" in quanto tale pensiero è chiamato "pensiero del cedro"; pensiero
che sia magnifico etc. Ed è cosa in sè sempre come sostrato dell'oggetto-pensiero che chiamiamo "attività neuronale".
Non bisogna pensare alla "cosa in sè" come ad un qualcosa di "indipendente dall'essere sentito" (ho l'impressione che proprio
questo sia il punto "cruciale").
La "cosa in sè" è un concetto logico. Siccome è impossibile osservare gli oggetti da un punto di vista privilegiato, cioè
non relativo al soggetto che li osserva, si assume ipoteticamente l'impossibile, cioè che sia possibile osservare gli
oggetti da un punto di vista privilegiato. Gli oggetti in tal modo osservati (un modo impossibile) sono le "cose in se
stesse", e sono inconoscibili appunto perchè il modo di osservarle è impossibile.
Questo vuol dire che quel che è in questione è sempre e solo un "oggetto", sia esso un cedro o una attività neuronale.
Mai un "contenuto" di un pensiero ("Dio non è più reale dell'idea che io abbia cento talleri in tasca", dice Kant - che
sempre, sembra, fu alle prese con problemi economici...).
In questo senso non c'è differenza fra l'idea di un cavallo e quella di un ippogrifo: entrambe, dal punto di vista che qui
ci interessa, sono dovute ad una oggettiva attività neuronale (i talleri sono reali, ma l'idea, come contenuto, non come attività neuronale, che essi siano nella tasca di Kant
non è più reale dell'idea di Dio - sempre come contenuto).
saluti
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 11 Luglio 2018, 17:44:33 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 11 Luglio 2018, 11:18:21 AMLa "cosa in sè" è un concetto logico. Siccome è impossibile osservare gli oggetti da un punto di vista privilegiato, cioè
non relativo al soggetto che li osserva, si assume ipoteticamente l'impossibile, cioè che sia possibile osservare gli
oggetti da un punto di vista privilegiato. Gli oggetti in tal modo osservati (un modo impossibile) sono le "cose in se
stesse", e sono inconoscibili appunto perchè il modo di osservarle è impossibile.

CARLO
...E chi l'ha detto che il punto di vista soggettivo - combinato con la "capacita oggettivante" che ha il soggetto umano - non sia il punto di vista privilegiato?
Cosa intendo con "capacità oggettivante"? Quella, per esempio, che ci ha permesso di stabilire che il geocentrismo derivava da un punto di vista soggettivo e che, invece, l'eliocentrismo è il punto di vista DEFINITIVAMENTE oggettivo. In altre parole è la nostra capacità di studiare COMPARATIVAMENTE i fenomeni da diversi punti di vista soggettivi che ci permette di pervenire all'oggettività (la perfetta complementarità tra la legge gravitazionale di Newton e le tre leggi di Keplero).
Infatti, oggi siamo assolutamente sicuri che l'eliocentrismo è il paradigma DEFINITIVO dei moti planetari, semplicemente perché, se così non fosse, non avrebbero mai avuto successo le esplorazioni del sistema solare compiute con decine di sonde spaziali, la cui riuscita esige una precisione estrema dei moti previsti (vedi, per esempio, la "fionda gravitazionale" necessaria per accelerare "gratis" le sonde).
Quindi, sarebbe ora di abbandonare questa fissazione sul "punto di vista privilegiato". Se la scienza funziona a meraviglia, vuol dire che il nostro punto di vista "soggettivo", se ben lubrificato dall'intelligenza e dalla ragione, è quello più adeguato!


BABY K - Da zero a cento
https://youtu.be/XzuV0_cot-g

LUIS FONSI - Despacito
https://youtu.be/kJQP7kiw5Fk
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: 0xdeadbeef il 11 Luglio 2018, 20:14:37 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 11 Luglio 2018, 17:44:33 PMCARLO
...E chi l'ha detto che il punto di vista soggettivo - combinato con la "capacita oggettivante" che ha il soggetto umano - non sia il punto di vista privilegiato?
Cosa intendo con "capacità oggettivante"? Quella, per esempio, che ci ha permesso di stabilire che il geocentrismo derivava da un punto di vista soggettivo e che, invece, l'eliocentrismo è il punto di vista DEFINITIVAMENTE oggettivo. In altre parole è la nostra capacità di studiare COMPARATIVAMENTE i fenomeni da diversi punti di vista soggettivi che ci permette di pervenire all'oggettività (la perfetta complementarità tra la legge gravitazionale di Newton e le tre leggi di Keplero).
Infatti, oggi siamo assolutamente sicuri che l'eliocentrismo è il paradigma DEFINITIVO dei moti planetari


Dimentichi un particolare...
Quando io dico che la filosofia di Kant è "sublime" e il tuo punto di vista sbagliato, io rivendico eccome per la mia
affermazione un valore veritativo (cioè le rivendico "oggettività").
Tu invece, fraintendendo, stai attribuendomi un pensiero siffatto: "io penso che la filosofia di Kant sia sublime e
il punto di vista di Carlo Petrini sbagliato, ma siccome un punto di vista vale un altro i nostri, di me e di Carlo
Petrini, punti di vista si equivalgono" (e a questo punto potrei evitare anche di dire quel che penso, visto che non
potrei pensarlo su nessuna base logica o conoscitiva).
Non è così, e con ogni evidenza. Semplicemente, quell'"io penso", dal punto di vista kantiano io lo dico in quanto
sono consapevole della natura di interpretazione della mia affermazione, cioè sono consapevole che esiste la
possibilità (remota o meno che sia) che io mi possa sbagliare.
Questo enunciato dell'"io penso" ha un'importanza X per quel che riguarda la scienza, certamente ne ha una enorme per
quanto riguarda i problemi della morale, quindi di conseguenza per quanto riguarda ogni aspetto del vivere (politica,
economia, diritto etc.).
Gli avverbi ed aggettivi che usi (definitivamente, definitivo) possono essere semplicemente sbagliati per quel che
riguarda la scienza; certamente sono TRAGICAMENTE SBAGLIATI per quanto riguarda altri aspetti del vivere (come quelli
da me sopra citati).
Perchè? Semplicemente perchè essi individuano un'altro aggettivo/sostantivo molto più diretto ed esplicito di essi:
l'"ab-solutum", il "libero da qualsiasi vincolo o limite", una parola che in termini morali si traduce in un modo solo:
ASSOLUTISMO.
Quindi prova ad alzare lo sguardo: non c'è solo la scienza...
saluti
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 11 Luglio 2018, 21:36:21 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 11 Luglio 2018, 20:14:37 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 11 Luglio 2018, 17:44:33 PMCARLO
...E chi l'ha detto che il punto di vista soggettivo - combinato con la "capacita oggettivante" che ha il soggetto umano - non sia il punto di vista privilegiato?
Cosa intendo con "capacità oggettivante"? Quella, per esempio, che ci ha permesso di stabilire che il geocentrismo derivava da un punto di vista soggettivo e che, invece, l'eliocentrismo è il punto di vista DEFINITIVAMENTE oggettivo. In altre parole è la nostra capacità di studiare COMPARATIVAMENTE i fenomeni da diversi punti di vista soggettivi che ci permette di pervenire all'oggettività (la perfetta complementarità tra la legge gravitazionale di Newton e le tre leggi di Keplero).
Infatti, oggi siamo assolutamente sicuri che l'eliocentrismo è il paradigma DEFINITIVO dei moti planetari


Dimentichi un particolare...
Quando io dico che la filosofia di Kant è "sublime" e il tuo punto di vista sbagliato, io rivendico eccome per la mia
affermazione un valore veritativo (cioè le rivendico "oggettività").
Tu invece, fraintendendo, stai attribuendomi un pensiero siffatto: "io penso che la filosofia di Kant sia sublime e
il punto di vista di Carlo Petrini sbagliato, ma siccome un punto di vista vale un altro i nostri, di me e di Carlo
Petrini, punti di vista si equivalgono" (e a questo punto potrei evitare anche di dire quel che penso, visto che non
potrei pensarlo su nessuna base logica o conoscitiva).
Non è così, e con ogni evidenza. Semplicemente, quell'"io penso", dal punto di vista kantiano io lo dico in quanto
sono consapevole della natura di interpretazione della mia affermazione, cioè sono consapevole che esiste la
possibilità (remota o meno che sia) che io mi possa sbagliare.
Questo enunciato dell'"io penso" ha un'importanza X per quel che riguarda la scienza, certamente ne ha una enorme per
quanto riguarda i problemi della morale, quindi di conseguenza per quanto riguarda ogni aspetto del vivere (politica,
economia, diritto etc.).
Gli avverbi ed aggettivi che usi (definitivamente, definitivo) possono essere semplicemente sbagliati per quel che
riguarda la scienza; certamente sono TRAGICAMENTE SBAGLIATI per quanto riguarda altri aspetti del vivere (come quelli
da me sopra citati).
Perchè? Semplicemente perchè essi individuano un'altro aggettivo/sostantivo molto più diretto ed esplicito di essi:
l'"ab-solutum", il "libero da qualsiasi vincolo o limite", una parola che in termini morali si traduce in un modo solo:
ASSOLUTISMO.
Quindi prova ad alzare lo sguardo: non c'è solo la scienza...
saluti

CARLO
Eh sì! Con chi crede che la verità sia <<quello che si dice>>, ...non resta che ascoltare un po' di musica.


SUZI QUATRO - If you can't give me love
https://youtu.be/l6PYlq37iHo

TAYLOR SWIFT - Gorgeous
https://youtu.be/EUoe7cf0HYw
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 12 Luglio 2018, 22:06:08 PM
X Oaxdeadbeef (e magari fosse anche per qualcun altro interessato allee mie convinzioni ontologiche di filosofia della mente!)
 
Purtroppo (o per fortuna, dato che ciò stimola entrambi a spremersi le meningi su qualcosa di interessante?) l' intesa (che ovviamente non significa necessariamente il concordare, tanto meno pienamente e su tutto; anche questo, entro certi limiti, per fortuna) mi sembra ancora molto lontana.
 
Per me ciò che accade in un cervello (ma accade solo e unicamente nell' ambito di una o più esperienze fenomeniche coscienti* -di "osservatori di quel cervello- come insieme-successione di sensazioni e nient' altro: esse est percipi!), "trasmissione di dati neuronali fra le sinapsi, ecc.,non é l' esperienza fenomenica cosciente** (comprendete pensieri -ovvero sensazioni mentali- oltre che "cose" -ovvero sensazioni- materiali) del "titolare" di quel cervello (cui corrisponde biunivocamente per proprietà transitiva dal fatto che entrambe le fra loro ben diverse, reciprocamente altre "cose" fenomeniche corrispondono alla medesima cosa in sé (nell' ambito del noumeno).
E nell' ambito di questa cosa in sé può esserci anche qualcosa di corrispondente al pensiero dell' ippogrifo, se nell' esperienza fenomenica cosciente** del "titolare di quel cervello" c' é il pensiero dell' ippogrifo (e dunque in quel cervello, il quale é soltanto "fenomenicamente" nelle esperienze fenomeniche coscienti* di chi lo osserva, accadono per l' appunto i corrispondenti eventi neurologici (determinate trasmissioni di dati neuronali fra le sinapsi, ecc.).
(Per brevità d' ora in poi "e.f.c." = "esperienza fenomenica cosciente; al plurale "ee.ff.cc.").
Ma mentre nel caso il "titolare" di quel cervello pensi a un cavallo reale c'é anche intersoggettivamente un cavallo reale per lo meno potenzialmente nelle "ee.ff.cc.* di chiunque lo veda (quel cervello; oltre a quel cavallo, estensione o denotazione reale del concetto pensato), oltre al concetto di quel cavallo reale con la sua intensione o connotazione nell' e.f.c.** del "titolare" stesso, invece nel caso il "titolare" di quel cervello pensi a un ippogrifo non c' é in nessuna e.f.c. alcuna estensione o denotazione reale (e intersoggettiva) del concetto di "ippogrifo"; anche se in quel cervello (il quale é nelle ee.ff.cc* di eventuali osservatori) ci sono gli eventi neurologici (determinate trasmissioni di dati neuronali fra le sinapsi, ecc.) corrispondenti a- (la sensazione mentale o pensiero de-) -l concetto di "ippogrifo" pensato nell' e.f.c.** del "titolare del c." (con la sua intensione o connotazione cogitativa), un po' diversi da quelli corrispondenti alla visione di un cavallo reale.
 
Che La distinzione fra "sentito" e "pensato" non abbia attinenza con i concetti di "cosa in sè" e di "fenomeno" é precisamente quanto sto cercando di spiegarti circa le mie convinzioni.
 
Le sensazioni f. c. del cedro del Libano (materiali) e quelle del ricordo del cedro del Libano (mentali) sono entrambe fenomeni reali unicamente come tali (esse st percipi!) nell' ambito della mia e.f.c.** (se lo vedo o rispettivamente ci penso, lo ricordo), mentre nelle ee.ff.cc.* di chi osservi il mio cervello mentre lo vedo o rispettivamente lo ricordo ci sono determinati biunivocamente corrispondenti eventi neurologici (determinate trasmissioni di dati neuronali fra le sinapsi, ecc.), ovviamente un po' diversi nel caso della visione rispetto al caso del ricordo.
 
Il "sentito- cedro" (ad esempio quando vedo o tocco il cedro) è "fenomeno" (che sia  chiamato "cedro", ritenuto "magnifico" etc. o meno, non importa).
E se (come credo arbitrariamente, per fede) esiste un qualcosa in sé, nell' ambito del noumeno, che si possa considerare come "sostrato" della cosa fenomenica (dell' "oggetto" fenomenico!) cui attribuiamo le qualità di "cedro", "magnifico" etc., che possa essere considerato come l' oggetto di tali sensazioni fenomeniche, allora tale "qualcosa" assolutamente non è il cedro (ovvero le sensazioni fenomeniche di cui solo e unicamente esso é costituito): dal momento che tale "qualcosa" in sé -oggetto delle sensazioni del cedro nella mia e.f.c.**- sarebbe reale anche allorché il cedro (ovvero le sensazioni fenomeniche di cui solo e unicamente esso é costituito) non sono reali: sarebbe una spettacolarissima contraddizione il pretenderlo!
C' é peraltro, almeno potenzialmente, nelle ee.ff.cc.* di chi osservasse il mio cervello qualcosa di corrispondente al mio vedere il cedro (però nella mia e.f.c.**), che costituisce il "sostrato" in sé di me che vedo il cedro, di me soggetto della sensazione (visone, ecc.) fenomenica** del cedro (oltre che oggetto delle sensazioni fenomeniche* di chi veda il mio cervello).
Dunque è sempre e solo una cosa in sé -noumeno, non sensazioni fenomeniche non affatto costituito da fenomeni- (la stessa cosa in sé) sia l' oggetto (della sensazione fenomenica di) un cedro (nella mia e.f.c.**), sia l' oggetto (della sensazione fenomenica di) una determinata attività neuronale nel mio cervello, nell' ambito delle ee.ff.cc* di chi lo osservi (questo stesso, identico, unico oggetto in sé -non sensazioni fenomeniche ma noumeno!- é la stessa cosa in sé che é il soggetto -"io"- della sensazione del cedro nella mia propria e.f.c.** e l' oggetto -eventi neurofisiologici nel mio cervello- nelle ee.ff.cc.* di chi osservi il mio cervello stesso).
 
E analogo "sostrato" in sé di me soggetto della sensazione fenomenica (mentale)** del pensiero, ricordo, ecc.  del cedro del pensiero (ricordo, ecc.) hanno le sensazioni fenomeniche di ciò che accade nel mio cervello nell' ambito delle ee.ff.cc.* di chi osservasse il mio cervello mentre sto pensando al o ricordando il cedro (ovviamente si tratta di "sostrato" in sé e di biunivocamente corrispondenti sensazioni fenomeniche coscienti* almeno "un po'" diverse dagli analoghi eventi rispettivamente in sé e fenomenici* di quando il cedro lo vedo (sento; materialmente) anziché pensarlo (anziché sentire mentalmente il pensiero o ricordo del cedro).
 
Quello stesso "sostrato" in sé che rispetto alle ee.ff.cc.* di chi osservi il mio cervello é l' oggetto dei fenomeni costituenti quanto sta accadendo nel mio cervello é anche il soggetto ("io") della mia propria e.f.c.**; il quale ("sostrato" in sé) si trova in determinate circostanze allorché nella mia e.f.c.** c' é la visione (materiale) del cedro e nelle ee.ff.cc.* degli osservatori del mio cervello ci sono i corrispondenti eventi neurofisiologici; e che si trova in determinate altre circostanze allorché nella mia e.f.c.** c' é la sensazione (mentale) del ricordo o pensiero del cedro e dunque nelle ee.ff.cc.* degli osservatori del mio cervello ci sono i corrispondenti eventi neurofisiologici (corrispondentemente un po' diversi da quelli della visione –sensazione- materiale- del cedro).
 
Secondo me non ha senso parlare delle cose in sé come gli oggetti (osservati: ergo: fenomeni! Non cose in sé!) da un punto di vista privilegiato, cioè non relativo al soggetto che li osserva.
Ma solo come gli oggetti (se ci sono, come credo ma non lo si può dimostrare né tantomeno mostrare!), reali in sé, nell' ambito del noumeno (ergo: non osservabili, non osservati), e tali anche quando non accade alcuna sensazione fenomenica di cui siano gli oggetti.
Gli oggetti (e i soggetti) delle sensazioni fenomeniche, intesi in quanto "sostrati" in sé (noumeno!) reali indipendentemente dall' accadere o meno delle rispettive sensazioni fenomeniche, anche se e quando non si dà alcuna sensazione fenomenica di essi, non possono essere degli "osservati" (= insiemi – successioni di sensazioni fenomeniche: di qualsiasi "osservato" l' esse est percipi!) per definizione, né da un punto di vista "qualsiasi", né da preteso, un inesistente (senza senso) "punto di vista privilegiato".
 
Se ti (vi: crepi il pessimismo! Ma probabilmente anche il semplice realismo!) sei sforzato di seguirmi fin qui con attenzione, ti (vi) sono immensamente grato!
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 12 Luglio 2018, 23:39:59 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Luglio 2018, 22:06:08 PM
X Oaxdeadbeef (e magari fosse anche per qualcun altro interessato allee mie convinzioni ontologiche di filosofia della mente!)

Purtroppo (o per fortuna, dato che ciò stimola entrambi a spremersi le meningi su qualcosa di interessante?) l' intesa (che ovviamente non significa necessariamente il concordare, tanto meno pienamente e su tutto; anche questo, entro certi limiti, per fortuna) mi sembra ancora molto lontana.

Per me ciò che accade in un cervello (ma accade solo e unicamente nell' ambito di una o più esperienze fenomeniche coscienti* -di "osservatori di quel cervello- come insieme-successione di sensazioni e nient' altro: esse est percipi!), "trasmissione di dati neuronali fra le sinapsi, ecc.,non é l' esperienza fenomenica cosciente** (comprendete pensieri -ovvero sensazioni mentali- oltre che "cose" -ovvero sensazioni- materiali) del "titolare" di quel cervello (cui corrisponde biunivocamente per proprietà transitiva dal fatto che entrambe le fra loro ben diverse, reciprocamente altre "cose" fenomeniche corrispondono alla medesima cosa in sé (nell' ambito del noumeno).
E nell' ambito di questa cosa in sé può esserci anche qualcosa di corrispondente al pensiero dell' ippogrifo, se nell' esperienza fenomenica cosciente** del "titolare di quel cervello" c' é il pensiero dell' ippogrifo (e dunque in quel cervello, il quale é soltanto "fenomenicamente" nelle esperienze fenomeniche coscienti* di chi lo osserva, accadono per l' appunto i corrispondenti eventi neurologici (determinate trasmissioni di dati neuronali fra le sinapsi, ecc.).
(Per brevità d' ora in poi "e.f.c." = "esperienza fenomenica cosciente; al plurale "ee.ff.cc.").
Ma mentre nel caso il "titolare" di quel cervello pensi a un cavallo reale c'é anche intersoggettivamente un cavallo reale per lo meno potenzialmente nelle "ee.ff.cc.* di chiunque lo veda (quel cervello; oltre a quel cavallo, estensione o denotazione reale del concetto pensato), oltre al concetto di quel cavallo reale con la sua intensione o connotazione nell' e.f.c.** del "titolare" stesso, invece nel caso il "titolare" di quel cervello pensi a un ippogrifo non c' é in nessuna e.f.c. alcuna estensione o denotazione reale (e intersoggettiva) del concetto di "ippogrifo"; anche se in quel cervello (il quale é nelle ee.ff.cc* di eventuali osservatori) ci sono gli eventi neurologici (determinate trasmissioni di dati neuronali fra le sinapsi, ecc.) corrispondenti a- (la sensazione mentale o pensiero de-) -l concetto di "ippogrifo" pensato nell' e.f.c.** del "titolare del c." (con la sua intensione o connotazione cogitativa), un po' diversi da quelli corrispondenti alla visione di un cavallo reale.

Che La distinzione fra "sentito" e "pensato" non abbia attinenza con i concetti di "cosa in sè" e di "fenomeno" é precisamente quanto sto cercando di spiegarti circa le mie convinzioni.

Le sensazioni f. c. del cedro del Libano (materiali) e quelle del ricordo del cedro del Libano (mentali) sono entrambe fenomeni reali unicamente come tali (esse st percipi!) nell' ambito della mia e.f.c.** (se lo vedo o rispettivamente ci penso, lo ricordo), mentre nelle ee.ff.cc.* di chi osservi il mio cervello mentre lo vedo o rispettivamente lo ricordo ci sono determinati biunivocamente corrispondenti eventi neurologici (determinate trasmissioni di dati neuronali fra le sinapsi, ecc.), ovviamente un po' diversi nel caso della visione rispetto al caso del ricordo.

Il "sentito- cedro" (ad esempio quando vedo o tocco il cedro) è "fenomeno" (che sia  chiamato "cedro", ritenuto "magnifico" etc. o meno, non importa).
E se (come credo arbitrariamente, per fede) esiste un qualcosa in sé, nell' ambito del noumeno, che si possa considerare come "sostrato" della cosa fenomenica (dell' "oggetto" fenomenico!) cui attribuiamo le qualità di "cedro", "magnifico" etc., che possa essere considerato come l' oggetto di tali sensazioni fenomeniche, allora tale "qualcosa" assolutamente non è il cedro (ovvero le sensazioni fenomeniche di cui solo e unicamente esso é costituito): dal momento che tale "qualcosa" in sé -oggetto delle sensazioni del cedro nella mia e.f.c.**- sarebbe reale anche allorché il cedro (ovvero le sensazioni fenomeniche di cui solo e unicamente esso é costituito) non sono reali: sarebbe una spettacolarissima contraddizione il pretenderlo!
C' é peraltro, almeno potenzialmente, nelle ee.ff.cc.* di chi osservasse il mio cervello qualcosa di corrispondente al mio vedere il cedro (però nella mia e.f.c.**), che costituisce il "sostrato" in sé di me che vedo il cedro, di me soggetto della sensazione (visone, ecc.) fenomenica** del cedro (oltre che oggetto delle sensazioni fenomeniche* di chi veda il mio cervello).
Dunque è sempre e solo una cosa in sé -noumeno, non sensazioni fenomeniche non affatto costituito da fenomeni- (la stessa cosa in sé) sia l' oggetto (della sensazione fenomenica di) un cedro (nella mia e.f.c.**), sia l' oggetto (della sensazione fenomenica di) una determinata attività neuronale nel mio cervello, nell' ambito delle ee.ff.cc* di chi lo osservi (questo stesso, identico, unico oggetto in sé -non sensazioni fenomeniche ma noumeno!- é la stessa cosa in sé che é il soggetto -"io"- della sensazione del cedro nella mia propria e.f.c.** e l' oggetto -eventi neurofisiologici nel mio cervello- nelle ee.ff.cc.* di chi osservi il mio cervello stesso).

E analogo "sostrato" in sé di me soggetto della sensazione fenomenica (mentale)** del pensiero, ricordo, ecc.  del cedro del pensiero (ricordo, ecc.) hanno le sensazioni fenomeniche di ciò che accade nel mio cervello nell' ambito delle ee.ff.cc.* di chi osservasse il mio cervello mentre sto pensando al o ricordando il cedro (ovviamente si tratta di "sostrato" in sé e di biunivocamente corrispondenti sensazioni fenomeniche coscienti* almeno "un po'" diverse dagli analoghi eventi rispettivamente in sé e fenomenici* di quando il cedro lo vedo (sento; materialmente) anziché pensarlo (anziché sentire mentalmente il pensiero o ricordo del cedro).

Quello stesso "sostrato" in sé che rispetto alle ee.ff.cc.* di chi osservi il mio cervello é l' oggetto dei fenomeni costituenti quanto sta accadendo nel mio cervello é anche il soggetto ("io") della mia propria e.f.c.**; il quale ("sostrato" in sé) si trova in determinate circostanze allorché nella mia e.f.c.** c' é la visione (materiale) del cedro e nelle ee.ff.cc.* degli osservatori del mio cervello ci sono i corrispondenti eventi neurofisiologici; e che si trova in determinate altre circostanze allorché nella mia e.f.c.** c' é la sensazione (mentale) del ricordo o pensiero del cedro e dunque nelle ee.ff.cc.* degli osservatori del mio cervello ci sono i corrispondenti eventi neurofisiologici (corrispondentemente un po' diversi da quelli della visione –sensazione- materiale- del cedro).

Secondo me non ha senso parlare delle cose in sé come gli oggetti (osservati: ergo: fenomeni! Non cose in sé!) da un punto di vista privilegiato, cioè non relativo al soggetto che li osserva.
Ma solo come gli oggetti (se ci sono, come credo ma non lo si può dimostrare né tantomeno mostrare!), reali in sé, nell' ambito del noumeno (ergo: non osservabili, non osservati), e tali anche quando non accade alcuna sensazione fenomenica di cui siano gli oggetti.
Gli oggetti (e i soggetti) delle sensazioni fenomeniche, intesi in quanto "sostrati" in sé (noumeno!) reali indipendentemente dall' accadere o meno delle rispettive sensazioni fenomeniche, anche se e quando non si dà alcuna sensazione fenomenica di essi, non possono essere degli "osservati" (= insiemi – successioni di sensazioni fenomeniche: di qualsiasi "osservato" l' esse est percipi!) per definizione, né da un punto di vista "qualsiasi", né da preteso, un inesistente (senza senso) "punto di vista privilegiato".

Se ti (vi: crepi il pessimismo! Ma probabilmente anche il semplice realismo!) sei sforzato di seguirmi fin qui con attenzione, ti (vi) sono immensamente grato!

CARLO
Esse est percipi, ovvero: <<Non esistono le cose, ma solo le idee (le opinioni) che ci facciamo delle cose>>.
Ma le idee esistono? <<No, non esistono le idee sulle cose, ma solo le opinioni che ci facciamo delle idee sulle cose>>.
Ma le opinioni esistono? <<No, non esistono le opinioni sulle idee delle cose, ma solo le opinioni che ci facciamo sulle opinioni sulle idee sulle cose>>.
In definitiva, cos'è che veramente esiste? E' tutto un gioco di specchi? ...Ma allora, se tutto ciò che ci circonda è un'illusione, ...non l'avrò pagata troppo cara la moquette del mio studio?  :))
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 13 Luglio 2018, 08:33:38 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 12 Luglio 2018, 23:39:59 PM

CARLO
Esse est percipi, ovvero: <<Non esistono le cose, ma solo le idee (le opinioni) che ci facciamo delle cose>>.
Ma le idee esistono? <<No, non esistono le idee sulle cose, ma solo le opinioni che ci facciamo delle idee sulle cose>>.
Ma le opinioni esistono? <<No, non esistono le opinioni sulle idee delle cose, ma solo le opinioni che ci facciamo sulle opinioni sulle idee sulle cose>>.
In definitiva, cos'è che veramente esiste? E' tutto un gioco di specchi? ...Ma allora, se tutto ciò che ci circonda è un'illusione, ...non l'avrò pagata troppo cara la moquette del mio studio?  :))
Mi dispiace, ma ignori Brekeley e (Hume).

"Esse est percipi" non significa affatto <<Non esistono le cose, ma solo le idee (le opinioni) che ci facciamo delle cose>> (questo é casomai pessimo relativismo o nichilismo putrefatto a là Nietzche, tutt' altra cosa che l' empirismo di Berkeley e Hume!), bensì significa "le cose che percepiamo sono costituite solo ed esclusivamente da (insiemi e successioni di) percezioni (percezioni reali, non opinioni sulle percezioni! Anche se)" reali unicamente in quanto tali e non indipendentemente dall' accadere reale delle percezioni, non quando queste non accadono (e non affatto: indipendentemente dall' accadere o meno delle opinioni sulle percezioni!).

Non sono affatto illusioni (quando realmente accadono), ma realissimi fenomeni (=insieme di apparenze sensibili); dunque non sono nemmeno cose in sé esistenti indipendentemente dall' accadere delle sensazioni stesse, dalle quali solo e unicamente sono costituiti, che li costituiscono integralmente ed esaustivamente.

La moquette del tuo studio é realissima anche se esiste solo e unicamente in quanto tale (insieme di sensazioni o fenomeni) e solo e unicamente allorché la vedi e/o tocchi: e se, come credo essendo indimostrabile  tantomeno mostrabile, esiste anche una cosa in sé ad essa corrispondente e reale anche allorché essa (la moquette) non é reale (=non esistono realmente le sensazioni visive e/o tattili di cui solo e  unicamente é costituita), allora questo "qualcosa" non é costituito da tali o da altre sensazioni visive e/o tattili (sarebbe una spettacolarissima contraddizione pretenderlo!), ma da qualcosa di diverso da esse (esistente anche quando esse non esistono), qualcosa di non sensibilmente apparente (dal greco e a la Kant: fenomeno) ma solo congetturabile (dal greco e a là Kant: noumeno).
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 13 Luglio 2018, 16:20:52 PM
Citazione di: sgiombo il 13 Luglio 2018, 08:33:38 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 12 Luglio 2018, 23:39:59 PM

CARLO
Esse est percipi, ovvero: <<Non esistono le cose, ma solo le idee (le opinioni) che ci facciamo delle cose>>.
Ma le idee esistono? <<No, non esistono le idee sulle cose, ma solo le opinioni che ci facciamo delle idee sulle cose>>.
Ma le opinioni esistono? <<No, non esistono le opinioni sulle idee delle cose, ma solo le opinioni che ci facciamo sulle opinioni sulle idee sulle cose>>.
In definitiva, cos'è che veramente esiste? E' tutto un gioco di specchi? ...Ma allora, se tutto ciò che ci circonda è un'illusione, ...non l'avrò pagata troppo cara la moquette del mio studio?  :))
Mi dispiace, ma ignori Brekeley e (Hume).

"Esse est percipi" non significa affatto <<Non esistono le cose, ma solo le idee (le opinioni) che ci facciamo delle cose>> (questo é casomai pessimo relativismo o nichilismo putrefatto a là Nietzche, tutt' altra cosa che l' empirismo di Berkeley e Hume!), bensì significa "le cose che percepiamo sono costituite solo ed esclusivamente da (insiemi e successioni di) percezioni (percezioni reali, non opinioni sulle percezioni! Anche se)" reali unicamente in quanto tali e non indipendentemente dall' accadere reale delle percezioni, non quando queste non accadono (e non affatto: indipendentemente dall' accadere o meno delle opinioni sulle percezioni!).

CARLO
Mi sembra un discorso estremamente cervellotico. Come se non ci fosse alcuna relazione tra le cose e le percezioni che abbiamo di esse. O come se non fosse mai possibile uscire dal labirinto della soggettività.
Per non ripetermi ti copio incollo ciò che dicevo a Oxdeadbeef giusto l'altro ieri:

...E chi l'ha detto che il punto di vista soggettivo - combinato con la "capacita oggettivante" che ha il soggetto umano - non sia il punto di vista privilegiato?
Cosa intendo con "capacità oggettivante"? Quella, per esempio, che ci ha permesso di stabilire che il geocentrismo derivava da un punto di vista SOGGETTIVO e che, invece, l'eliocentrismo è il punto di vista DEFINITIVAMENTE OGGETTIVO. In altre parole è la nostra capacità di studiare COMPARATIVAMENTE i fenomeni da diversi punti di vista soggettivi che ci permette di pervenire all'oggettività. Nel nostro caso sono stati sufficienti solo DUE punti di vista soggettivi - la legge gravitazionale di Newton e le leggi cinematiche di Keplero - per stabilire con certezza l'oggettività del punto di vista eliocentrico.
Infatti, oggi siamo assolutamente sicuri che l'eliocentrismo è il paradigma DEFINITIVO dei moti planetari, semplicemente perché, se così non fosse, non avrebbero mai avuto successo le esplorazioni del sistema solare compiute con decine di sonde spaziali, la cui riuscita esige una precisione estrema dei moti previsti (vedi, per esempio, la "fionda gravitazionale" necessaria per accelerare "gratis" le sonde).
Quindi, sarebbe ora di finirla con questa fissazione sul "punto di vista privilegiato", o sul nostro conoscere NON le cose ma solo le idee sulle cose, o NON il territotio, ma solo la mappa.  Se la scienza funziona a meraviglia su un gran numero di fenomeni, vuol dire che il nostro punto di vista "soggettivo", se ben lubrificato dall'intelligenza e dalla ragione, è quello più adeguato per distinguere ciò che è solo soggettivo da ciò che è oggettivo.
Altrimenti dovresti spiegarmi PERCHE' il punto di vista geocentrico si è rivelato FALSO, mentre il punto di vista eliocentrico è VERO, pur essendo entrambi solo dei punti di vista soggettivi?
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 13 Luglio 2018, 17:44:32 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 13 Luglio 2018, 16:20:52 PM
Citazione di: sgiombo il 13 Luglio 2018, 08:33:38 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 12 Luglio 2018, 23:39:59 PM

CARLO
Esse est percipi, ovvero: <<Non esistono le cose, ma solo le idee (le opinioni) che ci facciamo delle cose>>.
Ma le idee esistono? <<No, non esistono le idee sulle cose, ma solo le opinioni che ci facciamo delle idee sulle cose>>.
Ma le opinioni esistono? <<No, non esistono le opinioni sulle idee delle cose, ma solo le opinioni che ci facciamo sulle opinioni sulle idee sulle cose>>.
In definitiva, cos'è che veramente esiste? E' tutto un gioco di specchi? ...Ma allora, se tutto ciò che ci circonda è un'illusione, ...non l'avrò pagata troppo cara la moquette del mio studio?  :))
Mi dispiace, ma ignori Brekeley e (Hume).

"Esse est percipi" non significa affatto <<Non esistono le cose, ma solo le idee (le opinioni) che ci facciamo delle cose>> (questo é casomai pessimo relativismo o nichilismo putrefatto a là Nietzche, tutt' altra cosa che l' empirismo di Berkeley e Hume!), bensì significa "le cose che percepiamo sono costituite solo ed esclusivamente da (insiemi e successioni di) percezioni (percezioni reali, non opinioni sulle percezioni! Anche se)" reali unicamente in quanto tali e non indipendentemente dall' accadere reale delle percezioni, non quando queste non accadono (e non affatto: indipendentemente dall' accadere o meno delle opinioni sulle percezioni!).

CARLO
Mi sembra un discorso estremamente cervellotico. Come se non ci fosse alcuna relazione tra le cose e le percezioni che abbiamo di esse. O come se non fosse mai possibile uscire dal labirinto della soggettività.
Per non ripetermi ti copio incollo ciò che dicevo a Oxdeadbeef giusto l'altro ieri:
CitazioneE allora dimostrami (ovviamente in maniera non contraddittoria) che le cose che percepiamo sensibilmente sono reali in quanto tali anche quando non le percepiamo (per esempio l' intenso verde del fogliame, l' intenso odore di resina, il frusciare delle foglie al vento, ecc. del cedro del Libano del mio vicino di casa: il fatto che se riapriamo gli occhi dopo averli chiusi puntualmente lo rivediamo non significa certo che -autocontraddittoriamente!- tali sensazioni visive esistevano anche quando avevamo gli occhi chiusi e dunque non esistevano; se qualcosa anche allora esisteva era qualcosa di ovviamente diverso, di non apparente ai sensi -in assenza di alcunché di apparente ai sensi!- ovvero di non fenomenico ma solo congetturabile ovvero noumenico).

...E chi l'ha detto che il punto di vista soggettivo - combinato con la "capacita oggettivante" che ha il soggetto umano - non sia il punto di vista privilegiato?
Cosa intendo con "capacità oggettivante"? Quella, per esempio, che ci ha permesso di stabilire che il geocentrismo derivava da un punto di vista SOGGETTIVO e che, invece, l'eliocentrismo è il punto di vista DEFINITIVAMENTE OGGETTIVO. In altre parole è la nostra capacità di studiare COMPARATIVAMENTE i fenomeni da diversi punti di vista soggettivi che ci permette di pervenire all'oggettività. Nel nostro caso sono stati sufficienti solo DUE punti di vista soggettivi - la legge gravitazionale di Newton e le leggi cinematiche di Keplero - per stabilire con certezza l'oggettività del punto di vista eliocentrico.

Infatti, oggi siamo assolutamente sicuri che l'eliocentrismo è il paradigma DEFINITIVO dei moti planetari, semplicemente perché, se così non fosse, non avrebbero mai avuto successo le esplorazioni del sistema solare compiute con decine di sonde spaziali, la cui riuscita esige una precisione estrema dei moti previsti (vedi, per esempio, la "fionda gravitazionale" necessaria per accelerare "gratis" le sonde).
Citazione
Ma tutte queste sono considerazioni più o meno vere circa i moti relativi fra terra e sole, dei quali l' "esse est percipi", che sono reali unicamente in quanto sensazioni, se , quando e fintanto che sono sentite coscientemente (= accadono in qualità di fenomeni).
E non affatto come cose in sé reali anche indipendentemente dall' essere sentire (= dall' accadere in quanto insiemi e successioni di sensazioni fenomeniche reali fintanto che accadono, ovvero si sentono, e basta).

E se non fai queste distinzioni non puoi comprendere perché se guardi nel mio cervello mentre vedo un coloratissimo arcobaleno o penso alla dimostrazione di un teorema di geometria o provo un forte sentimento di gioia non vi vedi (nell' ambito della tua coscienza*) alcun colore, alcun ragionamento né concetto, alcun sentimento (che sono peraltro ben reali nell' ambito della mia copscienza**), ma solo "della roba grigiorosea molliccia gelatinosa" costituita da neuroni, sinapsi, assoni, ecc., a loro volta costituiti da particelle/onde subatomiche, campi di forza, ecc.: tutt' altre cose che -sensazioni di- colori, concetti e ragionamenti o sentimenti!

Invece se distingui correttamente fra fenomeni e cose in sé o noumeno puoi comprendere questi fatti: lo stesso ente in sé cui é correlata un' esperienza fenomenica cosciente** (per esempio: io cui é correlata la mia coscienza**) che se é in determinate relazioni con altri, da esso differenti -per quanto similmente con un' esperienza fenomenica cosciente* correlata a ciascuno di essi- enti in sé (per esempio tu, cui é correlata la tua coscienza*) "fa sì" che in questi ultimi accadano eventi biunivocamente corrispondenti alla visone nell' ambito della loro coscienza* (per esempio la tua*) di determinati fenomeni costituenti un determinato cervello con in atto determinati processi fisiologici, si trova "in proprio" a divenire secondo determinati eventi biunivocamente corrispondenti alla visione nell' ambito della sua propria coscienza** (per esempio la mia**) di determinate altre sensazioni fenomeniche (mentali o materiali a seconda dei casi).



Quindi, sarebbe ora di finirla con questa fissazione sul "punto di vista privilegiato", o sul nostro conoscere NON le cose ma solo le idee sulle cose, o NON il territotio, ma solo la mappa.  Se la scienza funziona a meraviglia su un gran numero di fenomeni, vuol dire che il nostro punto di vista "soggettivo", se ben lubrificato dall'intelligenza e dalla ragione, è quello più adeguato per distinguere ciò che è solo soggettivo da ciò che è oggettivo.
Altrimenti dovresti spiegarmi PERCHE' il punto di vista geocentrico si è rivelato FALSO, mentre il punto di vista eliocentrico è VERO, pur essendo entrambi solo dei punti di vista soggettivi?
Citazione
Sarebbe ora di finirla con la confusione fra preteso "punto di vista privilegiato da cui osservare i fenomeni" e il noumeno ovvero le cose in sé, reali anche allorché non accadono (le rispettive, corrispondenti) sensazioni fenomeniche.

La scienza (compresa l' astronomia) funziona benissimo nel conoscere i fenomeni materiali (ma non quelli mentali, che a mio parre con quelli materiali non sono identificabili, ad essi non sono riducibili, ad essi non sopravvengono, da essi non emergono, qualsiasi cosa questi vaghi concetti possano significare) dei quali l' "esse est percipi" (come pure di quelli mentali).
Ma nulla può a proposito dell' eventuale conoscenza del noumeno o cosa in sé (e nemmeno di quella dei fenomeni mentali, per lo meno se intesa come scienza in senso stretto o proprio, quello delle "scienze naturali").
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 13 Luglio 2018, 19:06:45 PM
Citazione di: sgiombo il 13 Luglio 2018, 17:44:32 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 13 Luglio 2018, 16:20:52 PM
Quindi, sarebbe ora di finirla con questa fissazione sul "punto di vista privilegiato", o sul nostro conoscere NON le cose ma solo le idee sulle cose, o NON il territotio, ma solo la mappa.  Se la scienza funziona a meraviglia su un gran numero di fenomeni, vuol dire che il nostro punto di vista "soggettivo", se ben lubrificato dall'intelligenza e dalla ragione, è quello più adeguato per distinguere ciò che è solo soggettivo da ciò che è oggettivo.
Altrimenti dovresti spiegarmi PERCHE' il punto di vista geocentrico si è rivelato FALSO, mentre il punto di vista eliocentrico è VERO, pur essendo entrambi solo dei punti di vista soggettivi?
Citazione
Sarebbe ora di finirla con la confusione fra preteso "punto di vista privilegiato da cui osservare i fenomeni" e il noumeno ovvero le cose in sé, reali anche allorché non accadono (le rispettive, corrispondenti) sensazioni fenomeniche.

La scienza (compresa l' astronomia) funziona benissimo nel conoscere i fenomeni materiali (ma non quelli mentali, che a mio parre con quelli materiali non sono identificabili, ad essi non sono riducibili, ad essi non sopravvengono, da essi non emergono, qualsiasi cosa questi vaghi concetti possano significare) dei quali l' "esse est percipi" (come pure di quelli mentali).
Ma nulla può a proposito dell' eventuale conoscenza del noumeno o cosa in sé (e nemmeno di quella dei fenomeni mentali, per lo meno se intesa come scienza in senso stretto o proprio, quello delle "scienze naturali").

CARLO
Se non rispondi alla mia domanda cruciale (che ho marcato in grassetto) che si riferisce a un esempio concreto, giochiamo inutilmente con le parole. E io non ho tempo.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 13 Luglio 2018, 21:38:47 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 13 Luglio 2018, 19:06:45 PM
Citazione di: sgiombo il 13 Luglio 2018, 17:44:32 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 13 Luglio 2018, 16:20:52 PM
Quindi, sarebbe ora di finirla con questa fissazione sul "punto di vista privilegiato", o sul nostro conoscere NON le cose ma solo le idee sulle cose, o NON il territotio, ma solo la mappa.  Se la scienza funziona a meraviglia su un gran numero di fenomeni, vuol dire che il nostro punto di vista "soggettivo", se ben lubrificato dall'intelligenza e dalla ragione, è quello più adeguato per distinguere ciò che è solo soggettivo da ciò che è oggettivo.
Altrimenti dovresti spiegarmi PERCHE' il punto di vista geocentrico si è rivelato FALSO, mentre il punto di vista eliocentrico è VERO, pur essendo entrambi solo dei punti di vista soggettivi?
Citazione
Sarebbe ora di finirla con la confusione fra preteso "punto di vista privilegiato da cui osservare i fenomeni" e il noumeno ovvero le cose in sé, reali anche allorché non accadono (le rispettive, corrispondenti) sensazioni fenomeniche.

La scienza (compresa l' astronomia) funziona benissimo nel conoscere i fenomeni materiali (ma non quelli mentali, che a mio parre con quelli materiali non sono identificabili, ad essi non sono riducibili, ad essi non sopravvengono, da essi non emergono, qualsiasi cosa questi vaghi concetti possano significare) dei quali l' "esse est percipi" (come pure di quelli mentali).
Ma nulla può a proposito dell' eventuale conoscenza del noumeno o cosa in sé (e nemmeno di quella dei fenomeni mentali, per lo meno se intesa come scienza in senso stretto o proprio, quello delle "scienze naturali").

CARLO
Se non rispondi alla mia domanda cruciale (che ho marcato in grassetto) che si riferisce a un esempio concreto, giochiamo inutilmente con le parole. E io non ho tempo.
CitazioneQuesta ridicola affermazione dimostra platealmente tutto il tuo disinteresse per la filosofia (non sai cosa ti perdi, ma comunque non c' é oggettivamente niente di male: ognuno ha i suoi interessi; per quel che mi riguarda quello per la filosofia e di gran lunga maggiore che quello, pur non trascurabile, per le scienze naturali).

Comunque la tua domanda mi sembra molto banale rispetto alla questione ontologica.

E la risposta ovvia é che i fenomeni materiali possono essere postulati (non dimostrati né mostrati) essere intersoggettivi e divenienti secondo modalità generali astratte universali e costanti; e se così é, come é plausibile credere (e non é dimostrato non sia) osservandoli più attentamente si può intersoggettivamente concordare su errori di valutazione circa i fenomeni materiali stessi e il loro divenire e superarli mediante teorie più veritiere.


Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 13 Luglio 2018, 22:07:06 PM
Citazione di: sgiombo il 13 Luglio 2018, 21:38:47 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 13 Luglio 2018, 19:06:45 PMCARLO
Se non rispondi alla mia domanda cruciale (che ho marcato in grassetto) che si riferisce a un esempio concreto, giochiamo inutilmente con le parole. E io non ho tempo.
CitazioneQuesta ridicola affermazione dimostra platealmente tutto il tuo disinteresse per la filosofia (non sai cosa ti perdi, ma comunque non c' é oggettivamente niente di male: ognuno ha i suoi interessi; per quel che mi riguarda quello per la filosofia e di gran lunga maggiore che quello, pur non trascurabile, per le scienze naturali).

Comunque la tua domanda mi sembra molto banale rispetto alla questione ontologica.

E la risposta ovvia é che i fenomeni materiali possono essere postulati (non dimostrati né mostrati) essere intersoggettivi e divenienti secondo modalità generali astratte universali e costanti; e se così é, come é plausibile credere (e non é dimostrato non sia) osservandoli più attentamente si può intersoggettivamente concordare su errori di valutazione circa i fenomeni materiali stessi e il loro divenire e superarli mediante teorie più veritiere.

CARLO
Il problema, caro Sgiombo, è che chi usa le parole giocando sull'elasticità del loro significato, può affermare tutto e il contrario di tutto. Ma quando deve confrontarle con la realtà, che non è altrettanto elastica, il gioco non funziona più.

Infatti una sonda spaziale se ne frega delle percezioni soggettive degli uomini o della loro intersoggettività, ma atterra su Marte SOLO SE Marte si trova OGGETTIVAMENTE lì nel momento in cui finisce il suo viaggio.

QUESTI sono gli errori dei tuoi filosofi cervellotici e pantofolai (Kant, Hume, Berkley, ecc.) che riflettono sul mondo SENZA guardare il mondo ma SOLO le idee SOGGETTIVE che LORO hanno sul mondo. Con quelle teorie descrivono i LORO stessi limiti personali, non i limiti del SOGGETTO della conoscenza.


American Graffiti.
RAY CHARLES - Hit the road jack
https://youtu.be/i8DRen60X10
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 13 Luglio 2018, 22:22:09 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 13 Luglio 2018, 22:07:06 PM
Citazione di: sgiombo il 13 Luglio 2018, 21:38:47 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 13 Luglio 2018, 19:06:45 PMCARLO
Se non rispondi alla mia domanda cruciale (che ho marcato in grassetto) che si riferisce a un esempio concreto, giochiamo inutilmente con le parole. E io non ho tempo.
CitazioneQuesta ridicola affermazione dimostra platealmente tutto il tuo disinteresse per la filosofia (non sai cosa ti perdi, ma comunque non c' é oggettivamente niente di male: ognuno ha i suoi interessi; per quel che mi riguarda quello per la filosofia e di gran lunga maggiore che quello, pur non trascurabile, per le scienze naturali).

Comunque la tua domanda mi sembra molto banale rispetto alla questione ontologica.

E la risposta ovvia é che i fenomeni materiali possono essere postulati (non dimostrati né mostrati) essere intersoggettivi e divenienti secondo modalità generali astratte universali e costanti; e se così é, come é plausibile credere (e non é dimostrato non sia) osservandoli più attentamente si può intersoggettivamente concordare su errori di valutazione circa i fenomeni materiali stessi e il loro divenire e superarli mediante teorie più veritiere.

CARLO
Il problema, caro Sgiombo, è che chi usa le parole giocando sull'elasticità del loro significato, può affermare tutto e il contrario di tutto. Ma quando deve confrontarle con la realtà, che non è altrettanto elastica, il gioco non funziona più.

Infatti una sonda spaziale se ne frega delle percezioni soggettive degli uomini o della loro intersoggettività, ma atterra su Marte SOLO SE Marte si trova OGGETTIVAMENTE lì nel momento in cui finisce il suo viaggio.

QUESTI sono gli errori dei tuoi filosofi cervellotici e pantofolai (Kant, Hume, Berkley, ecc.) che riflettono sul mondo SENZA guardare il mondo ma SOLO le idee SOGGETTIVE che LORO hanno sul mondo. Con quelle teorie descrivono i LORO stessi limiti personali, non i limiti del SOGGETTO della conoscenza.

CitazioneComplimenti per l' eccelsa esibizione di incomprensione e di ignoranza (ovviamente non argomentata ma semplicemente condita di offese a filosofi geniali.

Ma é ovvio che chi non ha argomenti scriva quel che può...
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: 0xdeadbeef il 14 Luglio 2018, 09:48:25 AM
Citazione di: sgiombo il 13 Luglio 2018, 08:33:38 AM




"Esse est percipi" non significa affatto <<Non esistono le cose, ma solo le idee (le opinioni) che ci facciamo delle cose>> (questo é casomai pessimo relativismo o nichilismo putrefatto a là Nietzche, tutt' altra cosa che l' empirismo di Berkeley e Hume!), bensì significa "le cose che percepiamo sono costituite solo ed esclusivamente da (insiemi e successioni di) percezioni (percezioni reali, non opinioni sulle percezioni! Anche se)" reali unicamente in quanto tali e non indipendentemente dall' accadere reale delle percezioni, non quando queste non accadono (e non affatto: indipendentemente dall' accadere o meno delle opinioni sulle percezioni!).

Non sono affatto illusioni (quando realmente accadono), ma realissimi fenomeni (=insieme di apparenze sensibili); dunque non sono nemmeno cose in sé esistenti indipendentemente dall' accadere delle sensazioni stesse, dalle quali solo e unicamente sono costituiti, che li costituiscono integralmente ed esaustivamente.

La moquette del tuo studio é realissima anche se esiste solo e unicamente in quanto tale (insieme di sensazioni o fenomeni) e solo e unicamente allorché la vedi e/o tocchi: e se, come credo essendo indimostrabile  tantomeno mostrabile, esiste anche una cosa in sé ad essa corrispondente e reale anche allorché essa (la moquette) non é reale (=non esistono realmente le sensazioni visive e/o tattili di cui solo e  unicamente é costituita), allora questo "qualcosa" non é costituito da tali o da altre sensazioni visive e/o tattili (sarebbe una spettacolarissima contraddizione pretenderlo!), ma da qualcosa di diverso da esse (esistente anche quando esse non esistono), qualcosa di non sensibilmente apparente (dal greco e a la Kant: fenomeno) ma solo congetturabile (dal greco e a là Kant: noumeno).
Allora, vediamo di capirci qualcosa (non facile non per tua colpa ma perchè probabilmente sono io a "muovermi"
male in questo genere di argomenti).
"Esse est percipi": ""le cose che percepiamo sono costituite solo ed esclusivamente da (insiemi e successioni di)
percezioni (percezioni reali, non opinioni sulle percezioni!".
Poi: "reali unicamente in quanto tali e non indipendentemente dall' accadere reale delle percezioni".
Poi ancora: "Non sono affatto illusioni (quando realmente accadono), ma realissimi fenomeni (=insieme di apparenze
sensibili); dunque non sono nemmeno cose in sé esistenti indipendentemente dall' accadere delle sensazioni stesse,
dalle quali solo e unicamente sono costituiti, che li costituiscono integralmente ed esaustivamente".
Vuoi dire che qualsiasi pensiero è "reale"? Naturalmente parlo del contenuto di un pensiero, non della mera
attività cerebrale.
Cioè vuoi dire che anche il pensiero dell'ippogrifo è "reale" (oltre il contenuto concreto dei neuroni che si
muovono a seguito di tale pensiero: cioè come pensiero stesso DELL'ippogrifo)?
Bah, non lo so se si possa o meno chiamare "realtà" quella del pensiero dell'ippogrifo, Sotto certi aspetti lo è
senz'altro.
La cosa mi richiama alla mente Platone, il quale diceva ("La battaglia dei giganti"): "cosa c'è di comune fra
un pensiero e una cosa reale, visto che di entrambe si dice che "sono"?
Se questa mia interpretazione fosse nella, diciamo, giusta direzione, allora si aprirebbe non "un", ma "il"
problema per eccellenza di tutta la filosofia: quello dell'Essere (d in effetti, per Berkeley, l'essere è essere-percepito (appunto "esse est percipi").

saluti
(ti pregherei, per mia chiarezza, di procedere per singoli punti)
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: 0xdeadbeef il 14 Luglio 2018, 13:35:33 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 13 Luglio 2018, 19:06:45 PM
Citazione di: sgiombo il 13 Luglio 2018, 17:44:32 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 13 Luglio 2018, 16:20:52 PMAltrimenti dovresti spiegarmi PERCHE' il punto di vista geocentrico si è rivelato FALSO, mentre il punto di vista eliocentrico è VERO, pur essendo entrambi solo dei punti di vista soggettivi?
Se non rispondi alla mia domanda cruciale (che ho marcato in grassetto) che si riferisce a un esempio concreto, giochiamo inutilmente con le parole. E io non ho tempo.


Se la meccanica newtoniana fosse stata "vera" nel senso che tu dai a questo termine (senso che, oltre che tuo, era anche
quello di Kant...), cioè vera oggettivamente, indiscutibilmente e definitivamente (avverbio che ricorre spesso nei tuoi
interventi...), semplicemente, non ci sarebbe stata la teoria della relatività.
Allo stesso identico modo, se la teoria geocentrica, che era scientifica nel senso proprio del termine, fosse stata
oggettivamente, indiscutibilmente e definitivamente vera, la teoria eliocentrica neppure sarebbe stata presa in
considerazione.
E la stessa cosa vale per miriadi di altri esempi (se i salassi con le sanguisughe fossero stati il rimedio definitivo
alle malattie non ci sarebbe la medicina moderna, tanto per farne un altro, di esempi).
La verità è che stai dormendo un "sonno dogmatico" (come ebbe a dire Kant di se stesso quando, su ispirazione di Hume,
cominciò a cambiare prospettiva), e non ne sei consapevole, altro che "domanda cruciale".
Secondo tutta la epistemologia moderna  ("epistemologia", bada bene...) una teoria è scientifica quando è falsificabile,
ovvero quando si presenta già di partenza come confutabile da una teoria ritenuta migliore (più efficace, più "vera" etc.).
Le cose "definitive", continuano gli epistemologi, sono proprie delle Fedi.
saluti (e sogni d'oro)
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 14 Luglio 2018, 14:12:04 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 14 Luglio 2018, 13:35:33 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 13 Luglio 2018, 19:06:45 PM
Citazione di: sgiombo il 13 Luglio 2018, 17:44:32 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 13 Luglio 2018, 16:20:52 PMAltrimenti dovresti spiegarmi PERCHE' il punto di vista geocentrico si è rivelato FALSO, mentre il punto di vista eliocentrico è VERO, pur essendo entrambi solo dei punti di vista soggettivi?
Se non rispondi alla mia domanda cruciale (che ho marcato in grassetto) che si riferisce a un esempio concreto, giochiamo inutilmente con le parole. E io non ho tempo.


Se la meccanica newtoniana fosse stata "vera" nel senso che tu dai a questo termine (senso che, oltre che tuo, era anche
quello di Kant...), cioè vera oggettivamente, indiscutibilmente e definitivamente (avverbio che ricorre spesso nei tuoi
interventi...), semplicemente, non ci sarebbe stata la teoria della relatività.
Allo stesso identico modo, se la teoria geocentrica, che era scientifica nel senso proprio del termine, fosse stata
oggettivamente, indiscutibilmente e definitivamente vera, la teoria eliocentrica neppure sarebbe stata presa in
considerazione.
E la stessa cosa vale per miriadi di altri esempi (se i salassi con le sanguisughe fossero stati il rimedio definitivo
alle malattie non ci sarebbe la medicina moderna, tanto per farne un altro, di esempi).
La verità è che stai dormendo un "sonno dogmatico" (come ebbe a dire Kant di se stesso quando, su ispirazione di Hume,
cominciò a cambiare prospettiva), e non ne sei consapevole, altro che "domanda cruciale".
Secondo tutta la epistemologia moderna  ("epistemologia", bada bene...) una teoria è scientifica quando è falsificabile,
ovvero quando si presenta già di partenza come confutabile da una teoria ritenuta migliore (più efficace, più "vera" etc.).
Le cose "definitive", continuano gli epistemologi, sono proprie delle Fedi.
saluti (e sogni d'oro)

CARLO
Non hai risposto alla mia domanda, come sempre.
Quando avrai risposto, parleremo della relatività e del perché essa NON CONTRADDICE la teoria newtoniana, ma ne limita il dominio di validità.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: 0xdeadbeef il 14 Luglio 2018, 14:38:11 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 14 Luglio 2018, 14:12:04 PM
CARLO
Non hai risposto alla mia domanda, come sempre.
Quando avrai risposto, parleremo della relatività e del perché essa NON CONTRADDICE la teoria newtoniana, ma ne limita il dominio di validità.


Ho risposto eccome (solo che tu, immerso nel sonno, non te ne sei accorto...).
Ti ho detto che per la scienza così come è oggi intesa non c'è una teoria VERA, ma solo una MIGLIORE (ove "migliore" è
necessariamente inteso come "più rispondente al punto di vista dell'osservatore").
Se così non fosse, non è a me che devi rispondere ma ad Einstein ("è la teoria a decidere cosa possiamo osservare").
saluti (e ancora sogni d'oro)
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 14 Luglio 2018, 16:54:16 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 14 Luglio 2018, 14:38:11 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 14 Luglio 2018, 14:12:04 PM
CARLO
Non hai risposto alla mia domanda, come sempre.
Quando avrai risposto, parleremo della relatività e del perché essa NON CONTRADDICE la teoria newtoniana, ma ne limita il dominio di validità.
OX
Ti ho detto che per la scienza così come è oggi intesa non c'è una teoria VERA, ma solo una MIGLIORE (ove "migliore" è
necessariamente inteso come "più rispondente al punto di vista dell'osservatore").

CARLO
Errore! Il geocentrismo è PIU' rispondente al <<punto di vista dell'osservatore>>. Infatti, ognuno di noi vede SOGGETTIVAMENTE girare gli astri intorno alla Terra, non intorno al Sole.
Allora perché il geocentrismo si è rivelato come un punto di vista ERRATO, mentre l'eliocentrismo è CORRETTO, se entrambi sono punti di vista SOGGETTIVI?
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: viator il 14 Luglio 2018, 17:23:30 PM
Salve. Dal mio punto di vista la teoria migliore o la legge scientifica migliore non sono quelle che garantiscono una maggiore soddisfazione soggettiva. Saremo noi che magari troveremo migliori teorie e leggi che meglio soddisfano i nostri - talvolta personali - criteri.
Sempre secondo me esiste un criterio oggettivo che le rende migliori: il fatto che teoria o legge riescano a giustificare (rendere logico e coerente) un MAGGIOR NUMERO DI EVENTI, cioè un maggior numero di effetti (quasi) sicuramente prevedibili al verificarsi di cause costanti.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 15 Luglio 2018, 20:36:23 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 14 Luglio 2018, 09:48:25 AM
Citazione di: sgiombo il 13 Luglio 2018, 08:33:38 AM
Citazione di: 0xdeadbeef il 14 Luglio 2018, 09:48:25 AM"Esse est percipi": ""le cose che percepiamo sono costituite solo ed esclusivamente da (insiemi e successioni di)
percezioni (percezioni reali, non opinioni sulle percezioni!".
Poi: "reali unicamente in quanto tali e non indipendentemente dall' accadere reale delle percezioni".
Poi ancora: "Non sono affatto illusioni (quando realmente accadono), ma realissimi fenomeni (=insieme di apparenze
sensibili); dunque non sono nemmeno cose in sé esistenti indipendentemente dall' accadere delle sensazioni stesse,
dalle quali solo e unicamente sono costituiti, che li costituiscono integralmente ed esaustivamente".
Vuoi dire che qualsiasi pensiero è "reale"? Naturalmente parlo del contenuto di un pensiero, non della mera
attività cerebrale.
Cioè vuoi dire che anche il pensiero dell'ippogrifo è "reale" (oltre il contenuto concreto dei neuroni che si
muovono a seguito di tale pensiero: cioè come pensiero stesso DELL'ippogrifo)?
Bah, non lo so se si possa o meno chiamare "realtà" quella del pensiero dell'ippogrifo, Sotto certi aspetti lo è
senz'altro.
La cosa mi richiama alla mente Platone, il quale diceva ("La battaglia dei giganti"): "cosa c'è di comune fra
un pensiero e una cosa reale, visto che di entrambe si dice che "sono"?
Se questa mia interpretazione fosse nella, diciamo, giusta direzione, allora si aprirebbe non "un", ma "il"
problema per eccellenza di tutta la filosofia: quello dell'Essere (d in effetti, per Berkeley, l'essere è essere-percepito (appunto "esse est percipi").

saluti
(ti pregherei, per mia chiarezza, di procedere per singoli punti)

Il pensiero dell' ippogrifo (posto che realmente accada) é un fatto reale.
Il fatto é che i pensieri sono eventi (reali se realmente accadono, ovviamente) caratterizzati da una importantissima peculiarità che non condividono con nessun altra specie di eventi: quella di "alludere ad altro da essi" (sono pensieri di qualcosa).
Non condivido la concezione fenomenologica dell' "intenzionalità" relativamente ad altri eventi di coscienza come le percezioni o sensazioni in generale -salvo quelle per l' appunto dei pensieri- che a mio parere sono eventi non alludenti ad alcunché d' altro da esse stesse; ma in un certo senso i pensieri, e in particolare i concetti, hanno un oggetto intenzionale da essi diverso; il quale può essere reale, come nel caso del concetto di un cavallo realmente esistente (il quale ultimo del concetto di "cavallo" costituisce la denotazione o estensione reale), oppure può non essere reale -contrariamente al pensiero di esso, come stabilito per ipotesi- come nel caso del concetto di ippogrifo", che ha soltanto -in comune con qualsiasi concetto, anche con quello di cavallo- un significato nel senso di connotazione o intensione "cogitativa" (reale solo in quanto tale) ma non anche alcuna denotazione o estensione reale.

Ma se e quando il pensiero dell'ippogrifo è reale (senza virgolette, come pensiero di un concetto con connotazione o intensione cogitativa ma senza denotazione o estensionereale esso) non coincide con il contenuto concreto dei neuroni che si muovono a seguito di [o meglio: contemporaneamente a] tale pensiero: il pensiero (mio) dell' ippogrifo nell' ambito della mia esperienza fenomenica cosciente**é tutt' altra cosa della constatazione (tua o di altri; nell' ambito delle vostre ee.ff.cc.*) di ciò che accade nel mio cervello, anche se, come dimostrano le neuroscienze, non si dà l' una senza l' altro (almeno potenzialmente: ossia immancabilmente purché si vada ad osservare il mio cervello, direttamente o -preferibilmente per me!- indirettamente per il tramite dell' imaging neurologico funzionale).

Contrariamente a Platone credo esista un enorme differenza fra l' "essere**" di qualcosa che é unicamente puro e semplice "contenuto di pensiero", concetto pensato (con la sua immancabile connotazione o intensione cogitativa) e l' "essere*" di qualcosa che invece é la denotazione o estensione reale (anche se e quando non oggetto di pensiero, indipendentemente dal fatto di esserle pensato o meno) di un concetto pensato (con la sua immancabile connotazione o intensione cogitativa).

Ma dicendo:
"Esse est percipi": le cose che percepiamo sono costituite solo ed esclusivamente da (insiemi e successioni di) percezioni (percezioni reali, non opinioni sulle percezioni!".
Poi: "reali unicamente in quanto tali e non indipendentemente dall' accadere reale delle percezioni".
Poi ancora: "Non sono affatto illusioni (quando realmente accadono), ma realissimi fenomeni (=insieme di apparenze sensibili); dunque non sono nemmeno cose in sé esistenti indipendentemente dall' accadere delle sensazioni stesse, dalle quali solo e unicamente sono costituiti, che li costituiscono integralmente ed esaustivamente".
Non voglio dire che qualsiasi pensiero è "reale", non mi occupo del rapporto fra connotazione o intensione cogitativa ed eventuale denotazione o estensione reale di (delle sensazioni fenomeniche di) concetti pensati, di pensieri.
Intendo invece dire che qualsiasi "cosa" (realmente) sentita (che si tratti di pensieri, concetti con o senza denotazione o estensione reale, sentimenti -in generale res cogitans- oppure di oggetti materiali -res extensa- non fa differenza) é reale solo e unicamente come insieme-successioni di sensazioni (rispettivamente mentali o materiali) nell' ambito di una e.f.c., se e quando e fintanto che tali sensazioni realmente accadono nell' ambito di un' e.f.c.: diversa cosa (se realmente quest' ultima cosa c' é) che la realtà in sé non apparente ai sensi ma solo congetturabile (non fenomeno ma noumeno) che é reale anche quando i fenomeni non lo sono in modo da spiegare certe "puntualità nel ritornare ad essere reali" dei fenomeni; per esempio ciò che c' é anche quando non vedo il solito cedro (id est: il solito credo non c' é, non esiste) e fa sì che nonappena riapro gli occhi lo rivedo (id est: torna ad essere reale, ad esistere) o ciò che c' é anche quando non sento i miei pensieri, ricordi, sentimenti ecc. (id est: la mia mente, il "mio io fenomenico" non c' è; io non ci sono) e fa sì che nonappena ci (ri-) penso risento la mia mente, il "mio io", io stesso (id est: la mia mente, il "mio io fenomenico", io stesso torna ad essere reale).
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 16 Luglio 2018, 02:21:25 AM
Citazione di: sgiombo il 15 Luglio 2018, 20:36:23 PM
"Esse est percipi": le cose che percepiamo sono costituite solo ed esclusivamente da (insiemi e successioni di) percezioni (percezioni reali, non opinioni sulle percezioni!)".



CARLO
E cosa ci dice l'amico Berkeley sulle percezioni illusorie? Quando metti una cannuccia dentro un bicchiere d'acqua, la percepisci come piegata, mentre il suo essere reale è una cannuccia dritta. In tal caso, ciò che è (esse) non è il percipi, ma la nostra idea corretta del percipi. E questo vale per ogni illusione dei sensi (miraggi, moto degli astri, eco acustico, immagini allo specchio, immagini cinematografiche in 3D, ecc.).
Quindi dovremmo correggere la sua "massima" in: <<le cose che percepiamo sono costituite solo ed esclusivamente dalle idee corrette che abbiamo delle nostre percezioni>>.
<<Esse non est percipi, sed iusta idea perceptionis>>

Dico bene?


GALUPPI: Torna in quell'onda chiara, op. La Scusa
https://youtu.be/d4OSqC7fL88?t=826
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 16 Luglio 2018, 08:34:57 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 16 Luglio 2018, 02:21:25 AM
Citazione di: sgiombo il 15 Luglio 2018, 20:36:23 PM
"Esse est percipi": le cose che percepiamo sono costituite solo ed esclusivamente da (insiemi e successioni di) percezioni (percezioni reali, non opinioni sulle percezioni!)".



CARLO
E cosa ci dice l'amico Berkeley sulle percezioni illusorie? Quando metti una cannuccia dentro un bicchiere d'acqua, la percepisci come piegata, mentre il suo essere reale è una cannuccia dritta. In tal caso, ciò che è (esse) non è il percipi, ma la nostra idea corretta del percipi. E questo vale per ogni illusione dei sensi (miraggi, moto degli astri, eco acustico, immagini allo specchio, immagini cinematografiche in 3D, ecc.).
Quindi dovremmo correggere la sua "massima" in: <<le cose che percepiamo sono costituite solo ed esclusivamente dalle idee corrette che abbiamo delle nostre percezioni>>.
<<Esse non est percipi, sed iusta idea perceptionis>>

Dico bene?


GALUPPI: Torna in quell'onda chiara, op. La Scusa
https://youtu.be/d4OSqC7fL88?t=826
CitazioneNo!

Accade realmente la visione del bastone spezzato (intersoggettivamente nelle esperienze fenomeniche di chiunque lo guardi, trattandosi di materia percepita non illusoriamente) reale solo fintanto che lo si vede e solo in quanto insieme - successione di sensazioni (visive).
Poi, ammesso l' indimostrabile (Hume!) divenire ordinato secondo modalità universali e costanti della natura materiale (fenomenica! Sensazioni e basta!), si può dimostrare che se lo si ritira dall' acqua esso appare (sempre fenomenicamente) continuo e rettilineo, non angolato, e che queste sequenze di fenomeni sono costanti secondo quanto descritto dalle leggi dell' ottica e in particolare della rifrazione.

Mentre nel caso delle allucinazioni e sogni si tratta di analoghe sensazioni materiali ma non intesoggettive, non constatabili da chiunque osservi "adeguatamente" (che accadono nelle esperienze fenomeniche coscienti** di osservati quando eventi cerebrali corticali simili a quelli che si hanno in caso di sensazioni non illusorie nelle esperienze fenomeniche coscienti* di osservatori non sono provocati dall' arrivo alle retine di onde elettromagnetiche ma autonomamente, "intrinsecamente" da altri eventi cerebrali).
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 16 Luglio 2018, 10:05:51 AM
Citazione di: sgiombo il 16 Luglio 2018, 08:34:57 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 16 Luglio 2018, 02:21:25 AM
Citazione di: sgiombo il 15 Luglio 2018, 20:36:23 PM
"Esse est percipi": le cose che percepiamo sono costituite solo ed esclusivamente da (insiemi e successioni di) percezioni (percezioni reali, non opinioni sulle percezioni!)".



CARLO
E cosa ci dice l'amico Berkeley sulle percezioni illusorie? Quando metti una cannuccia dentro un bicchiere d'acqua, la percepisci come piegata, mentre il suo essere reale è una cannuccia dritta. In tal caso, ciò che è (esse) non è il percipi, ma la nostra idea corretta del percipi. E questo vale per ogni illusione dei sensi (miraggi, moto degli astri, eco acustico, immagini allo specchio, immagini cinematografiche in 3D, ecc.).
Quindi dovremmo correggere la sua "massima" in: <<le cose che percepiamo sono costituite solo ed esclusivamente dalle idee corrette che abbiamo delle nostre percezioni>>.
<<Esse non est percipi, sed iusta idea perceptionis>>

Dico bene?


GALUPPI: Torna in quell'onda chiara, op. La Scusa
https://youtu.be/d4OSqC7fL88?t=826
CitazioneNo!

Accade realmente la visione del bastone spezzato (intersoggettivamente nelle esperienze fenomeniche di chiunque lo guardi, trattandosi di materia percepita non illusoriamente) reale solo fintanto che lo si vede e solo in quanto insieme - successione di sensazioni (visive).
Poi, ammesso l' indimostrabile (Hume!) divenire ordinato secondo modalità universali e costanti della natura materiale (fenomenica! Sensazioni e basta!), si può dimostrare che se lo si ritira dall' acqua esso appare (sempre fenomenicamente) continuo e rettilineo, non angolato, e che queste sequenze di fenomeni sono costanti secondo quanto descritto dalle leggi dell' ottica e in particolare della rifrazione.

CARLO
Appunto, le due percezioni (dentro/fuori del bicchiere) sono contraddittorie, quindi è l'idea (la ragione) che stabilisce quale delle due è vera.
E ciò è ancor più valido se riferito al passaggio dal geocentrismo all'eliocentrismo, nel quale è stata l'idea (il paradigma eliocentrico comparato col paradigma newtoniano) a stabilire che i moti realmente percepiti erano solo apparenti (non veri) e che erano veri i moti non percepiti. ...Ergo:
<<Esse non est percipi, sed iusta idea perceptionis>>
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 16 Luglio 2018, 19:49:03 PM
No, le due percezioni sono diverse e non affatto contraddittorie (lo sarebbero se si vedesse contemporaneamente il bastone diritto e angolato; parzialmente dentro e/o interamente fuori dell' acqua).

E sono vere tutte le seguenti affermazioni (infatti non reciprocamente contraddittorie ma coerentissime):

Il bastone tutto fuori dall' acqua (o tutto dentro) appare diritto;

Lo stesso bastone, se é parzialmente immerso in acqua, appare angolato (secondo le leggi dell' ottica, in particolare della rifrazione).

L' eliocentrismo, come le scienze naturali in toto, riguarda (parla di) unicamente i fenomeni (materiali) e non affatto la cosa in sé o noumeno (se reale): di questa si occupa casomai la filosofia (ontologia, metafisica; che solo uno sprovveduto -lo dico senza intenzioni offensive- può considerare oziose ciance).

Tutti i moti percepiti e i pensieri percepiti dei moti scientificamente considerati, studiati, conosciuti sono apparenti (fenomeni) per definizione:

"Esse est percipi"! (Anche l' "esse" del pensiero della più o meno giusta, vera, scientifica idea circa il divenire delle percezioni, del sistema solare e di qualsiasi altra cosa empiricamente constatabile).
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 16 Luglio 2018, 22:18:35 PM
Citazione di: sgiombo il 16 Luglio 2018, 19:49:03 PMCARLO
Nel passaggio dal geocentrismo all'eliocentrismo, è stata
l'idea (il paradigma eliocentrico comparato col paradigma newtoniano) a stabilire che i moti realmente percepiti erano solo apparenti (non veri) e che erano veri i moti non percepiti.
...Ergo:
<<Esse non est percipi, sed iusta idea perceptionis>>

SGIOMBO
L' eliocentrismo, come le scienze naturali in toto, riguarda (parla di) unicamente i fenomeni (materiali) e non affatto la cosa in sé o noumeno (se reale): di questa si occupa casomai la filosofia (ontologia, metafisica; che solo uno sprovveduto -lo dico senza intenzioni offensive- può considerare oziose ciance).
Tutti i moti percepiti e i pensieri percepiti dei moti scientificamente considerati, studiati, conosciuti sono apparenti (fenomeni) per definizione:
"Esse est percipi"! (Anche l' "esse" del pensiero della più o meno giusta, vera, scientifica idea circa il divenire delle percezioni, del sistema solare e di qualsiasi altra cosa empiricamente constatabile).
CARLO
Io non ho capito niente di quello che hai scritto. Ma sono certo che la rivoluzione copernicana è stata tale proprio perché ci ha insegnato che a volte le cose sono ben diverse da come noi le percepiamo soggettivamente e che per risalire alla loro oggettività dobbiamo fare uno sforzo di astrazione. Cioè, ci ha insegnato che: <<Esse non est percipi, sed iusta idea perceptionis>>.
La gente comune esprime la stessa saggia idea nel detto: <<Non è oro tutto ciò che luccica>>.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 17 Luglio 2018, 07:02:01 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 16 Luglio 2018, 22:18:35 PM
Citazione di: sgiombo il 16 Luglio 2018, 19:49:03 PMCARLO
Nel passaggio dal geocentrismo all'eliocentrismo, è stata
l'idea (il paradigma eliocentrico comparato col paradigma newtoniano) a stabilire che i moti realmente percepiti erano solo apparenti (non veri) e che erano veri i moti non percepiti.
...Ergo:
<<Esse non est percipi, sed iusta idea perceptionis>>

SGIOMBO
L' eliocentrismo, come le scienze naturali in toto, riguarda (parla di) unicamente i fenomeni (materiali) e non affatto la cosa in sé o noumeno (se reale): di questa si occupa casomai la filosofia (ontologia, metafisica; che solo uno sprovveduto -lo dico senza intenzioni offensive- può considerare oziose ciance).
Tutti i moti percepiti e i pensieri percepiti dei moti scientificamente considerati, studiati, conosciuti sono apparenti (fenomeni) per definizione:
"Esse est percipi"! (Anche l' "esse" del pensiero della più o meno giusta, vera, scientifica idea circa il divenire delle percezioni, del sistema solare e di qualsiasi altra cosa empiricamente constatabile).
CARLO
Io non ho capito niente di quello che hai scritto. Ma sono certo che la rivoluzione copernicana è stata tale proprio perché ci ha insegnato che a volte le cose sono ben diverse da come noi le percepiamo soggettivamente e che per risalire alla loro oggettività dobbiamo fare uno sforzo di astrazione. Cioè, ci ha insegnato che: <<Esse non est percipi, sed iusta idea perceptionis>>.
La gente comune esprime la stessa saggia idea nel detto: <<Non è oro tutto ciò che luccica>>.
CitazioneInfatti senso comune e scienza tendono a conoscere sempre meglio la realtà materiale superando errori e false convinzioni e aggiungendo e perfezionando conoscenza.

Ma -che tu riesca a a capirlo o meno- resta sempre inevitabilmente conoscenza di fenomeni che contrariamente a quelli mentali possono essere postulati (non dimostrati logicamente né tantomeno, per definizione, empiricamente rilevati essere) intersoggettivi, ovvero puntualmente ed univocamente corrispondenti (e non identici, che non avrebbe senso) fra diverse esperienze fenomeniche coscienti soggettive, delle quali interamente fanno parte, che assolutamente non eccedono, non essendo cose in sé reali indipendentemente dal loro "percipi", essendo il oro "esse" un mero "percipi" e nulla più.

Ma a quanto pare a te interessa la scienza (oltre alle fantasie sugli archetipi di Jung ed Evola e a tante altre cose) ma non la critica razionale filosofica della scienza, e dunque non puoi ovviamente capire ciò che non suscita la tua attenzione ...poco (anzi: niente di) male: ognuno del tutto lecitamente e insindacabilmente da parte di chiunque altro coltiva i suoi propri interessi.
...Non ci sarebbe niente di male -invero- se non fosse che spesso e volentieri indulgi ad ingiuriare con epiteti offensivi chi ha interessi diversi dai tuoi
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 17 Luglio 2018, 10:24:49 AM
CARLO
Io non ho capito niente di quello che hai scritto. Ma sono certo che la rivoluzione copernicana è stata tale proprio perché ci ha insegnato che a volte le cose sono ben diverse da come noi le percepiamo soggettivamente e che per risalire alla loro oggettività dobbiamo fare uno sforzo di astrazione. Cioè, ci ha insegnato che: <<Esse non est percipi, sed iusta idea perceptionis>>.
La gente comune esprime la stessa saggia idea nel detto: <<Non è oro tutto ciò che luccica>>.

CitazioneSGIOMBO
Infatti senso comune e scienza tendono a conoscere sempre meglio la realtà materiale superando errori e false convinzioni e aggiungendo e perfezionando conoscenza.
Ma -che tu riesca a a capirlo o meno- resta sempre inevitabilmente conoscenza di fenomeni

CARLO
Che io sappia, la scienza non conosce solo i fenomeni, ma anche l'ORDINE secondo cui certi fenomeni si relazionano tra loro, cioè le LEGGI e i PRINCIPI, i quali pur NON essendo percepiti, rappresentano l'aspetto più importante della conoscenza. Quindi non è vero che la conoscenza è solo conoscenza di fenomeni.

<<La scienza è fatta di dati come una casa di pietre. Ma un ammasso di dati non è scienza più di quanto un mucchio di pietre sia una casa>>. [H. Poincaré: La scienza e l'ipotesi]

SGIOMBO
Ma a quanto pare a te interessa la scienza (oltre alle fantasie sugli archetipi di Jung ed Evola e a tante altre cose) ma non la critica razionale filosofica della scienza,

CARLO
La tua non è critica, ma parole al vento fin quando non prendi atto che le leggi fisiche non sono percepite e che  i moti reali del sistema solare NON SONO quelli percepiti, ma quelli non percepiti, e che dunque il motto "Esse est percipi" non ha nessun valore.

SGIOMBO
...Non ci sarebbe niente di male -invero- se non fosse che spesso e volentieri indulgi ad ingiuriare con epiteti offensivi chi ha interessi diversi dai tuoi

CARLO
Io non ho mai ingiuriato nessuno. Giudicare stupida un'idea, non significa giudicare stupido chi la sostiene.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 17 Luglio 2018, 13:37:49 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 17 Luglio 2018, 10:24:49 AM
CARLO
Io non ho capito niente di quello che hai scritto. Ma sono certo che la rivoluzione copernicana è stata tale proprio perché ci ha insegnato che a volte le cose sono ben diverse da come noi le percepiamo soggettivamente e che per risalire alla loro oggettività dobbiamo fare uno sforzo di astrazione. Cioè, ci ha insegnato che: <<Esse non est percipi, sed iusta idea perceptionis>>.
La gente comune esprime la stessa saggia idea nel detto: <<Non è oro tutto ciò che luccica>>.

CitazioneSGIOMBO
Infatti senso comune e scienza tendono a conoscere sempre meglio la realtà materiale superando errori e false convinzioni e aggiungendo e perfezionando conoscenza.
Ma -che tu riesca a a capirlo o meno- resta sempre inevitabilmente conoscenza di fenomeni

CARLO
Che io sappia, la scienza non conosce solo i fenomeni, ma anche l'ORDINE secondo cui certi fenomeni si relazionano tra loro, cioè le LEGGI e i PRINCIPI, i quali pur NON essendo percepiti, rappresentano l'aspetto più importante della conoscenza. Quindi non è vero che la conoscenza è solo conoscenza di fenomeni.

CitazioneSgiombo:

Ma ci sei o ci fa?

La scienza non conosce nemmeno la totalità dei fenomeni, bensì solamente quelli materiali (ovviamente, come capisce chiunque non voglia deliberatamente impedirsi di capire o far finta di non capire, nel loro divenire ordinato -postulabile ma non dimostrabile né provabile empiricamente: Hume!- secondo modalità o leggi universali e costanti astraibili dai singoli eventi particolari concreti).


<<La scienza è fatta di dati come una casa di pietre. Ma un ammasso di dati non è scienza più di quanto un mucchio di pietre sia una casa>>. [H. Poincaré: La scienza e l'ipotesi]

CitazioneSgiombo:

Ovvio e da me mai negato.


SGIOMBO
Ma a quanto pare a te interessa la scienza (oltre alle fantasie sugli archetipi di Jung ed Evola e a tante altre cose) ma non la critica razionale filosofica della scienza,

CARLO
La tua non è critica, ma parole al vento fin quando non prendi atto che le leggi fisiche non sono percepite e che  i moti reali del sistema solare NON SONO quelli percepiti, ma quelli non percepiti, e che dunque il motto "Esse est percipi" non ha nessun valore.

CitazioneSgiombo:

Balle!
Come ho sempre chiaramente affermato, i: le leggi fisiche sono aspetti generali universali e costanti astratti dai particolari concreti percepiti, che dunque servono a descrivere, conoscere (per l' appunto scientificamente, non aneddotticamente)  ciò che si percepisce, ovvero i fenomeni, il divenire dei fenomeni (nei loro aspetti generali e astratti) ,e nulla hanno a che fare  con le cose in sé o noumeno.

SGIOMBO
...Non ci sarebbe niente di male -invero- se non fosse che spesso e volentieri indulgi ad ingiuriare con epiteti offensivi chi ha interessi diversi dai tuoi

CARLO
Io non ho mai ingiuriato nessuno. Giudicare stupida un'idea, non significa giudicare stupido chi la sostiene.

CitazioneSgiombo:

Ah beh, ma allora per te il sofisma é un habitus mentale che non smetti mai: chi sostiene idee stupide é stupido per lo meno limitatamente a tali idee (per non andarea ricercare -non ne ho proprio voglia-  gli epiteti da te ridicolissimamente e senza senso delle proporzioni affibbiate alla persona di Kant).
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 17 Luglio 2018, 14:56:23 PM
Cit. CARLO
Che io sappia, la scienza non conosce solo i fenomeni, ma anche l'ORDINE secondo cui certi fenomeni si relazionano tra loro, cioè le LEGGI e i PRINCIPI, i quali pur NON essendo percepiti, rappresentano l'aspetto più importante della conoscenza. Quindi non è vero che la conoscenza è "fatta" solo di fenomeni percepiti.

SGIOMBO:
La scienza non conosce nemmeno la totalità dei fenomeni, bensì solamente quelli materiali (ovviamente, come capisce chiunque non voglia deliberatamente impedirsi di capire o far finta di non capire, nel loro divenire ordinato -postulabile ma non dimostrabile né provabile empiricamente: Hume!- secondo modalità o leggi universali e costanti astraibili dai singoli eventi particolari concreti).

CARLO
1 - Noi percepiamo i fenomeni, ma non percepiamo L'ORDINE che li relaziona, il quale è il risultato di una interpretazione corretta. Infatti, i Tolemaici percepivano i moti astrali, ma non l'ordine che li relaziona.
Fin dalle sue origini l'uomo ha percepito girare il sole nel cielo, ma solo quando è diventato abbastanza adulto (4 secoli fa) si è accorto che quella percezione era ingannevole e che la giusta percezione dei moti planetari potremmo averla solo spostandoci dalla Terra al Sole (sempreché non si soffra troppo il caldo).

Cit. SGIOMBO
Ma a quanto pare a te interessa la scienza (oltre alle fantasie sugli archetipi di Jung ed Evola e a tante altre cose) ma non la critica razionale filosofica della scienza,

Cit. CARLO
La tua non è critica, ma parole al vento fin quando non prendi atto che le leggi fisiche non sono percepite e che i moti reali del sistema solare NON SONO quelli percepiti, ma quelli non percepiti, e che dunque il motto "Esse est percipi" non ha nessun valore.

SGIOMBO
Balle! Come ho sempre chiaramente affermato: le leggi fisiche sono aspetti generali universali e costanti astratti dai particolari concreti percepiti,

CARLO
Bravo: ASTRATTI, non concreti, non percepibili come, invece, sono concreti e percepibili i fenomeni. Per risalire alla concretezza (metafisica) delle leggi si devono INTERPRETARE correttamente i fenomeni. E l'interpretazione è un'operazione di pensiero, non la percezione di un fenomeno.

SGIOMBO
...Non ci sarebbe niente di male -invero- se non fosse che spesso e volentieri indulgi ad ingiuriare con epiteti offensivi chi ha interessi diversi dai tuoi

Cit. CARLO
Io non ho mai ingiuriato nessuno. Giudicare stupida un'idea, non significa giudicare stupido chi la sostiene.

SGIOMBO:
Ah beh, ma allora per te il sofisma é un habitus mentale che non smetti mai: chi sostiene idee stupide é stupido per lo meno limitatamente a tali idee.

CARLO

Sofisma è il tuo. Io invece dico che anche la persona più intelligente del mondo può dire qualche stupidaggine. Per me, cioè, stupido è qualcuno che dice sempre (o quasi sempre) stupidaggini.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 17 Luglio 2018, 21:30:50 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 17 Luglio 2018, 14:56:23 PM
CARLO
1 - Noi percepiamo i fenomeni, ma non percepiamo L'ORDINE che li relaziona, il quale è il risultato di una interpretazione corretta. Infatti, i Tolemaici percepivano i moti astrali, ma non l'ordine che li relaziona.
Fin dalle sue origini l'uomo ha percepito girare il sole nel cielo, ma solo quando è diventato abbastanza adulto (4 secoli fa) si è accorto che quella percezione era ingannevole e che la giusta percezione dei moti planetari potremmo averla solo spostandoci dalla Terra al Sole (sempreché non si soffra troppo il caldo).

CitazioneSgiombo:
A questo punto sono decisamente propenso a credere che ci fai, dal momento che continui ad arrampicarti sugli specchi con contorsioni verbali per pretendere (invano) di non ammettere che le scienze naturali possono conoscere solo parte dei fenomeni (quella materiale) e non le cose in sé (questo ammettendo che tu sia in grado di comprendere il concetto di "cosa in sé", del che a questo punto dubito assai; e allora vorrebbe dire che "ci" sei -senza offesa, come mera constatazione di fatto priva di considerazioni valoriali- incapace di comprendere).

Le leggi generali universali e costanti del divenire ordinato dei fenomeni non  sono che aspetti dei fenomeni stessi e non affatto cose in sé esistenti indipendentemente dalle sensazioni fenomeniche (anche se capziosamente, con puerili sofismi che non dimostrano affatto che si tratti di cose in sé come pretenderesti, le distingui dai fenomeni particolari concreti nei quali sono osservate, rilevate: bella scoperta! Che c' entra come i cavoli a merenda! Che non dimostra per nulla che no si tratti di sensazioni o fenomeni).

Dando fondo agli ultimi rimasugli della mia pazienza ripeto che il sistema solare, conosciuto meno veracemente dalla teoria tolemaica (e la cosa varrebbe anche ammesso e non concesso che essa fosse integralmente falsa senza nulla di vero: conosciuto falsamente in questo caso non reale) e più veracemente da quella copernicana é comunque un'unica cosa fenomenica (e nessuna delle due teorie ovviamente tratta di cose in sé, reali anche se e quando non accadono sensazioni fenomeniche).


CARLO
Bravo: ASTRATTI, non concreti, non percepibili come, invece, sono concreti e percepibili i fenomeni. Per risalire alla concretezza (metafisica) delle leggi si devono INTERPRETARE correttamente i fenomeni. E l'interpretazione è un'operazione di pensiero, non la percezione di un fenomeno.

CitazioneGuarda che gli aspetti astratti, universali e costanti dei fenomeni sono percepiti eccome; si astraggono dal divenire delle concrete sensazioni fenomeniche aspetti generali (postulati indimostrabilmente essere: Hume!") universali e costanti in esse ben presenti!
D essi per nulla esulanti!
Per niente in sé!

SGIOMBO:
Ah beh, ma allora per te il sofisma é un habitus mentale che non smetti mai: chi sostiene idee stupide é stupido per lo meno limitatamente a tali idee.

CARLO

Sofisma è il tuo. Io invece dico che anche la persona più intelligente del mondo può dire qualche stupidaggine. Per me, cioè, stupido è qualcuno che dice sempre (o quasi sempre) stupidaggini.
CitazioneInfatti che epiteti hai usato per una delle persone più intelligenti di sempre, Immanuel Kant?
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 17 Luglio 2018, 22:24:26 PM
Cit. CARLO
Bravo: ASTRATTI, non concreti, non percepibili come, invece, sono concreti e percepibili i fenomeni. Per risalire alla concretezza (metafisica) delle leggi si devono INTERPRETAREcorrettamente i fenomeni. E l'interpretazione è un'operazione di pensiero, non la percezione di un fenomeno.
CitazioneGuarda che gli aspetti astratti, universali e costanti dei fenomeni sono percepiti eccome; si astraggono dal divenire delle concrete sensazioni fenomeniche aspetti generali (postulati indimostrabilmente essere: Hume!") universali e costanti in esse ben presenti!
D essi per nulla esulanti!
Per niente in sé!
CARLO
La risposta a queste sciocchezze (sciocchezze dette da una persona peraltro intelligente  :) ) l'hai tagliata, quindi per non ripetermi te la copio-incollo, perché non ne esistono di migliori:

I Tolemaici percepivano i moti astrali, ma non l'ordine che li relaziona.
Fin dalle sue origini l'uomo ha percepito girare il sole nel cielo, ma solo quando è diventato abbastanza adulto (4 secoli fa) si è accorto che quella percezione era ingannevole e che la giusta percezione dei moti planetari potremmo averla solo spostandoci dalla Terra al Sole (sempreché non si soffra troppo il caldo).
Ergo: <<Esse non est percipi, sed iusta perceptio>>.
E qui chiudo il discorso, perché se rifiuti di confrontarti con la realtà pur di sostenere un'idea errata, io non posso mica mandarti al rogo! (...Bei tempi quelli!!  :) ).    https://youtu.be/x-zuD1D56L0?t=656

CARLO
Io invece dico che anche la persona più intelligente del mondo può dire qualche stupidaggine. Per me, cioè, stupido è qualcuno che dice sempre (o quasi sempre) stupidaggini.
CitazioneInfatti che epiteti hai usato per una delle persone più intelligenti di sempre, Immanuel Kant?

CARLO
Beh, ma Kant abusa!! ...Ecco, lui sì che rientra nella categoria suddetta. E' come un orologio fermo: ci azzecca ogni dodici ore!  :)
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 18 Luglio 2018, 08:11:04 AM
Senti, Carlo Pieni, mi sono proprio stufato di riscrivere  infinite volte le stesse cose che o non capisci o fai finta di non capire (o un po' l' una un po' l' altra cosa): ho di molto meglio da fare..

Alle tue ultime obiezioni (sempre le stesse) ho già ampiamente e più che esaurientemente risposto nei precedenti interventi.
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: Carlo Pierini il 18 Luglio 2018, 19:13:36 PM
Citazione di: sgiombo il 18 Luglio 2018, 08:11:04 AM
Senti, Carlo Pieni, mi sono proprio stufato di riscrivere  infinite volte le stesse cose che o non capisci o fai finta di non capire (o un po' l' una un po' l' altra cosa): ho di molto meglio da fare..

Alle tue ultime obiezioni (sempre le stesse) ho già ampiamente e più che esaurientemente risposto nei precedenti interventi.

CARLO
La tua idea di "dualismo parallelismo" si adatta a noi due, non alla coppia mente cervello. Siamo noi due che viaggiamo su due rotaie parallele senza incontrarci mai! 
...Beh, lo vedi? Abbiamo trovato l'oggetto perfetto della tua teoria, per quanto l'"entità in sé" non trovi una sua collocazione nemmeno nel nostro caso. ...Del resto, cosa vuoi farci? ...Questo è il destino di tutte le "supercazzole"!  :)
Titolo: Re:La "cosa in sé": una truffa filosofica a scopo di lucro.
Inserito da: sgiombo il 18 Luglio 2018, 20:51:58 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 18 Luglio 2018, 19:13:36 PM
Citazione di: sgiombo il 18 Luglio 2018, 08:11:04 AM
Senti, Carlo Pieni, mi sono proprio stufato di riscrivere  infinite volte le stesse cose che o non capisci o fai finta di non capire (o un po' l' una un po' l' altra cosa): ho di molto meglio da fare..

Alle tue ultime obiezioni (sempre le stesse) ho già ampiamente e più che esaurientemente risposto nei precedenti interventi.

CARLO
La tua idea di "dualismo parallelismo" si adatta a noi due, non alla coppia mente cervello. Siamo noi due che viaggiamo su due rotaie parallele senza incontrarci mai!
...Beh, lo vedi? Abbiamo trovato l'oggetto perfetto della tua teoria, per quanto l'"entità in sé" non trovi una sua collocazione nemmeno nel nostro caso. ...Del resto, cosa vuoi farci? ...Questo è il destino di tutte le "supercazzole"!  :)
CitazioneSgiombo:

X Carlo Pierini

Non sono disposto a perdere ulteriormente tempo per cercare vanamente di farti capite ciò che evidentemente, ripetendo le stesse obiezioni a cui ho già risposto innumerevoli volte come se niente fosse, non sei in grado di capire.

stammi bene!