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LOGOS - Argomenti => Tematiche Filosofiche => Discussione aperta da: Ingordigia il 12 Giugno 2017, 14:44:04 PM

Titolo: La domanda ontologica
Inserito da: Ingordigia il 12 Giugno 2017, 14:44:04 PM
Per Heidegger la domanda "Perchè vi è ,in generale ,l'essente e non il nulla" non è un semplice accadimento , ma è un evento .
Quale è la vostra interpretazione riguardo tale affermazione?
Titolo: Re:La domanda ontologica
Inserito da: sgiombo il 12 Giugno 2017, 15:37:08 PM
Bisognerebbe che qualcuno che lo consce ci (o almeno mi) spieghi la differenza per Heidegger fra "accadimento" ed "evento" (sia pur "semplice"), che nel linguaggio comune sono sinonimi pressocché perfetti.
Titolo: Re:La domanda ontologica
Inserito da: Ingordigia il 12 Giugno 2017, 15:58:53 PM
Per ora so che vi è questa relazione . La domanda che sopra ho scritto (che quindi è riferita al concetto di evento) , è una domanda particolare , perchè l'oggetto di tale domanda influenza la domanda stessa , in un circolo in apparenza insolubile . Questo circolo può essere sciolto ? se sì in che modo ?
Titolo: Re:La domanda ontologica
Inserito da: lorenzo il 13 Giugno 2017, 09:28:52 AM
Boh, scrivi come un heideggeriano, cioè non si capisce (o, almeno, io non capisco) 'na mazza.
La domanda sarebbe riferita al concetto di evento che, si badi, non è un accadimento.
Già, da Sgiombo, te ne è stata chiesta la differenza ma tu rilanci col circolo in apparenza insolubile.
Hai provato con l'acido muriatico?
Ciao.
Titolo: Re:La domanda ontologica
Inserito da: Ingordigia il 13 Giugno 2017, 13:59:56 PM
Ho chiesto semplicemente la differenza tra evento e accadimento , perchè io non l'ho compresa
Titolo: Re:La domanda ontologica
Inserito da: lorenzo il 13 Giugno 2017, 22:13:51 PM
Da una veloce ricerca:
Essere: 'Perché vi è, in generale, l'essente e non il nulla?'. E' questa, spiega Heidegger in Saggi e discorsi, la domanda metafisica fondamentale. E la domanda sul perché diventa la domanda sul 'perché il perché': è la questione che fa fare il salto (Sprung) 'mediante il quale l'uomo abbandona ogni anteriore sicurezza, vera o presunta, nei riguardi del proprio essere'. Ciò che viene domandato 'si ripercuote sul domandare stesso'. Questo domandare, argomenta Heidegger, non è un 'fatto qualunque', ma 'un accadimento peculiare, ciò che noi chiamiamo 'evento' (Geschehnis: poi la parola tedesca diventerà Ereignis). Non va inteso come qualcosa di mistico, settario o epifanico, come una rivelazione, ma proprio come un fatto storico, quello che caratterizza la storia e il corso del pensiero occidentale.
http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2015/02/08/capire-heidegger-glossario-essenziale_6c849275-08a9-4cdd-9791-15b25b430ee1.html

Die Grundfrage der Metaphysik (La domanda metafisica fondamentale). Nelle lezioni riportate in questo capitolo [di Introduzione alla Metafisica] Heidegger intende rispondere alla domanda perché vi è l'"ente" piuttosto che il "nulla" (Warum ist überhaupt Seiendes und nicht vielmehr Nichts?), intendendo come "ente" (Seiendes, anche tradotto come "essente") ciò che nella cultura greca veniva indicato come φύσις (phýsis). Tale domandare non è un fatto qualunque ma un accadimento particolare, accadimento che Heidegger indica come "evento" ("Geschehnis": Dieses Fragen ist deshalb in sich kein beliebiger Vorgang, sondern ein ausgezeichnetes Vorkommnis, das wir ein Geschehnis nennen). Tale domanda sul "perché", come le altre in essa radicate e in cui essa stessa si svolge, non è paragonabile a nessun'altra domanda (Diese Frage und alle in ihr unmittelbar verwurzelten Fragen, in denen diese eine sich entfaltet, diese Warumfrage ist gegenüber jeder anderen unvergleichlich.).
https://it.wikipedia.org/wiki/Introduzione_alla_metafisica

Poi su https://independent.academia.edu/AndreaBrocchieri
c'è un articolo di Andrea Brocchieri "Evento: Heidegger, Heisemberg e Parmenide" che non ho letto.
Ciao.
Titolo: Re:La domanda ontologica
Inserito da: sgiombo il 14 Giugno 2017, 15:18:42 PM
Quindi, se ben capisco (ma Lorenzo stesso ha scritto poco sopra: "Boh, scrivi come un heideggeriano, cioè non si capisce (o, almeno, io non capisco) 'na mazza'", e personalmente per lo meno non mi sento molto distante da un tale apprezzamento), il porsi questa domanda é per Heidegger l' evento che fa da inizio alla cultura occidentale (per questo peculiare fra qualsiasi altro accadimento o evento che dir si voglia).

Strano, dal momento che non mi risulta vi sia documentazione del fatto che qualcuno (chi?) per primo in occidente se la sia posta, di questo "fatto storico, quello che caratterizza la storia e il corso del pensiero occidentale" (come credo sarebbe inevitabile se effettivamente si trattasse di un evento letteralmente "epocale", quello da cui avrebbe appunto preso il via l' epoca della cultura occidentale, quello che segnerebbe il passaggio dalla barbarie alla civiltà in occidente).

A me personalmente (ma potrei certamente sbagliarmi) risulterebbe che il primo di cui sia documentato che se la sia posta (ma certamente non il primo che se la sia posta!) esplicitamente, anche se in termini più comprensibili o "meno heideggeriani", per esempio senza ricorrere al concetto di "essente" ma solo a quello semplice e chiaro di "qualcosa (di reale)", sia stato Leibniz.

A me personalmente sembra che questa domanda sia in generale e a tutte le latitudini (o meglio, più letteralmente, a tutte le longitudini) molto più modestamente il punto di partenza del senso critico, quella che ogni uomo che ne sia dotato si pone allorché comincia a ragionare su se stesso, la sua vita, ciò che é il caso di farne o meno (a me é successo durante la scuola elementare; penso di essere stato piuttosto precoce in proposito).
Titolo: Re:La domanda ontologica
Inserito da: paul11 il 14 Giugno 2017, 23:44:04 PM
Heidegger personalmente è interessante come ruolo centrale della cultura filosofica da un secolo a questa parte.
E' fondamentale la problematizzazione che passando da Nietzsche arriva ad Heidegger e anche in Severino, con letture di ognuna originali e diverse, a volte simili a volte contrapposte.
Il Nulla, è il Nichilismo dell'Occidente culturale che viene imputato alla divisione di Platone che sposta, la verità, l'episteme e quindi l'Essere nel mondo delle idee, separandolo dall'esistenza.
L'Essere è quindi statico e "soggettità"(termine tradotto hiedeggeriano) sprofondato nel Nulla, per cui la storia dell'uomo occidentale percorre l il Nichilismo in cui dalla contraddizione emerge il dispositivo della tecnica(Gestell).
Purtoppo taglio corto, ma è centrale per capire come la metafisica antica vine interpretata dai moderni e contemporanei ed è lungo e interessantissimo........

Quindi, vi è l'essente, l'ente che si manifesta ,si svela e non quel Nulla che porta la Nichilismo, ed è un evento (Ereignis) in quanto L'Essere(come ente privilegiato in quanto autoconsapevole) entra nell'Esistenza dinamicamente, nell'orizzonte della storia.
Titolo: Re:La domanda ontologica
Inserito da: maral il 22 Giugno 2017, 19:51:26 PM
Severino è abbastanza chiaro in materia. E' solo il pensiero greco che giunge a concepire il nulla 'assolutamente nulla) come esistente e lo fa attraverso la concezione dell'Essere parmenideo, posto in evidenza totalmente astratta. Da qui nasce il modo di pensare dell'Occidente, in ragione del quale l'Essere e dunque gli Enti (e non il Nulla) risultano problematici ed è appunto da questa problematicità che scaturisce la domanda sul perché degli Enti. La domanda in questione è dunque l'evento fondamentale che determina la differenza che rende unico il pensiero dell'Occidente per il quale gli Enti   sorgono e tramontano nel Nulla assoluto che ne costituisce la matrice originaria e terminale con tutte le conseguenze che da questo derivano. In tal senso la questione posta è pertanto un evento storico della massima portata che segna l'inizio del pensiero filosofico come tentativo di dare ragione dell'esistenza degli enti.
Titolo: Re:La domanda ontologica
Inserito da: sgiombo il 22 Giugno 2017, 21:49:44 PM
Citazione di: maral il 22 Giugno 2017, 19:51:26 PM
Severino è abbastanza chiaro in materia. E' solo il pensiero greco che giunge a concepire il nulla 'assolutamente nulla) come esistente e lo fa attraverso la concezione dell'Essere parmenideo, posto in evidenza totalmente astratta. Da qui nasce il modo di pensare dell'Occidente, in ragione del quale l'Essere e dunque gli Enti (e non il Nulla) risultano problematici ed è appunto da questa problematicità che scaturisce la domanda sul perché degli Enti. La domanda in questione è dunque l'evento fondamentale che determina la differenza che rende unico il pensiero dell'Occidente per il quale gli Enti   sorgono e tramontano nel Nulla assoluto che ne costituisce la matrice originaria e terminale con tutte le conseguenze che da questo derivano. In tal senso la questione posta è pertanto un evento storico della massima portata che segna l'inizio del pensiero filosofico come tentativo di dare ragione dell'esistenza degli enti.
CitazioneMa in che senso si può parlare indiscriminatamente di "pensiero occidentale"?

La cultura occidentale (come credo ogni altra) contiene "di tutto e di più": per restare solo ai "primordi" Parmenide ed Eraclito, Platone e Democrito, per arrivare a tempi più recenti Marx e Nietzche, Darwin e Freud.

Fra l' altro ne é una componente assai "corposa" (non da tutti giustamente apprezzata e razionalmente criticata, spesso irrazionalisticamente liquidata o altrettanto irrazionalisticamente sopravvalutata) la scienza moderna, per la quale nulla si crea dal nulla, nulla svanisce nel nulla, ma tutto si trasforma in "qualcosaltro" secondo proporzioni universali e costanti.
Titolo: Re:La domanda ontologica
Inserito da: maral il 24 Giugno 2017, 22:50:08 PM
Credo si possa parlare di pensiero occidentale come di quel pensiero che abbandona le immagini originarie del mito tentando di trovare nel proprio formalismo logico la propria consistenza di fondo e questo formalismo non può fare appello che al principio di non contraddizione (laddove il pensiero mitico non se ne cura minimamente). Il pensiero occidentale, attraverso le sue categorizzazioni, realizza quindi al massimo grado la potenza dell'astratto e al contempo la sua stessa contraddizione, giacché la potenza dell'astrazione si trova continuamente a dover affrontare quel concreto che nell'istante continuamente ci accade in termini non razionalmente riducibili, non semplicemente calcolabili.
Titolo: Re:La domanda ontologica
Inserito da: sgiombo il 25 Giugno 2017, 11:14:38 AM
Ho due motivi di dissenso (che espongo senza la pretesa di convincere nessuno ma per indurre chi la pensa diversamente da me a rifletterci su, come reciprocamente cerco di fare da parte mia; anche perché non si tratta di un problema matematico risolvibile con operazioni algebriche dal risultato certo e inequivoco, ma di cercare di interpretare e comprendere al meglio questioni non quantificabili).

Il primo é che secondo me la tendenza all' acquisizione e alla pratica della razionalità e al superamento di credenze "istintive", immediatamente e semplicisticamente e poco criticamente suggerite dalle esperienze vissute e sancite e in varia misura "sacralizzate" dalla tradizione é una tendenza umana universale, ovviamente non incontrastata da altre tendenze, che a seconda delle diverse circostanze ambientali opera più o meno efficacemente e precocemente nel tempo storico presso tutti i gruppi umani, le aggregazioni sociali, le civiltà o culture.
Sono convinto che per quanto non sia rimasto storicamente documentato anche altrove prima che in Grecia (in Egitto, Mesopotamia, Fenicia e in tanti altri luoghi di diverse longitudini), per una caratteristica comportamentale universalmente umana, raggiunto un determinato limite di sviluppo civile ed economico, domande filosofiche siano state poste e si sia cercato di rispondervi; che le credenze acriticamente ereditate dalle rispettive tradizioni abbiano cominciato ad essere sottoposte al vaglio critico della ragione e della razionalità.
E pur non conoscendo purtroppo minimamente le culture orientali, tuttavia da quanto ne sento dire nel forum da persone competenti in materia (segnatamente Sariputra) mi sembra che la ricerca razionale della verità e del giusto agire pratico nella vita abbia caratterizzato e caratterizzi non secondariamente anche tali esperienze di sviluppo civile.

Il secondo é che ritengo astratto e concreto nella conoscenza umana (così come razionalità e sentimenti nel nostro comportamento) non elementi contraddittori e reciprocamente incompatibili, escludentisi l' un l' altro, bensì complementari e reciprocamente integrabili (e "integrandi"; anche se spesso non senza difficoltà).
E lo stesso credo circa i rapporti fra ciò che é razionale e ciò che é sentimentale, e fra ciò che é misurabile - calcolabile ("la materia") e ciò che non é misurabile ma al massimo vagamente "ponderabile" (lo "spirito", o meglio, a mio parere, il pensiero e l' "interiorità", anche non razionale).
Titolo: Re:La domanda ontologica
Inserito da: paul11 il 25 Giugno 2017, 12:20:55 PM
Non so se la razionalità sia in antitesi con il linguaggio del mito  e quindi che la razionalità sia una progressione naturale nell'argomentazione. Duemila anni dopo avviene un terremoto culturale sulle forme razionali iniziate dalla filosofia greca.

la cultura occidentale nasce dal passaggio della tradizione orale nella scrittura e in Grecia avviine sul finire del quinto secolo e inizio quarto secolo avanti Cristo.
Il passaggio della triade maestro discepolo ,vale adire Socrate- Platone- Aristotele è esemplare.
Socrate rifiuta la scrittura è per l'oralità dialettica. Platone si trova ne tempi dei sofisti e il modo di scrivere di questi ultimi non è nella forma del dialogo,cosa che invece Platone accetta ancora come emulo nella scrittura della dialogia socratica. Aristotele è addirittura quasi in antitesi con Socrate, è ormai dentro nel tempo della scrittura.

I diversi atteggiamenti e gli scritti pervenuteci grazie ad appunti dei discepoli è proprio che nella scrittura finisce il tempo del  MAESTRO.
La scrittuua separa il testo dall'autore rispetto achi legge magari in perfetta solitudine.Se la scrittura è una comodità, è una memoria fondamentale su cui si basa la scienza storica è altrettanto vero che si perde il contatto fisco del dialogo e quindi mutano le forme della conoscenza.
Un testo in fondo è un monologo ininterrotto dalla domande di discepoli e qiusto diventerà, l'esercizio retorico quindi della persuasione in quanto l'autore non c'è fisicamente.

Tant'è che i primi testi scritti nelle diverse tradizioni, un esempio lampante è il Vangelo che Gesù non scrive, ma lascia a quattro evangelisti, come Socrate per Platone, la narrazione con dialoghi utilizzando la parabole che n fondo è un linguaggio nella metafora.

Quindi i primi testi scritti sono ancora nel dialogo fra maestro e discepolo e d è tipico nelle diverse tradizioni condensare le scienze antiche trasmesse oralmente in un qualcosa, il libro, che rimane che è memoria "fisica", ma si perde il contatto fisco fra maestri e discepoli e mutano quind le forme linguistiche.
Non a caso Platone è lo spartiacque fra il linguaggio del mito e quello filosofico

Se Platone diventa il capro espiatorio come iniziatore della cultura dell'occidente per Nietzsche ed Heidegger, dove il primo lo interpreta come figura morale, il secondo come astrazione del'Essere, Severino è di tutt'altro avviso, la filosofia greca  si fonderà sulla manifestazione degli enti e sulla nuova "sacralità" del divenire che è in antitesi sulle regole logiche:un ente non può manifestarsi dal nulla e sparire nel nulla dentro un divenire.
Quindi Severino critica anche Nietzsche ed Heidegger.

E' tutto dire quindi che la cultura occidentale sia più razionale se si sposano le tesi severiniane
Titolo: Re:La domanda ontologica
Inserito da: sgiombo il 25 Giugno 2017, 15:54:46 PM
Citazione di: paul11 il 25 Giugno 2017, 12:20:55 PM
Non so se la razionalità sia in antitesi con il linguaggio del mito  e quindi che la razionalità sia una progressione naturale nell'argomentazione. Duemila anni dopo avviene un terremoto culturale sulle forme razionali iniziate dalla filosofia greca.

la cultura occidentale nasce dal passaggio della tradizione orale nella scrittura e in Grecia avviine sul finire del quinto secolo e inizio quarto secolo avanti Cristo.
Il passaggio della triade maestro discepolo ,vale adire Socrate- Platone- Aristotele è esemplare.
Socrate rifiuta la scrittura è per l'oralità dialettica. Platone si trova ne tempi dei sofisti e il modo di scrivere di questi ultimi non è nella forma del dialogo,cosa che invece Platone accetta ancora come emulo nella scrittura della dialogia socratica. Aristotele è addirittura quasi in antitesi con Socrate, è ormai dentro nel tempo della scrittura.

I diversi atteggiamenti e gli scritti pervenuteci grazie ad appunti dei discepoli è proprio che nella scrittura finisce il tempo del  MAESTRO.
La scrittuua separa il testo dall'autore rispetto achi legge magari in perfetta solitudine.Se la scrittura è una comodità, è una memoria fondamentale su cui si basa la scienza storica è altrettanto vero che si perde il contatto fisco del dialogo e quindi mutano le forme della conoscenza.
Un testo in fondo è un monologo ininterrotto dalla domande di discepoli e qiusto diventerà, l'esercizio retorico quindi della persuasione in quanto l'autore non c'è fisicamente.

Tant'è che i primi testi scritti nelle diverse tradizioni, un esempio lampante è il Vangelo che Gesù non scrive, ma lascia a quattro evangelisti, come Socrate per Platone, la narrazione con dialoghi utilizzando la parabole che n fondo è un linguaggio nella metafora.

Quindi i primi testi scritti sono ancora nel dialogo fra maestro e discepolo e d è tipico nelle diverse tradizioni condensare le scienze antiche trasmesse oralmente in un qualcosa, il libro, che rimane che è memoria "fisica", ma si perde il contatto fisco fra maestri e discepoli e mutano quind le forme linguistiche.
Non a caso Platone è lo spartiacque fra il linguaggio del mito e quello filosofico

Se Platone diventa il capro espiatorio come iniziatore della cultura dell'occidente per Nietzsche ed Heidegger, dove il primo lo interpreta come figura morale, il secondo come astrazione del'Essere, Severino è di tutt'altro avviso, la filosofia greca  si fonderà sulla manifestazione degli enti e sulla nuova "sacralità" del divenire che è in antitesi sulle regole logiche:un ente non può manifestarsi dal nulla e sparire nel nulla dentro un divenire.
Quindi Severino critica anche Nietzsche ed Heidegger.

E' tutto dire quindi che la cultura occidentale sia più razionale se si sposano le tesi severiniane
CitazioneComincio col dire che non ho nessuna intenzione di sposare le tesi severiniane.
Piuttosto preferirei restare scapolo (condizione che, come credo sappia ogni uomo e forse anche donna sposato/a da qualche anno e a volte da qualche mese, ha -anche, non solo- i suoi vantaggi inestimabili e spesso difficilmente recuperabli).

Inoltre non credo che la scrittura impedisca il dialogo orale; almeno non necessariamente, mentre di certo comporta il vantaggio di allargare moltissimo nello spazio e nel tempo la possibilità di un confronto di idee, di un loro perfezionamento, di una diffusione delle migliori (anche delle peggiori, certo; ma se uno é ottimista crede che alla fine le idee migliori "giochino in vantaggio" contro quelle peggiori).
I maestri che scrivono libri spesso hanno anche rapporti diretti di conversazione e dialogo con loro discepoli e con qualcuno dei loro lettori e partecipano a congressi e a discussioni pubbliche e private.
Moltissimi libri di scienza e di filosofia hanno una pagina di "ringraziamenti" in cui si segnalano non solo le letture, ma anche le discussioni orali e irapporti personali che hanno contribuito allo sviluppo delle tesi esposte.
Titolo: Re:La domanda ontologica
Inserito da: maral il 25 Giugno 2017, 18:11:02 PM
Citazione
Citazione di: sgiombo il 25 Giugno 2017, 11:14:38 AM
Ho due motivi di dissenso (che espongo senza la pretesa di convincere nessuno ma per indurre chi la pensa diversamente da me a rifletterci su, come reciprocamente cerco di fare da parte mia; anche perché non si tratta di un problema matematico risolvibile con operazioni algebriche dal risultato certo e inequivoco, ma di cercare di interpretare e comprendere al meglio questioni non quantificabili).

Il primo é che secondo me la tendenza all' acquisizione e alla pratica della razionalità e al superamento di credenze "istintive", immediatamente e semplicisticamente e poco criticamente suggerite dalle esperienze vissute e sancite e in varia misura "sacralizzate" dalla tradizione é una tendenza umana universale, ovviamente non incontrastata da altre tendenze, che a seconda delle diverse circostanze ambientali opera più o meno efficacemente e precocemente nel tempo storico presso tutti i gruppi umani, le aggregazioni sociali, le civiltà o culture.

Non so se si tratta di una tendenza umana universale o non piuttosto di una possibilità con i suoi pregi e difetti che può o meno realizzarsi nelle culture umane e che si è realizzata per la prima (e forse unica) volta in Grecia. Questo non significa che il pensiero mitico non possa essere rielaborato razionalmente e assumere forme particolarmente elevate di significato, ma che il punto (l'irrazionale) da cui si parte è diverso. Il pensiero occidentale (ossia quello che nasce in Grecia, ancor prima di Platone, già con Parmenide, Eraclito, se non addirittura con Anassimandro e Talete), ha come scopo la verità epistemica a partire dalla sua autofondatezza che si palesa nel discorso liberamente praticabile da chiunque nella comunità e non dalla rivelazione esoterica del Dio che ripone la sua validità nel tramandarsi della tradizione. Ovviamente le due cose, soprattutto all'inizio possono sicuramente coesistere, lo stesso Platone riconosce il ruolo fondamentale della evocazione della presenza divina per la fondazione e il mantenimento della comunità secondo giustezza, ma via via il discorso si rende sempre più libero dalle sue ascendenze mitiche per farsi pubblico e sempre più essoterico, quindi chiaramente condivisibile. Con il cristianesimo e la crisi del mondo classico si assiste a un ritorno della dimensione mitica dall'Oriente, sia pure in forma diversa da quella originale, ossia in una forma fondamentalmente teleologica che non apparteneva al pensiero greco e che costituisce la base su cui si impernierà la visione escatologica del destino dell'uomo (visione presente solo nel pensiero occidentale, laddove per il greco non vi era alcuna idea di progresso) e sulla quale si impernia la stessa concezione scientifica del mondo e la convinzione di un progresso dei saperi e dell'umanità. Tutto questo appartiene alla storia dell'Occidente, al modo di pensare dell'Occidente che è oggi di nuovo entrato in crisi e Nietzsche ed Heidegger, richiamati da Paul, sono elementi di questa crisi del pensiero occidentale. Il prodotto finale del pensiero dell'Occidente, il culmine della sua metafisica, resta il pensiero tecnico scientifico, di fatto dominante nel mondo intero, ma che non consente più di pensare la verità come episteme se pure consente di pensare.

CitazioneIl secondo é che ritengo astratto e concreto nella conoscenza umana (così come razionalità e sentimenti nel nostro comportamento) non elementi contraddittori e reciprocamente incompatibili, escludentisi l' un l' altro, bensì complementari e reciprocamente integrabili (e "integrandi"; anche se spesso non senza difficoltà).
E lo stesso credo circa i rapporti fra ciò che é razionale e ciò che é sentimentale, e fra ciò che é misurabile - calcolabile ("la materia") e ciò che non é misurabile ma al massimo vagamente "ponderabile" (lo "spirito", o meglio, a mio parere, il pensiero e l' "interiorità", anche non razionale).
Direi che come tutti gli elementi che si presentano in contraddizione, proprio nella loro contraddizione possono trovare una complementarietà che permette di superare la contraddizione. Il punto è vedere e soprattutto praticare questa complementarietà.

Per quanto riguarda il discorso sulla scrittura è molto interessante, perché proprio in Occidente e di nuovo in Grecia, la scrittura diventò il mezzo per riprodurre il racconto orale, ossia diventò fondamentalmente scrittura del fonema ove il grafema si riduce a segno grafico del fonema, perdendo tutta la propria potenza di evocazione simbolica grafica (ancora presente ad esempio nel geroglifico e nell'ideogramma) e quindi ogni aspetto sacrale.
Titolo: Re:La domanda ontologica
Inserito da: paul11 il 25 Giugno 2017, 22:09:33 PM
Quando si attualizza , si traducono con i canoni moderni le forme antiche si fanno spesso disastri.
Questo lo scooerto nei testi sacri prima, nelle traduzioni moderniste, nelle trasposizioni con un criterio più razionale, questa sarebbe la pretesa di scientificità. 
Platone e la cultura greca vive nell'epoca del passaggio ddalla tradizione orale a quella della scrittura.
Oggi vivuamo nell'epoca che passerà dalla scrittura all'immagine. 
Come può un pensatore ritenere di portare un linguaggio che vive in un tempo reinterpretarlo come se fosse nel suo tempo.
Se le future forme del linguaggio sarà l'immagine, muta anche la forma sintattica e semantica cambiando illinguaggio delaa comunicazione.
Non capire che le forme linguistiche cambiano anche la mente, vuol dire perdere i significati dei linguaggi collocati in diversecstorie, tempi e culture.

Per tornare alla discussione , siamo sicuri che nella modernità abbiano davvero compreso ad esempio Platone? Ho dei forti dubbi.
Perché Platone stesso s' avvede che stava vivendo nel tempo storico del passaggio dall' oralita' alla scrittura.
Nei passi finali del Fedro, infatti dichiara che solo l'oralita comunica da cuore a cuore da mente a mente perché l'insegnamento è dato dal maestro che insegna e lascia silenzi in funzione della crescita del discepolo.
La piattezza attuale il livellamento culturale è dato dalla quantita' innumerevole di testi che non possono sostuire il rapporto di vicinanza maestro discepolo.

Se si ritiene daccapo che il progresso umano sia solo in una autovalutazione di una cultura che solo perché è venuta dopo si ritiene superiore avrei da ridire
Titolo: Re:La domanda ontologica
Inserito da: sgiombo il 26 Giugno 2017, 08:58:31 AM
Citazione di: maral il 25 Giugno 2017, 18:11:02 PM
Citazione di: sgiombo il 25 Giugno 2017, 11:14:38 AM
 secondo me la tendenza all' acquisizione e alla pratica della razionalità e al superamento di credenze "istintive", immediatamente e semplicisticamente e poco criticamente suggerite dalle esperienze vissute e sancite e in varia misura "sacralizzate" dalla tradizione é una tendenza umana universale, ovviamente non incontrastata da altre tendenze, che a seconda delle diverse circostanze ambientali opera più o meno efficacemente e precocemente nel tempo storico presso tutti i gruppi umani, le aggregazioni sociali, le civiltà o culture.

Non so se si tratta di una tendenza umana universale o non piuttosto di una possibilità con i suoi pregi e difetti che può o meno realizzarsi nelle culture umane e che si è realizzata per la prima (e forse unica) volta in Grecia.
CitazioneInfatti una tendenza non incontrastata da altre tendenze può attuarsi o meno e in maggiore o minor misura operando più o meno efficacemente a seconda delle diverse circostanze ambientali.
 
Quella a porsi problemi filosofici di fatto è documentata per la prima volta in Grecia, ma a me sembra umanamente universale e dunque ritengo molto probabile si sia realizzata in qualche modo anche prima e altrove, anche se purtroppo non ne è rimasta traccia documentale (come di tanti altri aspetti, soprattutto "immateriali" (teorici, di pensiero) delle civiltà antiche.
Non credo che tutto ciò sia accaduto per la prima volta nella Grecia classica perché non credo sia qualcosa di meramente fortuito, né men che meno di geneticamente condizionato dal DNA dei Greci ovviamente, ma piuttosto di legato a tendenze comportamentali universalmente umane (osservare e osservarsi, cercare spiegazioni degli eventi, dubitare, cercare motivi per decidere fra possibili credenze alternative, ecc.)



Il prodotto finale del pensiero dell'Occidente, il culmine della sua metafisica, resta il pensiero tecnico scientifico, di fatto dominante nel mondo intero, ma che non consente più di pensare la verità come episteme se pure consente di pensare.
CitazioneLe mie convinzioni sono profondamente diverse poiché da una parte non ritengo che la scienza e la tecnica costituiscano "il culmine" del pensiero occidentale, anche se ne sono componenti importanti; e dall' altra parte non credo che la conoscenza e l' impiego della scienza e della tecnica non consenta di ricercare criticamente la verità e tantomeno di pensare (da materialista storico penso che casomai i fondamenti materiali, strutturali della società occidentale odierna, dominante a livello mondiale, il grado di oggettivo superamento e di "avanzata putrefazione" dei rapporti di produzione dominanti, i rapporti di forza nella lotta di classe, ecc., tendano a caratterizzare il presente come un' epoca di reazione politica e restaurazione sociale comportante una decadenza e un regresso della civiltà e conseguentemente a favorire oggettivamente l' imporsi in campo culturale dell' irrazionalismo –vedi Nietzche, Heideggere e anche Freud e tanti altri- e a inibire lo sviluppo del pensiero critico razionale.





Per quanto riguarda il discorso sulla scrittura è molto interessante, perché proprio in Occidente e di nuovo in Grecia, la scrittura diventò il mezzo per riprodurre il racconto orale, ossia diventò fondamentalmente scrittura del fonema ove il grafema si riduce a segno grafico del fonema, perdendo tutta la propria potenza di evocazione simbolica grafica (ancora presente ad esempio nel geroglifico e nell'ideogramma) e quindi ogni aspetto sacrale.
CitazionePer la verità i Greci impararono, modificandolo in maniera assolutamente non sostanziale, l' alfabeto fonetico dai Fenici.

Il che mi conferma nella mia convinzione, del tutto evidentemente non documentata e probabilmente di fatto mai documentabile, che anche presso i Fenici (ma non solo) fosse iniziata una ricerca critica razionale circa la realtà, la vita umana ed i suoi scopi possibili, i criteri di una conoscenza affidabile, ecc.


Ma é evidente che le nostre rispettive convinzioni sono profondissimamente e alla lettera "radicalmente" diverse ed é difficile andare otlre una illustrazione dei numerosi e importanti elementi di divergenza; non mi sembrano punto "reciprocamente integrabili" o "in qualche più che effimero e superficiale aspetto compatibili".
Titolo: Re:La domanda ontologica
Inserito da: sgiombo il 26 Giugno 2017, 09:22:56 AM
Citazione di: paul11 il 25 Giugno 2017, 22:09:33 PM
Quando si attualizza , si traducono con i canoni moderni le forme antiche si fanno spesso disastri.
Questo lo scooerto nei testi sacri prima, nelle traduzioni moderniste, nelle trasposizioni con un criterio più razionale, questa sarebbe la pretesa di scientificità.
Platone e la cultura greca vive nell'epoca del passaggio ddalla tradizione orale a quella della scrittura.
Oggi vivuamo nell'epoca che passerà dalla scrittura all'immagine.
Come può un pensatore ritenere di portare un linguaggio che vive in un tempo reinterpretarlo come se fosse nel suo tempo.
Se le future forme del linguaggio sarà l'immagine, muta anche la forma sintattica e semantica cambiando illinguaggio delaa comunicazione.
Non capire che le forme linguistiche cambiano anche la mente, vuol dire perdere i significati dei linguaggi collocati in diversecstorie, tempi e culture.
CitazioneQueste considerazioni mi sembrano decisamente estremistiche, esagerate.
 
L'imporsi della scrittura non ha impedito che il colloquio orale continuasse a svilupparsi e così non credo proprio che lo spettacolare sviluppo delle immagini impedisca ed impedirà l' ulteriore progresso della scrittura e del colloquio orale.
 
E così ritengo del tutto possibile (e anche doveroso per un o sviluppo "buono" e adeguato della cultura attuale) cercare di comprendere (limitatamente e non senza qualche ineliminabile -e fecondo- margine di incertezza, com' è ovvio) e "reinterpretare" e pure  "attualizzare in qualche inevitabilmente limitata misura" linguaggi ed espressioni delle civiltà del passato (e delle altre parti del mondo).
Credo che per fortuna (ché altrimenti l' umanità si troverebbe sempre davanti alla necessità di un' "improvvisazione culturale e civile senza saldi fondamenti", scarsamente costruttiva), malgrado innegabilmente le forme linguistiche cambino per qualche aspetto anche la mente, ciò non comporti affatto un' inevitabile perdita completa dei significati dei linguaggi collocati in diverse storie, tempi e culture, ma "soltanto" che renda difficile (e ovviamente mai integralmente e indiscutibilmente raggiungibile) l' intenderli.



Per tornare alla discussione , siamo sicuri che nella modernità abbiano davvero compreso ad esempio Platone? Ho dei forti dubbi.
Perché Platone stesso s' avvede che stava vivendo nel tempo storico del passaggio dall' oralita' alla scrittura.
Nei passi finali del Fedro, infatti dichiara che solo l'oralita comunica da cuore a cuore da mente a mente perché l'insegnamento è dato dal maestro che insegna e lascia silenzi in funzione della crescita del discepolo.
La piattezza attuale il livellamento culturale è dato dalla quantita' innumerevole di testi che non possono sostuire il rapporto di vicinanza maestro discepolo.
CitazioneRipeto (e mi è confermato anche dalla mia esperienza di vita in prima persona) che la lettura non impedisce affatto (almeno non necessariamente), ma anzi integra, amplia e potenzia validamente (almeno come possibilità, se non come certezza) il rapporto diretto fra maestro e discepolo.



Se si ritiene daccapo che il progresso umano sia solo in una autovalutazione di una cultura che solo perché è venuta dopo si ritiene superiore avrei da ridire
CitazioneAnch' io avrei da dire, e molto negativamente!

La storia conosce anche periodi più o meno lunghi di regresso e decadenza (e a me pare del tutto evidente che tale sia il tempo attuale in cui ci é toccato di vivere).
Titolo: Re:La domanda ontologica
Inserito da: paul11 il 26 Giugno 2017, 15:08:27 PM
ante scriptum: abbiate pazienza per le sgrammaticature , è per forzare le vostri menti  


alla radice del problema è se veramente la modernità ha capito e superato il tempo greco dell'archè e dell'episteme, non lo faccio per difendere o criticare l'una o l'altra ,ma per porre un momento di riflessione.

Sgiombo stai sottovalutando le forme del linguaggio che mutano rappresentazione e modelli, o detto in altri termini se i contraddittori o perchè dovresti dimostrare quale linguaggio è razionale  e perchè e soprattutto se si avvicina all'episteme, alla verità.
ma so già la tua risposta..........
I linguaggi mutano anche per quanto scritto da Maral, ma dimentichiamo soprattutto le traduzioni, le trasposizoni ,le interpretazioni.

Adatto che sono decenni che mi studio i passaggi non solo esegetici ed ermeneutici dei testi sacri, il passaggio ad esempio :
volgare italiano-latino-greco- ebreo- sumerico accadico;cii sono innumerevoli Bibbie scritte in diversi tempi e con errori macroscopici sia di traduzione (voluti o  non voluti) sia di interpretazione culturale
Tanto per capirci fra le teologie paleocristiane e la teologia della liberazione attuale, passano mari e monti e fiumi di contraddizioni.
I test rimangono e non ci sono più gli autori, le domande rimangono e le risposte sono interpretative.
Ma soprattutto ci sono pochi studiosi che vanno sui fondamenti, sugli originali, non a caso  i bravi filosofi sono quelli che traducono il termine specifico greco filosofico in italiano, almeno chiariscono termini e loro posizioni.
Ho messo in luce il passaggio nel tempo dei filosofi greci dall'oralità alla scrittura, e ribadisco Socrate per scelta NON  volle la scrittura, Platone scrisse, ma dice chiaramente nella parte finale del Fedro, come nella Lettera VII ritrovata a inizi Novecento che la propria dottrina non è nella scrittura e indica le motivazioni( andate a leggervi le parti interessate che sono molto esplicative ,prima di leggersi Platone). I sofisti invece appoggiarono la scrittura.Con Aristotele, discepolo di Platone, il problema non si pone più.
Platone utilizza volutamente la dialettica del dialogo, della diairesi, di un Socrate con accanto un discepolo: il modello linguistico se è scritto appartiene comunque all'oralità come riferimento del fare argomentazione.
Allora dico: ma su quali basi la modernità ha costruito e mosso critiche sul tempo dei filosofi greci?
E' una domanda che lascio in "epochè"

Infine alcuni passaggi che meritano una riflessione sia sulle costruzioni logiche, assiomatiche, sulle forme conoscitive

L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus

4.46        Tra i possibili gruppi di condizioni di verità vi sono due casi estremi.
Nel primo caso, la proposizione è vera per tutte le possibilità di verità delle proposizioni elementari.
Noi diciamo che le condizioni di verità sono tautologiche.
Nel secondo caso, la proposizione è falsa per tutte le possibilità di verità. Le condizioni di verità sono contraddittorie.
Nel primo caso noi chiamiamo la proposizione una tautologia; nel secondo, una contraddizione.

4.461     La proposizione mostra ciò che dice; la tautologia e la contraddizione mostrano che esse non dicono nulla.
La tautologia non ha condizioni di verità, poiché è incondizionatamente vera; e la contraddizione è sotto nessuna condizione vera.
Tautologia e contraddizione sono prive di senso.
(Come il punto onde due frecce divergono in direzione opposta.)
(Ad esempio, io non so nulla sul tempo se so che o piove o non piove.)

4.4611   Tautologia e contraddizione non sono però insensate; esse appartengono al simbolismo, cosí come lo "o" al simbolismo dell'aritmetica.

4.462     Tautologia e contraddizione non sono immagini della realtà. Esse non rappresentano alcuna possibile situazione. Infatti, quella ammette ogni possibile situazione; questa, nessuna.
Nella tautologia le condizioni della concordanza con il mondo – le relazioni di rappresentazione – si annullano l'una l'altra, cosí che essa non sta in alcuna relazione di rappresentazione con la realtà.

4.463     Le condizioni di verità determinano il margine che è lasciato ai fatti dalla proposizione.
(La proposizione, l'immagine, il modello sono, in senso negativo, come un corpo solido che restringe la libertà di movimento degli altri; in senso positivo, come lo spazio, limitato da una sostanza solida, ove un corpo ha posto.)
La tautologia lascia alla realtà la – infinita – totalità dello spazio logico; la contraddizione riempie tutto lo spazio logico e non lascia alla realtà alcun punto. Nessuna delle due, quindi, può in qualche modo determinare la realtà.

4.464     La verità della tautologia è certa; della proposizione, possibile; della contraddizione, impossibile.
(Certo, possibile, impossibile: Ecco l'indizio di quella gradazione che ci serve nella teoria della probabilità.)
Titolo: Re:La domanda ontologica
Inserito da: sgiombo il 26 Giugno 2017, 20:03:14 PM
Citazione di: paul11 il 26 Giugno 2017, 15:08:27 PM
ante scriptum: abbiate pazienza per le sgrammaticature , è per forzare le vostri menti  


alla radice del problema è se veramente la modernità ha capito e superato il tempo greco dell'archè e dell'episteme, non lo faccio per difendere o criticare l'una o l'altra ,ma per porre un momento di riflessione.

Sgiombo stai sottovalutando le forme del linguaggio che mutano rappresentazione e modelli, o detto in altri termini se i contraddittori o perchè dovresti dimostrare quale linguaggio è razionale  e perchè e soprattutto se si avvicina all'episteme, alla verità.
ma so già la tua risposta..........

CitazioneQuesta è veramente bella!

Tu sai già la mia risposta a una tua domanda che francamente (sarà per eventuali sgrammaticature?) non ho capito (e dunque alla quale non posso rispondere).

Secondo me il linguaggio è uno strumento del pensiero e anche un modo di pensare; solitamente e in linea di massima quello di chiunque è traducibile in quello di chiunque altro in maniera da consentire una discreta comprensione reciproca, anche se talora non senza qualche difficoltà e una certa "fatica interpretativa".
E anche se qualcosa di ineffabile (vedi l' autore da te ampiamente citato più sotto) rimane sempre inevitabilmente, anche se qualche sfumatura delle altrui esperienze personali vissute ci resterà sempre più o meno "in ombra", anche se i malintesi non sono certamente inevitabili.

I linguaggi mutano anche per quanto scritto da Maral, ma dimentichiamo soprattutto le traduzioni, le trasposizoni ,le interpretazioni.

Adatto che sono decenni che mi studio i passaggi non solo esegetici ed ermeneutici dei testi sacri, il passaggio ad esempio :
volgare italiano-latino-greco- ebreo- sumerico accadico;cii sono innumerevoli Bibbie scritte in diversi tempi e con errori macroscopici sia di traduzione (voluti o  non voluti) sia di interpretazione culturale
Tanto per capirci fra le teologie paleocristiane e la teologia della liberazione attuale, passano mari e monti e fiumi di contraddizioni.
I test rimangono e non ci sono più gli autori, le domande rimangono e le risposte sono interpretative.
Ma soprattutto ci sono pochi studiosi che vanno sui fondamenti, sugli originali, non a caso  i bravi filosofi sono quelli che traducono il termine specifico greco filosofico in italiano, almeno chiariscono termini e loro posizioni.

CitazioneAppunto!

Ho messo in luce il passaggio nel tempo dei filosofi greci dall'oralità alla scrittura, e ribadisco Socrate per scelta NON  volle la scrittura, Platone scrisse, ma dice chiaramente nella parte finale del Fedro, come nella Lettera VII ritrovata a inizi Novecento che la propria dottrina non è nella scrittura e indica le motivazioni( andate a leggervi le parti interessate che sono molto esplicative ,prima di leggersi Platone). I sofisti invece appoggiarono la scrittura.Con Aristotele, discepolo di Platone, il problema non si pone più.
Platone utilizza volutamente la dialettica del dialogo, della diairesi, di un Socrate con accanto un discepolo: il modello linguistico se è scritto appartiene comunque all'oralità come riferimento del fare argomentazione.

CitazioneMa se non erro (potrei ricordarmi male dallo studio della storia della filosofia ai purtroppo lontani tempi del liceo) le opere pervenuteci di Platone in forma di dialoghi sono solo quelle essoteriche, mentre quelle esoteriche non dovrebbero essere state dialogiche.


Aggiunta delle 22, 20:
Dopo un rapido giro in Google, credo proprio che la memoria mi abbia ingannato (forse confondevo Platone con Aristotele).
Come non detto!


Allora dico: ma su quali basi la modernità ha costruito e mosso critiche sul tempo dei filosofi greci?
E' una domanda che lascio in "epochè"
CitazioneMa, penso semplicemente sulla base dello spirito critico (che indiceva già gli stessi filosofi greci classici a criticarsi l' un l' altro), nonché dei problemi resisi più evidenti o pressanti (o evidenzianti aspetti relativamente nuovi) nei tempi più recenti.




Infine alcuni passaggi che meritano una riflessione sia sulle costruzioni logiche, assiomatiche, sulle forme conoscitive

L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus

4.46        Tra i possibili gruppi di condizioni di verità vi sono due casi estremi.
Nel primo caso, la proposizione è vera per tutte le possibilità di verità delle proposizioni elementari.
Noi diciamo che le condizioni di verità sono tautologiche.
Nel secondo caso, la proposizione è falsa per tutte le possibilità di verità. Le condizioni di verità sono contraddittorie.
Nel primo caso noi chiamiamo la proposizione una tautologia; nel secondo, una contraddizione.

4.461     La proposizione mostra ciò che dice; la tautologia e la contraddizione mostrano che esse non dicono nulla.
La tautologia non ha condizioni di verità, poiché è incondizionatamente vera; e la contraddizione è sotto nessuna condizione vera.
Tautologia e contraddizione sono prive di senso.
(Come il punto onde due frecce divergono in direzione opposta.)
(Ad esempio, io non so nulla sul tempo se so che o piove o non piove.)

4.4611   Tautologia e contraddizione non sono però insensate; esse appartengono al simbolismo, cosí come lo "o" al simbolismo dell'aritmetica.

4.462     Tautologia e contraddizione non sono immagini della realtà. Esse non rappresentano alcuna possibile situazione. Infatti, quella ammette ogni possibile situazione; questa, nessuna.
Nella tautologia le condizioni della concordanza con il mondo – le relazioni di rappresentazione – si annullano l'una l'altra, cosí che essa non sta in alcuna relazione di rappresentazione con la realtà.

4.463     Le condizioni di verità determinano il margine che è lasciato ai fatti dalla proposizione.
(La proposizione, l'immagine, il modello sono, in senso negativo, come un corpo solido che restringe la libertà di movimento degli altri; in senso positivo, come lo spazio, limitato da una sostanza solida, ove un corpo ha posto.)
La tautologia lascia alla realtà la – infinita – totalità dello spazio logico; la contraddizione riempie tutto lo spazio logico e non lascia alla realtà alcun punto. Nessuna delle due, quindi, può in qualche modo determinare la realtà.

4.464     La verità della tautologia è certa; della proposizione, possibile; della contraddizione, impossibile.
(Certo, possibile, impossibile: Ecco l'indizio di quella gradazione che ci serve nella teoria della probabilità.)
CitazioneVERAMENTE PROFONDO E SOTTILE ! ! !
Titolo: Re:La domanda ontologica
Inserito da: maral il 26 Giugno 2017, 22:03:40 PM

Citazione...
Tautologia e contraddizione non sono immagini della realtà. Esse non rappresentano alcuna possibile situazione. Infatti, quella ammette ogni possibile situazione; questa, nessuna.
...
Se allora né la verità assoluta (sempre vera) né la falsità assoluta, pur nel loro valore simbolico, possono dare alcun senso alla realtà, non resta che la probabilità il cui senso è determinato dal contesto in cui si conosce, contesto che comprende certamente il linguaggio da cui si trova espressa, che permette di rappresentarla e quindi di misurarla. Ma il linguaggio, come ben sappiamo, è una forma variante e contingente, che varia con quanto dovrebbe andare a valutare.
Non resta allora che la fiducia condivisa che capiti qualche volta, in un momento di grazia, di dirci l'un l'altro qualcosa di sensato. :)
Titolo: Re:La domanda ontologica
Inserito da: paul11 il 27 Giugno 2017, 08:55:47 AM
Citazione di: maral il 26 Giugno 2017, 22:03:40 PM

Citazione...
Tautologia e contraddizione non sono immagini della realtà. Esse non rappresentano alcuna possibile situazione. Infatti, quella ammette ogni possibile situazione; questa, nessuna.
...
Se allora né la verità assoluta (sempre vera) né la falsità assoluta, pur nel loro valore simbolico, possono dare alcun senso alla realtà, non resta che la probabilità il cui senso è determinato dal contesto in cui si conosce, contesto che comprende certamente il linguaggio da cui si trova espressa, che permette di rappresentarla e quindi di misurarla. Ma il linguaggio, come ben sappiamo, è una forma variante e contingente, che varia con quanto dovrebbe andare a valutare.
Non resta allora che la fiducia condivisa che capiti qualche volta, in un momento di grazia, di dirci l'un l'altro qualcosa di sensato. :)
oppure semplicemente che non c'è un unico e solo sistema per conoscere un dominio; per limiti nostri come umani e limiti quindi di conoscenza.
penso che dobbiamo utilizzare più strumenti: logici, linguistici e correlarli fra loro. perchè l'episteme non ci dice quanto ci siamo avvicinati, non risponde.
In fondo Maral, mi sembra di capire che ti muovi fra la metafisica di Severino e la prassi di Sini  e in fondo penso che tutti ci si "muova"
per cercare di capire le domande fondamentali, "la domanda ontologica".
Titolo: Re:La domanda ontologica
Inserito da: maral il 27 Giugno 2017, 10:46:33 AM
Citazione di: paul11 il 27 Giugno 2017, 08:55:47 AM
oppure semplicemente che non c'è un unico e solo sistema per conoscere un dominio; per limiti nostri come umani e limiti quindi di conoscenza.
penso che dobbiamo utilizzare più strumenti: logici, linguistici e correlarli fra loro. perchè l'episteme non ci dice quanto ci siamo avvicinati, non risponde.
Certo, ma non la sento come in un'alternativa, ma piuttosto come una ragionevole necessità per ampliare la "probabilità" di un'effettiva conoscenza (la probabilità che accada il "momento di grazia"). E' per questo che, come dice Sini, i saperi devono poter danzare insieme (anche nel contrappunto) senza escludersi per boria di potenza e quindi devono imparare a danzare insieme i popoli, le culture nella diversità delle prassi e dei linguaggi che le fondano.
Titolo: Re:La domanda ontologica
Inserito da: paul11 il 27 Giugno 2017, 12:49:07 PM
Citazione di: maral il 27 Giugno 2017, 10:46:33 AM
Citazione di: paul11 il 27 Giugno 2017, 08:55:47 AM
oppure semplicemente che non c'è un unico e solo sistema per conoscere un dominio; per limiti nostri come umani e limiti quindi di conoscenza.
penso che dobbiamo utilizzare più strumenti: logici, linguistici e correlarli fra loro. perchè l'episteme non ci dice quanto ci siamo avvicinati, non risponde.
Certo, ma non la sento come in un'alternativa, ma piuttosto come una ragionevole necessità per ampliare la "probabilità" di un'effettiva conoscenza (la probabilità che accada il "momento di grazia"). E' per questo che, come dice Sini, i saperi devono poter danzare insieme (anche nel contrappunto) senza escludersi per boria di potenza e quindi devono imparare a danzare insieme i popoli, le culture nella diversità delle prassi e dei linguaggi che le fondano.
ciao Maral,
intendevo anch'io la correlazione come ampiamento, come estensione.
Ma ad un certo punto la quantità estensiva deve raccogliersi in una sintesi, in una essenza; ed è quello che a fronte di nostre individuali conoscenze ,esperienze, ad un certo punto propendiamo verso una forma, piuttosto che un'altra, senza per questo abbandonare quell'ampiamento che ci permette di attingere altre conoscenze e confrontarle con ciò che pensiamo.
Anche per questo è importante il confronto come quì nel forum e nel mondo:siamo continuamente in itinere