"Quelle verità che sono la sostanza di tutta la filosofia, si debbono occultare alla maggior parte degli uomini; e credo che facilmente consentireste che debbano essere ignorate o dimenticate da tutti: perchè sapute, e ritenute nell'animo, non possono altro che nuocere. Il che è quanto dire che la filosofia si debba estirpare dal mondo. Io non ignoro che l'ultima conclusione che si ricava dalla filosofia vera e perfetta, si è, che non bisogna filosofare. Dal che si inferisce che la filosofia primieramente è inutile, perchè a questo effetto di non filosofare non fa di bisogno essere filosofo; secondariamente è dannosissima..." Giacono Leopardi - Operette morali
Sono, personalmente, d'accordissimo con Leopardi. Non certo perchè io sia diventato, all'improvviso, un denigratore del pensiero filosofico. Ma, anzi, proprio perchè un, diciamo, "certo punto di vista filosofico" (che sento a me vicino) non può che portare a questa, coerentissima, conclusione. Certo, perchè Leopardi è in ciò filosofo a tutti gli effetti, e solo una mente non abituata alla filosofia potrebbe credere che questa sia una invettiva CONTRO la filosofia. Del resto, già nella Bibbia si avverte che il sapere è dolore... |
| |
La vita e' dolore. La conoscenza puo' arrecare piu'dolore di quanto ve ne sarebbe senza conoscenza? Credo di no. Con tutto il rispetto per Leopardi il " venite parvulos" e' solo un tentativo di lasciare l'uomo nel suo stato di minorita' imputabile a se' stesso.
Citazione di: 0xdeadbeef il 08 Luglio 2018, 13:10:06 PM
"Quelle verità che sono la sostanza di tutta la filosofia, si debbono occultare alla maggior parte degli uomini; e credo che facilmente consentireste che debbano essere ignorate o dimenticate da tutti: perchè sapute, e ritenute nell'animo, non possono altro che nuocere. Il che è quanto dire che la filosofia si debba estirpare dal mondo. Io non ignoro che l'ultima conclusione che si ricava dalla filosofia vera e perfetta, si è, che non bisogna filosofare. Dal che si inferisce che la filosofia primieramente è inutile, perchè a questo effetto di non filosofare non fa di bisogno essere filosofo; secondariamente è dannosissima..." Giacono Leopardi - Operette morali
Sono, personalmente, d'accordissimo con Leopardi. Non certo perchè io sia diventato, all'improvviso, un denigratore del pensiero filosofico. Ma, anzi, proprio perchè un, diciamo, "certo punto di vista filosofico" (che sento a me vicino) non può che portare a questa, coerentissima, conclusione. Certo, perchè Leopardi è in ciò filosofo a tutti gli effetti, e solo una mente non abituata alla filosofia potrebbe credere che questa sia una invettiva CONTRO la filosofia. Del resto, già nella Bibbia si avverte che il sapere è dolore...
|
| |
Quale "filosofia"?Si può intendere la filosofia in due modi:1) come un gran calderone di idee dissonanti che dicono tutto e il contrario di tutto;2) come una UNICA visione del mondo costruita su una grande molteplicità di idee complementari tra loro che si confermano reciprocamente. Ovviamente, la filosofia reale, dalle sue origini fino ad oggi, corrisponde con la 1). Ma è evidente che, se la metà delle filosofie che la costituiscono afferma ciò che l'altra metà nega, almeno una delle due metà afferma il falso, e quindi un giorno le false filosofie dovranno essere sfanculate e mandate al museo delle idee sballate.Ma prima che ciò accada, chi si accinge allo studio della filosofia non fa altro che entrare in una Torre di Babele, in un labirinto infernale sul cui ingresso è scritto: <<lasciate ogni speranza o voi che entrate>>, dal quale uscirà (se uscirà sano di mente) molto più confuso di quanto lo era prima di entrare.
Ecco: questa è la filosofia "dannosissima" a cui si riferisce Leopardi. <<Language is a virus>>https://youtu.be/KvOoR8m0oms
Io invece vedo la filosofia come un processo che inizia con la "torre di Babele" attuale, ma che culminerà in una unica visione del mondo retta da un unico Principio di verità. Una grande orchestra di idee che esegue UNA UNICA grande sinfonia ...perenne!Ci sarà bisogno di una "Santa Inquisizione" per mandare al rogo le filosofie false ed ammettere quelle vere?Non più di quanto un maestro d'orchestra mandi a casa dei musicisti incapaci per accogliere i più valenti.
Citazione di: Jacopus il 08 Luglio 2018, 13:36:44 PM
La vita e' dolore. La conoscenza puo' arrecare piu'dolore di quanto ve ne sarebbe senza conoscenza? Credo di no. Con tutto il rispetto per Leopardi il " venite parvulos" e' solo un tentativo di lasciare l'uomo nel suo stato di minorita' imputabile a se' stesso.
Mah guarda, personalmente sono d'accordo con Severino, quando afferma la statura filosofica di Leopardi ed il
fatto che egli sia, a tutti gli effetti, uno dei pochi abitatori del "sottosuolo filosofico degli ultimi 200
anni" (con Nietzsche, Gentile e pochi altri, dice Severino).
Inoltre, vedo molte analogie fra il "filosofo" Ivan Karamazov (nell'omonima opera di Dostoevskij) e, appunto,
Leopardi.
In questi filosofi il nichilismo è radicale. E deriva dalla consapevolezza che, nella "morte di Dio", cioè
nell'estinguersi del sentimento religioso, è racchiusa anche la morte di qualsiasi "valore" moralmente e/o
eticamente inteso.
Le "verità che sono la sostanza di tutta la filosofia", come si esprime Leopardi, sarebbero dunque la totale
nullità di ogni cosa che "è" (per Severino l'essenza del nichilismo è appunto il credere che l'essente,
proveniendo dal nulla ed al nulla essendo destinato a tornare, sia intrinsecamente nulla), quindi l'assoluta
irrilevanza di un "valore" morale che solo gli ingenui o i "semplici" possono pensare di fondare sull'uomo
(Ne: "I fratelli Karamazov" il positivista Rakitin, che appunto pensa di fondare il valore morale su una
non ben definita "umanità", viene squalificato come addirittura più "sporco" del nichilista Ivan Karamazov).
Ora: "la conoscenza può arrecare più dolore di quanto ve ne sarebbe senza?"
Non lo so, non mi sento, come dire, completamente adagiato sul pensiero di Leopardi. Credo però che la
conoscenza non offra, davvero, nessun rimedio al dolore esistenziale (e la radice di ogni tentativo di
conoscenza, compresa quella scientifica, è appunto il cercare di rimediarvi...).
Quel che io penso è che in definitiva tutti, colti ed incolti, siamo alle prese con un dolore che viene dal
nostro stesso "essere"; con il dolore che proviene, per usare un'espressione di Camus, dal tendere all'infinito
da parte di esseri finiti.
saluti
Ragazzi, guardate che , quelle di Nietzsche e di Leopardi ( e di molti altri...), sono "filosofie dell'insoddisfazione" ( non è un caso forse che ambedue abbiano avuto così scarso successo con le donne... ;D).
Siccome nulla appaga il proprio desiderio, si ritiene che nulla abbia valore. Il metro usato per dare 'valore' alla vita è la sua capacità di dare soddisfazione al desiderio umano. Il nichilismo nasce dal fatto di non riuscire a soddisfarsi 'pienamente' e si imputa questa mancanza ad un Dio che non c'è...Ma perché la vita dovrebbe 'soddisfare' i desideri ? Che necessità c'è di soddisfare tutto il desiderare? Questo desiderio che nasce nella mente che s'attacca alle sensazioni piacevoli così intensamente da arrivare a bearsi della sensazione stessa di desiderare, non importa nemmeno se poi viene appagato. Alla fine tutta la mente non diventa che desiderio, l'abito mentale è il desiderio stesso...e siccome poi questo desiderare viene continuamente frustrato dalla realtà...ecco che la vita è vana, nulla, solo dolore, ecc...
La vita è anche sofferenza, ma è pure altro dalla sofferenza. Nel momento in cui la mente 'molla la presa' dal continuo desiderare c'è spazio per qualcosa non toccato dal desiderio... :)
Ah però, un punto di vista curioso, poco considerato ma direi molto interessante...
Si, forse ci sta anche quello ma credo proprio non esaurisca certo il discorso (Camus, ad esempio, sembra fosse
un donnaiolo; ha ricevuto un Nobel, eppure...).
No, credo sia una questione di sensibilità (oltre che di intelligenza). Lo stesso Camus che citavo ci parla di
un "Sisifo contento nel momento in cui discende la china per andare a recuperare il masso che risospingerà con
grande fatica su per la salita" (ecco il donnaiolo contento, dirai...).
Dunque, beh, non è che questi "pensatori tristi" siano stati sempre e solo tristi (Sartre che ne: "La nausea"
trova conforto in un motivetto musicale; certi momenti ironici dello stesso Leopardi; Tolstoy che trova gioia
nella fede religiosa - così come pure, seppur in maniera più problematica, Dostoevskij).
No, credo davvero vi sia qualcosa di più profondo; qualcosa che riguarda l'uomo occidentale in particolare.
Severino afferma, e io sono "quasi" d'accordo, che il "destino" dell'occidente è il nichilismo. Ma cos'è,
davvero, il nichilismo?
Io, in parziale disaccordo con Severino (e forse proprio per il fatto di essere solo "quasi" d'accordo sul
nichilismo come "destino"), credo che il nichilismo sia la consapevolezza della nullità sostanziale di
qualsiasi "eterno", ed in particolare mi riferisco a quegli "eterni" che chiamiamo "Dio" e "valore morale".
La sostanziale nullità degli "eterni" è ciò che, ad esempio, porta Lev Tolstoj a decretare la speculare
e sostanziale nullità di ogni essente (e Severino è su questa linea per quanto riguarda il meccanismo
mentale che porta al nichilismo).
Egli, con un'orrida immagine, vede i propri figli "nella tomba, coperti di vermi", e vede nel suicidio
la sola via d'uscita da tanto orrore (recupererà la propria vita nella Fede, come ho già accennato -
nota che Toltoj era ricchissimo, un gran donnaiolo etc.).
Dunque sì, ci sta quel che dici, ma c'è anche un qualcosa di più profondo...
saluti (e grazie per il "ragazzo")
La filosofia secondo me ripropone nel tempo attraverso la voce di pensatori anche molti diversi tra di loro il suo ragionamento di base: conoscere è innanzitutto smascheramento delle illusioni (metafisiche, etiche, sociali etc.).
Da questo punto di vista la verità è essenzialmente l'immagine che si ottiene attraverso uno sguardo duro, disilluso sulla realtà. È costringersi a non scappare di fronte allo spettacolo desolante della vita.
È chiaro che le illusioni (dalle idee metafisiche più complesse ai piccoli piaceri) rendono la vita maggiormente accettabile.
Però il problema è che a questo processo di smascheramento nessuno sceglie consapevolmente di essere iniziato. Ci si finisce dentro per la propria natura filosofica, diciamo così.
Dunque il discorso di Leopardi è corretto, ma coloro che non si fidano dell'immaginario collettivo del proprio tempo faranno sempre quel percorso di distruzione e solitudine.
Quindi la vera domanda è un'altra: compiuta quest'opera di smantellamento, rimane veramente solo il nulla?
La filosofia si è concentrata per più di un secolo sul nichilismo. Mi chiedo se non sia arrivato il tempo di abbandonare le tematiche della morte di Dio e iniziare invece la costruzione di una fenomenologia della disperazione, per capire una volta per tutte se l'assenza di ogni speranza e la propria morte psicologica non sia il punto (paradossalmente positivo) su cui edificare una nuova umanità (ma senza le illusioni religiose o dottrinarie di Oriente e Occidente, al di fuori di ogni discorso edificante sulla virtù etc.).
Forse Michelstaedter ha detto qualcosa di originale sulla questione. Ma non ne sono sicuro...
In riferimento all'ultimo intervento di Oxd.: io credo che la questione del nichilismo in relazione alla fine di ogni eternità sia decisamente sopravvalutata. Veramente gli uomini sono ossessionati dall'eternità? Veramente desiderano una vita eterna?
L'Occidente deve fare i conti con il tempo finito della vita che per il 99% viene perso per trovare il proprio piccolo posto nel mondo senza riuscirci. Vita sprecata, buttata, nell'ingiustizia dei sistemi politici e sociali.
Detto in poche parole: non sento la mancanza di Dio se riesco a lavorare la mia parte di mondo in modo che sia più armoniosa. Quando però ogni movimento è destinato all'impotenza, ecco che sì, non mi rimane che cercare qualcosa di cui il mondo non può derubarmi (non sto dicendo naturalmente che non abbia senso un percorso tradizionale di tipo religioso...).
Cioè, il nichilismo così com tradizionalmente viene affrontato è ancora la battaglia dell'uomo del nostro tempo?
Citazione di: Kobayashi il 08 Luglio 2018, 17:26:04 PMQuindi la vera domanda è un'altra: compiuta quest'opera di smantellamento, rimane veramente solo il nulla?
Beh, diciamo che compiuta questa opera di smantellamento potrebbe rimanere solo la piena coscienza di una
volontà di potenza come termine originario ed ultimo; come al tempo stesso mezzo e scopo di ogni umana
"attività", non credi?
In questo senso il nichilismo è ancora, eccome, la "battaglia dell'uomo del nostro tempo".
Se, come ben dice Severino, il "sottosuolo filosofico degli ultimi 200 anni" ha mostrato, e lo ha mostrato
in maniera definitiva (io non sarei troppo d'accordo, ma questo è il pensiero, comunque profondo, di
Severino), che ogni "limite" morale ed etico è abolito (e questo è il senso proprio della "morte di Dio"),
allora la volontà di potenza ha davvero il DIRITTO di esplicarsi senza remora alcuna.
Questo perchè, come dice Nietzsche (e prima di lui Dostoevskij, e prima ancora Leopardi), la "morte di Dio"
è innanzitutto la morte del valore morale (solo gli ingenui possono credere che la "morte di Dio" rappresenti
soltanto l'eclissarsi del valore religioso).
Quindi costruiamola, sì, questa "fenomenologia della disperazione", ma prendiamo atto che, forse, essa è già
stata costruita da colui che disse : "il filosofo è colui che dice: così dev'essere" (naturalmente sto
parlando di Nietzsche).
Credo allora che la domanda che dovremmo porci sia piuttosto la seguente: può l'"oltreuomo" nietzschiano
essere considerato il termine definitivo della filosofia? Possiamo davvero, con esso, chiudere definitivamente
un libro aperto da millenni?
saluti
Citazione di: Jacopus il 08 Luglio 2018, 13:36:44 PM
La vita e' dolore. La conoscenza puo' arrecare piu'dolore di quanto ve ne sarebbe senza conoscenza? Credo di no. Con tutto il rispetto per Leopardi il " venite parvulos" e' solo un tentativo di lasciare l'uomo nel suo stato di minorita' imputabile a se' stesso.
Per me, contrariamente al grandissimo filosofo (oltre che poeta: concordo con Oxdeadbeef) Leopardi, la vita non é necessariamente solo dolore (credo che mi sarei già suicidato se lo pensassi ...sperando che siano false le teorie della metempsicosi).
Anche perché, contrariamente a quanto afferma Camus più sotto citato da Oxdeadbeef non tendo affatto all' infinito , ma con gli antichi Stoici ed Epicurei (e probabilmente con Buddisti e quant' altri a me sconosciuti) cerco di autolimitarmi, nelle mie aspirazioni.
Ma Leopardi per "filosofia" e "conoscenza" intendeva l' autocoscienza, la consapevolezza del nostro proprio stato di insignificanti, meschinissimi accidenti nell' ambito della natura, non affatto "centrali" in essa in alcun senso, né oggetto di alcun disegno finalistico o "provvidenziale": la Natura é del tutto indifferente all' Islandese!
X Mauro (Oxdeadbeef)
Ma la consapevolezza dell' inesistenza di Dio, Provvidenza, giusti premi e castighi per l' operato di ognuno (che peraltro si ritrova ad essere come é e conseguentemente ad agire come agisce non per propria libera scelta!) non impediscono la ricerca (sia pur certamente non facile quanto il coltivare, con Tolstoj, l' illusione della provvidenza) di scopi e finalità del tutto appaganti nella vita (questa mi sembra la convinzione anche di Sartre, di cui anch' io ho letto La nausea e altro in gioventù: letture che credo molto mi abbiano giovato).
Nè impediscono il riconoscimento di valori morali e di giustizia che, pur non essendo dettati da alcun Dio su alcuna pietra, né essendo dimostrabili razionalmente (Hume), pur non essendo "universalmente veri di diritto" tuttavia sono di fatto (e secondo me per ben comprensibili ragioni naturali, ben chiarite dalla moderna biologia "di origine darwiniana"; se correttamente intesa, e non "a là Dawkuins, "darwinismo soicale, "sociobiologia" e così via farneticando antiscientificamente) per lo meno in parte universalmente avvertiti (e in parte socialmente condizionati, come dimostrato da Engels e da Marx).
Citazione di: 0xdeadbeef il 08 Luglio 2018, 20:41:15 PMSe, come ben dice Severino, il "sottosuolo filosofico degli ultimi 200 anni" ha mostrato, e lo ha mostrato in maniera definitiva (io non sarei troppo d'accordo, ma questo è il pensiero, comunque profondo, di Severino), che ogni "limite" morale ed etico è abolito (e questo è il senso proprio della "morte di Dio"), allora la volontà di potenza ha davvero il DIRITTO di esplicarsi senza remora alcuna.
Faccio una considerazione antropologica: una persona che passa realmente attraverso la devastazione del pessimismo cosmico di Leopardi o del nichilismo della morte di ogni valore morale ha ancora una potenza e una volontà? Passarci attraverso non significa leggere dei libri nel tempo libero continuando poi a fare la vita di sempre, significa fare per esempio come Raskolnikov o Ivan Karamazov.
Il fatto che uno ne sia uscito attraverso una specie di rinascita interiore all'insegna della beatitudine della semplicità (il Vangelo dei disperati), mentre l'altro è sprofondato nella pazzia, dice ancora qualcos'altro, e cioè che la personalità intellettuale ossessiva di Ivan essendo troppo lontana dalla realtà rimane ingabbiata nella propria mente e così la sua caduta non trova una superficie stabile da cui ripartire, continuerà a perdersi nei fantasmi della sua immaginazione filosofica.In un romanzo cinese scritto negli anni 80 c'è un personaggio, un giovane uomo, che finisce per uccidere in un eccesso di gelosia la persona che amava profondamente, di cui era ossessionato. Quindi distrutto da questo fatto, più morto che vivo, parte da Taiwan e va a vivere a New York. Qui passa dieci anni nell'oscurità. Vive di notte, gira per la città in metropolitana volendosi perdere ulteriormente. L'autore dice che ha persino smarrito il senso del gusto, quando mangia non sente il sapore di ciò che sta masticando.
Insomma una specie di zombie.Alla fine incontra un ragazzo che gli chiede aiuto. Un piccolo vagabondo.Lui decide di aiutarlo e di portarselo a casa.Ma il punto è questo: non lo aiuta per empatia (spinta biologica), non lo aiuta per dovere (spinta etica o religiosa), non lo aiuta per sentirsi meglio (amor proprio).Il gesto è come se emergesse da qualche oscura profondità. Come se la devastazione cui è stato soggetto per così tanto tempo avesse cancellato a tal punto le illusioni cui siamo continuamente affetti da mostrargli una realtà pura, appunto il bisogno del ragazzo, e nient'altro (chi si porterebbe a casa un vagabondo? Chi accetterebbe di assumersi il rischio di un gesto del genere non potendo in alcun modo sapere se si tratta di un pazzo, di un violento etc., se non chi è già praticamente morto?).Mi ricorda il gesto di San Francesco con i lebbrosi senza però il suo fanatismo cristiano. Anche Francesco avrebbe forse fatto la stessa cosa anche se non avesse mai conosciuto la figura di Cristo, chissà.
Citazione di: sgiombo il 08 Luglio 2018, 22:46:09 PM
Nè impediscono il riconoscimento di valori morali e di giustizia che, pur non essendo dettati da alcun Dio su alcuna pietra, né essendo dimostrabili razionalmente (Hume), pur non essendo "universalmente veri di diritto" tuttavia sono di fatto (e secondo me per ben comprensibili ragioni naturali, ben chiarite dalla moderna biologia "di origine darwiniana"; se correttamente intesa, e non "a là Dawkuins, "darwinismo soicale, "sociobiologia" e così via farneticando antiscientificamente) per lo meno in parte universalmente avvertiti (e in parte socialmente condizionati, come dimostrato da Engels e da Marx).
"Morte di Dio" come metafora, perchè l'autentico significato di tale espressione è "morte del valore", così
come assunto, e cioè "assolutamente".
Del resto, la cosiddetta "Nietzsche reinassance" francese parla, e a mio parere giustamente, della filosofia
di Nietzsche come "genealogia del valore".
"Se Dio non esiste bisognerebbe inventarlo", fa dire Dostoevskij al piccolo Kolja (mi pare lui, se ben ricordo).
Ora, inventato o esistente realmente (non è qui che ci interessa), Dio come metafora dell'assoluto, quindi di
un valore morale assunto assolutamente (non in maniera relativa, cioè).
Può forse essere diversamente? Tu se ben più di me avvezzo alle cose della scienza, quindi saprai meglio di
me quanto la scienza sostiene a proposito del valore morale e di giustizia. Però ti chiedo: può la scienza
imporci come assoluto un qualcosa che è senz'altro relativo?
La "Legge" (che per sua stessa definizione è assoluta in quanto "uguale per tutti") ci impone delle cose, ad
esempio di non uccidere o di non rubare, e ce le impone assolutamente, cioè in una maniera che è la perfetta
e speculare immagine di Dio (non a caso è Dio che dà le Tavole a Mosè). Beh, con quale diritto potrà
continuare ad imporre nel momento in cui non, semplicemente, "Dio", ma lo stesso concetto di valore come "assoluto"
viene demolito dal "sottosuolo filosofico degli ultimi 200 anni"?
Certo, le imporrà, magari, sulla base di un "consenso democraticamente stabilito", ma dove risiede l'"autorità" di
quella base? Insomma, quale fondamento di sabbia, per usare ancora una metafora religiosa...
saluti Giulio.
Al centro della poetica e della riflessione filosofica di Leopardi c'è il tema della felicità dell'uomo, non della morale. Infatti la relazione drammatica, tragica è tra l'uomo e la natura.
Aggiungo che attribuire a Leopardi la concezione della vita come uno stato di dolore non è corretto. Il punto centrale è l'illusione, l'inganno della felicità. In questo senso sono molto significative le poesie Il sabato del villaggio e A Silvia.
Inoltre ammiro Leopardi proprio perché nelle sue opere non si perde dietro l'esistenza o la morte di Dio, in questo senso sono certamente atee.
Citazione di: 0xdeadbeef il 09 Luglio 2018, 11:01:54 AM
Citazione di: sgiombo il 08 Luglio 2018, 22:46:09 PM
"Morte di Dio" come metafora, perchè l'autentico significato di tale espressione è "morte del valore", così
come assunto, e cioè "assolutamente".
Del resto, la cosiddetta "Nietzsche reinassance" francese parla, e a mio parere giustamente, della filosofia
di Nietzsche come "genealogia del valore".
"Se Dio non esiste bisognerebbe inventarlo", fa dire Dostoevskij al piccolo Kolja (mi pare lui, se ben ricordo).
Ora, inventato o esistente realmente (non è qui che ci interessa), Dio come metafora dell'assoluto, quindi di
un valore morale assunto assolutamente (non in maniera relativa, cioè).
Può forse essere diversamente? Tu se ben più di me avvezzo alle cose della scienza, quindi saprai meglio di
me quanto la scienza sostiene a proposito del valore morale e di giustizia. Però ti chiedo: può la scienza
imporci come assoluto un qualcosa che è senz'altro relativo?
La "Legge" (che per sua stessa definizione è assoluta in quanto "uguale per tutti") ci impone delle cose, ad
esempio di non uccidere o di non rubare, e ce le impone assolutamente, cioè in una maniera che è la perfetta
e speculare immagine di Dio (non a caso è Dio che dà le Tavole a Mosè). Beh, con quale diritto potrà
continuare ad imporre nel momento in cui non, semplicemente, "Dio", ma lo stesso concetto di valore come "assoluto"
viene demolito dal "sottosuolo filosofico degli ultimi 200 anni"?
Certo, le imporrà, magari, sulla base di un "consenso democraticamente stabilito", ma dove risiede l'"autorità" di
quella base? Insomma, quale fondamento di sabbia, per usare ancora una metafora religiosa...
saluti Giulio.
Secondo me non é questione di assolutezza, cioé di "universalità di diritto" o meno, per così dire, ma dell' "universalità di fatto" di un "nucleo profondo" di doveri morali a tutti gli uomini comune (che tutti sentono di fatto, anche se vi si può dar retta in diversa misura, e che la scienza non può certo dimostrare, come già ben rilevava il grandissimo David Hume; e però la scienza può per lo meno (e "chi si contenta gode", sia pure "così così", come giustamente precisa Ligabue; il cantautore, non il pittore) spiegare, di cui può consentire una comprensione naturalistica attraverso l' evoluzione biologica per mutazioni genetiche casuali e selezione naturale (correttamente intesa).
"Nucleo profondo" non integralmente assoluto e immutabile, ma che in parte "si declina" storicamente essendo relativamente condizionato in ultima istanza (attraverso molteplici e complesse mediazioni, anche in qualche misura reciproche), dall' interazione dialettica fra lo sviluppo delle forze produttive sociali e i rapporti di produzione e fra tutto questo e ciò che ne consegue circa le sovrastrutture culturali, ideologiche, filosofiche, politiche, giuridiche, ecc. della società umana in continua trasformazione "relativamente strutturata" (la storia umana).
Mi rendo conto di fare abbondante uso di aggettivi e avverbi e circonlocuzioni "limitanti", "relativizzanti" (come "non integralmente", "in parte", "relativamente", "in ultima istanza", "attraverso molteplici e complesse mediazioni", "in qualche misura", ecc).
Malgrado questo mi sembra una visone atea dell' etica (posto che come garante di essa Dio é morto, e dunque di religiose non se ne trovano) tutto sommato (a-ri-ecco una relativizzazione-limitazione!) soddisfacente, tale da consentire al modesto Leopardi in sedicesimo che potrei considerarmi una serena riconciliazione con la sua esistenza (in questo essendo anche aiutato dal fatto che per me la vita é anche gioia, soddisfazioni, felicità, appagamento di aspirazioni che sanno autolimitarsi e non esclusivamente dolore e infelicità per l' impossibilità di soddisfare aspirazioni e desideri illimitati).
Citazione di: Kobayashi il 09 Luglio 2018, 08:44:52 AM
Faccio una considerazione antropologica: una persona che passa realmente attraverso la devastazione del pessimismo cosmico di Leopardi o del nichilismo della morte di ogni valore morale ha ancora una potenza e una volontà? Passarci attraverso non significa leggere dei libri nel tempo libero continuando poi a fare la vita di sempre, significa fare per esempio come Raskolnikov o Ivan Karamazov.
Mi ricorda il gesto di San Francesco con i lebbrosi senza però il suo fanatismo cristiano. Anche Francesco avrebbe forse fatto la stessa cosa anche se non avesse mai conosciuto la figura di Cristo, chissà.
Beh certo, riconosco che la tua è una considerazione davvero profonda e per molti versi condivisibile.
Tuttavia proprio da Leopardi ci viene in questo senso un suggerimento. Non è infatti ignoto che egli
abbia perseguito il successo letterario, il successo "nel mondo" come antidoto al profondo pessimismo
che lo pervadeva (su questo tema egli scrive molto proprio nelle "Operette Morali").
Così come del resto Nietzsche, il quale afferma che bisogna aver vissuto il nichilismo fino in fondo
prima di rinascere nell'"oltreuomo".
E' però pur vero che né l'ultimo Leopardi (che dice: "invidio solo i morti") né Nietzsche (che mai
rinacque nell'"oltreuomo") mantennero fede alle loro intenzioni...
Ma vorrei concludere con una domanda (da un estimatore del grande maestro russo ad un altro, sembra...):
secondo te, Francesco avrebbe potuto mai dire (come ne "I Demoni"): "se anche Cristo non fosse verità,
preferirei stare col Cristo piuttosto che con la verità"?
saluti
Citazione di: 0xdeadbeef il 09 Luglio 2018, 21:51:23 PMMa vorrei concludere con una domanda (da un estimatore del grande maestro russo ad un altro, sembra...): secondo te, Francesco avrebbe potuto mai dire (come ne "I Demoni"): "se anche Cristo non fosse verità, preferirei stare col Cristo piuttosto che con la verità"? saluti
Difficile rispondere.
Nella vita di Francesco si può comunque osservare un profondo disgusto nei confronti del mondo (non la natura, ma il mondo sociale, i rapporti di potere, la ricchezza etc.).Quindi la sua scelta non è stata tanto tra la verità e Cristo, ma tra la realtà e Cristo. E lui ha scelto Cristo. Cosa che implicava crearsi una nuova realtà (perché quella per esempio offerta dal monastero in cui si era presentato come postulante non aveva nulla a che fare con Cristo, tant'è che la sua vita religiosa istituzionale è durata una settimana...).Questa nuova realtà era la sua piccola comunità di amici. Semplice vita evangelica. Ma infinitamente lontana da ogni esperienza presente.In effetti in personaggi come Francesco (o come Domenico di Guzman) mi è sembrato di trovare spesso un po' di quella disperazione che fa dire a Stavrogin "con Cristo anche se fosse contro la verità" (poi naturalmente Stavrogin ne vede subito l'auto-inganno, o non ha la forza, la potenza, per plasmare la propria vita su di essa, e finisce per "passare" l'idea a qualcun altro facendone infine un esperimento sociologico...).
Citazione di: Kobayashi il 08 Luglio 2018, 17:26:04 PMMi chiedo se non sia arrivato il tempo di abbandonare le tematiche della morte di Dio e iniziare invece la costruzione di una fenomenologia della disperazione, per capire una volta per tutte se l'assenza di ogni speranza e la propria morte psicologica non sia il punto (paradossalmente positivo) su cui edificare una nuova umanità (ma senza le illusioni religiose o dottrinarie di Oriente e Occidente, al di fuori di ogni discorso edificante sulla virtù etc.).
Forse Michelstaedter ha detto qualcosa di originale sulla questione. Ma non ne sono sicuro...
CARLOIl tuo discorso potrebbe funzionare SOLO SE fossi sicuro che Dio non esiste. Ma cos'è che ti dà questa sicurezza? Come spieghi la onnipresenza del fenomeno religioso (tranne in questo ultimo secolo) in OGNI AMBITO della cultura umana fin dalle sue origini (arte, letteratura, conoscenza, ritualità, usanze)? Un perfetto NULLA può essere la causa di un fenomeno così macroscopico e onnipervadente?...E se invece ci decidessimo a studiare il fenomeno per stabilire una volta per tutte che COS'E' che fa sbucare dèi e demoni in ogni tempo e in ogni luogo, anche nelle più sperdute tribù della foresta Amazonica? Naturalmente, mettendo da parte stupidaggini puerili fritte e rifritte come "la paura della morte", la necessità di spiegare con "gli dèi" i fenomeni naturali che l'uomo non capisce, ecc..Ebbene, anche se non te ne sei accorto, questo studio è già iniziato da almeno un'ottantina d'anni: si chiama "Storia comparata del mito e delle idee religiose"; e i primi risultati portano alla necessità logica di ipotizzare un'UNICA fonte di ispirazione di TUTTI i simbolismi e i paradigmi religiosi; un' UNICA matrice che trascende lo spazio geografico e il tempo storico. Naturalmente, a te, che sei un indottrinato dalle idee materialiste oggi di gran moda, non te ne puo' fregare di meno. Ma almeno, sii consapevole del fatto che l'ateismo E' SOLO UNA FEDE che non trova NESSUN supporto nella Scienza, ma solo nella maggior parte degli scienziati (non tutti), indottrinati come te. E che, dunque, la tua "genialata" di cancellare dall'orizzonte della filosofia tutte <<le illusioni religiose o dottrinarie di Oriente e Occidente>> potrebbe essere solo la conseguenza della tua ignoranza e dei tuoi pre-giudizi infondati sul tema "fenomeno religioso".HÄNDEL: Tornami a vagheggiar, op. Alcina
https://youtu.be/8Kvdf-fRNM8
Per Carlo Pierini. Il fatto che una tradizione vi sia sempre stata non dimostra niente. Immagina che la stessa obiezione si sarebbe potuta fare 200 anni fa per la pena di morte o 1000 anni fa per la schiavitu'.
Invece quello che scrive Kobayashi mi sembra molto piu' profondo e spirituale di tanti ritualismi ed effimere "dichiarazioni di fede".
Citazione di: Jacopus il 11 Luglio 2018, 18:48:49 PM
Per Carlo Pierini. Il fatto che una tradizione vi sia sempre stata non dimostra niente. Immagina che la stessa obiezione si sarebbe potuta fare 200 anni fa per la pena di morte o 1000 anni fa per la schiavitu'.
Invece quello che scrive Kobayashi mi sembra molto piu' profondo e spirituale di tanti ritualismi ed effimere "dichiarazioni di fede".
CARLO
Se si trattasse di banali <<dichiarazioni di fede>> non starei qui a parlarne scioccamente. Si tratta della
scoperta degli archetipi, la cui presenza e le cui caratteristiche OGGETTIVE è spiegabile SOLO attraverso l'ipotesi di quell'UNICA matrice a cui accennavo sopra. Ma si deve entrare nel merito per capire di cosa si tratta, perché non è sintetizzabile in poche righe per chi è digiuno dell'argomento. Per averne una prima vaga idea dovresti leggere il mio thread "un'altra visione archetipica", perché quello che è successo a me appartiene alla stessa logica "archetipica" osservata nel campo della simbologia comparata.
Citazione di: Carlo Pierini il 11 Luglio 2018, 18:27:33 PMCARLO Il tuo discorso potrebbe funzionare SOLO SE fossi sicuro che Dio non esiste. Ma cos'è che ti dà questa sicurezza? Come spieghi la onnipresenza del fenomeno religioso (tranne in questo ultimo secolo) in OGNI AMBITO della cultura umana fin dalle sue origini (arte, letteratura, conoscenza, ritualità, usanze)? Un perfetto NULLA può essere la causa di un fenomeno così macroscopico e onnipervadente? ...E se invece ci decidessimo a studiare il fenomeno per stabilire una volta per tutte che COS'E' che fa sbucare dèi e demoni in ogni tempo e in ogni luogo, anche nelle più sperdute tribù della foresta Amazonica? Naturalmente, mettendo da parte stupidaggini puerili fritte e rifritte come "la paura della morte", la necessità di spiegare con "gli dèi" i fenomeni naturali che l'uomo non capisce, ecc.. Ebbene, anche se non te ne sei accorto, questo studio è già iniziato da almeno un'ottantina d'anni: si chiama "Storia comparata del mito e delle idee religiose"; e i primi risultati portano alla necessità logica di ipotizzare un'UNICA fonte di ispirazione di TUTTI i simbolismi e i paradigmi religiosi; un' UNICA matrice che trascende lo spazio geografico e il tempo storico. Naturalmente, a te, che sei un indottrinato dalle idee materialiste oggi di gran moda, non te ne puo' fregare di meno. Ma almeno, sii consapevole del fatto che l'ateismo E' SOLO UNA FEDE che non trova NESSUN supporto nella Scienza, ma solo nella maggior parte degli scienziati (non tutti), indottrinati come te. E che, dunque, la tua "genialata" di cancellare dall'orizzonte della filosofia tutte <<le illusioni religiose o dottrinarie di Oriente e Occidente>> potrebbe essere solo la conseguenza della tua ignoranza e dei tuoi pre-giudizi infondati sul tema "fenomeno religioso". HÄNDEL: Tornami a vagheggiar, op. Alcina https://youtu.be/8Kvdf-fRNM8
Si stava discutendo di come Leopardi concepisse la filosofia. Un tema a lui caro è l'idea del pensiero come distruzione delle illusioni della vita, con tutto ciò che ne consegue in fatto di pessimismo etc.
Da lì prendevo spunto per fare una riflessione: perché non provare a guardare alla questione del nichilismo non secondo la tematica della fine della metafisica ma provando a capire che cosa significa quello stato di disperazione o di quasi morte, a cui si arriva anche attraverso l'ascetismo cristiano, senza però il supporto appunto del riferimento religioso. Cioè provare a indagare che cosa ne deriva dall'essere vicino alla morte, dall'essere passati attraverso un processo di devastazione psicologica, senza doversi alla fine ne' attaccare alla nostalgia di un dio, ne' a qualche illusione etc. Un esperimento antropologico, diciamo così.Per Leopardi la vita per il filosofo, cioè colui che appunto vede perfettamente la realtà così com'è, la sua vanità, la sua inconsistenza, è sopportabile solo perché sempre si tende a sospendere tale verità pessimistica con qualche piccola illusione, con le abitudini etc.Se non ci fossero queste pause la vita non sarebbe sopportabile.Magari da quel fondo oscuro, azzardo io..., potrebbe venir fuori qualcosa come la pietà.Infine sulla tua matrice universale sono d'accordo con l'argomentazione di Jacopus: la sua universalità non dimostra nulla, tant'è che se la civiltà la si guarda come un prodotto della biologia umana, questa essendo uguale dall'Amazzonia alla Siberia, inevitabilmente avrà strutture simili.
Citazione di: Kobayashi il 12 Luglio 2018, 08:53:17 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 11 Luglio 2018, 18:27:33 PMCARLO Il tuo discorso potrebbe funzionare SOLO SE fossi sicuro che Dio non esiste. Ma cos'è che ti dà questa sicurezza? Come spieghi la onnipresenza del fenomeno religioso (tranne in questo ultimo secolo) in OGNI AMBITO della cultura umana fin dalle sue origini (arte, letteratura, conoscenza, ritualità, usanze)? Un perfetto NULLA può essere la causa di un fenomeno così macroscopico e onnipervadente?
...E se invece ci decidessimo a studiare il fenomeno per stabilire una volta per tutte che COS'E' che fa sbucare dèi e demoni in ogni tempo e in ogni luogo, anche nelle più sperdute tribù della foresta Amazzonica? ...Naturalmente, mettendo da parte stupidaggini puerili fritte e rifritte come "la paura della morte", la necessità di spiegare con "gli dèi" i fenomeni naturali che l'uomo non capisce, ecc.. Ebbene, anche se non te ne sei accorto, questo studio è già iniziato da almeno un'ottantina d'anni: si chiama "Storia comparata del mito e delle idee religiose"; e i primi risultati portano alla necessità logica di ipotizzare un'UNICA fonte di ispirazione di TUTTI i simbolismi e i paradigmi religiosi; un' UNICA matrice che trascende lo spazio geografico e il tempo storico. Naturalmente, a te, che sei un indottrinato dalle idee materialiste oggi di gran moda, non te ne puo' fregare di meno. Ma almeno, sii consapevole del fatto che l'ateismo E' SOLO UNA FEDE che non trova NESSUN supporto nella Scienza, ma solo nella maggior parte degli scienziati (non tutti), indottrinati come te. E che, dunque, la tua "genialata" di cancellare dall'orizzonte della filosofia tutte <<le illusioni religiose o dottrinarie di Oriente e Occidente>> potrebbe essere solo la conseguenza della tua ignoranza e dei tuoi pre-giudizi infondati sul tema "fenomeno religioso". HÄNDEL: Tornami a vagheggiar, op. Alcina https://youtu.be/8Kvdf-fRNM8
KOBAYASHI
Cioè provare a indagare che cosa ne deriva dall'essere vicino alla morte, dall'essere passati attraverso un processo di devastazione psicologica, senza doversi alla fine ne' attaccare alla nostalgia di un dio, ne' a qualche illusione etc. Un esperimento antropologico, diciamo così.
CARLO
Appunto. Dipende se questa "devastazione psicologica" è dovuta alla scoperta dell'inesistenza di una dimensione divina, oppure, più semplicemente, dalla nostra perduta capacità di relazionarci con essa a causa dei nostri pre-giudizi sulla sua non-esistenza.
"L'uomo, giunto alla chiarezza del sapere, deve riconoscere che ogni presunto dialogo con la divinità non era altro che un monologo, cioè un monologo tra i vari strati del proprio Sé. Allora, come ha dichiarato un rappresentante odierno di questa specie umana, bisogna annunciare che Dio è «morto». Ma con tale annuncio, in realtà nient'altro è detto se non che l'uomo è diventato incapace di afferrare una realtà per antonomasia indipendente da lui, e di rapportarsi ad essa. [...] Poiché le grandi immagini divine dell'umanità non nascono dalla fantasia, ma dal reale incontro, per quanto enigmatico, con la reale potenza e magnificenza divine". [MARTIN BUBER: L'eclissi di Dio - pg.26]
KOBAYASHI
Infine sulla tua matrice universale sono d'accordo con l'argomentazione di Jacopus: la sua universalità non dimostra nulla, tant'è che se la civiltà la si guarda come un prodotto della biologia umana, questa essendo uguale dall'Amazzonia alla Siberia, inevitabilmente avrà strutture simili.
CARLO
1 - Ho parlato di necessità logica, perché non si tratta banalmente di strutture simili, ma di strutture che, pur provenienti da culture reciprocamente isolate, presentano dei significati filosofici COMPLEMENTARI, come se fossero visioni di un medesimo "oggetto" (archetipo) visto da angolazioni diverse tra loro.
2 - Il DNA della "biologia umana" coincide al 99% con quello degli scimpanzè, i quali, notoriamente, non vanno in chiesa la domenica. La biologia obbedisce a leggi fisiche, non a significati culturali-metafisici, che sono, invece, dei prodotti della mente.
Li hai letti i miei thread "Un'altra visione archetipica" e "Gli archetipi esistono"? Sapresti darne una spiegazione "biologica" dettagliata?
......dipende prima della devastazione psicologica quel fosse o non fosse ad es. l"immagine di Dio" che si era posta.
Noi entriamo in crisi quando un evento della vita sconvolge una nostra credenza, perchè quella credenza probabilmente era ritenuta la nostra ancora di salvezza. Non si è rivelata tale, e allora sono possibili scelte di diversi sentieri da percorrere.......
Trovo molta vicinanza con le riflessioni filosofiche di Leopardi, a cui non posso che voler bene per avere influenzato la mia concezione della vita da adolescente. Lo stimo particolarmente perché ha posto al centro della sua rigorosa e razionale riflessione filosofica e poetica la felicità.
Dissento dalla sua tesi esposta nel brano iniziale, che la filosofia annichilisca ogni illusione di felicità, per alcune ragioni.
La filosofia come processo di conoscenza della realtà è una ricerca continua, aperta, non ci sono verità definitive, al massimo punti di approdo, più o meno piacevoli, da cui ripartire.
All'illusione della felicità contrappongo l'illusione dell'infelicità. Non riesco ad immaginare uno stato permanente di infelicità come al contrario uno stato permanente di felicità. La vita è un processo in cui la felicità è un attrattore delle scelte, processo di cui non abbiamo il controllo, che da uno stato di base oscilla irregolarmente, casualmente. Per cui la condizione esistenziale individuale non è comparabile.
Immagino la donzelletta e il garzoncello che assaporano la felicita di un abbraccio amoroso e che partecipano dell'amicizia di compagni. L'amore e l'amicizia non durano? Si rinnova la ricerca, fino alla fine. Per me basta a giustificare la mia vita.
Però, scusate, a me sembra che in troppi interventi si tenda ad assimilare il nichilismo cone le, diciamo, "crisi
esistenziali".
Fra le due cose vi è indubbiamente un nesso, ma questo non esausce di certo la tematica del nichilismo.
Lo stesso Leopardi, dicevo, prima di arrivare ad "invidiare solo i morti", era colui che pensava al successo
letterario ed alla fama come antidoto a quella che lui riteneva la "insopportabilità della vita".
Chedeva Kobayashi: "una persona che passa realmente attraverso la devastazione del pessimismo cosmico di Leopardi o
del nichilismo della morte di ogni valore morale ha ancora una potenza e una volontà?"
Beh, bisogna vedere fino a che punto. Sicuramente il Leopardi che "invidia solo i morti" ha, se più ce l'ha, una potenza
e una volontà del tutto particolari. Ma il Leopardi che cerca la fama letteraria ha certamente una volontà di
potenza più, per così dire, "canonicamente intesa".
E comunque, io credo, il nichilismo va guardato "anche" dal punto di vista di chi i morti non li invidia proprio,
tutt'altro. Dal punto di vista, cioè, di chi pur non avendo nessun valore morale "vive"; e "vive" molto spesso
di edonismo e di egoismo.
Trovo non sia necessario, per essere nichilisti, l'invidiare i morti. Basta e avanza il vivere bramando la "bella
vita"; naturalmente per se, visto che degli altri a chi non ha valori morali non importa un fico secco.
Poi, come spesso accade, quando arrivano i momenti duri (ad esempio la malattia, la morte di qualche familiare)
ci si rifugia nelle "braccia compassionevoli di Santa Madre Chiesa"...
Non sono pochi i casi in cui il nichilismo va a braccetto con la volontà di potenza. Anzi direi che sono la
maggioranza dei casi. Un nichilismo dovuto al "pessimismo cosmico" o alla riflessione sull'eclissi del valore
morale è pertinenza delle anime sensibili, e queste sono assai poche.
I più, come dicevo, "vivono" o quantomeno si sforzano di "vivere" (edonisticamente ed egoisticamente), e sono
perfettamente consapevoli di essere nichilisti (magari non nel termine in sè ma certamente nella sostanza), senza che
questo vada minimamente ad intaccare quella volontà di primeggiare e di avere successo che Nietzsche chiamava "di
potenza".
Del resto lo stesso Dostoevskij, nei "Karamazov" ci offre una limpida illustrazione di come i più ragionano: "come
un condannato a morte nel carro verso il patibolo; esso si avvicina sempre più, ma manca ancora tanto..."
saluti