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LOGOS - Argomenti => Tematiche Filosofiche => Discussione aperta da: Eutidemo il 09 Febbraio 2021, 14:36:37 PM

Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: Eutidemo il 09 Febbraio 2021, 14:36:37 PM
Non starò qui a riepilogare nè la "dimostrazione ontologica" dell'esistenza di Dio prospettata da Sant'Anselmo, nè quella, molto più attuale, proposta da Kurt Godel; la quale ultima, a quanto pare, sarebbe stata matematicamente confermata nel 2017, grazie alla capacità di calcolo di un computer, da Bruno Woltzenlogel Paleo dell'Università Tecnica di Vienna e da Christoph Benzmuller della Libera Università di Berlino.
Non ho riepilogato nessuna delle due teorie (ammesso che io sia in grado di farlo), perchè presumo che i partecipanti a questo FORUM ne siano già tutti esaurientemente informati anche meglio di me; come anche presumo che siano già tutti edotti dalle varie "critiche" e "controcritiche" relative a tali "teoremi ontologici" sulle quali, quindi, pure sorvolo.
***
Diversamente, più che esaminare i "ragionamenti" logico-deduttivi con cui vengono sviluppate tali teorie, io vorrei focalizzare l'attenzione sulle loro "premesse"; e, cioè, su qual è il concetto che i loro propugnatori hanno del "Dio", alla dimostrazione dell'esistenza del quale dirigono tutti i loro sforzi.
Al riguardo, se vorrete perdonare l'estrema semplicizzazione della mia grossolana sintesi:
a)
Secondo Sant'Anselmo, Dio sarebbe l'"entità di cui non si può pensare niente di maggiore" (e di qui tutto il suo conseguente ragionamento, di cui sono convinto che siate perfettamente al corrente);
b)
Secondo Godel, invece, Dio sarebbe "l'entità che possiede tutte le proprietà positive" (e di qui tutto il suo conseguente ragionamento, che, in verità, è un tantino più complicato di quello del Santo).
***
Sono entrambe degnissime definizioni di carattere "catafatico", le quali, però, non tengono in alcun conto la circostanza che, di Dio, possono aversi anche delle concezioni -altrettanto rispettabili, sebbene meno diffuse- di ben diverso carattere "apofatico".
Al riguardo ricordo che:
- la teologia "catafatica" è quella che attribuisce in sommo grado a Dio, come causa prima di tutto il creato, le "proprietà positive" che connotano le tutte le creature.
- la teologia "apofatica", invece, è quella che procede alla conoscenza di Dio per via di negazioni, dicendo "ciò che Dio non è".
Per cui, secondo me, le teorie "ontologiche" (a parte le altre critiche) possono funzionare logicamente e matematicamente solo partendo da premesse "opinabili", e che, quindi, non possono essere assunte ad "assiomi".
***
Senza considerare, peraltro:
- che esistono tutt'ora popolazioni con "credenze animistiche", che attribuiscono "proprietà divine" alle cose, agli animali e ai loro totem;
- così come esistono, e, soprattutto, sono esistite, popolazioni con "credenze politeistiche".
Lo stesso Salmo 81 (di Asaf), che non risulta affatto "emendato" dalla Bibbia attualmente vigente, recita testualmente : "Dio si alza nell'assemblea divina, e giudica in mezzo agli dèi (elohim)."
Inoltre, in Genesi 20:13 Abramo, davanti al re Abimelech, dice testualmente che "Gli dèi (elohim) mi hanno fatto (verbo plurale) errare lungi dalla casa di mio padre"; però la versione greca (LXX) , e la maggior parte delle versioni italiane, lo traducono pudicamente al singolare: "Dio mi ha fatto/fece", forse per evitare l'insinuazione di Abramo che si rimette alle credenze politeiste di Abimelech.
***
Ad ogni modo, pur non essendo io nè un "animista" nè un "politeista", e considerando ormai superate storicamente tali concezioni della divinità, devo tuttavia prendere atto che, in effetti, anche quelle erano (ed in alcune parti del mondo ancora sono) "concezioni di Dio" perfettamente lecite; e, con tali concezioni, le dimostrazioni ontologiche non mi sembra che funzionino molto.
Nè, come ho detto, funzionano con le molto più evolute concezioni della divinità di carattere "apofatico"; come, ad esempio, quella di San Dionigi l'Aeropagita.
Nessuno può dire: "Io solo so cosa deve intendersi con il termine <<DIO>>"; e poi, sulla base della definizione che lui stesso ne ha dato, costruirci su un ragionamento, per dimostrare che esiste.
Altrimenti io potrei definire "dio" il "quadrato costruito sull'ipotenusa", e poi dimostrarne l'esistenza   sommando le aree dei quadrati costruiti sui cateti.
***
Per concludere, quindi, ritengo che le teorie ontologiche possono risultare valide (critiche su alcune loro impostazioni autoreferenziali a parte), solo dando per scontata la concezione di partenza che i loro propugnatori hanno di "cosa" o "chi" possa definirsi "dio";  però, poichè nè la dimostrazione di Sant'Anselmo nè quella di Goedel possono dimostrare le premesse assiomatiche da cui partono, secondo me entrambe si risolvono in una sorta di "petizione di principio", sebbene, specie la seconda, molto sottile e raffinata.
***
Tuttavia, ovviamente, sono io che potrei essere in errore, nell'interpretarle sotto tale aspetto; tanto più che mi pare che nessuno dei critici di tale teorie (molto più autorevoli di me), abbia mai fatto cenno a tali mie perplessità.
***
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: viator il 09 Febbraio 2021, 15:24:30 PM
Salve Eutidemo. Oltre che sapiente e saggio, sei anche molto buono nel crederci tutti all'altezza - e soprattutto a conoscenza - di ciò che hai citato.Sinora ero solo "al corrente" dell'esistenza - tra tante - di una "dimostrazione" fornita da S.Anselmo e di un'altra fornita da Goedel. I loro dettagli non mi interessavano e non mi interessano (probabilmente quelli goedeliani non riuscirei a comprenderli) per la semplice ragione che tu stesso hai evidenziato : latitano definizioni condivisibili del termine "Dio".



In ogni caso sia S.Anselmo che Goedel non potranno che attaccarsi ad una qualche teorizzazione dell'assoluto, riempiendola con la presenza o l'assenza (ridicola, quest'ultima !) di qualcosa che costituisca - per ovvie e bambinesche ragioni - una parzialità dell'assoluto-Dio stesso, cioè risulti relativo. Che sia poi il bene (ovviamente umanamente interpretato) od il male (idem).........non ha alcuna importanza.



Dal mio punto di vista il concetto di Dio, comunque svolto ed interpretato, altro non è che la inevitabile concettualizzazione - di volta in volta più o meno volgarizzata e quindi interpretata in funzione degli svariati usi e consumi che conosciamo - della monade, della unicità la cui visione e percezione sensoriale ci è negata per il semplice motivo che noi siamo la parte (il relativo) mentre "Dio" altro non sarebbe che "ciò che contiene senza venir contenuto da altro più grande di sè", quindi l'Assoluto.


Quindi, alla fine dei conti, come S.Anselmo e Goedel non hanno affatto avuto bisogno di attendere la mia comparsa per giungere alle loro conclusioni così simili alla mia.................io non ho avuto e non ho bisogno di loro due per raggiungerli sulla loro strada. E ciò non perchè io sia un dotto, ma solamente perchè ho dedicato dei ritagli di tempo ad approfondire assai più gli aspetti logici di questo quesito che quelli suggestivi. Salutoni.
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: bobmax il 09 Febbraio 2021, 16:28:50 PM
Sono convinto che la prova ontologica di Anselmo, in realtà non sia una dimostrazione e neppure abbia a che fare con l'ontologia.

L'ontologia infatti riduce inevitabilmente l'Essere all'ente.
Mentre qui abbiamo piuttosto una periecontologia. Così come definita da Karl Jaspers. Ovvero slancio verso l'Assoluto.

Infatti non si ha in Anselmo una dimostrazione, che deriva necessariamente da delle premesse.
Anselmo non dimostra.
Suggerisce un processo.

Ed è la preparazione ciò che gioca un ruolo fondamentale in questo processo.
Occorre infatti prima sgombrare la mente.

Poi il processo si svolge considerando entità, perché non può prescinderne.
Ma solo per andarne oltre.
"Ciò di cui non si può pensare niente di maggiore..."
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: viator il 09 Febbraio 2021, 16:32:11 PM
Salve. Aggiungo un commento circa Goedel : Citando da Eutidemo : "però, poichè nè la dimostrazione di Sant'Anselmo nè quella di Goedel possono dimostrare le premesse assiomatiche da cui partono, secondo me entrambe si risolvono in una sorta di "petizione di principio", sebbene, specie la seconda, molto sottile e raffinata".Non saprei giudicare la raffinatezza della teorizzazione matematica di Goedel, la quale ovviamente si porrà al di fuori di teologia e filosofia, quindi potrà eventualmente rispettare solamente la logica matematica (cioè solo convenzionale) ma non certo la logica appunto filosofica (cioè naturale).Venendo invece appunto alla logica naturale ed inserendo la definizione appunto goedeliana "Secondo Godel, invece, Dio sarebbe "l'entità che possiede tutte le proprietà positive" (e di qui tutto il suo conseguente ragionamento, che, in verità, è un tantino più complicato di quello del Santo)"............un simile postulato risulterebbe di significato abbastanza ovvio :Se Dio possedesse anche solo alcune proprietà positive (fosse in parte bene) accanto ad altre negative (ma in altra parte, male), la sua onnipotenza ne risulterebbe negata in quanto - stante e permanente tale sua condizione - Dio verrebbe a consistere in una entità autocontradditoria, la quale possiede alcuni attributi che risultano accompagnati da altri che sono negatori del loro contrario. Cioè Dio risulterebbe come ente composto da due categorie relative l'una all'altra (bene e male).Quindi avremmo un Dio duale e non assoluto il quale, essendo privo di assolutezza, non potrebbe possedere un attributo necessariamente assoluto quale l'onnipotenza.Quindi Dio, se esistente, non potrebbe che essere Unico ed Assoluto.Quindi dovrebbe risultare completamente e perfettamente solo BENEFICO o solo MALEFICO.E perchè, secondo sia Goedel che me, Dio può essere solo e completamente benefico ? Perchè Goedel attribuisce - all'interno delle sue teorizzazioni (ed affermo ciò senza conoscerle !!) a ciò che esiste il valore 1 ed a ciò che manca, non esiste, il valore 0. Ciò che esiste risulta positivo, quindi l'unicità (di Dio, se esistente - intendibile a piacere sia come singolarità che come totalità) coincide con la positività (di Dio, se esistente).Che poi la positività, l'esistere (l'1) risulti filosoficamente un BENE mentre la nullità, la assenza, la mancanza (lo 0) risulti un MALE..................secondo me è perfettamente sussumibile postulando appunto che IL MALE (lo 0) non esista ma "consista" solamente nella imperfezione, carenza o mancanza DEL BENE.Infatti la motivazione psichica per la quale moltissimi credono nell'esistenza di Dio.......altro non è che la fiducia e speranza nell'esistenza del bene. Risaluti.
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: Eutidemo il 09 Febbraio 2021, 17:06:40 PM
Ciao Viator. :)
Ti ringrazio per i complimenti, in verità alquanto immeritati; tanto più che i ragionamenti goedeliani stento alquanto a comprenderli anch'io.
Però tu, non avendo le nostre tastiere l'accento tedesco "umlaut", hai avuto almeno l'accortezza di evidenziare il "dittongo", scrivendo, molto più correttamente di me, il nome esatto del povero "Goedel"; io, invece, in modo alquanto scorretto e corrivo, ho scritto "Godel", senza dieresi e senza dittongo.
:-[
Per il resto, credo che la mia usuale metafora delle "onde" e del "mare", più o meno corrisponda alla tua affermazione che  noi siamo la "parte individuale" (il relativo),  mentre "Dio" altro non sarebbe che "ciò che contiene senza venir contenuto da altro più grande di sè", quindi l'Assoluto (sebbene io preferisca chiamarlo Essere).
Saluti :)
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: Eutidemo il 09 Febbraio 2021, 17:13:42 PM
Citazione di: bobmax il 09 Febbraio 2021, 16:28:50 PM
Sono convinto che la prova ontologica di Anselmo, in realtà non sia una dimostrazione e neppure abbia a che fare con l'ontologia.

L'ontologia infatti riduce inevitabilmente l'Essere all'ente.
Mentre qui abbiamo piuttosto una periecontologia. Così come definita da Karl Jaspers. Ovvero slancio verso l'Assoluto.

Infatti non si ha in Anselmo una dimostrazione, che deriva necessariamente da delle premesse.
Anselmo non dimostra.
Suggerisce un processo.

Ed è la preparazione ciò che gioca un ruolo fondamentale in questo processo.
Occorre infatti prima sgombrare la mente.

Poi il processo si svolge considerando entità, perché non può prescinderne.
Ma solo per andarne oltre.
"Ciò di cui non si può pensare niente di maggiore..."
Anche a tale riguardo, ho sempre avuto le mie perplessità, in quanto il termine "maggiore", se non si precisa "sotto quale aspetto" "A" è "maggiore" di "B" (ad esempio Tizio è il fratello maggiore di Caio, perchè è nato due anni prima), risulta essere un predicato alquanto ambiguo.
Maggiore in che senso?
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: Eutidemo il 09 Febbraio 2021, 17:32:28 PM
Citazione di: viator il 09 Febbraio 2021, 16:32:11 PM
Salve. Aggiungo un commento circa Goedel : Citando da Eutidemo : "però, poichè nè la dimostrazione di Sant'Anselmo nè quella di Goedel possono dimostrare le premesse assiomatiche da cui partono, secondo me entrambe si risolvono in una sorta di "petizione di principio", sebbene, specie la seconda, molto sottile e raffinata".Non saprei giudicare la raffinatezza della teorizzazione matematica di Goedel, la quale ovviamente si porrà al di fuori di teologia e filosofia, quindi potrà eventualmente rispettare solamente la logica matematica (cioè solo convenzionale) ma non certo la logica appunto filosofica (cioè naturale).Venendo invece appunto alla logica naturale ed inserendo la definizione appunto goedeliana "Secondo Godel, invece, Dio sarebbe "l'entità che possiede tutte le proprietà positive" (e di qui tutto il suo conseguente ragionamento, che, in verità, è un tantino più complicato di quello del Santo)"............un simile postulato risulterebbe di significato abbastanza ovvio :Se Dio possedesse anche solo alcune proprietà positive (fosse in parte bene) accanto ad altre negative (ma in altra parte, male), la sua onnipotenza ne risulterebbe negata in quanto - stante e permanente tale sua condizione - Dio verrebbe a consistere in una entità autocontradditoria, la quale possiede alcuni attributi che risultano accompagnati da altri che sono negatori del loro contrario. Cioè Dio risulterebbe come ente composto da due categorie relative l'una all'altra (bene e male).Quindi avremmo un Dio duale e non assoluto il quale, essendo privo di assolutezza, non potrebbe possedere un attributo necessariamente assoluto quale l'onnipotenza.Quindi Dio, se esistente, non potrebbe che essere Unico ed Assoluto.Quindi dovrebbe risultare completamente e perfettamente solo BENEFICO o solo MALEFICO.E perchè, secondo sia Goedel che me, Dio può essere solo e completamente benefico ? Perchè Goedel attribuisce - all'interno delle sue teorizzazioni (ed affermo ciò senza conoscerle !!) a ciò che esiste il valore 1 ed a ciò che manca, non esiste, il valore 0. Ciò che esiste risulta positivo, quindi l'unicità (di Dio, se esistente - intendibile a piacere sia come singolarità che come totalità) coincide con la positività (di Dio, se esistente).Che poi la positività, l'esistere (l'1) risulti filosoficamente un BENE mentre la nullità, la assenza, la mancanza (lo 0) risulti un MALE..................secondo me è perfettamente sussumibile postulando appunto che IL MALE (lo 0) non esista ma "consista" solamente nella imperfezione, carenza o mancanza DEL BENE.Infatti la motivazione psichica per la quale moltissimi credono nell'esistenza di Dio.......altro non è che la fiducia e speranza nell'esistenza del bene. Risaluti.
Mi hai ricordato che, nel considerare le varie "credenze religiose" a cui ho accennato nel mio post iniziale, ce n'è una che, invece, ho trascurato; e, cioè, la fede "zoroastriana" (e, in parte, quella derivata "manichea") nell'esistenza dicotomica di due principi divini, il Bene (Ahura Mazdā) ed il Male (Arhiman), che si trovano in una sostanziale situazione di "equipollenza" e "isostenia".
Il che ricorda un po' anche il dualismo taoista tra lo  "yang", che è un'energia luminosa, e positiva, e lo "yin", che, invece è una luce negativa e passiva; però, secondo me, si tratta di una somiglianza soltanto superficiale, perchè, in realtà, si tratta di concezioni che, sì, sono entrambe "dualiste", ma in modo molto diverso tra di loro!
Nessuna delle due, però, e congeniale alla mia personale concezione di Dio, che, più che "monoteista", io definirei "monista". :)
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: Eutidemo il 09 Febbraio 2021, 17:33:35 PM
Citazione di: Eutidemo il 09 Febbraio 2021, 17:32:28 PM
Citazione di: viator il 09 Febbraio 2021, 16:32:11 PM
Salve. Aggiungo un commento circa Goedel : Citando da Eutidemo : "però, poichè nè la dimostrazione di Sant'Anselmo nè quella di Goedel possono dimostrare le premesse assiomatiche da cui partono, secondo me entrambe si risolvono in una sorta di "petizione di principio", sebbene, specie la seconda, molto sottile e raffinata".Non saprei giudicare la raffinatezza della teorizzazione matematica di Goedel, la quale ovviamente si porrà al di fuori di teologia e filosofia, quindi potrà eventualmente rispettare solamente la logica matematica (cioè solo convenzionale) ma non certo la logica appunto filosofica (cioè naturale).Venendo invece appunto alla logica naturale ed inserendo la definizione appunto goedeliana "Secondo Godel, invece, Dio sarebbe "l'entità che possiede tutte le proprietà positive" (e di qui tutto il suo conseguente ragionamento, che, in verità, è un tantino più complicato di quello del Santo)"............un simile postulato risulterebbe di significato abbastanza ovvio :Se Dio possedesse anche solo alcune proprietà positive (fosse in parte bene) accanto ad altre negative (ma in altra parte, male), la sua onnipotenza ne risulterebbe negata in quanto - stante e permanente tale sua condizione - Dio verrebbe a consistere in una entità autocontradditoria, la quale possiede alcuni attributi che risultano accompagnati da altri che sono negatori del loro contrario. Cioè Dio risulterebbe come ente composto da due categorie relative l'una all'altra (bene e male).Quindi avremmo un Dio duale e non assoluto il quale, essendo privo di assolutezza, non potrebbe possedere un attributo necessariamente assoluto quale l'onnipotenza.Quindi Dio, se esistente, non potrebbe che essere Unico ed Assoluto.Quindi dovrebbe risultare completamente e perfettamente solo BENEFICO o solo MALEFICO.E perchè, secondo sia Goedel che me, Dio può essere solo e completamente benefico ? Perchè Goedel attribuisce - all'interno delle sue teorizzazioni (ed affermo ciò senza conoscerle !!) a ciò che esiste il valore 1 ed a ciò che manca, non esiste, il valore 0. Ciò che esiste risulta positivo, quindi l'unicità (di Dio, se esistente - intendibile a piacere sia come singolarità che come totalità) coincide con la positività (di Dio, se esistente).Che poi la positività, l'esistere (l'1) risulti filosoficamente un BENE mentre la nullità, la assenza, la mancanza (lo 0) risulti un MALE..................secondo me è perfettamente sussumibile postulando appunto che IL MALE (lo 0) non esista ma "consista" solamente nella imperfezione, carenza o mancanza DEL BENE.Infatti la motivazione psichica per la quale moltissimi credono nell'esistenza di Dio.......altro non è che la fiducia e speranza nell'esistenza del bene. Risaluti.
Mi hai ricordato che, nel considerare le varie "credenze religiose" a cui ho accennato nel mio post iniziale, ce n'è una che, invece, avevo trascurato; e, cioè, la fede "zoroastriana" (e, in parte, quella derivata "manichea") nell'esistenza dicotomica di due principi divini, il Bene (Ahura Mazdā) ed il Male (Arhiman), che si trovano in una sostanziale situazione di "equipollenza" e "isostenia".
Il che ricorda un po' anche il dualismo taoista tra lo  "yang", che è un'energia luminosa, e positiva, e lo "yin", che, invece è una luce negativa e passiva; però, secondo me, si tratta di una somiglianza soltanto superficiale, perchè, in realtà, si tratta di concezioni che, sì, sono entrambe "dualiste", ma in modo molto diverso tra di loro!
Nessuna delle due, però, e congeniale alla mia personale concezione di Dio, che, più che "monoteista", io definirei "monista".
Risaluti :)
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: davintro il 09 Febbraio 2021, 18:04:20 PM
Un circolo vizioso si dà nel momento in cui la tesi che si vuol dimostrare è già implicita nelle premesse dell'argomentazione, e ciò renderebbe fallace quest'ultima, che assumerebbe la sua pretesa di verità come presupposto dogmatico del suo procedere. Non è però il caso della prova ontologica, in quanto la premessa, sia nella versione anselmiana che godeliana, non poggia su un GIUDIZIO, una tesi che pretenderebbe di esser data per scontata pre-argomentativamente, ma su delle DEFINIZIONI. Le definizioni non sono giudizi, non presentano presunzioni di verità, dunque non esistono definizioni vere e definizioni false. La definizione, tranne nei casi in cui si formulassero in modo autocontraddittorio (del tipo, il rosso è un colore non-colore), e non è questo il caso delle definizioni che la prova ontologica pone nelle sue premesse, indica una certa possibilità logica, un possibile determinazione della realtà, di per sé, ancora non esprimente alcuna pretesa di verità, ma che, analizzandone il contenuto, può esplicitarsi come richiedente necessariamente l'esistenza di ciò che si definisce. Riformulare le definizioni proposte in giudizi "Dio è ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore/Diò è l'entità che possiede tutte le proprietà positive", è logicamente scorretto, in quanto quello che nelle loro premesse Anselmo e Godel stanno proponendo non è un giudizio, ma una possibile definizione di Dio che non è detto debba essere l'unica possibile (dato che il linguaggio e le definizioni sono convenzioni), cioè le loro premesse in realtà sono solo proposte linguistiche ("supponiamo di voler definire Dio in un determinato modo, e valutiamo quali implicazioni ricavarne tramite l'analisi dei termini utilizzati"), e dato che il linguaggio non è un fatto reale ma una convenzione, in questa proposta linguistica non è implicato alcun giudizio sulla realtà oggettiva, dunque nessuna tesi dogmaticamente premessa in una petitio principii. Se un animista volesse rigettare la proposta linguistica di Anselmo o Godel, e continuare a definire "Dio" l'albero o il vento, resterebbe, anche dal punto di vista di entrambi, perfettamente libero, a condizione però di riconoscere razionalmente che dalla sua definizione di Dio, non ne discenderebbe l'esistenza, mentre dalla loro sì. Questo perché, fintanto che si ci limita a dare una certa definizione di Dio, non si sta IMMEDIATAMENTE affermandone l'esistenza in un giudizio subdolamente posto come premessa dell'argomentazione. Difatti, anche qualunque critico della prova ontologica non può esimersi dal definire Dio in un certo modo. Non può esimersi Tommaso d'Aquino, che, opponendo ad Anselmo le prove a posteriori, deve comunque assumere la definizione di Dio come "Causa prima" o "Fine ultimo", come concetti la cui esistenza dovrebbe esser richiesta a render ragione della realtà del mondo dell'esperienza, e nemmeno l'ateo o l'agnostico, che per considerare Dio non esistente o l'impossibilità di dimostrarne l'esistenza, devono comunque partire da una certa idea di Dio, e dunque da una definizione, altrimenti la loro riflessione sarebbe del tutto insensata, mancando l'apprensione del significato di ciò di cui cercherebbero di contestare l'esistenza o la stessa possibilità di poter dimostrare l'esistenza. Come faccio a negare l'esistenza di qualcosa o la possibilità di dimostrazione dell'esistenza se non ho la minima idea di cosa sto sottoponendo ad analisi? Dunque, pensare che la semplice proposta di definizione consista in un giudizio già posto in premessa, dunque squalificante la validità logica dell'argomentazione, è una critica che può essere rigirata in direzione di qualunque tesi opposta o alternativa all'argomentazione stessa, e ciò dimostra la non sensatezza della critica, in quanto una critica che finisce col distruggere tutte le possibili soluzioni riguardo una questione è una critica assurda (che la soluzione a un quesito consista nel fatto che non c'è soluzione è un'assurda autocontraddizione).


Questo è il punto di forza della prova ontologica, accetta di muovere dalle stesse premesse di un ateo o di un agnostico, cioè sul piano di una possibile definizione di Dio, piano che lo stesso ateo e agnostico, devono accettare, dato che, come detto, anche loro necessitano di una definizione per le loro tesi, per mostrare che proprio da delle premesse, potenzialmente accettabili anche da loro (linguaggio come convenzione e non come realtà), si possa argomentare mostrando la contraddizione dell'ateismo e dell'agnosticismo. E in questo senso la prova ricorda che qualunque argomentazione dell'esistenza di Dio debba partire da un piano comune a qualunque ipotetico oppositore, cioè l'idea di Dio, dunque indica nell'interiorità e nella coscienza le dimensioni da considerare nella ricerca. La prova ontologica si inserisce nella linea platonica-agostiniana-cartesiana-rosminiana del pensiero cristiano, alternativo a quello più legato al tomismo, che invece elegge il mondo naturale, esterno, come punto di partenza del riconoscimento dell'esistenza di Dio. Qui sta, secondo me, il suo contributo, storico e teoretico, positivo.


Il punto debole della prova, invece, trovo sia, l'utilizzo di categorie etiche, "maggiore" in Anselmo, "positive" in Godel, (per quanto riguarda Godel sto valutando a partire dalla formula citata da Eutidemo, non avendo letto direttamente il matematico in questione), all'interno di un discorso che dovrebbe porsi in un'ottica unicamente e rigorosamente teoretica. L'idea che l'esistenza di un ente sia implicata nella sua "grandezza" o "positività", è giudizio morale, cioè ponibile in modo soggettivo e arbitrario, ma non ha un fondamento oggettivo che ne garantisca la razionalità. Ciò sulla base della non deducibilità dei giudizi di valore, soggettivi, da quelli di fatto, oggettivi. Tuttavia penso che questo sia un limite superabile riformulando la terminologia in modo più teoretico e moralmente neutro, senza gettar via il bambino con l'acqua sporca, senza eliminare il punto corretto di dover sempre assumere un dato coscienziale, non immediatamente posto come fatto oggettivo, l'idea di Dio come punto di partenza per ogni tentativo di argomentare sulla questione dell'esistenza.
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: Jacopus il 09 Febbraio 2021, 18:37:35 PM
Per Davintro. La ricerca di una definizione il più intelligente possibile su Dio è connessa inevitabilmente con la dimostrazione della sua esistenza, ovviamente in via logico-deduttiva. Ma la ridondanza semantica di Dio, a sua volta, implica, una volta dimostrata la sua esistenza, anche l'accettazione di tutti i giudizi e le tradizioni a lui ascrivibili. La Teologia non è un settore della scienza dove è possibile, anzi doveroso, separare definizioni e giudizi.
Se ad esempio dicessi che il Comunismo è uno specifico sistema politico, questa definizione sarebbe comunque neutra.
In ogni caso ritengo la religione un principio di fede. Volerla "razionalizzare" la espone ad un pensiero, quello laico-scientifico, rispetto al quale non ha più sufficienti strumenti controargomentativi.
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: davintro il 09 Febbraio 2021, 19:56:40 PM
Citazione di: Jacopus il 09 Febbraio 2021, 18:37:35 PM
Per Davintro. La ricerca di una definizione il più intelligente possibile su Dio è connessa inevitabilmente con la dimostrazione della sua esistenza, ovviamente in via logico-deduttiva. Ma la ridondanza semantica di Dio, a sua volta, implica, una volta dimostrata la sua esistenza, anche l'accettazione di tutti i giudizi e le tradizioni a lui ascrivibili. La Teologia non è un settore della scienza dove è possibile, anzi doveroso, separare definizioni e giudizi.
Se ad esempio dicessi che il Comunismo è uno specifico sistema politico, questa definizione sarebbe comunque neutra.
In ogni caso ritengo la religione un principio di fede. Volerla "razionalizzare" la espone ad un pensiero, quello laico-scientifico, rispetto al quale non ha più sufficienti strumenti controargomentativi.


Non concordo su diversi punti. A parte, come detto, definizioni apertamente autocontradditorie, certamente "meno intelligenti" di quelle non contraddittorie, non esistono definizioni più intelligenti di altre. Pensarlo presupporrebbe l'adesione a fantasiose teorie sul "linguaggio naturale", l'idea di una presunta corrispondenza tra cosa e parola, per cui una certa parola sarebbe, non convenzionalmente, ma oggettivamente e naturalmente, più adeguata delle altre a esprimere una certa cosa (cosa che può aver senso in parte solo per il linguaggio onomatopeico). La costante mutevolezza storica delle lingue falsifica queste tesi, mostrando come sia possibile mutare il lessico dei dizionari senza che la struttura oggettiva del reale (e dunque il valore di verità dei giudizi, che consiste nella corrispondenza dei giudizi con le cose in sè) muti. Se un giorno decidessi di chiamare l'albero "pinco pallino", in nulla muterebbe il complesso delle verità oggettive che riflettono la natura dell'albero come realtà in sé. Dunque definire non è giudicare, indipendentemente dal campo di indagine, compresa la teologia.


Non vedo perché la distinzione tra definizione e giudizio presupponga la fondatezza razionale del giudizio in questione. Che una certa tesi sia ricavata dalla ragione o da un puro sentimento, in ogni caso il momento dell'assunzione della definizione, che esprime il senso dell'idea in questione, è altro da quello in cui a tale significato, di per sé ideale, viene associato a una realtà oggettivamente esistente. Nulla impedisce (di fatto, che poi anche di principio ciò sia teoreticamente valido è un altro discorso) a un ateo di accettare la stessa definizione di Dio che ne da un credente, senza per questo condividerne il giudizio di esistenza. Così anche in teologia la distinzione tra i due momenti, definizione, significato ideale di un ente e giudizio, attribuzione e negazione di esistenza oggettiva, resta in piedi.


Non è vero che dalla dimostrazione dell'esistenza di Dio derivi l'accettazione di, cito, "tutti i giudizi e le tradizioni a lui ascrivibili". Le tradizioni religiose riflettono le differenze culturali dei diversi popoli, mentre Dio nell'accezione filosofica può essere definito sulla base di concetti a cui poter attribuire significati che restano identici, al di là delle culture. Il Dio che Anselmo o Godel cercano di dimostrare nella sua esistenza, è lo stesso che anche un islamico o un ebreo potrebbero accettare, indipendentemente dal fatto che questi, fatto salvo questo nucleo concettuale condiviso, non riconoscono questo Dio come sostanzialmente incarnato, morto e resuscitato nella figura del Cristo. Senza questa distinzione non si spiegherebbe il sorgere storico del Deismo, il tentativo di affermare l'esistenza di Dio in termini puramente razionali, mettendo da parte gli aspetti fideistici inerenti presunte rivelazioni storiche, dovremmo assurdamente pensare che tutti i cattolici progressisti che hanno disobbedito all'insegnamento morale della Chiesa votando a favore della legge sul divorzio siano per questi diventati tutti atei o agnostici, mentre in realtà hanno probabilmente  solo cercato di propugnare una visione di Dio e della fede alternativa a quelle di una certa tradizione dottrinale. E non sarebbe possibile che anch'io, per quel nulla che vale il mio caso, sia convinto dell'esistenza di Dio sulla base di categorie interne anche a una tradizione metafisica cristiana, che però non seguo in toto, mantenendo il mio dissenso su punti legati all'insegnamento morale e fideistico.


La religione intesa come puro sentimento e intuizione di un Ente superiore all'uomo è certamente principio di fede, ben diverso il discorso nel momento in cui si passa da una fase immediata e "ingenua" in cui si accetta l'idea di Dio nell'immediatezza del vissuto psicologico della fede a una in cui si cerca di argomentarne le questioni in modo razionale. La metafisica si rivolge all'oggetto di fede della religione, ma non sulla base della forma mentis religiosa, fideista ma razionale. Metafisica e religione condividono l'oggetto di riferimento, non la forma dell'atteggiamento con cui l'oggetto è considerato. Pensare che la metafisica sia fede vuol dire confondere forma e contenuto, e allora, si potrebbe dire, con la stessa premessa, anche l'ateismo dovrebbe essere visto come fede, dato anche l'ateo argomenta la sua tesi riferendosi allo stesso contenuto della religione. La razionalità metafisica non entra in alcun conflitto con quella "laico-scientifica", che si esprime nel metodo galileiano e che vale per lo studio della natura fisica, non di quella spirituale. La distinzione dei due piani, naturalistico e spirituale, evita la contrapposizione delle due razionalità, ed anche la necessità di "strumenti controargomentativi". Pensare a una contrapposizione, una sovrapposizione dei due piani, implica l'assolutizzazione della dimensione fisica, assunta come unica realtà possibile, tesi impossibile da verificare con la stessa fonte di esperienza delle scienze naturali, cioè l'osservazione sensibile, implica cioè, in contraddizione con le sue premesse, un'assolutizzazione metafisica. Ecco perché, giustamente, continuiamo a studiare il positivismo nei manuali di filosofia, anziché di fisica, chimica o biologia... Le ragioni del positivismo, il superamento della religione e della metafisica come fasi provvisorie dell'entrata dell'umanità della Scienza, implicherebbe la considerazione del positivismo come "scienza" e non come "filosofia", cosa che non è. Nessuno scienziato (naturalista) serio si sognerebbe di inserire il materialismo e l'ateismo come contenuti delle loro discipline. E immaginare questa situazione come provvisoria, di contro a un lontano futuro in cui questa scientificizzazione dell'ateismo avverrà non rende i vari Feuerbach, Comte tanto diversi da delle figure profetiche con tutto il carico di fideismo che accompagna ogni escatologia.
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: Ipazia il 09 Febbraio 2021, 20:40:59 PM
Citazione di: davintro il 09 Febbraio 2021, 19:56:40 PM
Nessuno scienziato (naturalista) serio si sognerebbe di inserire il materialismo e l'ateismo come contenuti delle loro discipline.
Non ne ha bisogno perchè il materialismo è implicitamente contenuto in tutte le scienze naturali dal bigbang alle particelle quantistiche. Oggi nessuno scienziato si sognerebbe di parlare di miracolo di fronte ad un evento imprevedibile. Si formulano ipotesi, si fanno esperimenti, ma l'ipotesi Dio viene esclusa dalle scienze naturali e dalla fenomenologia che viene indagata. Come ha già osservato Jacopus.
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: iano il 09 Febbraio 2021, 23:30:17 PM


Lui, se è unico, un suo linguaggio , non l'ha neanche, perché non gli serve.
Ma si adatta ad usare i nostri linguaggi nelle rivelazioni.
In questo modo arriva a noi .
Noi , per contro, pretenderemmo di usare il nostro linguaggio, per giungere a lui, dimostrandone l'esistenza.
È evidente che questa cosa non sta in piedi, a meno che non si creda, e la maggioranza in effetti lo crede, che la matematica se non è propriamente il linguaggio di Dio, non essendo platonicamente neanche un linguaggio intimo dell'uomo, ma albergando fuori di lui in altro mondo, sia quanto meno perciò più attendibile.
Ma per accreditare una qualunque dimostrazione matematica che possa dimostrare l'esistenza di Dio occorrerebbe dichiarare apertamente , senza solo lasciarlo pensare, che la matematica sia il linguaggio di Dio.
Anzi, quella sarebbe la vera dimostrazione dell'esistenza di Dio.
Dimostrare che un certo linguaggio sia divino, equivale a dimostrare l'esistenza di Dio.

Se il grande Goedel si è imbarcato in questa dimostrazione di esistenza di Dio, evidentemente dava  per scontato che la matematica sia il suo linguaggio, senza però dimostrarlo.
Ma se questo fosse vero, allora perché Dio non si è rivelato a noi attraverso il linguaggio matematico, cioè la sua lingua, visto che noi, seppur i più a fatica, lo comprendiamo?
Se invece la matematica è un linguaggio umano, allora non è adatto a giungere fino a Dio, dimostrandolo.
Si può essere platonici o meno, ma mi pare nessuno abbia mai dimostrato la sua non essere credenza, ma verità.
Se invece non è unico ma tanti, allora chiedersi in che lingua comunicano, sarebbe interessante.
Magari usano proprio la matematica, o quantomeno non riusciamo a pensare di meglio, essendo la matematica il miglior linguaggio che conosciamo.
Ma il fatto che non riusciamo a pensar di meglio non significa che non esiste di meglio, ovviamente.
Magari non hanno neanche bisogno di un linguaggio gli Dei per comunicare, e per loro la matematica è solo uno dei tanti linguaggi umani fra i quali poter scegliere per comunicare con noi.


Ciò in aggiunta agli argomenti di Eutidemo, che nel mentre apriva la questione ,la chiudeva già in modo convincente.
Perché, se anche la matematica fosse il linguaggio di Dio, non potremo mai dire di conoscere completamente  davvero quel linguaggio, visto che, seppure fosse residente in altro mondo ,quello platonico, e noi ci limitassimo a scoprirla, questa scoperta non sembra essere giunta a fine, se mai un fine avesse.
La ma tematica di oggi esclude si possa dimostrare Dio secondo logica, perché dichiara che le ipotesi di partenza sono arbitrarie, quindi non vere.
La matematica di ieri aveva motivo di imbarcarsi in tali tipi di dimostrazioni, in quanto partiva,da premesse ovvie, che perciò non andavano dimostrate.
Si poteva quindi partire dall'ovvio, per sperare di giungere a Dio.
Ma se si parte dall'ovvio, ammesso e non concesso, a cos'altro si arriva se non all'ovvio?
Tanta fatica per cosa dunque?
Invidio quello che ha fede. Quello per cui Dio è ovvio.
Non invidio chi pensa di doverlo dimostrare.


Se Dio è ovvio, non occorre dimostrarlo.
Se non è ovvio non è dimostrabile.




Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: iano il 10 Febbraio 2021, 00:13:55 AM
In matematica ciò che viene dimostrato è già insito nelle ipotesi, ma non essendo ovvio, occorre dimostrarlo.
Questo induce alcuni ad affermare che la matematica sia tutta una tautologia, cosa che è vera, ma che non la rende inutile, anzi.
Ciò illustra che essendo il nostro punto di vista sempre relativo, il massimo a cui possiamo ambire è cambiarlo, e se la scienza di ciò fa' fondamento , questa tautologia vale la scienza.
Anche il mistero di come facciamo ,a comprendere potrebbe essere spiegato per tale via.
Se siete stati studenti avrete avuto esperienza del fatto che comprendere significa dire la stessa cosa con parole proprie.
Solo allora potremo dire di aver compreso ciò che abbiamo studiato, per quanto si ottenga la promozione anche con buona memoria ripetendo a pappagallo.
Ma, se io fossi Dio, mi sentirei offeso da un uomo che pretenda di giungere a me pensando di poter essere racchiuso dentro una sua ipotesi, che una volta formulata, se si potesse fare, varrebbe già la dimostrazione della mia esistenza, senza bisogno di altri passaggi.
Una volta che sei riuscito a dire Dio, che bisogno c'è di dirlo, tautologicamente , in altri modi?
Il problema è dirlo, e qualcuno se ne è accorto, dicendolo innominabile.

Titolo: Re:La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: iano il 10 Febbraio 2021, 00:32:51 AM
Dire che il quadrato sul lato maggiore del triangolo vale la somma dei quadrati dei restanti due lati, è un modo diverso di dire che il triangolo ha un angolo retto.
Ma ciò non è ovvio.
Perciò va' dimostrato.
Certo, facciamo anche fatica umanamente a giungere a tali banalità, che sono banali appunto solo col senno di poi.
Ma una volta a ciò giunti dovrebbe essere ovvio che la frase  "dimostrare l'esistenza di Dio " non significa nulla.
Se si parte da premesse umane, possiamo dirle in altri termini, ma resteranno sempre umane.
Se invece pensiamo di partire da premesse divine, non occorre dimostrazione .
Ma nessuno mi pare abbia affermato di partire da premesse divine, ma solo di esser giunto, semmai, a conclusioni divine.
È impossibile, come volevasi dimostrare.
Questo è un classico teorema di impossibilità, che possiamo aggiungere ai tanti già in possesso dei matematici, e che sono non meno importanti di quelli di possibilità.
Sapere cosa non si possa dire è importante tanto quanto sapere cosa si possa dire.
Abbiamo dimostrato oggi che Dio è indimostrabile.
Dimostratemi adesso il contrario.💁
Titolo: Re:La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: Phil il 10 Febbraio 2021, 00:34:55 AM
Citazione di: Eutidemo il 09 Febbraio 2021, 14:36:37 PM
ritengo che le teorie ontologiche possono risultare valide (critiche su alcune loro impostazioni autoreferenziali a parte), solo dando per scontata la concezione di partenza che i loro propugnatori hanno di "cosa" o "chi" possa definirsi "dio";  però, poichè nè la dimostrazione di Sant'Anselmo nè quella di Goedel possono dimostrare le premesse assiomatiche da cui partono, secondo me entrambe si risolvono in una sorta di "petizione di principio", sebbene, specie la seconda, molto sottile e raffinata.
Il quarto assioma della dimostrazione di Gödel è «l'esistenza necessaria è una proprietà positiva»(cit.) (proprio come Anselmo premetteva l'esistenza come requisito per poter essere "maggiore"), se dunque Dio è stato definito come avente tutte le proprietà positive (o come ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore), la conclusione è tanto logica quanto "circolare": Dio "ha" (anche) l'esistenza. Tuttavia questa circolarità resta irrilevante ai fini ontologici, non essendo un'autentica dimostrazione: l'essere esistente è infatti già attribuito a Dio implicitamente nella sua arbitraria definizione (che funge da premessa semantica), poiché "avere tutte le proprietà positive" (o non essere "minore" ad altro) si esplicita in avere fra esse anche l'esistenza (il "demonstrandum"). Definire Dio come caratterizzato delle proprietà positive equivale, in questo caso, a definirlo già (a priori) come esistente, ma non a dimostrarlo tale, soprattutto se si considera gli oneri che comporta una dimostrazione ontologica. Se seguiamo passo passo la dimostrazione di Gödel, la sua chiave di volta è infatti palesemente la definizione-assioma di divinità in quanto caratterizzata da tutte le proprietà positive (fra cui, appunto, l'esistenza) e, stando ai teoremi di indecidibilità dello stesso Gödel, è logico che un assioma non possa essere dimostrato all'interno del sistema che esso stesso fonda.

Banalizzando a scopo esemplificativo: se definisco mia sorella come quel possibile essere umano di genere femminile che è imparentato con me condividendo la mia stessa madre, etc. seguendo il ragionamento di Gödel (con qualche sostituzione di proprietà, trattandosi banalmente di «sorella» e non di «Dio») da tale definizione si arriverebbe alla "prova ontologica" dell'esistenza di mia sorella... che invece non esiste (almeno che io sappia).
Il salto fra la (infalsificabile) possibilità di un dio (o quella di una sorella "dispersa") e la sua necessità è ciò che andrebbe dimostrato (se proprio ci si vuole rivolgere all'ontologia per una dimostrazione su questo tema), piuttosto che risolto appellandosi ad una definizione il cui referente è già definito implicitamente come esistente, o accettando che la possibilità di esistenza implichi la necessità di esistenza (assioma che potrebbe essere utilizzato anche controfattualmente, come nel caso della mia "sorella fantasma").


P.s.
Per scrivere la «ö» puoi usare la combinazione: tasto «Alt» e 148 (rilasciando il tasto «Alt» dopo aver digitato il numero).
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: iano il 10 Febbraio 2021, 01:10:56 AM
Una teoria fisica di successo è un soddisfacente e diverso modo di dire le esperienze  che abbiamo fatto.
Fra le tante esperienze umane ci è quella della rivelazione divina , che è unica , e in quanto tale non abbisogna di abbellimenti teorici.
Non va' detta in altri termini attraverso dimostrazioni matematiche.
Va' solo vissuta da parte di chi ha la fortuna di imbattercisivi visici, come diceva Felice Allegria, giusto per chiudere col non prendersi troppo sul,serio, semmai questa impressione vi avessi dato con le mie pretese dimostrative.
Si discute e si scherza piacevolmente.
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: Eutidemo il 10 Febbraio 2021, 07:08:37 AM
Ciao Davintro. :)
Tecnicamente hai perfettamente ragione; ed infatti, "bada bene", io ho scritto che, sia la dimostrazione di Sant'Anselmo sia quella di Goedel, secondo, me si risolvono entrambe  <<in una sorta>> di "petizione di principio" (cioè non in una "petizione di principio" in senso stretto).
Ho scritto così, in quanto, effettivamente, la premessa, sia nella versione anselmiana che in quella goedeliana, non poggia su un GIUDIZIO esplicitato come tale, bensì su una DEFINIZIONE; la quale, tecnicamente, non costituisce un "giudizio formulato in modo espresso".
Tuttavia, nel caso di specie (come spesso accade anche con altre teorie), la  "definizione" dei due pensatori, implica aprioristicamente un "giudizio" circa quella che, secondo loro, deve ritenersi essere la "vera" la natura di Dio, e, cioè, che Esso, secondo loro:
- non è un "totem" o un "vitello d'oro";
- non è un "essere antropomorfo", immortale e superpotente, che vive nell'Olimpo;
- non è un principio duale (Bene/Male)
- non è un Essere indeterminato, avvolto da una "nube di non conoscenza", a cui si può accedere solo per negazione.
Secondo la "definizione" dei due pensatori,  invece, (almeno per come è stata scritta), Dio, più o meno, "... è ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore, ovvero l'entità che possiede tutte le proprietà positive"; ma questo è un "demostrandum", e non un "demonstratum", nè, tantomeno, un "assioma" universalmente riconosciuto, come quello per i quale "i corpi sono estesi" (nessuna religione, per quanto bizarra, lo nega).
***
E' invece vero che, almeno in Goedel, "supponendo di voler definire Dio in quel determinato modo, e valutando quali implicazioni ricavarne tramite l'analisi dei termini utilizzati", ne deriverebbe effettivamente l'esistenza logico-formale di "quel tipo di Dio" che è stato dato per scontato come presupposto del ragionamento; ma, secondo me, il suo ragionamento, per quanto molto elaborato, si riduce ad una sorta di complicata "tautologia", perchè le sue conclusioni erano logicamente implicite nella premessa definitoria (critiche al ragionamento a parte, sulle quali sorvolo).
Ad esempio, se io fondo una nuova religione, sostenendo che Dio è "il numero che risulta dalla somma di 2356 + 8521",  non è che poi io abbia fatto una grande scoperta se, grazie al ragionamento matematico definito "addizione", dimostro che, effettivamente, esiste il numero 10.877; cioè, appunto, il Dio della mia definizione!
***
A parte questo, non è vero che "qualunque critico della prova ontologica non può esimersi dal definire Dio in un certo modo"; ed infatti, chi ha un approccio di tipo "apofatico", parte proprio dal presupposto che Dio non possa essere definito in alcun modo.
A meno che non si voglia sofisticamente eccepire che anche dire che "Dio è indefinibile", costituisce comunque una "definizione" di Dio; il che, secondo me sarebbe un po' troppo anche per Gorgia da Leontini.
***
Tuttavia, concordo con te che "il linguaggio non è un fatto reale ma una convenzione"; mentre, almeno per determinate concezioni della divinità, "DIO" è sopratutto un fatto "esperenziale" individuale.
***
Un saluto! :)
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: iano il 10 Febbraio 2021, 09:24:24 AM
Citazione di: Eutidemo il 10 Febbraio 2021, 07:08:37 AM


Tuttavia, concordo con te che "il linguaggio non è un fatto reale ma una convenzione"; mentre, almeno per determinate concezioni della divinità, "DIO" è sopratutto un fatto "esperenziale" individuale.

Un saluto! :)
Tutto ben detto e in modo stringato, per quanto si possa fare con un linguaggio che non è irreale, ma relativo.
Anzi di tutte le esperienze col reale quella del linguaggio è forse la più diretta, quella che dimostra e sottolinea con un segno la nostra esperienza cosciente.
Di tutto cio' risente l'umana conoscenza, tanto più quanto tenda in alto.
Cercando di parlare di Dio, pur senza averne l'intenzione, ci si ritrova a parlare di noi.
Ma sono più i casi in cui tale intenzione e' esplicita.
Si prova così ad ovviare facendo selezione fra i diversi linguaggi e i mezzi che li veicolano, ma il risultato non cambia.
Ma alla fine cio' che salta fuori da questa discussione è la centralità del linguaggio oltre alla sua relatività .
Non è pacifico poter considerare ovvie le premesse di alcunché, ma quando ciò accade credo derivi da una intima confidenza col nostro linguaggio da farcelo apparire ovvio esso stesso, finché non arrivano i filosofi a sparigliare le nostre carte.
E magari per lor è un modo per scaricare su altri la frustrazione che ci accomuna.
La strada maestra per me è quella di fare di mancanza virtù
Dopo questa bella discussione mi appare quanto mai chiaro quanto sia importante applicarsi allo studio del linguaggio, tanto più quanto ci sembri naturale, a noi intimo fino all'ovvietà, sia quando ci appaia estraneo e perciò ostico.
Esso  racchiude i limiti di ciò che per noi è la realtà in termini di coscienza, e la nostra sola ricchezza possibile e' una ricchezza di linguaggio che si articola in diversi mezzi espressivi da esaltare tutti insieme , più che farne classifica e sterile selezione.
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: Ipazia il 10 Febbraio 2021, 09:30:17 AM
Purtroppo - per i teisti - le prove onto-logiche hanno un prefisso da cui nessuna logica, per quanto sofisticata, può svicolare.
Titolo: Re:La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: Eutidemo il 10 Febbraio 2021, 10:06:32 AM
Citazione di: iano il 10 Febbraio 2021, 00:32:51 AM
Dire che il quadrato sul lato maggiore del triangolo vale la somma dei quadrati dei restanti due lati, è un modo diverso di dire che il triangolo ha un angolo retto.
Ma ciò non è ovvio.
Perciò va' dimostrato.
Certo, facciamo anche fatica umanamente a giungere a tali banalità, che sono banali appunto solo col senno di poi.
Ma una volta a ciò giunti dovrebbe essere ovvio che la frase  "dimostrare l'esistenza di Dio " non significa nulla.
Se si parte da premesse umane, possiamo dirle in altri termini, ma resteranno sempre umane.
Se invece pensiamo di partire da premesse divine, non occorre dimostrazione .
Ma nessuno mi pare abbia affermato di partire da premesse divine, ma solo di esser giunto, semmai, a conclusioni divine.
È impossibile, come volevasi dimostrare.
Questo è un classico teorema di impossibilità, che possiamo aggiungere ai tanti già in possesso dei matematici, e che sono non meno importanti di quelli di possibilità.
Sapere cosa non si possa dire è importante tanto quanto sapere cosa si possa dire.
Abbiamo dimostrato oggi che Dio è indimostrabile.
Dimostratemi adesso il contrario.💁

D'altronde, il più famoso teorema di Goedel è appunto quello cosidetto di "incompletezza"; secondo il quale esistono enunciati matematici di cui nessuna procedura sistematica può determinare la verità o la falsità.
;)

Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: iano il 10 Febbraio 2021, 10:20:01 AM
Citazione di: Ipazia il 10 Febbraio 2021, 09:30:17 AM
Purtroppo - per i teisti - le prove onto-logiche hanno un prefisso da cui nessuna logica, per quanto sofisticata, può svicolare.
Vincendo la mia pigrizia ho sbirciato Wikipedia, e la prima impressione è che l'antologia trasformi il soggettivo in oggettivo aggiungendovi un "in se'".
Lungi da me il voler irridere tale tentativo, che anzi mi commuove perfino.
Alla fine si tratta dell'umana tensione a trascendere i propri limiti.
Limitarsi a mostrare i risvolti ridicoli che ciò comporta sarebbe come amar vincere facile.
Titolo: Re:La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: iano il 10 Febbraio 2021, 10:36:13 AM
Citazione di: Eutidemo il 10 Febbraio 2021, 10:06:32 AM
Citazione di: iano il 10 Febbraio 2021, 00:32:51 AM
Dire che il quadrato sul lato maggiore del triangolo vale la somma dei quadrati dei restanti due lati, è un modo diverso di dire che il triangolo ha un angolo retto.
Ma ciò non è ovvio.
Perciò va' dimostrato.
Certo, facciamo anche fatica umanamente a giungere a tali banalità, che sono banali appunto solo col senno di poi.
Ma una volta a ciò giunti dovrebbe essere ovvio che la frase  "dimostrare l'esistenza di Dio " non significa nulla.
Se si parte da premesse umane, possiamo dirle in altri termini, ma resteranno sempre umane.
Se invece pensiamo di partire da premesse divine, non occorre dimostrazione .
Ma nessuno mi pare abbia affermato di partire da premesse divine, ma solo di esser giunto, semmai, a conclusioni divine.
È impossibile, come volevasi dimostrare.
Questo è un classico teorema di impossibilità, che possiamo aggiungere ai tanti già in possesso dei matematici, e che sono non meno importanti di quelli di possibilità.
Sapere cosa non si possa dire è importante tanto quanto sapere cosa si possa dire.
Abbiamo dimostrato oggi che Dio è indimostrabile.
Dimostratemi adesso il contrario.💁

D'altronde, il più famoso teorema di Goedel è appunto quello cosidetto di "incompletezza"; secondo il quale esistono enunciati matematici di cui nessuna procedura sistematica può determinare la verità o la falsità.
;)
Cercare di capire Goedel non è facile, e io non l'ho ancora capito.
Ma se mai lo capirò me ne accorgerò esclamando...ma tutto ciò è ovvio, ci voleva tanto a capirsi?
Sollevare il leggero velo dell'ovvio sarebbe facile in effetti. Difficile e' decidersi a farlo.
Forse perché ciò equivale ad una rivoluzione nell'assetto variabile della nostra vita.
Ciò che siamo chiamati a revisionare infatti è quel nostro contraddittorio , ma vitale, "non è vero, ma ci credo".

Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: baylham il 10 Febbraio 2021, 11:37:29 AM
Citazione di: iano il 10 Febbraio 2021, 10:20:01 AM
Citazione di: Ipazia il 10 Febbraio 2021, 09:30:17 AM
Purtroppo - per i teisti - le prove onto-logiche hanno un prefisso da cui nessuna logica, per quanto sofisticata, può svicolare.
Vincendo la mia pigrizia ho sbirciato Wikipedia, e la prima impressione è che l'antologia trasformi il soggettivo in oggettivo aggiungendovi un "in se'".
Lungi da me il voler irridere tale tentativo, che anzi mi commuove perfino.
Alla fine si tratta dell'umana tensione a trascendere i propri limiti.
Limitarsi a mostrare i risvolti ridicoli che ciò comporta sarebbe come amar vincere facile.


L'esistenza di Dio, la rivelazione di Dio, non viene intesa come ontologica da parte dei mistici che la sperimentano? Non trasformano il soggettivo in oggettivo?

Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: baylham il 10 Febbraio 2021, 11:43:40 AM
Il teorema di Gödel mi sembra funzioni ugualmente bene anche per l'esistenza del Diavolo se sostituisco negativo a positivo.

Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: bobmax il 10 Febbraio 2021, 12:16:52 PM
Citazione di: baylham il 10 Febbraio 2021, 11:37:29 AM
Citazione di: iano il 10 Febbraio 2021, 10:20:01 AM
Citazione di: Ipazia il 10 Febbraio 2021, 09:30:17 AM
Purtroppo - per i teisti - le prove onto-logiche hanno un prefisso da cui nessuna logica, per quanto sofisticata, può svicolare.
Vincendo la mia pigrizia ho sbirciato Wikipedia, e la prima impressione è che l'antologia trasformi il soggettivo in oggettivo aggiungendovi un "in se'".
Lungi da me il voler irridere tale tentativo, che anzi mi commuove perfino.
Alla fine si tratta dell'umana tensione a trascendere i propri limiti.
Limitarsi a mostrare i risvolti ridicoli che ciò comporta sarebbe come amar vincere facile.
L'esistenza di Dio, la rivelazione di Dio, non viene intesa come ontologica da parte dei mistici che la sperimentano? Non trasformano il soggettivo in oggettivo?

Non vi è alcuna ontologia nella mistica.

Perché è proprio la scissione soggetto/oggetto a perdere di consistenza.

Di modo che non vi è più "oggetto".

Per la mistica Dio è Nulla.
Titolo: Re:La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: iano il 10 Febbraio 2021, 12:49:34 PM
Citazione di: baylham il 10 Febbraio 2021, 11:37:29 AM


L'esistenza di Dio, la rivelazione di Dio, non viene intesa come ontologica da parte dei mistici che la sperimentano? Non trasformano il soggettivo in oggettivo?
No. Diventa semmai, o prova  a diventare, la soggettività di una comunità di singoli, con non poche difficoltà dovendo parlare di ciò di cui non si può parlare.


Fra il soggettivo e l'oggettivo c'è questa terza posizione che può allargarsi in certi casi fino ad abbracciare l'umanità intera.
Ciò che diciamo ovvio deriva in effetti da una soggettività globalizzata.
Secondo il vulgo una posizione condivisa da tutti corrisponde al vero.
Viviamo sommersi in forzature logiche come questa e di cui sembra non si possa fare a meno.
Sembrano così necessarie che avversarle genera reazioni spazientite, a volte.
Il bipolarismo soggettivo oggettivo è di solito rivolto al singolo , ma l'argomento diventa interessante quando lo si rivolge ad una comunità di singoli più o meno allargata.
Come ha fatto la percezione sensoriale umana, pur essendo soggettiva, ad essere condivisa da tutti gli uomini?
Di fatto lo è, e questo dimostra che è un obiettivo possibile.
Difficile però da ottenere con metodo cosciente.
Il miglior metodo in atto è quello scientifico.
L'obiettivo però, al di là' delle dichiarazioni di intenti , non è il ricreare una "rivelazione globalizzata", ma creare comunità di intenti.
Trasferire il metodo dell'imparare sbagliando dal singolo alla intera comunità, perché ,si pensa possa uscirne rafforzato.
La,scienza però è ancora lontana dall'essere percepita come ovvia.
È solo un buon candidato a sostituire la nostra percezione , ma nel dirlo non uso una espressione felice, perché manco così di sottolineare la naturale, e come potrebbe essere diversamente, continuità del processo.
Noi abbiamo in effetti coscienza di una forte discontinuità nel processo che genera disagio, ma il motivo di tale percezione errata , sta proprio nella novità di un massiccio nuovo intervento della coscienza nel processo.
È la coscienza stessa il punto di discontinuità.
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: Ipazia il 10 Febbraio 2021, 14:29:15 PM
Possiamo lasciarci inondare da tutti i flussi di coscienza possibili, ma alla fine sono ta onta a comandare in sede ontologica, ovvero scientifica. Non è questione di volgo e opinioni, ma di realtà.
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: baylham il 10 Febbraio 2021, 14:35:11 PM
Citazione di: bobmax il 10 Febbraio 2021, 12:16:52 PM
Citazione di: baylham il 10 Febbraio 2021, 11:37:29 AM
Citazione di: iano il 10 Febbraio 2021, 10:20:01 AM
Citazione di: Ipazia il 10 Febbraio 2021, 09:30:17 AM
Purtroppo - per i teisti - le prove onto-logiche hanno un prefisso da cui nessuna logica, per quanto sofisticata, può svicolare.
Vincendo la mia pigrizia ho sbirciato Wikipedia, e la prima impressione è che l'antologia trasformi il soggettivo in oggettivo aggiungendovi un "in se'".
Lungi da me il voler irridere tale tentativo, che anzi mi commuove perfino.
Alla fine si tratta dell'umana tensione a trascendere i propri limiti.
Limitarsi a mostrare i risvolti ridicoli che ciò comporta sarebbe come amar vincere facile.
L'esistenza di Dio, la rivelazione di Dio, non viene intesa come ontologica da parte dei mistici che la sperimentano? Non trasformano il soggettivo in oggettivo?

Non vi è alcuna ontologia nella mistica.

Perché è proprio la scissione soggetto/oggetto a perdere di consistenza.

Di modo che non vi è più "oggetto".

Per la mistica Dio è Nulla.

Allora secondo logica il mistico è Dio.
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: InVerno il 10 Febbraio 2021, 14:47:16 PM
Citazione di: davintro il 09 Febbraio 2021, 18:04:20 PM


Il punto debole della prova, invece, trovo sia, l'utilizzo di categorie etiche, "maggiore" in Anselmo, "positive" in Godel, (per quanto riguarda Godel sto valutando a partire dalla formula citata da Eutidemo, non avendo letto direttamente il matematico in questione), all'interno di un discorso che dovrebbe porsi in un'ottica unicamente e rigorosamente teoretica. L'idea che l'esistenza di un ente sia implicata nella sua "grandezza" o "positività", è giudizio morale, cioè ponibile in modo soggettivo e arbitrario, ma non ha un fondamento oggettivo che ne garantisca la razionalità. Ciò sulla base della non deducibilità dei giudizi di valore, soggettivi, da quelli di fatto, oggettivi. Tuttavia penso che questo sia un limite superabile riformulando la terminologia in modo più teoretico e moralmente neutro, senza gettar via il bambino con l'acqua sporca, senza eliminare il punto corretto di dover sempre assumere un dato coscienziale, non immediatamente posto come fatto oggettivo, l'idea di Dio come punto di partenza per ogni tentativo di argomentare sulla questione dell'esistenza.
Non è per "sfidarti", ma potresti provare a riformulare come suggerisci? Io non ho provato, ma ho come l'impressione che non sia per niente semplice.
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: bobmax il 10 Febbraio 2021, 15:15:29 PM
Citazione di: baylham il 10 Febbraio 2021, 14:35:11 PM
Citazione di: bobmax il 10 Febbraio 2021, 12:16:52 PM
Citazione di: baylham il 10 Febbraio 2021, 11:37:29 AM
Citazione di: iano il 10 Febbraio 2021, 10:20:01 AM
Citazione di: Ipazia il 10 Febbraio 2021, 09:30:17 AM
Purtroppo - per i teisti - le prove onto-logiche hanno un prefisso da cui nessuna logica, per quanto sofisticata, può svicolare.
Vincendo la mia pigrizia ho sbirciato Wikipedia, e la prima impressione è che l'antologia trasformi il soggettivo in oggettivo aggiungendovi un "in se'".
Lungi da me il voler irridere tale tentativo, che anzi mi commuove perfino.
Alla fine si tratta dell'umana tensione a trascendere i propri limiti.
Limitarsi a mostrare i risvolti ridicoli che ciò comporta sarebbe come amar vincere facile.
L'esistenza di Dio, la rivelazione di Dio, non viene intesa come ontologica da parte dei mistici che la sperimentano? Non trasformano il soggettivo in oggettivo?
Non vi è alcuna ontologia nella mistica.
Perché è proprio la scissione soggetto/oggetto a perdere di consistenza.
Di modo che non vi è più "oggetto".
Per la mistica Dio è Nulla.
Allora secondo logica il mistico è Dio.

Sì.
In quanto l'io non è più.

Dio è.

Dio è infatti anche detto "Supremo Distacco".
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: Ipazia il 10 Febbraio 2021, 16:41:27 PM
Citazione di: bobmax il 10 Febbraio 2021, 15:15:29 PM
Citazione di: baylham il 10 Febbraio 2021, 14:35:11 PM
Allora secondo logica il mistico è Dio.

Sì.
In quanto l'io non è più.

Dio è.

Dio è infatti anche detto "Supremo Distacco".

Su questo l'atea Ipazia, e Nicce sopra di lei, concordano perfettamente. Siamo nell'acme estatico della volontà di potenza ascetica.
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: bobmax il 10 Febbraio 2021, 18:05:52 PM
Citazione di: Ipazia il 10 Febbraio 2021, 16:41:27 PM
Citazione di: bobmax il 10 Febbraio 2021, 15:15:29 PM
Citazione di: baylham il 10 Febbraio 2021, 14:35:11 PM
Allora secondo logica il mistico è Dio.
Sì.
In quanto l'io non è più.
Dio è.
Dio è infatti anche detto "Supremo Distacco".
Su questo l'atea Ipazia, e Nicce sopra di lei, concordano perfettamente. Siamo nell'acme estatico della volontà di potenza ascetica.

No, è l'estinzione di ogni volontà personale.

Nietzsche sospetto l'avesse vissuta, ma forse non riconosciuta.
Tutto in lui esprime lo spasimo della volontà che cerca la propria dissoluzione.
Se lo ami, non puoi non vederlo.
Certo, il suo percorso, come per tutti i mistici, era la fede nella Verità.

Ipazia non so, mi sa di no. Sino a quando sarà finalmente colta dalla Grazia.
E qualcosa mi dice che non manca poi molto.
E' tutta una questione di Verità...
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: Ipazia il 10 Febbraio 2021, 18:42:50 PM
La Grazia è il Nulla, quello Vero, che prima o poi arriva per tutti i mortali.
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: bobmax il 11 Febbraio 2021, 09:34:13 AM
Citazione di: Ipazia il 10 Febbraio 2021, 18:42:50 PM
La Grazia è il Nulla, quello Vero, che prima o poi arriva per tutti i mortali.
Certo Ipazia non ci sarà più. Non esisterà più... sarà nulla.

Ma Ipazia è mai esistita davvero?

Davvero esiste ora una Ipazia incondizionata, libera, che prescinde da tutto il resto?

O non è invece stata sempre, in definitiva, puro nulla?

Un nulla, tuttavia, in cui sono apparse, qui e là, tracce d'amore...

La storia di Ipazia finisce, il sipario cala.
Ma tu sei sempre quello stesso amore, che hai intravisto, come Ipazia.

Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: paul11 il 11 Febbraio 2021, 13:58:07 PM
 La prova ontologica di "dio", a mio parere è piuttosto banale per mancanza di premesse dichiarative fondamentali. Seppure siano corrette dal punto di visto logico le due prove, mancano di valide argomentazioni designatorie. Visto che sono state indicate nella discussione argomenti geometrici, lo stesso dovrebbe accadere con "dio".
Se in geometria si inizia dal punto che presuppone un piano, dalla linea, che presuppone una continuità di punti , ecc. solo dopo avvengono le costruzioni delle figure geometriche con le relative proprietà : ad esempio in tutti i triangoli la somma degli angoli interni è (sempre) 180 gradi, un angolo piatto, e il teorema di Pitagora è applicabile solo ad un triangolo con un angolo retto, di 90 gradi, ecc.


Ciò che intendo dire è che "dio" nella prova ontologica ha già gli attributi divini nella definizione, ma non ha la verifica del perché dio debba avere necessariamente quegli attributi e proprietà .
Infatti  né Platone e neppure Aristotele , iniziano filosoficamente argomentando di "dio" ma collegano l'universo , la natura , chi al Bene e chi ad una Causa prima (incausata).
Prima bisogna dimostrare che cosa è il Bene e la Causa prima e poi una volta verificato che dalle definizioni e premesse necessarie è possible arrivare ad una conclusione vera, si può passare ad una eventuale identità divina con i fondamenti filosofici di Platone e Aristotele.


Aristotele quando discute sul sillogismo,  ne fa un'amplissimo esercizio di innumerevoli tipologie.
Una premessa "forte" induce anche attraverso medi ad arrivare ad una conclusione vera.
Ma il problema è il sillogismo dimostrativo che già per Aristotele doveva essere "naturale" per essere scienza ( e in questo precorre di parecchi secoli la modernità, e questo dovrebbe far riflettere i filosofi e del perché il tomismo  in qualche modo dà le premesse alla modernità), nel senso che deve dare conoscenza, oppure non la dà.
Le prove ontologiche di "dio" a me pare non diano conoscenza, ma la presumono.


Senza queste argomentazioni le due prove ontologiche, presumono già che chi le ha scritte le abbiano implicitamente accettate e altrettanto  che atei la disconoscano, semplicemente perché non identificano ,nell'esempio dei due filosofi, "dio" come causa prima o come Bene.


Nell'esempio di Phil sulla "sorella", nelle premesse è necessario definire che cosa è una sorella, ponendo in luce genitori e fratello e sorelle già esistenti , perché per essere sorella è necessario che vi siano genitori e almeno un fratello o sorella, e solo poi si può attribuire all'eventuale sorella proprietà e attributi .


Per questo motivo le due prove ontologiche , prese in sé e per sé, cioè prive di argomentazioni a priori, le trovo un puro esercizio di logica ,  ma di ben poca consistenza filosofica.
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: viator il 11 Febbraio 2021, 15:51:59 PM
Salve paul11. Mie osservazioni sparse (in grassetto) che colloco all'interno del tuo testo :


                                      ------------------------------------------------



La prova ontologica di "dio", a mio parere è piuttosto banale per mancanza di premesse dichiarative fondamentali.(Condivido). Seppure siano corrette dal punto di visto logico le due prove, mancano di valide argomentazioni designatorie.(Le argomentazioni designatorie secondo me risulteranno eternamente assenti a causa della costante circolarità delle argomentazioni stesse, le quali - riducendosi eternamente a delle pure affermazioni - avranno sempre bisogno di introvabili - oppure infinite - ulteriori argomentazioni designatorie). Visto che sono state indicate nella discussione argomenti geometrici, lo stesso dovrebbe accadere con "dio".
Se in geometria si inizia dal punto che presuppone un piano, (Trovo che l'esistenza-concetto del punto, ente infinitesino, non implichi affatto l'esistenza di dimensioni (piane o non piane) in cui esso punto vada inserito per poter risultare risultare esistente o configurabile) dalla linea, che presuppone una continuità di punti , ecc. solo dopo avvengono le costruzioni delle figure geometriche con le relative proprietà : ad esempio in tutti i triangoli la somma degli angoli interni è (sempre) 180 gradi, un angolo piatto, e il teorema di Pitagora è applicabile solo ad un triangolo con un angolo retto, di 90 gradi, ecc.


Ciò che intendo dire è che "dio" nella prova ontologica ha già gli attributi divini nella definizione, ma non ha la verifica del perché dio debba avere necessariamente quegli attributi e proprietà. (Non può avere tale verifica risultando concettualmente previo alle verifiche, cioè a qualsiasi causa).
Infatti  né Platone e neppure Aristotele , iniziano filosoficamente argomentando di "dio" ma collegano l'universo , la natura , chi al Bene e chi ad una Causa prima (incausata).
Prima bisogna dimostrare che cosa è il Bene e la Causa prima (vedo che tu vorresti che la logica chiarisse le cause della propria esistenza) e poi una volta verificato che dalle definizioni e premesse necessarie è possible arrivare ad una conclusione vera, si può passare ad una eventuale identità divina con i fondamenti filosofici di Platone e Aristotele.


Aristotele quando discute sul sillogismo,  ne fa un'amplissimo esercizio di innumerevoli tipologie.
Una premessa "forte" induce anche attraverso medi ad arrivare ad una conclusione vera.
Ma il problema è il sillogismo dimostrativo che già per Aristotele doveva essere "naturale" per essere scienza ( e in questo precorre di parecchi secoli la modernità, e questo dovrebbe far riflettere i filosofi e del perché il tomismo  in qualche modo dà le premesse alla modernità), nel senso che deve dare conoscenza, oppure non la dà.
Le prove ontologiche di "dio" a me pare non diano conoscenza, ma la presumono.(Anche su ciò sono perfettamente d'accordo).


Senza queste argomentazioni le due prove ontologiche, presumono già che chi le ha scritte le abbiano implicitamente accettate e altrettanto  che atei la disconoscano, semplicemente perché non identificano ,nell'esempio dei due filosofi, "dio" come causa prima o come Bene.


Nell'esempio di Phil sulla "sorella", nelle premesse è necessario definire che cosa è una sorella, ponendo in luce genitori e fratello e sorelle già esistenti , perché per essere sorella è necessario che vi siano genitori e almeno un fratello o sorella, e solo poi si può attribuire all'eventuale sorella proprietà e attributi .


Per questo motivo le due prove ontologiche , prese in sé e per sé, cioè prive di argomentazioni a priori, le trovo un puro esercizio di logica ,  ma di ben poca consistenza filosofica.(Infatti). Cordiali saluti.
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: Ipazia il 11 Febbraio 2021, 20:40:15 PM
Citazione di: bobmax il 11 Febbraio 2021, 09:34:13 AM
Citazione di: Ipazia il 10 Febbraio 2021, 18:42:50 PM
La Grazia è il Nulla, quello Vero, che prima o poi arriva per tutti i mortali.
Certo Ipazia non ci sarà più. Non esisterà più... sarà nulla.

Ma Ipazia è mai esistita davvero?
Certamente. Quella storica spolpata dai cristiani (a proposito di amore  :() e l'attuale che indegnamente ne riveste il nome. Entrambe a prova di ontologia.
CitazioneDavvero esiste ora una Ipazia incondizionata, libera, che prescinde da tutto il resto?
Quando mai ?!? Certe velleità le lascio ai metafisici dell'assoluto.
CitazioneO non è invece stata sempre, in definitiva, puro nulla?
direi piuttosto puro qualcosa
CitazioneUn nulla, tuttavia, in cui sono apparse, qui e là, tracce d'amore...
Questo sì. Il mio compagno conferma. E qualcuno perso per via e qualche amico/a.
CitazioneLa storia di Ipazia finisce, il sipario cala.
Lasciando qualche bel ricordo, mi auguro.
CitazioneMa tu sei sempre quello stesso amore, che hai intravisto, come Ipazia.
Ora sì, dopo non so. Eventualmente ti aggiorno.
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: viator il 11 Febbraio 2021, 20:50:19 PM
Salve Ipazia e bobmax. Incantevole. Praticamente scespiriano. Due volatili che cinguettano......questo mi sembrate.............ah ! Disgraziato me che sono troppo cinico per apprezzare certe cose ! Il confronto tra la più vaporosa delle sensibilità metafisico-criptonullifiche (bobmax) e la più rocciosa delle menti materialisto-criptoideologiche (Ipazia) ! Bravissimi entrambi. Salutoni.
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: davintro il 12 Febbraio 2021, 00:20:18 AM
Citazione di: Eutidemo il 10 Febbraio 2021, 07:08:37 AM
Ciao Davintro.
:)
Tecnicamente hai perfettamente ragione; ed infatti, "bada bene", io ho scritto che, sia la dimostrazione di Sant'Anselmo sia quella di Goedel, secondo, me si risolvono entrambe  <<in una sorta>> di "petizione di principio" (cioè non in una "petizione di principio" in senso stretto).
Ho scritto così, in quanto, effettivamente, la premessa, sia nella versione anselmiana che in quella goedeliana, non poggia su un GIUDIZIO esplicitato come tale, bensì su una DEFINIZIONE; la quale, tecnicamente, non costituisce un "giudizio formulato in modo espresso".
Tuttavia, nel caso di specie (come spesso accade anche con altre teorie), la  "definizione" dei due pensatori, implica aprioristicamente un "giudizio" circa quella che, secondo loro, deve ritenersi essere la "vera" la natura di Dio, e, cioè, che Esso, secondo loro:
- non è un "totem" o un "vitello d'oro";
- non è un "essere antropomorfo", immortale e superpotente, che vive nell'Olimpo;
- non è un principio duale (Bene/Male)
- non è un Essere indeterminato, avvolto da una "nube di non conoscenza", a cui si può accedere solo per negazione.
Secondo la "definizione" dei due pensatori,  invece, (almeno per come è stata scritta), Dio, più o meno, "... è ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore, ovvero l'entità che possiede tutte le proprietà positive"; ma questo è un "demostrandum", e non un "demonstratum", nè, tantomeno, un "assioma" universalmente riconosciuto, come quello per i quale "i corpi sono estesi" (nessuna religione, per quanto bizarra, lo nega).
***
E' invece vero che, almeno in Goedel, "supponendo di voler definire Dio in quel determinato modo, e valutando quali implicazioni ricavarne tramite l'analisi dei termini utilizzati", ne deriverebbe effettivamente l'esistenza logico-formale di "quel tipo di Dio" che è stato dato per scontato come presupposto del ragionamento; ma, secondo me, il suo ragionamento, per quanto molto elaborato, si riduce ad una sorta di complicata "tautologia", perchè le sue conclusioni erano logicamente implicite nella premessa definitoria (critiche al ragionamento a parte, sulle quali sorvolo).
Ad esempio, se io fondo una nuova religione, sostenendo che Dio è "il numero che risulta dalla somma di 2356 + 8521",  non è che poi io abbia fatto una grande scoperta se, grazie al ragionamento matematico definito "addizione", dimostro che, effettivamente, esiste il numero 10.877; cioè, appunto, il Dio della mia definizione!
***
A parte questo, non è vero che "qualunque critico della prova ontologica non può esimersi dal definire Dio in un certo modo"; ed infatti, chi ha un approccio di tipo "apofatico", parte proprio dal presupposto che Dio non possa essere definito in alcun modo.
A meno che non si voglia sofisticamente eccepire che anche dire che "Dio è indefinibile", costituisce comunque una "definizione" di Dio; il che, secondo me sarebbe un po' troppo anche per Gorgia da Leontini.
***
Tuttavia, concordo con te che "il linguaggio non è un fatto reale ma una convenzione"; mentre, almeno per determinate concezioni della divinità, "DIO" è sopratutto un fatto "esperenziale" individuale.
***
Un saluto! :)

Ciao Eutidemo
Se si concorda sulla convenzionalità del linguaggio, allora si dovrebbe convenire  anche sul fatto che, proponendo una certa definizione di Dio, in alcun modo Anselmo o Godel intendono contestare la legittimità logica di definizioni alternative (tra cui quelle citate), ma solo che dalla definizione data da loro sarebbe deducibile l'esistenza, dalle altre no (cosa su cui, ripeto, non concordo, ma per una motivazione diversa da quella degli altri partecipanti alla discussione). Dovendo vincolare la definibilità di un ente al giudizio di esistenza, non si spiegherebbe la possibilità di avere definizioni di entità immaginarie come unicorni e draghi, quando in realtà le loro definizioni son presenti in dizionari ed enciclopedie, senza che per questo nessuno le ritenga reali: ci si limita a individuare delle proprietà che li distinguerebbero qualora fossero reali, anche se poi restano delle proprietà che li caratterizzano solo come immagini mentali. La definizione indica l'essenza, la traduce in segni grafici, fisici (il che non vuol dire che la convenzionalità delle definizioni si allarghi all'intuizione dell'essenza degli oggetti, errori del nominalismo radicale e dell'empirismo, ma non divaghiamo...), non indica l'esistenza. Pensare che indichi l'esistenza dovrebbe, come scritto prima, condurre anche l'ateo e l'agnostico, che necessitano di una qualunque definizione di Dio, per giudicarne l'inesistenza o l'indimostrabilità, a dover dedurre dalla loro personale definizione anche il giudizio di esistenza, cadendo in contraddizione con le loro tesi. E se una posizione contraddittoria è sempre falsa, e la tesi contraria a una falsa è sempre vera (terzo escluso), allora il tentativo di sconfessare la validità della prova ontologica come petitio principii da parte dell'ateo gli si ritorcerebbe contro come un boomerang, mentre il credente troverebbe in questo modo convalidata razionalmente la sua credenza senza passare direttamente per la prova stessa, bensì nell'autocontraddizione in cui cade la posizione di chi cerca di confutarla. Gli approcci apofatici, tra cui possono comprendersi i diversi orientamenti riconducibili all'ambito della teologia negativa, per i quali Dio sarebbe inconoscibile e indimostrabile per la ragione umana, non possono in realtà esimersi dal definire Dio in qualche modo. La coscienza del limite implica una quantomeno vaga visione di ciò che vi è oltre il limite, l'apprensione del significato di questo "oltre", la sua definibilità. Il limite è la linea di confine tra due dimensioni, riconoscerlo presuppone una minima comprensione di entrambe le dimensioni, riconosco il mio limite in quanto avverto l'esistenza di qualcosa che va oltre. Dunque, chi, in nome dell'infinita distanza ontologica che separa Dio dall'uomo, e da cui ricava, erroneamente, la tesi di una completa inconoscibilità di Dio, può riconoscere questa infinita distanza, lo fa sempre a partire da una certa definizione di Dio, è sulla base di un certo nucleo semantico che ricavo l'idea dell'irriducibile trascendenza, un complesso di attributi come "onniscienza", "onnipotenza" in relazione a cui raffrontare i limiti della mia potenza e del mio sapere. Ecco perché, per non cadere nella contraddizione di giudicare Dio del tutto inconoscibile e al contempo presumerne di avere una conoscenza tale da darne un determinato giudizio (errore in cui cade tutta la gnoseologia kantiana), ogni teologia negativa, anche la più radicalmente nichilista, necessita di poggiare su di una base minima di teologia positiva.



Anche, ammesso e non concesso, che la prova ontologica si riduca di fatto a una tautologia, ciò non sarebbe altro che una conferma della sua validità apodittica: le tautologie son sempre vere. Verità banali, se si vuole, ma pazienza... la banalità è un problema dell'estetica, non della teoretica, si può criticare una poesia, un romanzo come "banali", non un'inferenza logico-deduttiva, la logica non deve preoccuparsi di risultare banale, ma solo di risultare fallace, se non lo è va benissimo così. In realtà dubito si possa parlare nel nostro caso in senso stretto di "tautologia". La tautologia è un giudizio in cui un predicato si ripete identico ad un attributo posto esplicitamente nella definizione del soggetto, mentre nel caso della prova il predicato dell'esistenza ha un significato concettualmente distinto da quello di "grandezza" o "positività" godeliana. Dal punto di vista di chi ha elaborato la prova, l'esistenza è comunque inerente alla grandezza o alla positività, ma in modo implicito, necessitante di essere esplicitato tramite la mediazione logica. Come scritto precedentemente, trovo l'assunzione di questa inerenza gratuita, un assunto più morale che teoretico, in quanto, che l'esistenza debba essere fattore di grandezza o positività è un giudizio morale legittimo ma arbitrario, non un'oggettiva necessità teoretica. Ma, al di là di questo, la necessità di una mediazione logica per esplicitare un predicato posto implicitamente nella definizione di un soggetto, è una necessità fondata sulla base della finitezza del pensiero umano, impossibilitato a cogliere istantaneamente l'inerenza di tutti le implicazioni logiche a partire dai predicati di una definizione, coglimento che deve perciò essere ricavato mediatamente, per analisi, scomposizione dei significati interni alla definizione. La coerenza logica interna ai giudizi sulle proprietà già implicite in una definizione, ricorda, in ciò giustamente, Kant, è sempre un procedimento analitico. Questa finitezza è ciò che rende necessaria la mediazione logica, e qui forse e penso di rispondere anche a Inverno, chiama in causa un elemento immanente alla mente umana come punto di collegamento tra quest'ultima e Dio, punto di collegamento assente nella formulazione anselmiana, che parte direttamente da una definizione di Dio. Il punto di collegamento consiste nel complesso di idee che l'uomo attribuisce nell'accezione teista a Dio, onnipotenza, onniscienza, eternità, idee che, avendo un significato intelligibile, non potrebbero essere ricavate dall'esperienza di oggetti fisici, né sono riconducibili allo stesso processo di formazione delle idee di entità immaginarie, che hanno sempre un significato materiale, di corpi estesi spazialmente, e la cui pensabilità può essere ricondotta a un gioco di fantasia in cui la mente riassembla diverse immagini tratte da realtà esistenti per unificarle in una sintesi fittizia (es. l'unicorno è la sintesi del cavallo e del corno, idee che, singolarmente considerate, si ricavano dalla reale esperienza di oggetti esistenti ad esse corrispondenti), in quanto, il loro significato intelligibile, inesteso, non può essere il prodotto di un'unione di parti spaziali. Dunque l'origine della presenza di queste idee non può essere l'esperienza esterna sensibile. Anche l'ipotesi che esse siano strutture la cui origine sarebbe immanente al pensiero umano non tiene conto che la finitezza, la limitatezza della mente umana fa sì che non sarebbe possibile per quest'ultima ricavare da se stessa, dalla propria autocoscienza, l'esperienza di queste idee, il cui significato esprime proprio l'opposto dei caratteri citati. Dunque, occorre che la presenza nel pensiero umano di queste categorie sia resa possibile da un ricezione da parte del pensiero umano dei contenuti provenienti dall'unica realtà possibile soggetto di questi attributi, sulla base della  definizione (definizione, non giudizio, nessun circolo vizioso argomentativo) di partenza, cioè Dio. In questo modo si accoglie dalla prova ontologica la necessità di premettere una certa definizione di Dio (in quanto qualunque riflessione, anche tesa a non argomentarne l'esistenza ne implica l'utilizzo preliminare) tenendo conto però che, onde evitare che l'implicazione dell'esistenza dalla definizione non sia un arbitrario assunto morale, occorre che le proprietà della definizione di Dio siano riconoscibili in una nozione la cui presenza nella mente sia indiscutibile, cioè le idee di eternità, onnipotenza, ammettendo così un elemento a posteriori, tratto dall'esperienza umana dei contenuti della propria mente, la cui origine della loro presenza nel pensiero rimandi a Dio come unica realtà conformata ai caratteri che questi contenuti contraddistinguono. Unione di tomismo (partire dalla contingenza per risalire causalisticamente alla trascendenza) e agostinismo (questa contingenza non è il mondo fisico, ma il pensiero umano nell'interiorità dei contenuti con cui pensa Dio) a cui certamente lo spirito della prova ontologica è maggiormente riconducibile.
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: Phil il 12 Febbraio 2021, 14:00:30 PM
Citazione di: davintro il 12 Febbraio 2021, 00:20:18 AM
La definizione indica l'essenza, la traduce in segni grafici, fisici [...], non indica l'esistenza.
Dipende da come viene formulata la definizione: se definisco qualcosa in modo estensionale o basandomi su referenti reali (e non solo su concetti), la definizione potrebbe indicarne, più o meno implicitamente, anche l'esistenza. Se ad esempio definisco Dio come colui che ha (fra l'altro) inoculato nella mia mente il concetto di «dio», la presenza nella mia mente del concetto di «dio» rimanda formalmente (non dimostra) all'esistenza di Dio (come referente concettuale, non ontologico). Tale esistenza è basata sull'accettazione della suddetta definizione, che funge da premessa semantica, oltre che logica, per l'argomentazione che implicitamente ne deriva. Argomentazione che, se intesa come dimostrazione, incappa nella fallacia logica dell'affermazione del conseguente (come ho ricordato più volte): se Dio c'è ed è l'unica causa possibile dell'idea di divinità, allora è possibile avere l'idea di divinità; ho l'idea di divinità; allora Dio c'è (ed è l'unica "causa" dell'idea di divinità).
Se invece non riesco a riscontrare cause mondane per l'idea di «dio» (nonostante per me ve ne siano di più plausibili, ma preferisco non riaprire il discorso) e concludo che deve essere stato Dio stesso a darmela, sto presupponendo Dio già come esistente, ed aggiungo alle sue proprietà anche quella di esser causa della sua stessa idea. Se non lo presupponessi già come esistente, la sua idea sarebbe l'unica prova logica della sua esistenza e dunque potrei dire di Dio solo che è colui che rende possibile averne idea, senza potervi aggiungere altre proprietà, demiurgiche o morali che siano, non potendo provarle logicamente.

Citazione di: davintro il 12 Febbraio 2021, 00:20:18 AM
Pensare che indichi l'esistenza dovrebbe, come scritto prima, condurre anche l'ateo e l'agnostico, che necessitano di una qualunque definizione di Dio, per giudicarne l'inesistenza o l'indimostrabilità, a dover dedurre dalla loro personale definizione anche il giudizio di esistenza, cadendo in contraddizione con le loro tesi. E se una posizione contraddittoria è sempre falsa, e la tesi contraria a una falsa è sempre vera (terzo escluso), allora il tentativo di sconfessare la validità della prova ontologica come petitio principii da parte dell'ateo gli si ritorcerebbe contro come un boomerang, mentre il credente troverebbe in questo modo convalidata razionalmente la sua credenza senza passare direttamente per la prova stessa, bensì nell'autocontraddizione in cui cade la posizione di chi cerca di confutarla.
L'ateo e l'agnostico deducono dalla loro interpretazione ontologica della definizione, l'esistenza solo concettuale-astratta della divinità, mentre il credente, fidandosi del circolo vizioso che ne consegue (v. in seguito), ne deduce l'esistenza ontologica (pur non avendo alcun "accesso" al contenuto ontologico di tale dimostrazione che nella sua formalità autoreferenziale non "aderisce" al mondo dell'esistenza provata). Non è autocontraddittorio sostenere l'esistenza concettuale del concetto di cui si sta parlando (sarebbe contradditorio il contrario), mentre è fallace sostenere che definire e predicare l'esistenza di qualcosa ne costituisca prova dell'esistenza ontologica (vedi esempio della "sorella dispersa" di cui Gödel potrebbe dimostrare l'esistenza usando la sua dimostrazione, basandosi sulla definizione di sorella, passando dalla possibilità alla necessità proprio in virtù di un assioma ad hoc che ontologizza la definizione: l'esistenza necessaria è proprietà all'essere-sorella).

Citazione di: davintro il 12 Febbraio 2021, 00:20:18 AM
Gli approcci apofatici, tra cui possono comprendersi i diversi orientamenti riconducibili all'ambito della teologia negativa, per i quali Dio sarebbe inconoscibile e indimostrabile per la ragione umana, non possono in realtà esimersi dal definire Dio in qualche modo. La coscienza del limite implica una quantomeno vaga visione di ciò che vi è oltre il limite, l'apprensione del significato di questo "oltre", la sua definibilità. Il limite è la linea di confine tra due dimensioni, riconoscerlo presuppone una minima comprensione di entrambe le dimensioni, riconosco il mio limite in quanto avverto l'esistenza di qualcosa che va oltre.
Sull'apofatismo, sempre da un punto di vista logico, ne è evidente l'inattendibilità: una serie di predicazioni negative non può identificare ontologicamente qualcosa, se non, altro circolo vizioso, presupponendone a priori l'esistenza (per questo ad oriente alcuni usano il nulla come "fattore ontologico di confine", ma il discorso non si presta a facili sintesi, lo indico solo come spunto). Semplificando (come sempre non per sminuire il tema, ma per chiarificare): se sono in una stanza ed affermo l'esistenza di qualcosa che non è il tavolo, non è la sedia, non è nulla di ciò di cui constato l'esistenza, non sto individuando o definendo nulla (tranne forse il nulla), se non l'insieme dei "referenti assenti" che, appunto, non sono nella stanza. L'innegabile possibilità di referenti non rilevabili, andrebbe eventualmente argomentata o dimostrata, e (parodiando Gödel) la definizione di «fantasma» come «entità che può sottrarsi a piacimento ai sensi umani seppur realmente esistente» non credo possa costituire sufficiente fondamento per la prova ontologica dell'esistenza dei fantasmi.

Citazione di: davintro il 12 Febbraio 2021, 00:20:18 AM
ammesso e non concesso, che la prova ontologica si riduca di fatto a una tautologia, ciò non sarebbe altro che una conferma della sua validità apodittica: le tautologie son sempre vere.
Vere formalmente, non ontologicamente. La tautologia spesso (sempre?) non ha valore probante ontologico; usando l'esempio da manuale «ora piove o non piove», ci troviamo di fronte ad una verità inconfutabile che nulla ci dice del fatto che "ontologicamente" stia piovendo o meno, ovvero dell'esistenza attuale della pioggia.
La prova ontologica in oggetto, nel dettaglio, non è propriamente una tautologia, piuttosto una petitio principii (o circolo vizioso) in cui ciò che andrebbe dimostrato è già assunto come vero, seppur implicitamente, nelle premesse (di cui fa parte implicitamente anche il senso delle definizioni). Non credo sia corretto affermare che «nel caso della prova il predicato dell'esistenza ha un significato concettualmente distinto da quello di "grandezza" o "positività" godeliana. Dal punto di vista di chi ha elaborato la prova, l'esistenza è comunque inerente alla grandezza o alla positività, ma in modo implicito, necessitante di essere esplicitato tramite la mediazione logica»(cit.) poichè Gödel pone esplicitamente come assioma (il quarto) che «l'esistenza necessaria è una proprietà positiva»(cit.), per cui il rapporto fra positività ed esistenza è posto come a priori della dimostrazione.
Dunque: se x ha tutte le proprietà positive, l'esistenza è proprietà positiva, allora x esiste. Tale ragionamento è valido (ma non necessariamente vero), sebbene da ciò non consegua l'esistenza ontologica di x, ma solo la necessità logica della sua esistenza a due condizioni: se è vero che x ha tutte le proprietà positive (assunto da dimostrare ontologicamente) e se l'esistenza è proprietà positiva (questione non ontologica, ma di definizioni); la prima assegnazione di verità non può esser fatta convenzionalmente per mera definizione, poiché non è la definizione a far esistere ontologicamente le proprietà di qualcosa (ma serve ad individuarla solo concettualmente, attività possibile anche per ciò che ontologicamente non esiste, v. la mia "sorella dispersa").
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: Eutidemo il 12 Febbraio 2021, 14:56:32 PM
Avevo scritto, per criticare la prova di Goedel, che, se io fondo una nuova religione, sostenendo che Dio è "il numero che risulta dalla somma di 2356 + 8521",  non è che poi io abbia fatto una grande scoperta se, grazie al ragionamento matematico definito "addizione", dimostro che, effettivamente, esiste il numero 10.877; cioè, appunto, il Dio della mia definizione!
Nel dire questo, però, non avevo tenuto conto del "paradosso scettico" che il filosofo Saul Kripke ritiene di poter individuare nelle ricerche filosofiche di Ludwig Wittgenstein; il quale paradosso concerne fondamentalmente un esempio matematico riguardante la regola dell'"addizione".
Secondo Kripke, infatti, afferrare la regola dell'addizione significa essere in grado di effettuare infinite somme, pur avendone effettuate nel passato solo un numero finito.
Così, ad esempio, "68+57" (che per ipotesi è una somma tanto grande da non averla mai affrontata in passato) dovrebbe fare "125"; però, uno scettico, potrebbe mettere in dubbio questo risultato, ipotizzando che per esempio in passato si intendesse con il "più" dell'addizione una funzione diversa, che dava il risultato dell'addizione per numeri minori di 57, e dava invece risultato uguale a 5 per numeri maggiori.
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: Alexander il 12 Febbraio 2021, 17:39:56 PM
Non penso che a Godel, che pure era un credente, interessasse dimostrare l'esistenza inoppugnabile di Dio, cosa impossibile, ma solamente la sua possibilità logica. Era una replica ai teoremi sull'inesistenza di Dio. Dimostrando la possibilità logica andava contro un certo indirizzo culturale preminente che ritiene illogica la fede in un Dio con caratteristiche definite storicamente.
Titolo: Re:La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: Ipazia il 12 Febbraio 2021, 18:06:03 PM
La confusione tra logica e onto-logica è un tipico sotterfugio teista per dare dignità metafisica alla loro fede. Ma l'esito del trucco di convertire un concetto in ente è l'idolo, il feticcio, il fantasma. Se noi entifichiamo i concetti di onnipotenza, eternità, infinito, assoluto, bene, sapere, "positivo",... otteniamo come risultato la prova ontologica dell'esistenza della superstizione.

Consiglio pertanto ai teisti di lasciar perdere l'ontologia e restare nel campo della fede laddove ogni visione, intuizione, desiderio,... è lecita.
Titolo: Re:La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: Alexander il 13 Febbraio 2021, 18:57:56 PM

Godel non dice nulla sulle prprietà positive, ma si limita  a stabilire delle proprietà formali. Però c'è una breve nota conclusiva interessante dove Godel spiega che "positivo significa positivo nel senso morale estetico (indipendentemente dalla struttura accidentale del mondo)". Quindi il Dio dimostrato nel teorema s'intende "l'entità che possiede tutte le proprietà positive in senso morale estetico"."
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: davintro il 13 Febbraio 2021, 19:47:38 PM
Per Phil



Nella premessa della mia argomentazione, Dio non è presentato come causa della presenza dei suoi attributi, e nemmeno definito come tale, condizioni che renderebbero l'argomentazione fallace in quanto circolo vizioso, ma solo come entità provvisoriamente posta come concettuale, non ancora reale, definita sulla base di determinati attributi. Il passaggio da una certa definizione di Dio, posta necessariamente in premessa, alla dimostrazione dell'esistenza si realizza tramite un medium gnoseologico non contenuto nella premessa, il principio, che, posso sbagliare ma mi sembra evidente nella sua validità, della necessità di una conformità, di una corrispondenza tra le proprietà qualificanti una certa idea e la natura dell'oggetto reale dalla cui esperienza ricavare l'idea. A meno di voler ignorare la finitezza del pensiero umano, incapace di produrre ex nihilo delle idee in assenza di un oggetto preesistente alla sua attività pensante, conforme
all'idea, l'origine delle idee può consistere in una diretta apprensione dell'oggetto corrispondente al suo significato, nel caso di significati a cui attribuire esistenze effettive, oppure assemblaggi fantastici di parti apprese nel mondo reale, nel caso delle idee fittizie. Non essendo le idee di eternità, onniscienza, onnipotenza assemblaggi di parti (in quanto il significato esprime qualcosa di immateriale, cioè non esteso nello spazio e non suddividibile in parti), allora occorre ammettere la realtà di Dio come entità dotata di quegli attributi contenuto delle idee in questione come oggetto di esperienza da cui ricavare la presenza delle idee a partire da cui lo definiamo. L'affermazione dell'esistenza di Dio come causa della presenza nella nostra mente degli attributi di una sua possibile definizione è la risultante della premessa in cui lo si definisce con quegli attributi, unita alla premessa del principio di corrispondenza semantica tra idea e oggetto di esperienza da cui l'idea è ricavata.  In nessuna delle due premesse, prese isolatamente, è presente l'affermazione dell'esistenza di Dio: la prima è una mera convenzione linguistica accettabile teoricamente anche per chi contesterebbe l'attribuzione di esistenza sulla base di quella definizione, con la seconda premessa si passa dal piano dal piano formalistico logico della definizione a quello gnoseologico e ontologico della richiesta di una causa nel mondo reale per rendere ragione dell'idea, che però, in assenza di una pregressa definizione di Dio come onnisciente, eterno ecc. (che invece offre la prima premessa), non potrebbe attribuire a Dio il ruolo di oggetto reale causa della presenza delle idee di quegli attributi nella mente umana. Quindi, nè considerando l'una e l'altra premessa troviamo implicita la conclusione del ragionamento: nessuna petitio principii. Chi volesse contestare l'argomento (che ovviamente non è una mia invenzione originale, ma ricalca la via cartesiana e anche rosminiana, quest'ultima riconducente il complesso degli attributi divini alla presenza dell'idea dell'Essere, oggetto necessario di ogni atto di pensiero, di volontà e sentimento nell'uomo) dovrebbe, non concentrarsi sulla ricerca nelle premesse della tesi finale, cioè sulla ricerca della fallacia logica, ma sul piano gnoseologico del principio di conformità idea/oggetto reale (materiale o immateriale) che sia che lo produce (che sarebbe una discussione interessante, ma leggermente fuori tema rispetto a quello della prova ontologica, che di questo punto fa a meno, e qua, a mio avviso, è il suo limite). Tu stesso, come mi è sembrato di intendere, a un certo punto concedi che, una volta che nella definizione di partenza non è implicita l'attribuzione a Dio di esistenza come causa della presenza dell'idea dei suoi attributi nella mente, cioè quando scrivi, cito,

"Se non lo presupponessi già come esistente, la sua idea sarebbe l'unica prova logica della sua esistenza e dunque potrei dire di Dio solo che è colui che rende possibile averne idea, senza potervi aggiungere altre proprietà, demiurgiche o morali che siano, non potendo provarle logicamente."

quantomeno l'esistenza di Dio come ciò che rende possibile l'idea sarebbe accertata. Per l'appunto, anch'io mi fermo a questo punto. Le ripercussioni morali, accanto a quelle inerenti la presunta rivelazione storica, oggetto della fede e non di dimostrazioni morali, non le considero, in quanto riconosco che la "mia" argomentazione si limiterebbe ad accertare una concezione di Dio a cui si fermerebbe un deista e non un credente di una fede rivelata nel complesso dei tanti vari aspetti.


Per quanto riguarda i discorsi apofatici, il "qualcosa" che all'interno di una stanza distinguo dalle sedie e dai tavoli non è mai puro "nulla". Perché riconosca questo "qualcosa" come non identificabile con sedie e con tavoli, devo necessariamente riempirlo di un certo livello minimo di attributi positivi, altrimenti, come potrei sapere che non si sta parlando di sedie o di tavoli ma di altra cosa? Ciò, in quanto negazione ed affermazione si distinguono su di un piano puramente formale, mentre dal punto di vista concreto e contenutistico, quello entro cui queste formule son riferite alla realtà ontologica, si richiamano dialetticamente e reciprocamente, se omnis determinatio est negatio, vale anche l'opposto, omnis negatio est determinatio, ogni negazione di un certo contenuto determinato implica l'affermazione del suo contrario, che però ricade sempre nel piano dell'Essere e non del Nulla, in quanto il suo contrario che viene negato non è l'Essere nella sua universalità, ma una particolare determinazione (appunto, la sedia, il tavolo ecc.), perché ci si riferisca davvero al Nulla, occorrerebbe che ciò a cui ci si riferisce escluda, non solo il tavolo o la sedia, ma l'Essere nella sua generalità, dato che il Nulla è il contrario dell'Essere. Ma pensare fuori dall'Essere sarebbe pensare Nulla, cioè non pensare, il pensiero, ricorda il principio di intenzionalità, è sempre pensiero di "qualcosa", ma il "qualcosa" è solo un termine meno tecnico per intendere l' "ente", ciò, che pur nella sua estrema vaghezza, riconosciamo sempre come presenza positiva (non positiva nel senso di giudizio morale, beninteso, ma nel senso di non-negativa, oggetto di cui sia possibile predicare in modo affermativo delle proprietà) del pensiero, qualcosa che è altro dal Nulla, cioè rientrante nell'Essere.


Non ho mai detto che l'ateo o l'agnostico nel dare una definizione di Dio cadano in contraddizione perché la loro definizione implicherebbe l'esistenza non solo concettuale-astratta ma anche concreta-ontologica. Al contrario, proprio perché una semplice definizione di Dio non ne implica l'esistenza, allora nel definirlo in quanto tale ancora non si sta affermando l'esistenza. Dunque la definizione di Dio utilizzata dal non credente non porta quest'ultimo a contraddirsi, certamente, ma allora la stessa cosa dovrebbe valere per i fautori della prova ontologica, che fintanto che si limitano a proporre una certa definizione di Dio, non ne stanno suggerendo in questa premessa l'esistenza cadendo nel circolo vizioso. Se invece si ritiene (ma io non lo ritengo!) che da una certa definizione di Dio se ne implicasse IMMEDIATAMENTE l'esistenza, allora anche il non credente, che come Anselmo o Godel, necessita di avere una definizione formale-concettuale di Dio, dovrebbe ammettere di premetterne pure l'esistenza concreta: insomma se la prova ontologica è una petitio principii, allora l'ateismo e l'agnosticismo, sulla base dello stesso riscontro della fallacia, andrebbero incontro a un destino peggiore, quello dell'autocontraddizione. Per questo parlavo di "boomerang". Personalmente non penso che la prova sia una petitio principii e proprio per questo nemmeno penso che il non credente si contraddica per il solo fatto di definire il Dio a cui non attribuiscono esistenza reale in qualche modo, il che non mi impedisce di trovare la prova discutibile e difettosa per diversa motivazione, cioè l'ambiguità delle formule in cui, come già detto, assunti arbitrari morali (l'esistenza come requisito della grandezza o della "positività") si sovrappongono a categorie teoretiche, finendo col relativizzare e soggettivizzare la validità dell'argomento, togliendogli un fondamento di validità oggettiva. Spero di essermi meglio chiarito.
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: Phil il 13 Febbraio 2021, 21:59:28 PM
Citazione di: davintro il 13 Febbraio 2021, 19:47:38 PM
Il passaggio da una certa definizione di Dio, posta necessariamente in premessa, alla dimostrazione dell'esistenza si realizza tramite un medium gnoseologico non contenuto nella premessa, il principio, che, posso sbagliare ma mi sembra evidente nella sua validità, della necessità di una conformità, di una corrispondenza tra le proprietà qualificanti una certa idea e la natura dell'oggetto reale dalla cui esperienza ricavare l'idea. A meno di voler ignorare la finitezza del pensiero umano, incapace di produrre ex nihilo delle idee in assenza di un oggetto preesistente alla sua attività pensante, conforme all'idea, l'origine delle idee può consistere in una diretta apprensione dell'oggetto corrispondente al suo significato, nel caso di significati a cui attribuire esistenze effettive, oppure assemblaggi fantastici di parti apprese nel mondo reale, nel caso delle idee fittizie.
Non mi sembra ci sia una esperienza o un oggetto reale conforme alle rispettive idee delle proprietà qualificanti positive, né confome a Dio. Quali sarebbero tali "esperienze"? Per le idee delle presunte proprietà di Dio, esse (mi) risultano tramandate ed insegnate di generazione in generazione, senza nessuna apprensione o esperienza oggettuale diretta (né sono innate, altrimenti non sarebbe necessario insegnarle, spiegarle e giustificarle); idee generabili anche tramite semplice negazione concettuale o estremizzazione di proprietà concrete: il finito negato diventa l'infinito, il mortale negato diventa l'immortale, la conoscenza estremizzata diventa l'onniscenza, la potenza parziale estremizzata diventa l'onnipotenza, etc. Siamo sempre nel mondo dei concetti e delle idee, nulla di saldamente gnoseologico. Il principio di corrispondenza fra idea e corrispettivo oggetto è un medium gnoseologicamente ed ontologicamente inattendibile poiché viene smentito fattualmente da tutte quelle idee che non hanno un referente oggettivo constatabile: non solo l'idea di Dio (inteso dalle religioni o come vaga entità indeterminata), ma anche quelle più banali e già citate di «fantasma», di «sorella dispersa», e alte possibili.

Citazione di: davintro il 13 Febbraio 2021, 19:47:38 PM
Tu stesso, come mi è sembrato di intendere, a un certo punto concedi che, una volta che nella definizione di partenza non è implicita l'attribuzione a Dio di esistenza come causa della presenza dell'idea dei suoi attributi nella mente, cioè quando scrivi, cito,
"Se non lo presupponessi già come esistente, la sua idea sarebbe l'unica prova logica della sua esistenza e dunque potrei dire di Dio solo che è colui che rende possibile averne idea, senza potervi aggiungere altre proprietà, demiurgiche o morali che siano, non potendo provarle logicamente."
quantomeno l'esistenza di Dio come ciò che rende possibile l'idea sarebbe accertata.
La premessa che ho anteposto «se non la presupponessi già come esistente» non è da sottovalutare, perché ho dimostrato in precedenza come tale presupposto sia in gioco sin dall'inizio dell'argomentazione: si presuppone l'esistenza del referente oggettivo dell'idea di Dio e poi gli si assegnano attributi. Ho usato la prima persona per "immedesimarmi" retoricamente in chi ha un'idea di Dio (nello stesso paragrafo dichiaro infatti che personalmente propendo per altre spiegazioni) e se crede che Dio solo possa essere la causa della sua stessa idea nell'uomo, il credente può usare la presenza di tale idea come prova dell'esistenza divina. Sarebbe dunque una prova logica, non ontologica, dell'esistenza di colui che presuppongo sia causa della sua stessa idea in me, quindi in fondo un altro circolo vizioso privo di fondamento gnoseologico: mi "ritrovo" in testa l'idea di x, allora pongo l'esistenza di x come causa della sua idea in me; è un gesto arbitrario, non epistemico (mi "ritrovo" in testa l'idea di elfo, ma dubito che l'esistenza dell'oggetto-elfo ne sia la causa; certo, esistono immagini, modellini, film, etc. sugli elfi, come sugli dei, ma si tratta di un'"ontologia" narrativa, culturale, "ereditata", non oggettiva o gnoseologica).

Citazione di: davintro il 13 Febbraio 2021, 19:47:38 PM
Per quanto riguarda i discorsi apofatici, il "qualcosa" che all'interno di una stanza distinguo dalle sedie e dai tavoli non è mai puro "nulla". Perché riconosca questo "qualcosa" come non identificabile con sedie e con tavoli, devo necessariamente riempirlo di un certo livello minimo di attributi positivi, altrimenti, come potrei sapere che non si sta parlando di sedie o di tavoli ma di altra cosa?
Anche qui il "circolo vizioso" mi pare in azione: presuppongo che ci sia qualcosa che non posso percepire e lo connoto negando che sia ciò che percepisco; se seguissimo tale "deformazione" logica della negazione, dovremmo affermare che in tasca c'è il mio fazzoletto e anche qualcosa che non è il mio fazzoletto ma eppure esiste; che nel palloncino c'è l'aria ma anche qualcosa che non è l'aria eppure esiste, etc. non sono pratico di fisica quantistica, forse per i fisici queste frasi hanno un chiaro senso estensionale, ma non credo nemmeno loro ne possano trarre debite conclusioni teologiche o mistiche.

Citazione di: davintro il 13 Febbraio 2021, 19:47:38 PM
i fautori della prova ontologica, che fintanto che si limitano a proporre una certa definizione di Dio, non ne stanno suggerendo in questa premessa l'esistenza cadendo nel circolo vizioso.
Ho ricordato il quarto assioma di Gödel in cui egli definisce esplicitamente l'esistenza come una proprietà positiva, di quelle che egli attribuisce a Dio per definizione. Questo circolo vizioso è stato notato anche dai critici della sua dimostrazione, sicuramente più attenti e competenti di me e, per come è stato esplicito lo stesso Gödel, mi pare non ci possano essere troppi dubbi al riguardo (se pongo qualcosa come assioma non sono tenuto a dimostrarlo, e lo considero vero a priori; se provo a farne oggetto di dimostrazione all'interno del sistema che tale assioma determina, sicuramente avrò successo tramite petitio principii, ma non è corretto parlare di dimostrazione, tantomeno ontologica).
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: davintro il 14 Febbraio 2021, 17:23:55 PM
Phil scrive:

"Non mi sembra ci sia una esperienza o un oggetto reale conforme alle rispettive idee delle proprietà qualificanti positive, né confome a Dio. Quali sarebbero tali "esperienze"? Per le idee delle presunte proprietà di Dio, esse (mi) risultano tramandate ed insegnate di generazione in generazione, senza nessuna apprensione o esperienza oggettuale diretta (né sono innate, altrimenti non sarebbe necessario insegnarle, spiegarle e giustificarle); idee generabili anche tramite semplice negazione concettuale o estremizzazione di proprietà concrete: il finito negato diventa l'infinito, il mortale negato diventa l'immortale, la conoscenza estremizzata diventa l'onniscenza, la potenza parziale estremizzata diventa l'onnipotenza, etc. Siamo sempre nel mondo dei concetti e delle idee, nulla di saldamente gnoseologico. Il principio di corrispondenza fra idea e corrispettivo oggetto è un medium gnoseologicamente ed ontologicamente inattendibile poiché viene smentito fattualmente da tutte quelle idee che non hanno un referente oggettivo constatabile: non solo l'idea di Dio (inteso dalle religioni o come vaga entità indeterminata), ma anche quelle più banali e già citate di «fantasma», di «sorella dispersa», e alte possibili."


Le idee non si insegnano, si insegna un linguaggio atto ad esprimerle, funzionale poi ad offrire un supporto fisico al pensiero, necessario per rendere quelle idee oggetto di attenzione e riflessione per una coscienza, il cui legame col corpo la vincola a connettere i propri contenuti con dei segni fisici. La generazione da cui dovremmo aver appreso tramite insegnamento le idee dove le avrebbe apprese a loro volta? Occorrerebbe risalire alla generazione ancora precedente e via di seguito, in un regresso all'infinito che inficia la possibilità di giungere a  una risposta definitiva al quesito. Il punto è che l'insegnamento non è mai produttivo dei contenuti che si insegnano, ma solo veicolante questi. Ciò in quanto recepire l'insegnamento non è mai da parte del discente un passivo riempirsi di contenuti appresi totalmente dal nulla, ma qualcosa che presuppone la comprensione, cioè il dare un significato ai segni linguistici appresi dall'esterno sulla base di strutture interne preesistenti. La parola "eternità" ascoltata da un insegnante resterebbe puro flatus voci per l'allievo, se dal suo punto di vista la parola non fosse già nella sua mente associata all'idea corrispondente, che era già insita nella profondità della sua coscienza, e che aspettava di essere associata a un supporto grafico per risalire allo strato riflesso e superficiale della mente. Allora, potrebbe ribattere l'anti-innatista, come spiegare che nessun bambino prima di andare a scuola si senta parlare di anima, Dio, eternità o trascendentale? Quello che penso è che occorra distinguere all'interno della psiche strati di diversa superficialità e profondità riguardo l'intensità della consapevolezza dei suoi contenuti. Ci sono strati superficiali in cui l'Io orienta la sua attenzione consueta, nella quale le idee sono associate a delle parole, e strati profondi in cui l'intuizione di idee non ancora verbalizzate, pur sempre presente, non emerge all'attenzione riflessa, perché coperta dal rumore di fondo degli strati superficiali. Se non si sente mai un bambino parlare di certe idee, non è perché le idee non siano già presenti nel fondo della sua psiche (o anima che dir si voglia), ma semplicemente perché, essendo tutte le sue esigenze localizzate nel mondo esterno, (mamma, cibo, bisognini ecc.), orienterà la sua attenzione solo su quelle idee a cui sono associate parole che consentono una comunicazione efficace al soddisfacimento di quelle esigenze. Cioè la mente non è sufficientemente motivata/allenata a focalizzare l'attenzione su delle idee irrilevanti per i bisogni tipici dell'età, e a cui non è associato alcun segno fisico che consenta la riflessione sull'idea in linea con il costante rapporto con l'esteriorità, per cui l'attenzione verso un contenuto mentale presuppone un riscontro fisico tramite cui simbolizzare, materializzare il contenuto. Il vincolo dell'esteriorità, espressione della finitezza ontologica, per cui l'uomo è sempre in relazione con ciò che sta al di fuori della sua soggettività, determina la necessità che la percezione fisica non si sovrapponga, ottundendola, alla sfera delle idee, perché queste ultime siano tematizzate, ma che le riecheggi, sulla base di segni fisici rimandanti ad esse simbolicamente. Quando si va a scuola, finalmente "eternità", "infinito" ecc. sono associati a segni fisici, e queste idee possono uscire dalla latenza profonda, essendo ora associabili a questi segni fisici che ne consentono la pensabilità, essendo in qualche modo ora stimolanti anche nel rapporto col mondo esterno. Ma non è il linguaggio appreso a infondere le idee, le "risveglia" soltanto, consentendo loro una strada d'accesso verso una loro utilizzabilità nell'ambiente, dalla cui relazione l'uomo non sfugge mai. Prima erano già presenti, ma di fatto "inutilizzabili". Tutto ciò presuppone la convenzionalità del linguaggio, cioè la possibilità di utilizzare termini diversi per esprimere lo stesso significato, e il riconoscere tale convenzionalità (che è il presupposto per apprendere una lingua straniera: apprendo che la stessa idea può essere espressa in un termine diverso da quello della mia lingua madre), vuol dire anche distinguere l'origine delle idee da quello delle parole: le prime sono colte per intuizione di oggetti corrispondenti, le idee il cui significato inerisce a oggetti fisici (l'idea di albero, pietra ecc.) apprese tramite i campi percettivi corporei, le idee aventi un significato intelligibile apprese tramite un'intuizione interiore di contenuti preesistente all'esperienza del mondo esterno (lo stesso Kant, la cui gnoseologia non è certo platonica, ammette accanto l'intuizione sensibile, un'intuizione intellettuale, per quanto poi cada nell'errore di precludere a quest'ultimo genere di intuizione l'apprensione di un contenuto conoscibile razionalmente, precludendosi la fondabilità scientifica delle proprie tesi riguardanti il contenuto di questa modalità di apprensione, come le categorie a priori dell'intelletto e della sensibilità). Essendo il linguaggio composto di segni fisici, può essere appreso dall'esterno sulla base della corporeità, mentre le idee "astratte" corrispondenti sono sin da sempre intuiti dalla mente, anche precedentemente al loro essere oggetto di riflessione e attenzione, reso possibile alla coscienza dalla loro comunicabilità linguistica e alla conseguente utilizzabilità pratica. L'errore di fondo della posizione "empirista" è quello di confondere il complesso dei pensieri tout court con quelli che in un certo momento sono tematizzati nell'attenzione e nella riflessione. Scegliere di orientare l'attenzione su un pensiero anziché su un altro è un atto libero dell'Io sulla base di esigenze legate a interessi nel rapporto col mondo esterno e presupponenti la comunicabilità linguistica, ma se è possibile considerare l'importanza di un'idea tale da attenzionarla, è perché già prima della tematizzazione, si ha già una latente o inconscia intuizione del significato di quell'idea, per quanto non ancora verbalizzata.


Per quanto riguarda l'idea che il principio di corrispondenza semantica tra idea e reale oggetto di esperienza sia smentibile sulla base della non constatabilità di idee come quella di Dio, mi pare che sconti un pregiudizio gnoseologico materialista che limita la constatabilità a ciò che può essere fisicamente esperito. Ma questa limitazione è esattamente la tesi sostenuta dall'ateismo e dall'agnosticismo, che in questo modo, loro sì, cadrebbero nel circolo vizioso di presuppore la loro particolare gnoseologia nella premessa stessa dell'argomento.
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: Jacopus il 14 Febbraio 2021, 17:58:14 PM
Per Davintro. L'innatismo di certe idee ( o anche di tutte le idee) è una idea priva di fondamento in termini scientifici e pertanto anche filosofici. Corrisponde ad un principio di fede e pertanto privo di ogni validità argomentativa in un ambito non metafisico.
Su questo argomento è molto interessante la tesi di Yuval Harari, prof. di storia con solide conoscenze di storia biologica a paleontologica umana. Secondo lui, il primo grande passaggio evolutivo di Sapiens fu proprio la capacità di creare "finzioni", ovvero miti e religioni, che crearono la struttura necessaria per sviluppare società complesse, più ampie delle precedenti tribù di 100-150 individui. Quelle società furono più sicure, permisero specializzazioni che incrementarono le scoperte tecniche e quindi il successo planetario dell'uomo.
La dote di creare "storie che uniscono" continua tuttora attraverso il mito dello stato nazionale o del denaro o delle corporation o della filosofia. Il maggior indiziato rispetto a questa capacità singolare è sempre lui, il nostro ingombrante Sistema Nervoso. Ma il percorso successivo è stato un percorso di trasmissione culturale tra generazionale di queste storie. Storie che permettono di bypassare i tempi biblici del mutamento genetico. L'uomo infatti è passato nel giro di poche migliaia di anni da una organizzazione gestita dal maschio alfa dominatore, alla tutela dei minorati psichici o degli stessi bambini.
Sono piuttosto certo che di innatismo in tutto ciò non vi sia nulla, ma l'onere  della prova spetta a chi afferma qualcosa non a chi la nega. Io, nel mio piccolo posso dimostrare altre realtà, non necessariamente fisiche, come ad esempio la necessità da parte di ogni bambino di ricevere affetto ed empatia per crescere in modo equilibrato. Questa affermazione proviene da studi ed esperimenti pluridecennali su bambini e primati. Mi piacerebbe che anche rispetto all'innatismo si svolgesse lo stesso tipo di ricerca, altrimenti parliamo in termini di liturgie sacerdotali, rispettabili ma, ai miei occhi, prive di ogni validità esplicativa.
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: Alexander il 14 Febbraio 2021, 18:07:47 PM
Buongiorno Jacopus



cit.:l'onere  della prova spetta a chi afferma qualcosa non a chi la nega


Quindi per stabilire che non c'è innatismo


cit.:la tesi di Yuval Harari, prof. di storia con solide conoscenze di storia biologica a paleontologica umana. Secondo lui, il primo grande passaggio evolutivo di Sapiens fu proprio la capacità di creare "finzioni", ovvero miti e religioni, che crearono la struttura necessaria per sviluppare società complesse, più ampie delle precedenti tribù di 100-150 individui.


Anche costui mi sembra abbia l'onere della prova. Infatti a me pare che anche la sua sia solo una teoria. Dovrebbe dimostrarla, non solo postularla.  "Secondo lui" non è una dimostrazione. Infatti non capisco perché non ci possa essere sia l'uno che l'altro: sia l'apprendere dall'esperienza che l'innata predisposizione a recepire e comprendere delle idee.
Titolo: Re:La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: Phil il 14 Febbraio 2021, 18:26:53 PM
Citazione di: davintro il 14 Febbraio 2021, 17:23:55 PM
Le idee non si insegnano, si insegna un linguaggio atto ad esprimerle, funzionale poi ad offrire un supporto fisico al pensiero, necessario per rendere quelle idee oggetto di attenzione e riflessione per una coscienza, il cui legame col corpo la vincola a connettere i propri contenuti con dei segni fisici. La generazione da cui dovremmo aver appreso tramite insegnamento le idee dove le avrebbe apprese a loro volta? Occorrerebbe risalire alla generazione ancora precedente e via di seguito, in un regresso all'infinito che inficia la possibilità di giungere a  una risposta definitiva al quesito.

Nessun regresso all'infinito: come dimostra la storia dell'uomo, filosofica e non, le idee possono anche essere generate partendo dai sensi, dalla fantasia, dalla creatività, dalla suddetta negazione o estremizzazione di idee precedenti, etc. la psicologia e le scienze cognitive trattano di alcune delle dinamiche con cui la mente umana produce idee (sebbene l'idea che tutte le idee possibili e immaginabili siano già dormienti come potenziale della nostra mente, non è escludibile a priori per quanto, a mio umile giudizio, tanto poco probabile quanto affascinante).
Come detto, l'idea di «fantasma» ha una storia e una sua tradizione, tuttavia, per dedurne l'esistenza ontologica, non credo bastino né la sua definizione né riscontrarne l'esistenza in molte culture.

Citazione di: davintro il 14 Febbraio 2021, 17:23:55 PM
Per quanto riguarda l'idea che il principio di corrispondenza semantica tra idea e reale oggetto di esperienza sia smentibile sulla base della non constatabilità di idee come quella di Dio, mi pare che sconti un pregiudizio gnoseologico materialista che limita la constatabilità a ciò che può essere fisicamente esperito. Ma questa limitazione è esattamente la tesi sostenuta dall'ateismo e dall'agnosticismo, che in questo modo, loro sì, cadrebbero nel circolo vizioso di presuppore la loro particolare gnoseologia nella premessa stessa dell'argomento.

Il rapporto fra esistenza, constatabilità e percezione credo sia piuttosto verificabile, in quanto oggetto di esperienza per la coscienza di chiunque, quindi mi pare costituisca un buon punto di partenza (seppur non infallibile) per parlare dell'esistenza e per discriminare le idee con referente reale da quelle con referente fittizio. Non colgo il circolo vizioso che ne conseguirebbe: se con la constatazione (s)oggettiva dell'esistenza del contenuto dell'idea, affermo che il referente di tale idea non è fittizio, bensì reale, mentre in assenza di tale constatazione, e in assenza di ulteriore dimostrazione, sostengo che l'esistenza del referente dell'idea è, fino a prova contraria, solo astratto-concettuale, qual è il circolo vizioso?

Se non abuso della tua pazienza, aggiungo una postilla sull'apofatismo: non c'è sempre speculare reciprocità ontologica e ostensiva fra affermazione e negazione; se è vero formalmente che «ogni negazione di un certo contenuto determinato implica l'affermazione del suo contrario»(cit.) è anche vero che, ontologicamente, la realtà non è così rigidamente binaria da essere fatta solo da contrari. Al di là della constatazione che la negazione è pragmaticamente (non formalmente) un sottoinsieme dell'affermazione (ogni enunciato afferma il suo contenuto, quindi anche la negazione è un'affermazione: negare x è affermare non-x), non è solo una questione di logiche polivalenti o di "gradazioni" intermedie fra il vero e il falso (v. il possibile), ma soprattutto si tratta di considerare che, parlando di esistenza e identificazione, talvolta mille negazioni non valgono un'affermazione, soprattutto se si mira a strutturare una dimostrazione.
L'affermazione che tu sei Davintro (affermazione di verità) e l'affermazione che tu non sei Tizio o sei non-Tizio (affermazione di negazione di falsità, equivalente a negazione di falsità) non hanno lo stesso valore ontologico, perché la prima afferma la tua vera identità (e non è neccessario affermare altro al riguardo), mentre la seconda nega una tua falsa identità, ma non ci dice ancora chi sei veramente, e potrebbe infatti essere affiancata da altre mille negazioni di tue false identità, senza che questo comporti "gnoseologicamente" sapere quale sia il tuo nome. Banalizzando come sempre per amor di chiarezza: per dimostrare che non ti chiami Tizio, basta che quando ti incontro per strada ti chiamo alle spalle dicendo «ciao Tizio», se non ti volti (o reagisci con distacco), allora ho plausibile conferma che non ti chiami Tizio; tuttavia per farti voltare non sarà sufficiente che io ti chiami dicendo «ciao non-Tizio».
Se formalmente x e non-x sono speculari (contrari), ontologicamente e argomentativamente l'esistenza di x richiede la sua affermazione, che non può essere supplita dalla semplice somma di negazioni di ciò che x non è (somma potenzialmente infinita). Negando ciò che è non affermo ontologicamente l'esistenza di qualcos'altro (ovvero il referente contenutistico dell'apofasia), ma solo la possibilità formale dell'esistenza di qualcos'altro, che finché non assume una connotazione affermativa positiva, priva di negazioni, potrebbe anche essere solo un'idea fittizia (affermare apofaticamente che esiste un elemento che non è nessuno di quelli presenti nella tavola periodica, non produce conoscenza, non dimostra che tale elemento esista davvero).
In campo strettamente dimostrativo la questione è infatti decisamente "asimmetrica": dimostrare che l'idrogeno, l'elio e lo zinco non sono la cura per il Covid, non dimostra cosa lo sia, né, soprattutto, che davvero esista ontologicamente qualcosa che lo sia; viceversa, dimostrare che x è la cura per il Covid non dimostra che y non lo sia (potrebbero infatti esserci più cure possibili, supponiamo x e y, ma non idrogeno, elio e zinco).
Tornando quindi all'apofatismo religioso: affermare cosa o come Dio non sia, non implica affermare nemmeno che esso sia davvero "qualcosa", perché negando che esso sia percepibile, verificabile, etc. non è logicamente equivalente ad affermare che esso sia ontologicamente qualcosa, poiché potrebbe essere anche solo un'idea fittizia, che in quanto tale non ha un referente e quindi risulta certamente non visibile, non verificabile, etc. In fondo, negando a Dio tutte le caratteristiche di un ente, più che a l'Essere, lo approssimiamo a un nulla (connotato appunto dalla negazione), oltre a lasciare aperta la questione di quanto siano vincolanti i pregiudizi che abbiamo "ereditato" su Dio quando proviamo a descriverne le proprietà o ne postuliamo l'esistenza (deismo e apofatismo, a mio giudizio, sono due differenti residui fenomenologici dell'idea religioso-teologica di Dio, depurata dalle aporie culturali e soteriologiche; tuttavia togliere un'idea dal suo humus originario rischia di comportare la sua "tutela" senza che ve ne sia adeguato fondamento fideistico, che nel contesto originario poteva essere la rivelazione della divinità, la testimonianza di profeti o altro; procedere solo per via logica, oltre a perdere di aderenza con l'ontologia, rischia di incappare nella circolarità fra conclusioni e presupposti, come dimostrato da Gödel e altri).
Affermare «x esiste ma sappiamo solo cosa o come non è» , quindi riempiendo solo l'insieme delle non-proprietà di x, ha senso ontologico solo se consideriamo aprioristicamente vero, come presupposto indimostrato, che x esista (e quindi siamo in un circolo vizioso, poiché di fatto potremmo riferirci, seppur in buona fede, solo ad un insieme vuoto, che in quanto tale soddisfa la negazione delle proprietà degli enti che invece esistono ontologicamente). Farne una questione di "misura", di estremizzazione, non giova a dimostrarne, né ontologicamente né logicamente, la necessaria esistenza (come proposto dalle dimostrazioni ontologiche): ad esempio, partendo dalla constatazione della parzialità della conoscenza umana, non è affatto necessario che vi sia qualcuno/qualcosa che invece sia onnisciente, proprio come la mortalità umana non comporta che ci sia un vivente immortale, o l'essere alto al massimo 2 metri e mezzo non comporta che ci sia un essere infinitamente alto, etc. l'onniscenza, l'immortalità, l'infinita altezza (e l'infinito matematico) possono giustamente essere concetti teorizzabili, magari anche necessari (nel caso dell'infinito matematico), ma non danno adito, fino a prova contraria, alla necessaria esistenza di un "ente" reale che abbia ontologicamente tali proprietà.
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: Alexander il 14 Febbraio 2021, 18:33:39 PM

Tornando quindi all'apofatismo religioso: affermare cosa o come Dio non sia, non implica affermare nemmeno che esso sia davvero "qualcosa", perché negando che esso sia percepibile, verificabile, etc. non è logicamente equivalente ad affermare che esso sia ontologicamente qualcosa, poiché potrebbe essere anche solo un'idea fittizia, che in quanto tale non ha un referente e quindi risulta certamente non visibile, non verificabile, etc. In fondo, negando a Dio tutte le caratteristiche di un ente, più che a l'Essere, lo approssimiamo a un nulla (connotato appunto dalla negazione), oltre a lasciare aperta la questione di quanto siano vincolanti i pregiudizi che abbiamo "ereditato" su Dio quando proviamo a descriverne le proprietà o ne postuliamo l'esistenza (deismo e apofatismo, a mio giudizio, sono due differenti residui fenomenologici dell'idea religioso-teologica di Dio, depurata dalle aporie culturali e soteriologiche; tuttavia togliere un'idea dal suo humus originario rischia di comportare la sua "tutela" senza che ve ne sia adeguato fondamento fideistico, che nel contesto originario poteva essere la rivelazione della divinità, la testimonianza di profeti o altro; procedere solo per via logica, oltre a perdere di aderenza con l'ontologia, rischia di incappare nella circolarità fra conclusioni e presupposti, come dimostrato da Gödel e altri).
Affermare «x esiste ma sappiamo solo cosa o come non è» , quindi riempiendo solo l'insieme delle non-proprietà di x, ha senso ontologico solo se consideriamo aprioristicamente vero, come presupposto indimostrato, che x esista (e quindi siamo in un circolo vizioso, poiché di fatto potremmo riferirci, seppur in buona fede, solo ad un insieme vuoto, che in quanto tale soddisfa la negazione delle proprietà degli enti che invece esistono ontologicamente).


Buongiono PHil e Davintro
Discussione interessante!
Faccio notare però che , quando si parla di teologia negativa o apofatismo, non s'intende che la divinità non sia esperibile, ma che non sia "dicibile", ossia che l'esperienza o la comprensione della natura di Dio non sia possibile da esprimere a parole. Pertanto è una forma contemplativa, per lo più silenziosa, dove si rigetta come inadeguato ogni processo speculativo e di indagine discorsiva sulla natura della divinità. Nella sua forma più "radicale" l'apofatismo nega che ci siano argomenti appropriati per la descrizione della divinità, perché, com'è logico,  essa trascende le capacità cognitive limitate umane. Pertanto , al massimo, per l'apofatismo si può dire solo quello che non è Dio, e sempre limitatamente. Naturalmente si parte da un'esperienza della divinità stessa.
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: Jacopus il 14 Febbraio 2021, 18:38:19 PM
Per Alexander. Un principio fondamentale della ricerca scientifica ( e personalmente ritengo anche filosofica) impone che la dimostrazione spetti a chi afferma qualcosa. Affermare di negare qualcosa non ha bisogno di prove, poiché altrimenti si torna al paradosso della teiera di Russell ( ovvero posso dichiarare senza tema di essere smentito che una teiera orbita attorno alla terra, fatto indimostrabile e quindi anche non negabile. Se al posto della teiera metti una religione, le conseguenze per gli scettici sono state qui e sono, in altre parti del mondo, terribili. È per questo che è necessario adottare tutti gli strumenti utili per non far credere che la religione sia qualcosa di più di un fatto di fede).
Rispetto alla ricerca di Yuval Noah Harari, ti assicuro che non è uno sprovveduto e il suo libro contiene una bibliografia (di prove) di 17 pagine. Mi sembrerebbe però noioso trascrivere detta bibliografia.
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: Alexander il 14 Febbraio 2021, 18:46:52 PM
Buonasera Jacopus


Sono d'accordo, ma siccome ci sono anche teorie contrarie sostenute da altri (Prove scientifiche per innatezza. La prova dell'innatismo viene trovata dai neuroscienziati che lavorano al Blue Brain Project), non posso certo affermare che si tratti di dimostrazione indiscutibile. Mi sembra che anche Davintro la presenti come una ipotesi filosofica e non pretenda sia una dimostrazione scientifica.
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: Jacopus il 14 Febbraio 2021, 19:01:36 PM
Per Alexander. Il blue brain project è un progetto controverso, che ha raccolto la protesta in una lettera collettiva di 700 neuroscienziati. Inoltre da quel poco che so il suo obiettivo non è provare l'innatismo ma replicare in modo digitale-informatico il funzionamento del cervello umano, usando anche come "base semplificata", il cervello dei topolini da laboratorio (cavie).
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: baylham il 24 Febbraio 2021, 09:32:23 AM

Citazione di: Alexander il 14 Febbraio 2021, 18:33:39 PM

Faccio notare però che , quando si parla di teologia negativa o apofatismo, non s'intende che la divinità non sia esperibile, ma che non sia "dicibile", ossia che l'esperienza o la comprensione della natura di Dio non sia possibile da esprimere a parole. Pertanto è una forma contemplativa, per lo più silenziosa, dove si rigetta come inadeguato ogni processo speculativo e di indagine discorsiva sulla natura della divinità. Nella sua forma più "radicale" l'apofatismo nega che ci siano argomenti appropriati per la descrizione della divinità, perché, com'è logico,  essa trascende le capacità cognitive limitate umane. Pertanto , al massimo, per l'apofatismo si può dire solo quello che non è Dio, e sempre limitatamente. Naturalmente si parte da un'esperienza della divinità stessa.

Se non sai chi è Dio come fai a fare esperienza di Dio?
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: viator il 24 Febbraio 2021, 11:51:28 AM
Salve bailham. Trovo profondamente inapproriata la tua osservazione. Ai tempi della difffusione dell'elettricità (secondo me parente strettissima di Dio) ci furono un sacco di casi di persone che fecero una folgorante esperienza circa l'esistenza di ciò che non sapevano che fosse. Saluti.
Titolo: La prova ontologica dell'esistenza di (quale?) Dio.
Inserito da: baylham il 24 Febbraio 2021, 15:04:58 PM
Intendi che Dio è Zeus o il fulmine o l'esperienza del fulmine o chi fa l'esperienza del fulmine?