Penso che la prima cosa da fare per ricercare la Verità sia definirla.
E già questo primo passaggio mi pare che comporti difficoltà quasi insormontabili. Cos'è la Verità? Temo che ognuno abbia la sua. E' interessante che persino Gesù, interrogato da Pilato, preferisca tacere. E dire che di cose ne ha rivelate (alcune condivisibili o quantomeno logicamente affrontabili e conoscibili) ma quella lì no. O meglio afferma di essere lui stesso la Verità ma questo ha valore solo per chi crede in lui. Ma in ogni caso noi siamo nella sezione Filosofia e dunque non spegne la nostra sete di conoscenza.
Però il problema di definirla rimane. E non credo che senza risolvere questo enigma si possa procedere oltre. E bisogna stare ben attenti nella definizione.
Una volta lessi da qualche parte che, all'interno delle sette chiese di Bologna (in via Santo Stefano), c'era uno dei presepi più antichi della storia cristiana. Forse il più antico in assoluto. Andai in visita per vedere quel presepe. Giravo e rigiravo quelle chiese, imparai a memoria ogni anfratto, chiesi ma non trovavo quel presepe. Passarono ore, non volevo rinunciare! Ma alla fine, sconfitto, me ne andai.
Poi, non rassegnato, ritornai. Non ricordo chi mi aiutò ma qualcuno certamente lo fece e scoprii che quel presepe era del tutto diverso da quello che mi aspettavo. Da quello che mi ero raffigurato. Era diversissimo dalle rappresentazioni moderne alle quali siamo più o meno tutti abituati. Non essendo io uno studioso di storia dell'arte e, evidentemente, nemmeno dotato di intuito sufficiente :D non lo avevo trovato. Nemmeno ci ero andato vicino. Eppure c'era tutto quello che che ci doveva essere in un presepe!
Insomma è difficile trovare la verità se nemmeno sai com'è fatta, cos'è, come funziona, etc.
Ciao Freedom.
Come ben dici dovremmo far precedere il parlare di verità dalla sua definizione, perche' non si potrebbe cercare qualcosa che non si sa' dire, ma il rischio è che poi nin si riesca a trovare nulla di diverso da ciò che si è detto, se non in diversa forma.
Più che di verità soggettive, che sarebbero una contraddizione in termini, ammetterei la coesistenza di diverse definizioni, ammettendo diversi gradi di verità.
Una verità di massimo grado la definirei come indipendente dall'osservatore, senza aggiungere altro, perché qualunque altra cosa aggiunga l'osservatore la renderebbe dipendente da esso.
Ma questa definizione apparentemente scarna ed essenziale contiene già una ipotesi nascosta, che vi sia un osservatore distinto del tutto dall'osservato.
Mi chiedo quindi se possa esistere una definizione di verità che non parta gia' dall'affermazione di una verità, dalla quale quella si possa poi derivare. . Se una tale definizione non si trova dovremmo astenerci dal cercare verità, se non di più basso grado, quelle logiche che anche un computer sa' trovare.
Quando ci sembrerà di possedere una verità assoluta non ci resterà allora che cercare l'ipotesi nascosta.
Io credo che la nostra ricerca possibile quindi non possa andare oltre ciò .
Non si giunge quindi ad una verità, ma si parte da una verità e si va' alla ricerca di ciò che l'ha generata.
Si tratta di smascherare cio' che appare ovvio, consapevoli del fatto che le ipotesi agiscono anche quando non sappiamo di averle poste.
In un certo senso se trovassimo la verità, essendo andati alla sua ricerca grazie ad una sua soddisfacente definizione operativa, paradossalmente dovremmo poi ammettere che ciò cui siamo arrivati è ciò da cui siamo partiti.
Questo in effetti è il percorso, l'unico possibile a mio parere, che ci propone la matematica, e quindi io in subordine mi accontenterei di capire a cosa sia dovuta il suo efficace riscontro nella pratica fisica.
Il teorema di Pitagora non è una verità che aggiunga nulla all'essenza di un triangolo rettangolo
Perché il teorema sia vero è necessario e sufficiente che esitano i triangoli rettangoli.
Io direi con Socrate che per trovare la verità occorre conoscere se stessi, perché solo noi fino a prova contraria possediamo quel concetto, e non ci conosciamo abbastanza da averla trovata, benché io proponga che essa si sostanzi nella nostra capacità di far agire in noi ipotesi nascoste, e perciò non confutabili, se ad esempio si sceglie come definizione di verità ciò che non si possa confutare...finché nin emerge in noi in un processo di evoluzione in cui ci esplicitiamo, confutandoci.
buonasera Freedom e ben ritrovato. A proposito della verità, penso che si debba fare, preliminarmente, una distinzione fra verità fisiche e verità etiche, che corrispondono grossomodo alla physis e alla metaphysis ellene. Che il sole girasse intorno alla terra è stata una verità, insegnata nelle più illustri università europee fino al XVII secolo e oltre. In seguito questa verità è stata sostituita da un'altra verità che è apparsa più plausibile e confortata da dimostrazioni sperimentali e concettuali. Ciò ci ha permesso di avanzare nella conoscenza e spiegazione di innumerevoli fenomeni astronomici. A questa verità si sono accumulate tante altre verità successive, come ad esempio, quella per cui, il sole a sua volta, insieme a tutto il sistema solare, ruota attorno a Sagittarius A, il buco nero al centro della galassia, in circa 230 milioni di anni. Che la melanconia fosse causata dalla bile del fegato è stato creduto per alcuni millenni, ma anche in questo caso a quella verità si è sostituita una verità alternativa, per la quale la melanconia è causata da fattori ambientali e genetici, che si condizionano reciprocamente e si trasmettono fra le generazioni. Le verità scientifiche (che qui ho chiamato "fisiche" per puro gusto retorico), ben lungi dall'essere permanenti, hanno lo status di ipotesi valide fino ad una futura sempre possibile falsificazione. Quindi forse non possono neppure essere definite verità nel senso stretto del termine.
Le verità etiche a loro volta vanno classificate in almeno due categorie, le verità etiche sulle grandi domande e le verità etiche personali. Le prime riguardano più il tema della giustizia che della verità, ovvero se è giusto differenziare la ricchezza, punire i colpevoli, permettere l'aborto, l'eutanasia, il voto democratico, la libera espressione o gli esperimenti medici sugli animali e tutte le illimitate domande di questo genere.
La verità etica personale riguarda invece la possibilità che il singolo individuo sia "autentico", in buona fede con sè stesso e con gli altri, incorrendo in errori e falsità solo per incomprensioni, dimenticanze, equivoci ma senza incorrere in meccanismi di strategia sofistica, ovvero strumentale e manipolatoria.
Rispetto alla verità si possono sintetizzare simbolicamente due visioni contrapposte, tramite due note figure. La prima è quella di Ulisse, che pur sottoposto a mille prove e duelli con le forze divine, tende, nel suo cammino umano a tornare a Itaca, ovvero alla sua "limitata" e fisica verità. La seconda è quella di Cristo, che pur sottoposto a mille prove e duelli con le forze della civiltà e della storia, tende a tornare nell'Eden, ovvero nella sua "illimitata" e metafisica verità. Eppure, Cristo, nella sua metafisicità di fondo, espone una visione legata alla massima autenticità personale, mentre Ulisse, al contrario, nella sua fisicità, è l'eroe delle astuzie e delle strategie manipolatorie. E' possibile allora, e sarebbe bello se davvero fosse così, considerare la nostra cultura come la mescolanza di elementi provenienti da Ulisse nella sua ricerca del vero nella physis e di elementi provenienti da Cristo, nella sua ricerca dell'autentico nei rapporti fra uomo e uomo.
La storia umana, nel frattempo, nella sua continua ricerca ha mescolato le due posizioni, nelle più diverse gradazioni, rendendo possibile un Ulisse metafisico e un Cristo fisico, ma nel fondamento, spogliati di tutti gli attributi culturali successivi, la distinzione ha una sua validità, al di là della sua costruzione un pò retorica e tenendo presente come il rapporto fra queste due figure sia comunque complesso e ambivalente.
Nella ricerca della Verità, provare a definirla è invece la prima cosa da non fare.
Perché provandoci, la ricerca è già abortita.
Giustamente Gesù tace.
Non può che tacere.
Riguardo alla Verità può solo affermare di essere la Verità!
Difatti, Essere è Verità.
O vogliamo forse dubitare che l'Essere non sia lo stesso Esser Vero?
Non è questo stesso dubbio un non pensiero?
De-finire vuol dire mettere dei limiti, rendere finito, determinato.
E appunto in quanto delimitato... conosciuto, posseduto.
Volendo definire vogliamo in sostanza possedere.
Assurdità!
Perché è la Verità a possederci, TOTALMENTE.
Nel senso, che noi La siamo.
Bob. Posizione rispettabilissima la tua ma assolutamente non adeguata, secondo me. Definire significa delimitare, giudicare e discernere oltre che "meramente" possedere. Banalmente, se un omicida dopo aver ucciso, dichiara di essere innocente, si pone in una posizione "non vera" indipendentemente dal dire che la verità è essere. La notte dove tutte le vacche sono nere, è poco esplicativa del pensiero occidentale con i suoi pro e contro.
@Jacopus.
Nella esaustiva carrellata che hai fatto sulle verità di diversa specie e grado aggiungerei come collante la condivisibilita',
perché non è tanto che si debba escludere che la verità possa essere soggettiva, ma che si parla di verità riferendosi a cosa condivisa, della quale poi si può trovare prova contraria parimenti condivisa.
E non sto così chiamando l'intersoggettivita' come testimone di verità ,a scanso di equivoci, ma sto richiamando il valore sociale della verità, dove la fisica riguarda ciò che si può fare insieme, e l'etica ciò si decide di fare insieme.
La scienza non a caso pone l'accento sulla ripetitività e sull'etica si fondano le società..
È ammessa anche l'azione individuale isolata, ma semplicemente , in mancanza di discepoli, nessuno parlerà di verità, ne' del suo profeta.
Salve freedom. Non credo proprio che sarai d'accordo con me nel definire la verità come "ciò in cui si crede".
Troppo semplice, facile, surreale, vero ?? Però sono anche sicuro che ne tu nè altri potrete confutare la definizione soprastante (stavolta sono io a risultare sfacciatamente vanitoso ed ingenuo, vero ?).
Rifletti un poco : hai mai conosciuto qualcuno che non consideri vero ciò in cui crede ?
Se qui ci fosse qualcuno che non considera vero ciò in cui crede.......bene, si faccia avanti e cerchi di fornire la "falsificazione" (orrendo termine scientifico e filosofico di eccelso successo qui dentro) della mia definizione. Saluti.
Buonasera Iano. Anche il tuo punto è importante. Non a caso un principio per affermare la scientificità di un dato è la sua accettazione da parte della comunità scientifica di riferimento, che funziona un pò come un tribunale "diffuso" sull'argomento sottoposto all'attenzione. Fatte le debite attenzioni va, però, nuovamente ribadita la distinzione fra verità "fisica" e verità "etica". Infatti nel primo caso è difficile trovare argomenti a contrario rispetto al fatto che la forza di gravità è una realtà "vera". Anche nel caso in cui non vi fosse condivisione e gli scienziati pensassero che la gravità sia causata da una potente calamita posta sotto il monte Bianco, sarebbe sempre la massa del pianeta Terra a determinare la forza di gravità. Quella realtà esiste indipendentemente da come viene descritta. Nel campo "etico" invece non è così semplice trovare un criterio "veritativo" valido "erga omnes", come dicono i guristi. E non sempre la condivisibilità è un criterio valido, basti pensare all'enorme consenso che avevano i regimi totalitari nel XX secolo. Il fatto che fossero condivisi significava che fossero veri (giusti)? Qui, in campo etico, siamo nel pieno del dilemma maggioranza/minoranza che affligge l'umanità a partire, come minimo, dall'Illuminismo (e se prendiamo per buona la dialettica dell'Illuminismo di Adorno, allora dobbiamo retrodatare fino alla Grecia Classica).
Ho provato spesso ad interrogarmi su questo dilemma e l'unica soluzione che mi sembra plausibile per quanto idealistica è quella di una sorta di scelta platonica "allargata", ovvero una pedagogia della conoscenza il più ampia possibile e non solo applicata dal filosofo agli aristoi, come riteneva, appunto, Platone. Solo attraverso una conoscenza pedagogica, ovvero non una conoscenza "tecnica" ma una conoscenza etica, allargata al più ampio strato della popolazione, si potrebbe pensare che il criterio della intersoggettività e della condivisione possa avere un nesso con la ricerca di una verità etica.
Citazione di: Freedom il 19 Gennaio 2022, 17:26:02 PM
Penso che la prima cosa da fare per ricercare la Verità sia definirla...
Insomma è difficile trovare la verità se nemmeno sai com'è fatta, cos'è, come funziona, etc.
Non è che qualcuno non ci abbia provato prima di noi.La definizione in cui mi ritrovo di più è la tomistica:
adaequatio rei et intellectus.
Citazione di: Jacopus il 19 Gennaio 2022, 21:24:29 PM
Fatte le debite attenzioni va, però, nuovamente ribadita la distinzione fra verità "fisica" e verità "etica". Infatti nel primo caso è difficile trovare argomenti a contrario rispetto al fatto che la forza di gravità è una realtà "vera". Anche nel caso in cui non vi fosse condivisione e gli scienziati pensassero che la gravità sia causata da una potente calamita posta sotto il monte Bianco, sarebbe sempre la massa del pianeta Terra a determinare la forza di gravità. Quella realtà esiste indipendentemente da come viene descritta.
Qui ritorni però alla tendenza all'oggettivazione della scienza.
L'unica cosa che esiste e continuerà a esistere è il fenomeno della caduta di una cosa.
La spiegazione scientifica di tale fenomeno, ovvero che la massa della Terra esercita una forza di attrazione, è un'interpretazione che nel futuro sarà sostituita da altri racconti, in concomitanza con cambi di paradigma della fisica.
Ciò che conta per la scienza è la validità operativa della formula. Questa rimarrà anche dopo eventuali cambi di paradigma. Ma una formula non è una spiegazione, non è l'esposizione del significato del fenomeno che si sta studiando.
Questo per dire quanto la scienza sia contemporaneamente potente nel calcolo e ottusa nella comprensione.
Secondo me il problema dell'ambiguità del concetto di verità sta nel fatto che tradizionalmente la ricerca del sapere si è svolta cercando di capire che cos'è un certo fenomeno, che cos'è la sua essenza.
E i fenomeni apparentemente permanenti dovevano avere per forza un'essenza altrettanto permanente. Quindi eterna, universale etc.
I greci, che hanno sviscerato la cosa fino alla follia, avevano però una concezione del tempo ciclica. Erano ossessionati dal rapporto divenire-essere, cioè dal rapporto tra il continuo processo di trasformazione della natura e il fatto che da essa continuino a venir fuori cose identiche (o meglio simili).
Con la tradizione giudaico-cristiana ci siamo abituati alla concezione lineare del tempo, e all'idea di sviluppo, di evoluzione.
Questo ha avuto un impatto sia per quanto riguarda il modo di interpretare la storia che la natura. Ora "sappiamo" che i modi di vivere hanno subito radicali cambiamenti, e non c'è nulla che faccia pensare che non possano continuare a mutare.
Ora "sappiamo" che la natura stessa, le sue forme, sono cambiate nel corso dei millenni, e che continueranno a farlo.
Ma nello stesso tempo abbiamo a che fare con un concetto di verità che nel tempo ha accumulato varie stratificazioni, e continua a mantenere in se' quel rimando alle essenze eterne accanto all'accezione relativamente recente di interpretazione (personale o genericamente pubblica, convalidata dal sapere pubblico).
Citazione di: viator il 19 Gennaio 2022, 19:02:28 PM
Salve freedom. Non credo proprio che sarai d'accordo con me nel definire la verità come "ciò in cui si crede".
Troppo semplice, facile, surreale, vero ?? Però sono anche sicuro che ne tu nè altri potrete confutare la definizione soprastante (stavolta sono io a risultare sfacciatamente vanitoso ed ingenuo, vero ?).
Rifletti un poco : hai mai conosciuto qualcuno che non consideri vero ciò in cui crede ?
Se qui ci fosse qualcuno che non considera vero ciò in cui crede.......bene, si faccia avanti e cerchi di fornire la "falsificazione" (orrendo termine scientifico e filosofico di eccelso successo qui dentro) della mia definizione. Saluti.
Mi sembra una semplice tautologia.
È chiaro che se si ritiene vera una certa cosa tale giudizio è accompagnato da fede, da fiducia, da credenza.
E viceversa, non si può avere fede senza che la cosa in cui si crede sia giudicata vera.
Rimane però del tutto inspiegato in che senso va inteso quel giudizio di verità.
O meglio, sembra che nella tua posizione sia implicita l'idea che verità sia l'accordo tra la propria rappresentazione di una certa cosa e la realtà.
Ma questa concezione lascia a sua volta aperta che cosa si debba intendere per realtà. O meglio, sappiamo che esistono cose etc., ma la domanda è se la singola cosa abbia una sua struttura oggettiva che con pazienza sarà avvicinata sempre di più dalle nostre rappresentazioni, oppure no, e semplicemente quelle che ci sembrano rappresentazioni adeguate rispondono invece a diversi interessi, a interessi scientifici, operativi, pratici, artistici etc.
Io vedo nell'esigenza di verità l'esigenza di tener ferma una convinzione per un tempo sufficiente, meglio se dandone una definizione, per valutarne le conseguenze. E' di fatto questo il modo che abbiamo di interagire con la realtà, mandando avanti l'immaginazione. È un processo non necessariamente cosciente, per cui non sempre si possiede una chiara definizione, senza che ciò ne impedisca la condivisione. Quando funziona, ciò che abbiamo immaginato diventa ciò che vediamo espellendo la coscienza dal processo perché lo appesantirebbe inutilmente, di modo che la visione ci appare immediata,fin quando non si presenterà l'esigenza di disvelare nuovamente il processo per poterlo rivedere.
Quando ci confermiamo a vicenda una certa cosa, dicendo che è vero che etc..., significa che condividiamo qualcosa, anche quando non sappiamo dire come.
L'aleteia greca , come disvelamento, mi sembra perciò appropriata a descrivere la verità, ma non si tratta propriamente di togliere un velo una volta per tutte, ma di prender relativa coscienza del processo di condivisione che ci fa' concordare su cosa sia vero, quando è scaduto il tempo in cui tener ferma la cosa, perché mandando avanti l'immaginazione noi proseguiamo.
L'impresa scientifica, ma più in generale quella umana, è prima di tutto un percorso comune, perché è l'azione comune stessa a definire l'umanità, e non il suo aspetto esteriore, che eventualmente per conseguenza dell'azione comune si conformerà. Ma questa azione comune può aversi solo in base ad un accordo, che tanto più somiglia a verità, quanto più facile è raggiungere l'accordo, perché è tanto più facile quanto meno lo si è potuto discutere e sviscerare.
Cosi' nel procedere ci sembra di passare da una verità all'altra, ma si passa da un accordo ad altro , ognuno tenuto fermo un tempo sufficiente da non rendere del tutto incerto l'andare.
Si può ben provare soddisfazione nell'andare insieme tenendo fermo un percorso, che somiglia al piacere di contemplare una verità, perché non si può ben procedere pensando sempre un passo alla volta, per cui poi meglio si procede quando ogni passo sembra venire da se', come una verità.
È un percorso intero del quale ai filosofi greci è piaciuto sottolineare la fase di disvelamento, incentivando l'uso della coscienza, dando avvio alla moderna scienza.
Sembra incredibile che da una terra così povera sia giunta a noi tanta ricchezza, ma forse proprio per la mancanza di risorse si sono dovuti così ingegnare.
È l'uomo moderno un eterno fanciullo che non smette mai di giocare per prepararsi a una vita adulta che però non arriva mai. Un essere vivente che ha fatto della sua involuzione la sua forza, ma condannato a pensare sempre per lo più a ciò che fa',espulso dal paradiso istintuale dove tutto viene da se', con rare pause di comoda verità.
Molto banalmente, io definirei la verità come una scala, nella quale ogni gradino permette l'avanzamento e, allo stesso tempo, supera quello precedente. La salita della scala, dunque, sarebbe la ricerca della verità. Il problema, però, è che la scala non ha una fine, o, meglio, che la sua fine coincide con l' esaurirsi della vita stessa. Quindi, la vita si potrebbe definire come una progressione attraverso verità parziali, che si conclude con l'accesso a una verità unica, incontrovertibile e totale. Purtroppo, essendo io non credente, di questa Verità finale e unica sono condannato a non farmene nulla, costretto a salire una scala che mi porterà all'annullamento! Da qui, la mia atavica tendenza a curarmi fino ad un certo punto di questa ricerca. A questo punto, mi direte:" E allora perchè sei intervenuto in questo post?" Non lo so....
Salve kobayashi. Citandoti : "ma la domanda è se la singola cosa abbia una sua struttura oggettiva che con pazienza sarà avvicinata sempre di più dalle nostre rappresentazioni, oppure no, e semplicemente quelle che ci sembrano rappresentazioni adeguate rispondono invece a diversi interessi, a interessi scientifici, operativi, pratici, artistici etc.".
Queste tue osservazioni secondo me non c'entrano con il concetto di verità ("ciò che è invariante") ma piuttosto riguardano la distinzione tra la realtà ("l'essere") delle cose ed il concetto che possiamo sviluppare di quella certa data cosa.
Quindi tu avresti trattato della diversità tra l'ente reale e l'ente concettuale. Saluti.
Citazione di: Kobayashi il 20 Gennaio 2022, 08:18:59 AM
Qui ritorni però alla tendenza all'oggettivazione della scienza.
L'unica cosa che esiste e continuerà a esistere è il fenomeno della caduta di una cosa.
La spiegazione scientifica di tale fenomeno, ovvero che la massa della Terra esercita una forza di attrazione, è un'interpretazione che nel futuro sarà sostituita da altri racconti, in concomitanza con cambi di paradigma della fisica.
Ciò che conta per la scienza è la validità operativa della formula. Questa rimarrà anche dopo eventuali cambi di paradigma. Ma una formula non è una spiegazione, non è l'esposizione del significato del fenomeno che si sta studiando.
Questo per dire quanto la scienza sia contemporaneamente potente nel calcolo e ottusa nella comprensione....
Più che ottusa, direi parsimoniosa e virtuosa. Essa procede per regressione dai fenomeni alle cause, fermandosi dove la finzione di ipotesi diventa indecente.
Ciò vale per greci, cristiani e orientali, al netto delle rispettive metafisiche. Infatti il metodo scientifico si è diffuso ovunque e le teorie consolidate, fino a falsificazione, dicono una verità scientifica, garantita dal buon funzionamento dei suoi calcoli predittivi.
La "verità etica" è un nonsenso, che genera mostri totalitari e fallacie metafisiche.
Salve Ipazia. Citandoti : "Infatti il metodo scientifico si è diffuso ovunque e le teorie consolidate, fino a falsificazione, dicono una verità scientifica, garantita dal buon funzionamento dei suoi calcoli predittivi".
E' cosa veramente pazzesca che nel 2020 ed all'interno di una seppur piccola ma non certo squalificabile arena intellettuale quale è "Logos"........si sia costretti a ricordare la specificità del metodo scientifico.
Tant'è. Comunque la radice di essa scienza non dovrebbe - a mio parere - chiamarsi predittività (solo perchè qualcuno potrebbe interpretare tale termine come capacità di vaticinio !!)..........bensì RIPRODUCIBILITA' CONTROLLATA E CONTROLLABILE di certi effetti. Saluti.
Isolando una parte dell'intervento di Jacopus volevo sottolineare la tendenza comune a ricadere in una specie di realismo istintivo. Ciò si manifesta anche in chi sa bene che le verità della scienza non dicono la struttura reale, originaria di un certo fenomeno, perché questa struttura originaria semplicemente non esiste.
Ecco perché sullo stesso fenomeno possono coesistere le verità della scienza, quelle artistiche, quella della vita quotidiana etc.
Ipotizzare la causa di un fenomeno e ottenerne conferma tramite esperimento non esaurisce di solito il bisogno di comprensione del fenomeno.
Inoltre tale spiegazione è, anche all'interno della stessa scienza, solo uno tra i possibili modi di approcciarsi al problema, e questo significa che abbiamo a che fare con una tradizione, con una storia che è andata avanti per mutamenti, passi falsi, salti di qualità etc., e che non c'è nulla che faccia pensare che non debba continuare a essere così anche in futuro.
Il che significa che le sue verità attuali verranno, se non sostituite, magari ritradotte nel linguaggio simbolico di nuovi paradigmi.
Tutto questo dovrebbe convincerci della non sostenibilità dell'approccio realistico, di cui la scienza (ma vedo, anche molta filosofia...) è portatrice quasi inconsapevole, è portatrice ingenua.
Kobayashi. Mi riprometto di approfondire il tema (ho già sulla scrivania un po' di materiale :D ). In prima battuta mi viene da dire che la scienza, da Kuhn in poi, è consapevole del fatto che la oggettività scientifica è relativa e che i cambiamenti di paradigma stravolgono le conoscenze. Detto questo non penso che si possa estremizzare questo principio. Tutti i cambiamenti di paradigma del XX secolo dalla relatività alla MQ non hanno sconfessato i principi della fisica gravitazionale che restano validi. Hanno solo approfondito e spiegato fenomeni collaterali. Mi viene in mente la metafora della fotografia. Già i primi dagherrotipi permettevano la visione della realtà ma sono i successivi miglioramenti tecnologici a permettere una visione sempre più accurata, pur mantenendo validi i principi tecnologici originari, almeno come punto di partenza per i passaggi successivi.
Citazione di: Freedom il 19 Gennaio 2022, 17:26:02 PM
Penso che la prima cosa da fare per ricercare la Verità sia definirla.
E già questo primo passaggio mi pare che comporti difficoltà quasi insormontabili. Cos'è la Verità? Temo che ognuno abbia la sua. E' interessante che persino Gesù, interrogato da Pilato, preferisca tacere. E dire che di cose ne ha rivelate (alcune condivisibili o quantomeno logicamente affrontabili e conoscibili) ma quella lì no. O meglio afferma di essere lui stesso la Verità ma questo ha valore solo per chi crede in lui. Ma in ogni caso noi siamo nella sezione Filosofia e dunque non spegne la nostra sete di conoscenza.
Però il problema di definirla rimane. E non credo che senza risolvere questo enigma si possa procedere oltre. E bisogna stare ben attenti nella definizione.
Una volta lessi da qualche parte che, all'interno delle sette chiese di Bologna (in via Santo Stefano), c'era uno dei presepi più antichi della storia cristiana. Forse il più antico in assoluto. Andai in visita per vedere quel presepe. Giravo e rigiravo quelle chiese, imparai a memoria ogni anfratto, chiesi ma non trovavo quel presepe. Passarono ore, non volevo rinunciare! Ma alla fine, sconfitto, me ne andai.
Poi, non rassegnato, ritornai. Non ricordo chi mi aiutò ma qualcuno certamente lo fece e scoprii che quel presepe era del tutto diverso da quello che mi aspettavo. Da quello che mi ero raffigurato. Era diversissimo dalle rappresentazioni moderne alle quali siamo più o meno tutti abituati. Non essendo io uno studioso di storia dell'arte e, evidentemente, nemmeno dotato di intuito sufficiente :D non lo avevo trovato. Nemmeno ci ero andato vicino. Eppure c'era tutto quello che che ci doveva essere in un presepe!
Insomma è difficile trovare la verità se nemmeno sai com'è fatta, cos'è, come funziona, etc.
Eppure il concetto di verità non è qualcosa di così complesso.
Noi uomini abbiamo un linguaggio, un sistema epistemico, predisposto per descrivere le possibili realtà.
La verità è quando con quel linguaggio riusciamo a definire esattamente, tra le realtà possibili, la realtà.
Forse è il caso di dire che cosa è per ognuno di noi la Verità.
Non che essa sia una cosa relativa, tutt'altro. Deve per forza essere immutabile, assoluta. Insomma indipendente da tutto e tutti. Ma cosa è la Verità? Cosa è intendo al di là di tutte le parziali verità scientifiche, filosofiche, etc. C'è una Verità unica che accoglie in sé stessa tutte le parziali verità? E se c'è che cos'è?
Secondo me la Verità è il comprendere come funzionano le cose e perché. Di tutto l'Universo, di tutta la vita. Le altre sono verità parziali, magari decisive per la sopravvivenza (le verità del Diritto, delle scienze naturali, etc.) ma pur sempre parziali. Ed in netta progressione dall'alba della storia umana. E' innegabile che oggi abbiamo molte più verità di 5.000 fa.
Citazione di: anthonyi il 21 Gennaio 2022, 09:36:42 AM
Eppure il concetto di verità non è qualcosa di così complesso.
Noi uomini abbiamo un linguaggio, un sistema epistemico, predisposto per descrivere le possibili realtà.
La verità è quando con quel linguaggio riusciamo a definire esattamente, tra le realtà possibili, la realtà.
Ma il linguaggio si evolve , e questo rende possibili nuove definizioni di nuove realtà possibili.
Quindi, quando col linguaggio disponibile in quel momento saremo riusciti a definire esattamente la realtà , significa che avremo finalmente a disposizione un perfetto linguaggio?
Ma come faremo ad accorgerci di averlo, e di aver poi definito perfettamente la realtà, senza possederne una definizione prima, come suggerisce Freedom, e possibilmente operativa, aggiungo io?
Paradossalmente qualunque idea abbiamo adesso di perfezione e di verità, e quindi di perfetta verità, è imperfetta, se imperfetto è il linguaggio attuale?
Queste idee però si sono evolute col linguaggio e ancora lo faranno, e la perfetta verità di oggi non è quella di ieri ne' quella di domani.
Citazione di: Freedom il 21 Gennaio 2022, 09:49:47 AM
Forse è il caso di dire che cosa è per ognuno di noi la Verità.
Non che essa sia una cosa relativa, tutt'altro. Deve per forza essere immutabile, assoluta. Insomma indipendente da tutto e tutti. Ma cosa è la Verità? Cosa è intendo al di là di tutte le parziali verità scientifiche, filosofiche, etc. C'è una Verità unica che accoglie in sé stessa tutte le parziali verità? E se c'è che cos'è?
Secondo me la Verità è il comprendere come funzionano le cose e perché. Di tutto l'Universo, di tutta la vita. Le altre sono verità parziali, magari decisive per la sopravvivenza (le verità del Diritto, delle scienze naturali, etc.) ma pur sempre parziali. Ed in netta progressione dall'alba della storia umana. E' innegabile che oggi abbiamo molte più verità di 5.000 fa.
un accumulo di verità parziali non possono fare una verità universale. Se vogliamo definire la verità, il primo requisito infatti e' che sia universale, quindi le verità parziali non sarebbero verità', e la somma di non verità non fa' una verità.
Le definizioni di verità, come dice Ipazia non mancano, ed altre ne possiamo aggiungere, ma possono servire solo a capire l'origine in noi del concetto di verità, perché quello nessuno nega esista.
A tal fine io ho proposto la verità come ciò che non si può confutare in assoluto.
Noto però che nella nostra esperienza esistono solo verità difficili da confutare, ma che tale difficoltà risiede unicamente nel non aver chiaro di cosa si parli.
Non appena acquisiamo questa chiarezza, non appena cioè riusciamo a ben definire ciò di cui parliamo, allora ciò che definiamo possiamo confutare.
Non esiste alcuna definizione di verità ben esposta e completamente esplicitata, che non si possa confutare, e la si può confutare proprio per il fatto che la si è esplicita.
Quindi io credo che l'origine del concetto di verità stia in ciò che agisce in noi senza che noi lo sappiamo, e continua ad agire finché, esplicitandolo, non la cambiamo.
Citazione di: Freedom il 21 Gennaio 2022, 09:49:47 AM
Secondo me la Verità è il comprendere come funzionano le cose e perché. Di tutto l'Universo, di tutta la vita.
Ridotta all'osso questa è per me la Verità. Con la V maiuscola perché è solo lei che ci chiarisce il quadro di riferimento e ci mette in condizione di vedere la realtà così com'è.
Citazione di: iano il 21 Gennaio 2022, 10:12:31 AMA tal fine io ho proposto la verità come ciò che non si può confutare in assoluto.
Poi, naturalmente, è chiaro che deve essere inconfutabile.
Citazione di: Freedom il 21 Gennaio 2022, 11:31:51 AM
Citazione di: Freedom il 21 Gennaio 2022, 09:49:47 AM
Secondo me la Verità è il comprendere come funzionano le cose e perché. Di tutto l'Universo, di tutta la vita.
Ridotta all'osso questa è per me la Verità. Con la V maiuscola perché è solo lei che ci chiarisce il quadro di riferimento e ci mette in condizione di vedere la realtà così com'è.
Citazione di: iano il 21 Gennaio 2022, 10:12:31 AMA tal fine io ho proposto la verità come ciò che non si può confutare in assoluto.
Poi, naturalmente, è chiaro che deve essere inconfutabile.
Secondo me, purtroppo o per fortuna, tra capire il "come" e il capire il "perche' " delle cose... si deve sempre fare una scelta.
Niente botte piena e moglie ubriaca tra causa e modo, tra perche' e come.
Possiamo rispondere solo a una di queste "domande" alla volta, e questo mette in moto il movimento stesso, della verita' , che immutabile non e'.
E con questo ho detto la mia, di verita'.
Citazione di: Freedom il 21 Gennaio 2022, 11:31:51 AM
Citazione di: Freedom il 21 Gennaio 2022, 09:49:47 AM
Secondo me la Verità è il comprendere come funzionano le cose e perché. Di tutto l'Universo, di tutta la vita.
Ridotta all'osso questa è per me la Verità. Con la V maiuscola perché è solo lei che ci chiarisce il quadro di riferimento e ci mette in condizione di vedere la realtà così com'è.
Citazione di: iano il 21 Gennaio 2022, 10:12:31 AMA tal fine io ho proposto la verità come ciò che non si può confutare in assoluto.
Poi, naturalmente, è chiaro che deve essere inconfutabile.
Ma una volta che la verità sia nota, se è sempre possibile, come io credo, confutare ciò che è noto, come fa' ciò che è noto ad essere verità?
Dobbiamo allora discutere di cosa sia una confutazione.
Per quanto mi riguarda basta una semplice negazione, e si può negare solo ciò' che si può affermare.
Tu invece come la immagini questa confutazione?
Se per te è importante sapere come funzionano le cose perché ti vuoi complicare la vita allargandoti all'universo?
Disponiamo già' di verità funzionali. Ogni essere vivente le possiede, e non potrebbe vivere senza, ma per vivere non ha bisogno di verità universali. Ad ogni essere vivente è sufficiente una verità locale quanto basta , e che in ogni caso deve stare dentro i limiti della sostenibilità
Io, come ho provato ad argomentare, non credo che si possa giungere ad una definizione operativa di verità universale, perché essa abbisognerebbe di un linguaggio universale per essere espressa.
Allora prima di andare alla ricerca della verità dovresti andare alla ricerca di quel linguaggio.
Questa è stata una illusione che in effetti a lungo abbiamo coltivato, ma nel momento in cui questa nostra pretesa ha assunto chiari contorni, siamo cioè riusciti ad esprimerla in modo chiaro come ha fatto Hilbert nel 1900, puntualmente è arrivato chi l'ha confutata,Goedel.
Non l'ha confutata perché era un genio, ma perché quando serve e si può fare, quando cioè si creano le giuste condizioni, un genio si trova sempre per fare quel che s'ha fare.
E non è un caso quindi che la pretesa sia stata subito confutata non appena abbia assunto contorni chiari.
Fine della pretesa, declassata a pia illusione, e su essa direi che è stata posta una pietra tombale.
Si può vedere tutto ciò in negativo, ma sarebbe un errore, a meno che non si consideri negativo rendere sempre più chiari a noi stessi i concetti che usiamo, scoprendone i "veri" limiti, dandone una migliore definizione.
Ciò non ci indurrà a smettere di usare quei concetti, ma a farne un uso più mirato.
Una volta scopertane ad esempio la natura non universale, ci concentreremo meglio e con maggior profitto sul loro uso appropriato, e di nuove ne costruiremo e con più libertà, messe da parte le pastoie metafisiche, che pure svolgono le loro funzioni, ma che funzionano come i catalizzatori nelle reazioni chimiche, non apparendo mai nel composto finale.
Coerentemente quindi col mio precedente post, propongo una ridefinizione di metafisica, non come ciò che sta oltre la fisica, ma sta per ciò che pur non essendo a noi ben presente della teoria fisica che usiamo, non ci impedisce però di usarla.
Ciò equivale a dire che le teorie fisiche funzionano anche quando contengono ipotesi nascoste , e che anzi io credo sempre le contengano, siano cioè sempre intrise di metafisica.
Quindi, non è che quando il carattere metafisico della fisica viene svelato la teoria giunge a perfezione , ma là si cambia con altra teoria che conterrà' a sua volta ipotesi nascoste.
La metafisica è la negazione della fisica, e ogni teoria fisica alla sua nascita contiene già in se' la sua negazione, nasce cioè sempre potenzialmente falsificabile, e la si falsifica puntualmente non appena vengano esplicitate le sue ipotesi nascoste.
Sono quelle ipotesi nascoste, non negabili finché restano tali, a recitar la parte dell'inconfutabile verità, la quale è quindi solo una involontaria, e quindi innocente finzione.
Se mi domando cosa sia la Verità non posso rispondermi.
Perché già nella possibile risposta si anniderebbe l'ineliminabile dubbio.
Che accompagna inevitabilmente ogni "cosa".
Se Dio comparisse, in tutta la sua potenza e magnificenza, non potrei che rifiutarlo.
Non sarebbe comunque il mio Dio.
Per la semplice ragione che sarebbe "qualcosa". Perciò relativo, verità solo in quanto negazione di ogni possibile falsità.
Appunto, falsità possibile...
Donde nasce allora questa inafferrabile idea della Verità?
Perché bramo la Verità? Di cui non so nulla?
È la mancanza.
Mi manca!
Ma è il Nulla per il quale rinunciare ad ogni cosa.
Persino a me stesso.
È il tesoro nel campo.
Ma la Verità ha bisogno di me, della mia fede.
Perché non c'è.
Nella sua onestà Plotino rifiutava di attribuire all'Uno alcunché.
Per paura di rinnegarlo.
Tuttavia non poté esimersi dal chiamarlo: Bene.
Al figlio unigenito è richiesto di prendersi questo rischio.
Citazione di: bobmax il 21 Gennaio 2022, 12:58:34 PM
Se mi domando cosa sia la Verità non posso rispondermi.
Perché già nella possibile risposta si anniderebbe l'ineliminabile dubbio.
Che accompagna inevitabilmente ogni "cosa".
Giusto bobmax. In due parole elimini la questione. Ma noi ci ostiniamo tanto nelle spiegazioni. Spiegazioni che fanno di queste due parole una storia che dura ormai da quando è nato il tempo nella nostra ragione. Tra l'altro mi scuso con te, se ti sei offeso, per aver io trattato banalmente la questione del male. Hai ragione
La verita' ( minuscola , ma l'unica possibile per me) sono gli alimenti che ingurgito per mantenere un equilibrio calorico e di nutrienti che insieme all'acqua ed ad altri meravigliosi supporti mi permettono di continuare a scrivere...... e tutto il resto , la verita' e' l'automobile che mi passa accanto ed a cui devo fare attenzione per evitare che investendomi sia la causa di remissione del proseguimento della mia verita' stessa. E' il mio papa' putativo ( patrigno) che mi aspetta ora zoppicante quando arrivo dal lavoro , e' il mio gatto che si fa coccolare , e' la mia compagna di una vita che mi cucina la frittata , e' il mal di gambe quando torno da un allenamento. Il Vs eventuale mal di gambe NON e' verita'. la Vs frittata non e' verita'. Ed e' questa l'unica verita' possibile . Fino a quando non ci sara' piu' verita' o una verita' diversa. Ogni verita' e' unica , per questo non e' Verita'. Lieto e pronto ad essere smentito.
Citazione di: daniele22 il 21 Gennaio 2022, 14:43:32 PM
Citazione di: bobmax il 21 Gennaio 2022, 12:58:34 PM
Se mi domando cosa sia la Verità non posso rispondermi.
Perché già nella possibile risposta si anniderebbe l'ineliminabile dubbio.
Che accompagna inevitabilmente ogni "cosa".
Giusto bobmax. In due parole elimini la questione. Ma noi ci ostiniamo tanto nelle spiegazioni. Spiegazioni che fanno di queste due parole una storia che dura ormai da quando è nato il tempo nella nostra ragione. Tra l'altro mi scuso con te, se ti sei offeso, per aver io trattato banalmente la questione del male. Hai ragione
Non mi hai offeso, Daniele.
In realtà, ciò che mi offende, veramente, è solo me stesso.
Ma ciò nonostante la mia volontà non demorde.
Nonostante gli innumerevoli errori ormai disseminati lungo la mia vita.
Nonostante la realtà del male diventi sempre più intollerabile.
L'io non vuole ancora morire.
Citazione di: daniele22 il 21 Gennaio 2022, 14:43:32 PM
Citazione di: bobmax il 21 Gennaio 2022, 12:58:34 PM
Se mi domando cosa sia la Verità non posso rispondermi.
Perché già nella possibile risposta si anniderebbe l'ineliminabile dubbio.
Che accompagna inevitabilmente ogni "cosa".
Giusto bobmax. In due parole elimini la questione. Ma noi ci ostiniamo tanto nelle spiegazioni. Spiegazioni che fanno di queste due parole una storia che dura ormai da quando è nato il tempo nella nostra ragione. Tra l'altro mi scuso con te, se ti sei offeso, per aver io trattato banalmente la questione del male. Hai ragione
Bobmax ci testimonia il bisogno di verità, che anche quando gli cambiamo nome rimane.
Io declino questa esigenza nella condivisione, la cui mancanza renderebbe vana ogni verità.
Non è in fondo in virtù del l'intersoggettivita' che vorremo , magari goffamente, testimoniare la verità ?
Chi ingenuamente chiama in causa l'intersoggettivita', indirettamente afferma che la verità è fatta per essere condivisa, e in subordine chiamiamo verità ciò che condividiamo, che poi condita con egocentrismo quanto basta , diventa assoluta.
Secondo me l'inganno deriva dalla definizione di essere come cioè che è, e quindi se l'umanità è ciò che è, e in modo indipendente tutti gli uomini possiedono la stessa convinzione, allora ciò non può considerarsi un caso, di modo che quella convinzione ha da essere una verità.
Ma basta cambiare la definizione di essere e l'inganno scompare, se ad esempio un insieme di individui si caratterizza per ciò che condividono.
È dunque ciò che gli uomini condividono a porre in essere l'umanità.
Citazione di: bobmax il 21 Gennaio 2022, 15:06:48 PM
Citazione di: daniele22 il 21 Gennaio 2022, 14:43:32 PM
Citazione di: bobmax il 21 Gennaio 2022, 12:58:34 PM
Se mi domando cosa sia la Verità non posso rispondermi.
Perché già nella possibile risposta si anniderebbe l'ineliminabile dubbio.
Che accompagna inevitabilmente ogni "cosa".
Giusto bobmax. In due parole elimini la questione. Ma noi ci ostiniamo tanto nelle spiegazioni. Spiegazioni che fanno di queste due parole una storia che dura ormai da quando è nato il tempo nella nostra ragione. Tra l'altro mi scuso con te, se ti sei offeso, per aver io trattato banalmente la questione del male. Hai ragione
Non mi hai offeso, Daniele.
In realtà, ciò che mi offende, veramente, è solo me stesso.
Ma ciò nonostante la mia volontà non demorde.
Nonostante gli innumerevoli errori ormai disseminati lungo la mia vita.
Nonostante la realtà del male diventi sempre più intollerabile.
L'io non vuole ancora morire.
Bene, spero per te che possa esserti sufficiente questa vita che ti resta
Citazione di: atomista non pentito il 21 Gennaio 2022, 14:49:18 PM
La verita' ( minuscola , ma l'unica possibile per me) sono gli alimenti che ingurgito per mantenere un equilibrio calorico e di nutrienti che insieme all'acqua ed ad altri meravigliosi supporti mi permettono di continuare a scrivere...... e tutto il resto , la verita' e' l'automobile che mi passa accanto ed a cui devo fare attenzione per evitare che investendomi sia la causa di remissione del proseguimento della mia verita' stessa. E' il mio papa' putativo ( patrigno) che mi aspetta ora zoppicante quando arrivo dal lavoro , e' il mio gatto che si fa coccolare , e' la mia compagna di una vita che mi cucina la frittata , e' il mal di gambe quando torno da un allenamento. Il Vs eventuale mal di gambe NON e' verita'. la Vs frittata non e' verita'. Ed e' questa l'unica verita' possibile . Fino a quando non ci sara' piu' verita' o una verita' diversa. Ogni verita' e' unica , per questo non e' Verita'. Lieto e pronto ad essere smentito.
Quello che hai descritto è la tua vita.
Se però tornando a casa in auto vieni speronato da un altro veicolo che esce da destra all'improvviso, e se poi quel conducente si rifiuta di accollarsi la colpa, ecco che nasce il problema di stabilire la verità dell'incidente. Non la tua verità dell'incidente, ne quella del guidatore dell'altra auto, ma ciò che è realmente accaduto in quel tratto di strada. La verità di quell'evento.
Buon pomeriggio a tutti
C'è una cosa che nessuno è mai riuscito a dimostrarmi che non sia vera: TUTTO PASSA. Passano le cose, passano gli astri, passano persino quelli che pensano che tutte le cose passano. Che divengano, che si trasformino, che siano create o increate, che siano sognate o reali, passano tutte. Mentre scrivo che tutto passa sta passando il giorno. Fuori c'è un bel tramonto e presto sarà di nuovo buio, diverso dal buio di ieri e da quello di domani. Nullo è più vero di questo: ciò che era non c'è più e ciò che c'è non ci sarà più.
Leggiamo il più grande pensatore esistenzialista dell'antichità: l'autore del Qoelet.
Se invece di un'indigestione di Verità assoluta metafisica ci accontentassimo delle verità fisiche obiettivamente riscontrabili per le possibilità del nostro intelletto ?
Verità assolute nel loro contesto (Bruto ha ucciso Cesare) ed esemplari per fondare logicamente il concetto.
Verità relative, ma ben funzionanti, come quelle della speculazione scientifica che deve ricorrere a modelli logico-matematici per manipolare la realtà. Ovvero il luogo della verità.
Comprendo di averla sparata grossa:
Citazione di: Freedom il 21 Gennaio 2022, 09:49:47 AM
Secondo me la Verità è il comprendere come funzionano le cose e perché. Di tutto l'Universo, di tutta la vita.
Capisco anche come forse la filosofia, nella sua prospettiva di saggezza, suggerisca di volare più basso e, appunto saggiamente, di occuparsi se un cibo è benefico, malefico o addirittura velenoso. (Cibo nella sua accezione più elevata dunque non solo per il corpo ma, anche, per la mente e lo spirito). Di quanto, in buona sostanza, ci apporta beneficio, serenità magari addirittura pace. O, anche, un sano sollazzo per la mente. O evasione dalle bassezze o quando va bene noiose incombenze quotidiane. E tempi ingenerosi come quelli attuali rendono estremamente comprensibile tale prospettiva.
Pur tuttavia filosofia ha anche una prospettiva di amore per la conoscenza, per la sapienza. Per la verità così come ve la ho rappresentata. E, in effetti, mi pare che tutta la storia della filosofia ne sia piena. E se comprendo perfettamente che, dopo migliaia di anni di ricerca, se non proprio infruttuosa, certamente non risolutiva, uno possa anche essersi stancato. Se lo comprendo però, senza superbia ma per pura vocazione interiore, non lo condivido.
La mia sete, ahimè, non si è spenta. Lo vorrei, per carità, e, in un certo senso è avvenuto. Il cristianesimo mi ha soddisfatto. Ma rimane una questione di fede. In questa sezione, appunto di filosofia, il metodo di ricerca, l'approccio insomma tutto quanto è differente. Deve esserlo.
E spero saprete perdonarmi se insisto sulla prospettiva che ho proposto e cioè l'importanza decisiva, risolutiva (ai fini filosofici) di comprendere come stanno veramente le cose.
Questo mi pare il fine ultimo, supremo, della filosofia.
Salve freedom.Citandoti : "La mia sete, ahimè, non si è spenta. Lo vorrei, per carità, e, in un certo senso è avvenuto. Il cristianesimo mi ha soddisfatto. Ma rimane una questione di fede. In questa sezione, appunto di filosofia, il metodo di ricerca, l'approccio insomma tutto quanto è differente. Deve esserlo".
Quindi, mi pare, la tua fame di verità risulta saziata dal cristianesimo. Resterebbe la sete di verità, la quale vorresti veder soddisfatta dalla ragione. Ho detto bene ?.
Ma.......scusa, non ti sembra di risultare sia ingordo che contradditorio ? Ma come faresti a satollarti di due verità (una solida e l'altra liquida)? La verità, una volta che esista, non può che essere unica, singolare, monotematica, assoluta !!Oppure pensi che la verità (ovviamente onnicomprensiva) circa una fede possa andare tranquillamente d'accordo con un'altra verità (parimenti onnicomprensiva) dettata dalla ragione ?.
Scegli un poco se aver ragione o se continuare ad essere contradditorio. Saluti.
La verità del divenire è la verità nichilista.
Il nichilismo, infatti, si fonda su questa "verità": nulla permane.
Tuttavia, il divenire non è una verità autosufficiente. Perché trova il proprio senso nell'essere, ossia nel permanere.
Solo presupponendo che qualcosa permanga vi può essere divenire.
Quindi l'essere, inteso come esserci, dona senso al divenire.
E a sua volta il divenire dona senso all'essere.
Entrambi non possono sussistere senza l'altro!
Un essere che non divenga è un assoluto non senso.
E un divenire che non si riferisca a un essere, che divenire sarebbe? Cosa mai diverrebbe se non un essere?
L'essere e il divenire si sorreggono a vicenda, in un gioco senza fine. Ma di per stessi... non esistono.
Di modo che, la Verità sta necessariamente oltre questi due fantasmi.
E stando oltre, possiamo ben osservare come sia Nulla.
Citazione di: Kobayashi il 21 Gennaio 2022, 08:30:08 AM
Isolando una parte dell'intervento di Jacopus volevo sottolineare la tendenza comune a ricadere in una specie di realismo istintivo. Ciò si manifesta anche in chi sa bene che le verità della scienza non dicono la struttura reale, originaria di un certo fenomeno, perché questa struttura originaria semplicemente non esiste.
Ovvero non esiste la "cosa in sé ", ma i fatti, le
cose in divenire, sul cui processo la scienza cerca di capire qualcosa e attraverso la sperimentazione pone dei paletti teorici fermi, fino a falsificazione.
CitazioneEcco perché sullo stesso fenomeno possono coesistere le verità della scienza, quelle artistiche, quella della vita quotidiana etc.
Qui chiamerei in causa un argomento caro a phil, ovvero il rispetto dei differenti livelli del reale. Senza strapparsi i capelli se non si può fonometrare l'urlo di Edvard Munch, ma bisogna sentirlo con la psiche.
CitazioneIpotizzare la causa di un fenomeno e ottenerne conferma tramite esperimento non esaurisce di solito il bisogno di comprensione del fenomeno.
Inoltre tale spiegazione è, anche all'interno della stessa scienza, solo uno tra i possibili modi di approcciarsi al problema, e questo significa che abbiamo a che fare con una tradizione, con una storia che è andata avanti per mutamenti, passi falsi, salti di qualità etc., e che non c'è nulla che faccia pensare che non debba continuare a essere così anche in futuro.
Il che significa che le sue verità attuali verranno, se non sostituite, magari ritradotte nel linguaggio simbolico di nuovi paradigmi.
Ha già risposto Jacopus. Cambiano i paradigmi quando il perfezionamento degli strumenti d'indagine permette nuove scoperte e le nuove scoperte stimolano nuove interpretazioni della realtà.
CitazioneTutto questo dovrebbe convincerci della non sostenibilità dell'approccio realistico, di cui la scienza (ma vedo, anche molta filosofia...) è portatrice quasi inconsapevole, è portatrice ingenua.
Per ora non vedo alternative, nelle scienze naturali, ad un approccio realistico. Che non coincide con la dogmatica scientista, la quale contrariamente alla scienza epistemica, pasticcia coi differenti livelli del reale. E più che ingenua, definirei portatrice nefasta di un sapere omologato, parrocchiale o palesemente corrotto.
Citazione di: viator il 21 Gennaio 2022, 17:59:05 PM
Ma.......scusa, non ti sembra di risultare sia ingordo che contradditorio ? Ma come faresti a satollarti di due verità (una solida e l'altra liquida)? La verità, una volta che esista, non può che essere unica, singolare, monotematica, assoluta !!Oppure pensi che la verità (ovviamente onnicomprensiva) circa una fede possa andare tranquillamente d'accordo con un'altra verità (parimenti onnicomprensiva) dettata dalla ragione ?.
Intanto sono contento che concordiamo nel pensare che la verità deve essere assoluta.
Per il discorso fede/ragione non è che penso che siano due verità ma due modi di arrivare alla stessa verità. Credo che si arrivi alla verità per fede e poi la si razionalizzi ragionandoci sopra e scoprendo tutte le relazioni di causa/effetto. Penso che ragione e fede debbano necessariamente concordare.
Un pò come il percorso delle scoperte umane: prima le si intuiscono, le si credono per fede. Poi le si spiegano logicamente.
Citazione di: Freedom il 21 Gennaio 2022, 20:55:05 PM
Citazione di: viator il 21 Gennaio 2022, 17:59:05 PM
Ma.......scusa, non ti sembra di risultare sia ingordo che contradditorio ? Ma come faresti a satollarti di due verità (una solida e l'altra liquida)? La verità, una volta che esista, non può che essere unica, singolare, monotematica, assoluta !!Oppure pensi che la verità (ovviamente onnicomprensiva) circa una fede possa andare tranquillamente d'accordo con un'altra verità (parimenti onnicomprensiva) dettata dalla ragione ?.
Intanto sono contento che concordiamo nel pensare che la verità deve essere assoluta.
Per il discorso fede/ragione non è che penso che siano due verità ma due modi di arrivare alla stessa verità. Credo che si arrivi alla verità per fede e poi la si razionalizzi ragionandoci sopra e scoprendo tutte le relazioni di causa/effetto. Penso che ragione e fede debbano necessariamente concordare.
Un pò come il percorso delle scoperte umane: prima le si intuiscono, le si credono per fede. Poi le si spiegano logicamente.
Ah, mi sembra di capire ! La verità fideistica di Maria vergine e madre, esaminata alla luce del percorso cause-effetti, permette di veder concordare fede e ragione.
Ugualmente per quanto riguarda la questione della "teodicea" ed alcune altre (per carità ! solamente apparenti) piccole questioni inerenti l'esistenza di Dio, del Mondo e dell'Uomo. Vabbè. Cari saluti.
CitazioneUn pò come il percorso delle scoperte umane: prima le si intuiscono, le si credono per fede. Poi le si spiegano logicamente.
Un piccolo excursus su questo singolo punto. Non credo che il passaggio sia così rettilineo. E' vero che vi è una rilevante porzione di "intuizione", ma quella intuizione è, a sua volta, il risultato di spiegazioni logiche, osservazioni, esperimenti precedenti. Nessuna intuizione è fondata sul nulla o sulla potenza di una mente talmente brillante da essere in grado di astrarsi completamente dalla sua esperienza storica. Faccio un esempio. Darwin, a mio parere, è stata una delle menti più brillanti, in questo senso, ed anche più intuitive, tanto che le sue deduzioni ed intuizioni hanno impiegato 150 anni dopo la sua morte per essere dimostrate in modo inequivocabile (lasciamo da parte le polemiche sul darwinismo, qui intendo solo sottolineare il passaggio intuzione/logica delle scoperte). La stessa cosa, del resto si potrebbe dire di Cristo, come figura storica, il suo messaggio è innovativo, si fonda su alcune intuizioni molto originali, ma il substrato culturale che lo ha modellato deriva da logiche e processi culturali precedenti, l'ebraismo e l'ellenismo per la precisione.
Il percorso concettuale delle scoperte umane, quindi, a me sembra più un percorso bidirezionale, che si fonda sull'esperienza e sull'accumulo esperienziale collettivo e in seguito sull'apporto di menti particolarmente lucide, che sviluppano ulterioriormente quella esperienza collettiva che servirà da trampolino di lancio per la successiva "mente lucida". In sostanza vi è continuamente un feed-back esperienze culturali/intuizioni. Quest'ultime poi dovranno ovviamente passare il giudizio della società per diventare patrimonio culturale in grado di influenzare le successive possibili intuizioni.
E' un discorso che ovviamente ha molto a che fare con l'eterno ritorno di Nietzsche, ma di questo abbiamo ampiamente scritto altrove.
Citazione di: Ipazia il 21 Gennaio 2022, 19:39:24 PM
Citazione di: Kobayashi il 21 Gennaio 2022, 08:30:08 AM
Isolando una parte dell'intervento di Jacopus volevo sottolineare la tendenza comune a ricadere in una specie di realismo istintivo. Ciò si manifesta anche in chi sa bene che le verità della scienza non dicono la struttura reale, originaria di un certo fenomeno, perché questa struttura originaria semplicemente non esiste.
Ovvero non esiste la "cosa in sé ", ma i fatti, le cose in divenire, sul cui processo la scienza cerca di capire qualcosa e attraverso la sperimentazione pone dei paletti teorici fermi, fino a falsificazione.
CitazioneEcco perché sullo stesso fenomeno possono coesistere le verità della scienza, quelle artistiche, quella della vita quotidiana etc.
Qui chiamerei in causa un argomento caro a phil, ovvero il rispetto dei differenti livelli del reale. Senza strapparsi i capelli se non si può fonometrare l'urlo di Edvard Munch, ma bisogna sentirlo con la psiche.
CitazioneIpotizzare la causa di un fenomeno e ottenerne conferma tramite esperimento non esaurisce di solito il bisogno di comprensione del fenomeno.
Inoltre tale spiegazione è, anche all'interno della stessa scienza, solo uno tra i possibili modi di approcciarsi al problema, e questo significa che abbiamo a che fare con una tradizione, con una storia che è andata avanti per mutamenti, passi falsi, salti di qualità etc., e che non c'è nulla che faccia pensare che non debba continuare a essere così anche in futuro.
Il che significa che le sue verità attuali verranno, se non sostituite, magari ritradotte nel linguaggio simbolico di nuovi paradigmi.
Ha già risposto Jacopus. Cambiano i paradigmi quando il perfezionamento degli strumenti d'indagine permette nuove scoperte e le nuove scoperte stimolano nuove interpretazioni della realtà.
CitazioneTutto questo dovrebbe convincerci della non sostenibilità dell'approccio realistico, di cui la scienza (ma vedo, anche molta filosofia...) è portatrice quasi inconsapevole, è portatrice ingenua.
Per ora non vedo alternative, nelle scienze naturali, ad un approccio realistico. Che non coincide con la dogmatica scientista, la quale contrariamente alla scienza epistemica, pasticcia coi differenti livelli del reale. E più che ingenua, definirei portatrice nefasta di un sapere omologato, parrocchiale o palesemente corrotto.
Prendo spunto da questo tuo post per fare una considerazione. Sarà noto più o meno a tutti che io pretenda di negare il paradigma sul quale si fonda la realtà umana. Ci sarà un motivo per cui io abbia tale intenzione. Per fare questo debbo criticare il linguaggio, è una necessità.
Ad un certo punto dici:
"
Ovvero non esiste la "cosa in sé ", ma i fatti, le cose in divenire, sul cui processo la scienza cerca di capire qualcosa e attraverso la sperimentazione pone dei paletti teorici fermi, fino a falsificazione."
La mia posizione, all'interno della realtà espressa fino ad oggi dalla lingua, è che i fatti abbiano un grado di realtà più condivisibile che la realtà delle cose. Pertanto, fino a questo punto il nostro pensiero è simile.
Ordunque, "la cosa in sé" e la "cosa in divenire" possono essere assimilati a due concetti o a due sintagmi.
Tu rendi sinonimo il sostantivo "fatto" alla "cosa in divenire". Più che lecito e condivido.
Se però uno, in base ad una sua fede che non è certamente metafisica, si pone al di fuori del linguaggio e cerca di criticarlo per venire a capo di una realtà fino ad oggi inaudita può anche chiedersi per quale motivo si dovrebbe credere che non esista "la cosa in sé", ma debba invece esistere "il fatto", ovvero la cosa in divenire. Cioè, per quale motivo non debba esistere il sostantivo "cosa" ed esistere invece il sostantivo "fatto".
Ritorno quindi ancora a quel che dici in successione commentando Kobayashi:
Qui chiamerei in causa un argomento caro a phil, ovvero il rispetto dei differenti livelli del reale. Ed è la cosa più sensata da dire e la strada più giusta da intraprendere. La domanda pertanto è: qual è il livello di realtà del sostantivo?
Mi chiedo, ma è senz'altro un'opinione in domanda, se per rispondere a questa domanda, qualora si voglia rispondere, il metodo più fruttuoso da seguire possa essere quello di ricorrere ad un artificio
Se non esiste la cosa in sé, allora non esiste nulla.
Nemmeno il soggetto, che altro non è che un riflesso della cosa in sé.
Quindi va benissimo ipotizzare che la cosa in sé non esista, ma poi occorrerebbe trarne le dovute conseguenze...
Che la cosa in sé non esista... è comunque necessario.
Necessità squisitamente etica.
@ Daniele.
Posto che anch'io lamento la scarsa attenzione che si pone sui diversi livelli con cui ci appare la realtà , credo che il linguaggio serva a spiegarli a partire dalle definizioni, le quali sono tutte arbitrarie, ma in diverso grado aderiscono ai fatti, e perciò si fanno diversamente preferire.
Eppure nessuno qui mi pare consideri le possibili alternative per pesarle in base a un qualche criterio di preferenza.
Io ho proposto l'essere come costruzione che nasce dal rapporto con la realtà, quindi non come cosa reale, finché non lo si costruisce, e il diverso grado in cui appare, dall'asrratto al concreto, col diverso grado di coscienza usato per costruirlo.
Per un qualche motivo sembra esserci una preferenza diffusa e quasi totalizzante all'essere che si mostra massimamente concreto, sul quale non occorra dire, perché a nulla equivale dire che esso sia cosa in se'. Ma in effetti nulla si dice perché nulla si può dire, presentandosi esso a noi come cosa bella e fatta.
Ma, a parte le mie personali considerazioni, una definizione vale l'altra finché non si decide un criterio per pesarle.
Un essere che sia costruzione più o meno cosciente, e che quindi appaia più o meno astratto spiegandosi così i diversi livelli con cui ci appare il reale, e' cosa che non entra in contraddizione col divenire. Bisogna rassegnarsi però ad avere un rapporto indiretto con la realtà, laddove un rapporto diretto come noi ingenuamente crediamo di avere attraverso il rilevamento della realtà in se' ci illude sul poterla abbracciare interamente, di conoscere la verità intera, sebbene ne conosciamo al momento solo una parte., come un album di figurine da completare.
A partire dall'essere in se' il raggiungimento della verità sembra un processo graduale, perché l'essere è già' verità, e non definizione arbitraria.
Ma succede poi che in ogni rivoluzione culturale scientifica, metter da parte l'essere per poterlo rivedere, non diventa cosa facile, perché come fai ad ignorare ciò che è in se'?
Alla fine lo mettiamo da parte, perché preme il dover adeguare le nostre spiegazioni ai nuovi fatti, ma con gran difficoltà.
Ciò che è in se' dovrebbe essere inamovibile. Alla fine con fatica riusciamo a spostarlo, mantenendone però fissa la definizione.
Possiamo vedere questo paradosso, questo volerci a forza tenere addosso questa contraddizione, in termini evolutivi, come difficoltà a uscire dall'uovo, e dopo portarsi il guscio dietro come Calimero.
La definizione dell'essere come cosa in se' sembra un anello evolutivo di congiunzione, fra l'esser che in quanto percepito non va' definito, e l'essere astratto ikeano con annesse istruzioni di montaggio.
In fatti è una definizione che non definisce, ma almeno evidenzia l'esigenza di una definizione, che adesso però andrebbe completata, cosa no difficile da fare se è arbitraria, e quindi possiamo mettere in moto senza più inibizioni percettive fantasia ed arte. Basta che ci togliamo finalmente il guscio dalla testa.
Salve iano. Citandoti : "Per un qualche motivo sembra esserci una preferenza diffusa e quasi totalizzante all'essere che si mostra massimamente concreto, sul quale non occorra dire, perché a nulla equivale dire che esso sia cosa in se'".
Per parte mia posso solo ripetere stancamente che l'"essere" (verbo) risulta nella "condizione per la quale le cause producono i propri effetti (e viceversa)".
L'"essere" in sè (la "cosa in sè" sottesa dall' "essere") è - del tutto semplicemente - la funzione (ovvero la ragione dell'esistenza dell'"essere") dell'"essere" stesso, la quale consiste appunto nel "permettere" che le cause siano automaticamente connesse agli effetti (e viceversa).
Quindi l'"essere" come "cosa in sè non esiste (infatti se esistesse sarebbe tautologico).
La funzione dell'"essere" rappresenta la "cosa in sè" sottesa dall'essere ma esclusa dall'"essere in sè".
Cause ed effetti rappresentano lo scopo dell'"essere". Saluti.
Citazione di: bobmax il 22 Gennaio 2022, 12:32:52 PM
Se non esiste la cosa in sé, allora non esiste nulla.
Nemmeno il soggetto, che altro non è che un riflesso della cosa in sé.
Quindi va benissimo ipotizzare che la cosa in sé non esista, ma poi occorrerebbe trarne le dovute conseguenze...
Che la cosa in sé non esista... è comunque necessario.
Necessità squisitamente etica.
Non è vero che se non esiste la cosa in se' allora non esiste nulla, significa che con ciò che ha esistenza assoluta non possiamo avere un rapporto diretto, ciò che immagino equivarrebbe a vedere la verità, che tu infatti credi di poter raggiungere solo col tuo annullamento in essa, nella realtà una, nel farti uno con essa.
Il tuo ragionamento quadra, se non fosse che vedi nella molteplicità percepita dell'essere un accidente passeggero, una corruzione della verità che di buono ha solo che passerà.
Ciao Viator. Tu dici....Cause ed effetti rappresentano lo scopo dell'"essere". Saluti.
E se invece cause ed effetti fossero il fondamento dell'essere, e non lo scopo, mettendo d'accordo in una sola definizione essere e divenire?
La mia impressione è che stancamente ripeti ciò che a te stesso non è chiaro, dovendo usare parentesi , sottolineature da aggiungere al linguaggio normale, come se fosse il linguaggio ad essere manchevole, e non la tua comprensione, la quale poi magari tenderà a perfezionarsi con la ripetizione, e ti accorgerai di aver raggiunto la chiarezza quando non sentirai più l'esigenza di usare un linguaggio additivato, e a noi stessi più chiaro apparirà il tuo pensiero.
Detto in amicizia, non puoi pensare di farti le tue ragioni usando un linguaggio gridato, facendo delle eccezioni che ammette il linguaggio la sua regola.
Citazione di: daniele22 il 22 Gennaio 2022, 09:43:58 AM
Sarà noto più o meno a tutti che io pretenda di negare il paradigma sul quale si fonda la realtà umana. Ci sarà un motivo per cui io abbia tale intenzione. Per fare questo debbo criticare il linguaggio, è una necessità.
Ad un certo punto dici:
"Ovvero non esiste la "cosa in sé ", ma i fatti, le cose in divenire, sul cui processo la scienza cerca di capire qualcosa e attraverso la sperimentazione pone dei paletti teorici fermi, fino a falsificazione."
La mia posizione, all'interno della realtà espressa fino ad oggi dalla lingua, è che i fatti abbiano un grado di realtà più condivisibile che la realtà delle cose. Pertanto, fino a questo punto il nostro pensiero è simile.
Ordunque, "la cosa in sé" e la "cosa in divenire" possono essere assimilati a due concetti o a due sintagmi.
Tu rendi sinonimo il sostantivo "fatto" alla "cosa in divenire". Più che lecito e condivido.
Si tratta di una necessità metafisica prima che scientifico-ontologica, suggerita da LW nel Tractatus, atta a superare la millenaria vexata quaestio tra essere e divenire, riposizionando l'inaccessibile
cosa in sè in una più ontologicamente abbordabile
cosa per noi. Ovvero,
cosa esperibile dalle nostre facoltà intellettuali del momento realizzando l'auspicabile
adaequatio che è suggello di verità.
CitazioneSe però uno, in base ad una sua fede che non è certamente metafisica, si pone al di fuori del linguaggio e cerca di criticarlo per venire a capo di una realtà fino ad oggi inaudita può anche chiedersi per quale motivo si dovrebbe credere che non esista "la cosa in sé", ma debba invece esistere "il fatto", ovvero la cosa in divenire. Cioè, per quale motivo non debba esistere il sostantivo "cosa" ed esistere invece il sostantivo "fatto".
Perchè non si tratta di una questione semantica, ma ontologica. In ballo c'è il
referente (res), non il
significato derivato (intellectus) e ancor meno il
significante convenzionale (linguaggio).
CitazioneRitorno quindi ancora a quel che dici in successione commentando Kobayashi:
Qui chiamerei in causa un argomento caro a phil, ovvero il rispetto dei differenti livelli del reale.
Ed è la cosa più sensata da dire e la strada più giusta da intraprendere. La domanda pertanto è: qual è il livello di realtà del sostantivo?
La semantica
CitazioneMi chiedo, ma è senz'altro un'opinione in domanda, se per rispondere a questa domanda, qualora si voglia rispondere, il metodo più fruttuoso da seguire possa essere quello di ricorrere ad un artificio
Ma un artificio di quelli tosti:
En archè en o logos.
Salve iano. Citandoti : "E se invece cause ed effetti fossero il fondamento dell'essere".
Si capisce subito che hai le idee chiare, visto che a fondamento di qualcosa di singolare (l'essere) riesci a porre qualcosa di plurale (cause+effetti). (Il divenire è un effetto, mentre lo stare è una causa). Auguri.
Ciao Viator.
Allora vediamo di chiarirci.
Quando invece tu dici che cause ed effetti rappresentano lo scopo dell'essere cosa intendi dire?
Perché non condivido , ma comprendo che l'essere possa essere la causa incausata, ma non comprendo come l'effetto possa essere ciò a cui l'essere tende, e tanto meno comprendo in che modo tenda alla causa.
Quello che io riesco a capire e un animismo riveduto e scorretto.
Quando io dico che invece cause ed effetti siano il fondamento dell'essere sto provando a ribaltare il tuo punto di vista.
Il mio punto di vista in modo proprio l'ho espresso in fin troppi post, spero in modo chiaro.
Se non hai capito diimi e riprovo a spiegarmi.
Citazione di: iano il 22 Gennaio 2022, 14:20:33 PM
Citazione di: bobmax il 22 Gennaio 2022, 12:32:52 PM
Se non esiste la cosa in sé, allora non esiste nulla.
Nemmeno il soggetto, che altro non è che un riflesso della cosa in sé.
Quindi va benissimo ipotizzare che la cosa in sé non esista, ma poi occorrerebbe trarne le dovute conseguenze...
Che la cosa in sé non esista... è comunque necessario.
Necessità squisitamente etica.
Non è vero che se non esiste la cosa in se' allora non esiste nulla, significa che con ciò che ha esistenza assoluta non possiamo avere un rapporto diretto, ciò che immagino equivarrebbe a vedere la verità, che tu infatti credi di poter raggiungere solo col tuo annullamento in essa, nella realtà una, nel farti uno con essa.
Il tuo ragionamento quadra, se non fosse che vedi nella molteplicità percepita dell'essere un accidente passeggero, una corruzione della verità che di buono ha solo che passerà.
Iano, esiste solo e soltanto ciò con cui abbiamo un rapporto.
È questo il significato di "esistere".
Di modo che se la cosa in sé non esiste, vuol dire che il rapporto è un'illusione.
E se qualsiasi rapporto è illusorio, e lo è in quanto la cosa in sé non esiste, allora niente esiste.
Non può esservi corruzione della Verità.
Supporlo, vuol dire intendere la Verità come altro rispetto a ciò che c'è.
Ma ciò è assurdo.
Non può esservi niente che sia "altro". È la Verità!
Dove diavolo sarebbe questa corruzione se non nella stessa Verità?
Il molteplice non è un accidente che prescinde dalla Verità, cioè un errore.
Come potrebbe esserlo?
Quindi anche il male è senz'altro Verità.
Solo che... la Verità è Nulla.
Per cui ogni cosa, fatto, sono puro nulla.
Ma è allora un nulla valoriale?
È il trionfo del nichilismo?
No!!!
Lo è solo se mi arrendo di fronte all'orrore. Orrore del Nulla.
Non lo è affatto, invece, se apro il mio cuore all'amore.
Se libero lo sconfinato amore racchiuso in me, il Nulla splende di infinite possibilità.
Citazione di: bobmax il 22 Gennaio 2022, 18:23:39 PM
Solo che... la Verità è Nulla.
Per cui ogni cosa, fatto, sono puro nulla.
Ma è allora un nulla valoriale?
È il trionfo del nichilismo?
No!!!
Lo è solo se mi arrendo di fronte all'orrore. Orrore del Nulla.
Non lo è affatto, invece, se apro il mio cuore all'amore.
Se libero lo sconfinato amore racchiuso in me, il Nulla splende di infinite possibilità.
Che l'amore sia un atto di volontà che nasce dal "nulla" e non tende a "nulla" ma trova ragione solo in sè, ci può anche stare, ma confondere l'etica con l'ontologia non rende una gran servizio alla verità.
Salve iano. La sedia è un oggetto sul quale ci si può sedere. La sedia in sè, però, non è costituita dal materiale di cui è fatta la sedia e neppure dalla forma che l'architetto od il falegname hanno voluto dare alla sedia.
La sedia in sè consiste nella FUNZIONE assolta dalla sedia, cioè nello SCOPO per assecondare il quale la sedia stessa è stata costruita e "funge-funziona".
Ora, prova a sostituire la sedia con il verbo "essere"...........poi rifletti se per caso l'essere non "funga-funzioni" per permettere la concatenazione tra le cause e gli effetti....................quindi "funga-funzioni" proprio per generare tutto, ma veramente tutto, ma davvero davvero tutto tutto tutto.......senza lasciar fuori neppure uno spillo.
E perdonami se, nel trattare di massimi sistemi, cerco di minimizzare la mia ignoranza enfatizzando qualche concetto con qualche lettera maiuscola. Saluti.
Citazione di: Ipazia il 22 Gennaio 2022, 18:44:42 PM
Citazione di: bobmax il 22 Gennaio 2022, 18:23:39 PM
Solo che... la Verità è Nulla.
Per cui ogni cosa, fatto, sono puro nulla.
Ma è allora un nulla valoriale?
È il trionfo del nichilismo?
No!!!
Lo è solo se mi arrendo di fronte all'orrore. Orrore del Nulla.
Non lo è affatto, invece, se apro il mio cuore all'amore.
Se libero lo sconfinato amore racchiuso in me, il Nulla splende di infinite possibilità.
Che l'amore sia un atto di volontà che nasce dal "nulla" e non tende a "nulla" ma trova ragione solo in sè, ci può anche stare, ma confondere l'etica con l'ontologia non rende una gran servizio alla verità.
Il solo supporre che possa esservi una ontologia a prescindere dall'etica apre la porta al nichilismo.
O l'ontologia è sottesa da uno slancio etico, o è a servizio della "verità" nichilista.
È l'etica che fa la differenza.
Tra il Nulla assoluto e il Nulla fonte di infinite possibilità.
E lo vediamo dovunque.
Citazione di: bobmax il 22 Gennaio 2022, 19:47:09 PM
Il solo supporre che possa esservi una ontologia a prescindere dall'etica apre la porta al nichilismo.
O l'ontologia è sottesa da uno slancio etico, o è a servizio della "verità" nichilista.
È l'etica che fa la differenza.
Tra il Nulla assoluto e il Nulla fonte di infinite possibilità.
E lo vediamo dovunque.
Lo stato etico ? I sommersi e salvati ? Certo, lo stiamo vedendo, e purtroppo vivendo, anche in questo momento.
Salve Bobmax. Come invidio Ipazia, la quale sembra capire qualcosa di ciò che dici !! Io non solo non afferro linguisticamente i legami tra i concetti che esprimi ma..............problema ben più ciclopico.......dal momento che spessissimo ometti di segnalare l'identità di colui cui stai replicando........non riesco mai a sceverare i tuoi interventi al cui interno stai rivolgendoti a te stesso, da quelli in cui staresti invece replicando a qualcun altro. O talvolta ti piace fare la "vox clamantis in desertum" ?. Salutoni.
Ciao Viator
Non so se Ipazia comprende ciò che scrivo. Di certo la sua replica non me lo conferma.
Il fatto che io stia replicando a qualcuno oppure no non mi sembra così importante.
Nella discussione emergono posizioni che suscitano un mio intervento, tutto qui.
A chi mi rivolgo?
Beh a chiunque voglia leggere, quindi senz'altro a te.
Sono dell'idea che i concetti che cerco di esprimere si possano cogliere.
Ma richiedano, diciamo così, un'apertura. La messa in discussione dell'ovvio.
E soprattutto la fede nella Verità.
Chiunque, in qualsiasi momento, può avere questo slancio di fede.
Dipende solo da te.
Citazione di: Ipazia il 22 Gennaio 2022, 16:31:03 PM
Citazione di: daniele22 il 22 Gennaio 2022, 09:43:58 AM
Sarà noto più o meno a tutti che io pretenda di negare il paradigma sul quale si fonda la realtà umana. Ci sarà un motivo per cui io abbia tale intenzione. Per fare questo debbo criticare il linguaggio, è una necessità.
Ad un certo punto dici:
"Ovvero non esiste la "cosa in sé ", ma i fatti, le cose in divenire, sul cui processo la scienza cerca di capire qualcosa e attraverso la sperimentazione pone dei paletti teorici fermi, fino a falsificazione."
La mia posizione, all'interno della realtà espressa fino ad oggi dalla lingua, è che i fatti abbiano un grado di realtà più condivisibile che la realtà delle cose. Pertanto, fino a questo punto il nostro pensiero è simile.
Ordunque, "la cosa in sé" e la "cosa in divenire" possono essere assimilati a due concetti o a due sintagmi.
Tu rendi sinonimo il sostantivo "fatto" alla "cosa in divenire". Più che lecito e condivido.
Si tratta di una necessità metafisica prima che scientifico-ontologica, suggerita da LW nel Tractatus, atta a superare la millenaria vexata quaestio tra essere e divenire, riposizionando l'inaccessibile cosa in sè in una più ontologicamente abbordabile cosa per noi. Ovvero, cosa esperibile dalle nostre facoltà intellettuali del momento realizzando l'auspicabile adaequatio che è suggello di verità.
CitazioneSe però uno, in base ad una sua fede che non è certamente metafisica, si pone al di fuori del linguaggio e cerca di criticarlo per venire a capo di una realtà fino ad oggi inaudita può anche chiedersi per quale motivo si dovrebbe credere che non esista "la cosa in sé", ma debba invece esistere "il fatto", ovvero la cosa in divenire. Cioè, per quale motivo non debba esistere il sostantivo "cosa" ed esistere invece il sostantivo "fatto".
Perchè non si tratta di una questione semantica, ma ontologica. In ballo c'è il referente (res), non il significato derivato (intellectus) e ancor meno il significante convenzionale (linguaggio).
CitazioneRitorno quindi ancora a quel che dici in successione commentando Kobayashi:
Qui chiamerei in causa un argomento caro a phil, ovvero il rispetto dei differenti livelli del reale.
Ed è la cosa più sensata da dire e la strada più giusta da intraprendere. La domanda pertanto è: qual è il livello di realtà del sostantivo?
La semantica
CitazioneMi chiedo, ma è senz'altro un'opinione in domanda, se per rispondere a questa domanda, qualora si voglia rispondere, il metodo più fruttuoso da seguire possa essere quello di ricorrere ad un artificio
Ma un artificio di quelli tosti: En archè en o logos.
Mi fa piacere Ipazia che in questa situazione particolare tu conceda spazio all'ipotesi, sei proprio tosta nel senso positivo del termine. Ma prima di parlare di artifici o ipotesi che forse già compaiono all'interno di questo post vorrei chiarire qualche punto, più che altro dovuto alla mia ignoranza lessicale della terminologia in uso presso le varie discipline umane, tra cui pure la filosofia (questione spinosa quella dei neologismi tecnici che intervengono in seno al tessuto sociale mettendo l'individuo non specializzato nella condizione di doversi fidare dello specialista).
Quando dici che non è una questione semantica sono d'accordo. Dopodiché, intendi dire che è una questione che riguarda invece il campo d'azione che la cosa può compiere, le sue possibilità, all'interno della scienza che la studia?
Di modo tale che il distinguo che poni tu non riguarda appunto la semantica riferita al sostantivo "cosa" e al sostantivo "fatto", bensì riguarda il distinguo tra cosa che sta ferma e cosa che è in movimento.
Se è così passiamo al punto in cui chiedo quale sia il livello di realtà di un sostantivo. Tu mi rispondi la semantica, immagino quindi il campo semantico del sostantivo.
Pertanto chiedo: da dove salta fuori il campo semantico di un sostantivo?
Mi verrebbe da dire dal campo semantico della cosa a cui si riferisce, cioè dall'uso che noi possiamo fare di quella cosa, o anche l'uso che può fare la cosa su di noi tipo quello che può far di noi un tornado.
Dunque, se il sostantivo fosse (e qui mi troverei già nel campo dell'artificio, oppure no?) una cristallizzazione della realtà della cosa, realtà datale dal noi poterla manipolare, non sarebbe già in origine nel sostantivo l'espressione del divenire della cosa a cui si riferisce? Come possiamo quindi negare l'esistenza di una "cosa per noi" e conferirla invece ad un fatto che si compone di "cose per noi" in movimento?
Immagino che possa accadere per il fatto che noi pensiamo che le espressioni della lingua possiedano una coincidenza con la realtà, mentre per me ne costituiscono solo una mappa. E qui di sicuro vi è un riferimento a Nietzche, ma io non conosco il suo pensiero
Cit. Ipazia: "Ovvero non esiste la "cosa in sé ", ma i fatti, le cose in divenire, sul cui processo la scienza cerca di capire qualcosa e attraverso la sperimentazione pone dei paletti teorici fermi, fino a falsificazione"
[...]
"Per ora non vedo alternative, nelle scienze naturali, ad un approccio realistico. Che non coincide con la dogmatica scientista, la quale contrariamente alla scienza epistemica, pasticcia coi differenti livelli del reale. E più che ingenua, definirei portatrice nefasta di un sapere omologato, parrocchiale o palesemente corrotto".
La scienza esercita di fatto nella modernità un'egemonia spirituale.
Il suo realismo implicito dice in sostanza che solo la scienza è in grado di dire come stanno le cose, com'è la realtà, l'unica realtà.
Alla base di questo atteggiamento, come ho già spiegato, c'è un errore filosofico, ma non è questo l'aspetto preoccupante, il problema sta nel fatto che a partire da un punto di vista basato su un errore filosofico si produce una riduzione a discorso inefficace di tutto ciò che non è scienza.
Inutile poi mettersi a tavolino a compilare nuove etiche quando esse già in partenza non hanno forza se mancano dell'appoggio della scienza. E così ci si ritrova costretti a dedurre principi etici da biologia e neuroscienza. In realtà si tratta di una ritraduzione pseudoscientifica di questioni tradizionali.
L'esempio dei neurotrasmettitori è plateale: sapere che quando sono felice viene rilasciata una certa sostanza nel mio organismo non spiega la mia felicità, ne la felicità in generale. In realtà si tratta di una conoscenza utilissima alla manipolazione di cervelli malandati.
Perché è appunto questa l'anima della scienza e la sua enorme utilità: il potere di manipolare la materia.
Tornando invece ai vari interventi che sostengono un punto di vista metafisico o religioso, esplicitamente o implicitamente, sarebbe interessante vedere questa resistenza (al di là di chi ha ragione) come l'effetto dell'inevitabilità del pathos della verità. Cioè, come se non riuscissimo a separarci da questo pathos, anche in presenza di una consapevolezza critica nei confronti della realtà in se'. Come se questa ricerca del superamento dell'apparenza, dell'illusione, per trovare pace nell'essenza delle cose fosse ineludibile. Anche chi pensa che ci siano solo maschere deve stare allerta per non cadere nella tentazione di concetti quali "maschere autentiche" etc.
@daniele22
Forse in linea con le tue indagini sul linguaggio c'è il saggio di Nietzsche "Verità e menzogna in senso extra-morale" in cui (se ricordo bene...) nella lingua, nella grammatica, è riconosciuta già la presenza di un ordine che riflette quello gerarchico della civiltà che da vita a tale lingua. E dunque le regole linguistiche e grammaticali come riflesso di poteri, caste etc., che da subito esercitano la propria influenza sulle generazioni.
Citazione di: Kobayashi il 23 Gennaio 2022, 12:00:47 PM
@daniele22
Forse in linea con le tue indagini sul linguaggio c'è il saggio di Nietzsche "Verità e menzogna in senso extra-morale" in cui (se ricordo bene...) nella lingua, nella grammatica, è riconosciuta già la presenza di un ordine che riflette quello gerarchico della civiltà che da vita a tale lingua. E dunque le regole linguistiche e grammaticali come riflesso di poteri, caste etc., che da subito esercitano la propria influenza sulle generazioni.
Grazie per l'appunto. In effetti vi è nella disciplina linguistica, e pure di quella sono ignorante, una nozione importante che si concorda con quello che dici tu o Nietzche, e sarebbe la tendenza all'invarianza del significante rispetto al significato. L'esempio più eclatante è quello della balena che nell'immaginario collettivo di un tempo veniva categorizzata come un pesce, mentre ora per lo più come un mammifero, ma lei resta sempre la balena. E' chiaro quindi che le persone acculturate, che son quelle che si adeguano al significato del tempo corrente, originano di fatto un differenziale di consapevolezza (potenza) rispetto a chi è meno acculturato. Tutto questo dà luogo che l'ignorante debba fidarsi del colto. Pensa un po'
Citazione di: Kobayashi il 23 Gennaio 2022, 11:56:53 AM
Cit. Ipazia: "Ovvero non esiste la "cosa in sé ", ma i fatti, le cose in divenire, sul cui processo la scienza cerca di capire qualcosa e attraverso la sperimentazione pone dei paletti teorici fermi, fino a falsificazione"
[...]
"Per ora non vedo alternative, nelle scienze naturali, ad un approccio realistico. Che non coincide con la dogmatica scientista, la quale contrariamente alla scienza epistemica, pasticcia coi differenti livelli del reale. E più che ingenua, definirei portatrice nefasta di un sapere omologato, parrocchiale o palesemente corrotto".
La scienza esercita di fatto nella modernità un'egemonia spirituale.
Il suo realismo implicito dice in sostanza che solo la scienza è in grado di dire come stanno le cose, com'è la realtà, l'unica realtà.
Alla base di questo atteggiamento, come ho già spiegato, c'è un errore filosofico, ma non è questo l'aspetto preoccupante, il problema sta nel fatto che a partire da un punto di vista basato su un errore filosofico si produce una riduzione a discorso inefficace di tutto ciò che non è scienza.
Inutile poi mettersi a tavolino a compilare nuove etiche quando esse già in partenza non hanno forza se mancano dell'appoggio della scienza. E così ci si ritrova costretti a dedurre principi etici da biologia e neuroscienza. In realtà si tratta di una ritraduzione pseudoscientifica di questioni tradizionali.
L'esempio dei neurotrasmettitori è plateale: sapere che quando sono felice viene rilasciata una certa sostanza nel mio organismo non spiega la mia felicità, ne la felicità in generale. In realtà si tratta di una conoscenza utilissima alla manipolazione di cervelli malandati.
Perché è appunto questa l'anima della scienza e la sua enorme utilità: il potere di manipolare la materia.
Tornando invece ai vari interventi che sostengono un punto di vista metafisico o religioso, esplicitamente o implicitamente, sarebbe interessante vedere questa resistenza (al di là di chi ha ragione) come l'effetto dell'inevitabilità del pathos della verità. Cioè, come se non riuscissimo a separarci da questo pathos, anche in presenza di una consapevolezza critica nei confronti della realtà in se'. Come se questa ricerca del superamento dell'apparenza, dell'illusione, per trovare pace nell'essenza delle cose fosse ineludibile. Anche chi pensa che ci siano solo maschere deve stare allerta per non cadere nella tentazione di concetti quali "maschere autentiche" etc.
La tua lucidità è sempre puntuale.
Si può solo provare ad aggiungere un dettaglio in più, o a dire diversamente la stessa cosa guardandola da un diverso punto di vista.
Così preferirei dire che attraverso la scienza non manipoliamo la materia, ma la realtà per la mediazione di elementi come la concreta materia e le astratte teorie, con tutte le sfumature che vi stanno in mezzo, intese come realtà provvisorie. Su questo punto però ammetto di non aver trovato confortante riscontro interessato in questo forum, senza ricevere critiche di nessun segno.
L'errore, seppur comprensibile a motivo della sua novità , sta secondo me nel dare alla scienza uno statuto speciale nell'ambito dell'agire umano., quando si tratta di un modo diverso di fare le cose che ha molto in comune con modi diversi di fare. Questa comunanza può non apparire, ma il supporla spiega secondo me molte cose.
Se da un lato la scienza sembra ormai essere l'unica fonte da cui ricavare una nuova etica , la sua apparente sterilità relativa allo scopo potrebbe derivare dal fatto che essa possieda già una sua etica, ma nascosta.
Se si ammette che diverse sono le modalità di agire, senza necessariamente avere su di esse pregiudiziali preferenze, dovremmo ammettere che esse si differenziano per essere portatrici ognuna di una sua etica.
Se escludiamo l'individuale agire "artigianale" ogni altra impresa umana, compresa quella scientifica, sottintende una etica di fondo che però può non apparire nel suo statuto, o essere diversa da quella dichiarata, e in ciò vedo meglio una difficolta'nel riuscire a riformarla, se non è chiaro cosa vogliamo riformare.
Le cose sepolte dentro noi non perciò non agiscono, ma per riformarle prima bisogna esplicitarle.
Il progresso della scienza non sembra essere spinto dalle prospettive di benessere , ma dal senso di benessere che da' il ricercare e il modo in cui la ricerca si porta avanti presuppone un etica.
Il lodevole tentativo di dare una regolazione etica alla scienza si scontra secondo me col fatto che essa un etica la possiede già, e che potrebbe essere diversa da quella che ci appare.
Volevo fare un appunto importante a mio vedere. Quando ci si addentra nei campi di confine tra essere umano ed essere pre-umano sicuramente pesa la realtà in capo ad una donna di fronte a quella in capo ad un uomo, tutte e due inconoscibili, ma non per questo poco invasive. Mi sbilancio. Si gradirebbe molto un presidente donna
Lungi da me negare l'inumana traduzione ideologica della scienza in scientismo con un accrescimento esponenziale della malvagità umana tecnoscientificamente assististita fino al nichili$mo dilagante che riduce l'umano a sorcio da laboratorio per sperimentazioni socio-biotec.
Ma preso atto di ciò, la soluzione non è vagheggiare molteplicità di saperi vagamente sovrapposti e autonomi, ma definire i limiti dell'etica e della bioetica invalicabili per ogni carogna scientista. Liberarando al contempo il tempio della scienza dal nichili$mo mercatista.
La soluzione al problema è politica, separando ciò che appartiene all'etica da ciò che è ricerca scientifica e liberando entrambi dalla inumana dittatura del Mercato capitalistico.
Se non si supera - abbattendolo per sempre - questo ostacolo, ogni illusione di sapere spirituale redentivo è aria fritta.
CitazioneLa scienza esercita di fatto nella modernità un'egemonia spirituale.Il suo realismo implicito dice in sostanza che solo la scienza è in grado di dire come stanno le cose, com'è la realtà, l'unica realtà.Alla base di questo atteggiamento, come ho già spiegato, c'è un errore filosofico, ma non è questo l'aspetto preoccupante, il problema sta nel fatto che a partire da un punto di vista basato su un errore filosofico si produce una riduzione a discorso inefficace di tutto ciò che non è scienza.Inutile poi mettersi a tavolino a compilare nuove etiche quando esse già in partenza non hanno forza se mancano dell'appoggio della scienza. E così ci si ritrova costretti a dedurre principi etici da biologia e neuroscienza. In realtà si tratta di una ritraduzione pseudoscientifica di questioni tradizionali.L'esempio dei neurotrasmettitori è plateale: sapere che quando sono felice viene rilasciata una certa sostanza nel mio organismo non spiega la mia felicità, ne la felicità in generale. In realtà si tratta di una conoscenza utilissima alla manipolazione di cervelli malandati.Perché è appunto questa l'anima della scienza e la sua enorme utilità: il potere di manipolare la materia.
@Kobayashi. La scienza non è un monolite. Esistono molte correnti scientifiche che considerano la dialettica fra scienza e altre discipline come necessario ed imprescindibile. Nel campo della psicologia/pedagogia/psichiatria arrivando fino alle neuroscienze, non è possibile avere un approccio scientifico nel senso classico del termine (come distinzione fra hard e soft sciences).
E' vero che vi sono stati molti tentativi in questo senso, basti pensare all'enorme influenza del comportamentismo oppure anche all'approccio classico della psicoanalisi, laddove il terapeuta doveva essere quasi un soggetto "freddo", impossibilitato a entrare in empatia con il paziente, perchè altrimenti sarebbe stata a rischio la terapia, fondata su una interpretazione ex-cathedra risolutiva del disagio o del disturbo.
Attualmente però, almeno in questo campo, l'approfondimento della conoscenza del sistema nervoso centrale e periferico, nella sua "fisicità" si accompagna con la constatazione evidente della irriducibilità del cervello ad un organo qualsiasi, a causa della sua "plasticità", che ci rende unici fra gli esseri viventi. Con plasticità intendo la capacità di ogni essere umano di apprendere e interagire nell'ambiente modificando il suo comportamento nei più svariati modi. A differenza delle altre specie animali, noi siamo "davvero" "Uno-nessuno-centomila". Non c'è un istinto automatico che ci fa fare le stesse cose, come accade alle formiche e in misura minore anche ai mammiferi superiori. Il nostro cervello, e quindi noi stessi, è come se fosse un Computer connesso in modo diretto e continuo con tutti gli altri cervelli e con la "cultura" che quei cervelli hanno prodotto nel passato, producono attualmente e produrranno in futuro. Quindi in questo senso, per le neuroscienze è impossibile, ad esempio, non confrontarsi con la filosofia, perchè la filosofia fa parte del Sistema Nervoso Centrale, allo stesso modo delle sinapsi e dei processi di invio e ricezione dei neurotrasmettitori, in quanto le sinapsi e tutta l'architettura di ogni cervello è disegnata e si sviluppa sulla base degli imput culturali e ambientali esterni.
Salve Kobayashi. Citandoti : "La scienza esercita di fatto nella modernità un'egemonia spirituale.
Il suo realismo implicito dice in sostanza che solo la scienza è in grado di dire come stanno le cose, com'è la realtà, l'unica realtà.
Alla base di questo atteggiamento, come ho già spiegato, c'è un errore filosofico, ma non è questo l'aspetto preoccupante, il problema sta nel fatto che a partire da un punto di vista basato su un errore filosofico si produce una riduzione a discorso inefficace di tutto ciò che non è scienza".
A partire dal punto di vista che tu lamenti come erroneo.........secondo me c'è una tua interpretazione erronea.
La scienza non proclama o genera l'inefficacia di ciò che le è alternativo/estraneo. La scienza è l'armadietto del Pronto Soccorso, ovvero ciò che - in prima e principale, ma mai esclusiva istanza - occorre utilizzare in caso di infortunio (il riuscire a prevedere ciò che senza la scienza è impossibile prevedere........ecco.....questo è l'infortunio più grave).
Poi, chi vuole fare a meno del Pronto Soccorso, può scegliere come meglio crede. Spesso la Divina Provvidenza arriva dove la scienza non giungerà mai.
Lo sai che i più incalliti tra i giocatori d'azzardo puntano assai più spesso sulla cabala che sulla scienza ?. Saluti.
Citazione di: Ipazia il 23 Gennaio 2022, 14:58:35 PM
Lungi da me negare l'inumana traduzione ideologica della scienza in scientismo con un accrescimento esponenziale della malvagità umana tecnoscientificamente assististita fino al nichili$mo dilagante che riduce l'umano a sorcio da laboratorio per sperimentazioni socio-biotec.
Ma preso atto di ciò, la soluzione non è vagheggiare molteplicità di saperi vagamente sovrapposti e autonomi, ma definire i limiti dell'etica e della bioetica invalicabili per ogni carogna scientista. Liberarando al contempo il tempio della scienza dal nichili$mo mercatista.
La soluzione al problema è politica, separando ciò che appartiene all'etica da ciò che è ricerca scientifica e liberando entrambi dalla inumana dittatura del Mercato capitalistico.
Se non si supera - abbattendolo per sempre - questo ostacolo, ogni illusione di sapere spirituale redentivo è aria fritta.
Ahhh! Ipazia, capisco il tuo sfogo. Se ho detto delle cazzate segnalamelo per favore, ma non prendermi in giro, por favor. Ipazia, il mio intelletto purtroppo mi impedisce di definire un'etica senza qualcosa che la fondi.
Ma visto che ci tieni tanto non posso che affidarmi alle ultime 2 domande Kantiane, ma sono io in prima persona a rispondere, non Kant. Cosa devo fare e cosa posso sperare.
Cosa devo fare? Convincere il ministero della pubblica istruzione in modo esplicito sulle novità svelate dalla risposta alla prima domanda (produrre una esaustiva teoria della conoscenza incontrovertibilmente verificabile con metodo scientifico)
Cosa posso sperare? Posso sperare che vi sia una spinta spontanea (il motore di Kobayashy), anche se ostacolata almeno dapprincipio, ad affermare gradatamente un'etica fondata sul valore della fratellanza. Questa è naturalmente la speranza ottimistica, ovvero la mia personale. Però c'è un problema cara Ipazia. Cosa si intende per "fratellanza"? Questo te lo può dire solo la risposta alla prima domanda
Citazione di: L.Wittgenstein - Tractatus logico-philosophicus6.52 Noi sentiamo che anche qualora tutte le possibili domande scientifiche avessero avuto risposta, i problemi della vita non sarebbero stati ancora neppure toccati. Certo, allora non resta più domanda alcuna, e questa appunto è la risposta.
L'etica inizia qui.
Salve Ipazia. Questa volta sono arcisicuro che ti convertirò istantaneamente alla mia visione del mondo.Citandoti : "La soluzione al problema è politica, separando ciò che appartiene all'etica da ciò che è ricerca scientifica e liberando entrambi dalla inumana dittatura del Mercato capitalistico".
Ma l'etica (quale funzione di possibile, individuale, scelta comportamentale) nacque molti milioni di anni prima della politica !! (anche considerando il solo livello umano, si trattò comunque di molte migliaia di anni).
L'etica è fondata sulla biologia dell'individuo, poi arrivò la più o meno raffinata evoluzione dell'etica in versione comunitaria, la quale prese il nome di "politica", la quale a sua volta si evolse in due diramazioni : la democrazia (il prevalere della morale sociale collettiva sull'etica individuale) oppure la dittatura (il prevalere dell'etica individuale del dittatore sulla morale della società che egli domina).
Spiegami tu in che modo un atavismo come quello etico possa venir affrontato e modificato dalla democrazia, oppure dalla dittatura, oppure infine dalla ricerca scientifica.
Ciò che, dall'interno della propria semplicità originaria (l'etica) ha poi generato le proprie complicazioni (politica, scienza, morale, dittatura,democrazia) non può certo venir "risolto" applicando le complicazioni stesse ! Sarebbe come se un figlio, una volta venuto al mondo, fosse in grado di modificare lo stampo che l'ha prodotto, non ti pare ? Saluti.
Chiedo scusa se non ho letto tutti gli interventi precedenti, ma mi sono perso.
Il quesito iniziale posto è molto intrigante tant'è vero che il topic è esploso in un percorso lungo che non ritengo possa portare a trovarla.
Verità, come tutti i concetti di difficile definizione, è una parola ambigua che a mio avviso può assumere diversi significati in funzione del contesto in cui viene utilizzata.
Se un piatto cadendo in terra va in frantumi e si dice che si è rotto, è la pura verità in quanto è coerente con le parole piatto, frantumare e rottura del nostro parlare: nessuno potrebbe dire il contrario e cioè che il piatto è sano.
Se invece nel toccare un materiale qualcuno dice che è caldo e qualcunaltro che è freddo, le verità possono essere due, in funzione della sensazione di chi lo tocca.
Quando poi si tratta di idee e convinzioni, la Verità è ancora più relativa all'infinita personalità di chi si esprime.
Volendo in ultimo parlare di "Verità" assoluta, ritengo che non esista, o almeno che non riusciremo mai a definirla.
Cerchiamo di evitare il senso di onnipotenza che dimora in tutti noi. :) [size=78%] [/size]
Citazione di: Mariano il 23 Gennaio 2022, 23:04:06 PM
Chiedo scusa se non ho letto tutti gli interventi precedenti, ma mi sono perso.
Il quesito iniziale posto è molto intrigante tant'è vero che il topic è esploso in un percorso lungo che non ritengo possa portare a trovarla.
Intanto ti ringrazio per il tuo tentativo di riportare il Topic nei suoi naturali binari. Anche se temo non sarà seguito perché gli utenti, più che ascoltare ciò che dicono gli altri, si concentrano su ciò che gli altri fanno risuonare dentro di sé.
Citazione di: Mariano il 23 Gennaio 2022, 23:04:06 PM
Volendo in ultimo parlare di "Verità" assoluta, ritengo che non esista, o almeno che non riusciremo mai a definirla.
Cerchiamo di evitare il senso di onnipotenza che dimora in tutti noi. :)
Da una parte hai senz'altro ragione perché ci sono, indubbiamente, concetti che mai potremo penetrare. Ed è certamente un atto di superbia, di cieca ostinazione, voler perseguire obiettivi troppo al di sopra delle nostre possibilità.
Dall'altra parte, tuttavia, è dalla notte dei tempi che l'uomo cerca l'assoluto. Una verità assoluta. Che io ho cercato di definire così:
Citazione di: Freedom il 21 Gennaio 2022, 09:49:47 AM
Secondo me la Verità è il comprendere come funzionano le cose e perché. Di tutto l'Universo, di tutta la vita.
Mi viene da dire, insomma, che è nella natura umana interrogarsi su certe cose. Anche su queste.
Senza dunque particolare ostinazione, ma con sereno distacco, io credo che si possa ragionare, specialmente in un Forum di Filosofia, di questa cosa qua.
Citazione di: Ipazia il 23 Gennaio 2022, 22:15:54 PM
Citazione di: L.Wittgenstein - Tractatus logico-philosophicus6.52 Noi sentiamo che anche qualora tutte le possibili domande scientifiche avessero avuto risposta, i problemi della vita non sarebbero stati ancora neppure toccati. Certo, allora non resta più domanda alcuna, e questa appunto è la risposta.
L'etica inizia qui.
Io sento il contrario naturalmente. Mi vien tra l'altro da ridere pensando a tutti questi pensatori di lingua germanica che sembrano dominare il mercato filosofico, popolo molto irrequieto a dir poco. Somos italianos Ipazia !! Italia Germania 4 a 3.
Scherzi a parte, L'enunciato che mi proponi esprime una fede, come del resto la esprime il mio opponendosi a quello. Ma c'è una differenza tra il suo e il mio ed è che il procedere assecondando il suo dettato evidenzierebbe una criticità qualora si ammetta che le persone attualmente non si fidano più di nessuno. E' un'informazione da prender come buona questa? Di conseguenza, applicare un'etica arbitraria all'interno di un tessuto sociale pervaso da un clima di sfiducia equivale a formare un partitello da 5 per cento se ti va bene.
Dopodiché, il filosofo, quando cita un filosofo, dovrebbe farlo di modo tale che l'interlocutore percepisca nell'immediato la verità o la fasità della citazione. E questo dovrebbe essere il senso nicciano del bisogno di eliminare l'interprete dietro l'interprete. Pretesa più che giusta in materia filosofica, dato che ogni persona è competente a giudicare il proprio o l'altrui pensiero. Ora succede però che io, persona incompetente di scienze naturali, debba fidarmi degli scienziati. Così facendo mi pongo nella situazione di essere un interprete dietro ad un altro interprete (il manuale di studio). Allora dico che qui sì è giustificabile la figura dell'interprete dietro l'interprete, mica possiamo sapere tutto (intendendo il sapere come "si conosce solo ciò che si fa"). Ora succede però ancora che qualcuno dica che ti iniettano un fluido (il vaccino) che modificherà il tuo pensiero. Ovvio è che colui che dice queste cose non sia quasi certamente uno scienziato. La domanda è: questa persona è folle, è ignorante, è in malafede, o ha semplicemente ragione? Puoi dar la risposta che vuoi, ma la mancanza di fiducia resta, e sia io che te ne siamo la prova. La differenza sta nel fatto che io ho però tradito di sicuro la mia ragione vaccinandomi volontariamente, e di fatto così facendo mi son fidato. Ma io non mi fido affatto, ho semplicemente fatto una cosa che ho ritenuto di buon senso in base a motivi che però prescindono dalla mia ragione. Che etica puoi proporre dunque in questa società?
Se ha fallito Silvio che proponeva l'etica imperante esasperando ancor più il culto dell'immagine. Se ha fallito il movimento 5 stelle, mettendo in evidenza la loro contraddizione che consiste nell'esser di fatto divenuti parte del sistema quando volevano buttarlo per aria. Dimmelo tu dunque
Ps: @Freedom. In relazione all'ultimo post: ti do ragione. Parliamone se vuoi, cerco solo un interlocutore aperto
Citazione di: Mariano il 23 Gennaio 2022, 23:04:06 PM
Volendo in ultimo parlare di "Verità" assoluta, ritengo che non esista, o almeno che non riusciremo mai a definirla.
Cerchiamo di evitare il senso di onnipotenza che dimora in tutti noi. :)
Ciao Mariano.
Credo che tu abbia centrato il punto.
Ma cosa rimane della verità quando riusciamo a sfrattare l'onnipotenza?
In effetti nei miei post ho provato a rispondere a questa domanda , seppur conscio che non tutto ciò che alberga in noi possiamo sfrattare finché non ne acquisiamo coscienza.
Quindi , nella misura in cui sono riuscito a rendere lo sfratto relativamente esecutivo, quello che ho visto rimanere è un umano bisogno di condivisione, che però forse si può ridire in modo più semplice mettendo momentaneamente da parte la complicazione del bisogno.
Anzi mi è parso di vedere anche che, parlando di definizioni, per quanto riguarda ad esempio la definizione di umanità, è difficile da trovare .
Mi sembra più facile pensare all'unanimità come l'insieme di individui che condividono qualcosa, e che questa condivisione può evolversi, ridefinendo in continuazione l'umanità.
Nella condivisione c'è potenziale unita', quindi possibile individuazione, di modo che possa indicarsi un insieme potenzialmente casuale portando la sua esistenza ad unita' determinata.
Ciò fatto, condendo il tutto con onnipotenza quanto basta, l'umanità diventa una verità.
Il passo successivo è dimenticarsi del processo che ha portato all'umanità, semmai in tal processo avessimo usato coscienza, di modo che la verità dell'umanità la si possa giustificare con l'evidenza.
Ecco dunque che l'umanità inizia ad esistere in quanto tale, e il processo di assolutizzazione è così completato.
In un certo senso la verità ha a che fare con una esigenza umana pratica molto sentita , per cui seppur la verità è qualcosa di costruito, non si può ogni volta richiamare alla coscienza quella costruzione , cio' che equivarrebbe ogni volta a rimetterla in discussione, inibendo così l'azione.
Sarebbe come se nello sviluppo di una teoria matematica a partire dalle ipotesi decise, queste si mettessero poi continuamente in discussione , rendendone impossibile lo sviluppo.
Ma accorre che l'accordo sulle ipotesi decise regga almeno il tempo che si sviluppi la teoria, che almeno in quel tempo siano una verità.
Citando Kobayashi : Non la tua verità dell'incidente, ne quella del guidatore dell'altra auto, ma ciò che è realmente accaduto in quel tratto di strada. La verità di quell'evento.
La verita' di questo evento sara' verita' per me , per l'altro conducente , per chi era sulle auto , eventualmente per chi vi ha assistito e per chi dovra' ricostruire l'accaduto ........ certamente non sara' verita' per Te a meno che Tu non faccia parte delle figure di cui sopra , e non sara' comunque mai una verita' , sara' piu' una interpretazione dell'accaduto. Basta vedere cosa , molto piu' banalmente , accade con arbitri / var nelle decisioni inerenti ad una partita di calcio.....
Citazione di: bobmax il 22 Gennaio 2022, 12:32:52 PM
Se non esiste la cosa in sé, allora non esiste nulla.
Nemmeno il soggetto, che altro non è che un riflesso della cosa in sé.
Quindi va benissimo ipotizzare che la cosa in sé non esista, ma poi occorrerebbe trarne le dovute conseguenze...
Che la cosa in sé non esista... è comunque necessario.
Necessità squisitamente etica.
Prendo spunto dal primo enunciato di bobmax e lo modfico a mio piacimento, soprattutto perchè non so se a bobmax sia nota una definibile sostanza del sostantivo.
Dico pertanto: se non esiste la cosa in se', o la cosa "per noi" dato che Ipazia ha corretto giustamente tale definizione di "cosa in sè", allora ha senz'altro ragione bobmax nel dire che esiste solo il nulla. Ma "tra la cosa in se" e la "cosa per noi" sussiste un differenza fondamentale che fa divenire l'enunciato di bobmax quello che enuncio io: se non esiste "la cosa per noi" allora esiste solo il morto.
Parlando di superuomo intendo dunque: Se personaggi come Gesù sono considerati come esempi di superuomo, allora lo spirito di Nietzche può considerarsi ancora in vita, altrimenti è morto
Citazione di: daniele22 il 24 Gennaio 2022, 11:13:23 AM
Citazione di: bobmax il 22 Gennaio 2022, 12:32:52 PM
Se non esiste la cosa in sé, allora non esiste nulla.
Nemmeno il soggetto, che altro non è che un riflesso della cosa in sé.
Quindi va benissimo ipotizzare che la cosa in sé non esista, ma poi occorrerebbe trarne le dovute conseguenze...
Che la cosa in sé non esista... è comunque necessario.
Necessità squisitamente etica.
Prendo spunto dal primo enunciato di bobmax e lo modfico a mio piacimento, soprattutto perchè non so se a bobmax sia nota una definibile sostanza del sostantivo.
Dico pertanto: se non esiste la cosa in se', o la cosa "per noi" dato che Ipazia ha corretto giustamente tale definizione di "cosa in sè", allora ha senz'altro ragione bobmax nel dire che esiste solo il nulla. Ma "tra la cosa in se" e la "cosa per noi" sussiste un differenza fondamentale che fa divenire l'enunciato di bobmax quello che enuncio io: se non esiste "la cosa per noi" allora esiste solo il morto.
Parlando di superuomo intendo dunque: Se personaggi come Gesù sono considerati come esempi di superuomo, allora lo spirito di Nietzche può considerarsi ancora in vita, altrimenti è morto
Anche quando non si ammetta l'esistenza della cosa in se', come io faccio, non nego però che la cosa in se' tale appaia, e che come tale la posso trattare, ma non volendomi fermare a tale apparenza, la spiego con la mancata coscienza della sua costruzione, possibilità che evidentemente Bobmax si rifiuta di prendere in considerazione.
Nella misura in cui non abbiamo relativa coscienza della costruzione, in diverso grado di evidenza perciò l'essere ci appare, ma per Bobmax evidentemente prendere in considerazione questo diverso grado non è importante, perché per lui è tutto o nulla, ed eventualmente le due cose insieme.
L'essere come costruzione in relazione al diverso grado di intervento della coscienza, e/o della memoria che se ne conserva, spiega appunto il diverso grado di evidenza/ concretezza, con cui l'essere ci appare, e io credo che ci si possa accontentare , se si spiega quella verità che è per noi, senza spiegare il noi.
Quantomeno ho così messo in evidenza che possa essere utile considerare un processo come il suo contrario, apparendomi cose diverse da quelle in se' che parimenti ed in modo utile posso trattare.
Se spiego attraverso la coscienza l'apparenza della verità, non posso poi spiegare l'essere cosciente a partire dalla verità, perché la ragione ha questi limiti.
Trovare una spiegazione alternativa, se non migliore ha per me un valore funzionale, e il meglio, la ricchezza acquisita sta in questa diversificazione.
Comprendere come si costruisca l'essere non ha ovviamente il valore di una verità definitiva, perché posso decostruire ciò della cui costruzione ho preso coscienza, e posso poi ricostruirlo.
Comprendere qualcosa significa proprio questo, possederne le istruzioni di montaggio del giocattolo , per acquisire le quali a volte, avendone perso memoria, occorre smontarlo.
La piena comprensione del pensiero altrui ad esempio là si ottiene quando per vie indipendenti lo si riesce a riprodurre uguale.
La ragione serve, ma serve anche un processo di immedesimazione.
Ciò che si condivide dunque non e una verità, ma un possibile percorso comune, che da' agli uomini una coerenza che chiamiamo umanità.
Si può scegliere se le cose abbiano una esistenza in se', o se vengano definite da un percorso .
Una cosa non è più vera dell'altra, ma abbracciare una cosa o l'altra non è indifferente e non è vietato abbracciarle a turno entrambe. Per interagire con la realtà è richiesta una coerenza, che può essere anche parziale, limitata a un tempo definito , nell'arco del quale viga una immutabile verità .
A me pare che questo di fatto noi facciamo, laddove se la cita richiede coerenza, noi ne vivamo tante, e in virtù di ciò siamo in grado di immedesimarci nella vita degli altri, perché quell'altro noi siamo stati, o possiamo provare ad essere.
Il noi che Bobmax vorrebbe spiegare come cosa in se', contiene , come disse il poeta, moltitudini.
Citazione di: daniele22 il 24 Gennaio 2022, 11:13:23 AM
Prendo spunto dal primo enunciato di bobmax e lo modfico a mio piacimento, soprattutto perchè non so se a bobmax sia nota una definibile sostanza del sostantivo.
Dico pertanto: se non esiste la cosa in se', o la cosa "per noi" dato che Ipazia ha corretto giustamente tale definizione di "cosa in sè", allora ha senz'altro ragione bobmax nel dire che esiste solo il nulla. Ma "tra la cosa in se" e la "cosa per noi" sussiste un differenza fondamentale che fa divenire l'enunciato di bobmax quello che enuncio io: se non esiste "la cosa per noi" allora esiste solo il morto.
Non vi è alcuna differenza tra "l'esistenza della cosa in sé" e "l'esistenza della cosa per me" (non è mai un per noi ma sempre un per me).
Perché l'esistere è sempre e solo per il soggetto: me stesso.
Ciò premesso, condivido pienamente:
Citazione
se non esiste "la cosa per noi" allora esiste solo il morto.
Questa osservazione è cruciale!
Esiste solo il morto.
Ma adesso, che si rivela morto, ossia vuoto meccanismo... vi è comunque amore oppure no?
Amo questo morto, che è sempre stato morto, oppure rinnego il mio amore perché era stato solo il frutto di una illusione?
E l'amore che ricevevo dal morto era anch'esso illusione?
Ma davvero ho bisogno del vivo per amare ed essere amato?
Non è invece il vivo solo una opportunità offertami per favorire questo amore, ma in sostanza inessenziale?
Davvero ho bisogno di qualcosa di concreto per amare ed essere amato?
@ Bobmax.
Se l'amore è sintonia si può provare anche per qualcosa di inanimato, ma mancherebbe di reciprocità.
Citazione di: iano il 24 Gennaio 2022, 14:03:12 PM
@ Bobmax.
Se l'amore è sintonia si può provare anche per qualcosa di inanimato, ma mancherebbe di reciprocità.
Non penso sia sintonia.
E certamente non vi è reciprocità.
Infatti non è uno scambio, non vi è rapporto. Anche se si dice "rapporto d'amore", il rapporto in sé non è amore.
L'amore è annullamento.
Vi è solo l'amato.
E a ben guardare... non vi è neppure l'amato!
Vi è solo Amore.
@freedom
Grazie della risposta Freedom, condivido i tuoi pensieri ma non la tua definizione di Verità assoluta.
Io penso che noi siamo l'insieme indissolubile di due entità che a volte si contrappongono: una razionale e l'altra emotivo/sentimentale.
Con la ragione potremo riuscire a capire (in senso logico) come funzionano le cose ed il perchè funzionale; solo con il sentimento e l'immaginazione potremo capire (in senso intimo ) il perchè esistenziale.
Faccio un esempio: se avvertiamo un dolore possiamo conoscerne gli effetti e capirne le cause, ma non capire perchè il dolore esista.
Mi rendo conto che anch'io non ho una definizione della verità assoluta come di qualunque altro concetto assoluto e mi arrendo, contentandomi di credere nelle mie opinioni contagiate da tutti gli input esterni e costantemente da rivalutare.
La Filosofia ritengo che potrebbe tentare di dare una risposta, ma solo abbandonando la dialettica.
La cosa è "per noi" perchè attraverso il linguaggio, ovvero una coscienza comune e trasversale, la cosa acquista significato ed è comunicabile. L'acquisizione della realtà del cucciolo umano va di pari passo con la lingua che la nomina. E dopo averla nominata la indaga, studia e ne determina i limiti (determinatio est negatio). Il fondamento dell'universo antropologico è il logos, come posto dall'evangelista Giovanni, correggendo la sua impostazione che estende oltre la dimensione antropologica il concetto.
Se le risposte della scienza non dicono nulla alle domande della nostra vita (LW) è altrettanto vero che le domande della nostra vita non dicono nulla alle risposte che sono oggetto della ricerca delle scienze naturali. Il dualismo uomo/natura va rispettato nella rispettiva autonomia se non si vogliono fare pasticci metafisici.
L'etica è tutta all'interno dell'universo antropologico e non procede di padre in figlio ma nel superamento delle prerogative del padre. La civiltà è storia di parricidi, nel corpo e nello spirito. Quindi direi che l'obiezione di viator è infondata. Ogni stadio evolutivo deve ristrutturare le proprie coordinate etiche sulla base della realtà del momento, con pietre d'inciampo antichissime, antiche e nuove. Con questioni già risolte, almeno nella teoria delle buone pratiche etiche, e questioni inedite da sbrogliare.
Citazione di: Mariano il 24 Gennaio 2022, 16:02:53 PM
Con la ragione potremo riuscire a capire (in senso logico) come funzionano le cose ed il perchè funzionale; solo con il sentimento e l'immaginazione potremo capire (in senso intimo ) il perchè esistenziale.
Faccio un esempio: se avvertiamo un dolore possiamo conoscerne gli effetti e capirne le cause, ma non capire perchè il dolore esista.
Prima o poi, ragione e sentimento, devono accordarsi. Se si tende al raggiungimento di un insieme armonioso. E dentro ognuno di noi c'è un desiderio di armonia, di felicità, inestinguibile. Il fatto che sia così difficile da raggiungere non ne inficia la presenza.
Il dolore che hai citato, è uno dei più grandi misteri della nostra vita. Forse il più grande dopo quello della morte. Ed il capire perché esista è subordinato al comprendere i grandi perché e percome dell'esistenza.
Mi rendo conto che l'impresa è ardua, forse impossibile, ma senza patemi, ansie e quant'altro, a me pare che valga la pena di essere tentata. Poi, per carità, nella libertà ognuno fa quello che vuole. Resta comunque per me difficile capire perché parlare d'altro se il tema è questo. Parlarne o non parlarne. Queste le scelte possibili.
Salve Mariano. Citandoti : "Mi rendo conto che anch'io non ho una definizione della verità assoluta come di qualunque altro concetto assoluto e mi arrendo".
Bravo. Esercizio di umiltà l'arrendersi, soprattutto davanti al fatto che L'Assoluto è sostantivo e concetto (astratto) rigorosamente singolo, privo di rumorose e variopinte compagnie quali la Verità, la Certezza, le Virtù e via con decine di migliaia di altri sostantivi che i sempliciotti vorrebbero accompagnati dall'aggettivo inesistente ("assoluto"......).
Di verità relative è ovviamente pieno il mondo, ma chi ha aperto questa "discussione" ovviamente non vuole rendersene conto. Coloro che credono in qualcosa di assoluto che possa coinvolgere la condizione umana sono solamente quelli che credono in un qualche Dio, della cui assolutezza vorrebbero assolutamente partecipare. Altrimenti, Dio, che ci avrebbe creati a fare ??. Saluti.
Citazione di: Mariano il 24 Gennaio 2022, 16:02:53 PM
@freedom
Grazie della risposta Freedom, condivido i tuoi pensieri ma non la tua definizione di Verità assoluta.
Io penso che noi siamo l'insieme indissolubile di due entità che a volte si contrappongono: una razionale e l'altra emotivo/sentimentale.
Con la ragione potremo riuscire a capire (in senso logico) come funzionano le cose ed il perchè funzionale; solo con il sentimento e l'immaginazione potremo capire (in senso intimo ) il perchè esistenziale.
Faccio un esempio: se avvertiamo un dolore possiamo conoscerne gli effetti e capirne le cause, ma non capire perchè il dolore esista.
Mi rendo conto che anch'io non ho una definizione della verità assoluta come di qualunque altro concetto assoluto e mi arrendo, contentandomi di credere nelle mie opinioni contagiate da tutti gli input esterni e costantemente da rivalutare.
La Filosofia ritengo che potrebbe tentare di dare una risposta, ma solo abbandonando la dialettica.
Evidentemente nin basta conoscere cause ed effetti, ma bisogna anche prenderli fattivamente in considerazione, e quanto seriamente dobbiamo farlo , senza limitarci alla loro pura contemplazione, ciò a cui serve secondo alcuni la verità, c'è lo indica la scala del dolore, che immagino quindi si possa evitare in parte, ponendovi innanzi la nostra preventiva considerazione.
Citazione di: viator il 24 Gennaio 2022, 17:51:30 PM
Salve Mariano. Citandoti : "Mi rendo conto che anch'io non ho una definizione della verità assoluta come di qualunque altro concetto assoluto e mi arrendo".
Bravo. Esercizio di umiltà l'arrendersi, soprattutto davanti al fatto che L'Assoluto è sostantivo e concetto (astratto) rigorosamente singolo, privo di rumorose e variopinte compagnie quali la Verità, la Certezza, le Virtù e via con decine di migliaia di altri sostantivi che i sempliciotti vorrebbero accompagnati dall'aggettivo inesistente ("assoluto"......).
Di verità relative è ovviamente pieno il mondo, ma chi ha aperto questa "discussione" ovviamente non vuole rendersene conto. Coloro che credono in qualcosa di assoluto che possa coinvolgere la condizione umana sono solamente quelli che credono in un qualche Dio, della cui assolutezza vorrebbero assolutamente partecipare. Altrimenti, Dio, che ci avrebbe creati a fare ??. Saluti.
Giusto, ma io aggiungerei che la fede stessa nella verità è un atto di creazione perché non ha conseguenze indifferenti sulla realtà. In un certo senso mi pare che la fede in qualcosa, abbracciata, o comunque posseduta senza saperlo,
sia indispensabile ad un agire che possa dirsi sufficientemente coerente da essere rilevato come tale.
Quello che non va' bene è l'attributo di eternità, come se eterna fosse una azione basata sulla verità, eticamente giusta,, come l'eterno stare in paradiso, a fare sempre la stessa cosa, cioè nulla, contemplando l'eterna verità.
Non ho difficoltà ad ammettere che vi siano verità, ma non fuori di me, e non eterne, ma che si possono cambiare.
Se tutti in vario modo parliamo di verità, in qualche misura essa agisce dentro ognuno di noi, ma meglio sarebbe sempre , come ben dici, condire il tutto con un poco di umiltà.
Io sono ben consapevole che in me agiscono delle illusioni funzionali, ma nella misura in cui ne sono cosciente evito di elevarle a sistema universale, e nella misura in cui consapevole non sono esercito la buona abitudine del dubbio, ma anche questo senza esagerare.
Perché se la verità è potenzialmente funzionale all'azione il dubbio è il suo freno,e bisogna quindi dosare bene le due cose, secondo come i saggi o l'esperienza ci insegnano.
Paradossalmente , se la verità assoluta si potesse conoscere, per poterla ottenere , siccome ci tocca procedere per errori, però gli è che possiamo procedere solo possedendo gia' una verità , perché senza possedere l'illusione di una verità non porteremmo avanti alcuna azione, che possa dirsi tale, se non a conseguenza appunto del possedere quella verità.
Noi possiamo continuare a ben agire in effetti seconda una data verità, anche quando a posteriori abbiamo compreso che le nostre azioni non erano basate su una verità assoluta, essendo stata confutata .
Possiamo quindi continuare ad agire se lo riteniamo utile anche solo fingendo la verità.
Ma a qualche verità, assoluta, consapevolmente abbracciata o inconsaoevolemente subita, e perfino finta, ci bobbiamo aggrappare.
Così possiamo ancora agire secondo la legge di gravità di Newton fingendo ancora di porre come vere le sue premesse, che però Einstein ha confutato.
La vera genialità di Newton secondo me è stata nel porre alla sua teoria ipotesi che dimostravano di funzionare, ma a cui lui stesso non credeva.
Citazione di: iano il 24 Gennaio 2022, 18:25:02 PM
Possiamo quindi continuare ad agire se lo riteniamo utile anche solo fingendo la verità.
Ma a qualche verità, assoluta, consapevolmente abbracciata o inconsaoevolemente subita, e perfino finta, ci bobbiamo aggrappare.
Soprattutto ci dobbiamo aggrappare alla verità vera quando ci sporgiamo nel vuoto per cercare di falsificare la legge di gravità...
CitazioneCosì possiamo ancora agire secondo la legge di gravità di Newton fingendo ancora di porre come vere le sue premesse, che però Einstein ha confutato.
La vera genialità di Newton secondo me è stata nel porre alla sua teoria ipotesi che dimostravano di funzionare, ma a cui lui stesso non credeva.
... o i meriti di Newton e della sua
teoria della gravitazione universale ripristinando la verità storica e scientifica in una discussione sulla verità da ritrovare, piuttosto che no.
Quando si pensa alla scienza come potenziale portatrice di verità, in quanto basata sui fatti, sembra che questa verità possa essere assoluta se assoluti sono i fatti, ma tralasciando anche il fatto che essi siano relativi all'osservatore uomo, e ai fini della verità assoluta non cambia nulla se possiamo ascriverli all'unanimità, perché condivisibili dagli uomini grazie allo loro ripetitività, i fatti però non saranno mai assoluti, perché non saranno mai completati.
Ci si può anche illudere che all'aumentare dei fatti progrediamo verso la verità, ma in tal caso l'assolutezza della verità cui tendiamo, per quanto non raggiungibile, non avendo fine i farri, si baserebbe comunque sulla fede di un processo al limite, per cui l'assolutezza cercata della verità è sempre già' posta innanzi, a dimostrazione del fatto che porla sia indispensabile all'azione, la quale azione se potessimo davvero portarla al limite, nin potrebbe dimostrare altro che ciò da cui siamo partiti.
L'unica spinta alla ricerca della verità è il non sapere di possederla già, perché non si potrebbe procedere senza averla prima posta.
Permettetemi adesso una chiusura, poetica, se va' bene.
In tutte le nostre diverse filosofie troviamo una difficoltà comune che risiede nel definire l'osservatore, chi noi siamo.
Potremmo definirci come parte della realtà che con essa collide , perché siamo quella parte ribelle della realtà che suppone di essere la realtà intera, comprendendola,e noi esistiamo in virtù di questa finzione che chiamiamo verità, se queste verità mostrano solo di essere un modo di sbatterci nella realtà, e in questo sbattimento, quando ne usciamo vivi, progrediamo.
Ciao Viator, tu scrivi
... o i meriti di Newton e della sua
teoria della gravitazione universale ripristinando la verità storica e scientifica in una discussione sulla verità da ritrovare, piuttosto che no.
++++++++++++++
Puoi spiegare meglio. Non mi è chiaro.
Leggendo il linkato tutto diventa molto chiaro e la verità ne trae giovamento:
Newton non ha premesso nulla (hypotheses non fingo) alla sua legge di gravitazione universale. Egli l'ha solo calcolata e ne ha tratto una formula.
Einstein si è spinto più in là nei calcoli ed ha pure modellato delle premesse, ma non ha falsificato nulla dell'intuizione originaria di Newton sull'attrazione delle masse in rapporto inverso al quadrato delle distanze. La novità einsteiniana è che le elevate velocità dei corpi celesti modificano l'attrazione gravitazionale. Tale correzione relativistica si è resa necessaria per calcolare i voli interplanetari.
Ciao Ipazia.
Questo hypptheses non fingo tu lo richiamo spesso, è forse io non l'ho capito essenzialmente , tanto che ti chiedo aiuto provando tu a spiegarlo in parole tue.
Sono sincero. La mia non è una provocazione.
In effetti credo di nin capire perché non mi è chiaro quale valore Newton desse alle ipotesi, se quello della evidenza alla,maniera di Euclide, o in senso rivolto già al moderno, per come oggi lo intendiamo.
Però ho letto da più parti che l'esistenza di uno spazio e di un tempo assoluti non convincessero lo stesso Newton, che però li ha assunti non trovando di meglio da porre a premessa.
Resto quindi confuso sull'interpretazione da dare.
Cosa era una ipotesi per Newton in particolare?
Interpretando alla lettera, Newton affermava che non fingesse ipotesi immagino perché fosse uso del tempo fingerle. Quindi egli affermava l'evidenza delle sue ipotesi allo stesso modo che lo intendeva Euclide, partendo da ovvie evidenze? Davvero no mi è chiaro.
Ma se così è questo sembra essere in contraddizione con quello che leggo ovunque, che Newton rivoluzionò il modo comune di vedere il mondo al suo tempo, modo che perdura e che noi abbiamo ereditato, e manteniamo nonostante Einstein lo abbia confutato, come Viator ci testimonia invitandoci a buttarci nei burroni.
Così Viator, che crede appunto io metta in dubbio la legge di gravità, mi invita carinamente a sporgermi da un burrone per dimostrare la mia convinzione,, trascurando il fatto che anche la relatività di Einstein sconsiglia di farlo, mentre io noto solo che la legge ammette diverse formulazioni, e che perciò non ve ne è una vera, ma una più o meno opportuna in base al contesto di applicazione.
E che quindi nessuna formulazione in particolare è vera, aiutandoci tutte a non cadere nei burroni.
Mi pare però di vedere nelle sue diverse formulazioni, un assunto comune, che le masse permangono nel loro moto "naturale" finché qualcosa non lo venga a turbare.
Ma nella formulazione di Newton questo moto è rettilineo e uniforme, mentre in quello di Newton è già accelerato per causa di nessuna forza di gravità , perché lo spazio di Einstein non contiene le masse, ma sono le masse a generarlo, e il movimento delle masse si spiega col fatto che si limitano a percorrerlo, secondo sempre il moto naturale, ma la cui natura dipende però dalla definizione di spazio, finché qualcosa non viene a turbarlo.
Per Newton l'azione è dovuta alla comparsa di una massa nello spazio di riferimento, che viene a turbare il quadro spaziale ma non lo spazio,, per Einsten alla modifica dello spazio stesso .
Cambiando così le ipotesi sullo spazio sparisce la gravità come causa, ma non il fatto che non è prudente sporgersi dai burroni. Quello che non sparisce è l'esigenza di supporre uno spazio , ma quello spazio non è reale in virtù di quante cose spiega sul moto, e come. A noi basta non cadere nei burroni, e cose simili.
Per quale motivo un tal moto , o al limite la sua mancanza, dovrebbe dirsi come naturale, se non tradendo la natura dello spazio in cui avviene?
Ma se ci si riflette il moto rettilineo uniforme non esiste in assoluto , se non considerando un percorso limitato, finché si mantiene sufficientemente lontano da ogni massa, il che', anche quando avviene non avviene necessariamente per sempre, come invece prima di Newton sembrava invece esser naturale, che qualunque corpo cessando la causa che lo muove si fermi. Lo spazio come gli uomini lo immaginavano prima di Newton forse non riusciremo noi mai a immaginare, ma si tratta di uno spazio che non ammette il moto stesso come cosa naturale, tanto che appena cessa la causa che lo genera , il moto si ferma, perché il non movimento è per quello spazio la condizione naturale.
Noi abbiamo preso confidenza con lo spazio di Newton, e ancora la manteniamo, perché della relatività poco abbiamo capito, ma sarebbe un errore credere che gli uomini prima di Newton "vedessero" il nostro stesso spazio Newtoniano.
Newton ha rivoluzionato la nostra visione del mondo, non perché ci spiega le cause del moto, ma perché ci dice che si , si può spiegare il moto, e ci dice come fare, ma partendo dalla constatazione rivoluzionaria che ci sono moti naturali che non vanno spiegati.
Questa è la vera rivoluzione concettuale che Einstein eredità pari pari, legando però meglio la natura del moto che non va' spiegato allo spazio di riferimento ipotizzato, dandocene un esempio alternativo , al di la' delle sue intenzioni, che erano certamente più realistiche, e forse perciò anche più castigate, rispetto alla libertà di pensiero che a Newton consentiva la pratica alchimista al confine fra scienza e magia.
In altri termini entrambi ci dicono che l'idea di moto non è indipendente dall'idea di spazio, e perciò per spiegare il moto Newton si vede costretto ad ipotizzare uno spazio, ma facendo di necessità virtù, non essendo pienamente soddisfatto delle ipotesi di spazio trovate.
Citazione di: iano il 24 Gennaio 2022, 20:35:32 PM
Ciao Ipazia.
Questo hypptheses non fingo tu lo richiamo spesso, è forse io non l'ho capito essenzialmente , tanto che ti chiedo aiuto provando tu a spiegarlo in parole tue.
Sono sincero. La mia non è una provocazione.
In effetti credo di nin capire perché non mi è chiaro quale valore Newton desse alle ipotesi, se quello della evidenza alla,maniera di Euclide, o in senso rivolto già al moderno, per come oggi lo intendiamo.
Però ho letto da più parti che l'esistenza di uno spazio e di un tempo assoluti non convincessero lo stesso Newton, che però li ha assunti non trovando di meglio da porre a premessa.
Resto quindi confuso sull'interpretazione da dare.
Cosa era una ipotesi per Newton in particolare?
La cosa è molto più semplice. Newton scoprì che le masse si attraggono ma non sapeva perché e non finse ipotesi a tal riguardo. Malgrado Einstein, la forza di attrazione gravitazionale resta ancora alquanto misteriosa nelle sue cause. Molto meno esplicabile di altre forze come l'elettromagnetismo, le forze di legame molecolari e atomiche, e l'energia radiante.
Citazione di: Ipazia il 24 Gennaio 2022, 22:48:46 PM
Citazione di: iano il 24 Gennaio 2022, 20:35:32 PM
Ciao Ipazia.
Questo hypptheses non fingo tu lo richiamo spesso, è forse io non l'ho capito essenzialmente , tanto che ti chiedo aiuto provando tu a spiegarlo in parole tue.
Sono sincero. La mia non è una provocazione.
In effetti credo di nin capire perché non mi è chiaro quale valore Newton desse alle ipotesi, se quello della evidenza alla,maniera di Euclide, o in senso rivolto già al moderno, per come oggi lo intendiamo.
Però ho letto da più parti che l'esistenza di uno spazio e di un tempo assoluti non convincessero lo stesso Newton, che però li ha assunti non trovando di meglio da porre a premessa.
Resto quindi confuso sull'interpretazione da dare.
Cosa era una ipotesi per Newton in particolare?
La cosa è molto più semplice. Newton scopri che le masse si attraggono ma non sapeva perché e non finse ipotesi a tal riguardo. Malgrado Einstein, la forza di attrazione gravitazionale resta ancora alquanto misteriosa nelle sue cause. Molto meno esplicabile di altre forze come l'elettromagnetismo, le forze di legame molecolari e atomiche, e l'energia radiante.
Si , hai completamente ragione. Mi cospargo il capo di cenere, perché conoscevo la risposta, ma l'avevo dimenticata.
Ma, per non dirmi perciò del tutto rimbambito, considerò questa dimenticanza significativa.
Cosa era completamente sparito dalla mia considerazione?
L'ulteriore rivoluzione introdotta da Newton, che per noi uomini di oggi appare quasi così ovvia, da non starla più a considerare, che siano possibili azioni non locali.
Per chi non comprendesse cosa significhi azione locale, diciamo che prima si ammettevano solo azioni locali, dovute cioè a contatto . Per salvare le ipotesi delle azioni locali si era ipotizzato l'etere, come mediatore locale della forza, dimostratosi poi infondato.
Solo l'elettromagnetismo era riuscito fino a un certo punto a sostenerne la realtà, ma tramutandolo in altro, in un campo di forse.
Questa ipotesi , dell'azione non locale, ai tempi di Newton era comunque considerata pura follia,,e chi se non un alchimista di lunga data come Newton poteva formularla, grazie all'esercizio di un pensiero in piena libertà.
Grazie cara Ipazia per avermelo ricordato.
Ma evidentemente più ci immergiamo dentro nuovi mondi, e quello di Newton se non proprio nuovo è però ancora attuale , più perdiamo memoria di quelli che lo hanno preceduto, tanto che facciamo fatica a immaginare i mondi passati, non meno di quelli che si vanno a profilare,,certi che anche il nostro attuale farà la stessa fine, confortati da una unica certezza , che indipendentemente dai mondi in cui vivremo, continueremo a non buttarci giù dai burroni.😁
Ma certo che a breve rischio di dimenticare di nuovo la questione, e non avrò più il coraggio di chiedere ad Ipazia una spiegazione, proviamo a fissarla bene, provando a immaginare un dialogo fra Newton e un suo tizio contemporaneo.
T. Ma dici sul serio, lo credi davvero che siano possibili azioni non locali, non dovute cioè al solo contatto, o lo poni solo come ipotesi, fingendo volutamente come vero cio' che vero non può essere?
N. Non fingo ipotesi, ma affermo il vero.
T. Tu affermi una verità contraria a quella che ogni altro è disposto a testimoniare.
Vale solo per la tua verità.E' solo una tua opinione.
Ma, se pure le cose siano andate così , è da credere che Newton fingesse di non fingere, a meno che non fosse egli un fungo nato nella notte.
Ma ormai avremmo dovuto capirlo che la vera genialità consiste nell'andare oltre le proprie pur intime convinzioni, e Newton non poteva non patire dalla convinzione che fossero possibili solo azioni locali.
Come sempre avviene nella scienza cio' che fa' cambiare idea è la considerazione di fatti nuovi e/o la miglior considerazione dei fatti passati, non ostando a ciò le proprie convinzioni.
Certamente quella di Newton era una personalità eclettica e complessa.
Egli effettivamente si è posto sulle spalle dei giganti, ammettendolo, ma non lo avrebbe mai ammesso se non per concedere a Hooke i diritti di precedenza intellettuale che esso reclamava con insistenza.
Quindi ammise ad Hooke che egli era ben salito sulle spalle dei giganti per giungere ai suoi risultati, ma lo disse solo perché Hooke , pur essendo intellettualmente un gigante riconosciuto dei suoi tempi, fisicamente però era un nano.
Davvero un bel tipo, nevvero? 😂
Devo infine correggere un refuso, che potrebbe configurarsi però come un lapsus froidiano, avendo scritto al posto di campo di forze, campo di forse, affermando senza volere la scienza come la disciplina che si esercita nel campo del dubbio. Nel campo dei forse.😇
Altro che verità, la quale può affermarsi solo senza finzione. Adesso ho capito.
Citazione di: bobmax il 24 Gennaio 2022, 13:43:29 PM
Citazione di: daniele22 il 24 Gennaio 2022, 11:13:23 AM
.... Dico pertanto: se non esiste la cosa in se', o la cosa "per noi" dato che Ipazia ha corretto giustamente tale definizione di "cosa in sè", allora ha senz'altro ragione bobmax nel dire che esiste solo il nulla. Ma "tra la cosa in se" e la "cosa per noi" sussiste un differenza fondamentale che fa divenire l'enunciato di bobmax quello che enuncio io: se non esiste "la cosa per noi" allora esiste solo il morto.
Non vi è alcuna differenza tra "l'esistenza della cosa in sé" e "l'esistenza della cosa per me" (non è mai un per noi ma sempre un per me).
Perché l'esistere è sempre e solo per il soggetto: me stesso.
Ciò premesso, condivido pienamente:
Citazione
se non esiste "la cosa per noi" allora esiste solo il morto.
Questa osservazione è cruciale!
Esiste solo il morto.
Ma adesso, che si rivela morto, ossia vuoto meccanismo... vi è comunque amore oppure no?
No bobmax, la "cosa per me" è diversa dalla "cosa per noi", giacché l'essere umano sembra vivere sin dalla notte dei tempi in gruppo, e questo ha un peso. Chiaro che la "cosa per me" pesa di più della "cosa per noi".
Anche da morti, cioè nel nostro stato attuale, l'amore c'è sempre, così come l'odio, e si tratta di roba autentica, non falsa. Per cogliere il valore dell'amore falso, bisognerebbe rispondere alla domanda in un certo senso buddhista sulla diversità tra "amore" e "attaccamento all'amore".
Ho guardato un attimo Nietzche e Gesù. Mi è parso di aver capito che Gesù non fosse proprio il modello del superuomo anche se ne sarebbe stato un annunciatore. Confermo ancora la mia opinione che Gesù corrisponda al cento per cento ad un modello di superuomo, col suo carattere naturalmente. E anche buddha penso lo sia stato.
Il momento è cruciale.
Grazie ad Ipazia siamo giunti finalmente davanti alla porta che genera le nostre divergenze sulla visione della realtà.
O si abbatte l'ostacolo, oppure bisogna rassegnarsi a ciò che sostiene fino ad oggi la filosofia che per simpatìa (fino ad un certo punto) associo all'onesta intellettuale di Ipazia e alla sua competenza.
L'informazione fornitaci da lei sul suggerimento di LW è fondamentale e ci dice in modo sottinteso che a formare le nostre idee sia l'azione e non le cose.
Riporto quindi l'attenzione su quello che sostengo sulla natura del sostantivo pretendendo che nella sua cristallizzazione (fermezza dell'immagine) contenga invece (come informazione) la sua natura diveniente.
Questa dunque è la mia ipotesi. Confermandola il gioco è fatto e la strada che conduce alla realtà diveniente è tutta in discesa, negandola mi ritengo sconfitto e mi adeguo alla conoscenza filosofica vigente.
Noi chi?
Noi in quanto umanità?
E perché non noi in quanto mammiferi, o animali, o cose...?
Non vi è alcun noi, che non debba necessariamente espandersi sino ad abbracciare il Tutto.
E allora, la cosa per il Tutto?
Posso solo ritornare a me stesso.
La cosa in sé coincide con la cosa per me.
Citazione di: bobmax il 25 Gennaio 2022, 09:16:10 AM
Noi chi?
Tu bobmax naturalmente. Tu in relazione a qualcosa. Nel caso specifico all'essere umano, dato che di fatto produci post in questo forum
Citazione di: daniele22 il 25 Gennaio 2022, 10:01:07 AM
Citazione di: bobmax il 25 Gennaio 2022, 09:16:10 AM
Noi chi?
Tu bobmax naturalmente. Tu in relazione a qualcosa. Nel caso specifico all'essere umano, dato che di fatto produci post in questo forum
Bene, quindi io.
La cosa in sé è per me.
E la cosa in sé coincide con la cosa per me.
Non vi è alcuna differenza.
Citazione di: bobmax il 25 Gennaio 2022, 11:30:36 AM
Citazione di: daniele22 il 25 Gennaio 2022, 10:01:07 AM
Citazione di: bobmax il 25 Gennaio 2022, 09:16:10 AM
Noi chi?
Tu bobmax naturalmente. Tu in relazione a qualcosa. Nel caso specifico all'essere umano, dato che di fatto produci post in questo forum
Bene, quindi io.
La cosa in sé è per me.
E la cosa in sé coincide con la cosa per me.
Non vi è alcuna differenza.
Certo bobmax, non v'è alcuna differenza. C'è sempre qualcuno che sta fuori dal gruppo. A livello etico/morale l'unica cosa che mi imporrei trovandomi in questa condizione sarebbe quella di non entrare a far parte in pianta stabile di una banda. Però non lo sai se questo possa o no accadere, l'attimo è sempre in agguato, dipende da te e da cosa devi sacrificare per tradire te stesso
Citazione di: daniele22 il 23 Gennaio 2022, 09:01:36 AM
..... Se è così passiamo al punto in cui chiedo quale sia il livello di realtà di un sostantivo. Tu mi rispondi la semantica, immagino quindi il campo semantico del sostantivo.
Pertanto chiedo: da dove salta fuori il campo semantico di un sostantivo?
Mi verrebbe da dire dal campo semantico della cosa a cui si riferisce, cioè dall'uso che noi possiamo fare di quella cosa, o anche l'uso che può fare la cosa su di noi tipo quello che può far di noi un tornado.
Dunque, se il sostantivo fosse (e qui mi troverei già nel campo dell'artificio, oppure no?) una cristallizzazione della realtà della cosa, realtà datale dal noi poterla manipolare, non sarebbe già in origine nel sostantivo l'espressione del divenire della cosa a cui si riferisce? Come possiamo quindi negare l'esistenza di una "cosa per noi" e conferirla invece ad un fatto che si compone di "cose per noi" in movimento?
Immagino che possa accadere per il fatto che noi pensiamo che le espressioni della lingua possiedano una coincidenza con la realtà, mentre per me ne costituiscono solo una mappa. E qui di sicuro vi è un riferimento a Nietzche, ma io non conosco il suo pensiero
Volevo fare una correzione importante sul post di due giorni fa dovuta a distrazione.
Da un punto di vista ontologico (?), come possiamo quindi negare prima la "cosa in se" conferendola invece alla "cosa per noi", o fatto? Immagino che sia etc. etc
Citazione di: Ipazia il 24 Gennaio 2022, 20:09:38 PM
Leggendo il linkato tutto diventa molto chiaro e la verità ne trae giovamento:
Newton non ha premesso nulla (hypotheses non fingo) alla sua legge di gravitazione universale. Egli l'ha solo calcolata e ne ha tratto una formula.
Einstein si è spinto più in là nei calcoli ed ha pure modellato delle premesse, ma non ha falsificato nulla dell'intuizione originaria di Newton sull'attrazione delle masse in rapporto inverso al quadrato delle distanze. La novità einsteiniana è che le elevate velocità dei corpi celesti modificano l'attrazione gravitazionale. Tale correzione relativistica si è resa necessaria per calcolare i voli interplanetari.
Una piccola digressione sulla relativita' generale.
La faccio perche' ho visto che l'argomento e' uscito fuori spesso qui, e vorrei che ognuno si facesse un'idea di come radicalmente cambiano le teorie scientifiche e di conseguenza la visione del mondo che ne risulta, e di come, anche se queste varie differenti teorie possono sembrare conciliabili in un unico progresso scientifico quantitativo, in cui la conoscenza semplicemente si accumula, o al limite anche in uno più qualitativo e implicante "rotture nette" di continuita', ma comunque sempre lineare, in cui il nuovo, una volta posto e definito, contiene e approfondisce il vecchio, in realta' spesso non lo sono affatto, intendo non sono davvero teorie conciliabili o riassumibili l'una nell'altra, e si deve preferire qualche teoria che abbia migliore praticita' o migliore concordanza con la realta', a scapito di altre, e non e' neanche detto che praticita' e concordanza con la realta' vadano insieme: alcune teorie possono essere migliori per un aspetto, e altre per l'altro.
Nella relativita' generale non c'e' attrazione gravitazionale tra i corpi e la gravita' e' una forza apparente, e soprattutto in essa l'inerzia e' un caso limite della gravita', ovvero l'inerzia e' la gravita' stessa in assenza di curvatura, laddove quindi la processione nella stessa direzione di uno o piu' corpi non implica ne' il ritorno prima o poi nella posizione iniziale di cio' che si muove, come avverrebbe se si muovesse su superficie curva (orbita), ne' un potenziale avvicinamento progressivo o impatto di cio' che si muove con tutti gli altri corpi dovuto semplicemente alla geometrica coincidenza delle varie traiettorie possibili lungo una stessa direzione su di una superficie curva ai poli (caduta libera).
La gravita' appare irresistibile, e l'equivalenza tra quiete e moto rettilineo uniforme logicamente necessaria, perche' muoversi verso il futuro, "infuturarsi", e' gia' un muoversi, nel senso che tale movimento verso il futuro e' indistinguibile, nella necessarieta' fisica delle sue conseguenze, dal muoversi in una direzione qualsiasi in assenza di altri punti di riferimento, e questo sia ai fini dell'avvicinamento ad altri corpi in moto, e ripetizione delle posizioni al completamento di un circolo, che si avrebbe su di una superficie curva, sia ai fini del non avvicinamento ad altri corpi in moto, e non ripetizione delle posizioni, che si avrebbe su una superficie piatta.Quindi Einstein non finge ipotesi per la forza di gravita' ma fa' di meglio: dimostra che la gravita' non e' una forza, ma una caratteristica topologica dello spaziotempo che influenza le traiettorie e le loro conseguenze, stante che le traiettorie, in quanto riferite ai corpi, sono sempre in qualche modo necessarie, perche' nello spaziotempo niente e' fermo e tutto va' verso il futuro; una particella qualsiasi e' identica e coincidente alla sua stessa traiettoria, da cui non puo' prescindere perche' essa, quantomeno verso il futuro o, che e' lo stesso, quantomeno verso direzione indeterminata e localmente inosservabile perche' solidale al sistema, sempre si muove, e quindi ogni particella e' descrivibile con una linea, linea che indica, in fondo, nient'altro che l'attualizzarsi di un movimento potenziale nello spazio; i punti, nello spaziotempo, indicano meramente gli eventi, cioe' gli eventuali incroci, e in generale i possibili rapporti, istantaneamente considerati, tra le traiettorie dei corpi.
La difficile conciliabilita' in linea di principio tra le due teorie quindi, sta proprio nel fatto che la gravita' in una e' una forza e nell'altra no, come noi tutti anche nel senso comune, e a parte i terrapiattisti, non tendiamo a dire che e' opera di una forza misteriosa se correndo sulla superficie della terra in una direzione prima o poi torniamo al punto di partenza, o se percorrendo due meridiani diversi a pari velocita' e pari punto di partenza prima o poi andiamo a sbattere nel punto preciso del polo: diciamo che questa e' semplicemente la logica conseguenza della forma della cosa sopra la quale stiamo correndo, e appunto solo i bambini e i terrapiattisti si stupiscono di cio'.
Tutte le osservazioni si accordano con la relativita' generale, e non con la gravitazione di Newton, che ne e' un caso particolare, valido per buona approssimazione a basse velocita' e a basse energie, ed essa non e' attualmente nel museo delle teorie "superate" solo perche' al prezzo di un margine di errore tra osservazione sperimentale e teoria in molti casi (ma non in tutti!) trascurabile, offre ancora una semplicita' di calcolo incomparabilmente migliore di quella propria della relativita'.
Ma e' sempre bene ricordare che, disponendo, in una situazione ideale, di infinita capacita' di calcolo e di infinito tempo per fare i calcoli, tutto quello che si puo' calcolare e prevedete con la gravitazione newtoniana, si potrebbe calcolare e prevedere anche con la relativita' generale, viceversa non tutto quello che si puo' calcolare e prevedete con la relativita' generale, si potrebbe calcolare e prevedere anche con la gravitazione classica, o meglio se ci si provasse, si farebbero degli errori piu' o meno macroscopici dovuti non al fatto che il calcolo sia sbagliato, ma proprio al fatto che la teoria in se', e' sbagliata.
Ad esempio la gravitazione newtoniana non prevede e non calcola la processione esatta del perielio di mercurio, e non perche' qualcuno sbaglia a fare i conti, ma perché mercurio è abbastanza vicino al sole da risentire specificamente di effetti relativistici; il calcolo della processione del perielio fatto con le equazioni newtoniane sarebbe formalmente giusto, ma non si accorderebbe con le osservazioni: la necessita' di ricalcolare con la relativita' generale in questo caso e' epistemica, non tecnica.
Inoltre la gravita' non e' istantanea proprio perche' lo spazio e' il mezzo attraverso cui si propaga la gravita': se il sole scomparise nel nulla, la terra non fuggirebbe dalla sua orbita per i primi otto secondi: letteralmente, per un breve lasso di tempo farebbe come se il sole ancora ci fosse, proprio perche' ci vuole in generale un piu' o meno breve lasso di tempo, affinche' un segnale gravitazionale si propaghi nello spazio; secondo Newton invece, la gravita' e' istantanea, e allo scomparire della palla "sole", la pallina "terra" dovrebbe perdere o cambiare la sua orbita istantaneamente: ora queste possono apparire differenze da poco, ma solo finche' non si capisce l'entita' della posta in gioco e la complessita' delle differenze tra modelli al di la' delle piccole e grandi differenze di previsione, e accordo della previsione con la realta': lo stesso Newton pensava che fosse piu' elegante della sua una possibile futura teoria in cui la gravita' fosse mediata da un mezzo, un mezzo a perturbabilita' cosi' istantanea da non essere mai osservabile, e quindi tale da rendere ragione in modo piu' completo dell'istantaneita' di perturbazione, prevista gia' dalla sua, di teoria; e pensava anche, e a ragione, che i posteri avrebbero trovato tale nuova teoria; quello che non pensava e' che il mezzo di propagazione della gravita' e' lo spazio stesso, e che lo spazio si perturba, guadagna o perde curvatura nel senso che ho descritto prima, alla velocita' della luce, e quindi finanche la gravita', e' quasi-istantanea, ma non e' veramente, istantanea: un mondo dove non esistono interazioni istantanee e' un mondo non dicotomico, in cui esiste sempre il medio tra due estremi.
Possiamo anche ridurre la (ex)forza gravitazionale ad un movimento inerziale di corpi grandi e piccoli lanciati da un aristotelico impetus denominato bigbang. Ma sempre di un modello esplicativo si tratta, che potrebbe non essere del tutto risolutivo vista la difficoltà di conferme sperimentali. Risolverebbe però la questione di una forza misteriosa di attrazione tra le masse, rimuovendola.
Newton diceva il vero con la sua formula, non suffragata da fondamenti causali ma dedotta da calcoli empirici sempre confermati nella meccanica terrestre. E quindi veri. Come da citazione sopra riportata.
Citazione di: Ipazia il 25 Gennaio 2022, 16:01:54 PM
Possiamo anche ridurre la (ex)forza gravitazionale ad un movimento inerziale di corpi grandi e piccoli lanciati da un aristotelico impetus denominato bigbang. Ma sempre di un modello esplicativo si tratta, che potrebbe non essere del tutto risolutivo vista la difficoltà di conferme sperimentali. Risolverebbe però la questione di una forza misteriosa di attrazione tra le masse, rimuovendola.
Newton diceva il vero con la sua formula, non suffragata da fondamenti causali ma dedotta da calcoli empirici sempre confermati nella meccanica terrestre. E quindi veri. Come da citazione sopra riportata.
Il punto è proprio che Newton stesso cercava di superare ogni distinzione
tra meccanica "terrestre"
e
non (la forza che fa cadere dall'albero la mela sulla terra è la stessa che tiene la luna in orbita introno alla terra, ovvero le leggi fisiche sono e devono essere le stesse ovunque), e, a parte pochi apparentemente trascurabili dettagli che non tornavano, pareva esserci perfettamente riuscito.Quindi, se la sua, superata da altre, si riduce oggi ad essere nuovamente una meccanica "terrestre" (e immediate vicinanze della nostra terra tipo cortile di casa) perché ad alte velocità, ad alte energie e in realtà anche ad elevate distanze non vale, a posteriori possiamo dire che qualche problemino ce l'aveva. E ce l'aveva proprio ai fini della ricerca di leggi universali a cui lui stesso "teneva" tanto.In realtà la "forza" che fa cadere la mela sulla terra, è la stessa "forza" che nello spazio interstellare o su una stazione orbitante non la fa cadere e la fa restare ben ferma dove sta, la stessa forza che fa rimangiare la loro stessa luce ai buchi neri, appunto la curvatura dello spaziotempo, per questo non è una forza, perché il suo manifestarsi e il suo non manifestarsi, (che non è semplicemente un manifestarsi sotto soglia di una propagazione infinita digradante nell'infinitesimale, ma, alle giuste condizioni, un vero non-manifestarsi), sono due casi particolari della stessa situazione generale. E solo se la metti così il modello continua a valere ovunque come legge generale invariante delle distanze vicine e lontane. Insomma o descrivi una topica dello spaziotempo, o hai la topica forzata di una teoria che da qualche parte vale e da qualche altra no, e non si sa perché, e con ciò torni alla situazione iniziale che Newton stesso voleva evitare, cioè la situazione in cui la chiesa e Aristotele spiegano le cose veramente importanti riguardo alle nature lontane, celesti e psicologicamente ed eticamente simboliche, e gli scienziati continuano graziosamente a giocare con le palline nei loro laboratori, nella convinzione, al tempo universalmente accettata, che tanto quello che vale per una pallina comunque non sarebbe mai valso per la luna e il sole, e quindi, cosa mai potranno dire, e scoprire, di importante questi scienziati da laboratorio.--------------------------------------------------------------
La teoria della gravità come inerzia di cio' che è "proiettato in giro" dal big bang inteso come "esplosione" personalmente non la conosco e non l'ho mai sentita, se vuoi, Ipazia, spiegala.
Citazione di: niko il 25 Gennaio 2022, 17:57:18 PM
La teoria della gravità come inerzia di cio' che è "proiettato in giro" dal big bang inteso come "esplosione" personalmente non la conosco e non l'ho mai sentita, se vuoi, Ipazia, spiegala.
Se escludiamo l'esistenza di una "forza" di gravità dovuta all'attrazione di n.d.d. tra masse, non resta che ipotizzare dei movimenti inerziali con un impulso iniziale che li ha messi in moto.
Non sono una fisica e non insisterei troppo sulle mie ipotesi, ma mi pareva di aver capito questo dal tuo post.
Newton estese il suo modello, valido nelle condizioni che poteva conoscere con la strumentazione teorica e pratica del suo tempo, all'intero universo, ma non gli si può attribuire la colpa di non aver prodotto la teoria della relatività e il concetto di spaziotempo.
Citazione di: niko il 25 Gennaio 2022, 15:20:53 PM
Citazione di: Ipazia il 24 Gennaio 2022, 20:09:38 PM
Leggendo il linkato tutto diventa molto chiaro e la verità ne trae giovamento:
Newton non ha premesso nulla (hypotheses non fingo) alla sua legge di gravitazione universale. Egli l'ha solo calcolata e ne ha tratto una formula.
Einstein si è spinto più in là nei calcoli ed ha pure modellato delle premesse, ma non ha falsificato nulla dell'intuizione originaria di Newton sull'attrazione delle masse in rapporto inverso al quadrato delle distanze. La novità einsteiniana è che le elevate velocità dei corpi celesti modificano l'attrazione gravitazionale. Tale correzione relativistica si è resa necessaria per calcolare i voli interplanetari.
Una piccola digressione sulla relativita' generale.
La faccio perche' ho visto che l'argomento e' uscito fuori spesso qui, e vorrei che ognuno si facesse un'idea di come radicalmente cambiano le teorie scientifiche e di conseguenza la visione del mondo che ne risulta, e di come, anche se queste varie differenti teorie possono sembrare conciliabili in un unico progresso scientifico quantitativo, in cui la conoscenza semplicemente si accumula, o al limite anche in uno più qualitativo e implicante "rotture nette" di continuita', ma comunque sempre lineare, in cui il nuovo, una volta posto e definito, contiene e approfondisce il vecchio, in realta' spesso non lo sono affatto, intendo non sono davvero teorie conciliabili o riassumibili l'una nell'altra, e si deve preferire qualche teoria che abbia migliore praticita' o migliore concordanza con la realta', a scapito di altre, e non e' neanche detto che praticita' e concordanza con la realta' vadano insieme: alcune teorie possono essere migliori per un aspetto, e altre per l'altro.
Nella relativita' generale non c'e' attrazione gravitazionale tra i corpi e la gravita' e' una forza apparente, e soprattutto in essa l'inerzia e' un caso limite della gravita', ovvero l'inerzia e' la gravita' stessa in assenza di curvatura, laddove quindi la processione nella stessa direzione di uno o piu' corpi non implica ne' il ritorno prima o poi nella posizione iniziale di cio' che si muove, come avverrebbe se si muovesse su superficie curva (orbita), ne' un potenziale avvicinamento progressivo o impatto di cio' che si muove con tutti gli altri corpi dovuto semplicemente alla geometrica coincidenza delle varie traiettorie possibili lungo una stessa direzione su di una superficie curva ai poli (caduta libera).
La gravita' appare irresistibile, e l'equivalenza tra quiete e moto rettilineo uniforme logicamente necessaria, perche' muoversi verso il futuro, "infuturarsi", e' gia' un muoversi, nel senso che tale movimento verso il futuro e' indistinguibile, nella necessarieta' fisica delle sue conseguenze, dal muoversi in una direzione qualsiasi in assenza di altri punti di riferimento, e questo sia ai fini dell'avvicinamento ad altri corpi in moto, e ripetizione delle posizioni al completamento di un circolo, che si avrebbe su di una superficie curva, sia ai fini del non avvicinamento ad altri corpi in moto, e non ripetizione delle posizioni, che si avrebbe su una superficie piatta.
Quindi Einstein non finge ipotesi per la forza di gravita' ma fa' di meglio: dimostra che la gravita' non e' una forza, ma una caratteristica topologica dello spaziotempo che influenza le traiettorie e le loro conseguenze, stante che le traiettorie, in quanto riferite ai corpi, sono sempre in qualche modo necessarie, perche' nello spaziotempo niente e' fermo e tutto va' verso il futuro; una particella qualsiasi e' identica e coincidente alla sua stessa traiettoria, da cui non puo' prescindere perche' essa, quantomeno verso il futuro o, che e' lo stesso, quantomeno verso direzione indeterminata e localmente inosservabile perche' solidale al sistema, sempre si muove, e quindi ogni particella e' descrivibile con una linea, linea che indica, in fondo, nient'altro che l'attualizzarsi di un movimento potenziale nello spazio; i punti, nello spaziotempo, indicano meramente gli eventi, cioe' gli eventuali incroci, e in generale i possibili rapporti, istantaneamente considerati, tra le traiettorie dei corpi.
La difficile conciliabilita' in linea di principio tra le due teorie quindi, sta proprio nel fatto che la gravita' in una e' una forza e nell'altra no, come noi tutti anche nel senso comune, e a parte i terrapiattisti, non tendiamo a dire che e' opera di una forza misteriosa se correndo sulla superficie della terra in una direzione prima o poi torniamo al punto di partenza, o se percorrendo due meridiani diversi a pari velocita' e pari punto di partenza prima o poi andiamo a sbattere nel punto preciso del polo: diciamo che questa e' semplicemente la logica conseguenza della forma della cosa sopra la quale stiamo correndo, e appunto solo i bambini e i terrapiattisti si stupiscono di cio'.
Tutte le osservazioni si accordano con la relativita' generale, e non con la gravitazione di Newton, che ne e' un caso particolare, valido per buona approssimazione a basse velocita' e a basse energie, ed essa non e' attualmente nel museo delle teorie "superate" solo perche' al prezzo di un margine di errore tra osservazione sperimentale e teoria in molti casi (ma non in tutti!) trascurabile, offre ancora una semplicita' di calcolo incomparabilmente migliore di quella propria della relativita'.
Ma e' sempre bene ricordare che, disponendo, in una situazione ideale, di infinita capacita' di calcolo e di infinito tempo per fare i calcoli, tutto quello che si puo' calcolare e prevedete con la gravitazione newtoniana, si potrebbe calcolare e prevedere anche con la relativita' generale, viceversa non tutto quello che si puo' calcolare e prevedete con la relativita' generale, si potrebbe calcolare e prevedere anche con la gravitazione classica, o meglio se ci si provasse, si farebbero degli errori piu' o meno macroscopici dovuti non al fatto che il calcolo sia sbagliato, ma proprio al fatto che la teoria in se', e' sbagliata.
Ad esempio la gravitazione newtoniana non prevede e non calcola la processione esatta del perielio di mercurio, e non perche' qualcuno sbaglia a fare i conti, ma perché mercurio è abbastanza vicino al sole da risentire specificamente di effetti relativistici; il calcolo della processione del perielio fatto con le equazioni newtoniane sarebbe formalmente giusto, ma non si accorderebbe con le osservazioni: la necessita' di ricalcolare con la relativita' generale in questo caso e' epistemica, non tecnica.
Inoltre la gravita' non e' istantanea proprio perche' lo spazio e' il mezzo attraverso cui si propaga la gravita': se il sole scomparise nel nulla, la terra non fuggirebbe dalla sua orbita per i primi otto secondi: letteralmente, per un breve lasso di tempo farebbe come se il sole ancora ci fosse, proprio perche' ci vuole in generale un piu' o meno breve lasso di tempo, affinche' un segnale gravitazionale si propaghi nello spazio; secondo Newton invece, la gravita' e' istantanea, e allo scomparire della palla "sole", la pallina "terra" dovrebbe perdere o cambiare la sua orbita istantaneamente: ora queste possono apparire differenze da poco, ma solo finche' non si capisce l'entita' della posta in gioco e la complessita' delle differenze tra modelli al di la' delle piccole e grandi differenze di previsione, e accordo della previsione con la realta': lo stesso Newton pensava che fosse piu' elegante della sua una possibile futura teoria in cui la gravita' fosse mediata da un mezzo, un mezzo a perturbabilita' cosi' istantanea da non essere mai osservabile, e quindi tale da rendere ragione in modo piu' completo dell'istantaneita' di perturbazione, prevista gia' dalla sua, di teoria; e pensava anche, e a ragione, che i posteri avrebbero trovato tale nuova teoria; quello che non pensava e' che il mezzo di propagazione della gravita' e' lo spazio stesso, e che lo spazio si perturba, guadagna o perde curvatura nel senso che ho descritto prima, alla velocita' della luce, e quindi finanche la gravita', e' quasi-istantanea, ma non e' veramente, istantanea: un mondo dove non esistono interazioni istantanee e' un mondo non dicotomico, in cui esiste sempre il medio tra due estremi.
Ciao niko, navighiamo dunque in anarchia, non mi spiace. Non mi intendo molto di fisica, ma visto che si parla di gravità volevo chiederti una cosa. Assumendo il logos (azione) come marchio dell'universo e ponendoci come osservatori dell'ipotetico bigbang come fosse il generato da altra causa, a noi sempre invisibile, finalizzata ad originare tutta la materia che vediamo. Se appunto tale causa fosse finalizzata in quale territorio eserciterebbe la sua causa? Nel cosiddetto nulla, o in qualcosa d'altro?
@Niko
Quindi mi pare tu confermi che Newton in effetti fingeva un ipotesi, senza ammetterlo pubblicamente , che era quella della azione a distanza, cioè di un azione non locale, augurandosi quindi che qualcuno in futuro potesse rimediare, [size=78%]ristabilendo la necessaria verità di un azione possibile solo localmente.[/size]
E a rimediare fu' proprio Einstein costruendo una teoria dove non vi sono azioni a distanza.
Come tu hai ben detto infatti lo spazio fa' quello che non era riuscito a fare l'etere, proponendosi come mediatore della "forza gravitazionale" che però in tal modo esce di scena. Le masse si muovono unicamente per inerzia in uno spazio che dipende a sua volta dalla distribuzione delle masse.
È interessante porre in parallelo a questa storia la storia del senso comune e di come sia stato sballottato, tanto che ancora si trovi in confusione.
Si parte da una azione locale necessariamente vera per Newton quanto per i suoi contemporanei, per cui in effetti a Newton fingeva, spinto da questioni pratiche, l'ipotesi di una azione a distanza.
Il successo della legge di gravitazione , "attrae letteralmente a se' il senso comune" facendolo tornare sui suoi passi, e l'azione a distanza diventa del tutto accettabile , meno che per Einstein, che infatti ristabilisce "la verità" di una azione locale, di cui però il redivivo senso comune non sentiva il bisogno, indispettito inoltre dal fatto che Einstein gli avesse fatto sparire lo spazio tridimensionale Euclideo sotto gli occhi, come prezzo da pagare per ristabilire l'azione a distanza.
Per Newton ed Einstein il senso comune aveva ancora un valore , e se Einstein in qualche modo lo riporta sulla strada "corretta" come Newton si augurava, e che era stato costretto suo malgrado ad abbandonare, ipotizzando l'azione a distanza, non locale, a sua volta Einstein si ritrova nello stesso frangente, vedendosi costretto ad ipotizzare l'impossibile, il fatto cioè che Dio potesse giocare a dadi, fingendo l'intervento del caso, e passando il resto della vita cercando di rimuovere la sua finzione, senza riuscirvi.
La scienza si basa sui fatti, e pur di farli quadrare gli scienziati sono disposti a fare qualsiasi ipotesi, che vada anche contro le loro più profonde convinzioni.
Convinzioni che anche quando non abbiano una origine ufficiale sarebbe sbagliato pensare che nascano come funghi, perché nascono a loro volta dai fatti, anche quando non valutati con rigore scientifico.
Queste convinzioni a mio parere sono tanto più radicate ,e quindi tanto più difficile da modificare, quanto più non abbiano una chiara origine.
Le moderne ipotesi scientifiche invece , la cui origine è invece ben nota, le si cambia senza problemi alla bisogna, e senza che siano mai diventate senso comune, il quale immagino abbia perso quasi ogni valore fra gli scienziati,,salvo provare a farvi ritorno quando vogliono fare divulgazione scientifica.
Essi non affermano come vera più nessuna ipotesi, e per contro non la fingono nemmeno.
Si limitano solo a fare ipotesi.
Non è banale notare che anche i matematici hanno vissuto simili perigli.
Fino a un certo punto l'aritmetica e la geometria, pur risiedendo in un mondo platonico a parte, erano del tutto attinenti alla realtà.
Ciò faceva si che le verità della matematica e le evidenze della realtà si sostenessero a vicenda.
Oggi non è più così, è quello che è rimasto del tutto isolato in un mondo a parte è il senso comune.
La matematica non è più l'ancella della fisica, ma è lei che comanda il gioco.
A capire che era il caso di rinunciare a fingere o a non fingerle ii matematici ci sono arrivati prima, e i fisici a fatica si sono adeguati.
Citazione di: daniele22 il 25 Gennaio 2022, 22:25:24 PM
Citazione di: niko il 25 Gennaio 2022, 15:20:53 PM
Citazione di: Ipazia il 24 Gennaio 2022, 20:09:38 PM
Leggendo il linkato tutto diventa molto chiaro e la verità ne trae giovamento:
Newton non ha premesso nulla (hypotheses non fingo) alla sua legge di gravitazione universale. Egli l'ha solo calcolata e ne ha tratto una formula.
Einstein si è spinto più in là nei calcoli ed ha pure modellato delle premesse, ma non ha falsificato nulla dell'intuizione originaria di Newton sull'attrazione delle masse in rapporto inverso al quadrato delle distanze. La novità einsteiniana è che le elevate velocità dei corpi celesti modificano l'attrazione gravitazionale. Tale correzione relativistica si è resa necessaria per calcolare i voli interplanetari.
Una piccola digressione sulla relativita' generale.
La faccio perche' ho visto che l'argomento e' uscito fuori spesso qui, e vorrei che ognuno si facesse un'idea di come radicalmente cambiano le teorie scientifiche e di conseguenza la visione del mondo che ne risulta, e di come, anche se queste varie differenti teorie possono sembrare conciliabili in un unico progresso scientifico quantitativo, in cui la conoscenza semplicemente si accumula, o al limite anche in uno più qualitativo e implicante "rotture nette" di continuita', ma comunque sempre lineare, in cui il nuovo, una volta posto e definito, contiene e approfondisce il vecchio, in realta' spesso non lo sono affatto, intendo non sono davvero teorie conciliabili o riassumibili l'una nell'altra, e si deve preferire qualche teoria che abbia migliore praticita' o migliore concordanza con la realta', a scapito di altre, e non e' neanche detto che praticita' e concordanza con la realta' vadano insieme: alcune teorie possono essere migliori per un aspetto, e altre per l'altro.
Nella relativita' generale non c'e' attrazione gravitazionale tra i corpi e la gravita' e' una forza apparente, e soprattutto in essa l'inerzia e' un caso limite della gravita', ovvero l'inerzia e' la gravita' stessa in assenza di curvatura, laddove quindi la processione nella stessa direzione di uno o piu' corpi non implica ne' il ritorno prima o poi nella posizione iniziale di cio' che si muove, come avverrebbe se si muovesse su superficie curva (orbita), ne' un potenziale avvicinamento progressivo o impatto di cio' che si muove con tutti gli altri corpi dovuto semplicemente alla geometrica coincidenza delle varie traiettorie possibili lungo una stessa direzione su di una superficie curva ai poli (caduta libera).
La gravita' appare irresistibile, e l'equivalenza tra quiete e moto rettilineo uniforme logicamente necessaria, perche' muoversi verso il futuro, "infuturarsi", e' gia' un muoversi, nel senso che tale movimento verso il futuro e' indistinguibile, nella necessarieta' fisica delle sue conseguenze, dal muoversi in una direzione qualsiasi in assenza di altri punti di riferimento, e questo sia ai fini dell'avvicinamento ad altri corpi in moto, e ripetizione delle posizioni al completamento di un circolo, che si avrebbe su di una superficie curva, sia ai fini del non avvicinamento ad altri corpi in moto, e non ripetizione delle posizioni, che si avrebbe su una superficie piatta.
Quindi Einstein non finge ipotesi per la forza di gravita' ma fa' di meglio: dimostra che la gravita' non e' una forza, ma una caratteristica topologica dello spaziotempo che influenza le traiettorie e le loro conseguenze, stante che le traiettorie, in quanto riferite ai corpi, sono sempre in qualche modo necessarie, perche' nello spaziotempo niente e' fermo e tutto va' verso il futuro; una particella qualsiasi e' identica e coincidente alla sua stessa traiettoria, da cui non puo' prescindere perche' essa, quantomeno verso il futuro o, che e' lo stesso, quantomeno verso direzione indeterminata e localmente inosservabile perche' solidale al sistema, sempre si muove, e quindi ogni particella e' descrivibile con una linea, linea che indica, in fondo, nient'altro che l'attualizzarsi di un movimento potenziale nello spazio; i punti, nello spaziotempo, indicano meramente gli eventi, cioe' gli eventuali incroci, e in generale i possibili rapporti, istantaneamente considerati, tra le traiettorie dei corpi.
La difficile conciliabilita' in linea di principio tra le due teorie quindi, sta proprio nel fatto che la gravita' in una e' una forza e nell'altra no, come noi tutti anche nel senso comune, e a parte i terrapiattisti, non tendiamo a dire che e' opera di una forza misteriosa se correndo sulla superficie della terra in una direzione prima o poi torniamo al punto di partenza, o se percorrendo due meridiani diversi a pari velocita' e pari punto di partenza prima o poi andiamo a sbattere nel punto preciso del polo: diciamo che questa e' semplicemente la logica conseguenza della forma della cosa sopra la quale stiamo correndo, e appunto solo i bambini e i terrapiattisti si stupiscono di cio'.
Tutte le osservazioni si accordano con la relativita' generale, e non con la gravitazione di Newton, che ne e' un caso particolare, valido per buona approssimazione a basse velocita' e a basse energie, ed essa non e' attualmente nel museo delle teorie "superate" solo perche' al prezzo di un margine di errore tra osservazione sperimentale e teoria in molti casi (ma non in tutti!) trascurabile, offre ancora una semplicita' di calcolo incomparabilmente migliore di quella propria della relativita'.
Ma e' sempre bene ricordare che, disponendo, in una situazione ideale, di infinita capacita' di calcolo e di infinito tempo per fare i calcoli, tutto quello che si puo' calcolare e prevedete con la gravitazione newtoniana, si potrebbe calcolare e prevedere anche con la relativita' generale, viceversa non tutto quello che si puo' calcolare e prevedete con la relativita' generale, si potrebbe calcolare e prevedere anche con la gravitazione classica, o meglio se ci si provasse, si farebbero degli errori piu' o meno macroscopici dovuti non al fatto che il calcolo sia sbagliato, ma proprio al fatto che la teoria in se', e' sbagliata.
Ad esempio la gravitazione newtoniana non prevede e non calcola la processione esatta del perielio di mercurio, e non perche' qualcuno sbaglia a fare i conti, ma perché mercurio è abbastanza vicino al sole da risentire specificamente di effetti relativistici; il calcolo della processione del perielio fatto con le equazioni newtoniane sarebbe formalmente giusto, ma non si accorderebbe con le osservazioni: la necessita' di ricalcolare con la relativita' generale in questo caso e' epistemica, non tecnica.
Inoltre la gravita' non e' istantanea proprio perche' lo spazio e' il mezzo attraverso cui si propaga la gravita': se il sole scomparise nel nulla, la terra non fuggirebbe dalla sua orbita per i primi otto secondi: letteralmente, per un breve lasso di tempo farebbe come se il sole ancora ci fosse, proprio perche' ci vuole in generale un piu' o meno breve lasso di tempo, affinche' un segnale gravitazionale si propaghi nello spazio; secondo Newton invece, la gravita' e' istantanea, e allo scomparire della palla "sole", la pallina "terra" dovrebbe perdere o cambiare la sua orbita istantaneamente: ora queste possono apparire differenze da poco, ma solo finche' non si capisce l'entita' della posta in gioco e la complessita' delle differenze tra modelli al di la' delle piccole e grandi differenze di previsione, e accordo della previsione con la realta': lo stesso Newton pensava che fosse piu' elegante della sua una possibile futura teoria in cui la gravita' fosse mediata da un mezzo, un mezzo a perturbabilita' cosi' istantanea da non essere mai osservabile, e quindi tale da rendere ragione in modo piu' completo dell'istantaneita' di perturbazione, prevista gia' dalla sua, di teoria; e pensava anche, e a ragione, che i posteri avrebbero trovato tale nuova teoria; quello che non pensava e' che il mezzo di propagazione della gravita' e' lo spazio stesso, e che lo spazio si perturba, guadagna o perde curvatura nel senso che ho descritto prima, alla velocita' della luce, e quindi finanche la gravita', e' quasi-istantanea, ma non e' veramente, istantanea: un mondo dove non esistono interazioni istantanee e' un mondo non dicotomico, in cui esiste sempre il medio tra due estremi.
Ciao niko, navighiamo dunque in anarchia, non mi spiace. Non mi intendo molto di fisica, ma visto che si parla di gravità volevo chiederti una cosa. Assumendo il logos (azione) come marchio dell'universo e ponendoci come osservatori dell'ipotetico bigbang come fosse il generato da altra causa, a noi sempre invisibile, finalizzata ad originare tutta la materia che vediamo. Se appunto tale causa fosse finalizzata in quale territorio eserciterebbe la sua causa? Nel cosiddetto nulla, o in qualcosa d'altro?
Direi nel nulla, considerando però che il nulla ha una lunga storia.
Come dicevo nel precedente post, la matematica astratta ha preso il sopravventò sulla fisica e il nulla è diventato lo zero matematico. E così come zero sta per 1+(-1) , dove ciò che sta fra parentesi è da intendersi come un unico simbolo, così dal nulla nasce un elettrone, e, e un positrone (-e), e poi nel nulla possono tornare a sparire .
La morte e l'origine delle cose si sono ridotte a un segno di uguaglianza, secondo che lo zero stia alla sua destra, o alla sua sinistra,,se vogliamo assumere questa convenzione.
Ma le cose stanno veramente così?
I filosofi se lo chiedono e anche gli scienziati nella misura in cui sono filosofi se lo chiedono, ma gli scienziati propriamente hanno smesso di chiederselo.
Hanno smesso cioè di ibridare la fisica con il loro senso comune, con le loro profonde convinzioni.
Non si sono arresi dall'oggi al domani, ma è stato un lungo travaglio, come ho provato ad accennare nel post precedente, che nel caso di Einstein si può configurare quasi come un dramma personale che lo ha accompagnato fino alla morte. Credo di poter affermare che nessuno scienziato moderno si troverà mai più in quella situazione, semplicemente perché eviterà di trovarcisi.
Quindi la filosofia è stata espulsa del tutto?
No, a patto che riparta da dove gli scienziati hanno lasciato.
Prima però i filosofi dovrebbero provare a immedesimarsi nel dramma umano che hanno vissuto gli scienziati, come prima e ultima replica di quello vissuto in prima assoluta dai matematici, il cui finale e' stato scritto dal logico Goedel.
Gli scienziati da un pezzo hanno smesso di parlare di verità, accontentandosi di teorie che aderiscano ai fatti e che riescano a prevederli.
Da un pezzo hanno smesso di fingere o non fingere ipotesi, andando a ruota dei matematici.
Ma i filosofi, insensibili , proprio come se nulla fosse successo, quando non proprio ignari di quel dramma, ancora lo fanno.
Citazione di: daniele22 il 25 Gennaio 2022, 22:25:24 PM
Citazione di: niko il 25 Gennaio 2022, 15:20:53 PM
Citazione di: Ipazia il 24 Gennaio 2022, 20:09:38 PM
Leggendo il linkato tutto diventa molto chiaro e la verità ne trae giovamento:
Newton non ha premesso nulla (hypotheses non fingo) alla sua legge di gravitazione universale. Egli l'ha solo calcolata e ne ha tratto una formula.
Einstein si è spinto più in là nei calcoli ed ha pure modellato delle premesse, ma non ha falsificato nulla dell'intuizione originaria di Newton sull'attrazione delle masse in rapporto inverso al quadrato delle distanze. La novità einsteiniana è che le elevate velocità dei corpi celesti modificano l'attrazione gravitazionale. Tale correzione relativistica si è resa necessaria per calcolare i voli interplanetari.
Una piccola digressione sulla relativita' generale.
La faccio perche' ho visto che l'argomento e' uscito fuori spesso qui, e vorrei che ognuno si facesse un'idea di come radicalmente cambiano le teorie scientifiche e di conseguenza la visione del mondo che ne risulta, e di come, anche se queste varie differenti teorie possono sembrare conciliabili in un unico progresso scientifico quantitativo, in cui la conoscenza semplicemente si accumula, o al limite anche in uno più qualitativo e implicante "rotture nette" di continuita', ma comunque sempre lineare, in cui il nuovo, una volta posto e definito, contiene e approfondisce il vecchio, in realta' spesso non lo sono affatto, intendo non sono davvero teorie conciliabili o riassumibili l'una nell'altra, e si deve preferire qualche teoria che abbia migliore praticita' o migliore concordanza con la realta', a scapito di altre, e non e' neanche detto che praticita' e concordanza con la realta' vadano insieme: alcune teorie possono essere migliori per un aspetto, e altre per l'altro.
Nella relativita' generale non c'e' attrazione gravitazionale tra i corpi e la gravita' e' una forza apparente, e soprattutto in essa l'inerzia e' un caso limite della gravita', ovvero l'inerzia e' la gravita' stessa in assenza di curvatura, laddove quindi la processione nella stessa direzione di uno o piu' corpi non implica ne' il ritorno prima o poi nella posizione iniziale di cio' che si muove, come avverrebbe se si muovesse su superficie curva (orbita), ne' un potenziale avvicinamento progressivo o impatto di cio' che si muove con tutti gli altri corpi dovuto semplicemente alla geometrica coincidenza delle varie traiettorie possibili lungo una stessa direzione su di una superficie curva ai poli (caduta libera).
La gravita' appare irresistibile, e l'equivalenza tra quiete e moto rettilineo uniforme logicamente necessaria, perche' muoversi verso il futuro, "infuturarsi", e' gia' un muoversi, nel senso che tale movimento verso il futuro e' indistinguibile, nella necessarieta' fisica delle sue conseguenze, dal muoversi in una direzione qualsiasi in assenza di altri punti di riferimento, e questo sia ai fini dell'avvicinamento ad altri corpi in moto, e ripetizione delle posizioni al completamento di un circolo, che si avrebbe su di una superficie curva, sia ai fini del non avvicinamento ad altri corpi in moto, e non ripetizione delle posizioni, che si avrebbe su una superficie piatta.
Quindi Einstein non finge ipotesi per la forza di gravita' ma fa' di meglio: dimostra che la gravita' non e' una forza, ma una caratteristica topologica dello spaziotempo che influenza le traiettorie e le loro conseguenze, stante che le traiettorie, in quanto riferite ai corpi, sono sempre in qualche modo necessarie, perche' nello spaziotempo niente e' fermo e tutto va' verso il futuro; una particella qualsiasi e' identica e coincidente alla sua stessa traiettoria, da cui non puo' prescindere perche' essa, quantomeno verso il futuro o, che e' lo stesso, quantomeno verso direzione indeterminata e localmente inosservabile perche' solidale al sistema, sempre si muove, e quindi ogni particella e' descrivibile con una linea, linea che indica, in fondo, nient'altro che l'attualizzarsi di un movimento potenziale nello spazio; i punti, nello spaziotempo, indicano meramente gli eventi, cioe' gli eventuali incroci, e in generale i possibili rapporti, istantaneamente considerati, tra le traiettorie dei corpi.
La difficile conciliabilita' in linea di principio tra le due teorie quindi, sta proprio nel fatto che la gravita' in una e' una forza e nell'altra no, come noi tutti anche nel senso comune, e a parte i terrapiattisti, non tendiamo a dire che e' opera di una forza misteriosa se correndo sulla superficie della terra in una direzione prima o poi torniamo al punto di partenza, o se percorrendo due meridiani diversi a pari velocita' e pari punto di partenza prima o poi andiamo a sbattere nel punto preciso del polo: diciamo che questa e' semplicemente la logica conseguenza della forma della cosa sopra la quale stiamo correndo, e appunto solo i bambini e i terrapiattisti si stupiscono di cio'.
Tutte le osservazioni si accordano con la relativita' generale, e non con la gravitazione di Newton, che ne e' un caso particolare, valido per buona approssimazione a basse velocita' e a basse energie, ed essa non e' attualmente nel museo delle teorie "superate" solo perche' al prezzo di un margine di errore tra osservazione sperimentale e teoria in molti casi (ma non in tutti!) trascurabile, offre ancora una semplicita' di calcolo incomparabilmente migliore di quella propria della relativita'.
Ma e' sempre bene ricordare che, disponendo, in una situazione ideale, di infinita capacita' di calcolo e di infinito tempo per fare i calcoli, tutto quello che si puo' calcolare e prevedete con la gravitazione newtoniana, si potrebbe calcolare e prevedere anche con la relativita' generale, viceversa non tutto quello che si puo' calcolare e prevedete con la relativita' generale, si potrebbe calcolare e prevedere anche con la gravitazione classica, o meglio se ci si provasse, si farebbero degli errori piu' o meno macroscopici dovuti non al fatto che il calcolo sia sbagliato, ma proprio al fatto che la teoria in se', e' sbagliata.
Ad esempio la gravitazione newtoniana non prevede e non calcola la processione esatta del perielio di mercurio, e non perche' qualcuno sbaglia a fare i conti, ma perché mercurio è abbastanza vicino al sole da risentire specificamente di effetti relativistici; il calcolo della processione del perielio fatto con le equazioni newtoniane sarebbe formalmente giusto, ma non si accorderebbe con le osservazioni: la necessita' di ricalcolare con la relativita' generale in questo caso e' epistemica, non tecnica.
Inoltre la gravita' non e' istantanea proprio perche' lo spazio e' il mezzo attraverso cui si propaga la gravita': se il sole scomparise nel nulla, la terra non fuggirebbe dalla sua orbita per i primi otto secondi: letteralmente, per un breve lasso di tempo farebbe come se il sole ancora ci fosse, proprio perche' ci vuole in generale un piu' o meno breve lasso di tempo, affinche' un segnale gravitazionale si propaghi nello spazio; secondo Newton invece, la gravita' e' istantanea, e allo scomparire della palla "sole", la pallina "terra" dovrebbe perdere o cambiare la sua orbita istantaneamente: ora queste possono apparire differenze da poco, ma solo finche' non si capisce l'entita' della posta in gioco e la complessita' delle differenze tra modelli al di la' delle piccole e grandi differenze di previsione, e accordo della previsione con la realta': lo stesso Newton pensava che fosse piu' elegante della sua una possibile futura teoria in cui la gravita' fosse mediata da un mezzo, un mezzo a perturbabilita' cosi' istantanea da non essere mai osservabile, e quindi tale da rendere ragione in modo piu' completo dell'istantaneita' di perturbazione, prevista gia' dalla sua, di teoria; e pensava anche, e a ragione, che i posteri avrebbero trovato tale nuova teoria; quello che non pensava e' che il mezzo di propagazione della gravita' e' lo spazio stesso, e che lo spazio si perturba, guadagna o perde curvatura nel senso che ho descritto prima, alla velocita' della luce, e quindi finanche la gravita', e' quasi-istantanea, ma non e' veramente, istantanea: un mondo dove non esistono interazioni istantanee e' un mondo non dicotomico, in cui esiste sempre il medio tra due estremi.
Ciao niko, navighiamo dunque in anarchia, non mi spiace. Non mi intendo molto di fisica, ma visto che si parla di gravità volevo chiederti una cosa. Assumendo il logos (azione) come marchio dell'universo e ponendoci come osservatori dell'ipotetico bigbang come fosse il generato da altra causa, a noi sempre invisibile, finalizzata ad originare tutta la materia che vediamo. Se appunto tale causa fosse finalizzata in quale territorio eserciterebbe la sua causa? Nel cosiddetto nulla, o in qualcosa d'altro?
Ciao, ti rispondo per come credo di aver capito la domanda...
Il territorio di espansione dell'universo e' il vuoto e non il nulla, se lo vedessi da fuori non vedresti il fronte del nostro universo in espansione venirti incontro come un'onda d'urto misteriosa, e tale che basta attendere un tempo/durata fisicamente attendibile per esserne inglobati, ma un qualche tipo di fenomeno per cui il tuo universo non puo' sovrapporsi al nostro perfettamente spiegabile anche con le leggi e le condizioni locali del tuo, di universo, un qualche tipo di orizzonte degli eventi.
Insomma dove c'e'il nostro universo, il tuo non c'e', e quindi tutti i punti del nostro universo, proprio in quanto tali, non possono risultare raggiungibili a partire dai tuoi in un tempo finito e viceversa.
In un certo senso il tuo si contrae laddove il nostro si espande, ma difficilmente vedrai il tuo letteralmente contrarsi, molto piu' probabilmente vedrai un'espansione del tuo che non procede e non e' proceduta sovrapponendosi al nostro, e cio' ti costringerebbe dunque a fare il giro di quello che per te, dal tuo punto di vista, e' un qualche tipo di esteso ostacolo topologicamente invalicabile, o ad aspettare, perche' alcuni punti del tuo universo, dal tuo punto di vista, non esistono ancora o non esistono piu' e tu li' fisicamente non ci puoi andare e non ci puoi inviare segnali in nessun senso, e sono proprio i punti dove, se per assurdo ci andassi, o anche solo se causeresti laggiu' qualcosa, sconfineresti nel nostro: osservare l'universo dal vuoto primordiale, osservarlo "senza farne parte", stando in un altro universo, o supponendo, se fosse possibile, di stare fuori da tutti gli universi possibili, vuol dire attendere, nel tempo, che le sue condizioni ritornino identiche a quelle del vuoto primordiale e solidali a quelle da cui origina e parte tale tentativo di osservazione "esterna", quindi attenderne la fine, la morte, il ritorno all'omogeneita' e alla condizione di totale assenza di eventi, ma nel farlo, tale tentativo di osservazione, faresti con cio' l'esperienza di attendere la fine e la morte anche del tuo, di universo, e lo stato di omogeneita' in cui i due coinciderebbero sarebbe lo stato in cui nessuno dei due esiste piu', e ci sarebbero a quel punto le condizioni locali per la nascita di un terzo universo, o di un rimbalzo, inteso come ricontrazione di uno morto per troppa estensione e, da un altro punto di vista sullo stesso evento, riestensione di uno morto perche' puntiforme, che non sarebbe piu' quello di nessuno dei due.
Non sono sicuro di quanto sia scientificamente esatto quello che ho scritto, ma io me lo immagino cosi', e da quello che ci ho capito di quello che ho letto in proposito, dovrebbe essere proprio cosi', insomma si possono fare esperimenti mentali su come sarebbe provare a osservare l'universo da fuori, provare a vedere come il nostro universo preme sul vuoto o su un altro universo considerato come suo contenitore e mezzo, ma tutti finiscono per descrivere qualcosa di proprio dell'universo, o al limite della condizione in generale, dell'osservatore esterno, e non del nostro attuale e delle nostre attuali condizioni, e dunque appagano solo fino a un certo punto la legittima curiosita' sul nostro, di universo, anche in quanto meri esperimenti menatali.
@ Niko
non puoi osservare l'universo da fuori, nemmeno con un esperimento mentale.
Non puoi osservarlo standotene anche solo col pensiero nel vuoto, o nel nulla, o come lo vuoi chiamare, perché tutto ciò a cui puoi dare un nome sta dentro all'universo.
il vuoto, o il nulla, o come lo vuoi chiamare, se lo chiami, non sta fuori , perché non vi è un fuori.
Non ci sono cose che stanno fuori dell'universo perché le cose sono l'universo, e in particolare quelle che puoi nominare.
Facciamo già' un esperimento mentale, che ha però un positivo riscontro pratico, quando pensiamo di poter fare un esperimento fisico isolando una parte dell'universo ( si può appunto pensare , ma non fare) osservandolo da fuori .
Funziona in pratica, ma più la ricerca si spinge avanti e più appare quanto sia invasivo l'osservatore influenzando il risultato dell'esperimento.
Basti dire che lo strumento che misura il tempo non sta dentro a quella parte di universo supposta isolata, ma in mano all'osservatore.
Funziona, ma nin si può ignorare l'influenza dell'osservatore sul risultato.
Eppure i filosofi continuano a pensare alla verità come qualcosa che si possa osservare da fuori.
Rngrazio niko e iano, scritti con la minuscola come si presentano, per la loro risposta, in cui iano dice a niko che il il vuoto o il nulla, o come lo vuoi chiamare etc etc ..... La mia domanda voleva chiedere se potesse esistere appunto il famoso etere. O meglio voleva chiedere se a livello teorico l'etere fosse negato fondandosi solo su basi empiriche. Immagino di no. Allora chiedo: se la teoria che presupponeva l'inesistenza dell'etere fosse concettualmente errata (non errata nella sua formulazione matematica), non vi sembra che tutte le teorie successive sarebbero tutte menzogne, anche se confermate da dati empirici?
Un giorno un mio amico che insegna matematica mi raccontava che per spiegare la teoria di Einstein in modo verbalmente più comprensibile forse sarebbe opportuno che fosse esposta usando un meta-linguaggio. Detto ciò, iano conclude dicendo che i filosofi continuano a pensare alla verità come qualcosa che si possa guardar da fuori.
E' proprio qui il punto nevralgico. Se non avessimo compreso in modo corretto la teoria della relatività, ci ritroveremmo a vivere mentalmente, oggi, nel 2022, come ai tempi di Hegel e Kant.
Quando Ipazia disse di questa modifica da "cosa in sé" a "cosa per noi", la filosofia ha fatto nè più ne meno quello che ha fatto la chiesa quando Copernico superò Tolomeo, cioè si è riaggiustata per tenere ancora in piedi il palco.
Quello era il momento di criticare il linguaggio, ma naturalmente vi è passata sopra. Perchè? Ai posteri l'ardua sentenza. Naturalmente le persone sincere con sè stesse vivrebbero mentalmente ancora così. Ma quelle meno sincere come vivono?
Ciao Daniele.
L'ipotesi dell'etere era ben plausibile, tanto è vero che là si è potuta confutare solo grazie ad un esperimento ( di Michelson e Morley se non ricordo male) basato sull'idea che , se esisteva, per quanto impalpabile, avrebbe dovuto porre una pur minima resistenza ad un raggio di luce, perché là velocità della luce costante nel vuoto, diminuisce quando attraversa un mezzo materiale.
Questo rallentamento, non è stato rilevato con un esperimento che si ritiene conclusivo, anche se di conclusivo nella scienza non ci è nulla, ma chiunque può ripetere quell'esperimento, o inventarmene di nuovi, ma secondo me sarebbe tempo sprecato., perché in fondo a cosa è servito veramente quell'esperimento?
Bisogna considerare che nessuno aveva mai rilevato l'etere, neanche prima di quell'esperimento, ma era stato solo ipotizzato al fine di salvare una nostra profonda convinzione di allora, che la forza potesse agire solo mediante contatto, quindi localmente , e non a distanza. Così l'etere avrebbe dovuto funzionare da intermediario della forza, come fosse la seconda palla da biliardo che colpisce la terza dopo essere stata a sua colpita dalla prima, trasmettendo quindi per suo tramite la prima palla una forza alla terza.
Ma pochi ormai sono convinti della necessità di una azione solo locale, e questa è la conseguenza forse più interessante della confutazione sperimentale dell'etere.
Si tratta però di qualcosa non destinato a ripetersi, nel senso che le attuali ipotesi degli scienziati, come ad esempio quelle sulla materia oscura al fine di poterla rilevare tramite un esperimento, non sono basate su alcuna convinzione profonda particolare, per cui quando non funzionano se ne provano altre, cambiandole, ma senza più che ciò diventi un dramma esistenziale.
Prima, quando occorreva cambiare obtorto collo le proprie convinzioni, a causa del rilevamento di nuovi fatti o per una più attenta considerazione dei vecchi fatti, essendo su queste convinzioni basate l'ordinamento sociale e quello religioso ( le due cose non erano neanche in parte distinte, come avviene oggi) società e chiesa ponevano ostacoli quasi insormontabili, e chi insisteva a farlo sapeva di rischiare la vita, perché le istituitizioni si difendevano come fiere messe all'angolo.
Oggi non è più così e gli scienziati fanno e disfano le loro ipotesi in piena libertà .
La scienza ci ha guadagnato a non ibridare dunque le sue ipotesi con la verità, meno la società che non ha più riferimenti obbligati , e perciò necessariamente condivisi, su cui fondarsi .
Rifondare o far nascere nuove società dovendo prima liberalmente decidere su cosa fondarle non è facile, e infatti il futuro è delle multinazionali fondate sulle personali convinzioni dei loro proprietari alle quali i dipendenti si devono adeguare.
Paradossalmente quindi l'effetto della scienza è stato quello di far tornare in auge un principio di autorità riveduto e corretto , a partire dalla negazione del quale era nata.
Così oggi esistono tante verità, quella di Apple, e quella di Facebook, alle quali le vecchie società provano ad opporsi multandole, ma ancora per poco.
Le vecchie società avvertono quindi vagamente l'esigenza di rifondarsi in questo confronto sempre più impari con le multinazionali , ma non sanno bene più su cosa di condivisibile si dovrebbero rifondare.
Lavoro per i filosofi dunque non ne mancherebbe , se la smettessero nichilisticamente di lamentarsi girando a vuoto e iniziassero a rimboccarsi le pieghe del cervello.
Ma, caro Daniele, non ci sarà più la verità a rischiarare come lanterna l'oscura notte,,e questo è un dramma esistenziale che stiamo vivendo, forse l'ultimo filosoficamente connotanile.
Ma, se stiamo stati convinti che la ricerca della verità fosse la molla che ci spingesse, secondo una metafora di forza locale, possiamo però constare che se gli scienziati pure hanno abbandonato la pretesa di verità non perciò hanno abbandonato la ricerca, segno che qualcosa di altro li spinge e a cui fino a un certo punto abbiamo dato nome verità.
Fin qui essi hanno lottato in nome della verità , mettendo in gioco la loro stessa vita al fine di poter liberamente ricercare, perché non avrebbe avuto senso la loro vita se non ricercando.
Quale nuovo nome vogliamo dare alla molla che li spinge, magari aggiornando la metafora con una non locale? 😄
I ricercatori scientifici chiedono finanziamenti, ma non è la voglia di arricchirsi che li spinge.
Dunque cosa è che ci spinge a noi, se non è la verità?
I filosofi stanno dunque vivendo il loro dramma personale, che arriva a ruota di quello vissuto prima dai matematici e poi dai fisici?
Credo proprio di sì, ma non ne hanno preso ancora piena coscienza, limitandosi al momento solo a lamentarsi del nichilismo seguito alla morte della verità.
Citazione di: Freedom il 19 Gennaio 2022, 17:26:02 PM
Penso che la prima cosa da fare per ricercare la Verità sia definirla.
E già questo primo passaggio mi pare che comporti difficoltà quasi insormontabili. Cos'è la Verità? Temo che ognuno abbia la sua. E' interessante che persino Gesù, interrogato da Pilato, preferisca tacere. E dire che di cose ne ha rivelate (alcune condivisibili o quantomeno logicamente affrontabili e conoscibili) ma quella lì no. O meglio afferma di essere lui stesso la Verità ma questo ha valore solo per chi crede in lui. Ma in ogni caso noi siamo nella sezione Filosofia e dunque non spegne la nostra sete di conoscenza.
Però il problema di definirla rimane. E non credo che senza risolvere questo enigma si possa procedere oltre. E bisogna stare ben attenti nella definizione.
Una volta lessi da qualche parte che, all'interno delle sette chiese di Bologna (in via Santo Stefano), c'era uno dei presepi più antichi della storia cristiana. Forse il più antico in assoluto. Andai in visita per vedere quel presepe. Giravo e rigiravo quelle chiese, imparai a memoria ogni anfratto, chiesi ma non trovavo quel presepe. Passarono ore, non volevo rinunciare! Ma alla fine, sconfitto, me ne andai.
Poi, non rassegnato, ritornai. Non ricordo chi mi aiutò ma qualcuno certamente lo fece e scoprii che quel presepe era del tutto diverso da quello che mi aspettavo. Da quello che mi ero raffigurato. Era diversissimo dalle rappresentazioni moderne alle quali siamo più o meno tutti abituati. Non essendo io uno studioso di storia dell'arte e, evidentemente, nemmeno dotato di intuito sufficiente :D non lo avevo trovato. Nemmeno ci ero andato vicino. Eppure c'era tutto quello che che ci doveva essere in un presepe!
Insomma è difficile trovare la verità se nemmeno sai com'è fatta, cos'è, come funziona, etc.
Molto istruttivo e bello il tuo post, rileggendolo. Mea culpa per non averlo ben valutato.
Potremmo concludere che la verità non si trova perché la ricerca è basata su un aspettativa errata.
Ma potrebbe essere anche come quando cerchiamo gli occhiali avendoli addosso, cercando altrove quel che già possediamo, essendocene dimenticati.
In effetti la mia personale ricerca consiste nel cercare di riportare alla coscienza ciò che in noi nel tempo si è sedimentato , e che non può essere confutato, come fosse una verità, finché non è riemerso.
Ciò che in noi è sommerso produce evidenze le quali rimandano la loro origine in ciò che non si può confutare, perché permane in noi, ma dimenticato.
Questo tipo di ricerca sembra avere però dei contro in base ai quali gli antichi ci avevano ammoniti.
Non appena troviamo ciò che è sepolto in noi la sua natura e la sua capacità di agire in noi ne esce mutata. Di fatto ciò che troviamo ci viene così a mancare, dovendo trovare un sostituto per uscire dalla fase nichilistica di inazione che ne segue.
Gli antichi avevano dunque almeno una mezza ragione , ma non consideravano che rinunciare alla ricerca di conoscenza significava rinunciare a noi stessi, ad annullarci in vista di un al di la'.
Citazione di: iano il 26 Gennaio 2022, 00:29:25 AM
@ Niko
non puoi osservare l'universo da fuori, nemmeno con un esperimento mentale.
Non puoi osservarlo standotene anche solo col pensiero nel vuoto, o nel nulla, o come lo vuoi chiamare, perché tutto ciò a cui puoi dare un nome sta dentro all'universo.
il vuoto, o il nulla, o come lo vuoi chiamare, se lo chiami, non sta fuori , perché non vi è un fuori.
Non ci sono cose che stanno fuori dell'universo perché le cose sono l'universo, e in particolare quelle che puoi nominare.
Facciamo già' un esperimento mentale, che ha però un positivo riscontro pratico, quando pensiamo di poter fare un esperimento fisico isolando una parte dell'universo ( si può appunto pensare , ma non fare) osservandolo da fuori .
Funziona in pratica, ma più la ricerca si spinge avanti e più appare quanto sia invasivo l'osservatore influenzando il risultato dell'esperimento.
Basti dire che lo strumento che misura il tempo non sta dentro a quella parte di universo supposta isolata, ma in mano all'osservatore.
Funziona, ma nin si può ignorare l'influenza dell'osservatore sul risultato.
Eppure i filosofi continuano a pensare alla verità come qualcosa che si possa osservare da fuori.
L'universo nasce dal vuoto quantistico e/o da un altro universo, insomma deve pur nascere da qualcosa e finire in qualcosa, in senso temporale e spaziale, e osservandolo da fuori, penso proprio che faremmo, banalmente, l'esperienza di essere-vuoto o di essere (in) un altro universo, naturalmente con ciò intendo che non sapremmo di stare osservando l'universo di qualcun altro, ma un qualche limite topologico e cronologico del nostro, magari sì. Ho messo in tra parentesi, proprio per mostrare che, anche accettando la premessa che: essere=stare, e quindi che non si possa
"essere-in" in senso pieno, da questa premessa non segue l'inesistenza di un fuori, ma solo l'incomunicabilità di quanto è separato, per il tempo in cui è separato.
Si guarda la verità da fuori, e non si sa di stare osservando la verità, ma ciò non vuol dire necessariamente non osservare niente perché le premesse di tale osservazione e dei suoi dintorni sono impossibili, si può benissimo osservare altro.Ora, secondo me , solo gli antropomorfisti piu' irriducibili rinunciano all'ipotesi che l'universo nasca da qualcosa, e non perché in generale "l'universo deve pur nascere da qualcosa", come nell'interpretazione letterale del Timeo di Platone, ma anzi, per una situazione contingente di segno esattamente opposto: noi, o meglio, noialtri, siamo generati e perituri, la natura che ci "contiene" no, e finché la scienza "ufficiale" continuerà a mettere la data di nascita e di scadenza al costrutto concettuale che chiama "universo", tale universo non coinciderà mai e poi mai con la natura, oserei qui dire, con la "vera", natura (che questo all'atto pratico ed etico sia un problema, o no...).
Semmai, il costrutto concettuale "universo", coinciderà sempre e solo con la natura, (fondamentalmente stupida, secondo me...) di chi immagina che la natura sia un'entità piu' o meno come lui, che nasce, poi muore, e tanti saluti, insomma con una natura umana (fin) troppo umana, per questo il nichilismo, proprio come posizione filosofica, se malinteso, è un antropomorfismo, anzi è il più grande e gargantuesco degli antropomorfismi.
Per questo, secondo me, ha ragione l'uomo della strada quando dice che il big bang come cosmogenesi deve pur nascere da qualcosa: qui, in questo caso, è l'uomo della strada che contrappone un, potenzialmente ben giustificato, naturalismo, all'antropomorfismo
(pseudo-nichilista) della scienza, insomma non ogni cosa deve nascere da qualcosa (non lo sosterrei mai), ma ogni cosa che nasce, deve ben nascere da qualcosa, e finché la scienza continua a dire che l'universo nasce, se la chiama, la domanda sensata dell'uomo della strada.Per questo sono interessato alla nascita dell'universo dal vuoto e alle teorie degli universi multipli, mi appaiono semplicemente sensate al confronto di un'ipotesi di base (universo antropoide che semplicemente nasce e muore, ma guarda un po', proprio come noi, e nulla si può dire al di fuori di tale evento/durata) insensata; inoltre un argomento che ho letto una volta e che mi sembra veramente dirimente in merito è l'improbabilità stessa della biogenesi e della vita come fenomeno emergente dall'inorganico: provate ad aspettare che si formi un batterio o il dna da una goccia d'acqua sterile e sappiatemi dire se secondo voi abbiamo fatto sei al superenalotto una volta per culo e probabilmente non lo rifaremo mai, se ci ha creati il padreterno o se ci sono universi multipli o comunque spazi e tempi sconfinati molto più grandi e lunghi di quelli che pensiamo esserci, per cui tirando a sorte abbastanza volte anche l'evento-vita si normalizza.E no, non sono d'accordo con l'idea che gli scienziati moderni siano tanto diversi da Newton o Einstein perché hanno rinunciato alla verità, la scienza dovrebbe basarsi, e secondo me si basa, sul falsificazionismo popperiano, per cui la verità sì, cambia nel tempo, ma seguire passo passo come cambia la verità ed essere in grado noi stessi di cambiare insieme alla verità è fondamentale, insomma le ipotesi non falsificate vanno prese per vere fino a prova contraria, insomma per cose vere, quindi per cose importanti, non per pezze d'appoggio che fanno quadrare i conti e funzionare le macchinette, e gli scienziati, soprattutto se sono intelligenti, non solo capiscono le implicazioni etiche e filosofiche delle loro teorie, ma ne sono profondamente, e finanche inconsciamente, influenzati, e no, non cambiano teoria con la stessa facilità con cui cambiano una cravatta, ma ci sono in merito delle resistenze, dei giochi di potere e delle "ibridazioni con il senso comune" incredibili, appunto leggere e capire Kuhn in merito.---------------------------------------------------------
Assolutamente non d'accordo nemmeno con il Wittgenstein citato da Ipazia, che dice qualcosa del tipo:La vita non sarebbe nemmeno sfiorata quando avremmo risposto a tutte le domande scientifichemi dispiace qui per Ludwig, ma, quando avremmo risposto a tutte le domande scientifiche, le implicazioni pratiche e tecnologiche delle risposte che ci saremmo dati stravolgerebbero così tanto la nostra, appunto, vita, da non renderla nemmeno più nemmeno lontanamente riconoscibile come vita umana, ed è assurdo pensare che non ce ne siano, di implicazioni etiche e pratiche, quindi assurdo scindere scienza da tecnologia e tecnica, quindi da potenza, quindi da potere.E' umano che la scienza diventi tecnologia e quindi stravolga la vita, ed è umano che la conoscenza sia infinita, e quindi la situazione ideale in cui rispondiamo, e rispondiamo correttamente, a tutto al punto da non avere più nulla da chiedere, non si può dare nell'umano, ovvero, sarebbe transumano già il fatto stesso di aver risposto a tutto, anche solo in un ambito definito della conoscenza/esperienza come quello della scienza moderna, pur rimanendo ignoranti in eventuali altri ambiti, e anche se per assurdo, dalla realizzazione/ideazione sulla totalità, genesi e destino del cosmo, non ne derivasse, nei cinque minuti successivi, nemmeno la tecnologia per aprire meglio un pacchetto di patatine, sempre transumano sarebbe, il fatto stesso di aver risposto a tutto, e non essere più nella condizione di fare scienza.
@Niko.
Condivido abbastanza il tuo bel post, ma insisto sul fatto che il dramma esistenziale del cambio di paradigma filosofico scientifico che una volta Coin volgeva l'intera umanità non risparmiando l'uomo della strada non è più tale, derubricato al dubbio del singolo scienziato se abbia scelto un area davvero promettente della ricerca scientifica e non abbia invece dedicato la sua vita nel ficcarsi in un vicolo cieco. In questi casi gli scienziati si consolano, non senza ragione, dicendo che i fallimenti non sono meno importanti dei successi, perché in effetti più che apprendere dai fallimenti procediamo per esclusioni, senza però mai accantonare del tutto cio' che abbiamo escluso.
Non riusciamo a dare risposta ad alcuna delle nostre domande, ma solo a capire perché erano sbagliate, cambiandole.
Quindi più che sbagliate erano inadeguate al contesto,,e cambiano perché cambia il contesto, perché lo stesso porre una domanda lo fa' cambiare.
Che ci piaccia o meno la nostra conoscenza è legata al linguaggio e si evolve con esso, e il linguaggio principe della conoscenza è la matematica, quindi se i matematici hanno smesso di parlare di verità, a noi filosofi non resta che adeguarci, e la falsificabilita' che teneva ancora in piedi il concetto di verità, è solo stata una tappa in questo percorso di adeguamento..
I matematici hanno smesso di dire se è vero questo allora è vero quello, limitandosi a dire che posto questo ne segue quello.
Questo ha avuto conseguenze nichiliste non da poco, se ancora ci lecchiamo le ferite, ma evidentemente c'è una dittatura alla quale alla lunga non riusciamo a sottrarci, quella dei fatti, i quali però possiamo illuderci ci conducano alla fine alla verità solo se pensiamo che, se non la loro sequenza, sia limitata almeno la loro varietà, così che all'inizio del novecento ci eravamo convinti che si era già scoperto tutto quello che c'era da scoprire, se non per qualche dettaglio da precisare.
Il paradosso della verità consiste nel fatto che il suo raggiungimento equivarrebbe alla fine dell'evoluzione del linguaggio, che equivarrebbe alla fine dell'evoluzione umana , ciò che acquieterebbe il nostro istinto di conservazione .
Il nostro desiderio di essere come definitivo stare, ma una trottola che cade perché smette di girare, è ancora una trottola?
Citazione di: niko il 26 Gennaio 2022, 13:04:07 PM
Assolutamente non d'accordo nemmeno con il Wittgenstein citato da Ipazia, che dice qualcosa del tipo:
La vita non sarebbe nemmeno sfiorata quando avremmo risposto a tutte le domande scientifiche
mi dispiace qui per Ludwig, ma, quando avremmo risposto a tutte le domande scientifiche, le implicazioni pratiche e tecnologiche delle risposte che ci saremmo dati stravolgerebbero così tanto la nostra, appunto, vita, da non renderla nemmeno più nemmeno lontanamente riconoscibile come vita umana, ed è assurdo pensare che non ce ne siano, di implicazioni etiche e pratiche, quindi assurdo scindere scienza da tecnologia e tecnica, quindi da potenza, quindi da potere.
Auguro agli umani che verranno di conquistare una visione filosofica (etica) talmente consistente da resistere a qualsiasi brutalizzazione scientista. Da parte mia ci provo quotidianamente.
Caro iano, ti dirò, sotto l'ombra di un ampio faggio, che buttando in piazza il topic sul valore della menzogna, nella tua prima risposta ti aspettavi invece una digressione sulla verità da te tanto odiata. Ma io volevo discutere di menzogne, non di verità. Come disse pure bobmax il peggior modo di cercarla sta nel volerla definire. Ogni verità viene superata ogni qualvolta che tu ne consegua una e la fai tua nel senso che si conosce solo ciò che si fa.
In questo post di risposta al mio in cui faccio affiorare un certo periodo storico, mi aspettavo una risposta adeguata. Ancora però ti butti sulla verità, ma la tua verità sulla scontata buonafede di uno scienziato è ingenuità allo stato puro. E quando pensi che se raggiungessimo questa verità linguistica non ci sarebbe più evoluzione, non è forse questa una fede in una presunta verità? Non ti stai forse contraddicendo?
E allora ritorno ancora alla teoria della relatività.
Se vai in giro per le strade e chiedi alla gente di spiegarti la teoria della relatività, che molti pretendono di aver capito, la maggior parte delle persone ti farfuglia qualcosa sui due gemelli, sul rapporto di equivalenza che vi è tra massa ed energia ... e altro fumo.
Ma se noi avessimo compreso quella teoria, a livello verbale e non matematico, ci renderemmo conto di cosa possa essere quella benedetta gravità del cako. In questi giorni in un tuo post dicevi qualcosa sulla costruzione dell'essere. Allora ti porgo la mia costruzione fatta su tuo consiglio. L'essere è un'unità concreta spazio temporale e si costituisce, nella giusta sequenza, di un effetto e di una causa.
La gravità in termini umani: All'interno dell'essere, l'essere umano percepisce una informazione. L'informazione produce un effetto durante un intervallo di tempo che va dall'istante fino ad un certo punto. Quel che c'è da valorizzare è l'intervallo di tempo in cui alla fine l'essere produce la causa, poiché in quel lasso di tempo l'informazione produce nuove informazioni. Non ci vuole un genio per capire che un individuo prima di cedere l'informazione se la gestisce come meglio crede. Poi si sa, ci sono informazioni e informazioni, ma ognuna di queste genera il suo piccolo orticello gravante a seconda delle informazioni che intende cedere. Tu lo sai a chi sta in tasca l'informazione più pesante di tutte? Questa è la gravità di Einstein. Che poi stia nelle tasche di un farabutto, o di una brava persona (sempre nei suoi limiti che possono tendere a farabutto oppure a santo) te lo svelerà la meccanica quantistica quando andrai a tastargli il polso perturbandolo in un certa misura.
Se noi possiamo comprendere solo ciò che ci serve, la filosofia può comprendere solo ciò che ci serve. Ci serve la scienza? Sì, però deve rendersi conto anche che le persone trotterellano nello spazio curvo generato da altre persone da cui sono manipolate, o da altri totem, mettila come vuoi ... Liberissime di farlo. In fondo è questo che pretenderei di misurare col voto popolare
Con il Big Bang nasce il tempo e lo spazio.
Quindi non vi è un luogo e un tempo in cui il Big Bang avviene.
Semplicemente perché non c'è nulla, né spazio né tempo.
Di modo che il Big Bang non è propriamente un evento, ma la fondazione di ogni evento.
Creando lo spazio, la materia non si espande nel vuoto, ma il vuoto e il pieno sono creati dalla stessa espansione. Espansione che non avviene in alcun luogo e in alcun tempo.
Non esiste perciò alcun "fuori".
Non esistendo alcun fuori, l'universo non è qualcosa.
@Bobmax.
Il tuo ragionamento non fa' una pecca, ed è sostanzialmente quello che dicono gli scienziati oggi, per quel che ho capito.
Ma quella del vuoto e del nulla è una lunga storia molto istruttiva che forse non è finita, anche perché non si spiega come si siano formate le galassie, che con la loro concentrazione di materia determinano una asimmetria nell'universo, che avrebbe dovuto essere presente già in quel nulla, che perciò proprio nulla forse non era.
Rimane il fatto che non necessariamente spazio e tempo debbano essere sempre esistiti e che sempre esisteranno.
@Daniele.
Purtroppo continuerò ad essere inadempiente rispetto alle risposte che tu ti aspetti.
Per quanto riguarda la relatività nin credo esisteranno mai versioni divulgative soddisfacenti , e rimane sempre il dubbio quanto chi divulghi l'abbia capita.
Andando a pesare le diversione versioni, unico modo di farsi una propria idea, per quel che vale, ti rendi conto che alcune sembrano fatte apposta per confondere le idee, in particolare l'esempio dei due gemelli è particolarmente fuorviante.
Infatti non è necessario che uno salga su un razzo e parta per restare più giovane, ma è sufficiente che salga in cima a un monte.
Quindi quando devi scegliere il posto dove devi dormire su un letto a castello quali scegli?
Hai già' capito, la risposta.
Quello in basso, così non corri il rischio di cadere. 😂
Nella relatività la gravità è sparita. Nello spazio quadridimensionale i corpi si limitano solo a seguire una traiettoria per inerzia, e non fanno altro, esattamente come facevano le masse nello spazio tridimensionale, muovendosi per inerzia di moto rettilineo uniforme finché una forza, ad esempio gravitazionale, non veniva a turbarli.
Cosa è cambiato dal punto di vista della verità? In prima approssimazione nulla. Sono due modi diversi di descrivere le cose dove in uno si parla di gravità e nell'altro no.
Non è il caso quindi di fissarsi sulla verità di nessuna parte della descrizione, perché sappiamo che in una descrizione diversa, ma equivalente, certe verità supposte, come ad esempio la forza di gravità, possono sparire.
Poi in seconda battuta è vero che la relatività ci da' conto di molte più cose, ma sarebbe ingenuo pensare che perciò sia vera.
Di solito si costruiscono nuove teorie per dar meglio conto di più fatti.
Ma quello che secondo me è il più grande scienziato in assoluto, Feynmann, riteneva che anche solo cambiare punto di vista da cui osservare la stessa cosa, riscrivendo la stessa teoria in modo diverso, ma del tutto equivalente , avesse grande utilità pratica, perché proprio come quando si cambia punto di vista, alcune cose che prima vedevi più non vedi ed altre che prima non vedevi appaiono,e tanto basta per far sparire dal campo visivo qualunque cosa, anche la gravità.
Egli ha dedicato a ciò la sua attività di scienziato.
In un certo senso la scienza non ha mai smesso di avere a che fare con la magia.
Ha a che fare con la magia quando al pari di questa pretende di conoscere la verità.
Ma ha a che fare anche con la magia tarocca, quella che usa trucchi, con la differenza che quella magia i trucchi li va' a cercare, e la scienza se li ritrova senza volere.
Così ad esempio non è stato certamente voluto che Newton per spiegare il moto sia dovuto partire dall'ipotizzare il moto stesso, come rettilineo e uniforme, finché l'intervento di una forza non lo va' a turbare. Ma così non ha spiegato il moto, ma la sua variazione, l'accelerazione , trovandone causa nell'intervento di una forza, come ad esempio quella gravitazionale.
E prima di Newton quale tipo di moto inerziale si ipotizzava?
Il moto a velocità uniforme, ma non rettilineo, bensì puntuale, e la velocità era ancora costante, ma nulla. La condizione naturale dei corpi era l'immobilita'.
La stessa cosa fa' Einstein, e dunque dov'è il progresso ?
Semplicemente è cambiato il tipo di moto inerziale supposto, e con questo trucco non voluto, fra le forze che possono turbare il moto è sparita la gravità come un coniglio nel cilindro.
Ma qual'e' allora la vera condizione naturale di un corpo, l'uniformità puntuale, quella rettilinea, o quella definibile con un salto nella quarta dimensione?
La risposta è nessuna, e perciò siamo liberi di sceglierne una.
Notate come in questo modo la scienza, svincolata dalla verità possa volare libera.
Che questo sia poi un bene o una male non lo do per scontato.
Posso infatti ben pensare che anche il freno che pone la pretesa di verità abbia un suo valore.
Infatti non si può negare che grazie alla libertà che la scienza si è presa è sparita veloce dalla nostra visuale di uomini comuni, e che ciò è un serio pregiudizio per il suo futuro, laddove essa ponga il suo vero potere, non nella verità, ma nella condivisione, perché esso io credo stia nell'unita' che fa' la forza,
è quello che non si può negare è che il trucco della verità finora questo compito lo abbia veramente svolto, rallentando ad hoc il suo procedere perché tutti la potessero seguire.
Pensate allora come sono cambiate le cose, se oggi si assiste ad una avversione generalizzata per la matematica, e ieri gli analfabeti pagavano il biglietto per assistere in pubblica piazza ai matematici che si sfidavano a risolvere equazioni.
Citazione di: Ipazia il 26 Gennaio 2022, 16:02:57 PM
Citazione di: niko il 26 Gennaio 2022, 13:04:07 PM
Assolutamente non d'accordo nemmeno con il Wittgenstein citato da Ipazia, che dice qualcosa del tipo:
La vita non sarebbe nemmeno sfiorata quando avremmo risposto a tutte le domande scientifiche
mi dispiace qui per Ludwig, ma, quando avremmo risposto a tutte le domande scientifiche, le implicazioni pratiche e tecnologiche delle risposte che ci saremmo dati stravolgerebbero così tanto la nostra, appunto, vita, da non renderla nemmeno più nemmeno lontanamente riconoscibile come vita umana, ed è assurdo pensare che non ce ne siano, di implicazioni etiche e pratiche, quindi assurdo scindere scienza da tecnologia e tecnica, quindi da potenza, quindi da potere.
Auguro agli umani che verranno di conquistare una visione filosofica (etica) talmente consistente da resistere a qualsiasi brutalizzazione scientista. Da parte mia ci provo quotidianamente.
Il fatto e' che "rispondere a tutte le domande scientifiche" potrebbe comportare alcune piccole cosucce alteranti la comune routine quotidiana dell'uomo come oggi lo conosciamo, tipo la possibilita' di vivere per sempre, viaggiare nel tempo, trasferire la mente in un computer, riprodursi asessuatamente ed extrauterinamente, viaggiare oltre la galassie, ibernarsi, clonarsi, riprodurre la genesi della vita e della coscienza a partire da oggetti inanimati, avere intelligenze e protesi artificiali piu' prestanti e funzionali del corrispettivo umano eccetera.
Pensare che tutto questo non abbia ripercussioni sulla forma di vita e di pensiero di chi acceda a simili tecnologie inconcepibili o anche solo di chi sappia con ragionevole certezza che da qualche parte del mondo alcuni privilegiati vi accedono, o vi possono in linea teorica accadere, o pensare addirittura che qualcuno, pur potendo tecnicamente fare certe cose, si fermi davanti a un qualche divieto interiore o esterno e non le faccia "perche' non sarebbe etico farle", in nome magari di un qualche bel principuo astratto tipo "l'umanita'" o il suo presunto "meritare in generale di essere conservata" e' non conoscere l'uomo anche per come gia' attualmente esso e', i suoi desideri, i suoi comportamenti tipici, le sue paure, e dunque i suoi limiti, limiti che sarebbero superati da una condizione di onniscienza scientifica.
Quindi, per dire che l'onniscienza scientifica anche se si desse non sfioretebbe la forma di vita, bisogna ignorare completamente sia il concetto di tecnologia, e la sete di potere che ne consegue e ne puo' conseguire, che il cocentto piu' generale di sete di conoscenza come definiente la condizione umana in se' , sete di conoscenza quindi, la cui soddisfazione totale sarebbe incompatibile con l'umano.
Il fatto che la scienza cambi la vita non e' scientismo, e' la natura stessa della scienza, scientismo e' usare la scienza per limitare la liberta' e la facolta' di scegliere, imporre la scienza anche a chi non la vuole e non fa niente altro di male oltre a non volerla.
Citazione di: niko il 26 Gennaio 2022, 19:58:47 PM
Il fatto che la scienza cambi la vita non e' scientismo, e' la natura stessa della scienza, scientismo e' usare la scienza per limitare la liberta' e la facolta' di scegliere, imporre la scienza anche a chi non la vuole e non fa niente altro di male oltre a non volerla.
Scusa niko, ognuno è libero di fare ciò che vuole, ma il tuo pensiero, divinità escluse, mi sembra vada a prefigurare una società stratificata in caste. Si pone in ogni caso il problema di un probabile conflitto sociale, giacché non tutti la pensano come la pensi tu. In ogni caso nell'opposizione che si genera tra me e te, ne verrebbe fuori che tu sei uno scientista ed io un umanista. Non so se Ipazia intendesse dire che tu saresti uno scientista, ma per me lo saresti, anche se dici di lasciar liberi quelli che non vogliono la scienza ... queste affermazioni sono un po' in odore di promessa elettorale, o di ingenuità
Salve niko. Tutti i notevoli cambiamenti tecnico-scientifici che hai ultimamente vagheggiato, unitamente a tutti gli infiniti altri che saranno possibili in futuro, certamente cambieranno l'esteriorità del nostro vivere (come sempre avvenuto anche in passato).
Il problema etico non esiste poichè la regola dice e dirà semplicemente che "tutto ciò che diventerà possibile, verrà sicuramente prima o poi fatto".
Ciò premesso, resta la condizione esistenziale individuale (il contenuto complessivo di desideri, sogni, bisogni, speranze contenuto all'interno della vita di ciascuno di noi e che in via spicciola qualcuno chiama felicità oppure soddisfazione oppure equilibrio interiore)..................la quale non varierà di un solo atomo.
Qualsiasi cosa lo circondi, l'uomo tende ad abituarvisi, quindi poi a darlo per scontato, per poi cominciare a piangere ricordando il vecchio che possedeva, pensando all'attuale che non lo soddisfa, sognando il meglio futuro che crede di aver diritto di conquistare.
Secondo me tu, niko, sei troppo giovane per capire certe cose. Come tutti, le capirai quando sarà troppo tardi per cambiarne l'andazzo. Ma non ascoltare me. Ascolta Ipazia e Wittgenstein. Saluti.
Citazione di: bobmax il 26 Gennaio 2022, 18:11:40 PM
Con il Big Bang nasce il tempo e lo spazio.
Quindi non vi è un luogo e un tempo in cui il Big Bang avviene.
Semplicemente perché non c'è nulla, né spazio né tempo.
Di modo che il Big Bang non è propriamente un evento, ma la fondazione di ogni evento.
Creando lo spazio, la materia non si espande nel vuoto, ma il vuoto e il pieno sono creati dalla stessa espansione. Espansione che non avviene in alcun luogo e in alcun tempo.
Non esiste perciò alcun "fuori".
Non esistendo alcun fuori, l'universo non è qualcosa.
In senso fisico, il tempo non e' che la variazione di tempo nel tempo, e lo spazio non e' che la variazione di spazio nello spazio. Rispetto ai fenomeni dello spazio e del tempo, proprio aristotelicamente, il loro espandersi e contrarsi non e' loro accidente, ma loro sostanza. Non c'e' altro, di sostanziale nel tempo, che il suo espandersi e contrarsi. E il tempo non puo' passare in modo molteplicemente puntiforme, come somma di attimi infinitesimi, ne' in modo continuo, perche' a livello microscopico il tempo ha sempre e solo una pronabilita' statistica di passare, di trascorrere, contro una di non passare e di non trascorrere. Gli orologi a livello fondamentale ticchettano in modo probabilistico, la similitudine e l'uniformita' nel modo di passare del tempo ogni volta che lo si misura e' un effetto di risultato medio su grandi numeri, e a immaginarlo puntiformizzato, o continuizzato, il tempo, si bypasserebbe questa probabilita'.intrinseca che esso ha di passare
Dunque In senso fisico non puoi si puo' dire tempo, senza dire ritmo, e non puoi dire spazio, senza dire vibrazione. Il divenire diviene divenire, non diviene essere.
Insomma dal nulla non nasce nulla e gli oggetti puntiformi non esistono. Non esiste niente che non contenga in se' abbastanza varieta' da poter mostrare, almeno potenzialmente, una variazione. Non esistono gli enti matematici astratti non esiste niente che non abbia un limite minimo di estensione.
Il big bang e' un oggetto che si puo' ben concepire in due modi: o puntiforme o continuo, perche' e' il punto matematico da cui si manifesta e si espande la continuita', ergo, in entrambi i casi, esso non esiste.
Non esiste nel senso in cui lo intendono molti, se lo si intende come una cosa che origina insieme al tempo e allo spazio e dunque in linea di pricipio non puo' avere tempo e spazio dietro di se'.
Vedete dove e' il problema? Se lo spazio si manifesta fin dall'origine in modo discreto, il quanto minimo di spazio, che e' esteso, presuppone lo spazio. Il suo stesso passaggio dalla non esistenza all'esistenza, e' una trasformaziome, non e' una creazione. E le trasformaxioni, sono sempre in situazione , sono sempre pseudo-inizi. Sono sempre in un fuori, perche' se ne fanno qualcosa del fuori in cui sono, quanto meno come fuori-compositivo.
Fin dall' origine, quel tempo lo possiamo descrivere solo presupponendo la divisibilita' infinita del tempo e il fatto stesdo che il divenire si differenzi dal tempo come insieme di eventi differenti; e quello spazio ha un numero arbitrariamente grande do spazi piu' piccoli in se'.
Non e' la nascita di un tempo, quella che deriva dal big bang stesso: e' la nascita di una durata. E non e' la nascita dello spazio, e' la nascita di un'estensione. Un inizio e una fine nascono dunque insieme, anche nel modo piu' infinitesimale in cui si voglia credere di cogliere o fotografare la nascita del tempo. Quello che doveva essere un inizio, fin dall'inizio ha in se' un inizio, e quindi non puo' esserlo, perche' e' fin dall'inizio una durata, e quello che non doveva avere fine, continuativamente e gloriosamente conducendoci dall'origine del tempo a oggi, ha una fine, e la ha molto prima di oggi, perche' e' una durata minima, che poi ne' innesca e ne presuppone molte altre.
E non possiamo escludere in modo assoluto che ci sia un fuori, perche' c'e' ben piu' di un singolo e singolare dentro ineliminabile, che comunque in qualche situazione starebbe e resterebbe, c'e' un' estensione originaria, un rapporto ineliminabile tra parti del dentro. Esso nasce in un fuori (il vuoto) perche' comprende parti del fuori e si compone di esse, e quindi il fuori non solo esiste almeno quanto il dentro, ma gli preesiste. Esso e' una entita' di variazione, con un massimo e un minimo Semplice. E lineare, se non ci si vuole intenzionalmente andare a complicare la vita prendendo.per buone verita' metafisiche.
Insomma dal nulla non nasce nulla, vale la pena di ribadirlo, e cio' che non e' tempo e spazio fisicamente e' nulla, e non puo' generare nulla, non puo' "incominciare", ad essere tempo (vero tempo, quindi esteso) e spazio (vero spazio, quindi, esteso) se non lo e' fin dall'origine.
Dal vuoto invece nasce qualcosa, ma a condizione che il vuoto resti vuoto (l'energia si conserva e l'energia totale dell'universo e' zero), non c'e' nessuna rottura radicale di continuita' o irripetibilita' in linea di principio nella sua "genesi", questo attuale universo e' se stesso ed e' altro da se' perche' e' un modo di essere di qualcosa (il vuoto) che ha (molti) piu' modi di essere di lui, di cui lui e' uno-dei-tanti, (e come farebbe questa realta' a non presupporre un fuori?) e quindi la nascita di qualcosa dal vuoto e' un evento come tutti gli altri, una transizione di fase, che rientra nell'ordine delle trasformazioni, che in quanto tali sono in linea di principio ripetibili e situate in un contesto preesistente, e non delle creazioni, che in quanto tali a posteriori possono essete giudicate come essenti radicalmente fondati, provenienti dal nulla. E se non ne sappiamo abbastanza, di tale trasformazione, da vuoto-vuoto a vuoto-universo, non resta che ammettere che non ne sappiamo abbastanza, non serve pensare che ci sia il mitico pseudo-evento che fonda tutti gli altri eventi. E' invece un evento che ha di relativamente speciale solo che non lo conosciamo, come non conosciamo nemmeno che tempo fara' dopodomani, e di assolutamente speciale, nulla. E' speciale per noi, in senso soprattutto simbolico, ma non e' speciale per come si produce in natura, dato che si poroduce come si producono tutti gli altri eventi, da delle premesse e dei ragionevoli e fondati precedenti, diciamo pure da delle cause.
Se sappiamo che l'universo e' un particolare tipo di vuoto, e' perche' lo confrontiamo con altri tipi di vuoto, che non sono l'universo. Ne sono parte. Cio' vuol dire che non e' originario, non e' necessario, che le parti di se' siano se'. Anzi non lo sono, la forma concettuale del "contenere" e' specificamente diversa dalla forma concettuale dell' "essere" proprio perche' si tratta dell' universo, che secondo me si fa meglio a considersre continuita' logica, e non fisica, nel suo essere unita'. Proprio come nel caso del vivente, che non coincide con le sue parti.
Non crea il.pieno e il vuoto, cioe' sempre e solo se stesso, e' invariabilmente pieno di vuoto, cioe' implica continuamente se stesso e altro da se' .
Citazione di: daniele22 il 26 Gennaio 2022, 21:20:38 PM
Citazione di: niko il 26 Gennaio 2022, 19:58:47 PM
Il fatto che la scienza cambi la vita non e' scientismo, e' la natura stessa della scienza, scientismo e' usare la scienza per limitare la liberta' e la facolta' di scegliere, imporre la scienza anche a chi non la vuole e non fa niente altro di male oltre a non volerla.
Scusa niko, ognuno è libero di fare ciò che vuole, ma il tuo pensiero, divinità escluse, mi sembra vada a prefigurare una società stratificata in caste. Si pone in ogni caso il problema di un probabile conflitto sociale, giacché non tutti la pensano come la pensi tu. In ogni caso nell'opposizione che si genera tra me e te, ne verrebbe fuori che tu sei uno scientista ed io un umanista. Non so se Ipazia intendesse dire che tu saresti uno scientista, ma per me lo saresti, anche se dici di lasciar liberi quelli che non vogliono la scienza ... queste affermazioni sono un po' in odore di promessa elettorale, o di ingenuità
Era solo per dire che una completezza nel conseguire il sapere scientifico , che poi e' umanamente impossibile, cambierebbe la forma, e quindi anche il contenuto, della vita.
non si puo' rispondere con successo a tutte le domande scientifiche e poi non domandarsi l'implicazione pratica delle risposte e continuare a vivere come se niente fosse e come se la conoscenza fosse un compartimento stagno rispetto alla pratica, anche perche' solo l'implicazione pratica misura la correttezza, e quindi la presunta definirivita', delle risposte che ci si e' dati; l'uomo non funzione cosi' secondo me, funziona che quando conosce una cosa, si chiede cosa significa quella cosa che conosce per lui, e l'uomo di scienza, o comunque utente piu' o meno alla lontana della scienza, non fa eccezione.
@Niko
La teoria del Big Bang prevede la nascita del tempo e dello spazio.
Questa è la teoria.
Se poi la si vuole contestare, va bene, ma è un'altra teoria, che occorre però sostenere scientificamente. Cioè basandosi sui dati e non su semplici ragionamenti arbitrari.
Il tempo e lo spazio derivano dal qualcosa.
È il qualcosa che, essendoci, crea lo spazio e il tempo.
Senza il qualcosa non vi è spazio né tempo.
Dal nulla nasce nulla.
Benissimo.
Allora o ci affanniamo a ipotizzare qualcosa che doveva certamente esserci "prima", e quindi un altro tempo e un altro spazio, oppure... il qualcosa è esso stesso nulla!
Orrore...
Tutt'altro!
L'autentico orrore deriva dal qualcosa, dal disperato bisogno che ci sia.
Che l'universo sia nulla ce lo dice pure il fotone. Per il quale non vi è né spazio né tempo, l'universo è una pura singolarità.
PS
L'analisi è importante, ma lo è pure la sintesi.
Senza la sintesi l'analisi resta sospesa, e soprattutto non passa il nostro stesso vaglio.
Il confronto può avvenire concretamente solo con la sintesi.
@Bobmax
Evidentemente non è facile astrarsi dallo spazio della nostra percezione , la quale si sviluppa al pari delle diverse teorie fisiche entro un relativo spazio che è una astrazione.
Non è facile astrarsi dalla nostra astrazione di default se non si ha piena consapevolezza di possederla, e anche quando ci si riesce non possiamo fare a meno di descrivere i diversi spazi se non attraverso termini che fanno riferimento a quello spazio di default ,per noi naturale.
Esso però ammette anche una descrizione matematica che dovrebbe farcelo rivedere per quello che è, anche se questa a prima vista non sembra una necessità che possa aiutarci nella vita di tutti i giorni.
Ma la sua percezione, la sua evidenza può mutare, e dopo Newton infatti non è più la stessa.
Come dice Niko conoscere tutte le risposte non può non cambiarci la vita, ma anche solo ipotizzare di conoscerle, e in più crederci fino a vederle, ce la cambia, e se poi, aggiungo io, questo credo è sepolto dentro noi, la percezione acquista il carattere dell'evidenza.
Per contro quando abbiamo piena coscienza delle astrazioni, perché le abbiamo costruite noi, sparisce ogni evidenza che è legata a doppio filo alla nostra capacità di comprensione.
Possiamo comunque mettere in campo sempre l'immaginazione, per dare alle nostre astrazioni una posticcia evidenza, ma solo a costo di snaturare l'astrazione, perché non abbiamo altro modo di capirla, di renderla cioè per noi uno spazio realmente operativo, se non facendovi aderire i nostri pregiudizi, cioè le nostre convinzioni profonde, sepolte dentro noi, restituendogli una parvenza di evidenza.
Tutto ciò sembra funzionare in parte come una scorciatoia attraverso la quale evitiamo i calcoli precisi che sono richiesti dalla ben precisata astrazione, ma a costo di accettare la relativa imprecisione dei risultati.
Così ci sembrerà di poter osservare lo spazio da fuori, quando invece porre uno spazio è la necessaria premessa di ogni possibile visione.
Quando immaginiamo l'esplosione del big bangi non possiamo farlo se non "guardandolo" da fuori.
L'alternativa praticabile per pochi e' immergersi dentro all'astrazione scelta come riferimento,
La nostra possibilità di "rivedere" lo spazio della nostra percezione ha a che fare con la storia, e quindi con la continua revisione dei nostri concetti, come quello di vuoto e di nulla.
Newton ha posto le premesse per includere nella nostra visione il nulla, fingendo senza ammetterlo, l'azione a distanza, che la forza potesse agire quindi non per contatto, come avverrebbe in uno spazio tutto pieno, e che fino a un certo punto è stato lo spazio di default della nostra visione.
Oggi si grida al nichilismo come se fosse una esperienza vissuta in prima assoluta, quando abbiamo prova che l'umanità a ripetizione ha vissuto questa fase dove si mette in discussione la nostra visione del mondo, che perciò ed solo la premessa per poterlo diversamente rivedere.
Citazione di: niko il 26 Gennaio 2022, 23:51:27 PMCitazione di: daniele22 il 26 Gennaio 2022, 21:20:38 PMCitazione di: niko il 26 Gennaio 2022, 19:58:47 PM
Il fatto che la scienza cambi la vita non e' scientismo, e' la natura stessa della scienza, scientismo e' usare la scienza per limitare la liberta' e la facolta' di scegliere, imporre la scienza anche a chi non la vuole e non fa niente altro di male oltre a non volerla.
Scusa niko, ognuno è libero di fare ciò che vuole, ma il tuo pensiero, divinità escluse, mi sembra vada a prefigurare una società stratificata in caste. Si pone in ogni caso il problema di un probabile conflitto sociale, giacché non tutti la pensano come la pensi tu. In ogni caso nell'opposizione che si genera tra me e te, ne verrebbe fuori che tu sei uno scientista ed io un umanista. Non so se Ipazia intendesse dire che tu saresti uno scientista, ma per me lo saresti, anche se dici di lasciar liberi quelli che non vogliono la scienza ... queste affermazioni sono un po' in odore di promessa elettorale, o di ingenuità
Era solo per dire che una completezza nel conseguire il sapere scientifico , che poi e' umanamente impossibile, cambierebbe la forma, e quindi anche il contenuto, della vita.
non si puo' rispondere con successo a tutte le domande scientifiche e poi non domandarsi l'implicazione pratica delle risposte e continuare a vivere come se niente fosse e come se la conoscenza fosse un compartimento stagno rispetto alla pratica, anche perche' solo l'implicazione pratica misura la correttezza, e quindi la presunta definirivita', delle risposte che ci si e' dati; l'uomo non funzione cosi' secondo me, funziona che quando conosce una cosa, si chiede cosa significa quella cosa che conosce per lui, e l'uomo di scienza, o comunque utente piu' o meno alla lontana della scienza, non fa eccezione.
Meno male. Grazie niko per la tua adeguata risposta. La filosofia è per me l'arte del corretto pensare. Se sei giovane come dice viator, i suoi consigli sono illuminanti anche se dissento nella sua conclusione. Dico cioè che puoi fidarti di Ipazia, ma non di Wittgenstein (paradossalmente). Nel senso che solo lei può ammettere che certi arbitrii di LW siano proprio arbitrari. Non so se concordi con la mia interpretazione della relatività dal punto di vista dell'essere umano in merito alla relazione dell'informazione in funzione della sua massa, ma non importa, posso anche sbagliarmi. Quel che penso, quindi, è che quando tu dici che il tempo non è che la variazione del tempo nel tempo (velocità del tempo?) dico che questa nozione ti pone in uno stato di consapevolezza, e quindi in uno stato di potenziale gestione di informazioni, che è in un certo senso superiore a quello della gente comune. Per questo motivo dissi che l'uomo attuale vive mentalmente come se vivesse ai tempi di Kant ed Hegel. Non ti sembra che sarebbe giusto colmare almeno questo gap?Nei post precedenti avevo affermato che attribuisco un grado maggiore di realtà ai fatti, ma non maggiore al punto di poterli affermare come esistenti di per se stessi. Persisto pertanto a negare una realtà oggettiva. Quando Wittgenstein aggiusta quel "cosa in se" trasformandolo in "cosa per noi", di fatto trasferisce la nostra modalità di comprensione dalle cose all'azione delle cose. Ciò significherebbe che a fondare la nostra conoscenza sia l'azione che la cosa compie, e non la cosa. Ciò implica che i sensi servono solo ad individuare la cosa responsabile dell'azione. Nel nostro mondo però succede che gli individui di media cultura pensino che le cose esistono e che noi speculiamo su di esse in quanto esistenti di per se stesse. Questo è cioè il loro atteggiamento mentale. Questo atteggiamento ci retrocederebbe all'interno del mondo di Kant e di Hegel. Da quei tempi bisogna ripartire criticando però il linguaggio e non continuando a fare gli struzzi. Infatti io nego che anche l'azione sia oggettiva, ma la possibilità, giusta o sbagliata che sia, giunge dalla critica al "sostantivo". Affermo cioè che sia la sensazione a poter formare nella nostra mente una generalizzazione di ciò che potenzialmente può divenire un "sostantivo". Naturalmente tale nozione la ricavo all'interno di conoscenze neuroscientifiche in cui si affermerebbe che qualsiasi animale dotato di un certo livello di consapevolezza, che non giunge però ai livelli di criticarla, sia in grado di compiere delle generalizzazioniPs: avrei una curiosità che non ho mai potuto accertare circa un esperimento mentale sulla nozione di velocità del tempo e riguarda un ipotetico viaggiatore che parte da Giove ad alte velocità verso la terra guardando con un potentissimo binocolo fin dalla sua partenza i fatti che si svolgono sulla terra. Forse tu potresti dire qualcosa in proposito, magari in un topic dedicato
Citazione di: viator il 26 Gennaio 2022, 21:25:12 PM
Salve niko. Tutti i notevoli cambiamenti tecnico-scientifici che hai ultimamente vagheggiato, unitamente a tutti gli infiniti altri che saranno possibili in futuro, certamente cambieranno l'esteriorità del nostro vivere (come sempre avvenuto anche in passato).
Il problema etico non esiste poichè la regola dice e dirà semplicemente che "tutto ciò che diventerà possibile, verrà sicuramente prima o poi fatto".
Ciò premesso, resta la condizione esistenziale individuale (il contenuto complessivo di desideri, sogni, bisogni, speranze contenuto all'interno della vita di ciascuno di noi e che in via spicciola qualcuno chiama felicità oppure soddisfazione oppure equilibrio interiore)..................la quale non varierà di un solo atomo.
Qualsiasi cosa lo circondi, l'uomo tende ad abituarvisi, quindi poi a darlo per scontato, per poi cominciare a piangere ricordando il vecchio che possedeva, pensando all'attuale che non lo soddisfa, sognando il meglio futuro che crede di aver diritto di conquistare.
Secondo me tu, niko, sei troppo giovane per capire certe cose. Come tutti, le capirai quando sarà troppo tardi per cambiarne l'andazzo. Ma non ascoltare me. Ascolta Ipazia e Wittgenstein. Saluti.
Ciao viator, anche se la felicita' e la sofferenza sono universali, hanno una serie di risposte particolari variabili e cangianti nel tempo.
Ora, la filosofia e la stessa coscienza umana sono parte di questa gamma di risposte variabili, alla sofferenza e alla gioia come suo contrario, e tu non puoi continuate a pensare in modo identico al variare del contesto scientifico e filosofico in cui nasci e vivi o al variare delle condizioni oggettive e oggettuali che producono il tuo pensiero come autorappresentazione della tua gioia e della tua sofferenza.
Magari a un livello psicologico basico e fondamentale gioiarai e soffrirai in modo identico a come soffriva e gioiva a suo tempo un uomo delle caverne (chi puo' dirlo?), ma con una certa obbiettivita' posso dire che non hai quasi nessuno strumento per rappresentarti qui e adesso l'identicita' e la continuita' di questi stati d'animo tuoi e suoi, a parte forse la sensibilita' artistica se guardi pitture rupesri o la paleontologia se te ne interessi.
Il fatto che cambi la lingua, il pensiero o la religione, cambia la nostra coscienza e consapevolezza dei dintorni vicini e lontani, della realta', e i cambiamenti della scienza non sono diversi in quanto a effetti sul pensiero; e si da' il caso che qui e ora, oggi, fino a prova contraria, la scienza non abbia tutte le risposte, quindi, se qualcuno ipotizza che invece ce le abbia, e giustamente si chiede a queste nuove condizioni come sarebbe il mondo, in prima battuta mi viene da dire che cio' e' anche solo come ipotesi impossibile perche' la sete di conoscenza, e quindi anche di scienza, dell'uomo e' insaziabile, in seconda che il mondo sarebbe infinitamente diverso da come e' oggi, perche' avere certe risposte cambierebbe il nostro modo di percepire, sentire e pensare.
Basta che pensi a come hanno cambiato non solo il "paesaggio" fisico-materiale, ma proprio anche il pensiero, la struttura profonda del pensare e finanche del corpo umano, i primi trecento anni di storia della scienza, e poi pensa seriamente all'ipotesi di subire sulla testa e nel tuo cervello, in un secondo, l'effetto di tutti gli altri, ad esempio, trecentomila a venire che forse ci aspettano: da quel momento in poi non sapresti nemmeno piu' di essere viator e di essere un essere umano, questa e' la verita' secondo me...
Citazione di: bobmax il 27 Gennaio 2022, 08:01:23 AM
@Niko
La teoria del Big Bang prevede la nascita del tempo e dello spazio.
Questa è la teoria.
Se poi la si vuole contestare, va bene, ma è un'altra teoria, che occorre però sostenere scientificamente. Cioè basandosi sui dati e non su semplici ragionamenti arbitrari.
Il tempo e lo spazio derivano dal qualcosa.
È il qualcosa che, essendoci, crea lo spazio e il tempo.
Senza il qualcosa non vi è spazio né tempo.
Dal nulla nasce nulla.
Benissimo.
Allora o ci affanniamo a ipotizzare qualcosa che doveva certamente esserci "prima", e quindi un altro tempo e un altro spazio, oppure... il qualcosa è esso stesso nulla!
Orrore...
Tutt'altro!
L'autentico orrore deriva dal qualcosa, dal disperato bisogno che ci sia.
Che l'universo sia nulla ce lo dice pure il fotone. Per il quale non vi è né spazio né tempo, l'universo è una pura singolarità.
PS
L'analisi è importante, ma lo è pure la sintesi.
Senza la sintesi l'analisi resta sospesa, e soprattutto non passa il nostro stesso vaglio.
Il confronto può avvenire concretamente solo con la sintesi.
Ok, saro' sintetico: la songolarita' non esiste perche' se esistesse avrebbe tempo ed energia simultaneamente significativi e violerebbe il principio di indeterminazione, percio' laddove tu dici: "la nascita di spazio e tempo", io dico: "la nascita di durata ed estensione", cioe' degli attributi che sono propri dello spazio e del tempo e che li presumono, e quindi il vuoto preesiste e sopravvive all'universo, e quindi e' plausibile anche che ci sia piu' di un universo.
Quindi cosa e', e cosa sarebbe veramente un nulla? Un nulla sarebbe, ad esempio, quello che si otterrebbe riavolgendo il filmato dell' espansione dell'universo fino al punto massimo possibile, cioe' fino al punto in cui la distanza di tutti i punti dell'universo l'uno dall'altro e' zero, e dunque in un singolo punto sono sovrapposti tutti i punti.
E' un qualcosa la cui esistenza viene congetturata solo perche' c'e' una tendenza, e si puo' legittimamente, ma non certo con certezza, supporre che questa tendenza origini da quelle che sono le sue estreme conseguenze a ritroso, cioe' "dal punto composto di tutti i punti".
Ora, siccome pero' tale oggetto e' assurdo ed e' una singolarita', e' altamente probabile che il processo fisico del possibile riavvolgimento si arresti ad una estensione minima (un punto in cui tutti i punti sono vicinissimi ma non sono perfettamenre a distanza zero) che corrisponde a un ribalzo in cui la natura di espansione/contrazione si inverte, e/o quel punto minimo, ma non inesteso, corrisponde ad una apparizione discreta di un universo gia' parzialmente "formato" nelle sue dimensioni fondamentali, lasciando solo il processo matematico, che a questo punto devi immaginare come separato da quello fisico, a digradante fino a corrispondere al punto, geometrico, contenente tutti gli altri punti.
Spero di essere stato chiaro, e sintetico.
Citazione di: niko il 27 Gennaio 2022, 12:28:27 PM
Citazione di: bobmax il 27 Gennaio 2022, 08:01:23 AM
@Niko
La teoria del Big Bang prevede la nascita del tempo e dello spazio.
Questa è la teoria.
Se poi la si vuole contestare, va bene, ma è un'altra teoria, che occorre però sostenere scientificamente. Cioè basandosi sui dati e non su semplici ragionamenti arbitrari.
Il tempo e lo spazio derivano dal qualcosa.
È il qualcosa che, essendoci, crea lo spazio e il tempo.
Senza il qualcosa non vi è spazio né tempo.
Dal nulla nasce nulla.
Benissimo.
Allora o ci affanniamo a ipotizzare qualcosa che doveva certamente esserci "prima", e quindi un altro tempo e un altro spazio, oppure... il qualcosa è esso stesso nulla!
Orrore...
Tutt'altro!
L'autentico orrore deriva dal qualcosa, dal disperato bisogno che ci sia.
Che l'universo sia nulla ce lo dice pure il fotone. Per il quale non vi è né spazio né tempo, l'universo è una pura singolarità.
PS
L'analisi è importante, ma lo è pure la sintesi.
Senza la sintesi l'analisi resta sospesa, e soprattutto non passa il nostro stesso vaglio.
Il confronto può avvenire concretamente solo con la sintesi.
Ok, saro' sintetico: la songolarita' non esiste perche' se esistesse avrebbe tempo ed energia simultaneamente significativi e violerebbe il principio di indeterminazione,
Niko, fermati un attimo a riflettere.
Come fai a spararne così tante in una volta sola che il big bang al confronto è un dilettante?
Non ho voluto ribattere punto per punto i tuoi post, ma non ne azzecchi una.
Eppure quando stai strettamente dentro al discorso filosofico sei esemplare.
Quindi affrontiamo la questione dal punto di vista filosofico, e posto che tu il principio di indeterminazione lo abbia compreso, secondo te il principio all'istante zero esisteva già?
Il principio di indeterminazione non si riferisce propriamente agli enti fisici, ma alle misure fatte da un osservatore, e posto che enti fisici si possa dire che esistessero all'istante zero, non esisteva però certamente l'osservatore.
Esso pone un limite alle possibili misure in quanto non si può eliminare l'influenza dell'osservatore.
Detto in termini filosofici più generali, la nostra conoscenza non sarà mai perfetta, perché la nostra indagine conoscitiva muta la realtà che indaghiamo mentre la indaghiamo.
L'errore di misura non è tale che ci debba preoccupare per le nostre questioni correnti, a meno che non comporti implicazioni filosofiche più ampie riguardanti una possibile definizione di conoscenza, come io credo che sia.
@Niko
Certamente la singolarità non esiste.
In quanto "esistere" significa stare da qualche parte.
Ossia occupare uno spazio e un tempo.
Mentre la singolarità non sta da nessuna parte.
Perciò la singolarità non esiste, semmai è.
L'universo non è altro che la stessa singolarità.
Che altro potrebbe mai essere?
Quindi non esiste, ma è.
Di modo che la nostra essenza, ciò che noi siamo veramente, è la stessa singolarità.
Difatti, dov'è il centro dell'universo?
Dove sei tu!
E pure dove sono io...
La singolarità, non esistendo, è nulla.
Tuttavia, nulla origine di tutte le cose.
Riguardo alla chiarezza e alla sinteticità, ho difficoltà a leggere un lungo periodare.
Mi ci perdo prima di giungere al punto e sono costretto a rileggere.
La brevità dei periodi è necessaria per la chiarezza. E responsabilizza lo scrivente.
Mentre allungare il brodo sfilaccia il discorso.
@ Bobmax
Che differenza poni fra esistere ed essere?
La singolarità è comunque un caso limite dell'esistente che nel nostro caso ha una località che vale lo spazio intero, puntuale all'istante zero, cioè la stessa localizzazione del successivo universo derivato, e un istante relativo che chiamiamo iniziale.
Le singolarità hanno comunque inizialmente sempre un origine teorica, per cui non si da' per scontato che esistano nella realtà, a meno che non si rilevino successivamente ,sapendo già cosa andare a cercare, perché se esistono se ne possono dedurre gli effetti.
Così ad esempio dei buchi neri, emersi come singolarità dalla teoria della relatività, se ne sono rilevati gli effetti previsti.
Diversamente la singolarità rimane una ipotesi che si può decidere di mantenere oppure no.
Nel caso del big bang a suo supporto, vi è la rilevazione di una prevista radiazione di fondo.
@ Bobmax.
A proposito ancora della radiazione cosmica di fondo e della tua presunta non località della singolarità del big bang.
Come facciamo a rilevare la presenza di una stella o di una galassia, o di un ammasso di galassie?
Possiamo rilevarla dal fatto che riceviamo una radiazione con una direzione preferenziale, quella direzionalita'' che va' dall'oggetto osservato a noi.
Ma cosa succede quando l'oggetto si fa' più grande, come crescente successione di ammassi, o perché si avvicina sempre più a noi?
La direzionalita' diventa sempre meno definita.
Così succederebbe ad esempio se il sole si avvicinasse sempre più a noi, fino a diventare del tutto improprio parlare di direzionalita' quando , nel suo avvicinarsi, ci trovassimo dentro al sole.
Non possiamo vedere il sole se ci stiamo dentro.
Però possiamo dedurre di esserci dentro se la radiazione ci arriva in modo uniforme da ogni direzione.
Quindi a voler essere più esatti, quel che abbiamo detto a proposito della mancanza di direzionalita' è in effetti presenza di ogni possibile direzione ed in modo indifferenziato.
Da ogni direzione giunge cioè la stessa quantità di radiazione se stiamo esattamente al centro del sole.
La radiazione di fondo che rileviamo ha appunto queste caratteristiche.
Non "vediamo' il big bang perché ci stiamo dentro .
Ne condividiamo cioè "la località ".
Dall'ipotesi di esistenza del big bang si deduce una radiazione cosmica uniforme di fondo, che è stata rilevata.
Ancora una riflessione che condivide qualcosa col principio di indeterminazione.
Quando vedete il sole è perché da esso vi arrivano le sue radiazioni, cioè lo rilevate grazie a una sua parte che però non è più sole, diventando la vostra percezione.
Dove sta l'analogia col principio di indeterminazione.?
Nel fatto che esso descrive la variazione introdotta nell'oggetto dalla misura effettuata sull'oggetto osservato, ma che è possibile osservare un oggetto anche a causa di una sua variazione spontanea, come quando il sole emette energia.
In ogni caso la conoscenza di qualcosa è possibile solo in presenza di una sua variazione, spontanea o provocata.
Questo però non è il principio di indeterminazione, ma una mia riflessione su esso e sull'osservabilita' delle cose in generale, da cui si vede bene come siano indissolubilmente legati l'essere in quanto rilevato e il suo divenire.
Da cui potremmo dedurre che un essere immutabile, un essere in quanto tale, lo si potrebbe forse dedurre, ma mai direttamente rilevare.
Per cui ciò che confondete come essere in quanto tale, a causa della sua evidenza, se così vi appare, per il solo fatto che vi appare non è tale.
Questo spiega perché se Dio esiste , essendo immutabile, non ci appare.
Iano, l'esistere è profondamente diverso dall'essere.
Perché esiste ciò che è oggetto per un soggetto.
Io stesso esisto solo in quanto mi oggettivo.
L'esistenza è a valle della scissione originaria soggetto/oggetto.
Viceversa, l'essere è ciò che sta a monte della scissione.
Quindi permette l'esistenza, ma non vi coincide.
L'esistenza è l'esserci, mentre l'essere è, nell'esserci, nulla.
Cartesio andrebbe inteso come "Penso quindi ci sono"
Con singolarità in questa sede intendo il Big Bang.
Non si ha singolarità dal di fuori.
Non è cioè possibile osservarla, perché non esiste.
Tuttavia è.
La certezza che sia senz'altro, si fonda sulla constatazione che il Tutto non è qualcosa.
Non lo può proprio essere!
Questa constatazione viene prima di qualsiasi prova.
La radiazione di fondo è una conferma, ma inessenziale.
Così come il fotone, il quale per la relatività testimonia la singolarità dell'universo.
Per il fotone, infatti, l'universo non è che un punto e i suoi miliardi di anni non sono mai trascorsi.
Citazione di: iano il 27 Gennaio 2022, 22:26:17 PM
Citazione di: niko il 27 Gennaio 2022, 12:28:27 PM
Citazione di: bobmax il 27 Gennaio 2022, 08:01:23 AM
@Niko
La teoria del Big Bang prevede la nascita del tempo e dello spazio.
Questa è la teoria.
Se poi la si vuole contestare, va bene, ma è un'altra teoria, che occorre però sostenere scientificamente. Cioè basandosi sui dati e non su semplici ragionamenti arbitrari.
Il tempo e lo spazio derivano dal qualcosa.
È il qualcosa che, essendoci, crea lo spazio e il tempo.
Senza il qualcosa non vi è spazio né tempo.
Dal nulla nasce nulla.
Benissimo.
Allora o ci affanniamo a ipotizzare qualcosa che doveva certamente esserci "prima", e quindi un altro tempo e un altro spazio, oppure... il qualcosa è esso stesso nulla!
Orrore...
Tutt'altro!
L'autentico orrore deriva dal qualcosa, dal disperato bisogno che ci sia.
Che l'universo sia nulla ce lo dice pure il fotone. Per il quale non vi è né spazio né tempo, l'universo è una pura singolarità.
PS
L'analisi è importante, ma lo è pure la sintesi.
Senza la sintesi l'analisi resta sospesa, e soprattutto non passa il nostro stesso vaglio.
Il confronto può avvenire concretamente solo con la sintesi.
Ok, saro' sintetico: la songolarita' non esiste perche' se esistesse avrebbe tempo ed energia simultaneamente significativi e violerebbe il principio di indeterminazione,
Niko, fermati un attimo a riflettere.
Come fai a spararne così tante in una volta sola che il big bang al confronto è un dilettante?
Non ho voluto ribattere punto per punto i tuoi post, ma non ne azzecchi una.
Eppure quando stai strettamente dentro al discorso filosofico sei esemplare.
Quindi affrontiamo la questione dal punto di vista filosofico, e posto che tu il principio di indeterminazione lo abbia compreso, secondo te il principio all'istante zero esisteva già?
Beh laddove tu non ribatti io non posso ri-ribattere, il che e' probabilmente un bene per non svaccare la discussione, quindi, per quanto riguarda quel poco che mi hai voluto ribattere in modo argomentato:
Si' hai ragione il problema con la singolarita' non e' l'energia e il tempo simultaneamente determinati, mi ricordavo male, il problema e' invece che un oggetto puntiforme sarebbe contenuto in uno spazio minore della sua lunghezza d'onda.
E quindi, vi sono ottime ragioni per pensare che la meccanica quantistica sia completa, dunque non e' una questione di osservatore se un "oggetto" non e' infinitamente comprimibile; e mi rifiuto nel modo piu' assoluto di considerare l'universo come qualcosa di altro da un "oggetto", insomma da un qualcosa che, pur essendo esso stesso lo spazio e il tempo (concediamolo pure...) esiste in uno spazio e in un tempo piu' "grande", o meglio, prospetticamente piu' ampio, secondo il consueto e banalissimo concetto di cio' che (tanto in filosofia quanto nel senso comune) significa, e comporta, esistere nello spazio e nel tempo.
Se ci pensi, le due cose che ho affermato non sono incompatibili, anche una cosa che e' lo spazio e il tempo, puo' stare, nello spazio e nel tempo, purche' non affermiamo anche che essa sia anche tutto, lo spazio e il tempo in generale disponibile, e che lo sia e' tutto, e' scientificamente tutto da dimostrare.
Insomma questo benedetto big bang e' un fatto naturale come gli altri, quindi esistono condizioni spazio-temporali in cui e' ripetibile, e intendo in senso pieno, molteplicemente ripetibile, in forma di successione o disseminazione, e non solo astrattamente ripetibile, nel senso che secondo una qualche teoria "sta bene dove sta e non altrove", e non mi si venga a raccontare altro, cioe' che la natura fa, non solo "salti", ma addirittura antrpologicamente accomodanti "eccezioni".
Per questo dico non sappiamo nulla del Big bang e non sappiamo neanche se ci sara' li sciopero dei treni dopodomani, il big bang non e' un evento fondativo in assoluto, le indeterminazione su di esso sono paragonabili alle indeterminazione sullo sciopero dei treni, e appunto a tempo fermo non c' e' margine per l'operare del caso, perche' e' un caso tutto e finanche che che il tempo passi, quindi si risolvono molti piu' problemi di quanti non se ne creino a immaginare che il tempo non sia mai stato fermo.
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Come post-scrptum direi che...ci sono cose imcompatibili tanto con l' essere quanto con l'esistenza, e una di queste cose e' il tempo...dato che bobmax, qui, mi vuole fare diventare cosi' sintetico da risultare aforistico, quantomeno :)
@Niko
Non vi è nessuna cosa incompatibile con l'esistenza.
Perché la cosa è la stessa esistenza.
L'esistenza poi è tale solo in quanto temporale.
Senza tempo non vi è esistenza. E quindi nessuna cosa.
L'aforisma, se autentico, è il risultato di una lunga e faticosa analisi a cui segue l'indispensabile sintesi.
Sintesi che è rischio, azzardo, quindi slancio di fede, ma senza la quale tutta l'analisi rimane inutile.
Ciao Niko.
Come dicevo altrove, una singolarità è prima di tutto un oggetto teorico.
Nasce sempre in questa forma.
Una singolarità non ci apparirà mai dunque come evidente , ed è inutile che tu ti inventi l'impossibile come uno spazio dentro uno spazio e un tempo dentro un tempo, per poterlo "vedere" anche solo con un esperimento mentale.
Un oggetto puramente teorico ha lo "svantaggio" che potrebbe non avere un corrispettivo reale, ma il vantaggio di essere ben definito, e quindi di poterne calcolare perfettamente le conseguenze.
Puoi cioè ben prevedere quali effetti dovrebbe avere se esistesse, e puoi provare a rilevare quegli effetti.
Può succedere allora che alcuni di quegli effetti vengano rilevati, e nel caso del big bang si tratta della radiazione cosmica di fondo.
A questo punto sta ad ognuno di noi pesare questa previsione confermata per dare un valore di esistenza.
Tutto questo meccanismo di previsione, ricerca ed eventuale conferma equivale a vedere , senza doversi arrampicare sugli specchi inventandosi ipotesi impossibili.
È un meccanismo semplice , ben oliato e sperimentato, quello della scienza.
Ma nel caso del big bang, per quel ne so', non tutto ciò che è stato previsto e' stato rilevato, quindi la sua esistenza rimane sospesa a metà.
Come al solito si può vedere il bicchiere mezzo teorico o mezzo reale, a seconda dei gusti.
Così c'è chi il big bang se lo beve e chi no.
Tu, col tuo esperimento impossibile mentale cerchi di riprodurre l'evidenza con cui le cose ti appaiono nella realtà, anche se non hai alcuna idea di come quella evidenza si produce, e per questo a me pare che associamo quella evidenza alla verità, perché al pari della verità, non conoscendone l'origine non possiamo metterla in discussione.
Io mi accontento di vedere anche a metà, conoscendo però completamente il processo che porta a quella visione. È un processo noto, che perciò si può mettere sempre in discussione.
Ma paradossalmente siccome è noto, allora non è una verità , perché si può mettere in discussione ciò che realmente si possiede.
Il paradosso della verità è che essa può reggere finché là si possiede per fede, perché nel momento in cui là si possedesse realmente, non sarebbe più tale, potendo essere confutata.
Insisto comunque su un fattore secondo me discriminante della questione, che è la condivisibilita.
Si può condividere solo ciò che si possa esprimere in simboli, e per lo stesso motivo lo si può confutare.
Non si può confutare invece ciò che non si può condividere come una illuminazione, e quella si che mi pare una singolarità senza possibilità di riscontri, e il tuo discorrere mi sembra più un rito magico che la voglia propriziare.
Ma dico te per dire tutti, e a te va' il merito del coraggio di mostrare ciò che su cui altri hanno il falso pudore di cincischiare.
Citazione di: niko il 27 Gennaio 2022, 12:28:27 PM
Ok, saro' sintetico: la songolarita' non esiste perche' se esistesse avrebbe tempo ed energia simultaneamente significativi e violerebbe il principio di indeterminazione, percio' laddove tu dici: "la nascita di spazio e tempo", io dico: "la nascita di durata ed estensione", cioe' degli attributi che sono propri dello spazio e del tempo e che li presumono, e quindi il vuoto preesiste e sopravvive all'universo, e quindi e' plausibile anche che ci sia piu' di un universo.
Quindi cosa e', e cosa sarebbe veramente un nulla? Un nulla sarebbe, ad esempio, quello che si otterrebbe riavolgendo il filmato dell' espansione dell'universo fino al punto massimo possibile, cioe' fino al punto in cui la distanza di tutti i punti dell'universo l'uno dall'altro e' zero, e dunque in un singolo punto sono sovrapposti tutti i punti.
E' un qualcosa la cui esistenza viene congetturata solo perche' c'e' una tendenza, e si puo' legittimamente, ma non certo con certezza, supporre che questa tendenza origini da quelle che sono le sue estreme conseguenze a ritroso, cioe' "dal punto composto di tutti i punti".
Ora, siccome pero' tale oggetto e' assurdo ed e' una singolarita', e' altamente probabile che il processo fisico del possibile riavvolgimento si arresti ad una estensione minima (un punto in cui tutti i punti sono vicinissimi ma non sono perfettamenre a distanza zero) che corrisponde a un ribalzo in cui la natura di espansione/contrazione si inverte, e/o quel punto minimo, ma non inesteso, corrisponde ad una apparizione discreta di un universo gia' parzialmente "formato" nelle sue dimensioni fondamentali, lasciando solo il processo matematico, che a questo punto devi immaginare come separato da quello fisico, a digradante fino a corrispondere al punto, geometrico, contenente tutti gli altri punti.
Spero di essere stato chiaro, e sintetico.
In attesa che tu possa o voglia rispondere al mio post in questo topic del 27 gennaio ore 10.07, volevo fare un'osservazione. Secondo quel che dici vi sarebbe un luogo di punti vicinissimo al punto zero. Allora dico: se quel che noi cerchiamo, invece di stare all'interno del luogo dei punti vicinissimo al punto zero, fosse invece il luogo dei punti stesso, non si potrebbe dedurne che ciò che colma la distanza del luogo dei punti dal punto zero, sia in realtà un campo magnetico? Cioè, la famosa gravità non potrebbe essere una manifestazione del magnetismo?
Citazione di: daniele22 il 29 Gennaio 2022, 09:41:11 AMAllora dico: se quel che noi cerchiamo, invece di stare all'interno del luogo dei punti vicinissimo al punto zero, fosse invece il luogo dei punti stesso, non si potrebbe dedurne che ciò che colma la distanza del luogo dei punti dal punto zero, sia in realtà un campo magnetico? Cioè, la famosa gravità non potrebbe essere una manifestazione del magnetismo?
Non esiste il "campo magnetico".
Semmai, esiste il campo elettromagnetico.
Dove il magnetismo altro non è che una manifestazione, relativistica, del movimento delle cariche elettriche.
Citazione di: iano il 28 Gennaio 2022, 16:07:32 PM
Ciao Niko.
Come dicevo altrove, una singolarità è prima di tutto un oggetto teorico.
Nasce sempre in questa forma.
Una singolarità non ci apparirà mai dunque come evidente , ed è inutile che tu ti inventi l'impossibile come uno spazio dentro uno spazio e un tempo dentro un tempo, per poterlo "vedere" anche solo con un esperimento mentale.
Un oggetto puramente teorico ha lo "svantaggio" che potrebbe non avere un corrispettivo reale, ma il vantaggio di essere ben definito, e quindi di poterne calcolare perfettamente le conseguenze.
Puoi cioè ben prevedere quali effetti dovrebbe avere se esistesse, e puoi provare a rilevare quegli effetti.
Può succedere allora che alcuni di quegli effetti vengano rilevati, e nel caso del big bang si tratta della radiazione cosmica di fondo.
A questo punto sta ad ognuno di noi pesare questa previsione confermata per dare un valore di esistenza.
Tutto questo meccanismo di previsione, ricerca ed eventuale conferma equivale a vedere , senza doversi arrampicare sugli specchi inventandosi ipotesi impossibili.
È un meccanismo semplice , ben oliato e sperimentato, quello della scienza.
Ma nel caso del big bang, per quel ne so', non tutto ciò che è stato previsto e' stato rilevato, quindi la sua esistenza rimane sospesa a metà.
Come al solito si può vedere il bicchiere mezzo teorico o mezzo reale, a seconda dei gusti.
Così c'è chi il big bang se lo beve e chi no.
Tu, col tuo esperimento impossibile mentale cerchi di riprodurre l'evidenza con cui le cose ti appaiono nella realtà, anche se non hai alcuna idea di come quella evidenza si produce, e per questo a me pare che associamo quella evidenza alla verità, perché al pari della verità, non conoscendone l'origine non possiamo metterla in discussione.
Io mi accontento di vedere anche a metà, conoscendo però completamente il processo che porta a quella visione. È un processo noto, che perciò si può mettere sempre in discussione.
Ma paradossalmente siccome è noto, allora non è una verità , perché si può mettere in discussione ciò che realmente si possiede.
Il paradosso della verità è che essa può reggere finché là si possiede per fede, perché nel momento in cui là si possedesse realmente, non sarebbe più tale, potendo essere confutata.
Insisto comunque su un fattore secondo me discriminante della questione, che è la condivisibilita.
Si può condividere solo ciò che si possa esprimere in simboli, e per lo stesso motivo lo si può confutare.
Non si può confutare invece ciò che non si può condividere come una illuminazione, e quella si che mi pare una singolarità senza possibilità di riscontri, e il tuo discorrere mi sembra più un rito magico che la voglia propriziare.
Ma dico te per dire tutti, e a te va' il merito del coraggio di mostrare ciò che su cui altri hanno il falso pudore di cincischiare.
Beh alcuni dei fraintendimento tra noi a questo punto sono abbastanza sicuro che siano terminologici...
se tu vedi ipotesi e invenzioni impisdibili, addirittura arrampicate sugli specchi...
Laddove io alludevo a ipotesi scientifiche sul prima e dopo "temporale", e sui dintorni "spaziali", del Big bang, ben note a chiunque legga un po' di divulgazione scientifica, dunque ipotesi cosmologiche come:
Universo oscillante, big bounce, big crunch, universo nato da fluttuazioni quantistiche del vuoto, inflazione caotica, inflazione eterna, equivalenza tra big bang e buco bianco eccetera;
Insomma, per me, e ora la dico in modo cosi' terra terra che spero si capisca, qualunque teoria che esplori il "prima" o il "dopo" del famoso big bang, in senso teoretico, o almeno nel senso teoretico in cui mi ero espresso prima, venendo, quantomeno da te Iano, frainteso, "pone il tempo in un tempo piu' grande";
e qualunque teoria che contestualizzi il big bang in un qualsiasi tipo di paesaggio/contesto , dal vuoto come vero stato fondamentale, a un altro universo, ad altri luoghi del nostro universo , "pone lo spazio in uno spazio piu' grande":.
Per questo dicevo "disseminazione", nello spazio, e "ripetizione", nel tempo, come cio' che rende un certo evento, o classe di eventi simili, spiegabile secondo un logos naturale o naturalistico, e quindi e' la possibile chiave per figurarsi anche una immagine naturalistica del tempo in se'
come vedi, di fantastico non c'e' niente, e neanche niente si cosi' raffinatamente "mentale".
Cio' che volevo dire; molto semplicemente, era che
mettere un inizio e una fine al tempo, fosse pure la famosa singolarita', e il suo orizzonte/censura che la nasconde, che poi e' niente altro che la caducita' dell'universo stesso e il suo ritorno necessitato ad uno stato morto, privo di eventi, e quindi fondamentale, trascorso, appunto, un certo lasso di tempo, concettualmente
e' niente altro che un paragonare, un associare mentalmente, un assimilare, sostanzialmente due cose:
Quello che comunemente si dice: "il tempo
Con quelli che comunemente si dice: "un singolo e definito lasso di tempo".
Come dire, facciamo un bel paragone tra,
Il concetto generale e materialista di tempo, da una parte, concetto che, se ben compreso, ne implica necessariamente l'eternita' e l'infinita', come nell'Etica di Spinoza, per dire,
e il periodo che va' da lunedi' a mercoledi' della scorsa settimana, dall'altra, all'altra "estremita' " dell'esempio, per fare un esempio qualsiasi di lasso di tempo ben definito;
Ora, e' chiaro, o almeno secondo me, dovrebbe essere chiaro, che questa metafora, questo bel paragone, per quanto utile a far tornare i conti, per quanto confermato da evidenze osservative, per quanto scientificamente plausibile, per quanto esplicativo di molti fenomeni reali e quindi legittimamente utile alla scienza stessa, e', e resta, un "mero" paragone, una "mera" similitudine:
Il tempo non e' paragonabile a nessun singolo lasso di tempo, cosi' come non e' solo un tempo dell' anima ma ha una sua spetrale, irriducibile "oggettivita' ".
il tempo come durata, e' un qualcosa di radicato in un tempo della narrazione, in un tempo antropico, mentre, almeno secondo me, ma penso sia opinione diffusa di molti, la natura necessita l'accettazione e la meditazione di un tempo naturalistico, disantropico, immanentemente infinito, per essere compresa.La mia preferenza per tutto cio' che contestualizza il big bang si spiega cosi', niente di piu' e niente di meno.
Citazione di: daniele22 il 27 Gennaio 2022, 10:07:10 AM
Citazione di: niko il 26 Gennaio 2022, 23:51:27 PMCitazione di: daniele22 il 26 Gennaio 2022, 21:20:38 PMCitazione di: niko il 26 Gennaio 2022, 19:58:47 PM
Il fatto che la scienza cambi la vita non e' scientismo, e' la natura stessa della scienza, scientismo e' usare la scienza per limitare la liberta' e la facolta' di scegliere, imporre la scienza anche a chi non la vuole e non fa niente altro di male oltre a non volerla.
Scusa niko, ognuno è libero di fare ciò che vuole, ma il tuo pensiero, divinità escluse, mi sembra vada a prefigurare una società stratificata in caste. Si pone in ogni caso il problema di un probabile conflitto sociale, giacché non tutti la pensano come la pensi tu. In ogni caso nell'opposizione che si genera tra me e te, ne verrebbe fuori che tu sei uno scientista ed io un umanista. Non so se Ipazia intendesse dire che tu saresti uno scientista, ma per me lo saresti, anche se dici di lasciar liberi quelli che non vogliono la scienza ... queste affermazioni sono un po' in odore di promessa elettorale, o di ingenuità
Era solo per dire che una completezza nel conseguire il sapere scientifico , che poi e' umanamente impossibile, cambierebbe la forma, e quindi anche il contenuto, della vita.
non si puo' rispondere con successo a tutte le domande scientifiche e poi non domandarsi l'implicazione pratica delle risposte e continuare a vivere come se niente fosse e come se la conoscenza fosse un compartimento stagno rispetto alla pratica, anche perche' solo l'implicazione pratica misura la correttezza, e quindi la presunta definirivita', delle risposte che ci si e' dati; l'uomo non funzione cosi' secondo me, funziona che quando conosce una cosa, si chiede cosa significa quella cosa che conosce per lui, e l'uomo di scienza, o comunque utente piu' o meno alla lontana della scienza, non fa eccezione.
Meno male. Grazie niko per la tua adeguata risposta. La filosofia è per me l'arte del corretto pensare. Se sei giovane come dice viator, i suoi consigli sono illuminanti anche se dissento nella sua conclusione. Dico cioè che puoi fidarti di Ipazia, ma non di Wittgenstein (paradossalmente). Nel senso che solo lei può ammettere che certi arbitrii di LW siano proprio arbitrari. Non so se concordi con la mia interpretazione della relatività dal punto di vista dell'essere umano in merito alla relazione dell'informazione in funzione della sua massa, ma non importa, posso anche sbagliarmi. Quel che penso, quindi, è che quando tu dici che il tempo non è che la variazione del tempo nel tempo (velocità del tempo?) dico che questa nozione ti pone in uno stato di consapevolezza, e quindi in uno stato di potenziale gestione di informazioni, che è in un certo senso superiore a quello della gente comune. Per questo motivo dissi che l'uomo attuale vive mentalmente come se vivesse ai tempi di Kant ed Hegel. Non ti sembra che sarebbe giusto colmare almeno questo gap?
Nei post precedenti avevo affermato che attribuisco un grado maggiore di realtà ai fatti, ma non maggiore al punto di poterli affermare come esistenti di per se stessi. Persisto pertanto a negare una realtà oggettiva. Quando Wittgenstein aggiusta quel "cosa in se" trasformandolo in "cosa per noi", di fatto trasferisce la nostra modalità di comprensione dalle cose all'azione delle cose. Ciò significherebbe che a fondare la nostra conoscenza sia l'azione che la cosa compie, e non la cosa. Ciò implica che i sensi servono solo ad individuare la cosa responsabile dell'azione. Nel nostro mondo però succede che gli individui di media cultura pensino che le cose esistono e che noi speculiamo su di esse in quanto esistenti di per se stesse. Questo è cioè il loro atteggiamento mentale. Questo atteggiamento ci retrocederebbe all'interno del mondo di Kant e di Hegel. Da quei tempi bisogna ripartire criticando però il linguaggio e non continuando a fare gli struzzi. Infatti io nego che anche l'azione sia oggettiva, ma la possibilità, giusta o sbagliata che sia, giunge dalla critica al "sostantivo". Affermo cioè che sia la sensazione a poter formare nella nostra mente una generalizzazione di ciò che potenzialmente può divenire un "sostantivo". Naturalmente tale nozione la ricavo all'interno di conoscenze neuroscientifiche in cui si affermerebbe che qualsiasi animale dotato di un certo livello di consapevolezza, che non giunge però ai livelli di criticarla, sia in grado di compiere delle generalizzazioni
Ps: avrei una curiosità che non ho mai potuto accertare circa un esperimento mentale sulla nozione di velocità del tempo e riguarda un ipotetico viaggiatore che parte da Giove ad alte velocità verso la terra guardando con un potentissimo binocolo fin dalla sua partenza i fatti che si svolgono sulla terra. Forse tu potresti dire qualcosa in proposito, magari in un topic dedicato
Beh e' una cosa in po' complicata, in realta' se osservi cose mio distanti, come la terra da' Giove, il presente degli oggetti molto lontani che osservi e' esteso, come dire che ci vuole da dove sei tu del tempo, anche ore o giorni, perche' il futuro dell'oggetto lontano diventi passato, insomma il presente di cio' che ti e' distante non ha piu' duratata infinitesima per te dal tuo.punto di vista, e questo ti impedisce nel modo piu' assoluto di avere una visione continua e cinematica, tipo come potrebbe essere quella ottenuta con un binocolo, di cio' che sta succedendo laggiu'.
Ciao Niko.
Un tempo dentro un tempo e uno spazio dentro uno spazio non mi risulta siano concetti che si possano riscontrare anche solo a livello divulgativo, livello oltre il quale io non vado comunque.
Non riesco a trovare un equivalente matematico che mi aiuti a capire cosa tu voglia dire.
Sono certo che si tratti di una idea originale, ma che non hai del tutto chiara in testa, dal modo in cui la esprimi, che non è un modo semplificato di esprimerti a nostro uso, ma è solo un modo di esprimersi confuso, che sono certo riuscirai meglio chiarire a te stesso e quindi poi a noi.
Per mia esperienza ciò avviene quando vi sono convinzioni profonde in noi, ma non esplicitate abbastanza da poter essere comunicate,dando per scontato che siano condivise.
Il big bang non si espande dentro nulla, perché tutto nasce a partire da esso, se per semplicità di discorso consideriamo che ve ne sia uno solo in atto.
Tutto ciò che può essere concettualizzato, compreso il nulla e il vuoto , qualunque cosa intendiamo con essi, stanno dentro all'universo che si origina dal big bang, perché se stanno fuori dell'universo allora ne stiamo considerando solo una parte.
Come ha ribadito più volte anche Bobmax lo spazio inizia ad esistere col big bang.
Possiamo aiutarci con analogie per immaginare, ma rispettando i paletti delle pur parziali risultanze sperimentali.
Cosa ci suggerisce a questo proposito il rilevamento della radiazione di fondo?
Questa radiazione in qualunque punto dell'universo ci poniamo arriva indifferentemente da ogni direzione e in egual misura per ogni direzione.
Per intendere cosa sia ti ho proposto di immaginarti al centro del sole, dove vedrai che si realizza quella condizione, di radiazione che arriva indifferentemente da ogni direzione e in egual misura.
Ma appena ti sposti dal centro non si ha più quella uguaglianza e si rompe la simmetria.
L'universo che deriva dal big bang è un po' come il sole, ma con la differenza che se ti "sposti dal centro" si mantiene l'uguaglianza di radiazione, come se ogni suo punto fosse un suo centro, ma allora è più sensato dire che non ha un centro, e che quindi usare il termine "espansione" non è del tutto appropriato.
Se e quando l'universo era un punto , possiamo dire che esso avesse un centro, coincidendo con esso?
Se proprio lo vogliamo dire, allora la radiazione di fondo ci dice che esso non ha mai smesso di coincidere con quel "centro" .
Certo, nel momento in cui impropriamente immaginiamo l'universo iniziale come un punto, siccome un punto non può esistere che dentro uno spazio,forse perciò tu vedi che quando quel punto produce uno spazio, questo si espanda dentro lo spazio in cui stava quel punto iniziale.
Ma allora significa solo che la nostra immaginazione tanto ci aiuta a comprendere quanto ci aiuta a confonderci.
Una teoria che inquadri i fatti va' inevitabilmente oltre i fatti, e la sua interpretazione va' oltre la teoria stessa, e la nostra immaginazione ancora oltre.
Ma se ci limitiamo ai soli fatti, senza una teorizzazione, non possiamo fare previsioni, e quindi non possiamo agire secondo volere, perché non vi sono alternative fra cui scegliere.
La previsione poi in se'sarebbe un puro calcolo, e non c'è nulla da capire in un calcolo.
Un calcolo si esegue, non si comprende.
Esistono però scorciatoie di calcolo, a fronte di relativa eventualmente accettabile imprecisione, usando una interpretazione della teoria, e a partire da questa con sempre crescente grado di imprecisione, usare immaginazione.
Quello che a noi appare evidente attraverso la percezione , tanto da confondere come vero ciò che vediamo, è invece il risultato di un calcolo molto raffazzonato che riassume in modo gestibile operativamente il nostro rapporto con la realtà .
E' un calcolo che si può sempre meglio precisare, ed è quello che facciamo quando, fuor di percezione, usiamo la scienza e la tecnica, ma tutto ciò ha un costo che deve essere sempre sostenibile.
Allo stesso tempo possiamo continuare ad usare analogie percettive, con l'immaginazione.
Questo è quello che noi diciamo capire, e ci sembra di doverlo porre come priorità, ma è in effetti solo una possibilità procedurale.
Nel momento in cui aumenta la sostenibilità economica del calcolo, usando computer che danno risultati istantanei,, aumenta la precisione con cui possiamo applicare la teoria, potendo fare a meno dell'immaginazione. Cessa la necessità di capire con tutte le imprecisioni che comporta.
Tutto ciò non sembra però essere soddisfacente , perché la mancata comprensione sembra farci sfuggire il controllo sulla situazione.
Ciò perché consideriamo che la mancanza di controllo diretto su tutto ciò che facciamo sia l'eccezione, e non la norma, tendendo ad amplificare l'importanza di ciò che passa per la nostra coscienza, che funziona come una lente di ingrandimento, per cui l'evidenza della realtà si riduce a ciò sta dentro il nostro orizzonte.
Citazione di: iano il 30 Gennaio 2022, 05:03:31 AM
Certo, nel momento in cui impropriamente immaginiamo l'universo iniziale come un punto, siccome un punto non può esistere che dentro uno spazio,forse perciò tu vedi che quando quel punto produce uno spazio, questo si espanda dentro lo spazio in cui stava quel punto iniziale.
Ma allora significa solo che la nostra immaginazione tanto ci aiuta a comprendere quanto ci aiuta a confonderci.
Una teoria che inquadri i fatti va' inevitabilmente oltre i fatti, e la sua interpretazione va' oltre la teoria stessa, e la nostra immaginazione ancora oltre.
Ma se ci limitiamo ai soli fatti, senza una teorizzazione, non possiamo fare previsioni, e quindi non possiamo agire secondo volere, perché non vi sono alternative fra cui scegliere.
La previsione poi in se'sarebbe un puro calcolo, e non c'è nulla da capire in un calcolo.
Un calcolo si esegue, non si comprende.
Esistono però scorciatoie di calcolo, a fronte di relativa eventualmente accettabile imprecisione, usando una interpretazione della teoria, e a partire da questa con sempre crescente grado di imprecisione, usare immaginazione.
Quello che a noi appare evidente attraverso la percezione , tanto da confondere come vero ciò che vediamo, è invece il risultato di un calcolo molto raffazzonato che riassume in modo gestibile operativamente il nostro rapporto con la realtà .
E' un calcolo che si può sempre meglio precisare, ed è quello che facciamo quando, fuor di percezione, usiamo la scienza e la tecnica, ma tutto ciò ha un costo che deve essere sempre sostenibile.
Allo stesso tempo possiamo continuare ad usare analogie percettive, con l'immaginazione.
Questo è quello che noi diciamo capire, e ci sembra di doverlo porre come priorità, ma è in effetti solo una possibilità procedurale.
Nel momento in cui aumenta la sostenibilità economica del calcolo, usando computer che danno risultati istantanei,, aumenta la precisione con cui possiamo applicare la teoria, potendo fare a meno dell'immaginazione. Cessa la necessità di capire con tutte le imprecisioni che comporta.
Tutto ciò non sembra però essere soddisfacente , perché la mancata comprensione sembra farci sfuggire il controllo sulla situazione.
Ciò perché consideriamo che la mancanza di controllo diretto su tutto ciò che facciamo sia l'eccezione, e non la norma, tendendo ad amplificare l'importanza di ciò che passa per la nostra coscienza, che funziona come una lente di ingrandimento, per cui l'evidenza della realtà si riduce a ciò sta dentro il nostro orizzonte.
Il tempo sta dentro al tempo come mercoledi' scorso sta dentro la settimana scorsa.
Lo spazio sta dentro allo spazio come un fazzoletto sta dentro la mia tasca.
O meglio, visto che si vuole la matematica, un elemento x qualsiasi, sta dentro y, laddove y e' maggiore di x, come un fazzoletto sta dentro una tasca o mercoledi' scorso sta dentro la settimana scorsa.
E' una questione di puro e semice contenimento, in senso matematico di insiemistica.
Puoi ben dire che il mio discorso da un certo punto in poi si complica, ma non che sia complicato fin dall'inizio, per questo prima dicevo che, per vederlo complicato fin dall'inizio, bisogna fraintenderne i termini.
L'unica complicazione e' che qui x e' l'eta'dell'universo intesa come totalita' del tempo sia sensato che conoscibilie, quindi non si sa che cosa possa mai essere y, la cosa piu' grande, piu' capiente, della totalita' del tempo, la cosa che puo' contenere la totalita' del tempo (x) e anche dell'altro, un ossimoro, un assurdo.
Ok, sono, e penso siamo, ben lungi dal capire che cosa possa essere questo assurdo e come "dominarlo", come riportarlo ad essere cosa comprensibile, ma ogni teoria che continui la storia del big bang oltre il big bang e prima del big bang ne dirada un po' l'assurdita' e l'incomprensibilita' : l'ipotesi che il big bang sia ripetibile, e' un qualcosa di concettualmente simile a quello che (se, appunto, fosse possibile) sarebbe una sua collocazione temporale, un abbozzo di collocazione nel tempo, e l'ipotesi che sia diffuso e disseminato ne e' un abbozzo di collocazione spaziale.
Insomma io mi immagino qualcosa del tipo:
"se nel tempo in cui io sono c'e' un limite insuperabile, e nello spazio in cui sono un confine insuperabile, intendo limiti di estensione, e quindi di conoscibilita', dato che la mia posizione non ha nulla di speciale (insomma da Copernico in poi, una struttura omogenea del cosmo deve pur prevalere su una frattale all'infinito delle lunghe distanze), il modo di esistere per legge di natura di questa "struttura dell'insuperabile", il modo di esistere di cio' che in genere pone i limiti, come classe di oggetti e non come pura "singolarita', sara' quello della sua disseminazione e/o della sua ripetizione, disseminazione e ripetizione che, nell'esperienza comune, sono normali forme di contenimento dell'ente nel tempo, e qui e solo qui, vengono; al limite, gentilmente prestate a una similitudine in cui si voglia liberamente immaginare il contenimento del tempo nel tempo e dello spazio nello spazio".
La mia e' solo una similitudine? Certo che si'.
Che cosa vuole fare questa similitudine in questo contesto?
Vuole far emergere che, anche paragonare un qualsiasi lasso di tempo iniziante e terminante, fosse pure l'eta'dell'universo, tredici miliardi di anni, all'eternita intesa come totalita' del tempo, e paragonare qualsiasi spazio finito, o conchiuso, a un'estensione infinita intesa come totalita' dello spazio disponibile, tutto cio' e' gia' paragonare, o meglio e' gia' tentare di esprimere, lo spazio e il tempo con le loro singole parti, un giochetto che io personalmente accetto solo a condizione di essere libero di pensare il modo di stare delle parti nel tutto, di opporre le mie similitudini a quelle che sento in giro, altrimenti, se si assolutizza il modo (prospettico) in cui la parte e' il tutto, ne' risulta solo una narrazione (un microcosmo antropocentrico, come poteva essere prima di Copernico), una cattiva singolarita'.
@ Niko.
Mi è adesso più chiaro il tuo pensiero, e quindi con maggiori argomentazioni posso dire perché non lo condivido, come da te stesso esortato a fare..
Naturalmente sei libero di credere che il big bang abbia bisogno di uno spazio per espandersi, e quindi in sostanza che ad esso preesista qualcosa, uno spazio appunto, e che da esso quindi non si derivi l'intero universo ma una sua parte parte. Oppure si deriva tutto l'universo, Ed è per te come un fazzoletto dentro una tasca che non è parte.
La fisica moderna purtroppo mette all'angolo la nostra immaginazione.Ma sopratutto essa ci dice oggi che non possiamo astrarci del tutto dall'antropomorfismo, perché equivarrebbe ad astrarre l'osservatore dall'osservato, assolutizzandolo, ricadendo dentro un inconsapevole antropomorfismo di nuovo.
Possiamo solo prendere coscienza che ci saranno sempre nella nostra conoscenza elementi antropomorfi che possiamo però provare a relativizzare.
Copernico ha dimostrato che possiamo cambiare punto di vista, spostando il centro da cui osserviamo le cose, ma ciò non equivale ad eliminarlo. Se invece che al centro della terra ci immaginiamo al centro del sole, quello che non cambia è che nel centro ci stiamo sempre noi, in presenza o in immaginazione, con possibile esperimento mentale da te prima richiamato.
I progressi della scienza si possono descrivere da Copernico in poi come un continuo decentramento.
Lo spazio Euclideo, è stato e continua ancora ad essere uno di questi centri , lo spazio "antropomorfo" della nostra percezione.
La scienza oggi ci dice che non è da dare per scontato, e che lo si possa cambiare con altri e che conviene farlo a seconda dei fatti che si vogliano spiegare.
Fino a un certo punto è ancora possibile riuscire a "vedere questi spazi" facendo ad esempio una analogia con una sfera dentro allo spazio euclideo, ma l'analogia non deve essere spinta oltre il necessario. Uno spazio non euclideo, è solo intuitivamente rappresentato come con una sfera, ma non bisogna spingere l'analogia oltre il necessario, concludendo che lo spazio non euclideo possa stare dentro uno spazio euclideo.
Parlando del big bang ipotizzare lo spazio euclideo non è il miglior modo per spiegare i fatti a nostra disposizione. Intuitivamente conviene immaginarlo come la superficie di una sfera classica euclidea.
Ma non è tanto questo il punto.
Il punto è che il tipo di spazio va' definito in via preliminare, mentre tu ne presupponi una esistenza a priori come necessaria senza doverla definire.
Un segmento sta dentro una retta, come un fazzoletto nella tasca, perché sono tutti enti definiti coerentemente a partire dallo stesso tipo di spazio. Definire lo spazio in via preliminare è necessario per poter discriminare cosa può stare dentro cosa.
Alla luce di queste considerazioni potresti pensare di dover rivedere il tuo spazio dentro uno spazio.
Citazione di: iano il 30 Gennaio 2022, 15:49:28 PM
@ Niko.
Mi è adesso più chiaro il tuo pensiero, e quindi con maggiori argomentazioni posso dire perché non lo condivido, come da te stesso esortato a fare..
Naturalmente sei libero di credere che il big bang abbia bisogno di uno spazio per espandersi, e quindi in sostanza che ad esso preesista qualcosa, uno spazio appunto, e che da esso quindi non si derivi l'intero universo ma una sua parte parte. Oppure si deriva tutto l'universo, Ed è per te come un fazzoletto dentro una tasca che non è parte.
La fisica moderna purtroppo mette all'angolo la nostra immaginazione.Ma sopratutto essa ci dice oggi che non possiamo astrarci del tutto dall'antropomorfismo, perché equivarrebbe ad astrarre l'osservatore dall'osservato, assolutizzandolo, ricadendo dentro un inconsapevole antropomorfismo di nuovo.
Possiamo solo prendere coscienza che ci saranno sempre nella nostra conoscenza elementi antropomorfi che possiamo però provare a relativizzare.
Copernico ha dimostrato che possiamo cambiare punto di vista, spostando il centro da cui osserviamo le cose, ma ciò non equivale ad eliminarlo. Se invece che al centro della terra ci immaginiamo al centro del sole, quello che non cambia è che nel centro ci stiamo sempre noi, in presenza o in immaginazione, con possibile esperimento mentale da te prima richiamato.
I progressi della scienza si possono descrivere da Copernico in poi come un continuo decentramento.
Lo spazio Euclideo, è stato e continua ancora ad essere uno di questi centri , lo spazio "antropomorfo" della nostra percezione.
La scienza oggi ci dice che non è da dare per scontato, e che lo si possa cambiare con altri e che conviene farlo a seconda dei fatti che si vogliano spiegare.
Fino a un certo punto è ancora possibile riuscire a "vedere questi spazi" facendo ad esempio una analogia con una sfera dentro allo spazio euclideo, ma l'analogia non deve essere spinta oltre il necessario. Uno spazio non euclideo, è solo intuitivamente rappresentato come con una sfera, ma non bisogna spingere l'analogia oltre il necessario, concludendo che lo spazio non euclideo possa stare dentro uno spazio euclideo.
Parlando del big bang ipotizzare lo spazio euclideo non è il miglior modo per spiegare i fatti a nostra disposizione. Intuitivamente conviene immaginarlo come la superficie di una sfera classica euclidea.
Ma non è tanto questo il punto.
Il punto è che il tipo di spazio va' definito in via preliminare, mentre tu ne presupponi una esistenza a priori come necessaria senza doverla definire.
Un segmento sta dentro una retta, come un fazzoletto nella tasca, perché sono tutti enti definiti coerentemente a partire dallo stesso tipo di spazio. Definire lo spazio in via preliminare è necessario per poter discriminare cosa può stare dentro cosa.
Alla luce di queste considerazioni potresti pensare di dover rivedere il tuo spazio dentro uno spazio.
Io, sostanzialmente, penso che l'universo non possa essere ne' continuo ne' puntiforme in nessun momento della sua storia, sostanzialmente perche' penso che il tempo debba poter essere espresso come velocita' del tempo (ritmo), e lo spazio come vibrazione e automovimento dello spazio stesso, e il puntiforme e il continuo, se esistessero, sarebbero lo stato sub-minimo in cui il tempo prescinderebbe dalla sua velocita' e lo spazio dalla sua modificazione.
Come dire che anche la versione minima, dello spazio e del tempo, ne prevede l'estensione, quantomeno perche' entro questa estensione deve pur avvenire qualcosa, deve pur esserci, se non un contenimento, quantomeno un autocontenimento, di cio' che avviene.
Quindi non e' che l'espansione/contrazione sia un concetto improprio, viceversa io la vedo come un concetto cosi' fondante e fondamentale da escludere lo stato puntiforme e "centrato", (stato che, se fosse in essere, la contraddirebbe)
come realta' in ogni istante di ogni possibile serie di istanti e finanche nell'istante zero: del resto, a tempo fermo, non c'e' neanche la causa per cui il tempo debba smettere di essere fermo e divenire qualsivoglia altra cosa o evento, un tempo fermo e' anche un tempo eterno, non c'e' nulla che possa far preferire un punto o un altro per iniziare qualcosa, e dunque nulla inizierebbe.un segmento puo' stare in una retta, ma anche in qualsiasi cosa che abbia piu' dimensioni della retta, ad esempio in un piano. Magari il modo in cui lo spazio e' nello spazio e' 'un qualcosa di simile, vi e' un tipo di contenimento in cui non e' ulteriormente possibile decentrate il punto di vista per chi vive in un numero limitato di dimensioni, ma cio' non vuol dire che non ci sia un "fuori" in assoluto.
@Niko.
Ciao Niko.
Se ben capisco, concordo con te nel pensare un universo in estensione, e allo stesso tempo mai nato, ma anche che il big bang non ne sia necessariamente la prova contraria, senza che osti necessariamente pensarlo in uno stato puntuale. La sua espansione e' solo uno dei modi in cui descriviamo il suo divenire, ma io eviterei di confondere l'universo con ogni sua possibile descrizione, per quanto basata sui fatti. Dai fatti non possiamo trarre alcuna verità, ma solo altri fatti, e dunque le teorie nin sono vere se a partire dai fatti ci consentono di prevederli .
Possiamo descrivere l'universo partendo da una ipotesi di continuità come dal suo contrario, ma non è da credere che esso sia una cosa o l'altra, che esso cioè nella sua sostanza abbia a che fare direttamente con le nostre descrizioni.
Questa convinzione mi appare antropomorfa, e se credo che l'antropomorfismo sia ineliminabile, perché non si può eliminare l'osservatore, esso però vada messo in evidenza quando ci appare.
Queste diverse descrizioni non sono contraddittorie se sono alternative. Non è necessario che stiano una dentro l'altra In una armoniosa reciproca comprensione, per quanto ciò o sia sempre desiderabile.
In genere penso che il divenire non implichi necessariamente un inizio ne' una fine.
Questa necessità è una delle tante ipotesi che agiscono in noi a nostra insaputa, immagino implicata in non troppo esplicite definizioni di essere .
Diverse descrizioni dell'universo si sono susseguite e continueranno a farlo, perché su di esse si basa l'agire dell'osservatore il quale diviene proprio in virtù del suo diverso agire basato su queste diverse descrizioni, ma non è neanche necessario identificare l'osservatore con un preciso modo di agire se i modi si tengono distinti.
Esso può agire diversamente a piacere. Può agire dentro un mondo Euclideo o non Euclideo.
Si può ipotizzare il multiverso, e una volta ipotizzato provare a viverci dentro, ma in effetti è quello che abbiamo sempre fatto, e ha senso chiamarlo uni-verso solo perché viviamo in un universo uno alla volta per la coerenza richiesta dal nostro agire.
Nel momento in cui abbiamo preso coscienza che la geometria euclidea non fosse , l'unica possibile, non si sono moltiplicate le,realtà, ma le sue possibili descrizioni ognuna delle quali vale un universo.
Quindi, tutto sommato, l'idea antropomorfa che siamo noi al centro dell'universo non è sbagliata, se siamo noi a creare l'universo.
L'osservatore non può fare a meno di prendere posizione.
Ma nel momento in cui prendi coscienza della necessità di un centro, allora puoi prendere coscienza di quello in cui ti trovi, e quindi lo puoi cambiare.
Così l'universo non solo lo puoi raccontare com'è nato da un punto, in coerenza con certi fatti, punto che si definisce come astrazione delle parti, come ciò che "nasce" per diminuzione delle parti, ma dando risalto piuttosto che alle operazioni di somma e sottrazione , alla simmetria.
In effetti sembra essere ben coerente coi fatti partire da una ipotesi di simmetrica , dove ciò che conta è che si mantenga la simmetria. Dove si può ben pensare che nasca qualcosa da un punto,,e ancor meglio dal nulla di cui il punto è una rappresentazione ottenuta per diminuzione , ma sempre insieme al suo contrario, di modo che la somma continui a fare zero.
Non sembra esserci però un universo che contenga coerentemente tutti i fatti.
Se la radiazione di fondo, con la sua perfetta simmetria ci conferma un universo nato dal nulla, o da un punto, che non avendo parti , non ha in particolare parti privilegiate, le galassie e i loro ammassi suggeriscono un asimmetria iniziale, quindi dentro una piccola ma non nulla estensione iniziale, come dici tu, e quindi non simmetrica, a meno che non venga in soccorso all'ipotesi di simmetria la materia oscura , che costituisce il novantasei per cento di quello di cui stiamo parlando , e di cui nulla al momento, o quasi, sappiamo in termini di fatti.
Diciamo pure che finora abbiamo fatto i conti senza l'oste.
In sostanza dovremmo curare di non confondere la buona pratica di non moltiplicare , laddove ci riusciamo, le ipotesi, col credere di poterle univocamente definire. Della buona pratica suggeritaci da Guglielmo di Occam, Godel ce ne evidenzia il motivo, che non è possibile se non in casi limitati e poco significativi,dimostrarne la coerenza delle ipotesi iniziali.
Ma non è importante da quale ipotesi partiamo, ma quali fatti esse riescano a spiegare, ed essendo i fatti limitati può venirci in soccorso anche una teoria limitata per sua natura.
L'universo può ben essere nato da un punto, che però non è singolare se una ipotesi non è singolare, ma eventualmente inopportuna , e un universo è solo una possibile descrizione della realtà in sufficientemente limitata coerenza con un necessariamente limitato numero di fatti.
Di coerente per sua natura c'è solo la realtà, ma nessuna sua possibile descrizione per sua natura, come ci dimostra Godel lo è .
Il motivo per cui non è facile capire Godel è che egli afferma ovvietà a cui le sue dimostrazioni non aggiungono nulla, servendo solo a confutare le nostre convinzioni contrarie, che sia possibile ridurre una verità in simboli.
Se nessun percorso serve a trovarla, la verità , possiamo curare però che sia breve, perché l'economia di pensiero è essenziale ad un efficace agire.
Dovrebbe venirci in soccorso la riflessione filosofica nel dirci che se la verità è assoluta, non lo sono i simboli coi quali vorremmo affermarla, e che è insensato pensare un percorso che vada dal relativo all'assoluto, e che se proprio si vuol tentare almeno che sia breve, ciò che di solito facciamo, mostrando di non essere del tutto insensati.
La riflessione filosofica dovrebbe evitare di inseguire chimere come la verità assoluta ed essere più rigorosa, soprattutto sul piano etico, sulle verità relative su cui si fonda ogni vita degna di essere vissuta.
Citazione di: Ipazia il 02 Febbraio 2022, 14:48:41 PM
La riflessione filosofica dovrebbe evitare di inseguire chimere come la verità assoluta ed essere più rigorosa, soprattutto sul piano etico, sulle verità relative su cui si fonda ogni vita degna di essere vissuta.
Concordo pienamente, ma ci sono diverse cose da precisare.
Non si può prendere innanzi tutto sottogamba, e tu non lo fai, l'esigenza di verità, se questa ha finora guidato, e in gran parte ancora lo fa', la ricerca dei filosofi.
Occorre quind quantomeno spiegare questa esigenza.
Quali sono stati i risultati di questa ricerca così fortemente connotata, e quali sono le possibili conseguenze nel cambiargli i connotati, come io provo a fare, al punto che Daniele dice io l'abbia in odio, la verità.
In qualche modo ho provato a dire la mia in proposito, derubricando l'esigenza di verità in quella di condivisione non fine a se stessa, ma finalizzata all'azione, e quindi comunque riguardante un'etica, ma anche questa da rivedere nella sua definizione.
"Decidere" una verità equivale a darsi una metà comune, e non è scontato come ciò si possa fare rinunciando a una verità . Di fatto finora le presunte verità ci hanno permesso una azione comune, ma non ci hanno impedito di sbagliare, consentendoci di fatto il continuare a imparare dai nostri errori, l'unica cosa che malamente sappiamo fare,, dove la verità ha funzionato illuminando per un raggio non certo illimitato il percorso, come si diceva per convincere tutti ad andare.
Ma una nuova etica è possibile solo se ciò in qualche modo si possa diversamente continuare a fare un percorso comune..
Non accettando più il meccanismo della verità, e in mancanza di un meccanismo sostitutivo, di fatto io evito di affrontare argomenti di etica, e allo stesso tempo mi sento oppresso, fino a temere per la mia incolumità, chi si aspetta da me cosa dovrei fare in nome di una presunta verità.
È un problema di non poco conto, ma mi rifiuto di considerarlo risolto, ignorandolo come per lo più vedo fare.
Vedo però anche diversi in questo forum che non mettono la testa sotto la sabbia, come quelli che si limitano a maledire il nichilismo andando in cerca di untori.
Quelli per i quali il futuro è un epidemia e il presente una decadenza.
La prima verità etica che la filosofia pose nel suo mirino fin dalla caverna di Platone, la lanterna di Diogene cinico, l'illuminazione di Buddha, i sepolcri imbiancati di Cristo, ... è che siamo letteralmente immersi nella menzogna. Letteralmente perché lo sono anche le nostre leggi.
Le contraddizioni tra vulgate ideologiche dominanti e società umana investono ogni angolo della vita sociale, inclusa la (cono)scienza che dovrebbe essere veicolo immacolato della verità alla nostra portata.
Ragionare di verità assoluta in un mondo in cui i templi, religiosi e laici, sono invasi da sbirri e mercanti, appartiene al regno cosmicomico della patametafisica e, appena raggiunta l'età della ragione, bisognerebbe astenersi da tali immani (e inani) sforzi del pensiero.
Più sensato è isolare la verità in ambiti circoscritti in cui dimostri di essere tale, come quando vai dal meccanico e ritorni con la macchina riparata. Il bene è una sommatoria di queste piccole verità che ci portano il cibo in tavola e ripuliscono i nostri consessi (poco) civili.
Quanto alle cure, siamo nel pieno di una bufala colossale in cui la menzogna regna sovrana e pertanto attenderei il ritorno della verità prima di includerle nella sommatoria del bene.
Cara Ipazia,
Concluderei che in attesa di tempi, diciamo così, forse migliori, prendiamo da ogni contingenza il buono che ci offre, che credo oggi consista nel pensare con la propria testa come forse mai ci è stato dato fare, privi anche dell'autocensura di un etica da rifondare. Non tutti sembrano disposti ad "approfittare" di questa insolita libertà, ma se una nuova etica ci sarà siamo noi a doverla pensare.
Intanto, in questo frangente, mi sento rassicurato dal fatto che ci siano persone sensate come te, che, per quello che ci è consentito fare, guardano in faccia la realtà vivendo nel presente e provando a immaginare un futuro.
Siamo d'accordo, ma non tanto che si possa dire noi non si abbia indipendenza di pensiero, cosa che tutti dovrebbero esercitare , finché sarà possibile fare, e questa mi sembra l'unica urgenza etica a corto raggio che riesco a vedere.
Come si può essere veri, sinceri, onesti se le nostre azioni e affermazioni sono rivolte al futuro, futuro che non dipende da noi, sta oltre noi, fuori dal nostro controllo.
Da qui l'inevitabile falsità, insincerità e disonestà.
Chi dimentica il passato finisce col riviverlo (cit). Vi sono nel passato e nel presente segni premonitori che lo spirito filosofico, o anche semplicemente colto, riesce a decifrare. La prima regola è quindi ripercorrere gli esempi del passato e la covidemia è un ottimo esercizio per la sua applicazione.
Assolto questo minimo obbligo sindacale, direi che sindacare il futuro è impresa ardua e pure, concordo, fallace. Il massimo che possiamo fare è seminare nel presente il futuro che vorremmo, consapevoli che è scommessa, non verità infusa. Piuttosto un "blowing in the wind" che un "must". E, nel caso di eventi infausti in corso, attendere che passi 'a nottata. Avendo fede nell'induzione, che tante volte ha detto la verità.
La verità è il metodo che crede di aver trovato il giocatore per vincere in un gioco alla pari, ma che si dimostra vincente solo quando forza il gioco.
È la motivazione stessa che ci porta a puntare ,e smetteremmo di puntare se il metodo mostrasse di funzionare. .
Se la verità è il miraggio d'acqua nel deserto , è perché lo vediamo, che andiamo avanti , fermandoci solo dopo averla trovata.
Ma veramente ci vogliamo fermare , e veramente lo possiamo fare?
È veramente il nostro scopo estinguere una sete?
O andare avanti per l'illusione di estinguerla?
Nel momento in cui puntiamo su una verità, il futuro , seppur resta imprevedibile, è però già' condizionato. A cosa serve infatti una verità se non a vincere l'ansia del futuro, e l'unico modo di scongiurare il futuro è di crearlo a partire dalle nostre verità.
Davvero pensiamo che noi staremmo a violentare la natura, se ci fosse almeno un ambiente naturale che ci accolga senza condizioni, come farebbe una madre, una madre che tutti gli altri animali hanno?
Con buona ragione essi si aspettano un futuro sempre uguale, fatto di immutabili convenzioni che perciò non appaiono tali. Vivono senza aspettative, ne' di vita, ne' di morte, e quando questa arriva semplicemente si ci trovano davanti.
Noi il futuro ce lo dobbiamo costruire. E per questo ci siamo inventati la verità.
La nostra vita e la nostra morte non possiamo non considerarle, e siccome le consideriamo ci inventiamo vite che vanno anche oltre, ma che stranamente somigliano sempre all'attuale, seppur nella sua forma più smagliante.
Così i cacciatori ascenderanno a una riserva di caccia, i mandrilli a un harem personale, e i filosofi alla verità.
Il paradosso è che possiamo arrivarci solo alla fine della vita, come dire che siamo arrivati non quando la metà è raggiunta, ma quando non possiamo più proseguire, perché è finita la strada.
È questo un paradosso che ben vedremmo se volessimo vedere.
Ma uno ancora più nascosto, è che non occorrerebbe aspettare la fine della strada per fermarci, se per strada incontrassimo la verità.
Senza tante complicazioni antropologiche vi è una via naturale verso l'immortalità ed è la procreazione. Ma se ti tolgono anche la voglia di procreare la partita, qualunque essa sia, è persa.
E' interessante che persino Gesù, interrogato da Pilato, preferisca tacere.
Giovanni 18; 37-38
......sono venuto al mondo per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce.
Gli dice Pilato: < Che cos'è la verità?>. E, detto questo, uscì........
Gesù non preferisce tacere, è Pilato che non gliene dà il tempo.
Le interpretazioni di questo strano passaggio sono molteplici. Una di esse è la seguente:
Pilato è figlio della cultura greco-romana, cultura raffinata e smaliziata, che ha visto le migliori menti interrogarsi su quel concetto senza peraltro venirne a capo.
Pilato ha di fronte quel che considera un buzzurro, nato in fazzoletto di terra ingrata piena di sassi,, figlio di un popolo ininfluente, fanatico, rissoso e ribelle. E' sorpreso e indispettito dalla sparata presuntuosa, che denota sventatezza e improntitudine. Pilato fa la domanda e subito gira i tacchi per rendere palese a Gesù (ed al mondo intero ) quel che pensa di lui.
Riprendo questa discussione ma da un punto di vista spirituale, quindi incentrando il tema sul rapporto tra verità e soggettività, verità e coscienza.
Su questo rapporto qual è il modello proposto dall'antichità?
Credo si possa dire sia quello del cammino pedagogico, con alcune varianti ma convergente nell'immagine platonica della caverna: il soggetto fa esperienza di qualcosa che lo spinge verso la luce, dall'ombra alla luce, dalla confusione alla chiarezza, dall'errore alla verità.
Al centro di questa rappresentazione c'è la figura del saggio, che è libero dalle illusioni, che ha una visione delle cose veritiero e che quindi è anche puro da un punto di vista etico.
L'interiorità del saggio è al riparo da ricadute? Sì, perché chi vede chiaramente la verità non può più credere nell'errore e quindi essere di nuovo trascinato nell'illusione.
Il cristianesimo nel III e IV secolo mette in crisi questo modello introducendo l'idea che l'interiorità possa essere abitata da un elemento satanico.
Ora la versione cristiana del saggio, il santo, colui che dedica tutta la propria vita alla verità, non può mai essere sicuro di se stesso, al riparo dalle ricadute. È costretto a riesaminare continuamente la propria coscienza.
Si assiste così ad una proliferazione dell'elemento demoniaco: il monaco non fa che chiedersi per ogni pensiero che si affaccia alla sua coscienza se "è dei nostri o viene dall'avversario".
Come si è arrivati a sospettare che la propria interiorità fosse abitata da un Altro diabolico?
Forse per una questione dottrinale, per uno sviluppo teologico del tema biblico del peccato originale. Da questo punto di vista l'Altro satanico risulterebbe essere l'invenzione estrema di una setta religiosa che poi, convertendo l'Europa, ha finito per determinare una concezione antropologica sempre sbilanciata sul sospetto di chi o che cosa abitano veramente l'interiorità umana: Satana, e poi nella modernità, la follia e l'inconscio.
Ma c'è anche la possibilità che questo modello, nonostante l'uso della materia del demoniaco che ci appare molto più grezza rispetto alla cultura greca dell'anima, venga da osservazioni in realtà più rispondenti rispetto a ciò che accade effettivamente nella coscienza: la tendenza cioè ad essere soggetti a forze che si riconoscono chiaramente come distruttive e che ciò nonostante "costringono", per quanto si cerchi di resistere, all'azione portatrice di morte, di divisione, di disgregazione.
Un istinto di morte potente che si cercava di arginare almeno parzialmente tramite esorcismo, e che necessitava di un accompagnamento spirituale permanente.
Credo che la nuova visione introdotta dal cristianesimo, come coscienza del male che è in noi, sia potenzialmente positiva, se invece di provare a esorcizzarlo ci alleniamo a prevenire i suoi prevedibili effetti.
Una frase che non vorrei sentire più dire è ''sembrava un così bravo ragazzo...nessuno poteva immaginare...''
La verità però in questo discorso non riesco a farcela entrare.
A proposito dell'ultimo intervento di kobayashi, che meriterebbe una discussione apposita. Non credo che la differenza sia: ellenismo=visione pedagogica con stralcio del lato demoniaco, cristianesimo = lotta infinita con il lato demoniaco. Anche nella cultura greca era presente il "male" dell'uomo, oltre la malattia: il male dell'uomo in quanto demoniaco. Ed era un male che non necessariamente veniva superato attraverso l'insegnamento dei saggi, usciti dalla caverna. Quel male, impermeabile alla saggezza umana, discendeva dagli dei, dal fato. Non era possibile opporsi ad esso. Bisognava affrontarlo virilmente una volta che si era svelato, esso era al di sopra delle singole volontà. In questo gioco il "male" diventava una eco, una serie di corrispondenze, da un male a quello successivo, dove tutta la storia, la cultura, la mitologia sembrano enunciare la legge per cui tutti sono colpevoli e tutti sono innocenti, secondo vie ambivalenti e tragiche. In questo consiste il senso "tragico" dell'ellenismo. La "commedia" cristiana (e "divina") connota il male inteso come malvagità, un carattere a cui ci si può e ci si deve opporre. In un certo senso, in questo processo si deve riconoscere al cristianesimo un progresso verso l'individuazione e la responsabilità del singolo. Se è vero che la divina provvidenza è assimilabile all'ananke, è vero anche il contrario, poiché gli individui nel cristianesimo scelgono mentre nella cultura greca no. In questo senso si potrebbe dire che Socrate fu il primo Cristiano, a cui si contrappone la figura di Edipo, primo elleno.
La nuova concezione cristiana non è però esente da controindicazioni. Se infatti da un lato insiste sulla responsabilità individuale, dall'altro, inevitabilmente tenderà a dividere l'umanità in santi e dannati, mentre la cultura greca riconobbe in ognuno di noi, la compresenza di aspetti angelici e di aspetti demoniaci, con i quali bisogna convivere. La tolleranza pagata al prezzo di una visione statica della storia da parte dei greci, la storia come sviluppo e progresso continuo, pagata al prezzo dell'intolleranza da parte dei cristiani.
Citazione di: Jacopus il 24 Febbraio 2022, 22:22:42 PMLa nuova concezione cristiana non è però esente da controindicazioni. Se infatti da un lato insiste sulla responsabilità individuale, dall'altro, inevitabilmente tenderà a dividere l'umanità in santi e dannati, mentre la cultura greca riconobbe in ognuno di noi, la compresenza di aspetti angelici e di aspetti demoniaci, con i quali bisogna convivere. La tolleranza pagata al prezzo di una visione statica della storia da parte dei greci, la storia come sviluppo e progresso continuo, pagata al prezzo dell'intolleranza da parte dei cristiani.
https://en.wikipedia.org/wiki/Chthonic
This makes some deities such as Hades, Persephone, and Erinyes more likely to be considered chthonic due to their proximity to the underworld. While this is the case, virtually any god could be considered chthonic to emphasize different aspects of the god.Nella cultura greca la multiversalità del carattere era riconosciuta anche a livello divino. Tutti gli dei avevano aspetti caratteriali visibili solo quando arrabbiati, tristi, etc.Apollo, lessi da qualche parte, se deluso dall'umanità avrebbe creato piaghe di locuste.Ma andando ancora più indietro della cultura ellenica, molte culture - nel tempo in cui il pensiero della reincarnazione era diffuso - vedevano il male come una prova educativa ed una dimostrazione.Lo stesso "angelo del veleno" ebraico https://it.wikipedia.org/wiki/SamaelÉ un agente di dio che semina tentazione e rovina (vi ricorda qualcuno della cultura cristiana? :D ) allo scopo di separare i valorosi dai non. Per usare termini moderni... "Beta tester"!Comunque credo che per analizzare al meglio il vissuto della considerazione del "malvagio" bisogna anche recuperare le idee metafisiche degli antichi, cosi diverse dalle nostre attuali.Reincarnazione e singola vita come segmento di un sentiero che dovrà insegnarci ad arrivare molto piu lontano;prova per la vita eterna, ovvero esame dal pensiero tortuoso e azione incerta, pieno di tranelli appositi.L'assenza del male e del dolore in una vita era a volte vista come un male superiore a se stante da certe scuole spirituali, poiché negava il senso proprio della vita (imparare ad innalzarsi sopra le circostanze).