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LOGOS - Argomenti => Tematiche Filosofiche => Discussione aperta da: 0xdeadbeef il 13 Luglio 2018, 10:29:25 AM

Titolo: La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: 0xdeadbeef il 13 Luglio 2018, 10:29:25 AM
Vorrei provare a ragionare e far ragionare sulla "volontà di potenza", di cui molto si è scritto e molto spesso
nei soliti termini (forza, sopraffazione etc.), vista da una prospettiva diversa.
E' vero che Nietzsche spesso la descrive egli stesso in quei termini, ma è altrettanto vero che egli la intende
essenzialmente come il, diciamo, "motore primo" di ogni agire umano.
Da questo punto di vista dicevo provocatoriamente che forse persino S.Francesco e Madre Teresa erano animati da
volontà di potenza. Perchè appunto il loro "motore primo" era la volontà che le loro idee e i loro principi
morali avvessero a "primeggiare", ad "imporsi", su quelli che essi ritenevano "dis-valori" (dal punto di vista
religioso Dio "vince" il demonio).
Sappiamo bene che per la filosofia anglosassone, fin almeno da Hobbes, il "Bene" è ciò che viene desiderato e che
piace all'individuo.
Dunque per gli Anglosassoni l'utile individuale, che è "motore primo" dell'agire umano (l'uomo agisce sulla base
di ciò che gli procura piacere o dolore) è anche ritenuto sommo "Bene" (in quanto, nel sostrato metafisico alla
base di questa visione, vi è un "grande orologiaio" che fa sì che l'utile dell'individuo corrisponda all'utile
della collettività, cioè che si configuri come "Bene" in assoluto).
Io trovo che nella volontà di potenza Nietzsche recuperi in qualche modo la concezione anglosassone, ma per così
dire la "depuri" dal grossolano elemento metafisico in essa presente (ed ancora presentissimo in certe sfumature
della contemporaneità, basti guardare alle teorie economiche neoclassiche).
L'uomo agisce sulla base di ciò che gli procura piacere o dolore, chiaramente perseguendo il primo termine e
cercando di evitare il secondo. E visto che piacevole è senz'altro il primeggiare (delle proprie idee e principi
ma anche di se stessi), ecco allora che vero ed autentico Motore Primo diventa una volontà di potenza che va
ad obliare e a succedere al Motore Primo aristotelicamente (poi religiosamente) inteso.
Credo in definitiva che buona parte delle ragioni della visione filosofica nietzscheiana vadano ricercate proprio
nella filosofia anglosassone e nel suo concetto di "Bene".
La volontà di potenza, dunque, come volontà di perseguire ciò che piace e che è utile. Senza "orologiai" o
infingimenti che ne ammantino ipocritamente la cruda realtà.
saluti
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: viator il 13 Luglio 2018, 11:38:43 AM
Salve. Dal mio punto di vista la "volontà di potenza" non è altro che l'espressione - tipicamente ed esclusivamente umana - del poter e del voler dedicarsi all'esercizio delle facoltà.

Data la gerarchia naturale BISOGNI-NECESSITA'-FACOLTA', una volta che l'uomo abbia soddisfatto le prime due istanze (i bisogni sono semplicemente quelli fisiologici - la necessità è semplicemente la riproduzione), per l'uomo si pone il problema di come utilizzare quelle  funzioni ulteriori di cui l'evoluzione l'ha equipaggiato facendolo appunto "umano".

Corpo, organi, psiche, istinto di sopravvivenza, memoria rappresentano le dotazioni e le funzioni necessarie e sufficienti a soddisfare bisogni e necessità (infatti sono quelle presenti anche negli animali),  mentre la coscienza ed il mentalismo (quindi ancora poi l'intelletto e la capacità di astrazione) sono appunto quelle funzioni che non hanno nulla a che vedere - in forma diretta - con la nostra sopravvivenza individuale o di specie.

Perciò la loro esistenza mette per così dire "a disposizione" una quota di risorse interiori e dicapacità  "ridondanti" che noi utilizzeremo per "inaugurare" la nuova sfera individuale delle FACOLTA'.
Le quali - in concreto - consistono nel poter e voler fare ciò a cui non siamo costretti o condizionati, quindi ciò che possiamo scegliere di fare, quindi ciò che "ci piace".

Quindi, sempre secondo me, l'espressione nietzchiana "volontà di potenza" (che tra l'altro risulta poco chiara e perciò troppo facilmente mistificabile) andrebbe addirittura ribaltata definendola come "capacità di volere liberamente".
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: 0xdeadbeef il 13 Luglio 2018, 15:57:07 PM
Dal punto di vista che cerco di illustrare ciò che procura il piacere, un utile, o un dolore si pone ad un livello
che abbraccia anche i bisogni e le necessità (basti pensare ad un digiunatore per scelta spirituale, o ad un
masochista così come il masochismo viene illustrato dallo psicologo nietzschiano Alfred Adler).
Basti pensare a quello che è l'atto del suicidio, che va senza dubbio contro ogni istinto di sopravvivenza (in un
suicida il dolore di vivere è tale che la morte viene vista come unico rimedio, risultandone così un piacere, un
utile).
Io credo in sostanza che, se la volontà di potenza equivale alla ricerca del piacere o dell'utile (che è la tesi
che sostengo in questo post), ciò vada ad  abbracciare questioni che solo apparentemente ne rimangono fuori.
Ora, è pensabile che in un nevrotico, in un malato psichico qualsiasi, in un sucida o in un digiunatore vi sia
volontà di potenza? Io lo credo. Magari, certo, non ad un livello conscio, ma nell'inconscio sicuramente (e su
questo punto mi richiamerei ancora ad Adler).
La volontà di potenza, dunque, come "motore primo" di QUALSIASI agire o pensare umano; come ciò che vi è di unitario
nel molteplice, in definitiva come vera e propria "sostanza" o "essere" (per usare una terminologia classica della
metafisica).
A me sembra un'ipotesi da non escludere (una ipotesi che, fra le altre cose, va per così dire ad
armonizzarsi con l'ipotesi heideggeriana dell'essere come "physis" (chiaramente dopo la cosiddetta "svolta").
La volontà di potenza è dunque l'Essere che la filosofia cerca da millenni? Non lo so, ma mi sembra affascinante...
saluti
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: sgiombo il 13 Luglio 2018, 16:58:41 PM
E copio-incollo quanto da me scrtto in proposito in una precedente discussione nel forum ("la morale é egoismo mascherato secondo voi?"):

Importante é secondo me non confondere, come spesso fanno coloro che sono tendenzialmente più o meno egoisti, soddisfazione (piacere, felicità, ecc.), che può darsi tanto dell' egoista quanto dell' altruista, con insoddisfazione (dolore, infelicità ecc.), che pure, del tutto parimenti, può darsi tanto dell' egoista quanto dell' altruista (a seconda che le ben diverse aspirazioni degli uni e degli altri, più o meno egoistiche o più o meno altruistiche, siano soddisfatte o meno).

Non dobbiamo confondere soddisfazione (ovvero piacere, felicità, benessere interiore) con egoismo e insoddisfazione, sofferenza, dolore con altruismo.

C' é una bella differenza!
 
 L' egoista che soddisfa il proprio egoismo (per esempio accumulando ricchezza da taccagno senza fare né dare mai nulla per chi ha bisogno di essere in qualche modo aiutato) é felice (ceteris paribus), ma non per questo non é egoista.
 
 L' egoista che non riesce ad ottenere tutto quello che vorrebbe per sé malgrado la sua taccagneria (e magari invidia altri più fortunati) é infelice (ceteris paribus), ma non per questo non é egoista, non per questo diventa altruista.
 
 L' altruista che non riesce a soddisfare la propria generosità (per esempio perché troppo povero per poter fare regali a chi ne ha bisogno) é infelice, ma non per questo non é altruista.
 
 E l' altruista che soddisfa il proprio altruismo (per esempio elargendo denaro o aiutando in altri modi chi ne ha bisogno) é felice (ceteris paribus), ma non per questo non é altruista, non per questo diventa egoista.
 
 Egoismo =/= soddisfazione, benessere interiore, felicità
 
 e
 
 altruismo =/= insoddisfazione, sofferenza, infelicità (e anche =/= masochismo).


La felicità, il benessere interiore, la gioia (cioé la soddisfazione dei propri desideri) può conseguirla o meno (a seconda dei casi) tanto l' egoista quanto l' altruista.
Chi la ottiene non é egoista o altruista per il fatto di ottenerla, ma invece (per il fatto di ottenerla) é felice, soddisfatto, anche se é altruista!!!
E chi non la ottiene non é altruista o egoista per il fatto di non ottenerla, ma invece (per il fatto di non ottenerla) é infelice, insoddisfatto, anche se é egoista!!! 

Che vuol dire "volontà di potenza?
Ogni tipo di volontà (qualsiasi tipo: più o meno buono a seconda di questo o quel punto di vista) ccrca per definizione una soddisfazione.
E sa la trova fa felice, contento, "piaciuto" il suo (delle volontà) soggetto, se non la trova lo fa infelice. scontento, "spiaciuto".
Ma non affatto per questo una volontà vale l' altra ! ! !
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: cvc il 13 Luglio 2018, 17:17:43 PM
Scusate, ma la volontà di potenza che altro sarebbe se non l'ego stesso? Una volta che l'individuo, tramite l'autocoscienza, percepisce di esistere, cerca poi di conservarsi, di accrescersi, di assimilare a se il mondo circostante. Ma la questione cruciale secondo me è distinguere se la volontà è un atto ragionato oppure un impulso. Perché ciò che deriva dalla percezione di se deve essere un impulso. Ossia realizzo di essere un vivente e di conseguenza si manifestano in me i relativi bisogni, da quelli primari a quelli via via più sofisticati come quello di affermare me stesso (volontà di potenza?). Ma quando si parla di volontà a me viene in mente un qualcosa di più ragionato. Un conto è la volontà di mangiare perché si ha fame, e non c'è molto di ragionato in questo. Altra cosa è dire di volere una certa cosa perché dopo avervi ragionato molto sopra si crede sia una cosa giusta. Quindi dove si colloca la cosiddetta volontà di potenza? Nell'agire ragionato o nel mero impulso?
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Sariputra il 13 Luglio 2018, 18:15:41 PM
Concordo con Sgiombo sulla differenza tra egoismo e altruismo e sull'assurdità di definire come egoismo la soddisfazione che si prova nell'essere altruisti. La sua spiegazione mi piace così tanto che me la sono stampata... ;D
La volontà è la facoltà e la capacità di volere (Treccani); è il fatto di volere.
Ma volere significa sempre volere qualcosa. Non esiste un volere astratto. Il volere è sempre in relazione all'oggetto del volere.
Nel caso della volontà di potenza si vuole potenza.
Ora...io possiedo un'auto sgangherata che dispone di soli 71 hp di potenza. Proprio ieri salivo arrancando i tornanti di Passo Rolle con tale fatica , a causa della poca potenza, che mi si è formata alle terga una colonna di giganteschi Suv, pieni di potenza, che reclamavano la mia decisione di voler fermarmi per farli passare ( cosa che naturalmente non faccio mai...). Confesso che, in quei momenti, anch'io volevo potenza, desideravo ardentemente con la mia volontà di aver più potenza. Ma non è bastato volerlo... :(
Direi quindi che la volontà di potenza di N. non è la semplice volontà di ottenere qualcosa di ottenibile in quel dato momento e in quel contesto, ma un desiderio di potere di più...lui ha creduto di individuare nei valori dell'Occidente quello che gli negava di potere di più, come io ho individuato nella scarsa potenza del mio motore  la possibilità che mi veniva negata di poter di più (salire più velocemente e far mangiare la mia polvere ai  strapotenti Suv... ;D ).
Ma perché io volevo salire più velocemente? E perché N. voleva più potenza, più libertà di soddisfazione del suo desiderare? Perché questo serve a "solidificare" il senso dell'Io/mio che sempre ci sentiamo minacciati da ciò che ci circonda e dal divenire di ogni cosa...è una profonda debolezza che sogna di farsi forza...
Namaste a tutti tra il serio e il faceto
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: paul11 il 13 Luglio 2018, 19:09:00 PM
Sariputra a mio parere ha posto giustamente il problema sulla volontà.
Adatto che negli ultimi tempi cercavo di capire il passaggio fra atto e potenza ,fra possibilità  e volontà in quanto storicamente sono mutati i termini, gli antichi utilizzavano di più  il termine possibilità, è con la modernità che il termine volontà acquisisce più importanza.
Dovere ,potere e volere sono definiti verbi modali, detti anche verbi servili perchè presuppongono qualcosa.

La volontà ha preso forza storicamente relazionandolo con la libertà e i questo ha influito il libero arbitrio del cristianesimo.
Adatto che questo mio studio mi sta mettendo in crisi( e son ben felice quando entro in crisi) alcune considerazioni che avevo, fino a pensare che il termine  potenza vada depotenziato.
Al giorno d'oggi in molte circostanze, motivazionali viene detto comunemente"......basta volerlo", quasi che fossero sparite le condizioni.La possibilità invece rispetta le condizioni di volizione".........io vorrei, ma non so se  posso".
Potere per me è qualcosa ......di arrogante.
Ho cercato a mia interpretazione di come Nietzsche pensi la volontà di potenza, come impulso naturale, il problema è capire se questo impulso sia poi "addomesticabile",ci devono essere insomma delle condizioni di rispetto, dei limiti ed è per questo che nei topic di economia e politica utilizzo il delirio di onnipotenza moderno.
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: cvc il 13 Luglio 2018, 19:57:30 PM
Può essere utile a questa discussione:
https://www.google.com/amp/s/linattuale.wordpress.com/2018/02/15/nietzsche-e-spinoza-rinnovarsi-tra-conatus-essendi-e-volonta-di-potenza/amp/
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: 0xdeadbeef il 14 Luglio 2018, 09:27:39 AM
Ma è lecito equiparare la ricerca del piacere con l'egoismo?
Mi pare Leibniz disse, a proposito del concetto di "Bene" anglosassone: "la ricerca del proprio piacere e utile è
bene a meno che non vada a ledere il piacere e l'utile altrui" (le parole magari non sono proprio queste ma lo è
senz'altro il senso).
Il senso di ciò che voglio dire con questo post è che SE la ricerca del proprio piacere e utile è assimilabile
alla volontà di potenza, allora la volontà di potenza si presenta proprio come impulso primordiale e universale;
appunto come: "ciò che c'è di unitario nel molteplice".
Ma allora, si dirà, che cosa ha mai scoperto Nietzsche che già non fosse stato detto dalla filosofia anglosassone?
E beh, magari potrebbe aver detto/aggiunto che non vi è alcun valore morale che un "grande orologiaio" ha posto a
fondamento di quell'utilitarismo...
Potrebbe aver detto che la ricerca del proprio piacere e utile è SEMPRE bene, a prescindere che vada o meno a ledere
il piacere e l'utile altrui...
Non mi sembrerebbero aggiunte da poco.
Perchè, ed è evidentissimo, quell'"a meno" (che non vada a ledere etc.) leibnitziano è fondato sul valore morale (che
nessuno che non sia il "grande orologiaio" può fondare).
Su questo punto il concetto nietzschiano mi sembra dirompente. La volontà di potenza (che coincide, se la mia tesi fosse
plausibile, con la ricerca del proprio piacere e utile) come impulso primitivo ed universale non è da considerare né Bene
né Male (ma è appunto: "al di là del Bene e del Male"). Perchè il Bene e il Male sono concetti morali che, semmai, SONO
fondati dalla volontà di potenza; non essa, la volontà di potenza come ricerca dell'utile e del piacere, fondata SUI
valori morali com'è nella filosofia anglosassone.
salut
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: sgiombo il 14 Luglio 2018, 17:03:21 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 14 Luglio 2018, 09:27:39 AM
Ma è lecito equiparare la ricerca del piacere con l'egoismo?
Mi pare Leibniz disse, a proposito del concetto di "Bene" anglosassone: "la ricerca del proprio piacere e utile è
bene a meno che non vada a ledere il piacere e l'utile altrui" (le parole magari non sono proprio queste ma lo è
senz'altro il senso).
Il senso di ciò che voglio dire con questo post è che SE la ricerca del proprio piacere e utile è assimilabile
alla volontà di potenza, allora la volontà di potenza si presenta proprio come impulso primordiale e universale;
appunto come: "ciò che c'è di unitario nel molteplice".
CitazioneMi sembra ovvio che da tutti tipi di volontà particolari possibili, più o meno egoistiche oppure altruistiche, si può astrarre il concetto di "volontà in generale" (e magari chiamarla "volontà di potenza").


Ma allora, si dirà, che cosa ha mai scoperto Nietzsche che già non fosse stato detto dalla filosofia anglosassone?
E beh, magari potrebbe aver detto/aggiunto che non vi è alcun valore morale che un "grande orologiaio" ha posto a
fondamento di quell'utilitarismo...
CitazioneBeh, questo l' avevano già detto in tantissimi, anglosassoni o meno.

In maniera particolarmente lucida Hume -a me particolarmente caro malgrado fosse "anglosassone": non sono razzista- aveva molto chiaramente rilevato che dall' "essere" della realtà non é possibile dedurre in maniera logicamente corretta alcun "dover essere" (né dalla conoscenza di ciò che é alcuna conoscenza di ciò che deve essere, che si deve fare. Ma contrariamente a Nietzche, Hume era un uomo estremamente bonario, generoso, affabile, tollerante e pure sereno e soddisfatto della vita).


Potrebbe aver detto che la ricerca del proprio piacere e utile è SEMPRE bene, a prescindere che vada o meno a ledere
il piacere e l'utile altrui...
Non mi sembrerebbero aggiunte da poco.
CitazioneBuono (ciò che é bene) =/= soddisfacente, piacevole, gratificante, ecc.

Che anche le persone più grette ed egoiste possano essere felici (se soddisfatte nella loro grettezza ed egoismo) é ovvio; ma non equipara certo le loro meschine e malvagie aspirazioni a quelle ben diverse degli altruisti, generosi e magnanimi il fatto che in entrambi i ben diversi casi la soddisfazione delle rispettive aspirazioni é (per definizione) felicità, gioia, benessere interiore.


Perchè, ed è evidentissimo, quell'"a meno" (che non vada a ledere etc.) leibnitziano è fondato sul valore morale (che
nessuno che non sia il "grande orologiaio" può fondare).
CitazioneCerto, lo sapevano benissimo già in tanti anche prima di Nietzche.

Ma ciò non toglie che di fatto tutti gli uomini lo sentano dentro di sé (più o meno fortemente, e contrastato più o meno fortemente da opposte tendenze egoistiche a seconda dei casi; in conseguenza delle esperienze vissute e non del codice genetico, secondo me).
E che la scienza biologica, in particolare la teoria sostanzialmente darwinaiana dell' evoluzione biologica per mutazioni genetiche "casuali" e selezione naturale (se correttamente intesa) spiega benissimo tutto questo (cioé ci fa comprendere molto soddisfacentemente come sia del tutto naturale e per nulla stupefacente che esista una morale umana universale "di fatto" -in parte; in altra parte é socialmente condizionata e dunque geograficamente variabile e storicamente transeunte, mutevole- pur senza poterla ovviamente dimostrare, ovvero porne l' universalità su un piano per così dire "di diritto": non é scritta da alcun Dio su alcuna "tavola della legge", non é in alcun modo dimostrabile, ma naturalissimamente tutti l' avvertono dentro di sé; ovviamente in maniera più o meno forte e accanto ad altre tendenze più o meno forti ad essa diverse ad anche contrarie).


Su questo punto il concetto nietzschiano mi sembra dirompente. La volontà di potenza (che coincide, se la mia tesi fosse
plausibile, con la ricerca del proprio piacere e utile) come impulso primitivo ed universale non è da considerare né Bene
né Male (ma è appunto: "al di là del Bene e del Male"). Perchè il Bene e il Male sono concetti morali che, semmai, SONO
fondati dalla volontà di potenza; non essa, la volontà di potenza come ricerca dell'utile e del piacere, fondata SUI
valori morali com'è nella filosofia anglosassone.
salut
CitazioneBeh, é semplicemente come dir che il "volere" in generale" (avere aspirazioni qualsiasi) é astrazione che include i concetti meno generali (meno astratti, relativamente più concreti) di "volere il bene" (avere aspirazioni altruistiche, generose, magnanime) e di "volere il male" (avere aspirazioni egoistiche, grette e meschine o malvagie).

Scusami, amico Mauro, ma tutto ciò mi sembra molto banale.
E soprattutto non ne consegue alcuna indebito "appiattimento" o equiparabilità fra aspirazioni altruistiche e aspirazioni egoistiche, che rimangono reciprocamente contrarie ed opposte.
Stalin e Hitler rientrano nella medesima classe generale e astratta dei "dittatori", ma fra le loro scelte politiche c' era a mio parere molto maggiore differenza che fra quelle di Hitler e quelle di Churchill o rispettivamente fra quelle di Stalin e di Salvador Allende (faccio questo esempio pur sapendo che é decisamente anticoconformistico e i più pensano il contrario, secondo l' ideologia -falsa coscienza- dominante arendtiana del "totalitarismo", sulla quale molto e assai bene ha scritto il compianto Domenico Losurdo).
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: 0xdeadbeef il 15 Luglio 2018, 13:56:39 PM
A Giulio (Sgiombo) come a tutti.
A scanso di equivoci e per farla breve sono convinto, come Nietzsche, che il valore morale non possa avere altro fondamento
se non la divinità.
Sì, anche per coloro che lo sentono "dentro di sè", e allo stesso tempo dichiarano di non credere, il valore morale altro
non è se non una "religiosità inconscia". Perchè quella del valore morale non può essere altro che una metafisica.
La scimmia che digrigna i denti nel tentativo di emettere la prima parola (nella sua trasformazione in essere umano) e che
dice gutturalmente: "io sono il creatore" (non mi ricordo mai in quale opera di Nietzsche si trovi...), potrebbe
indifferentemente dire di amare il prossimo come di odiarlo.
Sarebbe appunto totalmente e definitivamente indifferente che si pronunci per l'una o per l'altra cosa, e laddove noi
"osassimo" pronunciarsi per un qualcosa che fondi un'affermazione piuttosto che l'altra non faremmo che pronunciare un
articolo di fede (certo, anche se ci si pronunciasse per il "male" e per l'odio sarebbe la medesima cosa).
Ritengo sia questo che Nietzsche vuol dirci quando ci parla di un "aldilà del bene e del male". La ricerca del proprio
utile e piacere come "essere" dell'uomo; come sua "sostanza unitaria nella sua molteplicità"; non ammette considerazioni
sulla bontà o sulla malvagità di questa stessa ricerca.
Probabilmente sono io ad essere eccessivamente affascinato (ma farei meglio ad usare il termine "atterrito"...) da questa
riflessione, che non trovo quindi per nulla banale.
Certo che c'è un appiattimento fra aspirazioni altruistiche ed egoistiche: come fai a non vederlo (o come faccio io a vederlo)?
"Non uccidere" (non rubare; non sfruttare etc.): e chi l'ha detto?
L'ha forse detto la scimmia nel suo diventare uomo quando nella sua ricerca del piacere e dell'utile ha stabilito cos'è "sacro"?
E che mi importa di quello che ha detto: io cercherò, seguendo il mio utile e il mio piacere, di essere più potente di lui, e
sovvertirò quel che lui ha detto.
saluti
PS
Ti ho risposto su quella cosa della conoscenza, forse ti è sfuggito
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: sgiombo il 15 Luglio 2018, 15:50:27 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 15 Luglio 2018, 13:56:39 PMSarebbe appunto totalmente e definitivamente indifferente che si pronunci per l'una o per l'altra cosa, e laddove noi
"osassimo" pronunciarsi per un qualcosa che fondi un'affermazione piuttosto che l'altra non faremmo che pronunciare un
articolo di fede (certo, anche se ci si pronunciasse per il "male" e per l'odio sarebbe la medesima cosa).
Ritengo sia questo che Nietzsche vuol dirci quando ci parla di un "aldilà del bene e del male". La ricerca del proprio
utile e piacere come "essere" dell'uomo; come sua "sostanza unitaria nella sua molteplicità"; non ammette considerazioni
sulla bontà o sulla malvagità di questa stessa ricerca.
Probabilmente sono io ad essere eccessivamente affascinato (ma farei meglio ad usare il termine "atterrito"...) da questa
riflessione, che non trovo quindi per nulla banale.
Certo che c'è un appiattimento fra aspirazioni altruistiche ed egoistiche: come fai a non vederlo (o come faccio io a vederlo)?
"Non uccidere" (non rubare; non sfruttare etc.): e chi l'ha detto?
L'ha forse detto la scimmia nel suo diventare uomo quando nella sua ricerca del piacere e dell'utile ha stabilito cos'è "sacro"?
E che mi importa di quello che ha detto: io cercherò, seguendo il mio utile e il mio piacere, di essere più potente di lui, e
sovvertirò quel che lui ha detto.
saluti
PS
Ti ho risposto su quella cosa della conoscenza, forse ti è sfuggito

Il problema del noumeno e dei fenomeni voglio prenderlo in considerazione con più calma (magari oggi stesso, se ce la farò) perché mi sembra più complesso da affrontare.

La ricerca del proprio utile o piacere (preferirei dire della propria soddisfazione o felicità) mi sembra sinonimo di "il proporsi di realizzare quel che si vuole" o "il volere quel che si vuole" (qualsiasi cosa si voglia).

E non esiste (oltre che nessun Dio che e lo scriva su tavole di pietra o comunque ce lo faccia sapere in qualche modo) nessuna possibilità di dimostrare razionalmente ciò che é da volersi o che é bene volersi (la ragione può servire per valutare se ciò che si vuole é realizzabile o meno e in caso affermativo come realizzarlo: attraverso quali mezzi, data la situazione in cui ci si trova a volere e ad agire): gli scopi, contrariamente ai mezzi, si sentono come pulsioni irrazionali avvertite dentro di sé: non esistono "comandamenti circa il buon agire" o valori morali "di diritto" (divino né umano).

Ma di fatto, in conseguenza dell' evoluzione biologica per mutazioni genetiche "casuali" e selezione naturale (e per motivi ben comprensibili conoscendola scientificamente; le virgolette perché sono determinista e non credo che alcunché sia casuale, ma casomai moltissime cose sono di fatto imprevedibili, incalcolabili per insuperabili limiti soggettivi di conoscenza della realtà), ogni uomo -universalmente di fatto- avverte dentro di sé come (ovviamente irrazionali, indimostrabili) pulsioni ad agire o finalità da perseguire (fra l' altro, ovviamente) la ricerca del bene e della felicità degli altri senzienti, un' "istinto di solidarietà" o di "amore del prossimo e del lontano: degli altri" ovvero un istinto "di altruismo" (non ignoto nemmeno a Leopardi; come appare molto chiaramente per esempio nella Ginestra). E si rende istintivamente conto che violarlo sarebbe una pessima cosa (sarebbe "male"), assecondarlo un' ottima cosa (sarebbe "bene").
Ovviamente i desideri e pulsioni umani (ma in qualche nettamente minor misura anche degli altri animali) sono molteplici e in tantissimi casi reciprocamente incompatibili (soddisfacibili gli uni alternativamente agli altri; ovviamente tutti, chi più chi meno, hanno anche desideri malvagi, e la scelta di assecondare in maggiore o minor misura gli uni e/o gli altri può essere molto variabile da caso a caso, cosa che sta sotto gli occhi di tutti.

Ma questo secondo me non appiattisce affatto minimamente le aspirazioni e le condotte altruistiche su quelle egoistiche.
 "Non uccidere" (non rubare; non sfruttare etc.): e chi l'ha detto? Lo dice la coscienza di ogni uomo (declinando in parte questi "comandamenti di fatto" interiori, universali in un' accezione generalissima, in diversi modi storicamente condizionati in ultima istanza e non semplicisiticamente dalla dialettica fra sviluppo delle forze produttive sociali e rapporti di produzione); ovviamente c' é chi (per ragioni non certo genetiche ma letteralmente "epigenetiche" e in larga misura storico-culturali e non naturalistiche) é più o meno moralmente buono, generoso, magnanimo e segue più o meno conseguentemente gli imperativi categorici (per usare una terminologia che credo ti sia cara) non scritti su nessuna tavola di pietra da nessun Dio e non dimostrabili con nessun ragionamento ma di fatto presenti "dentro di tutti", e c' é chi é più o meno malvagio, gretto e meschino e più o meno conseguentemente li viola.
La scimmia nel suo diventare uomo (e in qualche minima misura anche prima: molti animali privano sensazioni molto simili all' umana vergogna) l' ha puramente e semplicemente avvertito dentro di sé come ha avvertito la fame, la sete, l' istinto all' accoppiamento, ecc.
E dunque chi é malvagio cercherà, seguendo il suo utile e il suo piacere, di essere più potente degli altri, dei quali se ne fregherà, chi é buono no (id est: si definisce "malvagio" chi cercherà, seguendo il suo utile e il suo piacere, di essere più potente degli altri, dei quali se ne fregherà e "buono" chi si comporterà in maniera opposta a questa).

Ciao!
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Sariputra il 15 Luglio 2018, 16:37:23 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 15 Luglio 2018, 13:56:39 PMA Giulio (Sgiombo) come a tutti. A scanso di equivoci e per farla breve sono convinto, come Nietzsche, che il valore morale non possa avere altro fondamento se non la divinità. Sì, anche per coloro che lo sentono "dentro di sè", e allo stesso tempo dichiarano di non credere, il valore morale altro non è se non una "religiosità inconscia". Perchè quella del valore morale non può essere altro che una metafisica. La scimmia che digrigna i denti nel tentativo di emettere la prima parola (nella sua trasformazione in essere umano) e che dice gutturalmente: "io sono il creatore" (non mi ricordo mai in quale opera di Nietzsche si trovi...), potrebbe indifferentemente dire di amare il prossimo come di odiarlo. Sarebbe appunto totalmente e definitivamente indifferente che si pronunci per l'una o per l'altra cosa, e laddove noi "osassimo" pronunciarsi per un qualcosa che fondi un'affermazione piuttosto che l'altra non faremmo che pronunciare un articolo di fede (certo, anche se ci si pronunciasse per il "male" e per l'odio sarebbe la medesima cosa). Ritengo sia questo che Nietzsche vuol dirci quando ci parla di un "aldilà del bene e del male". La ricerca del proprio utile e piacere come "essere" dell'uomo; come sua "sostanza unitaria nella sua molteplicità"; non ammette considerazioni sulla bontà o sulla malvagità di questa stessa ricerca. Probabilmente sono io ad essere eccessivamente affascinato (ma farei meglio ad usare il termine "atterrito"...) da questa riflessione, che non trovo quindi per nulla banale. Certo che c'è un appiattimento fra aspirazioni altruistiche ed egoistiche: come fai a non vederlo (o come faccio io a vederlo)? "Non uccidere" (non rubare; non sfruttare etc.): e chi l'ha detto? L'ha forse detto la scimmia nel suo diventare uomo quando nella sua ricerca del piacere e dell'utile ha stabilito cos'è "sacro"? E che mi importa di quello che ha detto: io cercherò, seguendo il mio utile e il mio piacere, di essere più potente di lui, e sovvertirò quel che lui ha detto. saluti PS Ti ho risposto su quella cosa della conoscenza, forse ti è sfuggito

Al contrario io, come mi par di capire Sgiombo, ritengo che il senso etico e morale sia innato nell'uomo e fa parte di quella qualità spontanea che i greci definivano come sympatheia e i buddhisti come karuna. Ossia è la capacità che ha l'uomo di soffire con gli altri : sia come capacità di condividere i dolori altrui pur non essendone colpiti direttamente, sia come possibilità di sopportare insieme ad altri i medesimi dolori. E non appare come 'imposto' dall'affermarsi del senso del sacro nella storia umana, ma proprio il senso del sacro scaturisce da questa innata peculiarità umana ( e in misura diversa di altri esseri senzienti...). Il contrario della sympatheia è quindi l'avversione, l'odio e l'antipatia, che è espressione di un 'Io' centrato esclusivamente su se stesso e che può sfociare in un'intelligenza cinica o in una sorta di bulimia del desiderio, che è una forma di ignoranza del carattere interdipendente e impermanente di ogni cosa e di ogni essere. L'innata qualità morale invece si afferma e si rafforza riducendo questa ignoranza con l'aumentare della conoscenza e consapevolezza di questo carattere della realtà..  :)
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: sgiombo il 15 Luglio 2018, 16:59:43 PM
Citazione di: Sariputra il 15 Luglio 2018, 16:37:23 PM


Al contrario io, come mi par di capire Sgiombo, ritengo che il senso etico e morale sia innato nell'uomo e fa parte di quella qualità spontanea che i greci definivano come sympatheia e i buddhisti come karuna. Ossia è la capacità che ha l'uomo di soffire con gli altri : sia come capacità di condividere i dolori altrui pur non essendone colpiti direttamente, sia come possibilità di sopportare insieme ad altri i medesimi dolori.

CitazioneSì, lo penso anch' io (e naturalmente anche la capacità di gioire con gli altri, di condividerne gioie, piaceri, soddisfazioni).


E non appare come 'imposto' dall'affermarsi del senso del sacro nella storia umana, ma proprio il senso del sacro scaturisce da questa innata peculiarità umana ( e in misura diversa di altri esseri senzienti...). Il contrario della sympatheia è quindi l'avversione, l'odio e l'antipatia, che è espressione di un 'Io' centrato esclusivamente su se stesso e che può sfociare in un'intelligenza cinica o in una sorta di bulimia del desiderio, che è una forma di ignoranza del carattere interdipendente e impermanente di ogni cosa e di ogni essere. L'innata qualità morale invece si afferma e si rafforza riducendo questa ignoranza con l'aumentare della conoscenza e consapevolezza di questo carattere della realtà..
:)


Condivido convintamente!
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: 0xdeadbeef il 15 Luglio 2018, 20:26:38 PM
Scusate ma voi dove la vedete tutta questa bontà e tutta questa innatezza?
Vogliamo chiederlo, tanto per stare alla strettissima attualità, ai profughi africani i quali, per fame o per guerra
che sia, cercano una miglior fortuna nella "civilissima" Europa?
Come fate a vedere questa "legge norale dentro l'uomo" (e Kant, Giulio, sapeva bene dove "riposasse" quel sentimento...)?
Io, viceversa, non vedo nessuna bontà e nessuna cattiveria innate; vedo soltanto dei condizionamenti sovra E strutturali.
E gli imperativi della religione sono tra i più "potenti" di questi condizionamenti.
Lo si voglia o meno, l'uomo ragiona "anche" (ma avrei voglia di dire "soprattutto") nei termini che la religione ha posto
(basti guardare alla concezione del tempo lineare, al mito del progresso, o appunto ai valori "umani").
La religione, dice E.Durkheim, E' la comunità (il "sacro" non è altro che l'ipostasi assolutizzata delle necessità insite
in una comunità umana).
Da qui, ritengo (anzi temo...), la "sympatheia" greca, il "karuna" buddista o la "coscienza" cristiana...
Concetti nobilissimi, che però perdono inevitabilmente di senso nel momento in cui l'individuo emerge prepotente,
e la comunità si eclissa (e CON la comunità si eclissa la sua ipostasi: Dio).
Per questo, penso, Dostoevskij (attraverso la bocca di Ivan Karamazov) ha sommamente ragione laddove afferma: "se Dio
non esiste, allora tutto è lecito".
Dal canto suo, Nietzsche ci dice allora semplicemente: "visto che Dio non esiste, tutto è effettivamente lecito".
saluti
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: sgiombo il 15 Luglio 2018, 21:25:33 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 15 Luglio 2018, 20:26:38 PM
Citazione
Scusate ma voi dove la vedete tutta questa bontà e tutta questa innatezza?
Vogliamo chiederlo, tanto per stare alla strettissima attualità, ai profughi africani i quali, per fame o per guerra
che sia, cercano una miglior fortuna nella "civilissima" Europa?
Come fate a vedere questa "legge norale dentro l'uomo" (e Kant, Giulio, sapeva bene dove "riposasse" quel sentimento...)?
Io, viceversa, non vedo nessuna bontà e nessuna cattiveria innate; vedo soltanto dei condizionamenti sovra E strutturali.
E gli imperativi della religione sono tra i più "potenti" di questi condizionamenti.
Lo si voglia o meno, l'uomo ragiona "anche" (ma avrei voglia di dire "soprattutto") nei termini che la religione ha posto
(basti guardare alla concezione del tempo lineare, al mito del progresso, o appunto ai valori "umani").
La religione, dice E.Durkheim, E' la comunità (il "sacro" non è altro che l'ipostasi assolutizzata delle necessità insite
in una comunità umana).
Da qui, ritengo (anzi temo...), la "sympatheia" greca, il "karuna" buddista o la "coscienza" cristiana...
Concetti nobilissimi, che però perdono inevitabilmente di senso nel momento in cui l'individuo emerge prepotente,
e la comunità si eclissa (e CON la comunità si eclissa la sua ipostasi: Dio).
Per questo, penso, Dostoevskij (attraverso la bocca di Ivan Karamazov) ha sommamente ragione laddove afferma: "se Dio
non esiste, allora tutto è lecito".
Dal canto suo, Nietzsche ci dice allora semplicemente: "visto che Dio non esiste, tutto è effettivamente lecito".
saluti

La violazione delle norme morali c' é sempre stata, anche quando nessuno credeva che "Dio fosse morto" e tutti credevano che Egli le avesse scolpite su due tavole di pietra consegnate a Mosé, oppure dettate a Maometto o rivelate ad altri profeti in altri modi.
L' esistenza della violazione dell' etica non ha mai dimostrato (né lo dimostra ora) l' inesistenza dell' etica.
Anche nei secoli e millenni passati ci sono state tragedie e negazioni dell' umanità non dissimili dalle attuali da te ricordate.
D' altra parte viviamo in una fase storica di profonda decadenza e di strapotere della più nera reazione, nella quale da marxista troverei molto strano che non venissero promosse, incentivate, pubblicizzate, sistematicamente proposte alle masse popolari come esempio da seguire le peggiori nefandezze
Ma anche oggi come sempre c' é chi perpetra il male e chi agisce bene.
Basta guardarsi intorno con realismo anziché farsi travolgere da un pessimismo assolutizzato e (anche per questo) irrealistico, seppur comprensibile date le circostanze, per accorgersene.
E negare (comunque falsamente) come fa Nietzche che vi sia differenza fra agire etico, altruismo generosità, magnanimità da una parte e agire immorale, egoismo, grettezza, meschinità, malvagità dall' altra pretendendo di confonderli indiscriminatamente in un nauseabondo e -scusa il termine- miserabile calderone chiamato "volontà di potenza" (simile per certi aspetti -peraltro i meno peggiori- all' ignoranza che Hegel paragona alla "notte in cui tutte le vacche sembrano nere") porta acqua (putrida) al mulino della malvagità e dell' immoralità.

Ho scritto chiaramente che (anche per me) bontà e cattiveria non sono innate (geneticamente determinate) ma risultano da circostanze epigenetiche, soprattutto di tipo culturale molto più che naturali (-stiche).

La mia conoscenza di Kant é senza ombra di dubbio abissalmente inferiore alla tua e potrei sbagliarmi.
Ma mi sembra di ricordare dal liceo che nella Critica della ragion pura fondasse la credenza in Dio (e nell' immortalità dell' anima) sulla presenza universale dell' imperativo categorico nell' animo umano e non viceversa (una sorta di altra  "preventiva rivoluzione copernicana" rispetto alle vedute alla Dostojevsky o alla Nietzche sulla pretesa che "morto Dio, tutto sarebbe lecito", ovvero eticamente indifferente).

Ciao!
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Phil il 15 Luglio 2018, 23:26:56 PM
Secondo me, ci può essere qualcosa di innato (come dice Sariputra) o comunque consolidatosi epigeneticamente (come dice sgiombo), che è quella leva intima su cui le religioni agiscono per attecchire nella cultura in cui abitano.
L'imprinting religioso, l'essere ingombrante e moralizzante (di cui parla Oxdeadbeef) è una spiegazione formale (teologica o psicologica) forse di un istinto atavico che alberga nell'uomo in quanto animale sociale: nel branco, qualcuno è portato a non impietosirsi di un simile sofferente (pensando che se l'altro muore, potrà disporre del suo cibo e avrà meno concorrenza per la procreazione), mentre altri, vedendo nella sofferenza altrui la possibilità spiacevole della propria sofferenza, empatizzano, e magari provano a soccorrere (forse anche sperando che un giorno il favore sarà ricambiato).

Non credo sia dunque innata la morale in quanto tale, ma piuttosto un istinto (non uguale per tutti, come si addice agli istinti) che può ottenere concretizzazione, rinforzo e "spiegazione culturale" in una morale (che, come gran parte degli istinti, è volta alla conservazione e alla proliferazione della specie).
Poi arriva quel guastafeste di Nietzsche che demistifica tutta l'impalcatura teoretica delle morali e toglie dalla loro base il tassello portante di tre lettere... eppure ogni vita comunitaria esige una morale, sia essa fondata sul divino, sul diritto, sulla tradizione: chiunque muoia, la necessità (affinché il branco resti tale) è (auto)regolarsi.
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Carlo Pierini il 16 Luglio 2018, 01:20:44 AM
Citazione di: Phil il 15 Luglio 2018, 23:26:56 PM
L'imprinting religioso, l'essere ingombrante e moralizzante (di cui parla Oxdeadbeef) è una spiegazione formale (teologica o psicologica) forse di un istinto atavico che alberga nell'uomo 
CARLO
Un istinto ereditato da chi? Dagli scimpanzè? Ti risulta che gli elementi culturali siano ereditari?
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Carlo Pierini il 16 Luglio 2018, 01:55:06 AM
Citazione di: 0xdeadbeef il 15 Luglio 2018, 13:56:39 PM
La scimmia che digrigna i denti nel tentativo di emettere la prima parola (nella sua trasformazione in essere umano) e che
dice gutturalmente: "io sono il creatore" (non mi ricordo mai in quale opera di Nietzsche si trovi...), potrebbe
indifferentemente dire di amare il prossimo come di odiarlo.

CARLO
Nietzsche non poteva concepire un'immagine migliore per ritrarre se stesso. Una scimmia con un ego talmente ipertrofico da credersi Dio. Un ego totalmente indifferente al prossimo.

<<Se l'Io è dissolto dall'identificazione col Sé, ne deriva una specie di nebuloso superuomo, con un Io gonfiato e un Sé svuotato. Manca a quest'uomo la scintilla  dell'anima>>.  [JUNG: La dinamica dell'Inconscio - pg.242]
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Phil il 16 Luglio 2018, 10:35:31 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 16 Luglio 2018, 01:20:44 AM
Un istinto ereditato da chi? Dagli scimpanzè? Ti risulta che gli elementi culturali siano ereditari?
Rileggi con calma il mio post  ;)  non affermo che siano istintivi e/o ereditari gli elementi culturali (religione, etc.), bensì che tali elementi culturali facciano leva su alcuni istinti, che possono essersi modificati con i tempo.
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Carlo Pierini il 16 Luglio 2018, 11:20:02 AM
Citazione di: Phil il 16 Luglio 2018, 10:35:31 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 16 Luglio 2018, 01:20:44 AM
Un istinto ereditato da chi? Dagli scimpanzè? Ti risulta che gli elementi culturali siano ereditari?
Rileggi con calma il mio post  ;)  non affermo che siano istintivi e/o ereditari gli elementi culturali (religione, etc.), bensì che tali elementi culturali facciano leva su alcuni istinti, che possono essersi modificati con i tempo.

CARLO
Gli istinti "atavici" sono strettamente legati al patrimonio genetico (DNA), e il DNA umano coincide al 99% con quello degli scimpanzé. Mentre il fenomeno religioso-culturale si origina (circa 150-200 mila anni fa) e si evolve in un arco temporale di completa stabilità del nostro patrimonio genetico. Ergo, è molto più ragionevole pensare che la religiosità sia un fenomeno riguardante l'evoluzione della mente umana, non l'evoluzione del patrimonio genetico. Ma i dogmi materialisti, così come i dogmi di tutti i preti (religiosi o scientisti che siano), sono duri a morire: hanno stabilito che la mente è il cervello e non sentono altre ragioni.
Con la scienza, caro, Phil, la superstizione non è stata vinta, ma ha solo cambiato nome. Oggi si chiama materialismo.

"Come tempo fa era presupposto evidente che tutto ciò che esiste fosse nato dalla volontà creatrice di un Dio spirituale, così il diciannovesimo secolo scoperse la verità, altrettanto evidente, che tutto proviene da cause materiali. Oggi non è più la forza dello spirito che si crea un corpo, ma al contrario la materia che trae dal proprio chimismo un'anima. Un tale capovolgimento farebbe ridere se non ci trovassimo al cospetto di una delle grandi verità dello spirito del tempo. [...] Lo spirito dev'essere pensato come un epifenomeno della materia, anche se non si parla più di "spirito" ma di "psiche", non di "materia, ma di "cervello", di "ormoni", di istinti o di impulsi. L'attribuire all'anima una propria sostanza sarebbe contrario allo spirito del tempo e quindi una eresia. [...]
La coscienza comune non ha ancora scoperto che è non meno presuntuoso e fantastico credere con assoluta certezza che le cellule cerebrali generino pensieri, che la materia produca psiche, che le scimmie generino uomini, e che tutte queste cose non possano essere diversamente".    [JUNG: La dinamica dell'Inconscio - pg.367]
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Kobayashi il 16 Luglio 2018, 11:41:49 AM
Se questa discussione ha come obiettivo cercare di capire meglio il concetto di volontà di potenza in N., forse può essere utile tornare a riflettere sulle idee di N.
Secondo Deleuze, a differenza di quello che molti sostengono con una certa superficialità, la terminologia di N. è in realtà molto rigorosa e precisa. Riporto alcuni concetti così come lo studioso francese li ha analizzati.

Il concetto di forza. Ci sono forze attive, che tendono alla propria affermazione (che godono della differenza rispetto alle altre forze), e reattive, che si oppongono alle prime.
La volontà di potenza è l'elemento genealogico delle forze. Ossia, è ciò che produce la differenza di quantità di due o più forze che sono in rapporto, ed è ciò che determina la qualità di ciascuna forza.
Le forze, in base alla loro quantità, possono essere dominanti o dominate.
In base alla loro qualità, attive o reattive.
C'è volontà di potenza sia nella forza attiva che in quella reattiva.
Il problema dell'interpretazione consiste nello stimare, dato un fenomeno, la qualità della forza che gli dà un senso e misurare il rapporto delle forze in esso presenti.
Il nichilismo, che è volontà di negare, non cessa di essere volontà di potenza. Ma in esso il filosofo deve saper riconoscere forze reattive e volontà di negazione. Il fatto che il nichilismo emerga grazie alla vittoria sulle forze attive e affermative non implica però che la propria qualità sia cambiata.

Quindi in N. c'è un'opera di ricerca di ciò che si muove sotto un certo fenomeno e che determina il valore di esso (il lavoro genealogico), e nello stesso tempo un'opera creativa che mira a favorire la liberazione delle forze che affermano, le forze vitali, attive, nobili.
Del resto questi due aspetti non possono essere separati dal momento che lo stesso studio genealogico, per esempio, dell'ascetismo è un'interpretazione che nel momento in cui mostra le forze reattive all'opera impone una valutazione ad esso permettendo una liberazione dalle sue seduzioni (che i filosofi continuano a subire).
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Kobayashi il 16 Luglio 2018, 11:57:10 AM
Cit. Ox.: "Credo in definitiva che buona parte delle ragioni della visione filosofica nietzscheiana vadano ricercate proprio nella filosofia anglosassone e nel suo concetto di "Bene".
La volontà di potenza, dunque, come volontà di perseguire ciò che piace e che è utile. Senza "orologiai" o infingimenti che ne ammantino ipocritamente la cruda realtà"

La coscienza è descritta da N. come una formazione essenzialmente reattiva. Le forze vitali, quelle affermative, lavorano sotto di essa. Sono più potenti e più ampie rispetto a quelle che strutturano l'io.
Quindi l'ego stabilirà un proprio utile inevitabilmente reattivo, un compromesso che ingloba forze che negano. E in effetti non è così? Le vite degli uomini non sono costruite forse basandosi sull'accettazione di ogni genere di rinuncia? Fino al punto di ritrovarsi completamente esauriti e come dei morti viventi?
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Carlo Pierini il 16 Luglio 2018, 13:55:05 PM
Citazione di: Kobayashi il 16 Luglio 2018, 11:41:49 AM
Le forze, in base alla loro quantità, possono essere dominanti o dominate.
In base alla loro qualità, attive o reattive.
C'è volontà di potenza sia nella forza attiva che in quella reattiva.
Il problema dell'interpretazione consiste nello stimare, dato un fenomeno, la qualità della forza che gli dà un senso e misurare il rapporto delle forze in esso presenti.
Il nichilismo, che è volontà di negare, non cessa di essere volontà di potenza. Ma in esso il filosofo deve saper riconoscere forze reattive e volontà di negazione. Il fatto che il nichilismo emerga grazie alla vittoria sulle forze attive e affermative non implica però che la propria qualità sia cambiata.


CARLO
Questo è un ragionamento fatto con i piedi.

- Dal punto di vista spiritualista la forza attiva è lo Spirito e la reattiva è la Materia. Infatti il "nichilismo" spiritualista consisteva in una svalutazione della Materia che spesso rasentava la negazione (la materia identificata con il "Male"; e in certe concezioni orientali considerata come "maya", illusione).

- Dal punto di vista materialista, invece, la forza attiva è la Materia, l'istintualità, la Natura orgiastico-dionisiaca, mentre la spiritualità è "illusione", resistenza passiva da sottomettere, da "annichilire".

In realtà Spirito e Materia sono ENTRAMBE forze attive, le due polarità dell'Essere; e la soluzione non consiste nel sacrificare l'una sull'altare dell'altra (mutilando comunque una delle due "potenze" dell'anima), ma consiste nell'impresa (davvero eroica) di armonizzarle-complementarizzarle in una unità superiore che elevi entrambe al loro massimo compimento, alla loro più alta espressione.
QUESTO è il vero Super-Uomo, non la "scimmia" nietzschiana che, "ingoiando" Dio, gonfia smisuratamente il proprio ego soggettivo e considera tutti gli altri come oggetti da sottomettere e immolare alla propria ipertrofica "volontà di potenza".
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Kobayashi il 16 Luglio 2018, 15:00:19 PM
In riferimento all'ultimo intervento di C. Pierini.

E' ovvio che il pensiero di N. si pone al di là dei concetti metafisici elementari di spirito e materia.
Tu continui a condannare N. perché non sarebbe arrivato a quella tua unità superiore etc., e non hai ancora capito che il pensiero di N. è anti-dialettico. N. non è interessato a lavorare su ciò che gli si oppone per poi sviluppare una posizione di sintesi, ma piuttosto cerca di studiare che cosa si nasconde dietro un valore, quali forze reali agiscono al fine di affermarlo.
Solo seguendo queste idee ci si può avvicinare alla comprensione del suo pensiero.
Che evidentemente non è il tuo obiettivo.
Il tuo obiettivo sembra piuttosto quello di giudicare o convertire. Il che rende la prosecuzione del dialogo quantomeno poco stimolante...
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Phil il 16 Luglio 2018, 15:07:32 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 16 Luglio 2018, 11:20:02 AM
Gli istinti "atavici" sono strettamente legati al patrimonio genetico (DNA), e il DNA umano coincide al 99% con quello degli scimpanzé. Mentre il fenomeno religioso-culturale si origina (circa 150-200 mila anni fa) e si evolve in un arco temporale di completa stabilità del nostro patrimonio genetico.
Ti invito nuovamente a non confondere Dna, cervello, istinti e mente... il Dna non è l'unico fattore che spiega il comportamento di un animale: puoi dire che la vita  (individuale e/o sociale) di uno scimpanzé è simile al 99% a quella di un uomo? L'epigenetica che ho citato, sulla scia di sgiombo, non è da valutare? La mente evolve da sola, senza che evolva anche qualcosa di fisico che "tramandi" tali evoluzioni agli esemplari successivi?
Domande per te, ovviamente, qui sono off topic (per l'identità mente=cervello puoi invece rivolgerti a chi la sostiene, non a me  ;) ).

Citazione di: Kobayashi il 16 Luglio 2018, 11:41:49 AM
Il nichilismo, che è volontà di negare, non cessa di essere volontà di potenza. Ma in esso il filosofo deve saper riconoscere forze reattive e volontà di negazione. Il fatto che il nichilismo emerga grazie alla vittoria sulle forze attive e affermative non implica però che la propria qualità sia cambiata.
Secondo me questo aspetto viene spesso trascurato, associando semplicisticamente il nichilismo all'annichilimento della volontà. La "volontà di negazione" è una declinazione di quella "di potenza", e funge piuttosto da filtro, da "difesa". Direi che è comunque una forma di attività, per quanto non orientata all'acquisizione, alla "presa", quanto piuttosto allo svincolarsi, all'affermarsi ("diventare ciò che si è") al liberarsi (sputare la testa del serpente dopo avergliela staccata a morsi!).
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: paul11 il 16 Luglio 2018, 15:17:28 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 16 Luglio 2018, 11:20:02 AM

CARLO
Gli istinti "atavici" sono strettamente legati al patrimonio genetico (DNA), e il DNA umano coincide al 99% con quello degli scimpanzé. Mentre il fenomeno religioso-culturale si origina (circa 150-200 mila anni fa) e si evolve in un arco temporale di completa stabilità del nostro patrimonio genetico. Ergo, è molto più ragionevole pensare che la religiosità sia un fenomeno riguardante l'evoluzione della mente umana, non l'evoluzione del patrimonio genetico. Ma i dogmi materialisti, così come i dogmi di tutti i preti (religiosi o scientisti che siano), sono duri a morire: hanno stabilito che la mente è il cervello e non sentono altre ragioni.
Con la scienza, caro, Phil, la superstizione non è stata vinta, ma ha solo cambiato nome. Oggi si chiama materialismo.

"Come tempo fa era presupposto evidente che tutto ciò che esiste fosse nato dalla volontà creatrice di un Dio spirituale, così il diciannovesimo secolo scoperse la verità, altrettanto evidente, che tutto proviene da cause materiali. Oggi non è più la forza dello spirito che si crea un corpo, ma al contrario la materia che trae dal proprio chimismo un'anima. Un tale capovolgimento farebbe ridere se non ci trovassimo al cospetto di una delle grandi verità dello spirito del tempo. [...] Lo spirito dev'essere pensato come un epifenomeno della materia, anche se non si parla più di "spirito" ma di "psiche", non di "materia, ma di "cervello", di "ormoni", di istinti o di impulsi. L'attribuire all'anima una propria sostanza sarebbe contrario allo spirito del tempo e quindi una eresia. [...]
La coscienza comune non ha ancora scoperto che è non meno presuntuoso e fantastico credere con assoluta certezza che le cellule cerebrali generino pensieri, che la materia produca psiche, che le scimmie generino uomini, e che tutte queste cose non possano essere diversamente".    [JUNG: La dinamica dell'Inconscio - pg.367]

ciao Carlo,
a me risulta un'altra storia.
La comparsa delle spiritualità avviene proprio con il decadimento umano e addirittura il Talmud orale indica proprio il decadimento genetico.
Improvvisamente appaiono  in sequenza  taoismo, confucianesimo, buddismo, cristianesimo, ecc in un lasso temporale per la storia dell'umanità relativamente breve.
La Legge nasce per esigenza di "rispondere " al peccato. Era necessario dare norme comportamentali ad aggregati che dal nomadismo cominciavano a stanziarsi e costruire città.

Credo all'archetipo junghiano,ma più come una"reminiscenza" personale e comune:tutti veniamo da un primo "genitore".
 Non  penso molto credibile invece alla sua teoria di psicanalizzare la storia come simbolo,
ma come esperienza ed eventi storici realmente effettuati e depositati nelle narrazioni comuni storiche dei popoli nel passaggio dalla comunicazione orale a quella scritta.

Mauro (Oxdeadbeaf) pone nel suo ultimo post una problematica che in me nacque verso  i vent'anni di età.
Come mai se l'uomo fosse fondamentalmente "buono" si comporta da ......malvagio? Per quanto mi riguarda non ho una risposta, se non varie ipotesi.Sicuramente c'è un'innatezza n rapporto all'ambiente culturale spazio temporale in cui si vive che condiziona
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Carlo Pierini il 16 Luglio 2018, 16:38:07 PM
Citazione di: Phil il 16 Luglio 2018, 15:07:32 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 16 Luglio 2018, 11:20:02 AM
Gli istinti "atavici" sono strettamente legati al patrimonio genetico (DNA), e il DNA umano coincide al 99% con quello degli scimpanzé. Mentre il fenomeno religioso-culturale si origina (circa 150-200 mila anni fa) e si evolve in un arco temporale di completa stabilità del nostro patrimonio genetico.
PHIL
Ti invito nuovamente a non confondere Dna, cervello, istinti e mente... il Dna non è l'unico fattore che spiega il comportamento di un animale:

CARLO
Invito superfluo, perché è ciò che ho sempre detto anch'io: la biologia, da sola, spiega solo "la metà" del comportamento animale-umano. L'ALTRA "metà" è la mente. E nell'uomo la mente (la cultura) si è evoluta indipendentemente dai fattori generici ereditati fino a manifestare dei comportamenti assolutamente nuovi e inediti rispetto a TUTTE le altre specie viventi: pensiero filosofico-scientifico, etica, religiosità, arte, senso del tragico e del comico, ecc. Sei tu che ti ostini a cercare nella biologia o in fantomatici "istinti atavici" qualcosa che, invece, appartiene a questo fenomeno sui generis chiamato mente (o psiche, o coscienza, o anima) che abbiamo cominciato ad esplorare solo da poco più di un secolo e a cui il dogma materialista nega ...dignità ontologica.  :)

PHIL
puoi dire che la vita  (individuale e/o sociale) di uno scimpanzé è simile al 99% a quella di un uomo?

CARLO
Mi guardo bene dal dirlo, come ho già spiegato.

PHIL
L'epigenetica che ho citato, sulla scia di sgiombo, non è da valutare? La mente evolve da sola, senza che evolva anche qualcosa di fisico che "tramandi" tali evoluzioni agli esemplari successivi?

CARLO
...Oh, questa sì che è una bella domanda! Una bella domanda alla quale, tuttavia, temo che per il momento nessuno possa dare una risposta. Nemmeno l'epigenetica, perché i fenomeni epigenetici NON modificano le sequenze dei nucleotidi, ma riguardano soltanto le variazioni nell'espressione di geni già dati, quindi non possono di certo dare origine a nuovi e inediti istinti, o modelli istintivi di comportamento (religioso, etico, artistico, ecc..).
Per cominciare ad avere delle risposte in tal senso, si dovrebbero studiare le relazioni tra stati mentali e patrimonio genetico e cominciare a capire in che modo i primi possano influenzare il secondo, visto che in casi come, per esempio, quello della Podarcis Sicula (già citato) in soli trent'anni si sono sviluppati dei veri e propri nuovi organi finalizzati all'adattamento ad un nuovo habitat.
Ma finché non sradicheremo dalla mente dei ricercatori il dogma dell'identità mente-cervello, nessuno intraprenderà delle ricerche in tal senso, basandosi su premesse considerate "eretiche", cioè, "anti-scientifiche". ...E così si continuerà a cercare risposte esclusivamente nella biologia, come il famoso ubriaco che cercava sotto un lampione acceso il portafoglio perso chissà dove, perché - diceva - ...SOLO lì c'era luce! :)
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: 0xdeadbeef il 16 Luglio 2018, 17:15:33 PM
I grandi maestri giapponesi del bonsai (un'altra delle mie passioni...) dicono che prima bisogna conoscere le regole,
poi esse possono essere tragredite...
Quindi in riferimento alla risposta di Sgiombo dico che, certo, la violazione delle norme morali c'è sempre stata, solo
che adesso sembra proprio che la norma morale stessa venga a mancare (quindi nemmeno si può parlare più di violazione)...
Nei miei interventi, e rispondo a Phil, dico che qualcosa di innato c'è eccome, ma non è la morale bensì l'impulso,
conscio o meno, di perseguire sempre e comunque il proprio piacere e utile (la tesi di fondo di questo mio post è
appunto quella che propone l'equiparazione di questo fondamento della filosofia anglosassone con la volontà di potenza
nietzscheiana).
Tanto per venire all'interessante intervento di Kobayashi, nella mia seconda risposta parlavo appunto (rifacendomi agli
studi dello psicologo nietzscheiano A.Adler) di una volontà di potenza presente "persino" nel masochismo, nel suicidio
e nella malattia psichica in genere.
Quindi certo, sono in linea di massima d'accordo con Deleuze. Senonchè mi sembrerebbe però alquanto discutibile la sua
distinzione fra forze "attive" ("che tendono alla propria affermazione") e "passive" (forze "dominate" che presumibilmente
NON tendono alla propria affermazione).
Voglio dire che se c'è volontà di potenza sia nella forza attiva che in quella passiva, come mi pare affermi Deleuze, allora
sia le forze attive che quelle reattive tendono alla propria affermazione (come del resto vi tendono necessariamente nella
mia tesi, visto che sostengo la natura innata ed universale della ricerca del piacere e dell'utile).
Da questo punto di vista il proposito di Nietzsche di un "oltreuomo" nel quale le forze "attive" ("vitali"; "nobili") si
liberano (e non possono che liberarsi dalle forze reattive...) in un'opera "creativa" mi appare come un residuo
idealistico se non proprio metafisico.
Un saluto a tutti voi
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Carlo Pierini il 16 Luglio 2018, 17:55:33 PM
Citazione di: paul11 il 16 Luglio 2018, 15:17:28 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 16 Luglio 2018, 11:20:02 AM

CARLO
Gli istinti "atavici" sono strettamente legati al patrimonio genetico (DNA), e il DNA umano coincide al 99% con quello degli scimpanzé. Mentre il fenomeno religioso-culturale si origina (circa 150-200 mila anni fa) e si evolve in un arco temporale di completa stabilità del nostro patrimonio genetico. Ergo, è molto più ragionevole pensare che la religiosità sia un fenomeno riguardante l'evoluzione della mente umana, non l'evoluzione del patrimonio genetico. Ma i dogmi materialisti, così come i dogmi di tutti i preti (religiosi o scientisti che siano), sono duri a morire: hanno stabilito che la mente è il cervello e non sentono altre ragioni.
Con la scienza, caro, Phil, la superstizione non è stata vinta, ma ha solo cambiato nome. Oggi si chiama materialismo.


"Come tempo fa era presupposto evidente che tutto ciò che esiste fosse nato dalla volontà creatrice di un Dio spirituale, così il diciannovesimo secolo scoperse la verità, altrettanto evidente, che tutto proviene da cause materiali. Oggi non è più la forza dello spirito che si crea un corpo, ma al contrario la materia che trae dal proprio chimismo un'anima. Un tale capovolgimento farebbe ridere se non ci trovassimo al cospetto di una delle grandi verità dello spirito del tempo. [...] Lo spirito dev'essere pensato come un epifenomeno della materia, anche se non si parla più di "spirito" ma di "psiche", non di "materia, ma di "cervello", di "ormoni", di istinti o di impulsi. L'attribuire all'anima una propria sostanza sarebbe contrario allo spirito del tempo e quindi una eresia. [...]
La coscienza comune non ha ancora scoperto che è non meno presuntuoso e fantastico credere con assoluta certezza che le cellule cerebrali generino pensieri, che la materia produca psiche, che le scimmie generino uomini, e che tutte queste cose non possano essere diversamente".    [JUNG: La dinamica dell'Inconscio - pg.367]

PAUL11
A me risulta un'altra storia.
La comparsa delle spiritualità avviene proprio con il decadimento umano e addirittura il Talmud orale indica proprio il decadimento genetico.
Improvvisamente appaiono  in sequenza  taoismo, confucianesimo, buddismo, cristianesimo, ecc in un lasso temporale per la storia dell'umanità relativamente breve.
CARLO
Intanto devi tenere conto che il culto religioso dei morti e lo "spiritismo" è di decine di migliaia di anni più antico dell'esplodere "improvviso" di quella religiosità - decisamente più evoluta e più "onnipervasiva" sul piano culturale - a cui tu hai accennato.
Ed è proprio questo carattere di relativa simultaneità in luoghi reciprocamente lontani, e di indipendenza da "regimi culturali" particolari, ciò che avvalora ancor più l'ipotesi dell'affacciarsi di una nuova "costellazione archetipica", come direbbe Jung.

PAUL11
La Legge nasce per esigenza di "rispondere " al peccato. Era necessario dare norme comportamentali ad aggregati che dal nomadismo cominciavano a stanziarsi e costruire città.

CARLO
Certo, se parti dal pre-supposto che è la storia che partorisce il mito (Marx direbbe: la struttura economica che determina la sovrastruttura culturale) non puoi che interpretare i fatti in questo modo. Ma le mie esperienze personali e l'analisi comparata della storia del mito e delle idee religiose dimostrano ampiamente che in realtà non è la storia che crea le religioni,, ma che sono le religioni che plasmano la storia; o, quantomeno che esiste una dialettica viva tra credenze religiose (come forze attive) e condizionamenti storici (come forze altrettanto attive).

PAUL11
Credo all'archetipo junghiano,ma più come una"reminiscenza" personale e comune: tutti veniamo da un primo "genitore".

CARLO
Se dai una scorsa anche solo panoramica alla storia comparata delle idee religiose ti rendi conto da solo che il fenomeno religioso va incommensurabilmente al di là di una vaga "reminiscenza" di un genitore primordiale.

PAUL11
Non  penso molto credibile invece alla sua teoria di psicanalizzare la storia come simbolo,
ma come esperienza ed eventi storici realmente effettuati e depositati nelle narrazioni comuni storiche dei popoli nel passaggio dalla comunicazione orale a quella scritta.

CARLO
Le mie esperienze "visionarie" personali non sono state affatto condizionate da quelle che chiami "narrazioni storiche". Io ho scoperto molto tempo dopo e con grande stupore i profondi legami di significato tra i contenuti delle mie visioni e le "narrazioni storiche" relative a tradizioni diverse dalla mia che ignoravo totalmente. Come scrive J. Evola:

"Gli eruditi moderni (...) ricercano il fatto empirico e sempre incerto della trasmissione materiale di certe idee o leggende da un popolo ad un altro, da una « letteratura » ad un'altra, ignorando che, dovunque agiscano influenze di un piano più profondo di quello della coscienza soltanto individuale, una corrispondenza e una trasmissione possono aver luogo anche per vie del tutto diverse da quelle ordinarie, senza condizioni precise di tempo e di spazio, senza contatti storici esteriori".        [J. EVOLA: Il mistero del Graal - pg.15]

"Le figure del mito e della leggenda - si pensa - sono solo sublimazioni astratte di figure storiche, che han finito col prendere il posto di queste ultime e col valere in sé e per sé, mitologicamente e fantasticamente. Se mai, proprio l'opposto è vero, ossia: esistono delle realtà d'un ordine superiore, archetipico, variamente adombrate dal simbolo o dal mito. Può accadere che nella storia determinate strutture o personalità vadano, in una certa misura, ad incarnare tali realtà. Storia e superstoria allora interferiscono e finiscono con l'integrarsi a vicenda, e a quei personaggi e a quelle strutture la fantasia può trasferire istintivamente i tratti del mito appunto in base al fatto che, in un certo modo, la realtà è divenuta simbolica e il simbolo è divenuto realtà. Di fronte a tali casi, l'interpretazione « evemeristica » capovolge del tutto i veri rapporti. In essi è il « mito » che costituisce l'elemento primario e che dovrebbe servire da punto di partenza, mentre la figura storica o il dato storico ne è solo una espressione, contingente e condizionata rispetto a quell'ordine superiore".    [J. EVOLA: Il mistero del Graal - pg.16]

PAUL11
Come mai se l'uomo fosse fondamentalmente "buono" si comporta da ......malvagio?

CARLO
L'uomo non è <<fondamentalmente buono>>, ma <<potenzialmente buono>>. Ma ti faccio rispondere da Jung (...che privilegio!) che si esprime molto meglio di me:

"Si potrebbe pensare che le istanze morali non siano altro che convenzioni, infantili e tradizionali insieme, che hanno imposto alla natura istintuale freni superflui da estirpare. [...] Non bisogna dimenticare che la morale non è stata introdotta e imposta al popolo con le Tavole della Legge del Sinai: la morale è una funzione dell'anima umana, ed è vecchia quanto l'umanità. Essa non è imposta dal di fuori, ma vive a priori in noi stessi: NON LA LEGGE, MA L'ESSENZA MORALE, senza la quale la vita comune della società umana sarebbe impossibile. (...) Se sottoponiamo ad analisi l'uomo immorale, scopriamo che in lui è stata semplicemente rimosso l'"istinto" morale".  [JUNG: Psicologia dell'inconscio - pg.65]

"Una delle cause più frequenti di nevrosi è il conflitto morale, che ha la sua radice più remota nell'apparente impossibilità di assentire alla totalità della natura umana".   [JUNG: La dinamica dell'Inconscio - pg.115]

"Nel mito dell'Eden, Eva, al pari di Adamo, ha mangiato del frutto dell'albero della conoscenza e in tal modo è penetrata nella sfera delle prerogative divine - "Sarete come dèi, consapevoli del bene e del male" (Genesi 3. 5) -, ossia ella ha scoperto involontariamente la possibilità di una coscienza morale, che fino a quel momento non era ancora alla portata dell'uomo".        [JUNG: Mysterium coniunctionis - pg.425]

...Ma si deve guardare al "problema morale" anche dall'angolazione opposta:


"Non dobbiamo mai dimenticare le nostre premesse storiche: solo da poco più di mille anni siamo andati a cadere dai rozzi principi del politeismo in una religione orientale evolutissima (il Cristianesimo), che ha elevato lo spirito immaginoso del semiselvaggio a un'altezza non corrispondente al livello del suo sviluppo spirituale. Per mantenersi in un modo o in un altro a tale altezza, era inevitabile che si dovesse rimuovere largamente la sfera degli istinti. Per questo la pratica religiosa e la morale assumono un carattere decisamente violento, anzi, quasi maligno. Gli istinti rimossi non si evolvono in maniera naturale, ma continuano a vegetare nell'inconscio sotto forma della barbarie primigenia. Cosicché, noi vorremmo raggiungere le vette di una religione filosofica, ma in realtà non ne siamo capaci. Tutt'alpiù possiamo "crescere" fin lassù". [JUNG: Il segreto del fiore d'oro - pg.56]


Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Carlo Pierini il 16 Luglio 2018, 18:36:56 PM
Citazione di: Kobayashi il 16 Luglio 2018, 15:00:19 PM
In riferimento all'ultimo intervento di C. Pierini.

E' ovvio che il pensiero di N. si pone al di là dei concetti metafisici elementari di spirito e materia.
CARLO
E' per questo che è finito in manicomio. Chi crede di non essere fatto né di materia né di spirito non può che fare quella fine.
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: sgiombo il 16 Luglio 2018, 19:20:15 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 16 Luglio 2018, 16:38:07 PM
Citazione di: Phil il 16 Luglio 2018, 15:07:32 PM

...Oh, questa sì che è una bella domanda! Una bella domanda alla quale, tuttavia, temo che per il momento nessuno possa dare una risposta. Nemmeno l'epigenetica, perché i fenomeni epigenetici NON modificano le sequenze dei nucleotidi, ma riguardano soltanto le variazioni nell'espressione di geni già dati, quindi non possono di certo dare origine a nuovi e inediti istinti, o modelli istintivi di comportamento (religioso, etico, artistico, ecc..).

E invece le variazioni nelle espressioni dei geni determinano variazioni, anche notevolissime, nei fenotipi.
E fra queste variazioni, oltre che di morfologiche, ve ne possono essere e ve ne sono di fatto anche di funzionali, riguardanti i comportamenti.
Non possono originare istinti ex novo, ma possono molto variabilmente regolare e "modulare" in maniera estremamente diversa da caso a caso l' attuazione di differenti e talora opposte potenziali tendenze comportamentali istintive a seconda delle variabili esperienze vissute e degli influssi subiti dall' ambiente, talora diversissimi da caso a caso .

Inoltre nell' uomo in particolare, che presenta una spettacolare variabilità comportamentale ambiente dipendente, una formidabile creatività nei suoi comportamenti, alle variazioni epigenetiche naturali (-stiche) se ne aggiungono di culturali, ancor più pleiomorfe e variabili.
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: paul11 il 16 Luglio 2018, 19:26:29 PM
ciao Carlo P,
vediamo se riusciamo a capirci...........
1) E' vero che ritrovamenti dell uomo di Neanderthal, mi pare in Medio oriente, dimostrano che tendevano alla sepoltura dei morti.
Ma francamente non so se avesse un significato spirituale, in quanto altre culture hanno avuto altre forme di "gestione" dei morti.
2) La Bibbia,ebraica,  Bereschit(Gesesi) e la Tenach, I testi vedici, dimostrano che prima c'è una cosmogonia, solo più tardi appaiono le spiritualità.Con le formulazioni spirituali e le codificazioni religiose che raccolgono cosmogonie e storia nel linguaggio del mito, che già oralmente erano simbolico, ma per due buoni motivi:a) affinchè si memorizzasse meglio;b) affinchè colpisse il segno e il senso con il simbolo, in quanto la morale è interna alla narrazione ed è quì che compaiono  il "bene" e il "male".
3)Intendo dire che l'archetipo è al di là del vissuto esperienziale personale, nasciamo già con gli archetipi.
Se proprio dovessi utilizzare il linguaggio psicologico, l'inconscio profondo personale è collegato all'inconscio collettivo storico.Metaforicamente, Se ognuno di noi fosse un libro narrato l'archetipo è nella biblioteca di tutti  i vissuti, ma devono far capo all'origine unica.ecco perchè ho scritto "primi" genitori, inteso allegoricamente come trasmissione di un DNA simbolico la cui significazione è nell'origine dell'uomo.
Sono abbastanza d'accordo sulla  prima citazione di Evola, non sulla seconda.
Prima c'è stata una storia molto lontana nel tempo, poi c'è stato un racconto orale che ha già trasposto personaggi e storia.

Il caduceo, per fare un esempio, non è un simbolo archetipo, il serpente era colui che diede conoscenza ad Adamo, ed era di una razza superiore all'uomo.I naga vedici erano uomini-serpente.Il colubro di Esculapio sarà il simbolo dei medici.
La sfida di Mosè e Aronne con Ianne e Iambre dove trasformavano il bastone in serpente fu una sfida fra conoscenze.

In sintesi ,ritengo che antichissime conoscenze trasmesseci da razze superiori a pochi e scelti , passando velocemente all'ermetismo e all'esoterico come segreti,erano realmente molto potenti e ormai perse ...o chissà

La tesi che gli antichi fossero pieni di simboli, non rispecchia il loro modo di vivere.
C'era una enorme differenza fra il popolano, il saggio ed erudito e ancor di più i "maestri" di conoscenze antiche.
Non si spiega chi e come avesse saputo in Cina la maestria delle energie che passano nel corpo umano  e a noi oggi  è arrivato molto meno di quello che fu trasmesso.Non si spiegano maestrie nell'architettura senza avere conoscenze da "ingegneria civile".
Non si spiega la balordaggine di Tolomeo, quando da millenni si sapeva che la Terra fosse rotonda e girasse attorno al sole.
Non si spiegano antichissime miniere appena sopra il Sud Africa agli albori della civiltà egizia.
Non si spigano la trigonometria conosciuta dai Sumeri e la perfezione degli Yuga descritti dai testi vedici.
L'Eden di Genesi c'era realmente non simbolicamente ed era tutt'altro da quello raccontatoci dai testi sacri.

Jung ha la mentalità dello scienziato moderno ed è lì che sbaglia.

Se si leggessero attentamente i testi enochiani si saprebbero di tecniche fatte conoscere all'uomo decaduto, e quegli "angeli caduti" furono sanzionati dai loro capi,  anche per essersi invaghiti delle femmine umane.

Adatto che questi testi fuoriescono anche dal canone ebraico e sono bollati come apocrifi, la nostra storia decise come di troppe cose di obliarle, dimenticarle come un reparto "non classificato"
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: sgiombo il 16 Luglio 2018, 19:30:33 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 16 Luglio 2018, 17:15:33 PM
I grandi maestri giapponesi del bonsai (un'altra delle mie passioni...) dicono che prima bisogna conoscere le regole,
poi esse possono essere tragredite...
Quindi in riferimento alla risposta di Sgiombo dico che, certo, la violazione delle norme morali c'è sempre stata, solo
che adesso sembra proprio che la norma morale stessa venga a mancare (quindi nemmeno si può parlare più di violazione)...
CitazioneNon mi pare proprio!

Per me viene semplicemente violata.



Nei miei interventi, e rispondo a Phil, dico che qualcosa di innato c'è eccome, ma non è la morale bensì l'impulso,
conscio o meno, di perseguire sempre e comunque il proprio piacere e utile (la tesi di fondo di questo mio post è
appunto quella che propone l'equiparazione di questo fondamento della filosofia anglosassone con la volontà di potenza
nietzscheiana).
CitazioneMa "impulso (comportamentale istintivo)" significa puramente e semplicemente "conato", desiderio di raggiungere un (qualsiasi; più o meno buono o cattivo, importante o futile, nobile o volgare, ecc. che sia) obiettivo.
Ogni volontà (di potenza?!?!?!) per definizione é ricerca di soddisfazione.
Ma questo non equipara affatto tutte le diversissime e in qualche caso del tuttp reciprocamente contrarie volontà possibili e realmente esistenti fra loro!

Per definizione:

"perseguire il proprio piacere e/o utile" == "perseguire ciò che si persegue (qualsiasi cosa sia)".


Un saluto a tutti (anche nietzchiani, deleuziani, freudiani, jungiani, evoliani, ecc. dai quali mi sento "abissalmente lontanissimo": licenza poetica) anche da parte mia.



Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Lou il 16 Luglio 2018, 19:45:41 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 13 Luglio 2018, 10:29:25 AM
Vorrei provare a ragionare e far ragionare sulla "volontà di potenza", di cui molto si è scritto e molto spesso
nei soliti termini (forza, sopraffazione etc.), vista da una prospettiva diversa.
E' vero che Nietzsche spesso la descrive egli stesso in quei termini, ma è altrettanto vero che egli la intende
essenzialmente come il, diciamo, "motore primo" di ogni agire umano.
Da questo punto di vista dicevo provocatoriamente che forse persino S.Francesco e Madre Teresa erano animati da
volontà di potenza. Perchè appunto il loro "motore primo" era la volontà che le loro idee e i loro principi
morali avvessero a "primeggiare", ad "imporsi", su quelli che essi ritenevano "dis-valori" (dal punto di vista
religioso Dio "vince" il demonio).
Sappiamo bene che per la filosofia anglosassone, fin almeno da Hobbes, il "Bene" è ciò che viene desiderato e che
piace all'individuo.
Dunque per gli Anglosassoni l'utile individuale, che è "motore primo" dell'agire umano (l'uomo agisce sulla base
di ciò che gli procura piacere o dolore) è anche ritenuto sommo "Bene" (in quanto, nel sostrato metafisico alla
base di questa visione, vi è un "grande orologiaio" che fa sì che l'utile dell'individuo corrisponda all'utile
della collettività, cioè che si configuri come "Bene" in assoluto).
Io trovo che nella volontà di potenza Nietzsche recuperi in qualche modo la concezione anglosassone, ma per così
dire la "depuri" dal grossolano elemento metafisico in essa presente (ed ancora presentissimo in certe sfumature
della contemporaneità, basti guardare alle teorie economiche neoclassiche).
L'uomo agisce sulla base di ciò che gli procura piacere o dolore, chiaramente perseguendo il primo termine e
cercando di evitare il secondo. E visto che piacevole è senz'altro il primeggiare (delle proprie idee e principi
ma anche di se stessi), ecco allora che vero ed autentico Motore Primo diventa una volontà di potenza che va
ad obliare e a succedere al Motore Primo aristotelicamente (poi religiosamente) inteso.
Credo in definitiva che buona parte delle ragioni della visione filosofica nietzscheiana vadano ricercate proprio
nella filosofia anglosassone e nel suo concetto di "Bene".
La volontà di potenza, dunque, come volontà di perseguire ciò che piace e che è utile. Senza "orologiai" o
infingimenti che ne ammantino ipocritamente la cruda realtà.
saluti
Trovo il concetto di volontà di potenza estremamente polivalente e questo punto di vista lo trovo interessante per una serie di ragioni, però ho una domanda, anzi più d'una: questo perseguimento di "ciò che piace e che è utile" come è conciliabile con l'assenza di scopi e fini verso cui è diretta suddetta vdp, se non sè stessa ovviamente? Il "bene" verso cui è "diretta o persegue" (uso un linguaggio improprio), non è forse l'aumento della propria potenza? Ma come "è" allora il primo motore immobile, potenza di potenza? arriviamo a Spinoza?
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: 0xdeadbeef il 16 Luglio 2018, 20:43:18 PM
Citazione di: Lou il 16 Luglio 2018, 19:45:41 PM

Trovo il concetto di volontà di potenza estremamente polivalente e questo punto di vista lo trovo interessante per una serie di ragioni, però ho una domanda, anzi più d'una: questo perseguimento di "ciò che piace e che è utile" come è conciliabile con l'assenza di scopi e fini verso cui è diretta suddetta vdp, se non sè stessa ovviamente? Il "bene" verso cui è "diretta o persegue" (uso un linguaggio improprio), non è forse l'aumento della propria potenza? Ma come "è" allora il primo motore immobile, potenza di potenza? arriviamo a Spinoza?

Più di una domanda ma, se me lo consenti, non poste in maniera chiarissima...
Non certo "per me" (che continuo a dichiararmi kantiano, caro Giulio...), ma per la filosofia anglosassone il Bene è il
perseguimento del proprio piacere, o utile che dir si voglia.
E perchè ciò rappresenta il Bene?
Perchè per gli anglosassoni (non certo per tutti ma questa tesi è prevalente nella loro cultura), interviene il "grande
orologiaio", per dirla con Leibniz; la "mano invisibile" per Smith; e tutto "magicamente aggiusta", cioè fa si che
l'utile individuale corrisponda all'utile collettivo (come accennavo questa è la base su cui si regge fra l'altro
tutta l'impalcatura dell'economia neoclassica, oggi dominante).
Chiaramente, come ben dici, Spinoza fa parte a pieno titolo di questa "visione delle cose".
Ora, chiaramente Nietzsche fa letteralmente a pezzi questa storia dell'orologiaio e del Bene come fine. Dunque cosa resta?
Resta appunto la ricerca del piacere e dell'utile individuale come "sostrato"; come agente primo.
Ma è davvero essa, la ricerca del piacere e dell'utile individuale assimilabile alla volontà di potenza?
Per me potrebbe esserlo, se a quel termine (volontà di potenza) dessimo il significato che cerco di spiegare
lungo le risposte a questo post (un significato che lo stesso Nietzsche mistifica, come accenno nella mia risposta a Kobayashi).
Per quel che riguarda una volontà di potenza/mezzo che ha come suo scopo l'aumento indefinito di se stessa (anch'io
condivido questa tesi) non vedo alcun problema di conciliabilità. La ricerca del piacere e dell'utile è
anch'essa un mezzo che serve a soddisfare se stessa, senza scopo alcuno; perchè una volta soddisfatta sarà diretta
a ricercare sempre qualcosa di nuovo che la soddisfi ancora.
saluti
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Lou il 16 Luglio 2018, 21:05:21 PM
Ma per Nietzsche e Spinoza stesso non ritengo proprio sia così, viene prima la polis dell'individuo, è inimmaginabile una vdp individualistica posta in questi termini, se non in senso reattivo. Se me lo consenti, nè per l'uno, nè per l'altro. La realtà non è individuale.
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Carlo Pierini il 16 Luglio 2018, 21:16:18 PM
Citazione di: paul11 il 16 Luglio 2018, 19:26:29 PM
PAUL11
1) E' vero che ritrovamenti dell uomo di Neanderthal, mi pare in Medio oriente, dimostrano che tendevano alla sepoltura dei morti.
Ma francamente non so se avesse un significato spirituale, in quanto altre culture hanno avuto altre forme di "gestione" dei morti.
2) La Bibbia,ebraica,  Bereschit(Gesesi) e la Tenach, I testi vedici, dimostrano che prima c'è una cosmogonia, solo più tardi appaiono le spiritualità. Con le formulazioni spirituali e le codificazioni religiose che raccolgono cosmogonie e storia nel linguaggio del mito, che già oralmente erano simbolico, ma per due buoni motivi:a) affinchè si memorizzasse meglio;b) affinchè colpisse il segno e il senso con il simbolo, in quanto la morale è interna alla narrazione ed è quì che compaiono  il "bene" e il "male".

CARLO
Hai una infarinatura piuttosto superficiale sulla natura, sulla struttura, sulle proprietà dei simboli mitico-religiosi
e sulle relazioni di significato tra i diversi simbolismi appartenenti alle diverse tradizioni storiche. Il concetto di archetipo non è un'invenzione arbitraria di Jung, ma si tratta di una vera e propria scoperta realizzata nel dominio della Storia dei simboli e delle idee religiose e basata sull'analisi comparata di una gran mole di materiale storico. Una scoperta che, come dicevo a Phil, ha comportato la necessità logica di postulare l'esistenza di un UNICO "testo", trascendente-indipendente da qualunque influenza storica particolare, di cui i diversi simbolismi del nostro pianeta mostrano di essere le pagine che lo compongono. Ma per sapere quali sono le migliaia di modi in cui essi mostrano di appartenere a quell'unico testo, è necessaria una grande visione d'insieme che è tratteggiata nei suoi elementi essenziali nelle decine di volumi di osservazioni fatte da storiografi come M. Eliade, R. Guénon, R. Alleau, J. Evola, J. Campbell, E. Zolla, J. Hillman, W. Williamson, T. Burchardt, E. Cassirer, G. Durand, A, Jaffè, M. L. von Franz, P. D. Ounspensky, P. Culianu, e altri. Ecco, io mi sono letto, in questi ultimi trent'anni, pressoché tutto ciò che hanno scritto questi signori, per un equivalente di circa 300 mila pagine; e alla luce di questa mole di informazioni, le tue ipotesi appaiono del tutto inadeguate. Scrive Eliade:

"Abbiamo il diritto di parlare di una «logica del simbolo», nel senso che i simboli, quale che sia la loro natura, la loro provenienza geografica e su qualsiasi piano si manifestino, sono sempre reciprocamente coerenti e sistematici. Questa logica del simbolo esce dal campo della storia delle religioni e si schiera fra i problemi della filosofia".     [M. ELIADE: Trattato di storia delle religioni - pg.471]

Per dare un'idea abbastanza precisa di questa realtà ad un amico, tempo fa sono ricorso alla seguente metafora immaginaria:
<<Tu immagina un archeologo che rinvenisse (in momenti diversi della sua ricerca) dei frammenti di ceramica colorati sparsi in tutto il mondo: uno in Italia risalente all'epoca imperiale romana, un altro in Grecia risalente all'età classica, un altro in Australia vecchio di un millennio, un altro in Cina risalente ai tempi della dinastia Ming, un altro ancora appartenente alla cultura delle antiche popolazioni Incas del Sud America, e poi un altro proveniente dalle isole della Polinesia, ...e così via con altre decine e decine di frammenti sparsi in ogni epoca e in ogni parte del nostro pianeta. Ora immagina che questo archeologo, tornato a casa dopo questo lungo viaggio, si accorgesse che quei frammenti, messi uno accanto all'altro, combaciano perfettamente tra loro e che, incollati insieme, si ergono fino a formare un immenso stupendo vaso di ceramica sulla cui superficie esterna è dipinta una bellissima scena di caccia. Tu cosa penseresti? Non potresti pensare altro che i diversi artisti che hanno prodotto quei frammenti, per quanto così lontani nel tempo e nello spazio, siano stati ispirati *inconsapevolmente* da una UNICA fonte trascendente>>.

Ecco, questa metafora calza molto bene con quella che Eliade chiama "unità sistematica" dei diversi simbolismi. Ma per avere le prove che le cose stiano proprio così devi analizzare comparativamente una grandissima quantità di testimonianze storiche.
Citazione di: paul11 il 16 Luglio 2018, 19:26:29 PMPAUL11
3)Intendo dire che l'archetipo è al di là del vissuto esperienziale personale, nasciamo già con gli archetipi.

Se proprio dovessi utilizzare il linguaggio psicologico, l'inconscio profondo personale è collegato all'inconscio collettivo storico.Metaforicamente, Se ognuno di noi fosse un libro narrato l'archetipo è nella biblioteca di tutti  i vissuti, ma devono far capo all'origine unica.ecco perchè ho scritto "primi" genitori, inteso allegoricamente come trasmissione di un DNA simbolico la cui significazione è nell'origine dell'uomo.

CARLO
Questa ipotesi non regge minimamente, perché le manifestazioni degli archetipi sono di carattere filosofico religioso e il nostro patrimonio genetico non trasmette alcun contenuto culturale.

PAUL11
Il caduceo, per fare un esempio, non è un simbolo archetipo, il serpente era colui che diede conoscenza ad Adamo, ed era di una razza superiore all'uomo.I naga vedici erano uomini-serpente.Il colubro di Esculapio sarà il simbolo dei medici.
La sfida di Mosè e Aronne con Ianne e Iambre dove trasformavano il bastone in serpente fu una sfida fra conoscenze.

CARLO
Da diversi anni di studi comparati, emerge che il caduceo è una delle numerosissime varianti simboliche dell'archetipo della Complementarità degli opposti, di cui, per esempio, il Tao è un'altra variante. E se dai una scorsa al mio 3d "La Complementarità degli opposti: l'archetipo più diffuso nella storia", puoi avere un'idea di cosa io voglia dire:
https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/l'archetipo-della-complementarita-l'archetipo-piu-diffuso-nella-storia-della-cu/

PAUL11
In sintesi ,ritengo che antichissime conoscenze trasmesseci da razze superiori a pochi e scelti , passando velocemente all'ermetismo e all'esoterico come segreti,erano realmente molto potenti e ormai perse ...o chissà

CARLO
Appunto: quelle che tu chiami <<razze superiori>> io le chiamo <<archetipi>> cioè <<idee divine>>, espressioni di grande sapienza. Ma se tu hai le prove dell'esistenza di queste razze superiori, ne possiamo parlare.

Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: paul11 il 16 Luglio 2018, 23:21:30 PM
ciao Carlo P.
I testi originali, Carlo, i testi originali LETTERALI, non quello che hanno interposto, interpretato anche in buona fede, miriadi di personalità.Non dico che tutti sbagliano per carità, ma dipende dalla loro "educazione" condizionata, dalle loro forme rappresentative .La modernità ha reinterpretato testi già reinterpretati.
Molti tuoi autori sono di fama, ma ognuno ha una sua visione e per arrivare all'origine cogli tu il testo originale non farti dire da loro cosa e come hanno interpretato.
Crediamo davvero che gli antichi comunicassero fra loro per simboli? I simboli colpivano il segno per arrivare al significato ed era sempre reale,Alcuni dei nostri ascendenti antichi avevano una mente che noi ci sogniamo più di avere, non si capirebbe allora il livello di saggezza, di contemplazione, di meditazione che avrebbero raggiunto.
Se noi crediamo che siano "balle" abbiamo già predisposto la nostra mente ad altre forme di rappresentazione.

Sono quarant'anni circa che studio  anche testi antichi, repertati in musei spesso britannici, perchè gli inglesi hanno rubato di tutto in India , Mesopotamia, Medio Oriente, come Napoleone fece in Italia.Alcune cose negli ultimi anni "si stanno muovendo" fuori dal mainstream cultural- storico- lineare- progressive che ha invaso le scienze umane da un secolo e più a questa parte.

E' vero che i simboli appartengono trasversalmente a tutte le culture.
A mia volta consiglio un testo "Il mulino di Amleto" di Santillana, perchè arriva vicino a capire parecchie cose,
quindi sì sono d'accordo che molte simbologie sono comuni, perchè il genere umano è unico e veniamo da un primo originario luogo.


E' solo per confrontare le diverse esperienze non per sfida o chissà cosa:
1)o l'archetipo ha una spiegazione ontologica o non dice nulla.
Se Jung scopre l'archetipo dai suoi pazienti e si meraviglia del fatto che non appartengono alla loro esperienza vissuta, e lo ritrova in più pazienti e sempre al di fuori della loro esperienza, è qualcosa che è trasmesso, non si sa come o perchè ma "è".
A mio parere è connaturato nel genere umano ed è legato alla nostra origine.

Studiati la bibbia sumerica e saprai chi erano gli anunnaki presenti anche nella scrittura ebraica. Il serpente era lo scienziato che
aiutò a ibridare quel 1% di una razza superiore con il 99 % di un pitecantropo, fu colui che aiutò " a prendere la costola di un Adam per creare Eva", se non si capisce che questa è scienza genetica?

Le razze superiori esistevano eccome e Yahweh era uno  Elohim. Furono presumibilmente tre razze superiori che si fecero guerra schiavizzando e usando gli uomini fino all'avvento di Gesù.
Il mahabharata ,scritto vedico, è l'epopea di scontri avvenuti realmente e Platone parla con i sacerdoti egizi dell'antica Atlantide.

Una di queste "razze" gli antichi li chiamano iperborei, ed erano gli Ari(la razza ariana) ne parla anche Erodoto;  Orfeo che divenne un mito, visse e aveva poteri prodigiosi, era un guaritore.Venivano dal Nord del Caucaso(razza caucasica bianca)scesero nella penisola anatolica portarono lo zoroastrismo in Persia e altri si stanziarono a Nord-ovest dell'India.

Gli archeologi utilizzano da sempre non le interpretazioni di libri moderni, ma scritti antichi, testi sacri, storici come Erodoto.
E se trovano quello che hanno trovato è grazie ai testi che sono veri, non balle.
Mentre l'origine degli ebrei è in Siria, la lingua aramaica viene da quì , perchè l'Eden era alle sorgenti del Tigri ed Eufrate e altri due fiumi( i quattro fiumi descritti in Genesi),non alla foce in Iraq ,come si pensa.


Platone fa dire a Socrate che credeva nella reminiscenza, in quanto credeva nella trasmigrazione delle anime, erano memorie di precedenti vite: la metempsicosi o reincarnazione.
Gli antichi greci avevano due sistemi, un Pantheon degli dei, una cosmogonia, ma la parte "spirituale" non era legata agli dei.
Quindi quando ti ho parlato di archetipo come reminiscenza o è perchè abbiamo reincarnazioni(non tutti) o comunque è legato allo spirito/anima a sua volta collegato al corpo fisico.


Ritornando alla discussione sulla volontà di potenza , sulla natura umana e sulla natura morale.
Se ciò che so degli antichi è almeno vicino al vero, i più potenti uomini del passato non furono coloro che avevano il potere della forza, ma il potere delle tecniche anche spirituali; quando ci arriva da tramandazioni che essere attaccati alla terra si perde la forza, c'è qualcosa di vero "fisicamente",sapevano manipolare le energie anche vitali, gli yogi di alte scuole sono ancora oggi dimostrazioni viventi.L'armonia psico-fisica sta dentro un ordine naturale.

Tornando alla discussione.
Se la prole nasce da una copula fisica-spirituale(un contatto non solo fisco) e non da un assassinio, probabilmente è un segno o no di una premessa per gli "animali" umani che lo stare bene -orgasmo, cambio di circolazione "è bene"?C' è un piacere intimo legato a ciò che si ritiene bene già nel sesso . Freud e alcuni discepoli come W.Reich ci hanno scritto trattati.
C'è qualcosa di innato quindi e appartenente alla sfera intuitiva della coscenza che spinge "la volontà di potenza" verso una direzione "naturale".
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Carlo Pierini il 17 Luglio 2018, 02:34:25 AM
Citazione di: paul11 il 16 Luglio 2018, 23:21:30 PM
ciao Carlo P.
I testi originali, Carlo, i testi originali LETTERALI, non quello che hanno interposto, interpretato anche in buona fede, miriadi di personalità.Non dico che tutti sbagliano per carità, ma dipende dalla loro "educazione" condizionata, dalle loro forme rappresentative .La modernità ha reinterpretato testi già reinterpretati.
Molti tuoi autori sono di fama, ma ognuno ha una sua visione e per arrivare all'origine cogli tu il testo originale non farti dire da loro cosa e come hanno interpretato.

Crediamo davvero che gli antichi comunicassero fra loro per simboli? I simboli colpivano il segno per arrivare al significato ed era sempre reale,Alcuni dei nostri ascendenti antichi avevano una mente che noi ci sogniamo più di avere, non si capirebbe allora il livello di saggezza, di contemplazione, di meditazione che avrebbero raggiunto.
Se noi crediamo che siano "balle" abbiamo già predisposto la nostra mente ad altre forme di rappresentazione.

Sono quarant'anni circa che studio  anche testi antichi, repertati in musei spesso britannici, perchè gli inglesi hanno rubato di tutto in India , Mesopotamia, Medio Oriente, come Napoleone fece in Italia.Alcune cose negli ultimi anni "si stanno muovendo" fuori dal mainstream cultural- storico- lineare- progressive che ha invaso le scienze umane da un secolo e più a questa parte.

E' vero che i simboli appartengono trasversalmente a tutte le culture.
A mia volta consiglio un testo "Il mulino di Amleto" di Santillana, perchè arriva vicino a capire parecchie cose,
quindi sì sono d'accordo che molte simbologie sono comuni, perchè il genere umano è unico e veniamo da un primo originario luogo.


E' solo per confrontare le diverse esperienze non per sfida o chissà cosa:
1)o l'archetipo ha una spiegazione ontologica o non dice nulla.
Se Jung scopre l'archetipo dai suoi pazienti e si meraviglia del fatto che non appartengono alla loro esperienza vissuta, e lo ritrova in più pazienti e sempre al di fuori della loro esperienza, è qualcosa che è trasmesso, non si sa come o perchè ma "è".
A mio parere è connaturato nel genere umano ed è legato alla nostra origine.

Studiati la bibbia sumerica e saprai chi erano gli anunnaki presenti anche nella scrittura ebraica. Il serpente era lo scienziato che
aiutò a ibridare quel 1% di una razza superiore con il 99 % di un pitecantropo, fu colui che aiutò " a prendere la costola di un Adam per creare Eva", se non si capisce che questa è scienza genetica?

Le razze superiori esistevano eccome e Yahweh era uno  Elohim. Furono presumibilmente tre razze superiori che si fecero guerra schiavizzando e usando gli uomini fino all'avvento di Gesù.
Il mahabharata ,scritto vedico, è l'epopea di scontri avvenuti realmente e Platone parla con i sacerdoti egizi dell'antica Atlantide.

Una di queste "razze" gli antichi li chiamano iperborei, ed erano gli Ari(la razza ariana) ne parla anche Erodoto;  Orfeo che divenne un mito, visse e aveva poteri prodigiosi, era un guaritore.Venivano dal Nord del Caucaso(razza caucasica bianca)scesero nella penisola anatolica portarono lo zoroastrismo in Persia e altri si stanziarono a Nord-ovest dell'India.
Gli archeologi utilizzano da sempre non le interpretazioni di libri moderni, ma scritti antichi, testi sacri, storici come Erodoto.
E se trovano quello che hanno trovato è grazie ai testi che sono veri, non balle.
Mentre l'origine degli ebrei è in Siria, la lingua aramaica viene da quì , perchè l'Eden era alle sorgenti del Tigri ed Eufrate e altri due fiumi( i quattro fiumi descritti in Genesi),non alla foce in Iraq ,come si pensa.

Platone fa dire a Socrate che credeva nella reminiscenza, in quanto credeva nella trasmigrazione delle anime, erano memorie di precedenti vite: la metempsicosi o reincarnazione.
Gli antichi greci avevano due sistemi, un Pantheon degli dei, una cosmogonia, ma la parte "spirituale" non era legata agli dei.
Quindi quando ti ho parlato di archetipo come reminiscenza o è perchè abbiamo reincarnazioni(non tutti) o comunque è legato allo spirito/anima a sua volta collegato al corpo fisico.
CARLO
Secondo me, tu fai lo stesso errore dei preti: scambi dei racconti mitici per racconti storici. Magari credi anche tu che Cristo sia un personaggio storico capace di moltiplicare pani e pesci, di resuscitare i morti e poi di morire, risorgere e di salire al cielo senza tuta spaziale? ...Che Mosè abbia aperto fisicamente le acque del Mar Rosso, che Elia sia stato rapito in cielo dagli extraterrestri, ecc.? ...Che Atlantide sia una storia vera?
Non ti seguo su questo terreno. Le esperienze visionarie che ho vissuto io si intrecciano profondamente con molte delle mitologie di tutto il pianeta, ma non hanno nulla a che vedere con razze superiori, ma solo con "spiriti" superiori che "confinano" con le profondità di noi stessi.
Non riesco a capire come una persona intelligente e perspicace come te possa credere alla storia delle razze superiori, senza alcuna prova oggettiva, ma solo sulla base di antichi racconti in bilico tra mito e storia.
Leggiti qualche trattato di storia comparata dei simboli mitico-religiosi e comincerai a capire che molti dei "luoghi" e dei "personaggi" da te citati come reali, sono in realtà dei simboli tipici, anzi, ...archetipici riconoscibilissimiche magari "hanno preso in prestito" dei luoghi e dei fatti reali per esprimere il loro contenuto simbolico. ...Ah, adesso ho capito perché non sei d'accordo con la seconda citazione di Evola che ho riportato sopra!  :)
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Sariputra il 17 Luglio 2018, 09:44:24 AM
La volontà di potenza da un altro punto di vista

Io potrei...
Ah!Se io potessi non essere così...
se potessi essere cosà...
Io potrei essere così?...
Potrei essere diverso...
Perché non posso essere così?...
Voglio essere così e non cosà...
Dovrei essere cosà e non così...
Sono stanco di essere così, sarò cosà...
Sono  deluso da essere cosà, ritornerò ad essere così...
Voglio essere di più di così...
Non voglio essere meno di cosà...
Oh!...Se infine potessi non pormi più queste domande moleste, tormentose. 
Se potessi trovare un luogo ove non debba sempre confrontarmi...
Puoi tu, se esiste, indicarmi questo luogo?...
Non è il mio utile continuare questo perpetuo confronto...
Non è piacevole questo sentirsi peggiori, uguali o migliori...
Di volta in volta...
Senza posa...
Di fronte a te...
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: paul11 il 17 Luglio 2018, 10:54:23 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 17 Luglio 2018, 02:34:25 AM
Citazione di: paul11 il 16 Luglio 2018, 23:21:30 PMCARLO Secondo me, tu fai lo stesso errore dei preti: scambi dei racconti mitici per racconti storici. Magari credi anche tu che Cristo sia un personaggio storico capace di moltiplicare pani e pesci, di resuscitare i morti e poi di morire, risorgere e di salire al cielo senza tuta spaziale? ...Che Mosè abbia aperto fisicamente le acque del Mar Rosso, che Elia sia stato rapito in cielo dagli extraterrestri, ecc.? ...Che Atlantide sia una storia vera? Non ti seguo su questo terreno. Le esperienze visionarie che ho vissuto io si intrecciano profondamente con molte delle mitologie di tutto il pianeta, ma non hanno nulla a che vedere con razze superiori, ma solo con "spiriti" superiori che "confinano" con le profondità di noi stessi. Non riesco a capire come una persona intelligente e perspicace come te possa credere alla storia delle razze superiori, senza alcuna prova oggettiva, ma solo sulla base di antichi racconti in bilico tra mito e storia. Leggiti qualche trattato di storia comparata dei simboli mitico-religiosi e comincerai a capire che molti dei "luoghi" e dei "personaggi" da te citati come reali, sono in realtà dei simboli tipici, anzi, ...archetipici riconoscibilissimiche magari "hanno preso in prestito" dei luoghi e dei fatti reali per esprimere il loro contenuto simbolico. ...Ah, adesso ho capito perché non sei d'accordo con la seconda citazione di Evola che ho riportato sopra! :)
ciao carlo P.

ho passato anni a comparare testi antichi con reperti archeologici, scritti in sumero-accadico, egiziano, vedico, ecc.

Se tu credi, come troppa gente condizionata dal nostro sistema culturale che crede ad una evoluzione progressiva scambiando la tecnologia per cultura e spacciandosi come superiori rispetto agli antichi non farai che l'eco di ciò che molti hanno interpretato della cultura antica.
Eppure ci sono autori come Erodoto che andrebbero letti attentamente, e non prendere ciò che è funzionale alla nostra cultura.
senza un'apertura mentale è impraticabile il processo analisi letterale-esegesi- ermeneutica comparativa con altri testi storici e reperti storico-archeologici.

Se tu pensi, come appunto la moltitudine di autori moderni, che gli antichi andassero al bar a raccontarsi favole per perdere il loro tempo  si sbaglia di grosso.
Non avevano il li linguaggio logico argomentativo sillogistico .
I testi antichi sono scienza antica tramandata. basta vedersi l'"enciclopedia", l'intero corpus  dei testi vedici.

Potrei stupirti con studi comparativi dove si dimostra che tutto  il sistema anglosassone di misura viene dalla cultura vedico indiana.
Che conoscevano talmente bene l'astronomia (Tolomeo fa ridere) da avere cartografie antiche impressionanti, da aver collegato  i cicli astronomici delle precessioni(del mutamento degli assi di rotazione che costituiscono le stagioni) erano comparati con i cicli storici degli yuga umani.
Che i numeri dati da un certo Yahweh a Noè per la costruzione dell'Arca e Mosè per la costruzione prima dell'arca dell'alleanza e poi saranno date le misure per costruire il tempio di Gerusalemme, hanno significati di orientamento astronomico planetario.
Che un perdi tempo come Isaac Newton, il celeberrimo fisico matematico compì degli studi sulle misure del Tempio, che oggi appartengono all'Università di Gerusalemme.

Un famigerato Hitler creò davvero un reich apposito: era un perdi tempo anche lui

Rifletti e documentati. potrebbe aiutarti nella tua ricerca. Vai oltre al simbolo...........
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Kobayashi il 17 Luglio 2018, 11:42:20 AM
Scrive Deleuze: "Non si insisterà mai troppo nel sottolineare quanto siano estranee a Nietzsche e alla concezione della volontà di potenza le nozioni di guerra, di rivalità o anche di confronto. Non che egli neghi l'esistenza della lotta, ma non la ritiene affatto creatrice di valori. Tutt'al più, i soli valori che essa crea sono i valori dello schiavo che trionfa: la lotta non è principio o motore della gerarchia, ma mezzo di cui lo schiavo si serve per rovesciare la gerarchia. La lotta non è mai espressione attiva delle forze o manifestazione di una volontà di potenza che afferma, e il suo risultato non esprime affatto il trionfo del signore o del forte. Al contrario, la lotta è il mezzo con cui i deboli, in quanto più numerosi, riescono a prevalere sui forti."
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Sariputra il 17 Luglio 2018, 12:12:05 PM
Citazione di: Kobayashi il 17 Luglio 2018, 11:42:20 AMScrive Deleuze: "Non si insisterà mai troppo nel sottolineare quanto siano estranee a Nietzsche e alla concezione della volontà di potenza le nozioni di guerra, di rivalità o anche di confronto. Non che egli neghi l'esistenza della lotta, ma non la ritiene affatto creatrice di valori. Tutt'al più, i soli valori che essa crea sono i valori dello schiavo che trionfa: la lotta non è principio o motore della gerarchia, ma mezzo di cui lo schiavo si serve per rovesciare la gerarchia. La lotta non è mai espressione attiva delle forze o manifestazione di una volontà di potenza che afferma, e il suo risultato non esprime affatto il trionfo del signore o del forte. Al contrario, la lotta è il mezzo con cui i deboli, in quanto più numerosi, riescono a prevalere sui forti."

Mi sembra la solita morale aristocratica ( e un pò 'fascista'...). Ci sono i 'nobili', i forti, i pieni di vitalità,i creativi, quelli che non temono la vita ( i "pochi", i profeti della verità alla Nietzsche,insomma...) e poi la suburra, gli schiavi, i poveri di spirito, i codardi, i paurosi ( i più numerosi ) che si ribellano solo perché odiano i 'nobili' e i 'grandi', odiano i detentori della vera VdP, non di quella degenerata degli schiavi e vorrebbero essere come loro, visto che sono invidiosi e pieni di risentimento e non si accontentano di essere quel che sono, ossia 'schiavi'...
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Kobayashi il 17 Luglio 2018, 12:35:25 PM
Quello che voleva suggerire Deleuze è che l'uomo nobile di N. (così come per esempio l'uomo nobile di Eckhart), non può essere dedotto dai luoghi comuni della nostra vita pubblica.
L'uomo nobile non è chi ha il potere politico o economico, per intenderci, ma chi vive con gioia la propria differenza, chi non ha risentimento e non ha alcun interesse a costringere gli altri a essere come lui, chi con serenità va avanti per la sua strada senza voler essere riconosciuto, interessato più alla sua gioia di creare che al vile godimento di sottomettere gli altri etc..

Bisogna cercare di allontanarsi dai soliti pregiudizi critici su N. altrimenti non si fanno che ripetere gli stessi secolari fraintendimenti.
Se prendessimo come modello dell'uomo nobile di Eckhart l'aristocratico del suo tempo non capiremmo praticamente nulla del suo pensiero.
Ma Eckhart, mi dirai tu, ha scritto saggi e sermoni che chiariscono la sua concezione.
E Nietzsche no?
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Carlo Pierini il 17 Luglio 2018, 12:52:41 PM
Citazione di: Kobayashi il 17 Luglio 2018, 11:42:20 AM
Scrive Deleuze: "Non si insisterà mai troppo nel sottolineare quanto siano estranee a Nietzsche e alla concezione della volontà di potenza le nozioni di guerra, di rivalità o anche di confronto. Non che egli neghi l'esistenza della lotta, ma non la ritiene affatto creatrice di valori. Tutt'al più, i soli valori che essa crea sono i valori dello schiavo che trionfa: la lotta non è principio o motore della gerarchia, ma mezzo di cui lo schiavo si serve per rovesciare la gerarchia. La lotta non è mai espressione attiva delle forze o manifestazione di una volontà di potenza che afferma, e il suo risultato non esprime affatto il trionfo del signore o del forte. Al contrario, la lotta è il mezzo con cui i deboli, in quanto più numerosi, riescono a prevalere sui forti."

CARLO
Appunto, Nietzsche ha affermato tutto e il contrario di tutto, ma l'ha fatto con molta eleganza, come ogni buon mistificatore che si rispetti.
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Carlo Pierini il 17 Luglio 2018, 13:08:39 PM
Citazione di: sgiombo il 16 Luglio 2018, 19:20:15 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 16 Luglio 2018, 16:38:07 PM
Citazione di: Phil il 16 Luglio 2018, 15:07:32 PM

...Oh, questa sì che è una bella domanda! Una bella domanda alla quale, tuttavia, temo che per il momento nessuno possa dare una risposta. Nemmeno l'epigenetica, perché i fenomeni epigenetici NON modificano le sequenze dei nucleotidi, ma riguardano soltanto le variazioni nell'espressione di geni già dati, quindi non possono di certo dare origine a nuovi e inediti istinti, o modelli istintivi di comportamento (religioso, etico, artistico, ecc..).

E invece le variazioni nelle espressioni dei geni determinano variazioni, anche notevolissime, nei fenotipi.
E fra queste variazioni, oltre che di morfologiche, ve ne possono essere e ve ne sono di fatto anche di funzionali, riguardanti i comportamenti.
Non possono originare istinti ex novo, ma possono molto variabilmente regolare e "modulare" in maniera estremamente diversa da caso a caso l' attuazione di differenti e talora opposte potenziali tendenze comportamentali istintive a seconda delle variabili esperienze vissute e degli influssi subiti dall' ambiente, talora diversissimi da caso a caso .

Inoltre nell' uomo in particolare, che presenta una spettacolare variabilità comportamentale ambiente dipendente, una formidabile creatività nei suoi comportamenti, alle variazioni epigenetiche naturali (-stiche) se ne aggiungono di culturali, ancor più pleiomorfe e variabili.

CARLO
Tutto ciò che hai scritto ha DUE significati radicalmente diversi tra loro a seconda che si consideri la mente come un epifenomeno dell'attività cerebrale o che la si consideri come una entità interagente dialetticamente col cervello (vedi J. Eccles). Nel primo caso il fenotipo è determinante per il comportamento, nel secondo caso è del tutto marginale, perché non è più il solo cervello che "detta" il comportamento, ma è il risultato dell'interazione tra i due enti (mente-cervello).  Qual'è il tuo paradigma interpretativo? ...E quali sono i motivi per i quali lo reputi più valido dell'altro?
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: sgiombo il 17 Luglio 2018, 13:47:21 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 17 Luglio 2018, 13:08:39 PM
Citazione di: sgiombo il 16 Luglio 2018, 19:20:15 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 16 Luglio 2018, 16:38:07 PM
Citazione di: Phil il 16 Luglio 2018, 15:07:32 PM

...Oh, questa sì che è una bella domanda! Una bella domanda alla quale, tuttavia, temo che per il momento nessuno possa dare una risposta. Nemmeno l'epigenetica, perché i fenomeni epigenetici NON modificano le sequenze dei nucleotidi, ma riguardano soltanto le variazioni nell'espressione di geni già dati, quindi non possono di certo dare origine a nuovi e inediti istinti, o modelli istintivi di comportamento (religioso, etico, artistico, ecc..).

E invece le variazioni nelle espressioni dei geni determinano variazioni, anche notevolissime, nei fenotipi.
E fra queste variazioni, oltre che di morfologiche, ve ne possono essere e ve ne sono di fatto anche di funzionali, riguardanti i comportamenti.
Non possono originare istinti ex novo, ma possono molto variabilmente regolare e "modulare" in maniera estremamente diversa da caso a caso l' attuazione di differenti e talora opposte potenziali tendenze comportamentali istintive a seconda delle variabili esperienze vissute e degli influssi subiti dall' ambiente, talora diversissimi da caso a caso .

Inoltre nell' uomo in particolare, che presenta una spettacolare variabilità comportamentale ambiente dipendente, una formidabile creatività nei suoi comportamenti, alle variazioni epigenetiche naturali (-stiche) se ne aggiungono di culturali, ancor più pleiomorfe e variabili.

CARLO
Tutto ciò che hai scritto ha DUE significati radicalmente diversi tra loro a seconda che si consideri la mente come un epifenomeno dell'attività cerebrale o che la si consideri come una entità interagente dialetticamente col cervello (vedi J. Eccles). Nel primo caso il fenotipo è determinante per il comportamento, nel secondo caso è del tutto marginale, perché non è più il solo cervello che "detta" il comportamento, ma è il risultato dell'interazione tra i due enti (mente-cervello).  Qual'è il tuo paradigma interpretativo? ...E quali sono i motivi per i quali lo reputi più valido dell'altro?
CitazioneNè l' uno né l' altro: la mente corrisponde biunivocamente al cervello.

Per la chiusura causale del mondo fisico (conditio sine qua non della  conoscenza scientifica) non é possibile alcuna interazione con la materia in generale (e col cervello in particolare) da parte di alcunché che non sia materiale e non segua le leggi generali universali e costanti del divenire materiale.

Le ragioni per le quali sostengo la mia personale ontologia dualistica ("parallleistica" e non "interazionistica") dei fenomeni, monistica del noumeno le ripeto continuamente, anche nelle discussioni nel forum cui ho partecipato di recente.
Ma se sistematicamente non le si legge é perfettamente inutile domandare "quali sono"?.
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Sariputra il 17 Luglio 2018, 14:09:11 PM
Citazione di: Kobayashi il 17 Luglio 2018, 12:35:25 PMQuello che voleva suggerire Deleuze è che l'uomo nobile di N. (così come per esempio l'uomo nobile di Eckhart), non può essere dedotto dai luoghi comuni della nostra vita pubblica. L'uomo nobile non è chi ha il potere politico o economico, per intenderci, ma chi vive con gioia la propria differenza, chi non ha risentimento e non ha alcun interesse a costringere gli altri a essere come lui, chi con serenità va avanti per la sua strada senza voler essere riconosciuto, interessato più alla sua gioia di creare che al vile godimento di sottomettere gli altri etc.. Bisogna cercare di allontanarsi dai soliti pregiudizi critici su N. altrimenti non si fanno che ripetere gli stessi secolari fraintendimenti. Se prendessimo come modello dell'uomo nobile di Eckhart l'aristocratico del suo tempo non capiremmo praticamente nulla del suo pensiero. Ma Eckhart, mi dirai tu, ha scritto saggi e sermoni che chiariscono la sua concezione. E Nietzsche no?

Eckhart chiarisce i suoi intendimenti, mentre N. afferma e poi contraddice quello che lui stesso afferma.
Il risultato è quello che vediamo: c'è chi lo definisce come vero cristiano e chi come ateo, chi come fautore di una vera morale autentica e chi come profeta dell'immoralità; chi lo vede ditaccato e chi lo vede incatenato ad un estremo desiderio di forza, ecc.
L'amante del baffone a questo punto dice: E' per via della sua grandezza. Era così grande che voi non potete capirlo (sottintendendo che lui lo capisce... ;D ).
Il denigratore del baffone a questo punto dice: E' per via che, poveretto, era malato e disturbato. Dice tutto e il contrario di tutto...
Io non credo che fingesse o che mistificasse ( come afferma non senza ragioni C.Pierini) ma che invece si credesse veramente un "profeta". Il modo narrativo stesso che sceglie e che usa, pesantissimo ( anche come stile...) negli ultimi lavori prima dell'internamento, lo afferma per me chiaramente.
Quindi  gli amanti del filosofo dovrebbero indicare i passi e i testi che sono l'autentico pensiero del nostro e quelli che non lo sono.
Perché se no, come vediamo nelle infinite interpretazioni, spesso contrarie le une alle altre, si rischia non di capire N. ma solo di cercare di capire le interpretazioni che se ne danno ( ovviamente condizionate dal fatto che piaccia o non piaccia...).
Come si deve intendere, per sempio, questo passo:

"L'ordinamento delle caste, la gerarchia,formula soltanto la legge suprema della vita stessa; la separazione  dei tre tipi è necessaria alla conservazione della società, affinché siano resi possibili i tipi superiori e sommi - la disuguaglianza dei diritti è la condizione prima perché ci siano in generale dei diritti.- Un diritto è un privilegio. ...
Un cultura elevata è una piramide:  essa può poggiare soltanto su una vasto terreno, essa presuppone in primo luogo la mediocrità, robustamente e sanamente (?)c consolidata. Il mestiere , il commercio, l'agricoltura, la scienza, la maggior parte dell'arte...si accorda perfettamente soltanto con una mediocrità nel potere e nel desiderare. Tale attività sarebbe fuori posto tra eccezioni, l'istinto che le compete contraddirebbe tanto l'aristocraticismo quanto l'anarchismo...
Chi odio io maggiormente tra la plebaglia di oggi? La plebaglia socialista,  gli apostoli dei Ciandala ( i senza casta, i reietti dell'ordine sociale hindu...n.d.S), i quali sovvertono lentamente l'istinto, il piacere,quel senso, nel lavoratore, di moderato appagamento del suo piccolo essere  - i quali lo rendono invidioso, gli insegnano la vendetta...Il suo torto non sta mai in diritti ineguali, sta nel pretendere "uguali" diritti...Che cos'è cattivo? Ma l'ho già detto: tutto quanto scaturisce da fiacchezza ( parla lui che notoriamente si spaccava la schiena nei campi...n.d.S.),
da invidia, da vendetta ...L'anarchico e il cristiano hanno un'identica origine..." **

 A parte che mi sfugge perché coloro che definisce come dotati di "piccolo essere" dovrebbere restare appagati e non, esercitando proprio la vdp, desiderare di essere migliori e diventare i "sommi" e quindi  "rovesciare i sommi dai troni" nei quali  questi ultimi si autoqualificano trovarsi...

Questo quale N. è: quello sano o quello ormai malato?   :-\
Istruitemi, fatemi capire... ;D
Ciao

** L'anticristo-cap. 57 -  corsivo rigorosamente come nel testo di N.
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Kobayashi il 17 Luglio 2018, 15:08:47 PM
Io non sono ne' un suo discepolo ne' un suo detrattore.
Non mi interessa difenderlo.
Però quando mi avvicino alla sua opera riconosco che c'è qualcosa di grande. Basta avere un briciolo di istinto filosofico per sentirlo.
Non ho nessuna intenzione di fare il gioco di cercare di giustificare parti della sua opera etc.
Per capire il suo pensiero bisognerebbe prima chiedersi se si sono compresi i suoi concetti filosofici di base (volontà di potenza, eterno ritorno, genealogia, etc.). Del resto è quello che si farebbe normalmente se si decidesse di leggere per esempio la Fenomenologia dello spirito.
Saremmo attenti a non confondere il significato specifico dei termini usati da Hegel con quelli del senso comune.
Nella tua poesia sembravi confondere la volontà di potenza, che è un concetto filosofico, con il semplice desiderio e le sue oscillazioni. Non mi sembra un buon punto di partenza...
Bisognerebbe chiedersi con onestà se si ha voglia di condurre una lettura critica e attenta e riuscire magari a tirar fuori qualche tesoro o rimanere fermi ai propri pregiudizi.

Detto questo, ed essendomi reso conto che nel forum nei confronti di N. c'è poca generosità e giustizia, mi fermo qui per non risultare troppo insistente ed essere confuso con i suoi violenti supporter...
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Sariputra il 17 Luglio 2018, 15:26:43 PM
Citazione di: Kobayashi il 17 Luglio 2018, 15:08:47 PMIo non sono ne' un suo discepolo ne' un suo detrattore. Non mi interessa difenderlo. Però quando mi avvicino alla sua opera riconosco che c'è qualcosa di grande. Basta avere un briciolo di istinto filosofico per sentirlo. Non ho nessuna intenzione di fare il gioco di cercare di giustificare parti della sua opera etc. Per capire il suo pensiero bisognerebbe prima chiedersi se si sono compresi i suoi concetti filosofici di base (volontà di potenza, eterno ritorno, genealogia, etc.). Del resto è quello che si farebbe normalmente se si decidesse di leggere per esempio la Fenomenologia dello spirito. Saremmo attenti a non confondere il significato specifico dei termini usati da Hegel con quelli del senso comune. Nella tua poesia sembravi confondere la volontà di potenza, che è un concetto filosofico, con il semplice desiderio e le sue oscillazioni. Non mi sembra un buon punto di partenza... Bisognerebbe chiedersi con onestà se si ha voglia di condurre una lettura critica e attenta e riuscire magari a tirar fuori qualche tesoro o rimanere fermi ai propri pregiudizi. Detto questo, ed essendomi reso conto che nel forum nei confronti di N. c'è poca generosità e giustizia, mi fermo qui per non risultare troppo insistente ed essere confuso con i suoi violenti supporter...

Ti ringrazio per i franchi complimenti... ;D  ;D
Mi fa piacere che tu disponi di questo famigerato "istinto filosofico",,,di cui evidentemente son sprovvisto.
Non essendo interessato, per ovvi motivi,  a scavare nel letame per "tirar fuori qualche tesoro"... penso anch'io di fermarmi qui per non risultare troppo insistente ed essere confuso con i suoi violenti detrattori... ;)
Ciao
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: 0xdeadbeef il 17 Luglio 2018, 16:50:20 PM
Citazione di: sgiombo il 16 Luglio 2018, 19:30:33 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 16 Luglio 2018, 17:15:33 PMMa "impulso (comportamentale istintivo)" significa puramente e semplicemente "conato", desiderio di raggiungere un (qualsiasi; più o meno buono o cattivo, importante o futile, nobile o volgare, ecc. che sia) obiettivo.
CitazioneOgni volontà (di potenza?!?!?!) per definizione é ricerca di soddisfazione.
Ma questo non equipara affatto tutte le diversissime e in qualche caso del tuttp reciprocamente contrarie volontà possibili e realmente esistenti fra loro!

No, non le equipara affatto (il piacere e l'utile di Madre Teresa di aiutare i poveri e i sofferenti non può in
alcun modo essere equiparato al piacere e utile di Hitler di sterminare gli Ebrei, è ovvio).
Ma, ti chiedo, cos'è che allora differenzia i due diversi modi di perseguire il proprio piacere?
Sulla risposta a questa domanda a parer mio torna quella parolina: "Bene", cui la filosofia anglosassone afferma
consistere la ricerca del piacere e dell'utile individuali.
Non è chiaramente (almeno per me ) così come affermato dagli anglosassoni. La teoria soggettiva del Bene mostra tutti
i suoi limiti laddove costretta ad inventarsi un qualcosa di francamente grottesco, come l'affermazione che Dio, "poi",
regolerà al meglio e a vantaggio di tutti questi impulsi individuali al piacere (come del resto nella teoria della "mano
invisibile" di Smith, vero e proprio fondamento assoluto di tutta la teoria economica neoclassica).
Si rende allora necessario un recupero della teoria "oggettiva" del Bene (quella classica dell'Europa continentale); una
teoria che giudica "buono" un agire SE conforme ad un'idea del Bene che è "data" come "oggetto".
Ecco allora che la ricerca del piacere e dell'utile di Madre Teresa apparirà come "buona", appunto perchè conforme
ad un'idea del "Bene in sè" (e viceversa per Hitler).
Dal punto di vista di Nietzsche però il problema è che questa idea oggettiva del Bene viene rimossa (laddove viene
dichiarato, con Dio, "morto" il valore morale). E ciò che allora rimane non è certo l'eco "eroica" e pateticamente
romantica dell'"oltreuomo", ma la meschinità e il grottesco della visione anglosassone.
saluti
(come vedi sono ancora kantiano...)
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Carlo Pierini il 17 Luglio 2018, 16:54:07 PM
Cit. SGIOMBO
e variazioni nelle espressioni dei geni determinano variazioni, anche notevolissime, nei fenotipi.
E fra queste variazioni, oltre che di morfologiche, ve ne possono essere e ve ne sono di fatto anche di funzionali, riguardanti i comportamenti.
Non possono originare istinti ex novo, ma possono molto variabilmente regolare e "modulare" in maniera estremamente diversa da caso a caso l' attuazione di differenti e talora opposte potenziali tendenze comportamentali istintive a seconda delle variabili esperienze vissute e degli influssi subiti dall' ambiente, talora diversissimi da caso a caso .
Inoltre nell' uomo in particolare, che presenta una spettacolare variabilità comportamentale ambiente dipendente, una formidabile creatività nei suoi comportamenti, alle variazioni epigenetiche naturali (-stiche) se ne aggiungono di culturali, ancor più pleiomorfe e variabili.

Cit. CARLO
Tutto ciò che hai scritto ha DUE significati radicalmente diversi tra loro a seconda che si consideri la mente come un epifenomeno dell'attività cerebrale o che la si consideri come una entità interagente dialetticamente col cervello (vedi J. Eccles). Nel primo caso il fenotipo è determinante per il comportamento, nel secondo caso è del tutto marginale, perché non è più il solo cervello che "detta" il comportamento, ma è il risultato dell'interazione tra i due enti (mente-cervello).  Qual'è il tuo paradigma interpretativo? ...E quali sono i motivi per i quali lo reputi più valido dell'altro?

SGIOMBO
Nè l'uno né l'altro: la mente corrisponde biunivocamente al cervello.

CARLO
Si può parlare di corrispondenza BI-univoca quando abbiamo a che fare con DUE enti di pari rango ontologico (DUA-lismo): la mente E il cervello. Altrimenti devi parlare SOLO del cervello (MON-ismo) e considerare il termine "mente" solo come il nome che dai all'attività del cervello. Non esistono comode vie di mezzo. O la mente esiste come qualcosa di distinguibile dal cervello, oppure non esiste. La logica non ti permette di farla esistere quando ti fa comodo e di negarne l'esistenza quando non ti fa comodo.

SGIOMBO
Per la chiusura causale del mondo fisico (conditio sine qua non della  conoscenza scientifica) non é possibile alcuna interazione con la materia in generale (e col cervello in particolare) da parte di alcunché che non sia materiale e non segua le leggi generali universali e costanti del divenire materiale.

CARLO
Un certo John Eccles, premio Nobel per le neuroscienze, dice il contrario; e fin qui nessuno ha considerato anti-scientifica la sua teoria (dualismo-interazionismo):
https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/mente-e-cervello-una-complementarita-di-opposti/

SGIOMBO
Le ragioni per le quali sostengo la mia personale ontologia dualistica ("parallleistica" e non "interazionistica") dei fenomeni, monistica del noumeno le ripeto continuamente, anche nelle discussioni nel forum cui ho partecipato di recente.
Ma se sistematicamente non le si legge é perfettamente inutile domandare "quali sono"?.

CARLO
I tuoi sono solo giochi di parole. "Dualismo" significa che delle intenzioni mentali (non causate dal cervello) possono agire sul cervello e, reciprocamente, delle pulsioni biologiche (non causate dalla mente) possono agire sulla mente. Altrimenti si parla di monismo, cioè di comportamento INTERAMENTE determinato dall'attività bio-cerebrale. Una cosa non può esistere e, insieme, non-esistere. Ce l'hai presente il principio di non-contraddizione?
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Carlo Pierini il 17 Luglio 2018, 18:14:03 PM
Citazione di: paul11 il 17 Luglio 2018, 10:54:23 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 17 Luglio 2018, 02:34:25 AM
Citazione di: paul11 il 16 Luglio 2018, 23:21:30 PMCARLO Secondo me, tu fai lo stesso errore dei preti: scambi dei racconti mitici per racconti storici. Magari credi anche tu che Cristo sia un personaggio storico capace di moltiplicare pani e pesci, di resuscitare i morti e poi di morire, risorgere e di salire al cielo senza tuta spaziale? ...Che Mosè abbia aperto fisicamente le acque del Mar Rosso, che Elia sia stato rapito in cielo dagli extraterrestri, ecc.? ...Che Atlantide sia una storia vera? Non ti seguo su questo terreno. Le esperienze visionarie che ho vissuto io si intrecciano profondamente con molte delle mitologie di tutto il pianeta, ma non hanno nulla a che vedere con razze superiori, ma solo con "spiriti" superiori che "confinano" con le profondità di noi stessi. Non riesco a capire come una persona intelligente e perspicace come te possa credere alla storia delle razze superiori, senza alcuna prova oggettiva, ma solo sulla base di antichi racconti in bilico tra mito e storia. Leggiti qualche trattato di storia comparata dei simboli mitico-religiosi e comincerai a capire che molti dei "luoghi" e dei "personaggi" da te citati come reali, sono in realtà dei simboli tipici, anzi, ...archetipici riconoscibilissimi che, magari, "hanno preso in prestito" dei luoghi e dei fatti reali per esprimere il loro contenuto simbolico. ...Ah, adesso ho capito perché non sei d'accordo con la seconda citazione di Evola che ho riportato sopra! :)
PAUL11
Che i numeri dati da un certo Yahweh a Noè per la costruzione dell'Arca e Mosè per la costruzione prima dell'arca dell'alleanza e poi saranno date le misure per costruire il tempio di Gerusalemme, hanno significati di orientamento astronomico planetario.

CARLO
Come fai a credere al mito di Noè come ad un racconto storico? Ti sembra credibile che un uomo di più di tremila anni fa sia stato in grado di raccogliere in un'arca TUTTE le specie animali (un centinaio di milioni) di ogni parte del mondo, come: orsi polari, koala e canguri australiani, lemuri del Madagascar, formiche rosse dell'Amazzonia, pinguini del polo Sud, tartarughe delle Galapagos, ecc.?
Sulla base DI COSA puoi sostenere che non si tratta di un mito, ma di un evento storico?
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Lou il 17 Luglio 2018, 18:39:29 PM
Citazione di: Kobayashi il 17 Luglio 2018, 11:42:20 AM
Scrive Deleuze: "Non si insisterà mai troppo nel sottolineare quanto siano estranee a Nietzsche e alla concezione della volontà di potenza le nozioni di guerra, di rivalità o anche di confronto. Non che egli neghi l'esistenza della lotta, ma non la ritiene affatto creatrice di valori. Tutt'al più, i soli valori che essa crea sono i valori dello schiavo che trionfa: la lotta non è principio o motore della gerarchia, ma mezzo di cui lo schiavo si serve per rovesciare la gerarchia. La lotta non è mai espressione attiva delle forze o manifestazione di una volontà di potenza che afferma, e il suo risultato non esprime affatto il trionfo del signore o del forte. Al contrario, la lotta è il mezzo con cui i deboli, in quanto più numerosi, riescono a prevalere sui forti."
Seguendo l'interpretazione di Deleuze direi che comunque, se non erro, la volontà di potenza essendo sottesa, o meglio, intrinseca alle forze che plasmano i fenomeni, ha una valenza genetica per quanto riguarda la gerarchia valoriale che viene a crearsi, crea differenza e pluralità. Concordo che le nozioni di lotta, guerra e rivalità comunemente intese nel passo che hai postato, siano estranee al concetto di Vdp, tuttavia ritengo che la guerra, nel senso eracliteo del termine, giochi un ruolo importante nella concezione nietzschiana della Vdp.
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: sgiombo il 17 Luglio 2018, 21:04:47 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 17 Luglio 2018, 16:54:07 PM
CARLO
Si può parlare di corrispondenza BI-univoca quando abbiamo a che fare con DUE enti di pari rango ontologico (DUA-lismo): la mente E il cervello. Altrimenti devi parlare SOLO del cervello (MON-ismo) e considerare il termine "mente" solo come il nome che dai all'attività del cervello. Non esistono comode vie di mezzo. O la mente esiste come qualcosa di distinguibile dal cervello, oppure non esiste. La logica non ti permette di farla esistere quando ti fa comodo e di negarne l'esistenza quando non ti fa comodo.

CitazioneSgiombo:

Quello di cui devo parlare lo decido io e non certo tu!

Se non ti interessa quello che scrivo non c' è bisogno che lo legga distrattamente senza porvi attenzione; non é obbligatorio, puoi anche ignorarlo (quello che non puoi fare, senza contravvenire la correttezza della discussione, é falsificare le mie affermazioni)

Ho sempre chiarito inequivocabilmente che non chiamo affatto "mente" il cervello, ma invece (parte de-) la manifestazione fenomenica interiore (a se stessa) di quella stessa cosa in sé che ad altri soggetti da sé diversi si manifesta esteriormente come cervello: due cose fenomeniche completamente diverse, anche se necessariamente divenienti in corrispondenza biunivoca e corrispondenti alla medesima cosa in sé: un certo determinato stato funzionale di un certo determinato cervello e nessun altro per un certo determinato stato di una certa determinata coscienza e nessun altro e viceversa.
Non ti interessa?
Bene (lo sospettavo; come sospetto che con la tua solita ridicola sicumera le ritieni sproloqui, parole al vento); ma questo non ti autorizza ad attribuirmi tesi diverse e contrarie dalle mie autentiche.




CARLO
Un certo John Eccles, premio Nobel per le neuroscienze, dice il contrario; e fin qui nessuno ha considerato anti-scientifica la sua teoria (dualismo-interazionismo):
https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/mente-e-cervello-una-complementarita-di-opposti/
CitazioneLo so e ne abbiamo già discusso.

Eccles cerca di "insinuare" determinazioni mentali nell' indeterminazione quantistica: una teoria di indubbia intelligenza e compatibile in linea di principio (in teoria, ipoteticamente) con la chiusura causale del mondo fisico, ma non compatibile con le osservazioni di fatto delle neuroscienze e dunque falsificata epiricamente.

SGIOMBO
Le ragioni per le quali sostengo la mia personale ontologia dualistica ("parallleistica" e non "interazionistica") dei fenomeni, monistica del noumeno le ripeto continuamente, anche nelle discussioni nel forum cui ho partecipato di recente.
Ma se sistematicamente non le si legge é perfettamente inutile domandare "quali sono"?.

CARLO
I tuoi sono solo giochi di parole. "Dualismo" significa che delle intenzioni mentali (non causate dal cervello) possono agire sul cervello e, reciprocamente, delle pulsioni biologiche (non causate dalla mente) possono agire sulla mente. Altrimenti si parla di monismo, cioè di comportamento INTERAMENTE determinato dall'attività bio-cerebrale. Una cosa non può esistere e, insieme, non-esistere. Ce l'hai presente il principio di non-contraddizione?
CitazioneInvece la tua é solo confusione: "Dualismo" (fra materia e coscienza) non significa affatto necessariamente solo e unicamente che delle intenzioni mentali (non causate dal cervello) possono agire sul cervello e, reciprocamente, delle pulsioni biologiche (non causate dalla mente) possono agire sulla mente.
Questo é il dualismo "interazionistico" (per esempio di Cartesio), ma il dualismo non é necessariamente tale potendo anche essere (come nel caso da me sostenuto) "parallelistico": il divenire del cervello e quello dell' esperienza cosciente "vanno di pari passo", in corrispondenza biunivoca senza alcuna reciproca interferenza causale, su piani ontologici incomunicanti, reciprocamente trascendenti.
La contraddizione logica non c' entra manco per niente!
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Carlo Pierini il 18 Luglio 2018, 00:16:07 AM
Citazione di: sgiombo il 17 Luglio 2018, 21:04:47 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 17 Luglio 2018, 16:54:07 PM
Citazioneil dualismo non é necessariamente tale potendo anche essere (come nel caso da me sostenuto) "parallelistico": il divenire del cervello e quello dell' esperienza cosciente "vanno di pari passo", in corrispondenza biunivoca senza alcuna reciproca interferenza causale, su piani ontologici incomunicanti, reciprocamente trascendenti.
La contraddizione logica non c' entra manco per niente!

CARLO
...Mancanza di comunicazione tra mente e cervello? :))
...E quando la mente decide, per esempio, di muovere un dito, CHI E' che agisce sui centri nervosi del cervello deputati al movimento del dito, se non c'è comunicazione tra mente e cervello?
...E quando qualcuno ti infila uno spillo in una chiappa, CHI E' che agisce sulla tua mente per renderla consapevole che dietro di te c'è un coglione che sta per ricevere uno sganassone? ...Il Padreterno?
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: sgiombo il 18 Luglio 2018, 08:28:37 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 18 Luglio 2018, 00:16:07 AM
Citazione di: sgiombo il 17 Luglio 2018, 21:04:47 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 17 Luglio 2018, 16:54:07 PM
Citazioneil dualismo non é necessariamente tale potendo anche essere (come nel caso da me sostenuto) "parallelistico": il divenire del cervello e quello dell' esperienza cosciente "vanno di pari passo", in corrispondenza biunivoca senza alcuna reciproca interferenza causale, su piani ontologici incomunicanti, reciprocamente trascendenti.
La contraddizione logica non c' entra manco per niente!

CARLO
...Mancanza di comunicazione tra mente e cervello? :))
...E quando la mente decide, per esempio, di muovere un dito, CHI E' che agisce sui centri nervosi del cervello deputati al movimento del dito, se non c'è comunicazione tra mente e cervello?
Citazione
Nessuno: i due ordini di fenomeni divengono di pari passo senza reciproche interferenze (come le rotaie di una ferrovia curvano allo stesso modo senza causare l' una la curvatura dell' altra: entrambe dipendono da chi ha costruito la ferrovia, come entrambi gli eventi fenomenici -cerebrale e mentale- dipendono da determinati eventi -gli stessi- in una determinata "entità in sé" che potremmo chiamare "la tua persona", "te", soggetto e insieme oggetto riflessivamente dei fenomeni mentali "volontà di muovere il dito" nella tua esp. fen. cosc.** e oggetto (unicamente) dei fenomeni materiali "eventi neurofisiologici nel tuo cervello" nelle esp. fen. cosc.* di chi lo osservi).

Semplicemente mentre nella tua esperienza fenomenica cosciente** c' é la decisione di muovere il dito, in quelle* di chi osservi il tuo cervello ci sono determinati eventi neurofisiologici nel tratto della circonvoluzione prerolandica corrispondete al dito


...E quando qualcuno ti infila uno spillo in una chiappa, CHI E' che agisce sulla tua mente per renderla consapevole che dietro di te c'è un coglione che sta per ricevere uno sganassone? ...Il Padreterno?
Citazione
Né il padreterno, che non esiste, né alcun altro: Semplicemente mentre nella mia esperienza fenomenica cosciente** c' é la sensazione della puntura della chiappa, e poi della decisione di dare lo sganassone, in quelle* di chi osservi il mio cervello ci sono determinati eventi neurofisiologici nel tratto della circonvoluzione postrolandica corrispondete alla chiappa, e poi determinate trasmissioni di potenziali d' azione dai neuroni di tale area a quelli della circonvoluzione prerolandica corrispondenti al braccio destro che ne vengono attivati e provocano le contrazioni muscolari costituenti lo sganassone.
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Carlo Pierini il 18 Luglio 2018, 11:08:37 AM
Citazione di: sgiombo il 18 Luglio 2018, 08:28:37 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 18 Luglio 2018, 00:16:07 AM
Citazione di: sgiombo il 17 Luglio 2018, 21:04:47 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 17 Luglio 2018, 16:54:07 PM
Citazioneil dualismo non é necessariamente tale potendo anche essere (come nel caso da me sostenuto) "parallelistico": il divenire del cervello e quello dell' esperienza cosciente "vanno di pari passo", in corrispondenza biunivoca senza alcuna reciproca interferenza causale, su piani ontologici incomunicanti, reciprocamente trascendenti.
La contraddizione logica non c' entra manco per niente!

CARLO
...Mancanza di comunicazione tra mente e cervello? :))
...E quando la mente decide, per esempio, di muovere un dito, CHI E' che agisce sui centri nervosi del cervello deputati al movimento del dito, se non c'è comunicazione tra mente e cervello?
Citazione
Nessuno: i due ordini di fenomeni divengono di pari passo senza reciproche interferenze (come le rotaie di una ferrovia curvano allo stesso modo senza causare l' una la curvatura dell' altra: entrambe dipendono da chi ha costruito la ferrovia, come entrambi gli eventi fenomenici -cerebrale e mentale- dipendono da determinati eventi -gli stessi- in una determinata "entità in sé" che potremmo chiamare "la tua persona", "te", soggetto e insieme oggetto riflessivamente dei fenomeni mentali "volontà di muovere il dito" nella tua esp. fen. cosc.** e oggetto (unicamente) dei fenomeni materiali "eventi neurofisiologici nel tuo cervello" nelle esp. fen. cosc.* di chi lo osservi).

Semplicemente mentre nella tua esperienza fenomenica cosciente** c' é la decisione di muovere il dito, in quelle* di chi osservi il tuo cervello ci sono determinati eventi neurofisiologici nel tratto della circonvoluzione prerolandica corrispondete al dito


...E quando qualcuno ti infila uno spillo in una chiappa, CHI E' che agisce sulla tua mente per renderla consapevole che dietro di te c'è un coglione che sta per ricevere uno sganassone? ...Il Padreterno?
Citazione
Né il padreterno, che non esiste, né alcun altro: Semplicemente mentre nella mia esperienza fenomenica cosciente** c' é la sensazione della puntura della chiappa, e poi della decisione di dare lo sganassone, in quelle* di chi osservi il mio cervello ci sono determinati eventi neurofisiologici nel tratto della circonvoluzione postrolandica corrispondete alla chiappa, e poi determinate trasmissioni di potenziali d' azione dai neuroni di tale area a quelli della circonvoluzione prerolandica corrispondenti al braccio destro che ne vengono attivati e provocano le contrazioni muscolari costituenti lo sganassone.

CARLO
Trasferisco la mia risposta nel thread "Mente e cervello: una complementarità di opposti", per ovvie ragioni.
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: 0xdeadbeef il 18 Luglio 2018, 16:23:12 PM
Citazione di: Kobayashi il 17 Luglio 2018, 12:35:25 PM
Quello che voleva suggerire Deleuze è che l'uomo nobile di N. (così come per esempio l'uomo nobile di Eckhart), non può essere dedotto dai luoghi comuni della nostra vita pubblica.
L'uomo nobile non è chi ha il potere politico o economico, per intenderci, ma chi vive con gioia la propria differenza, chi non ha risentimento e non ha alcun interesse a costringere gli altri a essere come lui, chi con serenità va avanti per la sua strada senza voler essere riconosciuto, interessato più alla sua gioia di creare che al vile godimento di sottomettere gli altri etc..

Non condivido affatto questa interpretazione di Deleuze.
Come ti dicevo nella precedente risposta (che forse ti è sfuggita):
"Quindi certo, sono in linea di massima d'accordo con Deleuze. Senonchè mi sembrerebbe però alquanto discutibile la sua
distinzione fra forze "attive" ("che tendono alla propria affermazione") e "passive" (forze "dominate" che presumibilmente
NON tendono alla propria affermazione).
Voglio dire che se c'è volontà di potenza sia nella forza attiva che in quella passiva, come mi pare affermi Deleuze, allora
sia le forze attive che quelle reattive tendono alla propria affermazione (come del resto vi tendono necessariamente nella
mia tesi, visto che sostengo la natura innata ed universale della ricerca del piacere e dell'utile).
Da questo punto di vista il proposito di Nietzsche di un "oltreuomo" nel quale le forze "attive" ("vitali"; "nobili") si
liberano (e non possono che liberarsi dalle forze reattive...) in un'opera "creativa" mi appare come un residuo
idealistico se non proprio metafisico".
Credo in sostanza che, per così dire, la partita si giochi tutta in quella distinzione fra forze "attive" e "reattive" che
dal mio punto di vista non esiste (in quanto la volontà di potenza coincide con la ricerca dell'utile e del piacere).
Dove va a pescare, Nietzsche, quest'idea della volontà di potenza come espressione dell'uomo "nobile" SE NON in un'idea
aprioristica della "nobiltà"? SE NON, cioè, in un vero e proprio valore morale?
Eppure è chiaro che la sua filosofia piuttosto distrugge il valore morale e l'apriorismo...
saluti
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: 0xdeadbeef il 18 Luglio 2018, 16:44:57 PM
Citazione di: Lou il 16 Luglio 2018, 21:05:21 PM
Ma per Nietzsche e Spinoza stesso non ritengo proprio sia così, viene prima la polis dell'individuo, è inimmaginabile una vdp individualistica posta in questi termini, se non in senso reattivo. Se me lo consenti, nè per l'uno, nè per l'altro. La realtà non è individuale.


Come affermo nella precedente risposta a Kobayashi, contesto questa tesi delle forze "attive" e "reattive" (la contesto
sulla base, dicevo in precedenza, degli studi dello psicologo nietzscheiano A.Adler, che individua la volontà di potenza
anche nel masochista, nel suicida o nel malato psichico).
Dal mio punto di vista è chiaro che l'"oltreuomo", nella sua "nobiltà", vitalità etc. è solo un residuo idealistico se
non proprio metafisico (anzi, direi che lo è decisamente...), e che la realtà è molto più elementare e meschina.
Che vuol dire: "la realtà non è individuale" (come che vuol dire che per Nietzsche viene prima la polis)?
Sto semplicemente dicendo che la filosofia anglosassone, nella sua tradizione classica, vede il "Bene" in maniera
soggettiva, e cioè come ricerca dell'utile e del piacere individuali (contro una tradizione europeo-continentale
che invece lo vede, il "Bene", in maniera oggettiva, cioè come "in sè").
E che Nietzsche, nel momento in cui distrugge quell'"in sè", distrugge anche l'idea europeo-continentale del "Bene".
PER CUI, visto che non è certo pensabile che Nietzsche possa riprendere PER INTERO l'idea anglosassone del Bene (con
annessi e connessi "orologiai", mani invisibili e divinità varie...), chiedevo cosa restasse.
Si pensa davvero possa restare l'idea di un "oltreuomo" nobile e, diciamo, dalle mille virtù?
Oppure si può pensare che resti una realtà elementare e meschina, come dicevo, che vede l'agire umano come rivolto solo
e sempre al perseguimento del proprio utile e piacere?
Non a caso dicevo appunto fin dall'inizio che avrei cercato di proporre un Nietzsche diverso, appunto "da un altro punto di vista"...
saluti
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Carlo Pierini il 18 Luglio 2018, 17:10:10 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 18 Luglio 2018, 16:44:57 PM
Citazione di: Lou il 16 Luglio 2018, 21:05:21 PMMa per Nietzsche e Spinoza stesso non ritengo proprio sia così, viene prima la polis dell'individuo, è inimmaginabile una vdp individualistica posta in questi termini, se non in senso reattivo. Se me lo consenti, nè per l'uno, nè per l'altro. La realtà non è individuale.
OXDEADBEEF
Come affermo nella precedente risposta a Kobayashi, contesto questa tesi delle forze "attive" e "reattive" (la contesto
sulla base, dicevo in precedenza, degli studi dello psicologo nietzscheiano A. Adler, che individua la volontà di potenza
anche nel masochista, nel suicida o nel malato psichico).

CARLO
Infatti, avevo risposto a Kobayashi:

- Dal punto di vista spiritualista la forza attiva è lo Spirito e la reattiva è la Materia, la "carne". Infatti il "nichilismo" spiritualista consisteva in una svalutazione della Materia che spesso rasentava la negazione (la materia identificata con il "Male"; e in certe concezioni orientali considerata come "maya", illusione).

- Dal punto di vista materialista, invece, la forza attiva è la Materia, l'istintualità, la Natura orgiastico-dionisiaca, mentre la spiritualità è "illusione", resistenza passiva da sottomettere, da "annichilire".

In realtà Spirito e Materia sono ENTRAMBE forze attive, le due polarità dell'Essere; e la soluzione non consiste nel sacrificare l'una sull'altare dell'altra (mutilando comunque una delle due "potenze" dell'anima), ma consiste nell'impresa (davvero eroica) di armonizzarle-complementarizzarle in una unità superiore che elevi entrambe al loro massimo compimento, alla loro più alta espressione.
QUESTO è il vero Super-Uomo, non la "scimmia" nietzschiana che, "ingoiando" Dio, gonfia smisuratamente il proprio ego soggettivo e considera tutti gli altri come oggetti da sottomettere e immolare alla propria ipertrofica "volontà di potenza".

Scrive Jung:
<<Sia la teoria freudiana che quella adleriana vanno disapprovate non in quanto psicologia degli istinti, ma in quanto unilaterali. È psicologia senza psiche, che conviene a chi crede di non avere aspirazioni o necessità spirituali. [...] Anche se queste teorie rendono giustizia alla psicologia delle nevrosi in misura infinitamente maggiore di quanto abbia fatto qualunque concezione medica precedente, il loro limitarsi a ciò che è istintuale non soddisfa le necessità più profonde>>.  [JUNG:Psicologia e religione - pg.313]
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Lou il 18 Luglio 2018, 18:17:07 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 18 Luglio 2018, 16:44:57 PM
Citazione di: Lou il 16 Luglio 2018, 21:05:21 PM
Ma per Nietzsche e Spinoza stesso non ritengo proprio sia così, viene prima la polis dell'individuo, è inimmaginabile una vdp individualistica posta in questi termini, se non in senso reattivo. Se me lo consenti, nè per l'uno, nè per l'altro. La realtà non è individuale.


Come affermo nella precedente risposta a Kobayashi, contesto questa tesi delle forze "attive" e "reattive" (la contesto
sulla base, dicevo in precedenza, degli studi dello psicologo nietzscheiano A.Adler, che individua la volontà di potenza
anche nel masochista, nel suicida o nel malato psichico).
Dal mio punto di vista è chiaro che l'"oltreuomo", nella sua "nobiltà", vitalità etc. è solo un residuo idealistico se
non proprio metafisico (anzi, direi che lo è decisamente...), e che la realtà è molto più elementare e meschina.
Che vuol dire: "la realtà non è individuale" (come che vuol dire che per Nietzsche viene prima la polis)?
Sto semplicemente dicendo che la filosofia anglosassone, nella sua tradizione classica, vede il "Bene" in maniera
soggettiva, e cioè come ricerca dell'utile e del piacere individuali (contro una tradizione europeo-continentale
che invece lo vede, il "Bene", in maniera oggettiva, cioè come "in sè").
E che Nietzsche, nel momento in cui distrugge quell'"in sè", distrugge anche l'idea europeo-continentale del "Bene".
PER CUI, visto che non è certo pensabile che Nietzsche possa riprendere PER INTERO l'idea anglosassone del Bene (con
annessi e connessi "orologiai", mani invisibili e divinità varie...), chiedevo cosa restasse.
Si pensa davvero possa restare l'idea di un "oltreuomo" nobile e, diciamo, dalle mille virtù?
Oppure si può pensare che resti una realtà elementare e meschina, come dicevo, che vede l'agire umano come rivolto solo
e sempre al perseguimento del proprio utile e piacere?
Non a caso dicevo appunto fin dall'inizio che avrei cercato di proporre un Nietzsche diverso, appunto "da un altro punto di vista"...
saluti
A grandi linee, pur non conoscendo in modo approfondito Adler, la tesi delle forze attive e reattive* non la vedo smentita nel fatto di considerare, ad esempio il gesto suicida che è un gesto assai potente, retto da vdp. Detto ciò, dovrei studiare Adler, quindi prendila così. (* per altro verso è coerente pure con la disanima nietzschiana del nichilismo attivo e passivo)
Che viene prima la polis significa che, poichè il punto di vista sulla Vdp che presenti lo trovo parecchio individualista, ecco vorrei rimarcare che la Vdp la trovo assai latrice di pluralità e differenza e socialità - la creazione di valori non ricerca il proprio utile, ma afferma una differente visione della società umana - più che una componente che muove alla ricerca del proprio utile e del proprio piacere.
Sul resto mi riservo di rifletterci, la carne al fuoco è tanta.
Ciao^^
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: sgiombo il 18 Luglio 2018, 19:54:41 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 17 Luglio 2018, 16:50:20 PM
Citazione di: sgiombo il 16 Luglio 2018, 19:30:33 PMScusa, Mauro, per il ritardo della risposta; questo tuo intervento mi era sfuggito.
Citazione di: 0xdeadbeef il 16 Luglio 2018, 17:15:33 PM
Citazione
No, non le equipara affatto (il piacere e l'utile di Madre Teresa di aiutare i poveri e i sofferenti non può inalcun modo essere equiparato al piacere e utile di Hitler di sterminare gli Ebrei, è ovvio).

CitazioneNon credo abbia importanza per la presente discussione, ma non posso esimermi dal dire che ritengo Madre Teresa una perfida malfattrice.
Essa ha seminato miseria e infelicità a piene mani insegnando alle povere donne indiane a non praticare il controllo delle nascite e dunque ad esacerbare e trasmettere ai loro figli la miseria in cui non per colpa loro vivevano, in questo facendo perfidamente leva sulla fiducia che otteneva elargendo loro elemosine coi soldi sporchissimi del Vaticano & banda della Magliana (le briciole avanzate dopo ever finanziato Solidarnosc e pagato gli scioperanti controrivoluzionari polacchi per mesi e mesi più di quanto avrebbero onestamente guadagnato andando a lavorare ...comodo scioperare in questo modo! Ma poi hanno avuto le conseguenze che si meritavano...).
Inoltre, dopo aver usato (invano: tié brutta reazionaria di mmmerda!) la sua autorità per convincere le donne "comuni" irlandesi a votare al referendum contro il divorzio, ha pubblicamente dichiarato che quell' altra miserabile parassita che ancora rompe i coglioni decenni dopo essere morta della principessa Diana aveva fatto benissimo a separarsi dal marito e convivere more uxorio con un' amante: poverina, era infelice (che le proletarie irlandesi invece subissero qualsiasi prepotenza e oltraggio dai rispettivi mariti, che tanto non avevano il sangue blu!).

Davvero un individuo schifoso che penso Dante avrebbe debitamente collocato ben giù nell' inferno in compagnia del suo degno compare "santo subito GP2" (che io resto convinto fino a prova contraria -che il Vaticano, a costo di un' impopolarità e diffidenza crescente anche da parte dei fedeli, chissà perché persiste a guardarsi bene dal dare! Evidentemente lo scheletro nell' armadio é "di grossissima, enorme taglia"!- abbia -fra gli innumerevoli altri misfatti- violentato e fatto ammazzare Emanuela Orlandi).



Ma, ti chiedo, cos'è che allora differenzia i due diversi modi di perseguire il proprio piacere?
Sulla risposta a questa domanda a parer mio torna quella parolina: "Bene", cui la filosofia anglosassone afferma
consistere la ricerca del piacere e dell'utile individuali.
Non è chiaramente (almeno per me ) così come affermato dagli anglosassoni. La teoria soggettiva del Bene mostra tutti
i suoi limiti laddove costretta ad inventarsi un qualcosa di francamente grottesco, come l'affermazione che Dio, "poi",
regolerà al meglio e a vantaggio di tutti questi impulsi individuali al piacere (come del resto nella teoria della "mano
invisibile" di Smith, vero e proprio fondamento assoluto di tutta la teoria economica neoclassica).

CitazioneGli "anglosassoni" sono molti e fra loro assai diversi.
Mi sembra evidente che Hume (fatta la tara delle autocensure: non aveva, fra i suoi comunque enormi pregi, la tempra dell' eroe) non credesse in Dio e nella provvidenza; certo era un uomo del suo tempo, socialmente privilegiato, e ingenuamente credeva che la società in cui viveva fosse la migliore possibile e destinata a migliorarsi indefinitamente.
Quasi lo stesso credo possa dirsi di Stuart Mill.
Ma già per esempio Russell, pur con tutti i suoi limiti di riformista (comunque autentico e conseguente) in campo sociale e politico, era per la socializzazione dell' economia.

Comunque non c' é alcun bisogno di credere in Dio né in alcuna "mano invisibile" per avvertire in se stessi e notare universalmente di fatto in tutti gli uomini (in conseguenza de tutto naturale e quasi ovvia dell' evoluzione biologica) gli imperativi morali della compassione (in senso letterale: condivisione delle passioni, dolorose e penose come piacevoli e felici) degli altri, della generosità, altruismo, magnanimità, ecc.



Si rende allora necessario un recupero della teoria "oggettiva" del Bene (quella classica dell'Europa continentale); una
teoria che giudica "buono" un agire SE conforme ad un'idea del Bene che è "data" come "oggetto".
Ecco allora che la ricerca del piacere e dell'utile di Madre Teresa apparirà come "buona", appunto perchè conforme
ad un'idea del "Bene in sè" (e viceversa per Hitler).

Dal punto di vista di Nietzsche però il problema è che questa idea oggettiva del Bene viene rimossa (laddove viene
dichiarato, con Dio, "morto" il valore morale). E ciò che allora rimane non è certo l'eco "eroica" e pateticamente
romantica dell'"oltreuomo", ma la meschinità e il grottesco della visione anglosassone.
saluti
(come vedi sono ancora kantiano...)


CitazioneMa il senso del bene soggettivo eppure di fatto universalmente diffuso -nelle sue tensioni più generali e astratte- é più che sufficiente per una buona condotta umana, senza bisogno di alcun impossibile bene oggettivamente dimostrabile come tale.


Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: 0xdeadbeef il 18 Luglio 2018, 20:15:37 PM
Dice Kobayashi nel primo intervento in cui parla di Deleuze:

"Il concetto di forza. Ci sono forze attive, che tendono alla propria affermazione (che godono della differenza rispetto alle
altre forze), e reattive, che si oppongono alle prime.
La volontà di potenza è l'elemento genealogico delle forze. Ossia, è ciò che produce la differenza di quantità di due o
più forze che sono in rapporto, ed è ciò che determina la qualità di ciascuna forza.
Le forze, in base alla loro quantità, possono essere dominanti o dominate.
In base alla loro qualità, attive o reattive.
C'è volontà di potenza sia nella forza attiva che in quella reattiva.
Quindi in N. c'è un'opera di ricerca di ciò che si muove sotto un certo fenomeno e che determina il valore di esso (il lavoro
genealogico), e nello stesso tempo un'opera creativa che mira a favorire la liberazione delle forze che affermano, le forze
vitali, attive, nobili".

Ora, non ho mai letto nulla di Deleuze su questa questione, quindi mi baso sulle poche righe riportateci da Kobayashi.
Detto ciò, da quel che leggo a me questa questione delle forze "attive" e "reattive" sembra molto, come dire, "artificiosa".
Se il movente primo dell'agire umano è la ricerca dell'utile e del piacere (come io sostengo sulla base di quanto afferma la
tradizione filosofica anglosassone), allora tale distinzione è INNANZITUTTO valoriale.
Insomma, chi dice cos'è "attivo" e cos'è "reattivo"? Così, a naso, mi sembrerebbe proprio si stia sostenendo che le forze
"attive" sono quelle che, ove siano in quantità maggiore delle "reattive", conducono alle "nobili virtù" dell'oltreuomo...
Non solo, ma come si fa a dire che vi è volontà di potenza anche nelle forze "reattive" (presumibilmente quelle che si
OPPONGONO alle suddette nobili virtù) e poi per così dire "squalificare" tali forze?
Su quali basi avvengono questi giudizi di valore?
Perchè mi sembrerebbe oltremodo evidente che si sta parlando di giudizi di valore; e però questi giudizi non possono
essere certo espressi su una base, diciamo, "nietzscheiana" (la filosofia di Nietzsche semmai distrugge il giudizio di valore).
Perchè se questa interpretazione di Deleuze (e diciamo pure anche l'originario pensiero di Nietzsche) fosse plausibile la
volontà di potenza si porrebbe, essa, come l'"in sè" originario, come il "movente non-valoriale" che non distingue perchè non
può distinguere (dicevo: su quale base) fra le sue molteplici attuazioni.
Bah, attendiamo se Kobayashi ha da dirci qualcosa di più preciso.
saluti
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Carlo Pierini il 19 Luglio 2018, 02:00:53 AM
Citazione di: 0xdeadbeef il 18 Luglio 2018, 20:15:37 PM
Dice Kobayashi nel primo intervento in cui parla di Deleuze:

"Il concetto di forza. Ci sono forze attive, che tendono alla propria affermazione (che godono della differenza rispetto alle
altre forze), e reattive, che si oppongono alle prime.
La volontà di potenza è l'elemento genealogico delle forze. Ossia, è ciò che produce la differenza di quantità di due o
più forze che sono in rapporto, ed è ciò che determina la qualità di ciascuna forza.
Le forze, in base alla loro quantità, possono essere dominanti o dominate.
In base alla loro qualità, attive o reattive.
C'è volontà di potenza sia nella forza attiva che in quella reattiva.
Quindi in N. c'è un'opera di ricerca di ciò che si muove sotto un certo fenomeno e che determina il valore di esso (il lavoro
genealogico), e nello stesso tempo un'opera creativa che mira a favorire la liberazione delle forze che affermano, le forze
vitali, attive, nobili".

Ora, non ho mai letto nulla di Deleuze su questa questione, quindi mi baso sulle poche righe riportateci da Kobayashi.
Detto ciò, da quel che leggo a me questa questione delle forze "attive" e "reattive" sembra molto, come dire, "artificiosa".
Se il movente primo dell'agire umano è la ricerca dell'utile e del piacere (come io sostengo sulla base di quanto afferma la
tradizione filosofica anglosassone), allora tale distinzione è INNANZITUTTO valoriale.
Insomma, chi dice cos'è "attivo" e cos'è "reattivo"? Così, a naso, mi sembrerebbe proprio si stia sostenendo che le forze
"attive" sono quelle che, ove siano in quantità maggiore delle "reattive", conducono alle "nobili virtù" dell'oltreuomo...
Non solo, ma come si fa a dire che vi è volontà di potenza anche nelle forze "reattive" (presumibilmente quelle che si
OPPONGONO alle suddette nobili virtù) e poi per così dire "squalificare" tali forze?
Su quali basi avvengono questi giudizi di valore?
Perchè mi sembrerebbe oltremodo evidente che si sta parlando di giudizi di valore; e però questi giudizi non possono
essere certo espressi su una base, diciamo, "nietzscheiana" (la filosofia di Nietzsche semmai distrugge il giudizio di valore).
Perchè se questa interpretazione di Deleuze (e diciamo pure anche l'originario pensiero di Nietzsche) fosse plausibile la
volontà di potenza si porrebbe, essa, come l'"in sè" originario, come il "movente non-valoriale" che non distingue perchè non
può distinguere (dicevo: su quale base) fra le sue molteplici attuazioni.
Bah, attendiamo se Kobayashi ha da dirci qualcosa di più preciso.
saluti

CARLO
Ci sono due modi per non dire nulla: stare in silenzio, oppure lanciarsi in lunghi e prolissi comizi senza rispondere ad alcuna obiezione.
Titolo: Re:Un gigante misconosciuto
Inserito da: sgiombo il 19 Luglio 2018, 05:20:22 AM
C' é a mio parere un gigante misconosciuto della filosofia in generale e dell' etica in particolare, che con la grandezza e la autentica genialità del suo pensiero, della sua vita e della sua morte annichilisce completamente Nietzche facendone risaltare la miserabile meschinità l' infima piccolezza teorica e probabilmente umana (e scandalizzatevi pure, politicamente corretti del nichilismo!).

Si tratta si Severino Boezio, che affrontando con straordinaria dignità l' ingiusta morte, non già dalla religione, pur essendo credente cristiano "al di sopra di ogni sospetto", ma invece dalla filosofia (sostanzialmente stoica) fu "consolato".

Dio era vivissimo, potentissimo, venerato e adorato da tutti, allora, e in particolare da lui stesso, ma non affatto Dio (non la religione cristiana, in cui pur credeva), bensì il -verrebbe da dire col linguaggio di oggi: quindici secoli dopo!- laicissimo libero pensiero (e i sentimenti) umano, l' umanità destituiva e destituisce di ogni fondamento l' ingiusta (e infame) pretesa che tutto sia "lecito".

Nella splendida opera che ne é il testamento di vita e di scienza, per l' appunto la Consolazione della filosofia, afferma con una fermezza resa assolutamente granitica dalle  drammatiche circostanze in cui scrive che anche se per assurdo inferno e paradiso non esistessero e la morte fosse la fine assoluta e senza alcun genere di prosecuzione della vita di ciascuno (= anche se in futuro "Dio dovesse morire" = checché potranno mai dirne un giorno "gli anglosassoni" o chiunque altro), per l' uomo il bene resta il fine cui tendere e il male ciò che va rifuggito per il semplice fatto che:

"La virtù é premio a se stessa" (e non ha alcun bisogno di paradisi di alcun genere; nè il vizio di inferni).

Lezione fatta propria anche da un' altro grandissimo senz' ombra i dubbio credente:

"Lo corpo ond' ella fu cacciata giace
giuso in Celdauro, ed essa da martiro
e da esiglio venne a questa pace!".

Abitando poco distante da Pavia sono andato alla splendida basilica di san Pietro in Ciel d' oro a rendere omaggio a questo grandissimo, e  credo che ci tornerò, specialmente se dovessi aver bisogno di aiuto e di conforto di fronte a difficili prove che la vita mi proponesse.
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Sariputra il 19 Luglio 2018, 10:08:53 AM
"Penso dunque che agli uomini giovi la sorte avversa più di quella prospera: questa, infatti, mostrandosi lusinghiera, inganna sempre con la parvenza della felicità, l'altra è sempre veritiera, mostrando la sua instabilità e la sua mutevolezza."
Anicio Manlio Severino Boezio


cit.Sgiombo
"La virtù é premio a se stessa" (e non ha alcun bisogno di paradisi di alcun genere; nè il vizio di inferni).


Concordo. Penso che non si tratta di stabilire a priori  degli imperativi, empirici o categorici, ma di sperimentare nella propria vita quali siano i vantaggi reali, concreti di un comportamento guidato dalla virtude. Se sostituiamo i termini "bene" e "male", che vengono percepiti dall'uomo moderno come carichi di valenza metafisica ( e perciò rifiutati...) con "effetti salutari" e "nocivi", sottolineiamo che un comportamento immorale non è tale perché va contro delle norme, ma perché è dannoso a se stessi, agli altri, a entrambi. A sua volta un comportamento morale è tale non perché obbedisce a norme o in funzione di un ipotetico premio 'divino', ma perché risulta benefico a se stessi, agli altri, a entrambi.
Se poi , come base di sotegno a questa virtù, inquadriamo il tutto nella consapevolezza del carattere di totale interdipendenza dei fenomeni e della loro impermanenza possiamo trovare risposta adeguata  pure all'obiezione: "Che possiamo dire di un'azione che è virtuosa per me nella misura in cui è dannosa per altri?"...
Infatti l'esperienza e la pratica di queste due qualità del reale, dovrebbero condurre allo sfaldamento del concetto di "io" separati. Il "mio" interesse non sarebbe in questo modo sempre e soltanto "mio", così come quello degli altri non sarebbe sempre e soltanto il "loro".
Tutto sarebbe vano se però la qualità mentale dell'equanimità non vigilasse sull'intero 'processo'. Equanimità in quanto capacità di distinguere e di scegliere in modo equilibrato.


Su Nietzsche e la V.di P. mi sono autocensurato... ;D  ;D ( a proposito di equanimità).
Ciao
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Carlo Pierini il 19 Luglio 2018, 13:19:59 PM
Citazione di: Sariputra il 19 Luglio 2018, 10:08:53 AM
Penso che non si tratta di stabilire a priori degli imperativi, empirici o categorici, ma di sperimentare nella propria vita quali siano i vantaggi reali, concreti di un comportamento guidato dalla virtude. Se sostituiamo i termini "bene" e "male", che vengono percepiti dall'uomo moderno come carichi di valenza metafisica ( e perciò rifiutati...) con "effetti salutari" e "nocivi", sottolineiamo che un comportamento immorale non è tale perché va contro delle norme, ma perché è dannoso a se stessi, agli altri, a entrambi.

CARLO
Pienamente d'accordo. Non si tratta di obbedire a norme imposte da un'autorità esterna, ma di coltivare e far evolvere i propri sentimenti personali di giustizia e di trasformarli progressivamente in regole spontanee di comportamento. POI, magari, scopriamo che esse coincidono con molte di quelle "norme a-priori" che da bambini ci avevano insegnato a rispettare  ...senza discutere!
Quindi l'errore dei relativisti non sta nella constatazione di una relativa diversità tra le regole etiche di diverse culture (un medesimo principio morale può essere rispettato in mille modi diversi), ma nel credere che la morale sia necessariamente una "sovrastruttura" da imporre ad una umanità priva di istanze morali.
E, da questo punto di vista, l'educazione è estremamente importante, perché se, invece di insegnare ai bambini a coltivare il proprio personale senso di giustizia, imponiamo loro delle regole rigide e coattive calpestando i loro ancor teneri e imperfetti germogli morali, la loro obbedienza non sarà mai una vera e propria etica, ma, come diceva giustamente Nietzsche, una forma di prostituzione, una morale fasulla, proprio in quanto sovrastrutturale, non spontanea, inculcata come un corpo estraneo.
In altre parole, sono proprio le idee di Nietzsche che producono, poi, quegli individui "moralisti", "deboli" e intolleranti che lui stesso disprezza così profondamente. In ciò consiste l'ignobiltà e l'ipocrisia del pensiero filosofico nietzschiano.
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: sgiombo il 19 Luglio 2018, 15:34:14 PM
Non posso astenermi dal dire che (con molta soddisfazione da parte mia) che qui concordo, oltre che con l' ottimo Sariputra, come quasi sempre, anche con Carlo Pierini, come quasi mai...

(E non con il da me sempre molto apprezzato Oxdeadbeef; con molta meno soddisfazione).

"Non c' é più religione" verrebbe da dire, a proposito di "morte di Dio"...
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Carlo Pierini il 19 Luglio 2018, 15:56:34 PM
Citazione di: sgiombo il 19 Luglio 2018, 15:34:14 PM
Non posso astenermi dal dire che (con molta soddisfazione da parte mia) che qui concordo, oltre che con l' ottimo Sariputra, come quasi sempre, anche con Carlo Pierini, come quasi mai...

CARLO
...Lo vedi che, allora, le rette parallele possono anche incontrarsi?  :)
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: 0xdeadbeef il 19 Luglio 2018, 16:35:51 PM
A Sgiombo e Sariputra
A parer mio in queste questioni vengono sempre e inopportunamente tirate in ballo le religioni così come esse si sono
formate nella storia.
Oppure vengono tirate in ballo questioni che solo apparentemente non hanno a che fare con le religioni "storiche",
come ad esempio quella di un uomo "buono per natura".
Dice Sgiombo:
"Comunque non c' é alcun bisogno di credere in Dio né in alcuna "mano invisibile" per avvertire in se stessi e notare
universalmente di fatto in tutti gli uomini (in conseguenza de tutto naturale e quasi ovvia dell' evoluzione biologica)
gli imperativi morali della compassione (in senso letterale: condivisione delle passioni, dolorose e penose come
piacevoli e felici) degli altri, della generosità, altruismo, magnanimità, ecc".
A me sembra che anche laddove "non ci sia bisogno di credere in Dio", affermare questo è COME credere in Dio: è
assolutamente equivalente.
Ma vediamo un attimo a ciò che dice Sariputra:
"Penso che non si tratta di stabilire a priori  degli imperativi, empirici o categorici, ma di sperimentare nella propria vita
quali siano i vantaggi reali, concreti di un comportamento guidato dalla virtude. Se sostituiamo i termini "bene" e "male",
che vengono percepiti dall'uomo moderno come carichi di valenza metafisica ( e perciò rifiutati...) con "effetti salutari"
e "nocivi", sottolineiamo che un comportamento immorale non è tale perché va contro delle norme, ma perché è dannoso a se
stessi, agli altri, a entrambi".
Se confrontiamo queste tesi con quel che afferma E.Durkheim sull'origine delle religioni (l'origine delle religioni è nel
totemismo, e perciò vi è una diretta corrispondenza fra l'idea di Dio e la comunità), vediamo che queste tesi possono avere
una loro validità, ma solo all'interno di una ben specifica comunità, o "cultura".
E' in altre parole evidentissimo che solo all'interno di un gruppo umano ben "individuato" (da una cultura, da una lingua
come da una vera e propria etnia) possono stabilirsi rapporti fra i membri improntati alla solidarietà e all'altruismo.
Molto di rado (e se permettete gli esempi storici si sprecano...) questi rapporti si instaurano nei confronti di culture
diverse: del cosiddetto "altro".
Lungo il processo storico, l'occidente in particolare ha visto un sempre più prepotente emergere dell'individuo, una
dinamica che è andata naturalmente di pari passo con l'eclissarsi della comunità.
Ma se prendiamo per buona la tesi di Durkheim (e io ce la prendo...), l'eclissarsi della comunità coincide con l'eclissarsi
dell'idea di Dio NELLA FORMA dell'eclissarsi del "valore" che dalla tradizione comunitaria proviene.
Ecco allora che la condivisione delle passioni, l'altruismo nei confronti degli altri membri come dinamica finalizzata alla
preservazione e alla continuazione della comunità (ed è qui che il Bene e il Male diventano il "salutare" e il "nocivo")
viene a perdere di senso; perchè ove non c'è più una comunità non possono nemmeno esserci i suoi "valori"; "valori" che
strutturalmente possono essere ricondotti appunto ai concetti di "salutare" e di "nocivo".
In un discorso di questo tipo, a me sembra che il Paradiso e l'Inferno c'entrino poco...
saluti
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Sariputra il 19 Luglio 2018, 17:43:49 PM
Se confrontiamo queste tesi con quel che afferma E.Durkheim sull'origine delle religioni (l'origine delle religioni è nel
totemismo, e perciò vi è una diretta corrispondenza fra l'idea di Dio e la comunità), vediamo che queste tesi possono avere
una loro validità, ma solo all'interno di una ben specifica comunità, o "cultura".


Ma , per caso, Durkheim ritiene ci sia stata un'epoca in cui l'uomo non è vissuto in comunità? E' evidente che alcuni aspetti della morale siano finalizzati al bene proprio , al bene della comunità, al bene di entrambi. Ma non si può imputare alla moralità se una certa comunità si scagliava contro un'altra., ma casomai all'assenza di moralità (autentica) all'interno di quella specifica comunità. Infatti la guerra, la violenza, lo sfruttamento, non cagionavano danno solo all'altra comunità, ma anche alla propria in quanto accrescevano il carattere insano di quella certa comunità aggressiva ( con gli effetti storici che abbiamo visto e vediamo..).
La morale salubre o insalubre non ha valore solo all'interno di una comunità ma anche, per es. , all'interno di un nucleo famigliare. Avrebbe lo stesso significato anche se fosse semplicemente il rapporto tra due soli individui (posso infatti cercare solo il mio vantaggio, solo il vantaggio dell'altro, oppure quello di nessuno dei due e viceversa cercare il mio, l'altrui e quello di tutti e due...).

E' in altre parole evidentissimo che solo all'interno di un gruppo umano ben "individuato" (da una cultura, da una lingua
come da una vera e propria etnia) possono stabilirsi rapporti fra i membri improntati alla solidarietà e all'altruismo.
Molto di rado (e se permettete gli esempi storici si sprecano...) questi rapporti si instaurano nei confronti di culture
diverse: del cosiddetto "altro".


Anche in questo passo mi sembra si faccia confusione. Infatti si fatica ad instaurare rapporti "improntati alla solidarietà e all'altruismo" con altre culture, non per effetto della moralità ma evidentemente per la sua assenza. Se l'Occidente  ha spadroneggiato ( e spadroneggia) sulle altre civiltà è perché, non comprendendo l'interdipendenza reciproca, non si cura del salutare altrui, ma solamente ed egoisticamente del proprio ( in modo miope e che gli si ritorcerà contro...).
Se una comunità fosse composta tutta da persone che hanno realmente a cuore il proprio bene e insieme l'altrui, realizzando così il bene di entrambi, non avremmo certo questo tipo di storia umana alle spalle...
Questa storia è il frutto dell'assenza di moralità autentica in coloro che governano e hanno governato i popoli, sostituita da una moralità fasulla, formale, di facciata, che serve solo a coprire il fatto che si persegua il proprio interesse e non l'altrui.

A parer mio in queste questioni vengono sempre e inopportunamente tirate in ballo le religioni così come esse si sono
formate nella storia.
Oppure vengono tirate in ballo questioni che solo apparentemente non hanno a che fare con le religioni "storiche",
come ad esempio quella di un uomo "buono per natura".


Mai affermato che l'uomo sia "buono per natura", ma nemmeno che sia "cattivo per natura"...come mi sembra sostieni tu. Credo sia evidente che , accanto a gesti egoistici, siamo ben capaci di gesti altruistici. Tutto questo ovviamente nella dinamica interiore di uno stesso soggetto, ché nessuno è bianco o nero, nessuno può tirarsi fuori dalla possibilità che ha di compiere malvagità, ma nondimeno neppure dalla possibilità che abbiamo e sentiamo di poter costruire e agire per ciò che è salutare...
Non ho tirato in ballo inopportunamente nessun tipo di religione formata nella storia. Son riflessioni personali...con tutti i limiti ovviamente  ;D
Ciao
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Carlo Pierini il 19 Luglio 2018, 18:40:01 PM
Il Super-Uomo:

<<Un matrimonio non lo si fonda sull'amore, ma sull'istinto sessuale, sull'istinto di possesso (moglie e figli come proprietà), sull'istinto di dominio. (...) Con la crescente indulgenza per il matrimonio d'amore si è eliminato addirittura il fondamento del matrimonio>>. [Crepuscolo, fr. 39]

Il Super-Statista:

<<L'operaio si trova troppo bene per non chiedere via via sempre di più, con sempre maggiore impudenza (...) Non esiste più alcuna speranza che una specie di uomo umile e modesta, sul tipo cinese, si sviluppi qui in classe sociale: e questo sarebbe stato una necessità. Che cosa si è fatto invece? (...) Si è fatto l'operaio abile alla leva, gli si è dato il diritto di associazione, il diritto di voto. (...) Se si vogliono degli schiavi, si è pazzi ad educarli da padroni>>. [Crepuscolo, fr. 40]

<<Il delinquente è il tipo dell'uomo forte in condizioni avverse. Gli mancano i luoghi selvaggi, un'esistenza più libera e pericolosa in cui sia legittimo tutto ciò che nell'istinto dell'uomo forte è arma e difesa. Le sue virtù sono messe al bando dalla società; gli impulsi più vivi che egli ha ancora con sé, presto si deformano a contatto di affetti deprimenti, del sospetto, del timore, del disonore. (...) E' la nostra società mansuefatta, mediocre, castrata, il luogo in cui un uomo genuino (...) necessariamente diventa criminale>>. [Crepuscolo, fr. 40]
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: 0xdeadbeef il 19 Luglio 2018, 20:19:50 PM
A Sariputra
E che vuol dire moralità "autentica": forse che ne esiste una "inautentica"?
Tucidide descriveva le onoranze funebri dei Persiani (i quali bruciavano i morti) e dei Greci (che li seppellivano)
sottolineando come il rispettivo mezzo di onorare i morti inorridisse la rispettiva controparte (pur se il fine era
il medesimo)...
Chiaramente il nucleo familiare è l'unità minima per quanto riguarda una comunità; ma è comunità a tutti gli effetti.
Ed è infatti proprio nella famiglia (come nell'antico "clan", che era una famiglia, diciamo, ben più larga di come noi
oggi la intendiamo) che vediamo esplicitati in massimo grado quei sentimenti di solidarietà e di altruismo che vanno
annacquandosi man mano che il nucleo si allarga (parentela; paese; regione; etc.).
Non a caso il detto celebre di certi nazionalismi politici è "Dio, Patria, Famiglia". Una affermazione che solo ad una
analisi superficiale potrebbe apparire come mera espressione retriva, quando invece è il risultato di tutto un modo di
vedere le cose, di tutta una cultura, che nasce con la Rivoluzione francese ed arriva fino ai giorni nostri (senza voler
con ciò esprimere un giudizio di valore, per carità).
Ora, vedi tu, nella storia, questi sentimenti di solidarietà e altruismo nei confronti di altre persone, di altre culture,
di altre nazionalità?
Non solo, li vedi tu, oggi, presenti come ieri nella nostra stessa società?
No, non li puoi vedere, semplicemete perchè sono scomparsi. Ma perchè sono scomparsi (ed è proprio questo che ci interessa)?
Forse perchè, come dai ad intendere (poi magari mi sbaglio), non c'è più una moralità "autentica"?
E come fai a dire una simile aggettivazione senza ricorrere a categorie "ab-solute", cioè metafisiche? Ti rendi conto che
parlare di una moralità "autentica" è equivalente a dire: "io sono il signore Dio tuo, non avrai altro Dio all'infuori di
me"?
Tempo fa, al bar del mio paese, ho sentito una persona (avrà fatto sì e no le elementari...) affermare: "il giorno che muoio
io finisce il mondo".
Ora, a parte il fatto che costui ha espresso un pensiero in tutto degno di Nietzsche (a riprova che tutti sono capaci di
fare "grande" filosofia), ti rendi conto che una simile "forma-mentis" non può contemplare solidarietà ed altruismo?
Questo è forse l'esempio più lampante di quell'emersione prepotente dell'individuo che, dicevo, contrassegna l'intero
processo storico dell'occidente, e che oggi è probabilmente arrivato ad uno dei suoi punti più estremi.
E, no, quella persona non era e non è "cattiva". E' egoista, senz'altro, ma come ormai lo sono tutti...
saluti
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Sariputra il 19 Luglio 2018, 21:14:25 PM
@Oxdeadbeef scrive:
E che vuol dire moralità "autentica": forse che ne esiste una "inautentica"?


Certamente. la moralità autentica è quella che sorge spontanea dalla mente, l'inautentica quella che viene imposta dalla società, dai credi, ecc. ma che non viene percepita dal soggetto come salutare, come giusta. L'autentica è priva dell'elemento paura, l'inautentica vive dell'elemento paura.

Ora, vedi tu, nella storia, questi sentimenti di solidarietà e altruismo nei confronti di altre persone, di altre culture,
di altre nazionalità?  


Cosa intendi per "storia"? Quella che viene raccontata e commentata nei libri o quella fatta dagli infiniti gesti quotidiani della gente? Nella prima è difficile scorgere solidarietà e altruismo; nella seconda  se si vogliono vedere, sono esistiti, esistono ed esisteranno, a parer mio, infiniti gesti di solidarietà e altruismo ( se il mondo si regge in piedi ancora, ancorché traballante, probabilmente è proprio per questi...). Ti ricordi, solo come esempio, la storia di quell'extracomunitario che si è buttato nel fiume per salvare un'italiana, mentre gli italiani guardavano? E che cosa gliene veniva? Era anche di un'altra razza e cultura...

Non solo, li vedi tu, oggi, presenti come ieri nella nostra stessa società?

E' una cosa impossibile da valutare, secondo me. Non abbiamo elementi per giudicare la quantità e qualità di altruismo presenti un tempo e quella odierna. Purtroppo si va a "sensazione". Non saprei onestamente rispondere a questa domanda... :(

E come fai a dire una simile aggettivazione senza ricorrere a categorie "ab-solute", cioè metafisiche? Ti rendi conto che
parlare di una moralità "autentica" è equivalente a dire: "io sono il signore Dio tuo, non avrai altro Dio all'infuori di
me"?


Nient'affatto! Ho specificato sopra che la moralità autentica si distingue dall'inautentica per l'assenza dell'elemento "paura". L'elemento paura è un prodotto della mente , non occorre scomodare categorie metafisiche, a parer mio. Nel caso del credente che agisce per paura abbiamo perciò un credente inautentico, un falso credente.

Tempo fa, al bar del mio paese, ho sentito una persona (avrà fatto sì e no le elementari...) affermare: "il giorno che muoio 
io finisce il mondo".
Ora, a parte il fatto che costui ha espresso un pensiero in tutto degno di Nietzsche (a riprova che tutti sono capaci di
fare "grande" filosofia), ti rendi conto che una simile "forma-mentis" non può contemplare solidarietà ed altruismo?

Ma anche se 'tutta' la forma mentis di costui non contemplasse un briciolo di solidarietà e altruismo non significherebbe certo che tutti sono privi di solidarietà ed altruismo. Mi sembra una forma di generalizzazione un pò ingiusta e 'sommaria'. 
Mi sembri parecchio pessimista...scusa la franchezza ( anche se, ovviamente, ci sono pure buone ragioni per esserlo...) :(

Questo è forse l'esempio più lampante di quell'emersione prepotente dell'individuo che, dicevo, contrassegna l'intero
processo storico dell'occidente, e che oggi è probabilmente arrivato ad uno dei suoi punti più estremi.
E, no, quella persona non era e non è "cattiva". E' egoista, senz'altro, ma come ormai lo sono tutti...


Proprio oggi leggevo un libro di R,Venturini in cui invece approfondiva il problema che sembra proprio che sia l'Oriente ormai ex buddhista e taosta/confuciano che si stia votando ormai in massa al più bieco individualismo fondato sul consumo ossessivo, mentre proprio l'Occidente comincia ad interrogarsi ( per ora soltanto nei suoi elementi più consapevoli, purtroppo...) se questa non sia una strada senza uscita...da game over... :( il che è un bel paradosso e rompicapo che potrebbe , alla lunga, mettere in discussione molti ragionamenti che si son fatti...
Ciao  :)
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: sgiombo il 19 Luglio 2018, 21:56:32 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 19 Luglio 2018, 16:35:51 PM

Dice Sgiombo:
"Comunque non c' é alcun bisogno di credere in Dio né in alcuna "mano invisibile" per avvertire in se stessi e notare
universalmente di fatto in tutti gli uomini (in conseguenza de tutto naturale e quasi ovvia dell' evoluzione biologica)
gli imperativi morali della compassione (in senso letterale: condivisione delle passioni, dolorose e penose come
piacevoli e felici) degli altri, della generosità, altruismo, magnanimità, ecc".
A me sembra che anche laddove "non ci sia bisogno di credere in Dio", affermare questo è COME credere in Dio: è
assolutamente equivalente.
Citazione
Mi sembra un' affermazione decisamente molto forte ("assolutamente equivalente"!).

Ma io trovo invece molto diverso seguire degli imperativi etici perché si é convinti della loro validità in sé -in assoluto, dl tutto indipendentemente da qualsiasi conseguenza le nostre scelte possono avere, come fine e non come mezzo- e invece perché lo vuole Dio che ti potrà punire o premiare a seconda del tuo comportamento.
Tenere un comportamento eticamente positivo ("buono") per libera scelta mi sembra molto più gratificante che tenerlo per paura dell' inferno e/o speranza nel paradiso.
In questo la "morte di Dio" -nella misura peraltro non assoluta in cui si é data negli ultimi due secoli- mi sembra un evidente progresso nel campo della morale (anche se le personalità più magnanime, come Severino Boezio, erano già in grado di assumere un simile atteggiamento anche quando "Dio era vivo e vegeto".

Ma vediamo un attimo a ciò che dice Sariputra:
"Penso che non si tratta di stabilire a priori  degli imperativi, empirici o categorici, ma di sperimentare nella propria vita
quali siano i vantaggi reali, concreti di un comportamento guidato dalla virtude. Se sostituiamo i termini "bene" e "male",
che vengono percepiti dall'uomo moderno come carichi di valenza metafisica ( e perciò rifiutati...) con "effetti salutari"
e "nocivi", sottolineiamo che un comportamento immorale non è tale perché va contro delle norme, ma perché è dannoso a se
stessi, agli altri, a entrambi".
Se confrontiamo queste tesi con quel che afferma E.Durkheim sull'origine delle religioni (l'origine delle religioni è nel
totemismo, e perciò vi è una diretta corrispondenza fra l'idea di Dio e la comunità), vediamo che queste tesi possono avere
una loro validità, ma solo all'interno di una ben specifica comunità, o "cultura".
E' in altre parole evidentissimo che solo all'interno di un gruppo umano ben "individuato" (da una cultura, da una lingua
come da una vera e propria etnia) possono stabilirsi rapporti fra i membri improntati alla solidarietà e all'altruismo.
Molto di rado (e se permettete gli esempi storici si sprecano...) questi rapporti si instaurano nei confronti di culture
diverse: del cosiddetto "altro".
Citazione

Dissento completamente.
Non conosco Durkeim, ma francamente quanto ne dici mi induce a sospettare che si tratti di una persona gretta e meschina che confonde la sua propria grettezza e meschinità con la condizione naturale umana (come quelli che pretenderebbero che poiché chi é generoso e altruista può avere soddisfazione dalla propria generosità e altruismo, allora in fondo sarebbe in realtà egoista).

Già nei vangeli si narra la parabola del "buon samaritano" che si comporta magnanimamente e generosamente col giudeo in difficoltà, mentre i suoi connazionali si comportano in ben altro modo che sarebbe stato apprezzato da Nietzche, che avrebbe invece disprezzato quello del samaritano stesso.
E già nella natura precedente la cultura (umana) vi sono esempi di generosità e anche di abnegazione di animali perfino verso animali di altre specie!

Lungo il processo storico, l'occidente in particolare ha visto un sempre più prepotente emergere dell'individuo, una
dinamica che è andata naturalmente di pari passo con l'eclissarsi della comunità.


Ma se prendiamo per buona la tesi di Durkheim (e io ce la prendo...), l'eclissarsi della comunità coincide con l'eclissarsi
dell'idea di Dio NELLA FORMA dell'eclissarsi del "valore" che dalla tradizione comunitaria proviene.

Ecco allora che la condivisione delle passioni, l'altruismo nei confronti degli altri membri come dinamica finalizzata alla
preservazione e alla continuazione della comunità (ed è qui che il Bene e il Male diventano il "salutare" e il "nocivo")
viene a perdere di senso; perchè ove non c'è più una comunità non possono nemmeno esserci i suoi "valori"; "valori" che
strutturalmente possono essere ricondotti appunto ai concetti di "salutare" e di "nocivo".
Citazione
Io invece trovo un bel po' più complessa e contraddittoria (nel senso innanzitutto ma non solo della lotta di classe che la caratterizza) la storia dell' Occidente rispetto a come la vede Durkheim.


In un discorso di questo tipo, a me sembra che il Paradiso e l'Inferno c'entrino poco...
saluti
Citazione
Ma allora che Dio sia vivo o morto non conta nulla, e quella della moralità (e dell' immoralità della cosiddetta "volontà di potenza") é una questione "laica", in ultima analisi direi addirittura naturalistica.
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: sgiombo il 19 Luglio 2018, 22:35:02 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 19 Luglio 2018, 20:19:50 PM
A Sariputra
E che vuol dire moralità "autentica": forse che ne esiste una "inautentica"?
CitazioneEsiste l' ipocrisia di chi generosamente "dona" a tutti i cosiddetti "diritti umani" a suon di bombe, per esempio.


Tucidide descriveva le onoranze funebri dei Persiani (i quali bruciavano i morti) e dei Greci (che li seppellivano)
sottolineando come il rispettivo mezzo di onorare i morti inorridisse la rispettiva controparte (pur se il fine era
il medesimo)...
CitazionePerò l' imperativo di onorare i morti, quello era comunissimo agli uni e agli altri (non credo che nessuno che non sia nichilista più o meno nietzcheiano, e senza necessariamente essere marxista, neghi che accanto a principi etici universali vi siano "declinazioni" degli stessi socialmente, storicamente variabili.


Chiaramente il nucleo familiare è l'unità minima per quanto riguarda una comunità; ma è comunità a tutti gli effetti.
Ed è infatti proprio nella famiglia (come nell'antico "clan", che era una famiglia, diciamo, ben più larga di come noi
oggi la intendiamo) che vediamo esplicitati in massimo grado quei sentimenti di solidarietà e di altruismo che vanno
annacquandosi man mano che il nucleo si allarga (parentela; paese; regione; etc.).
Citazione"Al massimo", ma non affatto esclusivamente!

Non a caso il detto celebre di certi nazionalismi politici è "Dio, Patria, Famiglia"
Citazione...E qui cadiamo nella violazione dell' etica, che come fa giustamente notare Sariputra é ben diversa cosa dalla negazione dell' etica, che non ne dimostra affatto l' inesistenza: non l' ha mai dimostrato quando "Dio era vivo e vegeto" e terribilmente potente (onnipotente) e incuteva alla gente il "timor d Dio", non lo dimostra oggi che Dio, a quanto pare, sarebbe morto, non lo dimostrerà domani.

. Una affermazione che solo ad una
analisi superficiale potrebbe apparire come mera espressione retriva, quando invece è il risultato di tutto un modo di
vedere le cose, di tutta una cultura, che nasce con la Rivoluzione francese ed arriva fino ai giorni nostri (senza voler
con ciò esprimere un giudizio di valore, per carità).
CitazioneNo, credo che i migliori rivoluzionari francesi fossero (non ancora internazionalisti, come sarebbero stati i Bolscevichi, ma comunque almeno) cosmopoliti:
Non per niente proclamarono e cercarono di attuare la "Dichiarazione universale dei diritti dell' Uomo".

Ora, vedi tu, nella storia, questi sentimenti di solidarietà e altruismo nei confronti di altre persone, di altre culture,
di altre nazionalità?
Citazione
Li ho visti, per citare solo il primo esempio che mi viene in mente, nei volontari delle Brigate Internazionali durante la guerra civile spagnola.

O nei medici cubani che volontariamente assistono le popolazioni povere dell' America Latina e dell' Africa vittime dell' imperialismo, anziché emigrare, come potrebbero benissimo fare, in occidente a fare una vita comoda e facoltosa (come fecero quasi tutti i loro predecessori, i "medici borghesi" al momento della vittoria della rivoluzione dei Barbudos).



Non solo, li vedi tu, oggi, presenti come ieri nella nostra stessa società?
No, non li puoi vedere, semplicemente perchè sono scomparsi. Ma perchè sono scomparsi (ed è proprio questo che ci interessa)?
Forse perchè, come dai ad intendere (poi magari mi sbaglio), non c'è più una moralità "autentica"?
CitazioneVedo per esempio (con tutti i suoi limiti di pacifista "a prescindere" che da marxista mi guardo bene dal negare) Gino Strada.
E don Ciotti.
E ho visto Salvador Allende e Oscar Romero, e Maurice Bishop e Thomas Sankara, e tantissimi altri, grandi e "piccoli".

E come fai a dire una simile aggettivazione senza ricorrere a categorie "ab-solute", cioè metafisiche? Ti rendi conto che
parlare di una moralità "autentica" è equivalente a dire: "io sono il signore Dio tuo, non avrai altro Dio all'infuori di
me"?
CitazioneSi tratta di autenticissime conseguenze alquanto ovvie di una cosa naturalissima: l' evoluzione biologica per mutazioni genetiche "casuali" e selezione naturale, che non implica l' esistenza di alcun Dio.



Tempo fa, al bar del mio paese, ho sentito una persona (avrà fatto sì e no le elementari...) affermare: "il giorno che muoio
io finisce il mondo".
Citazione"Après moi le déluge!": non é molto originale il tuo amico!

Ora, a parte il fatto che costui ha espresso un pensiero in tutto degno di Nietzsche (a riprova che tutti sono capaci di
fare "grande" filosofia)
CitazioneMI limito a dire che dissento profondamente per non cadere nel volgare (come Sariputra, mi autocensuro).


, ti rendi conto che una simile "forma-mentis" non può contemplare solidarietà ed altruismo?
CitazioneMa tu ti rendi conto che le violazioni della morale ("peccati", "colpe", ecc.) ci sono sempre state (anche ai "tempi d' oro di Dio onnipotente") e non hanno mai per niente affatto dimostrato l' inesistenza della morale?
Anzi!

Questo è forse l'esempio più lampante di quell'emersione prepotente dell'individuo che, dicevo, contrassegna l'intero
processo storico dell'occidente, e che oggi è probabilmente arrivato ad uno dei suoi punti più estremi.
E, no, quella persona non era e non è "cattiva". E' egoista, senz'altro, ma come ormai lo sono tutti...
CitazioneCi vuole ottimismo della volontà, oltre che pessimismo della ragione!
Per me (ma certamente non solo per me) "egoista" == "cattivo".

saluti
CitazioneRicambiati di cuore!
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: 0xdeadbeef il 20 Luglio 2018, 16:32:13 PM
A Sariputra (ma anche a Sgiombo, al quale risponderò nello specifico appena posso)

Francamente non riesco a capire come si possa pensare ad un uomo buono per natura (o cattivo per natura, intendiamoci)
escludendo del tutto da un tal pensiero l'elemento metafisico (e precisamente quell'elemento che va sotto l'espressione:
"ciò che vi è di unitario nel molteplice").
Un elemento, certo, non proprio e del tutto "religioso"; ma un elemento che con la religione ha senz'altro molto da
spartire.
Certamente la paura di chi è "altro" gioca un ruolo importante, in questo sono senz'altro d'accordo. Ma è di una paura
ancestrale che stiamo parlando (probabilmente dovremmo risalire al periodo neolitico, quando vi furono i primi incontri-
scontri fra stanziali e nomadi - quando la capanna rotonda lasciò campo alla capanna quadrata come segno evidente di
fortificazione contro un nemico esterno), quindi di una paura che poco o nulla è dovuta ai condizionamente sociali
in genere.
Sicuramente nella storia si sono avuti anche esempi di solidarietà e collaborazione, ma se mi permetti molto più
frequenti sono stati i momenti di scontro e rivalità in genere (dovuti non sempre certo alla "paura", ma spessissimo
a brama di conquista, come ben sappiamo).
Ma vengo all'elemento che ritengo più importante (importante in questo discorso, beninteso).
Dicevo che a parer mio ciò che più di ogni altra cosa contraddistingue non solo la modernità, ma l'intero processo
storico dell'occidente è l'emergere prepotente dell'individuo.
A questo proposito trovo estremamente interessante la tua citazione del libro di Venturini (e ciò che Venturini vi dice
non mi meraviglia affatto...).
La mia tesi a tal proposito è quella cui accennavo: nell'emergere dell'individuo assistiamo ad una contemporanea e
speculare eclissi della comunità. E siccome è solo all'interno della comunità che può sorgere un nucleo condiviso di
valori etici e morali (che Durkheim, acutissimamente, fa coincidere con "Dio"), nel momento in cui la comunità si
eclissa si eclissano necessariamente anche quelli.
Ciò che rimane da questo immenso sommovimento è l'individuo "monade" (quello per cui "morto lui finisce il mondo";
un individuo che regola i rapporti con gli altri individui secondo la "volontà di potenza", cioè secondo l'egoistica
ricerca del piacere e dell'utile (una dinamica che in economia si chiama "libero mercato", ma non divago....).
Ora, trovo molto interessante anche la tua annotazione per cui in occidente ci si sarebbe cominciato ad interrogarci,
a porci delle domande, insomma.
Bah, forse a forza di sbattere il muso contro una parete si acquista consapevolezza se non altro dell'esistenza di una
parete, non credi?
Probabilmente abbiamo capito (e lo hanno capito ormai in tanti, non solo i più "consapevoli") che "qualcosa non va";
anche se dobbiamo ancora mettere a fuoco, e ci vorrà molto tempo, se mai avverrà, il "che cosa" non va e soprattutto
il PERCHE' non va...
Provo a buttar là qualcosa: non va il mercato; non va la solitudine dei nostri anziani; non va in genere quella
che viene percepita, e giustamente, come una "disumanizzazione" dell'intera società.
Quanto al PERCHE' non va ti rimando a quanto dicevo sopra...
saluti
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: 0xdeadbeef il 20 Luglio 2018, 20:07:16 PM
A Sgiombo
Ma perchè, dicevo, pensare a Dio come sempre e solo quello, diciamo, storicamente determinato?
Non vorrei andare fuori tema, ma il concetto di Dio come lo ritrovo, ad esempio, in Kant o Dostoevskij (se non l'hai già
letto ti consiglio caldamente la "Leggenda del Grande Inquisitore" (che è un capitolo dei Karamazov ma che trovi facilmente
in rete come documento di lettura) è ben lontano dal concetto trito e meschino che ne fornite tu e Sariputra.
Ma passiamo oltre.
No, beh, Durkheim è un filosofo e antropologo ben profondo, che nei suoi studi sul totemismo teorizza la coincidenza fra
Dio e la comunità, null'altro (pensa solo al fatto che nell'antichità ogni città avesse un proprio Dio, e che l'effige
del Dio - poi "traslato" nella bandiera - era il primo feticcio di cui il conquistatore si impossessava).
La verità è che non si tratta di dire ciò che fa piacere dire, ma di dire ciò che "è" (non ciò che "dovrebbe essere").
E ciò che "è" è molto spesso gretto e meschino: non so che farci.
Che poi vi siano eccezioni (perchè sai bene che di questo si tratta) è una cosa che apprezziamo tutti (oso sperare almeno
tutti noi qui, in questo forum), ma una cosa che certo non "fotografa" la realtà (cioè che "è").
Da un certo punto di vista sì, moralità ed immoralità sono una cosa "laica" (per non esserlo dovremmo essere certi dell'
esistenza di Dio, o almeno averne "fede"). Ma una cosa "laica" che bene o male deve fare i conti con un'idea (l'idea di Dio),
e tu mi insegni che anche un'idea ha una consistenza "reale" (a proposito, devo ancora risponderti sull'argomento; magari lo posso
fare anche qui, in questo post).
Per quanto mi riguarda preferisco usare le categorie kantiane dell'"essere" e del "dover essere", ove la seconda implica
necessariamente uno "sguardo" metafisico, o "valoriale" che dir si voglia.
saluti
PS
Mi sono accorto adesso di aver risposto solo al tuo primo intervento
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Carlo Pierini il 20 Luglio 2018, 21:31:03 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 20 Luglio 2018, 20:07:16 PM
No, beh, Durkheim è un filosofo e antropologo ben profondo, che nei suoi studi sul totemismo teorizza la coincidenza fra
Dio e la comunità, null'altro (pensa solo al fatto che nell'antichità ogni città avesse un proprio Dio, e che l'effige
del Dio - poi "traslato" nella bandiera - era il primo feticcio di cui il conquistatore si impossessava).

CARLO
Durkheim sostiene l'origine sociale delle religioni, ma non sa spiegare né perché in una medesima società convivono atei e credenti, né, tantomeno, i casi (come il mio) di atei che, in seguito ad esperienze spirituali puramente personali, passano dall'ateismo al teismo. Quindi la sua filosofia non è altro che una proiezione dei propri pre-giudizi a priori (tipici della sua epoca) sulla struttura sociale.
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Sariputra il 20 Luglio 2018, 21:59:08 PM
@oxdeadbeef
Confesso che sto facendo un pò fatica a seguire il tuo ragionamento.
Provo allora a farne un riassunto in base a quel che mi sembra di aver capito ( correggimi poi dove sbaglio...).
Mi pare tu sostenga che:
1. Il concetto di Dio è il 'cemento' che forma la comunità umana e viceversa.
2. L'etica è una sovrastruttura culturale.
3. Anche "Dio" è una sovrastruttura culturale (? non sono sicuro tu intenda questo...").
4. L'uomo non è né buono né cattivo ma però fondamentalmente egoista.
5.Il dio delle religioni (in particolare il dio giudaico-cristiano) è una falsità.
6. E'stato un bene che , negli ultimi due secoli, questa idea fasulla di Dio abbia perso forza.
7. C'è però una concezione di Dio meno ipocrita (più Dostoevskij e Kant che non Nietzsce il quale, quasi sicuramente, era ateo...).
8. Sulla base di questa nuova e meno ipocrita idea di Dio si può tentare di formare una comunità più giusta, meno individualista.
Naturalmente è una semplificazione brutale che faccio, tanto per capirsi insomma...
Mi sembra una posizione simile a quella sostenuta, su questo forum, anche da Green demetr il vacanziero...
Ti dirò che io amo profondamente Dostoevskij del quale ho letto tutti i romanzi, anche più di una volta. E per dire che cerco di non avere una visione "trita e meschina" di Dio posso portare a mia testimonianza vari interventi su questo forum negli anni, tra cui una discussione dal titolo "Sonja", proprio partendo dal noto personaggio di "Delitto e Castigo"...
In un precedente post di questa discussione ho parlato della consapevolezza dell'interdipendenza di tutte le cose e ovviamente, a maggior ragione, di tutti gli esseri.
La mia risposta al drammatico problema della 'chiusura' dell'uomo postmoderno nell'individualismo sempre più marcato ( e che con tutta probabilità andrà ad aumentare per lo sviluppo della civiltà digitale, che fornisce surrogati virtuali al bisogno di comunità...) la intravedo proprio nel lavoro che si può fare nell'aumentare questa consapevolezza dell'interdipendenza.
Temo infatti che una visione pur diversa del concetto di Dio, se priva di questa consapevolezza, porterebbe a esiti ininfluenti sulla società attuale con il rischio della nascita di una nuova forma di "chiesismo", non molto dissimile da quelle sperimentate storicamente.

Spero di non aver frainteso troppo... :(  
Ciao
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: sgiombo il 21 Luglio 2018, 10:50:12 AM
Citazione di: 0xdeadbeef il 20 Luglio 2018, 20:07:16 PM
A Sgiombo
Ma perchè, dicevo, pensare a Dio come sempre e solo quello, diciamo, storicamente determinato?
Non vorrei andare fuori tema, ma il concetto di Dio come lo ritrovo, ad esempio, in Kant o Dostoevskij (se non l'hai già
letto ti consiglio caldamente la "Leggenda del Grande Inquisitore" (che è un capitolo dei Karamazov ma che trovi facilmente
in rete come documento di lettura) è ben lontano dal concetto trito e meschino che ne fornite tu e Sariputra.
CitazionePurtroppo (lo dico con  assoluta sincerità) non ho letto Dostoevskij (né Cervantes, né Maupassant, né Zola, né Stendhal, né Hemingway, né Lucaiano di Samosata, né Boccaccio -salvo il "minino sindacale scolastico"- né Ariosto -anche se tiro sempre in ballo gli ippogrifi- né tanti ottimi altri -ma non affatto "purtroppo" il pessimo NIetzche!- per poter conoscere anche i quali mi servirebbe una seconda e forze una terza o una quanta vita).
Tuttavia mi sembra evidente che la questione della "morte di Dio" in relazione all' etica si ponga unicamente nei termini da noi qui affrontati:

esistono o non esistono un bene e un male in assenza di:

a) una divintà che ce lo riveli (in qualche modo, tramite un qualche profeta: conoscenza ottenibile sinteticamente a posteriori)? Oppure

b) una dimostrazione logica rigorosa e incontrovertibile (di ciò che é bene e di ciò che é male; conoscenza acquisibile analiticamente a priori)?

La mia risposta é quella di Severino Boezio (ma probabilmente già di Epicuro, degli Stoici, forse di Socrate e di tantissimi altri.

Ma passiamo oltre.
No, beh, Durkheim è un filosofo e antropologo ben profondo, che nei suoi studi sul totemismo teorizza la coincidenza fra
Dio e la comunità, null'altro (pensa solo al fatto che nell'antichità ogni città avesse un proprio Dio, e che l'effige
del Dio - poi "traslato" nella bandiera - era il primo feticcio di cui il conquistatore si impossessava).
CitazioneCose che penso suscitino tantissimo interesse in Carlo Pierini ma non in me.

La verità è che non si tratta di dire ciò che fa piacere dire, ma di dire ciò che "è" (non ciò che "dovrebbe essere").
E ciò che "è" è molto spesso gretto e meschino: non so che farci.
CitazioneA chi lo dici!
(Non lo ignoro di certo: pensa solo ai termini da me usati -e anche con una certa autocensura per non cadere nel volgare, che peraltro riterrei necessario- per parlare qui nel forum di Nietzche o di madre Teresa o di "santo subito-GP2").

Ma per fortuna esiste anche il bene, la generosità, la magnanimità.
Cerca di unire al tuo indubbio pessimismo della ragione anche un po' di ottimismo della volontà (che é realistico quanto il pessimismo della ragione: ovviamente non si tratta di "dipingersi tutto di bianco o di nero" rispettivamente, ma di non ignorare né il buio né la luce presenti nella realtà).

Che poi vi siano eccezioni (perchè sai bene che di questo si tratta) è una cosa che apprezziamo tutti (oso sperare almeno
tutti noi qui, in questo forum), ma una cosa che certo non "fotografa" la realtà (cioè che "è").
CitazioneMi duole veramente questa tua convinzione, che posso comprendere se penso al' epoca di Resturazione.2, di profonda decadenza e autentica barbarie che stiamo vivendo.
Per parte mia la ritengo comunque una valutazione errata, che non mi impedisce, come non lo impedì a Filippo Buonarroti la Restaurazione.1, di continuare a credere e sperare, a lottare nei limiti dell' oggettivamente possibile e delle mie soggettive capacità e restare fedele ai miei ideali evitando di vendermi (come mi sarebbe molto facile fare, volendolo) per trenta denari alla reazione imperante come ha fatto la stragrande maggioranza della mia generazione di ex-falsi-rivoluzionari: come lui morirò appena prima della ripresa del cammino delle storia e della civiltà umana, ma avendo (almeno spero) ben vissuto, seppure in tempi estremamente grami.

Da un certo punto di vista sì, moralità ed immoralità sono una cosa "laica" (per non esserlo dovremmo essere certi dell'
esistenza di Dio, o almeno averne "fede"). Ma una cosa "laica" che bene o male deve fare i conti con un'idea (l'idea di Dio),
e tu mi insegni che anche un'idea ha una consistenza "reale" (a proposito, devo ancora risponderti sull'argomento; magari lo posso
fare anche qui, in questo post).
Per quanto mi riguarda preferisco usare le categorie kantiane dell'"essere" e del "dover essere", ove la seconda implica
necessariamente uno "sguardo" metafisico, o "valoriale" che dir si voglia.
saluti
PS
Mi sono accorto adesso di aver risposto solo al tuo primo intervento
CitazioneMa secondo me le categorie kantiane dell'"essere" e del "dover essere", ove la seconda implica necessariamente uno "sguardo" metafisico, o "valoriale" che dir si voglia, pur non avendo realtà metafisica e non potendo essere epistemologicamente fondate, sono tendenze di fatto reali universalmente (nei loro aspetti più generali e astratti) nel comportamento umano, così come consegue all' evoluzione biologica correttamente intesa (di fatto é "da sempre" oggetto di antiscientidfiche interpretazioni e distorsioni ideologiche in senso biecamente reazionario; che peralto l' autentica scienza, la razionalità umana potrebbe facilmente spazzare via, se non fosse -oggi; ma non necessariamente per sempre- fortemente impedita dai mezzi spropositati di falsificazione a disposizione dell' ideologia dominante, quella ovviamente della classi oggi stradominanti).
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Kobayashi il 21 Luglio 2018, 11:36:42 AM
In riferimento in particolare agli interventi di Ox. e Sari sull'egoismo e su un possibile futuro per l'umanità.

L'individualismo non deve necessariamente produrre egoismo.
Riprendendo alcune idee del pensiero di N.: l'egoista e l'uomo nobile si differenziano perché il primo ha una volontà essenzialmente diretta alla salvaguardia del proprio benessere, del proprio utile personale. Per l'uomo nobile invece ciò che più conta è la propria libertà.
Prendiamo la figura di Cristo. In Cristo N. non vede alcun risentimento, ne' senso del peccato. Cristo è capace realmente di amare perché è pieno di gioia, ed è pieno di gioia perché è totalmente libero. E la propria libertà per lui sarà così importante da accettare la morte (che avrebbe potuto evitare solo ritrattando la sua idea sul rifiuto di ogni violenza, anche contro il proprio nemico; cioè accettando di limitare la propria libertà di esprimere la propria visione del mondo).

Una rifondazione del cristianesimo potrà avvenire solo sulla base di un ragionamento che pone al centro il rapporto tra amore-gioia (sovrabbondanza)-libertà.
Il che significa che di fronte ai valori esterni o ai richiami morali interni il vero discepolo di Cristo dovrà chiedersi: questo valore mi è utile ad elevarmi? Mi rende più libero, più capace di amare? Così come Etty Hillesum, per esempio, si chiedeva all'inizio del suo percorso spirituale: ma Dio mi è utile? Cioè, una certa idea di Dio mi aiuta ad essere ciò che voglio diventare? È utile all'espressione della mia spiritualità?

So che sembra una forzatura ma la conclusione è (e da questo punto di vista aveva ragione N.): il vero discepolo di Cristo deve andare al di là del bene e del male nel senso che deve avere la forza di valutare ogni cosa, di non lasciare che qualsiasi regola o legge si presenti a lui come un vincolo, che finirebbe per soffocarlo, per abbassarlo ad un'esistenza in cui sono dominanti le reazioni di tristezza o di condanna anche nei confronti delle manifestazioni vitali (l'uomo del risentimento).

Prima di pensare alla possibilità di una nuova etica comunitaria a mio giudizio bisogna pensare a come realizzare il nuovo individuo, ovvero bisogna domandarsi qual'è la formazione e la cultura adatte alla costruzione di questo uomo realmente capace di amare.
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Carlo Pierini il 21 Luglio 2018, 11:57:55 AM
Citazione di: Kobayashi il 21 Luglio 2018, 11:36:42 AM ...Il vero discepolo di Cristo deve andare al di là del bene e del male nel senso che deve avere la forza di valutare ogni cosa, di non lasciare che qualsiasi regola o legge si presenti a lui come un vincolo, che finirebbe per soffocarlo, per abbassarlo ad un'esistenza in cui sono dominanti le reazioni di tristezza o di condanna anche nei confronti delle manifestazioni vitali (l'uomo del risentimento).

Prima di pensare alla possibilità di una nuova etica comunitaria a mio giudizio bisogna pensare a come realizzare il nuovo individuo, ovvero bisogna domandarsi qual'è la formazione e la cultura adatte alla costruzione di questo uomo realmente capace di amare.


CARLO
Vuoi dire che è bene <<...non lasciare che qualsiasi regola diventi un vincolo soffocante per l'uomo>>? E che è un male <<...la condanna delle manifestazioni vitali dell'uomo>>?
Ti sembra che questo tuo giudizio sia un <<andare al di là del bene e del male>>?

Quando dici che <<...Il vero discepolo di Cristo deve...>>, o che  <<...bisogna pensare a come realizzare il nuovo individuo>> esprimi degli "imperativi morali". L'etica è il "dover essere" tanto odiato da Nietzsche.
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: 0xdeadbeef il 21 Luglio 2018, 14:44:01 PM
A Sgiombo (seconda parte...)
Mi sono spesso chiesto anch'io cosa vi sia di unitario nel molteplice...
L'onoranza tributata ai defunti sembra essere uno di questi esempi di "unitarietà", senonchè Tucidide intendeva dire che
ciò che ai Greci appariva immorale (l'usanza persiana di bruciare i morti) era per i Persiani morale (mentre immorale
appariva loro l'usanza greca di seppellirli).
E' insomma una questione "relativa", laddove invece l'affermazione di Sariputra circa una morale "autentica" prefigura
uno sfondo assoluto.
Ora, ciò che io sostengo non è certo che la morale non "esista"; "esiste" ma è appunto relativa, e perciò non si può
parlare di una morale autentica o di una inautentica.
Continuo piuttosto a non capire questa tua pretesa vi sia un altruismo, una com-passione, UNIVERSALMENTE DATA nel
comportamento umano (non solo, ma che questo sia dovuto all'evoluzione biologica).
Non starò certo a enumerare gli esempi storici in cui questo non avviene affatto (e che sono senz'altro più numerosi
di quelli nei quali invece avviene), ma sulla base di quanto prima dicevo chiederti: ritieni forse che questo sia
il vero spirito innato dell'uomo che certi condizionamenti sociali hanno traviato?
Perchè se così fosse quello che stai tratteggiando è null'altro che il "mito del buon selvaggio", una teoria chiaramente
metafisica (l'uomo dotato di "anima", quindi partecipe della divinità) che assai poca attinenza ha con la realtà.
Ma qual'è questa "realtà"? Non certo quella di un uomo cattivo per natura, ci mancherebbe (sarebbe solo il rovescio
speculare dell'altra visione).
Se (SE...) la base assoluta, innata, del comportamento umano è la ricerca del proprio piacere o utile allora il contenuto
di tale piacere o utile è determinato da un groviglio inestricabile di condizionamenti sociali e psicologici.
Io, tanto per fare un esempio, non credo che Gino Strada (cambio nome dopo la gaffe di Madre Teresa...) faccia quel che
fa PERCHE' questo gli procura dispiacere o dolore. Tutt'altro, sono convinto che egli faccia quello perchè gli procura
piacere e utile; perchè se non lo facesse si sentirebbe sicuramente peggio (magari si sentirebbe, si dice, "in colpa").
All'opposto, un tangentista (evito altri nomi...) non ha tutta questa sensibilità, e la notte dorme benissimo anche se
poche ore prima ha ricevuto una somma di denaro per, che so, dare l'autorizzazione a sversare veleni in una discarica
abusiva.
In entrame le persone c'è ricerca del piacere e dell'utile (cioè c'è volontà di potenza), ma che differenza nel CONTENUTO
di tale forma...
Ora, puoi dire che nel tengentista vi siano, innati, altruismo e compassione? Magari sarebbe capace, una volta tornato a
casa, di accarezzare amorevolmente i propri figli (e anche i propri cani...) MA...
Ecco, "MA", nel senso che per me il comportamento umano è un tale groviglio di cause che risulta di fatto impossibile
determinare un qualcosa di "oggettivo" che ne fissi una volta e per tutte le caratteristiche, e che l'antica domanda
di Kant ("uomo, cosa sei?") resti, come dire, uno sfondo inaggirabile.
saluti
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: 0xdeadbeef il 21 Luglio 2018, 15:28:28 PM
A Sariputra
Allora, ti premetto che io ragiono in maniera "kantiana" (non perchè io mi ci sforzi, ma perchè Kant "mi ha detto" come
io ragiono...), per cui distinguo nettamente l'analisi della realtà dal ciò che io vorrei che fosse.
Dio ha per me una duplice valenza. Dal lato del "ciò che io vorrei che fosse", Dio è per me una speranza e, soprattutto,
un imperativo morale. Dal lato reale, io penso che Dio (purtroppo) sia l'ipostasi assolutizzata dei bisogni reali che si
presentano all'interno di una comunità (penso che l'affermazione di Durkheim: "Dio è la comunità" sia verosimile).
Dal punto di vista "reale" è perciò congruo pensare che sia Dio che l'etica siano sovrastruttue culturali.
No, l'uomo non è né buono né cattivo, ma il suo comportamento buono o cattivo è determinato da un groviglio inestricabile
di condizionamenti sociali e psicologici (vedi sopra la risposta a Sgiombo). E' "egoista" nel senso che persegue sempre e
solo il proprio piacere e utile, ma "egoismo" è un termine che va bene per il "contenuto" dell'agire umano, non per la
"forma" (vedi sempre la risposta a Sgiombo).
Beh, diciamo che Dio è probabilmente una "falsità" se ci riferiamo ad una sua esistenza "reale"; non lo è in quanto "idea"
(sono millenni che quest'idea "esiste", quindi non può essere falsità). E comunque non ritengo sia bene che negli ultimi
due secoli quest'idea abbia perso forza; perchè solo pochissimi hanno la forza di sopportare l'idea che tutto sia nulla -
la decadenza morale della nostra società "atea" lo sta a dimostrare.
In quello che io reputo uno dei punti più alti di tutto il pensiero Dostoevskij dice (anzi, "fa dire" ad un suo personaggio):
"se anche Dio non fosse verità, starei con Dio, non con la verità" (e a questo, personalmente, cerco di attenermi...).
Quano al tentare di formare una comunità più giusta su queste basi lo reputo improbabile se non impossibile (Dostoevskij
stesso, nella "Leggenda del Grande Inquisitore", difende i "deboli" incapaci di sopportare il tremendo peso della
libertà e dell'indeterminatezza dell'"autentica" religione di Cristo - contro la vulgata comune che vede nel celebre
capitolo dei "Karamazov" un'attacco alla Chiesa Cattolica).
Ma su questo potremmo parlare molto a lungo (mi fa davvero piacere conoscere un estimatore del Grande Maestro russo)...
saluti
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Carlo Pierini il 21 Luglio 2018, 15:58:16 PM
OXDEADBEEF
Ora, puoi dire che nel tengentista vi siano, innati, altruismo e compassione? Magari sarebbe capace, una volta tornato a
casa, di accarezzare amorevolmente i propri figli (e anche i propri cani...)

CARLO
Chi si dedica alla politica lo fa perché ha uno straccio di scala di valori e di sentimenti di giustizia. E quando rinnega i propri stessi valori, nonché la fiducia di chi lo ha eletto, non sarà mai orgoglioso di sé quanto lo è chi lotta quotidianamente per realizzare ciò che ritiene giusto. E il fatto che l'uomo possa nascondere a se stesso e agli altri la vergogna per la propria ignobiltà d'animo, non significa che questa vergogna non esista e che la qualità della sua vita sia la stessa di chi esprime pienamente la propria volontà di potenza, cioè la volontà di realizzare le proprie istanze più profonde.
E' un falso mito quello del criminale che "si gode la vita" come può godersela chi sa di combattere in nome di ciò a cui più profondamente aspira. I desideri di ricchezza e di successo spesso sono solo dei tentativi (vani) di compensare la povertà interiore di chi non dà voce ai propri ideali più profondi o di chi li tradisce. Quando si uccide o si calpesta il Dio che è in noi, diventiamo schiavi di dèi minori fuori di noi, come il dio denaro, il dio sesso e il dio potere, cioè, di falsi dèi che non riempiono l'anima, ma la svuotano più di quanto non lo sia già.
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: sgiombo il 21 Luglio 2018, 16:55:32 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 21 Luglio 2018, 14:44:01 PM
A Sgiombo (seconda parte...)
Mi sono spesso chiesto anch'io cosa vi sia di unitario nel molteplice...
L'onoranza tributata ai defunti sembra essere uno di questi esempi di "unitarietà", senonchè Tucidide intendeva dire che
ciò che ai Greci appariva immorale (l'usanza persiana di bruciare i morti) era per i Persiani morale (mentre immorale
appariva loro l'usanza greca di seppellirli).
E' insomma una questione "relativa", laddove invece l'affermazione di Sariputra circa una morale "autentica" prefigura
uno sfondo assoluto.
CitazioneIl reciprocamente diverso atteggiamento particolare concreto verso i morti (sepoltura/cremazione) di Persiani e Greci é il relativo socialmente, storicamente condizionato, locale, transeunte della morale di fatto universale umana; l' uguale (l' onorare  defunti) l' aspetto generale astratto ubiquitario, perenne.




Ora, ciò che io sostengo non è certo che la morale non "esista"; "esiste" ma è appunto relativa, e perciò non si può
parlare di una morale autentica o di una inautentica.
Continuo piuttosto a non capire questa tua pretesa vi sia un altruismo, una com-passione, UNIVERSALMENTE DATA nel
comportamento umano (non solo, ma che questo sia dovuto all'evoluzione biologica).
Non starò certo a enumerare gli esempi storici in cui questo non avviene affatto (e che sono senz'altro più numerosi
di quelli nei quali invece avviene), ma sulla base di quanto prima dicevo chiederti: ritieni forse che questo sia
il vero spirito innato dell'uomo che certi condizionamenti sociali hanno traviato?
CitazioneNon concordo affatto che gli esempi storici dei egoismo siano "senz'altro più numerosi di quelli" di altruismo (ogni valutazione in proposito credo sia una questione di maggiore o minor ottimismo o pessimismo di carattere; personalmente ho al fortuna di essere ottimista).

Ma le violazioni delle norme etiche (peccati, colpe), anche ben prima di Nietzche, Freud e "compagnia bella (si fa per dire...)", non sono mai state un argomento minimamente in grado di negare l' etica.
Per selezione naturale l' uomo ha anche tendenze comportamentali egoistiche, grette, meschine, codarde e chi più ne ha più ne metta. E dunque può, a seconda dei casi, più o meno indulgere a queste oppure seguire gli imperativi morali più elevati.
Ma ciò non toglie che di fatto tutti sentano questi secondi dentro di sé: chi é generoso e magnanimo li segue (per lo più: nessuno é perfetto), chi é gretto e malvagio segue gli istinti più ignobili.




Perchè se così fosse quello che stai tratteggiando è null'altro che il "mito del buon selvaggio", una teoria chiaramente
metafisica (l'uomo dotato di "anima", quindi partecipe della divinità) che assai poca attinenza ha con la realtà.
CitazioneL' uomo é potenzialmente un angelo e potenzialmente un demonio.
Sono soprattutto el circostanze sociali in cui si trova a vivere a decidere in merito.




Ma qual'è questa "realtà"? Non certo quella di un uomo cattivo per natura, ci mancherebbe (sarebbe solo il rovescio
speculare dell'altra visione).
Se (SE...) la base assoluta, innata, del comportamento umano è la ricerca del proprio piacere o utile allora il contenuto
di tale piacere o utile è determinato da un groviglio inestricabile di condizionamenti sociali e psicologici.
CitazioneNO, non fraintendere!

La "base assoluta, innata, del comportamento umano è la ricerca" ...di ciò che l' uomo ricerca (la felicità é il soddisfacimento dei desideri, l' infelicità la loro insoddisfazione, quali che essi siano).

E certo, concordo che il suo contenuto è determinato da un groviglio inestricabile di condizionamenti sociali e psicologici.




Io, tanto per fare un esempio, non credo che Gino Strada (cambio nome dopo la gaffe di Madre Teresa...) faccia quel che
fa PERCHE' questo gli procura dispiacere o dolore. Tutt'altro, sono convinto che egli faccia quello perchè gli procura
piacere e utile; perchè se non lo facesse si sentirebbe sicuramente peggio (magari si sentirebbe, si dice, "in colpa").
All'opposto, un tangentista (evito altri nomi...) non ha tutta questa sensibilità, e la notte dorme benissimo anche se
poche ore prima ha ricevuto una somma di denaro per, che so, dare l'autorizzazione a sversare veleni in una discarica
abusiva.
In entrame le persone c'è ricerca del piacere e dell'utile (cioè c'è volontà di potenza), ma che differenza nel CONTENUTO
di tale forma...
Ora, puoi dire che nel tengentista vi siano, innati, altruismo e compassione? Magari sarebbe capace, una volta tornato a
casa, di accarezzare amorevolmente i propri figli (e anche i propri cani...) MA...
Ecco, "MA", nel senso che per me il comportamento umano è un tale groviglio di cause che risulta di fatto impossibile
determinare un qualcosa di "oggettivo" che ne fissi una volta e per tutte le caratteristiche, e che l'antica domanda
di Kant ("uomo, cosa sei?") resti, come dire, uno sfondo inaggirabile.
saluti

Sì, credo proprio che anche nel tengentista vi siano, innati, altruismo e compassione.
Ma per i condizionamenti sociali che si é trovato a subire fa prevalere su di essi (che sente benissimo!) la grettezza, la meschinità, l' egoismo, la disonestà (e che ciò sia per i condizionamenti sociali che si é trovato a subire non vedo come potrebbe ridurre la decisione e il vigore dei "virtuosi" che lo combattono e si adoperano per assicurarlo alla giustizia: essere deterministi -e ne abbiamo eclatanti esempi storici, per esempio fra i Giacobini della Rivoluzione Francese- non significa affatto necessariamente essere passivi fatalisti, contro un diffuso pregiudizio, che sto faticosamente cercando si smontare in un' altra discussione nel forum).

Ovvio che sia i malvagi che i magnanimi sono (per definizione!) felici se e nelle misura in cui riescono a soddisfare le loro aspirazioni, infelici se e nella misura in cui non ci riescono.

Ma ciò non equipara affatto le aspirazioni diversissime e reciprocamente contrarie degli uni a quelle degli altri ! ! !

I Gino Strada non sono (per fortuna!) destinati ad essere infelici né i Renatino De Pedis (o i loro soci in affari "santosubito-GP2") destinati ad essere felici!
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: paul11 il 22 Luglio 2018, 01:07:44 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 17 Luglio 2018, 18:14:03 PM
Citazione di: paul11 il 17 Luglio 2018, 10:54:23 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 17 Luglio 2018, 02:34:25 AM
Citazione di: paul11 il 16 Luglio 2018, 23:21:30 PMCARLO Secondo me, tu fai lo stesso errore dei preti: scambi dei racconti mitici per racconti storici. Magari credi anche tu che Cristo sia un personaggio storico capace di moltiplicare pani e pesci, di resuscitare i morti e poi di morire, risorgere e di salire al cielo senza tuta spaziale? ...Che Mosè abbia aperto fisicamente le acque del Mar Rosso, che Elia sia stato rapito in cielo dagli extraterrestri, ecc.? ...Che Atlantide sia una storia vera? Non ti seguo su questo terreno. Le esperienze visionarie che ho vissuto io si intrecciano profondamente con molte delle mitologie di tutto il pianeta, ma non hanno nulla a che vedere con razze superiori, ma solo con "spiriti" superiori che "confinano" con le profondità di noi stessi. Non riesco a capire come una persona intelligente e perspicace come te possa credere alla storia delle razze superiori, senza alcuna prova oggettiva, ma solo sulla base di antichi racconti in bilico tra mito e storia. Leggiti qualche trattato di storia comparata dei simboli mitico-religiosi e comincerai a capire che molti dei "luoghi" e dei "personaggi" da te citati come reali, sono in realtà dei simboli tipici, anzi, ...archetipici riconoscibilissimi che, magari, "hanno preso in prestito" dei luoghi e dei fatti reali per esprimere il loro contenuto simbolico. ...Ah, adesso ho capito perché non sei d'accordo con la seconda citazione di Evola che ho riportato sopra! :)
PAUL11
Che i numeri dati da un certo Yahweh a Noè per la costruzione dell'Arca e Mosè per la costruzione prima dell'arca dell'alleanza e poi saranno date le misure per costruire il tempio di Gerusalemme, hanno significati di orientamento astronomico planetario.

CARLO
Come fai a credere al mito di Noè come ad un racconto storico? Ti sembra credibile che un uomo di più di tremila anni fa sia stato in grado di raccogliere in un'arca TUTTE le specie animali (un centinaio di milioni) di ogni parte del mondo, come: orsi polari, koala e canguri australiani, lemuri del Madagascar, formiche rosse dell'Amazzonia, pinguini del polo Sud, tartarughe delle Galapagos, ecc.?
Sulla base DI COSA puoi sostenere che non si tratta di un mito, ma di un evento storico?
quando un racconto lo trovi in preesistenti racconti;spoglialo dalla metafore e cerca.
Noè in sumero è  Ziusudra,in accadico Atrahasis e in babilonese Ut-Napishtim.
Cercalo quindi in altri racconti............
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Carlo Pierini il 22 Luglio 2018, 01:50:10 AM
Citazione di: paul11 il 22 Luglio 2018, 01:07:44 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 17 Luglio 2018, 18:14:03 PM
Citazione di: paul11 il 17 Luglio 2018, 10:54:23 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 17 Luglio 2018, 02:34:25 AM
Citazione di: paul11 il 16 Luglio 2018, 23:21:30 PMCARLO Secondo me, tu fai lo stesso errore dei preti: scambi dei racconti mitici per racconti storici. Magari credi anche tu che Cristo sia un personaggio storico capace di moltiplicare pani e pesci, di resuscitare i morti e poi di morire, risorgere e di salire al cielo senza tuta spaziale? ...Che Mosè abbia aperto fisicamente le acque del Mar Rosso, che Elia sia stato rapito in cielo dagli extraterrestri, ecc.? ...Che Atlantide sia una storia vera? Non ti seguo su questo terreno. Le esperienze visionarie che ho vissuto io si intrecciano profondamente con molte delle mitologie di tutto il pianeta, ma non hanno nulla a che vedere con razze superiori, ma solo con "spiriti" superiori che "confinano" con le profondità di noi stessi. Non riesco a capire come una persona intelligente e perspicace come te possa credere alla storia delle razze superiori, senza alcuna prova oggettiva, ma solo sulla base di antichi racconti in bilico tra mito e storia. Leggiti qualche trattato di storia comparata dei simboli mitico-religiosi e comincerai a capire che molti dei "luoghi" e dei "personaggi" da te citati come reali, sono in realtà dei simboli tipici, anzi, ...archetipici riconoscibilissimi che, magari, "hanno preso in prestito" dei luoghi e dei fatti reali per esprimere il loro contenuto simbolico. ...Ah, adesso ho capito perché non sei d'accordo con la seconda citazione di Evola che ho riportato sopra! :)
PAUL11
Che i numeri dati da un certo Yahweh a Noè per la costruzione dell'Arca e Mosè per la costruzione prima dell'arca dell'alleanza e poi saranno date le misure per costruire il tempio di Gerusalemme, hanno significati di orientamento astronomico planetario.

CARLO
Come fai a credere al mito di Noè come ad un racconto storico? Ti sembra credibile che un uomo di più di tremila anni fa sia stato in grado di raccogliere in un'arca TUTTE le specie animali (un centinaio di milioni) di ogni parte del mondo, come: orsi polari, koala e canguri australiani, lemuri del Madagascar, formiche rosse dell'Amazzonia, pinguini del polo Sud, tartarughe delle Galapagos, ecc.?
Sulla base DI COSA puoi sostenere che non si tratta di un mito, ma di un evento storico?
PAUL11
quando un racconto lo trovi in preesistenti racconti;spoglialo dalla metafore e cerca.
Noè in sumero è  Ziusudra,in accadico Atrahasis e in babilonese Ut-Napishtim.
Cercalo quindi in altri racconti............

CARLO
Bravo. Questi sono gli effetti degli archetipi: la loro diffusione universale.
Per interpretarlo come dici tu, invece, devi manipolarlo, cioè,<<spogliarlo della metafora>>. Ma se leggi il mio thread: "Alcune varianti dell'archetipo del Diluvio universale":
https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/alcune-varianti-dell'archetipo-del-'diluvio-universale'/
...ti rendi conto che è proprio la metafora la componente centrale del mito. Quindi la saggezza di cui un mito è portatore non proviene da fantomatiche razze superiori, ma da una *Mente* superiore.
Ripeto: il "mio" caduceo è diffuso in ogni angolo del mondo NON perché ho avuto contatti con razze superiori, ma perché si tratta di un simbolo ispirato da un medesimo archetipo: l'archetipo della Complementarità degli opposti.
Anzi, ad essere sinceri, nel periodo delle "visioni" ho fatto un sogno - breve e intenso - molto simile al mito del "Diluvio"; ma, nel mio caso, al posto della classica Arca, c'era una sfera che io avrei dovuto riempire con "qualcosa", sulla base di un criterio preciso, affinché essa potesse (paradossalmente) "alleggerirsi" ed emergere dalle acque che la sommergevano. Solo qualche anno più tardi (grazie ad una maggiore dimestichezza con i simboli) ho capito che quel "qualcosa" erano delle idee, anzi, delle coppie di idee 8in analogia alle coppie di animale del mito classico).
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: 0xdeadbeef il 22 Luglio 2018, 10:47:01 AM
A Sgiombo
Vi sono stati, lungo la storia, molti casi in cui si sono disseppelliti i morti allo scopo di oltraggiare i vivi
nella loro "genia" (vedi ad esempio il disseppellimento dei morti della famiglia De Pazzi ad opera dei De Medici dopo
la famosa congiura).
Quindi no, non credo che l'onoranza ai defunti sia da annoverare fra le cose davvero innate nell'uomo. L'onoranza
per il defunto è semmai da considerare assolutamente sacra, e uno degli esempi davvero più profondi dell'"assolutamente
sacro", solo all'interno di una specifica "gens", di una cultura particolare. Ma non voglio divagare su questioni tutto
sommato marginali (almeno per come il discorso si è venuto a sviluppare fra noi due).
Per quanto io mi sia dato a pensare nel corso degli anni a quali cose potessero, nell'essere umano, considerarsi davvero
innate ed universali, non sono arrivato a contarne più di quante ne stanno nelle dita di una mano...
La più, diciamo, "forte" mi sembra essere proprio questa del perseguimento del piacere e dell'utile individuale (chiaramente,
ma a questo punto oso sperare sia appurato, non è del "contenuto" di questo perseguimento che parlo ma della "forma").
Da questo punto di vista, chissà, magari quel tangentista un "piccolo" rimorso certamente l'avrà (vedi anche la metafora di
Giuda), ma altrettanto certamente è da considerare che l'utile, il piacere, che egli ricava dall'aver incassato la tangente
supererà in "forza" la "voce della coscienza" (salvo poi, come accade in Giuda, che l'utile rappresentato dalla coscienza
non arrivi a superare in forza l'utile immediato del gretto guadagno di denaro).
Perchè il perseguimento dell'utile e del piacere è da considerare sempre in relazione comparativa ad un altro piacere o utile
(ad esempio nel suicida l'utile che gli dà la morte è da lui considerato comparativamente superiore all'utile che gli è
tramesso dall'istinto per la sopravvivenza).
Non amo portare esempi patetici di esperienze personali, ma giusto ieri ho assistito ad una scena che ho giudicato altamente
immorale (niente di che: l'uccisione di un serpente da parte di un mio vicino). Certamente la mia idea di moralità è ben
diversa da quella del mio vicino (una persona perbene, che mai immaginerebbe di essere da me giudicato un immorale per...
aver ucciso un serpente!).
E vengo con questo al discorso sulle "idee" (per cui mi riallaccio all'altra discussione).
La mia idea di moralità è "reale" quanto la sua: non esiste un riferimento oggettivo per cui si possa parlare di una maggiore
o minore moralità (qui mi riallaccio anche a quanto dicevo sulla moralità come non innata, quindi come relativa).
Il pensiero è certamente pensiero di "qualcosa" (la mia idea di moralità, per "essere", deve essere riferita ad un qualcosa che
io assumo "artificiosamente" come un assoluto, come un oggetto - sapendolo non tale).
A questo livello non ha nessuna importanza che il pensiero sia o meno riferito ad un qualcosa di sensibile (si diceva del cavallo
e dell'ippogrifo), cioè ad un "oggetto" ("ab-soluto" per sua stessa definizione in quanto oggetto). Perchè il linguaggio (cui
Pierce accosta acutamente anche il pensiero) DEVE appunto assumere "artificiosamente come un assoluto, come un oggetto - sapendolo
non tale" il riferimento ad un qualcosa. O altrimenti, dicevo, non potrebbe "essere" (non potrebbe cioè nè essere "detto" né pensato
"qualcosa").
Come dicevo altrove, il linguaggio e il pensiero procedono necessariamente per assoluti.
E tuttavia le persone consapevoli (mi verrebbe da dire i "filosofi"...) sanno che questo procedere è un artificio. Cioè sanno che
vi è differenza fra cosa "pensata" e cosa "reale" (solo gli Idealisti non lo sanno - e bada bene che gli Idealisti infestano il
mondo...).
E' per questo che Kant insiste molto sul "dato empirico". Cioè insiste sulla differenza fra il pensare una cosa "reale" e una cosa
"pensata" (un cavallo e un ippogrifo) PUR SAPENDO che anche la cosa "reale" è un pensato, e che quindi "ad un certo livello" non
si dia differenza con la cosa pensata.
E' questo, comunque, un argomento davvero di estrema complessità.Che richiede un grandissimo sforzo di astrazione, proprio
perchè pensare il "reale" è pur sempre pensare un pensato.
La "cosa in sè", cioè il REALE (l'autentico REALE...), a rigor di logica non può né essere detta né essere pensata.
E, specularmente, la cosa pensata (il "fenomeno") deve a rigor di logica essere assunta necessariamente come una "cosa in sè",
come un oggetto assoluto (per "dire" la mia idea di moralità io la devo assumere artificiosamente come un assoluto).

saluti
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Carlo Pierini il 22 Luglio 2018, 12:46:14 PM
OXDEADBEEF
E' per questo che Kant insiste molto sul "dato empirico". Cioè insiste sulla differenza fra il pensare una cosa "reale" e una cosa "pensata" (un cavallo e un ippogrifo) PUR SAPENDO che anche la cosa "reale" è un pensato, e che quindi "ad un certo livello" non si dia differenza con la cosa pensata.

CARLO
Stando a quello che scrivi, siccome una cosa non può essere che una cosa pensata, non avrebbe alcun senso parlare di FALSA idea su una cosa, come, per esempio tutte le idee che la scienza ha sconfessato come false nel corso della sua evoluzione.
Per cui ti domando: che differenza c'è tra un'idea vera e un'idea falsa? Per esempio, perché l'idea <<la Terra è piatta>> pur essendo pensata deve essere considerata falsa?
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: 0xdeadbeef il 22 Luglio 2018, 13:48:44 PM
A Carlo Pierini
Certo che devi tenere in ben poca considerazione non dico le mie affermazioni (sulle quali potresti non aver torto),
ma l'intera filosofia dal momento che pensi questa non abbia riflettuto a sufficienza su certe tesi alla base delle
tue considerazioni. Non si sia mai posta, per usare la tua terminologia, le "domande cruciali"...
Noto fra l'altro che, nonostante io te l'abbia già detto, continui imperterrito a non distinguere fra "episteme" e "sophia"
(prova ad esempio a sostituire alla domanda sulla terra piatta o sferica la domanda: "è morale l'aborto?", e vedi se
riesci a distinguere un vero e un falso).
Comunque lasciamo perdere e veniamo alla cosa in questione...
Nella mia riposta all'intervento di Daveintro sull'altro post (dove tu mi chiedevi cosa significassero in lingua "umana"
le cose che dicevo), io ho citato la metafora della montagna, di Popper (un epistemologo, fra l'altro, forse il maggiore)
che così recita: "la verità è la cima di una montagna coperta da nubi. Sappiamo che è lì, da quella parte, ma non
sappiamo esattamente dove".
Ecco, questo è esattamente ciò che penso anch'io (e che, presumo, penserebbe anche Kant). Non possiamo conoscere la verità
ma alla verità possiamo avvicinarci; della verità possiamo cioè conoscere la "direzione".
Come dunque vedi, sono molto lontano dal "non esistono fatti ma solo interpretazioni" di Nietzsche (mentre tu ne sei,
inconsapevolmente, molto vicino, ma non divago con cose che ci porterebbero troppo lontano).
E ti ripeto ancora una volta: a me sembra che la moderna concezione di "scienza" dia ragione ad una tale tesi, visto
che la scienza odierna (odierna nel senso di post-relatività) parla del sapere come di un sapere "probabile".
Ti invito pertento ad uscire una volta e per tutte dal tuo mondo antico fatto di oggetti fissi nella loro "datità",
di verità definitive (aggettivo che spesso usi e che dimostra molto di come tu ragioni...) ed irrevocabili.
Prendi finalmente atto che la scienza "autentica" si pone fin da principio come "confutabile", e che le verità
definitive ed inconfutabili sono patrimonio della Fede.
Per poter arrivare a ciò, ti ho consigliato e ti consiglio di nuovo di pensare non a Kant, ma a questa affermazione
di Einstein: "è la teoria a decidere cosa possiamo osservare".
saluti
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: sgiombo il 22 Luglio 2018, 14:37:00 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 22 Luglio 2018, 10:47:01 AM
A Sgiombo
Vi sono stati, lungo la storia, molti casi in cui si sono disseppelliti i morti allo scopo di oltraggiare i vivi
nella loro "genia" (vedi ad esempio il disseppellimento dei morti della famiglia De Pazzi ad opera dei De Medici dopo
la famosa congiura).
Quindi no, non credo che l'onoranza ai defunti sia da annoverare fra le cose davvero innate nell'uomo. L'onoranza
per il defunto è semmai da considerare assolutamente sacra, e uno degli esempi davvero più profondi dell'"assolutamente
sacro", solo all'interno di una specifica "gens", di una cultura particolare. Ma non voglio divagare su questioni tutto
sommato marginali (almeno per come il discorso si è venuto a sviluppare fra noi due).
Citazione
Però, scusa, qui siamo sempre al fraintendimento per il quale la violazione dell' etica (ovviamente sempre esistita, senza ombra di dubbio da parte di nessuno, che io sappia) equivarrebbe alla negazione dell' etica.



Per quanto io mi sia dato a pensare nel corso degli anni a quali cose potessero, nell'essere umano, considerarsi davvero
innate ed universali, non sono arrivato a contarne più di quante ne stanno nelle dita di una mano...
La più, diciamo, "forte" mi sembra essere proprio questa del perseguimento del piacere e dell'utile individuale (chiaramente,
ma a questo punto oso sperare sia appurato, non è del "contenuto" di questo perseguimento che parlo ma della "forma").
CitazioneMa questo, scusa ancora, Mauro, mi sembra una banalissima "scoperta dell' acqua calda": 

perseguimento del piacere e dell'utile =/= perseguimento di ciò che si persegue (qualsiasi cosa sia: bene, male, cose eticamente irrilevanti, ecc.).

Pe me questa "forma" non é di alcun ineteresse (anche per l' appunto per la sua banale ovvietà tautologica), al contrario dei ben diversi e spesso reciprocamente opposti  "contenuti" (specialmente quelli eticamente rilevanti) delle aspirazioni e finalità umane.




Da questo punto di vista, chissà, magari quel tangentista un "piccolo" rimorso certamente l'avrà (vedi anche la metafora di
Giuda), ma altrettanto certamente è da considerare che l'utile, il piacere, che egli ricava dall'aver incassato la tangente
supererà in "forza" la "voce della coscienza" (salvo poi, come accade in Giuda, che l'utile rappresentato dalla coscienza
non arrivi a superare in forza l'utile immediato del gretto guadagno di denaro).
CitazioneBella scoperta: si tratta di un malvagio e  disonesto!

Come per chi sia magnanimo, generoso, onesto, la virtù é premio a se stessa, così lo é il vizio per il malvagio, gretto, egoista.




Non amo portare esempi patetici di esperienze personali, ma giusto ieri ho assistito ad una scena che ho giudicato altamente
immorale (niente di che: l'uccisione di un serpente da parte di un mio vicino). Certamente la mia idea di moralità è ben
diversa da quella del mio vicino (una persona perbene, che mai immaginerebbe di essere da me giudicato un immorale per...
aver ucciso un serpente!).
CitazioneQui secondo e andrebbe condotta una profonda analisi delle intenzioni e delle convinzioni tue e del tuo vicino di casa (é convinto che il serpente soffre? Che é cosciente? Sei convinto che sia autocosciente? Pensava di fare un bene maggiore del male evitando probabili sofferenze a umani che considerava, magari contrariamente al serpente, coscienti, oltre che, quasi certamente al contrario del serpente, autocoscienti)?

Come spesso accade, e anche assai più che in altre questioni, la moralità dei singoli comportamenti é spesso difficile da comprendere (e a maggior ragione da giudicare: "chi é senza peccato scagli la prima pietra").
Ma non credo che ciò confuti l' esistenza di fatto di imperativi etici generali universali (oltre che di più particolari regole socialmente condizionate e variabili, "relativamente meno universali").




E vengo con questo al discorso sulle "idee" (per cui mi riallaccio all'altra discussione).
La mia idea di moralità è "reale" quanto la sua: non esiste un riferimento oggettivo per cui si possa parlare di una maggiore
o minore moralità (qui mi riallaccio anche a quanto dicevo sulla moralità come non innata, quindi come relativa).
Il pensiero è certamente pensiero di "qualcosa" (la mia idea di moralità, per "essere", deve essere riferita ad un qualcosa che
io assumo "artificiosamente" come un assoluto, come un oggetto - sapendolo non tale).
A questo livello non ha nessuna importanza che il pensiero sia o meno riferito ad un qualcosa di sensibile (si diceva del cavallo
e dell'ippogrifo), cioè ad un "oggetto" ("ab-soluto" per sua stessa definizione in quanto oggetto). Perchè il linguaggio (cui
Pierce accosta acutamente anche il pensiero) DEVE appunto assumere "artificiosamente come un assoluto, come un oggetto - sapendolo
non tale" il riferimento ad un qualcosa. O altrimenti, dicevo, non potrebbe "essere" (non potrebbe cioè nè essere "detto" né pensato
"qualcosa").
Come dicevo altrove, il linguaggio e il pensiero procedono necessariamente per assoluti.
E tuttavia le persone consapevoli (mi verrebbe da dire i "filosofi"...) sanno che questo procedere è un artificio. Cioè sanno che
vi è differenza fra cosa "pensata" e cosa "reale" (solo gli Idealisti non lo sanno - e bada bene che gli Idealisti infestano il
mondo...).
E' per questo che Kant insiste molto sul "dato empirico". Cioè insiste sulla differenza fra il pensare una cosa "reale" e una cosa
"pensata" (un cavallo e un ippogrifo) PUR SAPENDO che anche la cosa "reale" è un pensato, e che quindi "ad un certo livello" non
si dia differenza con la cosa pensata.
CitazioneQui é questione di che cosa siano questi "livelli" di realtà.

Per me c'é un abisso ontologico fra il "livello di realtà" di un certo cavallo reale (quello di mio nonno, per esempio) e qualsiasi immaginario ippogrifo (in generale; e in particolare quanto agli imperativi etici che si avvertono verso di essi).




E' questo, comunque, un argomento davvero di estrema complessità.Che richiede un grandissimo sforzo di astrazione, proprio
perchè pensare il "reale" è pur sempre pensare un pensato.
CitazioneConcordo sulla estrema complessità della questione.

Ma c'é una differenza enorme (direi "ontologicamente infinita") fra il "reale" (inoltre anche eventualmente) pensato (ma tale anche indipendentemente dall' eventuale essere inoltre pensato: cavallo) e il reale unicamente in quanto pensato (ippogrifo).




La "cosa in sè", cioè il REALE (l'autentico REALE...), a rigor di logica non può né essere detta né essere pensata.
E, specularmente, la cosa pensata (il "fenomeno") deve a rigor di logica essere assunta necessariamente come una "cosa in sè",
come un oggetto assoluto (per "dire" la mia idea di moralità io la devo assumere artificiosamente come un assoluto).
CitazioneSecondo me qui si deve ancora una volta distinguere fra "inseità" del pensato reale (denotazione o estensione reale di un concetto: il cavallo realmente esistente, che lo si pensi o meno) in contrasto con (diversamente da) "non inseità" del pensato irreale (connotazione o intensione cogitativa di un concetto privo di denotazione o estensione reale: ippogrifo da una parte; e dal' altra "inseità" del sentito (noumeno reale anche allorché non si danno sensazioni fenomeniche: quel che esiste anche quando il cedro del Libano non esiste -"esse est percipi"!- e fa sì che nonappena osservo "adeguatamente", allora puntualmente il cedro torni ad esistere; oppure quel che esiste anche quando non penso a me stesso, non avverto i miei pensieri, sentimenti, ecc., ovvero anche quando io -come insiemi-successioni di determinati fenomeni mentali: "esse st percipi"!- non esisto e fa sì che nonappena "si riaccende" la mia autocoscienza, allora puntualmente ricompaiono i miei pensieri, sentimenti, ecc, ovvero io ri-esisto come insieme-successioni di fenomeni mentali).




saluti
CitazioneRiccambiati di cuore!
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Carlo Pierini il 22 Luglio 2018, 15:50:13 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 22 Luglio 2018, 13:48:44 PM
Noto fra l'altro che, nonostante io te l'abbia già detto, continui imperterrito a non distinguere fra "episteme" e "sophia"


CARLO
...E tutto quello che scrivi tu è episteme o sophia?

OXDEADBEEF
(prova ad esempio a sostituire alla domanda sulla terra piatta o sferica la domanda: "è morale l'aborto?", e vedi se
riesci a distinguere un vero e un falso).

CARLO
Già ho detto altrove che, finché non giungeremo alla scoperta di un principio universale (di validità dimostrabile in ogni disciplina dell'esperienza) alla cui conformità poter riferire anche le questioni morali, le risposte a domande come la tua non possono che scaturire dalla sensibilità soggettiva.
Ma il problema è che i pensatori come te negano a priori e del tutto arbitrariamente l'esistenza di qualunque criterio di verità oggettiva, oltre che qualunque criterio di moralità. Quando invece la filosofia si fonda e trova la propria ragione d'essere sull'intuizione che il mondo e l'uomo siano conoscibili e che i concetti di verità e di giustizia, siano ontologicamente fondabili.
La verità è per un filosofo come Dio per un prete: se non ci credi, devi abbandonare l'abito talare, invece di "cantare messa" come fai tu in un "circolo di filosofia". Se non credi nella verità, come puoi pretendere che si debba prendere per VERO tutto ciò che predichi?
Per questo sono partito dalla domandina più facile: per capire se sei cieco fino al punto di negare verità assoluta persino all'idea di "rotondità della Terra".

OXDEADBEEF
ho citato la metafora della montagna, di Popper (un epistemologo, fra l'altro, forse il maggiore)
che così recita: "la verità è la cima di una montagna coperta da nubi. Sappiamo che è lì, da quella parte, ma non
sappiamo esattamente dove".

CARLO
Infatti non è la prima volta che sottolineo la cattiva abitudine di Popper di sparare cazzate. La scienza ci ha regalato migliaia di verità inconfutabili, e quello che dice Popper, se mai, è valito solo se per "verità" si intende l'onniscienza.

OXDEADBEEF
E ti ripeto ancora una volta: a me sembra che la moderna concezione di "scienza" dia ragione ad una tale tesi, visto
che la scienza odierna (odierna nel senso di post-relatività) parla del sapere come di un sapere "probabile".

CARLO
Infatti è "probabile" anche l'affermazione di un sapere necessariamente probabile. La scienza ha solo tre secoli d'età, cioè, è poco più di una bambina. E non sta scritto da nessuna parte che ciò che oggi appare probabile non sia tale per l'inadeguatezza dei paradigmi interpretativi oggi in uso nella Scienza.

OXDEADBEEF
Ti invito pertanto ad uscire una volta e per tutte dal tuo mondo antico fatto di oggetti fissi nella loro "datità",

CARLO
E io ti invito a riflettere sul fatto che chiunque neghi l'esistenza della verità, non può pretendere che qualcuno prenda per vere le sue prediche. L'esistenza del vero deve essere ammessa da chiunque decida di aprir bocca e darle fiato. Se non lo fa deve tacere.
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: 0xdeadbeef il 22 Luglio 2018, 20:18:48 PM
A Sgiombo
Chiuderei la, per così dire, "prima fase" del ragionamento con queste considerazioni: non dico certamente che: "non
esiste l'etica". L'etica esiste non fosse altro che per il solo fatto di essere pensata. Ciò che dico è che non esiste
un'etica "universalmente valida", per cui la "violazione" non può essere tale se non intesa come comportamento non
conforme a quelle che sono le usanze in vigore entro una certa cultura che "una certa" etica esprime.
Beh, la ricerca dell'utile e del piacere individuali come "scoperta dell'acqua calda" fino a un certo punto.
Per me quello è il "motore primo", l'autentico universale necessariamente presente in ogni essere umano, l'assoluto
della forma che contrasta con il relativo del contenuto. Boh, un qualche interesse mi parrebbe averlo...
Sulla scena dell'uccisione del serpente ritornano infatti le considerazioni or ora fatte.
Come possono due persone che condividono le medesime radici culturali avere un'idea della moralità cosi diversa?
Bah, forse sarò io troppo immerso in certe considerazioni, ma ti confesso che quella scena mi ha letteralmente
inorridito (e non che fossi inconsapevole del fatto che si trattasse di un serpemte e non di una persona...)
Ma veniamo all'altro argomento.
Chiaramente c'è una abissale differenza fra il pensiero di una cosa reale ed una di una cosa immaginifica.
Dal mio punto di vista AL pensiero di una cosa reale (fenomeno) sottende la cosa stessa (cosa in sè). Al
pensiero di una cosa immaginifica non sottende nessuna cosa in sè, per cui a rigor di logica neppure potremmo
chiamare "fenomeno" questo pensiero.
Eppure questo pensiero "esiste" (seppur questo verbo è inadatto a definire questo "esserci", dunque mi riferirò
ad esso con il termine levinasiano di "c'è"). E fin qui, se non erro, siamo d'accordo.
Il successivo passo che ti propongo è il seguente: se questo pensiero "c'è", allora questo pensiero possiede un
"essere", cioè dev'essere riferito ad un oggetto nel medesimo modo cui vi è riferito il pensiero di un qualcosa di
reale (dicevo: "deve essere riferito ad un qualcosa che io assumo "artificiosamente" come un assoluto, come un oggetto
- sapendolo non tale").
In questo consiste il "livello" di cui dicevo, nel quale non ha nessuna importanza che il pensiero sia o meno riferito
ad un qualcosa di sensibile ("cosa c'è di comune fra le cose corporee e quelle incorporee, dal momento che di entrambe
si dice che sono?", chiede Platone).
La distinzione fra quella che chiami "inseità" del pensiero riferito ad una cosa reale e la "non-inseità" del pensiero
riferito ad una cosa immaginifica risiede NON NEL LINGUAGGIO (che dice che entrambe "sono"), ma appunto nella
consapevolezza dell'"assunzione artificiosa" del riferimento ad un oggetto che IN REALTA' "non c'è".
Si tratta in fondo di essere semplicemente consapevoli che l'oggetto cui il segno si riferisce in realtà non c'è (cioè
c'è il segno ma non l'oggetto).
saluti
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: 0xdeadbeef il 22 Luglio 2018, 20:30:05 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 22 Luglio 2018, 15:50:13 PMCARLO
Infatti non è la prima volta che sottolineo la cattiva abitudine di Popper di sparare cazzate. La scienza ci ha regalato migliaia di verità inconfutabili, e quello che dice Popper, se mai, è valito solo se per "verità" si intende l'onniscienza.

OXDEADBEEF
E ti ripeto ancora una volta: a me sembra che la moderna concezione di "scienza" dia ragione ad una tale tesi, visto
che la scienza odierna (odierna nel senso di post-relatività) parla del sapere come di un sapere "probabile".

CARLO
Infatti è "probabile" anche l'affermazione di un sapere necessariamente probabile. La scienza ha solo tre secoli d'età, cioè, è poco più di una bambina. E non sta scritto da nessuna parte che ciò che oggi appare probabile non sia tale per l'inadeguatezza dei paradigmi interpretativi oggi in uso nella Scienza.




Queste poche parole bastano e avanzano per capire come tu ragioni.
saluti
PS
Giusto per curiosità: e quale sarebbe la data di nascita della scienza? Visto che essa ha solo tre secoli dovresti ricordartene...
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Carlo Pierini il 22 Luglio 2018, 21:13:18 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 22 Luglio 2018, 20:18:48 PM
Chiuderei la, per così dire, "prima fase" del ragionamento con queste considerazioni: non dico certamente che: "non
esiste l'etica". L'etica esiste non fosse altro che per il solo fatto di essere pensata.
CARLO
Non esiste cultura - dalle più antiche alle più moderne, dalle tribù sperdute nella giungla alle civiltà più avanzate - che non si ponga il problema morale. L'etica, cioè, si manifesta come un vero e proprio istinto, per quanto abbia bisogno di una coscienza particolarmente evoluta per svilupparsi come "sistema di diritto" nelle sue infinite e complesse implicazioni sociali.
Basta questa sola constatazione per smentire la superficialità relativista che la considera come qualcosa di accidentale, o come una sovrastruttura imposta da ...chissà chi.
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Carlo Pierini il 22 Luglio 2018, 21:18:05 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 22 Luglio 2018, 20:30:05 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 22 Luglio 2018, 15:50:13 PMCARLO
Infatti non è la prima volta che sottolineo la cattiva abitudine di Popper di sparare cazzate. La scienza ci ha regalato migliaia di verità inconfutabili, e quello che dice Popper, se mai, è valito solo se per "verità" si intende l'onniscienza.

OXDEADBEEF
E ti ripeto ancora una volta: a me sembra che la moderna concezione di "scienza" dia ragione ad una tale tesi, visto
che la scienza odierna (odierna nel senso di post-relatività) parla del sapere come di un sapere "probabile".

CARLO
Infatti è "probabile" anche l'affermazione di un sapere necessariamente probabile. La scienza ha solo tre secoli d'età, cioè, è poco più di una bambina. E non sta scritto da nessuna parte che ciò che oggi appare probabile non sia tale per l'inadeguatezza dei paradigmi interpretativi oggi in uso nella Scienza.

OXDEADBEEF
Queste poche parole bastano e avanzano per capire come tu ragioni.
saluti
PS
Giusto per curiosità: e quale sarebbe la data di nascita della scienza? Visto che essa ha solo tre secoli dovresti ricordartene...

CARLO
Una domanda sciocca come questa basta e avanza per capire come ragioni tu.
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: sgiombo il 22 Luglio 2018, 22:00:50 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 22 Luglio 2018, 20:18:48 PM
A Sgiombo
Chiuderei la, per così dire, "prima fase" del ragionamento con queste considerazioni: non dico certamente che: "non
esiste l'etica". L'etica esiste non fosse altro che per il solo fatto di essere pensata.
CitazioneNO, per me di fatto nelle tendenze comportamentali umane l' etica esiste nel senso in cui esistono i cavalli, non nel senso in cui esistono (i meri pensieri degli) ippogrifi.



Ciò che dico è che non esiste
un'etica "universalmente valida", per cui la "violazione" non può essere tale se non intesa come comportamento non
conforme a quelle che sono le usanze in vigore entro una certa cultura che "una certa" etica esprime.
CitazioneE a questo punto credo che non possiamo che constatare il reciproco disaccordo in proposito.



Beh, la ricerca dell'utile e del piacere individuali come "scoperta dell'acqua calda" fino a un certo punto.
Per me quello è il "motore primo", l'autentico universale necessariamente presente in ogni essere umano, l'assoluto
della forma che contrasta con il relativo del contenuto. Boh, un qualche interesse mi parrebbe averlo...
CitazioneMa questo significa unicamente una cosa che io trovo di una banalità pazzesca:

Che ognuno é contento se (nella misura in cui) ottiene ciò che desidera (qualsiasi cosa sia), scontento se (nella misura in cui) non lo ottiene., che ognuno desidera ciò che desidera (che può essere costituito da aspirazioni di una diversità reciproca infinita, reciprocamente contrarissime).



Sulla scena dell'uccisione del serpente ritornano infatti le considerazioni or ora fatte.
Come possono due persone che condividono le medesime radici culturali avere un'idea della moralità cosi diversa?
Bah, forse sarò io troppo immerso in certe considerazioni, ma ti confesso che quella scena mi ha letteralmente
inorridito (e non che fossi inconsapevole del fatto che si trattasse di un serpemte e non di una persona...)
CitazioneMa da quando in qua, anzi, quando mai i comportamenti umano sarebbero stati uniformi?

Da una parte gli imperativi etici universali e generalissimi sono in parte diversamente declinati secondo i diversi condizionamenti sociali (sono sempre un seguace del materialismo storico), dall' altra del tutto ovviamente possono essere violati e spesso e volentieri di fatto lo sono.
E allora?
Dove mai starebbe il problema?



Ma veniamo all'altro argomento.
Chiaramente c'è una abissale differenza fra il pensiero di una cosa reale ed una di una cosa immaginifica.
Dal mio punto di vista AL pensiero di una cosa reale (fenomeno) sottende la cosa stessa (cosa in sè). Al
pensiero di una cosa immaginifica non sottende nessuna cosa in sè, per cui a rigor di logica neppure potremmo
chiamare "fenomeno" questo pensiero.
CitazioneE perché mai?
Il pensiero, se c' é, é "contenuto di coscienza", "cosa sentita, percepita coscientemente", ergo: (insiemi-successioni di) fenomeni.
Né più né meno delle cose materiali.



Eppure questo pensiero "esiste" (seppur questo verbo è inadatto a definire questo "esserci", dunque mi riferirò
ad esso con il termine levinasiano di "c'è"). E fin qui, se non erro, siamo d'accordo.
Il successivo passo che ti propongo è il seguente: se questo pensiero "c'è", allora questo pensiero possiede un
"essere", cioè dev'essere riferito ad un oggetto nel medesimo modo cui vi è riferito il pensiero di un qualcosa di
reale (dicevo: "deve essere riferito ad un qualcosa che io assumo "artificiosamente" come un assoluto, come un oggetto
- sapendolo non tale").
CitazioneCome esiste (non é dimostrabile né tantomeno mostrabile ma lo credo onde spiegarmi molte cose...) un cosa in sé corrispondente alla reale visione fenomenica** di un cavallo, così esiste una (ben diversa!) cosa in sé corrispondente al reale pensiero** di un ippogrifo (e non al non reale ippogrifo): la cosa in sé corrispondente al cavallo reale é l' oggetto della visione (coesistente col soggetto che vede il cavallo, il quale soggetto é caratterizzato da -nel quale accadono- eventi corrispondenti a determinati eventi neurofisiologici cerebrali fenomenici, reali nelle esperienze* di soggetti della visione di esso - cervello), mente la cosa in sé corrispondente al pensiero dell' irreale ippogrifo** é solo l' insieme degli eventi nell' ambito del suo soggetto corrispondenti a determinati altri eventi neurofisiologici cerebrali fenomenici, reali nelle esperienze* di soggetti della visione di esso, senza inoltre (al contrario el caso del cavallo reale) alcuna reale cosa in sé che sia l' oggetto -delle sensazioni- del pensiero dell' ippogrifo).



In questo consiste il "livello" di cui dicevo, nel quale non ha nessuna importanza che il pensiero sia o meno riferito
ad un qualcosa di sensibile ("cosa c'è di comune fra le cose corporee e quelle incorporee, dal momento che di entrambe
si dice che sono?", chiede Platone).
CitazioneEntrambe sono, ma alla visione (fenomenica) di un cavallo reale corrisponde l' esistenza reale di qualcosa in sé che ne é l' oggetto, oltre che a determinati eventi in sé nel soggetto della visione; invece al pensiero (altrettanto fenomenico) di un ippogrifo immaginario corrisponde soltanto l' esistenza reale di determinati eventi in sé nel soggetto del pensiero, ma di niente di reale in sé che ne sia l' oggetto.


La distinzione fra quella che chiami "inseità" del pensiero riferito ad una cosa reale e la "non-inseità" del pensiero
riferito ad una cosa immaginifica risiede NON NEL LINGUAGGIO (che dice che entrambe "sono"), ma appunto nella
consapevolezza dell'"assunzione artificiosa" del riferimento ad un oggetto che IN REALTA' "non c'è".
Si tratta in fondo di essere semplicemente consapevoli che l'oggetto cui il segno si riferisce in realtà non c'è (cioè
c'è il segno ma non l'oggetto).
CitazioneSì, ma volevo chiarire che diversa da questa dell' oggetto reale del pensiero (se e quando c' é) rispetto al pensiero stesso (magari -a volte- privo di oggetto reale) é la questione dell' "inseità" ("noumenica") dell' oggetto della sensazione (reale) rispetto alla "non-inseità" (ma "fenomenicità") della sensazione stessa e dei suoi contenuti (di ciò che la costituisce), dei quali l' "esse est pericipi".
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: 0xdeadbeef il 23 Luglio 2018, 16:08:19 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 22 Luglio 2018, 21:18:05 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 22 Luglio 2018, 20:30:05 PM

OXDEADBEEF
Queste poche parole bastano e avanzano per capire come tu ragioni.
saluti
PS
Giusto per curiosità: e quale sarebbe la data di nascita della scienza? Visto che essa ha solo tre secoli dovresti ricordartene...

CARLO
Una domanda sciocca come questa basta e avanza per capire come ragioni tu.
Ne ho un'altra ancora più sciocca: come mai, dopo questa affermazione: "è la teoria a decidere cosa possiamo osservare",
non metti Einstein nella tua affollatissima (Kant, Nietzsche, Popper...) hall of fame degli "sparacazzate"?
saluti
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Carlo Pierini il 23 Luglio 2018, 16:52:23 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 23 Luglio 2018, 16:08:19 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 22 Luglio 2018, 21:18:05 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 22 Luglio 2018, 20:30:05 PM

OXDEADBEEF
Queste poche parole bastano e avanzano per capire come tu ragioni.
saluti
PS
Giusto per curiosità: e quale sarebbe la data di nascita della scienza? Visto che essa ha solo tre secoli dovresti ricordartene...
CARLO
Una domanda sciocca come questa basta e avanza per capire come ragioni tu.

OXDEADBEEF
Ne ho un'altra ancora più sciocca: come mai, dopo questa affermazione: "è la teoria a decidere cosa possiamo osservare",
non metti Einstein nella tua affollatissima (Kant, Nietzsche, Popper...) hall of fame degli "sparacazzate"?
CARLO
Non ce lo metto perché lui sa bene - al contrario di te - che, poi, è ciò che osserviamo a decretare la verità o la falsità della teoria.
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: 0xdeadbeef il 24 Luglio 2018, 16:37:30 PM
Citazione di: sgiombo il 22 Luglio 2018, 22:00:50 PM
CitazioneSì, ma volevo chiarire che diversa da questa dell' oggetto reale del pensiero (se e quando c' é) rispetto al pensiero stesso (magari -a volte- privo di oggetto reale) é la questione dell' "inseità" ("noumenica") dell' oggetto della sensazione (reale) rispetto alla "non-inseità" (ma "fenomenicità") della sensazione stessa e dei suoi contenuti (di ciò che la costituisce), dei quali l' "esse est pericipi".

Stai in altre parole dicendo che "c'è" un pensiero dell'ippogrifo in sè...
Sono d'accordo, certo per estensione il concetto di "cosa in sè" può venir riferito anche ad un pensiero. Però il prendere
questo alla lettera può avere conseguenze "pesanti", ed è bene esserne consapevoli (ad esempio può portare a ritenere
reale qualunque pensiero, come nella cosiddetta "prova ontologica" di S.Anselmo sull'esistenza di Dio).
Il pensiero dell'ippogrifo può ad esempio assumere una "inseità" nel momento in cui esso è "comunicabile" (nel senso in
cui è comunicabile il "bello" nella Critica del Giudizio di Kant), per cui una immagine distorta dell'ippogrifo può
essere detta non corrispondente all'ippogrifo in sè - all'ippogrifo così come è da tutti inteso, insomma. Però, dicevo,
è bene essere a mio parere consapevoli che vi è una profonda differenza fra il pensiero di una cosa reale ed il pensiero
di una cosa immaginifica.
Come dicevo, per me la "chiave" per capire la differenza risiede proprio nella consapevolezza (della differenza).
Mi sembra del resto che anche tu rimarchi chiaramente la differenza, solo che non riesco a capire "dove", in quale punto,
tu poni, diciamo, l'importanza del sottolineare questa differenza.
saluti
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Carlo Pierini il 24 Luglio 2018, 18:09:00 PM
OXDEADBEEF
Stai dicendo che "c'è" un pensiero dell'ippogrifo in sè...?

CARLO
Che differenza c'è tra un pensiero ozioso e un pensiero significativo? La differenza sta ne fatto che il primo è solo un pensiero, un nome, una possibilità astratta di esistenza (il pensiero è "magico" proprio perché può concepire persino delle immagini pure, dei "fantasmata" che non si riferiscono a nulla di esistente), mentre è significativo il pensiero o il nome DI qualcosa, di una entità (fisica o metafisica che sia) che può manifestarsi alla nostra percezione soggettiva, alla nostra esperienza, in modo tale da essere distinguibile dalla percezione stessa (il pensiero ozioso è indistinguibile dalla percezione del pensiero ozioso).
Potremmo dire, cioè, che l'ippogrifo è un significante puro privo di significato, un pensiero ozioso, un nome immaginario come lo sono il "frattice striato", la "birottarda", la "supercazzola" o "l'in sé" kantiano; a meno che non si riferisca a qualcosa che possa manifestarsi alla nostra percezione cosciente come "ALTRO" da essa, come qualcosa che mostra delle proprietà indipendenti da essa.
Infatti, l'ippogrifo, a differenza della supercazzola e della birottarda, è un simbolo, cioè un significante che trova il suo significato in una certa possibile attività dell'anima umana: quella che permette all'Io di ricongiungersi con dei contenuti rimossi e inabissati nell'inconscio (il volo dell'Ippogrifo fino alla Luna per il recupero del "senno perduto" di Orlando).

Quindi "Ippogrifo" è un pensiero ozioso se riferito ad una specie appartenente al regno animale, mentre è un pensiero significativo se inteso come simbolo, come metafora di una facoltà dell'anima umana.
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: 0xdeadbeef il 24 Luglio 2018, 19:58:48 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 24 Luglio 2018, 18:09:00 PM
Infatti, l'ippogrifo, a differenza della supercazzola e della birottarda, è un simbolo, cioè un significante che trova il suo significato in una certa possibile attività dell'anima umana: quella che permette all'Io di ricongiungersi con dei contenuti rimossi e inabissati nell'inconscio (il volo dell'Ippogrifo fino alla Luna per il recupero del "senno perduto" di Orlando).

Quindi "Ippogrifo" è un pensiero ozioso se riferito ad una specie appartenente al regno animale, mentre è un pensiero significativo se inteso come simbolo, come metafora di una facoltà dell'anima umana.


Infatti, la supercazzola, a differenza della birottarda, è un simbolo, cioè un significante che trova il suo significato
in una certa possibile attività dell'anima umana: quella che permette all'Io di ricongiungersi con dei contenuti rimossi
e inabissati nell'inconscio (Il grande "Amici miei", con gli indimenticabili attori che ne furono protagonisti, l).
Quindi "supercazzola" è un pensiero ozioso se riferito ad un qualcosa di reale, mentre è un pensiero significativo se inteso
come simbolo, come metafora di una facoltà dell'anima umana ("il termine è utilizzato per indicare chi parla senza dire nulla"
-voce inserita nel vocabolario Zingarelli).

Ti scongiuro: tira fuori un cartello con su scritto: "benvenuto su scherzi a parte"...
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Carlo Pierini il 24 Luglio 2018, 21:13:35 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 24 Luglio 2018, 19:58:48 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 24 Luglio 2018, 18:09:00 PM
Infatti, l'ippogrifo, a differenza della supercazzola e della birottarda, è un simbolo, cioè un significante che trova il suo significato in una certa possibile attività dell'anima umana: quella che permette all'Io di ricongiungersi con dei contenuti rimossi e inabissati nell'inconscio (il volo dell'Ippogrifo fino alla Luna per il recupero del "senno perduto" di Orlando).

Quindi "Ippogrifo" è un pensiero ozioso se riferito ad una specie appartenente al regno animale, mentre è un pensiero significativo se inteso come simbolo, come metafora di una facoltà dell'anima umana.


OXDEADBEEF
Infatti, la supercazzola, a differenza della birottarda, è un simbolo, cioè un significante che trova il suo significato
in una certa possibile attività dell'anima umana: quella che permette all'Io di ricongiungersi con dei contenuti rimossi
e inabissati nell'inconscio (Il grande "Amici miei", con gli indimenticabili attori che ne furono protagonisti, l).

CARLO
Non scherziamo: le rimozioni sono delle vere e proprie mutilazioni psichiche che sono alla base di quelle patologie trasversalmente riconosciute da ogni scuola psicologica come "nevrosi". E la guarigione da una nevrosi è ben altro che un semplice ricongiungersi con il ricordo di un film, peraltro spassoso, come "Amici miei". Scrive Jung:

"Se gettiamo uno sguardo nella psicanalisi di casi reali di nevrosi, e vediamo quali devastazioni causano le cosiddette rimozioni, quali distruzioni seguono alla non osservanza di istinti elementari, allora sí ne riceviamo un'impressione duratura". [JUNG: La dinamica dell'Inconscio - pg.394]

E la fine ingloriosa di Nietzsche è tra gli esempi più tangibili di quanto tragiche possono essere le conseguenze della rimozione violenta e accanita di una funzione psichica fondamentale (per l'uomo) come la funzione etico-morale.
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: sgiombo il 24 Luglio 2018, 22:04:41 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 24 Luglio 2018, 16:37:30 PM
Citazione di: sgiombo il 22 Luglio 2018, 22:00:50 PM
CitazioneSì, ma volevo chiarire che diversa da questa dell' oggetto reale del pensiero (se e quando c' é) rispetto al pensiero stesso (magari -a volte- privo di oggetto reale) é la questione dell' "inseità" ("noumenica") dell' oggetto della sensazione (reale) rispetto alla "non-inseità" (ma "fenomenicità") della sensazione stessa e dei suoi contenuti (di ciò che la costituisce), dei quali l' "esse est pericipi".

Stai in altre parole dicendo che "c'è" un pensiero dell'ippogrifo in sè...
Sono d'accordo, certo per estensione il concetto di "cosa in sè" può venir riferito anche ad un pensiero.
CitazionePiù precisamente affermo che se é reale il pensiero di un ippogrifo (come insieme-successione di sensazioni fenomeniche mentali in una certa e.f.c.** (e non di sensazioni materiali intersoggettive in qualsiasi e.f.c. si trovi nelle "appropriate circostanze", al contrario del caso di un cavallo reale), allora é reale qualcosa in sé a quelle sensazioni fenomeniche** mentali soggettive, non intersoggettive corrispondente, non identico (e corrispondente intersoggettivamente in altre ee.ff.cc.* a una determinata situazione neurofisiologica di un determinato cervello).



Però il prendere
questo alla lettera può avere conseguenze "pesanti", ed è bene esserne consapevoli (ad esempio può portare a ritenere reale qualunque pensiero, come nella cosiddetta "prova ontologica" di S.Anselmo sull'esistenza di Dio).

CitazioneNo.
Nella cosiddetta "prova ontologica" si ha un indebito slittamento dal pensiero alla realtà (dall' "essere" mentale di un concetto -Dio perfettissimo- con una connotazione o intensione cogitativa reale ma non necessariamente -é appunto quanto andrebbe dimostrato- una denotazione o estensione reale all' "essere" effettivamente reale di un ente che costituisca la denotazione o estensione per l' appunto reale di tale concetto). 

Il pensiero dell'ippogrifo può ad esempio assumere una "inseità" nel momento in cui esso è "comunicabile" (nel senso in
cui è comunicabile il "bello" nella Critica del Giudizio di Kant), per cui una immagine distorta dell'ippogrifo può
essere detta non corrispondente all'ippogrifo in sè - all'ippogrifo così come è da tutti inteso, insomma.
CitazioneSi può parlare intersoggettivamente dell' ippogrifo (immaginario, non reale) accordandosi sulla sua definizione arbitraria, cioé sula definizione del significato del termine "ippogrifio" inteso come connotazione o intensione cogitativa, pur in assenza di alcuna denotazione o estensione reale.



Però, dicevo,
è bene essere a mio parere consapevoli che vi è una profonda differenza fra il pensiero di una cosa reale ed il pensiero
di una cosa immaginifica.

Come dicevo, per me la "chiave" per capire la differenza risiede proprio nella consapevolezza (della differenza).
CitazionePerfettamente d' accordo!



Mi sembra del resto che anche tu rimarchi chiaramente la differenza, solo che non riesco a capire "dove", in quale punto,
tu poni, diciamo, l'importanza del sottolineare questa differenza.
saluti
CitazioneCiò che mi preme sottolineare in questa nostra discussione é la differenza fra l' "inseità" (o meno) di ciò che si pensa ("inseità dei pensieri") intesa per l' appunto, come mi sembra ci siamo ben chiariti, come estensione o denotazione reale dei concetti pensati (o unicamente intensione o connotazione cogitativa) da una parte; e dall' altra l' "inseità" ben diversa delle cose in sé corrispondenti alle sensazioni fenomeniche (e non dei pensieri) in quanto distinta e contrapposta alla "non inseità" dei fenomeni stessi.

1) "in sé" relativo al pensare: estensione reale (quando c' é) di un concetto pensato (oltre -nel senso di "in più"- alla connotazione o intensione "non in sé").

E, ben diverso concetto,

b) "in sé relativo al sentire": noumeno corrispondente alle sensazioni fenomeniche (oltre -nel senso di "al di là: metafisicamente o metapsichicamente- ai fenomeni stessi)


Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: 0xdeadbeef il 25 Luglio 2018, 16:39:36 PM
Mi sembra ci sia poco da aggiungere, arrivederci in qualche altra discussione.
Ciao
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Carlo Pierini il 26 Luglio 2018, 12:59:17 PM
OXDEADBEEF
non esiste un riferimento oggettivo per cui si possa parlare di una maggiore
o minore moralità (qui mi riallaccio anche a quanto dicevo sulla moralità come non innata, quindi come relativa).
Il pensiero è certamente pensiero di "qualcosa" (la mia idea di moralità, per "essere", deve essere riferita ad un qualcosa che
io assumo "artificiosamente" come un assoluto, come un oggetto - sapendolo non tale).

CARLO
Se si parla di "moralità innata" nell'uomo, è perché osserviamo che ogni individuo e ogni cultura, dalle più primitive alle più avanzate, si pone il problema del "dover essere". Un "dover essere" che nelle culture o negli individui più primitivi si tradurrà in poche e grossolane norme etiche e che, invece, nelle culture e negli individui più evoluti si trasformerà in veri e propri sistemi giuridici fondati su sofisticate "filosofie del diritto". 
Quindi, è ragionevole supporre che la diversità delle regole morali nel mondo sia legata al grado di evoluzione culturale dei diversi ceppi umani, e non al fatto che l'etica in sé non sia innata, che sia solo una sovrastruttura "innecessaria".
Infatti, i sistemi giuridici delle società più avanzate sono molto meno diversi tra loro di quanto non lo siano quelli relativi alle culture più primitive e ancestrali.
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: sgiombo il 26 Luglio 2018, 19:47:36 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 26 Luglio 2018, 12:59:17 PM
OXDEADBEEF
non esiste un riferimento oggettivo per cui si possa parlare di una maggiore
o minore moralità (qui mi riallaccio anche a quanto dicevo sulla moralità come non innata, quindi come relativa).
Il pensiero è certamente pensiero di "qualcosa" (la mia idea di moralità, per "essere", deve essere riferita ad un qualcosa che
io assumo "artificiosamente" come un assoluto, come un oggetto - sapendolo non tale).

CARLO
Se si parla di "moralità innata" nell'uomo, è perché osserviamo che ogni individuo e ogni cultura, dalle più primitive alle più avanzate, si pone il problema del "dover essere". Un "dover essere" che nelle culture o negli individui più primitivi si tradurrà in poche e grossolane norme etiche e che, invece, nelle culture e negli individui più evoluti si trasformerà in veri e propri sistemi giuridici fondati su sofisticate "filosofie del diritto".
Quindi, è ragionevole supporre che la diversità delle regole morali nel mondo sia legata al grado di evoluzione culturale dei diversi ceppi umani, e non al fatto che l'etica in sé non sia innata, che sia solo una sovrastruttura "innecessaria".
Infatti, i sistemi giuridici delle società più avanzate sono molto meno diversi tra loro di quanto non lo siano quelli relativi alle culture più primitive e ancestrali.
CitazionePer quel che mi riguarda (mi aspetterei diverse obiezioni da parte di Oxdeadbeef) la moralità, nelle sue linee generali più astratte, in parte diversamente declinate nei diversi contesto sociali, é di fatto innata nell' uomo (e lo spiega assai bene la biologia moderna; purché correttamente intesa, ovviamente, e non malinterpretata antiscientificamente, ideologicamente in senso politicamente reazionario, come di fatto accade non di rado: anzi, di fatto é sempre accaduto da Darwin -"darwinismo sociale", "eugenetica", ecc.- ad oggi -sociobiologia", preteso "egoismo dei geni", ecc.).

E questo basta "e avanza" a spiegare egregiamente quanto osserviamo.
Anche se regole, valori, imperativi categorici morali non sono dimostrabili in alcun modo (Hume!), anche se , per così dire, la moralità non é universale "di diritto".
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Carlo Pierini il 26 Luglio 2018, 23:13:32 PM
Citazione di: sgiombo il 26 Luglio 2018, 19:47:36 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 26 Luglio 2018, 12:59:17 PM
Citazione...Regole, valori, imperativi categorici morali non sono dimostrabili in alcun modo (Hume!), anche se , per così dire, la moralità non é universale "di diritto".

CARLO
Hume, come al solito, mette il carro davanti ai buoi. Infatti nessuno può escludere che esista un Principio universale "d'armonia" fra tutte le cose; e che un giorno potremo definire "etico" ogni comportamento che sia profondamente conforme al Principio, in modo analogo in cui oggi consideriamo "legittima" una norma quando è conforme con i principi della Costituzione.
E non si tratterebbe necessariamente di una "dittatura del Principio", se consideriamo che esistono infiniti modi diversi, liberi e creativi per conformarsi ad un medesimo principio generale, così come esistono infiniti modi liberi e creativi di ...ballare al ritmo di un unico travolgente brano musicale.


SUZI QUATRO - If you can't give me love
https://youtu.be/l6PYlq37iHo

LIGHTNING SEEDS - Pure
https://youtu.be/CTXAZluiT7A

CREEDENCE C.R.: Have you seen
https://youtu.be/xDGuyGPJ_JE

GIUSY FERRERI -Amore e Capoeira
https://youtu.be/N4pqF-hwFM4
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: sgiombo il 27 Luglio 2018, 09:39:15 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 26 Luglio 2018, 23:13:32 PM
Citazione di: sgiombo il 26 Luglio 2018, 19:47:36 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 26 Luglio 2018, 12:59:17 PM
Citazione...Regole, valori, imperativi categorici morali non sono dimostrabili in alcun modo (Hume!), anche se , per così dire, la moralità non é universale "di diritto".

CARLO
Hume, come al solito, mette il carro davanti ai buoi. Infatti nessuno può escludere che esista un Principio universale "d'armonia" fra tutte le cose; e che un giorno potremo definire "etico" ogni comportamento che sia profondamente conforme al Principio, in modo analogo in cui oggi consideriamo "legittima" una norma quando è conforme con i principi della Costituzione.
E non si tratterebbe necessariamente di una "dittatura del Principio", se consideriamo che esistono infiniti modi diversi, liberi e creativi per conformarsi ad un medesimo principio generale, così come esistono infiniti modi liberi e creativi di ...ballare al ritmo di un unico travolgente brano musicale.

CitazioneCome al solito spari delle gran cazzate (é del tutto evidente che non hai mai letto nulla di Hume).

"Principio universale "d'armonia" fra tutte le cose" é uno pseudoconcetto irrazionalistico, superstizioso, gratuito, non razionalmente fondato.
Non lo si può escludere esattamente come non si può escludere che su qualche pianeta di qualche galassia esistano Pippo, Pluto e Paperino o Nembo Kid).


P.S.: per moderatori e webmaster: di fronte a un' affermazione come "Hume, come al solito, mette il carro davanti ai buoi" ritengo francamente del tutto giustificato il linguaggio da me usato.
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: viator il 27 Luglio 2018, 13:04:39 PM
Salve. Per Carlo : citandoti :
CARLO :Hume, come al solito, mette il carro davanti ai buoi. Infatti nessuno può escludere che esista un Principio universale "d'armonia" fra tutte le cose; e che un giorno potremo definire "etico" ogni comportamento che sia profondamente conforme al Principio, in modo analogo in cui oggi consideriamo "legittima" una norma quando è conforme con i principi della Costituzione.
E non si tratterebbe necessariamente di una "dittatura del Principio", se consideriamo che esistono infiniti modi diversi, liberi e creativi per conformarsi ad un medesimo principio generale, così come esistono infiniti modi liberi e creativi di ...ballare al ritmo di un unico travolgente brano musicale
.

Questo tuo brano coglie ovviamente il nesso e la similitudine tra la nostra percezione dell'essenziale e la percezione musicale. Un flusso armonico che conduce dalla singolarità alla molteplicità.

Il "principio universale di armonia", come ho già avuto modo di accennare qui nel Forum, è secondo me rappresentato da quello che io chiamo il "Principio Naturale del Bene":

     "Nessuno sottragga o distrugga ciò che - una volta che risulti poi necessario - non sarà in grado di restituire o rigenerare".

E' il principio che regola il funzionamento del Mondo, il quale è l'unico appunto che può sottrarre e rendere, distruggere e ricreare.
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Phil il 27 Luglio 2018, 15:19:28 PM
Citazione di: viator il 27 Luglio 2018, 13:04:39 PM
Il "principio universale di armonia", come ho già avuto modo di accennare qui nel Forum, è secondo me rappresentato da quello che io chiamo il "Principio Naturale del Bene":

     "Nessuno sottragga o distrugga ciò che - una volta che risulti poi necessario - non sarà in grado di restituire o rigenerare".
Questo tuo imperativo morale, mi hai fatto un po' sentire in colpa: mi è venuto in mente l'ossigeno, che ho sottratto all'aria e che, all'occorrenza, non sarei in grado di rigenerare, e tutte le zanzare che ho ucciso (animato dall'augurio che non si rigenerino, sebbene siano necessarie per la catena alimentare) o tutta la carne che ho mangiato in questi anni (suppongo sia stata "rigenerata", ma non da me; sono in debito "etico" con gli allevatori?).
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Carlo Pierini il 27 Luglio 2018, 15:36:18 PM
Citazione di: viator il 27 Luglio 2018, 13:04:39 PM
Salve. Per Carlo : citandoti :
CARLO :Hume, come al solito, mette il carro davanti ai buoi. Infatti nessuno può escludere che esista un Principio universale "d'armonia" fra tutte le cose; e che un giorno potremo definire "etico" ogni comportamento che sia profondamente conforme al Principio, in modo analogo in cui oggi consideriamo "legittima" una norma quando è conforme con i principi della Costituzione.
E non si tratterebbe necessariamente di una "dittatura del Principio", se consideriamo che esistono infiniti modi diversi, liberi e creativi per conformarsi ad un medesimo principio generale, così come esistono infiniti modi liberi e creativi di ...ballare al ritmo di un unico travolgente brano musicale
.

Questo tuo brano coglie ovviamente il nesso e la similitudine tra la nostra percezione dell'essenziale e la percezione musicale. Un flusso armonico che conduce dalla singolarità alla molteplicità.

Il "principio universale di armonia", come ho già avuto modo di accennare qui nel Forum, è secondo me rappresentato da quello che io chiamo il "Principio Naturale del Bene":

     "Nessuno sottragga o distrugga ciò che - una volta che risulti poi necessario - non sarà in grado di restituire o rigenerare".

E' il principio che regola il funzionamento del Mondo, il quale è l'unico appunto che può sottrarre e rendere, distruggere e ricreare.

CARLO
Il principio a cui mi riferisco è qualcosa di più: è principio logico nella Logica, principio psicologico in Psicologia, principio morale nell'Etica, simbolico nella Simbologia, storico nella Storia, filosofico nella Filosofia, teologico in Teologia, ecc.. Un principio, cioè, chiaramente riconoscibile nella sua struttura "metafisica" e costituito da un corpus di regole precise, sempre uguali a sé stesse in ogni disciplina che governa. Si chiama Principio di Complementarità degli opposti. Ma in filosofia è stato chiamato perlopiù "Dialettica".
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Ipazia il 06 Novembre 2018, 18:49:19 PM
Ho letto a volo d'uccello tutta la discussione per cui mi scuso se qualcuno ha già formulato qualcosa di simile. Secondo me FN elabora la centralità del Wille zur Macht dai lidi anglosassoni ma leggermente posteriori al concetto di Bene degli utilitaristi, ovvero dalla selezione naturale di Darwin. Rimasticata a spanne da una lettura prevalente dell'epoca nel concetto di "legge del più forte".  Rimasticatura che si armonizza perfettamente con la sua concezione aristocratica dell'evoluzione in cui si incardina il conflitto millenario tra signori e schiavi, ma in cui la morale, sua bestia nera, tarocca la partita a favore dei più deboli. Il "vitalismo" naturalistico di FN è quindi l'impresa eroica di smantellamento di questo tarocco millenario, la morale degli schiavi, che falsa la partita grazie al numero, che nella democrazia, contrariamente al modello sociale aristocratico, è vincente. Ovvio quindi il suo livore contro il regime democratico e il suo disperato tentativo di rifondare il mondo su una morale dei signori, dei dotti, filosofi, spiriti superiori, la cui superiorità "morale", incarnatisi fin dalle più remote origini in qualcosa di più radicalmente razziale, ha la forza titanica di ricondurre l'armento all'ovile. Il suo concetto di Bene, come egli stesso ironicamente ammette, non fa pensare a Parsifal, ma a Cesare Borgia. Incarnato, con maggiore successo, da una figura emblematica come quella di Napoleone, capace di forgiare la Storia. 

Darwin e Napoleone: i riferimenti teorici e pratici della filosofia dell'avvenire. Non particolarmente originale l'ispirazione. Decisamente di più la sussultoria elaborazione nel corso della sua vita.
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: 0xdeadbeef il 06 Novembre 2018, 19:40:24 PM
Ciao Ipazia
Ti copio-incollo quello che è stato il pensiero alla base di questo post:
"La volontà di potenza, dunque, come "motore primo" di QUALSIASI agire o pensare umano; come ciò che vi è di unitario
nel molteplice, in definitiva come vera e propria "sostanza" o "essere" (per usare una terminologia classica della
metafisica).
A me sembra un'ipotesi da non escludere (una ipotesi che, fra le altre cose, va per così dire ad
armonizzarsi con l'ipotesi heideggeriana dell'essere come "physis" (chiaramente dopo la cosiddetta "svolta").
La volontà di potenza è dunque l'Essere che la filosofia cerca da millenni? Non lo so, ma mi sembra affascinante...".

E altrove sul bene e sul male:
"Su questo punto il concetto nietzschiano mi sembra dirompente. La volontà di potenza (che coincide, se la mia tesi fosse
plausibile, con la ricerca del proprio piacere e utile) come impulso primitivo ed universale non è da considerare né Bene
né Male (ma è appunto: "al di là del Bene e del Male"). Perchè il Bene e il Male sono concetti morali che, semmai, SONO
fondati dalla volontà di potenza; non essa, la volontà di potenza come ricerca dell'utile e del piacere, fondata SUI
valori morali com'è nella filosofia anglosassone".

Dal punto di vista che cerco di focalizzare, cioè, la volontà di potenza non è "semplicemente" la legge del più forte così
come data ad intendere da una certa lettura dell'evoluzionismo darwiniano (che dà ad intendere pure che il forte sia il
migliore...), ma che sia davvero il "primum assoluto", il "sostrato" originario nel quale non è data distinzione alcuna
(ad esempio fra migliore e peggiore, ma nemmeno fra forte e debole, la cui definizione è semmai posteriore al
confronto fra le volontà di potenza - cioè quando tale confronto ha già dato un esito).
saluti
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Ipazia il 06 Novembre 2018, 20:45:35 PM
Quindi la volontà di potenza come archè antropologica, la sua essenza ontologica. Io sono molto dubbiosa nel ridurre questo perverso-polimorfo, come lo chiamava Freud, ad un unico principio archetipico.  Senz'altro FN la pensava così, anche oltre un troppo semplicistico ruduzionismo sociodarwiniano, ma elaborandone il concetto come egli stesso ebbe a dire proprio in "al di là del bene e del male".

Ma se pensiamo che non fu la volontà di potenza individuale, bensì del branco, a sconfiggere l'ursus speleo, perchè negare dignità alla vdp "plebea". Forse perchè anche il nostro FN era vittima del tarlo moralistico ?

Da approfondire.
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: 0xdeadbeef il 07 Novembre 2018, 13:28:21 PM
Ma perchè parlare di una vdp plebea o patrizia? Sono forse plebei quei lupi che aggrediscono la preda in branco?
E poi cosa significano la dignità e l'individualità ove correlate alla vdp? Per come io la intendo la vdp è collettiva
laddove la vdp individuale pensa la vdp collettiva come più efficace di quella individuale (che è null'altro che una
circonlocuzione per dire "volontà di potenza", visto che questa si pone come suo scopo precipuo l'aumento indefinito
di se stessa).
saluti
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Ipazia il 07 Novembre 2018, 15:10:39 PM
@ Ox

Perchè FN pone la distinzione. Da un lato la forza vitalistica, dall'altra il ressentiment. Anch'io penso sia un approccio sbagliato, carico di pregiudizi di classe.
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: 0xdeadbeef il 07 Novembre 2018, 16:18:38 PM
Citazione di: Ipazia il 07 Novembre 2018, 15:10:39 PM
@ Ox

Perchè FN pone la distinzione. Da un lato la forza vitalistica, dall'altra il ressentiment. Anch'io penso sia un approccio sbagliato, carico di pregiudizi di classe.

Certo, ed è appunto per questo che dicevo della vdp "da un altro punto di vista".
saluti
Titolo: Re:La volontà di potenza da un altro punto di vista
Inserito da: Ipazia il 10 Novembre 2018, 22:27:30 PM
Citazione di: Kobayashi il 17 Luglio 2018, 15:08:47 PM
Io non sono ne' un suo discepolo ne' un suo detrattore.
Non mi interessa difenderlo.
Però quando mi avvicino alla sua opera riconosco che c'è qualcosa di grande. Basta avere un briciolo di istinto filosofico per sentirlo.
Non ho nessuna intenzione di fare il gioco di cercare di giustificare parti della sua opera etc.
Per capire il suo pensiero bisognerebbe prima chiedersi se si sono compresi i suoi concetti filosofici di base (volontà di potenza, eterno ritorno, genealogia, etc.). Del resto è quello che si farebbe normalmente se si decidesse di leggere per esempio la Fenomenologia dello spirito.
Saremmo attenti a non confondere il significato specifico dei termini usati da Hegel con quelli del senso comune.
Nella tua poesia sembravi confondere la volontà di potenza, che è un concetto filosofico, con il semplice desiderio e le sue oscillazioni. Non mi sembra un buon punto di partenza...
Bisognerebbe chiedersi con onestà se si ha voglia di condurre una lettura critica e attenta e riuscire magari a tirar fuori qualche tesoro o rimanere fermi ai propri pregiudizi.

Detto questo, ed essendomi reso conto che nel forum nei confronti di N. c'è poca generosità e giustizia, mi fermo qui per non risultare troppo insistente ed essere confuso con i suoi violenti supporter...
Rileggendo la discussione non posso che concordare. Forse Deleuze non è il critico di FN più esaustivo, ma certo ci capisce di più di chi è intervenuto. Consiglio il saggio di E.Fink per cominciare a dire qualcosa di sensato su FN. Il cui pensiero oscilla molto nel corso della sua vita, ma alcune riflessioni sono impagabili, come la fenomenologia dell'ascetismo in Genealogia della Morale dal paragrafo 12.