In una discussione attuale Anthonyi afferma che durante il medioevo "lo spazio per l'assoluto era già saldamente occupato da Dio" e questo creava un certo bilanciamento tra i vari poteri e interessi secolari. Io concordo con tale affermazione e porrei tale spazio dell'assoluto divino cristiano lungo l'arco di un millennio abbondante: da Teodosio all'Illuminismo. Qualche cane sciolto miscredente vi sarà pure stato, ma irrilevante di fronte allo spazio dell'assoluto vigente nella società considerata.
Osservo solo, a margine, che i "ministri" dell'Assoluto si trova(va)no in una posizione di favore che rende(va) tale bilanciamento meno equo. Ma tale posizione è giustificata dalla responsabilità del ministero. Se postuliamo l'Assoluto, va da sè che chi ne è rappresentante qualificato non può che collocarsi un gradino sopra gli altri e godere di maggiore autorità logica, politica, etica e giuridica "per" la funzione svolta nei riguardi dell'assoluto.
Quello che io mi, e vi, chiedo è:
esiste realmente uno "spazio (per e) dell'assoluto" ?
Salve Ipazia. Argomento ben posto, che rende onore alla tua brillantezza intellettuale troppe volte - secondo me - offuscata dall'accanimento ideologico.
Se anche l'assoluto non esistesse (e per me esiste estraneamente a noi) uno spazio per l'assoluto occorrerebbe riservarlo comunque (sarebbe al minimo un posto da tener vuoto per un "convitato di pietra" di forse prossimo ma comunque sempre eventuale arrivo).
La presenza del concetto di assoluto (che non ha nulla a che vedere con l'esistere dello stesso) è necessaria in qualsiasi cultura minimamente evoluta per poter incarnare l'impossibilità di primato di qualsiasi altro relativo tra gli infiniti che vengono a popolare quella data cultura.
L'assoluto deve incarnare l'irraggiungibile affinchè tutto il resto (il relativo) risulti raggiungibile. Saluti.
È lo spazio di ciò che non conosciamo .
Porsi la domanda significa autocontraddirsi.
Domandarsi se esiste uno spazio dell'assoluto equivale infatti a chiedersi: "Può il relativo essere assoluto?"
"Uno spazio" implica il relativo.
Mentre l'assoluto non ha alcuno spazio. L'assoluto non c'è!
Semmai... l'Assoluto è.
L'assoluto in termini teologici termina con Hegel che lo trasporta nella storia, definendo come assoluto la realtà dei rapporti umani e la loro dialettica. Se a questa visione si aggiunge la necessità di osservare "la realtà dei rapporti umani e la loro dialettica" sempre criticamente, tenendo presenti i rapporti di potere, le strutture economiche ed ideologiche, sottese ad ogni visione filosofica, allora l'ab-solutus, ciò che è "sciolto da", non esiste più, se non nei nostri sogni più arcaici, nei quali l'ab-solutus è il nostro Io-infante, narcisistico, oppure sempre il nostro Io-infante che percepisce i suoi genitori come "ab-soluti", nella loro incomprensibile potenza di adulti.
A noi moderni resta l'ex-sistentia, ciò che deve la sua vita a qualcun altro o a qualcos'altro. Ma in questo io non vedo alcuna diminuzione o decadenza. La perdita dell'assoluto ci permette di confrontarci nella nostra limitatezza, nella nostra finitudine e ci permette di considerarci gli artefici del nostro limitato destino.
Questo cambio di prospettiva,però, reca in sè un grande problema: chi decide cosa è bene e cosa è male? Non vi è più il profeta che "dice" la parola di Dio (non a caso dire e Dike, la dea della giustizia, sono termini imparentati fra di loro). Noi siamo i profeti della vita quotidiana e la cattedra della morale è apparentemente senza un titolare.
@jacopus.
La perdita dell'assoluto non è data.
Cambia semplicemente sembianze , ma ci sarà sempre bisogno di uno spazio da cui attingere ipotesi necessarie , che non vanno spiegate , ma da cui si dispiega la conoscenza.
L'assunzione di queste ipotesi non sempre è cosciente , così che si potrebbe pensare a volte a una fine dell'assoluto.
La conoscenza discende dall'ovvio non detto , o non dicibile , o perfino non conscio.
Quando l'assunzione dell'assoluto è conscia , la si giustifica col fatto che funziona.
Così mi pare abbia fatto Newton nell'ipotizzare il suo spazio assoluto.
Citazione di: Ipazia il 18 Gennaio 2020, 17:43:01 PM
In una discussione attuale Anthonyi afferma che durante il medioevo "lo spazio per l'assoluto era già saldamente occupato da Dio" e questo creava un certo bilanciamento tra i vari poteri e interessi secolari. Io concordo con tale affermazione e porrei tale spazio dell'assoluto divino cristiano lungo l'arco di un millennio abbondante: da Teodosio all'Illuminismo. Qualche cane sciolto miscredente vi sarà pure stato, ma irrilevante di fronte allo spazio dell'assoluto vigente nella società considerata.
Osservo solo, a margine, che i "ministri" dell'Assoluto si trova(va)no in una posizione di favore che rende(va) tale bilanciamento meno equo. Ma tale posizione è giustificata dalla responsabilità del ministero. Se postuliamo l'Assoluto, va da sè che chi ne è rappresentante qualificato non può che collocarsi un gradino sopra gli altri e godere di maggiore autorità logica, politica, etica e giuridica "per" la funzione svolta nei riguardi dell'assoluto.
Quello che io mi, e vi, chiedo è:
esiste realmente uno "spazio (per e) dell'assoluto" ?
Hai fatto bene a porlo nelle tematiche filosofiche, in quanto l'argomentazione di Anthonyi a mio parere è corretta, ma rischiava di uscire dalle tematiche spirituali se non come ispirazione originaria.
L'assoluto è un termine trascendente (più del trascendentalismo kantiano, per fare un esempio) che per incarnarsi nell'esistenza si sposta nel dominio dell'esistenza appunto e quindi diventa immanente. Non è contraddittorio se il baricentro fra trascendenza e immanenza, e fra assoluto e relativo ,è mantenuto dalla coscienza (e questa è una dialettica prima utilizzata da Platone e molto più vicino a noi d a Hegel).
L'assoluto è necessario, fosse anche solo da puro riferimento, da appoggiare o combattere, ma riferimento rimarrebbe. Quando Giustiniano emette il famoso Corpus iurisi civilis universalizza il diritto romano coniugato al diritto canonico e diverrà fondamento delle costituzioni degli imperi centro europei a cui aggiungeranno gli usi e costumi.
Ma il fondamento, come scrissi tempo fa, è che il papa aveva il potere di incoronare,re o imperatori il che significava che il diritto divino era superiore al diritto temporale.
Questo reggerà fino al feudalesimo, non più dalla borghesia nascente dai mercanti e questo fu il vero motivo dell'appoggio al protestantesimo tedesco e al calvinismo inglese, imperi che volevano uscire dall'influenza vaticana, tranne le nazioni latine(Spagna e Francia).
L'assoluto oggi rimane come pura idea dei principi universalistici di cui è sola interprete il cristianesimo, non lo è il pensiero laico e filosofico umanistico, per quanto tenti di sganciarsi, il suo pensiero è debole. Le religioni, soprattutto l'ebraismo e l'islam, nacquero per esigenza di unificare popoli nomadi e suddivisi in tribù, ma il cristianesimo ha peculiarità essenziali diverse da queste idee religiose. Proprio perché vi è un intimo e indissolubile legame fra popolo e religione è praticamente impossibile che ebraismo e islam si pacifichino, diversamente dal cristianesimo.
Quest'ultimo è universale perché non legato all'istanza di un popolo solo, e questa peculiarità, ed ha perfettamente ragione Anthonyi, ha permesso il dialogo e le conciliazioni, premesse per le democrazie. Non dimenticherei che i priori erano eletti a maggioranza prima che nascessero le democrazie parlamentari costituzionali.
I principi morali, che distinguo dall'etica, devono nascere dall'assoluto e ben prima di quelli laici ginevrini e delle costituzioni moderne i principi di fratellanza, libertà, uguaglianza e solidarietà, nascevano dall'ama il prossimo tuo come te stesso e dal porgi l'altra guancia che sono endemici al pensiero cristiano più collegato a quello orientale che non all'ebraismo e islamismo, più vicino al zoroastrismo persiano e quindi vedico.
L'assoluto quindi è necessario nel tempo laico, nella misura in cui le istituzioni sono al di sopra dei popoli stessi, dei tre poteri costituzionali immanenti raffigurati da persone politiche che vanno e vengono. Gli istituti di diritto costituzionali e le istituzioni in genere son l'assoluto laico che come un dispositivo culturale si è trasformato dall'antico potere divino sui popoli,ma non è bastevole.
Perchè la legittimità non può essere relazionata alla sola legge che sanziona, in quanto la popolazione occidentale ha una sufficiente alfabetizzazione per essere critico nei confronti dei poteri laici temporali e si illude di essersi affrancato dal potere divino che rimane comunque l'unico a costruire il concetto di comunità al di sopra della cives ed etiche proprio per l'assolutezza e universalismo.
E' per questo che il Vaticano immanente di quell'assoluto trascendente viene tollerato e rispettato culturalemente, fosse anche solo una vestigia culturale superata rimane insuperato, in quanto l'umanesimo non ha saputo costruire un assoluto universale che lo superi.
@Ipazia
Se postuliamo l'Assoluto, va da sè che chi ne è rappresentante qualificato non può che collocarsi un gradino sopra gli altri e godere di maggiore autorità logica, politica, etica e giuridica "per" la funzione svolta nei riguardi dell'assoluto.
Questa affermazione non è necessariamente vera.
L'assoluto c'è e il suo spazio, pure, c'è. Ma non deve esserci nessun "ministro" che lo rappresenti.
Il concetto di "ministro" (e la sua, presunta, maggiore autorità) è un concetto ormai superato.
E, anche in questo caso, dobbiamo ringraziare la comunità scientifica che ci ha insegnato un nuovo metodo.
Anche nella comunità scientifica, infatti, si afferma "l'assoluto" (in questo caso le "verità scientifiche"), ma nessuno è "ministro" delle verità scientifiche. Più che altro le autorità scientifiche hanno il solo ruolo di verificare che le "verità" affermate abbiano seguito rigorosamente il metodo che la comunità scientifica si è data.
Ma una volta che la scienza afferma una "verità" (cioè l'assoluto), NESSUNO è "ministro" di tale verità, ma tutti riconoscono tale "verità", tutti si "sottomettono" a tale verità e si comportano di conseguenza.
Cosa voglio dire con questo?
Voglio dire che: si è vero...storicamente i "ministri" della religione hanno preteso per sè una autorità maggiore...il potere di "guidare".
Ma è giunta l'ora di voltare pagina.
L'assoluto c'è. Ma non è necessario nessun "ministro". Di fronte all'assoluto siamo tutti uguali. Tutti abbiamo le medesime potenzialità e tutti abbiamo le medesime responsabilità.
Il punto vero è stabilire cosa sia l'"Assoluto" in modo OGGETTIVO. E anche qui abbiamo il dovere di applicare il metodo scientifico: è ASSOLUTO solo ciò che è OGGETTIVO.
Citazione di: myfriend il 19 Gennaio 2020, 11:08:52 AM
@Ipazia
Se postuliamo l'Assoluto, va da sè che chi ne è rappresentante qualificato non può che collocarsi un gradino sopra gli altri e godere di maggiore autorità logica, politica, etica e giuridica "per" la funzione svolta nei riguardi dell'assoluto.
Questa affermazione non è necessariamente vera.
L'assoluto c'è e il suo spazio, pure, c'è. Ma non deve esserci nessun "ministro" che lo rappresenti.
Il concetto di "ministro" (e la sua, presunta, maggiore autorità) è un concetto ormai superato.
E, anche in questo caso, dobbiamo ringraziare la comunità scientifica che ci ha insegnato un nuovo metodo.
Anche nella comunità scientifica, infatti, si afferma "l'assoluto" (in questo caso le "verità scientifiche"), ma nessuno è "ministro" delle verità scientifiche. Più che altro le autorità scientifiche hanno il solo ruolo di verificare che le "verità" affermate abbiano seguito rigorosamente il metodo che la comunità scientifica si è data.
Ma una volta che la scienza afferma una "verità" (cioè l'assoluto), NESSUNO è "ministro" di tale verità, ma tutti riconoscono tale "verità", tutti si "sottomettono" a tale verità e si comportano di conseguenza.
Cosa voglio dire con questo?
Voglio dire che: si è vero...storicamente i "ministri" della religione hanno preteso per sè una autorità maggiore...il potere di "guidare".
Ma è giunta l'ora di voltare pagina.
L'assoluto c'è. Ma non è necessario nessun "ministro". Di fronte all'assoluto siamo tutti uguali. Tutti abbiamo le medesime potenzialità e tutti abbiamo le medesime responsabilità.
Il punto vero è stabilire cosa sia l'"Assoluto" in modo OGGETTIVO. E anche qui abbiamo il dovere di applicare il metodo scientifico: è ASSOLUTO solo ciò che è OGGETTIVO.
Ciao Myfriend.
Se le verità sono quelle certificate dalla comunità scientifica , allora l'assoluto coincide con l'oggettivo.
Però mi pare che la fai facile.
Alla base del tuo ragionamento vi sono regole relative che la comunità scientifica si è liberamente data.
Non si giunge all'assoluto partendo dal relativo.
Semmai il contrario.
È la scienza che , suo malgrado , non riesce a fare a meno dell'assoluto , e non viceversa.
Succedono cose strane in effetti e il percorso della scienza non è lineare come ci piacerebbe.
La "Scienza di Platone " è stata smentita nei fatti , ma la ricerca attuale ne segue ancora proficuamente i paradigmi.
Credo che il motivo sia che , nonostante la scienza sia il regno dove si agisce in coscienza e con ragionevolezza , il confine del conscio non è così netto come ci piacerebbe.
Ciò non dovrebbe apparire strano in fondo , perché quando parliamo del conscio (per tacere dell'inconscio ) a mala pena sappiamo di cosa stiamo parlando.
Inevitabilmente ci sono sempre cose che diamo per scontate , ma è con quelle che l'assoluto entra a gamba tesa nella partita del relativo.
È un giocare scorretto , ma temo che senza non vi sarebbe partita.
E possiamo star certi che il gioco è sempre scorretto in parte , anche quando gli arbitri , scienziati e filosofi , non vedono il fallo.
Quando si scopre il fallo , si riscrivono le regole , e la scienza così si evolve , ma si tratta sempre della stessa storia.
La partita della scienza non potrà mai essere assolutamente corretta finché sarà giocata dall'uomo.
Questo è il motivo per cui le religioni giocano un'altra partita , dove l'uomo resta sugli spalti a fare il tifo , attività che come sappiamo non ha nulla di razionale .
Salve. Scusate, ma a me sembra di essere entrato al manicomio. La scienza come detentrice di verità assolute (quando essa è la sistematica del dubitare !) - Autorità e ministri dell'Assoluto (i Sottosegretari dove stanno ?) - Un Hegel che (evidentemente da ubriaco) sembra abbia definito l'assoluto come "la realtà dei rapporti umani e la loro dialettica"..............................
Ma siamo sicuri di non aver già dimenticato per strada l'argomento suggerito da Ipazia ?. Saluti.
Citazione di: myfriend il 19 Gennaio 2020, 11:08:52 AM
@Ipazia
Se postuliamo l'Assoluto, va da sè che chi ne è rappresentante qualificato non può che collocarsi un gradino sopra gli altri e godere di maggiore autorità logica, politica, etica e giuridica "per" la funzione svolta nei riguardi dell'assoluto.
Questa affermazione non è necessariamente vera.
L'assoluto c'è e il suo spazio, pure, c'è. Ma non deve esserci nessun "ministro" che lo rappresenti.
Il concetto di "ministro" (e la sua, presunta, maggiore autorità) è un concetto ormai superato.
E, anche in questo caso, dobbiamo ringraziare la comunità scientifica che ci ha insegnato un nuovo metodo.
C'è il ministro anche nella scienza. E' l'esperto, lo scienziato, colui che risiede nella Camera dei Pari, denominata
pear review. Nulla di male, sia chiaro. Tutta gente che ha i quarti di nobiltà scientifica richiesti.
Citazione di: paul11 il 19 Gennaio 2020, 00:46:19 AM
...L'assoluto è un termine trascendente (più del trascendentalismo kantiano, per fare un esempio) che per incarnarsi nell'esistenza si sposta nel dominio dell'esistenza appunto e quindi diventa immanente. Non è contraddittorio se il baricentro fra trascendenza e immanenza, e fra assoluto e relativo ,è mantenuto dalla coscienza (e questa è una dialettica prima utilizzata da Platone e molto più vicino a noi d a Hegel)...
Da questo spostamento nel dominio dell'immanenza, e ancor più dall'analisi storica che segue, l'assoluto assume una natura convenzionale, radicata nell'immanenza come può esserlo il valore assoluto del codice della strada, ma rimane ontologicamente insussistente. Infatti ...
CitazioneE' per questo che il Vaticano immanente di quell'assoluto trascendente viene tollerato e rispettato culturalemente, fosse anche solo una vestigia culturale superata rimane insuperato, in quanto l'umanesimo non ha saputo costruire un assoluto universale che lo superi.
... la sagacia millenaria del cristianesimo non solo è tollerata ma rimane un esempio insuperato di applicazione tecnica universalistica dell'assoluto. Da primi della classe che meglio di altri hanno manipolato il paradigma.
Citazione di: bobmax il 18 Gennaio 2020, 22:47:34 PM
Semmai... l'Assoluto è.
La copula ha il problema che in assenza di predicato diventa professione di fede. Cerco, se non proprio un bignami, almeno una configurazione semantica dell'assoluto capace di occupare con dignità un dizionario. Bypassando, perchè altrimenti restiamo chiusi nell'area pur venerabile ma aleatoria del "concetto" philosophisch d'antan, la facile antinomia assoluto/relativo.
L'assoluto non è una legislazione, è il paradigma da cui viene poi una legislazione.
Il ruolo sussistente o insussistente dal punto di vista ontologico dell'assoluto è in funzione delle relazioni fra i domini. Se si pensa che il sensibile abbia un ruolo veritativo, allora sì che l'assoluto diventa insussistente in quanto dispositivo culturale trasformato in convenzione dichiarativa che nulla tange nelle prassi, ma proprio perché credono al valore veritativo del dominio sensibile.
Quindi l'ontologia diventa un intento dichiarativo privo di prassi. E questo è il motivo per cui
il Vaticano viene tollerato nelle prassi culturali della post-modernità, è un intento dichiarativo che nulla o poco tange nella realtà, ma serve.....Ma la stessa cosa sono i principi costituzionali, quanto la dichiarazione dei diritti umani ginevrini.......intenti che poco o nulla hanno capacità di entrare nelle prassi. E' il motivo per cui la morale è svanita e si parla solo di etiche, comportamenti nelle prassi. E il pragmatismo americano di scuola anglofona ha voluto fosse così.
L'assoluto è un involucro oggi che serve quanto il sogno americano, quanto uno slogan di marketing, ma serve ancora per identificare la comunità, quindi a tenerla unita dagli individualismi delle pratiche che la cultura post moderna ha battezzato come fondamento sociale.
E questo problema ,piaccia o non piaccia, nasce da Bacone e si trasmette strumentalmente nel trio Gaileo-Newton-Darwin. Strumentalmente in quanto se n'è fatto ideologia ad uopo proprio contro l'assoluto.
Il paradigma non è manipolabile; o si cambiano gli enunciati, postulati, assiomi o non è possibile costruire ,se non contraddittoriamente, segni, signifcati, dichiarazioni, argomentazioni.
Semmai è quì la differenza fra cristianesimo e chiesa. Se la chiesa, intesa come prassi e interpretazione(ermeneutica) del pensiero dentro la storia, è ancora fautrice del pensiero originario cristiano e quanto e come se ne discosta contraddittoriamente.
La stessa cosa accade con tutti i pensieri sociali quando diventano storia come il marxismo-leninismo ad esempio.
Citazione di: Ipazia il 18 Gennaio 2020, 17:43:01 PM
In una discussione attuale Anthonyi afferma che durante il medioevo "lo spazio per l'assoluto era già saldamente occupato da Dio" e questo creava un certo bilanciamento tra i vari poteri e interessi secolari. Io concordo con tale affermazione e porrei tale spazio dell'assoluto divino cristiano lungo l'arco di un millennio abbondante: da Teodosio all'Illuminismo. Qualche cane sciolto miscredente vi sarà pure stato, ma irrilevante di fronte allo spazio dell'assoluto vigente nella società considerata.
Tesi che non condivido affatto. L'equilibrio tra i poteri, l'assenza di un potere assoluto, è un dato di fatto di qualunque tempo proprio perché non c'è alcun assoluto, alcun dio.
Citazione di: viator il 19 Gennaio 2020, 13:45:34 PM
Salve. Scusate, ma a me sembra di essere entrato al manicomio. La scienza come detentrice di verità assolute (quando essa è la sistematica del dubitare !) - Autorità e ministri dell'Assoluto (i Sottosegretari dove stanno ?) - Un Hegel che (evidentemente da ubriaco) sembra abbia definito l'assoluto come "la realtà dei rapporti umani e la loro dialettica"..............................
Ma siamo sicuri di non aver già dimenticato per strada l'argomento suggerito da Ipazia ?. Saluti.
La tua affermazione che la Scienza è la "sistematica del dubitare" è una sciocchezza.
La Scienza dubita forse del Primo principio della termodinamica?
La Scienza dubita forse che i pianeti ruotano attorno al Sole?
La Scienza mette il "dubbio" al centro del suo metodo di lavoro (o metodo scientifico). Non dice affatto che non ci sono verità assolute.
Tanto è vero che lo scopo della Scienza è proprio quello di affermare verità assolute usando come metodo di lavoro il "dubbio". Cioè le verità scientifiche devono essere dimostrate con prove sperimentali.
Ma una volta che evidenze empiriche e di laboratorio dimostrano l'esattezza di una teoria scientifica essa diviene "verità scientifica", cioè "assoluto". Cioè verità OGGETTIVA.
Perchè questo è proprio lo scopo della Scienza: trovare verità OGGETTIVE....e NON, come dici tu, affermare il "dubbio".
Se nelle religioni si usasse il metodo di lavoro inventato e usato dalla scienza - e cioè: ogni affermazione deve essere provata e dimostrata e deve essere una verità OGGETTIVA - non avremmo tutte le favolette religiose che abbiamo oggi e che vengono spacciate per "fede" o per "rivelazione divina" (tra cui c'è anche l'ateismo, ovviamente...che è una vera e propria religione con il suo dio e con i suoi dogmi di fede e i suoi preti e fedeli).
Citazione di: baylham il 20 Gennaio 2020, 00:11:35 AM
Citazione di: Ipazia il 18 Gennaio 2020, 17:43:01 PM
In una discussione attuale Anthonyi afferma che durante il medioevo "lo spazio per l'assoluto era già saldamente occupato da Dio" e questo creava un certo bilanciamento tra i vari poteri e interessi secolari. Io concordo con tale affermazione e porrei tale spazio dell'assoluto divino cristiano lungo l'arco di un millennio abbondante: da Teodosio all'Illuminismo. Qualche cane sciolto miscredente vi sarà pure stato, ma irrilevante di fronte allo spazio dell'assoluto vigente nella società considerata.
Tesi che non condivido affatto. L'equilibrio tra i poteri, l'assenza di un potere assoluto, è un dato di fatto di qualunque tempo proprio perché non c'è alcun assoluto, alcun dio.
Magari fosse così: avremmo già risolto il problema. L'assoluto del nostro tempo si chiama Capitale, il cui Figlio è il Denaro e lo Spirito Santo (extenso) il Mercato. Questa santissima trinità domina le nostre vite dalla culla alla tomba così come il Dio cristiano nel suoi secoli d'oro o bui che dir si voglia.
Certo gli assoluti umani, numi compresi, valgono quel che valgono e lasciano il tempo che trovano, molto lungo talvolta, ma nel loro tempo occupano uno spazio pressochè totale dell'universo antropologico ed anche le forze antagoniste non possono far finta che non vi siano e devono soggiacere al loro valore, pena l'annichilimento.
Gli assoluti metafisici, o più propriamente ideologici, sono altra questione sul piano logico, ma non su quello fattuale, fungendo talvolta da ancelle, tal'altra da suggeritori, dell'assoluto dominante.
Citazione di: baylham il 20 Gennaio 2020, 00:11:35 AM
Citazione di: Ipazia il 18 Gennaio 2020, 17:43:01 PM
In una discussione attuale Anthonyi afferma che durante il medioevo "lo spazio per l'assoluto era già saldamente occupato da Dio" e questo creava un certo bilanciamento tra i vari poteri e interessi secolari. Io concordo con tale affermazione e porrei tale spazio dell'assoluto divino cristiano lungo l'arco di un millennio abbondante: da Teodosio all'Illuminismo. Qualche cane sciolto miscredente vi sarà pure stato, ma irrilevante di fronte allo spazio dell'assoluto vigente nella società considerata.
Tesi che non condivido affatto. L'equilibrio tra i poteri, l'assenza di un potere assoluto, è un dato di fatto di qualunque tempo proprio perché non c'è alcun assoluto, alcun dio.
Quindi i faraoni d'Egitto, monarchi e allo stesso tempo esseri divini cos'erano ? E i regni di Persia, tra i più assoluti che si siano conosciuti nella storia ? Certo è vero che nell'antica Grecia e a Roma vi erano originariamente meccanismi di equilibrio di potere, ma con quale livello di continuità. Nella Grecia c'è Alessando Magno che risolve l'instabilità delle più o meno democratiche città greche, a Roma conosciamo l'evoluzione dalla repubblica all'impero, nel quale, logicamente, l'imperatore si faceva considerare divino, ed era anche pontefice, cioè supremo sacerdote.
L'equilibrio che si è creato, nel medioevo, tra papato ed impero, invece, è durato oltre mille anni, per poi finire non certo con un'ulteriore accentramento del potere, ma con ulteriori redistribuzioni del potere.
La tua affermazione, poi, sull'inesistenza di Dio non è pertinente, qui si discute l'effetto sociale dell'idea di Dio.
Un saluto
Citazione di: paul11 il 19 Gennaio 2020, 18:22:57 PM
L'assoluto non è una legislazione, è il paradigma da cui viene poi una legislazione.
Il ruolo sussistente o insussistente dal punto di vista ontologico dell'assoluto è in funzione delle relazioni fra i domini. Se si pensa che il sensibile abbia un ruolo veritativo, allora sì che l'assoluto diventa insussistente in quanto dispositivo culturale trasformato in convenzione dichiarativa che nulla tange nelle prassi, ma proprio perché credono al valore veritativo del dominio sensibile
Se si pensa che il
sensibile reale abbia un ruolo veritativo, ne deriva anche una prassi basata sulla conoscenza delle sue "leggi".
CitazioneQuindi l'ontologia diventa un intento dichiarativo privo di prassi.
No, l'ontologia reale produce techne (tecnoscientifica, etica, politica) nel rispetto ed a conferma della sua verità.
CitazioneE questo è il motivo per cui il Vaticano viene tollerato nelle prassi culturali della post-modernità, è un intento dichiarativo che nulla o poco tange nella realtà, ma serve.....Ma la stessa cosa sono i principi costituzionali, quanto la dichiarazione dei diritti umani ginevrini.......intenti che poco o nulla hanno capacità di entrare nelle prassi. E' il motivo per cui la morale è svanita e si parla solo di etiche, comportamenti nelle prassi. E il pragmatismo americano di scuola anglofona ha voluto fosse così.
Ma molto prima i greci che inventarono la techne del'ethos, che poi è il mores dei latini, per cui non farei grosse distinzioni ontologiche, che odorano di nominalismo scolastico, tra i due concetti.
CitazioneL'assoluto è un involucro oggi che serve quanto il sogno americano, quanto uno slogan di marketing, ma serve ancora per identificare la comunità, quindi a tenerla unita dagli individualismi delle pratiche che la cultura post moderna ha battezzato come fondamento sociale.
E questo problema ,piaccia o non piaccia, nasce da Bacone e si trasmette strumentalmente nel trio Gaileo-Newton-Darwin. Strumentalmente in quanto se n'è fatto ideologia ad uopo proprio contro l'assoluto.
O forse si è tolto il velo a
quella Maia e si è visto che non c'era nulla. Attivandone subito delle altre.
CitazioneIl paradigma non è manipolabile; o si cambiano gli enunciati, postulati, assiomi o non è possibile costruire ,se non contraddittoriamente, segni, signifcati, dichiarazioni, argomentazioni.
Semmai è quì la differenza fra cristianesimo e chiesa. Se la chiesa, intesa come prassi e interpretazione(ermeneutica) del pensiero dentro la storia, è ancora fautrice del pensiero originario cristiano e quanto e come se ne discosta contraddittoriamente.
La stessa cosa accade con tutti i pensieri sociali quando diventano storia come il marxismo-leninismo ad esempio.
Tutto è manipolabile, inclusi i paradigmi, finchè non divengono del tutto inservibili. Anzi è proprio la manipolazione che permette di tenerli in vita e riempire di gente i templi (sacri e profani, fisici e metafisici). E i manipolatori sono bravi a manipolare appena cala l'indice di gradimento.
Più rigorosi i paradigmi della scienza che si sono ritagliati il loro equo spazio di assoluto nel nostro mondo, parametrando razionalmente pure il passaggio di testimone. Successo dovuto pure all'opera di falsificazione di paradigmi ontologici arcaici, di cui hanno occupato lo spazio.
Per me lo spazio dell'assoluto è semplicemente lo spazio, l'infinito contenitore in-contenuto di tutti i corpi e la grande sintesi di tutte le relazioni intercorrenti tra i corpi, corpi che sono essi stessi spazio concentrato e uniche realtà che esistono.
Spazio spinoziano che deve essere infinito in quanto attributo di Dio, spazio che col suo esistere fa esistere altri spazi: l'infinita pensabilità ne implica l'infinita estensione.
Citazione di: Ipazia il 20 Gennaio 2020, 11:02:17 AM
Citazione di: paul11 il 19 Gennaio 2020, 18:22:57 PM
L'assoluto non è una legislazione, è il paradigma da cui viene poi una legislazione.
Il ruolo sussistente o insussistente dal punto di vista ontologico dell'assoluto è in funzione delle relazioni fra i domini. Se si pensa che il sensibile abbia un ruolo veritativo, allora sì che l'assoluto diventa insussistente in quanto dispositivo culturale trasformato in convenzione dichiarativa che nulla tange nelle prassi, ma proprio perché credono al valore veritativo del dominio sensibile
Se si pensa che il sensibile reale abbia un ruolo veritativo, ne deriva anche una prassi basata sulla conoscenza delle sue "leggi".
CitazioneQuindi l'ontologia diventa un intento dichiarativo privo di prassi.
No, l'ontologia reale produce techne (tecnoscientifica, etica, politica) nel rispetto ed a conferma della sua verità.
CitazioneE questo è il motivo per cui il Vaticano viene tollerato nelle prassi culturali della post-modernità, è un intento dichiarativo che nulla o poco tange nella realtà, ma serve.....Ma la stessa cosa sono i principi costituzionali, quanto la dichiarazione dei diritti umani ginevrini.......intenti che poco o nulla hanno capacità di entrare nelle prassi. E' il motivo per cui la morale è svanita e si parla solo di etiche, comportamenti nelle prassi. E il pragmatismo americano di scuola anglofona ha voluto fosse così.
Ma molto prima i greci che inventarono la techne del'ethos, che poi è il mores dei latini, per cui non farei grosse distinzioni ontologiche, che odorano di nominalismo scolastico, tra i due concetti.
CitazioneL'assoluto è un involucro oggi che serve quanto il sogno americano, quanto uno slogan di marketing, ma serve ancora per identificare la comunità, quindi a tenerla unita dagli individualismi delle pratiche che la cultura post moderna ha battezzato come fondamento sociale.
E questo problema ,piaccia o non piaccia, nasce da Bacone e si trasmette strumentalmente nel trio Gaileo-Newton-Darwin. Strumentalmente in quanto se n'è fatto ideologia ad uopo proprio contro l'assoluto.
O forse si è tolto il velo a quella Maia e si è visto che non c'era nulla. Attivandone subito delle altre.
CitazioneIl paradigma non è manipolabile; o si cambiano gli enunciati, postulati, assiomi o non è possibile costruire ,se non contraddittoriamente, segni, signifcati, dichiarazioni, argomentazioni.
Semmai è quì la differenza fra cristianesimo e chiesa. Se la chiesa, intesa come prassi e interpretazione(ermeneutica) del pensiero dentro la storia, è ancora fautrice del pensiero originario cristiano e quanto e come se ne discosta contraddittoriamente.
La stessa cosa accade con tutti i pensieri sociali quando diventano storia come il marxismo-leninismo ad esempio.
Tutto è manipolabile, inclusi i paradigmi, finchè non divengono del tutto inservibili. Anzi è proprio la manipolazione che permette di tenerli in vita e riempire di gente i templi (sacri e profani, fisici e metafisici). E i manipolatori sono bravi a manipolare appena cala l'indice di gradimento.
Più rigorosi i paradigmi della scienza che si sono ritagliati il loro equo spazio di assoluto nel nostro mondo, parametrando razionalmente pure il passaggio di testimone. Successo dovuto pure all'opera di falsificazione di paradigmi ontologici arcaici, di cui hanno occupato lo spazio.
Dal punto di vista filosofico il reale non è nel fisico ,è nel meta-fisico.
E la scienza moderna è coerente nell'affermare, dal suo punto di vista epistemologico, la relatività delle leggi scientifiche e l'opinabilità.
In quanto la verità è inaccessibile solo nel dominio fisico.
L'ontologia non ha prodotto la tecnica, lo ha prodotta una certa interpretazione gnoseologica.
Confondere le diverse correnti filosofiche greche significa fare un minestrone qualunquistico.
Il diritto romano è focalizzato sulla domus, sui diritti famigliari, di proprietà, di transazioni economiche; non è più la polis greca.
Muta il paradigma originario filosfico politico.
Cosa ha stabilito che ci fosse "nulla"nella metafisica? La filosfia moderna non ha affatto superato la metafisca antica.Ha solo spostato il focus sulla prassi, creando aborti filosofici di cui la contemporaneità non sa che farsene.E questo spostamento sulla pratica, sui comportamenti umani, animali, dei corpi fisici e naturali, ha giustificato il capitalismo stesso, con buona pace di chi crede il contrario e non sa come uscirne.
La beatificazione di una comunista verso la scienza, è un tuo problema da cui non uscirai mai. Fu lo stesso errore in Engels che beatificò il darwinismo, fu il medesimo errore di Marx che beatificò il materialismo. Ma tutte le ideologie, che sono morte , erano contraddittorie,
Perchè avevano accettato il sogno egocentrico umanistico occidentale di porre l'uomo al di sopra di tutto, per cui tutti accettarono la tecnica e l'idea di progresso esponenziale e se ne servirono, dai nazisti ai liberali, dai fascisti ai comunisti, dai democratici ai dittatori.E dal sogno egocentrico umanistico l'unico concetto coerente e sopravvissuto come un virus mutagenico è proprio la tecnica con il capitalismo.
La tecnica come modello culturale materialistico e il capitalismo come prassi naturale
Salve Paul11. Citandoti, approvo profondamente : "La beatificazione di una comunista verso la scienza, è un tuo problema da cui non uscirai mai. Fu lo stesso errore in Engels che beatificò il darwinismo, fu il medesimo errore di Marx che beatificò il materialismo. Ma tutte le ideologie, che sono morte , erano contraddittorie,
Perchè avevano accettato il sogno egocentrico umanistico occidentale di porre l'uomo al di sopra di tutto, per cui tutti accettarono la tecnica e l'idea di progresso esponenziale e se ne servirono, dai nazisti ai liberali, dai fascisti ai comunisti, dai democratici ai dittatori.E dal sogno egocentrico umanistico l'unico concetto coerente e sopravvissuto come un virus mutagenico è proprio la tecnica con il capitalismo.
La tecnica come modello culturale materialistico e il capitalismo come prassi naturale". Saluti.
Citazione di: paul11 il 20 Gennaio 2020, 16:30:13 PM
Dal punto di vista filosofico il reale non è nel fisico ,è nel meta-fisico.
Dipende quale filosofia (vorremo mica fare un minestrone qualunquistico :) ). Per la filosofia realistica il reale sta nel fisico, non nel metafisico
CitazioneE la scienza moderna è coerente nell'affermare, dal suo punto di vista epistemologico, la relatività delle leggi scientifiche e l'opinabilità. In quanto la verità è inaccessibile solo nel dominio fisico.
Opinabilità mica tanto. Bisogna passare prima per l'experimentum crucis. E se si passa non è più opinione. La verità è accessibile solo nel dominio fisico perchè non c'è un mondo dietro il mondo.
CitazioneL'ontologia non ha prodotto la tecnica, lo ha prodotta una certa interpretazione gnoseologica.
L'ontologia considera lo spazio degli oggetti reali, dai quali solo si può produrre tecnica.
CitazioneConfondere le diverse correnti filosofiche greche significa fare un minestrone qualunquistico.
Il diritto romano è focalizzato sulla domus, sui diritti famigliari, di proprietà, di transazioni economiche; non è più la polis greca. Muta il paradigma originario filosfico politico.
Non ho mai confuso le diverse correnti filosofiche greche e neppure le correnti filosofiche moderne che da quelle filosofie si sono evolute. L'ethos classico non era invece così diverso: adoravano gli stessi dei, vivevano sul lavoro degli schiavi e trovavano insensate le guerre di religione avendo chiara la distinzione tra politica e religione, per quanto i preti si dessero molto da fare anche da loro. Per evitare seccature, alla Enrico VIII, unificarono tutto sotto il re-imperatore. E non fu certo peggio delle teocrazie, perchè morto un dio se ne faceva un altro.
CitazioneCosa ha stabilito che ci fosse "nulla" nella metafisica?
Non nella metafisica, bensì nella trascendenza. Nello spazio "assoluto" occupato dalla religione.
CitazioneLa filosofia moderna non ha affatto superato la metafisca antica. Ha solo spostato il focus sulla prassi, creando aborti filosofici di cui la contemporaneità non sa che farsene. E questo spostamento sulla pratica, sui , ha giustificato il capitalismo stesso, con buona pace di chi crede il contrario e non sa come uscirne.
Il capitalismo non aveva bisogno di essere giustificato da nessuna filosofia, perchè la sua filosofia l'ha prodotta, e continua a produrla, in proprio. E non riguarda tanto i "comportamenti umani, animali, dei corpi fisici e naturali" quanto il loro valore di mercato.
CitazioneLa beatificazione di una comunista verso la scienza, è un tuo problema da cui non uscirai mai. Fu lo stesso errore in Engels che beatificò il darwinismo, fu il medesimo errore di Marx che beatificò il materialismo. Ma tutte le ideologie, che sono morte , erano contraddittorie,
Gli atei non beatificano nulla. Danno a Cesare quello che è di Cesare. E si disinteressano di quello che è di Dio.
CitazionePerchè avevano accettato il sogno egocentrico umanistico occidentale di porre l'uomo al di sopra di tutto, per cui tutti accettarono la tecnica e l'idea di progresso esponenziale e se ne servirono, dai nazisti ai liberali, dai fascisti ai comunisti, dai democratici ai dittatori. E dal sogno egocentrico umanistico l'unico concetto coerente e sopravvissuto come un virus mutagenico è proprio la tecnica con il capitalismo.
La tecnica come modello culturale materialistico e il capitalismo come prassi naturale
E chi dovevano porre al di sopra di tutto ? Gli dei falsi e bugiardi ? La tecnica è destino umano, quello che ci permettere di proteggere i nostri cuccioli e le nostre vite dai predatori. Essa non è sussumibile al capitalismo, che semmai la sussume ai suoi scopi. La prassi naturale è la sopravvivenza umana, anche nelle epoche buie in cui si pensava di sconfiggere le pestilenze con le processioni. Uno spazio dell'assoluto davvero vuoto. A perdere.
Se il presunto "posto vuoto" dell'assoluto, ovvero la possibile assenza di uno "spazio" ulteriore rispetto alla (ri)strettezza della contingenza umana in cui non c'è traccia dell'assoluto come sostantivo (e tanto più come sostanza, semmai solo come aggettivo), è la disincantata e schietta "scoperta" perpetrata da alcune proposte filosofiche contemporanee, allora rifiutare l'elaborazione culturale di tale assenza, preservandosi dal pensare senza assoluti(smi), non mantiene aperto maldestramente il discorso onto(teo)logico dopo averne ormai compromesso le fondamenta (e la loro sedicente assolutezza)?
Chiesto in altro modo (fra psicoanalisi e maieutica): perché nel pensiero contemporaneo si avverte il bisogno (de)ontologico di trovare comunque un posto all'assoluto (sostantivo e "sostanziale") quando per sua stessa "auto-presentazione" esso non ha posto calzante se non nell'iperuranio dei concetti tautologicamente postulati come tali (meta-fisici cioè ultra-terreni), e quindi relativi al pensiero che così li postula?
La stessa domanda riguarda lo "spiritualismo" (di cui si parla in altro topic) e sia per «spirito» che «assoluto» è fondamentale intendersi sul loro fantomatico referente: la polisemia del termine «assoluto» (proprio come quella di «spirito»), aggravata dal suo prestarsi a metafore, non facilita il discorso (che rischia di disperdersi fra misticismo, scienza, storia, poesia, etc.).
Collegandomi ad altro topic affine, riguardo l'approccio postecclesiastico alla "spiritualità"1 e alla dialettica individuo/società, osserverei che è stata la struttura organizzativa dell'immanenza secolare a forgiare, o almeno ispirare, quella ecclesiale; la chiesa in fondo non è altro che l'ennesima organizzazione piramidale, come lo è quella di un qualunque branco, qualunque società, qualunque azienda, qualunque stato, etc. ognuno fondato su norme (anche consuetudini, etc.) strutturanti le interazioni fra i suoi membri. Che tali regole abbiano fondamento nel cielo, nella terra, nel mercato, nell'istinto animale o nelle tradizioni, è rilevante solo a livello giustificativo-persuasivo o di analisi del fondamento, ma non a livello funzionale e archi-tettonico (arché incluso).
L'esigenza di un ordine verticale (con l'inevitabile conseguente discriminazione di ruoli, differenti ricompense e carichi di lavoro, etc.) per essere più efficienti e "in salute", è un'astuzia pragmatica da sempre chiara anche agli animali, nessuna chiesa o altra organizzazione sociale, soprattutto se molto numerosa, avrebbe ragionevole motivo di fare eccezione. Eccezione che semmai spetterebbe ad una posizione di pensiero che abbia intenzione di non proporsi come organizzazione, struttura, comunità, "piramide": ad esempio, il pensare ateo non è di per sé atto fondativo di una chiesa, quanto piuttosto una "postura esistenziale" (come credo intenda baylham), postura "gobba" se vogliamo (che guarda alla terra dove mette i piedi e dove può verificare le sue tesi, al netto di sofismi, fallacie e bias). Tuttavia se, nel fatale oblio di muoversi nel campo della infalsificabilità delle tesi antagoniste (e non in quello della verità), tale postura indulge nel catechizzarsi, ecumenizzarsi, sentendosi "in missione di conversione nel mondo" (cattolicesimo docet), la sua militanza non potrà che essere percepita comunemente in modo simile all'apparente autocontraddizione programmatica rilevata da myfriend (a cui Ipazia ha ragionevolmente ricordato la pluralità degli ateismi, anche se sarebbe bastata anche solo la pluralità degli atei).
Dunque quale salus extra ecclesiam? La più percorribile mi pare quella che intende salus non come salvezza spirituale (perché, venuta meno la dottrina dell'ecclesia, non c'è uno spirito da salvare e sia lo zeitgeist che lo Spirito hegeliano non hanno bisogno di salvezza, essendone semmai forieri), ma semplicemente come salute, quella banalmente trattata da medici, psicologi e simili (e se sembra troppo poco, le porte delle spiritualità restano fiduciosamente aperte, per quanto l'ossimorica "spiritualità sine ecclesiam", corteggiata del pensatore ateo, può essere rintracciata perlopiù nel dissimulato misoneismo o nel compiaciuto "riciclo customizzato" di altarini votivi... è davvero ancora spiritualità?).
1 Qual'è la fruibilità, estetica discorsiva a parte, del riappropriarsi metaforicamente di categorie non nate per essere solo una metafora («assoluto» come sostantivo, «spirito» e altri lemmi del dizionario metafisico), perché utilizzare termini già sovraccarichi di storia e di significati, ingolfandoli di altri sensi, nel tentativo di attualizzarli o nel rifiuto (psicologico prima che metodologico) di rinunciare alla loro "sacralità" speculativa?
Attualizzare la riflessione filosofica, aggiornando i significati ma senza voler aggiornare i significanti, rischia secondo me di essere un gesto "incauto" similmente all'usare un capitello corinzio come incudine: magari funziona, ma né rende giustizia al valore storico-estetico del capitello, né garantisce di essere efficace a lungo termine (essendo il capitello fatto per reggere il peso di un'architrave, non per essere preso a martellate).
lo spazio dell'assoluto, da cui l'assoluto non potrà mai essere sradicato, è quello dei presupposti fondativi a partire da cui ogni discorso, ogni opinione, comprese quelle di stampo relativistico, che negano l'esistenza o la possibilità di una conoscenza razionale dell'assoluto, legittima le sue pretese di verità. Fintanto che un criterio di giudizio non assume i caratteri dell'assoluto, di ciò che è sciolto da legami, e resta contingente, vincolato a condizioni ad esso estrinseche, la tesi che ne deriva si troverà impossibilitata a render ragion di se stessa, perché priva di argomenti che possano tutelarla da obiezioni miranti a metterla in dubbio, e che potrebbero far leva sul negare l'esistenza delle condizioni a cui la validità del criterio non assolutistico sarebbe vincolata. Solo poggiando su criteri di verità assoluti, autoevidenti e autonomi, un discorso avrebbe gli strumenti per poter razionalmente opporsi alle obiezioni, potendo appunto rivendicare il fondamento indiscusso su cui poggia, indiscusso proprio perché universalmente valido, cioè "assoluto". E se anche alla necessità di questo criterio assoluto, funzionale a che un discorso sappia in modo razionale tutelarsi dai dubbi, si volesse opporre, come fa lo scetticismo, l'impossibilità di una convalida pienamente razionale e certa di ogni giudizio, accettando la dubitabilità come orizzonte invalicabile del pensiero, pensando in questo modo, facendo cadere la necessità della certezza razionale, di far cadere anche la necessità della fondazione assoluta, fondativa di questa certezza, le cose non cambierebbero. Infatti, anche formulando il giudizio "tutto è dubitabile" resterebbe il fatto che tale giudizio implichi la posizione di un limite della conoscenza umana nei confronti della realtà oggettiva, e che dunque la dubitabilità non può essere negatrice dell'esistenza reale di un assoluto, ma solo l'ammissione di incapacità del pensiero, il limite appunto, nei confronti di questa realtà e della verità, verità, che, ricorda Tommaso d'Aquino, è tale sempre come adeguazione alla realtà. L'incapacità del pensiero umano di poter convenire su delle certezze non toglie il fatto che nella realtà oggettiva ogni verità, che la si riconosca o meno, può essere tale solo se fondata su una verità assoluta, che è tale in quanto corrisponde a una realtà assoluta. Dunque l'assoluto non è solo una necessità logica di garanzia di verità del discorso, ma proprio in virtù di ciò, è anche principio reale ontologico. La rottura del nesso dialettico tra logica e ontologia, nesso sintetizzabile nella formula tommasiana "la verità è adeguazione dell'intelletto alla cosa" è l'errore alla base di tutti i pensiero-debolismi e irrazionalismi vari che infestano la filosofia contemporanea. Il compito di un'autentica filosofia sta nella speculare circa le corrette implicazioni logiche discendenti da quest'idea di assoluto, di per sé ancora generica e informale, in modo coerente e consequenziale. E quanto più si specula, tanto più inevitabilmente si allarga il margine degli errori, delle imprecisioni, dei pregiudizi irrazionali, e dunque anche il margine delle variabili con cui "materialmente" riempiamo la forma logica dell'assoluto con le diverse visioni filosofiche o teologiche che si susseguono nella storia. Ma al netto di tali varianti, l'idea di assoluto resta in se stessa sempre presente come presupposto, anche quando implicito ed esplicitamente rigettato, perché sempre richiesto dalla forma logica del discorso. Quindi non assocerei la tutela dello spazio dell'assoluto in modo esclusivo ad alcuna particolare egemonia storica di una visione rispetto alle altre, anche se si parla di un'egemonia, quella della teologia cristiana medioevale, in cui la necessità dell'assoluto era certamente più esplicita rispetto ad altre egemonie culturali, compresa quella odierna in occidente.
Citazione di: Phil il 21 Gennaio 2020, 15:13:17 PM
1 Qual'è la fruibilità, estetica discorsiva a parte, del riappropriarsi metaforicamente di categorie non nate per essere solo una metafora («assoluto» come sostantivo, «spirito» e altri lemmi del dizionario metafisico), perché utilizzare termini già sovraccarichi di storia e di significati, ingolfandoli di altri sensi, nel tentativo di attualizzarli o nel rifiuto (psicologico prima che metodologico) di rinunciare alla loro "sacralità" speculativa?
Per riprendersi l'anima che l'avversario ha sequestrato in un territorio di sua esclusiva pertinenza e che continua a fungere, come la pietra nera, da polo di attrazione in grado di garantire una rendita non meritata.
Ma anche per la soddisfazione filosofica di sezionare un concetto e mostrarne la composizione naturale e non sovrannaturale. Neppure troppo ingobbita, visto che tra gli spiriti riconquistati vi sono pure quelli celesti.
CitazioneAttualizzare la riflessione filosofica, aggiornando i significati ma senza voler aggiornare i significanti, rischia secondo me di essere un gesto "incauto" similmente all'usare un capitello corinzio come incudine: magari funziona, ma né rende giustizia al valore storico-estetico del capitello, né garantisce di essere efficace a lungo termine (essendo il capitello fatto per reggere il peso di un'architrave, non per essere preso a martellate)
Il significato val bene un significante. E poi in questa piccola comunità al massimo si pestano i tasti. Il significante aggiornato esiste ed è pure molto studiato da varie discipline: si chiama
psiche e contiene tutto, qualsiasi cosa esso sia, lo spirituale umano
1. Ricompattare il tutto (spirito, mente, anima, psiche,...) ritengo sia opera dovuta indipendentemente dall'ortodossia semantica. Che non esiste, come possono confermare i linguisti di tutte le scuole.
(1)Vedi come suona male: "lo psicologico umano". Non è nemmeno una banale questione estetica, ma è proprio lo spettro semantico che ci soffre. Sarà pure un'abitudine feticistica, ma "spirituale"
funziona meglio. Temo che una neolingua dovrà attendere a lungo prima di rimpiazzarlo.
Citazione di: Ipazia il 21 Gennaio 2020, 22:54:39 PM
Per riprendersi l'anima che l'avversario ha sequestrato in un territorio di sua esclusiva pertinenza e che continua a fungere, come la pietra nera, da polo di attrazione in grado di garantire una rendita non meritata.
Per "riprenderci l'anima", intesa metaforicamente suppongo, rischiamo di ritrovarci a parlare, da atei, di ricerca dell'anima (ricordo che il divino è infalsificabile), in senso meno metaforico di quanto siamo consapevoli; ovvero (uso un'immagine di guerra in omaggio al tuo spirito pugnace), ritirando dentro le mura il "cavallo di Troia" dello spiritualismo, dobbiamo poi fare i conti con lo "spirito" che esso inevitabilmente "contiene", e non solo etimologicamente. Come chiedevo altrove: da cosa nasce questo bisogno(?) di non lasciarlo al suo posto (da chi glielo concede) e, ancor un passo indietro, cosa intendiamo (parlando da ateo ad atea) davvero per «spirito»?
Se
Citazione di: Ipazia il 21 Gennaio 2020, 22:54:39 PM
Ricompattare il tutto (spirito, mente, anima, psiche,...) ritengo sia opera dovuta indipendentemente dall'ortodossia semantica.
tale ricompattare (in che senso "dovuto"?) non tiene presente le peculiarità distintive delle discipline che coinvolge e le sacrifica, non rendendole sacre, ma ammutinandole (e mutilandole) drasticamente. Sebbene gli ambiti indubbiamente si intersechino, la ricerca spirituale non è la ricerca psicologistica che non è la ricerca esistenziale; il maestro spirituale non è il docente di psicologia (né lo psicologo) che non è il consulente filosofico; un problema spirituale non è un problema psicologico che non è un problema esistenziale, etc.
Qual'è dunque il "valore aggiunto" di chiamare «spirituale» qualcosa che non ha a che fare con lo spirito, se non allegoricamente (cioè, se non ho frainteso, chiamando «spirito» il famigerato «senso della vita»)? Si tratta di un'
escamotage per adescare i delusi delle
ecclesiae e gli agnostici, emulando la strategia di McDonalds quando dice «anche da noi si mangia vegano»? Qual'è l'etica del discorso dietro questa "rivincita" che mira a prendere in ostaggio lo spirito per negare alla concorrenza una «rendita non meritata»?
Mi pare che quanto più ci si addentri in una questione, in un campo di indagine, tanto più il linguaggio debba essere conseguentemente "decompattato", calibrato, analitico, preciso, etc. perché più restiamo nel generale e più diventa "povera" la mappa con cui ci orientiamo (non a caso ogni disciplina ha sviluppato nei secoli il proprio linguaggio settoriale: oggi la
psiche non è lo
pneuma che non è il
chi orientale che non è lo
spiritus, etc.).
Anche se (tanto più se) siamo «una piccola comunità in cui si pestano i tasti»(cit.), non credo questo sia un alibi per poter, seguendo un
trend che mi pare in crescita anche fuori da questa comunità, sinonimizzare parole vagamente affini per licenzioso amor di babeliche allusioni e dissoluta "trasversalità": se (non mi riferisco a te) «filosofia» è sinonimo di «ragionamento senza empiria», «etico» è sinonimo di «sociale», «metafisico» è sinonimo di «astratto», «assoluto» è sinonimo di «oggettivo», «spirituale» è sinonimo di «esistenziale», etc. significa che siamo già in ritardo per il funerale della possibilità (buon'anima) di parlare di filosofia e spiritualità con un minimo di (a)cura(tezza). Capisco l'esigenza divulgativa della "filosofia per tutti" a prescindere dalla storia diacronica delle parole chiave, tuttavia se confondiamo viti, chiodi e bulloni perché in fondo tutti loro penetrano e reggono, non sono sicuro che riusciremmo a montare nemmeno un mobile Ikea.
P.s.
Citazione di: davintro il 21 Gennaio 2020, 17:49:28 PM
Dunque l'assoluto non è solo una necessità logica di garanzia di verità del discorso, ma proprio in virtù di ciò, è anche principio reale ontologico.
La
forma logica presuppone regole e principi
formali; definirli assoluti (aggettivo) non aggiunge né toglie nulla alla loro funzionalità e al fatto che ognuno di essi è "assoluto" (aggettivo) solo relativamente al sistema logico (e al discorso) di riferimento.
Di assoluti (sostantivo) ontologici, che non siano le leggi della natura (di cui non credo si occupi la speculazione filosofica e che, in quanto leggi, non hanno bisogno del ridondante appellativo di «assolute»), se ne possono congetturare molti, come sono molti i discorsi che fanno duellare i rispettivi assoluti (sostantivo).
Se
Citazione di: davintro il 21 Gennaio 2020, 17:49:28 PM
Il compito di un'autentica filosofia sta nella speculare circa le corrette implicazioni logiche discendenti da quest'idea di assoluto, di per sé ancora generica e informale, in modo coerente e consequenziale.
conseguentemente non fanno «autentica filosofia» quei pensatori che non presuppongono assoluti (sostantivo); l'elenco dei nomi è già lungo, scandito da coloro che non pongono le proprie riflessioni nell'ambito del "veritativo trascendente" (monistico, metafisico, etc.), ma piuttosto nell'interpretativo, nel contingente, nel possibile, etc. senza nessuna pretesa di giungere a (la) verità, a valori o sistemi assoluti, né ad assoluti intesi in senso
non metaforico.
Qual'è, ad esempio, l'assoluto (sostantivo) degli ermeneuti come Gadamer, dei decostruzionisti come Derrida, degli epistemologi come Putnam, etc.? Direi che oggi "non di soli assoluti vive la filosofia".
Da notare che il chiedersi se costoro pretendano di dire una verità assoluta (o addirittura dicano l'assoluto), è ironico sintomo di un domandargli circa un orizzonte ad essi estraneo, e quindi significa applicargli categorie non pertinenti in quanto da essi stessi inutilizzate (un po' come chiedersi come mai un un pittore surrealista non faccia una rappresentazione fotografica della realtà). Parimenti, la sensatezza di riflessioni che invece si occupano di assoluti, etc. non viene minimamente intaccata (né tantomeno falsificata) da coloro che non se ne occupano.
Salve Phil. "....... cosa intendiamo (parlando da ateo ad atea) davvero per «spirito» ?.
Così per ridere........proviamo con "lo spirito consiste in un'anima dotata della capacità di volere (o - se lo preferiamo, vista la quasi coincidenza concettuale - di coscienza)".
Poi circa l'"anima".....direi di continuare la risata con "l'anima è la forma intrinseca".......e, quasi infine, la "forma" sarebbe "l'insieme delle relazioni che permettono ad una struttura di svolgere una funzione"............certo, resta nel vago la coscienza (paradossalmente ma non troppo trovo difficoltoso per una coscienza il riuscire a definire sè stessa).
Per struttura e funzione vanno bene le definizioni da dizionario (al quale non è che io sia SISTEMATICAMENTE contrario..............) Saluti.
Dello spirituale ateo si parla in un'altra discussione. Ma sarebbe più corretto chiamarlo: spirituale archeo, che nasce per tutti col "famigerato" domandarsi "il senso della vita" ben prima che i numi rispondessero all'appello. Da quella domanda nasce pure lo "spazio dell'assoluto", spazio cosmogonico e totalizzante (Tutto, Uno, Essere, Dio,...). Questo in sintesi. Analiticamente questi attributi dell'autocoscienza si possono disaggregare in sezioni specialistiche di studio e azione. Ma quando pretendono di occupare uno spazio di assoluto è su quel terreno che si sposta la dialettica, e quindi l'approccio sintetico è il più cogente.
Possiamo anche lasciar perdere il confronto e isolarci nelle nostre cellette specialistiche, ma a quel punto non dobbiamo lamentarci se l'horror vacui si riempie di contenuti poco gradevoli, non accurati, ma che muovono il mondo nostro malgrado.
Lo spazio dell'assoluto possiamo negarlo metafisicamente seguendo lo spirito le correnti dei tempi, ma ricompare sempre con le sue forme, o meglio formazioni, sociali dominanti che risucchiano il reale nel buco nero delle loro dogmatiche e paradigmatiche. Anche oggi vince chi riesce ad occupare lo "spazio dell'assoluto" nell'immaginario collettivo, che è una sommatoria di immaginari individuali ben sincronizzati dallo "spirito" dei tempi.
La partita resta aperta e le rendite dei vincitori crescono.
Citazione di: Ipazia il 22 Gennaio 2020, 19:17:25 PM
Analiticamente questi attributi dell'autocoscienza si possono disaggregare in sezioni specialistiche di studio e azione. Ma quando pretendono di occupare uno spazio di assoluto è su quel terreno che si sposta la dialettica, e quindi l'approccio sintetico è il più cogente.
Possiamo anche lasciar perdere il confronto e isolarci nelle nostre cellette specialistiche, ma a quel punto non dobbiamo lamentarci se l'horror vacui si riempie di contenuti poco gradevoli, non accurati, ma che muovono il mondo nostro malgrado.
Rispettare le semantiche dei differenti approcci al medesimo problema non credo comporti isolarsi in cellette specialistiche; tale rispetto settoriale è piuttosto garanzia che la suddetta sintesi venga fatta in modo accurato, senza intorbidare le acque da cui ogni disciplina pesca i propri risultati (e ben venga se i differenti risultati vengono poi
accuratamente accostati come i pezzi di un
puzzle complessivo).
Per me il mondo, molto in sintesi, è mosso (oltre che dai bisogni primari dei singoli) dalle differenti culture (fedi religiose incluse); personalmente non ci trovo nulla di sgradevole, almeno tanto quanto non trovo sgradevole che i corpi tendano a precipitare verso il basso secondo leggi ben note.
Sull'"assoluto" inteso come metafora, come totem culturale, come dissimulato
aggettivo riferito ad altro da sé, come denominatore comune dell'immaginario collettivo, etc. prendo nota che non è l'assoluto dei filosofi ma dei sociologi (e sicuramente è più utile come chiave di lettura dei nostri tempi, senza offesa per l'ontologia).
P.s.
Citazione di: viator il 22 Gennaio 2020, 17:47:19 PM
Salve Phil. "....... cosa intendiamo (parlando da ateo ad atea) davvero per «spirito» ?.
Così per ridere........proviamo con "lo spirito consiste in un'anima dotata della capacità di volere (o - se lo preferiamo, vista la quasi coincidenza concettuale - di coscienza)".
Poi circa l'"anima".....direi di continuare la risata con "l'anima è la forma intrinseca".......e, quasi infine, la "forma" sarebbe "l'insieme delle relazioni che permettono ad una struttura di svolgere una funzione"............certo, resta nel vago la coscienza (paradossalmente ma non troppo trovo difficoltoso per una coscienza il riuscire a definire sè stessa).
Per struttura e funzione vanno bene le definizioni da dizionario (al quale non è che io sia SISTEMATICAMENTE contrario..............) Saluti.
Accorpando le definizioni, se non ho sbagliato, lo «spirito» consisterebbe quindi nell'"insieme intrinseco, dotato della capacità di volere, delle relazioni che permettono alla struttura in questione di svolgere la sua funzione".
Partendo da questa definizione, definire conseguentemente lo «spiritualismo» non credo ci porterebbe né verso il "senso della vita", né verso la spiritualità religiosa, quanto apparentemente verso la biopsichiatria (che studia le relazioni fra le varie strutture neurologiche che svolgono funzioni connesse anche alla capacità di volere dell'individuo). Strada sicuramente percorribile e squisitamente neuro-scientifica eppure, (mi) rimane la domanda: qual'è il vantaggio (comunicativo o altro) di etichettare tale strada con una parola, «spirito» o «spiritualismo», già (ab)usata da tanti significati, tante tradizioni, tante discipline e che spesso diventa il pomo della discordia (o solo del fraintendimento) fra paradigmi che
talvolta, qui lo dico e qui lo nego, potrebbero persino farne a meno e/o rimpiazzarlo?
Citazione di: Phil il 22 Gennaio 2020, 22:37:42 PM
Citazione di: Ipazia il 22 Gennaio 2020, 19:17:25 PM
Analiticamente questi attributi dell'autocoscienza si possono disaggregare in sezioni specialistiche di studio e azione. Ma quando pretendono di occupare uno spazio di assoluto è su quel terreno che si sposta la dialettica, e quindi l'approccio sintetico è il più cogente.
Possiamo anche lasciar perdere il confronto e isolarci nelle nostre cellette specialistiche, ma a quel punto non dobbiamo lamentarci se l'horror vacui si riempie di contenuti poco gradevoli, non accurati, ma che muovono il mondo nostro malgrado.
Rispettare le semantiche dei differenti approcci al medesimo problema non credo comporti isolarsi in cellette specialistiche; tale rispetto settoriale è piuttosto garanzia che la suddetta sintesi venga fatta in modo accurato, senza intorbidare le acque da cui ogni disciplina pesca i propri risultati (e ben venga se i differenti risultati vengono poi accuratamente accostati come i pezzi di un puzzle complessivo).
Certamente. E da tale sintesi emergeranno,
pian piano, altre semantiche coi loro spettri più (ac)curati. Ma nel frattempo ci si trova a nuotare in acque torbide, prendendo atto che ...
CitazionePer me il mondo, molto in sintesi, è mosso (oltre che dai bisogni primari dei singoli) dalle differenti culture (fedi religiose incluse); personalmente non ci trovo nulla di sgradevole, almeno tanto quanto non trovo sgradevole che i corpi tendano a precipitare verso il basso secondo leggi ben note.
... le differenti culture non hanno la condivisa incontrovertibilità dei bisogni primari, nè l'equità della loro distribuzione. E tale differenza fa sì che il precipizio verso il basso segue leggi di natura ben diversa da quelle "ben note". Del resto ne prendi atto anche tu:
CitazioneSull'"assoluto" inteso come metafora, come totem culturale, come dissimulato aggettivo riferito ad altro da sé, come denominatore comune dell'immaginario collettivo, etc. prendo nota che non è l'assoluto dei filosofi ma dei sociologi (e sicuramente è più utile come chiave di lettura dei nostri tempi, senza offesa per l'ontologia).
I sociologi (ma anche antropologi, linguisti, scienziati,...) sono i filosofi dell'immanenza. Dell'unico spazio assoluto onto-logicamente condivisibile e gestibile urbi et orbi. Dopo di che ognuno può costruirsi i suoi spazi assoluti individuali (ideali), riempiendoli di ciò che desidera inclusa la Gioia, augurando a Severino di aver trovato, finalmente, la sua.
Citazione di: Phil il 22 Gennaio 2020, 17:05:42 PM
Citazione di: Ipazia il 21 Gennaio 2020, 22:54:39 PMPer riprendersi l'anima che l'avversario ha sequestrato in un territorio di sua esclusiva pertinenza e che continua a fungere, come la pietra nera, da polo di attrazione in grado di garantire una rendita non meritata.
Per "riprenderci l'anima", intesa metaforicamente suppongo, rischiamo di ritrovarci a parlare, da atei, di ricerca dell'anima (ricordo che il divino è infalsificabile), in senso meno metaforico di quanto siamo consapevoli; ovvero (uso un'immagine di guerra in omaggio al tuo spirito pugnace), ritirando dentro le mura il "cavallo di Troia" dello spiritualismo, dobbiamo poi fare i conti con lo "spirito" che esso inevitabilmente "contiene", e non solo etimologicamente. Come chiedevo altrove: da cosa nasce questo bisogno(?) di non lasciarlo al suo posto (da chi glielo concede) e, ancor un passo indietro, cosa intendiamo (parlando da ateo ad atea) davvero per «spirito»? Se
Citazione di: Ipazia il 21 Gennaio 2020, 22:54:39 PMRicompattare il tutto (spirito, mente, anima, psiche,...) ritengo sia opera dovuta indipendentemente dall'ortodossia semantica.
tale ricompattare (in che senso "dovuto"?) non tiene presente le peculiarità distintive delle discipline che coinvolge e le sacrifica, non rendendole sacre, ma ammutinandole (e mutilandole) drasticamente. Sebbene gli ambiti indubbiamente si intersechino, la ricerca spirituale non è la ricerca psicologistica che non è la ricerca esistenziale; il maestro spirituale non è il docente di psicologia (né lo psicologo) che non è il consulente filosofico; un problema spirituale non è un problema psicologico che non è un problema esistenziale, etc. Qual'è dunque il "valore aggiunto" di chiamare «spirituale» qualcosa che non ha a che fare con lo spirito, se non allegoricamente (cioè, se non ho frainteso, chiamando «spirito» il famigerato «senso della vita»)? Si tratta di un'escamotage per adescare i delusi delle ecclesiae e gli agnostici, emulando la strategia di McDonalds quando dice «anche da noi si mangia vegano»? Qual'è l'etica del discorso dietro questa "rivincita" che mira a prendere in ostaggio lo spirito per negare alla concorrenza una «rendita non meritata»? Mi pare che quanto più ci si addentri in una questione, in un campo di indagine, tanto più il linguaggio debba essere conseguentemente "decompattato", calibrato, analitico, preciso, etc. perché più restiamo nel generale e più diventa "povera" la mappa con cui ci orientiamo (non a caso ogni disciplina ha sviluppato nei secoli il proprio linguaggio settoriale: oggi la psiche non è lo pneuma che non è il chi orientale che non è lo spiritus, etc.). Anche se (tanto più se) siamo «una piccola comunità in cui si pestano i tasti»(cit.), non credo questo sia un alibi per poter, seguendo un trend che mi pare in crescita anche fuori da questa comunità, sinonimizzare parole vagamente affini per licenzioso amor di babeliche allusioni e dissoluta "trasversalità": se (non mi riferisco a te) «filosofia» è sinonimo di «ragionamento senza empiria», «etico» è sinonimo di «sociale», «metafisico» è sinonimo di «astratto», «assoluto» è sinonimo di «oggettivo», «spirituale» è sinonimo di «esistenziale», etc. significa che siamo già in ritardo per il funerale della possibilità (buon'anima) di parlare di filosofia e spiritualità con un minimo di (a)cura(tezza). Capisco l'esigenza divulgativa della "filosofia per tutti" a prescindere dalla storia diacronica delle parole chiave, tuttavia se confondiamo viti, chiodi e bulloni perché in fondo tutti loro penetrano e reggono, non sono sicuro che riusciremmo a montare nemmeno un mobile Ikea. P.s.
Citazione di: davintro il 21 Gennaio 2020, 17:49:28 PMDunque l'assoluto non è solo una necessità logica di garanzia di verità del discorso, ma proprio in virtù di ciò, è anche principio reale ontologico.
La forma logica presuppone regole e principi formali; definirli assoluti (aggettivo) non aggiunge né toglie nulla alla loro funzionalità e al fatto che ognuno di essi è "assoluto" (aggettivo) solo relativamente al sistema logico (e al discorso) di riferimento. Di assoluti (sostantivo) ontologici, che non siano le leggi della natura (di cui non credo si occupi la speculazione filosofica e che, in quanto leggi, non hanno bisogno del ridondante appellativo di «assolute»), se ne possono congetturare molti, come sono molti i discorsi che fanno duellare i rispettivi assoluti (sostantivo). Se
Citazione di: davintro il 21 Gennaio 2020, 17:49:28 PMIl compito di un'autentica filosofia sta nella speculare circa le corrette implicazioni logiche discendenti da quest'idea di assoluto, di per sé ancora generica e informale, in modo coerente e consequenziale.
conseguentemente non fanno «autentica filosofia» quei pensatori che non presuppongono assoluti (sostantivo); l'elenco dei nomi è già lungo, scandito da coloro che non pongono le proprie riflessioni nell'ambito del "veritativo trascendente" (monistico, metafisico, etc.), ma piuttosto nell'interpretativo, nel contingente, nel possibile, etc. senza nessuna pretesa di giungere a (la) verità, a valori o sistemi assoluti, né ad assoluti intesi in senso non metaforico. Qual'è, ad esempio, l'assoluto (sostantivo) degli ermeneuti come Gadamer, dei decostruzionisti come Derrida, degli epistemologi come Putnam, etc.? Direi che oggi "non di soli assoluti vive la filosofia". Da notare che il chiedersi se costoro pretendano di dire una verità assoluta (o addirittura dicano l'assoluto), è ironico sintomo di un domandargli circa un orizzonte ad essi estraneo, e quindi significa applicargli categorie non pertinenti in quanto da essi stessi inutilizzate (un po' come chiedersi come mai un un pittore surrealista non faccia una rappresentazione fotografica della realtà). Parimenti, la sensatezza di riflessioni che invece si occupano di assoluti, etc. non viene minimamente intaccata (né tantomeno falsificata) da coloro che non se ne occupano.
le leggi di natura sono contenuti indagabili sia dalla filosofia che dai saperi sperimentali, solo cambia l'angolatura. Le seconde mirerebbero a attribuire un contenuto specifico a queste leggi, entro i limiti in cui l'esperienza sensibile legittima ciò, mentre la filosofia riflette se quelle leggi necessitino o meno di princìpi estrinseci che ne consentano l'applicabilità: nel caso le necessitino avremmo una metafisica della trascendenza, nel quale si ammette una Causa sovrannaturale responsabile dell'esistenza dell'universo e delle leggi ordinarie che lo regolano, altrimenti si perverrà a una metafisica dell'immanenza, in cui l'universo ha in se stesso la ragion d'essere delle leggi che lo governano, senza bisogno di rifarsi a una realtà sostanziale, trascendente, cioè non coincidente con il complesso degli enti che compongono l'universo. In entrambe le soluzioni, c'è una posizione della categoria di assoluto, sia che lo si immanentizzi nella natura, che lo si ponga come trascendente. Che ci siano molto orientamenti filosofici contemporanei, tra cui quelli citati, che apparentemente si presentano come non più interessati a tematizzazione di "assoluti" vari, questo non toglie loro la qualifica di "filosofie", nella misura in cui l'impossibilità di un sapere razionale dell'assoluto è fatto discendere da una considerazione dello scarto che rende l'assoluto irriducibile alle possibilità della conoscenza umana. Ma, come è evidente, questa considerazione implica una nozione di assoluto, cioè un suo livello di conoscibilità. Quindi, definendo "filosofia" ogni discorso sull'assoluto, anche questi orientamenti manterrebbero il diritto a fregiarsi dell'appartenenza ad essa. Il punto del mio intervento non era affatto quello di escludere (operazione sempre antipatica, anche quando viene svolta, dall'altra parte, quando, definendo filosofia solo ciò che sarebbe vincolato ai risultati delle altre scienze, si esclude dal novero delle autentiche filosofie la metafisica classica, relegata a mera "teologia" o residuo di storia della filosofia senza attualità) dal campo della filosofia gli orientamenti APPARENTEMENTE postmetafisici che sembrano essersi sbarazzati della categoria di assouto, anzi, al contrario proprio cercare di mostrare come, essendo il riferimento all'assoluto una necessità logica che resta tale anche quando inavvertita dal soggetto che la utilizza, un presupposto anche silenzioso, il campo della filosofia si apra e si allarghi anche a discorsi nei quali il riferimento all'assoluto resta solo implicito, o anche quando è esplicitamente rigettato. Non era mirante a escludere dalla filosofia alcunché, anzi a riconoscerne l'universale inclusività a ogni pensiero mirante a fondare razionalmente le proprie proposte di verità
Citazione di: davintro il 25 Gennaio 2020, 22:52:08 PM
Che ci siano molto orientamenti filosofici contemporanei, tra cui quelli citati, che apparentemente si presentano come non più interessati a tematizzazione di "assoluti" vari, questo non toglie loro la qualifica di "filosofie", nella misura in cui l'impossibilità di un sapere razionale dell'assoluto è fatto discendere da una considerazione dello scarto che rende l'assoluto irriducibile alle possibilità della conoscenza umana. Ma, come è evidente, questa considerazione implica una nozione di assoluto, cioè un suo livello di conoscibilità. Quindi, definendo "filosofia" ogni discorso sull'assoluto, anche questi orientamenti manterrebbero il diritto a fregiarsi dell'appartenenza ad essa.
Quelle filosofie e quegli autori, correggimi se sbaglio, non ritengono l'assoluto un
implicito oltre i limiti della conoscibilità umana, non vogliono fregiarsi come "filosofie dell'assoluto inattingibile", ma semplicemente non lo considerano elemento del loro discorso filosofico
propositivo (per motivi che cambiano a seconda dell'autore), semmai eventualmente solo tema delle loro riflessioni
storiche su autori passati.
Sostenere che tali autori contemporanei presuppongano comunque un assoluto e/o se ne occupino implicitamente, andrebbe argomentato e dimostrato caso per caso (per gli autori che ho citato, per quel che li conosco, direi che non mi sembra affatto un'ipotesi pertinente, metafore a parte). Che sia possibile filosofare senza coinvolgere l'assoluto (soprattutto come sostantivo, in senso
ontologico), nemmeno implicitamente, credo lo dimostri l'ermeneutica in quanto tale.
Citazione di: davintro il 25 Gennaio 2020, 22:52:08 PM
Il punto del mio intervento non era affatto quello di escludere (operazione sempre antipatica, anche quando viene svolta, dall'altra parte, quando, definendo filosofia solo ciò che sarebbe vincolato ai risultati delle altre scienze, si esclude dal novero delle autentiche filosofie la metafisica classica, relegata a mera "teologia" o residuo di storia della filosofia senza attualità)
Definire una filosofia poco o per niente attuale, non significa considerarla una non-filosofia, né, come dicevo, ritenerla falsificata da altre impostazioni filosofiche più attuali (dove per «attuale» non intendo solo l'esser recente ma, come già spiegato altrove, l'essere ancora viva come
ricerca, produzione di testi non solo storiografici, etc.), così come non significa non rispettare la contestualizzazione storica di ogni filosofia, oppure non distinguere i differenti settori del filosofare (ad esempio riconoscendo la differenza fra la riflessione gnoseologica e quella etica). A scanso di equivoci, lo stereotipo del pensatore (post)moderno che riduce tutto a scienza contro teologia, a sua volta erigendosi a cavaliere dell'unica verità, in nome della quale attaccare o rinnegare il valore storico delle correnti precedenti o dei pensieri contemporanei differenti, non è un
identikit in cui credo di rispecchiarmi.
Citazione di: davintro il 25 Gennaio 2020, 22:52:08 PM
orientamenti APPARENTEMENTE postmetafisici che sembrano essersi sbarazzati della categoria di assouto, anzi, al contrario proprio cercare di mostrare come, essendo il riferimento all'assoluto una necessità logica che resta tale anche quando inavvertita dal soggetto che la utilizza, un presupposto anche silenzioso, il campo della filosofia si apra e si allarghi anche a discorsi nei quali il riferimento all'assoluto resta solo implicito, o anche quando è esplicitamente rigettato.
Sull'"apparente" postmetafisicità di alcuni orientamenti, il discorso richiederebbe un'
excursus filologico non riassumibile in poche righe (comunque reperibile nei manuali di storia della filosofia); tuttavia, che tale postmetafisicità non sia solo apparente credo lo abbia spiegato e argomentato ciascun autore, definito tale da altri o autodefinitosi tale (si può anche criticarlo, ovviamente, cercando di superare la sua autocomprensione o il modo in cui altri filosofi lo abbiano inteso, ma personalmente non mi sento adeguato a farlo...).
Sulla necessità
logica di riferimento all'assoluto (che già dunque non è più l'assoluto dei filosofi speculativi, ma sconfina nell'epistemologia, seppur solo in senso funzionale-astratto), ho già ricordato la differenza fra l'aspetto formale (tautologico) della logica e quello sostanziale, compilativo, fruibile, (poli)semantico, etc. e come ogni "assoluto" logico sia tale per il sistema che, appunto, lo pone come tale (ad esempio, basta temporalizzare il principio di identità e anch'esso può risultare meno "assoluto" di come formalmente appaia, come già si discusse nel vecchio topic sulla nave di Teseo... fermo restando che «assoluto» come aggettivo non va confuso con l'assoluto come sostantivo).
Tema molto importante e compreso nella mia ricerca filosofica.
Ho letto tutti i post, in effetti quando si parla di assoluto non si può che oscillare all'interno della storia della filosofia, passando dai formalismo logici alle emendazioni dell'intelletto fino alla fede in Dio.
Come sapete a me interessa in particolare l'asse dell'idealismo, ma qui non mi soffermerò sull'ennesima disanima complessiva di quello.
La morte del già infinitamente compianto Severino, ci lascia in eredità un terribile abisso di domande inevase.
(Ero rimasto alla domanda se il tempo fosse un ente o meno. Anche qui forse un giorno qualcuno vorrà riprenderla, mandatemi messaggio privato)
E insieme la sua maestria nel tenere il filo rosso che percorre l'intera filosofia occidentale, e di cui l'assoluto è una tappa imprescindibile.
Ma in effetti non è ancora venuto fuori il tema dell'episteme.
Nella grande lezione severiniana, l'episteme come parola greca significa "ciò che sta sopra".
Ciò che garantisce qualsiasi forma del sociale, che è sempre una forma dell'ideologia (e anche qui sorvoleremo, anche se a spizzichi e bocconi molti di voi hanno provato a introdurli come discorso), è proprio la sicurezza della propria individualità.
Ma l'individualità è garantita come parte, e dunque presupposto è sempre che esista una totalità.
Cercare lo spazio di questo assoluto, è ovviamente uno dei punti cardinali del pensiero cristiano.
Ma appunto è sempre qualcosa che ci stà sopra, che ci determina.
Come sappiamo oggi è la scienza ad avere il primato (ideologico) epistemico.
E dunque il destino della desertificazione dell'umano è già in atto. Il trans-umanesimo è solo uno degli infiniti aspetti in cui si presenta.
Oggi come oggi nessuno si pone la domanda dello spazio dell'assoluto.
E' finito il tempo delle domande. La filosofia è morta
Ma è proprio questa contraddizione che porterà la verità ad affermarsi come gloria: ossia che l'anima esiste.
Dunque non è qualcosa che possiamo controllare ma solo analizzare.
In poche parole la domanda dovrebbe essere una analitica dello spazio. E qui torniamo a Locke, Berkley e Kant.
Come dire ovviamente che la filosofia non è mai morta davvero. Si tratta però di ricomprendere le domande, sopratutto quando sono così complessive nella loro tensione storica.
Far finta che non siamo nell'età della tecnica, significa non comprendere più il senso del nostro domandare.
Non è questione di Locke, Berkley o Kant singolarmente, ma la comprensione di quello che con una felice frase Severino chiamo il sottosuolo della Terra (isolato).
Questo naturalmente non è facile.
Salve green demetr. Solo un piccolo inciso che non incresperà neppure il "mare magnum" nel quale sei solito navigare.
A proposito de : "(Ero rimasto alla domanda se il tempo fosse un ente o meno. Anche qui forse un giorno qualcuno vorrà riprenderla, mandatemi messaggio privato)" vorrei solo evidenziare quella che a mio parere è la differenza tra un ente ("ciò che è in modo determinato e riconoscibile" ed un'entità ("ciò che è in modo indeterminato e (almeno per il momento) inconoscibile").
Ecco...............secondo me il tempo proprio non esiste in quanto esiste l'accadere, in mancanza del quale - con ogni evidenza, viene a cadere sia la capacità percettiva che quella concettiva che ogni e qualsiasi "realtà" fisica connettibile all'esistenza di un qualsiasi "tempo". Saluti.
Citazione di: viator il 11 Febbraio 2020, 12:21:04 PM
Salve green demetr. Solo un piccolo inciso che non incresperà neppure il "mare magnum" nel quale sei solito navigare.
A proposito de : "(Ero rimasto alla domanda se il tempo fosse un ente o meno. Anche qui forse un giorno qualcuno vorrà riprenderla, mandatemi messaggio privato)" vorrei solo evidenziare quella che a mio parere è la differenza tra un ente ("ciò che è in modo determinato e riconoscibile" ed un'entità ("ciò che è in modo indeterminato e (almeno per il momento) inconoscibile").
Ecco...............secondo me il tempo proprio non esiste in quanto esiste l'accadere, in mancanza del quale - con ogni evidenza, viene a cadere sia la capacità percettiva che quella concettiva che ogni e qualsiasi "realtà" fisica connettibile all'esistenza di un qualsiasi "tempo". Saluti.
Ciao viator, si dici bene, l'accadere, l'evento sono i fatti principali su cui poi l'indagine scientifica si concentra. Hai però dimenticato lo spazio.
Infatti l'accadere avviene sempre in un posto. Anzi il posto, lo spazio è proprio determinato da un accadimento (l'insieme degli enti e la loro correlazione), è esattamente la filosofia di locke.
Da cui poi si innesta però la nuova concezione del tempo, inventata da kant.
Ossia che appunto il tempo è una estensione dello spazio, ossia la correlazione degli spazi/evento.
Dunque sì il tempo non esiste in sè.
Il punto è che fosse anche una estensione spazio-temporale (e con einstein la cosa è stata supposta e forse dimostrata) essa indica comunque una contraddizione.
infatti noi determiniamo l'intera nostra vita come se il tempo fosse reale.
io ho percezione del tempo che passa. mi chiedevo se questo fosse la contradizione del nostro tempo ossia del suo nichilismo secondo severino, o se invece il tempo stesso fosse un ente, e dunque una necessità della contraddizione affinchè qualcosa nel mondo APPAIA.
Se no tutto accade e avviene nello stesso istante di questo ente totale che è lo spazio-tempo.
il che non ha senso! in quanto noi stessi umani siamo parte della distinzione che qualcosa appare e qualcosa no.
mi rimane un rompicapo. infatti se togliamo la contraddizione allora noi siamo questo spazio-tempo universale, e non esiste alcun soggetto.
Insomma la problematica del tempo rimane, sebbene non esista!!!!
quindi siamo insieme d'accordo e no! ;) ;D
Noi siamo il tempo antropologico che non è lo spazio-tempo fisico il quale a sua volta, con buona pace di Severino, è temporizzato pure lui variando al variare del tempo. Il che contraddice un'altra superstizione metafisica: che non si possa studiare un fenomeno dall'interno. Forse la filosofia dovrebbe lasciare lo spazio-tempo ai fisici e a chi ci deve fare sopra calcoli per centrare il bersaglio nei viaggi interplanetari e nella standardizzazione degli apparati di comunicazione e concentrarsi di più sul tempo antropologico che è l'ente da cui è nato l'universo antropologico, Dio compreso.
Salve green demetr. Io ti ho fornito una precisazione soggettiva circa ciò di cui avevi parlato (il tempo). Se vogliamo spostarci allo spazio, esso sarà la dimensione complementare al tempo, legata all'inesistenza fisica del primo. Che le scienze fisiche (costruzione razionale immateriale) non possano funzionare in mancanza di parametri spazio-temporali è appunto conseguenza paradossale della loro propria natura (costruzioni immateriali convenzionali che si occupano di mettere ordine nella fisicità "obbiettiva" del mondo materiale !!).
Il mondo fisico, al di fuori della osservazione ed interpretazione umana, contiene solamente materia ed energia.
Se in esso includiamo l'osservatore umano, ecco allora che inesorabilmente costui porterà – a propria confusione – il proprio contenuto dimensionale a ciò che sta osservando. Aggiungerà al mondo - come osservato - il proprio psichismo sotto forma di spazio (dimensione appunto solo psichica con la quale noi percepiamo gli effetti dell'esistenza della materia) e di tempo (idem, idem per gli effetti dell'energia).
Infatti la proprietà tipica della materia è quella di occupare uno "spazio" (e questa è la percezione di chi la osservi) mentre la proprietà tipica dell'energia è quella di operare dei cambiamenti, degli eventi i quali appunto richiedono un "tempo" per verificarsi (altra percezione di chi vi assista).
Chi di noi è in grado di concepire un puro spazio privo di riferimenti materiali oppure un tempo nel quale nulla mai accada ?. Come mai la velocità (spazio / tempo) per venir da noi percepita o anche solo concepita necessita di riferimenti materiali od energetici ? Guardando dall'oblò di un'astronave verso un cielo privo di stelle non si percepirà mai il movimento per riferimento materiale, a meno che si verifichi una accelerazione o decelerazione ed il conseguente stavilirsi di un riferimento energetico con la variazione di stato inerziale generante una forza-peso. Saluti.
Citazione di: Ipazia il 12 Febbraio 2020, 13:47:36 PM
Noi siamo il tempo antropologico che non è lo spazio-tempo fisico il quale a sua volta, con buona pace di Severino, è temporizzato pure lui variando al variare del tempo. Il che contraddice un'altra superstizione metafisica: che non si possa studiare un fenomeno dall'interno. Forse la filosofia dovrebbe lasciare lo spazio-tempo ai fisici e a chi ci deve fare sopra calcoli per centrare il bersaglio nei viaggi interplanetari e nella standardizzazione degli apparati di comunicazione e concentrarsi di più sul tempo antropologico che è l'ente da cui è nato l'universo antropologico, Dio compreso.
Ma il filosofo che non legga della fisica non è un filosofo.
Comunque se intendi dire che il tempo antropologico è assai più importante del supposto tempo fisico, con me sfondi una porta aperta.
Naturalmente sono due campi della critica (della analisi) completamente differenti.
Sebbene Severino abbia fatto notare che nel destino della contradizione dell'apparire, ossia nella fenomenologia del tempo di cui si occupa l'antropologia, il tema della tecnica è inaggirabile.
Serve sia una attenzione particolare per non rimanere negli iperurani, ma anche mantenere una certa visione d'insieme dei processi fenomenologici. (essi siano un destino o meno).
Citazione di: viator il 12 Febbraio 2020, 22:39:58 PM
Salve green demetr. Io ti ho fornito una precisazione soggettiva circa ciò di cui avevi parlato (il tempo). Se vogliamo spostarci allo spazio, esso sarà la dimensione complementare al tempo, legata all'inesistenza fisica del primo. Che le scienze fisiche (costruzione razionale immateriale) non possano funzionare in mancanza di parametri spazio-temporali è appunto conseguenza paradossale della loro propria natura (costruzioni immateriali convenzionali che si occupano di mettere ordine nella fisicità "obbiettiva" del mondo materiale !!).
Il mondo fisico, al di fuori della osservazione ed interpretazione umana, contiene solamente materia ed energia.
Se in esso includiamo l'osservatore umano, ecco allora che inesorabilmente costui porterà – a propria confusione – il proprio contenuto dimensionale a ciò che sta osservando. Aggiungerà al mondo - come osservato - il proprio psichismo sotto forma di spazio (dimensione appunto solo psichica con la quale noi percepiamo gli effetti dell'esistenza della materia) e di tempo (idem, idem per gli effetti dell'energia).
Infatti la proprietà tipica della materia è quella di occupare uno "spazio" (e questa è la percezione di chi la osservi) mentre la proprietà tipica dell'energia è quella di operare dei cambiamenti, degli eventi i quali appunto richiedono un "tempo" per verificarsi (altra percezione di chi vi assista).
Chi di noi è in grado di concepire un puro spazio privo di riferimenti materiali oppure un tempo nel quale nulla mai accada ?. Come mai la velocità (spazio / tempo) per venir da noi percepita o anche solo concepita necessita di riferimenti materiali od energetici ? Guardando dall'oblò di un'astronave verso un cielo privo di stelle non si percepirà mai il movimento per riferimento materiale, a meno che si verifichi una accelerazione o decelerazione ed il conseguente stavilirsi di un riferimento energetico con la variazione di stato inerziale generante una forza-peso. Saluti.
Naturalmente la materia deriva da un processo entropico, in cui emerge il materiale.
Il soggetto non è sensibilmente attrezzato a intendere il mondo fisico come processo entropico.
Ma il segno matematico gli permette di intendere come processo puro, la sua ordinazione caotica (ossia statistica laddove riguarda lo spazio che emerge dalla materia che emerge dall'energia, vedi bosone di Higgs).
E' un modo di procedere scientifico più che filosofico, ovviamente per me.
Citazione di: green demetr il 14 Febbraio 2020, 09:56:15 AM
Citazione di: Ipazia il 12 Febbraio 2020, 13:47:36 PM
Noi siamo il tempo antropologico che non è lo spazio-tempo fisico il quale a sua volta, con buona pace di Severino, è temporizzato pure lui variando al variare del tempo. Il che contraddice un'altra superstizione metafisica: che non si possa studiare un fenomeno dall'interno. Forse la filosofia dovrebbe lasciare lo spazio-tempo ai fisici e a chi ci deve fare sopra calcoli per centrare il bersaglio nei viaggi interplanetari e nella standardizzazione degli apparati di comunicazione e concentrarsi di più sul tempo antropologico che è l'ente da cui è nato l'universo antropologico, Dio compreso.
Ma il filosofo che non legga della fisica non è un filosofo.
assolutamente d'accordo.
CitazioneComunque se intendi dire che il tempo antropologico è assai più importante del supposto tempo fisico, con me sfondi una porta aperta.
Prima di me l'ha rimarcato qualcuno ben più autorevole:
"Noi sentiamo che anche qualora tutte le possibili domande scientifiche avessero avuto risposta, i problemi della vita non sarebbero stati ancora neppure toccati. Certo, allora non resta più domanda alcuna, e questa appunto è la risposta." (L.Wittg.)CitazioneNaturalmente sono due campi della critica (della analisi) completamente differenti.
Sebbene Severino abbia fatto notare che nel destino della contradizione dell'apparire, ossia nella fenomenologia del tempo di cui si occupa l'antropologia, il tema della tecnica è inaggirabile.
Inaggirabile fin dalla prima scena di "Odissea nello spazio". Se invece di nasconderlo per millenni nelle nebbie dell'iperuranio lo avessimo posto sempre al centro della nostra attenzione, forse oggi non saremmo così sprovveduti innanzi ad esso.
CitazioneServe sia una attenzione particolare per non rimanere negli iperurani, ma anche mantenere una certa visione d'insieme dei processi fenomenologici. (essi siano un destino o meno).
Meglio tardi che mai.
Green demetr scrive
"ma il filosofo che non legga della fisica non è un filosofo"
Si può dire che chi non legge fisica si precluda la conoscenza di un certo ambito del reale, ma non che necessariamente gli si debba precludere della qualifica di filosofo. A meno che si consideri l'ambito fisico come quello totalizzante, nei confronti del quale ogni trascendenza, e dunque ogni punto di vista non ad esso riferito è impossibile. Questa è a tutti gli effetti una premessa filosofica, non fisica (il fisico in senso stretto dovrebbe limitarsi a stare nel suo campo senza avere la pretesa di sporgersi al di sopra e pretendere che oltre non vi sia nulla e dunque nessuna possibilità di riportare ogni forma di sapere diversa dalla sua al suo territorio). Questa premessa è quantomeno discutibile, ma penso che la si possa discutere senza che ci si ponga il problema, da una parte o dall'altra, di arrivare a delegittimare il modo in cui personalmente ci si definisce. Personalmente penso che ciascuno debba rivendicare la libertà di definirsi "filosofo" nella misura in cui ci dedica a delle tematiche, a cui corrisponderanno una adeguata forma mentis, distinte da quelle di cui si occupano le altre scienze, compresa la fisica. Un discorso filosofico che per definirsi tale necessiterebbe di vincolarsi a delle conoscenze di fisica sarebbe impossibilitato ad accedere ad un livello di realtà distinto da tali conoscenze, e dunque resterebbe a tutti gli effetti un discorso di fisica, fisica, che in questa ottica positivista e materialista resterebbe l'unica possibile. Delegittimare ogni filosofia che prescinda dalla fisica vorrebbe dire in pratica delegittimare ogni filone filosofico divergente dal materialismo e dal positivismo, e allora mi chiedo: in che definizione dovremmo squalificare ogni tesi tesa a rivendicare l'autonomia e l'irriducibilità di una dimensione spirituale rispetto alla materia (idealismo, fenomenologia trascendentale, realismo metafisico, personalismo ecc.)? Tutti mistici? Io troverei più corretto evitare questo atteggiamento un po' da "doganiere" in cui ci si arroga la pretesa di escludere dal novero dei filosofi tutti quelli che non sarebbero in possesso di requisiti la cui indispensabilità è affermata sulla base di premesse teoriche del tutto discutibili, come un bodyguard, senza offesa per nessuno, che lascia fuori dal concerto chi non ha il biglietto... molto meglio discutere e contestare il rigore logico o la validità dei ragionamenti, ma senza pensare di escludere nessuno da una comunità, i filosofi, in cui tutti possono riconoscersi, semplicemente in nome della passione riguardo certi temi e dell'approccio mentale, senza essere obbligati a condividere stessi assunti teorici
@Davintro
Concordo e rivendico anch'io la stessa libertà (anche se non capisco 'na mazza di fisica...e non sono un filosofo ;D ). E che è? Per fare il falegname occorre conoscere per filo e per segno tutta la fotosintesi clorofilliana delle piante? Se la conosci meglio, ma se non la conosci fai lo stesso delle sedie che sono sicuramente belle e interessanti "in sè" (nonchè utili)...
Chi non è un positivista materialista non può accettare un simile aut -aut... ::)
La filosofia indaga il rapporto tra nomos e fisis, tra convenzione e natura, ma se vi dico che non potete prescindere nemmeno dal diritto mi sa che vi viene un colpo...
Citazione di: niko il 14 Febbraio 2020, 18:44:46 PMLa filosofia indaga il rapporto tra nomos e fisis, tra convenzione e natura, ma se vi dico che non potete prescindere nemmeno dal diritto mi sa che vi viene un colpo...
Ma no!...Il cuore è sano e saldo... ;D
Salve. Secondo me la filosofia non può prescindere dall'evidenza fisica, dalla quale trarrà le "leggi" (i dettami) che stanno alla base di sua figlia, cioè della fisica scientifica. La quale ultima si occuperà di leggi, convenzioni, assiomi che NON SONO DIRETTAMENTE RICAVABILI DALL'EMPIRISMO, ma che VANNO INTERPRETATE ALLA LUCE DI UN NUOVO LINGUAGGIO, appunto quello inaugurato dalla scienza. Saluti.
Citazione di: niko il 14 Febbraio 2020, 18:44:46 PM
La filosofia indaga il rapporto tra nomos e fisis, tra convenzione e natura, ma se vi dico che non potete prescindere nemmeno dal diritto mi sa che vi viene un colpo...
Il filosofo soprattutto non può prescindere (Sophia nol consente) da physis e dall'episteme che ne deriva sia in campo ontologico che epistemologico. Nemmeno gli idealisti duri e puri ne possono fare a meno, salvo indaffararsi per intorbidare la visione. E
avvelenare il pensiero, come mette in guardia il profeta maledetto.
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credo andrebbe fatta una distinzione tra un livello materiale e uno formale. A livello "materiale", o meglio contenutistico, la filosofia può occuparsi di qualunque cosa, compresa la natura fisica, il diritto, la politica, l'arte ecc. ma si distinguerà a livello formale, per l'ambito di questioni in riferimento alle stesse cose, che però gli altri saperi tematizzaranno sulla base di diverse questioni. L'indipendenza della filosofia cioè non starebbe necessariamente nella separatezza delle sostanze che pone come oggetto di studio rispetto agli oggetti di studio della fisica (un'indipendenza in questo senso la identificherebbe con la teologia, che a mio avviso è "solo" una delle ramificazioni della filosofia, e non l'unica), ma nella distinzione della tipologia di questioni che però possono riguardare la stessa realtà sostanziale di cui si occupano gli altri saperi, come un tavolo che può essere visto da diverse angolature, ma resta lo stesso, e nella conseguente distinzione delle metodologie di ricerca adeguate alla risoluzione di queste questioni. Cioè si tratta di un'indipendenza non direttamente di contenuto, nel senso di "sostanza", ma metodologica e di interessi teorici. Se un uomo d'affari in viaggio per lavoro e un turista si recassero entrambi a Roma avrebbero la visione della stessa città, magari degli stessi luoghi, strade, edifici ecc. eppure le esperienze interiori che ne risulterebbero sarebbero diverse, perché seppur in riferimento agli stessi contenuti oggettivi, il peso emotivo, valoriale in cui questi contenuti sarebbero vissuti sarebbero diversi sulla base dei diversi interessi dei due viaggiatori, focalizzati sull'estetica per quanto riguarda il turismo, sulle attrattive di profitto economico per l'uomo d'affari, e questi due vissuti manterrebbero un loro distinto senso anche senza che i due si conoscano e assimilassero uno gli interessi dell'altro. Ovviamente il confronto arricchirebbe sempre, ma anche restando in se stessi le due esperienze seppur limitate, resterebbero a loro modo complete e sensate nei loro limiti. E allo stesso modo la filosofia necessita di un'intuizione della stessa realtà di cui si occuperebbe anche la fisica, ma ciò non implica che questa necessità si allarghi alle questioni per cui la fisica seleziona all'interno della visione del suo mondo i suoi obiettivi teorici. Il passaggio metafisico è necessitato dal rilevare l'insufficienza del mondo sensibile nel rispondere alle questioni filosofiche, e dunque la metafisica ha bisogno del punto di partenza della realtà fisica, anche per riconoscerne la necessità del superamento, ma non del modo specifico in cui la fisica intesa come disciplina indaga tale realtà, fisica che invece può benissimo restare appagata delle risposte che il mondo materiale offre senza bisogno della trascendenza, ma non perché abbia il potere di negarla, ma perché, in relazione alle questioni che le interessa, questo passaggio non è necessario (il che non esclude che invece lo sia per le questioni che invece interessano alla filosofia). In sintesi, non va confusa la fisica intesa come realtà dalla fisica intesa come disciplina, ed è per questo che il riferimento al "leggere la fisica" è improprio come vincolo per il filosofo, mentre sarebbe stato meno improprio parlare di "esperire la fisica", "vivere la fisica", come vincolo di tal genere.
Lo stessa metafora di Viator sulla filosofia "madre" della scienza, mi pare confermi questo carattere di indipendenza: una figlia esiste perché la madre la ha messa al mondo, una madre, a prescindere dal ruolo, esiste come persona prima dei figli, e la sua esistenza non dipende da essi. Fuor di metafora, la filosofia come sapere dei fondamenti delle altre scienze, visione che condividerei appieno, può essere tale solo se indipendente: se il fondamento necessitasse a sua volta di essere fondato da altro, non sarebbe tale, il fondamento e l'apriori e l'apriori è "assoluto", incondizionatezza da tutto ciò che è altro da sé
Citazione di: davintro il 14 Febbraio 2020, 16:17:07 PM
Green demetr scrive
"ma il filosofo che non legga della fisica non è un filosofo"
Si può dire che chi non legge fisica si precluda la conoscenza di un certo ambito del reale, ma non che necessariamente gli si debba precludere della qualifica di filosofo. A meno che si consideri l'ambito fisico come quello totalizzante, nei confronti del quale ogni trascendenza, e dunque ogni punto di vista non ad esso riferito è impossibile. Questa è a tutti gli effetti una premessa filosofica, non fisica (il fisico in senso stretto dovrebbe limitarsi a stare nel suo campo senza avere la pretesa di sporgersi al di sopra e pretendere che oltre non vi sia nulla e dunque nessuna possibilità di riportare ogni forma di sapere diversa dalla sua al suo territorio). Questa premessa è quantomeno discutibile, ma penso che la si possa discutere senza che ci si ponga il problema, da una parte o dall'altra, di arrivare a delegittimare il modo in cui personalmente ci si definisce. Personalmente penso che ciascuno debba rivendicare la libertà di definirsi "filosofo" nella misura in cui ci dedica a delle tematiche, a cui corrisponderanno una adeguata forma mentis, distinte da quelle di cui si occupano le altre scienze, compresa la fisica. Un discorso filosofico che per definirsi tale necessiterebbe di vincolarsi a delle conoscenze di fisica sarebbe impossibilitato ad accedere ad un livello di realtà distinto da tali conoscenze, e dunque resterebbe a tutti gli effetti un discorso di fisica, fisica, che in questa ottica positivista e materialista resterebbe l'unica possibile. Delegittimare ogni filosofia che prescinda dalla fisica vorrebbe dire in pratica delegittimare ogni filone filosofico divergente dal materialismo e dal positivismo, e allora mi chiedo: in che definizione dovremmo squalificare ogni tesi tesa a rivendicare l'autonomia e l'irriducibilità di una dimensione spirituale rispetto alla materia (idealismo, fenomenologia trascendentale, realismo metafisico, personalismo ecc.)? Tutti mistici? Io troverei più corretto evitare questo atteggiamento un po' da "doganiere" in cui ci si arroga la pretesa di escludere dal novero dei filosofi tutti quelli che non sarebbero in possesso di requisiti la cui indispensabilità è affermata sulla base di premesse teoriche del tutto discutibili, come un bodyguard, senza offesa per nessuno, che lascia fuori dal concerto chi non ha il biglietto... molto meglio discutere e contestare il rigore logico o la validità dei ragionamenti, ma senza pensare di escludere nessuno da una comunità, i filosofi, in cui tutti possono riconoscersi, semplicemente in nome della passione riguardo certi temi e dell'approccio mentale, senza essere obbligati a condividere stessi assunti teorici
Davintro lungi da me voler decidere in maniera giuridica cosa sia la filosofia, questo orrore lo lascio ad altri.
La mia era solo una inclinazione filosofica, la fisica complica infatti la tematica temporale. E la componente del tempo la ritengo fondamentale.
Detto questo se uno si vuole chiudere in una analisi che riguarda gli angeli, per me rimane filosofia.
Hai fatto bene a farlo notare, mi permetti di fare dei "distinguo" importanti.
Sono d'accordo con te.
La scienza non ha come scopo la tecnica bensì l'episteme dalla cui accuratezza è possibile una ricaduta tecnica. Al filosofo interessa tale risultato epistemico, sul quale non ha alcuna possibilità di competere producendo di meglio, perché solo a partire dall'episteme più accreditata è possibile fare un discorso filosofico ontologicamente fondato.
L'episteme è poco riguardosa degli alberi genealogici e si dà a chi la sa meglio comprendere, ovvero il sapere scientifico puro nella sfera naturale e le varie scienze umane nella sfera antropologica, lasciando alla filosofia il compito mica da poco di dare un senso a tutto ciò e di snidare impietosamente il nonsenso. Compito arduo, dove ad ogni bivio lo Holzweg sta in agguato.
la filosofia ha una propria episteme, con un proprio oggetto, i princìpi primi dell'Essere e del pensiero, e una propria metodologia, l'analisi logica deduttiva, non empirica, che indaga le relazioni concettuali tra i vari contesti intesi nella loro essenzialità, ciò in base a cui possiamo definirli, le scienze naturali usano una diversa metodologia, sperimentale, e basata sull'esperienza sensibile, i cui limiti le precludono l'accesso all'ambito dei princìpi assoluti oggetto della filosofia, e fissano il campo di pertinenza alle "cause seconde", cioè agli enti che possono spiegare causalmente i fenomeni senza aver la pretesa di porsi come cause prime, non necessitanti di esser ricondotti a cause logicamente preesistenti. Questa distinzione di piani di indagini e metodologie sancisce l'autosufficienza della filosofia, che non necessita di mutuare l'episteme delle altre scienze, se lo facesse, dovrebbe distogliere lo sguardo dal suo ambito metafisico originario e abbandonare la propria metodologia adeguata a tale ambito, in pratica, snaturare se stessa, e diventare un'altra cosa. L'episteme filosofica non è meno accreditata di quella naturalistica, al contrario è più scientifica, nella misura in cui si identifichi "scientifico" con ciò che garantisce la razionalità di un discorso, razionalità intesa come facoltà di mostrare la corrispondenza del discorso con la realtà oggettiva, emancipandolo dalla condizione mera doxa arbitraria. Mentre ogni sapere fondato sui sensi, sconta il margine di possibilità di errore dovuto alla non necessaria coincidenza fra percezione sensibile della cosa e cosa in sé, il sapere filosofico, che astrae dalla contingenza dei sensi per individuare l'essenza dei fenomeni, si pone al riparo da questa possibilità di errore, mirando a valutare la coerenza logica con cui i fenomeni considerati nel loro senso universale si connettono fra loro. Solo questo piano essenzialistico garantisce la certezza, in quanto è terreno di applicazione del principio di non contraddizione, verità universalmente evidente. Mentre posso dubitare della reale esistenza di un oggetto fisico di fronte a me, non posso dubitare della certezza di essere un soggetto pensante che sta dubitando, tramite il riconoscimento della relazione logica di appartenenza del dubbio all'idea di pensiero, sulla base di una corretta implicazione logico-deduttiva, che è sempre vera, in quanto poggia sulle idee generali di "dubbio" e "pensiero" che caratterizzano questi fenomeni in ogni circostanza, e che dunque non temono casi in cui questo riferimento possa venir meno. In questo senso il cogito cartesiano assume una valenza scientifica qualitativamente superiore rispetto a ogni tesi fisica fondata su esperimenti in cui la verità è vincolata alla contingente corrispondenza fra percezione sensibile e realtà oggettiva
Citazione di: davintro il 15 Febbraio 2020, 18:12:56 PM
la filosofia ha una propria episteme, con un proprio oggetto, i princìpi primi dell'Essere e del pensiero, e una propria metodologia, l'analisi logica deduttiva, non empirica, che indaga le relazioni concettuali tra i vari contesti intesi nella loro essenzialità, ciò in base a cui possiamo definirli,
Fatto salvi i principi primi dell'Essere che non ho mai avuto il piacere d'incontrare, tutto il resto appartiene al dominio della logica e dell'epistemo-logia, non del l'episteme.
Citazionele scienze naturali usano una diversa metodologia, sperimentale, e basata sull'esperienza sensibile, i cui limiti le precludono l'accesso all'ambito dei princìpi assoluti oggetto della filosofia, e fissano il campo di pertinenza alle "cause seconde", cioè agli enti che possono spiegare causalmente i fenomeni senza aver la pretesa di porsi come cause prime, non necessitanti di esser ricondotti a cause logicamente preesistenti.
Cause prime e seconde ?
CitazioneQuesta distinzione di piani di indagini e metodologie sancisce l'autosufficienza della filosofia, che non necessita di mutuare l'episteme delle altre scienze, se lo facesse, dovrebbe distogliere lo sguardo dal suo ambito metafisico originario e abbandonare la propria metodologia adeguata a tale ambito, in pratica, snaturare se stessa, e diventare un'altra cosa.
L'assioma delle cause prime e seconde è tutto da dimostrare prima di parlare di...
CitazioneL'episteme filosofica non è meno accreditata di quella naturalistica, al contrario è più scientifica, nella misura in cui si identifichi "scientifico" con ciò che garantisce la razionalità di un discorso, razionalità intesa come facoltà di mostrare la corrispondenza del discorso con la realtà oggettiva, emancipandolo dalla condizione mera doxa arbitraria.
... scientificità, mentre la razionalità formale di un discorso rimane sospesa nel nulla in assenza di riscontri reali.
CitazioneMentre ogni sapere fondato sui sensi, sconta il margine di possibilità di errore dovuto alla non necessaria coincidenza fra percezione sensibile della cosa e cosa in sé,
Dopo le "rivelazioni" epistemiche del secolo scorso la cosa in sé ne è uscita malconcia anche in quella nobile disciplina che un tempo si chiamava filosofia della scienza, mi pare.
Citazioneil sapere filosofico, che astrae dalla contingenza dei sensi per individuare l'essenza dei fenomeni, si pone al riparo da questa possibilità di errore, mirando a valutare la coerenza logica con cui i fenomeni considerati nel loro senso universale si connettono fra loro. Solo questo piano essenzialistico garantisce la certezza, in quanto è terreno di applicazione del principio di non contraddizione, verità universalmente evidente.
Temo che la ricerca fondamentale abbia dato qualche scossone di troppo alle certezze metafisiche e logiche della koiné classica e alle loro verità universalmente evidenti. Ci vuole altro che il rigore logico per individuare l'essenza dei fenomeni in assenza di riscontri empirici, dai quali solo possiamo desumere la catena causale degli stessi in cui nessuna causa prima resiste in eterno.
CitazioneMentre posso dubitare della reale esistenza di un oggetto fisico di fronte a me, non posso dubitare della certezza di essere un soggetto pensante che sta dubitando, tramite il riconoscimento della relazione logica di appartenenza del dubbio all'idea di pensiero, sulla base di una corretta implicazione logico-deduttiva, che è sempre vera, in quanto poggia sulle idee generali di "dubbio" e "pensiero" che caratterizzano questi fenomeni in ogni circostanza, e che dunque non temono casi in cui questo riferimento possa venir meno. In questo senso il cogito cartesiano assume una valenza scientifica qualitativamente superiore rispetto a ogni tesi fisica fondata su esperimenti in cui la verità è vincolata alla contingente corrispondenza fra percezione sensibile e realtà oggettiva.
Massimo rispetto per il dualismo cartesiano che descrive bene il fenomeno evolutivo dell'autocoscienza. Ma la sua indipendenza dalla res extensa può essere solo oggetto di fede di fronte ai riscontri sperimentali delle neuropsicoscienze. Peraltro neppure necessarie per conoscere la verità, essendo sufficiente staccare la spina. Il che offre pure interessanti indicazioni sull'eventuale causa prima del cogito. Lasciando inalterate tutte le cause seconde di interesse filosofico. Questo per un corretto e razionale ordinamento numerico dell'ontologia causale.
Citazione di: davintro il 15 Febbraio 2020, 18:12:56 PM
la filosofia ha una propria episteme, con un proprio oggetto, i princìpi primi dell'Essere e del pensiero, e una propria metodologia, l'analisi logica deduttiva, non empirica, che indaga le relazioni concettuali tra i vari contesti intesi nella loro essenzialità, ciò in base a cui possiamo definirli, le scienze naturali usano una diversa metodologia, sperimentale, e basata sull'esperienza sensibile, i cui limiti le precludono l'accesso all'ambito dei princìpi assoluti oggetto della filosofia, e fissano il campo di pertinenza alle "cause seconde", cioè agli enti che possono spiegare causalmente i fenomeni senza aver la pretesa di porsi come cause prime, non necessitanti di esser ricondotti a cause logicamente preesistenti. Questa distinzione di piani di indagini e metodologie sancisce l'autosufficienza della filosofia, che non necessita di mutuare l'episteme delle altre scienze, se lo facesse, dovrebbe distogliere lo sguardo dal suo ambito metafisico originario e abbandonare la propria metodologia adeguata a tale ambito, in pratica, snaturare se stessa, e diventare un'altra cosa. L'episteme filosofica non è meno accreditata di quella naturalistica, al contrario è più scientifica, nella misura in cui si identifichi "scientifico" con ciò che garantisce la razionalità di un discorso, razionalità intesa come facoltà di mostrare la corrispondenza del discorso con la realtà oggettiva, emancipandolo dalla condizione mera doxa arbitraria. Mentre ogni sapere fondato sui sensi, sconta il margine di possibilità di errore dovuto alla non necessaria coincidenza fra percezione sensibile della cosa e cosa in sé, il sapere filosofico, che astrae dalla contingenza dei sensi per individuare l'essenza dei fenomeni, si pone al riparo da questa possibilità di errore, mirando a valutare la coerenza logica con cui i fenomeni considerati nel loro senso universale si connettono fra loro. Solo questo piano essenzialistico garantisce la certezza, in quanto è terreno di applicazione del principio di non contraddizione, verità universalmente evidente. Mentre posso dubitare della reale esistenza di un oggetto fisico di fronte a me, non posso dubitare della certezza di essere un soggetto pensante che sta dubitando, tramite il riconoscimento della relazione logica di appartenenza del dubbio all'idea di pensiero, sulla base di una corretta implicazione logico-deduttiva, che è sempre vera, in quanto poggia sulle idee generali di "dubbio" e "pensiero" che caratterizzano questi fenomeni in ogni circostanza, e che dunque non temono casi in cui questo riferimento possa venir meno. In questo senso il cogito cartesiano assume una valenza scientifica qualitativamente superiore rispetto a ogni tesi fisica fondata su esperimenti in cui la verità è vincolata alla contingente corrispondenza fra percezione sensibile e realtà oggettiva
Mi sembra una vecchia posizione quella positivistica.
Ampiamente superata dalle infinite scienze linguistiche, logiche e persino scientifiche, che immaginano un mondo macro e micro.
Inoltre manca il fattore induttivo, che è poi quello che compete alla filosofia.
L'episteme resiste solo come indagine metafisica, ossia come se il reale fosse il naturale. Una metafisica vecchia e distrutta da Nietzche ed epigoni.
Vedi discorso sul nichilismo.
Rimarrebbe solo l'episteme di Severino, ossia quella delle infinite apparizioni dell'essere.
Come dice Sini una moltiplicazione degli enti.
Enti in quanto essenti.
Mi pare che gente come Godel o Turing, siano già passate.
In fisica la fisica relativistica, la scuola di copenaghen.
Sono tutte scienze che involontariamente hanno scalfito il vecchio primo motore immobile di aristotelica memoria.
Infatti la filosofia della scienza, è in fin dei conti la cronistoria delle infinite nuove epistemi.
Insomma non rimangono che i cocci di bottiglia frantumata per i positivisti.
(che pure esistono ancora, non sei il solo caro Davintro).
Citazione di: Ipazia il 15 Febbraio 2020, 16:21:01 PM
La scienza non ha come scopo la tecnica bensì l'episteme dalla cui accuratezza è possibile una ricaduta tecnica. Al filosofo interessa tale risultato epistemico, sul quale non ha alcuna possibilità di competere producendo di meglio, perché solo a partire dall'episteme più accreditata è possibile fare un discorso filosofico ontologicamente fondato.
L'episteme è poco riguardosa degli alberi genealogici e si dà a chi la sa meglio comprendere, ovvero il sapere scientifico puro nella sfera naturale e le varie scienze umane nella sfera antropologica, lasciando alla filosofia il compito mica da poco di dare un senso a tutto ciò e di snidare impietosamente il nonsenso. Compito arduo, dove ad ogni bivio lo Holzweg sta in agguato.
Vada per il tuo senso empirico su quello spirituale, ma indicare l'episteme come "la cosa più accreditata".
Siamo sempre al problema delle auctoritas.
Direi che l'episteme è solo un vuoto sistema formale per garantire lo spaccio ideologico, certo i complottismi sono dietro l'angolo, ma ritengo come un buon psicanlista ha affermato, che sia un bene che esistano (si sia d'accordo o meno).
Detto in termini che dovrebbero piacerti, sono le elite scientifiche, che determinano cosa sia scientifico e cosa no.
Termini che piacciono a T. Kuhn che ci ha scritto sopra un testo epocale.
Non ho detto la cosa, bensì il sapere più accreditato, che nel caso di physis è, fin dai tempi galileiani, quello scientifico, grazie al suo celebre metodo di ricerca induttivo-deduttivo che totalmente arbitrario non è.
Citazione di: Ipazia il 19 Febbraio 2020, 16:13:46 PM
Termini che piacciono a T. Kuhn che ci ha scritto sopra un testo epocale.
Non ho detto la cosa, bensì il sapere più accreditato, che nel caso di physis è, fin dai tempi galileiani, quello scientifico, grazie al suo celebre metodo di ricerca induttivo-deduttivo che totalmente arbitrario non è.
Certo che lo è. Basterebbe leggere quel ramo sconosciuto della fisica teorica alternativa, che mal conosco, e che manco mi interessa conoscere.
Aggiungiamo pure che, il metodo induttivo-deduttivo abbia dovuto lottare contro altre forme del sapere, lo dimostra la storia.
Inoltre appunto il metodo induttivo era ed è ampiamente discutibile. (oltre che falsificabile, non nel senso popperiano, intendo dire proprio nella diffusione dei dati).
Se poi ti riferisci ai progressi della tecnica, sai benissimo, basta leggere le autobiografie, che erano tutti autori anti-conformisti.
Che pochi abbiano fatto la differenza è un fatto, che la comunità schizoide creda sia merito di questa fantomatica scienza, deus ex machina prodigioso è un altra.
Che poi ogni cosa sia avanzata per motivazioni belligere lo vogliamo dimenticare?
Insomma andrei piano con le affermazioni apodittiche.
Se intendi dire che è la prassi che ti interessa, guarda che lo ho capito da un pò. E ti ripeto siamo d'accordo!
Citazione di: green demetr il 21 Febbraio 2020, 11:51:22 AM
Citazione di: Ipazia il 19 Febbraio 2020, 16:13:46 PM
Termini che piacciono a T. Kuhn che ci ha scritto sopra un testo epocale.
Non ho detto la cosa, bensì il sapere più accreditato, che nel caso di physis è, fin dai tempi galileiani, quello scientifico, grazie al suo celebre metodo di ricerca induttivo-deduttivo che totalmente arbitrario non è.
Certo che lo è. Basterebbe leggere quel ramo sconosciuto della fisica teorica alternativa, che mal conosco, e che manco mi interessa conoscere.
Aggiungiamo pure che, il metodo induttivo-deduttivo abbia dovuto lottare contro altre forme del sapere, lo dimostra la storia.
Come dimostra che, per fortuna mia e probabilmente anche tua, abbia vinto. Sulle vicissitudini del determinismo bisogna comunque essere dentro quella koiné per capirci qualcosa.
CitazioneInoltre appunto il metodo induttivo era ed è ampiamente discutibile. (oltre che falsificabile, non nel senso popperiano, intendo dire proprio nella diffusione dei dati).
Sì, lo scientismo ci sguazza indecentemente.
CitazioneSe poi ti riferisci ai progressi della tecnica, sai benissimo, basta leggere le autobiografie, che erano tutti autori anti-conformisti.
Ma è proprio questo il bello. In altri contesti li avrebbero arsi vivi. Oggi si limitano a verificare se si possono fare profitti.
CitazioneChe pochi abbiano fatto la differenza è un fatto, che la comunità schizoide creda sia merito di questa fantomatica scienza, deus ex machina prodigioso è un altra.
La morte di Dio ha lasciato la poltrona vacante e non è solo la natura ad aborrire il vuoto.
CitazioneChe poi ogni cosa sia avanzata per motivazioni belligere lo vogliamo dimenticare?
Insomma andrei piano con le affermazioni apodittiche.
Lungi da me l'apologo delle magnifiche e progressive sorti.
CitazioneSe intendi dire che è la prassi che ti interessa, guarda che lo ho capito da un pò. E ti ripeto siamo d'accordo!
Noi di formazione marxista amiamo coniugare la filosofia con la prassi. Ma non illuderti di risolvere la variegata galassia originata da Marx in una formuletta apodittica tra oggetto e soggetto. Offenderesti la tua intelligenza, ma non è questa (... l'assoluto... ) la sede per parlarne.