Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

Aperto da iano, 08 Ottobre 2025, 02:40:50 AM

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iano

Citazione di: Koba-san il 15 Ottobre 2025, 10:21:57 AMStai continuamente fraintendendo quello che scrivo, ti invito a leggere con più attenzione.
Se ho proposto il problema filosofico del criterio di oggettività ponendo come obbligo il rifiuto sia del realismo che della metafisica, evidentemente è perché anch'io non credo in una concezione della verità che derivi o dall'uno o dall'altra.
Non credo che di un oggetto si possa darne una rappresentazione vera.
Non credo che ci sia un Dio che in un modo o nell'altro faccia da garanzia alla conoscibilità autentica del mondo.
Qualcuno si potrebbe chiedere: perché allora cercare questa specie di "oggettività", un criterio di robustezza ecc.?
Semplice: perché coloro che cercano di trasformare le società non sono persone colte e gentile con cui sia facile trovare un accordo attraverso il dialogo.
In fondo è sempre lo stesso problema che ai tempi di Platone si presentava con certi sofisti (non tutti).
La stessa esigenza di un criterio per determinare la maggiore robustezza di un'opzione (per Platone, la verità).
Non è detto che esista una risposta.
Avevo premesso che usavo amor di critica, col rischio che tu non la meritassi.
In effetti ti dirò che è raro trovare una persona così competente in filosofia, (io non lo sono) e che allo stesso tempo si esprima in modo chiaro (io spero di farlo), dove l'esempio contrario per me è Cacciari .
Per quanto mi riguarda tutto è metafisica, compreso ciò che si mostra solido ed evidente, e che perciò diciamo oggettivo.
Cioè, le descrizioni sono metafisiche, e noi abbiamo direttamente anche fare solo condescrizioni, anche quando non sembrano tali, come l'apparenza di realtà, che acquistano solidità in ragione della nostra ignoranza, non dovendole conoscere perchè esse agiscano.
Critichiamo le metafisiche non perchè tali, ma perchè possiamo sottoporre a critica tutto ciò che salti alla coscienza.

Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

iano

La critica fa si che le metafisiche si moltiplichino, cambiando forma, ma restando indispensabili, come ciò che media fra realtà e sua apparenza, o forme ad essa alternative.
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

Alberto Knox

Citazione di: iano il 15 Ottobre 2025, 08:32:22 AMGli eventi fisici manifesti a chi?
La domanda sembra banale, ma ci sono eventi fisici manifesti a qualcuno e non ad atri, che fanno la differenza fra i cosiddetti pazzi, quando non animali, e i normali.
bhè, con eventi fisici manifesti intendevo le cause delle percezioni. Cosa causa le percezioni? le cose e gli eventi, le cose si chiamano così perchè rianda alla parola "causa" gli eventi pur non permanendo nello spazio e nel tempo causano la percezione.
Citazione di: iano il 15 Ottobre 2025, 08:32:22 AMNormale sembra essere ciò che viene condiviso, l'intersoggettivo.
Citazione di: iano il 15 Ottobre 2025, 08:32:22 AMUsando il linguaggio, attraverso la dialettica, si può condividere, ma ci si capisce parlando perchè c'è un condiviso costitutivo, che la fa da padrone.
Questo non è sempre vero Iano.  Le pieghe del linguaggio nascondono qualcosa di extralinguistico, che il linguaggio da sé non è in grado di attingere. Non sono più la singola parola o l'argomentazione a dover essere spiegate. Tutto va messo in causa, perché il linguaggio rinvia sempre a qualcosa di retrostante (il pensiero). Il linguaggio nella vita di homo sapiens non è asettico come un'astratta ratio, perché si regge su moventi, intenzioni e ordini di esperienza spesso non chiari e non formulati in sede linguistica.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

iano

Citazione di: Alberto Knox il 15 Ottobre 2025, 12:46:16 PMbhè, con eventi fisici manifesti intendevo le cause delle percezioni. Cosa causa le percezioni? le cose e gli eventi, le cose si chiamano così perchè rianda alla parola "causa" gli eventi pur non permanendo nello spazio e nel tempo causano la percezione.
Giusto, ma per parlare di oggettività occorrerebbe che ,cause ed effetti coincidano, o che  vi sia altro tipo di corrispondenza precisa, che agisca a nostra insaputa, talchè ci sembrerà che perchè la realtà appaia è sufficiente aprire gli occhi, come in effetti ci sembra.
E' in quest'ambito percettivo che noi abbiamo sviluppato quindi il concetto di oggettività.
Ma siamo autorizzati ad utilizzarlo quando cambia l'ambito?
In altri ambiti, come quello scientifico, non si ripetono le stesse condizioni.
Le leggi di corrispondenza sono quelle fisiche, ''vere'' fino a prova contraria, e sopratutto note.
Esse sono chiaramente una interpretazione soggettiva, perchè rimangono tali anche quando intersoggettive.
Quindi, se vogliamo ancora parlare di oggetti, dovremo ammettere che essi non sono ciò che costituisce la realtà, ma il prodotto della nostra interazione con la realtà.
Se sono il prodotto della nostra interazione con la realtà, non essendo noi assoluti, se pure la realtà lo sia, non saranno oggettivi in senso assoluto.
Certo, derivano dall'applicazione del metodo scientifico, ma essendo solo il frutto di un nostro accordo, dipendono da noi, cioè dagli osservatori.
I quanti non hanno l'oggettività di palle da biliardo, e per quanto detto non possiamo pretendere che ce l'abbiano.
Le palle da biliardo quando apriamo gli occhi sono sempre li, ma i quanti, quando applichiamo una teoria diversa , e magari nuova, dalla meccanica quantistica. non ci sono più.

Quello che in sostanza proviamo a fare è di ricostituire i concetti di oggettività, verità, solidità, concretezza, fuori dagli ambiti in cui sono nati, fallendo, come avrebbe dovuto essere prevedibile.
Se di ciò che pur non ci appare immediatamente oggettivo, cerchiamo una prova di oggettivtà, di quella prova esisterà sempre il contrario.
Non è con la filosofia che sono nati gli assoluti.
La filosofia si è limitata a considerarli, e considerarli significa rimetterli in gioco, come infatti è avvenuto, tanto che per sopravvivere si sono dovuti rifugiare nelle roccaforti delle religioni.


Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

iano

Citazione di: Alberto Knox il 15 Ottobre 2025, 12:46:16 PMQuesto non è sempre vero Iano.  Le pieghe del linguaggio nascondono qualcosa di extralinguistico, che il linguaggio da sé non è in grado di attingere. Non sono più la singola parola o l'argomentazione a dover essere spiegate. Tutto va messo in causa, perché il linguaggio rinvia sempre a qualcosa di retrostante (il pensiero). Il linguaggio nella vita di homo sapiens non è asettico come un'astratta ratio, perché si regge su moventi, intenzioni e ordini di esperienza spesso non chiari e non formulati in sede linguistica.
Eppure mi pare  che noi pensiamo come parliamo.
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

Alberto Knox

Citazione di: iano il 15 Ottobre 2025, 15:20:23 PMEppure mi pare  che noi pensiamo come parliamo.
Ascolta , noi abbiamo dato i significati alle parole per poter esprimere sensazioni,percezioni, emozioni, esperienze. Ma non tutti abbiamo le stesse sensazioni , le stesse percezioni , proviamo le stesse emozioni e abbiamo esperienza del medesimo accadimento allo stesso modo. Quindi non c'è in campo un solo modo di parlare ma molti. Il significato di una parola è solo il modo in cui viene usata all interno del particolare tipo dialettica messa in campo o gioco linguistico per dirla alla Wittgestein.Che cosa c'è dietro la frase "questa musica è molto gradevole"  una musica molto gradevole? il pensiero che elabora la frase per esprime la sensazione di gradevolezza mette insieme le parole giuste  ma allora che cosa è anteriore al linguaggio che utilizzeremo (il linguaggio è uno strumento di cui ci serviamo).
In questo caso ciò che è anteriore al liguaggio è un emozione, non un pensiero. Nel dire questo mi accorgo del mio stesso errore fatto in precendenza . Essendo che queste sono considerazioni che sviano dal tema principale credo che mi ritirerò mestamente in modalità solo lettura per  dirla alla Phil .
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

fabriba

Aggiungo che esistono studi (molti dei quali recenti) che dimostrano l'esistenza di forme di pensiero e capacità cognitive complesse che prescindono dal linguaggio.
(cercando online "pensiero senza linguaggio" dovresti trovare parecchi esempi)

Koba-san

[Rorty contro Nagel]
Ma se non esiste un criterio esterno di oggettività o comunque neutrale (come lo sguardo di Dio e del realista ingenuo, o come lo sguardo distante di Nagel), allora tutti i nostri giudizi vengono da pratiche discorsive specifiche, legate all'ambiente in cui viviamo.
Questo non significa però abbracciare un relativismo secondo cui ogni interpretazione ha lo stesso peso.
Infatti così facendo sarebbe come ammettere ancora l'esistenza di una posizione privilegiata – anche se si ritiene poi di non poterla assumere, che è impossibile e dunque una ricaduta nella metafisica – una posizione privilegiata "fantasma" da cui tutte le altre interpretazioni apparirebbero equivalenti.
In realtà noi occupiamo sempre un punto di vista specifico e i nostri giudizi sono l'espressione di esso.
Continuiamo a giudicare, a combattere, ma con la consapevolezza che lo facciamo a partire da dove siamo e da dove veniamo.

Se la filosofia è quindi costretta ad abbandonare la sua ossessione per il problema della conoscenza, vuol dire che è arrivata al termine della sua missione storica? Alla sua fine? O può avere ancora un compito?
Forse il suo compito è quello che indicava Jacopus alla fine della sua lista: la creazione del nuovo.
Non più custode della verità ma creatrice di nuove parole, di nuove possibilità
Una disciplina che si sforza di immaginare delle alternative.

Adalberto

@ Iano
Eppure mi pare  che noi pensiamo come parliamo.
@ Alberto Knox
ciò che è anteriore al liguaggio è un emozione, non un pensiero.
@ Koba.san che come last minute aggiungo or ora , leggendo che immagina delle alternative... ma infine a tutti..

Aiutatemi a capire, perchè in questo fiume sono... un pesce fuor d'acqua! :-)
Ecco, noi sorridiamo anche se la battuta è scema, ma fare un gesto come il sorriso non è solo l'espressione di una estemporanea emozione soggettiva,
il gesto è un'immagine che comunichiamo per indicare un cambio di stato. per segnalare  uno switch  su un canale di senso diverso, per uscire dal convenzionale ed esprimersi su una linea parallela  di pensiero e di senso, che può essere immagine poetica, mitica o altro.
E' uno switch sociale, che non è esclusiva dell'homo ludens ma presente anche negli animali, nei  cani che prima di azzuffarsi per giocano fanno un cenno con la testa per anticipare che non scorrerà il sangue.

La stessa iconcina gialla con la faccina è un' immagine come tante altre simboliche che ci permettono una comunicazione di senso  non verbale, Non mi riferisco a quelli sono diventati simboli identitari, bensì a quei segni che rimangono aperti a significati per i quali le parole non sono mai sufficienti, ad esempio i labirinti.

Voglio dire, non è  che pensiamo anche attraverso le immagini e i gesti/le azioni che compiamo?
E le parole, pri:e di un loro  unico significato incontrovertibili, non si tramutano esse stesse in immagini o gesti sonori, confondendoci come a Babele, pur parlando la stessa medesima lingua?

Ci son dei giorni smègi e lombidiosi...
ma oggi è un giorno a zìmpani e zirlecchi.
(Fosco Maraini)

Alberto Knox

Citazione di: Koba-san il 15 Ottobre 2025, 09:16:20 AMAd essere complesso non è il logos, ma l'accettazione e la giustificazione che logos e mondo abbiano la stessa struttura.
rientro in carreggiata:

la razionalità del reale costituisce infatti la faccia visibile del logos, ma ne esiste anche una faccia nascosta la cui visione disvela la realtà del razionale , secondo il noto aforisma di Hegel (ciò che è reale è anche razionale) . La giustificazione teorica di questa assunzione ( e quindi dell esistenza di enti di ragione) sta nell osservazione che ci sono verità che si possono conoscere con il solo pensiero. Altrimenti dire che "non ci sono verità che si possono conoscere con il solo pensiero" sarebbe già una verità che si può conoscere con il solo pensiero.  Questo argomento ha come implicazione e mostra che la logica è sufficiente a dedurre l esistenza di verità indipendenti dall esperienza , e costituisce il punto di partenza di un indagine conoscitiva complementare alla scienza. Daltro canto così è stato per una parte eccellente della scienza contemporanea , dalla relatività generale di Einstein alla meccanica quantistica relativistica di Dirac , i cui risultati sono stati ottenuti con analisi puramente logiche, ispirate da considerazioni metafisiche sulla natura ed esteitche sulla matematica . Per quanto  possa apparire irragionevole , l efficacia della logica offre l ultima ancora di salvezza al sapere, e si fonda sulla constatazione che tutto ciò che possiamo conoscere dell universo deve comunque adattarsi al nostro pensiero. 
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Koba-san

Citazione di: Alberto Knox il 16 Ottobre 2025, 12:53:38 PMrientro in carreggiata:
la razionalità del reale costituisce infatti la faccia visibile del logos, ma ne esiste anche una faccia nascosta la cui visione disvela la realtà del razionale , secondo il noto aforisma di Hegel (ciò che è reale è anche razionale) . La giustificazione teorica di questa assunzione ( e quindi dell esistenza di enti di ragione) sta nell osservazione che ci sono verità che si possono conoscere con il solo pensiero. Altrimenti dire che "non ci sono verità che si possono conoscere con il solo pensiero" sarebbe già una verità che si può conoscere con il solo pensiero.  Questo argomento ha come implicazione e mostra che la logica è sufficiente a dedurre l esistenza di verità indipendenti dall esperienza , e costituisce il punto di partenza di un indagine conoscitiva complementare alla scienza. Daltro canto così è stato per una parte eccellente della scienza contemporanea , dalla relatività generale di Einstein alla meccanica quantistica relativistica di Dirac , i cui risultati sono stati ottenuti con analisi puramente logiche, ispirate da considerazioni metafisiche sulla natura ed esteitche sulla matematica . Per quanto  possa apparire irragionevole , l efficacia della logica offre l ultima ancora di salvezza al sapere, e si fonda sulla constatazione che tutto ciò che possiamo conoscere dell universo deve comunque adattarsi al nostro pensiero.

Il fatto che il pensiero puro possa costruire conoscenze senza l'apporto diretto di osservazioni o dati empirici non dimostra che la realtà sia razionale, ma soltanto che la realtà viene letta anche attraverso i linguaggi della logica e della matematica.
Il successo di una teoria scientifica — che vale sempre a tempo determinato, fino a quando non verrà falsificata — non prova che la realtà sia come quella teoria la descrive.

In apertura del tuo post hai citato Hegel sul rapporto tra reale e razionale: ma per Hegel non esistono da una parte la realtà e dall'altra il logos umano, bensì soltanto la realtà pensata.

Poi però sembri tornare a un razionalismo classico, riaprendo la questione del rapporto tra mondo e logos, e suggerendo che le conoscenze provenienti dall'intuizione pura possano dirci qualcosa sulla struttura stessa del reale. Ma così si passa dal piano epistemologico a quello ontologico, compiendo uno sconfinamento che presuppone una concezione filosofica — razionalista e realista — propria di un pensiero pre-hegeliano, oggi difficilmente sostenibile.

baylham

"Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume".
Eppure Nietzsche sembra sostenere il contrario, l'eterno ritorno dell'identico.
Dubito che una ipotesi o l'altra possa essere falsificata, anche se ritengo più improbabile ed irrilevante la seconda.

Alberto Knox

Citazione di: Koba-san il 16 Ottobre 2025, 15:36:24 PMPoi però sembri tornare a un razionalismo classico, riaprendo la questione del rapporto tra mondo e logos, e suggerendo che le conoscenze provenienti dall'intuizione pura possano dirci qualcosa sulla struttura stessa del reale. Ma così si passa dal piano epistemologico a quello ontologico, compiendo uno sconfinamento che presuppone una concezione filosofica — razionalista e realista — propria di un pensiero pre-hegeliano, oggi difficilmente sostenibile.
Sto dicendo che la conoscenza passa necessariamente attraverso il pensiero , pensiero inteso come schemi concettuali . C'è un esempio che ho già fatto piu di una volta sul forum, quello della luna. Dire che "sulla luna ci sono montagne alte 4000 metri" sembra una conoscenza, un fatto puro e semplice che non dipende dal nostro pensiero , ma potremmo sapere che sulla luna ci sono montagne alte 4000 metri se non avessimo il concetto di luna, di montagna e di altezza? Non voglio confondere l'ontologia con l'epistemologia , quello che c'è ( e non dipende da schemi concettuali) e quello che sappiamo (che dipende da schemi concettuali). 
Citazione di: Koba-san il 16 Ottobre 2025, 15:36:24 PMIl fatto che il pensiero puro possa costruire conoscenze senza l'apporto diretto di osservazioni o dati empirici non dimostra che la realtà sia razionale, ma soltanto che la realtà viene letta anche attraverso i linguaggi della logica

Se la conoscenza fosse solo  intrisecamente costruzione , non c'è allora differenza di principio tra il fatto che noi conosciamo l oggetto A e il fatto che noi lo costruiamo e non ci sarebbe più alcuna differenza tra il fatto che ci sia un oggetto A e il fatto che noi conosciamo l oggetto A . E questo sì che sarebbe davvero difficilmente sostenibile. 
Non è poi così difficile gridare che "Il Re è nudo!" (cioè l' oggetto A) non è affatto vestito dalla fitta veste di schemi concettuali con cui la costruiamo per ottenere una conoscienza . Ma sta di fatto che il nostro rapporto col mondo passa necessariamente anche attraverso gli schemi concettuali. 
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

iano

Citazione di: Koba-san il 16 Ottobre 2025, 11:16:53 AM[Rorty contro Nagel]
Ma se non esiste un criterio esterno di oggettività o comunque neutrale (come lo sguardo di Dio e del realista ingenuo, o come lo sguardo distante di Nagel), allora tutti i nostri giudizi vengono da pratiche discorsive specifiche, legate all'ambiente in cui viviamo.
Questo non significa però abbracciare un relativismo secondo cui ogni interpretazione ha lo stesso peso.
Infatti così facendo sarebbe come ammettere ancora l'esistenza di una posizione privilegiata – anche se si ritiene poi di non poterla assumere, che è impossibile e dunque una ricaduta nella metafisica – una posizione privilegiata "fantasma" da cui tutte le altre interpretazioni apparirebbero equivalenti.
In realtà noi occupiamo sempre un punto di vista specifico e i nostri giudizi sono l'espressione di esso.
Continuiamo a giudicare, a combattere, ma con la consapevolezza che lo facciamo a partire da dove siamo e da dove veniamo.

Se la filosofia è quindi costretta ad abbandonare la sua ossessione per il problema della conoscenza, vuol dire che è arrivata al termine della sua missione storica? Alla sua fine? O può avere ancora un compito?
Forse il suo compito è quello che indicava Jacopus alla fine della sua lista: la creazione del nuovo.
Non più custode della verità ma creatrice di nuove parole, di nuove possibilità
Una disciplina che si sforza di immaginare delle alternative.
Se non c'è un modo univoco di descrivere la realtà,  il modo in cui la descriviamo dice qualcosa di noi, perchè noi pesiamo sulle nostre interpretazioni della realtà, e quindi le nostre interpretazioni ci dicono indirettamente chi siamo, e non solo chi siamo , ma chi siamo stati, privilegio di cui godiamo da qualche millennio, relativamente alla scrittura, o forse più se includiamo i manufatti e le pitture e ogni forma di rappresentazione.
Un criterio esterno di oggettività può servire se la realtà è una collezione di oggetti. Noi in effetti agiamo come se lo fosse, proprio come se ci trovassimo ad avere a che fare con degli oggetti.
Stabilito quindi quali siano questi oggetti attraverso un criterio esterno di oggettività, e stabilito con quali oggetti veri abbiamo a che fare, al di la di ciò che ci possa apparire, agiremo di conseguenza, adeguando il nostro comportamento a quegli oggetti.
Che effetto avrebbe su di noi questa standardizzazione?
Di divenire un essere vivente standard, la sua oggettivazione?
Ci siamo veramente impegnati fino in fondo a considerare le conseguenze della verità, se esistendo, noi la trovassimo?
Desideriamo trovare la verità , ma ci siamo chiesti davvero quali conseguenze avrebbe trovarla?
Ora, io non credo nella verità, ma ne posseggo il concetto, ed è pure alto, ed anzi cosi alto che resterei deluso se , trovandola, come prima conseguenza, avrei conferma che si riduca  a logos.
Voglio dire, per quanto un falegname timorato di Dio possa amare i suoi strumenti di lavoro, penso che resterebbe deluso di scoprire che Dio è una sega.

In breve, non credo che la verità esista, ma se esistesse sarei deluso di apprendere che si riduca a logos, per quanto lo possa amare.
Ma la penso soli io questa cosa?



Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

Koba-san

Citazione di: Alberto Knox il 16 Ottobre 2025, 23:36:55 PMSto dicendo che la conoscenza passa necessariamente attraverso il pensiero , pensiero inteso come schemi concettuali . C'è un esempio che ho già fatto più di una volta sul forum, quello della luna. Dire che "sulla luna ci sono montagne alte 4000 metri" sembra una conoscenza, un fatto puro e semplice che non dipende dal nostro pensiero , ma potremmo sapere che sulla luna ci sono montagne alte 4000 metri se non avessimo il concetto di luna, di montagna e di altezza? Non voglio confondere l'ontologia con l'epistemologia , quello che c'è ( e non dipende da schemi concettuali) e quello che sappiamo (che dipende da schemi concettuali).
Se la conoscenza fosse solo  intrinsecamente costruzione , non c'è allora differenza di principio tra il fatto che noi conosciamo l oggetto A e il fatto che noi lo costruiamo e non ci sarebbe più alcuna differenza tra il fatto che ci sia un oggetto A e il fatto che noi conosciamo l oggetto A . E questo sì che sarebbe davvero difficilmente sostenibile.
Non è poi così difficile gridare che "Il Re è nudo!" (cioè l' oggetto A) non è affatto vestito dalla fitta veste di schemi concettuali con cui la costruiamo per ottenere una conoscenza . Ma sta di fatto che il nostro rapporto col mondo passa necessariamente anche attraverso gli schemi concettuali.

Adesso ho capito. La posizione da te espressa è simile a quella di Hilary Putnam, che lui chiamava "realismo interno".
In pratica, nel realismo interno si ammette che nel processo conoscitivo le descrizioni della realtà dipendano dai nostri concetti; ma, nello stesso tempo, si sostiene che la bontà di tali descrizioni – la possibilità cioè di giudicare quali siano le migliori – derivi da un vincolo ontologico: non tutte le descrizioni si adattano bene alla realtà.

Nel relativismo critico, invece, la differenza tra le descrizioni (e quindi la possibilità di stabilire quale sia quella più "vera") non dipende da un vincolo ontologico, bensì da un vincolo culturale: dalle pratiche discorsive, dai contesti storici, dalle convenzioni che ne hanno determinato il senso.

Nel tuo esempio sulla conoscenza delle montagne della Luna, la differenza tra le due posizioni si può rendere così:

a) Realismo interno: ciò che c'è "là fuori" si esprime meglio attraverso il concetto di altitudine, perché tale concetto – insieme agli altri che appartengono allo stesso quadro descrittivo del mondo – si adatta meglio al reale. La precisione della descrizione nasce da una lunga storia di ipotesi e di creazione di concetti, ma il suo successo dipende alla fine dalla capacità di aderire alla realtà. Senza questo vincolo ontologico non potremmo più parlare di realismo.
Putnam fa l'esempio delle torte: la pasta è la realtà "bruta"; le forme di metallo che la contengono sono i nostri concetti, le nostre descrizioni. Ma non tutte le forme sono adatte a ottenere torte: possiamo essere creativi fino a un certo punto, perché esistono vincoli legati alla natura stessa della pasta che non possiamo ignorare.

b) Relativismo critico: non c'è nessun vincolo ontologico. I concetti di altitudine, montagna, satellite naturale costituiscono una descrizione privilegiata solo perché coerente con una storia culturale complessa, nella quale hanno assunto progressivamente un ruolo centrale. L'interpretazione di ciò che c'è "là fuori" in termini di rilievi e avvallamenti ha senso solo entro una cultura che, nel corso della sua storia, ha sviluppato una predilezione per questo tipo di descrizioni morfologiche, rendendo per noi "naturali" tali concetti.

A questo punto, però, non molliamo il relativista e gli chiediamo: ma ci sarà pure un motivo per cui, nell'evoluzione culturale, si è data priorità alla descrizione morfologica piuttosto che, ad esempio, a mappe olfattive o a trame simboliche?
Da qui può prendere tre strade:
a) avvicinarsi a Putnam, ammettendo che esistano vincoli imposti dal reale;
b) riproporre una versione di Kant, sostenendo che tale priorità dipende da caratteristiche neurobiologiche proprie di homo sapiens;
c) oppure insistere nel suo relativismo e spiegare che si tratta comunque di un lungo processo di elaborazione culturale, un lavoro creativo che, partendo da visioni inizialmente arbitrarie, giunge a descrizioni via via più sofisticate e operative; ma questo non toglie che un'altra cultura, con concetti completamente diversi, avrebbe potuto ottenere lo stesso successo.

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