Un saluto a tutti e ben ritrovati.
Come qualcuno ricorderà, nel post Nietzsche, l' oltreuomo etc. del precedente sito avevo avviato la lettura di Genealogia della morale. Fortunatamente avevo soltanto posto le premesse, cosicché posso tranquillamente avviarne la lettura in questo post in questo nuovo sito senza grandi problemi. Essendo l' altro sito ancora in lettura, chi avesse bisogno di documentarsi, non deve fare altro che connettersi ed andare a rintracciare gli ultimi interventi del post che ho indicato, e che per altro figura tra i primi della prima pagina.
'L' uomo e il suo diritto al futuro' è un titolo che mi è parso sempre più idoneo per raccogliere il tema portante della filosofia di Nietzsche. Titolo che mi si è presentato in caratteri sempre più grandi attraverso una approfondita lettura di Genealogia della morale. Infatti Nietzsche afferma che la stesura degli argomenti di Genealogia della morale fu avviata in Umano Troppo Umano, ma li fa risalire a molto prima. E il fatto stesso che essi siano 'cresciuti e concresciuti ( citazione dal prologo ) gli uni negli altri legandosi sempre più strettamente insieme, rafforza in me la lieta fiducia che sin dagli inizi essi non siano nati separatamente ma da una volontà della conoscenza che esercita il suo dominio nel profondo'.
E questo, per rispondere anche a Maral, è il motivo per cui nessuno può avocare a sè il diritto di sostituirsi al filosofo, perché soltanto nel filosofo si ha questa caratteristica, l' amore e la profondità nella ricerca della conoscenza.
Questo infatti, continua Nietzsche, è ciò che si addice ad un filosofo. Non abbiamo nessun diritto di essere isolati in qualsivoglia cosa, non ci è concesso né di sbagliare isolatamente né di arrivare isolatamente alla verità.
L' amara verità, come afferma altrove Nietzsche sempre nel Prologo, è che purtroppo il presente, con l' incedere dell' importanza data alla compassione e il delinearsi del Nichilismo, forma occidentale del buddismo, sembra stia vivendo a scapito del futuro. Negando addirittura un futuro. E che l' argomento determinante è proprio lo studio della genealogia della morale.
E riprendendo il secondo paragrafo, conclude:
E' invece piuttosto vero che con la stessa necessità con cui un albero porta i suoi frutti noi produciamo i nostri pensieri, i nostri valori, i nostri sì e no, i se e i forse, affini tra loro e tutti insieme coincidenti, testimonianza di una volontà, di una salute, di un regno terreno, di un sole. Questi nostri frutti vi piaceranno? Ma questo per l' albero non ha alcuna importanza! Questo non ha alcuna importanza per noi, noi filosofi!....
Grazie per la cortese attenzione. E a presto.
Garbino Vento di Tempesta.
Ciao Garbino,ben ritrovato anche a te :)
Dall'ultima volta in cui si è trattata la filosofia nicciana,ho deciso di rimettermi in pari e incominciare a rileggere "genealogia della morale" . Almeno cosi spero di seguire con una certa cognizione di causa i tuoi commenti all'opera.
Il titolo che hai scelto è abbastanza indicativo del pensiero di Nietzsche,il filosofo del divenire per eccellenza. In particolare egli ritiene gli uomini superiori gli unici in grado in garantire un futuro a sé stessi e agli altri: cos'è questa se non la vera definizione di potenza,spesso confusa con il concetto di forza ("non la forza,ma la costanza di un alto sentimento fa gli uomini superiori",aforisma 72 di "al di là del bene e del male") . Chi ha letto l'Anticristo,si ricorderà certamente il forte rammarico di Nietzsche per l'eredità dell'impero romano andata perduta proprio a causa dell'azione nichilista messa in atto dal cristianesimo.
Quali sono i valori che sostengono la vita? E quali quelli che l'attecchiscono?
A questo proposito genealogia della morale si propone di indagare l'origine degli ideali,le motivazioni che si celano dietro la loro creazione ("quanto sangue e quanto orrore è al fondo di tutte le cose buone"),l'effetto fisiologico che ne consegue. Presa in questo senso quest'opera può essere considerata il primo passo verso la "trasvalutazione dei valori" che il filosofo tedesco non fu purtroppo in grado di proseguire dopo il già citato Anticristo.
Anch'io ho appena finito di leggere "Genealogia della morale" e ci sto riflettendo ("ruminando") sopra. Senza dubbio tre saggi molto interessanti che offrono molti motivi di riflessione. Appena sarò riuscito a tirare le somme aggiungerò qualche mia osservazione in merito. :)
Ben ritrovato Garbino.
Io per parte mia sto tentando di riprendere Umano troppo Umano, libro che evidentemente ho sottovalutato,
perchè nella seconda parte ha avuto una improvvisa "accelerazione di senso" che mi ha portato in grave ammenda interpretativa.
Rileggendo i primi 4 aforismi, posso già dirti, che il titolo da te scelto è perfetto.
In effetti anche in Umano troppo Umano, Nietzsche affronta in primis quello che a questo punto, con le tue aggiunte, è il suo problema futuro: la descrizione dei "nuovi uomini che verranno".
Egli stesso si rende conto della immane prova ermeneutica che lo attende.
Ed egli solo è ancora ad oggi, l'unico che è stato in grado di riuscirci (fin dove ha potuto).
Nietzsche: l'uomo e il suo diritto al futuro.
Scusate il ritardo ma ho avuto un periodo un po' burrascoso e non ho potuto dedicarmi a questo post. Tra l' altro con grande soddisfazione sono riuscito ad ottenere dalla telecom adsl e perciò: Eureka!
Ringrazio Memento, Maral e Green Demetr per i loro interventi e sono molto motivato dal fatto che tutti hanno affrontato o riaffrontato la lettura di Genealogia della morale e questo proprio perché avrò degli interlocutori di tutto rispetto per risolvere i miei dubbi e dilemmi su alcune parti dell' opera.
Il primo di questi lo troviamo nella Prefazione. Essa si svolge seguendo lo schema da me indicato nei post della premessa. Le sue caratteristiche sono infatti quelle di accattivarsi il lettore e di predisporlo nel migliore modo possibile alle verità scomode che verranno in seguito. Anche se qualche piccola verità scomoda appare anche in essa.
Ma ciò che mi ha colpito e non riesco a risolvere è, a mio avviso, la palese contraddizione che regna tra il primo paragrafo e il resto della Prefazione.
Nel primo paragrafo si ci presenta come dei ricercatori di conoscenza che non si riconoscono come tali, e questo proprio per affermare che: ognuno è per sé stesso la cosa più lontana.
Ma poi nel resto della Prefazione ci si presenta come filosofi e come ricercatori della conoscenza che sanno benissimo di essere tali. E questo mi ha lasciato piuttosto perplesso.
Per chiudere sul primo paragrafo, tra parentesi, vorrei porre in evidenza la doppia esperienza temporale dei dodici rintocchi da cui ipotizzo che Freud abbia tratto lo spunto per elaborare l' esempio che gli servirà per cercare di dimostrare che il sogno ha la funzione principale di difendere il sonno stesso.
Nel terzo paragrafo fa capolino la domanda di quali siano le condizioni in cui l' uomo si è inventato i giudizi di valore buono e cattivo e se essi hanno favorito o no la vita.
Nel quarto troviamo l' accenno all' opera di Paul Ree " Origine dei sentimenti morali " che lo aveva attratto proprio perché l' aveva trovata nel contesto agli antipodi di ciò che lui stesso aveva elaborato sull' argomento.
Nel quinto troviamo la prima verità scomoda in riferimento al suo grande maestro Schopenhauer che proprio per aver tinto d' oro la compassione e l' autosacrificio aveva finito per dire no alla vita e a sé stesso. E in coda appare la considerazione che fino ad allora i filosofi avevano sempre ritenuto la compassione negativamente ( citando Platone, Spinoza, La Rochefoucauld e Kant diversissimi tra loro ma simili proprio nel disprezzo della compassione ). E in ciò vede appunto configurarsi un ambiente sociale e culturale che fa ammalare anche i filosofi mettendo in risalto il dire no alla vita che caratterizza il Nichilismo Europeo.
Nel sesto e nel settimo si augura che ci si incominci a porre il grande problema del perché la morale sia stata sempre accettata senza metterla in discussione, mentre invece secondo Nietzsche risulta essere l' argomento più importante che bisognerebbe affrontare.
L' ottavo ed ultimo paragrafo è una vera perla. Parte dalla considerazione che l' opera sarà di difficile accesso e che potrà anche risultare sgradevole. Come lo sono state tutte le sue opere precedenti.
E poi pone il problema degli aforismi la cui lettura non comporta automaticamente la comprensione degli stessi. E che anzi da quel momento è necessaria un' arte dell' interpretare che lui evidenzierà nel terzo saggio che parte da un' aforisma e lo stesso saggio ne rappresenta l' interpretazione. Ma per poter accedere ad una simile arte è necessaria una cosa per cui bisogna essere più simili ad una mucca e meno che mai ad un uomo moderno.
E, come Maral ha posto in evidenza nel suo post, questa caratteristica è: il Ruminare.
Grazie a tutti per l' attenzione. Garbino Vento di Tempesta.
Citazione di: Garbino il 08 Maggio 2016, 11:16:53 AM
Nel sesto e nel settimo si augura che ci si incominci a porre il grande problema del perché la morale sia stata sempre accettata senza metterla in discussione, mentre invece secondo Nietzsche risulta essere l' argomento più importante che bisognerebbe affrontare.
Mi chiedo se proprio alla luce di quanto scrive Nietzsche nel terzo saggio sulla figura dell'asceta e sulla morale che egli predica contro la vita, non si riveli proprio questa morale come espressione paradossale dell'estrema potenza vitale. L'asceta in ultima istanza nutre infatti un'estrema volontà di potenza, talmente estrema che giunge a negare con la scelta del mezzo morale la vita stessa da cui è prodotta. In tal caso il nichilismo ascetico non è semplicemente ciò va negato in nome della vita, ma sottile espressione della estrema potenza della vita che per affermarsi non arretra nemmeno davanti all'autonegazione.
Ci sento in tal caso qui qualcosa di simile all'eterno ritorno, voluto da una volontà che vuole rendersi talmente assoluta da scegliere di annullarsi nell'ineludibile eterno identico ripetersi delle cose.
Citazione di: Garbino il 08 Maggio 2016, 11:16:53 AM
Nietzsche: l'uomo e il suo diritto al futuro.
Scusate il ritardo ma ho avuto un periodo un po' burrascoso e non ho potuto dedicarmi a questo post. Tra l' altro con grande soddisfazione sono riuscito ad ottenere dalla telecom adsl e perciò: Eureka!
Ringrazio Memento, Maral e Green Demetr per i loro interventi e sono molto motivato dal fatto che tutti hanno affrontato o riaffrontato la lettura di Genealogia della morale e questo proprio perché avrò degli interlocutori di tutto rispetto per risolvere i miei dubbi e dilemmi su alcune parti dell' opera.
Il primo di questi lo troviamo nella Prefazione. Essa si svolge seguendo lo schema da me indicato nei post della premessa. Le sue caratteristiche sono infatti quelle di accattivarsi il lettore e di predisporlo nel migliore modo possibile alle verità scomode che verranno in seguito. Anche se qualche piccola verità scomoda appare anche in essa.
Ma ciò che mi ha colpito e non riesco a risolvere è, a mio avviso, la palese contraddizione che regna tra il primo paragrafo e il resto della Prefazione.
Nel primo paragrafo si ci presenta come dei ricercatori di conoscenza che non si riconoscono come tali, e questo proprio per affermare che: ognuno è per sé stesso la cosa più lontana.
Ma poi nel resto della Prefazione ci si presenta come filosofi e come ricercatori della conoscenza che sanno benissimo di essere tali. E questo mi ha lasciato piuttosto perplesso.
Effettivamente Nietzsche non da immediata spiegazione di questo passaggio. E quando parla al plurale risulta essere sempre molto ambiguo,perché non si conosce bene quale possa essere il referente oltre che lui stesso.
Detto questo,per rispondere ti rimando verso la fine dell'opera,precisamente al nono e al decimo paragrafo del terzo saggio. In questo punto Nietzsche analizza lo stretto rapporto che lega filosofia e ideali ascetici. In sintesi, ci dice che la filosofia è stata a lungo vista con diffidenza e disprezzo,e proprio il tipo dell'asceta si è offerto come utile travestimento per ottenere onori e rispetto
(riecheggia in questo discorso l'aforisma "ciò che è profondo ama la maschera"). Il filosofo,il ricercatore della conoscenza, ha dovuto rinnegare sè stesso e la propria coscienza per essere solo possibile,per sopportarsi ed essere sopportato. Nietzsche paragona questo stato al bozzolo che ospita la larva che dovrà diventare poi insetto,forma autonoma e in sé compiuta. Chi potrà assumersi i rischi e le responsabilità di una conoscenza libera e scevra da verità assolute e universali? O libera proprio dal peso della verità stessa?
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
X Memento.
I due paragrafi che hai menzionato sono veramente favolosi. La chiarezza con cui Nietzsche esprime quello che secondo lui è stato l' aspetto psicologico dei primi filosofi non solo è logico ma anche il più probabile. Ma, a mio avviso, non spiega la contraddizione tra il primo e gli altri paragrafi della Prefazione. Quello che intendo è che se Nietzsche avesse voluto celare qualcosa l' avrebbe esteso a tutta la Prefazione non limitandolo solo al primo paragrafo. Comunque sono sempre qui nel caso che tu voglia approfondire l' argomento. Inoltre hai sicuramente ragione ad esporre i tuoi dubbi sul 'noi' di Nietzsche. Infatti quando lo usa lo si può quasi sempre intendere come un pluralia maiestatis, e perciò sostituirlo con il soggetto: ' Io '. Cosa che del resto lui stesso afferma più volte in diverse opere e prefazioni. La solitudine culturale a cui l' ha costretto la sua genialità non solo non gli è mai piaciuta, ma sicuramente ha anche accelerato i problemi a livello psichico.
X Maral.
L' argomento che tu esponi sarà indispensabile trattarlo quando arriveremo al terzo saggio. Per il momento esprimo la considerazione che si tratta di un argomento sicuramente controverso e che difficilmente si potrà dirimere. Comunque sarà veramente interessante approfondirlo. La mia opinione è che l' ideale ascetico diventa la volontà di potenza più forte nei periodi di decadenza. Nei periodi di ascesa lo diventa quello aristocratico ( nel senso Nietzschano del termine ).
Un' ultima premessa prima di iniziare la lettura dell' opera. Per la Prefazione ho seguito la scaletta dei paragrafi, ma per l' opera ho intenzione di seguire il filo logico meno intricato senza seguire i continui cambiamenti di percorso che Nietzsche usa seguendo il suo schema narrativo.
Il primo saggio: Buono e mavagio, buono e cattivo, ci aspetta al prossimo intervento.
Grazie per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Bene, seguendo l'ordine dei tre saggi, riporto alcuni punti che avevo sottolineato nel primo per offrirli a una riflessione più attenta e accurata della mia.
Nietzsche dichiara in introduzione il bisogno di una critica dei valori morali, ossia di porre in questione il valore di questi valori, sospettando evidentemente che questi valori, per come sono venuti a conformarsi, non siano per nulla valori, anzi neghino il vero valore e comincia appunto, nel primo saggio con l'affrontare il significato dell'agire morale, riconducendolo all'origine, alle sue fondamenta e molto esplicitamente dice:
"Sono stati gli uomini buoni, cioè i nobili, i potenti, gli uomini di ceto superiore e sentimenti elevati a sentire e definire se stessi e le loro azioni come buoni, cioè di prim'ordine, e in antitesi a tutto ciò che è volgare, comune e plebeo... l'utilità non li interessava affatto il punto di vista dell'utilità (col suo calcolo)... è quanto di più estraneo e inadeguato si possa pensare."
Il giudizio morale appare qui subito come giudizio di una pura espressione vitale scevra da qualsiasi valutazione di calcolo utilitaristico (e questo la dice lunga rispetto al pensiero calcolante che formalmente domina e struttura la contemporaneità: esso apparirebbe a N. come radicalmente immorale). Buona è la posizione aristocratica, in quanto elevata e spiritualmente privilegiata, che gode orgogliosamente di una piena salute vitale, funzionale alla vita, mentre cattiva è quella plebea, debole e volgare. L'aristocratico è, come per gli antichi, il guerriero consapevole e sincero possessore della propria forza vitale, contrapposto al mentitore, ossia all'uomo comune.
Ma buono è anche mantenersi in salute e qui scrive, spiegando l'origine dell'idea di purezza:
"Il puro è originariamente solo essere umano che si lava, che evita certi cibi in grado di provocare malattie cutanee."
Compare proprio qui la figura sacerdotale (medico- sacerdotale si potrebbe dire), depositaria di riti di purificazione in grado di garantire la buona salute del corpo vitale. Nietzsche ravvisa il popolo ebreo come popolo sacerdotale in cui inizia "la rivolta degli schiavi nella morale ... che ha vinto" come morale dell'uomo comune, spazzando via i signori. Questa rivolta ha quindi inizio nella morale, nel momento in cui il ressentiment verso chi gode di una salute naturale diventa esso stesso creatore e produce valore. E' come se il sacerdote sostituisse alla sua ritualità igienico purificatrice, la possibilità di sottrarre la forza a chi quella forza possiede di natura, facendo leva sul risentimento di chi non la possiede. La rivolta esprime una pura reazione contro un mondo esterno antagonista e necessita di uomini ben più avveduti degli aristocratici, capaci di costruire ideali grazie ai quali la debolezza possa passare per merito e la ritorsione apparire come trionfo della giustizia. Gli Ebrei erano quel popolo sacerdotale capaci di tanto, il popolo del risentimento per excellence, a cui era innata un'ineguagliabile genialità popolare.
Mi paiono essenziali per intendere nel giusto senso questo discorso, queste parole di sapore spinoziano (e si noti che Spinoza, ammirato da Nietzsche, era ebreo e partecipava di quella cultura) che Nietzsche scrive nel saggio:
Non esiste un sostrato libero di manifestare o no la forza, non esiste nessun essere dietro il fare, l'agire, il divenire: colui che fa è soltanto un accessorio inventato dal fare- il fare è tutto... Come se anche la debolezza del debole, cioè la sua essenza, il suo agire, tutta la sua unica, inevitabile, non redimibile realtà fosse una prestazione volontaria, qualcosa di voluto, di scelto, un'azione, un merito. Per questa specie di uomini creare un soggetto indifferente, libero di scegliere è una necessità. Il soggetto (ovvero, per dirla più popolarmente, l'anima) è stato sino a oggi sulla terra il miglior articolo di fede, perché ha permesso alla maggioranza dei mortali, dei deboli, degli oppressi di ogni tipo, quella sublime mistificazione di sé che interpreta anche la debolezza come libertà, il suo essere così e così come merito.
Aggiungo la definizione che Nietzsche qui anticipa per il nichilismo e che verrà ripresa e meglio chiarita nei saggi successivi
La vista dell'uomo rende ormai stanchi- e che cos'è oggi il nichilismo se non questo?...siamo stanchi dell'uomo...
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Genealogia della morale inizia con una caricatura altamente ironica e sarcastica nonché molto feroce nei confronti dei pensatori inglesi che, come Paul Ree, avevano cercato di delineare la genealogia della morale e soprattutto quella dei termini buono e cattivo. Nietzsche è sempre molto adirato nei confronti di chi, secondo lui, attenta alla verità con elaborazioni poco intelligenti e lontane da qualsiasi probabilità di verità.
Nel contesto li definisce ranocchi che sguazzano nell' uomo nel loro ambiente più consono, e cioè la palude; e lo fanno come microscopisti che mettono in primo piano sempre la parte untuosa dell' uomo peccando nei confronti dello stesso orgoglio del genere umano.
La loro teoria sarebbe che il termine buono fu coniato nei riguardi di azioni non egoistiche ritenute utili da chi le aveva ricevute. Poi questo motivo nel tempo era stato obliato e le azioni non egoistiche erano diventate nel tempo buone di per sé. Nietzsche denuncia questa teoria come non razionale e non valida a livello psicologico, ritenendo che se mai nel tempo l' utilità sarebbe divenuta sempre più vivida e non certo obliabile. Inoltre cita ad esempio la teoria di Spencer che se anche falsa ritiene valida sia a livello razionale che psicologico. E questa teoria afferma che nei termini buono e cattivo si è venuto riconoscendo ciò che da sempre è stato utile e ciò che è stato dannoso. In merito penso che la teoria di Spencer non sia del tutto sbagliata ma che abbia riguardato soprattutto zone al di fuori dell' occidente anche per lunghi periodi, mentre in occidente saltuariamente, per brevi periodi e in zone molto limitate.
Trovo invece molto più probabile per l' occidente, ma anche altrove ad esempio in Giappone, la teoria di Nietzsche, come segnala Maral nell' ultimo post, che sono stati i buoni, e cioè i dominatori che si sono ritenuti buoni e buono tutto ciò che facevano.
La stessa lingua è una creazione di questi buoni, gli aristocratici, i possidenti, che usavano un suono per ogni cosa e in questo modo se ne impossessavano.
E la teoria viene dimostrata seguendo le varie etimologie del termine buono in ogni cultura antica, riportando termini greci romani e tedeschi, come ad esempio lo stesso nome di diversi popolazioni germaniche che comportano il termine goto che è di chiaro riferimento divino.
Dal ritenersi buoni e buono tutto ciò che si fa, nonché veritieri, coloro che non mentono, scaturisce di riflesso un termine in riferimento a chi è dominato, infelice, menzognero e perciò cattivo. E' appunto dal pathos della distanza tra dominatori e sottomessi che Nietzsche identifica la più probabile genealogia dei termini buono e cattivo. E, a mio avviso, come ho già detto, a ragione.
A questo punto Nietzsche apre l' argomento riguardante quelle classi dominatrici di carattere spirituale e che hanno comportato la nascita dei termini puro ed impuro, anche se agli albori della storia il termine puro aveva la valenza di ciò che ha indicato Maral nel suo post, e cioè che era legato a persone che si lavavano, che evitavano certi cibi e le donne del basso popolo, che avevano orrore del sangue, e poco o niente di più.
E a queste caste che lui definisce sacerdotali è legata anche la crescita della profondità del tipo uomo e che in un certo senso l' ha reso interessante. Profondità che nel tempo ha scavato abissi tra uomo e uomo che lo stesso Achille dal libero pensiero avrebbe ritenuto insuperabili.
Ma ciò che contraddistingue queste caste sacerdotali è una certa malsanità, odio nei confronti dell' uomo perché impotenti, e una ricetta per uscirne che è più pericolosa della malattia stessa, come appunto il digiuno o il rifiuto della carne tipiche di ogni isteria di tipo ascetico. Nonché il massimo nella stoltezza, e cioè la tendenza ad una unione mistica con il nulla, Dio, Nirvana etc.
Ciò sempre secondo Nietzsche ha determinato nel tempo una cattiveria che non ha pari. Il tipo prete è di gran lunga la figura più cattiva e crudele della storia perché ha un odio profondo per tutto ciò che è vitale e che offende la sua impotenza.
Bene per il momento penso che sia il caso di fermarmi, aspettando qualche intervento su quanto detto, altrimenti continuerò a seguire il corso del saggio come da me interpretato.
Grazie per la cortese attenzione. Garbino Vento di Tempesta.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Nell' ultimo intervento abbiamo riepilogato i primi 6/7 paragrafi del saggio. Degli spunti riportati da Maral nel suo ottimo intervento, è rimasto fuori unicamente l' argomento sull' utilità che nel modo di essere aristocratico proprio non appare o se appare appare sempre come contorno e non come concausa. Questo naturalmente agli albori della storia, perché è ovvio che nelle grandi opere architettoniche delle grandi civiltà (egizia greca e romana ad esempio ) l' utilità comincia ad avere una certa rilevanza, anzi forse per i Romani diventa addirittura l' importanza principale. Ma agli albori della storia no. Sia il fattore non egoistico che utilitaristico proprio rimangono esclusi dal modo di pensare aristocratico che è tutta azione. E' proprio nell' agire che l' uomo nobile dell' antichità trova la sua felicità. E in fondo mal sopporta i periodi in cui per motivi vari è costretto ad occuparsi d' altro. E quando finalmente può liberare la sua crudeltà lo fa sempre a cuor leggero come se fosse la cosa più normale del mondo. Convinto, come dice Nietzsche, che i poeti ed i cantori avranno nuove gesta a cui ispirarsi.
Questi primi paragrafi comunque seguono sempre uno schema accattivante, ma da adesso in poi le cose cambieranno. L' ultima riflessione che ho da fare è sulla falsità storica di quasi tutto ciò che si tramanda e che spesso si ritrova anche in molti libri scolastici. Eppure, come dice sempre Nietzsche, la rilevanza che ha oggigiorno l' aspetto morale dell' egoistico e del non egoistico è una cosa di recente acquisizione. E, continua, se si ci è arrivati così tardi a teorizzare che le cose potessero stare diversamente è proprio per colpa dell' effetto democratizzante che tutto ottunde. E il problema è che raramente l' uomo mette in dubbio la morale vigente. E il modo in cui interpreta sé stesso nel presente e il suo passato.
Non so se Maral o qualcun altro voglia aggiungere qualcosa su questi primi paragrafi, in caso contrario riprenderò la narrazione del primo saggio.
Ringrazio della cortese attenzione. Garbino Vento di Tempesta.
Garbino sto leggendo a rilento, questa estate sarà full-immersion Nietzche, e quindi conto di tornare con panoramica ancora più chiara.
Purtroppo fino a Settembre non riesco ad essere puntuale come vorrei.
Ma certamente, sono molto d'accordo con Nietzche, mi ricordo in particolar modo il libro di Herman Hesse Demian, che appunto quasi fosse un alter ego Nicciano, vedeva nel singolo eroico, la forza, e nella "fortezza" del democratico, la debolezza.
In questione comunque è la morale. A mio modo di leggere, e cioè ancora più a fondo, si tratta veramente di intendere fino in fondo la questione del fare, che viene doppiata anche nel libro di Sini che sto leggendo "Dell'inizio".
Come sempre più chiaramente vado intendendo, Sini rinnega la metafisica in nome dell'Evento, che è appunto ciò che si dà come potere invisibile, come dispositivo direbbe Agamben o Focault. In Sini vi è però accortezza maggiore, nel senso che la questione non è soltanto sociale-sociologica ma ha a che fare col suo farsi, dove ogni qui ed ora è sempre un intersecamento, direi io, tra il nostro fare, e il fare degli usi e costumi: appunto la morale.
Ma è proprio nel fare, che Nietzche esacerba il suo giudizio sicuro e dinamitardo. Ogni nostro fare è sempre figlio della debolezza.
E questa debolezza è la stessa del dispositivo o dell'evento.(in questo senso la cultura è debole e va schiacciata, come dirà poi in così parlò zarathustra)-
Ad una rilettura più attenta forse si può cominciare a intedere, da parte mia, e comunque solo in lontananza, la questione di una rivoluzione che ribalti il senso dell'evento, e dei suoi dispositivi, ossia che ribalti completamente il potere invisibile: l'eterno ritorno.
La guerra è là: è questione appunto di morale, ma se la morale fosse nientemeno che quel potere, non rimane che dissiparla eliminandola ciò che la intende e la postula, a mio parere il soggetto, in senso, a questo punto,di persona, di maschera, appunto come agente politico, a servizio di una morale.
La maschera va deposta, solo così ci avviciniamo alla questione del soggetto puro, ossia quello identitario, a cui Nietzche sottrare anche il suo valore, l'identità è semplicemente desiderio di potere.(è normale che poi diventi macherata, del debole ma anche del forte).
E si va ancora più a fondo a mio parere.
Alle prossime per maggiori delucidazioni.
Bene così Garbino!!!
PS.
Ho notato che anche in Sini il problema che ho in mente io quello del "CHE FARE?", è riportato nella stesse modalità.
Ossia la filosofia di cosa dovrebbe occuparsi rispetto E aldilà del suo esercizio di contemplazione (al massimo di giudizio), rispetto alle tematiche che stiamo discutendo?
In fin dei conti per doppiare il topic: QUALE FUTURO per l'UOMO?
comunque un passo alla volta: proseguiamo.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Ogni finestra che si apre sullo spirito è un nuovo orizzonte e una visione prospettica nuova. Tanto che talvolta si può entrare anche in confusione per le miriadi di prospettive che ci si aprono davanti nell' affrontare qualsiasi argomento. E spesso si può perdere interesse per quegli argomenti affrontati da un solo punto prospettico e cioè quando non si tiene conto della visione globale di ciò che si intende argomentare.
Ma di una, anzi di due cose sono certo in questo momento. La prima è che devo ringraziare Green Demetr per il suo interessante intervento e per l' incoraggiamento in esso contenuto a questo mio studio e la seconda è il cambiamento che avviene a questo punto nello svolgersi dell' opera di Nietzsche.
E il cambiamento è manifestato dal feroce attacco rivolto al popolo sacerdotale per eccellenza, gli Ebrei, per aver generato dal suo seno, carico di odio nei confronti del genere umano e dei Romani, la morale destinata a competere con la loro morale aristocratica, che a livello storico come danno non ha uguali anche sommando tutti i danni che i preti hanno perpetrato nei confronti dell' umanità.
E questa morale è appunto quella che è scaturita dalla morte in croce di Cristo.
Morale che ha ingaggiato una lunga guerra con i principi aristocratici: buono, bello, forte, attivo, felice, caro agli dei; e che invece designa come buoni:i miserabili, gli indigenti, i malati, i brutti e che solo a loro è concessa la beatitudine; mentre i nobili, gli empi i crudeli saranno dannati per l' eternità. Con il Cristianesimo si è iniziata la rivolta degli schiavi nella morale, e se oggi la abbiamo persa di vista, come aveva affermato Maral, è perché essa ha vinto.
A mio avviso, l' attacco feroce agli Ebrei non è che lo spunto per attaccare profondamente il Cristianesimo e l' uomo moderno. O meglio ciò che l' uomo è diventato ritenendosi per altro il fine della storia. Ho seri dubbi che fin dall' inizio, come Nietzsche afferma, si trattasse di un piano ben prestabilito per vendicarsi di Roma e di ciò che Roma rappresentava. Anche perché la decadenza delle famiglie patrizie romane, recenti studi lo testimoniano, fu provocata da uno status simbol dell' epoca: l' avorio importato dall' Africa. Avorio che spesso nascondeva virus e batteri nuovi che falcidiarono i nobili che ne fecero largo uso per addobbare le loro ricche dimore. Ciò significa che la guerra tra le due morali avrebbe potuto avere uno svolgimento diverso, mentre il Cristianesimo, dopo le prime difficoltà, trovò un ambiente psicologico sociale a lui molto più favorevole.
Dopo questa breve riflessione torniamo all' opera. E qui Nietzsche propone un interessante studio della tipologia psicologica delle due morali. Infatti mentre per il tipo aristocratico l' idea di buono nasce da sé stesso e in contrapposizione il cattivo diventa ciò che è diverso da lui, nella morale degli schiavi, come Maral ha affermato nel suo intervento, l' uomo, guidato dal reissentment, ha bisogno di un mondo esterno antagonista che designa come cattivo, da cui poi risulta un buono e cioè sé stesso.
In altre parole, la morale aristocratica si definisce nell' attività, quella degli schiavi nella reazione. Il cattivo per l' aristocratico non raggiunge mai la deformazione in mostro che acquisisce in quella avversa.
L' uomo del reissentment ha un' anima strabica, che ama l' oscurità, i nascondigli, le scappatoie e che contrariamente al nobile terrà in grande rilevanza la necessità dell' avvedutezza. E l' essere più avveduto creerà un grande vantaggio nei confronti dell' avversario, che sarà pronto a slanciarsi in ogni sua passione senza alcun timore.
E ciò che Nietzsche ritiene più intollerabile è l' aria cattiva che si respira in presenza di un' anima deforme, di un' anima che non ha più vita: l' uomo moderno.
Ringrazio per la cortese attenzione. Nel prossimo intervento concluderemo lo studio del primo saggio.
Garbino Vento di Tempesta.
Secondo me, Nietzsche con il suo mito del super uomo ha voluto omaggiare oltre che se stesso, anche come doveva essere l'uomo a quei tempi. Un esempio? D'Annunzio.
Se la discussione verte sull'uomo e il suo diritto al futuro, necessario sarebbe ricostruire, nei modi che la scienza ci rende possibile, una storia che non sia evocatrice di un modo cronologico temporale, bensì di un analisi intima ed interiorizzata di quel che noi percepiamo per verità, anche senza necessariamente sia. Se l'epoca presocratica ci ha lasciato alcune tracce indelebili ...
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Spero che Lady Joan Marie e filosofia 1 mi perdoneranno se sorvolo sui loro post. Prometto di rispondere nel prossimo intervento. E' necessario che concluda il trattamento del primo saggio.
Gli ultimi paragrafi del primo saggio sono feroci e la ferocia ha come soggetto principalmente l' uomo moderno. Un uomo che nasconde la sua debolezza confortandosi col credere che appunto è così per scelta, e non perché è fatto così e così, come aveva indicato Maral.
Una scelta di virtù, una scelta di essere agnello, buono, in contrapposizione al malvagio, al cattivo, che lo terrorizza e da cui si nasconde mimetizzandosi. Ma al tempo stesso i malvagi, i rapaci, penseranno tutt' altro e cioè che questi agnelli sono proprio buoni, e che amano i buoni agnelli.
In fondo tutto si basa appunto sulla possibilità di scelta del forte di farsi debole e del rapace di farsi agnello.
Ciò infatti dà il diritto al debole, all' agnello, di imputare al rapace, all' uccello da preda di essere uccello da preda.
Il brano più esauriente lo troviamo nel paragrafo 13:
Se, in preda all' astuzia assetata di vendetta, gli oppressi, gli offesi, gli afflitti dicono: " Fateci essere diversi dai malvagi, e cioè buoni! e buono è colui il quale non violenta, non ferisce nessuno, non attacca, non fa rappresaglie, rimette la vendetta a Dio che, come noi, si tiene nascosto, che evita ogni male,......", questo non significa, se lo si considera freddamente e senza prevenzioni, altro che: " Ecco, noi siamo proprio deboli, è bene che non si faccia niente per cui non si possegga forza bastante "; ..........
Ma perché il modo in cui si è sia e diventi una scelta, un' azione, un merito, è indispensabile, ma soprattutto una necessità per ogni debole, che esista un' essenza che possa scegliere. E' una necessità derivata dall' istinto di conservazione, di autoaffermazione, di cui ciascun individuo ha bisogno, e in cui ogni menzogna è solita santificarsi. E questa essenza è un errore secolare e porta il nome di anima.
Dopo un brano di Tommaso D' Aquino ( per altro in latino ) con cui dimostra la sete di vendetta e il reissentment profondamente intriso nel Cattolicesimo di quel periodo, torna a a parlare dei due modi di essere: quello aristocratico e quello cristiano, e che il secondo abbia vinto è palese appunto nel constatare che a Roma e in metà del mondo si ci inginocchia davanti a quattro ebrei: Paolo, Pietro, Cristo e la Madonna.
Nell' ultimo paragrafo infine si auspica che quello aristocratico ritrovi vigore, e che soprattutto ci si renda conto che è necessario far sì che lo ritrovi.
Nel prossimo post riprenderò l' argomento sul fare che ho voluto tenere da parte per diversi motivi.
Ringrazio per la cortese attenzione e a presto.
Garbino Vento di Tempesta.
A margine dell'interessante riflessione su "Genealogia della morale" condotta da Garbino, ma sempre a proposito della rilevanza che per Nietzsche assume l'aspetto morale vorrei riportare il seguente aneddoto in cui mi sono imbattuto.
In procinto di rompere il suo rapporto con Lou Salomé che gli era un tempo apparsa come un "angelo della speranza e del coraggio", Nietzsche scrive a Ree, che ora vive con lei: "Io non ho morale", gli aveva detto la giovane russa e lui, Nietzsche, aveva "creduto che come me avesse una morale più rigida di chiunque altro!... invece lei mira solo a divertirsi e a passare il tempo, è una vera sciagura e io ne sono la vittima".
Credo che con questo l'immoralità di Nietzsche si presenti in tutta la sua forza morale, oserei dire ... ascetica nel suo modo di esercitarsi, ben diversa comunque dalla libera amoralità di Lou, assai più facilmente comprensibile nella concezione odierna.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Sto preparando il secondo saggio e sono talmente perplesso su come affrontarlo che il tempo mi sfugge via dalle dita con una velocità impressionante. Sono molto fiducioso però che nonostante la complessità dello stesso riuscirò a trovare il modo di riportarne fedelmente la mia interpretazione, che per altro è in continua evoluzione. Sinceramente mi sembrava di averlo inquadrato bene, ed invece ad ogni lettura rilevo qualcosa di nuovo che rende tutto più difficile.
Comunque per il momento torniamo alla scaletta prevista e, per prima cosa, devo ringraziare Maral per l' aneddoto su Nietzsche che non conoscevo, ma che conferma l' errore in cui molti incorrono cercando di inquadrare il superamento della morale in Nietzsche. Come Maral afferma infatti Nietzsche non intende che il no rivolto alle morali passate debba significare una amoralità volta al lassismo e al divertimento, ma una moralità maggiore di cui l' individuo diviene creatore e in cui si riconosce. E all' apice di tale processo c' è l' oltreuomo che, tornato bambino, crea nuovi valori grazie all' arte che finalmente può sviluppare essendosi liberato di ogni vincolo morale con il passato. E naturalmente l' uomo moderno ha preso il percorso inverso e cioè quello del lassismo e del degrado morale assoluto.
Per quanto riguarda la riflessione di Lady Joan Marie, posso tranquillamente affermare che più volte abbiamo affrontato l' argomento ravvisando l' abisso che separa Nietzsche e D' Annunzio. E l' argomento appena riportato lo conferma chiaramente. D' Annunzio è chiaramente un rappresentante di una moralità in disfacimento, tanto cara all' uomo moderno. E per molti versi purtroppo l' inevitabile destino e la sua fatale disgrazia.
A filosofia 1 rispondo che anche se non ho capito molto bene cosa lui intenda, il mio intento è uno studio su Genealogia della morale. La percezione della verità su base storica di ciò che l' uomo percepisce come tale in un' analisi intima ed interiorizzata potrebbe essere l' argomento di un altro post. Oppure un argomento da riprendere più tardi con una chiarezza ed estensione che non lasci scampo a dubbi o incomprensioni.
Il fare. O il far fare. Questo argomento del primo saggio ( nel par. 13 e che serve a Nietzsche per convalidare qualcosa che abbiamo già affrontato ) l' ho lasciato per ultimo per due motivi. Il primo è che a livello linguistico proprio non saprei come affrontarlo. Il secondo è che su base logica questo è stato forse il pensiero di Nietzsche che ho accettato immediatamente e senza remore. E questo perché fin dalle medie inferiori ho sempre provato perplessità per il modo in cui le scienze arrivavano a conclusioni strane, proprio per come afferma Nietzsche, in modo che per me è stato illuminante, pensando che dietro il fare ci sia sempre un sostrato che possa decidere se agire o no. Ma se ciò è già molto complicato ipotizzarlo per l' uomo, per quanto riguarda tutto il resto ( natura, atomi, forze etc...) si tinge addirittura di assurdo.
Come ho già detto altrove, il filosofo del futuro dovrà necessariamente confrontarsi con tale problema e cercare di risolverlo. Altra strada non c' è, se si soffre e si vive per la conoscenza.
Al prossimo post e grazie per l' attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Gli ultimi post non mi hanno molto soddisfatto.
Capisco che la complessità, che un autore come Nietzche possa portare, crei scompiglio nell'agenda.(sopratutto di uno studente)
Ma tant'è siamo qua e cerchiamo di approfondire almeno qualcosina. Per conto mio: tutto.
L'estate non è stata full immersion Nietzche, ahimè. Ma già quei pochi giorni di rilettura mi hanno fatto capire che le cose andranno per le lunghe.
Anzitutto sgriderei subito gli interventi di Lady Joan Marie e di filosofia1 che denotano una profonda benchè capibile ignoranza della questione Nicciana.
No D'Annunzio ha completamente frainteso Nietzche, il suo super-eroismo è proprio un altra cosa, anche se di certo anche quello di D'Annunzio è estremamente difficile da intendere. Ma il concetto di Natura in Nietzche, se mai esiste, sarebbe tutta altra cosa, cosa impensabile per il pan-naturalismo dannunziano (dove la natura è il metafisico).
Anche il concetto di verità paveggiato da filosofia1, è sbagliato, ma qui andiamo sul grave, infatti la questione del nuovo utente sarebbe all'esatto opposto di quello che è l'interesse, il centro gravitazionale nicciano: ossia la negazione del concetto di verità. (che automaticamente se svolto bene porterebbe ad una filosofia metafisica, e Nietzche di certo è un anti-metafisico radicale).
Torno da Garbino: non mi è chiaro se effettivamente Nietzche leghi ebraismo e cristianesimo come un Unicum.
Perchè ricordo assai bene, che il tema del pensiero giudaico e quello cristiano in UTU siano sviluppati in maniera separata.
Il tema della scelta di chi vogliamo essere, voglio ricordare però, non è una scelta politica.
Purtroppo questo è un errore grave a cui tanti seguaci del pensiero nicciano cadono. Pensiero aristrocratico romano e poi fascista (perchè tale gente spesso è fascista) non sono i valori a cui Nietzche si richiama.
E' vero che li usa come termine di paragone, ma ad una attenta lettura, almeno negli aforismi di UTU, sono spesso legati a ferocia sardonica contro il cristianesimo, che ovviamente è il nemico numero uno sulla lista. (tra l'altro il primo non significa l'unico o il più importante).
Quindi sebbene Nietzche preferisca il paganesimo antico (greci inclusi) lo fa solo in nome di una supposta vicinità di quel pensiero con quello che per Nietzche è il primo passo verso una liberazione da quella che per lui è una specie di trance ipnotica in cui l'occidente è invischiato da 2000 annni. Beh all'epoca erano solo 1900....
Ma quello amici miei è solo un presupposto, un assecondare i tempi sperando nel trionfo della politica prussiana.
Come lui dice, e qui è il passo fondamentale di questa estate a cui sono giunto (enorme passo per quel che mi riguarda):
UNA FALSITA' CONSAPEVOLE.
Questa questione ovviamente richiede un ripensamento generale. (l'ennesimo, ma è di qui che nasce la difficoltà ermeneutica a cui siamo obbligati, se vogliamo raggiungere i suoi abissi, a dare risposte).
Per tornare a bomba con Garbino, dunque la capacità di poter decidere cosa siamo, in realtà, per Nietzche è da leggere esattamente nel suo senso più generale, ossia noi possiamo essere QUALUNQUE COSA noi decidiamo di essere (questo sì a livello politico, dove il politico è appunto il decidere di volta in volta qualsiasi cosa noi si faccia, persino spostare un cuscino per banale che sia).
Con la Lou Salomè il discorso nietzchiano è stato preso in consegna dal discorso del fantasma materno.
Questione che è ardua da intraprendere qui.
Ne prendo come consegna il risultato: ossia un fraintendimento, laddove per la Lou Salomè la rivolta era contro la vita borghese. per Nietzche era contro tutto. Politica vs Filosofia semplicemente.
Con l'appunto che per Nietzche non è nemmeno una rivolta, non lo è affatto, come non lo sarebbe d'altronde contro il cristianesimo.
L'appunto continuerebbe con la necessità di dover constatare che esiste una psicologia, una tecnica del fantasma (uso termini lacaniani), che è in seno sia al giudaismo che al cristianesimo. Non è mai stato un attacco alla Cultura dell'ebraismo e del cristianesimo.
Questa tecnica consegna il carattere ossessivo del nostro tempo: la ricerca della verità fuori dall'agire, o meglio dal farsi agire (se no, non spiegheremmo l'eterno ritorno) nel Mondo e non fuori dal Mondo (termine Heidegeriano) (prerogativa di ogni metafisica, compresa la scienza).
In termini matematici la consegna di nietzche è che S (discorso) è sempre non S. (ossia all'interno del discorso A ve ne è un altro B).
A conferma che Hegel è dietro l'angolo.
Capisco di aver aperto una marea di domande, che d'altronde sono le mie stesse.
Per questo diffido di questa prima esposizione dell'ottimo garbino, che almeno sta sul testo e non racconta rapsodicamente.
Insomma possibile che l'esposizione sia così piana (per quanto difficile per un pubblico incolto)? Possibile che Nietzche non dia indizi sul discorso all'interno del discorso? A te la risposta Garbino.
D'altronde la parte finale quella dell'asceta, la attendo con impazienza. ( e temo che non riusciremo a intenderla fino in fondo, presumo almeno sfiorarne la superficie).
Anche per stimolare qualche domanda scomoda a me viene in mente la questione del "silenzio di Nietzche" : come vi spiegate i 10 anni di silenzio di Nietzche? Che abbia a che fare con le considerazioni che sono all'interno di quella sezione?
(in UTU non ricordo traccia sul pensiero ascetico, non a fondo almeno, lo sto rileggendo comunque).
« Chi lotta contro i mostri deve fare attenzione a non diventare lui stesso un mostro. E se tu riguarderai a lungo in un abisso, anche l'abisso vorrà guardare dentro di te. »
Friedrich Nietzsche, Al di là del bene e del male, traduzione di Ferruccio Masini, Adelphi, 1977 (146; 2007)
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Una premessa a posteriori che ritengo necessaria, sono talmente concentrato sul secondo saggio che ho serie difficoltà a concentrarmi su altro. Mi scuso inoltre sempre per lo stesso motivo con Green Demetr, a cui rinnovo la mia stima, se dovesse riscontrare una certa durezza di esposizione.
Ringrazio Green Demetr sia per le critiche espresse nel suo post sia per avermi detto, inconsapevolmente ed implicitamente, che stavo seguendo la strada che mi ero prefisso. E cioè una lettura e studio che non si discostasse da ciò che Nietzsche ha espresso nell' opera.
Al tempo stesso però mi è anche sorto il dubbio che non fossi stato sufficientemente chiaro e perciò cercherò di rispondere alle domande in modo che non ci possano essere dubbi su quanto da me esposto.
Probabilmente è vero che Nietzsche in UTU affronta i rapporti tra il popolo ebraico e il Cristianesimo in modo separato, ma in Genealogia della morale afferma chiaramente che Il Cristianesimo è scaturito dall' odio che gli Ebrei nutrivano per Roma. Una vendetta geniale, la figura di Cristo come massima seduzione nei cui confronti persino Roma poteva soccombere.
Questo è ciò che Nietzsche afferma: prendere o lasciare. E comunque nulla a che fare con la cultura.
Il decidere: è ovvio che nessuno decide nulla, e che ognuno è quel che è. Ma quello che afferma Nietzsche è che mentre il modo aristocratico di vivere scaturisce dalla forza, quello Cristiano scaturisce da una debolezza che ritiene di essere forza. Un debole cioè che ritiene di scegliere di essere buono perché è forte e che invece è buono proprio perché debole.
Anche l' aspetto politico, qui non vi entra affatto e mi si salvi dalla demagogia del fascismo di richiamarsi alla Roma Antica. Qui si parla dell' uomo e del modo in cui è e che invece dovrebbe essere. Quello che afferma Nietzsche è che la debolezza è sintomo di malattia, e che se non vi sono mutazioni l' uomo perderà l' accesso al futuro.
Mi sono poco chiari gli aspetti logici, che sinceramente mi sembrano erronei ed estranei a Nietzsche, e la falsità consapevole. Su questi argomenti vorrei un chiarimento ( anche via mail ) per poter esprimere un' opinione. Spero solo che non si voglia ipotizzare che Nietzsche abbia voluto affermare il falso consapevolmente. L' unica cosa che conta per me è il testo. Ciò che Nietzsche ha scritto.
Sui dieci anni di silenzio, che ritengo essere gli ultimi della sua vita, l' ipotesi più probabile, sempre a mio avviso, è che dopo L' Anticristo Nietzsche abbia superato la soglia della follia e che non abbia più fatto ritorno.
Ognuno ha il suo abisso e deve imparare a gestirlo e a conviverci, se non vuole esserne risucchiato.
Spero che Green Demetr sia soddisfatto di questo chiarimento. Altrimenti siamo sempre qui.
Ringrazio per la cortese attenzione e vi rimando al prossimo post.
Garbino Vento di Tempesta.
Forse chiunque si incammini verso l'abisso trova un punto di non ritorno e Nietzsche è questo punto che ha trovato. Oltre quel punto la parola non può che tacere e il pensiero cessare, perché parola e pensiero non paiono allora che una patetica danza sull'orlo di un assoluto che non li ammette. Proprio la follia muta di Nietzsche negli ultimi anni della sua vita può allora essere considerata l'ultima parola della sua filosofia.
Citazione...quello che afferma Nietzsche è che mentre il modo aristocratico di vivere scaturisce dalla forza, quello Cristiano scaturisce da una debolezza che ritiene di essere forza. Un debole cioè che ritiene di scegliere di essere buono perché è forte e che invece è buono proprio perché debole.
Eppure qui sento riaffiorare la contraddizione, perché se il debole, il malato mancante di forza vitale, il cristiano o l'ebreo, si impone con la sua morale insalubre sull'aristocratico, sul pieno di salute, sul forte e sulla sua potente morale vitale, significa che in quel debole la volontà di potenza è più forte, che l'asceta che fa marcire il proprio corpo per la salvezza nell'altro mondo incarna meglio la volontà di potenza. Il punto della contraddizione è forse vedere la volontà di potenza come prodotto individuale e al contempo pretenderla assoluta, mentre se è assoluta essa non può avere riguardo per alcun individuo, cristiano o aristocratico che sia, poiché entrambi non ne sono che lo strumento con cui il suo assoluto si realizza e l'unica scelta concesso all'individuo è quello di volerne essere fino in fondo consapevole strumento piuttosto che esserne strumento senza sapere di esserlo comunque. Credo che alla fine proprio questo intuì Nietzsche con l'Eterno Ritorno, e oltre questo non restava che l'abisso e il silenzio.
https://www.youtube.com/watch?v=FYtArM4HWXE
x garbino
Garbino sì, evidentemente Nietzsche intende benissimo la questione del fatto che la nostra è una cultura giudaico-romana, come autori misconosciuti ma di primo ordine nel panorama filosofico contemporaneo scrivono e trattano.
Sì capisco le tue riserve sulla questione logica. D'altronde a me sono costate un lungo lavorio di senso: come afferma omissis nell'altro thread la questione della meta-relativizzazione, deve essere sempre tenuta conto. E così se la questione del giudaismo e del cristianesimo viene considerata nei suoi momenti di ibernazione del pensiero, questo è valido però anche per le sue stesse teorie, che devono essere messe in discussione dallo stesso principio.
A mio parere la questione della guerra (forza) fa tutt'uno con questa unica necessità che Nietzche tenta di illustrare, appunto la lotta al soggetto stesso e alle sue forme di cristallizzazione (debolezza).
I suoi lavori sono dunque un aiuto indispensabile per intaccare le fondamenta delle strutture dell'io, che noi da bravi cattolici, intendiamo storicamente dettate di senso progressivo, e che invece per Nietzche sono abitate da una forza cieca che sempre chiede una propria interpretazione interna.
Sulla questione del silenzio e del perchè possa essere un problema: come ben sappiamo dal lavoro di Janz, la pazzia di Nietzche fu diagnosticata come una rara forma ereditaria di sifilide, che rende il sistema nervoso progressivamente incapace di reazione, di modo che il colasso che ebbe a Torino fu solo uno dei sintomi più famosi.
Ma effettivamente quando leggiamo i cosidetti foglietti della follia, noi possiamo ancora trovare la stessa lucidità e potenza di un pensiero senza eguali, laddove ovviamente passiamo oltre gli improperi, frutto della malattia. Si suppone dunque che Nietzche abbia di proposito smesso di scrivere. La questione è se egli fosse consapevole del sostanziale rischio di totale incomunicabilità del suo lavoro, o se invece, azzarda qualcuno, non sia stato il suo ultimo tentativo di resistenza silenziosa e guerresca alla necessità che egli andava affrontando. Quindi una resistenza di totale ascetismo, mi è venuto da pensare, io che ho un background inzuppo del pensiero orientale, ovviamente solo una fascinazione, non c'è nulla di intellettualmente rilevante che noi possiamo concretamente seguire.
x maral
Certamente la volontà di potenza non guarda in faccia nessuno, però bisogna ricordare che lo sforzo nietzchiano è quello sotteso di far della propria vita un capolavoro, come direbbe un Carmelo Bene. Siamo nello stessa orbita di Severino in fin dei conti, laddove parla della durezza di fondo della natura, che inutilmente l'uomo tenta di trasformare. Non so nel caso di Severino, ma in Nietzche questo scontro violento si risolve in un sguardo sull'abisso interiore, su ciò che emerge a contatto con la necessità. Ma se non vi è scontro l'uomo rinuncia a se stesso, nè più o meno del conosci te stesso della tradizione (tardo)greco-alessandrina, rivoluzionato nel suo significato, da metafisico ad antimetafisico.
Questo Significa inanzitutto uscire dalla morale (la guerra), e quale morale incatena così potentemente, se non il cristianesimo, che dunque suo malgrado, si rivela la più potente Macchina Incantatoria? Potente certo ma incantatoria.
Per quanto riguarda il silenzio, mi sembra che anche tu ragioni in quei termini forse azzardati sopradetti, ma per nulla fuori strada come traccia.
Il tema dell'ascetismo aspettiamo Garbino che ne parli. Francamente non avendone ancora mai ragionato non saprei dire.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Un animale che possa fare delle promesse: non è questo il compito paradossale che la natura si è assunto e al tempo stesso il reale problema dell' uomo?
Questo l' intrigante inizio del secondo saggio di Genealogia della morale: ' Colpa ', ' Cattiva coscienza ' e simili.
Un saggio che mi ha impegnato più del previsto perché molto più organico e complesso di quello che mi era apparso nelle prime due letture. Ma lasciamo parlare Nietzsche.
Un compito i cui risultati raggiunti stupiscono ancor di più se si valuta la grande forza avversa rappresentata dal dimenticare. Il dimenticare che non solo non fa giungere alla nostra coscienza molto di ciò che assorbiamo intellettualmente, ma che rappresenta un autentico guardaportone, tanto che nessuna felicità, presente, serenità è possibile senza smemoratezza. Eppure l' uomo attraverso l' educazione si è costruito la memoria, una facoltà che sospendendo il dimenticare possa permettergli di fare delle promesse.
Ma ciò significa che tra io voglio, io farò e l' atto stesso ha frapposto una serie di alterazioni che non permettano di far saltare questa lunga catena del volere. Un uomo perciò prevedibile, per la propria rappresentazione, per potersi fare garante come futuro, come chi fa chi promette.
Tutto ciò è stato reso possibile in millenni di eticità dei costumi, a prescindere da quanta durezza ed idiotismo abbia comportato. Il risultato finale è l' uomo che, liberatosi della catena dei costumi, è divenuto sovrano di sé stesso, libero e sovramorale ( non sovramortale come trovo nel mio testo ) e che può farsi garante del futuro ( probabilmente qui allude all' anticamera dell' oltreuomo ). E questo uomo sovrano, come chiamerà questa libertà rara, penetrata fin nel suo inconscio fin a farsi istinto? Non c' è dubbio che la chiamerà 'coscienza'.
Il termine coscienza che qui troviamo nel suo senso più alto e compiuto è però un frutto tardo. Per molto tempo acerbo e per un periodo ancora più lungo ancora da nascere. Ma perché questo ' oblio vivente ' potesse essere distratto dalla sua smemoratezza sono occorsi metodi durissimi. Si marchia con il fuoco per evitare il dimenticare, soltanto ciò che non cessa di far male, rimane nella memoria.
Sangue, torture, sacrifici ( tra cui quello del primogenito ), atroci mutilazioni ( castrazioni ), le crudeli ritualità di tutti i culti religiosi ( ogni religione è un sistema di crudeltà ), sono stati necessari a questo scopo.
Anche l' ascetismo non è che questo: una forma di crudeltà. Un paio di idee devono essere rese indelebili e onnipresenti e tutto il rituale che ne consegue è il modo in cui queste idee divengono indimenticabili.
La durezza della legislazione penale, un po' dappertutto, è la testimonianza di quanto sia stato difficile a che cinque o sei non voglio venissero marchiati in profondità in questo animale vittima delle sue passioni e desideri. Esigenze sociali da un lato e possibilità di vivere nei vantaggi della società dall' altro. E grazie a questa specie di memoria si è arrivati alla ragione. Questo accessorio di lusso che ha una scia di sangue e di orrore inenarrabile.
Rimane però il problema di come sia nata la coscienza della colpa, la cattiva coscienza.
Naturalmente i nostri genealogisti della morale sbagliano su tutto, non valgono nulla. Non hanno la capacità, l' intuito e l' istinto storico, come una seconda vista, per poter determinare una qualsiasi possibilità d' accesso ad una verosimiglianza con ciò che è accaduto.
La colpa, sempre secondo Nietzsche, ha l' origine nel concetto di debito e in origine la giustizia non si basava sul concetto che il delinquente dovesse essere punito perché avrebbe potuto agire diversamente; questa è una forma tarda e raffinata del giudicare e dedurre. Ma si puniva come spesso ancora oggi i genitori puniscono i propri figli, sotto l' impulso della collera per il danno subito. Il dolore del colpevole che compensava il danno subito. E questa equivalenza trae la sua origine proprio dal rapporto contrattuale tra debitore e creditore.
Per rendere credibile la sua promessa, il debitore offriva in pegno qualcosa che possedeva, la sua donna, la libertà, il proprio corpo e persino la vita. Ma anche la sua beatitudine, o come in Egitto persino la sua pace dopo la morte. Infatti neanche dopo la morte il debitore trovava pace dal creditore. Ma proprio nei confronti del corpo del debitore il creditore poteva usare ogni genere di offesa a saldo del debito. Per altro sono noti i dettagli di taluni parametri valutativi per le singole parti del corpo a compensazione di un debito non riscattato. E' già un bel passo avanti il diritto romano che stabiliva l' indifferenza di ciò che dovesse essere asportato per compensare il danno subito.
Ma ciò che comunque traspare è la compensazione del danno che non potendo avvenire con un risarcimento in denaro avveniva attraverso la possibilità di poter dare libero sfogo alla violenza nei confronti di un altro essere umano. Il piacere di fare del male per il piacere di farlo.E nel caso in cui la pena fosse già stata affidata all' autorità, di vederlo disprezzato e maltrattato. Perciò in un mandato o in un diritto alla crudeltà.
Ringrazio Green Demetr e Maral per gli interventi. La lettura di questo post penso che possa giustificare il ritardo nelle risposte. Grazie per la cortese attenzione. Alla prossima.
Garbino Vento di Tempesta.
Il buon Federico aveva una cultura pazzesca, basta leggere i titoli della sua biblioteca. (molti libri sull'egitto oltre che sull'india).
La ragione come frutto delle atrocità.
Il tema della giustizia come sistema creditizio come mimesi delle atrocità. (risposta di altre atrocità).
Dunque l'ascetismo non è un tema come mi aspettavo di interesse religioso, piuttosto è visto come diritto positivo, come sistema mimetico per infliggere atrocità.
E visto come l'ho vissuto sulla mia pelle (in maniera molto soft si intende) quanto ha ragione il filosofo di Röcken!!!
Tra l'altro il carattere di auto-inflizione del dolore è il massimo che l'arte sadica possa aspirare di ottenere, e che ha ottenuto.
In effetti ogni cristiano è sempre un pò masochista (essendo nel "discorso paranoico" ma questo è un altro "discorso" appunto ;) ).
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Certo queste sono solo supposizioni, anche perché è molto difficile e increscioso addentrarsi in tali argomenti. Inoltre per l' uomo moderno ( cioè noi ) è quasi impossibile ammettere che la cattiveria disinteressata ( sympathia malevolens di Spinoza ) sia qualcosa a cui in passato la coscienza abbia detto sì con tutto il cuore. Tanto che si potrebbe affermare che la crudeltà costituisca la più grande gioia festiva dell' umanità più antica e che sia mescolata a quasi tutte le sue gioie. Ma anche che la sua crescente spiritualizzazione e divinizzazione costituisca e attraversi la storia della civiltà superiore.
Se ci voltiamo indietro d' altronde non è passato molto tempo da quando non era possibile pensare a matrimoni e feste principesche senza esecuzioni capitali e i contemporanei di Cervantes leggevano a cuor leggero Don Chisciotte quando invece noi lo leggiamo con l' amaro in bocca. Veder soffrire fa bene e far soffrire fa ancora meglio, questa è una massima dura ma anche fondamentale, potente, antica. Senza crudeltà non c' è festa ed anche nella pena c' è molto di festivo.
E' necessario però anche affermare che allora la vita era molto più serena. Che i problemi sono cominciati proprio con la vergogna dell' uomo di fronte all' uomo. E che il gelido no alla vita ha preso piede proprio quando l' uomo ha imparato a vergognarsi dei propri istinti.
Oggi che il dolore fa più male, lo ritroviamo associato ad appellativi che non risveglino nelle coscienze alcun sospetto. La compassione tragica e la nostalgia della croce rientrano tra questi. Ma ciò che indigna non è il dolore, ma la sua mancanza di senso. Mentre per gli antichi tutto era palese, e quando si ritrovarono di fronte a dolori nascosti si ingegnarono ad inventare divinità e spiriti a cui nulla poteva essere nascosto. In questo modo perfezionarono l' arte di giustificare il male. " Ogni male è giustificato, il cui spettacolo serva ad edificazione di un Dio ". Ma non solo, gli dei erano intesi come appassionati di spettacoli crudeli. Basti pensare a Omero che diede un senso alle guerre troiane ed altri orrori palesandoli come spettacoli di festa per gli dei.
Il baratto portò l' uomo a valutare, a diventare l' essere valutante in sé. E la sua vita ne fu permeata. Anche la giustizia. E mentre ad un primo livello il delinquente è colui che non solo viola un patto e non ripaga i vantaggi di cui ha beneficiato, ma anche colui che arriva a vie di fatto con il suo creditore ( la collettività ) e perciò ne viene respinto e trattato come fuorilegge, con il crescere della potenza la comunità incomincia a comportarsi diversamente. Tende cioè ad allontanare il delinquente dalla collera generale e ad isolarlo per quanto possibile dalla sua azione. Tendenza che bisogna ritenere sempre reversibile in caso di indebolimento e pericolo per la comunità stessa. Mentre la massima forza è l' auto annullamento della giustizia, che è una prerogativa del più potente e prende il nome di grazia.
Ai tentativi di cercare l' origine della giustizia sul terreno del reissentment ( Duhring ), Nietzsche contrappone la tesi che l' ultimo terreno conquistato dallo spirito della giustizia è quello del sentimento reattivo. Ma che in origine furono le forze attive che impegnarono una parte della potenza ed originarono la giustizia, proprio per allontanare il pathos del sentimento reattivo all' interno della comunità. E non è un caso che le stesse forze, non appena possono istituiscono le leggi. Ciò che dal loro punto di vista è giusto e ingiusto. Lecito e vietato. Ciò, come si è detto in precedenza, tende ad isolare il malvivente dalla sua azione e ad allontanare quanto possibile lo stesso dal sentimento reattivo.
L' istituzione della legge dà origine al diritto e al torto, sempre criticando Duhring che afferma che l' origine si ha nell' atto lesivo. Ma anche che gli stati di diritto devono essere pensati come transitori, come periodi in cui possano generarsi unità di potenza più grandi. " Un ordinamento giuridico ( fine del par 11 ) pensato come sovrano e generale, non come mezzo nella lotta tra complessi di potenza, ma come mezzo contro ogni lotta in genere,......., sarebbe un principio ostile alla vita, ....., un attentato al futuro dell' uomo, un segno di stanchezza, un cammino tortuoso verso il nulla. "
Ringrazio per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta
Ma perchè deve essere increscioso, se lo vediamo applicato alla realtà di tutti i giorni?
Rimanendo nelle angustie della cronaca, il dramma dei migrati cosa dovrebbe sottolineare???
La cattiveria umana non ha limiti, e la dico "cattiveria" solo perchè sono intriso di cattolcesimo anch'io.
In realtà il potere che vuole accentrarsi (quello americano) sta creando una tale centrifugazione del potere corollario (contropotere), che è difficile solo anche provare a fare dei distinguo su scala mondiale.
D'altronde la carta dei principi unesco va a braccetto con le missioni di pace, armate e chiaramente politiche.
Si tratta a mio parere di saper leggere questo continuo bagno di sangue, sempre nel nome del buon Dio, a cui nessun presidente USA si è mai sottratto.
La visione di Nietzche è probabilmente un unicum nella storia del pensiero, altri nomi non mi vengono in mente, forse un Focault, ma non ne sono così sicuro.
Vedere con coraggio l'Ombra, e rispondere con la forza di un analisi che ha dell'irreale per profondità e acume.
Altri personaggi hanno provato a guardare in faccia l'Ombra, primo fa tutti, Jung che l'ha teorizzata, ma non aveva sufficienti forze intellettuali per rispondere ad un simile strazio.
Il balbettio patetico che esprime a proposito dello Zarathustra, basterebbe a squalificarlo, ma se non bastasse, l'incredibile crollo su se stesso nel discoroso paranoico alchemico starebbe lì a sottolinearlo.
Amico Garbino, di increscioso c'è solo che nessuno è all'altezza di Nietzche.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Prima di continuare la trattazione del secondo saggio volevo scusarmi con Green Demetr e tutti coloro che hanno pensato che il termine 'increscioso' fosse di mia coniatura. Ma è lo stesso Nietzsche che, continuando nel solito schema già delineato precedentemente, lo usa come esca per predisporre il lettore alle 'verità' molte scomode che seguono e che riguardano la crudeltà. Di mio nel precedente post c' è soltanto ciò che è tra parentesi. A tutti buona lettura.
A questo punto è bene prendere in considerazione due aspetti nei cui confronti i genealogisti della morale si comportano sempre allo stesso modo e cioè sbagliando inopinatamente. E questi aspetti sono l' origine e lo scopo della pena. Infatti loro ravvedono uno scopo nella pena e lo pongono all' origine, senza minimamente pensare al fatto che lo scopo ultimo o individuato in qualsiasi processo storico ha poco o addirittura niente a che fare con l' origine stessa del processo.
Uno degli errori più grandi che si commettono nell' identificare un processo è condensabile nella frase: la mano è stata fatta per prendere e l' occhio per vedere.
Mentre qualsiasi processo è un continuo svolgersi di sopraffazioni di un' entità più potente su una più debole, che ne sequestra gli aspetti e li reinterpreta a suo piacimento. Ciò significa, allo stesso tempo, che qualsiasi processo non segue automaticamente una logica né ha un fine ben preciso, ma soltanto una serie di sopraffazioni che si susseguono casualmente e che possono determinare persino un regresso, come nel caso di controazioni riuscite.
Questa teoria ha contro tutto e tutti. Oggi che il misarchismo ha ottenebrato le menti e ha preso il possesso della storia e della scienza. La vita stessa (Herbert Spencer) è stata definita come un adattamento interno sempre più finalizzato a fatti esterni. Ma in questo modo si tralascia il fatto determinante di qualsiasi processo e cioè quello svolto dalle forze attive che determinano un cambiamento ( anch' esso casuale ) e a cui solo in un secondo tempo segue l' adattamento.
Tornando alla pena perciò, seguendo tale teoria, in essa vanno distinti due aspetti: la forma e lo scopo. La forma è duratura, mentre lo scopo è fluido. Ed in base alla stessa teoria la forma o procedura sarà più antica della pena, era cioè preesistente alla stessa, e ad essa è stata adattata. Tutto all' opposto di ciò che si pensa attualmente e cioè che la procedura sia stata inventata appositamente per la pena.
In altre parole: E' DEFINIBILE SOLTANTO CIO' CHE NON HA STORIA. Non è un caso infatti che le utilità della pena siano talmente tante e varie che estrapolarne una sia veramente difficile anzi impossibile.
La fede popolare però è stata sempre indirizzata verso un aspetto particolare e cioè quello di risvegliare nel colpevole il sentimento di colpa. Nulla di più sbagliato. Non è certo nelle prigioni in cui si può trovare il rimorso o senso di colpa. Come del resto tutti i ricercatori seri convergono, anche se a malincuore. Anzi per molti versi è proprio la pena che arresta nel detenuto l' insorgere di qualsiasi sentimento di rimorso o cattiva coscienza proprio perché gli stessi crimini vengono commessi con buona coscienza dal potere che lo ha condannato.
Vale la pena di prendere in considerazione ciò che afferma Spinoza, lui che aveva inveito contro i bestemmiatori che avevano relegato Dio agli effetti del destino destinandolo appunto ad agire soltanto ' sub ratione boni'. Spinoza cosa afferma sul morsus coscientiae? L' opposto del gaudium: 'una tristezza accompagnata dalla rappresentazione di un evento passato che si è compiuto in modo contrario ad ogni aspettativa'. Tutt' altra cosa cioè di un 'Non avrei dovuto farlo'. E questo è appunto il modo in cui quasi ogni criminale interpreta la pena. Come un qualcosa che gli cade addosso all' improvviso e contro cui non è possibile lottare. L' effetto della pena è un acuirsi della paura e dell' intelligenza. Addomestica l' uomo, ma non lo migliora, anzi lo rende anche più cattivo.
La mia teoria è che la cattiva coscienza sia stato l' esito della più grande mutazione avvenuta nel corso della storia dell' uomo. E questa mutazione prende il nome di stato. Una qualsiasi organizzazione che costringe l' uomo a non poter dar più sfogo ai suoi istinti, alla sua libertà nell' agire ( volontà di potenza ). Tutti gli istinti che non si scaricano all' esterno però si scaricano all' interno. Questo è il processo che io chiamo ' interiorizzazione dell' uomo '. Questo è il processo da cui in seguito scaturirà l' anima. Una volta sottile e poi divenuta sempre più grande sotto la spinta dell' interiorizzazione della crudeltà fino a farsi immensa. La crudeltà, il piacere della persecuzione etc., una volta interiorizzati, in questo uomo rinchiuso nella sua gabbia, da cui vorrebbe uscire ma da cui non può, sono l' origine della cattiva coscienza.
Ma è anche ipotizzabile che - ' un' anima volontariamente divisa in sé stessa, che si procura dolore per il piacere di dare dolore, tutta questa cattiva coscienza' attiva, infine come un autentico grembo materno di avvenimenti ideali ed immaginari, ha partorito anche una quantità di nuove sorprendenti bellezze e affermazioni'- tra cui il concetto di bellezza. E soprattutto che questo processo scioglie anche l' enigma di come concetti contraddittori tipo altruismo, abnegazione, autosacrificio possano esprimere un ideale, una bellezza. Crudeltà, la natura del piacere che prova l' altruista, chi nega e sacrifica sé stesso non è nient' altro che crudeltà. Soltanto la cattiva coscienza, , soltanto la volontà di maltrattare sé stessi costituisce il presupposto per il valore del non-egoistico.
A questo punto vorrei fare una considerazione. Sia questa parte che la successiva sono di una genialità, di una profondità e di una veridicità senza pari. Al di là del fatto se poi Nietzsche abbia ragione o no. Certo di qua e di là si può smussare qualche angolo. Qualche interpretazione può essere messa in discussione, ma l' aspetto filosofico e tutto ciò che concerne gli errori di un certo modo di pensare sono palesi. Errori che ci sono stati trasmessi e da cui ancora siamo tutti profondamente e incolpevolmente condizionati.
Incolpevolmente finché non siamo giunti al cospetto dell' opera di Nietzsche.
Grazie per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Citazione di: Garbino il 20 Dicembre 2016, 14:47:20 PM
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Prima di continuare la trattazione del secondo saggio volevo scusarmi con Green Demetr e tutti coloro che hanno pensato che il termine 'increscioso' fosse di mia coniatura. Ma è lo stesso Nietzsche che, continuando nel solito schema già delineato precedentemente, lo usa come esca per predisporre il lettore alle 'verità' molte scomode che seguono e che riguardano la crudeltà. Di mio nel precedente post c' è soltanto ciò che è tra parentesi. A tutti buona lettura.
A questo punto è bene prendere in considerazione due aspetti nei cui confronti i genealogisti della morale si comportano sempre allo stesso modo e cioè sbagliando inopinatamente. E questi aspetti sono l' origine e lo scopo della pena. Infatti loro ravvedono uno scopo nella pena e lo pongono all' origine, senza minimamente pensare al fatto che lo scopo ultimo o individuato in qualsiasi processo storico ha poco o addirittura niente a che fare con l' origine stessa del processo.
Uno degli errori più grandi che si commettono nell' identificare un processo è condensabile nella frase: la mano è stata fatta per prendere e l' occhio per vedere.
Mentre qualsiasi processo è un continuo svolgersi di sopraffazioni di un' entità più potente su una più debole, che ne sequestra gli aspetti e li reinterpreta a suo piacimento. Ciò significa, allo stesso tempo, che qualsiasi processo non segue automaticamente una logica né ha un fine ben preciso, ma soltanto una serie di sopraffazioni che si susseguono casualmente e che possono determinare persino un regresso, come nel caso di controazioni riuscite.
Questa teoria ha contro tutto e tutti. Oggi che il misarchismo ha ottenebrato le menti e ha preso il possesso della storia e della scienza. La vita stessa (Herbert Spencer) è stata definita come un adattamento interno sempre più finalizzato a fatti esterni. Ma in questo modo si tralascia il fatto determinante di qualsiasi processo e cioè quello svolto dalle forze attive che determinano un cambiamento ( anch' esso casuale ) e a cui solo in un secondo tempo segue l' adattamento.
Tornando alla pena perciò, seguendo tale teoria, in essa vanno distinti due aspetti: la forma e lo scopo. La forma è duratura, mentre lo scopo è fluido. Ed in base alla stessa teoria la forma o procedura sarà più antica della pena, era cioè preesistente alla stessa, e ad essa è stata adattata. Tutto all' opposto di ciò che si pensa attualmente e cioè che la procedura sia stata inventata appositamente per la pena.
In altre parole: E' DEFINIBILE SOLTANTO CIO' CHE NON HA STORIA. Non è un caso infatti che le utilità della pena siano talmente tante e varie che estrapolarne una sia veramente difficile anzi impossibile.
La fede popolare però è stata sempre indirizzata verso un aspetto particolare e cioè quello di risvegliare nel colpevole il sentimento di colpa. Nulla di più sbagliato. Non è certo nelle prigioni in cui si può trovare il rimorso o senso di colpa. Come del resto tutti i ricercatori seri convergono, anche se a malincuore. Anzi per molti versi è proprio la pena che arresta nel detenuto l' insorgere di qualsiasi sentimento di rimorso o cattiva coscienza proprio perché gli stessi crimini vengono commessi con buona coscienza dal potere che lo ha condannato.
Vale la pena di prendere in considerazione ciò che afferma Spinoza, lui che aveva inveito contro i bestemmiatori che avevano relegato Dio agli effetti del destino destinandolo appunto ad agire soltanto ' sub ratione boni'. Spinoza cosa afferma sul morsus coscientiae? L' opposto del gaudium: 'una tristezza accompagnata dalla rappresentazione di un evento passato che si è compiuto in modo contrario ad ogni aspettativa'. Tutt' altra cosa cioè di un 'Non avrei dovuto farlo'. E questo è appunto il modo in cui quasi ogni criminale interpreta la pena. Come un qualcosa che gli cade addosso all' improvviso e contro cui non è possibile lottare. L' effetto della pena è un acuirsi della paura e dell' intelligenza. Addomestica l' uomo, ma non lo migliora, anzi lo rende anche più cattivo.
La mia teoria è che la cattiva coscienza sia stato l' esito della più grande mutazione avvenuta nel corso della storia dell' uomo. E questa mutazione prende il nome di stato. Una qualsiasi organizzazione che costringe l' uomo a non poter dar più sfogo ai suoi istinti, alla sua libertà nell' agire ( volontà di potenza ). Tutti gli istinti che non si scaricano all' esterno però si scaricano all' interno. Questo è il processo che io chiamo ' interiorizzazione dell' uomo '. Questo è il processo da cui in seguito scaturirà l' anima. Una volta sottile e poi divenuta sempre più grande sotto la spinta dell' interiorizzazione della crudeltà fino a farsi immensa. La crudeltà, il piacere della persecuzione etc., una volta interiorizzati, in questo uomo rinchiuso nella sua gabbia, da cui vorrebbe uscire ma da cui non può, sono l' origine della cattiva coscienza.
Ma è anche ipotizzabile che - ' un' anima volontariamente divisa in sé stessa, che si procura dolore per il piacere di dare dolore, tutta questa cattiva coscienza' attiva, infine come un autentico grembo materno di avvenimenti ideali ed immaginari, ha partorito anche una quantità di nuove sorprendenti bellezze e affermazioni'- tra cui il concetto di bellezza. E soprattutto che questo processo scioglie anche l' enigma di come concetti contraddittori tipo altruismo, abnegazione, autosacrificio possano esprimere un ideale, una bellezza. Crudeltà, la natura del piacere che prova l' altruista, chi nega e sacrifica sé stesso non è nient' altro che crudeltà. Soltanto la cattiva coscienza, , soltanto la volontà di maltrattare sé stessi costituisce il presupposto per il valore del non-egoistico.
A questo punto vorrei fare una considerazione. Sia questa parte che la successiva sono di una genialità, di una profondità e di una veridicità senza pari. Al di là del fatto se poi Nietzsche abbia ragione o no. Certo di qua e di là si può smussare qualche angolo. Qualche interpretazione può essere messa in discussione, ma l' aspetto filosofico e tutto ciò che concerne gli errori di un certo modo di pensare sono palesi. Errori che ci sono stati trasmessi e da cui ancora siamo tutti profondamente e incolpevolmente condizionati.
Incolpevolmente finché non siamo giunti al cospetto dell' opera di Nietzsche.
Grazie per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
premetto che non ho letto questa opera di Nietzsche, ma alcune osservazioni ,più come elementi di riflessione che come convinzioni personali, le faccio.
L'ordine della natura ha un suo agire che è al di là del bene e del male
L'ordine razionale si scontra con l'ordine naturale.
La complessità umana sta proprio nello "scontro" interiore umana fra natura e ragione.
Non penso sia possible per l'uomo essere un animale istintivo.
Anche perchè il giudizio etico è relazionato al giudizio estetico e a sua volta all'uomo "culturale"
Il nostro personale, ma anche culturale inteso come giudizio di una civiltà dominante che a sua volta ci condiziona,,giudizio spesso
coniuga il buono con il bello e il giusto, così come il cattivo con il brutto con l'ingiusto.
Queste categorie, banalmente e superficialmente quì esposte da me come esempio, sono tipiche di un "animale" che necessita di relazioni per legare i particolari ad un quadro generale,il che significa che se la nostra mente modella un tipo di mondo il comportamento morale cerca e giudica una coerenza interna a questo sistema di relazionare..
Quindi, sempre a mio parere, è impossibile essere fuori dal contesto etico/morale e dire non esiste una morale, semmai è possible essere contro una morale imperante e condizionante e quindi a sua volta avere un giudizio morale su una cultura che giustifica o meno dei comportamenti dichiarando ciò che è bene e ciò che è male.
Scusa Garbino,
ho capito rileggendo che prima vorresti seguire e finire la lettura dell'opera di Nietzsche, per non perdere il filo logico e narrativo, per poi passare alla contestuale discussione.
Per cui non sentirti in debito ora di una risposta, segui pure il tuo percorso e a suo tempo si discuterà
Ciao e auguri
Nietzsche : l' uomo e il suo diritto al futuro.
Ringrazio Paul11 della cortesia e prendo lo spunto per fare a tutti dei sinceri auguri di Buon Natale, Buona Fine e Buon Inizio d' Anno. L' unica cosa che volevo aggiungere è che sono d' accordo con la prima parte dell' argomentazione di Paul11, ma non sulla seconda. Sottolineo che è pensiero un po' comune che in Nietzsche il superamento o autoannullamento della morale corrente si concretizzi in una vita senza morale. Ma, come del resto è già stato evidenziato in altri interventi, le cose stanno in un modo totalmente diverso.
Comunque riprenderemo l' argomento più avanti. A questo punto, pensando di fare cosa gradita, non rimane che terminare lo studio del secondo saggio. A tutti buona lettura.
La cattiva coscienza è a tutti gli effetti una malattia e adesso andremo alla ricerca delle condizioni in cui è arrivata al suo culmine. Ma per far ciò bisogna tornare, in un contesto storico primordiale, al rapporto tra creditore e debitore tra i contemporanei e i loro antenati. Rapporto che per noi sarebbe incomprensibile, ma che ha avuto un peso enorme nella storia dell' uomo. Infatti nelle stirpi vincenti il debito verso gli avi è andato sempre aumentando, in virtù dei loro sacrifici e sforzi. Sacrifici e sforzi che inizialmente vennero ripagati con doni alimentari, feste e cappelle votive, ma con il passare del tempo, aumentando il riscatto cumulativo, i sacrifici diventarono anche umani, come ad esempio nel sacrificio del primogenito. Sangue, sangue umano.
Inoltre la coscienza dei debiti verso gli antenati, si da mai abbastanza agli avi?, cresce o diminuisce nella misura in cui la stirpe si fa più potente o più debole. E nelle stirpi più potenti finirono per essere trasformati in dei. Per molti versi questa può essere l' origine ( a mio avviso una delle origini ) degli dei. Comunque sempre un' origine scaturita dal timore ( come appunto avvenne, sempre a mio avviso, nei confronti dei fenomeni naturali ). E questa credenza e devozione si espanse a tutte le popolazioni sottomesse, sia per mimicry che per imposizione.
In diversi millenni il sentimento del debito verso la divinità è continuato a crescere e nella stessa misura in cui crescevano e venivano elevati il concetto di Dio e il senso della divinità. Il Dio Cristiano, come massima divinità a cui si sia giunti finora, rappresenta anche il maximum del debito. E anche se adesso l' ateismo sembra riportare l' uomo ad una seconda innocenza, la moralizzazione dei concetti di colpa e di dovere non solo porta alla convinzione di una inestinguibilità del debito, ma anche ad una condanna del creditore (Adamo, peccato originale) e ad una demonizzazione della natura. Oppure al ritenere l' esistenza come non valida in sé ( nichilismo ) o di essere altro ( buddhismo ). Finché il Cristianesimo non escogita l' espediente, che induce un po' di sollievo per l' umanità martoriata, nel Dio che si sacrifica per la colpa dell' uomo, Dio stesso che si risarcisce su sé stesso. Per amore? ( si ci può credere?? ) per amore del suo debitore!....
Naturalmente tutto ciò non è altro che autoturturamento. Il desiderio di autotorturarsi infine arriva al rifiutare la propria naturalità e a non sentirsi degno di Dio. - Oh, bestia uomo, com' è tutto folle e triste! ......... Nell' uomo c' è tanto di orribile!... Per troppo tempo la terra fu un manicomio!..
Non possiamo che evidenziare che presso i Greci, questo popolo di fanciulli, il sentimento religioso aveva tutt' altro aspetto. I Greci usarono i propri dei proprio per tenere lontano la cattiva coscienza. Per gli artisti gli dei pensavano che era strano che gli uomini si lamentassero degli dei, quando tutto era dovuto alla loro stoltezza. Stoltezza, non peccato!!! Che abisso ci separa da una tale considerazione. E gli stessi uomini si liberavano di qualsiasi pensiero negativo generato dalle nefandezze di alcuni di loro ritenendo che un dio li avesse accecati. Un Dio perciò che si assume, cosa molto più nobile, la colpa....
Sulla terra, l' istituzione di ogni ideale ha determinato un dilagare della menzogna e un profondo misconoscimento della realtà, oltre ad un profondo malessere nei confronti della vita. L' uomo ha per così tanto tempo guardato con occhio cattivo la proprio naturalità da farci disperare sulla sua effettiva redenzione. Abbiamo contro proprio i 'buoni'.
E in fondo ci auguriamo che l' uomo non si soffermi in questo suo stato di promessa, di ponte verso qualcos' altro. Ma a questo punto l' unico che può prendere la parola è Zarathustra, Zarathustra il senza Dio....
L' unico commento che volevo aggiungere al termine del secondo saggio, è che purtroppo ancora adesso la Terra è un manicomio.
Grazie della cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Avendo all' orizzonte la lettura del terzo saggio 'Che significato hanno gli ideali ascetici?', mi sembra necessario ricordare che lo stesso è il commento-studio dell' aforisma che appare nel par. 1: Il dato fondamentale della volontà umana, e che rappresenta il suo horror vacui, è che essa ha bisogno di una meta - e preferisce volere il nulla piuttosto che non volere.
Inoltre volevo mettere in evidenza che, pur mantenendo il solito inizio ironico e accattivante, i primi paragrafi sono destinati, con l' arco così tirato dai precedenti due saggi, allo scoccare di frecce tremende nei confronti di Wagner, di Kant ( cosa non nuova), e di Schopenhauer, su cui per molti versi fa ricadere pesantemente la colpa del mutamento di Wagner negli ultimi anni di vita. Per chi fosse poco informato, ricordo che Wagner e Schopenhauer sono state due grandi figure nella gioventù di Nietzsche. A Schopenhauer ( ma anche a Wagner ) dedicò addirittura un' inattuale con il titolo: Schopenhauer come educatore. Cosa che in seguito criticherà rilevando che ogni volta che in quell' inattuale aveva nominato Schopenhauer si poteva e doveva tranquillamente sostituirlo con Nietzsche.
A questo punto non resta che iniziare; a tutti buona lettura.
In fondo gli ideali ascetici negli artisti significano nulla o poco più; nei filosofi e nei dotti la promessa di un' alta spiritualità; nelle donne un fascino supplementare; per i poco armonici ( la maggioranza degli uomini ) una forma di depravazione per superare il dolore e la noia; nei santi la loro forma di follia nel perdersi nel nulla ( Dio ); mentre per i sacerdoti - il loro miglior strumento di potenza, e inoltre la ( loro ) legittimazione suprema della potenza -. Il fatto che gli ideali ascetici abbiano significato tanto per gli uomini, si evidenzia il dato fondamentale della volontà umana, che preferisce volere il nulla piuttosto che non volere. Sono stato compreso? Per niente, signore! Allora cominciamo dall' inizio.
Non c' è dubbio che noi ( Nietzsche ) avremmo desiderato un epilogo diverso della vita, anche a livello artistico, di Wagner. Avremmo desiderato che al posto dei Maestri Cantori ci fossimo trovati al cospetto di Le Nozze di Lutero. Si sarebbe trattato comunque di un elogio alla castità ma anche alla sensualità, o libertà evangelica, come Wagner ha sempre fatto. In fin dei conti infatti tra la castità e la sensualità non esiste una contraddizione dal momento che ogni buon matrimonio la supera. Ed anche se contraddizione vi fosse, non sarebbe comunque di tipo tragico. Tra i molti anche Goethe afferma che l' equilibrio tra bestia ed angelo nell' uomo rappresenta una seduzione in più al vivere e non il contrario.
A meno che non si sia in presenza di porci, ma a noi e a Wagner che cosa importa dei porci?
Noi vorremmo augurarci che il Parsifal che viene sedotto alla conversione sia interpretabile come un epilogo satiresco del grande artista che Wagner è stato, il suo commiato ironico su tutta la tragedia del vivere e soprattutto sulla forma antinatura rappresentata dagli ideali ascetici. Se così non fosse infatti ci troveremmo di fronte ad un ritorno al Medio Evo, ad una cancellazione di sé stesso, sia come uomo che come artista, ad un odio folle contro conoscenza, spirito e sensualità in favore di ciò che di più oscurantista si vela dietro il Cristianesimo. Del Wagner che con Feuerbach aveva elogiato la sana sensualità, adesso non v' è più traccia. Non solo dagli ottoni del Parsifal ma anche dai suoi ultimi scritti, trapela purtroppo questa amara realtà.
Comunque val la pena sottolineare che per godere dell' arte bisogna separare l' artista dalla sua opera. L' artista non è che il grembo e il terreno e a volte il fertilizzante e il concime su cui e da cui essa nasce, e perciò qualcosa da dimenticare. Anche perché nel caso di Wagner tutto tende a dimostrare che ha commesso un errore di vanità, separandosi dal suo pubblico con un' opera equivoca in rapporto al suo volere. La avremmo voluta meno schopenaueriana, meno nichilistica.
Come avevamo premesso gli ideali ascetici in un artista significano niente o molte cose e perciò niente lo stesso. E questo perché l' artista non si sorregge abitualmente da solo, ha quasi sempre bisogno di un sostegno e della protezione dei potenti, sempre pronto a mutare sensibilmente opinioni proprio per restare nelle grazie di chi lo sorregge. E non è un caso che Wagner negli ultimi anni di vita scelse Schopenhauer come sua guida. Schopenhauer che in quel periodo stava prendendo il sopravvento.
E questo accadde proprio in rapporto a ciò che Schopèenhauer affermava sull' arte e soprattutto sulla musica. La musica che era ritenuta come il maximum dell' arte perché proveniva dal profondo e rappresentava la voce stessa della volontà. Il musicista in tal modo si elevava di valore, un megafono dell' in sé delle cose. Come stupirsi se poi questo ventriloquo di Dio ( Wagner ) un giorno si sia messo a parlare di ideali ascetici?....
Da qui in avanti si apre il capitolo Schopenhauer-Kant. A tutti un grazie per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Che significato hanno gli ideali ascetici? ( parte 2 )
Il nostro Kant, che indugia nell' insegnare le caratteristiche del tatto con un' ingenuità da parroco di campagna, ritiene di rendere onore all' arte mettendo in primo piano ciò che forma il vanto della conoscenza: impersonalità e validità universale. Al di là del fatto se ciò non sia, in fondo, un errore, come tutti i filosofi, invece di mettere a fuoco il problema estetico dal punto di vista dell' artista, lo fa con gli occhi dell' osservatore, senza rendersi conto di includere lo stesso osservatore nella sua definizione del bello: Bello è ciò che piace disinteressatamente.
Schopenhauer, dal canto suo, si infatua della definizione Kantiana del bello interpretando il termine disinteressatamente in un modo curioso e del tutto personale. Infatti di poche cose dimostra tanta certezza come del fatto che il bello, e soprattutto la contemplazione estetica che ne deriva, abbia una funzione antagonista nei confronti dell' interesse sessuale.
La liberazione della volontà che in lui scaturisce dalla contemplazione estetica, per altro, può indurre a pensare che ciò che afferma in Volontà e Rappresentazione, sulla redenzione della volontà solo attraverso la rappresentazione, sia originata da una generalizzazione di questa sua esperienza sul sesso ( Freud!! ).
Ed inoltre non si deve assolutamente escludere la possibilità che ciò che è tipico dello stato estetico in Schopenhauer possa trarre origine proprio dall' ingrediente sensualità, e che con ciò non viene meno in sua presenza ma si trasfigura e non entra più nella coscienza come stimolo sessuale ( Freud!!!! ).
Ma al di là di tutto, anche se Schopenhauer avesse mille volte ragione su questa sua esperienza, ciò non aggiungerebbe nulla alla nostra conoscenza del bello. Stendhall, un vero artista e un' anima altrettanto sensuale ma più armoniosa di Schopenhauer, ci dice qualcosa di diverso: Il bello è un preludio, una promessa di felicità. E il dato di fatto che risulta è proprio un' eccitazione della volontà, e perciò dell' interesse, per mezzo del bello. Siamo così in grado di affermare che nei filosofi, o almeno nel caso di Schopenhauer ( molto, ma molto ironicamente ) l' omaggio reso da un filosofo nei confronti dell' ideale ascetico dipende non da un disinteresse ma da un fortissimo interesse: egli vuole liberarsi da una tortura!!
Riprendendo seriamente il nostro cammino, il caso Schopenhauer ci fornisce, al di là del suo modo di essere, un aspetto più generale che riguarda il filosofo: un rancore nei confronti della sensualità ed una certa predilezione dell' ideale ascetico. L' assenza di una queste due caratteristiche non può che indurci a parlare solo di un cosìddetto filosofo. Ciò è spiegabile se notiamo che in natura tutti gli animali istintivamente hanno in onore di turbarsi per tutti gli ostacoli (*1) che gli impediscano o possano impedirgli il cammino verso l' optimum ( ad un agire più potente e che spesso più che alla felicità rappresenta proprio la via all' infelicità). Ogni animale e perciò anche la bestia filosofica tende parimenti al raggiungimento di quell' optimum di condizioni favorevoli che gli permetta di raggiungere il maximum di potenza.
Ai filosofi cioè non interessa proprio niente del sacro, l' ideale ascetico rappresenta per loro la strada per l' indipendenza. Tutti i grandi, ad esempio, hanno evitato il matrimonio ( ad eccezione del maligno Socrate che probabilmente lo ha fatto ironice, proprio per dimostrare questa teoria). Anche Buddha, una volta natogli il figlio, pensò che libertà è abbandonare la casa, e pensandolo abbandonò la casa. L' ideale ascetico rappresenta mille ponti per un deserto, il deserto dove trovano quelle condizioni ottimali di solitudine, di chiarezza o quant' altro che gli consentano di passare al di sopra della vita più che posarvisi. E più si fa buio e più questi amanti dell' ombra diventano grandi. Ed inoltre voglio puntualizzare che nel filosofo tutto ciò che concerne il raggiungimento di questo optimum non figura mai come virtù, ma come il comando del suo signore, della bestia filosofica che è in lui. Non ha scelta.
E tornando alle nostre ipotesi iniziali è ovvio che mentre per i filosofi l' ideale ascetico rappresenta veramente una promessa per un' alta spiritualità, per i dotti questa non è che un' illusione perché sono loro stessi il deserto.
A livello storico ciò che oggi rappresenta per noi il nostro orgoglio, per i Greci sarebbe soltanto hibris ed empietà. Come testimonia la violenza nei confronti della natura grazie alle macchine, la nostra posizione verso Dio e ancora la violenza verso noi stessi. noi, autentici schiaccianoci dell' anima. E il colmo è che proprio il nostro orgoglio non ci consente di liberarci dei nostri errori.
Non dimentichiamo infatti che per i Greci tutto era rovesciato: soffrire era virtù, crudeltà virtù, la falsità virtù, la negazione della ragione virtù, il benessere, la pace e la sete di sapere pericolo, l' essere compassionati e il lavoro un insulto, la follia divinità, la mutazione mancanza di eticità e realtà gravida di rovina.
Ma ciò ci porta a considerare anche che queste sono le condizioni in cui nacque il tipo filosofo. E che in queste condizioni etiche lui si trovò a sentirsi fuori posto. E che l' ideale ascetico rappresentò per lui la salvezza. L' ideale ascetico gli mise a disposizione l' unica veste che lo potesse rendere possibile sia a sé stesso che al suo ambiente. Senza un ascetico fraintendimento di sé il filosofo non sarebbe stato possibile. Doveva incutere paura ed ammirazione come ogni sacerdote ascetico, la forma larvale più disgustosa e oscura che abbia solcato la terra. Ma anche l' unica su cui fosse concesso alla filosofia di vivere e di camminare strisciando....
(*1) Assurda ed inesatta la versione del mio testo, Newton Compton, che in definitiva afferma l' esatto contrario del concetto che qui Nietzsche vuole esternare, par7: tutti gli animali hanno in onore ogni specie di turbamento e di ostacolo che.....
Qui termina la parte dedicata ai filosofi per passare al sacerdote ascetico. Grazie per la cortese attenzione
Garbino Vento di Tempesta.
Citazione di: Garbino il 24 Gennaio 2017, 18:18:02 PMCiò è spiegabile se notiamo che in natura tutti gli animali istintivamente hanno in onore di turbarsi per tutti gli ostacoli (*1) che gli impediscano o possano impedirgli il cammino verso l' optimum ( ad un agire più potente e che spesso più che alla felicità rappresenta proprio la via all' infelicità). Ogni animale e perciò anche la bestia filosofica tende parimenti al raggiungimento di quell' optimum di condizioni favorevoli che gli permetta di raggiungere il maximum di potenza.
A questo punto vorrei chiarire cos'è la volontà di potenza,concetto che vedo troppo spesso ingentilito,abbellito,banalizzato e frainteso (come accade con altri punti della sua filosofia,ma questo in particolare ne rappresenta il "cuore" pulsante),e che in quest'opera si rivela in tre forme: nella coscienza del "gregge"; nel gusto superiore di uomini nobili,fondatori di giudizi di valore; e infine,come vedremo in questo saggio,nella crudeltà verso sé stessi,nella malattia,contenuta sotto le spoglie degli ideali ascetici. È proprio l'indagine delle forme in cui si manifesta la volontà di potenza che considero il tema portante di "Genealogia della morale". Perciò fatemi dire due cose a riguardo.
La volontà di potenza non coincide,seppur sia equiparabile,alla volontà di vivere di Schopenhauer,né è in qualche modo riducibile a uno strumento che rientri nell'economia della lotta darwiniana (o dovrei dire "spenceriana"?) per la sopravvivenza. Infatti tendere a uno stato maggiore di potenza non significa mettere in repentaglio e,quindi,in secondo piano l'autoconservazione? In verità c'è una contraddizione fra questi due istinti,che nessuno si è mai preso l'onere di evidenziare. Rimando ad esempio,per chi è in possesso del testo,all'aforisma 349 de "La gaia scienza".
La volontà di potenza non è principio ultimo,metafisico,come lo era per Schopenhauer,in cui il male dell'individuo si fa universale e viceversa,perché il mondo come lo vede Nietzsche non ha alcuna direzione né mira a alcuno scopo. Un altro significativo fraintendimento è dovuto alla filosofia freudiana e alla sua divisione della psiche umana,in cui l'Io funge da sostrato tra due forze contrapposte,l'es e il super-Io. Ebbene,questo sostrato-Io per Nietzsche non esiste,o piuttosto è il risultato di un processo (il secondo saggio ce ne da un esempio) in cui un istinto,dopo una lunga resistenza,riconosce la potenza di un altro istinto. Negato perciò il libero arbitrio,non ha senso pensare separati l'individuo dalla sua volontà di potenza,come spesso leggo,l'uno e l'altra coincidono.
Infine: è la volontà di potenza unica e indivisibile come l'atomo? O è anch'essa prodotto di molteplici spinte e impulsi? Alla fine ricordiamoci che rimane solo un concetto..
Garbino,il riassunto/commento che stai facendo dell'opera è buono e fedele (forse anche troppo),l'ho seguito costantemente pur senza commentare. Permettimi di dire che ho trovato pochi spunti,non tanto di riflessione (perché ne da tanti) quanto di discussione. Mi piacerebbe vedere questo topic arricchirsi di scambi di vedute sull'argomento,ma il primo ad aprirsi ad un'interpretazione del testo devi essere tu; altrimenti che senso avrà avuto questo topic ? Anticipare o sostituire la lettura dell'opera? Per chi l'ha già letta poi..
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Ringrazio Memento per il suo post e confido nella sua pazienza se dovrà aspettare ancora un po'. Comunque di sicuro l' autoconservazione e la volontà di potenza sono antitetici, mentre ho qualche dubbio che quest' ultima coincida con l' individuo, ma chiariremo tutto in seguito. Prego Memento di accogliere queste mie anticipazioni come spunto di riflessione, poi si vedrà. Ecco a voi il sacerdote asceta. Buona lettura.
Non c' è dubbio che chi intenda rivaleggiare con l' ideale ascetico, se si dovesse imbattere in un sacerdote asceta, avrebbe in costui un avversario terribile. E il motivo è semplice: il sacerdote asceta ha nell' ideale ascetico la sua fede, il suo interesse, la sua potenza, in altre parole tutto sé stesso e la sua stessa vita. Quella vita che lui intende come ponte per un' esistenza al di là della morte. Egli si manifesta ogni dove e in ogni classe sociale e non grazie alla ereditarietà, dal momento che un profondo istinto lo sottrae alla riproduzione. E sembra che la vita stessa abbia stranamente un profondo interesse a che la sua genìa non si estingua. Infatti una vita ascetica è una contraddizione, qui domina un reissentment senza pari, un odio profondo per la grande salute, la gioia, la bellezza. E un profondo interesse e godimento per l' insuccesso, il dolore, il brutto, l' autoflagellazione e il sacrificio di sé.
A livello filosofico, una tale volontà si schiera contro ciò che l' autentico istinto vitale pone come verità. E cioè ridurrà ad errore il dolore, la molteplicità e la stessa contrapposizione tra soggetto e oggetto. E si scaglierà soprattutto contro la ragione: Esiste un regno della verità e dell' essere, ma proprio la ragione ne è esclusa ( anche nel Kantiano 'carattere intellegibile delle cose' si nasconde questa disarmonia da asceta: l' intelletto capisce che vi è una modalità delle cose che per l' intelletto stesso è in tutto e per tutto incomprensibile ). E in fondo, noi filosofi, dobbiamo essere grati se una tale ottusità ( l' intuizione disinteressata ) ha filosofato. Guardiamoci da concetti come ragion pura, spiritualità assoluta, conoscenza di sé. Qui si presuppone un occhio che non può essere pensato. Esiste invece soltanto una conoscenza prospettica, e quante più prospettive riusciamo ad avere di uno stesso oggetto tanto più ci avvicineremo alla sua conoscenza.
Da un punto di vista fisiologico e non più psicologico, la vita contro vita del sacerdote ascetico non può essere che apparente. Mentre è palese che l' ideale ascetico nasce dall' istinto di salvezza di una vita in degenerazione. E se esso ha poi sempre più dominato sull' uomo è la riprova che la condizione dell' uomo è malata. Egli rappresenta il ponte per l' altra vita, un essere altrove a cui tutte le pecorelle si accodano come ad un pastore. E qui giunge imperativa la necessità di porre al riparo i forti e i ben riusciti da coloro che sono malati. Perché anche costoro non giungano alla conclusione che c' è troppo dolore nel mondo, che rinuncino alla gioia e alla felicità. Perché soprattutto in costoro che rappresentano il futuro dell' umanità, non si insedi il disprezzo per l' uomo e una grande compassione per l' uomo, in altre parole il Nichilismo.
Il sacerdote asceta ha il dominio su chi soffre. E non solo, quando si ferisce la stessa ferita lo costringerà a vivere, ma quando ferisce, nel curare infetta la ferita stessa. Ed uno dei suoi presupposti è quello di modificatore di rotta del reissentment, Nessuno è colpevole del tuo dolore, del tuo stato ( così si rivolge subdolamente ai deboli che cercano un capro espiatorio del loro stato ), sei tu il colpevole, il peccatore, il depravato, il dannato. E con questa sua 'verità' induce gli scontenti, i cercatori di un colpevole al di fuori di sé, a cercarlo dentro di sé e così il senso del reissentment è mutato. Il sacerdote asceta che si sente un salvatore e ama farsi venerare come tale, è in verità un pessimo dottore. Egli combatte il malessere e non la causa che risiede invece in problemi di carattere socio-genetico. In altre parole egli diventa imbattibile nei periodi di grandi crisi genetiche che possono risalire a diversi fattori, come guerre, pestilenze, cambiamenti di clima o fenomeni di migrazione verso luoghi incompatibili con le popolazioni per gli aspetti climatici, l' alcoolismo ed altro ancora. Imbattibile e un pessimo dottore perché la sua terapia porta ed ha portato sempre a grandi suicidi di massa. Mentre una cosa sola è necessaria in queste condizioni: il letargo, In altre parole il buddhismo. O in modo non molto dissimile il Brahmanesimo: dove l' assenza di dolore rappresenta il bene supremo e perciò valutato positivamente.
Ringrazio per la cortese attenzione e alla prossima ( continuazione sacerdote ascetico ).
Garbino Vento di Tempesta.
Leggere Nietzche è difficile, sono il primo a saperlo, ma dopo anni credo che capisco quale fosse la sua intenzione (la traversata del nichilismo) e quali i limiti (la mancanza di amici, e l'impossibilità conseguente di quella attraversata).
Pensavo che l'ideale ascetico fosse un qualche nuovo paradigma, che tramite le ombre (gli amici), potesse emergere come enigma dalle sue pagine.
Ho i miei dubbi che Garbino riesca ad avere questa capacità di oltre-visione, mi sembra invece che sia una lettura abbastanza alla lettera (e perciò del tutto errata, come sappiamo dal buon Nietzche, che vuole che noi ci si ragioni sopra, da bravo apostolo dello spirito apollineo).
Così restando le cose ( e quindi fidandomi di Garbino), invece dunque la visione ascetica è semplicemente una descrizione per far emergere il CONTRARIO. E cioè che la filosofia adottando, come spesso ha fatto e come tutt'ora fa, imperterrita e cieca a se stessa (alle domande che dovrebbe porsi), una aura metafisica, intrisa di moralismo anti-dionisiaco, diventa in un colpo ANTI-APOLLO (non si pone la domanda della morale) e ANTI-DIONISO (non intende minimanente la volontà di potenza).
Temi a me molto cari, ma essendo "datati" rispetto alle nuove aperture che sto apprendendo leggendo UTU, non mi destano un gran impressione, come invece la prima parte ha fatto. (la ragione come diamante ricavato da secoli di sangue e guerre).
Poi ripeto a mio avviso ci dovrebbero essere delle aperture, degli enigmi a metà frase, a metà capitolo, che lasciano delle questioni aperte, a cui di solito Nietzche in maniera enigmatica da delle proposte per le quali lo ritengo il più grande filosofo mai esistito e probabilmente visto la cinta di castità morale a cui siamo legati, chissà per quanto tempo ancora lo sarà ancora. Ma questa è per fini intenditori (per ora riguarda sole me, con mio sommo raccapriccio).
RISPOSTE A MENENTO
Per quanto riguarda memento sono d'accordo solo in parte. Ossia certamente la volontà di potenza non è questione darwiniana, ma il punto ultimo sta proprio nel fatto che non dipende dall'io, ma dal non-io-
Invece in menento la volontà coincide con l'io. Ma non è proprio così-
L'io è semplicemente la postazione (che riprende esattamente da kant) da cui si effettua il giudizio.
Ma il giudizio non è in sè come per Kant, è invece il frutto dello slittamente continuo delle percezioni.
Ovviamente la bizzaria per cui Kant deve ammettere una identità del giudinzio è il fenomeno della coscienza.
Come si può essere coscienti del reali? la risposta la diede a suo tempo Hegel, quello che ci accompagna al sapere, è di fatto appunto quello che noi chamiamo IO, ma che risponde al GRUND, che vuol dire si base, cementa, ma in tedesco vuole dire anche ROVINA.
Per Nietzche è lo stesso. Ciò che rovina, che va in pezzi è proprio l'io, che si costituisce come moria del momento.
Si costituisce come poi dirà Heideger nel tempo come morire. L'essere per la morte di Heideger, e l'amor fati di Nietzche è la stessa cosa. questo essere per e questo amore vanno letti esattamente come volontà-
La potenza invece è ciò che si costituisce come ROVINA, la potenza è l'essere possibile di qualsiasi rovina, come aritotele e ancor meglio Tommaso d'aquino capirono a loro tempo.
la differenza abissale tra questi maestri del passato e nietzche è talmente abissale che ogni volta che ci penso mi vengono i brividi.
Quegli ottimi maestri antichi, non portarono minimanente a termine consequenziale quell'andare a morte. Fecero anzi di tutto per frenare quel rovinio. Adottarono la morale come forma di fuga, come schizofrenia dell'esistente.
Nietzche invece di fronte al mare che chiamerà NICHILISMO prese da SOLO una barchetta e cominciò il vero viaggio a cui ogni filosofo è chiamato a coprirne un tratto.
Non si tratta del viaggio della guerra, non si tratta del morire, ma di quello che rimane come vivere in rovina, dell'io.
La metafisica che io chiamo fondamentale è questa cosa qui.
Ma quanti la capiscono? e sopratutto quanti hanno le palle di continuare quel viaggio spirituale?
Non certo il buddismo, la cui cosmologia cade pesantemente nel delirio simbolico induista.
PER QUANTO RIGUARDA LA MIA AMATA PSICANALISI-
E' vero che freud ha stabilito un inconscio e che l'allievo JUng ci ha costruito su un modello indipendente alchemico.
Ma entrambi non hanno capito minimante quello che intendeva Nietzche.
Per entrambi infatti questa volontà di potenza si darebbe come linguaggio come grammatica, simbolica.
In Nietzche invece non esiste simbolo che terrebbe, se esistesse sarebbe di nuovo metafisica.
E perciò sarebbe UMANO troppo umano e perciò disumano.
(e infatti i due colossi della analitica avevano IMMENSI problemi con la morale, che volevano rispettare sia chiaro, questioni loro certo, ma indice di un errore del pensiero colossale).
Garbino,non metto fretta,gestisci il topic secondo i tuoi tempi e il tuo modus operandi. La mia critica era volta a capire che direzione stesse prendendo il topic,non era fatta per impazienza. Nella fattispecie,mi trovi d'accordo nell'utilizzare i riassunti come punti di riferimento per eventuali discussioni future,in quanto troppo spesso con Nietzsche si pecca di eccessiva libertà di interpretazione.Ben tornato Green demetr. Quindi anche per te l'individuo è circoscritto nell'Io? L'Io è solamente un prodotto della morale e,come tale, nient'altro che un'epidermide,un'utile finzione e,in ultima analisi,un travestimento della volontà di potenza. Non avrai fatto alcun passo in avanti nella lettura di Nietzsche finché non avrai afferrato questo. Forse potrebbe esserci stato un fraintendimento,da parte mia non ho evidenziato a sufficienza questo passaggio. Un individuo è molto più profondo di quanto riveli a sé stesso (principio di ogni psicologia): egli contiene una miniera di pulsioni,istinti e pensieri contrapposti che vogliono affermarsi gli uni a discapito degli altri. La potenza come rendersi possibile di ogni rovina? Giusto,ma è la potenza che Nietzsche invita a guardare,non la rovina (so che non sarai d'accordo,pazienza).CitazionePoi ripeto a mio avviso ci dovrebbero essere delle aperture, degli enigmi a metà frase, a metà capitolo, che lasciano delle questioni aperte, a cui di solito Nietzche in maniera enigmatica da delle proposte per le quali lo ritengo il più grande filosofo mai esistito e probabilmente visto la cinta di castità morale a cui siamo legati, chissà per quanto tempo ancora lo sarà ancora. Ma questa è per fini intenditori (per ora riguarda sole me, con mio sommo raccapriccio).
I filosofi dell'avvenire,cosi li chiama Nietzsche,avrebbero innanzitutto bisogno di un stile di vita differente per poter conservare e raffinare la loro singolare sensibilità. Ciò finora è stato sempreimpedito,sia per ignoranza che per la barbarie dell'educazione moderna (tema mai adeguatamente trattato,senza ombra di dubbio fondamentale),cosicché oggi nessuno ha per sé la forza di dare vita a nuovi ideali. La cintura di castità di cui parli non è avvertita come tale,ossia come mortificazione della vita,si è troppo impotenti per sentirla come dannosa.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Ringrazio Memento e Green Demetr per i loro interventi, ripromettendomi di affrontare la volontà di potenza appena possibile. Riprendiamo invece il nostro itinerario sul sacerdote asceta e a tutti buona lettura.
Oltre a questi metodi per raggiungere l' ottundimento ipnotico dell' individuo, che però presuppongono individui dotati di particolari caratteristiche tra le quali il coraggio e lo stoicismo intellettuale, perché comunque sempre di ottundimento si tratta, esistono altri training più leggeri per combattere gli stati depressivi usati usualmente dal sacerdote asceta. I più diffusi sono l' attività macchinale e l' amore per il prossimo.
Il primo, così detto odiernamente ' benedizione del lavoro ', raggiunge il suo obiettivo, di far allontanare dalla coscienza il dolore, attraverso un impulso a fare, legato all' obbligatorietà degli orari e ad una certa regolarità assoluta, che distoglie l' interesse di chi soffre proprio dalla sofferenza. E il suo colpo di genio è quello di mutare il ruolo di schiavo in un modo positivo ribattezzando le cose odiate ponendole in un' ottica benefica ( l' insoddisfazione dello schiavo per il proprio destino comunque non ha un' origine pretesca ). Il secondo consente una eccitazione, se pur minima, della volontà di potenza. La felicità della superiorità minima che subentra nell' aiutare e o generalmente nel fare del bene è una terapia fortissima per gli inibiti. Nel caso contrario, se mal consigliati, tenderanno a farsi del male.
Nei deboli ritroviamo, a partire probabilmente dai primi vagiti del cristianesimo, il gioire nella partecipazione stessa. Il gregge è stato sempre un altro colpo di genio del sacerdote asceta. Mentre nei forti l' aggregazione è contrastata dalla stessa forza che contraddistingue tutti gli individui coinvolti. Tutte le oligarchie infatti tremano continuamente per il richiamo di ogni forte alla sua voluttà di tirannide.
I mezzi usati dai sacerdoti asceti, che in chiave moderna vengono considerati innocenti, se li poniamo nell' ottica della ricerca ostentata di una certa o totale perversione del sentimento devono essere reinterpretati sicuramente come colpevoli. E' inutile continuare a nascondersi, come fa la morale odierna di tutti i dotti ( tra cui ricordiamo i farisei colti, prima Inattuale ) in una sconsiderata e continua menzogna disonesta su sé stessi e ciò che li circonda. Costoro non sono assolutamente capaci di una menzogna onesta perché presupporrebbe una cosa che per loro è impossibile: la coscienza di sé stessi.
Quello che deve essere chiaro è che il sacerdote ascetico, nonostante la moralità di questa epoca sconsideratamente mendace, usa l' ideale ascetico costantemente al servizio di un' intenzionale perversione del sentimento. E tutto questo grazie alle grandi passioni: ira, vendetta, terrore etc. Il sacerdote asceta le tiene tutte al guinzaglio, liberando scaltramente ora l' una ora l' altra. E tutto per 'scardinare l' anima umana dalle sue commessure, immergerla in terrori, gelo, fiamme e delizie, tanto da farla staccare, come per un colpo di fulmine, da tutte le piccinerie e le meschinità della insoddisfazione...'. E sempre con la coscienza tranquilla, tutto indorato da giustificazioni religiose, e soprattutto con una fede profondissima sulla indispensabilità e massima utilità del suo agire, anche se spesso si è ritrovato a pezzi nei confronti del dolore che procurava.
E a questo punto torna utile ciò di cui abbiamo discusso nel saggio precedente. Di quel senso di colpa, o cattiva coscienza, che ci veniva incontro come fatto naturale, naturalmente animalesco, e su cui il sacerdote asceta compie il suo Colpo da Maestro. L' invenzione del peccato. Addirittura del Peccato Originale. Un qualcosa di cui l' individuo è colpevole, responsabile, senza che vi abbia partecipato. Il sofferente ha chiesto aiuto a chi scava nell' ignoto, al sacerdote asceta, e si è ritrovato con risposte che hanno tracciato intorno a lui dei cerchi, delle linee da cui il sofferente non riesce più ad uscire. Linee, cerchi, come una gallina.
Il malato è diventato un peccatore. E da ogni angolo risuona il grido: ' più dolore, più dolore!'. Ogni angolo d' Europa ha risuonato in diversi periodi di tali atrocità. Di una tale perversione del sentimento. Ma lui, il sacerdote asceta, ripeteva: ' Il regno non è di questo mondo'. E sinceramente si ci può chiedere con quale diritto possa solo pensare di affermare una menzogna così grande.
Ad ogni modo nulla è più falso di affermare che questi metodi, questa perversione del sentimento abbiano giovato all' uomo. Forse qualcuno potrebbe affermare che l' hanno migliorato. Anche se noi vediamo in questo miglioramento un uomo addomesticato, indebolito, scoraggiato, raffinato, rammollito, castrato ( cioè quasi lo stesso che danneggiato ). Ma in ogni caso ha reso il malato più malato, anche ammesso che lo abbia reso migliore. Non c' è che da chiedere agli psichiatri quali possano essere le conseguenze di tali pratiche espiatorie. Ma cosa più della Storia ci può illuminare su queste conseguenze? Epidemie epilettiche, i fenomeni del Ballo di San Vito, delle streghe, di ondate di idiosincrasie ora lussuriose ora furiosamente distruttive spesso accompagnate da grida terribili di inneggiamento alla morte. Tutto questo è storia e c' è da aggiungere che anche l' alcool ( noi tedeschi cosa non dobbiamo alla Storia!!?? ) e la sifilide, per quanto deleteri, non raggiungono la sua dannosità. La dannosità dell' ideale ascetico nelle mani sacerdotali.
Ci fermiamo qui. Alla prossima la parte finale. A tutti un grazie per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
L' ideale ascetico nelle mani sacerdotali ha corrotto profondamente l' anima, e di conseguenza anche il gusto in moribus et artibus a tutti i livelli. Ed anche noi ( leggi io ) per molti versi siamo ancora invischiati nella sua tela. Ma ciò non ci impedisce di esprimere il coraggio del nostro gusto, e cioè del nostro disgusto nei confronti di un' opera apprezzatissima e sopravalutatissima come il Nuovo Testamento. Al Vecchio tutto il mio rispetto. In esso mi imbatto in grandi uomini, in un paesaggio eroico, in un cuore ingenuamente forte, e soprattutto trovo un popolo. Nel Nuovo soltanto piccoli uomini che fanno apologia delle loro vicenducole, un' atmosfera da conventicola, un gestire sgradevole, passionalità senza passione ed un continuo anelito ad un rapporto diretto con Dio ed all' eternità. Un Pietro immortale chi lo sopporterebbe? Neanche Dio, che saggiamente volge lo sguardo altrove. Eppure non esitano ad affermare, in un' epoca ricca di libri che ancora oggi verrebbero scambiati per mezze letterature, che finalmente anche loro dispongono di una letteratura classica, che non hanno più bisogno di quella dei Greci. Si può essere più insulsi e privi di gusto di così?
L' ideale ascetico esprime una volontà ed ha uno scopo ben preciso. Ed è per questo che ho messo in primo piano i suoi effetti, soprattutto i suoi fatali effetti. La sua tela di ragno tende al dominio assoluto sulla vita. Interpreta tutto in funzione della sua interpretazione e fa sembrare ogni altro interesse dell' esistenza umana, commisurato ad esso, meschino e limitato. Esso interpreta spietatamente uomini, popoli ed epoche e non tollera nessun' altra interpretazione, distorcendo tutto ciò che si profila all' orizzonte. Crede nella sua potenza e che non vi possa essere nessuna potenza che non debba ricevere da parte sua un significato, un diritto all' esistenza ed un valore. Una tela di ragno praticamente quasi perfetta e a cui nulla sfugge.
Ed allora sorge spontanea una domanda. Perché gli è stata concessa tanta potenza. Perché non gli si è opposta maggiore resistenza? Qual' è il suo antagonista, il suo avversario ideale, che possa ridimensionare il suo strapotere? Perché, anche ammesso che esista, non è entrato in azione?
Eppure mi dicono che esso esiste. Che da lungo tempo conduce una guerra vittoriosa contro l' ideale ascetico e che si tratta della scienza moderna. E ci sarebbe da ridere se non fosse tutto così tragico. Ci sarebbe da ridere al cospetto di questi trombettieri dello spirito senza spirito, senza profondità, o meglio senza l' abisso che la scienza moderna rappresenta. Dovunque volgiamo lo sguardo non vediamo che tisici che inneggiano alla loro libertà, al loro sentirsi ed essere spiriti liberi. Anche se dobbiamo confessar loro che tutt' altro sono che liberi. Figuriamoci se addirittura spiriti liberi!!! E il motivo è molto semplice: anche loro credono ancora fermamente nella verità. E dobbiamo rivelar loro che la scienza non può essere considerata come l' avversario (*) ideale dell' ideale ascetico ma la sua forma ultima e più aristocratica.
Nessuna scienza può esistere senza presupposti. Ed è la fede in questi presupposti che determina una linea, una filosofia, non il contrario. E perciò tutto si basa sul credere ancora nella verità, o meglio sulla stessa sopravvalutazione della verità espressa dall' ideale ascetico, e più precisamente sulla stessa fede nell' impossibilità di valutare e criticare la verità. E' Platone che risuona nell' ideale ascetico della cristianità. Ed è la stessa voce che risuona nella scienza odierna. Dio è la verità e la verità è divina. E' questo pensiero che ha dominato nei secoli in ogni filosofia, anche se Dio stesso si manifesta come la nostra più lunga menzogna. E come abbiamo esortato a mettere in dubbio il valore della morale, esortiamo anche a fare la stessa cosa sul valore della verità. E a tal riguardo mi sovviene il motto dell' ordine degli Assassini contro cui cozzarono i Crociati: Nulla è vero, tutto è concesso. In questo modo si liquida la fede nella verità e si determina uno spirito libero. Ma chi dei nostri spiriti liberi si è mai smarrito in questa proposizione e nelle sue labirintiche conseguenze? Chi conosce per esperienza il Minotauro di questa caverna?
Platone istintivamente si schierò contro l' arte, ed è proprio l' arte che si contrappone molto più radicalmente all' ideale ascetico. In altre parole Platone contro Omero. Da una parte il diffamatore della vita, che sta nella trascendenza e dall' altra il suo divinizzatore involontario, la natura aurea. Ed è per questo che un servaggio artistico che si pone al servizio dell' ideale ascetico è la forma di corruzione artistica più autentica, anche se purtroppo tra le più comuni, perché nulla è più corruttibile di un' artista.
Ciò che è sotto gli occhi di tutti, ma che raramente viene preso in considerazione, è il continuo depauperamento dell' uomo, del suo continuo autodiminuirsi. E tutto da Copernico in poi. L' uomo che si riteneva quasi Dio. Ma guardiamoci attorno. La preponderanza di mandarini non è mai un buon segno. E' sempre un sintomo di una vita che lotta che si affatica di più. Come lo è l' avvento della democrazia, di una religione della compassione. Senza poi parlare di ogni canagliume anarchista o antisemita, di cui l' Europa e soprattutto la Germania si va arricchendo con il suo vomitevole Deutschand Dautschland uber alles. Non c' è dubbio che sarebbe difficile valutare quanto canagliume si dovrebbe esportare dall' odierna Europa perché l' aria torni respirabile. Anche se forse qui c' è bisogno solo di una mano disinvolta, molto disinvolta....
E in conclusione, l' ideale ascetico ha dato una risposta alla domanda: perché soffrire? L' uomo in definitiva non accetta di non avere un senso. Se gli si da un motivo, uno scopo, non solo accetta la sofferenza ma la va addirittura a cercare. E a ciò ha supplito l' ideale ascetico. Anche se ciò portò con sé nuovo dolore, più profondo, più tossico, più corrosivo per la vita. Nonostante appunto che l' ideale ascetico esprima - ' un odio contro l' umano, contro tutto ciò che è animale, più ancora contro ciò che è materia, questo orrore per i sensi, per la ragione stessa, il terrore della felicità e della bellezza, una volontà del nulla, un' avversione alla vita, un' opposizione ai presupposti fondamentali della vita, ciò nonostante essa è e resta una volontà!... E per dire quello che ho detto agli inizi: l' uomo preferisce ancora volere il nulla, piuttosto che non volere...' -
Ho riportato le frasi finali perché lapidarie, geniali e del tutto rapportate all' opera. Difficilmente avrei potuto esprimere più compiutamente ciò che Nietzsche ha espresso in esse.
Sembra che finalmente siamo arrivati all' epilogo di questo lavoro. La mia intenzione è di far seguire un post con un commento e un insieme di proposte di discussione, ma ciò non toglie che chiunque intenda farlo possa intervenire a suo piacimento dal momento che la continuità dell' opera è ormai salva. Grazie a tutti per la vostra pazienza e per la vostra cortese attenzione.
(*) Altro errore sul mio testo: l' ideale di quell' ideale ascetico (par. 23)
Garbino Vento di Tempesta.
Per Memento.
Dipende da cosa intendi per potenza e da cosa per rovina.
Di solito per esperienza personale si intende per potenza qualcosa che a che fare con la schizofrenia del capitalismo moderno, perciò di solito riguarda il lavoro. Ma Heideger ha già scritto abbastanza su tale fenomeno.
(l'inautenticità).
Se intendi le meravigliose risorse spirituali dell'uomo sarebbe anche peggio. Non è forse quello verso cui Nietzche si è battuto più lungamente (riconoscendone immediatamente il primo, ma non il più potente, avversario).
Forse intendi invece proprio come me nel senso di potenziale, come incidentalmente al qui e ora.
Sarei d'accordo, in quanto la potenza si fissa sempre come atto, il punto è NON farla mai diventare storia.
Per questo serve una potenza costante direi senza dubbio,
Il punto però sta proprio in quel terribile confine tra ciò che avviene e ciò che viene tenuto.
Di solito uso il termine memoria, ma effettivamente sarebbe più corretto dire l'IO.
Ovvero la speculazione su questo potersi dire tale e quale come IO SONO QUESTA COSA QUI.
Il punto come sappiamo è che questa cosa qua non è mai identica a se stessa, come nel moto eracliteo non ci si bagna mai 2 volte nello stesso fiume.
Questa impossibilità a essere questa cosa qua, diventa COME SE fosse questa cosa QUA fosse per davvero.
L'io diventa una ipotesi, una regola ahimè di consuetudine.
Col passare del tempo le regole cambiano e con esse la percezione di quel qualcosa COME SE FOSSE PER DAVVERO.
Sono i costumi e le regole delle famigle prima, dei popoli poi, e infine delle nazioni, oggi come oggi(da HOBBES in poi non è vero?)
Ovviamente intendere questa differenza metafisica è importantissimo, in quanto noi NON siamo mai questa cosa come se fosse per davvero.
E' invece vero che noi NON siamo mai la stessa cosa.
E' questo carattere del NEGATIVO che si pone come unica verità. Ossia noi non ci risconosciamo MAI in qualcosa come se fosse un IO per SEMPRE ma piuttosto IN ROVINA, nel TEMPO.
E' invece ahimè sempre più vero che esiste quel "COME SE FOSSE che qualcosa" in quanto per il gregge ESISTE PER DAVVERO" (e invece non esiste!e perciò è SCHIZOFRENIA di massa! suppongo sia quello che intende Deleuze nel suo libro, suppongo non avendolo letto ancora, e avendo invece un sacco di problemi con quel filosofo personalmente.)
OVVIAMENTE quel qualcosa che non esito ad ammettere che esista e che sarebbe COME SE QUALCOSA ESISTESSE PER DAVVERO, io lo chiamo IDEOLOGIA.
Insomma per me la rovina non è da intendersi in maniera negativa, è invece il corrispettivo della speculazione filosofica, quel "conosci te stesso" sempre più in disuso non dico nel gregge, ma proprio nel mondo della filosofia.
Ma su cosa dovremmo speculare se non appunto sulle modalità del rovinio? e su quel fenomeno chiamato ideologia?
Che è una maniera del presentarsi della storia come ideologia appunto, ma anche di fatto avendoci a che fare quotidianamente è parte del nostro svanire nel mondo.
E' questa la potenzialità di questa grande illusione che tiene unito il gregge e discaccia le pecore nere nei loro recinti accademici.
Il punto è che le pecore nere sono stufe evidentemente di stare nei recinti e per NOIA, suppongo, si stanno trasformando in bianche pecorelle, pronte a servire l'ideologia e DI FATTO bloccando la speculazione filosofia che Nietzche andava progettando.
E' per questo che dubito persino di interventi come il tuo Memento, in generale sarei molto prono ad accettarli per quel che sembrano, una sano moto ad affidarci alle nostre intuzioni.
Ma se quelle intuizioni fossero camuffamento di altro ???? E' quello che da timore col passare degli anni è divenuta certezza, e finora unica spiegazione all'incredibile stato di stagnazione dell'intero movimento filosofico.
Il che è bizzarro perchè nell'era dell'accellerazione tecnologica, uno si aspetterebbe una accelerazione anche di quello filosofico, pensiamo alle prospettive del web 2.0.
Il punto è che i sacerdoti di una volta sono diventati i potenti di oggi.
Ma la paura che i primi una volta incutevano è semplicemente stata ereditata dai secondi.
L'unico appiglio è però sempre il diamante che l'uomo ha inventato di nome ragione.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Pochi giorni fa, mentre mi trovavo a Bardolino sul Lago di Garda, in una splendida giornata di questo Marzo più pazzo che mai, sul pontile passeggiata che porta verso Garda, mi sono ritrovato a riflettere sulle stranezze della natura, su cui Nietzsche indugia diverse volte in Genealogia della Morale. E tra queste, tanto per alleggerire un po' il pathos causato dagli argomenti scottanti trattati nell' opera, quella che mi incuriosiva di più era la casualità che aveva fatto nascere nello stesso paese, nel breve giro di pochi anni, Don Curzio Nitoglia, noto e eminente teologo, che saluto cordialmente anche se penso che stenterebbe a riconoscermi, e il sottoscritto. Due figure di un elevato ascetismo, come deve essere almeno un pensatore a partire da un livello medio, ma agli antipodi in quanto a fede. Per quanto riguarda la fede, mi sembra necessario ripetere per chi non fosse a conoscenza, che a mio avviso dipende dal bisogno metafisico che viene trasmesso geneticamente e che pesa come un macigno su molte scelte intellettive e di vita.
Ciò mi porta naturalmente ad essere d' accordo con Nietzsche quando nel par. 24 afferma che è diventato sempre più diffidente nei confronti di qualsiasi tipo di credente. E che quando la forza di una fede appare troppo in primo piano ne deduce una certa debolezza di dimostrabilità, se non addirittura l' improbabilità di ciò che si crede. Non nega la possibilità che la fede renda beati, ma che è proprio questa beatitudine che fonda una certa verosimiglianza con l' illusione.
Esaurito questo breve capitolo autobiografico, come promesso a Green Demetr e Memento, passo all' argomento volontà di potenza.
X Green Demetr.
Mio caro Green Demetr sinceramente io non capisco a volte certi tuoi interventi, anche perché tiri in ballo argomenti che mi lasciano molto perplesso. Rovina? Hegel? Nulla però è più lontano dell' idealismo di Hegel dalla filosofia di Nietzsche. Ed anche la Rovina può essere un effetto, o meglio uno degli effetti della volontà di potenza, ma come fatto marginale e comunque come un qualcosa che segue e che non ha luogo né prima né durante il soddisfacimento della volontà di potenza, di qualsiasi specie si stia parlando. A questo riguardo vorrei riportare come esempi sia la tragica fine a cui va incontro il maschio della mantide che nell' accoppiamento perde appunto la sua vita a causa di una partner fin troppo aggressiva, sia quello del polipo gigante che trova la morte per stenti nell' accudire e covare le uova. Ma anche la sorte di molti uomini famosi quando non capiscono e soprattutto non accettano un ritorno alla normalità dopo aver vissuto gli apogei della vita.
Nietzsche nel par.7 del terzo saggio parla di via all' infelicità, ed io aggiungo all' inquietudine, inquietudine che si manifesta ad esempio in ogni maschio dominante con un harem, provocata dalla necessità di controllo e difesa dello stesso harem dai furbetti che si accontentano di un accoppiamento occasionale e dagli altri maschi che vogliono prendere il suo posto. Nel campo umano troviamo nel terzo saggio diversi riferimenti su questo argomento. Sulla necessità sia per gli atleti, per i fantini e per gli artisti di evitare soddisfacimenti sessuali prima delle gare o durante il periodo di massima ispirazione e gestazione per un artista. Il soddisfacimento della volontà di potenza per questi individui molto esposti porta stati d' animo estatici e d' estasi in caso di vittoria o comunque buona riuscita complessiva, ma di profondi stati d' abbattimento, sconforto e di grande delusione in caso di fallimento o parziale riuscita complessiva. A mio avviso, ripeto la Rovina mi sembra un aspetto marginale di ciò che secondo Nietzsche accompagna le vicissitudini legate alla volontà di potenza. Comunque siamo sempre qui.
X Memento.
Se ricordi ho affermato che avevo dei dubbi sul fatto che la volontà di potenza corrispondesse all' individuo. Ed adesso cercherò di far luce su ciò che intendevo. Val la pena riportare che la volontà di potenza, secondo Nietzsche, è una forza irrazionale, noi la chiamiamo anima vitale, che fornisce e rappresenta l' energia stessa di ogni essere vivente, l' energia che stimola la vita e che per molti versi rappresenta la vita stessa. Ricordo inoltre che Nietzsche ne parla e la delinea in opposizione alla volontà di volontà di Schopenhauer. A questo punto posso affermare che posso essere d' accordo con te per le cellule e per tutti gli organismi minori che possiamo trovare in natura ( sulla flora non mi espongo perché non ho riflettuto a sufficienza su di essa ). Ma le cose cambiano, sempre a mio avviso, per tutti gli organismi a mano a mano che si sale nella scala di complessità degli stessi. E a riguardo vorrei porre l' attenzione sull' argomento genio che Nietzsche tratta a lungo in Ecce Homo.
Infatti lui afferma che coloro che hanno in potenza la possibilità di diventare genio non è detto che riescano a diventarlo a causa dell' ingerenza di numerose variabili come il clima, l' alimentazione e il dormire. Ciò, sempre a mio avviso, significa che la volontà di potenza di tali individui nulla può per il soddisfacimento del diventare genio né tanto meno coincidere con l' individuo nel caso di variabili che influiscano negativamente sul processo. Quello che in definitiva intendo affermare è che le possibilità che la volontà di potenza coincida con l' individuo appartenente a qualsiasi specie sono inversamente proporzionali alla sua complessità. Senza dimenticare che le variabili a livello umano sono tantissime e molto determinanti. Se hai dei dubbi sono come sempre disponibile a discutere qualsiasi opinione contraria.
X Phill, Paul11 e Maral
Spero di aver risposto nel corso della trattazione ai vostri dubbi, suggerimenti e perplessità. Se non siete soddisfatti o avete qualcosa da aggiungere o da porre in evidenza saremo ben contenti di affrontare qualsiasi argomento da me esposto nella stessa trattazione o di altro tipo.
Si ringrazia per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Green demetr,non si tratta di avere personali concezioni di potenza,ma di cosa intende esprimere Nietzsche con quel termine. La potenza di Nietzsche (e non quella di altri) è la padronanza di sé,la capacità di sostenersi su di sé,che assicura alla vita equilibrio,controllo,stabilità,coraggio e nuova forza. Ogni potenza è un'altezza da cui si osserva l'esistenza,e a seconda dei casi la si trova grande o piccola. La potenza dell'uomo,la sua spina dorsale,è rappresentato dai suoi giudizi di valore,da ciò che considera bene e male,che conservano e rendono più vigorosi una certa specie di individui,mentre impediscono lo sviluppo di altri tipi. E appunto per tale motivo la rovina di un altro modo di essere è indispensabile perché una potenza possa fondarsi e durare. Ma la rovina come potenza...è ciò che Nietzsche chiama nichilismo.Come già dicevo nell'altro post,l'Io è un'utile illusione,perché semplifica,appiattisce aspetti della personalità che è necessario fraintendere per poter godere di noi stessi e agire con buona coscienza. L'io è una grossolana,in quanto superficiale,interpretazione che diamo ai nostri atti per poterli giustificare di fronte a noi stessi a posteriori. Ma che può significare "io sono" o "io non sono" senza la fede nell'io e nel soggetto? Stiamo attenti all'uso delle parole: l'immagine che diamo al divenire (ad esempio il fiume che scorre) non rappresenta o definisce il divenire,che di per sé non è definibile. Anche se sono consapevole che,a causa dell'influenza della metafisica,questo punto è il più duro a comprendersi.CitazioneE' per questo che dubito persino di interventi come il tuo Memento, in generale sarei molto prono ad accettarli per quel che sembrano, una sano moto ad affidarci alle nostre intuzioni.
Infatti è solo una prima impressione,non era quello che tentavo di comunicare. Un'intuizione è sempre qualcosa di condizionato,dal contesto sociale e dalla situazione in cui la persona si trova,e soprattutto dai bisogni interiori che la spingono a considerarla di immediata semplicità. Perciò non necessita di alcuna preparazione: la quale è ciò che manca ai filosofi del presente. Non a caso ho messo in evidenza il problema dell'educazione e dello stile di vita come fondamentale presupposto. Ma su cosa pensi agisca la morale?Le pecore nere restano comunque delle pecore: e le pecore si trovano a loro agio nei recinti. Se hanno delle speranze,dei bisogni facilmente soddisfabili,si tratta di persone che appartengono al gregge,anche se dotate di grande cultura (il cosiddetto dotto,altro personaggio che ricorre continuamente nei testi di Nietzsche).Non comprendo quale passo in avanti nel pensiero ci consentirebbe la tecnologia.
Mi sembra doveroso ringraziare Garbino per questo percorso attento che ha qui presentato attraverso i tre saggi della "Genealogia della morale" che, appartengono al tema fondamentale nicciano della trasvalutazione dei valori, annullati dall'unico valore che è dato dalla volontà di potenza (la forza vitale si potrebbe dire). Mi permetto però di osservare che il discorso sulla "rovina" è tutt'altro che trascurabile in Nietzsche (nel senso in cui mi pare e se non fraintendo, Green voglia alludere, effettivamente non sempre chiarissimo nei suoi accenni spesso un po' troppo solo accennati), per il passaggio che dalla volontà di potenza conduce all'eterno ritorno, anzi direi che è un punto chiave, come ben spiega Cacciari in questo video (riprendendo la profonda lettura severiniana di Nietzsche):
https://www.youtube.com/watch?v=EJ-sAoz8PY4 (dal minuto 4 in avanti). In breve, la volontà di potenza è il divenire, ma il divenire è inscritto nel tempo e nel tempo, di fronte al passato del "già fu", la volontà di potenza si scopre del tutto impotente, può vedere solo rovine e macerie che testimoniano che ciò che è stato è stato e nulla può essere cambiato. Il tempo che dà un senso definitivo al divenire sottrae così al divenire ogni possibilità di essere autentica forza creatrice, lo dissipa in se stesso in forma di rovine e macerie che non possono più essere altro di ciò che sono state. Proprio da qui la necessità di eliminare il senso del tempo ed eliminare il passato come definitivo assolutamente non intaccabile attraverso la necessità dell'eterno ritorno dell'uguale: nulla è passato, poiché tutto ritorna, e tornando la volontà può volere ogni volta riaffermare la sua totale potenza su di esso.
Citazione di: maral il 12 Marzo 2017, 22:42:36 PM
Mi sembra doveroso ringraziare Garbino per questo percorso attento che ha qui presentato attraverso i tre saggi della "Genealogia della morale" che, appartengono al tema fondamentale nicciano della trasvalutazione dei valori, annullati dall'unico valore che è dato dalla volontà di potenza (la forza vitale si potrebbe dire). Mi permetto però di osservare che il discorso sulla "rovina" è tutt'altro che trascurabile in Nietzsche (nel senso in cui mi pare e se non fraintendo, Green voglia alludere, effettivamente non sempre chiarissimo nei suoi accenni spesso un po' troppo solo accennati), per il passaggio che dalla volontà di potenza conduce all'eterno ritorno, anzi direi che è un punto chiave, come ben spiega Cacciari in questo video (riprendendo la profonda lettura severiniana di Nietzsche): https://www.youtube.com/watch?v=EJ-sAoz8PY4 (dal minuto 4 in avanti). In breve, la volontà di potenza è il divenire, ma il divenire è inscritto nel tempo e nel tempo, di fronte al passato del "già fu", la volontà di potenza si scopre del tutto impotente, può vedere solo rovine e macerie che testimoniano che ciò che è stato è stato e nulla può essere cambiato. Il tempo che dà un senso definitivo al divenire sottrae così al divenire ogni possibilità di essere autentica forza creatrice, lo dissipa in se stesso in forma di rovine e macerie che non possono più essere altro di ciò che sono state. Proprio da qui la necessità di eliminare il senso del tempo ed eliminare il passato come definitivo assolutamente non intaccabile attraverso la necessità dell'eterno ritorno dell'uguale: nulla è passato, poiché tutto ritorna, e tornando la volontà può volere ogni volta riaffermare la sua totale potenza su di esso.
Grazie per il link al bellissimo video di Cacciari, Maral.
Suggerisco ti vedere l'intera serie di video che costituiscono la lezione.
Il primo video è questo:
https://www.youtube.com/watch?v=KQfq5NIR-6Q
Poi, in sequenza:
https://www.youtube.com/watch?v=EJ-sAoz8PY4&t=10s
https://www.youtube.com/watch?v=9130Z_ex3Yc
https://www.youtube.com/watch?v=GNQOhs2MVuE
https://www.youtube.com/watch?v=P1o8Fvdc3sI
Buona visione
;)
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
X Maral
Ringrazio sia te che Eutidemo per la segnalazione dei video di Cacciari, ma sono piuttosto in antitesi con ciò che Cacciari afferma, e anche un po' deluso da questa figura che ho sempre ammirato, anche se non sempre mi sono trovato d' accordo con ciò che esprimeva. Ho visionato la prima e quasi per intero la seconda parte della conferenza e mi riprometto di seguire anche le altre e commentarle.
Se ben ricordi, rimasi molto colpito dalla genialità della interpretazione di Severino sulla volontà di potenza e sull' eterno ritorno. E non è che ho cambiato idea. Ma Severino ha affermato cose diverse e l' interpretazione di Cacciari non è il continuum logico, ma un itinerario e interpretazione diversi del pensiero nicciano che sempre a mio avviso sono poco fondati.
Per chi non ne fosse al corrente, ricordo che, a mio avviso, Nietzsche dopo aver distrutto la metafisica platonica e tutta quella che l' ha seguita, le ha ridato vita determinando un ulteriore credo: la volontà di potenza. Invece cioè di comportarsi Socraticamente ipotizzandola, l' ha determinata come verità immanente a tutta la vita, tradendo in fondo che anche in lui il bisogno metafisico aveva una certa rilevanza, spessore, profondità.
Per molti versi sono costretto ad ammettere che in fondo, contrariamente a ciò che pensavo, Heidegger aveva ragione nell' affermare che Nietzsche era l' ultimo Metafisico.
D' ora in poi eviterò di ripetere la locuzione: a mio avviso, premettendo in via definitiva che tutto ciò che seguirà è la mia opinione su questo controverso e difficilissimo argomento trattato principalmente in Così parlò Zarathustra ma che attraversa tutte le sue opere.
Ma torniamo a Severino. Severino mettendo in rapporto tre capitoli di Così parlò Zarathustra indicò le difficoltà di Nietzsche nei confronti della volontà di potenza e di come le risolse. Per far sì che la volontà di potenza fosse libera da ogni controllo esterno, nel capitolo Sulle Isole Beate si liberò di Dio, ma a questo punto gli rimase il problema del già-fù su cui la volontà di potenza non poteva intervenire. E nel capitolo Della Redenzione determinò l' - Io volli - e cioè l' io volli della volontà di potenza che volle il passato così com' è, ma non gli fu sufficiente ( sia chiaro che si tratta sempre di un io volli irrazionale ). E nel capitolo Della Visione e dell' enigma, determinò l' esistenza dell' Eterno Ritorno che permetteva alla volontà di potenza nella confluenza nell' attimo di passato presente e futuro il controllo anche e soprattutto proprio sul già-fù. Un già-fù cioè che ripresentandosi sempre nell' attimo rimaneva nelle mani della volontà di potenza.
Questa l' analisi di Severino e con cui concordo largamente. Ma Cacciari non dice questo. Cacciari dice altro. Cacciari afferma che l' annuncio della Morte di Dio porta a compimento il Nichilismo. E ciò è falso. O almeno molto discutibile.
Il Nichilismo, come ad esempio anche Sini afferma, ha il suo principio, inizio, nascita con la filosofia di Platone e trova il suo compimento nella religione Cristiana o Cattolicesimo. E cioè il rifiuto dell' egoismo e l' incedere pericoloso e fatale della nausea e della compassione per l' uomo. Battaglia, che in Genealogia della Morale, Nietzsche afferma non essersi ancora conclusa visto che - non è passato molto tempo, cito dal testo, da quando non era possibile pensare a matrimoni o feste principesche senza esecuzioni capitali -. Un tributo di sangue che dà l' idea di quanto ancora allora fosse presente la gioia della crudeltà in antitesi alla bonarietà e alla compassione.
La Morte di Dio ha soltanto dato spazio ad un' altra forma di credo, presente negli atei: la fede nella scienza, e allo stesso tempo di Nichilismo, di cui abbiamo largamente parlato proprio affrontando gli ultimi paragrafi del terzo saggio di Genealogia della Morale. E come afferma Nietzsche alla forma di credo e di Nichilismo più infide perché più nascoste.
Un' altra imprecisione che ho riscontrato è la possibilità che la volontà di potenza possa rimanere angosciata da qualcosa quando, per quanto di livello Metafisico e cioè data come verità, rimane comunque una forza irrazionale, non in grado di provare il benché minimo sentimento o sensazione ( non può in altre parole vedere la rovina dietro di sé come Cacciari afferma ). L' angoscia della volontà presente nel capitolo Della Redenzione non si riferisce alla volontà di potenza ma alla volontà umana che trova sgomento nella rovina del già-fù e che non può cambiare. Ma l' uomo è un ponte. L' uomo non è il metro delle cose. Ed ogni specie vivente rappresenta la perfezione che l' uomo non ha ancora raggiunto a causa delle difficoltà e delle menzogne che la ragione ha costruito a livello Metafisico per poter accettare il dolore, la sofferenza, per dare un senso alla vita che proprio il sacerdote asceta gli ha costruito attorno. Linee che lo hanno chiuso in un raggio d' azione deprimente ma per lui accettabile perché comunque gli ha fornito e gli fornisce un senso. Qualsiasi menzogna cioè è più accettabile del non senso della sofferenza e del dolore. Povero uomo! Questa terra per lungo tempo è stato e rimane un manicomio.
La volontà di potenza in definitiva non ha bisogno dell' uomo e può farne tranquillamente ( retoricamente ) a meno. E' l' uomo che attraverso la liberazione dal suo passato e delle menzogne fin qui accettate ha bisogno di ricongiungersi con la volontà di potenza e grazie all' arte infusa nella volontà di potenza tornare a creare valori e divenire Dio. La volontà di potenza non è un valore né ne crea. E' l' uomo, l' essere valutante, l' unica specie che può raggiungere l' Olimpo dei Greci.
Questo è quanto, e comunque come ben sai sono sempre pronto a rispondere ad eventuali critiche o divergenze d' opinione che tu volessi contestarmi. E comunque sempre grazie, anche per la lode che penso, e non credo di peccare di modestia, di meritare se non altro e soprattutto per l' impegno che è stato necessario per la stesura dello studio di Genealogia della Morale.
Nel rileggere il precedente post mi sono accorto che non ho sviluppato il commento su Genealogia della Morale che mi ero ripromesso di fare e che a questo punto rinvio ad altro post.
Ringrazio per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Citazione di: Garbino il 13 Marzo 2017, 17:38:53 PM
Cacciari afferma che l' annuncio della Morte di Dio porta a compimento il Nichilismo. E ciò è falso. O almeno molto discutibile.
Lo afferma intendendo come morte di Dio la fine di qualsiasi principio metafisico sulla base dei quali l'uomo fondava il proprio senso umano. La morte di Dio (che noi, uomini, abbiamo ucciso) non è per Nietzsche qualcosa di gioiosamente liberatorio, non è qualcosa su cui si possa scherzare al mercato (come si dice nell'aforisma 125 de "La gaia scienza"), ma è un avvenimento terribilmente angosciante che annuncia la morte dell'uomo. Ed è certamente l'uomo, l'uomo Nietzsche innanzitutto, che si scopre esposto all'annientamento. Annientamento che l'immagine di Dio (immagine del fondamento metafisico) solo nascondeva. Ovvio che la volontà di potenza sta oltre la dimensione umana, è una sorta di assoluto divenire che non ha scopo alcuno al di fuori di se stesso, perfettamente autoreferenziale esso viene a rivelare un diverso assoluto metafisico che paradossalmente sta inalterabile: tutto diviene. Ma è proprio per il determinarsi di questo paradosso che è necessario che anche il divenire divenga, che lo stare del divenire stesso si presenti non come un eterno stare ma come un eterno ripetersi identico.
In questo l'uomo, il suo progetto, è radicalmente annientato. L'uomo si rivela nulla, perché nulla è il senso, non c'è senso, quindi non c'è uomo possibile con la sua tensione, speranza di trovare senso, sullo scenario dell'eterno ritorno. Però Nietzsche (a differenza ad esempio di Leopardi che si ferma di fronte a questo immane scenario ove più nulla ha senso umano) parla di un oltreuomo, ma chi mai può essere l'oltreuomo? Non semplicemente chi si sente finalmente liberato, sollevato dal peso di Dio e di una morale che lo ingabbia, ma chi è pronto a incontrare infinite volte se stesso identicamente, chi vuole assolutamente se stesso identico, tornando ancora e ancora a essere quello che è. in una unicità assoluta che è solo eterna ripetizione. E questo significa appunto essere nella volontà di potenza che non è volontà progettante dell'uomo che si propone dei fini diversi a cui tendere e per questo lascia solo rovine e macerie definitive in cui la volontà si dissipa.
Così mi era parso di poter intendere, se ben ricordo, la lezione di Cacciari: alla fine l'eternità del divenire sembra coincidere nella sua interpretazione (che riconosce discutibile e arbitraria) proprio con l'eternità identica dell'ente, prova a seguirla fino in fondo.
La mia personale interpretazione del pensiero di Nietzsche è che è Nietzsche stesso.
Non ci sono più separazioni e relazioni. Rompe la cupola metafisica che condiziona l'esistenza, vale a dire la sovrastruttura condizionante dell'uomo, per cui "introietta" e non nega ancora la metafisica, semmai"quella" metafisica che destruttura ( ha ragione Heidegger),
Il paradigma metafisico non fa altro che spingerlo in SE'. Non mortifica l'uomo, semmai lo esalta, perchè ha spinto il divino nell'uomo, facendolo corrispondere. Tutte le relazioni dei sitemi metafisici mutano. ora l'uomo non è distante da Dio(anzi ne corrisponde) e non ha la sovrastruttura che lo condiziona. essendo divino, è lui stesso la morale e lo fa nell'immanente, senza passato e senza futuro, nel quì e ora che si ripete continuamente, perchè vuole e deve vivere l'attimo come un eterno, non come un passaggio di tempo.
Allora la volontà di potenza è l'uomo divino. L'eterno ritorno non è l'adesso relazionato nel passato o futuro, ma è solo l'ora, senza rimpianti e senza domani, senza remore e senza paure; nel suo sistema l'uomo vive l'attimo e la morale è nell'istinto.
Ha posto l'uomo come centro del paradigma, che quindi non risponde più che a se stesso.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
X Phill
Grazie per il post che trovo alquanto condivisibile. Una delle cose su cui ho qualche dubbio se non in disaccordo è quando affermi che la volontà di potenza è l' uomo divino. Nel post precedente infatti ho precisamente affermato:
La volontà di potenza in definitiva non ha bisogno dell' uomo, essa può farne tranquillamente ( retoricamente ) a meno. E' l' uomo ( sintetizzo ) che necessita dell' arte infusa nella volontà di potenza e che può tornare a usufruirne attraverso la liberazione dal suo passato e dalle menzogne che fin qui ha accettato. La volontà di potenza non è un valore né crea valori ( e non è neanche Dio ). E' l' uomo, l' essere valutante, che può tornare a creare valori e raggiungere l' Olimpo dei Greci. E' l' uomo che diviene Dio grazie alla volontà di potenza finalmente liberata.
In altre parole la volontà di potenza è una forza creante assolutamente irrazionale che è infusa in tutta la vita. Questa la mia opinione.
X Maral
Il ragionamento di Cacciari, ho visionato per intero tutti i video, sembra il confronto dialettico di stampo Hegeliano tra il Cristianesimo, ma sarebbe meglio dire tra la figura di Cristo e l' oltreuomo di Nietzsche. Tesi e antitesi da cui scaturisce la sintesi di un Cristo che non ha più bisogno di redimere in un tempo e in un attimo che è siglato dall' Eterno Ritorno e che viene a coincidere con l' oltreuomo, amando il suo prossimo di degenerati e pezzi sparsi di umanità. Per altro riporta in vita l' ontologia, assente in Nietzsche, resuscitando l' ente. Il superamento del Nichilismo? Questo è tutt' altro. Anzi è la vittoria, ma che dico?!!, il trionfo assoluto di Platone e del Nichilismo.
Non nascondo che, per molti versi e per un certo ambiente sociale culturalmente Cristiano, questo potrebbe considerarsi come uno degli epiloghi meno traumatici alla diatriba sull' argomento. Ma mi sembra che si tratti del tradimento di entrambe. Sia della filosofia di Nietzsche che della cultura o morale Cristiana, anche ammesso che noi liberassimo la figura del Cristo e ne riscoprissimo il valore evangelico, e che secondo Nietzsche è morto con Lui sulla Croce.
Per quanto riguarda l' aforisma 125 della Gaia Scienza, torno a confermare che, a mio avviso, non è un caso che lui si reca presso gli atei. Gli atei che dovrebbero trovarsi nelle condizioni di crisi a cui li ha portati l' uccisione di Dio. Ma rimane stravolto, sconvolto ed interdetto nel constatare che essi non hanno ancora, e forse non lo faranno mai, interiorizzato il significato dell' evento della Morte di Dio. Né se ne preoccupano. E questo a mio avviso dipende proprio dal fatto, come poi affermerà ampiamente proprio nei paragrafi dedicati alla scienza di Genealogia della morale, che hanno soltanto sostituito Dio con un' altra fede. La fede nella scienza.
Ed è proprio perché non possono comunque fare a meno di una fede che non sentono mancare il terreno sotto i loro piedi. Non che muore l' uomo, ma che non si rendano conto che con la Morte di Dio vengono a mancare quei riferimenti che gli diano una dimensione, un senso. In quella condizione infatti gli uomini dovrebbero diventare dei per essere degni di questa azione. Dell' azione di aver ucciso Dio, della Morte di Dio.
Naturalmente questa è la mia interpretazione e possono essercene altre.
Comunque la Morte di Dio non è l' avvento del Nichilismo annunciato da Nietzsche. Rappresenta solo il suo passaggio dalla Cristianità alla scienza o tecnica o altro. Anche il credere nel Dio Cristiano cioè è già Nichilismo. Se mai appunto c' è da chiedersi come mai non accade nulla dopo la Morte di Dio. Ed è proprio perché, come Nietzsche afferma in Genealogia della morale, che la scienza non è un' antitesi della religione ma il suo nocciolo. Scienza e religione vanno sempre affrontati assieme e non separatamente.
Commento a Genealogia della morale.
Trovo l' opera, dopo averla così lungamente presa in considerazione, di una costruzione quasi perfetta. Nulla è lasciato al caso. Specialmente il secondo saggio, che mi sono reso conto di non averne capito in precedenza la funzione nel tutto, per molti versi lotta alla pari con il terzo che rappresenta la più grande denuncia di ciò che anima il sacerdote ascetico e ciò che in lui si agita e diviene potenza.
Molte sono le impressioni che questo studio dell' opera mi ha suscitato e piano piano le svelerò. Lo spazio è quello che è e sono molto più importanti le risposte ai vostri interventi che non il commento stesso.
Un argomento che rimane tutto da svelare è quello della crudeltà umana e delle sue radici, che Nietzsche ritiene innate. Io ho una diversa opinione. Ritengo infatti che sia la natura, ciò che rappresenta l' aspetto naturale dei luoghi in cui l' uomo è vissuto che ha influito enormemente nei millenni al suo evolversi.
Mi rimaneva un dubbio. E questo dubbio riguardava le società organiche contemplate in quell' opera favolosa e che consiglio a tutti: L' Ecologia della libertà, di Murray Bookchin e che fa parte della letteratura utopica della sinistra ecologica. La sua risposta a ciò che infine abbia determinato, lui la chiama cattiveria non crudeltà, l' apparire della cattiveria nelle società organiche ( tipo gli Hopi ) del periodo preculturale è stato il sempre maggiore peso del ruolo degli anziani, che un tempo venivano spesso abbandonati a sé stessi nel nomadismo, e che con il suo tramontare o diminuire spesso si ritrovarono a ricoprire il ruolo di sciamano. Ad acquisire una certa potenza e a determinare appunto un influsso deteriorante nel corpo sociale di livello consociativo. ( Negli Hopi ogni donna sembra ricoprire il ruolo di madre per gli infanti ).
Per quanto riguarda l' assurdità del comportamento del sacerdote ascetico e sugli influssi nefasti su popolazioni pacifiche e naturalmente atee come quelle che si trovavano in certe zone della Polinesia, mi sovviene sempre un aneddoto su alcuni missionari che si spinsero in quei luoghi. Missionari che si resero conto che questi gruppi umani si cibavano del frutto di un albero che nasceva spontaneo e che aveva le stesse caratteristiche del nostro pane. Una manna che questi missionari ritennero blasfema e svincolante dalla verità rappresentata da Dio e dalla sua condanna per l' uomo, e che passarono follemente alla distruzione di ogni pianta di quel tipo. Non ritengo ci sia neanche da commentare un' azione che è blasfema ancor di più della blasfemità che ne sarebbe secondo loro la causa.
Grazie per la cortese attenzione
Garbino Vento di Tempesta.
Citazione di: Garbino il 16 Marzo 2017, 16:16:25 PMNietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro. X Phill Grazie per il post che trovo alquanto condivisibile. Una delle cose su cui ho qualche dubbio se non in disaccordo è quando affermi che la volontà di potenza è l' uomo divino. Nel post precedente infatti ho precisamente affermato: La volontà di potenza in definitiva non ha bisogno dell' uomo, essa può farne tranquillamente ( retoricamente ) a meno. E' l' uomo ( sintetizzo ) che necessita dell' arte infusa nella volontà di potenza e che può tornare a usufruirne attraverso la liberazione dal suo passato e dalle menzogne che fin qui ha accettato. La volontà di potenza non è un valore né crea valori ( e non è neanche Dio ). E' l' uomo, l' essere valutante, che può tornare a creare valori e raggiungere l' Olimpo dei Greci. E' l' uomo che diviene Dio grazie alla volontà di potenza finalmente liberata. In altre parole la volontà di potenza è una forza creante assolutamente irrazionale che è infusa in tutta la vita. Questa la mia opinione. .
Se vuoi continuo a passare per Phil :D Per quel poco o tanto che conosco sulle origini umane, Nietzsche è per l'uomo originario.Ho la netta impressione, ma dovrei a mia volta compiere lavori filologici su Nietzsche, lui che è filologo,che avesse delle conoscenze sull'argomento e in genealogia della morale ci sono piccoli passaggi che lo evidenziano.Quell'uomo non è ancora nella storia ,tanto meno nella linearità temporale.Quell'uomo non ha ancora diviso le distanze fra il sacro e la natura.Quell'uomo non segna la distanza fra l'uomo e il divino,poichè il divino risiede in lui.La distanza non viene superata dallo spazio/tempo delle etiche e morali, che segnano appunto il comportamento del fedele per ritornare al divino.Se tutto ciò anzi detto fosse vero, significa che il pensiero filosofico è per l'uomo che è già distante dal divino, è per l'uomo mediocre che interpreta come distanza, predicando etiche e morali.Nietzsche è ante pensiero filosofico, è per Dioniso e non Apollo.La volontà di potenza quindi non è un valore è nell'ordine naturale insito nell'uomo.
La destrutturazione del pensiero filosofico dell'uomo mediocre, il "toglimento"che è ancor più che svelamento, dell'involucro culturale che ha impregnato e giustificato culturalmente quest' uomo.
Citazione di: Garbino il 12 Marzo 2017, 16:14:15 PMX Memento.
Se ricordi ho affermato che avevo dei dubbi sul fatto che la volontà di potenza corrispondesse all' individuo. Ed adesso cercherò di far luce su ciò che intendevo. Val la pena riportare che la volontà di potenza, secondo Nietzsche, è una forza irrazionale, noi la chiamiamo anima vitale, che fornisce e rappresenta l' energia stessa di ogni essere vivente, l' energia che stimola la vita e che per molti versi rappresenta la vita stessa. Ricordo inoltre che Nietzsche ne parla e la delinea in opposizione alla volontà di volontà di Schopenhauer. A questo punto posso affermare che posso essere d' accordo con te per le cellule e per tutti gli organismi minori che possiamo trovare in natura ( sulla flora non mi espongo perché non ho riflettuto a sufficienza su di essa ). Ma le cose cambiano, sempre a mio avviso, per tutti gli organismi a mano a mano che si sale nella scala di complessità degli stessi. E a riguardo vorrei porre l' attenzione sull' argomento genio che Nietzsche tratta a lungo in Ecce Homo.
Infatti lui afferma che coloro che hanno in potenza la possibilità di diventare genio non è detto che riescano a diventarlo a causa dell' ingerenza di numerose variabili come il clima, l' alimentazione e il dormire. Ciò, sempre a mio avviso, significa che la volontà di potenza di tali individui nulla può per il soddisfacimento del diventare genio né tanto meno coincidere con l' individuo nel caso di variabili che influiscano negativamente sul processo. Quello che in definitiva intendo affermare è che le possibilità che la volontà di potenza coincida con l' individuo appartenente a qualsiasi specie sono inversamente proporzionali alla sua complessità. Senza dimenticare che le variabili a livello umano sono tantissime e molto determinanti. Se hai dei dubbi sono come sempre disponibile a discutere qualsiasi opinione contraria.
Penso sia necessario capire quale significato attribuire alla volontà di potenza,prima di far partire qualsiasi riflessione su di essa. Il mio intento era proprio quello di richiamare l'attenzione sul concetto e,visto l'importanza che riveste nell'opera che hai trattato,mi pare indispensabile. È la norma vedere infatti esporre giudizi su Nietzsche sulla base di propri fraintendimenti.
Innanzitutto la volontà di potenza è una volontà? Se lo è,allora dobbiamo escludere,per definizione,tutti quegli organismi che non sono in grado di volere,ovvero che sono incapaci di esercitare il controllo sul proprio agire,e la cui "esistenza" si limita a una serie di riflessi condizionati.La stessa nozione di organismo vivente proviene dalla biologia moderna,e mi riesce difficile credere che Nietzsche possa averla accolta come una spiegazione. Piuttusto è la volontà di potenza a dare un senso a quel fenomeno che prende il nome di "vita" (rileggi a proposito,se puoi,l'aforisma 36 di "Al di là del bene e del male").
Nel primo post sul tema avvertivo circa la possibilità di intendere la volontà di potenza alla maniera di un atomo,unica,indefinita e indivisibile. Non era una precisazione inutile: questa strada riporta dritti alla vecchia superstizione dell'anima,della quale credevamo esserci sbarazzati. Che scherzi possono giocarci le parole quando presentano le cose molto più semplici di come,in realtà,sono! Il fascino delle parole e dei concetti resterà sempre l'ultimo degli argomenti a favore della metafisica. Bisogna però essere più cauti e meno metafisici nella lettura: volontà di potenza è un termine che raccoglie in sé e unifica un complesso di pulsioni,spinte e pressioni contrastanti; osservando questo groviglio,non è possibile stabilire a priori una direzione complessiva,che dipende,come tu dici,da una serie di fattori (dalla morale per esempio) e dal caso. Perciò nego l'idea secondo cui la volontà di potenza indichi un principio metafisico,separato dal corpo e dalle contingenze personali,a partire delle quali invece si va determinando. L'individuo coincide con la (sua) volontà di potenza nel senso che egli è fondamentalmente istinto,nella misura con cui ogni istinto lotta,cresce e aspira alla potenza.
Ho letto Ecce Homo,opera di straordinario valore,essendo il primo tentativo di tracciare un parallelo fra vita e filosofia,che negli altri libri è solo accennato. Personalmente è quella che mi è rimasta più dentro,eppure non ricordo l'argomento "genio" come preponderante (forse è questione di differenti chiavi di lettura,o forse è la memoria che fa cilecca ;D ).
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
X Paul11
Ah, ah, ah!! Che svista!!!! Scusa l' errore che comunque mi sembra tu l' abbia preso alquanto ironicamente e di ciò te ne sono grato.
Nietzsche, per sua stessa ammissione, da giovane si è dilettato nel ruolo di filologo. Un ruolo che, sempre secondo sua ammissione, prevede la lettura di una decina di testi al giorno, se non ricordo male ( Ecce Homo ). Comunque legge moltissimo. Da qui la sua profonda cultura, anche se in seguito dette un tronco netto a questa attività dedicandosi soltanto a ciò che poteva interessarlo. Tranne che nei momenti in cui scriveva le sue opere perché in quei frangenti riteneva la lettura di altri autori una distrazione evitabile.
L' uomo originario. Sì, ritengo che il suo sguardo, ma non mi sembra poi una cosa tanto strana e di difficile rilevamento, era rivolto sia alla grecità che alla romanità. All' istinto fanciullesco dei Greci che permise loro di superare il pessimismo e al pragmatismo romano che li portò a generare uno schema sociale che avrebbe potuto continuare ad esistere anche dopo la caduta dell' impero.
Un uomo originario però che per evolversi ha bisogno di passare attraverso le tre metamorfosi che troviamo nello Zarathustra: cammello, leone e fanciullo per diventare oltreuomo. Un' identità che, sempre a mio avviso, necessita sì del Caos rappresentato da Dioniso ma anche dell' ebbrezza del sogno rappresentato da Apollo. Non è un caso che abbia scritto La nascita della tragedia, che poi avrebbe più tardi desiderato di intitolare Grecità e Pessimismo. Questo mondo della mediocrità dovrebbe appunto riportare Il Caos e renderlo gestante di un nuovo vivere anche grazie al sogno che rende innocente qualsiasi pensiero.
X Memento.
Caro Memento, capisco benissimo i tuoi dubbi ( ci sono passato anch' io ), ma per comprendere a fondo il significato stesso della volontà di potenza è necessaria un' attenta lettura dell' aforisma 19 proprio di Al di là del bene e del male, dove appunto la volontà viene destrutturata ed annullata da Nietzsche ( e se puoi, anche l' aforisma n. 3 Errore di una falsa causalità nel capitolo I Quattro Grandi Errori di Crepuscolo degli Idoli ). La volontà di Nietzsche è qualcosa di molto diverso da ciò che comunemente si intende. Anzi proprio le caratteristiche che Nietzsche le assegna invece di escludere gli organismi semplici li rende i principali soggetti dove la volontà di potenza è sovrana e coincide con il soggetto stesso. Ma non è una volontà che agisce, è una forza irrazionale che spinge l' organismo verso il suo maximum di potenza.
Anche se questo aspetto significa appunto un bruciare le proprie energie senza limiti e portandolo ad una celere fine della sua vita.
Che poi si tratti di una caratteristica di stampo metafisico dipende appunto dal fatto che Nietzsche la pone come data. Anche se non è identificabile, accertabile, raggiungibile dai nostri sensi, dalla nostra esperienza. E' un dogma che necessita di fede.
Nell' aforisma 36, è sufficiente andare alle ultime righe per rendersi conto della possibilità che la mia interpretazione sia accettabile, anche se poi ciascuno interpreta il suo pensiero come meglio crede. Parte finale che dice: ...definire chiaramente ogni forza agente come: volontà di potenza. Il mondo visto dall' interno, il mondo definito e designato secondo il suo carattere intellegibile - esso sarebbe appunto " volontà di potenza" e nulla oltre a questo. - Come puoi constatare non parla di uomo o di organismi superiori, parla di mondo. Tutto il mondo vitale: dal microorganismo all' uomo. Questo il modo in cui interpreto l' argomento: volontà di potenza.
Su Ecce Homo, tutti i primi capitoli rappresentano un' apologia di sé stesso e di come lui si ritenga un genio ( un genio largamente incompreso dai suoi contemporanei contro cui si scaglia ardentemente nella Prefazione ). E di come è riuscito a rinascere e ad elevarsi proprio grazie alla sua decisione di allontanarsi dalla Germania per raggiungere luoghi dove si mangia, si dorme e si respira meglio. In Italia e Francia. Per altro nel par.2 del capitolo Perché sono così accorto, fa proprio riferimento ai luoghi dove il genio in potenza è più avvantaggiato nella possibilità di diventare genio ( Firenze, Atene, La Provenza ). Comunque siamo sempre a disposizione.
Garbino Vento di Tempesta
Citazione di: Garbino il 17 Marzo 2017, 18:15:30 PMNietzsche, per sua stessa ammissione, da giovane si è dilettato nel ruolo di filologo.
Veramente non si è solo "dilettato", visto che come filologo ha mantenuto per qualche anno la cattedra di lingua e letteratura greca all'università di Basilea, e poi quando ha lasciato l'insegnamento la stessa università gli ha concesso un vitalizio con cui si è potuto mantenere sino alla fine dei suoi giorni.
Donquixote scrive il vero. Wilheilm Ritschl fu suo maestro e molto influente culturalmente e come potere universitario, riuscì a fargli avere il vitalizio.
Il drago è il "tu devi" della tradizione e il leone è "io voglio", per superare il il dovere della tradizione.
E....
Fratelli, perché il leone è necessario allo spirito? Perché non basta la bestia da soma, che a tutto rinuncia ed è piena di venerazione?
Creare valori nuovi – di ciò il leone non è ancora capace: ma crearsi la libertà per una nuova creazione – di questo è capace la potenza del leone.
Crearsi la libertà e un no sacro anche verso il dovere: per questo, fratelli, è necessario il leone.
Prendersi il diritto per valori nuovi – questo è il piú terribile atto di prendere, per uno spirito paziente e venerante. In verità è un depredare per lui e il compito di una bestia da preda.
Un tempo egli amava come la cosa piú sacra il "tu devi": ora è costretto a trovare illusione e arbitrio anche nelle cose piú sacre, per predar via libertà dal suo amore: per questa rapina occorre il leone.
Ma ditemi, fratelli, che cosa sa fare il fanciullo, che neppure il leone era in grado di fare? Perché il leone rapace deve anche diventare un fanciullo?
Innocenza è il fanciullo e oblio, un nuovo inizio, un giuoco, una ruota ruotante da sola, un primo moto, un sacro dire di sí.
Sí, per il giuoco della creazione, fratelli, occorre un sacro dire di sí: ora lo spirito vuole la sua volontà, il perduto per il mondo conquista per sé il suo mondo.
Tre metamorfosi vi ho nominato dello spirito: come lo spirito divenne cammello, leone il cammello, e infine il leone fanciullo. –
Cosí parlò Zarathustra. Allora egli soggiornava nella città che è chiamata: "Vacca pezzata"
Ho evidenziato in grassetto e sottolineato ciò che ne sono la chiave di lettura,persino vacca pezzata è un simbolo a voler vedere
Utilizza il sacro e lo spirito , la ruota rotante, il "tu puoi" del leone, e l'innocenza e l'oblio del fanciullo
Ci sono indicazioni di un tempo perduto in cui il "tu devi", aveva un altro significato..........
Chi vuol capire...........
Citazione di: Garbino il 16 Marzo 2017, 16:16:25 PM
La volontà di potenza in definitiva non ha bisogno dell' uomo, essa può farne tranquillamente ( retoricamente ) a meno. E' l' uomo ( sintetizzo ) che necessita dell' arte infusa nella volontà di potenza e che può tornare a usufruirne attraverso la liberazione dal suo passato e dalle menzogne che fin qui ha accettato. La volontà di potenza non è un valore né crea valori ( e non è neanche Dio ). E' l' uomo, l' essere valutante, che può tornare a creare valori e raggiungere l' Olimpo dei Greci. E' l' uomo che diviene Dio grazie alla volontà di potenza finalmente liberata.
In altre parole la volontà di potenza è una forza creante assolutamente irrazionale che è infusa in tutta la vita. Questa la mia opinione.
Come si è detto il primo punto da chiarire mi pare cosa sia la volontà di potenza che Nietzsche riprende da Schopenhauer e che evidentemente non può essere né una forma di volontà individuale arbitraria e del tutto svincolata (e la profonda ammirazione sempre mantenuta da Nietzsche per Spinoza non può che attestarlo) e men che meno la buona volontà cristiana e nemmeno la cattiva volontà dei malvagi. La volontà di potenza appare l'impulso vitale stesso, ossia quella forza profonda che anima l'esistenza e corrisponde all'esistenza stessa al di là del gioco delle rappresentazioni e quindi al di là del bene e del male.
Forse In questo senso Nietzsche non è, almeno nella sua fase più matura, come farebbe un qualsiasi ateo, interessato a condannare l'asceta o il cristiano. Nietzsche è sgomento davanti alla morte di Dio, il passo della Gaia Scienza lo dice chiaramente: la morte di Dio è sconvolgente, nonostante quello che pensano gli atei ridacchiando. Quello a cui lui è davvero interessato è mostrare come il bene e il male fanno parte di un gioco di maschere, che i "buoni in realtà non sono per nulla buoni, né i cattivi sono cattivi, bene e male sono mere parvenze dacché è morto Dio, il grande baluardo metafisico che imponeva i giudizi morali con i necessari doverosi mascheramenti in cui l'essere umano poteva trovare il suo senso artefatto (non dimentichiamo che Nietzsche era pur sempre figlio di un pastore luterano, che aveva amato il padre di cui conservava il ricordo profondo, a fronte della sua avversione per la madre e la sorella).
Zarathustra non si esalta per la morte di Dio, come a dire finalmente Il grande carceriere è crepato! balliamo tutti insieme lieti e garruli, fratelli e sorelle, finalmente potremo liberarci di quegli impiastri di sacerdoti, asceti e stregoni facendo fare a loro la stessa fine, impiccati nelle chiese. Al contrario, Nietzsche mostra chiaramente che la morte di Dio significa inevitabile la morte dell'uomo, quello stesso piccolo uomo che prima andava in chiesa e ora è ateo e magari si aggrappa alla scienza pur di conservarsi. Nietzsche ben sa cosa significa quella morte di Dio per l'umanità e la storia del secolo successivo, dopo la sua morte, avrebbe dato ben ampia ragione alla sua profezia. E qui, dato che l'uomo muore, che perde di senso, trovandosi così esposto, entra in gioco, evocato in scena, ma senza che possa apparire, quasi una sorta di Godot, l'Oltreuomo che solo potrà sostituire Dio e l'uomo, entrambi morti. L'Oltreuomo però non c'è, non si vede ancora e questo aumenta lo sconvolgimento, la sola indicazione che se ne ha è che l'Oltreuomo è colui che incarna lo stesso impulso vitale stesso, aderendovi scegliendolo, ma non come si sceglieva tra il bene e il male.
Qui c'è a mio avviso una cosa da capire, se la volontà di potenza è l'assoluto delle potenza vitale, non c'è né mai c'è stata gabbia che abbia potuto contenerla. L'asceta, il sacerdote sono già volontà di potenza in atto, ne sono comunque incarnazione che la realizza. La volontà di potenza non può che vincere sempre, è essa che crea le maschere della morale, le rappresentazioni metafisiche, le gabbie e al pari le distrugge, non l'uomo ed è questo che l'oltreuomo deve volere accettare.
Perché altrimenti non si capisce il terzo grande punto cruciale della filosofia nicciana, quello filosoficamente fondamentale che è l'eterno ritorno che pare così in contraddizione con l'idea di una volontà immaginata tanto ingenuamente liberatoria per l'umanità intera, del tipo io voglio tutto e posso tutto. Al contrario, l'eterno ritorno dice che io non posso niente e voglio non potere niente, perché solo così si vuole davvero tutto, si vuole l'eterno ritorno, che vanifica ogni maschera, ogni etica fondata su un bene e su un male, solo nell'eterno ritorno si è davvero oltre i condizionamenti del passato con le sue colpe e i suoi meriti, oltre il sentimento del bene e del male. E allora. nell'ottica dell'eterno ritorno è chiaro che non ha più nemmeno senso la condanna del cristiano, dell'asceta, del sacerdote, come si può condannare se si è oltre il bene e il male? Nietzsche condanna, ma lui sa di non essere l'Oltreuomo. In nome di quale bene e di quale male si può benedire o maledire e condannare? Forse che l'impulso vitale è bene? Se lo è non è assoluto, perché deve fare i conti con il suo male. E' chiaro che deve perdere di senso qualsiasi condanna, perché qualsiasi condanna ricondurrebbe alla logica del bene e del male. L'Oltreuomo, chiunque sia, non può condannare assolutamente nulla e nessuno dal momento che sceglie la volontà di potenza, ossia la vita stessa che è comunque anche vita (e quindi volontà di potenza) dell'asceta, del sacerdote, del cristiano, del santo e dell'ateo e di ogni piccolo uomo, financo il più miserabile, ipocrita e repellente.
Io non credo che Nietzsche abbia visto le cose in questo modo fin dall'inizio, non so se sia davvero giunto a vederla davvero in questo modo nemmeno alla fine, ma di sicuro la conseguenza di una volontà di potenza assoluta, proprio intesa nel suo pieno e assoluto significato vitale, non può che essere questa. Solo così l'Oltreuomo può essere Dio, quel Dio che l'uomo ha ucciso manifestando così l'evento della fine dell'uomo e quindi del mondo degli uomini. Solo così il nichilismo a cui la morte definitiva di ogni Dio conduce con la morte di ogni ordine e istituzione di senso è effettivamente superato da un ribaltamento assoluto del nichilismo stesso che così si è compiuto. Non perché si è costretti ad arrendersi, ma perché lo si vuole.
Citazione di: donquixote il 17 Marzo 2017, 19:42:43 PM
Citazione di: Garbino il 17 Marzo 2017, 18:15:30 PMNietzsche, per sua stessa ammissione, da giovane si è dilettato nel ruolo di filologo.
Veramente non si è solo "dilettato", visto che come filologo ha mantenuto per qualche anno la cattedra di lingua e letteratura greca all'università di Basilea, e poi quando ha lasciato l'insegnamento la stessa università gli ha concesso un vitalizio con cui si è potuto mantenere sino alla fine dei suoi giorni.
Nietzsche infatti era filologo per formazione accademica e, per il breve periodo in cui lavorò all'università, insegnò filologia, non filosofia. Questo aspetto è sempre sottolineato dai filosofi suoi avversari e detrattori (tra l'altro il suo modo di fare filologia non era particolarmente consono allo stile formale ritenuto adeguato per farla). Capita che grandi filosofi non abbiano avuto una competenza accademica specifica con grande dispetto di quelli che ce l'hanno e riescono solo a ruminare :) .
La volontà di potenza è il leone del "può" che deve con un atto di coraggio, di volontà, "tirare fuori" da dentro di sè quel fanciullo innocente, che per definizione non conosce ancora il bene e il male proprio perchè è innocente , e quindi ha l'oblio della tradizione non la conosce, ne è esente.La ruota dell'eterno ritorno a quel punto si muove automaticamente, perchè quel nuovo uomo vive l'attimo come eterno essendo uscito dalla tradizione del tempo lineare.
Questo richiede uno sforzo enorme, è possibile, è pensabile, difficoltoso attuarlo, ma non impossibile.Nietzsche è il più "viscerale" dei pensatori, in quanto il più profondo.Le sue parole sono masticate dal di dentro ,non è come molti pensatori e intellettuali le cui parole nascono dalla bocca, Nietzsche le fa nascere dalla più profonda nostra intimità.
IL dialogo quindi in Nietzsche è profondamente interiore, è abissale, e si scontra con le sovrastrutture culturali del tempo.Lui misura la distanza del fanciullo dormiente che è sempre con noi, è dentro di noi, e la diversità del mondo esteriore.Il tragico è proprio la distanza dell'innocenza del fanciullo, dalla mondanità ipocrita.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Bene. Pare che ci siamo. Grazie a tutti per i vostri post ed anche per le critiche che sono fautrici di nuovi germogli e nuovi frutti.
X Donquixote
Infatti io non mi riferivo a ciò che appare nella biografia che possiamo trovare nelle prime pagine di ogni sua opera. Ma ai diversi riferimenti biografici sparsi in ogni opera ( o quasi ). Tra i quali cito il suo passare intorno ai sedici anni le notti a traduzioni da e in latino pieno di alcool. Per quanto riguarda il vitalizio, non è che il suo mentore riuscì a farglielo avere soltanto grazie alla sua influenza, ma soprattutto per il grande lavoro svolto per l' Università a livello culturale. Denaro che poi usò quasi interamente per pubblicare le sue opere, visto che doveva ricorrere spesso a prestiti presso la sorella ed amici.
X Paul11
Sono d' accordissimo con te che il punto cruciale è la rivolta dello spirito nei confronti del tu devi morale. Mentre lo sono un po' meno sul fatto che la volontà di potenza corrisponda al leone.
Ma andiamo per ordine. Lo spirito che diventa cammello lo può soltanto se si inginocchia e aspira la sua forza. Il cammello vuole un carico pesante. E questo carico è a mio avviso la conoscenza. Una conoscenza possibile soltanto con l' umiltà a discapito del proprio orgoglio.
- Oppure è questo: nutrirsi di ghiande ed erbe della conoscenza ed essere affamati nell' anima per amore della verità?
- Oppure è questo: entrare nell' acqua sporca, se è l' acqua della verità e non respingere da sé rane fredde e rospi caldi?
Ma questo spirito perciò non è uno spirito qualunque, ma uno spirito che può assorbire un alto grado di conoscenza. E' grazie a questo carico cioè che infine può crearsi il suo deserto. Ed è sempre questo deserto se vasto e profondo che gli può dare la forza di diventare leone ed affrontare il tu devi.
E sempre, a mio avviso, nel momento stesso in cui trionfa sul tu devi e getta alle sue spalle tutto il suo passato che avviene la metamorfosi in fanciullo. Ma tutto il processo di metamorfosi è possibile se si è in possesso della grande salute e della possibilità di poter assorbire la conoscenza. Solo così lo spirito umano può trasformarsi in oltreuomo.
Per quanto riguarda il resto trovo tutto alquanto condivisibile. Specialmente che tutto si svolge a livello introspettivo, in quell' abisso dove vive anche il fanciullo ma in compagnia di molti altri mostri, sia naturali che creati da millenni di asservimento morale.
Ti ringrazio inoltre per lo spunto sulla simbologia della vacca pezzata che non conoscevo. Ho trovato infatti due riferimenti possibili: la vacca pezzata di una fiaba dei fratelli Grimm e quella della religione Indù. E che riappare più avanti con l' aggettivo variopinta con l' affermazione che è quella che ama di più. La vacca con tutti gli dei. Simbolismo che molti intendono come un attacco profondo al monoteismo, ma su cui per il momento non mi espongo.
X Maral.
Trovo tutto molto condivisibile tranne un aspetto. La volontà di potenza essendo irrazionale e indifferenziata né vince né perde. E' il soggetto attraversato da essa che in virtù delle differenze biologiche e genetiche va a ricoprire questo o quell' altro ruolo. Se è vincente il sacerdote asceta certo non lo è il gregge che ad esso si aggrappa e segue ciecamente nella sua follia.
Nietzsche continuamente assolve qualsiasi individuo da qualsiasi colpa che la morale lo costringe ad incarnare. Compreso il massimo del debito come il peccato originale. Nessuno è colpevole di ciò che è, ma esistono le leggi degli uomini e il loro continuo giudicare. L' oltreuomo non ha bisogno né di amare né di perdonare il prossimo perché sa benissimo che tutti sono innocenti. E che la colpa è del tu devi ancestrale di carattere morale. Accetta la diversità non per compassione ma per un eccesso di forza. Non può ricevere ma può soltanto donare ( La virtù che dona e il Canto notturno ). Il suo ruolo è quello di essere l' individuo che è riuscito ad evolversi e a raggiungere la sponda che ha l' esser ponte alle sue spalle.
Sulla Morte di Dio abbiamo opinioni diverse, ma ci può stare tranquillamente.
Ringrazio nuovamente tutti per il vostro contributo.
Garbino Vento di Tempesta.
g- ... allora, perché mi trovo qui, interrogato, per giunta?
Vp- ... interrogato, che parola grossa... diciamo che stiamo approfondendo la sua posizione...
g- la mia posizione... in merito a cosa?
Vp- in merito alle sue azioni...
g- azioni? Che cosa avrei commesso di cui render spiegazione?
Vp- è intervenuto dove non aveva titolo per farlo... disturbando, nel migliore dei casi... e forse tentando di sabotare, non l'avessimo fermata, il naturale prosieguo degli eventi...
g- s'ho disturbato me ne dispiace, in quanto al titolo non era richiesto e le porte erano aperte. Sabotaggio del naturale prosieguo degli eventi... che significa?
Vp- gli eventi condurranno ad una conclusione, che è uno degli scopi del consesso in cui è intervenuto...
g- anche il mio intervento poteva arricchire la discussione, no?
Vp- ... non aveva titolo, doveva esimersi, limitandosi ad osservare.
g- come s'acquisisce codesto titolo?
Vp- non è cosa semplice, con lo studio, l'interesse e la dedizione... ma alfine, ciò che più conta, è che si venga riconosciuti dai propri pari... c'è un ordine ed una gerarchia nelle cose...
g- cioè le cose non son come appaiono... è dunque quest'ordine, questa gerarchia sottostante ad esse che in realtà le muove... come un treno su un binario..?
Vp- ... comincia a comprendere... si è accostato a quel treno standosene sulla sua auto... non va bene, chi meritatamente vi alloggia – perché il viaggio è assai lungo – ha profuso energie, tempo e qualcos'altro di importante... avrà pure un valore tutto ciò, non crede?
g- di sicuro... ed anche non si fa nulla per nulla, un qualche riconoscimento si deve pur ricevere... ma, se permette, che sarà mai una piccola distrazione dovuta al mio affiancarmi al treno in corsa con la mia macchinina... che avrebbe potuto regger il ritmo solo per un po', giusto il tempo d'arrivar alla successiva stazione... mi par sproporzionato l'esser per questo costretto a codesto interrogatorio..!
Vp-... atteggiamento potenzialmente anarcoide... richiedere che le regole abbiano un'elasticità che non possono avere, altrimenti che regole sono?
Un piccolo foro in una diga tenderà ad allargarsi... la regola, nel caso, è d'intervenire prontamente.
g- ... mi scusi, ma non si può tener conto di quel che avevo da dire? Intendo che quel poco, quel nulla... poteva esser inerente all'argomento, esser in tema e...
Vp- ... ma lei non lo conosce l'argomento, ne ha colto degli accenni, saltando qui e là... vuol confrontarsi con la preparazione di chi l'ha sviscerato, alfine comprendendolo e facendolo proprio?
g- vero, ho solo colto qualche accenno... diciamo l'un per mille... in confronto a... quanto?
Vp- vuol metterla in numero? Per alcuni anche il 70, 80 per cento... ma potrebbe anche esser di più... si rende conto?
g- mi rendo conto... ma ritengo alcuno possa dire d'aver colto il 100 per cento...
Vp- se qualcuno lo proclamasse... lei come potrebbe confutarlo, con i suoi inadatti strumenti e le più che limitate conoscenze?
g- oh, non lo confuterei... lascerei tal compito a chi appunto le possiede... dal mio direi che c'è un al di là del 100 per cento...
Vp-... di cui gli esperti, gente che vi ha dedicato parte della loro preziosa esistenza non si son accorti... e cosa ci sarebbe mai al di là di un argomento e di tutto quel che contiene e se ne è detto...
g- ... e se ne dirà, vede, questo è un al di là, in un momento che non è adesso...
Vp-... e perciò inutilizzabile, come non esistesse...
g- vero, al momento inutilizzabile ... ma quel che è solo in potenza accampa una sorta di diritto futuro che lo renderà necessario per giungere ad un'ipotetica conclusione...
Vp- non c'è alcun obbligo e fretta d'arrivare ad una conclusione, che si paleserà quando l'argomento avrà rivelato ogni suo aspetto...
g- appunto... magari il mio intervento, ancorché non in linea... o in binario col treno dell'indagine, potrebbe fornire qualche dettaglio, seppur marginale...
Vp-... ad esempio, sentiamo...
g- ecco, vede com'è facile... non c'era bisogno di codesto interrogatorio...
Vp- ... e dunque?
g- al dunque vi son molti modi d'affrontar le questioni. Li rispetto tutti, perché il modo è la persona che lo esprime.
Non potrei aver altro modo che il mio o sarei qualcun altro.
Ma i modi, a volte o spesso, confliggono con le regole, come nel caso dell'argomento di cui stiamo discutendo senza tuttavia affrontarlo, perché quello sarà il modo di qualcun altro, non il mio.
Vp-... su, non ci giri attorno... dov'è la sostanza?
g- bene, nel mio modo son del tutto certo che non possiederò mai gli strumenti adatti e le conoscenze complete... lo dichiaro, nel caso non si fosse ancor capito, permettendomi di far osservare che alcuno giungerà mai ad averne il 100 per cento.
Se vi fossero due individui che arrivassero a tal traguardo il loro accordo potrebbe esser completo e, la formulassero, anche la conclusione.
Ma sfortunatamente o meno, si tende a quel traguardo senza mai poterlo raggiungere, come la lepre con la tartaruga.
A causa di ciò anche le conclusioni in via di formazione differiranno, quel che si dice differenti punti di vista, almeno su taluni aspetti.
Vp- ... il cammino della conoscenza, le par poco?
g- affatto, ho detto che rispetto ogni modo, questo a maggior ragione perché mi permette di dir qualcosa... tuttavia si potrebbe, parzialmente ed occasionalmente, tentar approcci differenti...
Vp- ... vede codesto questo binario dov'è collocato anche il suo inconsistente intervento?
Questo è ferro, acciaio... sostanza... ed ha un suo peso, o crede che i pesi di tutte le cose devono essere nuovamente determinati?
g- capisco, si continua da dove ci si trova, procedendo lungo il binario... giusto?
Vp- del tutto... glielo ripeto, il cammino della conoscenza.
g- che non metto in dubbio... pure da quella conoscenza qualcuno, l'argomento del nostro dialogo, ha tratto una visione diversa... al suo tempo l'accenno per un diverso percorso che...
Vp-... è divenuto il binario dove far avanzare il treno che ci ospita, per fortuna...
g- ...già, avere una prospettiva è confortante... dal punto di vista dell'indagine, intendo. Non l'avessimo?
Vp- ... dovrebbe ripartir da zero, sconfortante, no?
g- ... per quell'uomo dell'argomento non fu così, seguì l'improbabile binario che gli apparve nella sabbia... senza preoccuparsi di dove l'avrebbe condotto...
Vp- fu coraggioso, non crede?
g- certo, fu più che coraggioso, chi abbia la visione d'un binario ha il dovere di realizzarlo, secondo le sue possibilità...
Vp- e secondo lei... cosa c'è al termine del binario, quale stazione?
g- beh, che altro se non la libertà?
Vp- giusto, la libertà...
g- ... potremmo non accorgerci d'averla raggiunta?
Vp- visto che non la conosciamo... potrebbe essere... e allora che cos'è il sigillo della raggiunta libertà?
g- quell'uomo ha risposto: non provare più vergogna davanti a te stesso.
Vp- ... par semplice, quasi una conclusione... conosce la vita di quell'uomo, come la malattia (difficilmente dovuta alla sifilide, come affrettatamente ritenuto) l'abbia prematuramente minato... un destino, il suo, che par quasi una condanna per aver osato...
g- già, ha osato ascoltar dentro di sé: Cosa dice la tua coscienza?
Vp- ... devi diventare quello che sei.
g- ... ci vuol coraggio, è da pochi... ma, in piccola scala, si può provare...
Vp-... mmmh... magari anche disturbando..?
g- il disturbo è un modo diverso di vedere le cose... non crede che quell'uomo sarebbe d'accordo?
Un cordiale saluto
Jean
Continuo a sostenere Garbino che sei completamente accecato dal tuo giusnaturalismo, e il tuo livore verso la chiesa, è un chiaro esempio di come il discorso psicanalitico legge esattamente il contrario: tu credi veramente che l'uomo sia Dio.
Ovviamente il DIO SIVE NATURA di Spinoziana memoria.
Maral non ho esposto il ragionamento completo, perchè sono ancora fermo alla parta destruens di umano troppo umano, e quindi mi riservo il tempo di capire fino in fondo le conseguenze razionali del discorso niciano.
Rileggendo mi sembra di essere stato chiaro per quanto riguarda i passaggi che portano alla formazione dell'io.
Anzi ci avevo speso su anche qualche ora, che poi non sia capibile da tutti è un altra cosa, e anzi conferma che siamo in una epoca di profonda cristi intellettuale.
Sono rimasto abbastanza colpito dalla tua interpretazione dell'oltreuomo come volontà di ripetizione di se stesso.
Il fatto è che non capisco come mai potrebbe arrivarci! visto che l'uomo non può MAI essere se stesso, e infatti Nietzche nel paragrafo sulla "grande salute" incita a NON essere mai se stesso, nel senso proprio di rinunciare a ogni ipotesi di senso.
La rinuncia al senso non rimanda alla rovina, come in Hegel, ma dovrebbe essere una riappropiazione della relazione con gli altri (in quali termini probabilmente è quello che mi auguro di conoscere lungo il cammino, senza dimenticare che forse è proprio impossibile).
"La volontà di potenza è il leone del "può" che deve con un atto di coraggio, di volontà, "tirare fuori" da dentro di sè quel fanciullo innocente, che per definizione non conosce ancora il bene e il male proprio perchè è innocente , e quindi ha l'oblio della tradizione non la conosce, ne è esente.La ruota dell'eterno ritorno a quel punto si muove automaticamente, perchè quel nuovo uomo vive l'attimo come eterno essendo uscito dalla tradizione del tempo lineare." cit PAUL
Molto interessante questa interpretazione, certamente non avendo ancora superato lo scoglio umano troppo umano, come già detto, non so se corrisponda al vero.
Ma mi interessa, con la correzione già notata da Maral e Garbino, che la volontà non è dell'individuo ma dovrebbe essere qualcosa a lui esterno.
Proprio per questo non può essere una questione del BIOS come appare chiaro nelle pagine di Garbino, e temo anche di Maral, che parla di volontà di potenza come VITA.
Non può essere il bios perchè nietzche lo liquida come impossibile nelle pagine iniziali di Umano troppo Umano.
L'uomo è quell'animale che non può essere un animale, ricordate no?
Domanda per PAUL
Mi piace la visione che essendo un OGGETTO esterno, debba essere ricondotto alla ingenuità del bambino come simbolo della rottura della storia.
Non capisco invece come possa diventare un eterno ritorno questo mai cominciamento. Nel senso che se nulla parte/inizia allora come può essere di RITORNO, di ritorno da cosa? sarebbe la domanda a cui manca la risposta.
Lo stesso dicasi per la ipotesi di Maral, se fosse un nulla, come farebbe il nulla a tornare? alias come farebbe un identico a tornare? Ma qui temo che tu sia troppo invischiato nel sistema severino per poter intendere la questione.
Eppure proprio a partire da Severino che legge le righe prima dell'eterno ritorno, il tempo è la questione centrale.
Quindi sebbene viziato da un fraintendimento grave mi sembra che Paul abbia indicato una linea che non dovrebbe essere distante dall'obiettivo, e che pur tuttavia nella sua differenza di potenziale, per così dire, mi sembra a tutt'oggi totalmente impossibile da capire.
Andare oltre il bene e male in Nietzche non significa andare nel territorio di nessuno, significa invece riconoscere come MALE la concenzione del bene e del male come il cristiano la intende, e cioè all'interno della sua ipocrisia individualista essenziale.
Vi rimando oltre che a umano troppo umano anche a rochefocauld, che nietzche cita come suo anticipatore.
La critica morale di nietzche è la critica del cristianesimo come mimesi dell'egoismo. Ci terrei a ricordarlo, perchè non si passa dal oltre il bene e il male, al relativismo. Mancano diversi passaggi tra i 2 momenti. Cioè da quello morale-politico a quello destinale (relativismo, volontà di potenza, eterno ritorno).
Scusa green se tento di abbozzare qualche risposta appuntando brevemente le questioni che colgo nel tuo intervento
Citazione di: green demetr il 18 Marzo 2017, 20:47:07 PM
Sono rimasto abbastanza colpito dalla tua interpretazione dell'oltreuomo come volontà di ripetizione di se stesso.
Il fatto è che non capisco come mai potrebbe arrivarci! visto che l'uomo non può MAI essere se stesso, e infatti Nietzche nel paragrafo sulla "grande salute" incita a NON essere mai se stesso, nel senso proprio di rinunciare a ogni ipotesi di senso.
La rinuncia al senso non rimanda alla rovina, come in Hegel, ma dovrebbe essere una riappropiazione della relazione con gli altri (in quali termini probabilmente è quello che mi auguro di conoscere lungo il cammino, senza dimenticare che forse è proprio impossibile).
Nietzsche sottotitola l'Ecce homo "Come si diventa ciò che si è" (come si diventa ciò che si è? non suona assurdo?) e nelle lettere invita a "non scambiarlo per qualcun altro". A me pare che il "me stesso" (che non vedo come non possa essere altro che la mia vita stessa a cui comunque si aderisce, ma sempre in divenire) sia un punto chiave per Nietzsche. Rinunciare a ogni ipotesi di senso non significa a mio avviso rinunciare a volere se stessi (e si potrebbe anche dire che si vuole sempre se stessi, proprio perché non si è mai se stessi, non ci si possiede e ciò che sono è ciò che non possiedo, per questo lo voglio). Nietzsche non svapora mai in un "non io" universale (salvo che di fatto nell'ultimo decennio della sua vita) sovrastante l'esistenza e di vago sapore buddista o comunque orientaleggiante. E non sono nemmeno sicuro che questa volontà sia poi così impersonale per Nietzsche, quasi metafisica, di sicuro non è altrove dall'esistenza. Non vedo altra strada se non identificarla nella vita concreta e peculiare nella sua singolarità assoluta, nell'attimo che è eterno per ogni attimo in cui si vive, senza che lo si possa mai possedere e quindi che sempre si vuole.
Corrisponde al bios, ma non a un bios astratto definibile concettualmente, ma a quel bios corporeo che è la propria vita, il proprio percorso che si fa senza essere mai fatto (e dunque mai passato). E' brama insaziabile, tanto il leone quanto per il fanciullo, anche se di segno diverso passando dall'uno all'altro.
Il ritorno indica che occorre sempre voler tornare proprio là dove non si è mai stati e anche questo suona assurdo come si fa a "tornare" dove non si è mai stati? Ma è evidente se consideriamo cosa è l'uomo, letteralmente:
CitazioneL'uomo è quell'animale che non può essere un animale
e non può essere animale perché l'animale, a differenza dell'uomo, sa perfettamente esserlo vivendo (lo sa il suo stesso bios), L'uomo no, è un animale che pur conoscendo non sa e per questo vuole essere se stesso mentre lo è e vuole in quanto animale sempre mancante.
Il problema del senso è il problema dell'essere umano. l'oltreuomo (come Dio e l'animale) non ha più questo problema, perché il senso che trova nel volere è quello di non avere senso, nulla ha senso e questo è il senso più radicale che si possa volere e che l'eterno ritorno annuncia.
CitazioneNon capisco invece come possa diventare un eterno ritorno questo mai cominciamento. Nel senso che se nulla parte/inizia allora come può essere di RITORNO, di ritorno da cosa? sarebbe la domanda a cui manca la risposta.
Lo stesso dicasi per la ipotesi di Maral, se fosse un nulla, come farebbe il nulla a tornare? alias come farebbe un identico a tornare? Ma qui temo che tu sia troppo invischiato nel sistema severino per poter intendere la questione.
Eppure proprio a partire da Severino che legge le righe prima dell'eterno ritorno, il tempo è la questione centrale.
Il nulla è il luogo dove non si è mai stati e a cui sempre si torna per tornarvi ancora o, se preferisci, il nulla è quel luogo dove la vita (non in generale, ma nella sua singolarità specifica) sa senza saper di sapere. Il nulla è l'attimmo assolutamente presente; cos'è questo attimo che sempre ritorna se non un nulla da cui ogni storia trae origine e fine? come il palpito del tuo unico cuore che proprio in questo istante batte senza sapere di battere.
CitazioneAndare oltre il bene e male in Nietzche non significa andare nel territorio di nessuno, significa invece riconoscere come MALE la concenzione del bene e del male come il cristiano la intende, e cioè all'interno della sua ipocrisia individualista essenziale.
Vi rimando oltre che a umano troppo umano anche a rochefocauld, che nietzche cita come suo anticipatore.
La critica morale di nietzche è la critica del cristianesimo come mimesi dell'egoismo. Ci terrei a ricordarlo, perchè non si passa dal oltre il bene e il male, al relativismo. Mancano diversi passaggi tra i 2 momenti. Cioè da quello morale-politico a quello destinale (relativismo, volontà di potenza, eterno ritorno).
Su questo non sono per nulla d'accordo. Certo, si può intendere Nietzsche anche così e le sue invettive contro il cristianesimo paolino lo confermerebbero, ma se ci si fermasse qui il pensiero di Nietzsche sarebbe un fallimento completo. Come ci si può porre al di là del bene e del male rovesciandone semplicemente i significati? Come si può definendo in termini opposti il bene e il male? Sempre di morale (e di fare la morale) si tratterebbe e l'egoismo sarebbe ancora un precetto morale con tutti i suoi santi egoisti che poco varrebbe chiamare superuomini. Se il pensiero di Nietzsche è coerente tutto va ontologicamente (non certo eticamente) compreso in nome della volontà di potenza che cancella ogni morale, senza sostituirne una con un'altra. Ma questo non significa che Nietzsche sia un relativista, al contrario: la cancellazione della morale diventa così davvero assoluta, è il solo modo in cui può essere assoluta e definitiva.
Citazione di: Jean il 18 Marzo 2017, 20:24:54 PM
g- ... allora, perché mi trovo qui, interrogato, per giunta?
Vp- ... interrogato, che parola grossa... diciamo che stiamo approfondendo la sua posizione...
g- la mia posizione... in merito a cosa?
Vp- in merito alle sue azioni...
g- azioni? Che cosa avrei commesso di cui render spiegazione?
Vp- è intervenuto dove non aveva titolo per farlo... disturbando, nel migliore dei casi... e forse tentando di sabotare, non l'avessimo fermata, il naturale prosieguo degli eventi...
g- s'ho disturbato me ne dispiace, in quanto al titolo non era richiesto e le porte erano aperte. Sabotaggio del naturale prosieguo degli eventi... che significa?
Vp- gli eventi condurranno ad una conclusione, che è uno degli scopi del consesso in cui è intervenuto...
g- anche il mio intervento poteva arricchire la discussione, no?
Vp- ... non aveva titolo, doveva esimersi, limitandosi ad osservare.
g- come s'acquisisce codesto titolo?
Vp- non è cosa semplice, con lo studio, l'interesse e la dedizione... ma alfine, ciò che più conta, è che si venga riconosciuti dai propri pari... c'è un ordine ed una gerarchia nelle cose...
g- cioè le cose non son come appaiono... è dunque quest'ordine, questa gerarchia sottostante ad esse che in realtà le muove... come un treno su un binario..?
Vp- ... comincia a comprendere... si è accostato a quel treno standosene sulla sua auto... non va bene, chi meritatamente vi alloggia – perché il viaggio è assai lungo – ha profuso energie, tempo e qualcos'altro di importante... avrà pure un valore tutto ciò, non crede?
g- di sicuro... ed anche non si fa nulla per nulla, un qualche riconoscimento si deve pur ricevere... ma, se permette, che sarà mai una piccola distrazione dovuta al mio affiancarmi al treno in corsa con la mia macchinina... che avrebbe potuto regger il ritmo solo per un po', giusto il tempo d'arrivar alla successiva stazione... mi par sproporzionato l'esser per questo costretto a codesto interrogatorio..!
Vp-... atteggiamento potenzialmente anarcoide... richiedere che le regole abbiano un'elasticità che non possono avere, altrimenti che regole sono?
Un piccolo foro in una diga tenderà ad allargarsi... la regola, nel caso, è d'intervenire prontamente.
g- ... mi scusi, ma non si può tener conto di quel che avevo da dire? Intendo che quel poco, quel nulla... poteva esser inerente all'argomento, esser in tema e...
Vp- ... ma lei non lo conosce l'argomento, ne ha colto degli accenni, saltando qui e là... vuol confrontarsi con la preparazione di chi l'ha sviscerato, alfine comprendendolo e facendolo proprio?
g- vero, ho solo colto qualche accenno... diciamo l'un per mille... in confronto a... quanto?
Vp- vuol metterla in numero? Per alcuni anche il 70, 80 per cento... ma potrebbe anche esser di più... si rende conto?
g- mi rendo conto... ma ritengo alcuno possa dire d'aver colto il 100 per cento...
Vp- se qualcuno lo proclamasse... lei come potrebbe confutarlo, con i suoi inadatti strumenti e le più che limitate conoscenze?
g- oh, non lo confuterei... lascerei tal compito a chi appunto le possiede... dal mio direi che c'è un al di là del 100 per cento...
Vp-... di cui gli esperti, gente che vi ha dedicato parte della loro preziosa esistenza non si son accorti... e cosa ci sarebbe mai al di là di un argomento e di tutto quel che contiene e se ne è detto...
g- ... e se ne dirà, vede, questo è un al di là, in un momento che non è adesso...
Vp-... e perciò inutilizzabile, come non esistesse...
g- vero, al momento inutilizzabile ... ma quel che è solo in potenza accampa una sorta di diritto futuro che lo renderà necessario per giungere ad un'ipotetica conclusione...
Vp- non c'è alcun obbligo e fretta d'arrivare ad una conclusione, che si paleserà quando l'argomento avrà rivelato ogni suo aspetto...
g- appunto... magari il mio intervento, ancorché non in linea... o in binario col treno dell'indagine, potrebbe fornire qualche dettaglio, seppur marginale...
Vp-... ad esempio, sentiamo...
g- ecco, vede com'è facile... non c'era bisogno di codesto interrogatorio...
Vp- ... e dunque?
g- al dunque vi son molti modi d'affrontar le questioni. Li rispetto tutti, perché il modo è la persona che lo esprime.
Non potrei aver altro modo che il mio o sarei qualcun altro.
Ma i modi, a volte o spesso, confliggono con le regole, come nel caso dell'argomento di cui stiamo discutendo senza tuttavia affrontarlo, perché quello sarà il modo di qualcun altro, non il mio.
Vp-... su, non ci giri attorno... dov'è la sostanza?
g- bene, nel mio modo son del tutto certo che non possiederò mai gli strumenti adatti e le conoscenze complete... lo dichiaro, nel caso non si fosse ancor capito, permettendomi di far osservare che alcuno giungerà mai ad averne il 100 per cento.
Se vi fossero due individui che arrivassero a tal traguardo il loro accordo potrebbe esser completo e, la formulassero, anche la conclusione.
Ma sfortunatamente o meno, si tende a quel traguardo senza mai poterlo raggiungere, come la lepre con la tartaruga.
A causa di ciò anche le conclusioni in via di formazione differiranno, quel che si dice differenti punti di vista, almeno su taluni aspetti.
Vp- ... il cammino della conoscenza, le par poco?
g- affatto, ho detto che rispetto ogni modo, questo a maggior ragione perché mi permette di dir qualcosa... tuttavia si potrebbe, parzialmente ed occasionalmente, tentar approcci differenti...
Vp- ... vede codesto questo binario dov'è collocato anche il suo inconsistente intervento?
Questo è ferro, acciaio... sostanza... ed ha un suo peso, o crede che i pesi di tutte le cose devono essere nuovamente determinati?
g- capisco, si continua da dove ci si trova, procedendo lungo il binario... giusto?
Vp- del tutto... glielo ripeto, il cammino della conoscenza.
g- che non metto in dubbio... pure da quella conoscenza qualcuno, l'argomento del nostro dialogo, ha tratto una visione diversa... al suo tempo l'accenno per un diverso percorso che...
Vp-... è divenuto il binario dove far avanzare il treno che ci ospita, per fortuna...
g- ...già, avere una prospettiva è confortante... dal punto di vista dell'indagine, intendo. Non l'avessimo?
Vp- ... dovrebbe ripartir da zero, sconfortante, no?
g- ... per quell'uomo dell'argomento non fu così, seguì l'improbabile binario che gli apparve nella sabbia... senza preoccuparsi di dove l'avrebbe condotto...
Vp- fu coraggioso, non crede?
g- certo, fu più che coraggioso, chi abbia la visione d'un binario ha il dovere di realizzarlo, secondo le sue possibilità...
Vp- e secondo lei... cosa c'è al termine del binario, quale stazione?
g- beh, che altro se non la libertà?
Vp- giusto, la libertà...
g- ... potremmo non accorgerci d'averla raggiunta?
Vp- visto che non la conosciamo... potrebbe essere... e allora che cos'è il sigillo della raggiunta libertà?
g- quell'uomo ha risposto: non provare più vergogna davanti a te stesso.
Vp- ... par semplice, quasi una conclusione... conosce la vita di quell'uomo, come la malattia (difficilmente dovuta alla sifilide, come affrettatamente ritenuto) l'abbia prematuramente minato... un destino, il suo, che par quasi una condanna per aver osato...
g- già, ha osato ascoltar dentro di sé: Cosa dice la tua coscienza?
Vp- ... devi diventare quello che sei.
g- ... ci vuol coraggio, è da pochi... ma, in piccola scala, si può provare...
Vp-... mmmh... magari anche disturbando..?
g- il disturbo è un modo diverso di vedere le cose... non crede che quell'uomo sarebbe d'accordo?
Un cordiale saluto
Jean
Caro jean,
penso che hai colto, nei punti che hai evidenziato in grassetto, in fondo quello che cercava e voleva essere Nietzsche:semplicemente se stesso.
Forse il titolo della discussione , che è bello, cambierei ".....il suo diritto al presente", perchè Nietzsche ci parla dell'occasione del dover essere, del volere e potere di essere, di non perdere l'occasione che l'esistenza possa e debba essere, la congiunzione e non la divergenza fra l'essere se stessi dentro l'esistenza.
Penso che solo Heidegger, magari a suo modo, giusto o sbagliato, ne abbia capito il profondo significato, quando infatti e lo dice già il titolo "Essere e tempo" cerca il pro-getto, dentro l'orizzonte temporale della nostra esistenza.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
X Jean
Ti ringrazio per le sonore risate che mi hai suscitato con questo colloquio immaginario. Su di una cosa sono perfettamente d' accordo con te. Che bisogna avere il coraggio di manifestare le proprie opinioni, a qualsiasi costo. - Cosa importa di me? - Questa una delle affermazioni di Nietzsche che condivido, specialmente quando c' è in gioco la conoscenza.
X Green Demetr
Mi accusi di avere un livore nei confronti della Chiesa e di giusnaturalismo. Sinceramente, mio caro Green Demetr, sono dell' opinione che ti sbagli e che confondi il mio modo di esprimermi per ciò che sono e penso. Ma andiamo con ordine.
Non ritengo di avere un livore con la Chiesa, ma ciò non toglie che la Chiesa è proprio la portatrice del tu devi. E' il mio nemico naturale. A livello interiore. Come Nietzsche non posso avercela con ciò che è una fatalità millenaria. Ma è anche vero che non accetto che si tenti di defraudare Nietzsche e di stravolgere la sua filosofia per portalo dalla propria parte. O di scambiare lucciole per lanterne, come Nietzsche dimostra ampiamente sul sacerdote ascetico. Affermo cose che non piacciono? Se sono veritiere, e ritengo che lo siano, né mi sento in colpa né me ne vergogno. Ma soprattutto è mia opinione che debba esprimerle.
Leggo che giusnaturalismo significa credere in un diritto naturale innato: falso. Io sono dell' opinione che l' innatismo esiste, ma che non vi è vincolato alcun diritto. Leggo che giusnaturalismo significa credere nella superiorità di tale diritto sul diritto positivo: falso. Sono dell' opinione che il primo non esiste e che il secondo, per quanto necessario, all' atto pratico sia molto poco positivo se non iniquo, con categorie che evidenziano privilegi assurdi, anche se il potere afferma che la Giustizia è giusta e il diritto uguale per tutti. Un' autentica utopia, specialmente in Italia. Ergo non mi ritengo un giusnaturalista. E spero di averti fatto nascere qualche dubbio. Per quanto riguarda la divinità non trovo nulla di strano nel porla nell' uomo invece che al di fuori. Ma questo sarebbe un discorso lungo. Comunque sono sempre qui.
Ma torniamo a Nietzsche. Faresti bene a leggere gli aforismi che ho indicato a Memento. La destrutturazione della volontà in essi è completa da parte di Nietzsche. Perciò quando lui parla di volontà di potenza è soltanto il modo in cui lui intende il suo modo di manifestarsi. Non una volontà vera propria, nel senso in cui di solito intendiamo significare il vocabolo.
Sul fatto che tu mi imputi di aver affermato che la volontà di potenza è esterna all' individuo, ritengo che non sia vera. L' individuo non corrisponde alla psiche. E' tutto il corpo che è attraversato dalla volontà di potenza e trasmette i suoi impulsi alla psiche. E proprio per la caratteristica che noi conferiamo alla psiche, e cioè quella di avere una complessità notevole, ciò che risulta essere l' influenza della volontà di potenza sia quanto varia e imprevedibile. La volontà di potenza perciò, sempre a mio avviso, contraddistingue secondo Nietzsche il modo stesso in cui la vita si manifesta. Tanto da coincidere con essa. In ogni soggetto vitale. Come mi sembra interpreti anche Maral.
Il male non è incarnato nel Cristianesimo. Sono i suoi influssi ad essere malefici e fatali. E non è la stessa cosa. Nietzsche si pone sempre al di là del bene e del male e perciò fondamentalmente non esistono.
L' eterno ritorno è soltanto il modo in cui Nietzsche vede possibile per la volontà di potenza divenire l' arbitro assoluto del momento storico in cui si vive. Rendendola cioè padrona anche del passato su cui dovrebbe altrimenti manifestare la sua completa impotenza. Ho già più volte affermato la mia criticità su quanto riguarda l' argomento e ritengo sia meglio perciò fermarmi qui.
Ringrazio per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta
Citazione di: green demetr il 18 Marzo 2017, 20:47:07 PM
Continuo a sostenere Garbino che sei completamente accecato dal tuo giusnaturalismo, e il tuo livore verso la chiesa, è un chiaro esempio di come il discorso psicanalitico legge esattamente il contrario: tu credi veramente che l'uomo sia Dio.
Ovviamente il DIO SIVE NATURA di Spinoziana memoria.
Maral non ho esposto il ragionamento completo, perchè sono ancora fermo alla parta destruens di umano troppo umano, e quindi mi riservo il tempo di capire fino in fondo le conseguenze razionali del discorso niciano.
Rileggendo mi sembra di essere stato chiaro per quanto riguarda i passaggi che portano alla formazione dell'io.
Anzi ci avevo speso su anche qualche ora, che poi non sia capibile da tutti è un altra cosa, e anzi conferma che siamo in una epoca di profonda cristi intellettuale.
Sono rimasto abbastanza colpito dalla tua interpretazione dell'oltreuomo come volontà di ripetizione di se stesso.
Il fatto è che non capisco come mai potrebbe arrivarci! visto che l'uomo non può MAI essere se stesso, e infatti Nietzche nel paragrafo sulla "grande salute" incita a NON essere mai se stesso, nel senso proprio di rinunciare a ogni ipotesi di senso.
La rinuncia al senso non rimanda alla rovina, come in Hegel, ma dovrebbe essere una riappropiazione della relazione con gli altri (in quali termini probabilmente è quello che mi auguro di conoscere lungo il cammino, senza dimenticare che forse è proprio impossibile).
"La volontà di potenza è il leone del "può" che deve con un atto di coraggio, di volontà, "tirare fuori" da dentro di sè quel fanciullo innocente, che per definizione non conosce ancora il bene e il male proprio perchè è innocente , e quindi ha l'oblio della tradizione non la conosce, ne è esente.La ruota dell'eterno ritorno a quel punto si muove automaticamente, perchè quel nuovo uomo vive l'attimo come eterno essendo uscito dalla tradizione del tempo lineare." cit PAUL
Molto interessante questa interpretazione, certamente non avendo ancora superato lo scoglio umano troppo umano, come già detto, non so se corrisponda al vero.
Ma mi interessa, con la correzione già notata da Maral e Garbino, che la volontà non è dell'individuo ma dovrebbe essere qualcosa a lui esterno.
Proprio per questo non può essere una questione del BIOS come appare chiaro nelle pagine di Garbino, e temo anche di Maral, che parla di volontà di potenza come VITA.
Non può essere il bios perchè nietzche lo liquida come impossibile nelle pagine iniziali di Umano troppo Umano.
L'uomo è quell'animale che non può essere un animale, ricordate no?
Domanda per PAUL
Mi piace la visione che essendo un OGGETTO esterno, debba essere ricondotto alla ingenuità del bambino come simbolo della rottura della storia.
Non capisco invece come possa diventare un eterno ritorno questo mai cominciamento. Nel senso che se nulla parte/inizia allora come può essere di RITORNO, di ritorno da cosa? sarebbe la domanda a cui manca la risposta.
Lo stesso dicasi per la ipotesi di Maral, se fosse un nulla, come farebbe il nulla a tornare? alias come farebbe un identico a tornare? Ma qui temo che tu sia troppo invischiato nel sistema severino per poter intendere la questione.
Eppure proprio a partire da Severino che legge le righe prima dell'eterno ritorno, il tempo è la questione centrale.
Quindi sebbene viziato da un fraintendimento grave mi sembra che Paul abbia indicato una linea che non dovrebbe essere distante dall'obiettivo, e che pur tuttavia nella sua differenza di potenziale, per così dire, mi sembra a tutt'oggi totalmente impossibile da capire.
Andare oltre il bene e male in Nietzche non significa andare nel territorio di nessuno, significa invece riconoscere come MALE la concenzione del bene e del male come il cristiano la intende, e cioè all'interno della sua ipocrisia individualista essenziale.
Vi rimando oltre che a umano troppo umano anche a rochefocauld, che nietzche cita come suo anticipatore.
La critica morale di nietzche è la critica del cristianesimo come mimesi dell'egoismo. Ci terrei a ricordarlo, perchè non si passa dal oltre il bene e il male, al relativismo. Mancano diversi passaggi tra i 2 momenti. Cioè da quello morale-politico a quello destinale (relativismo, volontà di potenza, eterno ritorno).
Green,
penso che Nietzsche ragioni "per strati" comunicanti.E mi spiego.
Da una parte l'intimità di Nietzsche vuole essere se stesso e lo vorrebbe che lo fosse il mondo intero, diversamente non avrebbe mai cercato di comunicare con il mondo come ha fatto, pur sapendo che il dialogo fra se stesso e il mondo doveva essere prima uno scontro per poter arrivare ad un possible incontro.
Il secondo strato è culturale, ed è ciò che divide nettamente Nietzsche dalle altre interpretazioni culturali delle filosofie, doveva abbattere la cultura della tradizione che separa il dover essere nell'ipocrisia e nella mediocrità, dal poter essere per essere se stessi;il fanciullo in noi.
i termini di volontà di potenza, eterno ritorno, non possono e non devono essere DENTRO LA CULTURA ATTUALE DELLA TRADIZIONE, questo è invece l'errore interpretativo che fanno quasi tutti i filosofi. Quello di paragonare il pensiero di Nietzsche rispetto AL LORO pensiero
la feroce critica alla tradizione è la violenta sollevazione del leone che vuol far emergere il fanciullo .
Adatto che questo lo comunica la mondo, ad un mondo sordo che non vuol sentire, allora lo "urla" provocando.questo si trova nel COSA e nel COME scrive.
L'eterno ritorno è come chiedere al credente nell'aldilà come si possa vivere nell'eternità, visto che noi viviamo biologicamente nel divenire. Prima bisogna arrivarci ad essere se stessi e annullare la linearità temporale, per cui oggi il mio dovere è sacrificarmi per un possible futuro migliore, ecco la contraddizione nitzschiana, del rimandare continuamente ad essere se stessi, per un domani, per un dopodomani e intanto vivacchiare.
C'è nel simbolo della ruota l'inizio che si confonde con la fine, fino ad annullarsi e questo è il simbolo antichissimo del serpente che si mangia la coda, del tempo ciclico degli Ari negli scritti vedici indiani.
Netzsche si riallaccia ai simboli e significati della cultura precedente a quella greca apollinea, le cui morali hanno mortificato l'uomo fino a farlo diventare un cammello da soma.
Mi permetto di obiettare che Nietzsche non voleva essere semplicemente se stesso, noi stessi lo siamo tutti sempre e comunque, siamo quello che siamo (cose, animali, esseri umani), voleva diventare se stesso, diventare quello che si è, che è diverso. E l'eterno ritorno dell'identico è il modo che giunge a pensare lo renda possibile.
parte 1 di 4
garbino-maral
Ritenere che la "vita" combaci con la "nuda vita" intesa come lo intendevano i greci (vedi agamben, cosa è un dispositivo).
Tra le altre cose quando il bios greco è invece proprio quello politico!!!
Questo sinceramente è veramente dura da digerire cari Garbino e Maral!! evidentemente avete completamente perso di vista, voi che pur fra tutti gli utenti ammiro di più, tutto il panorama del post-strutturalismo che si è battuto contro il dualismo cartesiano mente-corpo. E tra l'altro proprio allacciandomi al più grande di tutti, appunto Agamben, non vi rendete conto che l'appiattimento della vita al sua corporalità è esattamente quello che vuole l'ideologia imperante capitalista?
Francamente nemmeno me la sento di gettarmi nell'ennesima invettiva politica, sono solo sbigottito.
Visto l'ultimo intervento maral, a parte la questione del bios, devo dire che mi piace questa idea del nulla come originario, sarebbe quello che zizek fa dire ad hegel.
L'uomo sostanzialmente sarebbe quello scarto da quel presente assoluto, che mai l'uomo potrà avere.
Ma io non me la sentirei mai di appiattire la sensibilità (il mondo sensibile) umana (ma da kant in poi come sarebbe poi possibile dico io?), con l'uomo intero, figuriamoci farne una questione di bios.
Io non penso che il destino dell'uomo sia quello del vivacchiare che tu e Garbino avete immaginato per lui.(certamente obbietterete, ma non vedo proprio a cosa altro possa portare, se il destino è di fatto il nostro esistere, allora altro non è che un esistere così come è)
Mi pare di una tale grossolanità che faccio finta di non averlo letto.
Non credo nemmeno, sia chiaro, che sia una questione meramente politica. Di BIOS come lo intendevano i greci.(appunto la vita nella città-stato)
Direi che invece proprio a partire da questa potenzialità fra ciò che è e ciò che rimane, appunto la rovina come ricordo, l'uomo dovrebbe farsi carico delle mille potenzialità rovinose.
Per quale motivo si aggirava per le strade? quando tutti rimanevano fermi alla propria casa durante il terremoto di Lisbona?
La risposta è proprio in questo amor fati, che evidentemente qui si è totalmente dimenticato.
Nietzche sembrerebbe secondo voi un novello cristiano che invoca la natura come salvezza. Quando è invece nè meno, nè più che come Leopardi, un nemico di tutto ciò che è Natura.
Anzi fa proprio di quella natura, come giustamente dice Paul, un destino di scontro, di polemos, di guerra.
Ora pensare la natura come volontà di potenza, siete anche liberi di farlo. Ma a mio parere dovrebbe essere qualcosa di completamente esterno ad essa.(probabilmente un astrazione complessa sedimentata negli anni, e quindi gravida di tutte gli approdi precedenti, abbiate pazienza non lo so, qua critico solo quello che certamente NON può essere)
A me sembra che in generale, e l'ho detto mille volte, che abbiate una gran voglia di superare una montagna come quella nicciana.
Il fatto è che circuirla NON serve a niente.
Io sinceramente non capisco come riusciate a fare a meno di interrogarvi su un opera complessa come UTU.
Veramente pensate che le opere successive sia un superamento delle basi poste da quella???
E allora come mai Nietzche sentì il bisogno di una seconda edizione, negli anni della maturità???
Poi certamente va bene anche così, va bene analizzare, porre punti di vista diversi, ma non venitemi a dire che possedete la verità su nietzche, grazie!
L'eredità dello strutturalismo, oltre che nelle sue declinazioni meramente filologiche, è anche un grande cassa di risonanza che afferma in tutti i suoi membri (deleuze, derrida, focault su tutti) che la STORIA è una STORIA NARRATA.
Le ideologie sono dei discorsi, sono LA-LINGUA, direbbe Lacan e allievi. Ossia sarebbero ciò che compone fin dentro al suo più oscuro
meccanismo psichico, ciò che determina lo stesso rovinio del soggetto. (psicosi, alienazione, schizofrenia, paranoia)
Anche nella medicalizzazione psichiatrica, dunque, l'io si compone delle sue strutture di astrazione di pensiero.
Il corpo da soma diventa psico-soma. E questo punto sia in Garbino che in Maral sembrerebbe essere dimenticato.
Kant e Nietzche sapevano benissimo di soffrire di ogni sorta di disturbi per via di impedimenti al pensiero.
Ma facevano di quei disturbi una delle volte del loro discorso, che sorpassava la psicosomatizzazione, per proseguire come un doppio, come un fantasma, l'evoluzione del discorso.
E' proprio tramite questa rottura, che è psico e che è soma (non foss'altro che il morire del corpo), che si instaura il trauma, a cui molti filosofi, da platone in poi cercano il "Pharmacon" corrispondente.
Nietzche invece declina questa salvezza, e continua a guardare il destino, destino di trauma, di sconfitta, di tragedia negli occhi.
Fino a scoprire il nichilismo, la volontà di potenza, l'eterno ritorno, cosa siano queste cose io non lo so ancora, so solo che già in UTU a partire dalla GRANDE SALUTE in poi, egli si è già sbarazzato dell'intera filosofia occidentale, e ha cominciato una strada ardua, e piena di illuminazioni, che anche solo a percorrerne qualcuna, si rimane come statue di sale, come agghiacciati e si scappa dalle sue più audaci scoperte. E Dio solo sa, quanti anni sono dovuti passare per avere il coraggio di seguirlo passettino per passettino. Non capendoci niente e ricominciando ogni volta.
post 2 di 4
Garbino
Caro Garbino, meno male che doveva essere il tema del futuro e degli amici, come diavolo sei riuscito ad arrivare all'esatto opposto, dell'individuo e del presente lo sai solo tu.
oltre al tema della natura affrontato prima vorrei rispondere a parte anche ad altre considerazioni.
Sulla chiesa Garbino già lo sai che sono d'accordo, sul diritto come naturale, che tu dici di rifiutare, vedremo più avanti in qualche altro 3d. Tra l'altro già ti avevo avvisato su questa tua strana tendenza, e secondo me, ne avevamo già parlato.
Credo, spero, di non sbagliare che fosse sul tema del lavoro in particolare.
Ma lasciamo perdere, vedremo se ci sarà tempo, nei prossimi 3d. Ovviamente io credo che invece tu lo creda, e anche fortemente. Solo che essendo nella ideologia non riesci nemmeno a vederlo.
Io non ho mai parlato, credo, di volontà di potenza individuale, anzi come te e Maral, sono pienamente consapevole che deve trattarsi di qualcosa che trascenda l'uomo, solo non ritengo si tratti di qualcosa come la Natura. Punto e a capo.
"Il male non è incarnato nel Cristianesimo. Sono i suoi influssi ad essere malefici e fatali. E non è la stessa cosa. Nietzsche si pone sempre al di là del bene e del male e perciò fondamentalmente non esistono." cit Garbino
In un passaggio successivo ossia quello del relativismo non esiste male e bene, ma nella sua iniziale critica, quella intendibile da tutti (o almeno lui credeva, visto che comunque non è così), il male è esattamente il cristianesimo con il suo messaggio d'amore che è mimesi dell'odio e dell'ipocrisia, ripeto vedi anche rochefocauld, che lo tratta estesamente.
Il critianesimo in sè non centra nulla, per inciso.(e poi quale cristianesimo? Visto che ognuno se ne inventa uno....da san paolo in poi, vedi i 3d sul religione)
"Sul fatto che tu mi imputi di aver affermato che la volontà di potenza è esterna all' individuo, ritengo che non sia vera. L' individuo non corrisponde alla psiche."
"La volontà di potenza perciò, sempre a mio avviso, contraddistingue secondo Nietzsche il modo stesso in cui la vita si manifesta. Tanto da coincidere con essa."
Eppure prima dicevi a paul/phil
"La volontà di potenza in definitiva non ha bisogno dell' uomo, essa può farne tranquillamente ( retoricamente ) a meno."
Comunque qua stiamo giocando un pò troppo con le parole. Cosa intendi con psiche??? E poi perché la psiche diventa la vita in sé???
Possiamo trovare una via di "intesa" pensando l'uomo come un "sottoinsieme" della volontà di potenza, se vuoi! Mi parrebbe più probabile quantomeno, non in vistosa contraddizione con quanto scritto in UTU. Anche se sinceramente non vedo come sia possibile.
In quanto l'uomo è il suo IO, e l'io è una storia, e questa storia si distingue nel suo mistero speculativo, su quanto rimane.
Certamente possiamo comunque riferirci ad un orginario, ma la vita stessa NON PUO' essere quell'originario, in quanto chiamiamo vita stessa, qualcosa "come se fosse originario", e quindi in maniera storica, di racconto. Traditi dunque dalla cultura, dal linguaggio in primis. Sinceramente non ce lo vedo Nietzche fare un errore così banale, lui che per primo (secondo la mia prof del liceo) intese il problema del linguaggio che tradisce il soggetto inconsapevole che lo usi.
E comunque visto che apprezzavo prima l'intervento di Maral, l'originario mi pare più qualcosa dell'idealismo tedesco, fino ad Heideger, in Nietzche non so se vi sia traccia.
post 3 di 4
Maral
Rispondo ancora a te Maral sulle altre questioni.
"A me pare che il "me stesso" (che non vedo come non possa essere altro che la mia vita stessa a cui comunque si aderisce, ma sempre in divenire) sia un punto chiave per Nietzsche. "
"
Certamente però vi è una differenza enorme tra la MIA VITA, e la VITA STESSA, non trovi?
"Nietzsche non svapora mai in un "non io" universale (salvo che di fatto nell'ultimo decennio della sua vita).....di sicuro non è altrove dall'esistenza."
Mi pare difficile che Nietzhce svapori in una metafisica del non-io, sono pienamente d'accordo, e ancor di più sul fatto che se proprio vogliamo parlare di metafisica, sarà una metafisica dell'esistente, e non i deliri fichtiani legati all'immaginazione e al non-io.
Certo mi suona un pò arcano il suo ultimo decennio di vita....non era quello in cui smise di produrre del tutto?
"e non può essere animale perché l'animale, a differenza dell'uomo, sa perfettamente esserlo vivendo (lo sa il suo stesso bios), L'uomo no, è un animale che pur conoscendo non sa e per questo vuole essere se stesso mentre lo è e vuole in quanto animale sempre mancante.
Il problema del senso è il problema dell'essere umano. l'oltreuomo (come Dio e l'animale) non ha più questo problema, perché il senso che trova nel volere è quello di non avere senso, nulla ha senso e questo è il senso più radicale che si possa volere e che l'eterno ritorno annuncia. "
Ma certamente sono righe dense e ammirabili le tue, se nulla però avesse senso allora cosa sarebbe il nichilismo, e sopratutto perchè l'uomo per diventare oltreuomo deve attraversarlo?
Non esiste l'oltreuomo caro Maral, quindi stiamo parlando "come se esistesse", dunque siamo nel campo del racconto, del raccontarsi qualcosa.
Ma perché devi raccontarti che nulla ha senso, diventa a questo punto la domanda. Quello che mi racconto io è che invece Nietzche cerchi un senso, il punto più audace è che lo cerchi laddove tutto è relativo.
In questa fase della mia vita sono non solo all'interno di questa società che fagocita la mia anima, ma faccio fatica se non a costo di sforzi e piccoli passettini a cercare di intendere per me, per la mia vita, cosa vorrebbe dire che tutto è relativo.
Diciamo che sono a cavallo tra una posizione paranoica (qualcosa deve avere senso, ma me lo indicherà Nietzche) ed una seriamente filosofica (intendere il senso del domandare stesso, e in questo nietzche è una fonte inesauribile).
E' chiaro che non conoscendoti nella vita reale, non so il perchè del tuo raccontarti certe cose, quindi effettivamente bisognerebbe anche intenderci almeno vagamente sulla direzione che vogliamo dare al discorso.
E ti pongo dunque la domanda che già gira nelle righe precedenti. Vogliamo intendere il senso come senso dell'abbandono alla Heideger-Severino o vogliamo dare a nietzche lo spazio per intendere qualcosa di diverso.
Ma ovviamente da bravo metafisico non farei fatica a seguirti, il punto è che la filosofia metafisica è morta, e non vedo altri dialogatori oltre nietzche capaci di mettere il dubbio sull'intero sistema, struttura, gestellen in una parola che indossiamo.
In gioco, c'è l'esistenza stessa del domandare filosofico, non so se mi intendi. Senza il dubbio, il sacro fuoco del polemos, saremmo vittime, ben oltre le condizioni storico-materiali dell'ideologia capitalista, ma anche e sopratutto dell'intero meccanismo che investe nel filosofico, l'amore se vogliamo dire....appunto l'amor fati, non è il destino il fato severiniano, è qualcosa che attinge a un investimento simbolico o meno, su un oggetto. E se esiste questo oggetto, come non chiamarlo se non filosofia?
A me sembra un appiattimento l'abbandono, il lasciar che le cose siano, Il buon fusaro in questo almeno (visto che lo ritengo un ottuso bigotto borghese cattolico) ha ragione a battagliare, e ha ragione ad usare le categorie marxiane, a volte il filosofo crede di stare troppo in alto, e crede di essere esente dall'essere vittima di un cerchio per così dire più grande di lui.
Per dire che diventare ciò che si è, si deve anzitutto uscire da ciò che non siamo, ossia il racconto fatto da altri, l'ideologia.
E' questo senza ombra di dubbio che nietzche intendeva, parlando successivamente, e direi quasi inevitabilmente di futuro, amicizia e quant'altro.
Insomma la tua posizione non mi è chiara per niente!!
"Su questo non sono per nulla d'accordo. Certo, si può intendere Nietzsche anche così e le sue invettive contro il cristianesimo paolino lo confermerebbero, ma se ci si fermasse qui il pensiero di Nietzsche sarebbe un fallimento completo. Come ci si può porre al di là del bene e del male rovesciandone semplicemente i significati? Come si può definendo in termini opposti il bene e il male? Sempre di morale (e di fare la morale) si tratterebbe e l'egoismo sarebbe ancora un precetto morale con tutti i suoi santi egoisti che poco varrebbe chiamare superuomini. Se il pensiero di Nietzsche è coerente tutto va ontologicamente (non certo eticamente) compreso in nome della volontà di potenza che cancella ogni morale, senza sostituirne una con un'altra. Ma questo non significa che Nietzsche sia un relativista, al contrario: la cancellazione della morale diventa così davvero assoluta, è il solo modo in cui può essere assoluta e definitiva."
Forse qui eri poco lucido, hai frainteso completamente quello che vado dicendo.
Non parlo di capovolgimento, ma del fatto che la coppia male-bene in sé non è che non esista, ma è PROPRIO quella il MALE.
Ovviamente mi sto riferendo alla chiesa e le sue sciocchezze sul bene e sul male.
Sciocchezze che una volte se l'avessi scritto sarei finito al rogo, e anche oggi, se occupassi un posizioni di potere, sarei immediatamente sospeso o alla meglio criticato, visto che l'intera società si basa su quei valori.
Io spero che un filosofo anche alle prime armi, si accorge subito che la nostra società è il male.
Dire il contrario significa non aver mai letto derrida, focault, deleuze, ma anche freud e lacan.
E ovviamente nietzche, ma per via del suo stile polemico, capisco che si fa fatica a prenderlo come modello.
Sì se la volontà di potenza fosse l'uomo, ma l'uomo, e forse qui proprio siamo di opinione diversa, NON è la volontà di potenza.
E perciò per essere ciò che è, egli deve essere anche politico, se no, non capiamo tutta la sua polemica contro il mondo ebraico per esempio.(poracci sempre loro nel mirino).
Essere uomini d'altronde è sempre una questione politica e di scelte, di partes vs partes. In nietzche questo tema è forse il più visibile (e fraintendibile).
Possiamo poi dire che questo è irrilevante ai fini ontologici, ma non credo che fosse l'ontologia ad interessare Nietzche, che pure intendeva l'ontologia, anzi ne era un maestro, l'abbiamo già detto parlando di eterno ritorno volonta di potenza e relativismo, tutte caterorie dell'essente.(avrei dei dubbi se sono categorie dell'essere, in quanto antimetafisico, non so le ha declinate come tali, mi parrebbe un controsenso).
Sul fatto dell'individualismo non so a cosa ti riferisci, ma di certo pur prendendolo come morale, sarebbe l'esatto opposto a cui mira nietzche che invece esplicitamente parla sempre di comunità degli amici.
Forse hai travisato il fatto che stavo dicendo che la morale cattolica, della chiesa, della comunità in cui viviamo, si ciba di BENE e di MALE, tanto di parlare di DIRITTO, ma questo diritto è da sempre la volontà di dominio di una classe su un altra. E cela quindi le vere intenzioni depauperanti di un individuo sull'altro, in questo senso egoismo. Egoismo sociale. Sociofobia in poche parole.
post 4 di 4
PAUL
"L'eterno ritorno è come chiedere al credente nell'aldilà come si possa vivere nell'eternità, visto che noi viviamo biologicamente nel divenire. Prima bisogna arrivarci ad essere se stessi e annullare la linearità temporale, per cui oggi il mio dovere è sacrificarmi per un possible futuro migliore, ecco la contraddizione nitzschiana, del rimandare continuamente ad essere se stessi, per un domani, per un dopodomani e intanto vivacchiare." cit Paul
Sono molto d'accordo sulle 3 fasi di distaccamento niciana, da quella polemica (fare guerra al mondo) a quella culturale, e infine a quella metafisica.(okkei l'ultima l'ho aggiunta io).
Epperò come fai a dire "vivacchiare"? certamente c'è implicito il problema di una delazione (all'oltreuomo), ma questo fa parte del problema paranoico di nietzche, per cui egli stessi più volte chiede scusa.
Ma questa delazione non è MAI una scusa per vivacchiare, è anzi una urgenza per modificare il proprio approccio mentale (non ho paura di usare questo termine) alla realtà, ovviamente come per ogni filosofo l'astrazione è preponderante.
Ma non starò certo qui a ripetere che è proprio in base alle nostre capacità astrattive, che ne va della realtà come la conosciamo.
Inoltre esattamente come per ogni altro filosofo, il vivere quotidiani ha più i caratteri della tragedia, che del vivacchiare dell'uomo comune, della greggia leopardiana.
Caro paul,grazie della risposta... beh, qualcosa ho riportato a fronte della mia "incursione" ai piani alti dell'Hotel Logos... sai mi son travestito da cameriere per accedervi così che nessuno mi ha badato e alfine qui ho portato il mio rispetto per quest'uomo, Nietzsche, di cui in gioventù avevo letto lo Zarathustra ... un libro per tutti e per nessuno (come da sottotitolo) perché obbliga il pensiero a parlare immediatamente, fuori da ogni tecnicismo , in una forma poetica e profetica: tutti possono leggerlo, ma chi può capirne fino in fondo il significato?Probabilmente nessuno. Non a caso ogni volta che si apre questo libro carico di enigmi, esso appare sorprendente e diverso, quasi se non si esaurisse mai il suo significato. Nietzsche era consapevole di questa ambiguità e di questa polisemia del suo libro, e in certo modo dell'intera sua opera; in una lettera del 1884 scriveva: "Chissà quante generazioni dovranno trascorrere per produrre alcune persone che riescano a sentire dentro di sè ciò che ho fatto! E anche allora mi terrorizza il pensiero di tutti coloro che, ingiustificatamente e del tutto impropriamente , si richiameranno alla mia autorità. http://www.filosofico.net/nie3.htm Concordo sul diritto al presente... ma son affascinato dal ponte proiettato sul futuro, chissà se le cellule umane da tempi immemori avvezze alla simbiosi con la mente (per usar una parola) ad un punto ospiteranno una qualche trasformazione o magari la innescheranno... dando realtà appunto al pro-getto, al momento solo ipotesi e speranza (... ma chissà che qualcosina, da qualche parte non accada...). Nell'orizzonte temporale della nostra esistenza Io sono per la prima volta felice di aver vissuto tutta quanta la mia vita. E l'attestare questo non mi basta ancora. Vale la pena di vivere sulla terra. Occorre imparare ad apprezzare il nostro mondo, senza speranze in una vita ultraterrena!non ho speranze ma curiosità, e comunque vada sarà stato un gran bel viaggio... caro Garbino,esser stato artefice del tuo riso mi onora più che l'averti interessato con qualche profonda riflessione o pensiero originale... di questi abbonda anche questa discussione e non sarei all'altezza... e poi, sai, alfine occorre scegliere tra tanti, qual siano da conservare e render propri... compito arduo... e un po' ingrato se vogliamo, perché dietro a quelli vi son le persone che li han prodotti... invece, al giullare, nulla è dovuto se non il riso che vi ha provocato, la sua vera ricompensa, come l'applauso per l'attore... e per quel breve tempo almeno per un po' avrete lasciato in disparte il carattere della tragedia che connota il vivere quotidiano (green)... cari green, maral, memento... e tutti i partecipanti a questa discussione,se non vi ho incuriosito e neppur divertito... vuol dire che son passato come il vento sopra di voi e a causa della leggerezza della mia "sostanza" non ho potuto che accarezzarvi le spalle, senza che ve ne siate accorti... pure qualcosa di voi porto con me, perché vi ho letto e continuerò a farlo, come per tutti gli amici che frequentano il nostro Hotel Logos... cari tutti...con l'amico Sariputra ed altri (Eutidemo, Sgiombo ecc.) si cerca di mantener varia la scelta delle vivande, ben sapendo che impegnativi confronti intellettuali consumano energie al pari di quelle fisiche. Occorre mangiar qualcosa, far altro... rilassarsi... d'altronde, voi come il sottoscritto, non impegnate forse tra le vostre parti migliori nell'interazione con gli ospiti?E s'accadesse (Dio non voglia) che, considerate le entrate (visite) venga decisa una riduzione delle attività... dite, vi garberebbe ritornar a quella paginetta del forum precedente... con tre sole sezioni..? Cari tutti...quelli che s'iscrivono e bastaquelli che si iscrivono e poi mille motivi li portan viaquelli che... vediamo domani... quelli che potrebbero riempir pagine di viaggi e d'ogni altro argomento ma... c'hanno 'na vita da vivere... e poi, ce stanno i social... quelli che han fatto e mantengono la scelta d'esser presenti, secondo le loro possibilità, salutando i nuovi ospiti e attendendo... di conoscerli... perché in questo Hotel se c'è una bellezza non è negli argomenti (che posson esser o meno interessanti o stimolanti) ma nelle persone che li propongono e se non poniamo la prospettiva di incontrarli non vi sarà alcun paesaggio ma solo un... passaggio... J4you (Jean for you)
x Maral.
Esistono condizioni naturali, per cui l'uomo accetta la crudeltà della natura ( Nietzsche lo accetta l'ordine naturale) ed esistono condizioni nelle organizzazioni umane, per cui noi simo il prodotto di quello che gli altri vorrebbero che noi fossimo che si scontra con quello che noi vorremmo essere; vale a dire lo scontro c'è sempre stato fra il dover essere per gli altri e il poter essere per se stessi.Noi non siamo accettati per quello che siamo, ma per quello che gli altri si immaginano di noi.
Noi siamo il prodotto di una cultura, di un'economia, di una politica, di una modalità che fin dalla nascita costruisce mentalmente, psichicamente un uomo. E quest'uomo si scontra fra ciò che potrebbe essere per sua volontà. con ciò che dovrebbe essere per volontà sociale che crea il dovere.
A me sembra lampante che in Nietzsche sia sempre presente la differenza e lo scontro.Non sarebbe un "pensatore scomodo", come in fondo è stato bollato dalla cultura dominante.
x Green
il vivacchiare è riferito non a Nietzsche, ma all'uomo comune costretto ad essere un cammello da soma.
Il pensiero nietzschiano non è architettato nella razionalità tipica del filosofo,che costruisce categorie, gerarchie .
Come scrissi a suo tempo, la scelta dell'aforisma è il linguaggio più vicino all'arte che alla ragione.( e di nuovo riappare in controluce Heidegger che dirà che solo il linguaggio artistico avrebbe potuto dare significato a "Essere e tempo"). Il motivo è una costruzione semantico/sintattica che non modella la costruzione di un pensiero di un filosofo, è mirato a scuotere gli abissi umani, diversamente o avrebbe costruito un trattato di metafisica o di anti-metafisica, seguendo costruzioni tipicamente logiche.
La forma della scelta linguistica è a mio parere ancora attuale.
Oggi il filosofo o il pensiero culturale, può arrivare all'uomo moderno/post- moderno "razionale" con trattati logici, oppure deve fare altre scelte linguistiche seguendo l'operato di Nietzsche, per "scuoterlo"?
Citazione di: paul11 il 20 Marzo 2017, 00:45:27 AM
x Green
il vivacchiare è riferito non a Nietzsche, ma all'uomo comune costretto ad essere un cammello da soma.
Il pensiero nietzschiano non è architettato nella razionalità tipica del filosofo,che costruisce categorie, gerarchie .
Come scrissi a suo tempo, la scelta dell'aforisma è il linguaggio più vicino all'arte che alla ragione.( e di nuovo riappare in controluce Heidegger che dirà che solo il linguaggio artistico avrebbe potuto dare significato a "Essere e tempo"). Il motivo è una costruzione semantico/sintattica che non modella la costruzione di un pensiero di un filosofo, è mirato a scuotere gli abissi umani, diversamente o avrebbe costruito un trattato di metafisica o di anti-metafisica, seguendo costruzioni tipicamente logiche.
La forma della scelta linguistica è a mio parere ancora attuale.
Oggi il filosofo o il pensiero culturale, può arrivare all'uomo moderno/post- moderno "razionale" con trattati logici, oppure deve fare altre scelte linguistiche seguendo l'operato di Nietzsche, per "scuoterlo"?
Ma certamente per una fase del pensiero heidegeriano si è creduto di trovare nel linguggio mitico della poesia l'unico modo di resuscitare gli Dei.(e quindi si capisce perchè solo holderlin, che aveva lo stesso intento.)
Ma lo stesso Heideger di lì a poco si rese conto che anche la poesia aveva dei palesi limiti, non foss'altro che era una mera rappresentazione, un ancora stare di qua, e non oltre il mondo, come Heideger voleva.
per questo Heideger creò una neolingua, che per esempio fece dire a Volpi, uno dei massimi studiosi di Heideger, di essersi pentito di aver perso tempo con lui.
Il fatto è infatti che quando si vuol far troppo intendere si finisce per non far intendere più niente.
E' il caso di Nietzche? se prendessimo lo Zaratustra direi proprio di sì.
Ma in fin dei conti la grandezza di nietzche è invece nella gaia scienza dove riesce a trovare l'equilibrio perfetto tra forma e sostanza.
Dove è proprio la poesia nelle sue immagini a dare un oltre-senso, come nella poesia.
Avendo però un caro amico che si occupa di poesia, insieme a lui debbo dire che la poesia si estendo fino al limite estremo del dire umano, ma non riesce mai a dire di quell'oltre che vorrebbe dire. E rimane sempre di qua, nel mondo.
Nel tentativo di narrazione nicciana, io credo che invece è puntato chiaramente cosa sia quel "altrove".
E trovo che la poesia sia solo un mezzo quindi e non come mi sembra in effetti di ricordare un fine come nella tua interpretazione.
Se eri tu forse ero stato anche più duro all'epoca. ;)
Comunque concordo completamente sul fatto che la filosofia debba uscire da certe logiche geometriche alla spinoza. :)
Citazione di: green demetr il 20 Marzo 2017, 02:34:42 AMCitazione di: paul11 il 20 Marzo 2017, 00:45:27 AMx Green il vivacchiare è riferito non a Nietzsche, ma all'uomo comune costretto ad essere un cammello da soma. Il pensiero nietzschiano non è architettato nella razionalità tipica del filosofo,che costruisce categorie, gerarchie . Come scrissi a suo tempo, la scelta dell'aforisma è il linguaggio più vicino all'arte che alla ragione.( e di nuovo riappare in controluce Heidegger che dirà che solo il linguaggio artistico avrebbe potuto dare significato a "Essere e tempo"). Il motivo è una costruzione semantico/sintattica che non modella la costruzione di un pensiero di un filosofo, è mirato a scuotere gli abissi umani, diversamente o avrebbe costruito un trattato di metafisica o di anti-metafisica, seguendo costruzioni tipicamente logiche. La forma della scelta linguistica è a mio parere ancora attuale. Oggi il filosofo o il pensiero culturale, può arrivare all'uomo moderno/post- moderno "razionale" con trattati logici, oppure deve fare altre scelte linguistiche seguendo l'operato di Nietzsche, per "scuoterlo"?
Ma certamente per una fase del pensiero heidegeriano si è creduto di trovare nel linguggio mitico della poesia l'unico modo di resuscitare gli Dei.(e quindi si capisce perchè solo holderlin, che aveva lo stesso intento.) Ma lo stesso Heideger di lì a poco si rese conto che anche la poesia aveva dei palesi limiti, non foss'altro che era una mera rappresentazione, un ancora stare di qua, e non oltre il mondo, come Heideger voleva. per questo Heideger creò una neolingua, che per esempio fece dire a Volpi, uno dei massimi studiosi di Heideger, di essersi pentito di aver perso tempo con lui. Il fatto è infatti che quando si vuol far troppo intendere si finisce per non far intendere più niente. E' il caso di Nietzche? se prendessimo lo Zaratustra direi proprio di sì. Ma in fin dei conti la grandezza di nietzche è invece nella gaia scienza dove riesce a trovare l'equilibrio perfetto tra forma e sostanza. Dove è proprio la poesia nelle sue immagini a dare un oltre-senso, come nella poesia. Avendo però un caro amico che si occupa di poesia, insieme a lui debbo dire che la poesia si estendo fino al limite estremo del dire umano, ma non riesce mai a dire di quell'oltre che vorrebbe dire. E rimane sempre di qua, nel mondo. Nel tentativo di narrazione nicciana, io credo che invece è puntato chiaramente cosa sia quel "altrove". E trovo che la poesia sia solo un mezzo quindi e non come mi sembra in effetti di ricordare un fine come nella tua interpretazione. Se eri tu forse ero stato anche più duro all'epoca. ;) Comunque concordo completamente sul fatto che la filosofia debba uscire da certe logiche geometriche alla spinoza. :)
.....non pensiamo di trovare in Nietzsche la soluzione, lui da indicazioni ,traccia una strada, da gli elementi, ma la soluzione non è un'equazione.
Nietzsche, sembrerà paradossale ,ma non lo è , è come la Bibbia in cui il testo è metafora, i cui simboli e significati sono all'interno dell'esegesi e dell'ermeneutica, vanno interpretati come state facendo d'altra parte.
La Bibbia, ma qualunque testo sacro, può avere internamente delle contraddizioni apparenti , ma vengono chiarite dalle gerarchie interpretative che l'autore fa intendere.
Spero che io sia capito in questo parallelismo, perchè vuol dire che Nietzsche è interpretazione in funzione del nostro personale vissuto, e per vissuto intendo tutta la nostra esperienza.
Perchè non vuole la massificazione culturale, ma nemmeno l'individualismo del nostro tempo che è la contraddizione della massificazione.
C'è quindi la parte "negativa" in Nietzsche dove destruttura la tradizione e c'è la parte "positiva" che indica tracce e strade, che crea.
Quando intendo che il linguaggio razionale in termini logici è assente ,ma direi in apparenza anch'esso, è perchè Nietzsche non vuole toccare solo l'aspetto "mentale" razionalizzatore, vuole arrivare anche alla psiche, al cuore.
Cerca un linguaggio "totalizzante" che investa interamente l'uomo come appunto totalità.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Questa valanga di interventi mi pone seri problemi a prenderli tutti in esame e a rispondere. Anche perché mi sembra sempre di essere nella condizione di dover ricominciare da capo. E in merito a ciò chiedo scusa se a volte do per scontato cose di cui ho giàè argomentato e che ritengo siano state più o meno assorbite.
X Green Demetr
Caro Grenn Demetr mi hai letteralmente scioccato ieri sera. E Se ti perdono è soltanto perché, spento il computer per riflettere, ho acceso il televisore e mi sono imbattuto sul canale 25 ( RAI 5 ) sulle prime note del Bolero di Ravel eseguito in Piazza Duomo dall' orchestra della Scala. Una coincidenza strana che mi ha provocato un' estasi che vale mille perdoni.A parte gli scherzi, comunque volevo sottolineare che il tuo post mi ha veramente sorpreso. Sorpreso anche in ciò che tu affermi che io abbia detto. E' vero che a volte confondo la mia anima vitale con la volontà di potenza di Nietzsche, ma io non ho detto affatto che essa sia e corrisponda con la natura. Ma dove l' hai letto? A meno che bios non sia inteso come vita ma proprio come natura. Ma abbi un po' di pazienza che devo prima salutare e ringraziare qualcun altro.
X Jean
Caro Jean non sai quanto mi ha confortato il tuo post. Il Giullare. Una persona di me ha scritto, Garbino Vento di Tempesta che quando se ne va lascia in scia un sorriso. L' ironia è tutto nella vita. E' proprio ciò che abbatte montagne granitiche più di mille fulmini. Il fulmine annienta ma carica di elettricità e perciò di rancore il malcapitato. L' ironia no. L' ironia libera. Ciò non toglie che vi ho trovato anche interessanti spunti di riflessione e che ritroverai nei miei post se come hai detto continuerai a leggerci. E non aver paura o timore di esprimere le tue opinioni, anche se altri potrebbero intenderle come castronate. Questo è il primo passo per vincere il proprio pudore o vergogna di sé. A me ad esempio capita spesso, come quando ho inteso l' uomo originale di Nietzsche citato da Paul11 come l' uomo Greco o Romano. Non per questo però demordo. Cosa importa di me? Prima di tutto la conoscenza. Anche se proprio la conoscenza, afferma Nietzsche in Verità e Menzogna, sarà ciò che l' uomo maledirà quando questo pianeta deciderà ( retoricamente ) di espellerci dal mondo vitale o tutto finirà. Una conoscenza che nell' infinità dei mondi sarà durata un attimo, un fruscio leggero, un alito di vento, dopo di che tornerà il silenzio nell' Universo. Grazie ancora.
X Green Demetr.
Puntualizzo che abbiamo parlato di giusnaturalismo in merito alla discussione: Nulla è contro-natura aperta da Voltaire. Ma se intendere le macchine come non-natura per te dimostri il mio giusnaturalismo che sia. Anche se non penso che la sua capacità di accecarmi sia così grande come ritieni. Anche se non escludo che in alcuni casi possa accadere, ciascuno è per sé stesso la cosa più lontana ( Nietzsche naturalmente ).
Quello che ho incominciato ad ipotizzare, caro Green, è che tu cerchi delle risposte e delle tematiche che forse in Nietzsche non esistono, o che comunque noi non riusciamo ad estrapolare dai suoi scritti. E allora non ti arrabbi con te stesso per questa presunzione, ma dai la colpa agli altri.
Comunque ricominciamo da capo e soprattutto parliamo di Nietzsche. Non è colpa mia se Nietzsche afferma quello che afferma. E come sai non vado alla ricerca di motivi estranei per cui Nietzsche avrebbe affermato o non affermato quello che afferma.
Sul Cristianesimo, in Ecce Homo nella parte finale del par. 8 del primo capitolo: Perché sono così saggio, trovo:
Al contrario, attaccare è, per me, una dimostrazione di benevolenza e, in determinate circostanze, di gratitudine ( ipotizzo si riferisca a Wagner e Schopenhauer, ma è possibile anche ad altri ). ............... Quando faccio guerra al Cristianesimo ne ho il diritto, perché non ho subito, da quella parte, né disgrazie né ostacoli, - i Cristiani più seri sono sempre stati ben disposti nei miei confronti. Io stesso, avversario di rigueur del Cristianesimo, sono ben lontano da volerne ai singoli per ciò che è una fatalità millenaria.-
Fatalità millenaria che avevo citato ieri e che a mio avviso determina che in Nietzsche la rivoluzione non è esterna al soggetto, non si fa con i fucili o con i mitra, ma, come ha affermato giustamente Paul11, avviene ( come unico logos di battaglia , di scontro ) a livello interiore.
Questo brano di Ecce Homo, che ho letto la prima volta non ti dico neanche quanti anni fa, ha determinato in me da subito una lettura di Nietzsche che seguo tuttora. Una lettura cioè che ha il suo logos dentro di me, non all' esterno.
Gli attacchi di Nietzsche agli anarchici o agli antisemiti o alla sinistra in genere, si basano proprio sul fatto che ciò che guida queste categorie, sempre secondo Nietzsche, è il reissentment. Il cercare cioè il colpevole di ciò che si è all' esterno e non interiormente. Ma se tutto si svolge a livello interiore, come si fa ad interpretare il Cristianesimo come male in sé. Anche se in più punti lo afferma. Al limite come male interiore, come ciò che acceca. Ed ecco perché mi permetto di determinare nell' attacco al Cristianesimo il suo esito interno, e cioè quegli effetti malefici sull' individuo.
Ma per un maggiore approfondimento dell' argomento ti rimando al par. 8 del capitolo:- I Quattro grandi errori - di Crepuscolo degli Idoli. Paragrafo che già un' altra volta ho riportato quasi per intero ma che non può trovare posto in questo post.
La volontà di potenza e l' Eterno Ritorno. Mi trovo un po' a disagio nel difendere ciò che io ritengo sia la giusta interpretazione di questa metafisica di Nietzsche e su cui mi sento molto critico. Su tematiche dove Nietzsche stesso è molto criptico e assai scarno di approfondimenti. Ho già detto altroive che mi sento in linea con l' interpretazione di Severino di cui ho già parlato e non mi sembra di dover ripetere all' infinito. L' unica cosa che voglio sottolineare è che tutta la costruzione nicciana è volta a svincolare la volontà di potenza da qualsiasi controllo o impedimento di sovranità sul tutto: passato, presente e futuro. Forse un giorno cambierò idea, ma per il momento questa è la mia opinione.
Inoltre non è colpa mia se Nietzsche afferma, in un brano che non riesco a ricordare dove si trovi e in ciò chiedo aiuto, che non considera suo lettore chi non intenda la volontà di potenza come la intende lui, se almeno fosse più chiaro?!!!!, una forza che attraversa tutta la vita e che per certi versi la rappresenta e si identifica con essa.
Ecco perché io interpreto la volontà di potenza come il modus stesso in cui la vita si manifesta. Non è nulla di esterno a qualsiasi soggetto esistente, ma è lo stesso pulsare della vita. Ripeto, le differenze sono determinate solo dalla complessità degli organismi in generale, e sulla diversità genetica individuale nel particolare.
Spero di aver risposto adeguatamente ai tuoi dubbi. Altrimenti non hai che da attaccarmi di nuovo. Ah dimenticavo un' ultima citazione, sempre da Ecce Homo, par. 9 del capitolo: Perché sono così accorto: ......la vera risposta alla domanda -come si diventa ciò che si è. Arrivo così al capolavoro nell' arte della conservazione - l' egoismo..... Ammesso che il compito ........sia molto al di sopra della media, nessun perivcolo sarebbe maggiore di vedere sé stessi di fronte a questo compito. Divenire ciò che si è
presuppone che non si indovini neanche lontanamente ciò che si è.Ti prego inoltre di chiarirmi cosa intendi non tanto sul tema del futuro ma cosa tu intendi con il tema degli amici.
Grazie a tutti per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Dite quello che vi pare, ma io preferisco Schopenauer ;D ;D ;D
Citazione di: Eutidemo il 20 Marzo 2017, 14:15:59 PMDite quello che vi pare, ma io preferisco Schopenauer ;D ;D ;D
Non posso che sottoscrivere...
Green,
penso che dopotutto la nostra anima sia il corpo, i nostri corpi viventi insieme (il plurale è fondamentale e l'insieme non significa che si vada d'amore e d'accordo, anzi), questo intendo per il bios che non è certo riducibile alla sua biologia (pur essendo anche questa, pur essendo comunque anche meccanismo biologico), né alla politica, se non come vita nella polis, nella comunità della cui vita siamo parte vivendo insieme, partecipando della vita di ogni altro che dà significato alla nostra. Il bios (ma Sini lo chiamerebbe in questo senso, più propriamente "zoè", la nostra con-esistenza) ci precede e ci attraversa, non è per nulla un "vivacchiare", ma è la forza potente che ci anima, ci appassiona e ci infiamma gli uni contro gli altri e costruisce, demolisce, ricostruisce e demolisce di nuovo ogni struttura ideologica lasciando ogni volta rovine che sono i resti in cui l'esistenza trova senso, si fa cammino.
Non ti piace identificare il bios con i corpi, identificalo con lo spirito allora, sono la stessa cosa: ci vogliono corpi viventi per partecipare dello spirito, proprio come ci vuole uno spirito per essere corpo vivente, questo a mio avviso significa "mantenersi fedeli alla terra", nient'altro.
CitazioneCertamente però vi è una differenza enorme tra la MIA VITA, e la VITA STESSA, non trovi?
Ci sarà una differenza enorme, ma è sempre dalla mia vita che vedo la vita, "la vita stessa" che senso ha senza la che io la viva, per quanto siano sempre gli altri a darmela, con le loro vite assolutamente singolari, ma sempre insieme vissute, relativamente ognuno rispetto agli altri.
Il senso della vita è sempre mancante, per questo la vita chiede senso in ogni vita e questo chiedere senso è esattamente la domanda filosofica che non trova risposta, o meglio la trova solo nel suo eterno ritornare. Le rovine sono il rovinare di ogni risposta che lascia il suo segno, una traccia lungo il cammino errante che muove da ogni rovina. Se guardi solo le rovine c'è il nichilismo e a un certo punto bisogna ammettere: non ci sono altro che rovine, se guardi il segno in esse presente oltrepassi il nichilismo verso il prossimo segno che diventerà ancora rovina ripetendo la stessa domanda di senso. E' la domanda stessa che ripetendosi infinitamente nega infinitamente il nichilismo: il niente non c'è, perché ogni volta c'è la domanda che si rinnova. Ecco perché occorre passare attraverso il nichilismo per ritrovare il senso. Il senso è la domanda che lascia dietro di sé le rovine di ogni risposta che si era data, sperando di trovare soluzione. Il nichilismo si nega così, vivendone il senso fino in fondo, non a costruire per l'eternità, ma a demolire per l'eternità ogni volta ricominciando a costruire.
E credo che dopotutto questo significhi essere al di là del bene e del male, la nostra società non è né migliore né peggiore di quelle che l'hanno preceduta, lascerà come tutte le sue rovine e il segno che ripete ogni volta la stessa domanda che sempre torna a chiedere ragione di se stessa.
Citazione di: paul11 il 20 Marzo 2017, 00:45:27 AM
Noi siamo il prodotto di una cultura, di un'economia, di una politica, di una modalità che fin dalla nascita costruisce mentalmente, psichicamente un uomo. E quest'uomo si scontra fra ciò che potrebbe essere per sua volontà. con ciò che dovrebbe essere per volontà sociale che crea il dovere.
A me sembra lampante che in Nietzsche sia sempre presente la differenza e lo scontro.Non sarebbe un "pensatore scomodo", come in fondo è stato bollato dalla cultura dominante.
Certo che è sempre presente lo scontro, comprendere lo scontro non significa non parteciparvi, anzi credo che sia quanto mai necessario parteciparvi per poter giungere a comprenderlo, In fondo quello che l'uomo vorrebbe essere per sua volontà non è che quello che il contesto sociale in cui vive nel rapporto con gli altri suscita in lui, quello con cui si lotta è sempre quello che si è per potersi in qualche modo riconoscere. In fondo si lotta sempre per un riconoscimento e Nietzsche lo ha fatto più di tutti, fino a perdere la ragione (e l'assurdo è che solo dopo aver perso la ragione, non sapendo più chi fosse, è stato riconosciuto e anche questo bisognerebbe includere nella sua filosofia, non certo solo come un semplice dato biografico).
Caro Jean,
mi unisco a Garbino nel lodare la tua indispensabile leggerezza, in cui sento tutta la densità di un'antica saggezza. E' un dono raro e prezioso il tuo e trovo piacevolissimo leggerti, Anche perché forse l'origine più profonda del senso delle cose in fondo è solo, come sempre, negli intermezzi.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
X Paul11
Caro paul, devo sinceramente confessare che i tuoi post mi hanno spiazzato. E i motivi sono diversi. Il primo è che mi sono reso conto di trovarmi di fronte ad opinioni di qualcuno che aveva meditato a lungo su Nietzsche avendo letto le sue opere. Il secondo è che molte delle tue opinioni erano a me sconosciute. Che forse mi ci ero già imbattuto ma in forma più criptica di quella semplice e chiara con cui tu le hai esposte. Cripticità di molti intellettuali che spesso nasconde il fatto che non si ha niente da dire. Il terzo è che alcune di queste si calano e aderiscono in modo ottimale al mio schema di interpretazione di Nietzsche, ma altre ne sono quasi completamente escluse.
Lasciando da parte le Tre Metamorfosi, su cui abbiamo opinioni chiaramente differenti, prendo in esame l' ultimo post che trovo completamente condivisibile tranne che nel concetto finale. E cioè quando affermi che Nietzsche cerca un linguaggio totalizzante che investa interamente l' uomo come totalità.
La mia obiezione è che l' uomo che Nietzsche ha intenzione di investire è un particolare tipo d' uomo. L' unico cioè che secondo lui può rispondere al suo appello. L' uomo ben riuscito, l' uomo che ha in potenza la possibilità di divenire oltreuomo se non cade nel Nichilismo. Se incomincia a ritenere che il suo modo d' essere, la sua felicità, la sua bellezza interiore che si manifesta anche in bellezza esteriore, siano una mortificazione per l' altrui sofferenza, e determinino in lui la nausea per l' uomo e la compassione, che abbinati significano una parola sola: Nichilismo.
Ed è per questo che in Al di là del bene e del male auspica che ci sia qualcuno, e questo qualcuno sono i detentori delle monarchie che all' epoca erano presenti ancora in tutta Europa, decida di allevare questo tipo di persone per agevolare la loro riuscita. Ciò non toglie che il messaggio di Nietzsche possa raggiungere anche altre categorie di uomini, ma che le possibilità diminuiscono a livello esponenziale a mano a mano che si ci allontana da questo tipo.
Tutto ciò, a mio avviso, come ho già spiegato altrove, determina che fosse fin troppo rosea la sua previsione sui futuri due secoli di storia. Quando dopo quasi un secolo e mezzo siamo ancora a carissimo amico. Quando gli estimatori di Nietzsche e del suo pensiero e soprattutto di chi, come noi, l' ha letto a fondo, sia alquanto ridotto. La destra se ne è appropriata a suo modo e continua a rivendicarne il possesso. La sinistra fa altrettanto. I Cristiani cercano di portarlo dalla propria parte mistificando costantemente il suo messaggio.
Nietzsche è scomodo per tutti. Ma tutti cercano di accaparrarselo per poterlo mistificare meglio. La battaglia è ardua, ma tutto porta a pensare che si tratti di una guerra persa in partenza. Ma non demordo. Domani è un altro giorno si vedrà....
Ringrazio per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Cari Garbino e Maral sebbene ci troviamo d'accordo largamente sulle premesse, mi consento di dissentire (amichevolmente) totalmente sugli esiti.
La storia non è mai esito di una verità precostituita, e questo è quanto.
Citazione di: Garbino il 21 Marzo 2017, 10:51:32 AMNietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro. X Paul11 Caro paul, devo sinceramente confessare che i tuoi post mi hanno spiazzato. E i motivi sono diversi. Il primo è che mi sono reso conto di trovarmi di fronte ad opinioni di qualcuno che aveva meditato a lungo su Nietzsche avendo letto le sue opere. Il secondo è che molte delle tue opinioni erano a me sconosciute. Che forse mi ci ero già imbattuto ma in forma più criptica di quella semplice e chiara con cui tu le hai esposte. Cripticità di molti intellettuali che spesso nasconde il fatto che non si ha niente da dire. Il terzo è che alcune di queste si calano e aderiscono in modo ottimale al mio schema di interpretazione di Nietzsche, ma altre ne sono quasi completamente escluse. Lasciando da parte le Tre Metamorfosi, su cui abbiamo opinioni chiaramente differenti, prendo in esame l' ultimo post che trovo completamente condivisibile tranne che nel concetto finale. E cioè quando affermi che Nietzsche cerca un linguaggio totalizzante che investa interamente l' uomo come totalità. La mia obiezione è che l' uomo che Nietzsche ha intenzione di investire è un particolare tipo d' uomo. L' unico cioè che secondo lui può rispondere al suo appello. L' uomo ben riuscito, l' uomo che ha in potenza la possibilità di divenire oltreuomo se non cade nel Nichilismo. Se incomincia a ritenere che il suo modo d' essere, la sua felicità, la sua bellezza interiore che si manifesta anche in bellezza esteriore, siano una mortificazione per l' altrui sofferenza, e determinino in lui la nausea per l' uomo e la compassione, che abbinati significano una parola sola: Nichilismo. Ed è per questo che in Al di là del bene e del male auspica che ci sia qualcuno, e questo qualcuno sono i detentori delle monarchie che all' epoca erano presenti ancora in tutta Europa, decida di allevare questo tipo di persone per agevolare la loro riuscita. Ciò non toglie che il messaggio di Nietzsche possa raggiungere anche altre categorie di uomini, ma che le possibilità diminuiscono a livello esponenziale a mano a mano che si ci allontana da questo tipo. Tutto ciò, a mio avviso, come ho già spiegato altrove, determina che fosse fin troppo rosea la sua previsione sui futuri due secoli di storia. Quando dopo quasi un secolo e mezzo siamo ancora a carissimo amico. Quando gli estimatori di Nietzsche e del suo pensiero e soprattutto di chi, come noi, l' ha letto a fondo, sia alquanto ridotto. La destra se ne è appropriata a suo modo e continua a rivendicarne il possesso. La sinistra fa altrettanto. I Cristiani cercano di portarlo dalla propria parte mistificando costantemente il suo messaggio. Nietzsche è scomodo per tutti. Ma tutti cercano di accaparrarselo per poterlo mistificare meglio. La battaglia è ardua, ma tutto porta a pensare che si tratti di una guerra persa in partenza. Ma non demordo. Domani è un altro giorno si vedrà.... Ringrazio per la cortese attenzione. Garbino Vento di Tempesta.
Non ho letto Nietzsche quanto lo hai letto tu.Ritengo che Nietzsche abbia un grande bagaglio culturale, probabilmente più ancora di quello che sembra.Conosce la cultura tradizionale e la filosofia, ma si è spinto ben oltre, ben prima delle codificazioni filosofiche.Penso anche che nulla di ciò che ha scritto e come lo ha scritto e la scelta della forma dell'aforisma non sia mai casuale.Chi ha letto passi degli arii nei Veda indiani, chi ha letto l'epopea di Gilgamesh, chi ha letto passi biblici, utilizzano molto i simboli e la metafora della vita.La metafora dentro l'aforisma svolge una forma comunicativa che non è solo razionale perchè spinge il lettore ha indagare e quindi approfondire, ma la chiave non è solo razionale mentale, è psichica, è cuore e nervi, per questo è "viscerale"Nietzsche non è mai noioso, non cade nell'intellettualismo fine a se stesso.Per questo dico che investe nella totalità il lettore, dal punto di vista razionale, passionale emotivo, psichico.I filosofi o pensatori che lo giudicano spesso lo fanno dal loro punto di vista,dalla loro visione del mondo che quasi sempre è antitetica rispetto a Nietzsche, quindi non servono le elucubrazioni filosofiche su Nietzsche.Nietzsche comunica a tutti non solo a pochi, semmai sa che saranno pochi a comprenderlo.Attenzione perchè non è detto che l'oltreuomo sia qualcuno che dovrà venire, ma semmai qualcuno che già fu.
Se Nietzsche ritiene che la tragedia, il dionisiaco, il prefilosofico siano ancora "veri", lui sceglie appunto quel linguaggio antico. ci sono indizi che mi fanno pensare che lui cerchi l'uomo originario ed è convinto , e per me ha ragione, che sia quel fanciullo che abita in noi.ma per farlo emergere ci vuole il coraggio della volontà di un leone a superare il cammello da soma abituato ad asservire ad essere altro per gli altri e mai se stesso.
E' altrettanto chiaro che chi può far emergere l'"originario" umano deve possedere particolari condizioni ambientali e particolari requisiti di sensibilità e di raziocinio,Nietzsche sa che è difficile,
Se nasco in una famiglia di servi abituato a servire, mi educheranno ad essere un buon servo.......capito?
Per questo lui vede l'aristocrazia, non come censo,(questo è stato l'inganno della strumentalizzazione politica), ma come attitudine più abituata, educata alla volizione personale, a prendersi il proprio destino e non delegarlo a qualcosa d'altro.
Quindi attenzione alla strumentalizzazione politica, Nietzsche non lo intende come potere nelle organizzazioni umane, ma come qualità intrinseca di autoaffermazione direi di autodeterminazione.
Faccio un altro esempio. i cristiani credono nell'amare il prossimo tuo
come te stesso ,Attenzione il come indica che è un'uguaglianza che invece un certo cristianesimo ha interpretato come sottomissione per l'altro: balle!!!
Solo chi ama prima se stesso è capace e può amare gli altri,Chi ama gli altri senza amare se stesso ha delle patologie mentali.Chi annulla se stesso negli altri,ha perso se stesso.
Nietzsche attacca coloro che hanno annullato se stesso e la cultura che ne ha determinato l'interpretazione.
Li ha condannati ad essere servi e schiavi per l'altrui, perdendo il proprio essere.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
X Paul11
Su quanto da te argomentato la mia interpretazione differisce nei seguenti punti:
Le Tre Metamorfosi. La prima trasformazione dello spirito è quella del cammello, perché a mio avviso rappresenta la forma animale che piegandosi può aspirare l' acqua della conoscenza. E' risaputa infatti la capacità del cammello di bere una quantità d' acqua veramente eccezionale. Acqua che negli 'oppure' identifica i diversi gradi e aspetti della conoscenza. La trasformazione in leone è automatica una volta che ha raggiunto il suo deserto. Un deserto che appunto identifica il raggiungimento dello stato ideale per trasformarsi in leone. Il leone è necessario perché con la sua forza può appropriarsi della sua conoscenza e dire io voglio affrontare il drago del tu devi. Il voglio comunque rimane sempre nell' ambito della destrutturazione della volontà. E cioè di una volontà che dice io voglio perché lo spirito-leone ubbidirà. E questo no energico detto al tu devi lo porta alla trasformazione in fanciullo, anch' essa per me automatica. Un dire sì alla terra, alla vita.
L' oltreuomo. Ho già detto in altre occasioni che nell' ottica di un già-fù torna in primo piano l' uomo greco, che più volte definisce fanciullo. Ma è un fanciullo tragico, un fanciullo che ha solo superato il pessimismo, e che non può giocare con la natura creando valori, grazie all' arte infusa nella forza creante volontà di potenza. Ed ecco perché precedentemente nell' uomo originario avevo pensato sbagliando che tu intendessi proprio l' uomo greco. Ciò non vuol dire che non possa essere esistito, certamente lo è, ma soltanto come caso fortunato, straordinario, come ad esempio: Alessandro, Cesare, Napoleone. Oltreuomini però a cui manca la consapevolezza di essere quel che si è.
Quello di cui non sono affatto convinto è che questo uomo originario a cui tu ti riferisci sia mai esistito, anche se può sembrare la cosa più ovvia che sia già esistito. Un uomo originario cioè che calzi a pennello con l' oltreuomo come lo intende Nietzsche.
Sono d' accordissimo sia sul fatto che la scelta dell' aristocrazia sia una scelta obbligata e non una scelta politica. Cosa che risulta ampiamente nella trattazione del primo saggio di Genealogia della Morale. Come pure che sia fondamentale amare sé stessi per poter donare amore agli altri.
Grazie della cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Citazione di: Garbino il 22 Marzo 2017, 20:24:47 PM
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
X Paul11
Su quanto da te argomentato la mia interpretazione differisce nei seguenti punti:
Le Tre Metamorfosi. La prima trasformazione dello spirito è quella del cammello, perché a mio avviso rappresenta la forma animale che piegandosi può aspirare l' acqua della conoscenza. E' risaputa infatti la capacità del cammello di bere una quantità d' acqua veramente eccezionale. Acqua che negli 'oppure' identifica i diversi gradi e aspetti della conoscenza. La trasformazione in leone è automatica una volta che ha raggiunto il suo deserto. Un deserto che appunto identifica il raggiungimento dello stato ideale per trasformarsi in leone. Il leone è necessario perché con la sua forza può appropriarsi della sua conoscenza e dire io voglio affrontare il drago del tu devi. Il voglio comunque rimane sempre nell' ambito della destrutturazione della volontà. E cioè di una volontà che dice io voglio perché lo spirito-leone ubbidirà. E questo no energico detto al tu devi lo porta alla trasformazione in fanciullo, anch' essa per me automatica. Un dire sì alla terra, alla vita.
L' oltreuomo. Ho già detto in altre occasioni che nell' ottica di un già-fù torna in primo piano l' uomo greco, che più volte definisce fanciullo. Ma è un fanciullo tragico, un fanciullo che ha solo superato il pessimismo, e che non può giocare con la natura creando valori, grazie all' arte infusa nella forza creante volontà di potenza. Ed ecco perché precedentemente nell' uomo originario avevo pensato sbagliando che tu intendessi proprio l' uomo greco. Ciò non vuol dire che non possa essere esistito, certamente lo è, ma soltanto come caso fortunato, straordinario, come ad esempio: Alessandro, Cesare, Napoleone. Oltreuomini però a cui manca la consapevolezza di essere quel che si è.
Quello di cui non sono affatto convinto è che questo uomo originario a cui tu ti riferisci sia mai esistito, anche se può sembrare la cosa più ovvia che sia già esistito. Un uomo originario cioè che calzi a pennello con l' oltreuomo come lo intende Nietzsche.
Sono d' accordissimo sia sul fatto che la scelta dell' aristocrazia sia una scelta obbligata e non una scelta politica. Cosa che risulta ampiamente nella trattazione del primo saggio di Genealogia della Morale. Come pure che sia fondamentale amare sé stessi per poter donare amore agli altri.
Grazie della cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Garbino,
se capisco bene tu interpreti ad una evoluzione nella conoscenza.
Ho forti dubbi che Nietzsche lo pensasse.
Primo perchè la storia lineare è l'opposto di un eterno ritorno, secondo perchè alla fine esce un fanciullo non un vecchio saggio. Io interpreto quindi una rottura totale con la tradizione, laddove le circostanze ambientali, come l'aristocrazia, circostanze storiche.
Non penso che lui ritenga la conoscenza come il determinante per poter far uscire il fanciullo che rappresenterebbe comunque un'altra storia, vecchia o nuova che sia.
Penso semmai che le qualità intrinseche umane debbano essere esternate e non più soffocate.
Il terzo aspetto ,se vuoi collaterale, è che ama Wagner. Il compositore musicale è ritenuto da parecchia letteratura il primo decadentista, diciamo che sta fra il tardo romanticismo e il decadentismo. Poe, Rimbaud, Verlaine, Baudelaire sono decadentisti. Una caratteristica è il forte simbolismo. Le composizioni di Wagner sono nei miti, quello dei Nibelunghi ,delle origini germaniche, lo ricordiamo le valchirie?
Ritengo addirittura che abbia scelto Zaratustra non a caso, una religione fuori dai canoni "istituzionali" come l'ebraismo, islamismo e cristianesimo, ma dovrei anche quì approfondire.
Ti ribadisco ,non so fino a che punto conoscesse le origini delle civiltà umane, a me sembra parecchio, soprattutto quella ebraica (conosceva la lingua) e sicuramente quella degli Arii che all'inizio della genealogia della morale chiama "la bestia bionda"..................
"Alla base di tutte queste razze aristocratiche non si può non riconoscere
l'animale da preda, la trionfante "bestia bionda" che vaga alla ricerca della preda e della
vittoria;"
e ancora...
"...l'aborigeno preariano abitatore del territorio italico che si distingueva nella maniera più
evidente possibile per il suo colorito dalla razza bionda ormai al potere, e cioè dalla
razza dei conquistatori ariani il gaelico, mi ha offerto per lo meno un caso simile - "fin"
(per esempio nel nome "Fin-Gal", termine che definiva l'aristocrazia e alla fine il buono,
nobile, puro, originariamente la testa bionda in contrasto con gli indigeni scuri e dai
capelli neri. Detto per inciso, i Celti erano fuor di dubbio una razza bionda: non è esatto
collegare quelle fasce di popolazione assolutamente nere di capelli, che si notano nelle
più precise carte etnografiche della Germania, a una qualche origine celtica o a qualche
incrocio, come fa ancora Virchow: è piuttosto la popolazione "pre-ariana" della
Germania a essere stata predominante in quelle regioni.".
Infine come già Schopenhauer dimostra, e come l'emergente teosofia della Blavatsky accrescerà
nella seconda metà dell'Ottocento giravano parecchi testi di origine indiana, portati grazie al colonialismo inglese.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
X Paul11
Per quanto riguarda il motivo per cui Nietzsche abbia scelto proprio questo personaggio ( Zarathustra ) per ricoprire il ruolo di colui che annuncia il superuomo ( o oltreuomo ), l' arcano lo svela lui stesso, mi sembra in Ecce Homo. Quando appunto afferma che la sua scelta è ricaduta su Zarathustra proprio perché la tradizione lo indica come l' inventore del bene e del male. E per contrappassso ritiene giusto che sia proprio colui che è stato la causa di molti mali, chi ne determina il superamento ( bene e male = morale) attraverso l' annuncio dell' oltreuomo.
A questo punto ci tengo a precisare che ritengo la tua interpretazione sull' oltreuomo di tutto rispetto, come ad esempio quella di Maral sulla Morte di Dio che ha tra i suoi sostenitori, non so Severino, ma sicuramente Ferruccio Masini che io ritengo uno dei migliori lettori ed interpreti della filosofia di Nietzsche.
Ma la mia interpretazione, per quel che può valere, è comunque diversa ed ora cercherò di indicare quali ne siano le motivazioni.
Non c' è dubbio che, scomparsa la tradizione religiosa Greca e Romana, Nietzsche sia più a favore di altre religioni piuttosto che del Cristianesimo. E quasi tutte orientali soprattutto perché quelle occidentali si richiamano troppo evidentemente al Cattolicesimo. Del resto anche l' Islamismo viene privilegiato perché lo indica come una religione che presuppone degli uomini ( L' Anticristo ). Ma il massimo, sempre secondo Nietzsche e sempre nell' Anticristo, è il culto a cui è collegato il codice Manu, che prevede norme altamente restrittive per i ciandala ( la categoria più infima della scala sociale ).
Del resto anche in Genealogia della morale fa intendere che ritiene i culti orientali di classe superiore in rapporto all' infimità del Cristianesimo.
Ciò mi fa comunque vertere sul ritenere che usasse questi paralleli soltanto per porre in evidenza altre morali che potevano essere ritenute superiori al Cristianesimo. Ma sempre di morali si tratta. L' oltreuomo determina il superamento del tu devi e non la scelta del tu devi migliore. Per inciso ci tengo a precisare che, come risulta abbondantemente in Genealogia della Morale, fossero proprio i Greci ad aver creato i migliori dei in assoluto. Dei che si assumono la colpa, cosa da lui ritenuta nobile.
La bestia bionda, l' uomo rapace che lui contrappone all' uomo del reissentment è sicuramente contemplato da Nietzsche in modo positivo. Ma non bisogna dimenticare che è anche colui che inconsciamente ha determinato la nascita dello stato, Un' altra grande sciagura per l' evoluzione del tipo uomo. Non bisogna dimenticare infatti che lui ritiene che debba sussistere quanto meno stato possibile. All' uomo originale cioè manca la consapevolezza di esserre quel che è, consapevolezza che può dipendere soltanto dalla conoscenza. E' solo la conoscenza infatti, sempre a mio avviso, che può determinare nel cammello la ricerca del proprio deserto e nel leone la forza di affrontare il tu devi.
Del resto le pagine che Nietzsche dedica alla conoscenza e all' indispensabilità dello stato di ricercatore per ogni uomo di cultura, sono o almeno ritengo tra le più sentite del filosofo. Questo problema vibra in lui in modo profondo, tanto da farlo impegnare, nell' Inattuale su David Strauss, in un attacco furioso nei confronti dei filistei colti. E in generale di tutti i filistei del suo periodo storico. I filistei che rappresentano l' antitesi stessa dell' uomo di cultura ma che hanno nelle mani il potere culturale.
Un oltreuomo fanciullo che si richiama all' uomo originale, sarebbe, sempre a mio avviso secondo Nietzsche, un uomo destinato a ripercorrere gli stessi errori dei suoi antenati. Ecco perché ritengo la conoscenza e la consapevolezza legate indissolubilmente allo schema di Nietzsche.
X Green Demetr
Mio caro Green Demetr, mi dispiace ma non riesco a ritrovarmi con quanto affermi. Non riesco a capire a cosa tu ti riferisca né con le premesse iniziali né con il tema dell' amicizia su cui ti chiedo per favore un chiarimento.
La storia. La storia non è mai esito di una verità precostituita. Strana frase. La Storia , ovverosia il presente sono sempre il risultato di tutte le componenti sia evolutive che involutive presenti nello stesso presente storico in cui si vive. Anche se bisogna precisare che non sempre le spinte evolutive sono positive, come non sempre sono negative quelle involutive. Una precostituzione sarebbe possibile solo se qualcuno avesse il potere di fermare tutto, cambiare ciò che non gli aggrada, anche nella mente degli individui, e poi ridare moto al processo. La Storia in altre parole è uno sviluppo dinamico che non può essere diverso da come esso è. Ed è per questo che è necessario secondo Nietzsche che avvenga qualcosa a livello interiore umano. Un uomo qual' è adesso l' uomo, qualunque indirizzo scelga di dare alla Storia, anche attraverso una rivoluzione, lo porterebbe a ripetere gli stessi errori del passato. Passato in cui alla fine chi ci guadagna sono sempre le stesse categorie di persone. Una delle poche eccezioni, ma che sempre a mio avviso è destinata all' oblio, è la rivoluzione cubana, proprio perché anche i potenti, i ricchi, i latifondisti cubani, avevano la consapevolezza che la scelta più giusta fosse quella di difendere il popolo cubano e non gli interessi dei capitalisti statunitensi. Ma in quegli anni, la componente fondamentale a livello mondiale, era la presenza delle idee di quello che poi diventerà di lì a poco presidente degli Stati Unit e che rappresenta la vera spinta, e che spinta!!, evolutiva a livello sociale. Senza di lui Il 68 e tutti i movimenti culturali del periodo probabilmente non ci sarebbero mai stati. Sto parlando naturalmente di quel grand' uomo che era John Fitzgerald Kennedy. E' opportuno rilevare che l' accostamento del termine oltreuomo a lui, al fratello Bob, a Martin Luther King e ad altri personaggi del periodo sia molto appropriata.
Grazie a tutti per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Due militari ed un carabiniere (pesantemente armati) hanno giusto fermato un extracomunitario e si dispongono agli accertamenti.
Il giovane, forse bengalese, non ha bagagli e l'attillato maglione esclude possa celare qualcosa al di sotto.
La scena avviene in una stazione ferroviaria, oggi.
Anche se divenuta la normalità è anch'essa, tra i tanti tipi, una forma di guerra in atto.
Green (messaggio privato con permesso di citarlo)
- Caro jean io non ti ho risposto perché non ho capito minimamente il senso della storiella. :-[
L'avevo presa per una critica a Garbino e alla sua decisa presa di posizione, ma che vuole, anche se fosse così, ognuno ha il diritto di prenderla, soprattutto perché la vera guerra si fa intellettualmente e non per le strade, fra la gente.
Il fatto è che poi non saprei cosa aggiungere, faccio fatica a sopportare la letteratura.
Siccome non so perché mi sono sentito preso in causa, provo a chiederti, lei spirito leggero, cosa intende con cammino della conoscenza.
Cosa intende con binari già messi.
Almeno l'indicazione di chi li ha messi. Un qualcosa, un appiglio.
Lasciar intendere come dice sempre SINI è un buon modo per lasciarsi FRAINTENDERE.
Ma forse è il mio spirito che è ormai troppo greve.
ciao!!!!
Ciao a te Green e scusa del tempo per la risposta che ha preso tempo a formarsi...
Dopo qualche anno di lettura dei tuoi post mi son fatto un'idea della tua persona: un intellettuale ben preparato, fantasmagorico nell'esposizione, a volte (come qui dici) con lo spirito troppo greve.
Nel proclamare che la vera guerra sia in campo intellettuale delinei i confini entro i quali incontrarti e fuori da quelli, dove altre son le "armi" che si adoperano, son echi lontani e rimembranze che per come hai costruito e si è sviluppata la tua vita di studioso, forse senti appartenere all'infanzia della ragione e/o della coscienza.
Le affilate armi di cui disponi (la logica e la conoscenza che hai accumulato) agiscono al pari dell'efficiente programma di un computer: introiettano le informazioni processandole per tipologie e richiamandone le correlazioni, alfine producendo l'output.
In quel campo io non posso incontrarti, non solo perché sarei subitamente sconfitto in tal tipo di guerra, ma soprattutto per inclinazione e metodo, per giunta avendo dismesso molti anni fa la mia modestissima biblioteca.
Per le necessità, i richiami alle fonti, mi è sufficiente il pc.
Quel che vado postando – raccontini, poesiole ed interventi – non origina più da un percorso lineare, seguendone le linee strategiche o prospettiche, ma è del tutto estemporaneo, scritture senza preparazione... avendo dismesso assieme alla biblioteca anche il senso di una direzione precisa.
A proposito di biblioteche, ricordo d'aver visto il filmato di quella di Umberto Eco... che era la sua casa, stanze e stanze di librerie ricolme all'inverosimile, sino a giungere alla sua scrivania, altrettanto sommersa da una montagna di testi.
Nel video il Professore si muove dall'entrata sino a giungere alla sua scrivania... dalla quale oggi è ben oltre...
Dello studioso Eco è rimasta l'opera mentre dell'uomo (fisico) solo un'eco (...) che fatalmente, in capo ad un paio di generazioni, sarà del tutto affievolito.
In questo mio modo di esprimermi non ricerco il senso che sottende ai contenuti, ma questi si inanellano secondo l'ispirazione del momento e quasi sempre non so dove andrò a parare fino al termine dello scritto.
Son suggestioni in atto, dove i particolari, le assonanze, i rimandi... svincolati dalla necessità di un ordine logico, vengono alla luce in funzione d'un altro ordine... implicito, se si può dir così, dove ogni elemento ha una correlazione con gli altri e con l'insieme.
Ad esempio, scrivere di echi lontani e rimembranze ha richiamato alla memoria l'Eco scrittore e la sua biblioteca e su questa traccia altro che andrò scrivendo.
Se ti sei sentito preso in causa può esser perché non v'è nulla che non sia in qualche modo correlato a qualcos'altro e tale correlazione non sempre affiora a livello conscio.
Sul non sopportare la letteratura... beh, anch'io faccio gran fatica a seguirvi e tuttavia non demordo...
Una donna matura, magra ed elegante, siede sola ad un tavolo del McDdonald's, intenta a condire l'insalata mista contenuta in una vaschetta di plastica che funge da piatto.
Osservo le foglioline di differenti forme e colori rimescolarsi... verdi e rossi in varie gradazioni s'inabissano e riemergono alla superficie... come i pensieri che affiorano e riaffondano nella coscienza... (chi/cosa li rimescola..?)
Un sorso dal gran bicchiere di cartone... un suono e la conseguente pausa dal pranzo, per rispondere sullo smartphone ad un probabile messaggio.
Siamo noi che comandiamo il presente o esso, attraverso le forme (dispositivi, concetti ecc.) che son risultate vincenti, impone le sue prospettive? Noi, che si cerca il premio della libertà... possiamo far qualche passo dalla nostra parte per avvicinarci – come nell'esecuzione di un traforo - o dobbiamo attendere sia essa a trovar e spianar la strada?
Sul cammino della conoscenza ed i binari già messi...
Posto che la conoscenza è una... la sua somma fa sempre un solo totale (Totò docet) mentre i modi per giungervi (meglio dir "avvicinarci") sono appunto i binari, prospettive insite nella direzione intrapresa già visibili all'inizio o man mano... o affatto, vicoli ciechi...
Il cammino della conoscenza è il cammino di ogni individuo, perché alcuno non ne proviene o ne è affrancato.
Siamo "immersi" nella conoscenza che affiora alla coscienza individuale e collettiva supportata dalle prospettive che si son affermate.
Il cellulare, il pc che avete osteggiato alla fine l'avrà vinta su di voi e sulla monaca di clausura... e provate a fornire un tablet assieme al cibo all'asceta tibetano murato nella sua minuscola cella... certamente qualcuno resisterà ad ogni tentazione... per cedere a quella più grande dell'aver resistito...
Ma qui, in questa piacevole e pacata discussione tra amici, si parla dell'oltreuomo e del suo diritto al futuro.
Qualcuno, il grande Nietzsche tra questi, ha ipotizzato (se già non avvenuto in passato come suggerisce paul) un cambiamento "evolutivo" (non prendetemi alla lettera), tale da intervenir su quei binari, deviandone il percorso, considerata l'improbabilità (difficoltà) di poterne assemblarne altri del tutto nuovi.
Posto che nulla sorge dal nulla Nietzsche l'immagina scaturire da un percorso di conoscenza e di vita che si compie attraversando delle fasi peculiari, corrispondenti al cammello, leone e fanciullo di cui ben andate discutendo e chiarendo.
Quello che mi chiedo è se di questo nuovo evento (l'oltreuomo) si possa solo discutere a livello intellettuale o se vi siano giusto dei segni, piccole tracce (piccoli tocchi...) di qualcosa in corso.
Che magari dischiuderà le sue ali - forse non ancora adatte al volo, necessitando perciò un'ennesima fase di "riprogettazione" – appunto nel futuro al quale non apparterremo se non come germe dell'oggi, il passato per il tempo che verrà.
Perché, rimanendo a livello intellettuale la prospettiva è una sola ...
Prima di prender il treno ho una mezz'ora... anche troppo per un caffè, così posso dare un'occhiata alla libreria della stazione... tò, l'ennesimo libro del Corona... del quale ho leggiucchiato i primi e poi mi son fermato... ma questo par diverso, in forma di dialogo con un suo amico risulta piacevole e pregno di storie di vita vere, di persone e musicisti... "Quasi niente" il titolo e tre citazioni in avvio, che riporto:
Se tuto gnènt (è tutto niente) – Mario Rigoni Stern
Meglio m'era che mi fossi messo a fare zolfanelli – Michelangelo
Non v'è rimedio per la nascita e per la morte salvo godermi l'intervallo – Arthur Schopenhauer
La prima è riferita agli ultimi momenti di vita dello scrittore, son le parole profferite alla moglie che mi pare gli mostrasse delle copertine di una nuova edizione...
La seconda... considerata l'età raggiunta e l'opera del Grandissimo fa venir i brividi (almeno a me) e non m'azzardo ad interpretarla, così mi tengo i brividi...
Più agevole al commento la terza, nella quale il gioco delle corrispondenze la rende speculare alla citazione di Maral, in più ricollegandola alla preferenza per il filosofo espressa da Eutidemo e ribadita da Sariputra...
Qual dunque il binario sul quale far procedere il treno della conoscenza e della nostra vita?
Quello del nulla al termine del viaggio o l'ipotesi di una prospettiva? (chi l'abbia di fede non ha tal domanda da porsi, né tantomeno percorsi "alternativi").
Questo topic - per merito di Garbino e dei suoi interlocutori che innestando le proprie considerazioni sul potente portainnesto costituito dall'opera di Nietzsche, non ne rimangono tuttavia intrappolati nella sola prospettiva storico/biografica – è diventato qualcosa di più di una discussione... quasi una "oltrediscussione", dove poter seminare nel vecchio terreno i semi per un nuovo raccolto... (en passant un po` di retorica finale... e, visto che ci siamo, perché non ceder ad una fantasia semantica, intendendo per FRA-INTENDERE il cogliere quel che c'è nel mezzo, gli intermezzi...)
per una volta, in omaggio all'amico Garbino, grazie per la cortese attenzione
Jean
Leggo solo alla fine del pomeriggio trascorso a rispondere a Garbino (e Maral volendo) il tuo intervento Jean.
Vedi questa volta tra letteratura e pensieri più espliciti il post mi è piaciuto molto di più.
Certamente il mio essere greve dipende da quella biblioteca pubblica milanese a cui lego indissolubilmente la mia giovane formazione, la grevità nasce dal fatto che la cultura appesantisce, è un duro peso, e per me vecchio cammello risulta arduo tentare la levità, i miei sforzi maggiori sono nella vita con gli amici, con gli anni ho imparato ad accettare tutte quelle idiosincrasie che da filosofo non posso che disprezzare. Rimane ovviamente la mia una posizione di bilico, e non mi sono mai state risparmiate critiche per un certa resistenza al dilagare della loro follia.
Nella forma scritta, invece è proprio un mia mancanza, ti ringrazio per il fantasmagorico, diciamo pure che l'esposizione è confusa. (ma ti assicuro che sono migliorato....quindi immagina prima....).
Comunque al di là di questo gli interventi io veramente li leggo tutti. (non ti preoccupare ;) )
Certamente la guerra intellettuale comporta un serrato scontro fatto di testi e critica ai testi, ma comunque per quel che mi riguarda almeno, l'orizzonte è sempre legato a quella medianità che è la vita umana, tra origine e destino. E' della medianità che ne va di più.
Ossia della vita quotidiana, fatta di fast food e smart phone, ma anche di ri-orientamenti legati al qui e ora.
Di sorrisi negati o dati, di scelte di amicizia, di lavoro, di affetto, di religione.Tutto all'interno di città che girano a ritmi vorticosi, completamente seppellite da coltri di polvere e di ipocrisia.
Ma nessuna scrittura può ridarne il senso, e quindi forse per quello ne hai dismesso ogni velleità.
Forse proprio per vedene uno nuovo, e in fin dei conti i tuoi micro-racconti sono un altro modo della discussione.
Spero che portandoti il mio caso per brevi pennellate su quello che hai scritto, anche questo sia dialogo.
X GARBINO
Mi risulta difficile poter spiegare la questione della Storia all'interno del pensiero Nietzchiano, senza dover riprendere l'intera trattazione contenuta nelle pagine di UTU.
La mia speranza, se vogliamo dire così, è che quella frase un giorno possa ri-colorarsi di tutta la sua pregnanza, perchè vuol dire che avete passato uno dei primi sbarramenti nietzchiani.
Per darne conto, vi è una conferenza tenuta da Sini e della sua maggior collaboratrice la dottoressa K
In quel di Monza, la K seguiva un ragionamento che pur del tutto sensato portava a chiedere a Sini di quale Storia? (stiamo parlando), lei che per prima dovrebbe conoscere il grande lavoro fatto da Sini su quella questione.
Non è facile, sopratutto per i giovani lettori di questo forum, in quanto Sini sta indicando quello che recentemente ha ribatezzato come il potere invisibile.
Qua allora semplicemente abbozzo una risposta semplice.
E' ovvio che la storia si compone delle sue componenti precedenti, ma quello che non ti chiedi (alias PROPRIO non riesci) è quale siano queste componenti, e chi le racconta.
Nella tua analisi, come già ti ho detto meritoria per un primo approccio "positivo" a Nietzche, alla fine ci si imbatte in uno dei soliti clichè culturali, di vedere Nietzche come pensatore politico sui "generis".
Persino la tua visione del passaggio da cammello a fanciullo, risente di questa impostazione di base.
Lettori poco interessati come Paul alla questione nicciana, ne riescono quindi ad avere una visione sicuramente più credibile.
Questa cosa mi dispiace, sopratutto perchè è come se hai perso il filo del 3d, quello dell'amicizia.
Amicizia è da intendere per comunità. L'oltreuomo non è Napoleone, non è l'esponente storico che segna un epoca, non è nemmeno la bestia bionda.
Bisogna saper leggere tramite la malattia Nietzchiana, quella paranoica, che lega i destini di tutto l'occidente, e quindi anche noi.
Bisogna stare attenti, perchè quando idealizziamo di eroi, siamo esattamente nell'occhio del ciclone del discorso paranoico.
Vi ricordo che il discorso paranoico (ossia quella che normalmente è indicata come malattia, dalle scienze della psi: psicodinamica e
psichiatrica sono le maggiori) si incentra su questa frase " Io sono giò Morto".
Non è una questione meramente sociologica, non è un prodotto della società dello spettacolo, è qualcosa di molto più complesso che non quello della liquidazione individualista.
Per uscirne si tratta di mettersi in una posizione critica totalmente capovolta.
Se infatti "sono morto" NON POSSO fare alcunchè sia politicamente, sia individualmente.
La prima mossa nicciana per smascherare l'intero sistema culturale, è quella di attaccare quelle che riteneva all'epoca i nemici di questa missione, perchè tale evidentemente la riteneva.
Come già detto altrove la questione della guerra al cristianesimo, non è in sè a quello della fede, bensì a quei caratteri psicologici che portano un individuo a rinunciare alle proprie potenzialità.
Se leggiamo bene, si tratta ovviamente del carattere stesso ribaltato del cristianesimo rispetto a quello ebraico.
La dove la salvezza è in terra (ebraismo), nella nostra tradizione inventata di sana pianta da S. Paolo è nell'altro mondo.
Non è una questione escatologica, perchè come nei 3d nella sezione religiosa, a cui ho partecipato, abbiamo visto che esistono culti funerari e regni dei morti ANTECEDENTI al cristianesimo.
La differenza fondamentale, oltre a quella ovviamente di attecchimento nelle coscienze moderne, si fonda sul fatto, che la vita nell'aldiqua non è mai vista come PROMESSA dell'aldilà, era anzi come nel caso degli egizi, un continuamento evidente, della vita nell'aldiqua.
In nome di una promessa nell'adiltà, la vita di qua, è costretta al silenzio di ogni potenzialità.
La costrizione viene letta poi in chiave debole da Nietzche, e insieme a te ne abbiamo visto alcune tappe.
Ma questa è solo una strategia, caro amico, l'obiettivo di Nietzche non è quello di fare una contro-storia, il suo intento è costruire le basi per una futura comunità.
Come appunto scrivi tu, nella critica a Strauss, Nietzche aveva già in messo in chiaro la scorrettezza di pensare ad una storia che si svolga come progressione, come storia lineare.
Pensare ad una storia lineare non è cioè sbagliato in se, quanto piuttosto, che crededo a questo metodo come se fosse un DIO, si cade vittima di tentare di leggere tutto sotto quell'ottica.
Si arriva così per esempio ad avere una storia dei vinti, e mai dei perdenti.
La storia, il racconto, è uno dei PRINCIPI del discorso PARANOICO, diventa "quello che io vado a raccontare" è "quello che io vado a convincermi che sia", il tranello è che lo si fa sempre in nome di qualcos'altro che non se stessi.
Come conseguenza la società contemporanea vivendo tutto su questa presunzione, si basa fondamentalmente sul suo sentirsi morta.
Ovvero si basa sulla sua componente luttuosa. Ossia vinta, debole, etc...(ne fa la sua cassa di risonanza e pavarda cordogliosa)
Le radici cristiane nascoste anche ai più autorevoli commentatori risiede proprio in questa luttuosità diffusa.
Nietzche vede lucidamente attraverso queste coltre insostebibile, per qualsiasi altro filosofo, che prima o poi si ferma a qualche punto del suo pensiero, si siede e muore appunto. Lui no, e si proietta subito dopo su quella che poi chiamerà Heideger la Gestelle.
La struttura di cui si compone il racconto.La tecnica.
La grandezza di Nietzche è quella di riconoscere immediamente quali siano le criticità di questa storia, che non è mai la Storia.
La storia che descrivi tu Garbino (ma anche Maral, e a dire il vero, anche tutti gli altri) non è la realtà.
La realtà, la Storia non si lascia raccontare.
Dove possiamo trovare questo passaggio in Nietzche?
Pur avendolo letto una decina di volta, è solo ALLA FINE, che ho capito cosa intendeva Nietzche nella sua introduzione a UTU.
Nella quale si lamenta, del fatto che viene preso "per uccellatore" al massimo per "poeta", lui che E' un uccellatore, lui che è un poeta.
Questa doppia negazione ( si lamenta che lui non è così, e poi dice di esser lui stesso così.)
Mi ha lasciato sempre perplesso, perchè se da una parte era ovvia la ironicità con cui si dava al lettore semplice, di fatto liquidandolo + in quanto è ovvio che lui non è un ingannatore, e non è nemmeno un poeta. (ovvietà che per esempio la metà degli interpreti di Nietzche fa fatica ancora a riconoscere.....e siamo solo alle prime righe di UTU, tanto per dire quanto sia arduo entrare nel MISTERO NIETZCHE) + dall'altra la scelta consapevole, anzi mostruosamente consapevole per come usa le parole, di porre la doppia negazione, metteva in sè il DUBBIO che qualcosa non quadrava nel discorso.
La chiave di chi porta in sè questo problema è però vista come sole un grande romanziere sa fare, alla volta di quanto scriverà poi negli aforismi.
In realtà le "chiavi di volta" sono 2.
Il primo è quello della comunità, l'unica comunità che rispetta il principio della terra, la vita stessa, la realtà, la Storia, è colui che riuscirà a FARE A MENO della vita stessa, della realtà, della Storia, ossia delle loro narrazioni e meta-narrazioni.
Poichè questo "individuo deve ancora nascere", lui gli dà nome di oltre uomo, ossia di colui che verrà. (non si tratta di un super-eroe come vuole la vulgata più volgare).
E colui che verrà nascerà nella COMUNITA' e giammai nel suo INDIVIDUALISMO, (il che dovrebbe porre almeno il dubbio alle schiere di commentatori che vedono la filosofia di Nietzche come una sorta di iper-individualismo, di aristrocratico elitarismo.)
Ma cosa vorrebbe dire questa cosa, che allora esisteranno delle organizzazioni etc..delle politiche???
Assolutamente NO. Ed è questo il punto. la comunità nicciana futura fa a meno del suo organizzarsi, perchè ogni organizzarsi, è frutto di un volersi mettere d'accordo a dire che le cose stanno così e cosà.
La nuova comunità è invece di " ciò che è leggero" e "più superficiale", la comunita è quella dei " volti vicini".
E' il volto, è la nostra esteriorità, è il nostro essere in questo modo, in questo momento, quello che solo conterà.
Non è un utopia un pò naif, perchè la missione è quella di descrivere come questo possa essere possibile e addiritura di COME avverrà.
Abbiamo cioè detto quale è la finalità del progetto nicciano (l'oltreuomo), e mi sembrava che il titolo del 3d da te scelto fosse perfetto.
La prima chiave di volta, rivela che il progetto è serio, c'è una velleità nicciana nel VOLERLO affrontare, NON Si TRATTA cioè di una critica allo status QUO, di una allegoria del nostro stato attuale, ma di una vera e propria MISSIONE.
E dunque perchè proporsi come poeta e come uccellatore?
La seconda chiave di volta è duplice.
Infatti la prima (grande, grandissima, mai fatta da alcun altro essere umano) mossa è dichiararsi MALATO.
Lo dice subito, la mia "missione" per poter essere espletata avrà bisogno di momenti di SFOGO e del DOPPIO.
Siamo già dentro alla psicanalisi, ma che dico, l'abbiamo già superata.
Infatti secondo la psicanalisi si ha bisogno di un analista, un professionista, che indichi quali sono le narrazioni personali sbagliate, ossia quelle che non portino nella direzione di apertura all'altro ( nel mondo professionistico, l'obiettivo è poter portare il soggetto a relazionarsi, per poter lavorare di nuovo, ma è una grottesca limitazione).
Nietzche come d'altronde Freud, invece si AUTO-ANALIZZANO.
La progressione narrativa nicciana ha quindi de facto bisogno della frammentazione.
Ovviamente la complicazione è riconoscere quali siano i momenti di sfogo e quali invece quelli di lucida analisi.
Per questo i commentatori parlando di indecifrabilità se non proprio di contraddizione.
La cosa triste, è che però lui "aveva avvisato".
Il secondo puntello è però quello che a mio parere è quello che fa da pietra d'angolo della narrazione completa.
Ossia la negazione della Verità. In una di quelle intuizione vertiginose, in cui non siamo mai certi di poterlo intendere, egli si interroga perchè nella storia della filosofia ci si è sempre interrogati sulla verità e MAI sulla falsità.
Nietzche prosegue dicendo, e " se fosse la falsità di cui ne va l'universalità?".
E con quella frase sibillina si chiude in sordina, quello che secondo me è la vera rivoluzione copernicana.
E come in un domino si sciolgono come neve al sole, il sole di una intelligenza accecante sia chiaro, quei pezzi che mi erano sempre stati sospetti.
Nel mio ragionamento tutto è tornato. Se noi non solo non possiamo fare narrazioni a cuor leggero, ma nemmeno meta-narrazioni (certo qui ci vorrebbe la lettura di Lacan, e sul rapporto servo-padrone su cui inevitabilmente per come è nata la psicoanalisi si è involuta su se stessa) noi non possiamo far altro che dire BUGIE.
La storia dell'umanità coincide con la storia dei suoi ERRORI, è il corollario, che arriva come una sentenza nel proseguio di UTU, o come tu stesso hai scritto riguardo Garbino parlando del diamante della ragione a scapito dei milioni di morti avvenuti nelle ere precedenti.
Il punto non è tanto che siamo costretti a dire bugie, ma sul fatto che dobbiamo stare nella correzione, TECNICA, di quelle stesse, attenti anche alla sue meta-narrazioni.
Il tema della tecnica nicciano che solo Heideger ha compreso ( e chi come Derrida e Sini ha compreso leggendo Heideger), è esattamente nel carattere destinale che l'uomo incarna.
Perchè Heideger interruppe il progetto metafisico di essere e tempo? è semplice e lapalissiano, perchè cominciò a leggere Nietzche.
E capì cosa era il nichilismo ma sopratutto capì che il nichilismo era la METANARRAZIONE DEFINITVA, era la MATRICE che avrebbe eclissato per sempre il pensiero.
E tentò con tutte le sue forze di combattere questa destinalità.
Nietzche trentenne, un centinaio d'anni prima di Heideger, e 10 anni prima, se fossero nati lo stesso anno, aveva già "visto" tutto.
Ossia la necessità del pensiero è quella di abbattere le menzogne della meta-narrazione, non occasionalmente ma sempre. come se fosse un fanciullo che sempre rinizia a giocare, il bambino non si stanca mai, vive un eterno presente, come sappiamo benissimo oggi dagli studi pedagogici.
Un uterno POLEMOS, una eterna battaglia contro gli uomini e contro se stesso.
Più volte dirà che il vero amico, è colui che ci si rivela come nemico.
Dove con nemico intende proprio l'amico, colui che gli è pari, non è una questione di elitarismo, è una questione di necessità.
Se tu non fai lo stesso lavoro che faccio io, mettere in discussione, porre sempre la domanda, ossia PENSARE, ossia fare FILOSOFIA, nei tuoi confronti e agli altri sopratutto, come fai ad essere veramente un amico.
Per questo l'amico è colui che fa a meno della vita (ossia di cosa debba essere vita, alias la morale) fa a meno della storia (si ma quale storia, fatta da chi) e dalle sue ideologie (le metanarrazioni).
E' ovvio che mentiremo, significa è ovvio che faremo guerra a noi stessi SEMPRE.
Lo spirito che è fedele alla terra, è quello che si libera della terra, coloro che giungeranno saranno coloro che avranno già sperimentato il nichilismo, quella sensazione di "non essere più con i piedi per terra", di "essere nell'aere", e di chiedersi non è come se all'improvviso sento un "gran freddo".
C'è una certa letteratura che insiste sul carattere paranoico nei versi di nietzche, e per quello c'è una certa tendenza a liquidarlo come fuori dalla realtà.
Ovviamente su questo mi interrogo in continuazione, il punto che per me è evidente, è la auto-consapevolezza di Nietzche nel padroneggiare i sintomi, e addirittura ribaltarli a suo favore.
In UTU, continua, solo chi soffre, solo chi è malato può capire veramente. (solo chi ha freddo per riprendere la sinestesia precedente)
Permettetemi ancora di usare i termini della psicanalisi lacaniana, solo chi conosce IL DISCORSO PARANOICO e le sue trappole, può uscire dal discorso paranoico.
Per inciso Lacan per esempio nel suo tentativo di evitare di cadere nella metafisica, cade nelle trappole del paranoico, fino a inventare una nuova metafisica. La vita come matematizzazione.
Come dire un conto è porre il problema un conto è uscirne.
La grande salute che arriva come uno degli approdi pià gloriosi di nietzche, e insieme più povero di navi, è quella capacità di ribaltare con sicurezza le trappole della paranoia.
E' vero che spesso nietzche cade nell'elogio eroico, caro Garbino, ma è proprio per quel carattere di cose,che la paranoia conduce a effettuare, che risiedono le accorate scuse del filosofo di rocken: come potrebbero andare d'accordo le teorie anti-sistemiche con la glorificazione ariana altrimenti? E sopratutto perchè chiedere scusa al lettore se non vi fossero effettivamente dei momenti di crisi.
Nella mia lettura attenta, in realtà, ogni aforisma è come l'incarnazione della lotta niciana, e quindi di ogni nichilista al mondo, prima o poi sarà costretto a fare.
Egli con una energia intellettuale DISUMANA, riesce a SOFFRIRE addirittura in anticipo. è come se ci avesse dato uno dei più potenti pharmacon contro le insidie dei tempi che verranno.
La letteratura psicanalitica che legge in queste anticipazioni delle forme di delirio, o addirittura delle forme di allarme alla sua malattia ereditaria, la follia appunto.(in termini tencici vedono nella forma schizofrenica, dei segnali precursori della psicosi maniacale, a cui effettivamente Nietzche arriverà)
Non vedono MINIMAMENTE quello che il loro stesso fondadore aveva indicato come VIA MAESTRA, alla cura.
Ossia la traversata (vedi il caso Schreber)
Per poter effetturare questa traversata però ovviamente serve un arsenale che solo chi Pensa può avere.
Le mie critiche a te e a Maral, hanno questo back-ground che francamente non vedo proprio come possiate smantellare.
(tra l'altro voi ostinandovi a partire dalla fine, e non dall'inizio, citando le opere dette della maturità. Opere criptiche che non si capiscono senza UTU, e questo è un dato di fatto).
Anzi addirittura e di questo mi dispiace parecchio, voi 2 che siete gli unici in questo forum, ad apprezzare il filosofo di rocken ne fraintendete TOTALMENTE il senso, gli stravolgete la parola.
Tirando in ballo categorie che non appartengono al suo pensiero abissale, ma piuttosto a quello delle sue psicosi latenti(che poi sarebbero quelle di ciascuno nell'età moderna)
La STORIA, il BIOS, il DNA, non sono sbagliate in sè, perchè quella è la gestelle, la tencica su cui l'uomo si basa, si regge come su delle stampelle. Ma Nietzche ci impara a camminare liberi, non tanto nelle circostanze accidentali, quante in quelle del pensiero.
Per cui chi glorificherà le stampelle, come se fosse il DNA, la NATURA etc...e rimanderà ad esse come una tautologia luttuosa, che le cose stanno così, e cioè siamo su delle stampelle, mai godrà del libero pensiero, e cioè mai godrà della comunità che pure sulle stampelle sarà libera di formarsi come amicizia che a fa meno di quello.
Il contrario come disse Heideger è la comunità della tecnica, quella che a furia di ragionare sulle stampelle, finisce vittima di quelle perchè non ha l'amico che gli dica, è vero che cammini con quelle stampelle, ma stai andando da SOLO, e non ti aiuterà quando cadrai nel burrone che nemmeno vedi davanti a te.
Dire DNA, dire STORIA (come meccanica prestabilita crescita), dire NATURA, significava dire DIO, oggi come oggi significa dire TECNICA ( e il bello è che lo sapete benissimo!)
Ed è proprio perchè lo sapete benissimo che mi permetto questa critica serrata, non mi metterei mai a farlca con chi nemmemp riesce a vederne la grandezza.
Poi ripeto se vogliamo tenerci il Nietzche, come dico io meramente politico, che fa l'occhiolino a sinistra, un pò anarcoide, a me va bene lo stesso. Temi di interesse ci sono comunque.
Tanto io non riesco proprio a sollevarmi, a creare il doppio come diceva Nietzche, e pertanto sono, consapevolmente, e quindi dolorosamente, all'interno del mondo paranoico. Perciò delego, fuggo, faccio tutto quello che serve per non essere vittima, non solo di me stesso, ma anche delle ideologie altrui, e infatti qui solo di quello parlo.
In fin dei conti anche lo scrivere è una mera delegazione per preservare la propria paranoia, l'unica cosa buona, pecora fra le pecore, è che lo fanno TUTTI.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Non riesco proprio a scriverlo questo post. Sono già due volte che senza volerlo lo cancello.
X Jean.
Grazie per i complimenti e gli sproni a proseguire. Mi associo a Maral nel constatare, visto che prima d' ora non ti conoscevo, che in te sussiste quella saggezza atavica che non si può acquisire con l' esperienza. E' una dote che o la si ha, o la si possiede a livello genetico, oppure non la si ha. E comunque necessita sempre di essere coltivata, anche se nessuna esperienza per quanto negativa la possa annullare.
Continua a seguirci e criticaci se lo ritieni opportuno, perché a volte, per potersi armare a livello dialettico, accade che ci dimentichiamo anche della necessità della saggezza. Grazie ancora e ti informo che ho trovato il tuo post molto interessante.
X Green Demetr.
Vorrei dirti che ci troviamo sulla stessa lunghezza d' onda per quanto riguarda Nietzsche, ma non è così. Come pure sulla Storia. Non riesco a capire cosa possa entrarci quali siano le componenti e chi le racconta. Come se gli interpreti presi in esame possano diventare qualcosa d' altro nella mia affermazione. Non mi importa niente di loro e perché lo fanno, non è che non li vedo. Il fatto nel contesto storico non modifica lo svolgersi dinamico della Storia. Mi parli di Sini che argomenta su un certo potere invisibile e non vedo proprio cosa questo abbia a che fare con Nietzsche.
Mio caro Green, il mio Nietzsche appartiene a me e soltanto a me. Severino a parte per la questione della volontà di potenza, non ho mai voluto leggere un commento di altri su di lui, se non molto superficialmente, e mai prima di leggere una sua opera. Ed è per questo forse che non mi ritrovo attualmente con nessuno di loro, Ferruccio Masini a parte, e se con tutti loro sono estremamente critico, Ferruccio Massini compreso.
Ti consiglio di leggere non una ma almeno una decina di volte Ecce Homo, una ventina tutte le Inattuali, specialmente quella su Strauss e quella sulla Storia, e poi ne riparliamo. Come ti ho già confermato altrove, UTU non è che una delle opere di Nietzsche, mentre sono tutte importanti. E ciascuna ha una sua dimensione nel suo rapporto temporale rispetto alle altre. Tu invece ti sei avvinghiato ad UTU e non riesci più a liberarti. Ma soprattutto cerca di evitare di leggere altrui interpretazioni e usa soltanto il tuo bagaglio acquisito che non è poco. In altre parole, fidati di te stesso, della tua intelligenza e capacità critica e speculativa.
E per quanta riguarda la contraddizione di cui tu parli del primo paragrafo della Prefazione io proprio non la riscontro. Lui si sente additare come uccellatore ed alla fine afferma che riprenderà a farlo. Lui non nega di esserlo all' inizio, perché comunque lo è, e poi dice che riprenderà a farlo. Dove tu veda la contraddizione proprio non so. Quello di cui si stupisce invece è proprio che tutti i suoi assalti da uccellatore provocano soltanto un effetto totalmente diverso da quello che lui si sarebbe aspettato. Tutti criticano come e cosa scrive ma nessuno riflette attentamente sugli argomenti presi in esame come quello della morale.
Comunque quello che tu vorresti è che si saltasse tutto e si passasse al cuore del pensiero di Nietzsche. Ma è ovvio che invece necessita tempo.
Mentre invece ti chiedo di riflettere su Heidegger e sul motivo del suo angustiarsi nell' approfondire le sue ricerche nel pensiero di Nietzsche. Chi lo sa che tu non riesca nell' intento di immaginare ciò che lo ha provocato. Io nel frattempo ho di nuovo richiesto il suo Nietzsche e spero che questa volta, come mi è stato assicurato, lo possa visionare con più calma. Abbi pazienza Green, tutto ha un suo tempo.
Ringrazio tutti per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Citazione di: Garbino il 17 Marzo 2017, 18:15:30 PMX Memento.
Caro Memento, capisco benissimo i tuoi dubbi ( ci sono passato anch' io ), ma per comprendere a fondo il significato stesso della volontà di potenza è necessaria un' attenta lettura dell' aforisma 19 proprio di Al di là del bene e del male, dove appunto la volontà viene destrutturata ed annullata da Nietzsche ( e se puoi, anche l' aforisma n. 3 Errore di una falsa causalità nel capitolo I Quattro Grandi Errori di Crepuscolo degli Idoli ). La volontà di Nietzsche è qualcosa di molto diverso da ciò che comunemente si intende. Anzi proprio le caratteristiche che Nietzsche le assegna invece di escludere gli organismi semplici li rende i principali soggetti dove la volontà di potenza è sovrana e coincide con il soggetto stesso. Ma non è una volontà che agisce, è una forza irrazionale che spinge l' organismo verso il suo maximum di potenza.
Anche se questo aspetto significa appunto un bruciare le proprie energie senza limiti e portandolo ad una celere fine della sua vita.
Che poi si tratti di una caratteristica di stampo metafisico dipende appunto dal fatto che Nietzsche la pone come data. Anche se non è identificabile, accertabile, raggiungibile dai nostri sensi, dalla nostra esperienza. E' un dogma che necessita di fede.
Nell' aforisma 36, è sufficiente andare alle ultime righe per rendersi conto della possibilità che la mia interpretazione sia accettabile, anche se poi ciascuno interpreta il suo pensiero come meglio crede. Parte finale che dice: ...definire chiaramente ogni forza agente come: volontà di potenza. Il mondo visto dall' interno, il mondo definito e designato secondo il suo carattere intellegibile - esso sarebbe appunto " volontà di potenza" e nulla oltre a questo. - Come puoi constatare non parla di uomo o di organismi superiori, parla di mondo. Tutto il mondo vitale: dal microorganismo all' uomo. Questo il modo in cui interpreto l' argomento: volontà di potenza.
Su Ecce Homo, tutti i primi capitoli rappresentano un' apologia di sé stesso e di come lui si ritenga un genio ( un genio largamente incompreso dai suoi contemporanei contro cui si scaglia ardentemente nella Prefazione ). E di come è riuscito a rinascere e ad elevarsi proprio grazie alla sua decisione di allontanarsi dalla Germania per raggiungere luoghi dove si mangia, si dorme e si respira meglio. In Italia e Francia. Per altro nel par.2 del capitolo Perché sono così accorto, fa proprio riferimento ai luoghi dove il genio in potenza è più avvantaggiato nella possibilità di diventare genio ( Firenze, Atene, La Provenza ). Comunque siamo sempre a disposizione.
Garbino Vento di Tempesta
Proprio lo scorso mese mi ero messo a rileggere "Al di là del bene e del male",quindi l'aforisma a cui fai riferimento ce l'ho bene in mente. Cito un paio di passaggi significativi per la nostra discussione:
"Il volere mi sembra soprattutto qualcosa di "complicato", qualcosa che soltanto come parola rappresenta una unità, e appunto nell'uso di un'unica parola si nasconde il pregiudizio del volgo, che ha prevalso sulla cautela dei filosofi, in ogni tempo esigua. [...] Al pari dunque del sentire, e, per la verità, di un sentire di molte specie, così, in secondo luogo, anche il pensare deve essere riconosciuto quale ingrediente della volontà: in ogni atto di volontà esiste un pensiero che comanda; e non si deve in alcun modo credere di poter separare questo pensiero dal «volere», come se il volere dovesse poi continuare a sussistere!"
Dal primo passaggio,si evidenzia la molteplice natura che si cela nel termine "volontà" (tant'è che nello stesso aforisma parla di volontà al plurale"),a cui accennavo prima. Il secondo sottolinea lo stretto rapporto che lega pensiero e volontà,tale che l'una può sussistere solo in presenza dell'altro,e in pratica esclude un volere negli esseri privi di intelletto,a differenza di quanto affermi. Ritengo questo passo più esplicito e chiaro della parola "mondo" dell'aforisma 36,troppo generica per esprimere compiutamente qualcosa di specifico. L'aforisma che toglie ogni dubbio è in ogni caso il 127 de "La gaia scienza". Posto che lo ritengo un argomento di poca rilevanza.
Non credo di aver mai detto che la volontà di potenza sia una volontà che "agisce",proprio in virtù del suo non essere una cosa sola,che non può disporsi al fine di un unico modello di comportamento,di un unica morale.
Il fatto che una teoria non sia accertabile dai sensi non è sufficiente per definirla "dogmatica": non esiste nulla di più impressionabile dei sensi,a cui ognuno fa riferimento come sinonimo di certezza e solidità (ricordi cosa dice Nietzsche sulla scienza in "Genealogia della morale"?). La filosofia non è una scienza: per quanto essa possa aver senza dubbio bisogno di salde fondamenta scientifiche e razionali. Un giudizio di valore,dei quali la filosofia si occupa,non può essere dimostrato,vale come espressione di chi lo creò e lo sentí come necessario e indispensabile. Ma questo non significa che non possa esistere una filosofia non metafisica,ammesso che si sappia distinguere.
Per quanto riguarda Ecce Homo: non avevo inteso che il "genio" in questione fosse Nietzsche medesimo,tutto chiaro adesso.
Mi spiace essermi perso due pagine di discussione anche abbastanza prolisse (e anche un po' fuori tema?),ma in questo momento ho avuto ben altre preoccupazioni che mi hanno distratto dall'argomento Nietzsche. Se posso proverò a scrivere nei prossimi giorni un post "risposta" a quel che è stato scritto sul filosofo di Rocken,più che altro per fare il punto della situazione.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
X Memento.
Non conosco la tua opinione, ma ritengo che sia necessario affrontare anche gli argomenti fuori tema finché non avremo trovato una traccia condivisibile su tutti i temi trattati da Nietzsche, o almeno su quelli che i numerosi interlocutori ritengono importanti. E ciò lo ritengo necessario se vogliamo che questa riflessione prenda piede e non si articoli in un colloquio inutile tra sordi, dove ciascuno parte dal proprio punto di vista e lo difende a spada tratta, senza possibilità di ripensamenti e o accettazione di quella che è l' opinione altrui. Attendo comunque il tuo punto della situazione, che ritengo di un certo interesse, e su cui sono molto curioso per notare le differenze, se sussistono, con il mio.
Per quanto riguarda la volontà temo di essermi spiegato male e forse troppo sinteticamente ed adesso cercherò di porvi rimedio.
La confusione che spesso si fa, e che, a mio avviso, è da evitare, è tra la volontà umana e la volontà di potenza. Non sono cioè la stessa cosa. La prima è il risultato di complesse sinergie a livello psichico di ciascun individuo, la volontà di potenza, secondo Nietzsche, è qualcosa che appartiene ad ogni essere vivente. Assolutamente indifferenziata ed irrazionale. E' ciò che da all' organismo l' impulso di tendere sempre al suo massimo.
Ed è per questo che nell' aforisma che tu hai riportato si parla di una volontà che è l' artefice anche del pensiero. Ma sempre della volontà umana si parla. Volontà che però Nietzsche ha completamente stravolto e destrutturato negli aforismi che ho citato la volta precedente. Ed anche nell' aforisma 127 della Gaia Scienza, su cui avevo un segnalibro, si tratta della volontà degli organismi superiori non della volontà di potenza. Ed infatti lui afferma, nella frase finale, che la stragrande maggioranza degli organismi non ne sa niente. Ma questo è anche il motivo per cui in quelli inferiori la caratteristica fondamentale della vita sia quella di agire a livello irrazionale e sulla base del raggiungimento costante del loro massimo vitale, che li porta a vivere poco ma molto intensamente. Mentre in quelli superiori la volontà di potenza deve fare i conti con la stessa complessità dell' organismo di cui fa parte. Un fare i conti che è sempre e solo un manifestarsi a livello irrazionale, come tendenza di direzione di comportamento, ma mai come un agire relazionato ad esempio al pensiero umano.
In particolare nell' uomo troviamo forse la resistenza massima alla volontà di potenza, determinata appunto da un tendere ad una riduzione della carica vitale costante in funzione sia dell' adattamento che di una redistribuzione della carica vitale che provoca anche una dilatazione della durata della vita dell' organismo. Ma sempre come effetti, mai come cause razionali. Nel senso che i motivi o le dinamiche da cui scaturiscono questi fenomeni sono da ricercare altrove e la cui determinazione o ricerca esula dal contesto.
Spero di essere stato chiaro su quella che è la mia opinione sull' argomento. Comunque sai benissimo che sono sempre pronto a pormi con la massima apertura possibile nei confronti di opinioni diverse. Perciò se hai dei dubbi manifestali, anche perché ritengo questo argomento abbastanza cruciale nella comprensione del pensiero di Nietzsche.
Per quanto riguarda il mio sentire questo argomento della filosofia di Nietzsche come appartenente alla Metafisica, è indispensabile ritrovarsi su ciò che sia la Metafisica stessa. Cioè qualcosa che va oltre la fisica e che non è visibile, dimostrabile, ma soltanto concettualizzato e da Nietzsche ritenuto fondamentale e assolutamente vero. Ed inoltre se è possibile avere dei dubbi per quanto riguarda la volontà di potenza, mi sembra che l' Eterno Ritorno sia non solo Metafisica, ma una cosmogonia alquanto improbabile. Ricordo che, a mio avviso, il tempo non esiste. Esiste soltanto il presente, e a cui l' uomo ha affiancato passato e futuro per potersi relazionare con sé stesso. Infatti Severino addita Nietzsche come paladino del tempo, e perciò mi ritengo assolutamente critico su questo argomento tanto tenuto in considerazione da Nietzsche.
Al di là di tutto, spero soltanto che uno dei motivi che lo hanno portato a non costruire un' opera su La volontà di potenza, sia proprio il fatto che possa aver avuto un ripensamento. Un ripensamento non tanto sulla volontà di potenza ma proprio sull' Eterno Ritorno. Se non altro infatti lui afferma in L' Anticristo che l' opera viene da lui considerata come la transvalutazione di tutti i valori. Su questo però capisco benissimo che ci sono seri problemi di interpretazione dal momento che il deterioramento psichico di Nietzsche sembra avere la precedenza assoluta su qualsiasi altra ipotesi. Ma questo è anche il motivo per cui ritengo i richiami agli scritti inediti siano da ritenere meno importanti di come, ad esempio anche Heidegger, vengono ritenuti da molti studiosi ed interpreti della filosofia di Nietzsche.
E ciò mi porta anche a considerare abbastanza discutibile tutta la costruzione che si è fatta intorno al Nichilismo, e soprattutto su di un Nichilismo positivo e uno negativo. Mentre sono completamente d' accordo con lo stesso Heidegger, ma mi sembra anche che la stessa opinione la ritroviamo in Severino, che da una crisi non si esce e che tutto tende sempre ad un costante peggioramento. In altre parole si può ritardare l' effetto finale deflagrante di una crisi ma non annullarlo.
Ringrazio per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Il pensiero della storia appunti per garbino (e non solo.) (ne approfitto anche per un ripasso personale, veloce rassegna)
parte 1
cit garbino
"Ti consiglio di leggere non una ma almeno una decina di volte Ecce Homo, una ventina tutte le Inattuali, specialmente quella su Strauss e quella sulla Storia, e poi ne riparliamo. Come ti ho già confermato altrove, UTU non è che una delle opere di Nietzsche, mentre sono tutte importanti. E ciascuna ha una sua dimensione nel suo rapporto temporale rispetto alle altre. Tu invece ti sei avvinghiato ad UTU e non riesci più a liberarti. Ma soprattutto cerca di evitare di leggere altrui interpretazioni e usa soltanto il tuo bagaglio acquisito che non è poco. In altre parole, fidati di te stesso, della tua intelligenza e capacità critica e speculativa."
Le considerazioni sono frutto del mio lavoro, dubito fortemente di trovarle scritte altrove.
Quindi come te, uso la mia testa.
Non sono avvinghiato a UTU, semplicemente non voglio andare avanti senza averlo capito a fondo.
E non mi ritengo ancora soddisfatto, sia in termini di effettivo impegno mio, che è del tutto sporadico e con lunghe pause, sia complessivo, perchè ne intendo la sottotrama principale, ma non riesco ancora a figurarla nel suo terribile orizzonte.
Leggermi le opere precedenti non se ne parla. Sia perchè sono quelle che (guarda caso) maggiormente vengono discusse, sia perchè è evidente lo iato di ispirazione, tra un buon filosofo-filologo, prima di UTU ed un "mostro" dopo, a partire da UTU.
Se hai letto l'inattuale spiegami tu dunque come può la storia esimersi dal "chi la racconta"?
infatti scrivi
cit garbino
"Il fatto nel contesto storico non modifica lo svolgersi dinamico della Storia"
Il punto è che mi sembra tu usi la storia in una specie di ecezione universale, come se esistesse una Storia a parte.
Ma la storia è a mio avviso semplicemente quello che mi racconto che sia.
Dal manifesto del partito comunista che introduce una nuova filosofia della storia, appunto detta materialismo storico, mi sembra che invece si differenzi rispetto a "chi scrive" quella storia. Per inciso non è una questione meramente politica, è anche una visione antropologica più vasta, e più ragionevole, in quanto tiene conto non solo dei vincitori, ma anche dei vinti.
Come faremmo a capire se no la filosofia susseguente se non passiamo dalla revisione critica dello storicismo romantico?
http://www.treccani.it/enciclopedia/storicismo/
http://www.treccani.it/enciclopedia/storicismo_%28Dizionario-di-filosofia%29/
Partendo ovviamente da Dilthey
"L'esperienza interna, in quanto capacità di rivivere un oggetto dall'interno, di «comprendere» (Verstehen) un'esperienza (Erlebnis), è dunque una modalità di conoscenza radicalmente diversa da quella delle scienze naturali, che si basano sull'esperienza esterna e, con le leggi universali e necessarie a cui mettono capo, non fanno altro che «spiegare» (Erklären), cioè istituire connessioni estrinseche fra dati obiettivi, che restano completamente altri, separati dal soggetto. In questo modo, la storia, così come tutti i prodotti della cultura provenienti dall'interiorità, veniva nettamente distinta come il campo delle scienze dello spirito, nelle quali vige un principio di comprensione che implica la capacità psicologica di «rivivere» la singolarità dell'esperienza storica che si esamina. "
seguiamo alcune possibili scelte politiche
http://www.treccani.it/enciclopedia/storicismo_%28Dizionario-di-filosofia%29/
come in Spengler
"Anche nella sua concezione sono presenti i temi diltheyani della «comprensione» dell'Erlebnis come carattere fondamentale delle scienze dello spirito, ma il centro di essa è dato dalla ripresa delle due categorie (a cui aveva dato largo corso nella cultura tedesca Tönnies) di Kultur («cultura») e Zivilisation («civiltà»): la prima è una condizione in cui un popolo costituisce una comunità organica, legata da valori che la rendono coerente e diretta da un centro vitale ispiratore; la seconda è invece la società democratica decadente, legata dallo scambio meramente economico fra parti separate, essenzialmente meccanica e governata non da valori profondamente condivisi, ma da opinioni e mode esteriori. La scelta originale di Spengler è di applicare la concezione morfologica di Goethe al processo storico, visto come una successione di fasi organiche (o di culture) e di fasi meccaniche (civiltà)."
come in Focault
"Foucault formulerà in una sua notissima opera (Les mots et les choses, une archéologie des sciences humaines, 1966; trad. it. Le parole e le cose). Nella concezione per cui ogni cultura deve inevitabilmente decadere in civiltà e la fase di disgregazione di quest'ultima non può che comportare una rigenerante ricaduta nella barbarie, si avverte in qualche modo l'eco della visione ciclica di Vico, eco che peraltro, nel testo di Spengler, si trova distorta e annegata in una congerie di concezioni biologistiche e razzistiche che presentano non poche affinità con le ideologie conservatrici e con lo stesso nazismo che, non molti anni dopo la pubblicazione dell'opera, avrebbe conquistato il potere in Germania"
Entrambe le speculazioni partono indubitabilmente da una visione dinamica, come potresti intendere tu Garbino, ma entrambe definiscono chiaramente una guerra politica, con punti di vista chiaramente segnati e segnalati (focault).
e d'altronde
http://www.treccani.it/enciclopedia/storicismo_%28Dizionario-di-filosofia%29/
Weber
" La costruzione di Dilthey lasciava aperto il problema del carattere propriamente scientifico della conoscenza storica: se essa si legava a un «comprendere» di eventi interiori e irripetibili, comprendere che era operato da un soggetto storico singolare e storicamente situato, non rischiava così di disperdersi in un'infinità di interpretazioni individuali? Weber, specialmente nei saggi di riflessione metodologica e filosofica con cui accompagnò la sua attività di storico e di sociologo (Gesammelte Aufsätze zur Wissenschaftslehre, 1922; trad. it. parziale Il metodo delle scienze storico-sociali), cercò di fondare in modo diverso la scientificità della disciplina storica, rifiutando lo psicologismo diltheyano e reintroducendo la spiegazione mediante cause e principi generali in campo storico. In partic., è assai rilevante la dottrina del «tipo ideale»: certamente, anche per Weber nel campo della storia e della sociologia non sono applicabili categorie generali come quelle di spazio e di tempo, e la stessa causalità deve assumere una veste non meccanica, ma ciò non significa che si debba rinunciare al momento astratto della conoscenza, alla costruzione di modelli.
Lasciando da parte pensatori imbarazzanti come Croce e Popper, e concentrandoci su una ipotetica scienza storica, si finisce inevitabilmente per finire alla solita parolina magica "Modelli".
Ma è proprio a partire da quella parolina, che nasce poi la guerra dei modelli. E di nuovo la storia scientifica sarà una guerra dei modelli e cioè il modello sarà del vincitore.
Per fare un esempio pratico, ancora oggi si parla con un vocabolario storicista scientifico, devotamente anti-fascista.
(ma ovviamente è solo una narrazione, come raccontava già pasolini, il capitalismo è riuscito a fare quello che tutti i fascismi europei non sono mai riusciti a fare prima. E cioè vincere.)
per darne ragione mi riferisco anche al filosfo nodale del 900: Heideger
http://www.treccani.it/enciclopedia/storicismo_%28Enciclopedia-del-Novecento%29/
Quanto a Heidegger, esplicito è il suo richiamo a Dilthey nella nota affermazione che ‟l'analisi della storicità del Dasein tende a mostrare che questo esistente non è ‛temporale' perché ‛sta nella storia', ma che esso viceversa esiste e può esistere storicamente soltanto perché è temporale nel fondamento del suo essere". Di tutta la sua indagine sul ‟luogo ontologico della storicità", è proprio Heidegger a dire esplicitamente che si propone soltanto ‟di far progredire e allargare leprospettive di Dilthey e di favorirne l'assimilazione da parte dell'attuale generazione che non le ha ancor fatte proprie" (v. Heidegger, 1927; tr. it., pp. 541-543, Essere e Tempo).
Per intendere quello scritto da Heideger appunto bisogna aver presente quello che la trecani spregiativamente (ma appunto è la trecani, che ci si poteva aspettare) chiama psicologismo.
E che invece in maniera ben più seria ha radici nella stutturazione dell'io come visto da Hegel in poi.
La storia è un punto di vista. E la Storia è quello del vincente. (Marx)
Mi dispiace del lungo preambolo, ma serve per dare un humus culturale, su cose che si sono già pensate.
D'altronde va benissimo pensare con la propria testa, ma poi perchè non confrontarsi con eventuali possibili storture del proprio discorso?
parte 2
Ma veniamo a Nietzche che nella sua mostruosità (leggi eccezionalità) aveva già liquidato tutto questo 20 enne.......
(gli altri ci hanno impiegato 2 secoli, prima che Heideger capisse qualcosina, e comunque lo stesso heideger rimane da capire per molti)
cerco su internet un attimo di pazienza.
cit Nietzche Hecce Homo (passi che riguardano la seconda inattuale.)
"La seconda considerazione inattuale (1874) mette in luce ciò che vi é di pericoloso, ciò che corrode e avvelena la vita nel nostro modo di coltivare la scienza: la vita, malata a causa di questo congegno, di questo meccanismo privo di personalità, a causa dell'impersonalità del lavoratore e della falsa economia nella divisione del lavoro. Il fine: la cultura, va perduto; il mezzo: il movimento scientifico moderno, ne é barbarizzato. [...]"
E' abbastanza facile ravvisare come per Nietzhe la storia, che coincide con la vita, è sempre qualcosa che riguarda un soggetto.
Dunque non esiste una Storia caro Garbino.
" E Nietzsche distingue tra 3 forme di storia: la storia archeologica si ferma al mediocre, si attarda ad ammirare il passato, anche nei suoi aspetti mediocri e meschini, per giustificare la presente mediocrità; la storia monumentale cerca nel passato esempi e modelli positivi, che mancano nel presente, onde poter guardare al futuro con sicurezza che ciò che è stato possibile in passato lo sarà ancora; solo la storia critica è davvero positiva, in quanto non si limita ad favorire l'imitazione del passato, anche eroico, ma lo vuole superare: essa trascina il passato davanti al tribunale, lo giudica e lo condanna. Il tema storico, nelle Considerazioni inattuali, é davvero forte e sentito, e Nietzsche arriva a dire, come in parte già accennato all'inizio: " l'uomo invidia l'animale, che subito dimentica [..] l'animale vive in modo non storico, poiché si risolve nel presente [..] l'uomo invece resiste sotto il grande e sempre più grande carico del passato: questo lo schiaccia a terra e lo piega da parte. Per ogni agire ci vuole oblìo: come per la vita di ogni essere organico ci vuole non solo luce, ma anche oscurità. La serenità, la buona coscienza, la lieta azione la fiducia nel futuro dipendono [..] "
http://www.filosofico.net/nie27.htm
tralascio gli altri passaggi perchè fusaro non ci ha capito niente. anch'egli vittima del'uomo come bios, come vita naturale. Il che anche solo leggendo sopra è del tutto infondato.
L'uomo invidia l'animale. L'uomo non è bios (tantomeno zoe, che sarebbe il termine giusto greco)
L'uomo è stutturalmente storico, ma se non vuole rinunciare al suo essere politico (che gli appartiene) deve stare attento alle forme di irrigidimento della storia, ossia deve fare a meno della storiografia come momumento.
(vedasi anche il dialogo tra Carmelo Bene e Zeri in uno dei 2 contro tutti del maurizio costanzo show.)
Appunto non esiste una Storia!! CVD. (alias sarebbe sempre e solo una storiografia).
Ma vado a prendere degli estratti direttamente dall'inattule, fra quelli che girano in rete.
SULL'UTILITÀ E IL DANNO DELLA STORIA PER LA VITA
"Del resto per me è odioso tutto ciò che si limita ad istruirmi senza aumentare o stimolare imme-
diatamente la mia capacità d'azione". goethe
SULL'UTILITÀ E IL DANNO DELLA STORIA PER LA VITA, p1 tr.Monica Rimoldi
che abbiamo già visto come predecessore dello storicismo romantico.
""L'uomo domandò una volta all'animale: "perché
non parli con me della tua felicità e ti limiti a guardarmi?" Anche l'animale voleva rispondere e di-
re: "è che dimentico costantemente ciò che volevo dire", ma dato che dimenticò anche questa ri-
sposta e tacque, l'uomo se ne meravigliò.""
SULL'UTILITÀ E IL DANNO DELLA STORIA PER LA VITA, p3 tr.Monica Rimoldi
"L'uomo, al contrario, si oppone al pesante e
sempre più pesante carico del passato: questo lo schiaccia giù o lo spinge da parte, grava sul suo
passo come un carico invisibile e oscuro, che l'uomo può far finta di rinnegare una volta e che an-
che in compagnia dei suoi simili rinnega volentieri, per risvegliare la loro invidia"
SULL'UTILITÀ E IL DANNO DELLA STORIA PER LA VITA, p3 tr.Monica Rimoldi
"Allora impara a comprendere il motto "c'era", la soluzione con cui lotta, sofferenza e noia vanno incontro all'uomo per
ricordargli che cosa è in fondo la sua esistenza – un imperfetto che non si completa mai. Se infine
la morte porta la dimenticanza così desiderata, si appropria contemporaneamente del presente e
dell'esistenza e pone il sigillo su quella conoscenza, cioè che l'esistenza è un ininterrotto essere stato, una cosa che vive del respingere e del distruggere se stessa, del contraddire se stessa. "
SULL'UTILITÀ E IL DANNO DELLA STORIA PER LA VITA, p3 tr.Monica Rimoldi
"Dato che noi ora siamo i risultati di generazioni antecedenti, siamo anche i risultati dei lor
o smarrimenti, passioni e errori, di più: dei loro crimini; e non è possibile sciogliersi da questa cate-
na. Se condanniamo quegli smarrimenti e pensiamo di esserne dispensati, non viene rimosso il fat-
to che noi proveniamo da essi. Giungiamo, nel migliore dei casi, ad un contrasto fra la natura ere-
ditaria e originaria e la nostra conoscenza, addirittura alla battaglia fra una nuova e dura discipli-
na contro ciò che è da tempo assorbito e congenito, noi impiantiamo una nuova abitudine, un nuo-
vo istinto, una seconda natura, tanto che la prima natura inaridisce. È un tentativo di darci ugual-
mente un passato a posteriori, dal quale si vorrebbe provenire, in opposizione a quello dal quale
si proviene – un tentativo sempre pericoloso, perché è difficile trovare un limite nella negazione del
passato e perché le seconde nature sono in genere più graciline delle prime. Troppo di frequente
ci si limita alla conoscenza del bene senza farlo, perché si conosce anche il meglio senza avere
la possibilità di farlo. Ma qui e là riesce la vittoria e c'è persino per i combattenti, per quelli che si
servono della storia critica per vivere, una consolazione degna di nota: di sapere, cioè, anche quel-
la prima natura in qualche momento è stata una seconda e che quella seconda natura vincente di-
venterà la prima."
SULL'UTILITÀ E IL DANNO DELLA STORIA PER LA VITA, p11 tr.Monica Rimoldi
"Pensare in questo modo la storia in modo oggettivo è il compito silen-
zioso del drammaturgo, cioè pensare ogni cosa in modo congiunto con ogni altra, inserire una par-
te isolata nel tessuto del tutto, sempre con il presupposto che debba essere posta nelle cose una
unità del piano, quando lei non ci sia già dentro. Così l'uomo riveste il passato e lo sottomette, co-
sì manifesta il suo impulso artistico - ma non il suo impulso per la verità e la giustizia. Oggettività
e giustizia non hanno niente a che fare l'una con l'altra."
Direi che Garbino mi sembra questa la visione che hai tu della Storia.
SULL'UTILITÀ E IL DANNO DELLA STORIA PER LA VITA, p19 tr.Monica Rimoldi
MA
"Occorrerebbe pensare una storiografia che non abbia in sé alcuna goccia della comune verità empirica e, tuttavia, potesse in sommo grado far valere il DIRITTO sul predicato dell'oggettività. Sì, Grillparzer osa spiegare: "Che cos'è la storia se
non il modo in cui lo spirito dell'uomo accoglie gli eventi per lui impenetrabili? In cui stabilisce legami fra ciò che (Dio solo sa se) è affine? In cui sostituisce l'incomprensibile con qualcosa di comprensibile? In cui attribuisce i suoi concetti di adeguatezza verso l'esterno ad un tutto che ne conosce solo una verso l'interno? In cui suppone nuovamente la casualità, dove agivano migliaia di
piccole cause? Ogni uomo ha contemporaneamente la sua esigenza di separatezza tanto che milioni di direzioni corrono parallelamente l'una accanto all'altra in linee curve e rette, si incrociano,avanzano, rallentano, si spingono in avanti o indietro, supponendo l'una per l'altra il carattere della casualità e rendendo così impossibile (a parte gli effetti degli eventi naturali) dimostrare una necessità dell'accadimento che sia radicale e che abbracci ogni cosa".
SULL'UTILITÀ E IL DANNO DELLA STORIA PER LA VITA, p19 tr.Monica Rimoldi
Ossia la giustizia è sempre una questione politica. Di chi sceglie cosa raccontarsi.
"Di certo Schiller si rende completamente conto della forma in realtà soggettiva di questa supposizione quando dice dello storico: "Un fenomeno dopo l'altro comincia a sottrarsi al fato cieco, alla libertà senza leggi, e ad inserirsi come elemen-
to adatto ad un tutto conforme che è certamente presente solo nella sua rappresentazione".
Nella SUA RAPPRESENTAZIONE, sempre più chiaro, spero, Garbino.
"Se il valore di un dramma si trovasse solo nel finale e nell'idea principale, allora il dramma stesso sarebbe la via più lontana, impervia e faticosa possibile per giungere alla meta; e così spero che la storia non riconosca il suo significato nei pensieri co-
me una specie di fiore e frutto, ma piuttosto che il suo valore sia quello di riscrivere in modo ingegnoso un tema noto, forse consueto, una melodia quotidiana, di elevarla, di innalzarla a simbolo che abbraccia ogni cosa e così di far intuire nel tema originale un intero mondo di senso profondo, potenza e bellezza."
SULL'UTILITÀ E IL DANNO DELLA STORIA PER LA VITA, p20 tr.Monica Rimoldi
Ecco qui uno dei proverbiali momenti enigmatici di Nietzche, che evidentemente anche nei suoi vent'anni germinava gli abissi e le vette delle opere successive. E di cui io per il momento sono solo all'inizio del percorso (il tema della de-soggettivazione alias).
Sto cercando velocemente il pezzo in cui parla di guerra, ci deve essere! ho fatto un bel control+F
"Ed ora di nuovo alla nostra prima affermazione: l'uomo moderno soffre di una personalità inde-
bolita. Come il romano durante l'età imperiale divenne non-romano rispetto alle terre circostanti a
lui sottomesse, come perse se stesso mentre faceva irruzione ciò che era straniero e degenerò nel
carnevale cosmopolita di divinità, costumi e arti, così deve succedere all'uomo moderno, che si fa
preparare continuamente dai suoi artisti della storia la festa di un'esposizione universale; è diventato uno spettatore che se la gode e che se ne va di qua e di là, e si è venuto a trovare in una situazione nella quale le stesse grandi guerre e grandi rivoluzioni riescono a stento per un attimo a cambiare qualcosa. La guerra non è ancora finita e già è trasformata in carta stampata in centinaia di migliaia di copie, già viene prospettata come l'ultimissimo mezzo per eccitare palati affaticati desiderosi di storia."
SULL'UTILITÀ E IL DANNO DELLA STORIA PER LA VITA, p15 tr.Monica Rimoldi
Immaginavo che in Nietzche vi fossero già tutti i temi del 900. Qui addirittura un accecante flash-forward sulla futura società dello spettacolo, la nostra.
"Si accecano certi uccelli perché cantino meglio; io non credo che gli uomini attuali cantino meglio dei loro nonni, ma questo so: che li si acceca per tempo. Ma il mezzo, il mezzo pazzesco che si usa per accecarli, è la luce troppo chiara, troppo improvvisa, troppo mutevole. Il giovane uomo viene spedito con la frusta attraverso tutti i millenni: giovani che non capiscono nulla di una guerra, di un'azione diplomatica, di una politica commerciale vengono ritenuti degni di essere introdotti alla storia politica. "
SULL'UTILITÀ E IL DANNO DELLA STORIA PER LA VITA, p23 tr.Monica Rimoldi
Okkei garbino faccio ammenda che il tema della guerra ancora non c'è nella inattuale, almeno esplicito, ovviamnente germinalmente è già esposto qua sopra, ma capisco la difficoltà se non ne vedi l'intero orizzonte di senso.
Porca miseria garbino ho sforato di una ora e mezza sulla mia agenda.... ma ti devo altre risposte, attendi qualche giorno grazie.
saluti e ricorda le parole di Sini "Ma in fondo in filosofia lo scambio non può avvenire in modo fecondo senza una qualche reciproca ostinazione e sordità. " ;-)
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
X Green Demetr.
Mio caro Green sono completamente d' accordo che uno scambio dialettico non può avvenire in modo fecondo senza una qualche reciproca ostinazione e sordità. Ma non vedo proprio come la Storia, e mi ripeto, possa essere modificata dal fatto che noi o pochi altri sappiano che è raccontata dai vincitori, da coloro che detengono il potere. Io so che queste considerazioni sono inutili. La Storia segue il suo corso comunque.
E quando io uso personaggi storici determinati, che comunque sono continuamente additati dallo stesso Nietzsche, lo faccio soltanto per cercare di fornire a chi legge un' idea dell' oltreuomo, per quanto distorta dal modo in cui ciascuno vede la Storia che gli altri raccontano, che rimane comunque l' unico termine di paragone possibile. Mentre ho già detto altrove che l' oltreuomo attraversa tutte le classi sociali come avviene anche per il sacerdote asceta. E comunque sia i personaggi che io cito sia gli altri che non hanno una connotazione storica perché non vi è alcun resoconto sul loro esistere, rimangono sempre degli oltreuomo in potenza che raggiungono un certo grado di oltreuomo soltanto in virtù di situazioni molto fortunate e molto circostanziali. Come per il genio di Ecce Homo, prima che Nietzsche scrivesse quest' opera.
Ma inoltre quello che chi riporta su internet i passi che tu hai citato non mira minimamente a prendere in considerazione che anche la Storia è quasi sempre dannosa, ad eccezione di quando il tipo uomo corrisponde al tipo di Storia che genera. In altre parole anche questi passi fanno parte del raccontare la Storia come la si vuole intendere e come fa più comodo a chi li riporta. Sempre di mistificazione si tratta.
Ecco perché io affermo che non me ne importa proprio niente il chi la fa o il chi la racconta perché è sempre mistificazione e comunque non muta il corso della Storia.
Vivo a mio proprio credito, forse è solo un pregiudizio che io viva? ... In queste circostanze....la mia abitudine e ancor più l' orgoglio dei miei istinti si rivolta, dire cioè: Ascoltatemi! poiché io sono questo e quest' altro. E soprattutto non confondetemi con altri! ( Prologo Ecce Homo )
Ecce Homo, Sull' utilità e il danno della Storia per la vita e David Strauss: l' uomo di fede e lo scrittore. In altre parole: io sono quello che leggete in quest' opera, il senso storico di cui questo secolo è fiero è malattia, buttate al mare i filistei colti e ragionate con la vostra testa.
Mio caro Green, ciò che ti sei prefisso è molto arduo. Nietzsche non entra nella testa e ti modifica quando tu lo vuoi. Ci vuole tempo, quello che purtroppo manca, ma non vi è altra soluzione. Ciascuna persona recepisce Nietzsche in base alla propria esperienza, intelligenza e cultura. Ma sempre gradatamente. Ci sono resistenze che si frappongono continuamente a livello individuale per la sua interpretazione, tanto che quasi tutti lo distorcono a loro piacimento e lo fanno aderire alla propria forma mentis e al proprio pensiero filosofico.
Questo è quello che fanno i farisei colti. Si può imitare fino alla scimmiottatura ma per carità che non accada nulla di nuovo! Nulla di nuovo!!!! Il nuovo spaventa, innanzitutto perché tocca le loro tasche e i loro interessi.
Ma la cosa più nuova e che proprio non riesco a digerire è dove tu abbia preso questa benedetta comunità degli amici di cui tu parli!!!??? La colpa naturalmente è anche la mia. E lo è perché ho sempre sottovalutato, quando mi si presentava davanti nei tuoi interventi, il suo significato. Sinceramente ho sempre pensato che stessi dicendo a qualcun altro qualcosa di cui avevate già discusso. Mai pensando al futuro che Nietzsche immaginava con l' oltreuomo. Che per altro è un tema talmente particolare e indefinito che mi sembra prematuro parlarne.
Mio caro Green, in quel post di cui discutiamo tu mi hai rivolto frasi che non solo sono arbitrarie se non false, ma che presuppongono che tu possieda la verità su Nietzsche. Noi non riusciamo a vedere, macché a sentire, macché a percepire il profumo del futuro che Nietzsche immagina e idealizza.
Ma scherziamo!! Soltanto un genio, ma chi lo è?, può penetrare nell' abisso della sua filosofia, ed io sinceramente qualche volta vi ho gettato lo sguardo ma,,,,,,,,, Ripeto: ci vuole un genio.......
Ho ritirato il Nietzsche di Heidegger e probabilmente inserirò qualche argomento che la nuova lettura de: 'La Volontà di potenza come arte' mi susciterà.
Ringrazio tutti per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Nietzsche: L' uomo e il suo diritto al futuro.
La volontà di potenza.
Penso di aver risolto il problema inerente alla volontà di potenza. Devo confessare che Memento mi aveva fatto sorgere qualche dubbio e sono così andato alla ricerca di tutti i brani in cui la Volontà di potenza era presente. E in un primo momento mi sono trovato sempre di fronte a situazioni in cui la determinazione del modo in cui Nietzsche identificava la presenza della stessa non era mai determinante. Poi, neanche a farlo apposta, proprio nelle prime pagine del Nietzsche di Heidegger mi sono imbattuto in un aforisma che è mia opinione possa considerarsi talmente chiaro nella sua stesura che non lascia spazio ad interpretazioni diverse da quelle esposte da Maral e dal sottoscritto.
Ricordo inoltre che l' avevamo già preso in considerazione nella precedente discussione su Nietzsche, ma evidentemente proprio non mi tornava in mente. L' aforisma è il 702 della Volontà di potenza ( poi parleremo anche di questo ) e questo ne è l' estratto di Heidegger:
"- ciò che l' uomo vuole,ciò che vuole ogni minima particella di un organismo vivente, è un di più di potenza"
( VIII, III, 149 )
" Prendiamo il caso più semplice, quello del nutrimento primitivo: il protoplasma allunga i suoi pseudopodi per cercare qualcosa che gli si opponga - non per fame, ma per volontà di potenza. Poi fa il tentativo di vincerlo, di assimilarlo, di incorporarselo: ciò che si chiama 'nutrimento' è solo un fenomeno conseguente, una applicazione particolare di quella volontà originaria di diventare più forte"
Non ritengo che possa essere interpretato in modo diverso da come affermavo. E cioè che secondo Nietzsche la volontà di potenza attraversa tutta la vita, dal più piccolo al più grande organismo. Qualcuno potrebbe obiettare sul fatto che si trovi tra gli scritti non editi, ma ritengo che si possa obiettare soltanto nel caso che tra i suoi scritti sia editi che inediti non ci sia un' affermazione che la contraddica.
La malattia di Nietzsche
Anche su questo argomento ci siamo soffermati nella discussione precedente ma penso che sia opportuno tornarci per chiarire alcuni dettagli.
L' argomento è trattato ampiamente ed esplicitamente in Ecce Homo. E precisamente nel capitolo: Perché sono così saggio.
Nel secondo paragrafo troviamo questa frase: Come summa summarum ero sano; ma nel dettaglio, nella peculiarità ero decadent. Ed è nella peculiarità che lui si ritiene perciò anche malato, ma sano nella sua capacità di prendersi per mano e di guarirsi.
E si guarì abbandonando l' insegnamento e la Germania per luoghi come l' Italia e il sud della Francia dove evidentemente trovò un clima ed una alimentazione migliore. Sulla malattia per altro sinceramente la mia opinione è che si trattasse di una forma allergica,. O al polline, o al cibo, o ad entrambe. I sintomi che descrive mi fanno appunto vertere su questa ipotesi.
Non so se il mio caro Green Demetr si riferisse a ciò quando ha parlato di malattia di Nietzsche e del fatto che lo avesse detto. Quello che mi sembra è che ne parli in un modo che poco si attiene a quanto affermato da Nietzsche stesso in Ecce Homo.
X Maral
Nei primi capitoli di La Volontà di potenza come arte, mi sono ritrovato a rilevare le stesse critiche di cui avevo parlato sulla insistenza di Heidegger sull' appartenenza di Nietzsche alla Metafisica grazie al suo insistere sull' essere. Ricordo che alla fine avevamo condiviso che il motivo principale non si dovesse rintracciare in un errore interpretativo dello stesso Heidegger, ma in un errore in gran parte voluto per raggiungere lo scopo di sottrarre al Nazismo non solo Nietzsche ma soprattutto la sua interpretazione mistificatrice. Se sbaglio correggimi perché ho l' intenzione di riprendere da quel punto.
Grazie a tutti per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
È difficile per me fare adesso un punto della situazione. Sono state affrontate molte tematiche nicciane,forse (come mi era effettivamente parso a una prima e superficiale lettura) con eccessiva frettolosità. Io invece ho un approccio diverso,tendo a valutare ogni aspetto singolarmente,con calma e soprattutto con prudenza,senza dover necessariamente trovare una linea interpretativa che dia un senso a tutto ciò che è stato scritto. Si presuppone che si arrivi a una conclusione finale,come fine ultimo di una filosofia,mentre per chi si è immerso abbastanza a fondo nella lettura di Nietzsche non dovrebbe essere scontato prevederlo. Arrischiare una deduzione dovrebbe essere il compito maggiormente pieno di insidie per un pensatore.
Lo Zarathustra ha riscosso immediatamente più attenzioni,essendo il libro che più degli altri sembra indicare tali conclusioni. Ma vorrei dire,contrariamente a ciò che dice Paul,che lo stile che lo contrassegna è unico nella produzione di Nietzsche,che è dotato anche di una scrittura lucida,chiara e lineare,e di un ottima capacità argomentativa. Argomentazioni,non dimostrazioni,appunto. Delle quali la filosofia può fare tranquillamente a meno (sorrido quando leggo di "filosofie razionali",con tutto il rispetto,ma la ragione segue sempre a un giudizio,una valutazione antecedente,un peso).
Andiamo con ordine nelle varie questioni:
- L'eterno ritorno. Come Green demetr e Garbino,non ho ancora "osato" confrontarmi con il pensiero che Nietzsche stesso ritiene essere "il più abissale". Non credo di essere giunto a un punto tale da avere gli strumenti per comprenderlo nel suo significato più pieno. Però avrei da ridire su certe interpretazioni grossolane. Ad esempio tutti sembrano concordare che eterno ritorno abbia il significato di eterno presente,dove l'uomo vivendo costantemente l'attimo,cioè se stesso,sfugge dai condizionamenti del passato e del futuro. Ebbene,si può ancora parlare di tempo messa in questo modo? E in ogni caso,qui pare prender voce un pregiudizio,un sottile meccanismo che scambia l'interpretazione con il testo. Vi invito allora alla lettura,citandovi due passaggi sull'eterno ritorno:
"«Questa vita, come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione - e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L'eterna clessidra dell'esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello di polvere!». Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: «Tu sei un dio e mai intesi cosa più divina»?" (La Gaia scienza,aforisma 341,"Il peso più grande")
"Consentiste mai alla gioia? Oh, amici, consentiste allora a tutte le pene. Tutte le cose sono concatenate insieme, congiunte dall'amore, – voleste mai che una volta venisse due volte, diceste mai «tu mi piaci, gioia! momento, istante!» voleste allora che tutto tornasse!" (Cosi Parlò Zarathustra,il canto d'ebbrezza)
In entrambi si parla di attimi vissuti nel passato,così grandi da far desiderare il ritorno della sequenza di eventi che è la vita.Ma dopotutto,che senso può avere la parola attimo,se non da una prospettiva passata?
- La morte di Dio. Maral, che Nietzsche usi toni tragici non implica di fatto paura e disperazione. Solo chi ha un animo suggestionabile può essere preso dallo sconforto proprio dove fa capolino la tragedia. Riporto,anche qui,un altro aforisma sulla morte di Dio,di ben altro carattere:
"In realtà, noi filosofi e "spiriti liberi", alla notizia che il vecchio Dio è morto, ci sentiamo come illuminati dai raggi di una nuova aurora; il nostro cuore ne straripa di riconoscenza, di meraviglia, di presentimento, d'attesa, - finalmente l'orizzonte torna ad apparirci libero, anche ammettendo che non è sereno, - finalmente possiamo di nuovo sciogliere le vele alle nostre navi, muovere incontro a ogni pericolo; il mare, il nostro mare, ci sta ancora aperto dinanzi, forse non vi è ancora mai stato un mare cosi "aperto" (La gaia scienza,aforisma 343)
- Bene e Male. L'origine dei giudizi di valore è proprio il tema del primo saggio di "Genealogia della morale". Mi stupisco allora che a Garbino sia sfuggito un passaggio tanto fondamentale:
"dato che da molto tempo è ormai abbastanza chiaro quello che io "voglio", quello che voglio proprio con quella formula pericolosa, scritta su misura per il mio ultimo libro: «Al di là del bene e del male»... Per lo meno questo "non" significa, «Al di là del buono e del cattivo»".
Una distinzione del genere non può non essere sottolineata. Perché si rischia di vedere in Nietzsche,a causa della stringente formula "al di là del bene e del male",uno strenuo nemico dei giudizi di valore,quando egli incita a creare PROPRIE tavole di valori. Al di là del bene e del male significa invece essere fuori dalla prospettiva pregiudiziosa di un bene e un male universali. Lascio ancora una volta la parola allo Zarathustra:
"Ma s'è scoperto chi dice: questo è il mio bene e questo è il mio male: con codeste parole egli ha fatto tacere la talpa e il nano che dicono: «Per tutti è bene, per tutti è male».In verità non mi piacciono neppure coloro per i quali tutte le cose son buone, e che chiamano questo mondo il migliore dei mondi. Costoro io chiamo i soddisfatti di tutto.La contentezza che sa gustar ogni cosa, non è il gusto migliore! Io rispetto le lingue e gli stomachi ribelli e di difficile contentatura, che hanno imparato a dire: «Io» e
«sì» e «no»"
Continua..
Citazione di: memento il 03 Aprile 2017, 00:41:15 AM
- La morte di Dio. Maral, che Nietzsche usi toni tragici non implica di fatto paura e disperazione. Solo chi ha un animo suggestionabile può essere preso dallo sconforto proprio dove fa capolino la tragedia. Riporto,anche qui,un altro aforisma sulla morte di Dio,di ben altro carattere:
"In realtà, noi filosofi e "spiriti liberi", alla notizia che il vecchio Dio è morto, ci sentiamo come illuminati dai raggi di una nuova aurora; il nostro cuore ne straripa di riconoscenza, di meraviglia, di presentimento, d'attesa, - finalmente l'orizzonte torna ad apparirci libero, anche ammettendo che non è sereno, - finalmente possiamo di nuovo sciogliere le vele alle nostre navi, muovere incontro a ogni pericolo; il mare, il nostro mare, ci sta ancora aperto dinanzi, forse non vi è ancora mai stato un mare cosi "aperto" (La gaia scienza,aforisma 343)
Non ho detto mi pare che implichi paura e disperazione, quanto che non è cosa da prendersi sottogamba, è di una portata enorme per la quale occorre assumersi un compito parimenti enorme. La morte di Dio richiede la morte dell'uomo che l'ha ucciso. Questo accadimento è comunque sconvolgente e lo sconvolgimento può suscitare sia terrore che esaltazione per quello che promette. Nelle parole che citi prevale il sentimento di esaltazione, che comunque resta un'esaltazione tragica (ove la tragedia non si limita alla scelta dei termini, per darne suggestiva parvenza) di fronte all'immensità del destino e responsabilità che occorre assumersi.
Non è certamente la posizione del semplice ateo che, negando Dio, può trovare ridicola la sua morte, come se gli si dicesse "è morto Babbo Natale".
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
X Maral.
La Volontà di Potenza Come Arte.
Nella rilettura dei capitoli relativi all' arte e al bello che seguono nel testo di Heidegger all' argomento iniziale, mi sono ritrovato di fronte al contesto della parte di Genealogia della Morale che si riferisce allo stesso argomento. E che vede come protagonisti gli stessi dell' opera di Nietzsche. E cioè lo stesso Nietzsche, Schopernhauer e Kant. Nella prima lettura ci avevo capito veramente poco, ma dopo aver letto attentamente Genealogia della Morale, ne so un po' di più e passo senz' altro a delineare il tema del bello, visto nell' ottica dell' arte come 'infusa' nella Volontà di Potenza e che Heidegger cerca di interpretare.
Infusa nel senso appunto che trasmette al soggetto una ebbrezza che riesce a far sì che lo stesso si possa ritenere un artista capace di alta espressione artistica in tutto quello che fa.
Heidegger afferma che secondo lui non è solo Schopenhauer a fraintendere Kant, ma anche lo stesso Nietzsche. Ma lo sostiene non prendendo minimamente in esame i paragrafi di GDM ma sempre aforismi inediti della Volontà di potenza.
Secondo Heidegger, quel disinteresse necessario alla determinazione del bello dipende dal fatto che Kant lo ritiene indispensabile per la determinazione della forma più pura di bello. In altre parole penso che si possa interpretare come la forma in sé del bello. Pur non avendo molta dimestichezza con l' argomento arte, è veramente possibile poter pensare ad un bello in sé? Per altro Nietzsche afferma appunto che Kant nella sua definizione di bello ha incluso lo spettatore. Mentre cita Stendhal che definisce il bello: una promessa ( io ho aggiunto preludio ) di felicità.
Ma oltretutto specifica in GDM che ha in animo di redigere un' opera proprio sull' estetica che però sappiamo che non fu mai edita. E si può ritenere che proprio gli aforismi citati da Heidegger dovessero essere la base per tale opera.
Inoltre di una certa rilevanza giudico questo stralcio del par. 6 ( sempre GDM, terzo saggio ): Kant riteneva di rendere omaggio all' arte preferendo e mettendo in primo piano tra i predicati del bello, quelli che formano il vanto della conoscenza: impersonalità e validità universale. Non è questo il luogo per discutere se questo non sia stato in fondo un errore;.......-
Questo brano, a mio avviso contraddice ciò che Heidegger afferma. E cioè che Nietzsche non aveva affatto frainteso Kant ma che non riteneva quello il luogo adatto per stabilire quanto fosse valida l' impostazione di Kant.
Quello che io non riesco a capire, almeno per il momento, è perché Heidegger non faccia alcun riferimento a GDM in questo argomento, visto appunto che i personaggi e gli argomenti sono gli stessi sfiorati in GDM. Sfiorati ma anche abbastanza chiari, sempre a mio avviso, per il loro uso nel contesto affrontato da Heidegger.
Queste sono soltanto le prime impressioni perché è ovvio che dovrò rileggerlo con maggiore attenzione. Però mi chiedevo se tu abbia qualche idea sull' argomento.
Naturalmente mi sono rivolto a Maral perché avevamo già avviato la discussione sul Nietzsche di Heidegger, ma è ovvio che chiunque si senta di e o voglia dare un contributo è sempre il benvenuto.
Nel prossimo post cercherò di definire quale sia l' interpretazione di Heidegger sulla Volontà di Potenza e soprattutto sulla Volontà di potenza come arte.
Grazie per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Il mio post prende spunto da: https://www.riflessioni.it/logos/attualita/il-grande-intellettuale-e-politologo-giovanni-sartori/msg10773/#msg10773ma qui mi è parso luogo più consono al contenuto. Pur non andando per il sottile... la storia è leggera al pari delle singole vite umane, insostenibilmente leggera, leggera come una piuma, come la polvere che turbina nell'aria, come qualcosa che domani non ci sarà più...sarà a causa di tal leggerezza che non si riesce ad imparar dalla storia e forse da qui il Filosofo ipotizzò il misterioso eterno ritorno... L'idea dell'eterno ritorno è misteriosa e con essa Nietzsche ha messo molti filosofi nell'imbarazzo: pensare che un giorno ogni cosa si ripeterà così come l'abbiamo già vissuta, e che anche questa ripetizione debba ripetersi all'infinito!Anche ritrovassimo l'attimo in cui poter cambiar l'azione o almeno il pensiero, non potremmo... a causa della storia alle nostre spalle che ci sospinge... per quanto sia leggero tal vento, impercettibilmente ci porterà oltre quell'unico attimo in cui potremmo far nascere una differente azione... e così di tutti gli attimi seguenti. Ma quell'anelito, inespresso e non realizzato, energia non dispersa e ancor attiva, riprenderà dalla coda d'un altro attimo la sua ricerca d'esser quello che non poté... e intanto la storia che si realizzerà non sarà la nostra, ma quella che è stata in tal modo disposta da sempre e cui tentiamo di resistere, come si cerca di resistere alla morte, che allo stesso modo ci porterà fuor dell'unico attimo cui siamo, qui nel presente. Citazioni in corsivo da "L'insostenibile leggerezza dell'essere" di Milan Kundera Un cordiale salutoJean
Avete dimenticato il più importante aforisma di NIETZSCHE, che in italiano suona pure in rima baciata:
"Vai con la donna? Porta la frusta! Così parlò Zaratustra!" :D :D :D
Übermensch JA, aber Überfrau NEIN!!!!
P.S. Ovviamente era uno scherzo, però, e indubbiamente un profilo di NIETZSCHE da considerare! ;)
Garbino, non so perché Heidegger non tenga conto degli accenni in GDM sul valore estetico della conoscenza e sulla sospensione che citi rispetto a Kant.
Sappiamo che la "critica del giudizio" è il terzo pilastro della conoscenza che Kant costruisce: oltre la ragion pura categorizzante dei giudizi analitici e sintetici, oltre la ragion pratica in cui il dovere si fa principio a priori che determina necessariamente il suo oggetto, appare, nella dimensione estetica, il puro sentirsi al mondo come frutto di una sospensione sia della dimensione intellettiva che morale. E questo sentirsi al mondo non può che riferirsi alla singolarità di ogni soggetto, fare appello alla sua intrinseca libertà di sentimento che scaturisce da una sospensione logica e morale. In questo senso credo che il bello rivelandosi sia davvero felicità, non solo promessa, o, se appare come promessa, in questa promessa si è felici, la promessa anticipa nel suo presente accadere ciò che promette, attua quanto prelude.
Ma se per Kant, la conoscenza estetica che ha tutte le caratteristiche della fenomenologia, è retta solo da un giudizio riflettente (che riflette il mondo), sia per Nietzsche che per Heidegger tende a porsi alle origini della conoscenza stessa aderendo per il primo alla Volontà, alla vita stessa intesa come composizione di apollineo e dionisiaco, mentre, per il secondo, rendendo, nel linguaggio poetico, il manifestarsi dell'Essere nell'Ente: la musica e la poesia, Wagner (finché durò) e Holderling come i rispettivi rivelatori.
In fondo credo che in questo senso "La nascita della tragedia" resti ancora il testo di riferimento di base per Nietzsche e sarebbe interessante ricercarne il tema per come si andò dionisicamente modulando nelle sue opere successive.
In entrambi però mi pare che proprio il tema estetico preannunci la fine della filosofia, di quella filosofia che ha segnato l'inizio della cultura occidentale e il cui compimento si attua per il primo con l'eterno ritorno, per il secondo con la visione tecnico scientifica del mondo.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
X Maral
Ti ringrazio per la precisazione e penso di aver capito l' errore di Kant a cui alludeva Nietzsche. Ma ha poca importanza. Rimane il fatto che Heidegger non prende in considerazione GDM per l' argomento e che sostanzialmente: o è veramente convinto che Nietzsche fraintenda Kant ( insieme a Schopenhauer ) o mente. Infatti ritengo che sia impossibile che non conoscesse molto bene Genealogia della Morale. E tutto ciò mi porta a considerare che Heidegger decida questa linea di comportamento per avere la possibilità, per quanto riguarda l' arte, di risalire a Platone, e riuscire così nel suo intento di far permanere Nietzsche nell' ottica della filosofia Metafisica tradizionale. E' l'unica spiegazione possibile, sempre a mio avviso. Ma sulla trattazione di Heidegger tornerò nel prossimo post, dal momento che non ho ancora terminato la lettura di La Volontà di Potenza Come Arte, anche se sono a buon punto.
Per quanto riguarda Nietzsche sono fondamentalmente d' accordo su tutto il resto. Sappiamo benissimo infatti il ruolo di Wagner nella sua vita e di Holderlin ne parla sempre bene. Anzi ricordo che lo cita come 'divino', il divino Holderlin, e se non erro nell' Inattuale di Strauss. Come del resto sono anche d' accordo sull' argomento trattato in Nascita della Tragedia, quell' Apollineo e Dionisiaco, di cui abbiamo già parlato e su cui, se ricordi e sempre a mio avviso, regna una certa incomprensione e o volontà di mistificazione. Su Heidegger non mi pronuncio perché non conosco i testi a cui ti riferisci, anche se sul suo tormento provocato da Nietzsche incomincio ad avere qualche barlume. Ma è ancora troppo presto. Grazie di nuovo.
X Eutidemo.
La questione femminile.
Sono pienamente d' accordo che per molti versi in Nietzsche ritroviamo parecchi riferimenti alla donna, al femmineo e al femminino; e che quasi costantemente il suo giudizio sia negativo. Ma il punto non è tanto se avesse ragione o meno, il punto, anzi i punti da prendere in considerazione sono altri.
Il primo è che Nietzsche a parte qualche piccola eccezione parla male di tutti. Che la sua frase più forte è che l' errore in cui si è incorso è quello di sbagliare come umanità. Sbagliare come umanità significa che si salva poco o nulla della Storia dell' uomo.
Il secondo è che mi sembra abbastanza ipocrita che ciò che è concesso a tutti gli altri filosofi in Nietzsche diventi motivo di problemi. Non dimentichiamo che lo stesso Schopenhauer definì la donna come strumento del diavolo.
Il terzo è che molte delle frasi di Nietzsche sulle donne sono prese da diverse culture, dove non esprimono un' opinione ma un modo di vivere, un modo di intendere il ruolo della donna nella vita sociale.
Il quarto è la demagogia che il nostro tempo usa proprio nei confronti della donna e non solo per prendere candidamente in giro noi e soprattutto la donna, ma proprio per nascondere qualcos' altro: i più basssi interessi commerciali di sfruttamento.
Ma leggiamola la Storia con un minimo di buon senso!!! Negli Stati Uniti ha avuto luogo una guerra paurosa per la schiavitù dei negri ma ancora oggi il ruolo dei negri è quello che è. Si fanno guerre e si invadono paesi per portarvi, a detta loro, la democrazia, come se la democrazia fosse un sistema esportabile. Ma siamo pazzi???!!! Non è la democrazia che si vuole esportare e che comunque non è esportabile, l' unica cosa che si vuole esportare è il proprio potere e i propri interessi. Per altro determinando quassi sempre situazioni peggiori delle precedenti.
E non è forse vero che la donna finisce quasi sempre per fare la schiava sia sul lavoro che a casa? Non è forse vero? E non è la vittima designata di violenze inusitate e che spesso le viene sottratta anche la vita???
Caro Eutidemo ti ringrazio infinitamente di aver suggerito quello che tu hai citato come scherzo, ma che si riflette su una faccenda molto seria e che riguarda direttamente il ruolo e la situazione femminile nel mondo. Una situazione che ritengo estremamente tragica.
Grazie per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Anche se può sembrare che si sia lontani dall' affrontare l' argomento enunciato dal titolo, posso garantirvi che così non è. A parte i vari punti dell' opera in cui Nietzsche esprime direttamente la necessità di salvaguardare ciò che con il Nichilismo è impossibile, e cioè lo stesso futuro, e che mi sembra di aver costantemente segnalato, la filosofia di Nietzsche ha come punto di riferimento principale proprio quello di svegliare un' umanità in crisi proprio a causa del Nichilismo. Un' operazione che tende a far sì che un futuro sia possibile. D' altronde se alziamo gli occhi e ci guardiamo attorno e riflettiamo sui nostri tempi e su tutto il secolo XX, c' è poco da stare allegri. I segnali dell' autolesionismo e dell' autodistruzione sono così evidenti che non riesco a comprendere le tante voci ottimistiche, e soprattutto l' ottimismo in particolare su ciò che ci attende. Ma questo è un altro discorso. E perciò passo oltre.
Tornando ad Heidegger e al suo Nietzsche, ho completato la lettura di La volontà di potenza come arte e sostanzialmente, pur avendo le idee molto più chiare, esse non si discostano di molto dall' inquadratura che ne avevo fatto l' altra volta, e mi riferisco alla scorsa discussione sul precedente forum.
Adesso però sono in grado di segnalare a grandi linee, perché come ho già espresso altrove non ho alcuna intenzione di entrare in un sunto un po' più corposo, il cammino di Heidegger in questo delicato argomento e passo subito ad illustrarlo.
Heidegger pone cinque ( 5 ) tesi fondamentali sull' arte per individuare ciò che Nietzsche intende, se è accettabile e se comunque il suo percorso si distacca dalla Metafisica tradizionale. Nel rispondere a tali domande arriva ad identificare come argomento necessario di disvelamento il contesto dell' arte in Platone, asserendo appunto che avendo frainteso Kant era necessario risalire proprio a ciò che Platone afferma sull' arte ne La Repubblica, mi sembra anche se non vado a controllare perché il contesto è molto noto.
E per chi abbia trovato difficile tutto il ragionamento di Platone sull' arte, consiglio di procurarsi l' opera perché è veramente geniale e molto più facile da capire che non l' originale, su cui mi ricordo perdetti diverse ore se non giorni per seguire il ragionamento di Socrate.
Comunque il punto determinante sono le tre caratteristiche fondamentali dell' arte in merito al loro contenere il massimo dell' idea che rappresentano. E sono: quella del Demiurgo che copia dal Mondo delle Idee, quella dell' artigiano che crea un tavolo e quella del pittore. Non bisogna dimenticare infatti che in Grecia anche l' artigiano era considerato un' artista.
Naturalmente è palese che per Platone l' importanza, il valore artistico principale risiede nel primo e tende a scendere e di molto nel secondo e scompare quasi nel terzo perché dell' idea ne può mostrare soltanto un aspetto prospettico e non la sua totalità. Il dove in pratica risiede il valore dell' arte e cioè il trasfigurare e il risvegliare il nostro interesse in Platone è completamente rovesciato. E a questo punto è anche chiaro che Nietzsche non ha frainteso per niente Kant, come ci aveva detto all' inizio ma lo ha compreso fin troppo bene. E Heidegger lo sa.
Il riferimento cardine comunque era una certa discrepanza presente in Nietzsche tra verità e bellezza e Heidegger pur facendo tutto questo discorso sull' arte alla fine è costretto ad ammettere che ciò che troviamo in Crepuscolo degli Idoli (e cioè: Come il Mondo Vero finì per diventare una favola. Storia di un errore.) non sia un rovesciamento ma un annullamento di entrambe. Sparendo il mondo vero cioè sparisce anche l' altro. E cioè che il nostro non è il Mondo Apparente ma l' unico mondo.
Ed allora la discrepanza tra l' arte e la verità in Nietzsche risiede appunto nel fatto che la verità a cui tradizionalmente si fa riferimento deve essere un errore. La forza dell' arte infatti è quella di trasfigurare e la sua verità non può avere nulla a che vedere con la verità tradizionale.
Questo argomento viene ripreso più profondamente nel saggio La volontà di potenza come conoscenza, che attualmente sto leggendo. E non mancherò di esporre, sempre succintamente, ciò che Heidegger ci racconta del pensiero di Nietzsche. Argomento che ho già accennato nella discussione: Cos' è l' uomo, aperta da Maral.
Grazie per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Bene ho completato la lettura del saggio ricavato dal seminario tenuto da Heidegger: La volontà di potenza come conoscenza. Nell' attesa che me lo richiedano e che mi consegnino la versione integrale degli scritti inediti curata da Gast e la sorella, apro questa parentesi che spero possa giungere gradita. Non senza aver rilevato nel frattempo che Einstein avrebbe affermato che la Fisica è capace di far volare asini, mentre a me risultava che lui fosse il primo ad aver sollecitato l' attenzione sul fatto che le sue fossero solo teorie, e su cui era necessario essere molto prudenti. C' è chi confonde un' interpretazione con la verità, per non parlare della fede nella Scienza o la Medicina, che dimostra ampiamente che quanto affermato da Nietzsche in Genealogia della Morale sia alquanto attuale. La Scienza moderna, come la Religione, ha bisogno di fede, e se vanno combattute vanno combattute assieme.
Un' ultima divagazione, se mi è concesso, riguarda il fatto se qualcuno avesse dubbi su quale fosse la matrice, o per meglio dire quali fossero i reali mandanti del terrorismo internazionale. Sono abili, riescono sempre a cammuffarsi, ma chi ci guadagna, e mi riferisco alla situazione in Francia, caso strano sono sempre gli stessi (Le Pen).
X Maral
Continuo ad avere alcuni problemi con l' ontologia, perciò ti chiederei di spiegarmi cortesemente con la tua proverbiale chiarezza cosa è l' essere e cosa l' ente nella Metafisica classica e la differenza sostanziale con ciò che afferma Heidegger, che troppo spesso parla di ente nel suo insieme. E questo perché anche se penso di averne un' idea concettuale, essa è sicuramente limitata dalla mia interpretazione del mondo, in cui non ne trovo traccia.
Ma tornando ad Heidegger ed al saggio, egli segue il pensiero di Nietzsche attribuendo alla Volontà di potenza di poter determinare grazie all' arte una conoscenza del mondo differente da quella classica legata alla logica e alla Matematica, arrivando a contestare il principio di non contraddizione di Aristotele, che Nietzsche definisce, insieme a tutto il resto, come una necessità del vivente ( l' uomo ) per poter mettere ordine nel caos che lo circonda. Sul pnc tornerò più avanti.
Naturalmente continua ad infarcire il ragionamento con l' argomento dell' appartenenza di Nietzsche alla Metafisica Classica, e si impegna in un ultimo sforzo rifacendosi al legame della Giustizia ( intesa in senso greco ) con la volontà di potenza, in base ad un aforisma che i curatori avevano inserito nel Nietzsche politico e che lui ritiene invece riferirsi alla Metafisica. A mio avviso l' operazione non gli riesce perché l' aforisma parla anche di una capacità di guardarsi intorno della Giustizia che mi sembra molto poco nicciano se riferito alla volontà di potenza.
Inoltre nella parte finale è costretto ad ammettere il riferimento di Nietzsche ad un interpretazione di carattere biologico anche se continua a ravvedere, e in questo concordo, un, non dico profondo, ma rilevante aspetto metafisico.
Ma, a mio avviso, la testimonianza più rilevante che Nietzsche metta la parola fine alla Metafisica Classica è in un aforisma che Heidegger reputa importantissimo e che risale al 1888 e perciò uno degli ultimi:
-Ricapitolazione:
-Imprimere al divenire il carattere dell' essere - è questa la suprema volontà di potenza
Sempre a mio avviso, qui non ci possono essere dubbi, a discapito dell' argomentazione successiva che fa Heidegger, reinserendo l' argomento Giustizia. E non possono esservi perché il divenire a cui viene impresso il carattere dell' essere può significare che soltanto ciò che diviene è.
Per quanto riguarda invece il principio di non contraddizione, anche se accettiamo l' ipotesi di Nietzsche sulla necessità che esso sia ritenuto vero, ciò non inficia, ed adesso, Maral, capisco quello che tu intendevi, la sua caratteristica logica, anche se non riesco a determinare in quale quadro collocarlo, e su cui perciò dovrò ancora ragionare sopra. Se si può dire è ancora ad uno stato intuitivo, e non appena giungerò ad una opinione non mancherò di riferire. E la sua caratteristica logica non cade anche se l' essere viene inteso come ciò che diviene, poiché pur mutando è logico comunque continuare a considerare che l' essere non possa essere e non essere nello stesso momento.
Questo è un argomento del tutto nuovo per me, dato che su Aristotele avevo concentrato soprattutto l' attenzione sulla parte dell' Organon relativa al sillogismo, e perciò passibile, più di molti altri, di riconsiderazioni e cambiamenti. E chi volesse contribuire ha tutta la mia gratitudine.
A questo punto chiudo poiché se lo continuo a rileggere non ne sarò mai soddisfatto. Grazie per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Mi intrometto "in punta di piedi" in questo interessante topic che l'amico Garbino porta avanti con una meticolosità e attenzione così profonda che merita solo elogi...
Premetto che conosco poco e male il pensiero di Nietzsche. Conoscenza data dalla lettura veloce di alcuni suoi libri che, lo ammetto, non mi hanno entusiasmato, ma questo non è importante...
Prendo spunto da una frase estrapolata dal discorso di Garbino:
Ma, a mio avviso, la testimonianza più rilevante che Nietzsche metta la parola fine alla Metafisica Classica è in un aforisma che Heidegger reputa importantissimo e che risale al 1888 e perciò uno degli ultimi:
-Ricapitolazione:
-Imprimere al divenire il carattere dell' essere - è questa la suprema volontà di potenza
Sempre a mio avviso, qui non ci possono essere dubbi, a discapito dell' argomentazione successiva che fa Heidegger, reinserendo l' argomento Giustizia. E non possono esservi perché il divenire a cui viene impresso il carattere dell' essere può significare che soltanto ciò che diviene è.
Ora, nella mia ignoranza della filosofia occidentale, avevo sempre pensato che la metafisica di questa parte del mondo avesse messo, da sempre, l'essere al centro della sua riflessione. Perché allora si sostiene che Nietzsche abbia messo fine a questo fulcro di riflessione quando, mi sembra, sia proprio la teorizzata volontà di potenza che vuole imprimere sul divenire questo marchio ( dell'essere) ?
A prima vista sembrerebbe l'apoteosi dell'essere. Oppure ho frainteso lo scritto?
Caro Garbino, se hai tempo e voglia di rispondere alla domanda...giusto per "illuminare" ( non so se è il caso di usare questo termine visto gli "illuminati" che circolano per il forum... :) ) un angolo buio del mio conoscere.
Ciao
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
X Sariputra
Avrei anche potuto non rispondere, perché mi auguro che l' atteso intervento di Maral in relazione alla mia domanda sull' essere si rivelerà molto più illuminante di qualsiasi mia spiegazione. Ma non potevo esimermi dal risponderti anche per ringraziarti per i complimenti su questo topic che sinceramente mi ha impegnato e continua ad impegnarmi molto.
Da quello che mi risulta, è vero che la Metafisica classica si basa esclusivamente sullo studio dell' essere e dell' ente, ma lo ritiene non soggetto al divenire. L' essere è proprio perché non diviene. La mia ignoranza è piuttosto rivolta all' ente la cui identità mi sfugge se non è inteso come ciò che appare. Ma penso che Maral saprà chiarire anche questo.
Inoltre, se ciò che diviene è, non può che essere identificabile con la fisicità e perciò l' essere dalla Metafisica si ritroverebbe nel mondo fisico, soggetto a tutte le leggi fisiche, con tutte le conseguenze che ne derivano. Ma se questo ragionamento è valido la Metafisica non esiste più e perciò è chiaro che Nietzsche ne ha decretato la fine. Spero di non aver detto castronate ma se così è spero che qualcuno mi critichi e mi corregga.
Grazie di nuovo per i complimenti.
Garbino Vento di Tempesta.
CitazionePerché allora si sostiene che Nietzsche abbia messo fine a questo fulcro di riflessione quando, mi sembra, sia proprio la teorizzata volontà di potenza che vuole imprimere sul divenire questo marchio (dell'essere) ?
Di mio leggo più che altro in Nietzsche il tentativo di fondere essere/divenire, dando luogo a un "terzo" che nell'ottica di una metafisica classicamente intesa ( ma non solo per essa :) ) desta qualche problemino. (Non ho resistito a punteggiare un piede anche io.=.=)
CitazioneContinuo ad avere alcuni problemi con l' ontologia, perciò ti chiederei di spiegarmi cortesemente con la tua proverbiale chiarezza cosa è l' essere e cosa l' ente nella Metafisica classica e la differenza sostanziale con ciò che afferma Heidegger, che troppo spesso parla di ente nel suo insieme. E questo perché anche se penso di averne un' idea concettuale, essa è sicuramente limitata dalla mia interpretazione del mondo, in cui non ne trovo traccia.
Ti ringrazio Garbino per la stima che ritengo immeritata (non sono che un dilettante, per quanto appassionato, della filosofia e solo tento, per quanto mi è possibile, di vederci un po' più chiaro brancolando a tastoni). Quello che posso dirti molto sommariamente, per quello che ricordo, è che nella metafisica classica non mi pare ci sia una distinzione evidente tra Essere ed Ente. Per Parmenide l'Essere è l'unico ente reale (ingenerato, imperituro, intero nel suo insieme, immobile e senza fine che né era, né sarà, perché è ora insieme tutto quanto, uno, continuo, limitato come una sfera perfetta). Platone vede invece l'Essere come l'ente puramente intellegibile ed eterno (il mondo delle Idee) e lo contrappone agli enti sensibili. Per Aristotele l'Essere è l'essere in potenza dell'ente, privo dei predicati con cui lo si descrive in atto, per il Tomismo l'Essere viene a coincidere con il supremo Ente creatore.
Colui che invece pone la differenza ontologica (la differenza radicale e insopprimibile tra Essere ed Ente) è proprio Heidegger, che accusa la metafisica, a partire da Platone, di aver dimenticato l'Essere per confonderlo con gli enti e in questo oblio della questione dell'Essere il filosofo della Selva Nera legge il motivo del tramonto del pensiero dell'Occidente, come effetto della sua metafisica sempre più dimentica dell'Essere. Per Heidegger (in "Essere e tempo") l'Essere è l'orizzonte nel cui ritrarsi si danno gli enti. L'Esserci (Da-sein) è quell'ente che solo si pone la questione metafisicamente obliata dell'Essere e il Da-sein per Heidegger è l'uomo. E' dunque solo a partire dall'esserci dell'uomo che si può fare chiarezza sull'Essere, quanto di più oscuro, ma anche quanto a noi di più prossimo ed è nella dimensione del tempo del vissuto umano, nel suo esserci per la morte, che andrà cercato l'Essere (progetto che poi, come sappiamo, verrà da Heidegger abbandonato).
Come dici, Heidegger vede in Nietzsche colui che porta al suo compimento la metafisica classica, aprendo le porte al mondo della tecnica. L'Ente, privo della differenza dall'Essere finisce allora con il diventare una pura parvenza diveniente che ripete incessantemente se stessa. E in questo credo ci si possa sentire risuonare il frammento di Anassimandro, quel continuo affiorare e tornare all'indistinto degli enti che l'un l'altro si rendono giustizia reciprocamente annientandosi l'un l'altro, secondo necessità. Questa necessità di annientamento non è altro allora che l'eterno divenire degli enti uscenti dal nulla e rientranti nel nulla.
alcune precisazioni varie ed eventuali
cit eutidemo
"Avete dimenticato il più importante aforisma di NIETZSCHE, che in italiano suona pure in rima baciata:
"Vai con la donna? Porta la frusta! Così parlò Zaratustra!" :D :D :D
Übermensch JA, aber Überfrau NEIN!!!!
!
P.S. Ovviamente era uno scherzo, però, e indubbiamente un profilo di NIETZSCHE da considerare"
Ma a dirlo non è zaratustra, è la vecchia signora...lui invece si limitia a dire che l'unico obiettivo delle donne è la gravidanza.
lol
A mio parere l'esperienza con la LOU l'ha sconvolto in maniera ben più che evidente, portandolo a delirare di chissà quali virtù.
Quando la LOU "preferì la casa, all'avventura", per usare una metafora, lui ci rimase talmente male, che cominciò a dirne male.
Comportamento infantile che ha ripetuto con Cosima e con Wagner.
Ciò non toglie la grandezza dei suoi deliri iniziali, e la tristezza delle sue umorali ritorsioni.
Dove trovarne traccia? negli epistolari...tanto grande negli scritti, quanto patetico nelle epistole. Leggere per credere.
E ammetto che mi ero allonata da lui nei miei vent'anni per via di questa sua angustia visione sul femminile.
Anche ora che lo ritengo un Maestro, so benissimo che su quel lato non ha nulla, ma proprio nulla da insegnarci.
cit garbino
"Un' ultima divagazione, se mi è concesso, riguarda il fatto se qualcuno avesse dubbi su quale fosse la matrice, o per meglio dire quali fossero i reali mandanti del terrorismo internazionale. Sono abili, riescono sempre a cammuffarsi, ma chi ci guadagna, e mi riferisco alla situazione in Francia, caso strano sono sempre gli stessi (Le Pen)."
No non ti è concessa ;D . Infatti è proprio il contrario. In olanda stava per vincere la destra nazionalista...scontro diplomatico con la turchia, la gente si caga addosso e vota la sinistra che vota europa, perchè si sente più sicura se ci sono anche gli altri dentro.
Idem in Francia, è stato Macron a prendere più voti del previsto, e non la Le Pen...chissà perchè (perchè la gente si caga addosso).
cit garbino
"E non possono esservi perché il divenire a cui viene impresso il carattere dell' essere può significare che soltanto ciò che diviene è."
Se diviene allora esce dal nulla per tornare al nulla direbbe severino.
Se fosse esistente allora non avrebbe divenire.
cit garbino
"E la sua caratteristica logica non cade anche se l' essere viene inteso come ciò che diviene, poiché pur mutando è logico comunque continuare a considerare che l' essere non possa essere e non essere nello stesso momento."
Certo è così sono le modalità dell'ente a cambiare non l'essere. In aristotele vi è il sostrato (l'essere) che garantisce (l'esistenza del) la materia che diviene ente (tramite la forma).
Heidegger che studia e ricalca Aristotele in tutto, fa combaciare l'essere con il sostrato e l'ente (con il binomio materia-forma).
In Heideger la critica alla metafisica è relativa alle caratteristiche (modalità) dell'ente. In particola modo egli fa notare come il carattere di esistente, sia andato man mano dimenticato, in favore degli altri attributi (delle altre forme "colore" "moto" "quantità" "stare in piedi" etc....).
Il carattere di esistente (dasein) è quindi riferito all'ente e non all'essere (l'esistere).
In italiana pietro chidi ha deciso di tradurre (molto liberamente) con essere qui, ma in italiano essere vuol dire sia esistente che essere, dando adito ad una miriade di fraintendimenti.
Avrebbe dovuto scivere esistente-ci, e non esser-ci, per farvi capire meglio.
saripurtra
"Ora, nella mia ignoranza della filosofia occidentale, avevo sempre pensato che la metafisica di questa parte del mondo avesse messo, da sempre, l'essere al centro della sua riflessione. Perché allora si sostiene che Nietzsche abbia messo fine a questo fulcro di riflessione quando, mi sembra, sia proprio la teorizzata volontà di potenza che vuole imprimere sul divenire questo marchio ( dell'essere) ?
A prima vista sembrerebbe l'apoteosi dell'essere. Oppure ho frainteso lo scritto?"
No hai capito benissimo, infatti per heidegger nietzche è l'ultimo dei metafisici, è garbino che crede che sia un antimetafisico.
cit garbino
"Inoltre, se ciò che diviene è, non può che essere identificabile con la fisicità e perciò l' essere dalla Metafisica si ritroverebbe nel mondo fisico, soggetto a tutte le leggi fisiche, con tutte le conseguenze che ne derivano. Ma se questo ragionamento è valido la Metafisica non esiste più e perciò è chiaro che Nietzsche ne ha decretato la fine. Spero di non aver detto castronate ma se così è spero che qualcuno mi critichi e mi corregga."
Stai facendo l'errore di supporre che l'ente e l'essere siano la stessa cosa, è dovuto probabilmente, come ho scritto sopra, al fatto che per noi italiani quelle 2 parole siano la stessa cosa.
Bisogna invece ragionare aristotelicamente tra sostrato (che coincide con il BENE Platonico, ossia l'essere in sè) e materia(forma).
Ovvero il carattere dell'esistenza nostra è un attributo dell'essere che ci sovrasta.
Per capire meglio perchè Heidegger ritenga Nietzche l'ultimo metafisico, bisogna riferirsi al carattere greco della questione.
Per i greci ciò che esiste è bene e ciò che non esiste è male.
Ha intuito molto bene sariputra, perchè in nietzche il divenire non ha mai un carattere negativo, anzi ha un valore positivo.
Il fatto è che nietzche a detta di Heidegger non si concentra sul rapporto con l'essere. ma su quello dell'ente.
La volontà di potenza si applicherebbe, se deduco bene (non l'ho letto il nietzche di heidegger) sull'ente.
E questo sarebbe l'essere metafisico di nietzche. (e in fin dei conti ha ragione).
(d'altronde nietzche è un metafisico!! anche l'affermazione dio è morto, fa notare un Cacciari intenderebbe dire che prima DIO era vivo, e dunque esisteva).
Ma essendone influenzato, e trasponendo le idee nicciane nel sistema aristotelico, allora se ciò che diviene è l'essere stesso, allora il NULLA è, e non l'Essere.
Si tratta del famoso paradosso che Severino ritiene la follia dell'occidente.
In realtà Severino ritiene che Heidegger sia ondivago, non si riesce a capire fino a che punto accetti che il nulla sia dell'essere.
A mio parere il nulla per Heidegger, è invece negli enti, non lascerà mai la sua intuizione fondamentale Di un essere positivo.
(e infatti molti sostengono che anche Heidegger sia un metafisico, me compreso).
cit lou
"Di mio leggo più che altro in Nietzsche il tentativo di fondere essere/divenire, dando luogo a un "terzo" che nell'ottica di una metafisica classicamente intesa ( ma non solo per essa :) ) desta qualche problemino. "
Anche a mio avviso Nietzche non è poi così interessato ad una metafisica, men che meno classica. Se poi si inventa termini come volontà di potenza ed eterno ritorni, facilmente fraintendibili, direi che qualcosina in più di qualche problemino lo alzi.
cit maral
"Colui che invece pone la differenza ontologica (la differenza radicale e insopprimibile tra Essere ed Ente) è proprio Heidegger, che accusa la metafisica, a partire da Platone, di aver dimenticato l'Essere per confonderlo con gli enti e in questo oblio della questione dell'Essere il filosofo della Selva Nera legge il motivo del tramonto del pensiero dell'Occidente, come effetto della sua metafisica sempre più dimentica dell'Essere. "
Oddio maral, è la prima volta che ti vedo fare un errore da matita rossa ;D . (probailmente perchè non c'è una distinzione precisa dei concetti, più che altro ;) :) )
Come hai detto anche tu i greci distinguevano benissimo tra essere ed ente. Quindi non può essere che Heidegger li criticasse per quello.
Critica invece la tradizione metafisica che a partire dai greci, sposta l'attenzione agli enti, dimenticando la questione dell'essere.
Il povero Platone del Bene qualcosina aveva pur scritto! ;D
precisazioni sulla malattia di Nietzche
Cit Garbinio.
"sintomi che descrive mi fanno appunto vertere su questa ipotesi.
Non so se il mio caro Green Demetr si riferisse a ciò quando ha parlato di malattia di Nietzsche e del fatto che lo avesse detto. Quello che mi sembra è che ne parli in un modo che poco si attiene a quanto affermato da Nietzsche stesso in Ecce Homo."
Quando parlo della malattia di Nietzhche intendo quella diagnosticata dallo psichiatra binswanger ossia di psicosi maniaco-depressiva.
Ho appena letto comunque, visto che stiamo scendendo nel ridicolo (allergia da polline) il quadro più credibile a livello
eziologico-patologico.
http://www.leonardsax.com/Nietzsche.pdf
tradotto sintetizzato qui http://neuronerding.blogspot.it/2011/06/la-malattia-di-nietzsche.html.
Dunque finora ho sempre sbagliato a parlare di sifilide. Faccio ammenda. (anche se potrebbe essere un caso di sifilide raro, con lunga protrazione).
Ma questo non cambia niente a livello di lettura degli scritti. Infatti io detesto profondamente la psichiatria, e commuto il quadro psicotico invece in quello psicanalitico (d'altronde la psicanalisi l'ha invetata nietzche, vedi "Sproni" di Derrida.)
Ossia Nietzche era dentro il discorso paranoico.
Ne ho la certezza, anche documentabile con il semplice UTU, ne era consapevole. Il nichilismo d'altronde a mio parere è identificabile con la paranoia stessa. Nietzche indica le maniere di uscita da quello, pur consapevole che lui sarebbe stato la sua vittima più illustre.
La psicosi è a mio parere la causa (non patologica a questo punto) principale della paralisi progressiva. Ma è solo una mia considerazione, che non cambia niente rispetto alla filosofia di Nietzche, che è invece la LOTTA per eccellenza alla malattia del nostro secolo (e di quello precedente). (malattia in senso psicanalitico, e quindi discorso, non malattia).
Prenditela con Heidegger, Green, è lui che afferma che è proprio la metafisica da Platone in poi che assimila l'Essere all'Ente compromettendo la differenza ontologica che il filosofo tedesco vuole recuperare (anche se Platone distingue tra gli enti, ma sempre enti restano, anche quelli speciali o privilegiati, come direbbe Severino, come le Idee, Idea del Bene compresa). Heidegger pensa inoltre che anche l'essere dell'ente è un ente.
Citazione di: maral il 28 Aprile 2017, 12:24:56 PM
Prenditela con Heidegger, Green, è lui che afferma che è proprio la metafisica da Platone in poi che assimila l'Essere all'Ente compromettendo la differenza ontologica che il filosofo tedesco vuole recuperare (anche se Platone distingue tra gli enti, ma sempre enti restano, anche quelli speciali o privilegiati, come direbbe Severino, come le Idee, Idea del Bene compresa). Heidegger pensa inoltre che anche l'essere dell'ente è un ente.
Mi giunge nuova, hai dei riferimenti generici o precisi (meglio)?
Al massimo potrebbe essere l'esistente dell'ente visto come un ente, non l'essere.
L'idea del Bene in Platone è l'idea del Bene che viene prima del bene, come scritto nel mito della caverna.
(cif il sole che viene prima del sole)
Noi intendiamo e suppongo anche Severino (strano però se fosse) al Bene come secondario.
Un Bene cattolico-cristiano ovviamente. (in quel caso non faccio fatica a considerarlo un ente.)
@green
CitazioneAnche a mio avviso Nietzche non è poi così interessato ad una metafisica, men che meno classica. Se poi si inventa termini come volontà di potenza ed eterno ritorni, facilmente fraintendibili, direi che qualcosina in più di qualche problemino lo alzi.
Forse dipende dalle fasi del suo pensiero, a mio parere l'ultimo Nietzsche (a differenza del primo ancora legatissimo a una metafisica dell'artista di ascendendenza shopenuariana) è una implosione che destruttura la metafisica dell'essere, nessuno come Nietzsche (forse Spinoza?) credo abbia inferto un colpo alla staticità immutabile dell'essere facendone pura potenza, ma mio malgrado, devo ammettere che con Nietzsche mi è sempre parso di trovarmi di fronte a un pensiero "borderline" ( chiedo venia per il termine ).
Citazione di: green demetr il 28 Aprile 2017, 13:50:33 PM
Mi giunge nuova, hai dei riferimenti generici o precisi (meglio)?
https://www.youtube.com/watch?v=3iNLRqoPXtEhttps://www.youtube.com/watch?v=NGi-Wvc2g5EAggiungo anche questa intervista a Volpi (uno dei maggiori studiosi e traduttori di Heidegger)
https://www.youtube.com/watch?v=GKw5n5Fa5kEMolto interessante soprattutto per quello che riguarda il ruolo che Heidegger affibbia a Platone come iniziatore della metafisica e quindi della decadenza del pensiero dell'Occidente che culminerà con la tecnica a causa dell'oblio dell'Essere nell'ente.
Suggerisco sia a te che a Garbino (per meglio chiarire i suoi dubbi, senz'altro meglio di quanto potrei fare io), di visionare anche le parti nel video relative alla posizione di Heidegger relativamente ad Aristotele, ai presocratici (ove H. ravvisa una sorta di unione che sottende il pensiero di Eraclito e quello di Parmenide intesi come due aspetti del manifestarsi dell'Essere) e a "la storia della metafisica" che per Heidegger esprime la preistoria della tecnica moderna.
Citazione di: green demetr il 29 Aprile 2017, 07:24:21 AM
Vado di fretta, solo un appunto (l'intervista a Volpi l'avrò vista un centinaio di volte, tanto è geniale): il titolo del video di Fusaro è che "l'essere dell'ente non è un ente."
E invece tu scrivevi il contrario (era questo che non mi tornava)
cit maral
"Heidegger pensa inoltre che anche l'essere dell'ente è un ente."
Suppongo sia stato un refuso.
Sì, scusa era un refuso di cui non mi ero accorto.
Mi sembra comunque evidente che Heidegger imputa alla filosofia greca, cominciando proprio da Platone, il peccato originale di avere preso a considerare l'essere come ente. Poi ovviamente su questa lettura di Platone da parte di H. si può essere o meno d'accordo, lo stesso Volpi nell'intervista si mostra critico in merito.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Cari amici, vi ringrazio per i vostri post e mi accingo a rispondere. Per ultimo lascerò il caro e monello Green Demetr, a cui penso che dovrò dedicare un post a parte data la numerosità delle sue critiche, a cui questa volta risponderò in modo esauriente a tutte.
Come prima cosa volevo scusarmi ed effettuare una piccola correzione sulla confutazione di Aristotele su quanto da lui dimostrato sulla giacenza dell' infinito nel campo finito. Infatti lui parla di due rette parallele e non di una retta sola, naturalmente infinite. E lui afferma che facendo ruotare l' una viene ad intersecare l' altra in un punto finito. In pratica la confutazione si basa sullo stesso principio. Una retta infinita, se la si fa ruotare non lascia mai l' infinito. Nel momento in cui Aristotele decide che la retta ruotando lascia l' infinito commette un falso matematico. Anche perché già facendole lasciare l' infinito, pone automaticamente l' infinito nel campo finito prima ancora che intersechi l' altra retta.
Altra correzione necessaria riguarda la malattia di Nietzsche, su cui Green mi ha fornito un link su cui concordo in gran parte. La mia interpretazione ( allergia da polline ) si basava su un errore mnemonico sulle crisi di vomito di cui Nietzsche parla in Ecce Homo, e che io non ricordavo come vomito. E ho detto in gran parte perché qualche dubbio ancora ce l' ho. E il dubbio riguarda le condizioni comunque di gran lucidità che caratterizzano i periodi di grande malessere descritte da Nietzsche. E il fatto che lui stesso sempre in Ecce Homo afferma che si guarì. Al di là di tutto ci rimane comunque un enorme attività letteraria che ritengo essere molto più importante di qualsiasi stato che abbia afflitto Nietzsche in ogni periodo della sua vita.
X Lou
Ti ringrazio per questa ipotesi sul terzo soggetto ( essere/ divenire ) che mi dà la possibilità di riportare una riflessione che avevo dato per scontata ma che così non è. E questo anche per motivi di spazio. Infatti cerco sempre di essere molto sintetico per non rendere la lettura dei post troppo problematica per coloro che non sopportano la prolissità.
Io sarei d' accordo con te se Nietzsche avesse invertito i due soggetti ( essere e divenire ) nel suo aforisma. Mentre invece l' imprimere al divenire il carattere dell' essere, a mio avviso, significa che è l' essere che lascia la Metafisica per posizionarsi nel mondo fisico. L' essere in pratica si identificherebbe con ogni forma vitale che diviene. Se fosse stato cioè imprimere all' essere il carattere del divenire allora sarebbe stato il divenire a traslarsi nella Metafisica e ciò avrebbe potuto far pensare ad un terzo soggetto. Spero di essermi spiegato bene. Comunque siamo sempre a disposizione per eventuali contro argomentazioni.
X Maral
Ti ringrazio infinitamente per le tue argomentazioni sull' essere e sull' ente e posso tranquillamente affermare che mi rimangono totalmente inarrivabili. Non riesco proprio a capire, come anche Nietzsche afferma, come sia stato possibile che i filosofi abbiano impegnato così tante energie su qualcosa di cui non si ha un' esperienza diretta e che è soltanto, sempre a mio avviso, molto probabilmente un' illusione. Comunque penso che il mio punto di vista ti sarà ancora più chiaro nella mia risposta a Green Demetr in cui e su cui sarò molto più preciso. Ti ringrazio comunque soprattutto sulla spiegazione dell' Esser-ci di Heidegger che non conoscevo. Ma c' è una cosa che proprio mi rimane difficilissimo da collocare, e riguarda l' immagine dell' essere come orizzonte che nel suo ritrarsi genera gli enti. Giuro che per me è arabo. Comunque non credo di sbagliare affermando che la tua conoscenza è invidiabile. E che la tua ostentata prudenza e sottostima si basa proprio sul fatto che è proprio la tua conoscenza che te lo impone. Sempre con stima.
Nell' ultima lettura mi sono accorto che manca almeno qualche virgola, ma faccio a meno di correggermi poiché non mi sembra che venga alterato il senso delle frasi. E il motivo è sempre lo stesso. Voglio essere preciso ma non da scadere nella pignoleria. Grazie per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
@Garbino, grazie del tuo commento.
CitazioneIo sarei d' accordo con te se Nietzsche avesse invertito i due soggetti ( essere e divenire ) nel suo aforisma. Mentre invece l' imprimere al divenire il carattere dell' essere, a mio avviso, significa che è l' essere che lascia la Metafisica per posizionarsi nel mondo fisico. L' essere in pratica si identificherebbe con ogni forma vitale che diviene. Se fosse stato cioè imprimere all' essere il carattere del divenire allora sarebbe stato il divenire a traslarsi nella Metafisica e ciò avrebbe potuto far pensare ad un terzo soggetto. Spero di essermi spiegato bene. Comunque siamo sempre a disposizione per eventuali contro argomentazioni.
Sì, capisco il tuo discorso e lo accetterei nei termini che descrivi, di pura immanenza dell'essere nel divenire, ma nell'orizzonte del pensiero nietzschiano non vedo come, una volta dissolta la metafisica di stampo trascendente si possa ancora proporre una qualche immanenza. Quello che voglio dire è venendo a mancare il corrispettivo di trascendenza, non posso più nemmeno pensare l'immanenza dell'essere, in parole povere ci si trova al di là del dualismo metafisica/fisica, trascendenza/immanenza e in ultima istanza al di là di essere/divenire, dove si produce un soggetto terzo di pura potenza trasformatrice.
(E comunque imprimere il carattere dell'essere al divenire di base non riesco a leggerlo come un traslare l'essere dalla metafisica alla fisica, ma fare del divenire l'unica permanenza che non diviene.)
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
X Lou.
Per carità si possono anche avere opinioni completamente opposte. Inoltre io non ho detto che Nietzsche non sfiori la Metafisica, ma, sempre a mio avviso, non in questo caso. La volontà di potenza e l' eterno ritorno sono la sua Metafisica, anche se intese in senso fisico, biologico. E sono le cose su cui sono estremamente critico con Nietzsche. Ma per quanto riguarda la tua affermazione ( quella che il divenire come unica permanenza che non diviene ) a mio avviso, Nietzsche la definirebbe una contradditio in adjecto. E se si riferisse soltanto al carattere del divenire come concetto sarebbe sempre poco nicciana. Ma se continuerai nella lettura di questo post, penso che la mia opinione ti sarà molto più chiara.
X Green Demetr
Non c' è che dire, risvegli tutta la potenza del mio Garbino e di ciò ti sono grato. Garbino o Libeccio, il vento che amo profondamente e che ho conosciuto a fondo nel periodo trascorso a Pescara e nei periodi di vacanza passata in vari luoghi del litorale adriatico sempre intorno a Pescara. Tanto che lo paragono al mio istinto.
A lui sono vincolati episodi incancellabili della mia vita e ancora adesso lo sento presente, se mi astraggo, come se fossi ancora lì, sulla spiaggia o sul litorale.
Mio caro Green, l' unica critica su cui concordo e su cui ti ho già ringraziato è quella sulla patologia di Nietzsche e sui ti sono molto grato. Per il resto siamo in completo disaccordo e ho come l' impressione che ci siamo sempre fraintesi. E questo senza comunque incidere sul nostro rapporto che ritengo ottimo. E lasciatimi dire che sarei poi io che non leggo bene la storia!!!??? I fatti olandesi, a mio avviso, dimostrano soltanto che loro non sono caduti nella trappola della tensione che è sempre di estrema destra. Il terrorismo senza armi ed organizzazione è impossibile, e soprattutto senza le coperture e i depistaggi che avvengono a livello interno ai servizi segreti. Se si volesse non ci sarebbe più un terrorista in tutto il mondo, mio caro Green. Ma rileggiti la Storia Italiana del periodo degli anni di piombo e come ciò ha favorito uno dei partiti più conservatori, quella Democrazia Cristiana che oggi fa sentire il suo peso con Franceschini e lo stesso Renzi. Democratici??? Proprio non credo.
E in Francia questa volta si fronteggeranno, forse per la prima volta due esponenti di destra. Ed è ovvio che vincerà Macron, ma grazie ai voti della sinistra. E comunque ricordati che solo il fatto che un esponente di estrema destra arrivi al ballottaggio, e che mi sembra che tu non prenda in considerazione, è un fatto grave. Sono soltanto sicuro che ne vedremo delle belle.
Ma torniamo alla filosofia. Avrei voluto riportare tutto l' aforisma n. 72 ( pag. 351 ) de La volontà di potenza edito dalla Newton Compton nel testo che raccoglie oltre allo stesso, Ecce Homo, Crepuscolo degli idoli e l' Anticristo. Ma è veramente troppo lungo e perciò ne riporterò i brani che a mio avviso sono più significativi: - .... un Dio che non vuole nulla: Dio è inutile, se non vuole nulla........:per fortuna una tale potenza totalizzante non c' è (- un Dio sofferente e sovrastante, un sensorio totale e assoluto spirito - sarebbe la più grande obiezione contro l' essere ). Più rigorosamente: non è possibile ammettere in generale nessun essere,-poiché in tal modo il divenire perde il proprio valore e appare persino senza senso e superfluo. Di conseguenza bisogna porsi la domanda: come sia potuta ( dovuta ) formarsi l' illusione dell' essere.
Il brano è veramente lungo e molto chiaro nel rifiuto della Metafisica classica e perciò, mio caro Green, non riesco ancora a capire perché le tue risposte partano sempre dal presupposto che sia ancora viva e che Nietzsche non ne parli così male.
Quando tu affermi che l' essere uscirebbe dal nulla e tornerebbe nel nulla come direbbe Severino, parli ancora di Metafisica e non della fisicità a cui sia Nietzsche che il sottoscritto si riferisce. O se non lo accetti per Nietzsche, accettalo almeno come il senso in cui io lo pongo. Nietzsche del resto in un altro aforisma descrive l' essere come un contenitore vuoto, un qualcosa che la Metafisica classica dà come dato e che è vuoto per Nietzsche. Vuoto, non esistente, senza alcuna connotazione se non quella di avere il nome di essere.
E sul come sia stato possibile, penso di avere la risposta. Se il sillogismo universale richiede l' insiemistica, e quello particolare le progressioni aritmetiche ( 1, 2, 4 - 3, 6, 12 ) e così via, è indubitabile, sempre a mio avviso, che Parmenide, Platone ed Aristotele abbiano usato la logica o per meglio dire i principi dell' aritmetica in Metafisica. Che cosa è l' essere: è l' uno, invariabile etc. L' essere non è nient' altro che il numero. Il numero che ha una sua valenza determinata e una invariabilità nel tempo. E se il principio di non-contraddizione rimane in piedi anche al cospetto del divenire è sempre perché ogni essere vitale, ogni organismo inteso in senso fisico è ben determinato e uguale a sé stesso, anche se poi un attimo dopo non lo sarà più. L' identità del numero è il principio cardine della logica, e che Nietzsche definisce necessaria alla vita e quindi all' uomo per non perdersi nel caos, per dare ordine al caos che lo circonda.
Perciò quando tu parli di essere e di ente come qualcosa, secondo Nietzsche commetti un errore. Ti illudi di essere nel giusto, ma per lui non esistono. Sono mera invenzione. Quindi quando tu affermi, criticandomi che io suppongo che l' essere e l' ente siano la stessa cosa travisi tutto quello che io intendo. Li interscambio unicamente perché non hanno per me alcun valore e soprattutto non esistono.
In pratica tutto il ragionamento che fai sulla Metafisica classica richiamandoti sia ad Heidegger che Severino è fuori luogo. E' fuori dai concetti che intendo argomentare e a cui mi riferisco.
E in ultimo la donna. La frase che tu citi, ti ricordo, che è estratta da un contesto in cui se ne vive il significato. Dove la donna è ritenuta veramente così e da trattare così. Ed imputare questo a Nietzsche che è nato molto dopo mi sembra di un' assurdità pazzesca. Ma Nietzsche è anche colui che riporta una delle frasi più belle sulla donna e che fa parte di un altro contesto culturale e che troverai ne L' Anticristo quando deciderai di leggerlo: Soltanto nella fanciulla si può trovare la purezza. E non è l' unico, e ciò la vuol dire lunga su ciò che Nietzsche complessivamente pensasse della donna. Ma ripeto, mi sembra assurdo che si eviti di criticare tutti gli altri filosofi per l' assoluta mancanza nella loro filosofia della donna e poi si faccia tanto baccano perché Nietzsche ne parla e di come ne parla. La tua idiosincrasia per Nietzsche è equivalente a quella dei Cristiani, dei socialisti, dei comunisti e di ogni categoria di persone su cui Nietzsche imperversa.
Ma non dimenticare la frase che ho riportato in uno dei post precedenti: L' errore in cui è incorso l' uomo è di sbagliare come umanità.
Grazie per la cortese attenzione
Garbino Vento di Tempesta.
Che Nietzsche guardi alle sue di contraddizioni a palate,ma tanto come mostrano i suoi aforismi farebbe magari spallucce, per me la sua ideona di includere il divenire nell'eterno è straordinaria. ;D
Caro Garbino, permettimi un paio di annotazioni critiche.
Penso che se si afferma che tutto è divenire (come dice Lou, se si afferma una totale immanenza diveniente) non si esca dalla metafisica, ma si faccia un'affermazione squisitamente metafisica. Questa fisica poi che si pone in luogo della metafisica bisognerebbe chiarire come vada pensata: l'esperienza fenomenologica nel suo darsi immediato? La fisica come si presenta nel linguaggio scientifico che evolve dal discorso aristotelico conservandone le fondamenta logico razionali per poter dire l'uno nei suoi molti modi? La vita espressa in termini basici, come zoè o volontà di potenza sentita come la più pura manifestazione vitale? Con il Divenire stesso?
In altre parole cos'è la fisica? Ed è chiaro che per dirlo non si potrà fare che un discorso metafisico, che riproporrà l'eterna domanda siniana: ma tu dove ti poni per fare questo discorso?
Se poi diciamo che tutto è Divenire, è chiaro che il Divenire è e come tale partecipa in modo fondamentale dell'Essere e qui mi sembra che l'osservazione di Lou sia corretta: il divenire non diviene, ma è; anzi si intende affermare che è ciò che sempre e sommamente è.
Mi ha colpito comunque che Nietzsche veda l'Essere come un contenitore vuoto. E' la stessa considerazione che fa Severino riguardo all'Essere parmenideo che non si distingue in nulla dal nulla. Severino infatti non è il filosofo dell'Essere e non dice che l'Essere esce dal nulla e torna al nulla, ma è il filosofo dell'Ente, o, sarebbe meglio dire degli Enti, ognuno dei quali si basa su un principio di identità assoluta. Sono gli enti che paiono entrare e uscire dal nulla. Ma qui rischierei di andare troppo fuori tema. Occupiamoci di Nietzsche, dei suoi concetti cardine (che io sento comunque metafisici) della Volontà di Potenza, dell'Ubermensch e dell'Eterno Ritorno, non lo si può ridurre la sua filosofia a una pura polemica anti religiosa. D'altra parte se "Un Dio che non vuole nulla è inutile", la sua inutilità non basta certo per liberarcene, anzi (e forse proprio per questo gli occorre poi aggiungere "per fortuna una tale potenza totalizzante non c'è")
L' uomo e il suo diritto al futuro.
X Maral
Le tue critiche sono sempre ben accette, perciò non ti preoccupare di pormele. Come lo sono sempre quelle costruttive, e cioè quelle che hanno lo scopo di approfondire l' argomento. Cosa che invece non appartiene a coloro che tendono a mistificare e ad ottundere con scopi diversi di e da quello di un approfondimento. Infatti ritengo che si possa instaurare un ottimo rapporto anche se si hanno opinioni diverse, come per esempio mi sono accorto soltanto adesso con Green Demetr. D' altronde le proprie opinioni dipendono sia dalla propria indole e intelligenza potenziale sia dal tipo di scelte culturali fatte nella propria vita e che spesso risentono anche dell' ambiente in cui si vive. Una diversità di opinione cioè poco c' entra con quello che Goethe chiama 'affinità elettive', e che garantiscono un rapporto intellettivo o affettivo profondo.
Lou mi perdonerà se non rispondo al suo post, ma mi sembra che abbiamo prospettive diverse e divergenti sul contesto della frase di Nietzsche e di difficile risoluzione. Comunque lo invito a seguire questa discussione e soprattutto questo post perché bene o male rispondendo a te rispondo anche a lui.
Il punto cruciale rimane, a mio avviso, la prospettiva in cui si inquadrano le argomentazioni e le affermazioni di Nietzsche e che, come ho già detto, anche per me per quanto riguarda la volontà di potenza e l' eterno ritorno rigenerano una Metafisica su cui aveva posto la parola fine. E non è un caso che sono molto critico su questa sua determinazione, proprio perché la ritengo inopportuna. Ma prima di proseguire, riporto per intero l' aforisma n. 72, visto che di spazio ne ho e così poter rispondere esaurientemente alle tue critiche.
Se il movimento del mondo avesse uno stato finale, questo dovrebbe già essere raggiunto. In realtà l' unico fatto fondamentale è che il mondo non ha nessun stato-fine; e ogni filosofia o ipotesi scientifica ( per esempio il meccanicismo ), nella quale un tale stato diventa necessario, è confutata attraverso questo unico dato di fatto..... Io cerco una concezione del mondo in cui si renda giustizia a questo stato di fatto: il divenire deve apparire giustificato in ogni attimo ( o non valutabile: il che è lo stesso ); non è assolutamente possibile che il presente sia giustificato attraverso un futuro o che il passato sia giustificato attraverso un presente. La ' necessità ' non ha la forma di una potenza totale che si proroga e domina, o di un primo motore; ancor meno necessaria per causare qualcosa di pregevole. Per questo è necessario negare una coscienza totale del divenire, un ' Dio ', per non porre l' accadere sotto il punto di vista di un essere che partecipa al sentire, al sapere, e che non vuole nulla: ' Dio ' è inutile, se non vuole nulla, e d' altra parte per esso viene posta una somma di dispiacere ed illogicità, che abbasserebbe il valore totale del ' divenire '; per fortuna una tale potenza totalizzante non c' è ( un Dio sofferente e sovrastante, un sensorio 'totale' e 'assoluto spirito' - sarebbe la più grande obiezione contro l' essere ). ( Il corsivo che non riporto nell' ultima frase identifica il riferimento alla Metafisica classica, come anche Heidegger interpreta costantemente, corsivo che si ripete anche nella frase a seguire).
Più rigorosamente: non è possibile ammettere in generale nessun essere, - poiché in tal modo il divenire perde il proprio valore e appare persino superfluo. Di conseguenza bisogna porsi la domanda: come sia potuta ( dovuta ) formarsi l' illusione dell' essere. Parimenti: come tutti i giudizi di valore che si basano sull' ipotesi che l' essere si dia, siano senza valore. Pertanto si riconosce che questa ipotesi dell' essere è l' origine di ogni denigrazione del mondo; ' il miglior mondo, il mondo vero, il mondo dell' aldilà, la cosa in sé'.
1. Il divenire non ha nessun stato finale, non sbocca in in un 'essere'.
2. Il divenire non è uno stato apparente; forse il mondo dell' essere è un' apparenza.
3. Il divenire ha in ogni momento lo stesso valore: la somma del suo valore rimane uguale a sé: in altri termini: esso non ha nessun valore, perché non c' è qualcosa con cui misurarlo, e in rapporto a cui la parola valore avrebbe senso.
Il valore totale del mondo non è valutabile, di conseguenza il pessimismo filosofico è una cosa comica.
Questo è l' aforisma, e come puoi constatare è perfettamente in linea con la mia opinione sul divenire che non è un' entità metafisica ma soltanto il modo in cui il mondo fisico, e solo quello, funziona. Neanche il divenire cioè può diventare metafisico, ma è soltanto il modo in cui noi possiamo indicare l' accadere nel mondo fisico. Per altro questo aforisma non è stato preso per niente in considerazione da Heidegger.
Altra cosa sono la volontà di potenza e l' eterno ritorno, che, ripeto, giudico come la vera e propria Metafisica di Nietzsche, anche se alla base dell' accadere fisico. E il motivo per cui li ritengo di carattere metafisico, è perché vengono dati come dati, come immanenti, come verità, e non come, e sarebbe dovuto essere, come ipotesi. E come ho già affermato altrove, la mia speranza è che se Nietzsche poi non ha portato a termine, se non ha pubblicato l' opera: La Volontà di Potenza, è proprio perché si sia reso conto dell' incongruenza che una tale costruzione rappresentava. E non posso andare oltre la speranza perché è notorio quello che sono stati i suoi ultimi anni di vita, e perciò non avremo mai prove certe del motivo per cui sia rimasta inedita.
Quello che è necessario che io riesca a spiegare, e non è facile, è l' errore di aver posto sia l' essere che gli enti come dati, non come ipotesi. E se li si è posti come dati è soltanto, sempre a mio avviso, perché si è traslata la logica, la matematica, nel mondo ultra fisico, in quella Metafisica cioè che io contesto come immanente. Cosa che anche Kant ha affermato nel suo Opus Postumum, forse per fare un torto ad Hegel, non rendendosi conto che la sua filosofia non fa altro. La sua affermazione: Non si può far uso della Matematica, e perciò della logica, nella Metafisica è una regola d' oro, sempre a mio avviso, che costantemente tutti i filosofi hanno violato. E questo perché se alla radice, se poniamo alla radice della Metafisica un essere come dato ce lo ritroveremo forzatamente come vero alla fine della nostra argomentazione. Cosa che non è assolutamente possibile se lo poniamo come ipotesi, perché alla fine lo ritroveremo sempre come ipotesi.
In altre parole, si può anche ritenere che il mondo fisico segua la Matematica, abbia un riscontro diretto con la logica-matematica, anche se Nietzsche lo definisce come sappiamo, ma ciò non dovremmo concedercelo per il mondo metafisico di cui non abbiamo alcuna esperienza sensibile diretta.
Spero di essermi spiegato, ma come sempre, sono qui a tua disposizione per ogni ulteriore contro-argomentazione.
Ringrazio per la cortese attenzione
Garbino Vento di Tempesta
@maral
CitazioneSe poi diciamo che tutto è Divenire, è chiaro che il Divenire è e come tale partecipa in modo fondamentale dell'Essere e qui mi sembra che l'osservazione di Lou sia corretta: il divenire non diviene, ma è; anzi si intende affermare che è ciò che sempre e sommamente è.
È esattamente quello che volevo dire, esplicito in modo più chiaro: è che trovo (logicamente) paradossale (e penso lo trovi paradossale pure Nietzsche nell'aforisma "Imprimere..." citato) un divenire che diviene, se il divenire divenisse, smetterebbe di essere divenire, banalmente non diverrebbe più - roba che significherebbe proprio raggiungere quello stato finale per il divenire che Nietzsche rigetta - e di ciò ne trovo conferma anche nel passo ora citato da Garbino di N., dove, a mio parere, si afferma la tesi nietzschiana che ribadisce che tutto ciò che è, è divenire. Immutabile è il perenne mutare delle cose che sono, non un essere illusorio, solitario posto a garante nè in cielo nè in terra.
@Garbino, accolgo con piacere l'invito, trovo siano letture interessanti e precise quelle che proponi e ho molto da imparare, io ho semplicemente abbozzato la mia.
Citazione di: Lou il 01 Maggio 2017, 10:18:06 AM@maral CitazioneSe poi diciamo che tutto è Divenire, è chiaro che il Divenire è e come tale partecipa in modo fondamentale dell'Essere e qui mi sembra che l'osservazione di Lou sia corretta: il divenire non diviene, ma è; anzi si intende affermare che è ciò che sempre e sommamente è.
È esattamente quello che volevo dire, esplicito in modo più chiaro: è che trovo (logicamente) paradossale (e penso lo trovi paradossale pure Nietzsche nell'aforisma "Imprimere..." citato) un divenire che diviene, se il divenire divenisse, smetterebbe di essere divenire, banalmente non diverrebbe più - roba che significherebbe proprio raggiungere quello stato finale per il divenire che Nietzsche rigetta - e di ciò ne trovo conferma anche nel passo ora citato da Garbino di N., dove, a mio parere, si afferma la tesi nietzschiana che ribadisce che tutto ciò che è, è divenire. Immutabile è il perenne mutare delle cose che sono, non un essere illusorio, solitario posto a garante nè in cielo nè in terra. @Garbino, accolgo con piacere l'invito, trovo siano letture interessanti e precise quelle che proponi e ho molto da imparare, io ho semplicemente abbozzato la mia.
Die che è "immutabile il perenne mutare delle cose che sono" mi pare una contraddizione in termini. Perché non accettare semplicemente "il mutare" senza caricarlo ( nuovamente) di sovrastrutture speculative ( ossia termini come "immutabile", "perenne" e "sono") ?... Come si può sapere che il mutare è immutabile? Non si può cogliere il mutare con qualcosa che non muta come i termini linguistici, che fanno l'opposto, ossia "fissano". Ogni affermazione sul divenire è necessariamente falsa. Il divenire diviene è già falso...
Anch'io ravvedo un ambiguo e spurio intreccio fra piano linguistico-descrittivo e piano empirico-fattuale: chiedersi se il divenire diviene, è come domandarsi se la crescita cresce, se il morire muore o se il camminare cammina... nel caso del divenire, se decidiamo di stare al gioco della questione, non è comunque contraddittorio affermare che "il divenire diviene", se con ciò intendiamo che il mutamento non è regolare, descrivibile da una legge universale, ma esso stesso muta e si articola nel tempo (un po' come l'oscillazione delle quotazioni in borsa, è essa stessa oscillante, in quanto irregolare e imprevedibile...).
Citazione di: Sariputra il 01 Maggio 2017, 11:06:05 AM
Citazione di: Lou il 01 Maggio 2017, 10:18:06 AM@maral
CitazioneSe poi diciamo che tutto è Divenire, è chiaro che il Divenire è e come tale partecipa in modo fondamentale dell'Essere e qui mi sembra che l'osservazione di Lou sia corretta: il divenire non diviene, ma è; anzi si intende affermare che è ciò che sempre e sommamente è.
È esattamente quello che volevo dire, esplicito in modo più chiaro: è che trovo (logicamente) paradossale (e penso lo trovi paradossale pure Nietzsche nell'aforisma "Imprimere..." citato) un divenire che diviene, se il divenire divenisse, smetterebbe di essere divenire, banalmente non diverrebbe più - roba che significherebbe proprio raggiungere quello stato finale per il divenire che Nietzsche rigetta - e di ciò ne trovo conferma anche nel passo ora citato da Garbino di N., dove, a mio parere, si afferma la tesi nietzschiana che ribadisce che tutto ciò che è, è divenire. Immutabile è il perenne mutare delle cose che sono, non un essere illusorio, solitario posto a garante nè in cielo nè in terra. @Garbino, accolgo con piacere l'invito, trovo siano letture interessanti e precise quelle che proponi e ho molto da imparare, io ho semplicemente abbozzato la mia.
Die che è "immutabile il perenne mutare delle cose che sono" mi pare una contraddizione in termini. Perché non accettare semplicemente "il mutare" senza caricarlo ( nuovamente) di sovrastrutture speculative ( ossia termini come "immutabile", "perenne" e "sono") ?... Come si può sapere che il mutare è immutabile? Non si può cogliere il mutare con qualcosa che non muta come i termini linguistici, che fanno l'opposto, ossia "fissano". Ogni affermazione sul divenire è necessariamente falsa. Il divenire diviene è già falso...
Tanto per la precisione il divenire non può divenire, poichè il divenire è un movimento, una trasformazione, una azione, e una azione presuppone sempre un soggetto che la compie, che nell'affermazione il divenire diviene manca. Allo stesso modo è sbagliato dire che il divenire è, perchè anche in questo caso si accostano arbitrariamente due predicati a nessun soggetto. Capisco che esistano frasi del tipo "il mangiare sazia" oppure "il correre stanca", ma sono figure retoriche che possono funzionare bene nel linguaggio popolare ma in questo caso confondono solo le idee. Ciò che diviene deve quindi necessariamente essere "altro" dal divenire stesso, il soggetto dell'azione riflessiva del divenire, e questo non può che essere l'Essere che, manifestandosi progressivamente, costituisce ciò che chiamiamo "divenire". Quindi il divenire non diviene e neppure è, poichè in sé non esiste proprio, dato che ogni attributo è sempre riferito all'essere e ai suoi vari e indefiniti aspetti.
Citazione di: donquixote il 01 Maggio 2017, 12:23:25 PM
Citazione di: Sariputra il 01 Maggio 2017, 11:06:05 AM
Citazione di: Lou il 01 Maggio 2017, 10:18:06 AM@maral
CitazioneSe poi diciamo che tutto è Divenire, è chiaro che il Divenire è e come tale partecipa in modo fondamentale dell'Essere e qui mi sembra che l'osservazione di Lou sia corretta: il divenire non diviene, ma è; anzi si intende affermare che è ciò che sempre e sommamente è.
È esattamente quello che volevo dire, esplicito in modo più chiaro: è che trovo (logicamente) paradossale (e penso lo trovi paradossale pure Nietzsche nell'aforisma "Imprimere..." citato) un divenire che diviene, se il divenire divenisse, smetterebbe di essere divenire, banalmente non diverrebbe più - roba che significherebbe proprio raggiungere quello stato finale per il divenire che Nietzsche rigetta - e di ciò ne trovo conferma anche nel passo ora citato da Garbino di N., dove, a mio parere, si afferma la tesi nietzschiana che ribadisce che tutto ciò che è, è divenire. Immutabile è il perenne mutare delle cose che sono, non un essere illusorio, solitario posto a garante nè in cielo nè in terra. @Garbino, accolgo con piacere l'invito, trovo siano letture interessanti e precise quelle che proponi e ho molto da imparare, io ho semplicemente abbozzato la mia.
Die che è "immutabile il perenne mutare delle cose che sono" mi pare una contraddizione in termini. Perché non accettare semplicemente "il mutare" senza caricarlo ( nuovamente) di sovrastrutture speculative ( ossia termini come "immutabile", "perenne" e "sono") ?... Come si può sapere che il mutare è immutabile? Non si può cogliere il mutare con qualcosa che non muta come i termini linguistici, che fanno l'opposto, ossia "fissano". Ogni affermazione sul divenire è necessariamente falsa. Il divenire diviene è già falso...
Tanto per la precisione il divenire non può divenire, poichè il divenire è un movimento, una trasformazione, una azione, e una azione presuppone sempre un soggetto che la compie, che nell'affermazione il divenire diviene manca. Allo stesso modo è sbagliato dire che il divenire è, perchè anche in questo caso si accostano arbitrariamente due predicati a nessun soggetto. Capisco che esistano frasi del tipo "il mangiare sazia" oppure "il correre stanca", ma sono figure retoriche che possono funzionare bene nel linguaggio popolare ma in questo caso confondono solo le idee. Ciò che diviene deve quindi necessariamente essere "altro" dal divenire stesso, il soggetto dell'azione riflessiva del divenire, e questo non può che essere l'Essere che, manifestandosi progressivamente, costituisce ciò che chiamiamo "divenire". Quindi il divenire non diviene e neppure è, poichè in sé non esiste proprio, dato che ogni attributo è sempre riferito all'essere e ai suoi vari e indefiniti aspetti.
Ma può "essere" un soggetto che continuamente muta? In quale momento del mutamento il soggetto "è"? Se diciamo che l'essere "è" proprio perché diviene dobbiamo necessarmente inserire il non-essere nell'essere del soggetto, altrimenti il mutamento è impossibile...almeno così, a naso, mi sembra.
Temo però che siamo andando fuori dalla discussione proposta dall'amico Garbino...
Citazione di: Sariputra il 01 Maggio 2017, 12:40:17 PMMa può "essere" un soggetto che continuamente muta? In quale momento del mutamento il soggetto "è"? Se diciamo che l'essere "è" proprio perché diviene dobbiamo necessarmente inserire il non-essere nell'essere del soggetto, altrimenti il mutamento è impossibile...almeno così, a naso, mi sembra. Temo però che siamo andando fuori dalla discussione proposta dall'amico Garbino...
Solo un accenno per evitare l'OT: non "tutto" l'essere muta, ma solo ciò che è passibile di mutazione. Vi è, necessariamente, una "parte" (notare le virgolette che sono importanti) dell'essere che è immutabile poichè eterno (ovvero fuori dal tempo, non condizionabile da esso) Quindi l'essere sempre è e sempre muta (e non è affatto una contraddizione).
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
X Lou
La divergenza, ma forse avevo capito male io, riguardava il fatto che mi sembrava che tu ritenessi il divenire qualcosa di diverso dal modo in cui si indica qualcosa e che, a mio avviso, è stato spiegato benissimo da Donquixote. Il divenire, cioè, non lo inquadro come un terzo soggetto, ma qualcosa di avulso dall' accadere. Ne è solo la connotazione, il modo in cui la vita fisica, da sempre ritenuta di second' ordine, diventa nel trovarsi immersa nel divenire ciò che è. Anch' io ho molto da imparare, non credere, ho delle lacune pazzesche in campo filosofico. Ma ho ritenuto , forse sbagliando forse no, di concentrare il mio interesse su determinati filosofi piuttosto che sulla maggior parte di essi. Perciò non temere, se non ti ho risposto è soltanto perché la divergenza poteva essere ricucita in base alla mia risposta a Maral.
X Sariputra
Perfettamente d' accordo con te sul divenire. Anche se accetto anche l' interpretazione di un divenire munito di tutte le caratteristiche dell' essere, come può anche essere appunto interpretato l' aforisma di Nietzsche. L' importante è che non si riveli come un nuovo essere che ci riporterebbe automaticamente nella Metafisica classica.
Per quanto riguarda invece l' aspetto dell' essere che non riesci a valutare quando sia nel suo mutare tanto da dover ammettere la presenza del non-essere, se valuti il ragionamento, l' argomento in questo modo, a mio avviso, rimani ancorato alla Metafisica Classica. Il concetto espresso da Nietzsche è che l' essere vitale, qualsiasi essere vitale fisico immerso nel divenire è. Quello che conta cioè è solo il suo presente che prevede un costante mutare. Ogni attimo, sorvolando sulla mia idea di tempo, contraddistingue il fatto di essere nel suo mutare. Spero di essere stato chiaro. Ma come sempre siamo qui.
X Phil ( e questa volta sei veramente Phil)
A mio avviso, anche la tua interpretazione è accettabile. L' unica precisazione è che come ho già detto il divenire non venga a determinarsi come qualcosa di diverso da un fattore descrittivo dell' accadere in rapporto alla determinazione di ciò che è.
X Donquixote.
Sono d' accordo con te ma fino ad un certo punto. E' ovvio che tu possa ritenere che ci sia parte dell' essere che non muta. E che per te rappresenti, ad esempio l' anima o qualcos' altro, ma non nel senso in cui intende Nietzsche. Rappresenta cioè un tuo punto di vista e su cui concordo non esiste contraddizione. Ma ciò corrisponde a quel terzo soggetto che contestavo a Lou, anche se da parte dell' essere. Quello che intendo dire è che sarebbe inquadrabile come una Metafisica immanente al mondo fisico e non ultrafisico.
Ciò che non muta invece, secondo Nietzsche, non può essere parte del vivente. Spero di essere stato chiaro, ma siamo sempre qui per ogni contro-argomentazione.
- - - - - - - -
Mi sembra di aver risposto a tutti e vi ringrazio per le vostre opinioni volte ad approfondire questo che è un aspetto nuovo a livello filosofico, e chi lo sa che non si riesca veramente a fondare una Nuova Filosofia. Ma sono anche molto soddisfatto perché finalmente, almeno in voi si sia incominciato a superare il Nietzsche legato a stereotipi che ne tracciano soltanto gli aspetti negativi e non il suo notevole contributo alla conoscenza. Anche nel caso abbiate ancora qualche dubbio al riguardo.
Ringrazio per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta
Citazione di: Sariputra il 01 Maggio 2017, 11:06:05 AM[...]
Die che è "immutabile il perenne mutare delle cose che sono" mi pare una contraddizione in termini. Perché non accettare semplicemente "il mutare" senza caricarlo ( nuovamente) di sovrastrutture speculative ( ossia termini come "immutabile", "perenne" e "sono") ?... Come si può sapere che il mutare è immutabile? Non si può cogliere il mutare con qualcosa che non muta come i termini linguistici, che fanno l'opposto, ossia "fissano". Ogni affermazione sul divenire è necessariamente falsa. Il divenire diviene è già falso...
Che dire se non: "ottime domande", è che mi stavo cimentando per l'appunto nella annosa questione di sta esigenza di imprimere al divenire il carattere dell'essere. O poi si può anche cestinare d'amblè.:)
Riprendo con alcune considerazioni sparse sull'aforisma che molto opportunamente ha inserito Garbino.
Sono d'accordo sul fatto che "il presente sia giustificato attraverso un futuro o che il passato sia giustificato attraverso un presente" e che "il divenire deve apparire giustificato in ogni attimo" e quindi non valutabile. Il divenire è tutto e solo nell'attimo, l'attimo lo giustifica e gli rende piena giustizia e nell'attimo che si presenta, ci sono passato e futuro, senza attraversamenti. Ma questo dire già apre all'eterno ritorno dell'identico, che non è un postulato a priori che a un certo punto Nietzsche si inventa senza motivo. L'eterno ritorno è già qui, dentro una visione del divenire giustificato solo da ogni attimo in quanto tale e in cui solo può rendersi possibile la volontà di potenza, intesa come forza vitale assolutamente primaria che è tutta nell'attimo, per cui un Dio immaginato fuori dall'attimo diventa inutile e resta solo la possibilità dell'Ubermensch che aderisce in tutto e per tutto all'attimo, dice sì all'attimo, ossia il suo dire si conforma alla volontà che è la vita stessa, è la vita che finalmente dice sì a se stessa. Solo così tutto il disegno filosoficamente torna ed è un disegno filosofico che certamente conclude la metafisica classica, ma è metafisico e come potrebbe non esserlo. Se non lo fosse sarebbe del tutto irrilevante rispetto alla metafisica classica e non la sua conclusione.
Per questo, si dice, "è necessario negare una coscienza totale del Divenire", che sarebbe possibile solo essendo fuori dall'attimo. Se questa coscienza totale del Divenire va negata, è impossibile dire se il Divenire diviene o no, da quale luogo potremo mai dirlo, ci siamo dentro, ci si vuole aderire, è necessario perché questa volontà che è la stessa volontà della vita si realizzi in noi, nelle nostre vite particolari e ritratte nelle loro nicchie. Questa volontà nega l'Essere come la zoè nega la morte, l'ha dentro di sé come suo momento, non la vede come morte, non c'è morte nella vita primordiale. L'Essere è il Divenire stesso come la morte è la zoè stessa che sempre si rinnova. Essere e Divenire sono a questo punto la stessa cosa. E certo che a volerli separare per mettere l'Essere fuori dal Divenire, considerare la cosa come è in sé, si ottiene solo la denigrazione del mondo. E questo pensiero è di una portata deflagrante enorme, perché mette in crisi tutto il pensiero dell'Occidente, dalla religione, alla filosofia, alla scienza, ma è un pensiero che non viene da fuori, ma dalla stessa religione, filosofia e scienza dell'Occidente, le porta al culmine, torna all'origine e da si ricomincia daccapo.
Si noti il paradossale
"non è possibile ammettere in generale nessun essere, - poiché in tal modo il divenire perde il proprio valore e appare persino superfluo"
e alla terza conclusione:
"Il divenire ha in ogni momento lo stesso valore: la somma del suo valore rimane uguale a sé: in altri termini: esso non ha nessun valore, perché non c' è qualcosa con cui misurarlo, e in rapporto a cui la parola valore avrebbe senso."
Come fa l'Essere a sottrarre valore al divenire se il Divenire non ha valore non presentando alcuna unità di misura? E' chiaro che il valore non può essere sottratto, non c'è. Dunque è solo l'Essere, preso in sé, a stabilire in negativo il valore del Divenire, è qui la sottrazione, nel pensare Essere e Divenire a sé stanti, nel concettualizzarli secondo contrapposizione, per cui da una parte si accumula il valore, dall'altra il disvalore e l'Essere con il suo valore diventa unità di misura in base alla quale vale ciò che nel divenire resta, è il resto che vale e più resta nel tempo più vale, mentre ciò che passa (quindi muore, si annulla) non vale: il tempo si fa unità di misura, Essere è tempo, dirà Heidegger. E non è forse questo il modo con cui l'Occidente ha sempre pensato e che Nietzsche manda in crisi insieme con Heidegger che si chiederà come poter ancora pensare? Ma non è il modo di pensare per chi aderisce alla pura esistenza, sempre ammesso che aderendo alla pura esistenza sia ancora possibile pensare e pensarsi.
Ma Nietzsche qui sta pensando, non è ancora nella catatonia dell'ultimo suo decennio di vita, e in modo del tutto metafisico, pur portando in crisi la metafisica. Non c'è l'Ubermensch, lui usa solo parole per chiamarlo alla presenza (e non è certo una chiamata priva di conseguenze), senza pur tuttavia renderlo presente. Poiché l'apparire dell'Ubermensch coincide con la fine dell'uomo e quindi anche necessariamente di ogni memoria, discoro e pensiero dell'uomo. Con l'Oltreuomo, l'uomo è una favola già dimenticata. Qui ci sono solo gli ultimi uomini con i loro ultimi vani discorsi, anche se carichi di tanta scienza e conoscenza.
Citazione di: donquixote il 01 Maggio 2017, 13:21:01 PM
Citazione di: Sariputra il 01 Maggio 2017, 12:40:17 PMMa può "essere" un soggetto che continuamente muta? In quale momento del mutamento il soggetto "è"? Se diciamo che l'essere "è" proprio perché diviene dobbiamo necessarmente inserire il non-essere nell'essere del soggetto, altrimenti il mutamento è impossibile...almeno così, a naso, mi sembra. Temo però che siamo andando fuori dalla discussione proposta dall'amico Garbino...
Solo un accenno per evitare l'OT: non "tutto" l'essere muta, ma solo ciò che è passibile di mutazione. Vi è, necessariamente, una "parte" (notare le virgolette che sono importanti) dell'essere che è immutabile poichè eterno (ovvero fuori dal tempo, non condizionabile da esso) Quindi l'essere sempre è e sempre muta (e non è affatto una contraddizione).
Sono d'accordo.
Non sarebbe mai nato il principio di non contraddizione se non vivessimo esistenzialmente in un dominio che per Platone è l'opinione nel sensibile e l'altro dominio della verità attraverso l'intellegibile (che diventerà razionalità con il discepolo Aristotele con la logica predicativa)che ci appare come eterno e veritativo
F.Volpi interpreta Heidegger allorchè definisce Platone il primo metafisico in quanto pone la soggettività: ha ragione a mio parere.
Porre la soggettività significa che l'uomo si presenta come agente conoscitivo(gnoseologia o epistemologia) che media fra opinione e verità, fra divenire ed eternità . Quindi la domanda di Sini è giusta: in quale prospettiva si pone l'agente conoscitivo che dichiara e definisce i domini se non a partire da se stesso? L'ontologia iniziale di parmenide quindi ha un nuovo sviluppo nella epistemologia, vale a dire la conoscenza dell'essere viene indagata e si porrà nella costruzione della prima dialettica dell'elnchos, quando Aristotele porrà la logica e le categorie.
Il fatto che Platone sia anche l'iniziatore della " Tecnica" che viene interpretata da molti come ll'oblio dell'essere contraddittorio e dell'Occidente sarebbe tutto da analizzare con appunto l'analitica dell''essere ch ea mio parere nessuno ha mai risolto, compreso Heidegger. Una cosa è certa, il neo platonism o,lo stesso Plotino utilizzeranno Platone nella indagine teologica dentro il cristianesimo.
Nietzsche, e questa è la tesi di Heidegger, è l'ultimo dei metafisici ,in quanto capovolge il sistema metafisico, non ne è "al di fuori".
Nietzsche se viene osservato come "dio", ,vale a dire se l'uomo è la verità, appunto capovolge, rovescia il sistema
Per quanto mi riguarda, Heidegger non ha tutti i torti (semmai il problema è nel "come" svolge i processi argomentativi in "Essere e tempo)"a dire che l'essere non è un ente. perchè ripropone l'agente conoscitivo ed esistenziale che vive la sua contraddizione dentro un orizzonte nel divenire.
Semmai è interessante ,visto che la dialettica fu ripresa da Hegel che porrà l'agente consocitivo come coscienza ed autocoscienza fra i domini del concreto e dell'astratto, riproponendo il mondo delle idee di Platone dentro quello che è chiamato idealismo.
E' interessante come rapporto fra filosofie e come storia della cultura.perchè è al tempo di Heidegger e prima di Nietzsche che vivono le ideologie in rapporto alla tecnica come antitesi storica che esploderanno nel comunismo, fascismo, nazismo,, ma da sempre il cristianesimo,contro il concetto positivistico( del progresso tecnico che ha ulteriormente espropriato l'essere, inteso come uomo entificandolo, facendolo diventare "una cosa", un fenomeno)
Risposta breve generale.
Mi sembra che con l'introduzione del Nietzche Heidegeriano il topic abbia preso una piega che difficilmente è attribuibile al pensiero di Nietzche.
Anche la questione dell'eterno ritorno vista nella modalità insegnata da Derrida (l'attimo come ripresentarsi infinito della decisione, dell'evento) allontanta irrimediabilmente dal pensiro del mio Baffo preferito.
Quello che rimprovero a entrambi i filosofi, almeno per le questioni della differenza ontologica, e della ripetizione, è il fatto che applichino categorie metafisiche ad un pensatore che della metafisica in sè non sa cosa farsene.
Rispondere a questo punto diventa oneroso, perchè anzitutto mancandomi la lettura effettiva dei 2 autori mi costringe ad andare a senso, secondo quello che ho ascoltato da terzi (e a mò di riassunto).
La persona intelligente dovrebbe tacere, ma io sono stupido e avvinghiato al Baffo, e cerco di proteggerlo dalle menzogne che la seconda parte del 3d gli sta imputando.
Anzitutto partiamo pure dalla ripetizione, che la ripetizione sia quella dell'evento, ossia della decisione dell'istante, non spiega affatto perchè nietzche dica che rivivremo nello stesso ordine temporale quello che abbiamo vissuto.
Un attimo è già passato, come possiamo rivivere la stessa esperienza come se la clessidra tornasse indietro?
Quello che sta dicendo Nietzche è un chiaro controsenso, sta parlando della temporalità che si riavvolge su stessa.
Ora potrebbe essere benissimo un delirio di onnipotenza, uno dei tanti.
Finora non l'ho detto, perchè sennò sembrerebbe un andare contro il Baffo, il che per me sarebbe immorale. ;)
Ripeto non so perchè sia arrivato a questo tipo di cosmogonia, ma non lo ritengo importante.
Idem per quanto riguarda la differenza ontologica.
Ciò che diviene è l'uomo, non Dio, Nietzche non si sofferma su questo particolare ozioso, proiettato come è a indicare la strada per costruire la nuova società degli uomini, una società valoriale, e non più etica.
Ora dire che il divenire sia una proposta cosmologica, mi pare altrettanto improbabile che a Nietzche interessasse più del necessario. (d'altronde sono solo una manciata di righe su migliaia di pagine...è bizzarro che abbiamo deciso di soffermarci su questo).
Inoltre se tutto diviene come fa a ripetersi? mi pare più il contrario: ossia che il divenire sia una parvenza dell'essere generale. E comunque sia, siccome non vi è argomentazione alcuna, possiamo anche sbizzarrirci all'infinito, il punto è "ma a che serve"????
Risposta lunga per MARAL
Un pò di Polemos (filosofia avanzata) per l'ottimo maral. (per gli altri rimando al 3d aperto opportunatamente, suo malgrado visto che del Baffo lui non sa che farsene, da Sgiombo )
Caro amico, questa volta temo proprio di non aver capito.
cit maral
"Il divenire è tutto e solo nell'attimo, l'attimo lo giustifica e gli rende piena giustizia e nell'attimo che si presenta, ci sono passato e futuro, senza attraversamenti. "
Certo sarebbe la filosofia dell'evento. (se poi vuoi chiamarla dell'eterno ritorno sia pure, per me è comunque una inapropiatezza).
cit maral
"Per questo, si dice, "è necessario negare una coscienza totale del Divenire", che sarebbe possibile solo essendo fuori dall'attimo. Se questa coscienza totale del Divenire va negata, è impossibile dire se il Divenire diviene o no, da quale luogo potremo mai dirlo, ci siamo dentro, ci si vuole aderire, è necessario perché questa volontà che è la stessa volontà della vita si realizzi in noi, nelle nostre vite particolari e ritratte nelle loro nicchie."
Non capisco cosa sia la coscienza totale del divenire, temo che siamo alle solite, una autocoscienza del divenire?
Siamo d'accordo comunque sull'impossibilità che vi sia.
Invece credo che si possa riconoscere nel diveniente una forma della trascedenza, infatti l'evento ha in sè i germi che porteranno al cambiamento del soggetto, l'evento infatti non è il soggetto esperente, ma è ciò che esperisce all'interno della convenzione temporale dell'attimo. Perciò stessa essendo convenzionale, essendo più propriamente immanenza, il soggetto è in grado di valutarla.
In questo senso essendo cioè una astrazione (un prodotto del mentale) essa è passibile di costruirsi come filosofia.
cit maral
" Questa volontà nega l'Essere come la zoè nega la morte, l'ha dentro di sé come suo momento, non la vede come morte, non c'è morte nella vita primordiale. L'Essere è il Divenire stesso come la morte è la zoè stessa che sempre si rinnova."
Non ho ben capito il sillogismo, intendi dire che l'essere è la morte?
vita primordiale non è l'essere = animalità non è la morte
essere è divenire = morte è vita primordiale (l'animalità che si riproduce)
Se però sostituiamo i termini
allora
la vita primordiale non è la vita primordiale = animalità non è la vita primordiale.
Il che è contraddittorio.....
cit maral
"Essere e Divenire sono a questo punto la stessa cosa"
Il che è contraddittorio infatti.
cit maral
"E certo che a volerli separare per mettere l'Essere fuori dal Divenire, considerare la cosa come è in sé, si ottiene solo la denigrazione del mondo."
Il divenire caro maral è all'interno dell'essere....andiamo è Severino!
In che senso la denigrazione del mondo???
cit maral
"E questo pensiero è di una portata deflagrante enorme, perché mette in crisi tutto il pensiero dell'Occidente, dalla religione, alla filosofia, alla scienza, ma è un pensiero che non viene da fuori, ma dalla stessa religione, filosofia e scienza dell'Occidente, le porta al culmine, torna all'origine e da si ricomincia daccapo. "
Credo di aver perso completamente le fila del tuo ragionamento qui.
Provo a interpretare. Ok non ci riesco. Sorry.
cit maral
"Si noti il paradossale
"non è possibile ammettere in generale nessun essere, - poiché in tal modo il divenire perde il proprio valore e appare persino superfluo"
e alla terza conclusione:
"Il divenire ha in ogni momento lo stesso valore: la somma del suo valore rimane uguale a sé: in altri termini: esso non ha nessun valore, perché non c' è qualcosa con cui misurarlo, e in rapporto a cui la parola valore avrebbe senso.""
Non capisco cosa ci sia di paradossale, a me pare logico.
Ho cercato su google, allora anzittutto si tratta dell'aforisma contenuto in La volontà di Potenza 72 paragrafo.(almeno mettici il virgolettato!) ;)
citiamolo però tutto allora, ricordandoci che la volontà di potenza è un'opera spuria in cui è difficile conoscere ciò che è stato scritto dalla sorella e amici, e quello che era nelle intenzioni del Nietzche.
"Se il movimento del mondo avesse uno stato finale, questo dovrebbe già essere raggiunto. In realtà l'unico fatto fondamentale è che il mondo non ha nessuno stato-fine; e ogni filosofia o ipotesi scientifica (per esempio il meccanicismo), nella quale un tale stato diventa necessario, è confutata attraverso quest'unico dato di fatto...
Io cerco una concezione del mondo in cui si renda giustizia a questo dato di fatto: il divenire deve essere interpretato, senza ricorrere a tali scopi finali: il divenire deve apparire giustificato in ogni attimo (o non valutabile: il che è lo stesso); non è assolutamente possibile che il presente sia giustificato attraverso un futuro o che il passato sia giustificato attraverso un presente.
La «necessità» non ha la forma di una potenza totale che si propaga e domina, o di un primo motore; ancor meno necessaria per causare qualcosa di pregevole. Per questo è necessario negare una coscienza totale del divenire, un «Dio», per non porre l'accadere sotto il punto di vista di un essere che partecipa al sentire, al sapere, e che non vuole nulla: «Dio» è inutile, se non vuole nulla, e d'altra parte per esso viene posta una somma di dispiacere e di illogicità, che abbasserebbe il valore totale del «divenire»: per fortuna una tale potenza totalizzante non c'è ( un Dio sofferente e sovrastante, un «sensorio totale» e «assoluto spirito» sarebbe la più grande obiezione contro l'essere).
......
Pertanto si riconosce che questa ipotesi dell'essere è l'origine di ogni denigrazione del mondo; «il miglior mondo, il mondo vero, il mondo "dell'aldilà", la cosa in sé».
.....
Il valore totale del mondo non è valutabile, di conseguenza il pessimismo filosofico è una cosa comica."
Il primo capoverso indica l'impossibilità di un riduzionismo fisico. (ossia non esiste alcuna cosmogonia fondata)
In quanto la sua fondatezza sarebbe la causa principale della sua infondatezza, ossia non c'è fine.
Direi parafrasando siamo sempre immersi in una storia, in una narrazione.
Ogni narrazione non può darsi come fondazione del futuro ma nemmeno del passato continua nel secondo capoverso.
In generale non ci può essere valutazione (sulla fondatezza) alcuna parafraso io.
Nel terzo paragrafo asserisce l'inutilità di meta-narrazione che riguardi qualsiasi fatto (ma lui intende evento ndr)
Ogni evento contiene in sè la sua narrazione molto semplicemente, parafraso io.
Nel quinto capoverso sostiene che è la meta-narrazione a fornire la narrazione avversa (all'evento): ossia la presunzione che vi sia un evento migliore, un evento vero, un evento che si riferisce ad un al di là dell'evento stesso.
Nel finale parafreserei correttamente così:
Essendo la considerazione (avversa) valoriale una meta-narrazione, ne consegue che ogni metafisica che è la somma delle varie meta-narrazioni dell'evento stesso, risulti essere la stessa meta-narrazione, completamente avulsa da ogni singolo evento, che per l'appunto non sfocia in alcunchè di evenenziale.
Bisogna cioè ricondurre ogni parola relativa ad essere e divenire come la "Tradizione cattolica" e la "Storia".
Non vi è alcuna analitica, semmai una prassi che si concentra sul valore liguistico dell'esposizione della stessa.
(una descrizione, una narrazione).
Per inciso anche la filosofia di Nietzche è una filosofia dell'evento, e quindi una meta-narrazione dello stesso.
(il cui valore è avverso alle metanarrazioni metafisiche religiose e morali (teleologico-naturali) )
Insomma niente di più distante da quanto il 3d possa intendere.
cit maral
"Come fa l'Essere a sottrarre valore al divenire se il Divenire non ha valore non presentando alcuna unità di misura? "
A mio parere C'è un errore di comprensione generale del testo.
Ripeto non è un'analitica. (a costo di ripetermi all'infinito)
Comunque sia se ti ricordi Davintro a livello fenomenologico aveva introdotto come trait-d'union fenomenologico, l'ontologia come modalità dell'Essere.
Se vogliamo proprio fare una analitica di Essere e Divenire allora potremmo sensatamente usare quella precisazione.
Poichè l'Essere è, allora non può divenire, dunque il Divenire è la caratteristica della mediazione della parte con il suo Intero.(l'uomo appunto)
Questa mediazione però non è di ordine "terzo", ossia direbbe un Nietzche non riguarda la fisica, la giustizia o la Natura, ma riguarda l'ontologia. Ossia l'essente nell'immanenza. L'essente che si apre al mondo come interpretazione di quella Immanenza altro.
Il divenire è dunque l'uomo e non la sua terzialità la fisica, la giustizia o la natura.
Non è che l'Evento. Ossia l'evento è la relazione col Mondo.(insieme di trascendenza e fenomenologia)
Dunque non è che il Divenire manca di un valore, ossia non è l'esistente, ossia in chiave analitica è l'ontologico che verrebbe a essere sottratto del giusto valore, che non è mai verso qualsiasi "terzo", bensì sempre e solo verso l'apertura al mondo COME immanenza.
Dunque bisogna distinguere tra immanenza e valorialità dell'esistente.
Se l'immanente avesse i caratteri valoriali di qualsiasi altra terzialità, foss'anco, attenzione, a quelli giusti dell'esistente, sarebbe una contraddizione in termini: appunto se l'immanente fosse giusto per un giudizio dell'esistente, ossia dell'uomo, non sarebbe più immanente.Il giusto di cui parla, ossia il valoriale si dà solo come descrizione ontologica rispetto e non a riguardo dell'immanente.
Ma l'Essere in tutto questo non è MAI tirato in causa. (altrimenti avrebbe ragione Heidegger a considerate Nietzche l'ultimo dei metafisici. Cosa che non sarà mai.)
Invece mi sembra che tu consideri la stessa cosa Essere ed Ente.
cit maral
"Divenire a sé stanti, nel concettualizzarli secondo contrapposizione, per cui da una parte si accumula il valore, dall'altra il disvalore e l'Essere con il suo valore diventa unità di misura in base alla quale vale ciò che nel divenire resta, è il resto che vale e più resta nel tempo più vale, mentre ciò che passa (quindi muore, si annulla) non vale:"
Infatti a mio avviso questo passaggio non fa altro che confermare il completo "misunderstanding" con il Baffo.
Se fosse così come hai scritto allora saremmo all'interno dell'ennesima metafisica. (magari una metafisica severiniana che tanto amiamo, ma pur sempre una metafisica).
Questo cosa Sini l'ha capita molto bene, ne parla estesamente nel canale di Sini, un suo allievo il prof. Di Martino.
Quando parla della cesura definitiva avvenuta negli anni 80 tra il primo Sini Heideggeriano, e il secondo Sini (il filosofo delle prassi che tanto amiamo).
cit maral
"Ma Nietzsche qui sta pensando, non è ancora nella catatonia dell'ultimo suo decennio di vita, e in modo del tutto metafisico, pur portando in crisi la metafisica. Non c'è l'Ubermensch, lui usa solo parole per chiamarlo alla presenza (e non è certo una chiamata priva di conseguenze), senza pur tuttavia renderlo presente. Poiché l'apparire dell'Ubermensch coincide con la fine dell'uomo e quindi anche necessariamente di ogni memoria, discoro e pensiero dell'uomo. Con l'Oltreuomo, l'uomo è una favola già dimenticata. Qui ci sono solo gli ultimi uomini con i loro ultimi vani discorsi, anche se carichi di tanta scienza e conoscenza."
Assolutamente no, non capisco nemmeno perchè arrivi a tali conclusioni. ???
(o meglio lo capisco perchè credi in questa mitica, e del tutto inventata, brodaglia primordiale, siamo sempre nell'ambito di Natura sive Dio).
Con oltre uomo, Nietzche non intende un nuovo tipo di essere umano, bensì degli stessi uomini oltre la storia della metafisica.
Che cosa sia questo uomo è il frutto di migliaia di pagine ognuna delle quali contenenti anche più di un aforisma.
Ora ridurre la questione alla volontà di potenza (ipotesi biologista, neo-darwiniana) e all'eterno ritorno (ipotesi riduzionista cosmogonica), devo dire che comincia a darmi noja.
Perchè non concentrarsi invece sul lascito vastissimo e incommensurabile ai riduzionismi faciloni e snervanti.
(magari ci si renderebbe conto delle incredibili cantonate che sto leggendo) :'(
x PAUL
cit paul
"Porre la soggettività significa che l'uomo si presenta come agente conoscitivo(gnoseologia o epistemologia) che media fra opinione e verità, fra divenire ed eternità . Quindi la domanda di Sini è giusta: in quale prospettiva si pone l'agente conoscitivo che dichiara e definisce i domini se non a partire da se stesso? L'ontologia iniziale di parmenide quindi ha un nuovo sviluppo nella epistemologia, vale a dire la conoscenza dell'essere viene indagata e si porrà nella costruzione della prima dialettica dell'elnchos, quando Aristotele porrà la logica e le categorie.
Il fatto che Platone sia anche l'iniziatore della " Tecnica" che viene interpretata da molti come ll'oblio dell'essere contraddittorio e dell'Occidente sarebbe tutto da analizzare con appunto l'analitica dell''essere ch ea mio parere nessuno ha mai risolto, compreso Heidegger. Una cosa è certa, il neo platonism o,lo stesso Plotino utilizzeranno Platone nella indagine teologica dentro il cristianesimo."
Come scritto a Maral, stiamo parlando di Heidegger e non più di Nietzche. A mio parere siamo OT.
Siamo d'accordo a dire che Platone è metafisico, che è stato il primo a mettere l'attenzione sul soggetto.
Siamo d'accordo a dire che la gnoseologia dell'oggetto che si da al soggetto sfoci nella storia della tecnica.
Non siamo d'accordo a dire che la colpa è di Platone, perchè è come se noi si tralasciasse la teoria del bene, che invece è assolutamente fondante in Platone.
Siamo d'accordo a dire che Heidegger non ha risolto l'analitica dell'Essere, semplicemente perchè per Heidegger non esiste l'analitica dell'Essere! ;D
Esiste invece l'analitica dell'essente, ossia dell'uomo (che è quella che gli interessa ad H.).
In realtà l'analitica è la storia della medianità di ciascun ente (e del suo rapporto con l'ESSERE). Quindi si potrebbe anche fare di un oggetto etc...Cosa ben diversa da quella proposta da te.
cit paul
"E' interessante come rapporto fra filosofie e come storia della cultura.perchè è al tempo di Heidegger e prima di Nietzsche che vivono le ideologie in rapporto alla tecnica come antitesi storica che esploderanno nel comunismo, fascismo, nazismo,, ma da sempre il cristianesimo,contro il concetto positivistico( del progresso tecnico che ha ulteriormente espropriato l'essere, inteso come uomo entificandolo, facendolo diventare "una cosa", un fenomeno)"
Non è per niente chiaro, caro amico mio!!
Il progresso storico tecnico non ha esproriato l'uomo della sua destinalità (che appunto è tecnica), bensì della possibilitò di pensare il rapporto originario con L'essere.
Infatti l'alienazione è l'oblio della propria valorialità.(della possibilità di pensarsi come rapporto con l'originario).
In parole povere l'uomo dimentica di essere una struttura e diviene vittima della propria produzione, pensandosi come struttura della propria produttività, e non della sua storia.
Nietzche c'entra poco con tutto questo discorso ripeto. :'(
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
X Maral e Paul 11
E' da un po' che non mi trovavo d' accordo con Green, ma questa volta debbo ringraziarlo perché ha risposto in un modo che in gran parte condivido, anche se la mia analisi sulla Metafisica parte più da una critica matematica che da una conoscenza profonda della Metafisica stessa attraverso Parmenide, Platone e Heidegger. D' altronde non potendo concepire un mondo altro, ho sempre ritenuto che l' approfondimento sarebbe stato ben più arduo per me che per chi invece lo riesce a concepire. Ricordo infatti che quando Platone parlava dell' uno, io rimanevo completamente allibito per l' immane sciocchezza che teorizzava, più che teorizzare come avrebbe fatto Socrate, che riteneva immanente, vero.
Sono peggio di San Tommaso per tutto ciò che mi viene teorizzato. Non credo a ciò che non vedo e la mia mente rifiuta categoricamente di credere a ciò che non rientra nel campo sensibile. E' un errore? Non credo proprio. Ritengo molto meno appropriato che si possa credere a ciò che non si vede, non si tocca ed anche allora sottopongo sempre ciò di cui ho sensazione ad un vaglio di quante più prospettive possibili per accettarlo come accadere, come qualcosa che rimane nel piano dell' accadere.
X Green Demetr
Sono d' accordo che in fondo un aforisma vuol dire poco nel contesto delle centinaia di pagine che Nietzsche ci ha lasciato, ma è anche l' unico in cui afferma che: Più rigorosamente: non è possibile ammettere in generale nessun essere ( l' ultima frase è in corsivo e che come ho già specificato si riferisce alla Metafisica Classica come lo stesso Heidegger interpreta ). Per altro il virgolettato l' ho messo, mentre invece non ho inserito mai il corsivo, ma solo per praticità, anche se ammetto che è importante come nell' ultima frase riportata poco sopra. Eppure si continua a parlare di essere e di ente come se Nietzsche non intendesse altro, e a mio avviso, lo intende e come!!! Ma su questo potrò approfondire quando mi arriverà l' opera completa degli scritti inediti di Nietzsche e che comunque sono d' accordo che vada presa con le molle. Il problema però è che Heidegger lo fa e anzi precisando che li ritiene gli scritti più attendibili di Nietzsche proprio perché sono datati, quando lo sono, più tardi delle sue opere edite.
La tua critica ad un verso di Blowin' in the wind di Dylan mi sembra inopportuna e forse significa che conosci poco la storia di quella canzone. Mio caro Green, Blowin' in the wind è stato il cavallo di battaglia di tutta la contestazione americana degli anni 60. E il vento era appunto il vento della rivoluzione che attraversava tutta la società americana a livello giovanile e che fu repressa anche con la Guerra del Vietnam richiamando molti giovani che avrebbero preferito combattere in casa per le cause civili e sociali del loro Paese che non in uno sperduto angolo di Terra del Pacifico. Ma soprattutto la mia citazione verte a constatare che nulla è possibile senza un vento che si alza contro le proprie catene sociali e civili e soprattutto economiche. E mi puoi dire tu dov' è questo vento? Contro chi alziamo la nostra voce, contro chi ci poniamo per raggiungere obiettivi rivoluzionarti di cambiamento senza un vento? Ma soprattutto anche in assenza di vento contro chi ci poniamo? Vedi tu un soggetto qualsiasi contro cui porsi e poter affermare: Sì, sono dalla parte giusta e contro la persona o categoria o altro giusta? C' è una categoria di persone che possa rappresentare comunque una volta messo in moto il tutto, ammesso e non concesso che si riuscisse nell' intento, a cui poter affidare il nostro futuro? Esiste, caro Green? Esiste o no? E guarda che desidero anzi pretendo una risposta poco evasiva e soprattutto convincente. Sempre con stima.
Grazie della cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Garbino - C' è una categoria di persone che possa rappresentare comunque una volta messo in moto il tutto, ammesso e non concesso che si riuscisse nell' intento, a cui poter affidare il nostro futuro? Esiste, caro Green? Esiste o no? E guarda che desidero anzi pretendo una risposta poco evasiva e soprattutto convincente. In attesa di quella di green, se riterrà di darla, mi permetto di dir la mia.Il coraggio non si improvvisa, se già non se ne dispone (e son pochi) qualcuno riesce a trovarlo dentro di sé quando le persone (che si amano, come i membri di una comunità, piccola o grande che sia) vengon strappate via (uccise) come fuscelli per privare chi resta oltre che della sacra terra, di ogni diritto di viverci secondo i propri valori.Queste persone son come le piante originarie della patata (Perù) o del mais, del riso e del grano, da cui han tratto le specie odierne più produttive ma anche più deboli. Una malattia potrebbe, come avvenuto in passato, farle scomparire del tutto... e l'unica speranza per il futuro (alimentare, in questo caso) sarebbe in quelle minuscole piantine andine...A questi ultimi portatori d'una qualità (non genetica ma culturale e d'altro tipo...) sempre più rara affiderei il destino del mondo. http://video.repubblica.it/mondo-solidale/leader-guaran-iacute-in-europa-chiede-sostegno-stanno-sterminando-il-mio-popolo/274721/275262?ref=vd-auto&cnt=1 J4Y
Citazione di: green demetr il 02 Maggio 2017, 15:02:46 PM
x PAUL
cit paul
"Porre la soggettività significa che l'uomo si presenta come agente conoscitivo(gnoseologia o epistemologia) che media fra opinione e verità, fra divenire ed eternità . Quindi la domanda di Sini è giusta: in quale prospettiva si pone l'agente conoscitivo che dichiara e definisce i domini se non a partire da se stesso? L'ontologia iniziale di parmenide quindi ha un nuovo sviluppo nella epistemologia, vale a dire la conoscenza dell'essere viene indagata e si porrà nella costruzione della prima dialettica dell'elnchos, quando Aristotele porrà la logica e le categorie.
Il fatto che Platone sia anche l'iniziatore della " Tecnica" che viene interpretata da molti come ll'oblio dell'essere contraddittorio e dell'Occidente sarebbe tutto da analizzare con appunto l'analitica dell''essere ch ea mio parere nessuno ha mai risolto, compreso Heidegger. Una cosa è certa, il neo platonism o,lo stesso Plotino utilizzeranno Platone nella indagine teologica dentro il cristianesimo."
Come scritto a Maral, stiamo parlando di Heidegger e non più di Nietzche. A mio parere siamo OT.
Siamo d'accordo a dire che Platone è metafisico, che è stato il primo a mettere l'attenzione sul soggetto.
Siamo d'accordo a dire che la gnoseologia dell'oggetto che si da al soggetto sfoci nella storia della tecnica.
Non siamo d'accordo a dire che la colpa è di Platone, perchè è come se noi si tralasciasse la teoria del bene, che invece è assolutamente fondante in Platone.
Siamo d'accordo a dire che Heidegger non ha risolto l'analitica dell'Essere, semplicemente perchè per Heidegger non esiste l'analitica dell'Essere! ;D
Esiste invece l'analitica dell'essente, ossia dell'uomo (che è quella che gli interessa ad H.).
In realtà l'analitica è la storia della medianità di ciascun ente (e del suo rapporto con l'ESSERE). Quindi si potrebbe anche fare di un oggetto etc...Cosa ben diversa da quella proposta da te.
cit paul
"E' interessante come rapporto fra filosofie e come storia della cultura.perchè è al tempo di Heidegger e prima di Nietzsche che vivono le ideologie in rapporto alla tecnica come antitesi storica che esploderanno nel comunismo, fascismo, nazismo,, ma da sempre il cristianesimo,contro il concetto positivistico( del progresso tecnico che ha ulteriormente espropriato l'essere, inteso come uomo entificandolo, facendolo diventare "una cosa", un fenomeno)"
Non è per niente chiaro, caro amico mio!!
Il progresso storico tecnico non ha esproriato l'uomo della sua destinalità (che appunto è tecnica), bensì della possibilitò di pensare il rapporto originario con L'essere.
Infatti l'alienazione è l'oblio della propria valorialità.(della possibilità di pensarsi come rapporto con l'originario).
In parole povere l'uomo dimentica di essere una struttura e diviene vittima della propria produzione, pensandosi come struttura della propria produttività, e non della sua storia.
Nietzche c'entra poco con tutto questo discorso ripeto. :'(
...non siamo ot, a volte è meglio avere riferimenti su un filosofo che ha studiato a fondo un'altro, Heidegger su Nietzsche in questo caso, che non leggere insensatezze.
E' Nietzsche che è contro Platone, non il sottoscritto.
Non mi riferisco solo ad Heidegger sulla soluzione dell'analitica dell'essere, che ha comunque svolto a modo suo con l'esserci. Secondo te cosa sarebbe l'essente?Non hai capito che la metafiscia ha una storia di formulazioni diverse dell'essere? Non è necessario definire direttamente l'essere basta inserivi regole, forme, sostanze, dinamiche,ecc.C'è chi lo chiama spirito, chi lo chiama Uno, chi vi inserisce una coscienza, una regola d'identità, certo cambiano dinamiche, ma rimane metafisica.
E quale sarebbe il rapporto uomo con la struttura originaria?
Il destino nella tecnica nasce proprio dalla contraddizione nel rapporto originario e si fa storia .
Se Nietzsche non c'entrasse con tutto questo perchè contesta quella metafisica, perchè lo fa?
avrebbe potuto ignorarla........
Nietzsche non è fuori dai giochi,non è altro da tutto questo è inutile vaneggiare su un pensiero di Nietzsche che è poco concettuale e molto eufemistico.
Stai girando in giro Green, deciditi: Nietzsche è o non è l'ultimo metafisico?
Se non lo fosse allora cosa è ( attento a non contraddirti :D)?
ciao
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
XJean
Poetico ed attento alle tragedie che attraversano molti luoghi ancora del nostro pianeta. E forse non sai neanche quanto tu abbia ragione. Ma la mia domanda a Green scaturisce da alcuni richiami al porsi contro qualcuno senza mai specificare chi e in quale modo. L' ultimo proprio in una breve risposta nella discussione Essere e divenire che potrebbe esserti passata inosservata.
Ma nell' attesa che Green risponda sia a me che a Paul 11, con cui non sono assolutamente d' accordo, è meglio forse riprendere il cammino perché a quanto pare non si ci schioda dalle proprie posizioni ed allora l' argomento invece che aiutare rende tutto più difficile.
La situazione comunque è questa. Nietzsche in Crepuscolo degli idoli abbatte, annulla il mondo vero e con esso anche il mondo apparente.
COME IL "MONDO VERO" FINI' PER DIVENTARE FAVOLA ( Storia di un errore )
5. Il " mondo vero" - un' idea che non serve più a niente, che non vincola nemmeno più - un' idea divenuta inutile, superflua, dunque, un' idea confutata: eliminiamola! ( Giorno chiaro; prima colazione; ritorno del bon sens e della serenità; rossore di vergogna di Platone; baccano indiavolato di tutti gli spiriti liberi ).
6: Il mondo vero lo abbiamo eliminato: quale mondo è rimasto? quello apparente forse? ....Ma no! Col mondo vero abbiamo eliminato anche quello apparente! ( Mezzogiorno; momento dell' ombra più corta; fine dell' errore più lungo; culmine dell' umanità; INCIPIT ZARATHUSTRA ).
Anche se vorrei dirti, caro Nietzsche, che qui a più di cento anni dalla tua morte c' è ancora chi non crede a quello che io leggo in questa tua sepoltura della Metafisica, e preferisce credere ad Heidegger o a quello che altri dicono che Heidegger affermi perché è soltanto quello che si vuole sentir dire.
Le cose stanno così, altro che insensatezze. E se mi sono sobbarcato la lettura e il resoconto di Genealogia della Morale e Il Nietzsche di Heidegger è anche nel tentativo di rimuovere le difficoltà inerenti al suo annullamento della Metafisica: Essere, non-essere, Dio, Platone, l'Uno il Due e tutto il resto. Certo non ritengo affatto che ci possa essere qualcuno che possa ritenere che Garbino affermi quale sia il miglior modo di leggere Nietzsche, ma non vedo proprio come si possa leggere diversamente quanto scritto in Crepuscolo degli idoli.
Ah già, ma Nietzsche ne ha scritte di contraddizioni, naturalmente quando fa comodo che le scriva e non quando afferma cose che accettiamo.
Grazie per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Necessaria premessa, comunque la si voglia mettere ciò che è Nietzsche in sé non credo che possiamo stabilirlo, nemmeno compiendo la più completa e dettagliata analisi delle sue opere. Che lo si voglia o meno, che ci si senti o meno gli scopritori del Nietzsche autentico, di quello che lui veramente volesse dire, è impossibile esserlo. In primo luogo perché Nietzsche non segue un filo sistematico né lo intende seguire (semmai siamo noi, insieme ai suoi grandi esegeti e critici, con le nostre piccole interpretazioni a imporglielo del tutto indebitamente e quindi tradendolo proprio con pretese sistematiche) e poi perché Nietzsche inevitabilmente cambia nel corso delle sue stesse opere e credo di poter dire, per quel poco che ne so, che i fili conduttori in esse sono molteplici e pure contraddittori, anche lui d'altra parte è sottoposto al divenire, non è un monumento (ma poi anche i monumenti più saldi cambiano benché li si erigano con la illusione di non farli mai cambiare).
Quello che posso ribadire è che se Nietzsche ha uno spessore filosofico (e penso che lo abbia in modo assolutamente dirompente e sono d'accordo con Heidegger che fu il primo a riconoscergli il grandissimo genio filosofico), questo spessore non possa prescindere dal contenuto metafisico del suo pensiero, anzi è proprio questo contenuto a conferirglielo. Ridurre Nietzsche a una polemica anti pretesca, anti cristianesimo o comunque anti (anche se è pure questo, ma non solo) non gli rende certo giustizia, come non gli rende giustizia cancellare l'eterno ritorno o la volontà di potenza come divagazioni metafisiche inappropriate per noi immanentisti di sicura osservanza empirica, originalità di qualcuno già in cammino per il manicomio. Certo in Nietzsche c'è pure la follia, ma è una follia particolarmente lucida e cantante (fino all'ultimo decennio di totale silenzio), una follia grandiosa e certamente, proprio per questo estremamente rischiosa (e la storia lo ha dimostrato).
All'amico Garbino mi limito a dire che fa bene a credere solo in quello che vede, lo si fa fondamentalmente tutti, persino Platone che riteneva che sopra quello che si vede ci sia un mondo puramente ideale (ma è poi vero? Sinceramente non ne sarei così sicuro, non sono così esperto di Platone e i suoi dialoghi sono enormemente affascinanti anche per il modo immanente con cui li mette in scena e ne cura le scenografie, e il Socrate che conosciamo e che Garbino gli contrappone resta il suo Socrate, ossia il personaggio Socrate dei suoi dialoghi, che lui amava e interroga sulla cosa che più gli resta incomprensibile e insieme lo illumina: quella scelta di morire del suo maestro).
Solo credo di poter aggiungere che quando si crede in quello che si vede, occorre andare sempre cauti, perché quello che si vede è quasi sempre, per non dire sempre, quello che si pensa o si crede di vedere. Si vede con la mente, non con gli occhi e la mente vede il significato delle cose, non le cose, vede il loro farci segno. E i significati sono veri, ma solo nei contesti a cui si riferiscono ove li verifichiamo, dunque occorre fare attenzione ai contesti da cui veniamo posti con le nostre credenze di vedere e non credo sinceramente che la filosofia possa essere ormai altro che questo (che è fondamentale) e lo si deve anche a Nietzsche. Ma questo è un discorso che va oltre il tema qui presentato, quindi lo riprenderò altrove.
Mi riservo invece prima o poi una risposta sia pure sommaria alla lunga risposta che Green mi ha generosamente indirizzato (in cui noto che gli piace giocare con la matita rossa ;) ). Non vorrei deluderlo e certamente la merita. :)
Vengo a Green verso il quale mi sento un po' debitore viste le sue dettagliate osservazioni sul mio post. Sorvolo sulla risposta breve, in merito alla quale un accenno l'ho già fatto nella premessa (il Nietzsche di Derrida, quello di Severino, quello di Heidegger e anche quello di Green, non sono nessuno il vero Nietzsche, che chissà quale fosse e si possono misurare solo in relazione allo spessore filosofico delle rispettive argomentazioni). Passo quindi direttamente ad alcuni punti della risposta lunga tentando di mantenermi breve.
Citazione di: green demetr il 02 Maggio 2017, 15:01:14 PM
Certo sarebbe la filosofia dell'evento. (se poi vuoi chiamarla dell'eterno ritorno sia pure, per me è comunque una inapropiatezza).
Non lo metto in dubbio che per te lo sia. Così comunque si esprime Nietzsche in "Così parlò Zarathustra":
http://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaN/nietzschehg5f03eb.htmMi ispiravo a questo.
Non credo che comunque N. intenda l'attimo come una convenzione temporale o "una astrazione (un prodotto del mentale)" come dicevi più avanti.
CitazioneNon capisco cosa sia la coscienza totale del divenire, temo che siamo alle solite, una autocoscienza del divenire?
Il virgolettato intendeva indicare che la frase era presa dalla citazione di Garbino dell'aforisma 72 come già da lui riportato. Io la intendo appunto come visione completa del divenire che è un controsenso, sarebbe possibile solo dal di fuori del divenire stesso.
CitazioneNon ho ben capito il sillogismo, intendi dire che l'essere è la morte?
vita primordiale non è l'essere = animalità non è la morte
essere è divenire = morte è vita primordiale (l'animalità che si riproduce)
Se però sostituiamo i termini
allora
la vita primordiale non è la vita primordiale = animalità non è la vita primordiale.
Il che è contraddittorio.....
Intendevo dire che la zoè (nel senso greco) non conosce la morte, la esclude. E' vita infinita di tutti gli esseri viventi (zoa), senza caratterizzazioni, contrapposta alla vita finita e caratterizzata del bios che incontra la morte. Scrive Kerenyi nel suo magistrale saggio su Dioniso: "zoè è il livello minimo della vita, con il quale soltanto la biologia ha inizio... è non morte". Alla zoè corrisponde il tempo della festa dionisiaca più che quello dell'evoluzione darwiniana. Credo rappresenti certamente il divenire nella forma più pura. in cui la morte è un momento diveniente della vita stessa.
Citazionecit maral
"Essere e Divenire sono a questo punto la stessa cosa"
Il che è contraddittorio infatti.
Infatti, è proprio il divenire a essere contraddittorio.
Citazionecit maral
"E certo che a volerli separare per mettere l'Essere fuori dal Divenire, considerare la cosa come è in sé, si ottiene solo la denigrazione del mondo."
Il divenire caro maral è all'interno dell'essere....andiamo è Severino!
Direi proprio di no, il divenire per Severino è una contraddizione assoluta che va esclusa, quanto all'essere parmenideo è niente. Severino parla dell'Apparire e del Destino, che sono concetti ben diversi dal Divenire e dall'Essere (e sicuramente l'Apparire non può essere assimilato al Divenire, proprio in quanto apparire del Destino)
CitazioneIn che senso la denigrazione del mondo???
Ho tentato di spiegarlo successivamente, il mondo, che è divenire, viene misurato solo in riferimento all'essere, per questo si afferma che ciò che dura vale, ossia che vale il durare.
cit maralCitazione"E questo pensiero è di una portata deflagrante enorme, perché mette in crisi tutto il pensiero dell'Occidente, dalla religione, alla filosofia, alla scienza, ma è un pensiero che non viene da fuori, ma dalla stessa religione, filosofia e scienza dell'Occidente, le porta al culmine, torna all'origine e da si ricomincia daccapo. "
Credo di aver perso completamente le fila del tuo ragionamento qui.
Provo a interpretare. Ok non ci riesco. Sorry.
E' chiaro mi pare che Nietzsche capovolge i termini di valore, ma questo capovolgimento di un modo di pensare che giunge al suo compimento (finito significa essere perfettamente compiuto) era presente fin dall'inizio nel modo di pensare dell'Occidente: l'Occidente ha in sé fin dall'inizio la necessità del suo tramonto: ogni cosa infatti deve cominciare dal niente per finire nel niente.
CitazioneIl divenire è dunque l'uomo e non la sua terzialità la fisica, la giustizia o la natura.
Il divenire non può per Nietzsche essere l'uomo. L'uomo è destinato a finire, anche se è destinato a tornare in eterno.
CitazioneSe l'immanente avesse i caratteri valoriali di qualsiasi altra terzialità, foss'anco, attenzione, a quelli giusti dell'esistente, sarebbe una contraddizione in termini: appunto se l'immanente fosse giusto per un giudizio dell'esistente, ossia dell'uomo, non sarebbe più immanente.Il giusto di cui parla, ossia il valoriale si dà solo come descrizione ontologica rispetto e non a riguardo dell'immanente.
Su questo, per come l'ho capito, sono d'accordo. Ma nulla può sottrarre valore all'immanente, se non ha valore, è il porre al di sopra dell'immanente un trascendente che diventa unità di misura di ogni valore che dà valore negativo all'immanente.
CitazioneMa l'Essere in tutto questo non è MAI tirato in causa. (altrimenti avrebbe ragione Heidegger a considerate Nietzche l'ultimo dei metafisici. Cosa che non sarà mai.)
Invece mi sembra che tu consideri la stessa cosa Essere ed Ente.
A dire la verità l'Essere non lo considero proprio per niente.
CitazioneCon oltre uomo, Nietzche non intende un nuovo tipo di essere umano, bensì degli stessi uomini oltre la storia della metafisica.
Questo la sento molto come una tua interpretazione, non c'è nulla di più discusso di chi sia per Nietzsche l'Oltreuomo/Superuomo, sono contento di vedere che tu te ne sei fatto un'idea chiara, sulla quale però al momento non mi sento per nulla di concordare. Parlare di un uomo dopo la fine della metafisica mi sembra già molto azzardato.
CitazioneOra ridurre la questione alla volontà di potenza (ipotesi biologista, neo-darwiniana) e all'eterno ritorno (ipotesi riduzionista cosmogonica), devo dire che comincia a darmi noja.
Ma Nietzsche che to lo voglia o meno è quello, è la volontà di potenza ed è l'eterno ritorno, che lui considera il suo pensiero abissale e direi davvero conclusivo, anche se a te dà fastidio. La volontà di potenza non è semplicemente un'ipotesi biologistica (che comunque a essa si può collegare e comunque sarebbe interessante considerare i rapporti tra Nietzsche e Darwin), ma mi pare derivi da un lato da Schopenhauer (il mondo come volontà e rapprentazione), dall'altro con l'affermarsi di una visione dionisiaca tragica che lo porta a incarnarla nella figura dell'Ubermensch. E l'eterno ritorno credo non possa essere ridotto a un'ipotesi cosmologica (anche se Nietzsche si inventa pure una cosmologia), ma è la necessaria conseguenza della volontà di potenza che vuole essere assoluta.
CitazionePerchè non concentrarsi invece sul lascito vastissimo e incommensurabile ai riduzionismi faciloni e snervanti.
(magari ci si renderebbe conto delle incredibili cantonate che sto leggendo) :'(
Perché tra una cantonata e l'altra magari di riesce ad arrivare da qualche parte, mentre credendo di trovarsi sulla retta via si va a prendere sempre la stessa cantonata senza andare da nessuna parte (che è poi quello che dicevo in premessa).
Non prendertela Green, i tuoi interventi restano sempre comunque tra i più stimolanti :)
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Aspettavo Green ma non si fa vivo perciò ritengo doveroso rispondere a ciò che Maral ha argomentato e che ringrazio come sempre. So di non essere all' altezza di alcune tematiche ontologiche, e se necessario comunque cerco di argomentare quanto rientra nella mia opinione, ma se qualcun altro lo fa per me ed in un modo che mi appare migliore non è che mi lamento. Ma naturalmente lo sfondo o il nocciolo o i noccioli sono altri e la loro risoluzione non facile.
X Maral.
Perfettamente d' accordo con te che Nietzsche raramente sia realmente sistematico, ed infatti anche quando segue comunque un filo logico o un piano logico raramente riusciamo a riscontrarlo. Come appunto, mi sembra di averlo accennato ma non ne sono certo, accade, a mio avviso, in Genealogia della Morale, dove alla fine tutto torna. Anche il partire dall' argomento ' Buono e malvagio ' 'Buono e cattivo '.
Scusa piccola divagazione proprio stamattina ho trovato in libreria l' opera La volontà di potenza con tutti i suoi scritti inediti ordinati dalla sorella e da Gast ( diamine!!! ben 1964 aforismi ) al prezzo di 14 euro e l' ho subito acquistato ritenendolo un buon prezzo, per altro molto inferiore a quello che mi aspettavo visto che precedentemente costava Quarantamila delle vecchie lire. Appena avrò qualche novità lo comunicherò in questa discussione. Chiusa divagazione.
Ma pur essendo d' accordo con te, certo tu non puoi non considerare che io comunque delle opinioni me le possa essere fatte e che possano essersi talmente stabilizzate da ritenere che difficilmente possano essere rimovibili. Allo stesso tempo so di sicuro quanto in esse possa esservi celato molto di me e quanto possa addebitarsi ad una mia eventuale incapacità ad inquadrare complessivamente il suo messaggio filosofico. Ma ciò non inficia che io possa avere delle opinioni e che abbia tutte le ragioni per difenderle. E questo è un punto.
Per quanto riguarda il Nietzsche Metafisico, io non ho mai detto che lui non si interessi di Metafisica, perché se decide di scrivere quello che ha scritto in Crepuscolo degli idoli significa che comunque lui ne ha una grande conoscenza. Ma da qui ad ammettere che il contenuto metafisico del suo pensiero segua i canoni della Metafisica Classica e che lo spessore maggiore, sempre del suo messaggio, sia proprio il fatto che non se ne discosti, e che il valore del suo messaggio riguardi proprio l' ambito metafisico mi sembra assai arduo da affermare. Anche perché il suo valore potrebbe proprio risiedere nel contrario e cioè che se ne discosti e che prenda posizione nei confronti della stessa. Ma ciò non toglie che io possa avere le mie opinioni in merito e difenderle. Secondo punto.
La questione di Socrate è purtroppo incredibilmente difficile e resta ancorata ad una analisi che non può che essere che teorica, visto e considerato che non ci ha lasciato niente di scritto. Ma nessuno può affermare che i dialoghi riflettano verosimilmente ciò che nella realtà è accaduto. Non sappiamo cioè quanto in essi vi sia di Socrate e quanto di Platone. La mia opinione personale, e che si distacca anche da quella corrente, è che Socrate finisce nel momento in cui Platone ci presenta gli argomenti come verità. Quando li svolge fino in fondo dando delle risposte. Tanto che incomincio a dubitare che lo stesso paradigma ragione-virtù-felicità sia di Socrate o che comunque Socrate lo abbia posto come Platone ci tramanda. E questo sempre perché quando quando ci troviamo di fronte all' affermazione di Socrate di sapere di non sapere, ritengo addirittura contraddittorio che poi possa affermare di possedere qualsiasi verità. Ci sarebbe una marea di cose da aggiungere ma qui metto il terzo punto.
Sul fatto che tutti si basano su ciò che vedono ho sinceramente qualche dubbio. E lasciando da parte per un attimo la Metafisica, parliamo del fatto che pochi vanno a leggere le opere a cui si riferiscono e si fidano invece di ciò che dice Heidegger, o Severino o qualcun altro, ma, e questo è assurdo, diverse volte non avendo letto né l' uno né l' altro, e affidandosi a ciò che dicono altri di quel che dicono questi filosofi intorno a Nietzsche, alla Metafisica o altro. Al che piuttosto che di filosofia mi sembra che si sia al cospetto del caos. Oltretutto se si ritiene che Garbino non è capace di saper leggere Nietzsche o Severino o Heidegger, come si può ritenere poi di essere capaci di capire gli stessi attraverso ciò che altri dicono su di loro e che si possa ritenere di capirlo meglio di Garbino che invece raramente esprime opinioni su ciò che non ha letto alla fonte? Mi sembra un pregiudizio che personalmente non mi arrischierei mai a concepire né soprattutto a formulare. Quarto punto.
Sull' argomento dei contesti invece non ho nulla da eccepire e ritengo anch' io che la sua discussione ci porterebbe molto lontano. Perciò condivido pienamente la tua decisione di rinviare ad altrove l' eventuale approfondimento.
Comunque quello che ho scritto nel post a cui ti riferisci è soltanto l' inizio del percorso sul diritto al futuro che avevo in mente di aprire e che sicuramente necessita di riprendere in esame quanto da Nietzsche affermato e ricollegarlo a tutto ciò che Nietzsche ha scritto sull' argomento.
E' un' indagine ed analisi lunga ma indispensabile, sempre a mio avviso, se si vuole uscire dall' empasse in cui ci si ritrova e che rimane comunque non solo di difficilissima trattazione ma soprattutto di difficilissima risoluzione. Mio caro Maral il cammino è appena incominciato.....
E' o non è il momento dell' INCIPIT ZARATHUSTRA??..........
Grazie della cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta
Garbino, sono in generale d'accordo con la tua risposta e in particolare sulla necessità di analizzare le fonti di ciò a cui ci si riferisce: per tentare di capire Nietzsche occorre aver letto e studiato Nietzsche, per tentare di capire la lettura di Heidegger su Nietzsche, occorre conoscere bene il lavoro di Heidegger e chi fosse Heidegger, quello che ha scritto lui, non c'è dubbio. E trovo che qui il paziente lavoro che tu fai su Nietzsche, guidato dalla tua passione per Nietzsche, sia ammirevole e profondo. Ma a mio avviso lo è soprattutto nei termini della relazione Garbino-Nietzsche, ove è comunque Garbino che ci parla di Nietzsche, con le sue passioni e quindi (e vale per chiunque) con i limiti prospettici che queste passioni vengono a stabilire e che non sono solo limiti, ma contorni che restituiscono a chi legge un significato di Nietzsche sul quale si potrà ancora argomentare, mettendo in gioco le proprie prospettive, quello che si sa e non si sa e quello che ci si immagina di sapere. In tal modo non sarà tanto la verità oggettiva su Nietzsche ad emergere, ma la nostra verità ai nostri stessi occhi e della cui emersione Nietzsche è il catalizzatore.
La figura di Socrate la sento per questo fondamentale, noi abbiamo solo il Socrate raccontato da Platone, non ce ne sono altri (anche se poi Foucault, la Harendt, lo stesso Nietzsche in alcuni aforismi ne hanno poi dato le loro profonde e appassionate versioni) e si dice pure che Socrate sia stato il vero iniziatore della filosofia, prima di lui c'erano solo sapienti (gente che sapeva di sapere, magari per rivelazione da una Dea sia pure da valutare attentamente, come per Parmenide), non filosofi. E in fondo Platone a sua volta interroga il suo maestro e continua nei suoi dialoghi a interrogare il suo maestro: "Chi è davvero Socrate?" è la domanda. Socrate dice che, poiché riteneva di non sapere, un bel giorno, si mise a chiedere a tutti i suoi concittadini cosa sapevano e notò che chi era ritenuto più sapiente sapeva meno delle persone del popolo e degli artigiani, che almeno quello che facevano lo sapevano fare (è Platone a raccontarcelo), e alla fine, con tutto questo suo chiedere agli altri cosa sai, e quindi chi sei, finì con il dare un grande fastidio a tutti e così fu messo a morte, cosa che lui accettò tranquillamente, senza chiedere a nessun Dio perché lo avesse abbandonato, ma solo chiedendo di sacrificare un gallo a Esculapio. Il personaggio platonico di Socrate ci svela un Platone diverso da quello che siamo abituati a considerare e a questo punto potremmo anche chiederci chi fosse davvero Platone, solo l'inventore di quel mondo ideale che ci ha tramandato la tradizione metafisica e poi il cristianesimo mistico? Sappiamo che la sua ambizione giovanile sarebbe stata quella di fare il commediografo e vincere il premio nelle feste ateniesi e i suoi dialoghi infatti restano costruiti come commedie, con un'ambientazione scenografica curata con un dettaglio che nessun altro filosofo dopo di lui ha mai più ripetuto, come se l'arte teatrale non avesse nulla che fare con la Filosofia con la F maiuscola. Sembrerà strano, eppure la filosofia in un certo modo, viene proprio dall'arte teatrale che mette pubblicamente in scena la vita e l'arte teatrale dai canti danzati e mimati delle feste dionisiache. Nasce da una domanda che incontra la vita, che è la stessa domanda di Socrate-Platone e a cui ogni filosofo tenta di rispondere a suo modo, senza che nessuna risposta definitiva giunga mai a darsi, ogni risposta seriamente ascoltata solo inaugura la sua catastrofe e questo irrita terribilmente, per questo è una tragedia, o cosa buona solo per chi ama sprecare il suo tempo, ma è anche una danza e quindi è una festa che ci ritorna sempre. E' la domanda che i grandi filosofi del passato ancora rimbalzano su di noi: cosa sappiamo? Chi siamo? Come già Socrate a Gorgia e mi si perdoni la divagazione.
cit maral
"Non credo che comunque N. intenda l'attimo come una convenzione temporale o "una astrazione (un prodotto del mentale)" come dicevi più avanti."
e perchè no? Nietzche ragiona a lungo sull'impatto del giudizio soggettivo e dei suoi errori metafisici.
comunque mentale è un termine che rimanda a strane ipotesi che vanno per la maggior oggi, felice di sbagliarmi nel caso.
cit maral
"Intendevo dire che la zoè (nel senso greco) non conosce la morte, la esclude. E' vita infinita di tutti gli esseri viventi (zoa), senza caratterizzazioni, contrapposta alla vita finita e caratterizzata del bios che incontra la morte. Scrive Kerenyi nel suo magistrale saggio su Dioniso: "zoè è il livello minimo della vita, con il quale soltanto la biologia ha inizio... è non morte". Alla zoè corrisponde il tempo della festa dionisiaca più che quello dell'evoluzione darwiniana. Credo rappresenti certamente il divenire nella forma più pura. in cui la morte è un momento diveniente della vita stessa."
Scrive Agamben che la zoe è la nuda vita.
Scriveva Focault la battaglie contemporanee sono atte al dominio del bios inteso coem riducibile a mera zoe.
Dico solo questo. Mi sono stufato di litigar per oggi.
cit maral
"Direi proprio di no, il divenire per Severino è una contraddizione assoluta che va esclusa, quanto all'essere parmenideo è niente. Severino parla dell'Apparire e del Destino, che sono concetti ben diversi dal Divenire e dall'Essere (e sicuramente l'Apparire non può essere assimilato al Divenire, proprio in quanto apparire del Destino) "
No abbi pazienza, il divenire è la contradizione assoluta dell'essere, e necessita di tale contradizione per essere vera.
Non possiamo farne a meno. Non ci sarebbe "destino" senza contraddizione.
cit maral
"E' chiaro mi pare che Nietzsche capovolge i termini di valore, ma questo capovolgimento di un modo di pensare che giunge al suo compimento (finito significa essere perfettamente compiuto) era presente fin dall'inizio nel modo di pensare dell'Occidente: l'Occidente ha in sé fin dall'inizio la necessità del suo tramonto: ogni cosa infatti deve cominciare dal niente per finire nel niente. "
In una sola parola Severino non ha capito niente di Nietzche. Sebbene la sua teoria del ritorno fa i conti con i precedenti paragrafi, e quindi giustamente è correlata alla volontà di potenza, e quindi mi sembra più logica di TUTTE le altre: rimane il fatto che lo scritto dice esattamente il contrario, non che il tempo viene battuto dal divenire, ma che il divenire si ripete come una clessidra. E quindi il divenire è all'interno del tempo. Passaggio oscuro e che non si vede come possa centrare con il fatto che la volontà vuole sorpassare il tempo. Ma evidentemente non ci riesce. Dunque Severino non ha capito nulla.
E non avete capito nulla nemmeno voi naturalisti che credete accecati che la volontà di potenza sia un fatto biologico.
(e invece è il bio-potere che vi fa dire così)
cit maral
"Il divenire non può per Nietzsche essere l'uomo. L'uomo è destinato a finire, anche se è destinato a tornare in eterno."
cosa è uno zombie??? finisce ma torna???? Maral non possiamo assumerlo come certo. Non ci sono elementi (scritti) di valutazione sufficienti.
cit maral
"Su questo, per come l'ho capito, sono d'accordo. Ma nulla può sottrarre valore all'immanente, se non ha valore, è il porre al di sopra dell'immanente un trascendente che diventa unità di misura di ogni valore che dà valore negativo all'immanente."
Ma perchè scusa? siamo d'accordo che ci deve essere un trascendente, ma quel trascendente è legato a doppia mandata all'immanente.
L'immanente in sè non vuol dire niente.
Leggi anche la stessa brillante argomentazione di Davintro.( prima di impazzire sulla logica modale americana, quella dei quantificatori etc..;) scherzo)
cit maral
"A dire la verità l'Essere non lo considero proprio per niente."
COMEEEEEE????? Sarà l'effetto Sgiombo! ;)
cit maral
"Questo la sento molto come una tua interpretazione, non c'è nulla di più discusso di chi sia per Nietzsche l'Oltreuomo/Superuomo, sono contento di vedere che tu te ne sei fatto un'idea chiara, sulla quale però al momento non mi sento per nulla di concordare. Parlare di un uomo dopo la fine della metafisica mi sembra già molto azzardato.""
Che gli interpreti non ci capiscano nulla è appurato, ma lui Nietzche lo scrive a chiare lettere in Umano Troppo Umano.
D'altronde questo 3d era nato molto bene, il diritto al futuro, è il diritto del pensiero oltre la metafisica classica.
Che poi ci siamo fermati nel pantano Heidegeriano: quella è una triste storia.
Se c'è un Nietzche "mio" stai tranquillo che lo dico, non sono come quei tristi ometti che ne parlano come se stessero dicendo il vero pensiero nicciano, salvo questi tristi ometti, andare a dire, al minimo accenno di critica, che era solo una loro opinione.
D'altronde a questi uomini buj interessa solo vendere il loro libretti ridicoli.
Nietzche è un respiro profondo, non è l'ansimare tossico della cultura isterica contemporanea.
cit maral
" ma mi pare derivi da un lato da Schopenhauer (il mondo come volontà e rapprentazione), dall'altro con l'affermarsi di una visione dionisiaca tragica che lo porta a incarnarla nella figura dell'Ubermensch."
tu stai scherzando vero? schopenauer viene presto abbandonato con le sue teorie ridicole induiste, e idem le cavolate del dionisiaco e dell'apolinneo (si fa per dire). Il nuovo pensiero Nicciano, quello che nessuno sembra comprendere, pur essendo (tranne lo zaratustra) scritto in maniera di cristallina limpidezza, inizi solo con Umano troppo Umanno.
Un tema come la guerra per esempio non c'era ancora nei pezzi giovanili, come ho avuto modo di constatare rispondendo a Garbino.
Cosa c'entra la guerra con la volontà di potenza darwinista e con l'eterno ritorno (ripeto 2 righe su migliaia di pagine eretto a pietra angolare di chi sia Nietzche, c'è della pazzia in tutto ciò, e non capisco come tu non faccia ad accorgertene!) proprio non lo so. ::)
cit maral
"Perché tra una cantonata e l'altra magari di riesce ad arrivare da qualche parte, mentre credendo di trovarsi sulla retta via si va a prendere sempre la stessa cantonata senza andare da nessuna parte (che è poi quello che dicevo in premessa).
Non prendertela Green, i tuoi interventi restano sempre comunque tra i più stimolanti "
mica me la prendo maral. ;)
se sono qua è sopratutto per i tuoi interventi sempre scritti bene, sempre molto apprezzabili a livello filosofico. Sei prezioso. Ma penso tu lo sappia già!
Avremmo potuto andare assai d'accordo quando ero 20enne, anche io avevo una idea di nice preconcetta. Poi il maestro è riemerso.
Rimane lì a mò di Iceberg in attesa di essere scrutato a fondo. Fa un freddo terribile a leggere le sue pagine.
perchè bisogna alzare la testa dalla coltre tossica in cui siamo invischiati. Si respira, ci si snebbia, e poi tornare nella coltre diventa sempre più difficile.
La scorsa estate fallii a leggerlo. Vediamo se questa estate si ripete la debacle.
:-[
x garbino (la tua risposta mi è costata 3 ore.....)Che fatica!
"La tua critica ad un verso di Blowin' in the wind di Dylan mi sembra inopportuna e forse significa che conosci poco la storia di quella canzone. Mio caro Green, Blowin' in the wind è stato il cavallo di battaglia di tutta la contestazione americana degli anni 60. E il vento era appunto il vento della rivoluzione che attraversava tutta la società americana a livello giovanile e che fu repressa anche con la Guerra del Vietnam richiamando molti giovani che avrebbero preferito combattere in casa per le cause civili e sociali del loro Paese che non in uno sperduto angolo di Terra del Pacifico. Ma soprattutto la mia citazione verte a constatare che nulla è possibile senza un vento che si alza contro le proprie catene sociali e civili e soprattutto economiche. E mi puoi dire tu dov' è questo vento? Contro chi alziamo la nostra voce, contro chi ci poniamo per raggiungere obiettivi rivoluzionarti di cambiamento senza un vento? Ma soprattutto anche in assenza di vento contro chi ci poniamo? Vedi tu un soggetto qualsiasi contro cui porsi e poter affermare: Sì, sono dalla parte giusta e contro la persona o categoria o altro giusta? C' è una categoria di persone che possa rappresentare comunque una volta messo in moto il tutto, ammesso e non concesso che si riuscisse nell' intento, a cui poter affidare il nostro futuro? Esiste, caro Green? Esiste o no? E guarda che desidero anzi pretendo una risposta poco evasiva e soprattutto convincente. Sempre con stima.
Grazie della cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta."
Caro Garbino veniamo finalmente a cose toste, cose reali.
Non sapevo della canzone di Dylan (non mi è mai piaciuto il suo blues, e la musica per me viene prima delle parole).
Gli anni 60 e gli anni 70, erano ideologici.
Una sana ideologia di protesta contro l'arrogante borghesia.
Sana nel senso forse come dici tu, di vento, di respiro oltra la coltre della ipocrisia.
Ma era pur sempre una ideologia, gente con in mano Marx e Adorno, che non capivano niente di Marx e Adorno.
Non lo dico perchè li conosco (marx qualcosina e adorno è una mia grave lacuna che conto di colmare presto), ma perchè ho letto in uno speciale del mensile DERIVE, in cosa consisteva quella protesta: era una protesta sui generis, COLMA fino all'inverosimile di moralismo bislacchi e di chiara derivazione cattolica.
Una protesta contro, senza sapere contro chi si va incontro.
Ancora oggi a pochi giorni dalle elezioni la sinistra invita a votare per il capitalismo, per lo spauracchio del fascismo.
Non ci stanno capendo NULLA, stanno sparendo dietro la loro TOTALE IGNORANZA, di quello che diceva il più grande dei MARXISTI, tale PREVE.
La lotta non è più sinistra destra. In quanto si è vista che era solo ideologia (solo per modo di dire, ci hanno perso la vita in molti). Mimesi di un potere più forte, quello del capitalismo.
Oggi l'unica lotta come diceva il compinato Preve è ALTO-BASSo, parole che vengono doppiate dal pensatore di destra BENVENISTE.
La lotta oggi è tra globalisti e antiglobalisti.
Non è una mera guerra ideologica, è sempre stata una guerra filosofica.
SOlo dallo scontro può nascere la verità di CHI SIAMO.
Ma questo scontro è anzitutto INtellettuale. Pensiero scandaloso, che non riesca MAI ad attecchire.
(Un caso su tutti Zizek, prima invita a votare TRUMP (giustamente) e poi dice di astenersi con la LEPEN.)
Perchè? perchè ha ricevuto attacchi su scala GLOBALE dalla sinistra, dal canale AL-JAZEERA, a quelli angloamericani, fino al solito becero idealismo di sinistra dell'intera europa!
L'ideologia è un mostro che ha raggiunto dimensioni globali.
Prendere parte contro, significa semplicemente mettersi nelle condizioni di vederlo subito questo MOSTRO.
(spaventarsi e fare retromarcia come ZIZEK)
E' nelle risposte della vita quotidiana, nelle manovre autolesioniste sulla sovrantià popolare, fino alla capillarità delle risposte dei nostri amci, parenti e familiari.
Non c'è spazio per la critica, non c'è spazio (pubblico) per la guerra intellettuale.
Prendere parte non significa meramente, schierarsi a livello politico (quello è irrilevante), quanto fare della politica, l'arma del nostro potere argomentativo si ciò che è reale.
Il reale non è il virtuale. Il reale è rendersi conto di cosa intendeva Nietzche quando parlava di Uomini e non di ideologie.
Cosa è l'uomo non è un facile biologismo (sempre smentito in atto, basta prendere qualsisi rivista biologica, per capire l'assurdità delle pretese)- E' invece facile prendere posizione: perchè dalla parte, qualunque nello spazio tempo siamo presi è la rivelatrice del matrix sotteso ad esso. Della matrice, del codice malizioso dietro a ogni nostro pensiero, che sia slegato dal nostro stare qui ed ora.
Contro chi dunque? contro il capitalismo, ovvio.
Da Weber in poi, dall'800 in poi ci si è resi conti che nessun illuminisimo è possibile senza smascherare la TEOLOGIA Che lo reggimenta.CHe lo gerarchizza.
Vuoi porti all'altezza dei tempi in un batter d'occhio? leggiti SUBITO "Agamben: cosa è un dispositivo."
E' un libretto agile, in un pomeriggio è letto. (viene prima di nietzche, prima di heidegger, prima di derrida)
Fattene una idea ragionaci sopra e forse poi potrai tornare a ragionare con Nietzche, che quelle cose le aveva capite in un attimo nello slancio vitale di un pensiero che spazzava via quelle (istanze) di tutti gli altri.
Allora ti vergognerai di aver creduto anche solo per un istante a qualsiasi biologismo. A qualsiasi cosificazione delle "cose umane".
ora vado sul personale non mi aspetto rispote.
Parlando dei motti se vuoi ti dico la mia posizione, ora adesso, ma è in evoluzione.
La prima cosa che ho notato è che ogni motto è minato dal suo contrario, ossia ogni motto ha in sè i caratteri della sua autodistruzione.
Non so se qualcuno lo ha teorizzato.
Col passare degli frequentando questi motti, ho colto il carattere eminentemente religioso degli stessi (ben prima che scoprissi cosa fosse la teologia politica), ne avevo perso il carattere gerarchico, semplicemente perchè ne ero dentro.
Il carattere religioso e qui vado con la mia teoria ha a che fare con la sua morte.
Un motto di persone si incammina verso il suo tramonto, e il suo cammino è la lunga litania, di promesse, di ideali, ma sopratutto di ricatti.
Chi decide cosa, il gruppo? Non è MAI stato così, e nemmeno nella storia è stato MAI così.
Qualcun altro decide, per avere poi il potere di stare con la tipa. Un incredibile carosello di idiozie, che nasconde il desiderio della donna.
E' la scoperta dell'acqua calda, messa a ferro e fuoco, a livello globale per es, nel caso di berlusconi e dei suoi festini.
LA COSIFICAZIONE DELLA DONNA, urlava in massa la sinistra globale, e abietta (come se non facessero la medesima cosa).
Ma il gruppo dove è MAI Stato??? dove mai si è visto un gruppo decidere.
La questione è troppo radicale per essere anche solo intesa. A mio parere bisogna entrare negli incubi privati di ciascuno.
Riscoprire impensabili superstizioni alla base del nostro interagire quotidiano.
Per ora ho scoperto solo la paura dei fantasmi.
La gente ha paura dei fantasmi, li evita. (questo ben prima che la new wave dell'horror asiatico esportasse a livello globale).
Ma per capire quelle superstizioni (e cosa altro non è che lo strutturalismo antropologico? vedi levi strauss, autore maximo per ripartire) ho imparato a mie spese, che cosa diavolo sia il discorso paranoico.
Le litanie dei moti, sono presenti anche nel continuo boffonchiare rancoroso delle persone, sui metro, nei bar, nei bistrò, per le strade.
Cosa diavolo è mi sono sempre chiesto.
E' stato sommamente difficile, capire che non solo gli altri, ma io stesso, era all'interno di questo rancore di fondo.
Questo rancore di fondo, è l'ideologia capitalista.
Non è semplicemente il fatto politico, perchè TUTTO è politica.
E se la politica è una solo ALLORA TUTTO diventa un invisibile muro di gomma.
I sentimenti ribalzano come impazziti, non c'è feed-back.
La gente non è in grado di effettuarlo.
Non riesce a sostiture quello che gli viene detto di pensare, con ciò che realmente pensa(molto banalmente anche se dolorosamente perchè non ci ha mai pensato).
Il risultato è il rancore.
L'intellettuale, suscita un rancore sordo a qualsiasi ragionamento.
Era già tragica così.
Ma dall'anno scorso ho scoperto, che non solo non riesce più a rendere voce al feed-back (dimodochè il feed-back avviene solo al non verbale) ma addirittura tenta di farlo, di farsi coraggio di farlo, DA UN ALTRO LUOGO, che non è il qui, oggi ma è come un DA SEMPRE.
(UN MALEDETTO MILLE VOLTE MALEDETTO "LUOGO COMUNE" CHE NON ESISTE).
Dunque garbino le persone esistono, eccome se esistono, è che non sanno proprio come comunicarselo "COSA DEVO FARE".
Perchè scambiano la verità per la falsità, era chiaro, fin dall'inzio....
mi ha rispoto nietzche da un altro tempo da un altro luogo. (non ci sarei mai arrivato da solo).
E penso che se hai capito, è tutto qui il SUO e il NOSTRO dramma.
bisogna tornare a comunicare. questo è tutto, con la propria testa.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
X Green Demetr, mi dispiace ma non ci siamo. Io pensavo di aver già sepolto l' ultima volta questo argomento, ma devo ravvedermi. Certo è che tradisci la tua intelligenza e Nietzsche se continui ad avere simili problemi di carattere politico. Comunque per non deluderti totalmente ti ripeterò i presupposti che identificano anche il massimo per cui un pensatore, come Nietzsche afferma più volte, appartiene all' epoca in cui vive. Il filosofo poi non vi appartiene affatto. Ma questo è un discorso che meriterebbe una discussione a parte e che ti prego di aprire se tu avessi dei dubbi. A mio avviso, due sono le rivoluzioni riuscite contro il capitalismo, quella sovietica e quella cubana. E ricordo che fu proprio Nietzsche a indicare la Russia come la Nazione in cui l' arco era più tirato, contrariamente a Marx che aveva pensato più all' Inghilterra. Comunque quella sovietica è terminata poco dopo ed è diventata qualcosa di diverso nel momento in cui Stalin è riuscito a sbarazzarsi di Trotsky e di Lenin. Al di là di cosa sia diventata ciò non toglie che da quando è caduto il muro di Berlino stiamo peggio tutti quanti. E questo perché il capitalismo ha accentuato la sua caratteristica predatrice in ogni parte del nostro pianeta. L' unica rivoluzione veramente riuscita perciò è quella cubana che aveva come faro soltanto Castro, visto che il Che era solo un grande organizzatore militare ma non un politico. E questa in fondo è stata fino ad adesso la fortuna di Cuba. Fortuna che comunque può ritenersi vincolata amche alla compresenza di un paese come l' Unione Sovietica che, in cambio di una rivisitazione di alcuni vocaboli in favore del comunismo, ha fornito una lunga protezione dal pericolo di azioni dirette statunitensi. Perché comunque bisogna sempre valutare che entrambe erano inserite in un regime capitalistico, e perciò entrambe hanno comunque dovuto raggiungere compromessi sia interni che esterni con le ideologie che le aveva ispirate. Io sono contro la globalizzazione, e non ho alcuna difficoltà ad ammetterlo, ma non è che arrestando quella, ammesso e non concesso che se ne sia capaci, poi avremmo abbattuto il capitalismo. Ed è già illusorio pensare che si possa arrestare la globalizzazione. Ed è per questo che non ci siamo, caro Green. Primo punto.
Come ti ho già comunicato ci sono due cose che mi rimangono totalmente estranee, la Metafisica e l' angoscia. Tanto che incomincio ad ipotizzare, a livello intuitivo, che dipendano direttamente l' una dall' altra e che entrambe dipendano dalla forza del bisogno metafisico. Io penso che tu abbia bisogno di un po' di riposo intellettivo e ti consiglio la lettura di tre libri che ti possono aiutare non poco, sperando che tu non li abbia letti. Il Signore delle mosche di Goodwin, To the lighthouse ( tradotto inopinatamente Gita al faro ma la cui traduzione sarebbe dovuta essere Verso il faro ) della Woolf e Affinità elettive di Goethe. Secondo punto e chiudo. Comunque sono sempre qui, caro Green.
X Maral
Forse non mi ero spiegato bene, ma condivido completamente ciò che tu affermi essere il rapporto che non solo Garbino, ma ogni persona stabilisce con un filosofo o altro. E che è poi il confronto con l' altrui pensiero che permette, di solito, un miglioramento sostanziale dell' opinione che ciascuno si fa del filosofo o altro. Il problema, e sono altrettanto d' accordo con te, riguarda la genialità di Nietzsche che, legata alla sua mancanza, o presunta mancanza di sistemicità, perché se è un genio è possibile che siamo noi a non riscontrarla, rende un confronto di opinioni sempre più difficile e complicato. Ma come mi sembra di aver già affermato, se approfondiamo l' argomento, questo problema si riflette anche su tutti i grandi, dato che addirittura su Platone Aristotele e Socrate spesso si riscontra molta incomprensione, come tu accenni, ed una differenza di opinione che può ritenersi sostanziale. Come pure c' è qualcuno che ne parla e dimostra di non avere capito ancora niente perché sostiene di averli compresi totalmente. I geni, sono d' accordo con te, si interpretano non si conoscono. Ma vi possono essere delle interpretazioni che a rigore logico possono essere più vicine alla loro comprensione di altre. E solo il tempo poi dirà, se lo dirà, deciderà se lo deciderà quali possano essere le interpretazioni che si avvicinano di più alla loro comprensione. E se siamo qui a prendere in esame i tre grandi dell' antichità, non so proprio quando ciò possa accadere per Nietzsche. Ma comunque rimango dell' opinione che dopo questi quasi quattro anni di preparazione e discussione, a cui anche tu hai dato e spero continuerai a dare un notevole contributo, sia l' ora che incominci a prendere atto che le mie opinioni si sono rafforzate invece che frantumarsi e che incominci a proporle in un modo diverso e difenderle.
Ci tengo a precisare che i grandi in Filosofia sono tutti i Presocratici che hanno aperto la strada ai tre grandissimi sopra citati, Cartesio per il famoso Cogito ergo sum, e Kant, Hegel e Schopenhauer che hanno preparato la strada agli altri tre grandissimi e cioè Nietzsche, Marx e Freud. Del resto salvo poco o niente. Qualcosa qui e là, anche se di solito si ha a che fare con credenti che cercano di mediare tra ragione e fede e i cui risultati sono spesso insignificanti. Questo sempre a mio avviso. Una citazione a parte meritano Heidegger e Severino che conosco poco e su cui perciò ritengo doveroso sospendere come al solito il giudizio. Anche se di entrambe ho trovato geniali alcune intuizioni e interpretazioni su Nietzsche, ma sulla cui filosofia conosco veramente poco per potermi esporre ad un giudizio.
Mi sembra di aver detto tutto quello che dovevo dire e come al solito ringrazio per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Citazione di: green demetr il 05 Maggio 2017, 21:19:31 PM
Scrive Agamben che la zoe è la nuda vita.
Scriveva Focault la battaglie contemporanee sono atte al dominio del bios inteso coem riducibile a mera zoe.
Dico solo questo. Mi sono stufato di litigar per oggi.
E quindi? Ho solo detto che la zoé si trova per l'uomo nella dimensione dionisiaca dell'esistenza. Che ci sarebbe da litigare?
Citazioneil divenire è la contradizione assoluta dell'essere, e necessita di tale contradizione per essere vera.
Non possiamo farne a meno. Non ci sarebbe "destino" senza contraddizione.
Direi piuttosto e solo per inciso che per Severino il Divenire è pura autocontraddizione e che nel Destino si manifesta la contraddizione C che non è autocontraddizione, ma contraddizione tra la fenomenologia dell'apparire e l'identità assoluta di ogni ente a se stesso.
CitazioneIn una sola parola Severino non ha capito niente di Nietzche. Sebbene la sua teoria del ritorno fa i conti con i precedenti paragrafi, e quindi giustamente è correlata alla volontà di potenza, e quindi mi sembra più logica di TUTTE le altre: rimane il fatto che lo scritto dice esattamente il contrario, non che il tempo viene battuto dal divenire, ma che il divenire si ripete come una clessidra. E quindi il divenire è all'interno del tempo. Passaggio oscuro e che non si vede come possa centrare con il fatto che la volontà vuole sorpassare il tempo. Ma evidentemente non ci riesce. Dunque Severino non ha capito nulla.
Mi suona piuttosto heideggeriana questa tua interpretazione, se si dà l'equivalenza tra tempo e Essere. Ma per Nietzsche la volontà di potenza deve (vuole) superare il tempo, non può starvi limitata trovandosi così annullata.
CitazioneE non avete capito nulla nemmeno voi naturalisti che credete accecati che la volontà di potenza sia un fatto biologico.
(e invece è il bio-potere che vi fa dire così)
E' un fatto biologico, ma non nel senso riduttivo dell'attutale scienza biologica.
Mi chiedo chi per te ha davvero capito Nietzsche? E cosa gli fa pensare di averlo capito?
Citazionecosa è uno zombie??? finisce ma torna????
Torna ogni volta finendo. Non possiamo darlo per certo, ma regge e dà un senso profondo e non semplicemente polemico al pensiero di Nietzsche. Lui stesso avvertiva l'eterno ritorno come il suo pensiero davvero abissale. Cos'era? Forse solo l'idea balzana di un matto?
CitazioneL'immanente in sè non vuol dire niente.
Pure il trascendente
in sé non vuole dire niente. Né l'uno né l'altro sono unità di misura, ma il loro punto di incontro, la morte dell'altro che appare a ogni individuo umano.
CitazioneChe gli interpreti non ci capiscano nulla è appurato, ma lui Nietzsche lo scrive a chiare lettere in Umano Troppo Umano.
Siamo tutti interpreti. Anche Nietzsche stesso in fondo. Ognuno lascia qualcosa da interpretare e sarà tradito dai propri interpreti e questo tradimento è doveroso e sacrosanto, è il diritto al futuro che fa di ogni monumento un resto che va sempre più rovinando. E' la sterminata panoramica di rovine che Nietzsche vedeva nel passato. Proprio questa rovina dà diritto al futuro.
Citazionetu stai scherzando vero? schopenauer viene presto abbandonato con le sue teorie ridicole induiste, e idem le cavolate del dionisiaco e dell'apolinneo (si fa per dire).
Appunto, il tradimento, anche di se stessi, soprattutto di se stessi. Ma nulla di ciò che viene tradito è davvero abbandonato, resta, eccome se resta e proprio in ciò che appare radicalmente nuovo.
CitazioneAvremmo potuto andare assai d'accordo quando ero 20enne, anche io avevo una idea di nice preconcetta. Poi il maestro è riemerso.
Già, come una rivelazione, capita.
Eppure sotto ogni rivelazione c'è sempre un preconcetto in attesa di essere demolito dalla prossima rivelazione. E' il tradimento, è per ciascuno il diritto al futuro.
CitazioneLa scorsa estate fallii a leggerlo. Vediamo se questa estate si ripete la debacle.
Fortunatamente si ripeterà, per questo merita di rileggerlo. :)
cit, maral
"Mi suona piuttosto heideggeriana questa tua interpretazione, se si dà l'equivalenza tra tempo e Essere. Ma per Nietzsche la volontà di potenza deve (vuole) superare il tempo, non può starvi limitata trovandosi così annullata."
E sono d'accordo (l'unico a dirlo tra l'altro è Severino, giusto per dare l'idea anche agli altri lettori di quanto gli interpreti di Nietzche siano fasulli).
Ma è proprio perchè sono d'accordo che non riesco a capire MINIMAMENTE cosa vogliano dire quelle tre o 4 righe, subito dopo: che diavolo c'entra la clessidra?
cit, maral
"E' un fatto biologico, ma non nel senso riduttivo dell'attutale scienza biologica.
Mi chiedo chi per te ha davvero capito Nietzsche? E cosa gli fa pensare di averlo capito? "
Non ho letto così tanto per poterlo dire.
ho centinaia di articoli che da anni dovrei leggere.
il fatto è che letti un paio, sono così deluso dall'incredibile superficialità che mi stufo subito.
Io sono all'inizio della salita, cerco dei compagni, non sono così forte da poter andare su speditamente.
Mi sembra che però un paio di punti li ho scritti pubblicamente su questo forum, e voglio proprio vedere se trovo qualcun altro che li riesce almeno a intravederli.
Io faccio del mio meglio. Ma i mali del vivere non sono certo quelli.
Mi rendo parimenti conto che serve chiarezza e concisività, sopratutto perchè almeno se non dobbiamo essere d'accordo, che lo sia per dei motivi chiari e intellettualmente onesti.
Per fare questo devo ordinare gli aforismo di UTU, dovevo farlo l'anno scorso, non ero dell'umore giusto, forse quest'anno.
cit, maral
"Torna ogni volta finendo. Non possiamo darlo per certo, ma regge e dà un senso profondo e non semplicemente polemico al pensiero di Nietzsche. Lui stesso avvertiva l'eterno ritorno come il suo pensiero davvero abissale. Cos'era? Forse solo l'idea balzana di un matto? "
Maral non lo so. Di certo non era una idea di un matto. E di certo non è quello che dici tu. Faccio polemica con i commentatori non con Nietzche. (o ci atteniamo al testo, o ce lo inventiamo punto e a capo) che poi l'invenzione regga, non dà adito che su quella invenzione si costruisca tutto il resto del pensiero nicciano, è intellettualmente disonesto.
cit, maral
"Pure il trascendente in sé non vuole dire niente. Né l'uno né l'altro sono unità di misura, ma il loro punto di incontro, la morte dell'altro che appare a ogni individuo umano. "
Il trascendente per me è l'apertura alla domanda di senso, una volta che l'attimo è passato.
Anche il trascendente in sè, per me non vuole dire niente. Deve semrpe essere relato ad un soggetto (idealismo tedesco).
cit, maral
"Siamo tutti interpreti. Anche Nietzsche stesso in fondo. Ognuno lascia qualcosa da interpretare e sarà tradito dai propri interpreti e questo tradimento è doveroso e sacrosanto, è il diritto al futuro che fa di ogni monumento un resto che va sempre più rovinando. E' la sterminata panoramica di rovine che Nietzsche vedeva nel passato. Proprio questa rovina dà diritto al futuro."
Queste posizioni da maestro zen le lascio a te e agli altri amici del forum. ;D ;)
L'interpretazione del monumento è invece il lascito (uno delle centinaia, forse migliaia) del Maestro.(da seguire).
Fare della sua interpretazione una qualsiasi interpretazione a me non interessa.
Spero tu mi capisca Maral. Per me Nietzche stabilisce la vera agenda del filosofo futuro, e io spero ,se lo trovo, anche (il filosofo) presente.
Poi ognuno interpreta comunque, questa va da sè. Ma bisogna scegliere dove stare.
Anche la posizione "zen" è una scelta d'altronde. (spero non vi offonderete).
cit maral
"Fortunatamente si ripeterà, per questo merita di rileggerlo. "
:) speriamo di no, dai!
cit garbino
"Ed è già illusorio pensare che si possa arrestare la globalizzazione. Ed è per questo che non ci siamo, caro Green. Primo punto."
Ma questa è una chiara posizione paranoica. >:(
note a margine:
Il comunismo ha fallito con la caduta del muro. 8)
Il fallimento sempre più evidente in tutte le nazioni occidentali di quella ideologia, è che non ha minimamente inteso l'ideologia capitalista. (non tanto il capitalismo in sè).
Russia e Cuba assomigliano molto a delle dittature, seppure si potrebbe dire come Sgiombo che funzionino meglio.
(e io al contrario di molti in questo forum, non faccio fatica a crederlo, sebbene io a Cuba e in Russia non ci sia MAI stato, mi fido però dell'esperienza di molti intellettuali scappati da Cuba).
Accenno per certo (vedi scrittori come Arenas) al problema del GENDER (l'omosessulità, perseguitata in entrambi gli stati).
Se il comunismo deve essere quello, lo lascio a te e a Sgiombo.
Ma comunque sia (anche rispetto a queste note a margine) mi sto riferendo alla battaglia ideologica, e non alle condizioni storiche (che posso solo presupporre non vivendoci).
Se tu pensi che non vi sia traccia in Nietzche di tutto questo: è un bel problema.
Ripeto come a Maral, lasciatemi ordinare UTU, poi lo citerà passo per passo (come piace a te, e pure a me) e vediamo come mi rispondete.
Per ora lasciamo pure passare sti 3 mesi in sordina.
cit garbino
Io penso che tu abbia bisogno di un po' di riposo intellettivo e ti consiglio la lettura di tre libri che ti possono aiutare non poco, sperando che tu non li abbia letti. Il Signore delle mosche di Goodwin, To the lighthouse ( tradotto inopinatamente Gita al faro ma la cui traduzione sarebbe dovuta essere Verso il faro ) della Woolf e Affinità elettive di Goethe. Secondo punto e chiudo. Comunque sono sempre qui, caro Green.
Non riesco più a leggere letteratura, nei miei 20 anni ho letto sopratutto autori della mitteleuropa, ho apprezzato tantissimo Poe, qualche autore francese (flaubert) e dopo aver letto Dostoevski penso che non possa esistere nessuno al di sopra.
Purtroppo non sono più riuscito a leggere la ricerca di Proust, l'unica vera pecca (grave) alla mie letture.
Gli autori inglesi e gli americani NON li sopporto.(odio persino Joice).
Sono saturo di letteratura e di poesia (tanta, tanta, troppa poesia, il mio autore preferito per distacco è Montale).
Ma ti ringrazio Garbino.
Per quanto riguarda il riposo intellettuale, direi che è il contrario!
Non c'è mai stato bisogno come oggi di intellettuali. L'esistenza di questo forum (fin che dura) è una specie di piccolo miracolo senza senso.
Il fatto che tu (o altri) non lo capiscano mi fa ancora più allarmare su come l'ideologia capitalista sia filtrata nella testa della gente.
cit spleen di Baudelaire
SPLEEN
Quando, come un coperchio, il cielo pesa greve
Sull'anima gemente in preda a lunghi affanni,
E in un unico cerchio stringendo l'orizzonte
Riversa un giorno nero piů triste dell notti;
5 Quando la terra cambia in un'umida cella,
Entro cui la Speranza va, come un pipistrello,
Sbattendo la sua timida ala contro i muri
E picchiando la testa sul fradicio soffitto;
Quando la pioggia stende le sue immense strisce
10 Imitando le sbarre di una vasta prigione,
E, muto e ripugnante, un popolo di ragni
Tende le proprie reti dentro i nostri cervelli;
Delle campane a un tratto esplodono con furia
Lanciando verso il cielo un urlo spaventoso,
15 Che fa pensare a spiriti erranti e senza patria
Che si mettano a gemere in maniera ostinata.
- E lunghi funerali, senza tamburi o musica,
Sfilano lentamente nel cuore; la Speranza,
Vinta, piange, e l'Angoscia, dispotica ed atroce,
Infilza sul mio cranio la sua bandiera nera..
l'angoscia dispotica e atroce infilza sul mio cranio la sua bandiera nera....
Caro Garbino fiuto l'angoscia della gente a centinaia di chilmetri di distanza.
Senza l'angoscia non c'è apertura al metafisico, hai intuito bene!
ma forse un giorno anche tu capirai....nietzche non è l'ultimo metafisico perchè è l'ultimo dei metafisici classici, ma perchè è il primo della NUOVA METAFISICA.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
X Green Demetr
Vedi caro Green, io ti faccio delle domande precise e tu tergiversi. E' inutile, siamo, ci troviamo su due piani diversi e tu continui a non capire o a non voler o a far finta di non voler capire quello che io affermo. Io non ho mai detto che le due rivoluzioni abbiano ottenuto il risultato di applicare uno schema nuovo e nemmeno che esso sia paragonabile ad un modello comunista. Né ho mai detto che l' ideologia comunista sia migliore di altre. Ho solo detto che la contrapposizione ideologica tra USA e URSS ha ritardato l' escalation predatrice del capitalismo. Inoltre io ho detto che il pensatore dovrebbe riuscire a saper leggere il presente, fare la sua valutazione sul contesto storico e schierarsi su ciò che ritiene sia più doveroso schierarsi. Ma pensare che ciò possa modificare le forze in campo o che possa portare ad un cambiamento della situazione politico-economica è pura utopia. La paranoia mi sembra che stia da tutt' altra parte che non nella mia testa. Che poi le condizioni di vita nei due Paesi in cui la rivoluzione è riuscita siano migliori è una mera valutazione di carattere opinabile, ma che molto probabilmente si avvicina alla realtà. E soltanto perché la contrapposizione tra le due ideologie ha avuto anche nei due Paesi effetti benefici.
Quello che io intendo, caro Green è che comunque gli utopisti non valutano mai il rapporto dell' uomo con il potere. E questo perché non ne hanno esperienza, e credono che basti modificare le condizioni culturali per modificare uno schema politico-economico. Balle, caro Green, soltanto balle. E' l' uomo che determina il presente, te l' ho già detto e non uno schema culturale. Anzi è proprio lo schema culturale che viene creato dall' uomo nell' attimo in cui lo crea. Nell' attimo in cui agisce. Quello che io affermo è che modificare uno schema politico-economico richiede molto di più di quello che tu pensi e che gli autori che mi hai citato pensano. Alla fine è tutta utopia e scarsa capacità di capire la differenza tra teoria e prassi. Inoltre e concludo tu mi chiedi in pratica di pormi come se io provassi angoscia e necessità del metafisico quando ho affermato a chiare lettere che mi sono totalmente estranee. Spero di aver spiegato in modo chiaro come la penso.
Ma adesso torniamo a Nietzsche e riprendiamo il nostro discorso. Nietzsche quindi in Crepuscolo degli idoli afferma che il " Mondo vero " è da eliminare, perché superfluo e che con ciò viene eliminato anche il " Mondo apparente ". Morte della Metafisica. Ma vediamo quello che Heidegger afferma su questa presa di posizione di Nietzsche. La volontà di potenza come arte pag. 204:
-....... Di conseguenza, il rovesciamento del platonismo e infine lo svincolamento da esso diventano una metamorfosi dell' uomo. Alla fine del platonismo sta la decisione della trasformazione dell' uomo......Il " mondo vero", il soprasensibile, e il " mondo apparente, il sensibile, costituiscono insieme ciò che si oppone al puro nulla; l' ente nel suo insieme.Se entrambe sono aboliti, tutto cade nel vuoto nulla. Nietzsche non può voler dire questo; vuole il superamento del nichilismo in ogni sua forma. .....-
Questa la presa di posizione di Heidegger. Mentre a mio avviso Nietzsche intende dire che non vi è più un aggettivo da accompagnare alla parola mondo da cui possa scaturire una contrapposizione con un altro mondo. Rimane soltanto il mondo in cui viviamo e sparisce ogni possibilità di presenza di un mondo al di là di questo in cui viviamo.
Altra cosa è l' affermazione che Heidegger fa sull' impossibilità che Nietzsche voglia proprio affermare ciò. Perché a suo dire il nichilismo può essere debellato soltanto grazie alla Metafisica. E ciò che Nietzsche vuole è il superamento del nichilismo. Anche questo argomentare però, sempre a mio avviso, è pretestuoso, dal momento che se Nietzsche la abolisce è perché ritiene ciò indispensabile. E se anche il suo intento fosse quello del superamento del nichilismo in ogni sua forma , ritiene che questo superamento sia possibile proprio soltanto attraverso l' eliminazione del " Mondo vero " e perciò della Metafisica.
A questo punto diventa interessante la domanda di Paul 11 sul perché Nietzsche decide di porsi in questo modo, perché cioè affossi la Metafisica. Se non ha intenzione di rimanere anche lui in una dimensione metafisica, che senso ha quello che fa? Questa è una bella domanda che cercherò di argomentare nel prossimo post.
Grazie per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
cit garbino
"E' l' uomo che determina il presente, te l' ho già detto e non uno schema culturale. Anzi è proprio lo schema culturale che viene creato dall' uomo nell' attimo in cui lo crea. Nell' attimo in cui agisce. Quello che io affermo è che modificare uno schema politico-economico richiede molto di più di quello che tu pensi e che gli autori che mi hai citato pensano. "
Ma questo che hai scritto è quello che vado dicendo e facendo da anni.(ed evidentemente non hai letto, o non vuoi leggere, cosa è un dispositivo di agamben). :)
Il fatto che si richieda molto di più degli insulsi schemini della politica, però non significa che la cultura non possa cambiare.
cit garbino
"Alla fine è tutta utopia e scarsa capacità di capire la differenza tra teoria e prassi. Inoltre e concludo tu mi chiedi in pratica di pormi come se io provassi angoscia e necessità del metafisico quando ho affermato a chiare lettere che mi sono totalmente estranee. Spero di aver spiegato in modo chiaro come la penso."
L'utopista non è nient'altro che colui che immagina nuove condizioni.
E allora sono 2 le cose, o sei d'accordo che questo possa succedere, oppure no. Non si dà una terza via.
Se pensi che non possa succedere la nostra conversazione finisce lì, e per me sei nella posizione paranoica.
(che significa che appunto in te il simbolo della morte è superiore a quello della vita).E' una mia opinione. :(
Ma allora anche Nietzche è un utopista. Dove sono i suoi super-uomini?
E quale sarebbe il diritto al futuro di cui finora avresti parlato, se non ci si può far niente?
Guarda che ho letto che rifiuti l'angoscia come chiave di volta del metafisico! io ho scritto solo, che forse un giorno capirai (anche tu) cosa sia l'angoscia. (che tu rifiuti o meno il metafisico)
Non mi pare di tergiversare.
E' ovvio che Nietzche pervenga ad una nuova metafisica, Secondo te il nichilismo non è la forma più acuta dell'angoscia?
E' ovvio che non sarà più una metafisica monolitica, con una idea precisa del VERO, ma nel suo danzare (con annesso il polemico come scritto da qualche parte da Maral), e cioè nel suo farsi, nel suo analizzarsi storico, temporale, si darà come di volta in volta come
comunità. (e la comunità è il nostro diritto al futuro: gli amici in poche parole).
La differenza con Heidegger non potrebbe essere più radicale. E sono contento che l'hai colta subito. :)
E per me si può liquidare così che Heidegger finisce col cadere di nuovo nella metafisica monolotica di un Essere.
A mio avviso è normale che finisca con la domanda "solo un Dio può salvarci". Non è uno scherzo fatto ai canali della tv. Come recentemente ho letto! (non su questo forum!).(A onor del vero però mantiene una certa ambiguità di fondo, perchè quell'ESSERE non lo definisce mai.)
In Nietzche non c'è traccia di alcun Essere. Fai bene ad insistere su quel punto.
Su quello saremo sempre d'accordo.
Metafisica di Nietzche è semplicemente il suo tentativo di dare un senso al mondo, una volta che ci si è resi conto dell'insesatezza del Mondo.(è una metafisica che riguarda soltanto gli uomini cioè).
il senso non è nel mondo, ma negli uomini.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro
X Maral.
Devo confessarti che alla fine mi sono risolto, non senza resistenze da parte del mio istinto che però questa volta aveva relativamente torto, a leggermi la Metafisica di Aristotele. Ed allora ho capito che la Metafisica varia da filosofo a filosofo e non sempre, anzi per Aristotele quasi per niente, si riferisce all' ultrasensibile, e che l' essere non è altro che la realtà nel suo insieme. Come spesso mi è accaduto è tutta colpa perciò della mia atavica difficoltà ad interessarmi di ciò che ritengo non mi interessi. L'unica parte ultrasensibile è relativa a Dio e cioè al Motore Primo che è fermo e che da il movimento a tutte le cose. Quella di Platone so per certo che è il Mondo delle Idee e su questo non ci piove, perciò incomincio ad avere un' idea di quello che è la Metafisica e cosa ciò comporti nel messaggio di Nietzsche. In pratica avevo sempre pensato che l' essere fosse ultrasensibile, e in parte lo è ma, almeno per Aristotele, è qualcosa che forse non capiamo ma di cui si ha continuamente esperienza. Dimmi se sbaglio perché sono ai primi passi e potrei anche dire corbellerie.
X Green Demetr
Intanto è positivo constatare che alla fine bene o male ci siamo, almeno spero, capiti. Per descrivere quello che sono ai tuoi occhi, posso dirti che sono utopico nello spirito, e perciò disposto al cambiamento e quindi vivo, ma troppo razionale nello sviluppo del pensiero e perciò morto sulla possibilità di cambiamenti utopici nel reale. Accontentati perché dovrei portare l' argomentazione a temi che ritengo ancora troppo presto argomentare. La poesia di Baudelaire è bellissima ma non mi ha proprio toccato. Capisco che ci possano essere persone che purtroppo vivono frequentemente quegli stati d' animo, ma non accade a me. Se hai letto bene il post precedente, per quanto riguarda il Nichilismo, ci sto arrivando. Ed è inutile che ti dia una risposta ad una domanda fuori da un contesto che probabilmente tu capiresti ma altri no.
Sulla tua affermazione riguardante il mondo del futuro basato su di una comunità di amici ( ti chiedo nuovamente dove tu l' abbia presa ) e sul fatto che Nietzsche tenti di dare un senso nel momento in cui ci si è resi conto dell' insensatezza del Mondo, ci andrei un po' cauto.
Quello che ti chiedo è soltanto di avere un po' di pazienza. Sto seguendo un filo che da tenue diventa sempre più forte e che forse, e dico forse, non so dove mi porterà. Forse all' Eterno Ritorno?.........
Grazie della cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Cari amici,
alla luce di quanto letto ieri sulla Metafisica di Aristotele e che ho esposto nel post di ieri, è doveroso fare un piccolo passo indietro ed inquadrare l' argomento con una prospettiva migliore di quella iniziale e cioè partendo dal capitolo sul Mondo Vero in Crepuscolo degli idoli. Ma prima, ritengo necessario dedicare due parole a Green Demetr.
X Green
Mio caro Green, ma come fai a farti coinvolgere da teorie come quella di Agamben e i suoi benedetti dispositivi? Mi ci sono voluti dieci secondi per pormi in maniera molto critica su tale teoria e dieci minuti per leggere tutto quello che c' era da leggere. Ma se non riesci a farti accendere una luce quando è necessario, il mio consiglio è di pensare a quello che direbbe Nietzsche su una teoria del genere!!! Te lo dico io cosa direbbe: carta scarabocchiata, in altre parole robaccia, con tutte le scuse per chi la ritiene importante e interessante. Ma sì, con le stesse dinamiche a livello storico che ha generato la Trinità, basta una profanazione del telefonino, del comunismo, del capitalismo, e tutto torna nella norma e cioè nella stupidità più completa, in ogni mente che vi si accinga. Ma come fai a non capire che proprio queste teorie sono a loro volta dispositivi che ti allontanano da ciò che è veramente importante??!! Proprio quei dispositivi di cui si serve il potere in generale e quello culturale, i filistei colti, e che tutto vogliono tranne che una rivoluzione a livello culturale. Devi leggere l' inattuale di Strauss bene, almeno cinquanta volte. Se non altro ogni volta ho riscontrato un sentimento di ilarità che comunque è sempre positivo.
P.s. Devi ancora indicarmi da dove hai preso la comunità di amici in Nietzsche.
Bene, ma torniamo alla Metafisica. Intanto bisogna mettere in evidenza che Nietzsche raramente confuta, e lo afferma anche apertamente diverse volte, affermando che le confutazioni non lo riguardano. E che proprio a livello metafisico si era già liberato del soprasensibile con la Morte di Dio e in tutte le affermazioni che Lo riguardano. Per chi dovesse avere dei dubbi non deve far altro che esporli e fornirò i richiami che comunque sono presenti in tutta l' opera di Nietzsche. Questo comporta che Nietzsche al momento in cui affronta il Mondo Vero di Platone ritiene che sia l' unico soprasensibile rimasto da eliminare dalla Metafisica.
Tutti gli altri, compreso il Motore Primo di Aristotele, li ritiene cioè già eliminasti. Rimangono fuori l' Essere di Heidegger e Severino che non conosco e perciò lascio ad altri il valutarne le conseguenze. Il Mondo delle Idee di Platone, che comunque era stato già confutato ed anche aspramente proprio da Aristotele nella Metafisica, rimane l' ultimo scoglio e il più importante perché Platone ne aveva dimostrato la logicità attraverso il far risolvere a degli ignoranti dei problemi geometrici di una certa difficoltà. Era infatti in base a tale circostanza che lui aveva affermato, attraverso Socrate, che il conoscere era un ricordare dell' anima che doveva aver già visto altrove tali conoscenze e che questo luogo era appunto il Mondo delle Idee. Come ho già detto altrove il fenomeno invece è spiegabilissimo ai giorni nostri con la genetica e con ciò ne cade la logicità. E dico logicità perché la possibilità non ne viene inficiata.
Ma a Nietzsche non interessa né confutare né porre come possibile tale mondo: lo annulla e basta. Lo ritiene cioè già confutato dalla sua impossibilità, dal fatto appunto che lui lo ritenga un errore, un' illusione, forse l' errore più grande di tutta la filosofia perché ha preparato la strada per il Cristianesimo.
A questo punto mi sembra di aver trovato la risposta a Paul 11 sul perché Nietzsche abbia portato avanti questa strategia. Il suo scopo non è quello di eliminare la Metafisica ma tutto il soprasensibile che di rigore appartiene alla filosofia. Chi lo ha letto abbastanza profondamente, in fondo sa che lui è sempre critico su tutti i filosofi che lo hanno preceduto. Da Platone a Socrate, da Pascal a Leibnitz, da Schopenhauer ( dopo averlo preso come maestro ) a Kant. Gli unici con cui si ritrova a livello giovanile sono Schopenhauer ed Epicuro, ma per gli altri, con qualche altanelanza per Hegel ( famosa la definizione di spirito gigantesco di Hegel che però a parer suo non sapeva scrivere ) e per Spinoza ( di cui apprezzava l' idea di Dio racchiudente sia il bene che il male ) non dimostra alcun apprezzamento. Sui presocratici ci sarebbe molto da dire visto che gli ha dedicato un' opera, ma non è questa la sede dove prenderli in esame. Mi resta Parmenide, ma se qualcuno non mi costringe a prendere in mano anche lui, non ho proprio intenzione di dedicarmici.
L' unica eccezione perciò rimane Aristotele, di cui parla pochissimo, e devo ancora arrivare a leggere l' aforisma di cui ho già parlato sul principio di non contraddizione e perciò per il momento mi fermo qui. Ricordo comunque che l' essere di Aristotele non gravita nel soprasensibile: l' essere è la realtà nel suo insieme. Alla prossima l' argomento Metafisica in base anche all' introduzione della volontà di potenza e dell' eterno ritorno. Mi sembra di aver detto tutto.
Grazie della cortese attenzione
Garbino Vento di Tempesta.
Credo Garbino che ci dobbiamo metterci d'accordo su alcune cose, sennò il fronte della discussione diventa troppo vasto.
E' ovvio che per Nietzche la politica contro i dispositivi non serve a nulla.
A me Agamben (e Focault) servono "solo" per intendere l'aspetto nascosto del potere.
Sono 2 discorsi diversi.
Quello dei 2 latini possiamo ascriverlo al politico sociale (delle rappresentanze).
Quello del Sassone è invece ascrivibile al singolo, al soggetto. (il soggetto contro lo stato per l'esattezza).
Possiamo dire che Nietzche sia un socialista che prevede un periodo anarchico di resistenza.
Questo per quanto riguarda il politico. Ossia il pensiero politico.
Ridurre Nietzche al discorso politico ovviamente non ha senso, ma se introduciamo elementi politici nella discussione, ritengo sia valido usare degli strumenti opportuni.
Tra l'altro anche Focault e Agamben non possono minimamente essere ridotti al solo discorso politico.
Detto questo non ho quindi ben capito in cosa consista la critica. ???
O hai un'idea politica diversa dalla mia, o hai mischiato (ai miei occhi sia chiaro, non in assoluto, se vuoi un discorso diverso dal mio ci sta, qua si tratta di capire anche che tipo di metodo si usa, e se vi è o meno un metodo) i discorsi.
Io distinguerei sempre il Nietzche politico, da quello ironico, da quello polemico rispetto a quello metafisico-etico che è quello maggiore.
Poi ripeto basta intendersi.
Frattanto sto cercando di seguire il tuo filo rosso (quello che spiegherebbe l'eterno ritorno....che mi sembra interessante anche solo come spunto )
ps
per citare la comunità degli amici, devi attendere dopo l'estate! devo fare un lungo lavoro di raccordo.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
X Green Demetr.
A quanto pare rincominciamo a non capirci. Comunque non ha importanza perché i dispositivi di Agamben non meritano a mio avviso tutta l' attenzione che tu sembri dimostrare. Quello che invece volevo intendere ponendomi in modo critico, è che mi sembra che tu faccia un cattivo uso del tuo tempo e della tua memoria, e che non segui un metodo razionale e sufficientemente critico su tutto ciò che si presenta alla tua conoscenza. Mi sembra cioè che tu effettui una enorme dispersione di energie intellettuali per argomenti che non lo meritano. Tutto qui, punto.
Nietzsche e la Metafisica.
Scusaste la prudenza ma a questo punto mi sembra necessario ed opportuno non solo fare un breve riepilogo ma anche e soprattutto fare una considerazione generale di una certa importanza nel caso che la mia teoria sia valida. E questa considerazione è che in Nietzsche la Pars Destruens e la Pars Costruens attraversino tutta la sua opera ed hanno come punto focale proprio l' aforisma della Morte di Dio che posiziona ne La Gaia Scienza.
Nietzsche in molti passi aveva già parlato del suo ateismo e della sua scarsa considerazione per la divinità, e che Dio fosse una risposta troppo piatta per un pensatore, un modo per dirgli: non pensare. Ma è soltanto con la morte di Dio che lui rompe con la tradizione e con la Metafisica Classica, eliminando in un colpo solo ( Mondo Vero di Platone a parte ) tutta la Metafisica soprasensibile. Il Motore Primo di Aristotele, il Demiurgo e la Materia del mito del Demiurgo di Platone e ogni riferimento alla divinità in ogni filosofo che lo aveva preceduto e in quelli a venire. Su Heidegger e Severino aspetto sia la considerazione di Maral che quella di Green e di qualsiasi altro che volesse intervenire e sui quali per il momento non mi espongo perché non posso dire di conoscerli o almeno di conoscerli abbastanza per qualsiasi valutazione in merito.
In Crepuscolo degli Idoli Nietzsche affonda la lama sul Mondo Vero di Platone eliminando anche l' ultimo baluardo soprasensibile che gli si frapponeva nel compito di affermare il suo pensiero filosofico. A questo punto Nietzsche ha di fronte diverse strade ed alla fine finisce per non pubblicare la Volontà di potenza e scrive Al di là del bene e del male, Così parlo Zarathustra, Genealogia della Morale e L' Anticristo. Anticristo che definisce come la transvalutazione di tutti i valori. E' ovvio che non sapremo mai perché abbia fatto questa scelta o non sia stato in grado di portare a termine la sua opera definitiva e cioè quella La volontà di potenza, che finalmente ho avuto modo di leggere così tardi.
E non posso che ringraziare proprio Maral che mi ci ha indirizzato, perché proprio grazie alla lettura del Nietzsche di Heidegger mi sono reso conto che la versione a mia disposizione era ridicola in confronto alla vastità e alla profondità degli scritti inediti, e di cui e su cui bisogna comunque necessariamente avere un atteggiamento cauto su ciò che vi si trova, nonostante ciò che Heidegger afferma.
Ciò non toglie che si possa continuare ad ipotizzare quale fosse lo schema seguito da Nietzsche e che poi non ha portato a termine. E questo schema prevede l' affrontare Aristotele, il principio di non contraddizione e l' Essere come realtà nel suo insieme. E questo perché quell' Essere è allo stesso tempo fisico e Metafisico. La realtà nel suo insieme è cioè qualcosa che non muta pur mutando in ogni sua parte. E' cioè qualcosa di cui, come dicevo nel post precedente, abbiamo continuamente esperienza ma che ci sfugge proprio nel suo insieme perché non se ne può avere esperienza e perciò raggiungibile e considerabile soltanto a livello Metafisico. Non so chi possa essere d' accordo ma mi sembra una riflessione abbastanza valida su ciò che Aristotele indica come Essere.
Penso che possiamo fermarci qui e riprendere nel prossimo post, a meno che non vi siano critiche a cui dovrei in ogni caso rispondere.
Grazie per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Citazione di: green demetr il 07 Maggio 2017, 14:25:07 PM
La differenza con Heidegger non potrebbe essere più radicale. E sono contento che l'hai colta subito. :)
E per me si può liquidare così che Heidegger finisce col cadere di nuovo nella metafisica monolotica di un Essere.
A mio avviso è normale che finisca con la domanda "solo un Dio può salvarci". Non è uno scherzo fatto ai canali della tv. Come recentemente ho letto! (non su questo forum!).(A onor del vero però mantiene una certa ambiguità di fondo, perchè quell'ESSERE non lo definisce mai.)
In Nietzche non c'è traccia di alcun Essere. Fai bene ad insistere su quel punto.
Su quello saremo sempre d'accordo.
Metafisica di Nietzche è semplicemente il suo tentativo di dare un senso al mondo, una volta che ci si è resi conto dell'insesatezza del Mondo.(è una metafisica che riguarda soltanto gli uomini cioè).
il senso non è nel mondo, ma negli uomini.
Estrapolo dal tuo post greene ,per dare un elemento mio, del tutto personale ,ma sapendo anche di non aver approfondito Nietzsche ed Heidegger, anche se qualcosa sò d ientrambi.
La riflessione è rivolta a tutti
Platone dice delle cose, a mio parere la maggioranza de i pensatori lo ha mal interpretato e si è formato storicamente da Platone alla modernità un'interpretazione dicotomica fra metafisica e mondo umano del vivere.
L'interpretazione è il bel mondo della metafisica e il cattivo mondo umano. Estremizzo il concetto per mancanza di mio tempo.
Il "platonico" e i l"platonismo" è sempre stato interpretato come un mondo dell'iperuranio, perfetto, divino, contrapposto alla vita umana lasciata al demonio.
Il dispositivo politico Green è strumentalizzare questa dicotomia ,che crea sensi di colpa nel fatto stesso di essere nati, inserirvi una morale dispregiativa sull'esistenza e dire che solo nell'al di là c'è il bello e il perfetto.
Scusate la schematicità e sempliificazione. Nietzsche si ribella a questo schematismo che mortifica l'uomo e l'esistenza come fossse un "peccato orignale" il fatto di essere nati. Ciò è stato strumentalizzato con i sens idi colpa della morale dai poteri clerical ie laici mortifcando l'esistenza. Spero nella mia semplicità schematica di essere stato chiaro.
Nietzsche, questa è la mia interpretazione riporta la metafisica e non la cancella, dentro l'uomo nella sua esistenza, ribellandosi ad un Dio oltre l'esistenza, che tace nell' esistenza che lascia l'uomo nella sua mortificazione. Nietzsche si ribella al dispositivo morale che ha strumentalizzato nelle organizzazioni culturali, sociali quella separazione.
Penso, ma non sono sicuro , che heidegger coglie questo di Nietzsche, non nega la metafisica ma spsota quella metafisica dentro l'esistenza umana e quindi l'uomo non è più contrapposto nell esistenza a quella metafisica così lontana dall'uomo.
Heidegger, prendete come mie riflessioni, considerazioni, prosegue il pensiero di Nietzsche. La metafisica posta nell'uomo dentro la sua esistenza pone la problematica dell'essere come ente umano dentro un orizzonte temporale e quindi cerca il senso e le signifcazioni quì nell'esistenza. Sempre nella moa modesta interpretazione, se Nietzsche pone l'eterno ritorno e l'oltreuomo, Heidegger pone l'Essere dentro il tempo nella signifcazione di un senso dentro l'orizzonte della propria esistenza.
P.S. comunque mi piace la vostra conversazione Green e Garbino , è molto problematica e difficile ed è quasi ovvio che vi siano e nascano differenze
Paul amico mio :-[ (anche agli altri fratellastri del forum)
Ma certo, è esattamente quel che penso di male di Platone.
Non è possibile cioè anteporre una etica pre-ordinante agli enti.
Nietzche al contrario come molto elegantemente scrivi porta la metafisica dentro la vita. (ma a lui dedico il secondo capitolo).
cap 1 heidegger (che diavolo è l'essere?)
Heidegger che è un discepolo di Aristotele come giustamente ha fatto notare il nostro Franco Volpi, tenterebbe di sintetizzare le posizioni Aristoteliche con quelle Platoniche.
E dunque l'ente diventa l'esistente, un esistente temporale (aristotele) il cui rapporto con l'essere coincide con il bene (platone).
Ma l'ente non è subordinato come in Platone alla sua esistenza. Bensì si apre al mondo DA SEMPRE. Questa parolina va ben capita.
E non la sento quasi mai in giro (tranne il prof. Di Martino, che ho frequentato a Milano).
Ossia l'esistente (l'uomo in poche parole) è quell'ente che intende il suo essere nel tempo. Sostanzialmente come Di Martino ci ha fatto notare l'Heidegger di Essere e Tempo è in nuce lo stesso delle prime opere giovanili del bodense. Ossia un mix sapiente di Aristotele e Weber.
L'elemento di novità che aggiunge è Agostino, lui lettore attento della filosofia medievale, e indeciso fino alla fine tra se diventare matematico - pastore o filosofo.
Ma è proprio l'incontro con in 2 giganti della Chiesa a fare maturare il suo concetto di inautentico. (san tommaso è aristotele)
Inautentico non è l'esistenziale, bensì lo iato che vi è tra Dio e l'ente.
Ma questo autentico noi lo ritroviamo solo tramite il ripiegamento spirituale di un Agostino (qui mi fermo perchè su di lui non so praticamente niente).
Io liquido la faccenda (in attesa di riprenderla in futuro) con la questione della mediazione fra ente ed essere, alias tramite il pensiero.
Ma è proprio il pensiero che si apre sul mondo, che intende di essere mediazione, e quindi da sempre nel mondo.
Ciò che è mediato non viene mai prima della mediazione.
La mediazione è il pensiero stesso, dunque.
Ma se la mediazione si apre su qualcosa, vuol dire che quel qualcosa c'era anche prima (da sempre).
Come Garbino sta capendo, è molto vicino all'idea di essere di Aristotele. Solo che per aristotel quell'essere dell'ente, sostanzialmente coincide con l'esistente stesso. Ossia l'ente è l'Essere.
Non così per Heidegger, che nota una cosa fondamentale, che la mediazione non avviene per identificazione dell'ente.
Non esiste come un ente che sà di essere un ente.
Bensì come domanda. La domanda è dunque cosa è l'ente? (domanda ontologica)
Nella riflessione di Heidegger, è dunque la domanda che sostituisce l'essere aristotelico.
In questo caso ci spostiamo di nuovo a Platone. Anche per Platone l'ente non è l'essere, ma è la domanda sull'essere.
Il problema che cortocircuita in Platone è ovviamente che il Bene si declina in un ordine gerarchico, direi naturale aggiornando la terminologia ad oggi.
Dove ogni ente, è portato a essere qualcosa, che da sempre era. (pensiamo ai deliri della epigenetica)
Perciò il soldato è portato a essere naturalmente un soldato etc...etc...
Fino al filosofo che deve essere il governatore del mondo (non è evidente il delirio? stiamo ancora qui a parlarne?)
E oggi lo scienziato che deve essere il governatore del mondo.(le università sono già loro, come il discorso pubblico)
Il punto è che per Platone non è l'ente a decidere del mondo, ma l'essere.
Nella grande scuola medievale, invece l'essere non ha più i caratteri naturali, fisici, atomici dei greci, bensì formali.
L'essere non è qualcosa, l'essere è ciò di cui più grande non può esservi.
Ossia l'essere non è l'ente. (Certo sarebbe Platone con le giuste correzioni, appunto quelle formali, e di contenuto, stiamo parlando di Dio e non del bene, ma voglio dire il principio è lo stesso)
Dunque vi deve essere un rapporto tra l'ente e l'essere, che nel cristianesimo illuminato (quello protestante) non può che arrivare a dire che l'ente intende l'essere per Grazia.
In Heidger la grazia sparisce (scegli la filosofia e non la religone, ma secondo me anche se avesse scelto la religione non cadremmo troppo lontani dall'albero secondo me), e ci troviamo di colpo gettati nel mondo, incapaci di capire cosa sia il mondo che da sempre è.
A questo punto non rimane che intendere il rapporto tra l'ente e il mondo (che da sempre è).
Lo scopo umano è quello di ridurre il mondo all'essere. (la tecnica) ossia di ridurre l'essere all'ente.
Il problema più radicale introdotto è che il mondo non è l'essere. (e risiamo a platone)
Dunque per Heideger il compito dell'uomo è quello di intendere l'essere, che viene prima del mondo. (come per platone)
L'allarme scatta quando heidegger legge nietzche, e la sua volontà di potenza.
E capisce una cosa, che la volontà di potenza, è un motore, una forza insita nella tecnica stessa, ossia un errore metodologico.
In cosa consiste questo errore?
ma lo aveva già detto lui stesso in essere e tempo!
Che l'ente domandante uomo, si dà nel mondo come riduzione del mondo. Ossia quell'ente che riduce gli altri enti a se.
E' un ente fagocitante, che rischia di perdere il suo capo più importante, il fatto che quella darsi al mondo come riduzione del mondo è frutto del pensiero domandante. Ma se da un lato Heidegger non ricusa l'aspetto scientifico umano(la reductio ad unum), sconfessando qualsiasi esistenzialista che aveva frainteso (e continua a fraintendere). Dall'altro capisce che ha perso l'altro capo del suo essere domandante, da dove viene la domanda. La domanda uroborica Heidegeriana, è dunque sull'origine. Come può darsi il pensiero? (il pensiero originario NON è il pensiero destinale) (ossia DIO non è la TECNICA, la RAGIONE bla bla bla).
Come può il pensiero che si domanda sugli enti e su se stesso come ente, intendere ciò che viene prima di esso.
Perchè è chiaro che se l'uomo perde la misura, la capacità di dare senso alla sua reductio ad unum, la reductio ad unum prende il sopravvento sul pensiero stesso.
L'allarme è dunque che il pensiero smette di riconoscersi tale (ossia si dimentica che è una domanda, e finisce per credere di essere quella reductio ad unum, che è destinale per l'umanità).
Heidegger è dunque diventato famoso, perchè ha illuminato la guerra tra scienza e filosofia, dandone i giusti contorni.(quelli dello sviluppo stesso della storia della filosofia).
La scienza non pensa. (Semplice e vero).
Ma qeusto breve tour Heidegeriano (cosparso di note abissali che ne bloccano la lettura, nè più nè meno che come nietzche e in parte hegel) non ha ancora detto nulla delle tue notazione Paul.
Perchè dico che Heidegger è un metafisico? E' semplice perchè lui ritiene che il pensiero "domanda dell'essere" sia ben definito. Senza aver ancora dato la definizione di quell'essere.(in cosa consiste? in una relazione dialettica, in un etica, in un ente speciale? almeno gli altri filosofi hanno provato a dirne qualcosa)
E' dunque per forza di cosa una metafisica (terribilmente incompiuta, lasciata ai posteri che capiranno): io capisco benissimo.
ma nondimeno è proprio il termine essere che mi irrita quando leggo heidegger, è troppo caricato di significati arcani, sconfina veramente in qualcosa di stregonesco. (non che non mi dispiaccia, ma poi non puoi tu heidegger spacciarlo per il discorso che viene dopo tutte le metafisiche, è troppo sporto sull'abisso, per poter credere di essere uscito dalla metafisica (posto che si possa, perchè io non credo che si possa uscire dal metafisico).
cap 2 nietzche (e il suo diritto al futuro)
ma veniamo a nietzche, heidegger pensa che nietche sia un metafisico perchè crede che la volontò di potenza sia qualcosa che va oltre l'immanenza, qualcosa di naturale bla bla bla...
ma in nietche questa cosa nonostante marale e garbino insistano a dire il contrario, non avrebbe alcun senso!
L'essere in nietzche scompare, perchè egli dice, perchè l'essere e non invece qualcos'altro.
Anche per nietzche come per heideger, l'ente uomo, è un ente che domanda.
Ma la domnanda trova compimento nello svelamento dell'ipocrisia di essere un ente.
L'uomo non è un ente. Non ha categorie, non ha un prima, non ha un dopo.
L'uomo è quello che viene a essere in base al suo domandarsi sul senso storico che egli viene a intraprendere.
L'uomo è dunque storia.
Ma non è l'uomo del cerchio, la sua storia non torna MAI a se stesso, il contrario, la storia sobbalza l'uomo fuori dal se stesso.
Dimodochè noi siamo solo il qui, ora e presente, e un attimo dopo non siamo più.
La storia, la narrazione che raccontiamo di noi stessi non può avere mai i caratteri di metafisica monumentale.
l'uomo non è una relazione dialettica, l'uomo non è l'uomo etico, l'uomo meno che mai è un ente speciale.
l'uomo è la storia dei suoi errori.
E' l'errare stesso, in senso assoluto, è quindi relazione nella relatività assoluta.
Relazione perchè domanda certo.
Nietzche rifiuta la reductio ad unum, per questo si dici sia irriducibile ad alcuna definizione.
Ma questa è una boiata assoluta.
Nietzche definisce per "nome e cognome" in cosa consista la relazione all'interno della relatività assoluta.
All'interno della relatività assoluta, rimane la domanda (non era poi cos' difficile, heidegger non è andato poi così lontanto dal vero) fra i domandanti.
la relazione dei domandanti con la relatività assoluta, è la destinalità dell'uomo.
I superuomini sono coloro che intendono l'amicizia, ossia che sono dei domandanti.
E i domandanti sanno benissimo che di fronte a loro c'è il nichilismo.
Ossia abbandonato qualsiasi reductio ad unum (che si risolverebbe nel cane che si mangia la coda, ossia nella ripetizione infinita di quello che vuole la tecnica (direbbe un heideger), in nietzche semplicemente la ripetizione ossessiva delle azioni che perdono di senso e di valore.(la greggia, l'animale, gli umani, i filosofi, la filosofia stessa) si tratta di attraversare il mare magnum del relativismo e scoprirsi amici nella traversata.
la guerra è contro coloro che voglion tornare alle rive del nichilismo a colore, che non ce la fanno a stare nel relativismo assoluto.
Ma come fare a stare nel relativismo assoluto, se non affidandosi ognuno all'altro? è quella la dimensione del guerriero.
Il guerriero è colui che non si spaventa, che l'occaso sta arrivando, che sa salutare l'amico che lascia.
Il guerriero è colui che non ha paura della morte, che rinuncia alla riva, perchè sa che può essere quello che deve essere.
Sa di dover essere il guerriero, ma il guerriero non è l'individuo sciocco che affronta la tempesta, da solo.
E' l'individuo che sa che per non aver paura deve esaltare la virtù guerriera del compagno.
E' colui che non molla mai il compagno nella tempesta, è colui che piuttosto affonda insieme a lui nella tempesta.
E' evidente che se noi spostiamo questo pensiero che vive sugli abissi (e nietzche descrive questi abissi, e per questo vado molto piano.) (sono abissi che ci rubano tutto, l'equilibri, la nostra vita monotona e senza valore) sulle rive del nichilismo.
Bè nessuno lo farebbe per davvero, perchè poggia ancora i piedi per terra.
E quando poggi i piedi per terra, beh poggi i piedi sul metafisico sul gerarchico, e nietzche te lo descrive, ci prende pungi in faccia.
Che volgarità fraintendere quello che ha fatto il nazismo, il coraggio del singolo sull'abisso che tende la mano all'amico.
Con il coraggio (coraggio???) di chi sta sulla terra e fa finta di porre la mano all'amico.
Il dionisiaco viene spostato dalla terra all'abisso (come si fa a non capirlo subito?).
quando sei sull'abisso e più niente torna (Ma quale eterno ritorno!) non rimane che il compagno del viaggio.
E' una questione valoriale. Se vogliamo proprio è un etica, certo, ma non un etica metafisica (il dominio ariano? ma per favore!)
è un etica del valore, del coraggio, dell'amico che ha deciso, sottolineo deciso di salpare dalla riva.
E' colui che va contro la volontà di potenza.Creandone una opposta antigravitazionale. E' la volontò di potenza del falco, delle cime. Etc...
Molti pensano sia poesia, ma è ridicolo, per cui è importante importantissimo capire i filosofi che vengone prima.
Che spiegano cosa è l'essere cosa è l'ente cosa è l'intenzionalità cosa è l'ipocrisia (di chi rimane a terra).
Nietzche non ha pazienza, è tormentato dalle forze gravitazionali, perchè lui la terra non l'ha mai abbandonata.
Il dramma più terribile forse l'ha vissuto con Lou Salomè. Una donna che era coraggiosa, la donna più coraggiosa d'europa.
Una donna che poteva librarsi come un falco, una donna che ha scelto la terra.
Il pensiero di nietzche si è rotto per un attimo, la follia ha cominciato a entrare in lui.
La follia è il pensiero paranoico, cosa sarebbe successo se mi avesse seguito, è questo il pensiero ossessivo che c'è dietro ogni singolo strale contro le donne.
Si era aperto alla speranza per un attimo, poi è tornato a parlare con le ombre, con i superuomini che verranno.
ha provato unico essere umano ad averlo fatto a salpare dentro il nichilismo.(DA SOLO! ed è questo che fa impazzire gli interpreti, che vogliono riportarlo a terra, paragonarlo ai nani di terra, riportarlo a parlare con loro, ipocriti e falsi).
ma la terra, l'odiata terra lo ha risucchiato nell'occaso troppo presto per un verso e troppo tardi per l'altro.
l'energia che scaturisce da quei testi, invoglierà sempre il giovane a provare. Finchè un giorno saranno degli amici a salpare, e forse andremo ancora più in là nel mare del nichilismo. (quanti nietzche potranno ancora nascere che lo faranno da soli. certo heidegger è uno dei pochi che ha provato, ma non credo sia andato oltre il maestro, mi sembra sia salpato con troppi ormeggi, ma lo saprò dire un giorno, quando avrò capito entrambi i maestri completamente, fin dove sono arrivati).
Perchè è chiaro, se più niente ha valore, allora l'unico valore è il coraggio del singolo e o degli amici.
Che vuoi Paul Nietzche mi sta accompagnando appena fuori dal pensiero gravitazionale. Capisco la direzione, capisco il terrore metafisico che si prova, ma una volta assaporata la vertigine delle cime, non ce la faccio proprio a rivoltargli le spalle (perchè bei miei vent'anni l'ho fatto). Sono pavido sì, ma cerco di superare la paranoia che vuole che sia pavido per sempre.
Ora è chiaro perchè sono d'accordo con te? la metafisica nicciana, è una metafisica dell'ente etico, che prova cosa sia il coraggio nel mare del nichilismo.
E' la metafisica che ha smesso di essere terra, origo, destino gravitazionale gerarchico, è la metafisica che parte con l'ente.
La metafisica è l'ancella dell'ente. E' la domanda che si è messa in viaggio. è metafisica dentro la vita (la vita come navigazione nel mare del nichilismo).
Nietzche è un relativista? Nietzche è un nichilista??? Nietzche è un naturalista??? Nietzche è un nazista??? MA PER FAVORE!!!!
COME PUO' essere se tutto quello che ho raccontato torna, è logico che sia, e dopo l'estate dimostrerà documenti alla mano che sia?
Mi spiace io proteggerò sempre nietzche, non capite che è l'unica ancora di salvezza (quale Dio Heidegger??? nel senso certo ci puà anche essere dio, ma non possiamo dirlo PRIMA!)
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
X Paul11
Mio caro Paul11, scusami ( e valga per tutti coloro a cui questa discussione interessa ) ma a volte dimentico di aver letto in un modo così profondo Nietzsche, che molte particolarità ho la tendenza a darle per scontate, mentre invece non è necessariamente così. Specialmente per chi lo ha letto poco. Perciò ti chiedo, e chiedo a tutti gli altri, di indicarmi, anche via mail, ciò che si ritiene difficile o incomprensibile perché almeno saprei o sapremmo ( rivolto a Green ) come comportarci. Nel senso che potremmo cercare di rendere più chiaro soltanto ciò che lo necessita.
La discussione comunque sta acquistando una certa rilevanza intellettuale perché una delle problematiche più irrisolte è proprio l' aspetto che riguarda la Pars Destruens e la Pars Costruens nella filosofia di Nietzsche. E cioè le opinioni sono molte ed anche molto discordanti, ma non mi risulta, e se c' è e qualcuno ne è informato sarebbe opportuno che la riporti, che vi sia una determinazione della loro configurazione a livello temporale attraverso le sue opere. Avendo letto poco o niente della letteratura su Nietzsche non posso escludere che le cose potrebbero stare in un modo differente da come mi risulti.
Nel frattempo sto sempre leggendo La volontà di potenza curata da Gast e dalla sorella. Ne ho letto quasi un terzo, e cioè circa 500 ( cinquecento ) aforismi, trovando diversi spunti e conferme sul e nel contesto della mia interpretazione. E come anticipo confermo che vi sono aforismi interessanti e che Heidegger ha completamente trascurato.
Ringrazio tutti per la cortese attenzione e collaborazione.
Garbino Vento di Tempesta.
Citazione di: green demetr il 12 Maggio 2017, 15:04:51 PMPaul amico mio :-[ (anche agli altri fratellastri del forum) Ma certo, è esattamente quel che penso di male di Platone. Non è possibile cioè anteporre una etica pre-ordinante agli enti. Nietzche al contrario come molto elegantemente scrivi porta la metafisica dentro la vita. (ma a lui dedico il secondo capitolo). cap 1 heidegger (che diavolo è l'essere?) Heidegger che è un discepolo di Aristotele come giustamente ha fatto notare il nostro Franco Volpi, tenterebbe di sintetizzare le posizioni Aristoteliche con quelle Platoniche. E dunque l'ente diventa l'esistente, un esistente temporale (aristotele) il cui rapporto con l'essere coincide con il bene (platone). Ma l'ente non è subordinato come in Platone alla sua esistenza. Bensì si apre al mondo DA SEMPRE. Questa parolina va ben capita. E non la sento quasi mai in giro (tranne il prof. Di Martino, che ho frequentato a Milano). Ossia l'esistente (l'uomo in poche parole) è quell'ente che intende il suo essere nel tempo. Sostanzialmente come Di Martino ci ha fatto notare l'Heidegger di Essere e Tempo è in nuce lo stesso delle prime opere giovanili del bodense. Ossia un mix sapiente di Aristotele e Weber. L'elemento di novità che aggiunge è Agostino, lui lettore attento della filosofia medievale, e indeciso fino alla fine tra se diventare matematico - pastore o filosofo. Ma è proprio l'incontro con in 2 giganti della Chiesa a fare maturare il suo concetto di inautentico. (san tommaso è aristotele) Inautentico non è l'esistenziale, bensì lo iato che vi è tra Dio e l'ente. Ma questo autentico noi lo ritroviamo solo tramite il ripiegamento spirituale di un Agostino (qui mi fermo perchè su di lui non so praticamente niente). Io liquido la faccenda (in attesa di riprenderla in futuro) con la questione della mediazione fra ente ed essere, alias tramite il pensiero. Ma è proprio il pensiero che si apre sul mondo, che intende di essere mediazione, e quindi da sempre nel mondo. Ciò che è mediato non viene mai prima della mediazione. La mediazione è il pensiero stesso, dunque. Ma se la mediazione si apre su qualcosa, vuol dire che quel qualcosa c'era anche prima (da sempre). Come Garbino sta capendo, è molto vicino all'idea di essere di Aristotele. Solo che per aristotel quell'essere dell'ente, sostanzialmente coincide con l'esistente stesso. Ossia l'ente è l'Essere. Non così per Heidegger, che nota una cosa fondamentale, che la mediazione non avviene per identificazione dell'ente. Non esiste come un ente che sà di essere un ente. Bensì come domanda. La domanda è dunque cosa è l'ente? (domanda ontologica) Nella riflessione di Heidegger, è dunque la domanda che sostituisce l'essere aristotelico. In questo caso ci spostiamo di nuovo a Platone. Anche per Platone l'ente non è l'essere, ma è la domanda sull'essere. Il problema che cortocircuita in Platone è ovviamente che il Bene si declina in un ordine gerarchico, direi naturale aggiornando la terminologia ad oggi. Dove ogni ente, è portato a essere qualcosa, che da sempre era. (pensiamo ai deliri della epigenetica) Perciò il soldato è portato a essere naturalmente un soldato etc...etc... Fino al filosofo che deve essere il governatore del mondo (non è evidente il delirio? stiamo ancora qui a parlarne?) E oggi lo scienziato che deve essere il governatore del mondo.(le università sono già loro, come il discorso pubblico) Il punto è che per Platone non è l'ente a decidere del mondo, ma l'essere. Nella grande scuola medievale, invece l'essere non ha più i caratteri naturali, fisici, atomici dei greci, bensì formali. L'essere non è qualcosa, l'essere è ciò di cui più grande non può esservi. Ossia l'essere non è l'ente. (Certo sarebbe Platone con le giuste correzioni, appunto quelle formali, e di contenuto, stiamo parlando di Dio e non del bene, ma voglio dire il principio è lo stesso) Dunque vi deve essere un rapporto tra l'ente e l'essere, che nel cristianesimo illuminato (quello protestante) non può che arrivare a dire che l'ente intende l'essere per Grazia. In Heidger la grazia sparisce (scegli la filosofia e non la religone, ma secondo me anche se avesse scelto la religione non cadremmo troppo lontani dall'albero secondo me), e ci troviamo di colpo gettati nel mondo, incapaci di capire cosa sia il mondo che da sempre è. A questo punto non rimane che intendere il rapporto tra l'ente e il mondo (che da sempre è). Lo scopo umano è quello di ridurre il mondo all'essere. (la tecnica) ossia di ridurre l'essere all'ente. Il problema più radicale introdotto è che il mondo non è l'essere. (e risiamo a platone) Dunque per Heideger il compito dell'uomo è quello di intendere l'essere, che viene prima del mondo. (come per platone) L'allarme scatta quando heidegger legge nietzche, e la sua volontà di potenza. E capisce una cosa, che la volontà di potenza, è un motore, una forza insita nella tecnica stessa, ossia un errore metodologico. In cosa consiste questo errore? ma lo aveva già detto lui stesso in essere e tempo! Che l'ente domandante uomo, si dà nel mondo come riduzione del mondo. Ossia quell'ente che riduce gli altri enti a se. E' un ente fagocitante, che rischia di perdere il suo capo più importante, il fatto che quella darsi al mondo come riduzione del mondo è frutto del pensiero domandante. Ma se da un lato Heidegger non ricusa l'aspetto scientifico umano(la reductio ad unum), sconfessando qualsiasi esistenzialista che aveva frainteso (e continua a fraintendere). Dall'altro capisce che ha perso l'altro capo del suo essere domandante, da dove viene la domanda. La domanda uroborica Heidegeriana, è dunque sull'origine. Come può darsi il pensiero? (il pensiero originario NON è il pensiero destinale) (ossia DIO non è la TECNICA, la RAGIONE bla bla bla). Come può il pensiero che si domanda sugli enti e su se stesso come ente, intendere ciò che viene prima di esso. Perchè è chiaro che se l'uomo perde la misura, la capacità di dare senso alla sua reductio ad unum, la reductio ad unum prende il sopravvento sul pensiero stesso. L'allarme è dunque che il pensiero smette di riconoscersi tale (ossia si dimentica che è una domanda, e finisce per credere di essere quella reductio ad unum, che è destinale per l'umanità). Heidegger è dunque diventato famoso, perchè ha illuminato la guerra tra scienza e filosofia, dandone i giusti contorni.(quelli dello sviluppo stesso della storia della filosofia). La scienza non pensa. (Semplice e vero). Ma qeusto breve tour Heidegeriano (cosparso di note abissali che ne bloccano la lettura, nè più nè meno che come nietzche e in parte hegel) non ha ancora detto nulla delle tue notazione Paul. Perchè dico che Heidegger è un metafisico? E' semplice perchè lui ritiene che il pensiero "domanda dell'essere" sia ben definito. Senza aver ancora dato la definizione di quell'essere.(in cosa consiste? in una relazione dialettica, in un etica, in un ente speciale? almeno gli altri filosofi hanno provato a dirne qualcosa) E' dunque per forza di cosa una metafisica (terribilmente incompiuta, lasciata ai posteri che capiranno): io capisco benissimo. ma nondimeno è proprio il termine essere che mi irrita quando leggo heidegger, è troppo caricato di significati arcani, sconfina veramente in qualcosa di stregonesco. (non che non mi dispiaccia, ma poi non puoi tu heidegger spacciarlo per il discorso che viene dopo tutte le metafisiche, è troppo sporto sull'abisso, per poter credere di essere uscito dalla metafisica (posto che si possa, perchè io non credo che si possa uscire dal metafisico). cap 2 nietzche (e il suo diritto al futuro) ma veniamo a nietzche, heidegger pensa che nietche sia un metafisico perchè crede che la volontò di potenza sia qualcosa che va oltre l'immanenza, qualcosa di naturale bla bla bla... ma in nietche questa cosa nonostante marale e garbino insistano a dire il contrario, non avrebbe alcun senso! L'essere in nietzche scompare, perchè egli dice, perchè l'essere e non invece qualcos'altro. Anche per nietzche come per heideger, l'ente uomo, è un ente che domanda. Ma la domnanda trova compimento nello svelamento dell'ipocrisia di essere un ente. L'uomo non è un ente. Non ha categorie, non ha un prima, non ha un dopo. L'uomo è quello che viene a essere in base al suo domandarsi sul senso storico che egli viene a intraprendere. L'uomo è dunque storia. Ma non è l'uomo del cerchio, la sua storia non torna MAI a se stesso, il contrario, la storia sobbalza l'uomo fuori dal se stesso. Dimodochè noi siamo solo il qui, ora e presente, e un attimo dopo non siamo più. La storia, la narrazione che raccontiamo di noi stessi non può avere mai i caratteri di metafisica monumentale. l'uomo non è una relazione dialettica, l'uomo non è l'uomo etico, l'uomo meno che mai è un ente speciale. l'uomo è la storia dei suoi errori. E' l'errare stesso, in senso assoluto, è quindi relazione nella relatività assoluta. Relazione perchè domanda certo. Nietzche rifiuta la reductio ad unum, per questo si dici sia irriducibile ad alcuna definizione. Ma questa è una boiata assoluta. Nietzche definisce per "nome e cognome" in cosa consista la relazione all'interno della relatività assoluta. All'interno della relatività assoluta, rimane la domanda (non era poi cos' difficile, heidegger non è andato poi così lontanto dal vero) fra i domandanti. la relazione dei domandanti con la relatività assoluta, è la destinalità dell'uomo. I superuomini sono coloro che intendono l'amicizia, ossia che sono dei domandanti. E i domandanti sanno benissimo che di fronte a loro c'è il nichilismo. Ossia abbandonato qualsiasi reductio ad unum (che si risolverebbe nel cane che si mangia la coda, ossia nella ripetizione infinita di quello che vuole la tecnica (direbbe un heideger), in nietzche semplicemente la ripetizione ossessiva delle azioni che perdono di senso e di valore.(la greggia, l'animale, gli umani, i filosofi, la filosofia stessa) si tratta di attraversare il mare magnum del relativismo e scoprirsi amici nella traversata. la guerra è contro coloro che voglion tornare alle rive del nichilismo a colore, che non ce la fanno a stare nel relativismo assoluto. Ma come fare a stare nel relativismo assoluto, se non affidandosi ognuno all'altro? è quella la dimensione del guerriero. Il guerriero è colui che non si spaventa, che l'occaso sta arrivando, che sa salutare l'amico che lascia. Il guerriero è colui che non ha paura della morte, che rinuncia alla riva, perchè sa che può essere quello che deve essere. Sa di dover essere il guerriero, ma il guerriero non è l'individuo sciocco che affronta la tempesta, da solo. E' l'individuo che sa che per non aver paura deve esaltare la virtù guerriera del compagno. E' colui che non molla mai il compagno nella tempesta, è colui che piuttosto affonda insieme a lui nella tempesta. E' evidente che se noi spostiamo questo pensiero che vive sugli abissi (e nietzche descrive questi abissi, e per questo vado molto piano.) (sono abissi che ci rubano tutto, l'equilibri, la nostra vita monotona e senza valore) sulle rive del nichilismo. Bè nessuno lo farebbe per davvero, perchè poggia ancora i piedi per terra. E quando poggi i piedi per terra, beh poggi i piedi sul metafisico sul gerarchico, e nietzche te lo descrive, ci prende pungi in faccia. Che volgarità fraintendere quello che ha fatto il nazismo, il coraggio del singolo sull'abisso che tende la mano all'amico. Con il coraggio (coraggio???) di chi sta sulla terra e fa finta di porre la mano all'amico. Il dionisiaco viene spostato dalla terra all'abisso (come si fa a non capirlo subito?). quando sei sull'abisso e più niente torna (Ma quale eterno ritorno!) non rimane che il compagno del viaggio. E' una questione valoriale. Se vogliamo proprio è un etica, certo, ma non un etica metafisica (il dominio ariano? ma per favore!) è un etica del valore, del coraggio, dell'amico che ha deciso, sottolineo deciso di salpare dalla riva. E' colui che va contro la volontà di potenza.Creandone una opposta antigravitazionale. E' la volontò di potenza del falco, delle cime. Etc... Molti pensano sia poesia, ma è ridicolo, per cui è importante importantissimo capire i filosofi che vengone prima. Che spiegano cosa è l'essere cosa è l'ente cosa è l'intenzionalità cosa è l'ipocrisia (di chi rimane a terra). Nietzche non ha pazienza, è tormentato dalle forze gravitazionali, perchè lui la terra non l'ha mai abbandonata. Il dramma più terribile forse l'ha vissuto con Lou Salomè. Una donna che era coraggiosa, la donna più coraggiosa d'europa. Una donna che poteva librarsi come un falco, una donna che ha scelto la terra. Il pensiero di nietzche si è rotto per un attimo, la follia ha cominciato a entrare in lui. La follia è il pensiero paranoico, cosa sarebbe successo se mi avesse seguito, è questo il pensiero ossessivo che c'è dietro ogni singolo strale contro le donne. Si era aperto alla speranza per un attimo, poi è tornato a parlare con le ombre, con i superuomini che verranno. ha provato unico essere umano ad averlo fatto a salpare dentro il nichilismo.(DA SOLO! ed è questo che fa impazzire gli interpreti, che vogliono riportarlo a terra, paragonarlo ai nani di terra, riportarlo a parlare con loro, ipocriti e falsi). ma la terra, l'odiata terra lo ha risucchiato nell'occaso troppo presto per un verso e troppo tardi per l'altro. l'energia che scaturisce da quei testi, invoglierà sempre il giovane a provare. Finchè un giorno saranno degli amici a salpare, e forse andremo ancora più in là nel mare del nichilismo. (quanti nietzche potranno ancora nascere che lo faranno da soli. certo heidegger è uno dei pochi che ha provato, ma non credo sia andato oltre il maestro, mi sembra sia salpato con troppi ormeggi, ma lo saprò dire un giorno, quando avrò capito entrambi i maestri completamente, fin dove sono arrivati). Perchè è chiaro, se più niente ha valore, allora l'unico valore è il coraggio del singolo e o degli amici. Che vuoi Paul Nietzche mi sta accompagnando appena fuori dal pensiero gravitazionale. Capisco la direzione, capisco il terrore metafisico che si prova, ma una volta assaporata la vertigine delle cime, non ce la faccio proprio a rivoltargli le spalle (perchè bei miei vent'anni l'ho fatto). Sono pavido sì, ma cerco di superare la paranoia che vuole che sia pavido per sempre. Ora è chiaro perchè sono d'accordo con te? la metafisica nicciana, è una metafisica dell'ente etico, che prova cosa sia il coraggio nel mare del nichilismo. E' la metafisica che ha smesso di essere terra, origo, destino gravitazionale gerarchico, è la metafisica che parte con l'ente. La metafisica è l'ancella dell'ente. E' la domanda che si è messa in viaggio. è metafisica dentro la vita (la vita come navigazione nel mare del nichilismo). Nietzche è un relativista? Nietzche è un nichilista??? Nietzche è un naturalista??? Nietzche è un nazista??? MA PER FAVORE!!!! COME PUO' essere se tutto quello che ho raccontato torna, è logico che sia, e dopo l'estate dimostrerà documenti alla mano che sia? Mi spiace io proteggerò sempre nietzche, non capite che è l'unica ancora di salvezza (quale Dio Heidegger??? nel senso certo ci puà anche essere dio, ma non possiamo dirlo PRIMA!)
Green,notevole. Non posso che togliere tanto di cappello ad un post così complesso nelle risposte che hai dato.Stiamo discutendo di due pensatori, Nietzsche ed Heidegger, fra i più problematici nella storia del pensiero e quindi conosco la difficoltà testimoniata da una folta letteratura interpretazionale.Si può essere d'accordo o meno, ma offri notevoli spunti e un tentativo di dare e cercare risposte che non sono solo un esercizio intellettuale, ma capisco che sono anche per te, vita.Ti ringrazio per la risposta e mi congratulo con te.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Bene, non avendo ricevuto nessuna segnalazione di incomprensione per quanto affermato finora, reputo che la difficoltà ha soltanto evidenziato opinioni diverse e non incomprensibilità, perciò possiamo ripartire da dove eravamo arrivati senza indugio. Ricordo che se qualcuno fosse a conoscenza di una classificazione temporale per quanto riguarda la Pars Destruens e la Pars Costruens basata sulle opere di Nietzsche, lo invito a farlo presente. C' è tutto il tempo perché non ho intenzione di proseguire nella mia disanima finché non avrò completato la lettura della La Volontà di Potenza. L' unica cosa che volevo comunque anticipare è che non solo la sua lettura mi risulta facile, pur nella complessità di quello che afferma, ma che inoltre continuo a trovare numerose rispondenze sull' opinione che avevo del suo messaggio filosofico. I dubbi vanno sempre più diradandosi e devo segnalare che ho trovato un paio di citazioni di Hume su cui Nietzsche esprime pareri favorevoli.
X Green Demetr.
Anche da parte mia non vi può che essere un elogio per la tua disanima, anche se, mio caro Green, necessariamente devo essere molto critico. Su Heidegger non mi espongo perché non lo conosco a sufficienza per valutare ciò che affermi, ma su Nietzsche ci troviamo, come constato, veramente lontani. Non concordiamo quasi su niente e ciò mi rafforza il sospetto che tu pensavi che avessi opinioni simili alle tue, per Maral non posso parlare, e che te la sei presa sempre di più perché, a mano a mano che approfondivamo, non entravo in argomenti che si avvicinassero alle tue opinioni.
Se proprio devo essere pignolo, non ho capito l' argomento di essere NEL TEMPO su cui puntualizzi l' importanza di inquadrarlo in tale modo. E non lo capisco perché l' essere NEL TEMPO per me è un dato di fatto già a priori, anzi essere nel Presente, QUI E ORA come ho più volte puntualizzato, e che è sicuramente importante, ma in rapporto a che cosa? Se è in rapporto alla realtà, a mio avviso, non ci sono dubbi di sorta, a meno che non ci sia qualche pensatore, che non potrei neanche classificare come tale anche se si trattasse di Platone o di Aristotele, che afferma il contrario e che cioè che sia possibile un essere al di fuori del tempo. E se si trattasse delle idee di Platone mi sembra di averle confutate sufficientemente dal punto di vista logico. Che poi qualcuno ci possa credere lo stesso, a mio avviso, acquisisce una dimensione talmente scarsa nel contesto filosofico che non vale neanche la pena prenderla in considerazione. La sua collocazione diviene Teologica e la scienza di riferimento Teologia.
Ma su Nietzsche proprio non ci siamo. Un mondo di guerrieri amici pronti a darsi la mano l' un l' altro nell' oceano della vita sia filosofica che storica, perfettamente inseriti in un periodo storico!!! Te lo ripeto: non so dove tu l' abbia preso ma che tu riesca a provarlo attraverso gli aforismi di Umano Troppo Umano mi sembra impossibile. Sarei proprio curioso di conoscere chi ha ipotizzato tale teoria, perché se fosse totalmente tua avrebbe sicuramente più valore. Ma, se realmente fosse di qualcun altro, non si tratterebbe nient' altro che di un nuovo depistamento che ti ha sottratto tempo ed energie preziose. Sul resto preferirò far parlare Nietzsche, ma a tempo dedito.
Ringrazio per la cortese attenzione e vi invito a non inserire post per qualche ora perché vorrei che fosse letto da tutti coloro a cui questa discussione interessa.
Garbino Vento di Tempesta.
L' uomo e il suo diritto al futuro.
Vi ringrazio per aver accolto la mia richiesta e in questo post riporterò per intero, senza commentare, l' aforisma di ricapitolazione inerente all' essere a al divenire. Riportarlo per intero per dimostrare, per coloro che lo interpretassero come io lo interpreto, che Heidegger riporta soltanto ciò che può essere appunto interpretato in modi diversi come dal dibattito che ne è scaturito. Diviene cioè sempre più evidente che Heidegger non solo è cosciente del messaggio di Nietzsche ma che prende in esame soltanto ciò che gli può servire al raggiungimento del suo intento, che come Maral ha specificato, era quello di sottrarre Nietzsche al nazismo.
Cap. IL MONDO VERO E IL MONDO APPARENTE aforisma n. 617 La Volontà di Potenza ( versione curata da Gast ed Elizabeth Nietzsche ):
Ricapitolazione.
Imprimere al divenire il carattere dell' essere - è questa la suprema volontà di potenza. Si compie una doppia falsificazione, l' una che parte dai sensi e l' altra dallo spirito, per conservare un mondo dell' essere, della durata, dell' equivalenza ecc. Che tutto ritorni, è l' estrema approssimazione di un mondo del divenire al mondo dell' essere: è il culmine a cui giunge l' osservazione. Dai valori che furono attribuiti all' essere derivano la condanna e l' insoddisfazione del divenire: questo, dopo che s' inventò un simile mondo dell' essere. Le metamorfosi dell' essere ( corpo, Dio, idee, leggi naturali, formule ecc. ). " L' Essere" come parvenza; rovesciamento dei valori: ciò che conferiva valore era la parvenza. La conoscenza in sé è impossibile nel divenire: come dunque è possibile la conoscenza? Come errore circa sé stessi,come volontà di potenza, come volontà di illusione.
Naturalmente per intero intendevo il riferimento all' essere e al divenire. Infatti l' aforisma non si ferma qui ma l' argomento si sposta sulle prospettive possibili. Gli spazi più lunghi identificano un andare a capo e sottolineo che non ho riportato il corsivo dove Nietzsche lo usa soltanto per praticità.
Ringrazio per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Citazione di: green demetr il 16 Maggio 2017, 02:20:44 AMNon capisco cosa intendi per Nietzche e filosofia gerarchica?
Riprendo la domanda di Green, tentando di inserire la risposta nel prosieguo.
Per filosofia gerarchica intendo una filosofia che mira a stabilire delle preminenze nel contesto che considera, delle centralità valoriali a mezzo di principi discriminanti. Questo principio per Nietzsche è la volontà di potenza che, pur essendo presente in tutti lo è in modo diverso applicandosi su soggetti diversi (e lo abbiamo visto precedentemente nell'attenta disamina di Garbino sui tre saggi di "Genealogia della morale") e quindi stabilendo tra essi una gerarchia: individui sani e malati (in senso corporeo e mentale), individui forti e deboli, individui nobili nella loro violenza rapinatrice e nella loro generosità leale e decadenti invidiosi che procedono per inganni con lo scopo di sostituirsi ad essi. Nei primi la volontà di potenza che incontra la natura umana (io direi la zoé che incontra il bios) si esprime pienamente, nei secondi continuamente abortisce se stessa. Esiste dunque una gerarchia "naturale" instaurata dalla capacità di esercitare potenza su di sé e sugli altri e questa gerarchia penso che sia del tutto evidente e primaria in Nietzsche ed è da qui che comincia a esercitare il suo pensare.
E' anche vero che il suo pensiero, proprio per seguire fino in fondo la volontà di potenza e non certo per contrastarla, giunge a un esito che può apparire paradossale date le premesse, ma che ne è invece, a mio avviso, la più coerente delle conseguenze, fino alla follia che perfettamente chiude il disegno tracciato, come ultimo atto di una composizione tragica da cui non può essere tenuta fuori.
L'aforisma n.617 qui ricapitolato da Garbino credo che sia estremamente interessante proprio in questa direzione.
x maral e altri fratellastri del forum
Ah ora mi è chiaro!
Credo che la nostra maggiore divergenza era in realtà una incomprensione dei termini usati. Forse.
Prova a reintenderlo così secondo il mio linguaggio.
Non è che la questine è del gerachico, ma è quanto della guerra (intellettuale per me, ma è inutile negare che lo era anche fisica in Nietzche).
Nel momento che porto guerra al Nemico egli era prima una amico, sennò non può essere il grande Nemico, che ogni filosofo sogna di incontrare.
Ma perchè uno si chiede?
Non cadremmo così nel gerarchico?
E' vero ne sono molto consapevole.
Ma se noi estremizziamo il concetto di potenza, quel gerarchico sarà di nuovo combattuto da altri amici/nemici, fino ad arrivare allo stato di guerra permanente.
Questa intuizione Nicciana porta a mio parere a dei distinguo.
Se uno scontro porta ad una gerarchia, e cioè ad uno stallo, noi avrmo una verità ad esso sottesa.
Ma per Nietzhce non esiste la verità ma solo la menzogna.
La menzogna è quella del soggetto che tende a piegarsi su se stesso, fino a scordare di essere sempre in movimento, necessitato a essere sempre messo in discussione.
Diventare quelli che si è significa, diventare SEMPRE altro.
Vuol dire passare da una gerarchia all'altra se proprio vogliamo.
(da un valore all'altro).
Ma io Maral intendo la gerarchia invece con quel sistema dovuto al linguaggio paranoico, che ritiene che il soggetto sia morto, sia sepolto, incapace di re-inventarsi, un soggetto a-storico, un morto vivente.
La gerarchia che intendo è quella statica.
Per questo non capivo cosa intendevi. Forse.
Dico "forse" perchè tu parli di paradosso, ma in fin dei conti la continua trasvalutazione di tutti i valori, o di tutte le gerarchie, non è invece conseguentemente la FALSIFICAZIONE continua di cui parla nel 617.
Che mi parrebbe autentico, perchè torna con il Nietzche di UTU.
A riprova che in Nietzche vi è una coerenza di fondo, che nessun filosofo ha mai osato avere.
Conseguenza non paradosso.
Se vogliamo intendere la paralisi di Nitzche non come una evoluzione di una malattia, ma come un processo psicologico del sogetto.
A mio parere dovremmo invece pensarlo non come una conseguenza, ma al massimo come un paradosso.
Non nascondo che c'è la possibilità che da qualche parte nel suo ragionamento, sia caduto del processo paranoico, che poi si è psicotizzato.
(la psicosi è evidente negli scritti).
Questa da parte mia è tutta da scoprire.
Certo potrei benissimo concordare che il progetto era davvero ambizioso, e che sia crollato psichicamente: nel tentativo di stare sulle cime, è sprofondato nell'abisso.
Ma non mi torna per 2 ragioni.
1. La prima è che se avesse avuto un crollo nervoso, sarebbe dovuto passare ad una fase di depressione. A me pare, e sottolineo pare, non avendo ancora i materiali completamente sotto controllo, che invece lui passa dalla fase diciamo così illuminata che confluisce nella gaia scienza, ai biglietti della follia, come se fosse un flusso ininterrotto.
E' anche la cosa, che mette in dubbio se fosse malato o meno.
Persino nei biglietti della follia la grandezza di Nietzche è ancora evidente.
Io ritengo insomma che abbia guardato qualcosa nell'abisso, che noi umani mediocri non abbiamo ancora inteso. O che sia rimasto vittima di uno dei discorsi che la psicanalisi ha scoperto (paranoia, ossessione, schizofrenia, isteria).
Non potevano essere certo i primi 3 discorsi, i quali li padroneggiava, in una maniera tale, che mi si gela il sangue nelle vene. (e per cui nessuno che è dentro quei discorsi capisce niente).
Temo sia l'isteria. (il più tabuico tra i discorsi).
Sia perchè è veramente difficile districarsi nei suoi discorsi. (vedi alla voce psichiatria che l'ha depennata PERSINO COME MALATTIA).
Sia perchè lui non ne parla affatto. Dovremmo ricavarla dal suo discorso sul femminile. (qualcosa nei post precedenti ho già scritto mi sembra).
Per quel che mi riguarda (essendo in una società paranoica) controllo tantissimo il discorso paranoico in Nietzche.
Anche perchè lui è l'unico che ci può portare davvero fuori.
Ho appena ripreso UTU.
Ne riporto a mò di assaggio come intendo la cosa, poi ne aprirò 3d.
cit UTU prefazione mondadori.
"1.I miei scritti sono stati definiti
una scuola del sospetto.
2. ma fortunatamente anche del coraggio,
anzi dell'audacia."
Significa automaticamente anche rispetto a quello che dicevamo prima Maral.
Sospettare che siamo dentro un sistema paranoico (gerarchico) che sottende delle verità FALSE.
Sul forum c'è anche il 3d sul DUBBIO (vedere)
Sospettare e avere il coraggio di affrontarle (è qui che Nietzche rimane veramente solo, non conosco filosofi coraggiosi): rimane solo subito per dirla chiara.
E quando sei solo devi combattere la psicosi.
Parlare della paranoia, significa essere inghiottiti dalla paranoia.(primo abisso)
cit UTU prefazione mondadori.
"3.per dirla in termini teologici, come accusatore e
nemico di Dio."
Dio è il sistema metafisico classico. E' il discorso paranoico per eccellenza.
E' il discorso teologico-politico. (Schmitt)
cit UTU prefazione mondadori.
"4.qualcosa dei brividi e delle paure dell'isolamento cui è condannato
chiunque sia affetto da una assoluta diversità di sguardo."
Accusare Dio significa avere il brivido dell'esplorazione di nuove carte topologiche, e insieme significa evocare una paura ancenstrale, quale quella dei primi uomini di fronte al fulmine.
Significa risvegliare il terrore filosofico originario.
Partire dall'assoluta divergenza di sguardo.
La scelta di guardare il lampo e non di rifugiarsi nella caverna.
cit UTU prefazione mondadori.
"5. sI capirà anche quanto
spesso io, per riposarmi di me stesso, quasi per dimenticare anche solo brevemente
me stesso, abbia cercato un rifugio qualunque — in una qualche ammirazione, o
ostilità, o scientificità o leggerezza o stupidità; e anche perché io, quando non
trovavo ciò di cui avevo bisogno, dovessi per forza procurarmelo artificialmente,
falsificandolo, inventandolo (e che altro hanno fatto mai i poeti? e a che scopo
esisterebbe un'arte nel mondo?)."
La cosa che mi ha sempre stupito di Nietzche è che smaschera subito quello che facciamo tutti, ma proprio tutti: LA FUGA da se stessi.
La capacità di controllo di quello che è per tutti la vita quotidiana.
Lo smascharamento del discorso della paranoia: LA FUGA. Andare nella direzione opposta della vita, essere morti viventi.
(ecco nei miei ventanni, chiusi il libro....era troppo, veramente troppo. Umano troppo Umano)
Nietzche sapeva di stare dentro a questo meccanismo, (credo che come a ventanno non mi sono accorto di questo passaggio, nemmeno gli interpreti lo abbiano notato.
Eppure è scritto subito, lui sta dicendo, sta ammettendo sono paranoico anch'io.
(voglio proprio vedere chi altro lo abbia mai fatto!).
Chiede perdono se ogni tanto fugge....Saremmo noi a dovergli chiedere scusa del fatto che fuggiamo sempre!!
cit UTU prefazione mondadori.
"6. Ma ciò che mi è sempre stato estremamente
necessario, per curarmi e ristabilirmi...un godere dei primi piani, delle superfici, di quanto è vicino, vicinissimo, di tutto ciò che ha colore, pelle e appariscenza."
Io mi auguro che ognuno di voi sappia di cosa sta parlando Nietzche, la capacità di stare sulla superficie, la musica di Mozart. Il conforto dell'arte. Una bella donna, un bell'uomo. Un bel paesaggio...sopratutto un bel paesaggio.
cit UTU prefazione mondadori.
"7. Ma ammesso anche che
tutto ciò sia vero e mi venga rinfacciato a buon motivo, che ne sapete voi, che cosa
ne potete sapere, quanta astuzia dell'istinto di conservazione, quanta
ragionevolezza e superiore precauzione siano contenuti in questo auto-inganno — e
quanta falsità mi sia ancora necessaria per permettermi il lusso della veridicità'?"
Siamo al punto, che ne sapete dell'autoinganno NECESSARIO, (della gerarchia) per poter dire la verità.
Ovvero che ne sapete di quanto è in grado di mentire il soggetto per sussistere come metafisica.
Alias signori: NON SI ESCE DALLA METAFISICA. (che ne sà il neo-realismo di queste cose???)
cit UTU prefazione mondadori.
8. Basta io sono ancora vivo e la vita non è un'invenzione della morale: essa vuole inganno, essa vive di quello... ma, non è vero?, ecco che ricomincio da capo a fare quel che ho sempre fatto, io vecchio immoralista e uccellatore, e faccio discorsi
immorali, extra-morali, «al di là del bene e del male».
Conseguenza di quello detto prima:
signori basta frigne, siamo tutti metafisici, MA SIAMO VIVI, e la vita NON E' LA METAFISICA.
Su questo grido di dolore nicciano che termina il primo aforisma, o il primo paragrafo della introduzione, sulla sua scorta aprirò il 3d nietzche.
O continuo qui dentro...dimmi tu maral! (dopo l'estate comunque sia)
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro
X Maral
Mi sembra di poter condividere largamente su ciò che tu affermi nella prima parte del tuo post. Anzi dirò di più: in Nietzsche, sempre a mio avviso, non si può neppure parlare di periferia perché anche ciò che appare come periferico è sempre un effetto della volontà di potenza. La volontà di potenza cioè occupa tutto lo spazio dell' accadere stabilendo una gerarchia universale.
Perciò, sempre a mio avviso, parlare di una metafisica senza gerarchie, ammesso e non concesso che sia possibile, pone l' argomento al di fuori della filosofia di Nietzsche.
Sulla seconda parte, visto che non sei proprio esplicito ma molto lasci intendere, non ritengo che sia giusto dare una valutazione.
Il brano riportato comunque per me è lampante e va in una sola direzione, ma ciascuno poi può interpretarlo diversamente.
X Green Demetr.
Non c' è più dubbio, mio caro Green. Ci separa un abisso. Nessuno può fare a meno della metafisica? E da quando in qua un corpo fisico non può fare a meno di una illusione della psiche? Un corpo fisico, che fino a prova contraria è l' uomo, non può fare a meno dei suoi bisogni fisici!!! Questo solo rientra nel campo dell' indispensabilità. Non puoi cioè trasformare ciò che per te è fondamentalmente indispensabile per la tua vita psichica in un bisogno universale assodato, immanente. Ripeto, la dipendenza, perché a me così appare, dalla metafisica è direttamente proporzionale per ciascuno al grado del proprio bisogno metafisico, e che viene trasmesso geneticamente.
Tutti i brani che riporti della prefazione a UMANO TROPPO UMANO rappresentano per me tutt' altro. E cioè la necessità di una fuga determinata dalla pochezza dei suoi contemporanei. Il crearsi cioè di entità, come gli Spiriti Liberi, che gli sono necessari per sopportare il peso di ciò che lui ritiene essere il suo compito. E' lo stesso peso in mezzo a tanta desolazione intellettuale che diviene determinante per il suo stato psichico.
Comunque non credo di poterti convincere e non ci provo nemmeno. Però se non credi a me credi almeno a Nietzsche.
La Volontà di potenza, aforisma 462 ultimo punto:
Al posto della metafisica e della religione, la dottrina dell' eterno ritorno ( come mezzo di disciplina e di selezione ).
Ringrazio tutti per la cortese attenzione
Garbino Vento di Tempesta
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Ieri sera ho divorato la storia dell' archivio Nietzsche curata da Maurizio Ferraris che appare come ultimo capitolo ne La volontà di potenza curata da Gast e dalla sorella. E l' ho divorata perché non solo è molto interessante, ma perché ritenevo giusto farmi un' idea del perché fosse tanto contestata. I motivi sono molti e riflettono il clima che Nietzsche fin dal primo titolo ha sollevato in tutta la cultura, filosofica e non, dell' epoca. Per altro la sua genialità ha impedito un celere propagarsi delle sue idee in quanto fuori del tempo, e cioè completamente innovative e rivoluzionarie.
Sono alquanto d' accordo con l' autore, Ferraris, dopo aver visionato più di un terzo dell' opera, che gli aforismi sono quasi interamente di Nietzsche. Ho qualche dubbio su alcuni, e dovrò rileggerli ma nulla di essenziale, almeno per il momento. D' altronde lo stile Nietzsche è inimitabile, soprattutto per chi come la sorella e Gast, non possono dirsi sufficientemente preparati a modificare un testo di Nietzsche senza scoprirsi.
Al di là del fatto che sicuramente la sorella Elizabeth avrà rimosso particolari brani a lei rivolti, non c' è che da darle atto che il suo interessamento ha salvato gran parte dei suoi scritti inediti che in altre mano avrebbero potuto avere un futuro differente e probabilmente infausto.
Perciò ritengo che dobbiamo esserle grati per la cura che ne ha avuto, al di là degli eventi storici che si sono succeduti nello svolgimento di questo arduo compito. La canaglia in definitiva ha fatto il possibile per difendere le sorti dei suoi scritti e non possiamo, ripeto, che essergliene grati.
Tra i riferimenti di Ferraris, ci sono quelli su Heidegger e sui primi interpreti del suo pensiero. Per la gran parte concordo con lui, l' unica nota stonata è il riferimento a Vattimo, ma anche per lui come per gli altri, che hanno lottato per appropriarsi dell' archivio e della sua eredità culturale, tutto può essere siglato come al solito con: Umano Troppo Umano.
Grazie della cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Caro Garbino ero indeciso se risponderti in maniera dura o soft.
Ho lasciato passare qualche giorno e ho scelto la seconda. (ringraziami)
Anzitutto io non sono un corpo ma un individuo fatto di anima e corpo. (a questo punto banalizzo anch'io)
Quindi mi lascia indifferente la tua annotazione sul metafisico.
La metafisica senza gerarchie non è certo l'obiettivo di nietzche, ma la sua è
A) una metafisica
B) non ha gerarchie.
cit Garbino
"Tutti i brani che riporti della prefazione a UMANO TROPPO UMANO rappresentano per me tutt' altro. E cioè la necessità di una fuga determinata dalla pochezza dei suoi contemporanei."
Anzitutto era il primo aforisma dell'introduzione (secondo i tipi mondadori).
Non erano brani.
Il punto vero del mio dissenso è che non capisco a questo punto l'utilità di riportare citazioni.
Tu ci vedi una semplicemente una fuga. :o
Quindi non hai colto i seguenti temi:
Il tema della menzogna, il tema del dubbio, il tema delle superfici, il tema della cura, il tema della vita.
Non so: tira tu le somme. Anzi no lascia perdere.
cit garbino
"La Volontà di potenza, aforisma 462 ultimo punto:
Al posto della metafisica e della religione, la dottrina dell' eterno ritorno ( come mezzo di disciplina e di selezione )."
Non so gli altri, ma mi sembra chiaramente una falsificazione questo aforisma.
motivazioni.
1. "disciplina, selezione"....ma non sono proprio quelle cose che i nazisti hanno sempre perseguito?
2. Per quanto oscuro sia l'eterno ritorno, di certo non è una dottrina.*
3. dalla wiki
""Nietzsche-Archiv"
Il definitivo collasso mentale di Friedrich Nietzsche avvenne nel 1889 (morì undici anni dopo) e, al ritorno in patria della sorella, il celebre filosofo era solo un invalido i cui scritti avevano diffusione in tutta Europa e alimentavano un acceso dibattito. Elisabeth fondò nel 1893 a Naumburg il Nietzsche-Archiv e si adoperò energicamente per promuovere il fratello, ma distorse parte del suo pensiero, specie con la pubblicazione postuma dei frammenti che vanno sotto il nome di La volontà di potenza.[4]
Lo stesso argomento in dettaglio: Influenza e fortuna del pensiero di Nietzsche.
Nel 1930, Elisabeth – più o meno da sempre nazionalista e antisemita – iniziò a sostenere apertamente il Partito Nazionalsocialista Tedesco del Lavoro. Dopo che nel 1933 Hitler, con il suo partito, ebbe preso il potere, il Nietzsche-Archiv beneficiò di sostegno economico e pubblicità dal governo, che Elisabeth contraccambiava profondendo sul regime il notevole prestigio dell'eredità morale di Nietzsche.[5]
Elisabeth Förster-Nietzsche morì nel 1935 e ai suoi funerali intervennero svariati gerarchi nazisti, oltre a Hitler stesso."
* Complesso di cognizioni o di principi organicamente elaborati e disposti, considerato come oggetto di studio o come norma sul piano teorico o pratico: d. sociali, economiche, politiche.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Prima di rispondere a Green, vorrei porre alla vostra attenzione un motto che è apparso in coda ad una disanima dei tempi attuali a cura di un certo Pierpaolo Canero, di cui sinceramente non ho la minima conoscenza. Disanima di un certo spessore e che si conclude con questo motto, anche se non so se sia più valutabile come aforisma e che recita così:
TEMPI AVVERSI CREANO UOMINI FORTI, UOMINI FORTI CREANO TEMPI TRANQUILLI, TEMPI TRANQUILLI CREANO UOMINI DEBOLI, UOMINI DEBOLI CREANO TEMPI AVVERSI.
E un paio di righe più in basso l' articolo si conclude lapidariamente con la frase: NOI SIAMO UOMINI DEBOLI.
Lo ho riportato e posto alla vostra attenzione perché, a parte un consistente richiamo alla filosofia di Nietzsche, mi sembra illuminante e profondo.
X Green Demetr.
E' inutile illuderci. Dobbiamo prendere atto che su Nietzsche abbiamo opinioni confinanti a livello superficiale, ma di una differenza abissale a piano a piano che approfondiamo qualsiasi argomento. In pratica discordiamo su tutto. Prendiamone atto. Punto.
1) Sono dell' opinione che Wiki sia poco affidabile. Chiunque può inserirsi e variare il contesto a suo piacimento e ciò non garantisce la conoscenza o la oggettività, la credibilità, o l' onestà di chi inserisce il contenuto.
2) Non vedo comunque perché Wiki, in ogni caso, dovrebbe essere più affidabile di Maurizio Ferraris, che comunque si firma.
3) Il testo, a mio avviso, non è falso e per diverse ragioni, e che non esporrò perché ritengo che sia troppo presto esporle. Comunque per quanto riguarda il richiamo al nazismo sono dell' opinione che nel 1906 ogni richiamo al nazismo sia assurdo. E per altro un nazista non avrebbe mai lasciato la parola religione dopo metafisica perché il nazismo aveva un carattere profondamente religioso. Perciò semmai avrebbe lasciato solo la metafisica. Cosa questa che è pur sempre discutibile perché il nazismo era profondamente metafisico. Sulla selezione e sulla disciplina mi riserbo di argomentare, come ho già specificato, quando sarà il momento.
4) Se comunque fosse vera la volontà di determinare uno stravolgimento del contesto del messaggio di Nietzsche, Elizabeth avrebbe anche modificato tutti gli attacchi agli antisemiti ed ai principi e alle ideologie del nazismo, che nacque ben dopo il 1906, che è la data della prima stesura dell' opera. Attacchi che sono largamente presenti e ripetuti in tutte le opere di Nietzsche
5) Mi hai contestato la parola "brano", ma non vedo perché visto che le tue citazioni sono tratte dalla Prefazione all' opera che è datata 1886, mentre Umano Troppo Umano risale al 1778. Per altro, sarebbe da tenere in scarsa considerazione visto e considerato che la sorella potrebbe averla, come tu sostieni, alterata a suo piacimento.
6) La mia versione della Prefazione prevede (Newton Compton ) 8 ( otto ) paragrafi con una certa organicità che difficilmente possono essere identificati come aforismi. Naturalmente a mio avviso, poi ciascuno può pensarla come vuole. E non credo che la Versione Mondadori possa presentarsi in modo diverso.
7) Sul termine "dottrina" potrei essere anche d' accordo, ma mi riservo di argomentare una eventuale elaborazione del contesto che potrebbe spiegare il motivo per cui Nietzsche usa questo termine.
8 Io affermo che Nietzsche vuole distruggere la Metafisica, ed è costretto a ragionare in termini metafisici e tu affermi che è Metafisico. Amen. Abbiamo opinioni diverse, non certezze. E non puoi affermare che: Nessuno può fare a meno della Metafisica, perché tu conosci soltanto te stesso e non i bisogni degli altri. Punto. Perciò puoi soltanto affermare: IO non posso fare a meno della Metafisica, e non estendere la tua necessità a livello universale.
9) A mio avviso in Nietzsche troviamo un solo aspetto gerarchico e che è rappresentato dalla Volontà di potenza. E mi sembra molto difficile che questo dominio possa essere inteso come non gerarchico. Ma poi ciascuno può pensarla come vuole.
Mi sembra di aver risposto a tutto. Ciascuno è quello che è e può permettersi di avere le proprie opinioni. E di difenderle. Ed ho deciso di difenderle, costi quello che costi. Mio caro Green Demetr, le cose stanno così. D' altronde si può rimanere amici anche pensandola diversamente. Almeno la penso così.
Ringrazio tutti per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Riporto, senza alcun commento personale, qualche stralcio di un interessante articolo a firma "Geniomaligno" e pubblicato, per coloro che sono interessati alla lettura, su Filosofiprecari.it dal titolo: "Il Nietzsche razzista, classista, illiberale, antimoderno, reazionario..." Mi sembra che cerchi di portare una visione del filosofo diversa da quella degli amici Garbino e Grenn Demetr, ma che è stata motivo di discussione anche tra di loro.«Lo "sfruttamento" non compete a una società guasta oppure imperfetta e primitiva: esso concerne l'essenza del vivente, in quanto funzione organica, è una conseguenza di quella caratteristica volontà di potenza, che è appunto la volontà della vita. – Ammesso che questa, come teoria, sia una novità – come realtà è il fatto originario di tutta la storia: si sia fino a questo punto sinceri con se stessi» (Al di là del bene e del male).
Spesso si dice che il "genio" esca fuori dalla storia, sia in grado di trascenderla per andar oltre i suoi schemi culturali. La "revisione" nietzschiana degli anni Sessanta ha contribuito a far tornare questo mito romantico dalla stessa finestra del nichilismo ermeneutico, da cui sembrava svanito. Ma niente di tutto questo è possibile. Friedrich Nietzsche, che pure è stato il più grande innovatore filosofico del suo tempo, risulta anch'egli un prodotto socio-culturale. Il filosofo che ha distrutto ogni dogma viveva di dogmi.
Anche il filosofo che ha combattuto la storia lineare e progressiva cristiana e illuministica viveva nella storia. L'ermeneutica contemporanea, che pure ha contribuito a fondare, ci assicura del fatto che il "prodotto" (Nietzsche) ha contribuito a creare cultura, e storia. Ma questo non toglie che di un prodotto si parli. E non è possibile capire e interpretare Nietzsche senza il darwinismo sociale, il positivismo più becero, la Germania ed il pangermanismo di Bismarck, senza la filosofia tedesca (e la sua peculiare ma sfaccettata riscoperta della grecità come rifugio contro la modernità), l'imperialismo europeo, l'avversione al socialismo, al liberalismo e ai contenuti più egalitari dell'illuminismo.
Nietzsche, in sintesi, è il più radicale antimoderno dell'Ottocento, e al contempo il meno dogmatico, fascinoso e imprevedibile degli antimoderni.
"Se anche la lode del terrore e dello sfruttamento – uguale in questi frammenti 1883-1888 ordinati dalla sorella e dal discepolo e copista Peter Gast così come in opere che Nietzsche pubblicò nel pieno dei suoi spiriti – sembra precorrere Auschwitz, non è un buon motivo per accusare la sorella-parafulmine, e per dire che Nietzsche non avrebbe mai voluto o pensato La volontà di potenza. Soprattutto, quest'opera ha offerto materia di riflessione ai maggiori filosofi di questo secolo; il Nietzsche di Heidegger, giusto per tenersi alle evidenze maggiori, sarebbe inconcepibile senza questa compilazione". E altrove ha aggiunto: "Nietzsche ha scritto cose tremende. Possiamo dirlo, senza con questo sposare il partito di Bäumler, né quello di Lukács (che restano differenti, e nella scelta, che fortunatamente non si porrà mai, sarei per Lukács); dobbiamo dirlo, per non cadere nell'equivoco di ammansire Nietzsche sino a renderlo irriconoscibile [...] Ovvio che non ha mai fabbricato un Lager; ma proprio per questo, non c'è affatto bisogno di negare che il male che compare con tanta violenza in tante sue pagine è il frutto di una falsificazione dell'eredità o di un equivoco ermeneutico".
Pur senza arrivare all'interpretazione che di Nietzsche danno György Lucaks e Ernst Nolte, che di lui fanno il profeta del Terzo Reich, è innegabile il fatto che il suo pensiero rappresenti l'avanguardia intellettuale della borghesia reazionaria tedesca che, citando Lucaks, pur cercando di leggere e decostruire il secolo, "non ebbe ancora esperienza del periodo imperialistico in se stesso". I tentativi di interpretare diversamente l'aforisma della "magnifica bestia bionda che vaga bramosa di preda e di vittoria" rivelano solo la delusione degli interpreti che si aspettano ancora da Nietzsche un "genio puro" e "metastorico". La "denazificazione" degli interpreti degli anni Sessanta di Nietzsche (Gilles Deleuze compreso) nasconde una loro cocente delusione.
Lo stile di vita elitario auspicato dal filosofo è inequivocabile: "Trattenerci reciprocamente dall'offesa, dalla violenza, dallo sfruttamento, stabilire un'eguaglianza tra la propria volontà e quella dell'altro: tutto questo può, in un certo qual senso grossolano, divenire una buona costumanza tra individui, ove ne siano date le condizioni (vale a dire la loro effettiva somiglianza in quantità di forza e in misure di valore, nonché la loro mutua interdipendenza all'interno di un unico corpo). Ma appena questo principio volesse guadagnare ulteriormente terreno, addirittura, se possibile, come principio basilare della società, si mostrerebbe immediatamente per quello che è: una volontà di negazione della vita, un principio di dissoluzione e di decadenza. Su questo punto occorre rivolgere radicalmente il pensiero al fondamento e guardarsi da ogni debolezza sentimentale: la vita è essenzialmente appropriazione, offesa, sopraffazione di tutto quanto è estraneo e più debole, oppressione, durezza, imposizione di forme proprie, un incorporare o per lo meno, nel più temperato dei casi, uno sfruttare – ma a che scopo si dovrebbe sempre usare proprio queste parole, sulle quali da tempo immemorabile si è impressa un'intenzione denigratoria?".
Primo Levi chiarisce:
Rimane indelebile e coerente (alla luce dei fatti), nonchè piuttosto efficace e riassuntivo, il giudizio che di Nietzsche dava Primo Levi: "Il verbo di Nietzsche mi ripugna profondamente; stento a trovarvi un'affermazione che non coincida con il contrario di quanto mi piace pensare; mi infastidisce il suo tono oracolare; ma mi pare che non vi compaia mai il desiderio della sofferenza altrui. L'indifferenza sì, quasi in ogni pagina, ma mai la Schadenfreude, la gioia per il danno del prossimo, né tanto meno la gioia del far deliberatamente soffrire. Il dolore del volgo, degli Ungestalten, degli informi, dei non-nati-nobili, è un prezzo da pagare per l'avvento del regno degli eletti; è un male minore, comunque sempre un male; non è desiderabile in sé. Ben diversi erano il verbo e la prassi hitleriani".
Il cristianesimo rivela di essere affetto da ripugnante «odio contro la terra e il terrestre» anche per il fatto che vorrebbe «spezzare ogni forma di autodominio, di virilità, di spirito di conquista, di bramosia di potere» e pretenderebbe «di conservare e di mantenere in vita», anzi persino di celebrare, «questa eccedenza di casi mal riusciti», questo «residuo di tarati, di malati, di degenerati, di essere difettosi, di necessari sofferenti» che l'umanità, come «ogni altra specie animale» e anzi più di qualsiasi altra, necessariamente produce
Come il primo, anche l'ultimo Nietzsche sembra fare appello alla morale: «L'autentica filantropia esige il sacrificio a vantaggio della specie», mentre il rifiuto di tale sacrificio rappresenta l'«estrema immoralità»
«la selezione della specie, la sua purificazione del cascame» è «la virtù per eccellenza»; «si devono amputare le membra malate – ecco la prima morale della società»; «la società è un corpo nell'ambito del quale a nessun membro è lecito essere ammalato»
Col cristianesimo «il singolo è diventato così importante che non è più possibile sacrificarlo: dinanzi a Dio tutte le "anime" sono uguali. Ma ciò significa mettere in questione, nel modo più pericoloso, la vita della specie». Una tale religione «ha indebolito la forza di sacrificare uomini», esigendo che siano risparmiati «tutti i sofferenti, i diseredati, i malati» e bloccando con ciò la necessaria «selezione»
Negli ultimi anni di vita cosciente del filosofo, centrale diviene il tema della resa radicale dei conti con coloro che mettono in pericolo l'esistenza ordinata della civiltà e la vita stessa. Si deve alfine procedere all'«annientamento di milioni di malriusciti»
«qui non ci possono essere patti: qui bisogna distruggere, annientare, far guerra». E ancora: «I deboli e i malriusciti devono perire [...] E a tale scopo si deve essere loro anche d'aiuto»[font='Segoe UI', 'Helvetica Neue', 'Liberation Sans', 'Nimbus Sans L', Arial, sans-serif]; il necessario e benefico «[font='Segoe UI', 'Helvetica Neue', 'Liberation Sans', 'Nimbus Sans L', Arial, sans-serif]attentato a due millenni di contronatura e deturpamento dell'uomo[/font][font='Segoe UI', 'Helvetica Neue', 'Liberation Sans', 'Nimbus Sans L', Arial, sans-serif]» comporta «[/font][font='Segoe UI', 'Helvetica Neue', 'Liberation Sans', 'Nimbus Sans L', Arial, sans-serif]l'inesorabile annientamento di ogni elemento degenere e parassitario[/font][/font][/size][/color]
Sinistre suonano tali dichiarazioni, ma è bene collocarle nel loro contesto storico..
Sono gli anni in cui un cugino di Darwin, Francis Galton, (noto a Nietzsche e da lui citato con favore)[font='Segoe UI', 'Helvetica Neue', 'Liberation Sans', 'Nimbus Sans L', Arial, sans-serif]lancia l'eugenetica che subito riscuote grande successo, in particolare negli Usa, il paese che in questo momento si distingue nella realizzazione pratica delle misure di questa nuova «scienza». Sotto la spinta di un movimento sviluppatosi già alla fine dell'Ottocento,[/font][/size][/color]
Anche in tal caso è bene precisare il quadro storico. Alcuni anni prima che il filosofo tedesco scriva il testo qui citato, un teorico del social-darwinismo come Ludwig Gumplowicz riferisce il fatto, ritenuto ovvio e pacifico, per cui, in determinate condizioni, «gli uomini della giungla e gli Ottentotti» vengono considerati e trattati «in quanto "esseri"(Geschöpfe) che è lecito sterminare come la cacciagione del bosco»; a comportarsi in tal modo sono persino «i Boeri cristiani»
.D 'altro canto, alla pratica dell'espansione e del dominio coloniale del tempo rinvia lo stesso Nietzsche allorché giustifica (o celebra) la «"barbarie" dei mezzi» dai conquistatori impiegata «in Congo o dove che sia»: la necessità di mantenere «la signoria sui barbari» esige la liquidazione della consueta «sdolcinatezza europea».L 'atmosfera culturale e politica della fine dell'ottocento è carica dell'idea o della tentazione del ricorso a misure «eugenetiche» che, nel caso delle popolazioni coloniali, confinano pericolosamente col genocidio.
Se siete riusciti a leggere nonostante i "/Justify" disseminati dal copi/incolla concludo dicendo che...la penso come Primo Levi... ;D Soprattutto, dal punto di vista letterario. trovo insopportabile il tono oracolare... e adesso, come ogni mal-riuscito, torno a farmi un pò di artrosilene 160mg/2ml...buona domenica :)
Tra i malriusciti si è sempre in larga compagnia, Sari, e credo ci si possa mettere dentro pure Nietzsche, considerandolo proprio dal punto di vista di quella pienezza di salute vitale di un corpo sano espressione di una perfetta volontà di potenza. Certamente il pensiero di Nietzsche è espressione di un modo di sentire epocale, di una crisi che va ben oltre i singoli individui ed è indubbio che in esso il nazismo abbia potuto trovarci elementi di ispirazione eugenetica (sviluppatasi peraltro a partire da Galton, soprattutto negli Stati Uniti e sostenuta ai tempi da molti personaggi di primo piano politico e culturale). Nietzsche non era certo un nazista e detestava il proto nazismo miserabile degli "ultimi uomini" del suo tempo, tra i quali certamente la sorella e il cognato, e certamente avrebbe detestato il nazismo delle bestie da branco con la svastica, trasudante un risentimento razziale d'accatto. ma non è per semplice errore interpretativo che i soldati della Wehrmacht sarebbero partiti per il fronte russo con nello zaino il "Così parlò Zarathustra" e non, che ne so, con "I pensieri" di Pascal o "Il manifesto" di Marx ed Engels. Nietzsche condensa in sé un momento epocale del pensiero dell'Occidente, un evento grandioso e definitivo, ridurlo a questo o a quell'aspetto, leggerlo solo secondo certi termini è comunque tradirlo. Heidegger se ne accorse, nonostante si fosse iscritto al partito nazista. Ma questo non toglie che leggerlo secondo certi termini è possibile, fu di fatto possibile. E ognuno prende da Nietzsche quello che vuole, il suo modo lo autorizza, autorizza la volontà di potenza su lui stesso.
L'eterno ritorno resta a mio avviso il punto chiave e fondamentale per la volontà di potenza, e Nietzsche ne era profondamente convinto. Si tratta di imprimere al Divenire il carattere dell'Essere, l'estrema approssimazione, una doppia menzogna verso la quale la volontà di potenza si muove proprio per essere se stessa senza smentirsi. E qui, nell'Eterno Ritorno, si può pure pensare che ogni gerarchia è abolita, come in ogni ontologia che si mantenga al suo fondamento ontologico: tutto torna indiscriminatamente, ossia tutto è ed è ancora, per sempre, senza distinzione, solo è ancora e poi ancora. Ma c'è ancora colui che pensa l'eterno ritorno, c'è ancora di mezzo Nietzsche che vede l'eterno ritorno e dunque, poiché è così, rappresenta un vertice che resta al di sopra della volontà di potenza. Finché c'è Nietzsche di mezzo l'Eterno Ritorno, per quanto estrema approssimazione, sarà ancora solo un'approssimazione, ma Nietzsche si toglie di mezzo, Nietzsche impazzisce. E qui l'aderenza è raggiunta, il pensiero, espressione di una soggettività, diventa impossibile, diventa non pensiero e si realizza la grandezza smisurata di un pensare che non potendo più pensare si annulla. E' una metafisica che non è più nemmeno fisica, ma aderenza totale a un'insignificanza totalmente indifferente che aderisce alla più pura ontologia.
Non è paranoia questa di Nietzsche, forse si potrebbe leggere rispetto al soggetto in essa inesistente, come l'estremo atto di coerenza che si realizza in una sorta di psicosi maniaco depressiva che arriva al culmine, facendo venire a coincidere nello stesso attimo eterno la fase dell'esaltazione maniacale con quella della depressione più profonda, ma ancora di più è la conclusione nella psicosi di un'epoca millenaria, l'ultimo atto di una ontologia che si rende perfettamente coerente ingoiando se stessa e distruggendo il senso del tempo. L'accettazione dell'eterno ritorno richiede dunque l'estrema dedizione alla volontà di potenza di cui solo l'oltreuomo può rendersi capace e l'oltreuomo è colui che si arrende al non poter più in alcun modo pensare. Strimpellando e cantando canzoni napoletane, delirando su se stesso come un matto da barzelletta, Nietzsche si prepara alla follia catatonica come ultimo coerente atto ontologico.
Citazione[font=Georgia, 'Minion Web', Palatino, 'Book Antiqua', Utopia, 'Times New Roman', serif]Un giorno, nel dicembre 1944, bussarono alla nostra porta quando era già buio. Fuori c'erano Heidegger, la nuora e la sua assistente. Erano in fuga da Friburgo, bombardata e minacciata dall'ingresso degli alleati, verso Meßkirch. Non c'erano mezzi di trasporto. Ci chiesero di poter alloggiare da noi quella notte. Trascorremmo una serata tranquilla e distesa. Per desiderio di Heidegger, mia moglie eseguì la sonata postuma in si bemolle-maggiore di Schubert. Quando la musica finì, egli mi guardò e disse: «Questo noi non possiamo farlo con la filosofia».[/font]
[font=Georgia, 'Minion Web', Palatino, 'Book Antiqua', Utopia, 'Times New Roman', serif]In quella notte angosciosa solcata da oscuri ed infausti presagi ed in cui le traiettorie luminose dei bombardieri squarciavano il cielo come «fulmini dell'apocalisse», Heidegger mestamente esprime, nell'ultimo svanire delle note della sonata postuma di Schubert, il senso di un fallimento ormai sentito con lucida ed inequivocabile consapevolezza: il suo fallimento, il fallimento del pensatore che aveva creduto, prima, di poter assumere la guida spirituale di un movimento politico rivoluzionario suscitando, sulla scorta dei versi di Hölderlin, il risveglio del popolo tedesco, poi, di poter circoscrivere, con la sola potenza del pensiero, la violenza e l'aberrante deriva del nazionalsocialismo nell'ambito metafisico della scatenata volontà di potenza -- sono questi gli anni del tormentato confronto con il pensiero di Nietzsche -- e dell'intera tradizione filosofica occidentale. Insieme al fallimento del pensatore risuona, poi, in quelle sibilline parole di Heidegger, anche il fallimento dell'uomo e del credente: il congedo dal «sistema del cattolicesimo» che egli aveva annunciato per la prima volta all'amico sacerdote Krebs nel 1919, lungi dall'essere solamente una pregiudiziale ateistica necessaria per ogni retto filosofare, è, ormai, divenuto una 'decisione' irrevocabile.[/font][font=Georgia, 'Minion Web', Palatino, 'Book Antiqua', Utopia, 'Times New Roman', serif]Ma un altro ben più grave fallimento si annuncia negli ultimi concitati accordi della sonata schubertiana: il 'fallimento' del pensiero stesso. [/font](Sandro Gorgone, Heidegger e il Kairos)Scusate i copia/incolla ma in questi giorni sto piuttosto male e così mi aiuto con le citazioni, che sono meno faticose che elaborare uno scritto mio. Spero siano interessanti... :( Questo intervento è in riferimento a questo passo di Maral:Heidegger se ne accorse, nonostante si fosse iscritto al partito nazista. Ma questo non toglie che leggerlo secondo certi termini è possibile, fu di fatto possibile. E ognuno prende da Nietzsche quello che vuole, il suo modo lo autorizza, autorizza la volontà di potenza su lui stesso.
Non capisco bene questo attacco ignorante fatto negli ultimi post ma andiamo con ordine.
x garbino
Il tuo attacco alla wiki è ridicolo, ci sono centinaia di scritti filologici che lo attestano.
Ma poi abbi pazienza gli scritti postumi di Nietzche ci sono (ed. Filologia Adelphi), se mi indichi dove sta quello da te indicato sono felice di dirti che mi sono sbagliato.
cit garbino
3) Sulla selezione e sulla disciplina mi riserbo di argomentare, come ho già specificato, quando sarà il momento.
E io spero proprio di non leggere ulteriori sciocchezze che aggreverebbero la tua (supponente) interpretazione.
La mia argomentazione pre-giudicante è la seguente, che se vi è selezione (darwinismo sociale) allora vi è gerarchia.
Molto semplice molto piano.
cit garbino
4) Se comunque fosse vera la volontà di determinare uno stravolgimento del contesto del messaggio di Nietzsche, Elizabeth avrebbe anche modificato tutti gli attacchi agli antisemiti ed ai principi e alle ideologie del nazismo, che nacque ben dopo il 1906, che è la data della prima stesura dell' opera. Attacchi che sono largamente presenti e ripetuti in tutte le opere di Nietzsche
Ma questo è falso, in quanto attacchi anti-semiti vi sono anche all'interno di Umano Troppo Umano che NON è un testo spurio.
cit garbino
6) La mia versione della Prefazione prevede (Newton Compton ) 8 ( otto ) paragrafi con una certa organicità che difficilmente possono essere identificati come aforismi. Naturalmente a mio avviso, poi ciascuno può pensarla come vuole. E non credo che la Versione Mondadori possa presentarsi in modo diverso.
Non lo so, sarebbe un lavoro da fare, comunque la versione filologica è solo quella della Adelphi. (e su quella mi baserò in futuro).
cit garbino
8) Io affermo che Nietzsche vuole distruggere la Metafisica, ed è costretto a ragionare in termini metafisici e tu affermi che è Metafisico. Amen
Ma che amen ed amen, anche per me Nietzche vuole distruggere la metafisica, ma bisogna distinguere tra la metafisica classica (che è l'obiettivo polemico) e quella nuova (che teorizza con l'avvento dei Superuomini).
Invece tu non intendendo NIENTE della nuova umanità da venire, scambi completamente i miei discorsi che sono AMPIAMENTE DIVISI in uno solo. Questo intellettualmente è scorretto. Ma non importa: proseguiremo a furia di martellarci in testa.
Semplice e piano.
cit garbino
"E non puoi affermare che: Nessuno può fare a meno della Metafisica, perché tu conosci soltanto te stesso e non i bisogni degli altri."
Ma come ti permetti? Io ho una storia alle mie spalle fatta di vissuti, di riflessioni sulle cose e sugli altri.
E posso affermare con certezza di conoscere i bisogni altrui, perchè erano bisogni condivisi. Ma che ne sai tu?
Incredibile!
Sul fatto che nessuno può fare a meno della metafisica, ti rimando a quello che Nietzche afferma nella introduzione.
Che nessuno di noi può fare a meno della menzogna. Almeno leggi quello che scrivo prima di metterti a fare polemica.
Ma poi questo della metafisica come necessità è un tema abbastanza accademico, a me qui interessa parlare dei superuomini.
cit garbino
9) A mio avviso in Nietzsche troviamo un solo aspetto gerarchico e che è rappresentato dalla Volontà di potenza. E mi sembra molto difficile che questo dominio possa essere inteso come non gerarchico. Ma poi ciascuno può pensarla come vuole.
La volontà di potenza è gerarchica, E non c'entra niente con i super-uomini. Questa associazione paranoica che non vi sia differenza è tutta tua e di Maral. (evidentemente cercate lo scontro ad ogni costo).
cit garbino
Mi sembra di aver risposto a tutto. Ciascuno è quello che è e può permettersi di avere le proprie opinioni. E di difenderle. Ed ho deciso di difenderle, costi quello che costi. Mio caro Green Demetr, le cose stanno così. D' altronde si può rimanere amici anche pensandola diversamente. Almeno la penso così.
Amici non credo proprio. Alleati su alcune cose sì. TU tieniti pure le tue opinioni che io cerco di argomentare le mie.
x sari
potrei benissimo liquidare tutto con un "vergogna! " ma proviamo a dire qualcosa.
Ho provato a rispondere, ma mi rendo conto che per controbattere alle illazioni di geniomaligno, servirebbe un libro a se stante.
Francamente il 3d è di Garbino e non me la sento di rispondere alle tue sterili provocazioni.
Non rimane per i lettori di questo forum che attendere che metta insieme le tematiche nicciane. E cominci a dare un senso documentato di quanto vado dicendo già da un pò.
Starà poi alla onestà di chi medita sulle questioni, e non millanta posizioni altrui.
Ovviamente il pezzo di geniomaligno è una accozzaglia volgare di luoghi comuni, e di malinterpetazioni, che testimoniano di una scorrettezza intellettuale che coincide con i deliri schizoido-paranoici dei loro autori.
In sostanza prendere un aforisma senza metterlo nella dimensione di senso che l'autore gli imprime, non ha senso.
Ma stiamo al giochino: partiamo pure dall'aforisma
Anzitutto bisogna intendere le finalità di aldilà del bene e del male. Cosa che non posso sapere essendo ancora ad UTU.
Trovo irritante proporre aforismi a caso, senza avere il senso generale della questione.
Ma comunque sia, troviamo Ancora gli stessi elementi presenti in UTU. (mi riesce facile leggerli, come controvelina)
A partire dalla fine, nessuno può uscire dalla metafisica: alias inutile mentire sul fatto che la vita è volontà gerarchizzante.
L'attacco va visto nella solita (già presente in UTU) angolazione di attacco allo Stato.
Ossia della Politica di Nietzche (scontro individuo - stato).
Con i soliti errori noti di Nietzche (le sue menzogne per continuare a scrivere) che esista davvero questa elite individualistica.
(discorso paranoico)
(cosa che negli aforismi più lucidi e profondi rinnega con forza, traversata della paranoia).
Sono i soliti aforismi "Butade" che servono a rendere la scrittura più polemica possibile. (e che lo resero celebre).
Semplice e piano.
I temi sono quelli soliti....ma geniomaligno non solo non li vede, ma crede a partire da quello di avere il diritto di delirare su una marea montante di autori "contra nice".
Per quanto riguarda Sari se dice che è d'accordo con Primo Levi, allora non si capisce perchè abbia portato all'attenzione geniomaligno.(che non ha nemmeno diritto di replica così facendo)
Primo levi sostiene di trovare indifferenza e non odio.
Ma infatti in Nietzche non c'è nè odio nè indifferenza. Scambiare il polemos scritto con il messaggio positivo che c'è dietro di esso non ha senso alcuno.
Altra cosa è il fatto che non piace lo stile. ma volenti o nolenti nice ha successo per quello.
In questo caso per tutti, ma nello stesso tempo per nessuno, (chi si ferma al polemos e non medita sul lato positivo, nascosto, ma nemmeno più di tanto.)
x maral
cit maral
"L'accettazione dell'eterno ritorno richiede dunque l'estrema dedizione alla volontà di potenza di cui solo l'oltreuomo può rendersi capace e l'oltreuomo è colui che si arrende al non poter più in alcun modo pensare. Strimpellando e cantando canzoni napoletane, delirando su se stesso come un matto da barzelletta, Nietzsche si prepara alla follia catatonica come ultimo coerente atto ontologico. "
Ma dove l'hai letta questa cosa Maral??? Quando mai Nietzche ha scritto una cosa del genere????
Incredibile!
cit maral
" E ognuno prende da Nietzsche quello che vuole, il suo modo lo autorizza, autorizza la volontà di potenza su lui stesso."
A me pare proprio quello che stai facendo tu.
Direi invece di meditare un pò più approfonditamente sui temi da LUI proposti, piuttosto che su quelli che vogliamo noi.
Tra l'altro se per te l'indifferenziato debba essere filosofia, non lo capisco proprio, nè a livello umano (lo trovo terribile) nè a livello psicologico positivo. (perchè senti la necessità di leggere nietzche in quella maniera?)
A me non rimane che la motivazione della psicologia negativa (ossia dell'odio apparentemente immotivato, ma ognuno sa di cosa si tratta in cuor suo, portato dagli scritti del Maestro).
Essendoci passato so di cosa si tratta. L'odio non serve. Ma la guerra (intellettuale) va affrontata.
Citazione di: green demetr il 21 Maggio 2017, 19:29:31 PMx sari potrei benissimo liquidare tutto con un "vergogna! " ma proviamo a dire qualcosa. Ho provato a rispondere, ma mi rendo conto che per controbattere alle illazioni di geniomaligno, servirebbe un libro a se stante. Francamente il 3d è di Garbino e non me la sento di rispondere alle tue sterili provocazioni. Non rimane per i lettori di questo forum che attendere che metta insieme le tematiche nicciane. E cominci a dare un senso documentato di quanto vado dicendo già da un pò. Starà poi alla onestà di chi medita sulle questioni, e non millanta posizioni altrui. Ovviamente il pezzo di geniomaligno è una accozzaglia volgare di luoghi comuni, e di malinterpetazioni, che testimoniano di una scorrettezza intellettuale che coincide con i deliri schizoido-paranoici dei loro autori. In sostanza prendere un aforisma senza metterlo nella dimensione di senso che l'autore gli imprime, non ha senso. Ma stiamo al giochino: partiamo pure dall'aforisma Anzitutto bisogna intendere le finalità di aldilà del bene e del male. Cosa che non posso sapere essendo ancora ad UTU. Trovo irritante proporre aforismi a caso, senza avere il senso generale della questione. Ma comunque sia, troviamo Ancora gli stessi elementi presenti in UTU. (mi riesce facile leggerli, come controvelina) A partire dalla fine, nessuno può uscire dalla metafisica: alias inutile mentire sul fatto che la vita è volontà gerarchizzante. L'attacco va visto nella solita (già presente in UTU) angolazione di attacco allo Stato. Ossia della Politica di Nietzche (scontro individuo - stato). Con i soliti errori noti di Nietzche (le sue menzogne per continuare a scrivere) che esista davvero questa elite individualistica. (discorso paranoico) (cosa che negli aforismi più lucidi e profondi rinnega con forza, traversata della paranoia). Sono i soliti aforismi "Butade" che servono a rendere la scrittura più polemica possibile. (e che lo resero celebre). Semplice e piano. I temi sono quelli soliti....ma geniomaligno non solo non li vede, ma crede a partire da quello di avere il diritto di delirare su una marea montante di autori "contra nice". Per quanto riguarda Sari se dice che è d'accordo con Primo Levi, allora non si capisce perchè abbia portato all'attenzione geniomaligno.(che non ha nemmeno diritto di replica così facendo) Primo levi sostiene di trovare indifferenza e non odio. Ma infatti in Nietzche non c'è nè odio nè indifferenza. Scambiare il polemos scritto con il messaggio positivo che c'è dietro di esso non ha senso alcuno. Altra cosa è il fatto che non piace lo stile. ma volenti o nolenti nice ha successo per quello. In questo caso per tutti, ma nello stesso tempo per nessuno, (chi si ferma al polemos e non medita sul lato positivo, nascosto, ma nemmeno più di tanto.)
Guarda che mi sembra opportuno, in una discussione, sentire anche le voci contrarie e polemiche e non solo gli "innamorati" del pensiero nicciano. Non avendo personalmente nessun trasporto personale verso quest'uomo di cui ho letto alcuni testi molti anni fa e che non mi sono piaciuti per nulla ( e l'ho già scritto, mi pare...), volevo semplicemente portare un contributo nella discussione portata avanti dall'amico Garbino e che poteva magari stimolare o approfondire alcuni punti che mi sembra siano stati solo sorvolati finora, ma che non puoi negare facciano parte della storia, nel bene e anche nel male, dell'interpretazione del pensiero del filosofo tedesco. A questi ho aggiunto uno spunto anche su Heiddeger.
Sembra quasi per te un fatto "personale", ma Nietzsche era solo un uomo, molto intelligente ma pure malato. Un uomo morto da molto tempo e con lui è morto il suo pensiero. Adesso esistono solo interpretazioni del suo pensiero e , che ti faccia soffrire o meno, sei comunque costretto ad accettare anche le argomentazioni o le interpretazioni avverse. Altrimenti, veramente, si rischia davvero, a parer mio, di farne una figura 'religiosa', di culto, di cui ci si fa un'immagine e poi la si difende ad oltranza contro tutto e tutti, per non rischiare di mettere in discussione l'immagine fatta.
Il "lato positivo" che tu vedi. nel mio caso non è in grado di farmi "digerire" le pesanti, pesantissime affermazioni che io trovo profondamente odiose. Non riesce a compensarle, in soldoni.
Sarà anche un problema delle diverse storie, vissuti e sensibilità che tutti noi abbiamo...
Ciao e buon proseguimento :)
P.S. Di solito uso poco il copia/incolla, l'ho fatto perché non sto bene per scrivere molto e quindi mi è "servito" per presentare alcuni punti, che in larga parte condivido, con "fatica ridotta". Ho fatto economia di forze, in pratica... ;D
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
P.s. Un post scriptum posizionato all' inizio può apparire paradossale, ma ho intravisto il nuovo post di Sariputra e volevo esprimere che sono d' accordo con lui. ( Non so per cosa tu usi l' artrosilene, ma ti posso assicurare che il toradoll in gocce è favoloso per le infiammazioni e stati dolorofici, sperando che tu lo possa prendere. Bastano anche pochissime gocce per avviare la riduzione del dolore e dell' infiammazione e la creazione di un maggior numero di endorfine. E' necessaria la ricetta bianca del medico. )
Volevo sinceramente aspettare ancora un po' a rispondere a Sariputra, ma gli interventi di Green hanno determinato uno spostamento dei post di Sari che purtroppo hanno, naturalmente involontariamente, rimosso il mio intento. E perciò passo a rispondere a Sari per poi passare a Green.
Mio caro Sari, i due interventi da te realizzati su molte frasi e brani di Nietzsche che possono rimanere indigeste si possono tranquillamente ritrovare nelle sue opere senza possibilità di smentita. E non sono i soli. Nietzsche attacca tutto: Socrate, il maligno Socrate, Cristo l' idiota, i semiti, gli antisemiti, il Deuts uber alles, i comunisti, gli anarchici, la donna, l' uomo che ha sbagliato proprio come umanità, i tedeschi da lui definiti porci, il gatto con gli stivali, Biancaneve e Satanasso. E in pratica non ho che elencato la minima parte di ciò che Nietzsche ritiene indegno a livello umano. E ti posso garantire, come ho più volte affermato, che alla prima lettura di Nietzsche, un secolo fa ( sono immortale ), ho avuto ripetutamente lo stimolo a gettare il libro dalla finestra. Ma poi ho deciso di continuare e, in principio l' ho accettato come facente parte della sua filosofia, poi della sua strategia ed infine del suo messaggio.
Non ho molta stima di Levi come non ne ho dell' autore a cui ti riferisci nel secondo post, che del resto non conosco affatto e non mi interessa neanche sapere chi sia. La sua comunque è la posizione sincera, ma quanto mai moraleggiante nel modo più sconsiderato, di chi ritiene che la vita sia altro. No, che deve essere altro. E perciò la sincerità nasconde soltanto una menzogna di fondo nel voler far apparire tutto ciò che è diverso dal suo modo di pensare come diabolico. Naturalmente ti ringrazio per aver inserito questi due post che mi hanno dato la possibilità di riprendere un discorso che avevamo affrontato nel vecchio sito nell' altra discussione su Nietzsche che avevo preso in mano, sostituendomi all' autore, essendo già avviata.
Mio caro Sari, Nietzsche è molto più complesso di quel che si pensa e appare. Prendere o lasciare. D' altronde non deve mica piacere per forza. Ma ti ricordo che anche Schopenhauer, uno dei tuoi preferiti mi sembra di ricordare, e l' unico grande a favore della compassione pur non riuscendo a provarla, non è poi così ialino. E' una questione di gusto e la rispetto. Naturalmente, a mio avviso, come afferma giustamente Green, Nietzsche è in quelle frasi come in tutto il resto che ha scritto, e non soltanto in frasi avulse dal cointesto della sua filosofia, strategia e messaggio.
X Green Demetr
Ed adesso passiamo a Green. Mi sono appena connesso a Wiki ed all' Archivio Nietzsche e avrei potuto modificare a mio piacimento il testo. E questo soltanto schiacciando il tasto modifica. A meno che tu non ti riferisca ad un sito diverso, non credo che ciò lo renda un sito affidabile.
Maurizio Ferraris ha scritto La Storia dell' Archivio Nietzsche posizionata alla fine della La Volontà di Potenza curata da Gast e la sorella ed edita per la prima volta nel 1906, e poi stampata in Italia da Bompiani. Questa è la versione che sto leggendo.
Supponente o non supponente è la mia interpretazione e la difendo. Con tanto di a mio avviso quasi ad ogni frase per non cadere nell' errore che sia l' unica o la più vicina al filosofo, per me lo è, ma non posso presentarla come tale.
Non mi interessa quanto tu abbia condiviso o no la tua esperienza, e con chi tu abbia condiviso la tua esperienza, comunque non puoi permetterti di affermare nessun universale senza farlo procedere da questa è la mia opinione, altrimenti mi sembra che la supponenza, di cui tu mi incolpavi, appartenga anche a te.
Sono d' accordo che il darwinismo come il darwinismo sociale sia aberrato da Nietzsche, ma non capisco perché tu per selezione intendi subito il darwinismo sociale e con disciplina il rapporto tra chi comanda e chi ubbidisce. Selezione e disciplina, nel frangente potrebbero avere, e questa è la mia opinione, valenze e significati diversi da quelli che tu esponi.
Umano Troppo Umano, ripeto, è del 1778 ma la Prefazione è del 1886 e non credo che sia stata inserita in edizioni prima della sua crisi definitiva. Perciò Elizabeth avrebbe potuto benissimo correggerla a suo piacimento. Così come tutte le opere edite dopo, come ad esempio Ecce Homo, su cui sicuramente qualcosa ha modificato ma soltanto sottacendo parti che la riguardavano o riducendo l' impatto di altre che comunque nell' opera appaiono.
Nietzsche afferma più volte che i SuperUomini o OltreUomini che dir si voglia, sono coloro che gettano alle loro spalle il passato dell' uomo e che grazie all' arte insita nella volontà di potenza, una volta liberato il suo fluire, possono passare a creare nuovi valori.
Io sarò anche paranoico, ma tu ti sei mai chiesto cosa sei? Prima di psicoanalizzare gli altri, vedi se ci riesci con te stesso. Per il resto, se vuoi restarmi amico bene, altrimenti: Che serà serà.
Grazie della cortese attenzione
Garbino Vento di Tempesta.
Citazione di: green demetr il 21 Maggio 2017, 19:31:50 PM
x maral
cit maral
"L'accettazione dell'eterno ritorno richiede dunque l'estrema dedizione alla volontà di potenza di cui solo l'oltreuomo può rendersi capace e l'oltreuomo è colui che si arrende al non poter più in alcun modo pensare. Strimpellando e cantando canzoni napoletane, delirando su se stesso come un matto da barzelletta, Nietzsche si prepara alla follia catatonica come ultimo coerente atto ontologico. "
Ma dove l'hai letta questa cosa Maral??? Quando mai Nietzche ha scritto una cosa del genere????
Incredibile!
Ti riferisci all'oltreuomo che trasfigura nella volontà di potenza accettando l'eterno ritorno o alla follia che esplode nel 1889?
Nel primo caso il riferimento va a questo passo de "La gaia scienza":
"Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: «Questa vita, come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione - e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L'eterna clessidra dell'esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello di polvere!». Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: «Tu sei un dio e mai intesi cosa più divina»? Se quel pensiero ti prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe subire una metamorfosi, e forse ti stritolerebbe; la domanda per qualsiasi cosa: «Vuoi tu questo ancora una volta e ancora innumerevoli volte?» graverebbe sul tuo agire come il peso più grande! Oppure, quanto dovresti amare te stesso e la vita, per non desiderare più alcun'altra cosa che questa ultima eterna sanzione, questo suggello?" (da La gaia scienza, Libro IV, n. 341).
(ma c'è anche e forse soprattutto il passo "della visione e dell'enigma" in "Così parlò Zarathustra": il morso del pastore che stacca la testa all'orribile serpente nero che gli è entrato in gola (l'immagine della nausea del tempo che lascia solo rovine) esprime la decisione all'accettazione dell'eterno ritorno per trasfigurare nell'oltreuomo ridendo)
Nel secondo caso a quanto riporta Maurizio Ferraris che ha curato una biografia di Nietzsche:
https://www.youtube.com/watch?v=GpBr3xqyEFICitazionecit maral
" E ognuno prende da Nietzsche quello che vuole, il suo modo lo autorizza, autorizza la volontà di potenza su lui stesso."
A me pare proprio quello che stai facendo tu.
Direi invece di meditare un pò più approfonditamente sui temi da LUI proposti, piuttosto che su quelli che vogliamo noi.
Green lo starò facendo io, quanto lo fai e lo farai tu. Nietzsche si presta moltissimo e proprio qui sta la sua grandezza. Il suo non è un testo da prendere in oggetto di analisi, come un trattato di logica o un teorema filosofico post hegeliano, ma per come risuona, è nella risonanza che la sua grandezza esplode. Nietzsche non si può che mentire facendogli dire quello che si vorrebbe sentirgli dire (e scommetto che tu, dopo un'attenta analisi dei testi troverai proprio quello che volevi trovarci ed è pure giusto che sia così), perché abbiamo bisogno di sentircelo dire, oppure perché abbiamo bisogno di non sentircelo dire, come fa chi lo rifiuta radicalmente. E' così che attraverso il suo dire si può
diventare ciò che si è che è quello che solo conta.
Non siamo di fronte all'indifferenziato, è tutt'altro che indifferenziato, è risonanza di un valore estremo per ognuno che vi si accosti cercando in lui una salute salvifica o una malattia oscena da rigettare, perché non si può essere indifferenti a Nietzsche in ogni caso. Mai come per lui la sua vita non può essere considerata a parte dalla sua filosofia, è la sua filosofia e per questo la sua filosofia ci scuote nel profondo come può fare solo una vita che si mette a nudo. E forse proprio a partire da Nietzsche, questo resta l'unico modo per fare filosofia.
E per questo "diventare se stessi" attraverso Nietzsche che sento importante e di grande valore il lavoro di condivisione di Garbino quanto quello che intendi fare tu su Nietzsche, ma certamente non per avere un Nietzsche oggettivo, buono per tutti, affinché sia a tutti definitivamente chiaro e incontrovertibile quello che lui voleva dire. "Ecce homo" è quello che lui voleva dire, dopo di ché nient'altro si può dire.
Non so bene a che gioco giochiamo. ::)
Caro Maral ti rispondo ancora, perchè ti stimo troppo.
Ma non vedo l'utilità.
Tu hai già detto e ridetto e ridetto ancora e ancora e ancora, che l'eterno ritorno è il centro del pensiero nietzchiano,
E io ti avevo detto che ti avrei di volta in volta ostacolato nel divulgare un messaggio così chiaramente falso.
Ripeto per la ennesimi volta, perchè prendere 2 aforismi e farne il nucleo centrale di Nietzche, quando lui ha scritto migliaia di ALTRE PAGINE.
Dove altri temi, mai discussi dai buffoni della filosofia (la pop-sofia), ma nemmeno dai più seriosi in realtà, EMERGONO.
Mi sembra comodo insistere su l'eterno ritorno. Io almeno ho la decenza di dire che non ho idea di cosa stia parlando.
Serpenti? clessidre? attimi infiniti? stessa sequenza??? mi sembra tutto veramente troppo allegorico, se non si riesce a collegarlo con il resto. (e senza altri raccordi di senso, sono frasi deliranti, non mi pare di ripetere le stesse cose bla bla bla....)
Tutto qui,
Se tu mi dicessi, ho letto la gaia scienza, e ho capito che questo tema torna io non avrei problemi a dirvi ok avete ragione. (magari mi fate pure un favore)
L'interpretazione tua e di Garbino o di Paul non è quello che Nietzche dice.
Punto e a capo.
Però è anche l'ultima volta che insisto. (desisto, e mi autobanno. farò finta di non leggere queste visione da apocalisse zombie, frutto ovviamente del pensiero paranoico che vi circonda).
Ho provato ad ascoltare Ferraris,..... ma sul serio......come si fa? usare la follia nicciana per esemplificare il paradosso è scorretto e patetico. Ma è Ferraris lo conosco, per i soldi venderebbe qualsiasi cosa.
Inoltre disapprovo totalmente la sua ironia i suoi giochetti linguistici che sono segnale di una intellingenza superiore che si fa beffe del suo stesso uditorio, cosa che funziona molto in Italia e nel Mondo).
Sono stufo di ascoltarlo. Comunque grazie della segnalazione, porta alla mia attenzione ulteriori giochetti fatti sulla vita dell'uomo.
Beh capita quando non si capisce niente dell'opera.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
La quiete dopo la tempesta.
Bene, un po' di riflessione era senza dubbio necessaria per riprendere fiato e mitigare i toni. E ringrazio tutti per aver così vivacizzato questa discussione nel modo che sappiamo.
Approfitto di questa pausa per riportare alcune informazioni e allo stesso tempo scusarmi per alcune inesattezze che le riguardano.
La volontà di potenza che sto leggendo consta di 1061 aforismi e non 1965. Millenovecentosessanticinque è il riferimento di Maurizio Ferraris all' ultimo anno sulle interpretazioni di Nietzsche in coda alla sua ricostruzione dell' Archivio Nietzsche e che chiude il libro. Lo so è una svista pazzesca e mi scuso ancora con chi l' abbia presa per vera. La prima edizione italiana della Bompiani risale al 1992 ed è curata proprio da Maurizio Ferraris e Pietro Kubau.
Nella prefazione indicano che tra la versione del 1906 di Gast e la sorella e quella di Otto Weiss del 1911 che comunque rappresenta soltanto una correzione dell' altra, hanno scelto quella del Weiss perché da loro ritenuta migliore. Anche in questo caso mi scuso perché avevo capito inizialmente che si trattasse proprio dell' originale.
Sinceramente anche a me Ferraris non è che sta simpatico, né penso che sia un buon interprete di Nietzsche, ma nella circostanza, e cioè nel parlare dell' Archivio Nietzsche, mi sembra aggiornato e le sue opinioni accettabili.
Ringrazio Maral per il link, e sinceramente, come per Green, il rigetto di quell' argomento, orrore e comicità, mi sembra non solo necessario ma anche opportuno. Quando cioè non si sa cosa dire è meglio tacere ( guarda un po' a caso una frase di Nietzsche ).
E lo ringrazio anche per il tema espresso nell' ultimo post, che sicuramente condivido. Diventare ciò che si è, è senza dubbio il lato ermeneutico più viscerale che Nietzsche affronta. Il suo lanciare sassi o macigni nei nostri stagni culturali o sui nostri pregiudizi rappresenta senz' altro uno dei punti chiave della sua filosofia. Ma se mi chiedo se il messaggio finisce lì, devo purtroppo risponderti che ho molti dubbi.
Intanto sono arrivato all' aforisma 794, e ho notato che più avanti c' è un capitolo sulla selezione e la disciplina ed un altro sull' eterno ritorno. Mentre quello che mi accingo a leggere è il primo aforisma del capitolo La volontà di potenza come arte e che dovrebbe essere quello a cui si riferisce Heidegger.
So soltanto che volevo dire altre cose, ma , sarà il caldo, adesso mi sfuggono.
Grazie per la cortese attenzione e chiedo ancora scusa per le inesattezze riportate nei post precedenti. Grazie di cuore.
Garbino Vento di Tempesta.
Citazione di: green demetr il 21 Maggio 2017, 23:28:21 PM
Serpenti? clessidre? attimi infiniti? stessa sequenza??? mi sembra tutto veramente troppo allegorico, se non si riesce a collegarlo con il resto. (e senza altri raccordi di senso, sono frasi deliranti, non mi pare di ripetere le stesse cose bla bla bla....)
Tutto qui,
Se tu mi dicessi, ho letto la gaia scienza, e ho capito che questo tema torna io non avrei problemi a dirvi ok avete ragione. (magari mi fate pure un favore)
L'interpretazione tua e di Garbino o di Paul non è quello che Nietzche dice.
Punto e a capo.
Veramente Green "La gaia scienza" l'avevo proprio letta e il pezzo citato mi sembra davvero chiarissimo, uno dei più chiari che Nietzsche abbia scritto. Poi è evidente che a te non gusta l'eterno ritorno, ma non puoi lasciarlo fuori per questo, resta il punto centrale del pensiero filosofico nicciano. Non puoi accantonarlo perché non ti garba, o Nietzsche lo prendi tutto o non lo prendi. Poi se me lo spieghi in altro modo ben venga. Per quel che mi riguarda anche la sua follia resta parte essenziale del suo pensiero, ne è la perfetta conclusione. E non dico questo per denigrare Nietzsche, come fa Ferraris, ma proprio il contrario, è una follia filosoficamente grandiosa (questa comunque, a differenza dell'eterno ritorno è una mia opinione personale, ma che sento strettamente conseguente). Comunque attendo la tua interpretazione dell'eterno ritorno in connessione alla volontà di potenza, fino ad allora non aggiungerò altro in merito, la mia l'ho già detta. :)
Citazione di: garbinoRingrazio Maral per il link, e sinceramente, come per Green, il rigetto di quell' argomento, orrore e comicità, mi sembra non solo necessario ma anche opportuno. Quando cioè non si sa cosa dire è meglio tacere ( guarda un po' a caso una frase di Nietzsche ).
Condivido il giudizio su Ferraris (compreso il suo "Nuovo realismo").
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
X Maral
Bene riprendiamo il viaggio facendolo precedere da una premessa. Per te il messaggio di Nietzsche si racchiude nel diventare ciò che si è, per me e per Green no. Naturalmente ciascuno ha le sue motivazioni e i suoi ragionamenti ed argomentazioni nonché deduzioni, ma, come giustamente hai affermato in uno dei post precedenti: è giusto così, perché ciascuno ha la tendenza a ritrovare in Nietzsche ciò che gli è più congeniale. Ma ciò non toglie che, a mio avviso, in Nietzsche possa esservi molto di più, pur non disconoscendo l' importanza capitale che ha il diventare ciò che si è.
Sull' eterno ritorno, devo dedurre che non l' ho ancora capito, data l' importanza che Nietzsche gli riserva, e perciò sospendo il giudizio, ritenendolo ancora e tuttora collegato a ciò che afferma Severino, e cioè un escamotage per fornire alla volontà di potenza il controllo sull' eternità nell' attimo stesso in cui si vive.
La lettura della Volontà di potenza, come appare nel capitolo ricostruito da Gast e la sorella, mi fa venire molti dubbi sul ruolo avuto da Heidegger nella vicenda ( intendo il seminario ). Infatti, proprio dal merito delle scelte di Heidegger sugli aforismi da presentare, sembra quasi che le cose fossero più complicate. E cioè che fosse stato proprio il partito a costringerlo a rivalutare il Nietzsche Metafisico e che lui lo abbia fatto ma riferendosi e riportando proprio quegli aforismi che, a mio avviso, affermano l' esatto contrario. Insomma il discorso risulta essere talmente complicato che non ne usciremmo più. Però valeva la pena fornirti questa mia valutazione che conoscendo il clima sociale tedesco del periodo non è da scartare.
Altro dirti non vo', ma riporto integralmente, a mo' di spunto riflessivo, un commento inedito di Nietzsche alla Nascita della Tragedia, che ritengo che sia, e troverai, molto interessante. Anche questa volta senza commentarlo.
Aforisma 853, pag 464 La volontà di potenza cap: la Volontà di potenza come arte. ( Chiamarlo aforisma è un po' riduttivo, ma non fa niente ).
L' ARTE NELLA " NASCITA DELLA TRAGEDIA ".
1) La concezione del mondo con cui, nel suo proposito più recondito, si scontra questo libro è particolarmente fosca e spiacevole: sembra che fra i tipi di pessimismo finora conosciuti nessuno abbia raggiunto questo grado di malignità. Qui non c' è contrasto tra un mondo vero e apparente: c' è un solo mondo, e questo è falso, crudele, contraddittorio, seduttore, senza senso.... Un mondo siffatto è il mondo vero. Noi abbiamo bisogno di menzogne ( in corsivo ), per riportare la vittoria su questa realtà, su questa " verità ", ossia per vivere.....Il fatto che la menzogna sia necessaria per vivere fa parte di questo carattere terribile ed enigmatico dell' esistenza..... La metafisica, la morale, la religione, la scienza vengono prese in considerazione in questo libro soltanto come altrettante forme di menzogna: con il loro aiuto si crede ( crede in corsivo ) nella vita. "La vita deve ispirare fiducia": il compito, così posto è enorme. Per assolverlo, l' uomo deve essere bugiardo già per natura, deve essere artista ( artista in corsivo ) prima di ogni altra cosa. Ed egli è ( è in corsivo ) tale: metafisica, morale, religione, scienza sono tutti parti della sua volontà di arte, di menzogna, di fuga dalla "verità", di negazione ( negazione in corsivo ) della " verità". La stessa facoltà grazie a cui fa violenza alla realtà con la menzogna, questa facoltà artistica par excellence dell' uomo, lui l' ha in comune con tutto ciò che è. Egli stesso è un frammento di realtà, di verità, di natura: come potrebbe non essere anche un frammento del genio della menzogna ( genio della menzogna in corsivo )?
Che si misconosca ( misconosca in corsivo ) il carattere dell' esistenza: è questa la più alta e profonda intenzione, il segreto che sta dietro a ogni virtù, scienza, devozione, mestiere d' artista. Molte cose non vederle mai, molte altre vederle falsamente, vederne molte che non sono: quanto è saggio il ritenersi saggi quando invece se ne è lontanissimi! L' amore, l' entusiasmo, "Dio" - tutte finezze dell' estremo autoinganno, seduzioni alla vita, fede nella vita! Nei momenti in cui l' uomo viene ingannato, in cui si inganna da sé, in cui crede nella vita, quale esuberanza per lui! Quale rapimento! Quale sensazione di potenza! L' uomo è tornato di nuovo padrone della "materia" ( materia in corsivo)! Padrone della "verità"!..... E in qualunque momento l' uomo si rallegri, è sempre uguale nella sua gioia: si rallegra di sé come artista - se si gode come potenza, gode la menzogna come la propria potenza.
Per il momento mi fermo qui. Gli altri tre paragrafi ( più corti ) li riporterò nel prossimo post. Questo comunque è il Nietzsche come da lungo tempo io lo interpreto e che me lo sono ritrovato, neanche a farlo apposta, tutto insieme in un capitolo o aforisma.
Grazie della cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
L'eterno ritorno come volontà di doppia negazione che conduce l'individuo alla psicosi paralizzante paranoica Nietzchiana, un effetto di un tumore beningo cerebrale, il remoto caso di una sifilide a lunga gittata.
Non lo sapremo mai.
O meglio nel caso del tumore benigno si giustificherebbero molti aforismi ritenibili scritti da un invasato.
Così nel caso della sifilide.
Ma nel caso della psicosi paralizzante, no.
Ed è quello che più mi interessa.
Mi interessa leggere l'evoluzione della lotta contro la paranoia che Nietzche ha intrapreso.
Nella mia intuizione la sua lotta è finita proprio con la psicosi paralizzante. (con una sconfitta dunque).
Adottando la psicologia fenomenologica di Minkowski, la lettura è semplice, nel soggetto paziente, il tempo è deformato, si rimane prigionieri di un presente senza fine.
Pensiamo solo alle azioni coatte di tali soggetti.
L'eterno ritorno se avesse ragione Maral sarebbe dunque l'epifenomeno della sconfitta di una lotta che era iniziata tempo prima.
Avrebbe inteso Nietzche esattamente la condizione dello psicotico, dell'autistico.
Se seguiamo l'interessante lettura di Maral, allora in Nietzche ci deve essere per forza un filo delirante che percorre le pagine ANCHE della gaia scienza.(il vero capolavoro di Nietzche).
Ricordiamo che sono 2 gli aforismi citati, uno nello zarathustra e uno nella gaia scienza.
Ma a questo punto il filo rosso che conduce ai biglietti della follia (in particolare io ho vissuto tutti i tempi),deve essere assai più vasto.
Vi dirò la verità, anche UTU può essere letto nella forma di un racconto di un paranoico.
Ma la mia intuizione è che è l'esatto contrario, è uno che sa di essere sotto il controllo paranoico, e cerca di superarlo.
Ma in cosa consiste la paranoia, la paranoia consiste nel "io sono già morto", "io non ci posso far niente".
Se ognuno di noi ci ragiona o medita sopra scoprirà di essere in quella stessa posizione.
Per poterlo scoprire deve indagare come il prorpio modo di essere al mondo, e di parlare, raccontare sopratutto, NASCONDA le 2 frasette scritte sopra.
Questa questione diventa automaticamente la nuova filosofia. Senza quella ricerca la filosofia è morta.
E se lo è detto tante volte (fino ad entrare nel loop infinito delle filosofie analitiche americane).
Fino alla celebre frase di Fukuyama:" La fine della storia".
Un grave peso, un grave coperchio è su tutti noi.
E' la società dello spettacolo, del benessere, ma è anche la società fordista, meccanica, che scandisce i tempi del vissuto a mò di ripetizione folle, fuori dal tempo, completamente MORTA. (e quindi completamente impaurita della morte).
La società morta (terrorizzata della morte) allora comincia a divorare se stessa. (esplodono i telefilm sugli zombie)
(l'allerta sociale diventa sempre più percepita, sempre più radicata, apre ai nuovi populismi di destra).
la gente comincia a farsi del male a togliersi i diritti gli uno con gli altri.
Non crede più di poter vivere perchè sà di essere già morta, E dunque DEVE vivere per forza.(è la mimesi dell'incoffessabilità delle 2 frasette dette sopra)
Arriviamo così alle distopie previste da Focault e Agamben.
La dietiestica, l'attenzione alla forma, diventano ossessive, i programmi si moltiplicano, aprono canali dedicati, e la gente viene assorbita in questo nodo di moebius.
Ma anche questo Nietzche lo aveva previsto, anzi lo aveva scritto lui in anteprima.
Lui parlava già il linguaggio paranoico moderno.
La dietistica, la forma ad ogni costo ed altre subdolezze simili.
E le consegnava guarda caso alla scienza, alla irrevocabilità della scienza.
Al controllo dei corpi. La filosofia di nuovo morta e sepolta somatizza e inventano la bio-etica.
(che sarebbe il contraltare del nemico principale della società contemporanea, il governo dei corpi, e non più delle menti).
La contradizione di Nietzche è dunque questa. Non è contradizione! è guerra all'interno dei discorsi.
Discorsi che sarebbero così tanti, che lui necessita di forma arrocate, di riduzioni, per darne indicazione, ovvero gli aforismi.
Ma la chiave per scardinare questa roccaforte del falso (questo fordismo delle menti che si accanisce sui corpi) quale è?
Non è la verità come la metafisica si è sempre posta, è la menzogna stessa.
Ma la menzogna cosa è?
Lo dice bene l'aforisma citato da Garbino sopra.
La menzogna è l'arte del mentire, ossia il raccontare.
Raccontare e raccontarsi, criticare e sbagliare, vi sono entrambe le dimensioni in nietzche.
E' quella famosa traversata del mare del nichilismo, potersi sbagliare per poi potersi riaffermare.
Inventare, e poi smontare, re-inventare e ri-smontare, vero un orizzonte.
Quello dell'oltre uomo, quello che abbandona l'uomo che mente sapendo di mentire.
Il nuovo uomo non mente più, perchè ha già detto che la menzogna SERVE per VIVERE.
la menzogna non serve per MORIRE (che sarebbe poi il mondo paranoico).
MA come si capisce, o forse no, si è una lama di rasoio.
La famosa poesia di montale.
"Felicità raggiunta, si cammina
per te sul fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede, teso ghiaccio che s'incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t'ama.
Se giungi sulle anime invase
di tristezza e le schiari, il tuo mattino
e' dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
Ma nulla paga il pianto del bambino
a cui fugge il pallone tra le case"
un passo falso un passo da ubriaco ed ecco che
"Forse un mattino andando in un'aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.
Poi come s'uno schermo, s'accamperanno di gitto
Alberi case colli per l'inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zitto
Tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto"
Il nulla di Nietzche è dunque il nulla dell'eterno ritorno. (sempre ascoltando maral)
Una battaglia aspra, che viene meno, nel momento in cui la scrittura abbandona il Maestro.
In cui l'invenzione, altissima, che si staglia come un "esercito di metafore", viene meno nel mare del nichilismo.
Si sprofonda. Lui che non poteva fare a meno di guardare negli occhi l'abisso, e non come il passante ubriaco che fa spallucce e torna ad ingannarsi. (montale stesso)
Preferì sprofondare, volle con ogni probabilità sprofondare. E forse questo è il terribile monito che ci ha lasciato.
( e che tutti si affrettano a NON Affrontare).
E' inutile, più ci penso, e più è evidente che Nietzche sia il maestro assoluto.
Sono certamente d'accordo con Garbino sul fatto che ognuno si accosti a Nietzsche dal suo angolo di visuale, rivelandosi così soprattutto a se stesso, per quello che è, anzi credo che la grandezza di un pensatore non sia tanto in quello che ha detto (nel suo "detto", come direbbe Levinas, che ho ripreso a leggere con passione), ma nel suo continuare a dire oltre il detto. E certamente sento che Nietzsche è grandissimo nel suo continuare a dire oltre il silenzio della follia in cui morì.
Non penso però che "escamotage" sia la parola giusta per intendere l'eterno ritorno, l'avverto piuttosto come una necessità estrema e radicale della volontà di potenza di fronte alla quale Nietzsche non si maschera più per continuare a vivere, non si arresta per rendersi ancora la vita saggiamente tollerabile mediante l'autoinganno che rende l'artista capace di godere della sua capacità di mascheramento, ma va avanti verso le conseguenze estreme del suo pensare, verso l'abisso che è un abisso ontologico, è l'abisso dell'essere, ove essere è ancora una parola troppo piccola per darne ragione. E non è una rassegnazione quello che spinge avanti, ma una volontà assoluta, la volontà di fissare lo sguardo oltre quello che sarebbe assai più saggio non guardare. E in questa volontà estrema c'è pure un'euforia estrema, c'è il riso di un Dio sul volto di chi la compie, è uno sprofondare che dischiude a una leggerezza sovrumana, è il senso di una liberazione suprema. Ma il riso del Dio, ossia dell'uomo che trasfigura, mentre vuole aderire alla volontà fino in fondo è, per noi che restiamo nel mondo dei saggi a ingannarci giocando con i nostri saperi, godendo della nostra arte poetica a distanza di sicurezza come saggiamente conviene, solo il riso di un folle (e certamente anch'io sono tra questi, tra i tanti mortali che giustamente temono l'abisso per riuscire a sopravvivere ogni giorno ancora un po', qui, tra noi, come tutti ed è "sano" che sia).
Green, ha magnificamente commentato nella sua riflessione il passo riportato da Garbino utilizzando la poesia di Montale, ma appunto, per quanto ho detto sopra, qui non si tratta di un venir meno, in cui Nietzsche solo cede alla psicosi e alla malattia, si tratta invece della volontà di guardare fino in fondo sentendo tutta la sovrumana leggerezza che accompagna l'atto di sprofondare nell'abisso dell'essere che non è essere, è molto meno e infinitamente di più. E non importa se la metafora è quella dell'eterno ritorno cosmico per come lo spiega Nietzsche, ciò che importa è l'atto stesso, come una sorta di rivelazione finale, in qualsiasi "ultima immagine" essa prenda forma.
Nell'ultimo atto dell'Antigone di Sofocle, Antigone, condannata a essere sepolta viva in una grotta dallo zio Creonte, nuovo re di Tebe, per aver voluto dare sepoltura al fratello contravvenendo agli ordini del sovrano, mentre si avvia al suo destino, volge nell'ultimo istante il suo sguardo al mondo (il mondo della quotidiana aspettativa in cui solo si può vivere) e il suo volto che pare sorridere è bellissimo, come trasfigurato. Non si tratta di una resa, di un venir meno, o di una malattia, ma di un atto di verità estrema a cui non ci si vuole più sottrarre. Così trasfigura colui che si accorge di non desiderare altro e risponde "sì, lo voglio" al demone che compare nella "Gaia scienza" e così trasfigura il pastore dopo che ha staccato con un morso la testa al serpente che lo soffoca davanti a Zarathustra. Non è una resa, ma la volontà estrema di un'adesione.
Ma c'è una differenza tra Antigone che accetta trasfigurata le conseguenze della sua scelta.
Ossia di essere sepolta da Altri.
E Nietzche che si auto-seppellisce.
Binswanger (il pionere della psicanalisi fenomenologica) parla di paralisi progressiva.
Secondo la psicanalisi che individua nel linguaggio i caratteri della malattia, dunque Nietzche è vittima del linguaggio che sta analizzando.
Esattamente come la psicanalisi è vittima di se stessa, affermazione che costò a Lacan l'allontanamento dalla comunità (tacciata di gerarchia).
Ma il fallimento non è dell'analisi bensì del linguaggio.
Ora rintracciare questo filo rosso che porta alla paralisi è ancora da fare.
In rete mi sembra uno studio svizzero di psicologia dell'io, prova a confrontarsi con la personalità nicciana. Tacciandolo di maniaco-depressivo.
Ogni analisi ovviamente sarà informata dalla sua particolare scienza.
Il compito che mi sono posto è quello analitico, dell'analisi linguistica che informa il discorso paranoico, come inteso da Lacan e seguaci.
Ora noi non possiamo fare di Nietzche un exemplum.
Segnando una linea fra noi saggi e lui pazzo.
Nè pretendere di demarcare una linea scientifica che renda scienza quella pazzia.
Significherebbe limitare l'analisi, significherebbe depotenziare il messaggio interno del tedesco,
Bisogna rendere Nietzche uno di noi, farselo amico, solo allora potremo camminare insieme a lui.
(non sopra o sotto ma accanto).
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Mi scuso con Green ma ho appena terminato di scrivere questo post e rimando un' eventuale risposta o critica al prossimo.
X Maral.
Non ho dubbi che la tua interpretazione sia consona e corroborata dai due brani, uno della Gaia Scienza ed uno dello Zarathustra, da te riportati e che la rendono certamente solida. Non ho mai preso posizione finora soltanto perché ho aspettato che tu la ripetessi varie volte per rendermi conto di quanto tu la possedessi. Volevo sostanzialmente rendermi conto se avesse raggiunto una certa stabilità o se fosse ancora in evoluzione. Il fatto è che, pur essendo così determinata da ciò che ho appena espletato, non ritengo che sia completa e tra un po' ti chiarirò i miei dubbi.
Invece per quanto riguarda l' escamotage riferentesi all' interpretazione di Severino, a cui tu stesso mi indirizzasti, vorrei soltanto che fosse chiaro che rappresenta per il momento il mio punto fermo, ma come interpretazione minima in rapporto alla conoscenza che ho sull' opera di Nietzsche. Non ritengo cioè che sia indiscutibilmente la definitiva, ma soltanto quella di percorso, tanto che ho anche affermato che evidentemente non ho ancora compreso cosa l' Eterno ritorno possa rappresentare al di là dello spianare la strada alla volontà di potenza nel determinare sé stessa come padrona del tempo.
A questo punto l' argomento si fa complesso e spero di essere chiaro nel cercare di evidenziare i miei dubbi.
Bene, abbiamo detto che l' uomo mordendo il serpente si libera del suo passato e diviene oltreuomo accettando ciò che lo circonda fino all' abisso che a tuo avviso è di carattere ontologico. Quello che vorrei però mettere in evidenza è che Nietzsche intende il Superuomo o Oltreuomo come il fanciullo che finalmente può creare nuovi valori. Ma se ciò è vero significa anche che deve porsi come colui che riesce a spezzare il ciclo dell' Eterno Ritorno altrimenti si ritroverebbe sempre al cospetto di qualcosa che è già stato. Ma Nietzsche non lo ritiene possibile, identificando nel credere di creare qualcosa di nuovo come il ritorno della vecchia concezione del Dio di cui si ci era finalmente liberati.
Questo ragionamento cioè crea una contraddizione tra l' Oltreuomo e l' Eterno Ritorno.
Il secondo aspetto è la discrepanza, rilevata anche da Heidegger, che Nietzsche ritrova tra La volontà di potenza come arte e la verità. E la discrepanza è che per quanto l' Oltreuomo pensi di essere nel vero egli è comunque una manifestazione di una volontà che ama la menzogna e che trasfigura il mondo per poterlo renderselo accettabile. Al che l' Eterno Ritorno stesso, che Nietzsche vuole sostituire alla Metafisica e alla Religione, diviene purtroppo un' ulteriore menzogna a cui l' Oltreuomo invece non dovrebbe soggiacere. Può cioè soggiacerci Nietzsche, che Oltreuomo non è, e questo è il terzo aspetto, ma ciò che poi si determinerà nel pensiero di chi attraversa il ponte chi può saperlo?
Questi i miei dubbi. Se ci fosse qualcosa di non chiaro non hai che da farlo presente perché così addurrò anche i brani che li testimoniano e che mi lasciano appunto perplesso.
Scusate per non aver riportato il continuo dell' aforisma L' Arte Nella Nascita Della Tragedia che riporterò non appena possibile.
Grazie per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Citazione di: green demetr il 28 Maggio 2017, 20:11:34 PM
Ma c'è una differenza tra Antigone che accetta trasfigurata le conseguenze della sua scelta.
Ossia di essere sepolta da Altri.
E Nietzche che si auto-seppellisce.
in questo senso l'autoseppellimento di Nietzsche potrebbe apparirci ancora più radicale nei termini della volontà.
E' indubbio che Nietzsche si inoltri su sentieri estremamente pericolosi, il suo linguaggio evoca l'abisso, quell'abisso in cui noi, che ci manteniamo al sicuro su un piano più tranquillamente delimitato, possiamo (come Ferraris dopotutto) scorgere solo la malattia di un folle. Nietzsche è come uno sciamano che, dopo aver scompigliato la comunità umana con i suoi gesti isterici, risale verso vette sconosciute e temibili. Deriderlo o maledirlo è come esorcizzarne il demone. Farselo amico... non so ... il suo viaggio termina in una solitudine estrema, su sentieri troppo impervi per trovarvi compagnia.
Citazione di: Garbino il 28 Maggio 2017, 20:39:33 PM
A questo punto l' argomento si fa complesso e spero di essere chiaro nel cercare di evidenziare i miei dubbi.
Bene, abbiamo detto che l' uomo mordendo il serpente si libera del suo passato e diviene oltreuomo accettando ciò che lo circonda fino all' abisso che a tuo avviso è di carattere ontologico. Quello che vorrei però mettere in evidenza è che Nietzsche intende il Superuomo o Oltreuomo come il fanciullo che finalmente può creare nuovi valori. Ma se ciò è vero significa anche che deve porsi come colui che riesce a spezzare il ciclo dell' Eterno Ritorno altrimenti si ritroverebbe sempre al cospetto di qualcosa che è già stato. Ma Nietzsche non lo ritiene possibile, identificando nel credere di creare qualcosa di nuovo come il ritorno della vecchia concezione del Dio di cui si ci era finalmente liberati.
Questo ragionamento cioè crea una contraddizione tra l' Oltreuomo e l' Eterno Ritorno.
Il secondo aspetto è la discrepanza, rilevata anche da Heidegger, che Nietzsche ritrova tra La volontà di potenza come arte e la verità. E la discrepanza è che per quanto l' Oltreuomo pensi di essere nel vero egli è comunque una manifestazione di una volontà che ama la menzogna e che trasfigura il mondo per poterlo renderselo accettabile. Al che l' Eterno Ritorno stesso, che Nietzsche vuole sostituire alla Metafisica e alla Religione, diviene purtroppo un' ulteriore menzogna a cui l' Oltreuomo invece non dovrebbe soggiacere. Può cioè soggiacerci Nietzsche, che Oltreuomo non è, e questo è il terzo aspetto, ma ciò che poi si determinerà nel pensiero di chi attraversa il ponte chi può saperlo?
Capisco bene i tuoi dubbi Garbino, il problema è che l'Eterno Ritorno si presenta come estremamente sdrucciolevole, può sembrare la negazione più radicale dell'Oltreuomo che è tale proprio in quanto come un fanciullo, crea nuovi valori. Con l'eterno ritorno sembra invece proprio il contrario. Dove va a finire allora l'Oltreuomo?
Forse bisognerebbe riprendere in mano proprio quel passo dello Zarathustra in cui l'episodio del pastore è presentato come enigma rivolto ad arditi esploratori di mari inesplorati.
Citazione di: ZarathustraA voi, intrepidi cercatori, a voi tentatori, e a tutti coloro che s'imbarcano per terribili mari con vele sagaci;
A voi, ebbri di misteri, amatori del crepuscolo, la cui anima come dal suono d'un flauto si sente attratta verso ingannevoli abissi; (giacchè voi sdegnate seguire con vil mano un filo che vi guidi per il cammino; e dove potete indovinare, sdegnate di comprendere).
E' proprio l'Oltreuomo che sta al centro dell'enigma rappresentato dalla improvvisa enigmatica immagine del pastore che si libera del serpente che, essendogli penetrato in gola, lo soffoca mentre giace addormentato, e questo accade dopo che Z. ha presentato l'eterno ritorno al nano, lo spirito di gravità che lo trattiene appesantendolo nella sua ascesa in vetta mentre lo deride.
Quel morso che finalmente stacca la testa del serpente è proprio ciò che libera l'attimo del suo passato, non cancellandolo (dunque non facendolo divenire niente, perché è nel serpente che ogni cosa diventa niente), ma tramutandolo nell'assoluta novità di un presente che eternamente accade. E' qui, proprio in quel morso, che l'uomo trasfigura nel fanciullo che è l'oltreuomo:
Citazione di: ZarathustraNon più un pastore, non più un uomo — ma un rinnovato, un illuminato, che rideva!
Non mai ancora sulla terra uomo rise al pari di lui!
Proprio perché c'è l'eterno ritorno l'alba è eterna, ogni volta è alba radiosa, la giornata reca l'aria fresca di una novità inesauribile di progetti che vogliono affermarsi ancora, all'infinito.
Sì, al divenire si imprime così il carattere dell'essere e non c'è volontà di potenza più grande di questa: perché nulla invecchia.
Ma, viene obiettato, se questa è volontà di potenza, è una menzogna! Come può l'oltreuomo che vuole la verità accettare la menzogna, accettarne la consolazione? Ma l'oltreuomo non l'accetta, la vuole! E non la vuole come consolazione, consolazione all'invecchiare del mortale, consolazione di fronte a tutto ciò che si fa rovina trascinando ogni cosa nel nulla.
Citazione di: ZarathustraE le cose non sono esse forse collegate tra sé in tal modo, che questo Momento tragga dietro a sé tutte le cose venture? E per conseguenza — anche se stesso?
La vuole come trionfo della falsificazione in cui compiutamente si realizza, poiché è proprio la falsificazione che mette in mostra la verità e che quindi, falsificandola, vuole continuamente, senza mai esaurirsi, la verità.
Il pastore trasfigurato ride e quella risata non è semplicemente il segno di un animo diventato allegro e felice, ma è la verità stessa che si annuncia nella volontà che la mente, ossia in ogni illusione, in ogni errore destinato a ripresentarsi.
In questo senso per dire la verità non si può che tradirla, volerla continuamente tradire e tradire di nuovo. E la si tradisce ogni volta in ciò che resta detto.
Ecco, io ho provato a risolvere così l'enigma che Nietzsche pone ai naviganti intrepidi. Ma ogni navigante, più o meno intrepido che sia nel suo pensare, dovrà cercare la sua soluzione all'enigma facendosene carico. :)
Nietzsche: L' uomo e il suo diritto al futuro.
Le opinioni mi sembrano piuttosto consolidate in merito all' Eterno Ritorno e non resta che riprendere il cammino. Gli argomenti aperti sono diversi e prima di tutto intendo riportare i paragrafi 2, 3 e 4 dell' aforisma 853, L' ARTE NELLA " NASCITA DELLA TRAGEDIA".
par. 2) L' arte e nient' altro che l' arte! E' quella che più rende possibile la vita, la grande seduttrice della vita, il grande stimolante della vita....
L' arte come unica forza contraria e superiore a ogni volontà di negare la vita, l' anticristiano, l' antibuddistico, l' antinichilista par exellence.
L' arte come la redenzione di chi sa ( redenzione di chi sa in corsivo ) - di colui che vede il carattere terribile ed enigmatico dell' esistenza, ma lo vive e lo vuole vivere, dell' uomo tragico e guerriero, dell' eroe.
L' arte come la redenzione del sofferente ( redenzione del sofferente in corsivo ) - la via verso condizioni in cui la sofferenza è una forma del grande rapimento.
par. 3) Si vede che in questo libro il pessimismo, o diciamo più chiaramente il nichilismo, ha valore di "verità". Ma la verità non è più il criterio del supremo valore, e ancor meno la potenza più alta. Qui la volontà di apparenza, di illusione, di inganno, del divenire e del variare ( di illusione oggettiva ) è considerata più profonda, più originaria, più metafisica della volontà di verità, di realtà, di essere - quest' ultima, anzi, è semplicemente una forma della volontà di illusione. Così pure, il piacere è considerato più originario del dolore: e il dolore è ritenuto condizionato, come un fenomeno che segue alla volontà di godere ( dalla volontà di divenire, crescere, configurare ecc., ossia di creare - di creare in corsivo- : ma nel creare è compreso il distruggere). Viene concepito uno stata supremo di affermazione dell' esistenza, dal quale non è possibile espungere il supremo dolore: la condizione tragico-dionisiaca.
par. 4) Così questo libro è persino antipessimista: nel senso che insegna qualcosa che è più forte del pessimismo, più "divino" della verità. Nessuno, a quanto sembra, più dell' autore di questo libro sarebbe propenso a parlare seriamente a favore di una radicale negazione della vita: più che un dire di no alla vita, di una reale azione (azione in corsivo) negatrice della vita. Soltanto, egli sa - perché lo ha vissuto: forse non ha sperimentato nient' altro - che l' arte ha più valore ( più valore in corsivo ) della verità.
Già nella prefazione, in cui Richard Wagner viene come invitato al dialogo, compare questa confessione di fede, questo vangelo d' artista: "l' arte è il vero compito della vita, l' arte è la sua attività metafisica.... (metafisica in corsivo ).
Non riesco ad uscire da un sempre maggiore consolidamento della mia opinione. Di un filo che mi sta portando ben al di là della opinione palesata sull' Eterno Ritorno. E' come un sentiero che si inerpica prima di arrivare alla radura, ad un aprirsi dell' orizzonte che mi introduce nel messaggio di Nietzsche e che mi inebria con un' ebbrezza che mi sconvolge fino in fondo all' anima ad ogni passo, ad ogni curva superata, ad ogni cespuglio che mi si frappone e che riesco ad estirpare.
X Maral
I miei dubbi cioè rimangono, anzi brani come questi li amplificano e mi fanno vertere su altre possibilità, opinioni, fermo restando che la tua ricostruzione rimane sempre convalidata e perciò accettabile. Ma per me no. Ma la strada è ancora lunga e il sentiero tortuoso.
Ringrazio per la cortese attenzione. Non so ancora quale sarà l' argomento del prossimo post, e molto dipenderà da eventuali interventi.
Garbino Vento di Tempesta.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Prima di riprendere il nostro cammino, volevo parlarvi di un aneddoto che mi riguarda direttamente e che risale a quando frequentavo il secondo Liceo Scientifico. Un giorno infatti, mentre ero in treno che tornavo verso casa, una ragazza che frequentava il Liceo Classico mi chiese se potevo dare uno sguardo ad un esercizio sulle equazioni di secondo grado e che non riusciva a risolvere. Nulla di trascendentale, ma si trattava di un' equazione fratta in cui era necessario mettere in evidenza un binomio al numeratore che corrispondeva al denominatore in modo che rimanesse un' equazione di secondo grado su cui applicare gli schemi di risoluzione dell' equazione. Ma ciò che mi colpì allora fu il modo in cui questa ragazza rimase interdetta dalla facilità con cui risolvevo ciò che per lei era così difficile. Quando per lei il latino e il greco e tutte le materie umanistiche non rappresentavano un problema, anzi era molto brava.
Questo aneddoto, nel corso degli anni, e con continue verifiche su altre persone, mi ha portato a considerare che c' è una predisposizione naturale nei confronti di determinate attività razionali e che, a mio avviso, si possono raccogliere in quattro tipi fondamentali: materie umanistiche o classiche, materie scientifiche, materie tecniche e manuali. Poi naturalmente ogni tipo fondamentale ha diverse sottoclassificazioni che per il momento non ci interessano.
Le due categorie o tipi fondamentali che mi interessa mettere in evidenza sono quella umanistica e quella scientifica. Infatti è tra queste due categorie che si concentra il maggior numero di filosofi o pensatori. Il problema è che ciascuna persona per affrontare lo studio filosofico, e cioè ciò che ha a che fare con la conoscenza, ha la necessità sia di avere una buona conoscenza linguistica ( grammatica, sintassi, semantica, episteme e così via ) ed una buona conoscenza logica ( deduzione, induzione, sillogismo e così via ). E ciò mi porta a considerare che la possibilità di capire problemi di carattere classico per una razionalità di tipo scientifico è alta, come è alta quella dei problemi di carattere logico-matematico per una razionalità di tipo classico.
Quindi, al di là di chi ha interesse soltanto a mistificare, sussiste una difficoltà profonda di comunicazione tra questi due tipi o categorie di persone e che si riflettono automaticamente sul linguaggio. Quando ad esempio troviamo A non può essere uguale a non A, molti non capiranno che la base di questa affermazione si basa sui criteri del numero, e cioè che sarebbe come dire che 1 non può essere uguale a non 1. Criterio che è alla base del numero e dell' aritmetica. Mentre è ovvio che il tipo scientifico avrà problemi a rapportarsi con tutto ciò che concerne la grammatica e la sintassi. A meno che non ci si imbatta in un genio che naturalmente può superare le difficoltà determinate dall' appartenere ad un tipo o ad un altro, o che riesca a superarle perché presenta entrambe le predisposizioni.
Ma l' argomento che volevo sottolineare maggiormente, è che quando io affermo che Aristotele ha compiuto un errore di carattere matematico ponendo l' infinito nel campo reale, molti possono non capire cosa ciò determini a livello logico sillogistico. E cioè che gli universali sono validi sono nel campo finito e quanto più si ci avvicina all' infinito tenderanno ad essere non accettabili per divenire non accettabili all' infinito. Questo è il motivo per cui si può dimostrare falsamente che non esiste il divenire sia a livello filosofico che fisico ( come appunto avviene nella quantistica ). Come ho già specificato altrove, all' infinito non sussiste un prima o un dopo e perciò tutto sembra fermo. Ma non lo è nella realtà, ma soltanto in un metodo che si avvale dei principi matematici come è il nostro.
A mio avviso, questo è un argomento molto importante e ringrazio tutti per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Aristotele (e in generale il pensiero greco) distingueva comunque tra il cattivo infinito e il buon infinito ove il primo era illimitato, il secondo limitato e solo il secondo era razionale e quindi solo l'infinito limitato poteva essere reale.
Questo discorso però, per quanto interessante, mi sembra ci porti lontano dall'argomento in discussione a meno che tu non abbia in mente di ricondurvelo.
infatti garbino che centra aristotele con nietzche?
inoltre mi pare strano che aristotele e i greci credessero nell'infinito.
Ma non era sempre cattivo per loro? lo chiedo anche a maral. (che è l'infinito limitato?????)
La sfera parmenidea è il classico esempio di infinito limitato. La linea retta è un infinito illimitato, la circonferenza è infinito limitato (ma anche un segmento come un numero infinito di punti è infinito limitato).
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
X Maral e Green
Gli sviluppi che tale teoria sulla logica sillogistica genera sono appunto quelli che si riflettono sulle grandezze immensamente grandi e piccole e che, a mio avviso, è di grande importanza. E si riflettono soprattutto sulle interpretazioni di Nietzsche e sugli sviluppi filosofici di carattere Metafisico.
Nei confronti dell' infinito, ha ragione Maral che, come sono andato a verificare, sussisteva fino ad Aristotele un' interpretazione negativa dell' infinito che si riteneva irraggiungibile e a cui non si poteva aggiungere o sottrarre niente. Aristotele invece, e questo è anche il mio pensiero, considera l' infinito solo un concetto e che è possibile soltanto in potenza ma non è mai atto. Mentre afferma che ci sono grandezze talmente grandi ( positive ) o piccole ( negative ) che vengono considerate infiniti ma che non lo sono affatto e che perciò sono da considerare grandezze finite.
E la dimostrazione delle due rette inerisce proprio alla sua valutazione che non possono esistere rette infinite. E qui sta la contraddizione di fondo che avevo messo in evidenza perché se già in partenza le consideri finite è ovvio che ruotandole lasceranno l' infinito, ma ciò si basa appunto dal criterio di partenza della loro finitezza. Quando poi passiamo ad analizzare gli insiemi, ciò che sfugge è che quanto più un insieme è grande più è difficile che possano ritenersi convalidati i criteri di appartenenza. Ed ecco perché ritengo che la logica sillogistica perda di accettabilità quanto più negli universali si ci avvicina ad insiemi che contengono categorie o soggetti che si avvicinano all' infinito.
Ad esempio, un primo termine che affermi che tutte le piante sono mortali, è un primo termine da prendere con le molle, e cioè che la grandezza stessa dell' insieme non ne garantisce la verificabilità e perciò l' attendibilità. Errore questo che è possibile riscontrare in sillogismi di carattere Metafisico e che spesso vengono ritenuti validi e non non-attendibili come dovrebbe essere.
E visto che è di Nietzsche che comunque stiamo parlando vi riporterò l' ultimo aforisma ( il n. 1067) della Volontà di potenza:
Questo mondo è un mostro di forza, senza principio, senza fine, una quantità di energia fissa e bronzea, che non diventa né più grande né più piccola, che non si consuma, ma solo si trasforma, che nella sua totalità è una grandezza invariabile, un' economia senza profitti né perdite, ma anche senza incremento, senza entrate, circondata dal "nulla" come dal suo limite; non svanisce né si sperpera, non è infinitamente esteso, ma inserito come un' energia determinata in uno spazio determinato, e non in uno spazio che in qualche punto sia "vuoto", ma che è dappertutto pieno di forze, un gioco di forze, di onde di energia che è insieme uno e molteplice, di forze che qui si accumulano e là diminuiscono,.....che scorrono in eterno a ritroso, un mondo che ritorna in anni incalcolabili, il perpetuo fluttuare delle sue forme, in evoluzione dalle più semplici alle più complesse;........... dal gioco delle contraddizioni torna al gusto dell' armonia e afferma sé stesso....., e benedice sé stesso come ciò che deve eternamente tornare, come un divenire che non conosce né sazietà, né disgusto, né stanchezza. Questo mio mondo dionisiaco ( dionisiaco in corsivo) che si crea eternamente, che distrugge eternamente sé stesso, questo mondo misterioso di voluttà ancipiti, questo mio "al di là del bene e del male", senza scopo, a meno che non si trovi uno scopo nella felicità del ciclo della volontà,.........? Questo mondo è la volontà di potenza - e nient' altro ( tutto corsivo )! E anche voi siete questa volontà di potenza - e nient' altro.
E scusate se è poco. Grazie per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Molto interessante e certamente molto bello l'ultimo frammento che hai citato, Garbino. Interessante soprattutto se raffrontato ai precedenti tre passi tratti da "La nascita della tragedia", opera del primo Nietzsche che vide la pubblicazione nel 1872, quando lui aveva solo 28 anni e ancora pensava l'espressione artistica in termini di realizzazione finalistica della volontà di potenza. Qui invece ogni finalismo si annulla nella potente immagine di quel mondo che torna eternamente a se stesso, senza scopo alcuno al di fuori del suo eterno ripetersi, creandosi e distruggendosi per ricrearsi e distruggersi di nuovo. Non si tratta più di un'estetica della rappresentazione tragica, ma si è al culmine finale della tragedia stessa che non è più "tragedia", ma l'essenza della volontà di potenza finalmente colta nella sua totale autoreferenzialità ontologica, totale da cui nulla è escluso poiché ogni cosa si ripete allo stesso modo.
Nietzsche ha avuto il coraggio di portare fino in fondo il suo pensiero iniziale, senza arrestarsi intimorito di fronte ad esso, in questo sta, credo, la sua grande onestà e coraggio, forse un'onestà e un coraggio che solo una follia latente poteva permettere. E, oltre questo, poteva solo esserci solo il silenzio della follia finale a incarnare l'Oltreuomo, colui che troncò con un morso la testa del serpente e rise beato, libero come mai prima.
P.S. Garbino mi segnala che i passi che sopra ho attribuito a "la nascita della tragedia" sono in realtà nella "Volontà di potenza". Questo ovviamente cambia il pensiero sopra espresso, in tal caso Nietzsche sembra forse voler entrare lui stesso con la sua vita nell'opera di rappresentazione tragica che ha concepito per non uscirne più.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
L' ultimo aforisma che ho riportato è la sua visione dell' accadere nell' Universo. Un accadere determinato dall' energia e dal suo flusso. Senza senso e senza un fine. Inoltre deduce che dato il tempo trascorso se l' Universo avesse un fine, l' avrebbe già raggiunto, e da qui la sua idea dell' Eterno Ritorno che non è che un ripetersi all' infinito del già accaduto.
Quello che volevo puntualizzare e criticare di questa interpretazione dell' accadere, è che non c' è alcuna prova che sia effettivamente trascorso un periodo sufficiente a far sì che l' Universo raggiungesse uno stadio definitivo e perciò la deduzione dell' Eterno Ritorno si basa su una supposizione non comprovata e perciò opinabile. Del resto potrebbe veramente essere scaturito da un big-bang e che L' universo nel suo estendersi raggiunga lo zero assoluto e si congeli.
Ma inoltre, non c' è nessuna prova che vi sia un passato infinito, e perciò di sicuro si può ammettere che vi siano miliardi di situazioni che si ripetono, ma che necessariamente vi sia un ripetersi anche di un ciclo vitale che determini la presenza di un essere pensante non è assolutamente verificabile. E comunque in questo accadere e ripetersi dell' accadere non v' è nulla di ontologico. Non c' è niente che lo provochi se non la volontà di potenza come modus di tutto ciò che riguarda il movimento e il trasformarsi dell' energia. Nessuna cosmologia, nessun essere.
Questo comunque lo scenario in cui per Nietzsche si articola anche la vita. Una vita, e per vita intendo ogni essere vitale, anch' essa senza senso e destinata ad un eterno ripetersi dell' accadere in cui il modus è ancora quello determinato dalla volontà di potenza. Una volontà di potenza che acquisisce nel caso dell' uomo un elemento determinante: l' arte.
Ed è l' arte che si manifesta in ogni menzogna che l' uomo ha creato, per rendersi accettabile una vita senza senso. Il fatto che la vita non abbia senso è un' opinione su cui concordo pienamente. Un Mondo Vero inventato ed assolutamente falso che però ha spesso fornito all' uomo quella soddisfazione della sua volontà di potenza che gli ha arricchito la vita e gliel' ha resa accettabile. L' unica morale veramente pericolosa però rimane quella Cristiana, perché innalzando il Mondo Vero fa precipitare nell' abisso del dolore il Mondo apparente che secondo Nietzsche è l' unico Mondo.
La morale Cristiana perciò diventa la causa principale del Nichilismo, e l' unica via d' uscita è l' evolversi in Oltreuomo, accettando il suo destino a ripetere il suo accadere all' infinito, accettando il suo dolore, il fattore tragico della vita e affrontandola da guerriero e da eroe. Egli rinuncia all' illusione di ogni Mondo Vero e trasfigura la realtà a suo piacimento, sapendo appunto che la verità ( anche se menzogna ) insita nel divenire è più profonda della volontà di verità, di realtà, di essere. L' arte è la sua attività metafisica e che lui esprime e trasfigura soltanto nel mondo fisico immerso nel divenire.
La volontà di potenza come arte e l' eterno ritorno rivolti però al divenire, e cioè nello stretto campo fisico, sono a mio avviso la sua Metafisica. Ed è per questo che lo considero ancora un Metafisico anche se non più ancorato alla Metafisica Classica come Heidegger sostiene nella sua opera: Nietzsche.
Ringrazio per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Che l'eterno ritorno sia una cosmologia, è l'ipotesi più credibile.
E per questo che la escludo dal principio. ;D
Il perchè lo ha illustrato Severino, come si spiegherebbe il suo stato di sovra-eccitazione, come si spiegherebbe che per lui è l'idea più alta che ha raggiunto, se fosse una semplice nozione fisica imparata da qualche libro? :o
E sopratutto perchè dice di averla compresa davanti ad un masso????
AAAAAhh non ha senso! e per me ripeto rimane un enigma! :'(
E comunque se fosse una cosmologia, pace e amen, non vedo poi cosa cambi rispetto a tutto il resto del suo ragionamento.
L'arte come menzogna consolatoria rispetto alla vita come menzogna.
Ma in umano troppo umano scrive ad un certo punto:
Perchè la filosofia si è interrogata sulla verità e non sul falso??
E se la vita fosse invece completamente un falso??
DUNQUE
la vita è quel falso!!! ossia è la volontà di potenza stessa!
Un tentativo di dominio, di episteme che si risolve in un costante stato di sconfitta.
Di divenire, nulla rimane uguale, nulla è certo.
A questo punto Nietzche teorizza la psicanalisi (sproni di Derrida), freud copia pari pari il concetto di resistenza.
La vita dunque non è verità come la filosofia ha sempre pensato, ma è resistenza (ad ogni divenire).
Ma poichè consiste in menzogna, la resistenza va analizzata e sciolta nel concetto di volontà di potenza.
Ossia la volontà di vita deve coincidere con la volontà di potenza, ossia in analisi infinita delle resistenze umane, (oh guarda caso quello che dice la psicanalisi).
Lacan stesso quando se ne accorge (la cura non ha fine) viene espulso dal società di psicanalisi.
Nietzche è l'unico pensatore che invece che arrivare alla conclusione della sua vita con quella idea.
Ce l'ha presente fin dall'inizio.
E' per questo che è un visionario! semplicemente perchè riesce a vedere oltre il nichilismo sin da subito (ok a 29 anni ;) )
(Eh sì mi ero perso per strada il "verità e menzogna in senso extramorale" che è del 1873, 5 anni prima di UTU, testo in cui compare la linguistica di nietzche,,,,,ecco perchè non la trovavo in UTU....mi toccherà recuperarlo, perchè forse è l'ultimo nietzche ancora intendibile dall'accademia ;) )
la comunità degli amici allora non diventa una comunità dei resistenti (cristianesimo) ma una comunità dei rivoluzionari permanenti, ossia una comunità che fa del valore del coraggio dell'amicizia, i compagni di una guerra senza fine.
Un compito sovrumano. Ma come dice nel primo capitoletto dell'introduzione:
basta la vita vuole menzogna e io voglio vivere!!!!
In ballo è la questione della vita, di una volontà di potenza cattiva (la natura di leopardiana memoria) contro una volontà di potenza buona (l'atto creatore delle infinite resistenze, della stella danzante etc...) un desiderio di dominio perdente sul un dominante che non domina.
Due perdenti in perenne battaglia.
No, non penso che l'eterno ritorno sia da intendersi come un'ipotesi scientifica, ci troviamo su un piano diverso da quello esplorabile dal linguaggio scientifico. L'eterno ritorno è una provocazione, non una provocazione arbitraria, ma resa necessaria dalla volontà di potenza che Nietzsche sente la necessità di porre in modo metafisico, assoluto.
Penso che la chiave per capire la provocazione stia proprio nel passo de "La gaia scienza" che inizia con le parole "Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse ...". Non c'è l'enunciazione di una teoria cosmologica qui, ma un pensiero furtivo che, come un demone notturno, si fa strada nella mente solitaria di Nietzsche e che da essa arriva a provocarci: c'è altra strada per la volontà di potenza di rendersi assoluta se non questa? Si può reggere la dimensione metafisica del tutto autoreferenziale della volontà di potenza / divenire? Non è forse proprio questo il quesito provocatorio che consente di riconoscere l'oltreuomo e lo indica finalmente in modo chiaro? E quale oltreuomo appare dalla risposta positiva a quel quesito? Il pastore liberato dal serpente che ora, reso fanciullo, ride beato, certo, ma quella beatitudine suprema è euforica perché terribilmente tragica, oltre la stessa tragedia, è adesione a un completo radicale non senso, è proprio il non senso che fa ridere e ci libera, ma ci assorbe totalmente in un puro meccanismo, pura metafisica della tecnica (Heidegger aveva inteso bene allora!).
Proprio ieri ho letto queste parole di Calasso ("Il cacciatore celeste"): "la filosofia occidentale, a partire da Descartes, si è concepita come protesi, apparato da sovrapporre alla propria mente per mettere ordine nel mondo ... questo non vale per Nietzsche. Aprire una qualsiasi sua pagina obbliga a una reazione in chi legge, anche una pura scossa. Non c'è una protesi che si sovrappone alla mente del lettore". L'eterno ritorno è la scossa massima tra le tante che Nietzsche ci ha dato, l'altra, che segue e consegue, è la sua stessa follia terminale, l'ultima provocazione.
Poi c'è il discorso sull'arte, la verità e la menzogna. Si è detto che l'eterno ritorno è una doppia menzogna (e forse la menzogna raddoppiandosi si neutralizza), che la menzogna ci consola, che l'arte ci consola, quindi aderiamo all'arte per trovarci consolati dal non senso. Ma come sarà mai possibile? Qui allora ha ragione Severino che preferisce Leopardi a Nietzsche, il Leopardi de "La ginestra", che ormai ha scorto l'insensatezza radicale di ogni consolazione, compresa quella artistica e poetica, quella illusione di "sovrumani silenzi" e "vaghe stelle dell'Orsa" che comunque risuonano consolando il poeta nel suo solitario canto.
La menzogna non è nella vita, la menzogna è nella cultura, nella mimesi culturale, nella simulazione, imitazione, possessione che sono gli strumenti che l'uomo da sempre usa per poter vivere il proprio sfasamento nel mondo e inseguire così la verità dandole la caccia. Imitazione dell'animale, imitazione del Dio, possessione dell'animale e da parte dell'animale, possessione e possesso del Dio. Questa è l'arte da cui nasce la conoscenza: fare come se, pensare come se, credere come se. E questa è la matrice del pensiero astratto, quello che ci permette di conquistare il mondo con la nostra scienza e tecnica, perché solo l'uomo sa pensare una cosa per l'altra (come se fosse un'altra), scambia addirittura un segno grafico o fonetico per quello che indica, rendendo trascurabili le differenze reali, finché funziona è un continuo atto di violenza sulla realtà per trattenerla e appropriarsene, ma che poi continuamente ci si rivolge contro, perché nessun trascurato è mai stato davvero abbastanza trascurabile e ogni "come se" è solo "come se".
Questa è la menzogna, tutto il nostro "astrattamente pensare" è menzogna e inseguimento e per questo è volontà di potenza di cui, nella nostra originaria impotenza, non possiamo fare a meno, perché non abbiamo la perfezione dell'animale, necessitiamo di un'arte che è sempre di mimesi, di imitazione di quello che non siamo da poter dipingere sulla parete oscura di una caverna come in fondo all'anima o da danzare insieme al ritmo dei tamburi, fuori nella notte che sopraggiunge con gli spiriti dei morti che tornano per esserci compagni di danza, offrendoci inganni per sopravvivere. Vale per il pagano, quanto per il cristiano, quanto per il miscredente, per il musico e per lo scienziato che pensa di non fare musica, ma solo scienza dura, formule matematiche (come se la musica non fosse proprio la stessa cosa: saper contare).
Eppure nell'eterno ritorno, sarà che è una doppia menzogna (una per andare, l'altra per tornare), qualcosa di enormemente diverso risuona, è un alleggerimento tale quella risata che tutto fa svanire in una presenza assoluta che si trasforma tornando sempre, quindi contraddicendosi due volte per dire in ogni momento la verità.
Ogni momento è uguale, come per Severino ogni ente è uguale, ogni momento e ogni ente sono perfetti ed eterni, giacché sono. Qui davvero non ci sono più gerarchie.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Non posso nascondere che mi sono piaciute e che ritengo molto interessanti le visioni proposte sia da Green che da Maral. Io stesso per altro ho messo in evidenza durante la lettura di Genealogia della Morale i punti in cui Nietzsche evidenziava anticipazioni di carattere psicoanalitico di cui Freud molto probabilmente si sarà avvalso. Anticipazioni che raggiungono il loro culmine proprio in UTU dove Nietzsche si descrive come una talpa che scava nell' umano rendendoci palesi sia comportamenti di una certa profondità sia più superficiali che hanno più attinenza con la Psicologia.
Maral invero viaggia per lunghi tratti con la mia lettura di Nietzsche, cogliendo aspetti importanti del messaggio di Nietzsche ma arrivando a conclusioni diverse dalle mie soprattutto dal punto di vista ontologico.
Ma di Maral devo segnalare un altro intervento di una complessità enorme nonostante la semplicità e la chiarezza con cui l' ha espresso. E si tratta del post relativo alla tecnica (risposta 66 ) nella discussione aperta da Angelo Cannata: E' capace la filosofia di sporcarsi le mani con l' attualità? Un intervento veramente filosofico che si pone al di sopra dei tempi e riesce ad abbracciare la lunga storia dell' uomo senza mai scadere in un commento morale. Solo descrizione. Interpretazione. Quello che appunto deve o dovrebbe essere la filosofia. E sono d' accordo anche sull' ultima frase, quella cioè su Severino come ultimo dei filosofi ma come eccezione. E questa mia valutazione è sopraggiunta dopo aver incominciato a leggere la sua ultima opera: Dike, e di cui come per Hegel e per Jung mi è bastato un paragrafo per provare una repulsione istintiva per tutto ciò che afferma. Da troppo per scontato e ciò che ritiene necessario non spiega mai perché lo ritenga necessario. Non credo di sbagliare molto nel definirlo un genio sofista.
Questa lettura di Severino mi ha un po' sorpreso perché il modo in cui traccia la necessità dell' Eterno Ritorno è di una logicità profonda. Mette in relazione parti specifiche dello Zarathustra evidenziando il perché appunto fosse necessario l' Eterno Ritorno per Nietzsche, e cioè che era l' unico modo in cui la Volontà di Potenza poteva dominare nell' attimo il passato e il futuro. La Volontà di Potenza si scrollava di dosso in questo modo il divino, il già fù e quel che sarà. Forse dovrei leggere una delle prime opere, ma questa mi era sembrata l' optimum proprio perché Maral l' aveva indicata un po' come il sunto del suo messaggio. Un po' se posso osare come Ecce Homo per Nietzsche. Purtroppo così non è ed amen.
Nonostante questo lungo preludio però, non voglio lasciarvi senza un' altra chicca tratta dalla Volontà di potenza, l' aforisma 354 a pag. 198 della versione Bompiani.
-L' "uomo buono" come tiranno ( come tiranno in corsivo ). L' umanità ha sempre ripetuto il medesimo errore: quello di aver fatto di uno strumento della vita un criterio ( criterio in corsivo ) della vita. Invece di trovarne la misura nel supremo innalzamento della vita, nel problema della crescita e dell' esaurimento, si sono utilizzati i mezzi ( mezzi in corsivo ) di una vita ben determinata per escludere tutte le altre forme di vita, insomma per criticare la vita ed operare una selezione. Ciò significa che l' uomo finisce per amare i mezzi di per sé e dimentica ( dimentica in corsivo ) che sono mezzi: onde i mezzi si presentano ora come scopi alla coscienza dell' uomo, come criteri del valore degli scopi..... Ossia, una determinata specie di uomini ( tutto in corsivo ) considera le proprie condizioni di esistenza come condizioni da imporre mediante la legge, come "verità", "bene", "perfezione": tiranneggia.... ( tiranneggia in corsivo ). E' una forma di fede ( forma di fede in corsivo ), dell' istinto, il fatto che una specie di uomini non ravvisi rispetto ad altre il proprio carattere condizionato , la propria relatività rispetto ad esse. Almeno, sembra che una specie di uomini ( un popolo, una razza) giunga alla fine quando diventa tollerante, quando concede uguaglianza di diritti e non pensa più a voler dominare.
Questo aforisma si può ritenere legato moltissimo a Genealogia della Morale, tanto da poterlo definire come una sua traccia. Ma appare quanto mai evidente ancora una volta quanto Nietzsche ritenga che l' uomo abbia sbagliato come Umanità, e che in fondo questo sia l' errore più grande.
Ringrazio per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Una volta archiviato, anche se ancora tutto da risolvere e con opinioni molto divergenti, il contesto dell' Eterno Ritorno, su cui necessariamente si dovrà tornare, torniamo all' argomento Metafisica che avevamo lasciato in sospeso.
Avevamo detto che Nietzsche nelle opere edite non sviluppa fino in fondo quello che sembra essere il suo scopo principale e cioè: sostituire la Metafisica e la Religione con l' Eterno Ritorno. Infatti la sua ultima opera risulta essere l' Anticristo che lui definisce: transvalutazione di tutti i valori. In pratica conclude il ciclo delle opere edite con un profondo attacco al Cristianesimo senza attaccare l' ultimo baluardo che gli era rimasto a livello Metafisico e cioè Aristotele.
Eppure questo attacco esiste e lo ritroviamo in un modo veramente geniale nell' opera La Volontà di Potenza che però non ha pubblicato. I 1061 aforismi inediti che ho appena letto avrebbero fornito una base importante per l' opera in questione. Ma lui non la pubblicò. E questo può avere un significato, ma può anche non averne, perché ciò che gli potrebbe aver impedito la pubblicazione di tale opera potrebbe essere proprio il deterioramento del suo stato mentale. Naturalmente con i se e con i ma non si raggiunge nessuna conclusione e l' unica cosa da fare è prendere atto della presenza di una così considerevole raccolta di aforismi e di appunti e tenerne conto.
Questo attacco alla logica e ad Aristotele lo ritroviamo nella parte che inizia a pag. 265 e che ha per titolo: La Volontà di Potenza Come Conoscenza. E di cui l' aforisma centrale e più importante si può identificare nell' aforisma 516 a pag. 284:
-Noi non riusciamo ad affermare e negare una medesima cosa: questa proposizione esprime un dato di esperienza soggettivo, non esprime nessuna " necessità ", ma soltanto un' incapacità ( ma soltanto un' incapacità - in corsivo ). SE, secondo Aristotele, il principio di contraddizione ( principio di contraddizione - in corsivo ) è il più certo di tutti i principi, se è l' ultimo e il più profondo, quello a cui si riportano tutte le dimostrazioni, se contiene il principio di tutti gli altri assiomi - tanto più rigorosamente si dovrebbe considerare quali affermazioni già presupponga ( presupponga in corsivo ). O con esso si afferma qualche cosa riguardo al reale, all' esistente, come se questo ci fosse già noto per altre vie, cioè sapessimo che ci risulta impossibile ( impossibile in corsivo ) attribuirgli predicati opposti. O quel principio vuol dire: al reale.- all' esistente non si debbono attribuire predicati opposti. In tal caso la logica sarebbe un imperativo che comanda non di procedere verso la conoscenza del vero, ma di stabilire e ordinare un mondo che per noi deve chiamarsi vero ( per noi deve chiamarsi vero in corsivo ).
Questo l' inizio deflagrante di questo aforisma che fa comunque seguito ad altri in cui l' attacco alla logica è sistematico. Ma questo è il primo in cui si schiera apertamente contro Aristotele, il principio di contraddizione e l' Essere come realtà nel suo insieme, come vedremo nel continuo e che riporterò dal prossimo post. Questo inizio va un po' digerito, e comunque vi ritrovo completamente il mio punto di vista, anche se la mia confutazione non è solo di livello logico ma anche Matematico.
X Maral
Non a caso, la parte che mi è piaciuta di più è proprio quella sulla cultura, dove molto probabilmente le nostre opinioni quasi si accavallano per un breve tratto per poi naturalmente prendere strade diverse. Ma ritengo molto importante che si abbia una prospettiva molto simile per il COME SE che tu ripeti più volte e il TENER PER VERO che rappresentano dei punti chiave della critica di Nietzsche.
Non ho intenzione di aggiungere altro e vi rimando al prossimo post dove riporterò il seguito dell' aforisma su Aristotele.
Grazie per la cortese attenzione. Garbino Vento di Tempesta.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Prima di riportare il brano successivo dell' aforisma 516 su Aristotele, che per la sua lunghezza ho ritenuto fosse meglio dividere in più post, vorrei mettere in evidenza che lo scenario o gli scenari che ci si aprono davanti soltanto dalla parte che ho riportato nel post precedente sono molto interessanti e che, a mio avviso, creano un de profundis per la Metafisica senza precedenti. Nietzsche affonda la lama sulla logica attinente al principio di contraddizione adducendo appunto che un tale assioma dovrebbe essere preceduto dalla conoscenza dell' essere ottenuta in altro modo, giacché altrimenti si ci ritrova di fronte ad un comando, ad un imperativo che le cose stanno così senza alcuna prova che lo dimostri, organizzando un sistema per cui il mondo per noi debba chiamarsi vero.
Per il momento non intendo aggiungere altro, se non la constatazione che Heidegger nel suo Nietzsche tende a mistificare totalmente il messaggio di Nietzsche, che non può in questo caso definirsi interpretativo perché la confutazione è sistematica e presente in tutti gli aforismi precedenti della Volontà di Potenza Come Conoscenza, come vedremo in seguito. Ed allora mi sto sempre più convincendo che il controllo che ebbe Heidegger nel corso di quelle lezioni universitarie fu proprio per vigilare che lo stesso filosofo si attenesse alle direttive del partito nazista per un recupero a livello Metafisico di Nietzsche.
Aforisma 516 ( seconda parte ):
In breve, il problema resta aperto: gli assiomi logici sono adeguati alla realtà, o sono criteri e mezzi onde creare ( creare in corsivo) anzitutto per noi il reale, il concetto di " realtà?"..... Per poter affermare la prima si dovrebbe, come abbiamo detto, conoscere già l' essere; mentre non ci troviamo affatto in questa condizione. Quindi la proposizione non contiene alcun criterio di verità (criterio di verità in corsivo), ma un imperativo (imperativo in corsivo) rivolto a ciò che deve valere come vero ( deve valere come vero in corsivo).
Posto che non esista un A (non) identico a sé, quale è ipotizzato da ogni proposizione della logica ( e anche della matematica), allora questo A sarebbe già una parvenza ( parvenza in corsivo), la logica avrebbe per presupposto un mondo semplicemente apparente (apparente in corsivo). In realtà, noi crediamo a quella proposizione sotto l' impressione dell' infinita empiria che sembra confermarla (confermarla in corsivo) continuamente. La "cosa": ecco il vero sostrato di A: la nostra credenza nelle cose ( la nostra-cose in corsivo) è la premessa della credenza della logica. L' A della logica è, come l' atomo, una successiva ricostruzione della "cosa".... Se non comprendiamo questo e facciamo della logica un criterio del vero essere (vero essere in corsivo) ci troviamo già sulla via che ci porterà ad ammettere la realtà di tutte le ipostasi: sostanza, predicato,oggetto, soggetto, azione ecc.; ossia concepiremo un mondo metafisico, un"mondo vero" (ma questo è ancora una volta il mondo apparente.... -virgolettato in corsivo-).
Come sempre evito di fare commenti prima che lo abbiate letto, mentre mi premeva informarvi che in questa parte e cioè nella Volontà di Potenza come Conoscenza vi ho trovato anche una anticipazione del teorema di incompletezza di Godel. In pratica Godel non fece altro che elaborare a livello matematico qualcosa che Nietzsche aveva espresso molto prima di lui.
L' uomo contemporaneo: ladro di idee.
Ringrazio della cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Citazionela nostra credenza nelle cose ( la nostra-cose in corsivo) è la premessa della credenza della logica
Interessante, ritrovo questa affermazione nell'ultimo incontro seminariale di Sini, nel quale, concludendo il suo commento all'ultimo dialogo platonico ("Le leggi"), afferma che il fondamento della logica è illogico e lo riconduce ai tre principi non logici della logica indicati da Peirce: fede, speranza e carità. Fede, ossia fiducia che ciò che si dice abbia corrispondenza reale pur sapendo che non può essere adesione al reale, speranza in una condivisione, carità: ossia offerta di reciproca comprensione.
Ciao Garbino,nei due ultimi post ho trovato qualcosa (... la cosa, sempre quella, qual che sia...) d'inerente la mia ricerca, così che ne posso scrivere.Precedente agli assiomi logici v'è il linguaggio con le proposizioni che permette, edificate sulle parole il cui significato (teoricamente condiviso) modella la comprensione dell'enunciato/frase. Semplificando, l'esperienza della "cosa" (o delle cose) è possibile solo quando nella persona si sia sviluppato il senso di sé (ego o come lo si voglia chiamare) che necessariamente si appoggia su vocabolario/sintassi/grammatica relativamente consolidato a quell'acerbo stadio di sviluppo intellettivo. Relativamente poiché (com'è ovvio) l'individuo è alle prime armi e l'uso, la padronanza del mezzo (linguaggio) si acquisisce col tempo e l'esperienza.Così già il primo passo, la comprensione del significato delle parole, presuppone un corretto percorso (mentale-intellettivo) soprattutto condiviso , perché quanto più se ne distanzi (considerata la soggettività dell'esperire) tanto più da quel che pareva un mondo comprensibile a più d'una persona, ecco formarsene due (o più) con le loro (se va bene) differenti sfumature interpretative.Come abbiamo occasione di constatare anche nel nostro forum, per una parola, ad esempio una di quelle chiave nell'aforisma: "l'essere", più se ne discute nel tentativo di giungere ad una comprensione comune e condivisa e più ci si rende conto (almeno per me) come quel corretto percorso sia fortemente soggettivo, da cui, sovente, non c'è possibilità di smuoversi (non per cattiva volontà).Ben prima degli assiomi logici, dunque, vien da domandarsi se il significato delle parole che usiamo non ci stia indirizzando in una direzione piuttosto che un'altra, a cui corrisponderà come dice Nietzsche, la "creazione" di una realtà (o del concetto di questa) e l'impressione di viverla (di vivere proprio quella e non altre... applicabile anche allo stesso Nietzsche, quali che siano i criteri di verità cui si affida e dai quali ne fa emergere apparenza e/o realtà del mondo esperito...). Poiché il linguaggio è una sorta di matematica (grandemente complessa... visto che può trattare di qualunque cosa...) l'assiduo esercizio consente a chi vi si applichi di passar dalle scuole inferiori all'università e oltre mantenendosi entro i confini delle regole di verità della stessa, così che l'ascoltare i ragionamenti di un consesso di filosofi ben preparati (qual non sono per nulla) può dare l'impressione (o la certezza...) che essi sappiano bene di cosa parlino e dove conducano ragionamenti e ipotesi. Beh, quanto riportato da Maral: Interessante, ritrovo questa affermazione nell'ultimo incontro seminariale di Sini, nel quale, concludendo il suo commento all'ultimo dialogo platonico ("Le leggi"), afferma che il fondamento della logica è illogico e lo riconduce ai tre principi non logici della logica indicati da Peirce: fede, speranza e carità. Fede, ossia fiducia che ciò che si dice abbia corrispondenza reale pur sapendo che non può essere adesione al reale, speranza in una condivisione, carità: ossia offerta di reciproca comprensione.per chi ritenga corretto che il fondamento della logica sia illogico, dovrebbe concorrere a sfrondar di presunte certezze ogni "provvisoria" conclusione riguardo alcunché. Non solo in ambito filosofico, in tutti... scientifico, religioso ecc. perché tutti partono da premesse che solo attraverso (come afferma Sini) fede, speranza e carità possono fornire un qualche terreno solido sotto i piedi (all'intelletto).Chi faccia proprie tali osservazioni (per quel che mi riguarda le sottoscrivo), nel porre l'attenzione ad ambiti oltre le regole di verità cui è avvezzo, (forse) dovrebbe considerare l'estrema parzialità del proprio punto d'osservazione, così che se milioni di persone esperiscono e parlano di miracoli e migliaia d'altre dell'effettiva influenza del mentale (pensiero in senso lato) sulla materia, come vado trattando nella discussione Al di là dell'aldilà, presumibilmente (ma non sicuramente, certo...) non son (del tutto) fantasie di soggetti influenzabili, psicolabili o creduloni.Vorrei consigliare all'amico Garbino (e a tutti) la visione del film "Arrival" , perché tratta proprio del linguaggio e di come potrebbe (nel film) essersi evoluto secondo modalità visivamente e pure temporalmente non lineari (come, in parte, geroglifici ed ideogrammi), altresì fornendo spunti (documentati) alquanto interessanti:da Wiki, trama del film:- Mentre Louise comincia a diventare più abile nel linguaggio alieno, inizia a sperimentare dei sogni lucidi di se stessa con la figlia Hannah. Louise spiega che esiste una teoria (quella che i linguisti chiamano ipotesi di Sapir-Whorf) secondo la quale la lingua che si usa è in grado di influenzare i pensieri, "riprogrammando" la mente, e sperimenta che l'apprendimento della lingua degli alieni, che hanno una differente concezione del tempo, le permette di avere visioni del futuro. (altresì consiglierei, per maggior scorrevolezza, di scrivere il corsivo quando occorra nelle citazioni e non indicarlo; opinione personale, poi mi va bene in ogni modo). Un cordiale salutoJean
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
X Maral
Ti ringrazio per questa segnalazione dell' ultimo incontro seminariale di Sini e fondamentalmente posso essere anche d' accordo, sorvolando sull' aspetto ironico che mi ha creato immediatamente l' uso dei termini: fede, speranza, carità. Ma le cose, puntualizzando che non si sta parlando di religione ma di ciò che attiene alla logica, stanno in questo modo. E' necessaria una grande fede nel numero, e dire grande è ancora poco; speranza di condivisione, anche se non sempre necessaria perché può essere imposta dal più forte; e anche carità, come necessità di reciproca comprensione. Tanto che intuitivamente mi sovviene il pensiero che una cultura tanto è più forte quanto più sono forti questi capisaldi, soprattutto il primo, immancabile, e il terzo.
X Jean.
Mio caro Jean, grazie per questo contributo alla discussione, che mi dà anche la possibilità di aprire questo argomento che prima o poi avrei comunque dovuto affrontare. Comunque ti darò delle risposte non approfondite, promettendoti e ripromettendomi di farlo non appena possibile. E cioè dopo aver riportato l' ultimo spezzone dell' aforisma e la mia interpretazione generale.
1) E' ammirevole il tuo esperimento e il tuo riportarlo nella discussione Al di là dell' aldilà. Avrei voluto risponderti ma sono stato preceduto da un altro che pressappoco aveva la mia stessa opinione e perciò ho rinviato. Nessuno mette in discussione la tua buona fede e sincerità, nonché la tua meticolosità e scrupolo nel seguire e riportare l' esperimento ma ho dei grandi dubbi che ne inficiano la validità. Il primo è se noi sappiamo quali siano le condizioni che fanno variare il ph dell' acqua. Il secondo è come facciamo ad interagire con il ph se non sappiamo come farlo. E se anche lo sapessimo come può un pensiero volitivo determinare il cambiamento che noi vogliamo. Il terzo è in riferimento alla sincerità e alla validità del centro che ha operato le analisi.
Queste considerazioni di carattere logico tendono a sottolineare che se anche il sistema logico a cui ci atteniamo può non corrispondere alla realtà, ciò non toglie che possa essere ancora utile per determinare la giustezza di come ci relazioniamo con ciò che ci accade. Ciò che scaturisce dal pensiero di Nietzsche cioè è molto più complesso di quello che può sembrare a prima vista, e significa soltanto che se non ci si vuole continuare ad abbandonare all' irrazionalità come Nietzsche auspica con il superuomo o oltreuomo, dovremo essere in grado di superare Aristotele e ricostruire un sistema che pur essendo coscienti della sua fallibilità non permetta che nella cultura sia a farla da padrona proprio la fede, la speranza e la carità. E' insomma quello che vado dicendo da un bel po'. E cioè che c' è la necessità di creare un nuovo metodo che permetta all' uomo di svincolarsi quanto più possibile dall' irrazionalità e cioè dalla fede che le cose stiano così e così e non in un altro modo.
Per quanto riguarda il linguaggio, il linguaggio è la prigione-gabbia in cui si possono snodare i vari concetti e il metodo è il suo limite. Ogni lingua cioè ha il suo massimo di capacità espressiva ed oltre non si può andare. E Nietzsche evidenzia questo fatto ad ogni passaggio che ne parla, mettendo per altro in evidenza il variare anche abissale dei termini chiave di un linguaggio come ad esempio in GDM dei termini buono e cattivo.
Caro Jean, chi come me ritiene che la religione e la morale siano il grande pericolo quando tradiscono la vita e la annichiliscono nel preferire l' attesa di una vita che verrà dopo la morte, per me impossibile, è ovvio che affronterò questo tema sempre con molta discrezione ma anche in modo fermo. Il credere in qualcosa che pensa senza un corpo per me è impossibile, ecco perché in fondo gli Dei Greci, anche se immortali, risultano essere almeno più accettabili di un Dio solo bontà ( che lo stesso Spinoza critica ), proprio perché dimoravano in un corpo ed avevano caratteristiche umane. Comunque ritengo sempre valida la frase di Schiller: L' unica scusante per Dio per tutti i mali che affliggono il mondo è che non esiste.
Per quanto riguarda il film di fantascienza è e rimane un film di fantascienza. Ciò che accade nel film cioè è una supposizione che deve essere passata al vaglio di una effettiva possibilità che non è stata assolutamente dimostrata. E cioè non posso dimenticare e non voglio che quello che afferma Nietzsche, e che io condivido, non è una vittoria della irrazionalità, ma la vittoria di una razionalità superiore nei confronti di uno schema-sistema che contiene ed avvalla molto di irrazionale, come appunto l' essere. Un essere ( fisico come realtà nel suo insieme ) che non conosciamo ma che in base alla logica di Aristotele lo si accettava come dato, senza alcuna dimostrazione. Sorvolando poi sugli esseri eterni di cui è piena la filosofia e il Mondo delle Idee di Platone che comunque lui era certo di averne dimostrato la veridicità. Se togliamo Aristotele tutto è dominato soltanto di irrazionalità. Perché almeno la Metafisica di Aristotele una certa base razionale la ha. Adesso però possiamo entrare nell' ordine di idee che anche Aristotele va rivisto e corretto. E che Dio ce la mandi buona perché anche se sono passati più di duemila anni rimane il filosofo più geniale per quanto riguarda il metodo.
Ringrazio per la cortese attenzione. Nel prossimo post riporterò la parte finale dell' aforisma su Aristotele.
Garbino Vento di Tempesta.
Citazione di: Garbino il 26 Giugno 2017, 09:53:44 AM
X Maral
Ti ringrazio per questa segnalazione dell' ultimo incontro seminariale di Sini e fondamentalmente posso essere anche d' accordo, sorvolando sull' aspetto ironico che mi ha creato immediatamente l' uso dei termini: fede, speranza, carità. Ma le cose, puntualizzando che non si sta parlando di religione ma di ciò che attiene alla logica, stanno in questo modo. E' necessaria una grande fede nel numero, e dire grande è ancora poco; speranza di condivisione, anche se non sempre necessaria perché può essere imposta dal più forte; e anche carità, come necessità di reciproca comprensione. Tanto che intuitivamente mi sovviene il pensiero che una cultura tanto è più forte quanto più sono forti questi capisaldi, soprattutto il primo, immancabile, e il terzo.
E proprio sul numero Sini si è soffermato sottolineandone l'estrema rilevanza che assume nel dialogo platonico. Ma il numero non è quello che oggi si intende, ma esprime qui l'elemento fondamentale del ritmo, ossia della "musiké". E' originariamente la frequenza che si coglie nel ritmo, ossia il rapporto tra la fase e il periodo di un ritorno che ripetendosi non si ripresenta mai identico. Dunque numero è in primo luogo ritmo e musica e aver fede (fiducia) nel numero significa aver fede di poter compiere il proprio cammino, la propria purificazione che conduce insieme ai compagni di viaggio all'incontro con se stessi (al "Monte Ida" dove sono diretti i tre protagonisti del dialogo platonico, ove si venera la nascita di Zeus, che rappresenta la legge stessa).
La razionalità è dunque matematica (máthema) e la matematica è la musica con cui si fa festa in cui si evocano gli dei a venire a danzare insieme, la razionalità è quindi la danza e il poter cantare insieme (anche nel contrappunto che oppone i nostri modi di vedere le cose).
Ma il fondamento della razionalità resta comunque nell'irrazionale (quel selvaggio grido dionisiaco che precede il canto e lo richiede, perché è Dioniso che prepara il ritorno di Apollo) di una esistenza che necessita di nuovo un accordo, affinché ogni naufragio mostri il nuovo orizzonte.
Il numero in cui occorre aver fede è allora la misura del tempo del ritorno.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Per quanto riguarda la fede nel numero vorrei esporre un' ultima considerazione. E questa è che, anche se può sembrare paradossale ma non lo è, oltre a Nietzsche chi manifesta una minore fede nel numero sono proprio i tre grandissimi Greci: Socrate, Platone ed Aristotele. E questo perché, anche a livello Metafisico non danno nulla per scontato. Ed ogni passaggio per loro deve necessariamente essere supportato da una dimostrazione, anche se a livello concettuale. Perfino il principio di (non) contraddizione ha poco a che fare con il numero e si basa come rivela Nietzsche su una empiria, e cioè sull' esperienza sensoriale che sembra affermarlo ad ogni sensazione. Mentre tutti gli altri, compreso Kant, Hegel, Heidegger e lo stesso Severino, danno per scontato caratteristiche da attribuire agli enti di carattere numerico senza alcuna dimostrazione. Come ad esempio il principio di identità ( ma io preferisco dire di identicità ) senza che vi sia né un' empiria che lo riveli né una dimostrazione concettuale che lo dimostri.
Per molti questa riflessione sarà molto poco accessibile, soprattutto per chi ha una predisposizione classica e non scientifica, come del resto dimostrano di avere sia Heidegger, che Sini che lo stesso Severino. Prendetela così come è, più avanti approfondiremo l' argomento sperando di esserne capaci perché non è assolutamente facile cercare di far comprendere a chi non ha una predisposizione matematica gli effetti che questa mancanza può determinare a livello logico.
Aforisma 516 La Volontà di Potenza Come Conoscenza ( terza parte ):
Gli atti di pensiero più originari, l' affermare e il negare, il tenere o non tenere per vero, in quanto presuppongono non solo un' abitudine, ma un diritto (diritto in corsivo) a tener qualcosa per vero o per falso, sono già dominati dalla credenza secondo cui per noi esiste la conoscenza, il giudicare può realmente raggiungere la verità (da per noi a verità tutto in corsivo) - insomma, la logica non dubita di poter esprimere qualcosa di vero in sé (ossia, a cui risulta impossibile attribuire predicati opposti).
Qui domina il grossolano (domina in corsivo) pregiudizio sensistico secondo cui le sensazioni ci insegnano delle verità (verità in corsivo) sulle cose - e secondo cui io non posso dire allo stesso tempo che una cosa è dura ed è molle ( dura - molle in corsivo). ( LA prova istintiva: " io non posso provare contemporaneamente due sensazioni opposte" è grossolana e falsa - grossolana e falsa in corsivo -).
Il divieto di formulare concetti contraddittori muove dalla credenza che noi possiamo ( possiamo in corsivo ) formare concetti, che un concetto non solo indichi, ma colga la verità di una cosa..... In realtà la logica - logica in corsivo - ( come la geometria e l' aritmetica ) vale solo per verità fittizie, create da noi - verità fittizie, create da noi in corsivo -.La logica è il tentativo di ( da adesso in poi tutto corsivo ) comprendere il mondo vero secondo uno schema dell' essere posto da noi, o, più esattamente, di renderlo da noi formulabile e calcolabile.....
X Jean
Mi scuso per la mia incapacità a sostituire il corsivo direttamente. Purtroppo preferisco al momento ovviare in questo modo. L' alternativa significherebbe tempi lunghissimi di trascrizione in cui potrei incorrere in involontarie cancellazioni dell' intervento e perciò dover ricominciare tutto d' accapo.
L' ho riportato tutto. Nel prossimo post affronterò la sua lettura e ciò che determina nell' argomento Metafisica.
Grazie per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Citazione di: Garbino il 29 Giugno 2017, 06:59:52 AM
Aforisma 516 La Volontà di Potenza Come Conoscenza ( terza parte ):
Gli atti di pensiero più originari, l' affermare e il negare, il tenere o non tenere per vero, in quanto presuppongono non solo un' abitudine, ma un diritto (diritto in corsivo) a tener qualcosa per vero o per falso, sono già dominati dalla credenza secondo cui per noi esiste la conoscenza, il giudicare può realmente raggiungere la verità (da per noi a verità tutto in corsivo) - insomma, la logica non dubita di poter esprimere qualcosa di vero in sé (ossia, a cui risulta impossibile attribuire predicati opposti).
Qui domina il grossolano (domina in corsivo) pregiudizio sensistico secondo cui le sensazioni ci insegnano delle verità (verità in corsivo) sulle cose - e secondo cui io non posso dire allo stesso tempo che una cosa è dura ed è molle ( dura - molle in corsivo). ( LA prova istintiva: " io non posso provare contemporaneamente due sensazioni opposte" è grossolana e falsa - grossolana e falsa in corsivo -).
Il divieto di formulare concetti contraddittori muove dalla credenza che noi possiamo ( possiamo in corsivo ) formare concetti, che un concetto non solo indichi, ma colga la verità di una cosa..... In realtà la logica - logica in corsivo - ( come la geometria e l' aritmetica ) vale solo per verità fittizie, create da noi - verità fittizie, create da noi in corsivo -.La logica è il tentativo di ( da adesso in poi tutto corsivo ) comprendere il mondo vero secondo uno schema dell' essere posto da noi, o, più esattamente, di renderlo da noi formulabile e calcolabile.....
Trovo questo aforisma del tutto condivisibile. La logica non può giustificare in base alla logica il principio di identità (o identicità, come preferisci chiamarlo) su cui si fonda per "dire la verità". Il principio di identità non è logico proprio in quanto è il principio, l'origine, della logica, né è semplicemente empirico, proprio come la contraddizione, è piuttosto la modalità a cui occorre attenersi per dire qualcosa in termini logici di ciò che viene empiricamente dato, senza in questo dire dare nulla per scontato, a parte il principio di identità stesso.
Severino questa arbitrarietà del principio identitario la riconosce, ma peraltro obietta che nulla di fondato si potrebbe dire senza tale assunzione, perché altrimenti anche il negarlo ne sarebbe compromesso. Ma se questo vale per ogni discorso, occorre anche dire che nel mito non c'è questo fondamento. La figura che sta alla base del mito è la continua metamorfosi, un continuo passare di una forma nell'altra della stessa forma, come facevano gli antichi Dei. E proprio per questo che, alla luce della logica, il mito sembra non poter dire nulla. Ma non è così, poiché il discorso mitico esprime quella continua evocazione di immagini che vengono a rappresentarsi diventando ritmo, quindi numero, quindi pensiero logico alla luce del quale il mito stesso può apparire, può essere conosciuto. Solo a partire dall'ordine discorsivo vediamo una sorta di mitico caos all'origine della nostra attuale visione ordinata e logica. Il caos delle contraddizioni in cui il mito si ingarbuglia in qualcosa che alla logica pare assurda pertanto è generato dall'ordine, quanto l'ordine è generato dal caos, l'uno è momento dell'altro.
Tenendo conto di questo appare evidente che la fondatezza delle proprie posizioni non può essere dimostrata logicamente, poiché comunque il fondamento della logica è senza fondatezza logica ed è per tale ragione che la ricerca di fondatezza epistemica che compie il pensiero Occidentale giunge a compimento e si esaurisce (pure nelle scienze, pure nelle cosmologie scientifiche che vorrebbero stabilire cosa accadde all'origine dell'universo). Dunque la fede nel numero è solo fiducia di poter dire insieme qualcosa seguendo un ritmo condivisibile, che può essere battuto insieme contando i passi necessari, sulla base di premesse che ci permettono di dialogare che non sono semplicemente convenzionate, ma che emergono da un modo di sentire comune che nel ritmo e nel numero va sempre recuperato.
Il principio di identità presuppone una totale originaria identità tra significato della cosa e cosa di cui il significare fa segno. E' questa perfetta identità assolutamente unitaria, assunta a priori, che renderebbe l'ente eterno, assolutamente intrasformabile. Ma ciò che ci rende conto dell'esistenza dell'ente facendocela apparire
non è questa unità, ma è al contrario proprio la distanza tra significato e cosa, perché è questa stessa distanza che ci permette di intendere qualsiasi cosa, non la perfetta aderenza ed è nel continuo entrare in crisi della identità (ossia identicità di ogni significato alla cosa, compresa quella cosa in cui significhiamo noi stessi con tutte le implicazioni esistenziali che ne conseguono) che dobbiamo esercitarci a saperci muovere e a saper pensare, comprendendoci l'uno per l'altro.
quando Nietzsche dice apollineo e dionisiaco vuol dire che il concetto è già dentro in "quel" dio.
E' questo che non si vuol capire dalla cultura moderna ad oggi sul linguaggio del mito.
Qualunque forma di pensiero è immagine e la forma scritta non può imprigionare totalmente il pensiero.
Il segno scritto non può rinchiudere il pensiero, tanto meno l'inflessione dell'oralità del parlante, la gestualità di chi si ha davanti, tant'è che noi usiamo gli emoticons sul forum, qualcosa sfuggirà sempre e adatto che l'immagine è prima dello scritto, non è detto che l'alfabeto fonemico sia meglio delle più antiche scritture simboliche. Il discorso è lungo............
ciao
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Prima di rispondere a Maral, ritengo necessario fare il punto della situazione riprendendo il contesto dell' aforisma, il principio di ( non ) contraddizione e il suo rapporto con il numero. Se ricordate in precedenza avevo affermato infatti che il principio di non contraddizione aveva poco a che fare con il numero e ciò è dimostrabile prendendo in esame la A che Aristotele usa per definirlo. A ben vedere questa A si riferisce a qualsiasi oggetto nel campo fisico e che nello stesso tempo è soggetto al divenire. Perciò anche se non può essere mai diversa da sé stessa non si può inquadrare in un riferimento numerico perché diviene e nel tempo è sempre diversa da ciò che era in precedenza. Quindi non ha nulla di logico. Si basa, come giustamente afferma Nietzsche, di un principio avvalorato dalla nostra percezione, percezione che sembra avvalorare costantemente questa tesi. Nietzsche inoltre afferma che questa prospettiva è falsa. E che tutto dipende dall' incapacità dell' uomo di rilevare cose che si contraddicono.
Quindi ricapitolando, Aristotele afferma che A, in qualsiasi momento lo prendiamo in considerazione, non può essere diverso da A. Nietzsche afferma che al contrario A può essere diverso da A anche se noi non siamo capaci di rilevarlo. E che perciò, non potendo affermare che noi conosciamo già A in altro modo ( o l' essere= essere fisico che diviene ), il principio di ( non ) contraddizione non può essere sottoposto a verifica e perciò è interpretabile soltanto come un comando, e cioè le cose devono stare così e così, anche se non possiamo dimostrarlo logicamente. Un tener per vero, quindi.
Ma adesso vediamo cosa succede se aggiungiamo il principio di identicità che applica Severino. La A di Severino diviene un numero. Non più un qualcosa che varia nel tempo e che perciò è soggetta al divenire, ma una A sempre identica a sé stessa. E ciò che succede è che Severino, relazionandola al numero, non dà soltanto l' Essere come dato, un Essere invisibile e non soggetto al divenire, ma per di più lo afferma come logico. In pratica è un comando superiore che si deve tener per vero in riferimento al principio di Aristotele. E' come se dicesse Dio esiste perché io voglio che esista. Ma di logico in ciò non c' è niente perché non possiamo comunque affermare di conoscere l' Essere in un altro modo; conoscenza che ci permetterebbe di avvalorare la sua esistenza e il suo non contraddirsi ed essere sempre uguale a sé stesso.
Nel caso di Severino la A riferentesi all' essere e agli enti è identificabile ad una variabile x di carattere numerico. Ogni ente o essere cioè rappresenta un diverso valore della variabile x di carattere numerico e che perciò per definizione è sempre uguale a sé stessa. Ed è perciò che Severino, correggimi Maral se sbaglio, è costretto ad affermare che ciò che varia è il suo apparire e che comunque la A che diventa B deve comunque tornare A per chiudere il ciclo. Senza voler approfondire, ho soltanto messo in evidenza che il nulla di fondato a cui si riferisce è qualcosa che va al di là delle sue possibilità logiche di affermarlo. E' in altre parole un ancor più profondo tener per vero, ma di cui soprattutto non ne abbiamo neanche la percezione sensoriale, come avviene nel caso del principio di non contraddizione.
X Paul11.
L' incapacità di poter riportare a parole molte nostre sensazioni, e che ogni linguaggio ne designa il limite, è un discorso che si dovrà comunque affrontare. Ma anche questa incapacità avvalora il discorso di Nietzsche.
La mia sensazione è che comunque tutto gira intorno a Socrate, Platone, Aristotele e Nietzsche.
Ringrazio per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Citazione di: Garbino il 10 Luglio 2017, 15:36:31 PM
Prima di rispondere a Maral, ritengo necessario fare il punto della situazione riprendendo il contesto dell' aforisma, il principio di ( non ) contraddizione e il suo rapporto con il numero. Se ricordate in precedenza avevo affermato infatti che il principio di non contraddizione aveva poco a che fare con il numero e ciò è dimostrabile prendendo in esame la A che Aristotele usa per definirlo. A ben vedere questa A si riferisce a qualsiasi oggetto nel campo fisico e che nello stesso tempo è soggetto al divenire. Perciò anche se non può essere mai diversa da sé stessa non si può inquadrare in un riferimento numerico perché diviene e nel tempo è sempre diversa da ciò che era in precedenza. Quindi non ha nulla di logico. Si basa, come giustamente afferma Nietzsche, di un principio avvalorato dalla nostra percezione, percezione che sembra avvalorare costantemente questa tesi. Nietzsche inoltre afferma che questa prospettiva è falsa. E che tutto dipende dall' incapacità dell' uomo di rilevare cose che si contraddicono.
Mi riesce difficile capire questo riferimento al numero. Il numero, per come lo intendo, è la definizione dell'intero posto in relazione alle sue parti, indipendentemente dal divenire. Se identifico un ente con un numero assumo che quell'ente è esprimibile esattamente dalla somma delle sue parti omogenee assunte in astratto come unità di misura. Se quell'intero cambia, potrà cambiare il numero, ma niente mi vieta di pensare che quel numero mi restituirà sempre l'intero, anche nel suo diventare altro. Sarà un altro numero, ma quest'altro numero sarà parimenti esatto, giacché l'intero resta sempre la somma esatta delle sue parti. Il problema del numero è dato dal fatto che l'intero come tale si presenta sempre come eccedente rispetto alla somma delle sue parti, pure se non cambia. E questa eccedenza è un resto non definibile, non numerabile e, proprio a causa di questo resto il conto non torna, dunque qualsiasi definizione dell'intero su base numerica si rivelerà fallace. E' il problema a cui si trovarono di fronte i pitagorici che volevano definire tutto l'universo in chiave numerica. ma si trovarono di fronte il problema della diagonale del quadrato incommensurabile al lato. Questa incommensurabilità non dipende dal divenire del quadrato, ma dal fatto che il rapporto tra diagonale e quadrato non è numericamente esprimibile, lascia sempre un resto (trattabile solo introducendo ad hoc il concetto di numeri irrazionali per poter continuare a calcolare in astratto).
CitazioneMa adesso vediamo cosa succede se aggiungiamo il principio di identicità che applica Severino. La A di Severino diviene un numero. Non più un qualcosa che varia nel tempo e che perciò è soggetta al divenire, ma una A sempre identica a sé stessa. E ciò che succede è che Severino, relazionandola al numero, non dà soltanto l' Essere come dato, un Essere invisibile e non soggetto al divenire, ma per di più lo afferma come logico. In pratica è un comando superiore che si deve tener per vero in riferimento al principio di Aristotele. E' come se dicesse Dio esiste perché io voglio che esista. Ma di logico in ciò non c' è niente perché non possiamo comunque affermare di conoscere l' Essere in un altro modo; conoscenza che ci permetterebbe di avvalorare la sua esistenza e il suo non contraddirsi ed essere sempre uguale a sé stesso.
Nel caso di Severino la A riferentesi all' essere e agli enti è identificabile ad una variabile x di carattere numerico. Ogni ente o essere cioè rappresenta un diverso valore della variabile x di carattere numerico e che perciò per definizione è sempre uguale a sé stessa. Ed è perciò che Severino, correggimi Maral se sbaglio, è costretto ad affermare che ciò che varia è il suo apparire e che comunque la A che diventa B deve comunque tornare A per chiudere il ciclo. Senza voler approfondire, ho soltanto messo in evidenza che il nulla di fondato a cui si riferisce è qualcosa che va al di là delle sue possibilità logiche di affermarlo. E' in altre parole un ancor più profondo tener per vero, ma di cui soprattutto non ne abbiamo neanche la percezione sensoriale, come avviene nel caso del principio di non contraddizione.
Ripeto, Severino non nega la fenomenologia secondo la quale gli enti appaiono variare. Ciò che nega risolutamente è che questo variare sia ontologico, sia un uscire dal niente ed entrare nel niente. Nega che gli enti possano farsi niente o che il niente possa farsi ente e afferma che questo si pretende che accada quando si dice che A diventa B, cioè che l'essere dell'ente diventi un altro essere pur rimanendo lo stesso essere. Certo lo fa sulla base del principio di identità preso a priori come assoluto, ma anche se si nega che tale principio sia assoluto, anche per dire che Severino ha torto, è evidente che lo si può dire solo rispettando il principio di identità, altrimenti l'aver torto di Severino vorrebbe dire che Severino ha ragione e l'aver ragione che ha torto. Il ragionamento di Severino in questi termini è davvero incontrovertibile sul piano logico, perché per dire qualsiasi cosa, compreso negare il principio di identità, occorre assumere il principio di identità e di non contraddizione. E' su questa base che gli enti sono eterni, ma questo non li rende definibili con un numero a meno di non essere enti numerici. Una casa è una casa e non un numero che è invece solo quel numero che è. Numero e casa potranno istituire delle relazioni. ma nessuna di queste relazioni definirà un numero che sarà la casa, va contro il principio di identità, senza che questa perenne differenza sia data da alcun divenire della casa, semplicemente non c'è alcun numero che sia una casa.
Quello dunque che appare come divenire è appunto l'apparire e disapparire degli eterni nelle relazioni che tra loro intessono, ma non è mai un diventare, non è mai un cessare di essere per essere qualcos'altro, non è mai un cessare di essere del legno per essere, quel legno, cenere, ma è un venire ad apparire dell'ente legno e un passare oltre al sopraggiungere dell'ente cenere in quell'ambito in cui si rende possibile quell'osservazione che richiama la cenere dal legno. Sono come attori che si presentano in scena uno dopo l'altro secondo l'ordine di scena, senza per questo che nessuno di essi cessi mai di essere quello che è (la metafora usata da Severino è quella del sole che entra ed esce dall'orizzonte visibile senza mai per questo diventare niente o uscire dal niente). Questa per Severino è la fenomenologia del principio di identità, proprio in quanto l'ente che è sempre se stesso viene ad apparire e scomparire nella parzialità finita in cui solo può manifestarsi. Gli innumerevoli attori che devono entrare in scena non possono entrare tutti insieme nello spazio finito definito dalla scena e allora continueranno a sopraggiungere e uscire di scena e nessuna definizione, men che meno numerica potrà mai definirli, solo tracciare un contorno entro il quale è possibile per un po' e in parte ravvisarli.
Il discorso di Nietzsche mi pare sia su un piano completamente diverso, anche se con l'eterno ritorno qualcosa può sembrare richiamare l'eternità degli enti, ma non c'è dubbio che la distanza da Severino resti di principio abissale, come abissale è la distanza di Severino da Aristotele e tutta la tradizione del pensiero occidentale che mantiene il divenire in chiave strettamente ontologica.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Gli argomenti aperti da Maral sono complessi e necessitano un inquadramento a livello storico. In Grecia la matematica era soprattutto Geometria. E non a caso quasi tutti gli assiomi e criteri della Geometria hanno radici greche. E questo perché il rapporto tra numero e geometria erta scadente. E la causa di ciò è che i numeri in Grecia venivano rappresentati con tante stanghette quanto era il valore del numero, tranne le decine e le centinaia che venivano rappresentate con simboli appositi. Furono più tardi i Romani a introdurre il numero V (quinto, cinque ) e a posporre stanghette al numero più alto per abbreviare i segni ( ad esempio IV quattro o IX nove ). Ma fu solo con i numeri arabi che nacque l' Aritmetica con l' aggiunta dello zero proveniente dall' India verso la fine del primo millennio. E fu solo allora che incominciò a delinearsi il sistema decimale, che in Italia arrivò molto tardi perché fu boicottato dalla Chiesa Cattolica che lo riteneva opera del diavolo.
Per i Greci la Geometria rappresentava la perfezione e non a caso si riteneva che quelle geometriche fossero le forme inerenti alla materia. Principio che divenne poi difficilmente sostenibile per le caratteristiche che si delineavano nelle due figure ritenute il massimo della perfezione: il quadrato e il cerchio.
E ciò che ne inficiava la perfezione era appunto l' approssimazione non superabile della diagonale del quadrato ( come afferma giustamente Maral ) e il valore del pi greco. Anche per il valore del pi greco bisognerà aspettare la fine del primo millennio, la cui determinazione proviene sempre dall' India.
X Maral
Devo ammettere che forse sono stato poco chiaro per quanto riguarda il valore numerico della variabile X in rapporto agli enti di Severino, perché avrei dovuto specificare che si riferiva soltanto concettualmente al principio di identità ( identicità ) da lui ritenuto invariabile. Quello che volevo intendere è che Severino stabilisce che ogni ente ha una sua identità ed è sempre identico a sé stesso anche nel tempo.
Il rapporto invariabile dell' intero con le sue parti prende corpo soltanto con il sistema decimale, ma naturalmente nel modo di pensare Severino si riferisce più alla filosofia greca che alla contemporaneità. Ed è ciò che mi consente di ipotizzare che Severino ( ma come ho già detto non solo lui ) con la Matematica e soprattutto con il numero e l' algebra abbia diversi problemi.
E' un genio sofista, e come tale crea un mondo per lui vero ma di cui non vi può essere nessun riscontro sensitivo e perciò esperienziale.
Ma soprattutto è ovvio che non è confutabile in base al sistema da lui creato, proprio perché il principio di identità, identicità ci si rivolgerebbe contro. L' unico modo è di non consentirgli questa possibilità e trasformarla in una ipotesi. In una ipotesi ancora tutta da dimostrare. In questo modo tutto ciò che il principio di identità ( identicità ) presuppone e da lui ritenuto valido perde ogni caratteristica di validità immanente, e con ciò tutta la sua costruzione. Il mondo vero creato da Severino è, ripeto, considerabile come un tener per vero ancora tutto da dimostrare. E questo al di là della genialità con cui lo descrive e lo ritiene vero.
Io mi scuso con coloro che avessero difficoltà ad orientarsi negli argomenti da me espressi, ma vi posso garantire che non è assolutamente facile rendere l' argomento di una chiarezza maggiore. Comunque chiunque avesse difficoltà farebbe bene ad esprimere cosa gli susciti dubbi o perplessità giacché in questo modo saprei dove orientare maggiormente la chiarezza.
Ringrazio per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Sto leggendo "La consistenza del passato" di Carrera, scaricabile anche da internet in pdf:
https://www.academia.edu/24047938/2007_-_La_consistenza_del_passato._Heidegger_Nietzsche_Severino?auto=downloadInteressante la sua lettura critica di Severino (che muove dal punto di vista siniano), collegate a quella di Heidegger e a "l'eterno ritorno" di Nietzsche.
Tra l'altro con numerosi riferimenti al testo "La filosofia futura" di Severino che fu il primo che lessi dell'autore e diede origine al mio interesse. Ecco, forse un testo che aiuti inizialmente a capire meglio Severino potrebbe essere proprio questo.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Non nascondo che ho divorato il testo di Carrera indicato da Maral in due volte. Una prima di leggere i primi capitoli de La filosofia futura di Severino e l' altra subito dopo, ritenendo di aver letto abbastanza dell' opera. E naturalmente ho trovato la lettura molto interessante e su cui concordo abbondantemente. E ciò fidandomi di ciò che argomenta sulla Gloria non avendo letto ancora niente sull' argomento. Ma fidandomi molto anche della valutazione di Maral che trova il testo di Carrera interessante. E perciò non campato in aria, suppongo, ma molto attinente.
Concordo pienamente sulla non possibilità di entificare né un evento storico ( la bomba di Hiroshima ), che mi era sembrata subito errato, né altro che non rappresenti un insieme organico e ben definito e non una sua parte. In altre parole se si può entificare un ramo d' albero si può tranquillamente entificare anche ogni singola parte, ad esempio, del corpo umano, cosa che naturalmente mi è sembrata assurda. Come ho trovato attinente anche la confutazione dell' esempio della lampada preso in considerazione da Severino.
Inoltre ad iniziare da pag. 92 si trova un interessante valutazione della caratteristica umana legata all' oblio, che abbiamo già visto in Genealogia della morale, ed una valutazione dell' eterno ritorno di Nietzsche che mi sembra sia abbastanza vicina al mio modo di pensare. Per altro confermo che Nietzsche sembra rivalutare la sua opinione sulla dimensione tempo in alcuni aforismi, che riporterò, de La volontà di potenza.
Un Nietzsche tutto da scoprire perciò e che sicuramente ci porterà via un bel po' di tempo.
Ma tornando a Severino devo purtroppo affermare che i primi capitoli de La filosofia futura mi hanno profondamente deluso, e riconfermato la sua essenza sofista. Lui non chiarisce ma cerca soltanto di convincere, ripetendo fino all' ossessione le stesse frasi. Ciò non toglie che lo fa in modo geniale, riuscendo a distrarre il lettore dai suoi scopi ed affermando principi senza dimostrarli.
E nonostante la delusione non posso dimenticare di essergli grato per la questione dello Zarathustra e l' eterno ritorno, ma non posso neanche far finta di niente alle inesattezze che, a mio avviso, appaiono nei primi capitoli de La filosofia futura e che affronterò in seguito per non fare confusione con il testo di Carrera.
Mi approccio ad una rilettura del testo di Carrera e nel prossimo intervento riporterò, se vi saranno, ulteriori considerazioni su di esso.
Ringrazio per la cortese attenzione. Avrei voluto fare un intervento più corposo, ma sia il caldo che la complessità dell' argomento mi hanno consigliato diversamente.
Garbino Vento di Tempesta.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Una delle argomentazioni del precedente post aveva riguardato la attendibilità di Carrera e che avevo superato adducendo che fosse stato Maral ad introdurlo, cosa che mi sembra sufficientemente valida considerate le ben note caratteristiche che lo riguardano. Ma a questo punto possiamo fornire anche una nostra valutazione dopo una attenta lettura del saggio: La consistenza del passato, che Maral ci ha fornito.
L' argomento tempo, che poi gli servirà per confutare l' entificazione dell' evento la bomba di Hiroshima di Severino, passa attraverso il pensiero di Heidegger che in seguito ad Essere e tempo aveva modificato alquanto la sua posizione e soprattutto aveva raggiunto la conclusione che comunque qualsiasi affermazione sul tempo non poteva essere dimostrata perché si varcavano i confini definiti dal linguaggio. Cosa questa che mi sembra poco nota a molti e mi sembrava giusto evidenziare.
Prima di procedere, come promesso, riporto uno stralcio dell' aforisma 545 de La volontà di potenza per evidenziare il pensiero dell' ultimo Nietzsche sul tempo: Io credo allo spazio assoluto come sostrato della forza: questa limita e dà forma. Il tempo è eterno, ma in sé non esistono né spazio né tempo: i "mutamenti" sono soltanto fenomeni. ( E in questa affermazione mi trovo completamente, da tempo, d' accordo con Nietzsche, come talvolta ho già accennato. Siamo noi cioè a pensare al fenomeno scandito dal tempo, come ad esempio il nostro evolverci e divenire, ma è una prospettiva falsa, ma su questo torneremo ).
Per quanto riguarda Carrera, mi sembra che la sua posizione si avvicini a questa, ma partendo da presupposti diversi: sia sull' oblio che sulla memoria. Infatti egli afferma che l' uomo ha bisogno della memoria, trascurando tutto il discorso di Nietzsche sulla memoria e l' oblio del secondo saggio di Genealogia della morale. Ricordiamo che Nietzsche aveva definito indispensabile l' oblio per l' uomo per poter vivere e la memoria come il prodotto di millenni di atrocità atte a formarla perché "l' uomo potesse promettere e tener fede alla proprie promesse".
Inoltre a sostegno dell' importanza dell' essere a pag 38 troviamo questa frase: Se il pensare è lo stesso che essere ( verissimo ) e se l' essere (identificazione dell' atto del pensare con la sua entificazione, a mio avviso errata) scompare all' orizzonte del pensiero etc.....
In altre parole si è pensando ma non è affatto detto che l' atto del pensare sia attribuibile ad una entificazione dell' essere.
L' ultima critica la rivolgo al suo pensiero che la Filosofia senza l' essere e la Metafisica potrebbe essere affrontata anche da altri specialisti di settore che ritengo discutibile e per varie ragioni. Ma in ogni caso la Filosofia, sempre a mio avviso, ha il suo futuro proprio nel superamento della Metafisica, proprio perché ogni affermazione non può essere dimostrata, e come afferma giustamente Nietzsche si tratta sempre di un tener per vero.
Carrera inoltre ci presenta Severino come anti-nietzschiano e anti-hidegerriano, e nei confronti di Nietzsche non posso essere che d' accordo. Basta citare questo stralcio tratto dall' aforisma 530 sempre de La volontà di potenza, per rendersene conto: I principi fondamentali della logica, il principio di identità e di (non) contraddizione, sono conoscenze pure, perché precedono ogni esperienza. Ma queste non sono affatto conoscenze! Sono, invece, ARTICOLI DI FEDE REGOLATIVI.
Il prossimo argomento, come annunciato, riguarderà LA FILOSOFIA FUTURA di Severino.
Grazie per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta
Bentornati ad entrambi Maral (non l'avevo ancora fatto) e Garbino!
Mi ci voleva un ritorno a Severino finalmente leggendo un opera completa, vada per la filosofia futura.
Come vada (visto che era nel paniere) la lettura di Carrera.
Grazie ragazzi o uomini che sia! ;)
Inoltre si sposa bene cone alcune intuizioni (anche se raggelanti) avute nell'estate Aquilana.
Devo dire che il ritorno a Milano è stato ed è tutt'ora traumatico, ma che diavolo mi fanno respirare in stà città abbandonata da Dio???? vabbiè!
Il tema del tempo, mi sà che varrà più di un approfondimento quest'anno.
Intato visto che ho già iniziato con un proclama, ve lo dico subito, per la terza estate consecutiva il progetto di citazione sistematica di UTU è fallito. Troppa vita comunitaria montana hanno spazzato via qualsiasi presunzione di astrazione ponderante.
D'altronde la vita richiede leggerezza, regola che ho ormai ho imparato a memoria, e che detesto.
Vorrà dire che proverò a fare qualcosina, nei tempi di mezzo, al mia fuga nei mondi virtuali. (film, sport e altre sciocchezze mediatiche). Sì perchè per vivere da filosofi (ossia per conoscere "oltre") richiede un coraggio, che ancora una volta testo di non avere. (ahimè)
Ma torniamo alla nostra trilogia di autori nietzche heidegger e severino.
prima una rapida sintesi a gruppi delle basi poste da te garbino (grossomodo condivido)
1- il tempo è fuori dalla semantica (difficile dire dal linguaggio tout court, in quanto anche il tempo, in quanto parola è un segno)
2- il tempo è un fenomeno e come tale prodotto dal pensiero (assolutamente sì)
3- critica al recupero della memoria effettuato da carrera tramite l'esposizione della necessità dell'oblio per terminare le atrocità del (pensiero del) passato. (qua mi manca la lettura del libro di Carrera, la ripresa storica è di tipo critico, acritico, e in cosa consiste di preciso?)
4- la filosofia deve superare la sua metafisica
5- il PNDC è un atto regolativo (sono d'accordo se lo intendiamo come proiezione del fantasma di controllo, e cioè se il PNDC risulti essere una fissazione identitaria, sono altresì dubbioso che Severino lo intenda realmente così, infatti negli anni scorsi ricordo benissimo che anche per lui l'identitarietà risulta essere un fantasma per un principio dialettico che richiamava la lettera B, non ricordo il termine da lui usato, chiedo aiuto Maral....sennò un pò di pazienza)
cit Garbino
"L' ultima critica la rivolgo al suo pensiero che la Filosofia senza l' essere e la Metafisica potrebbe essere affrontata anche da altri specialisti di settore che ritengo discutibile e per varie ragioni. Ma in ogni caso la Filosofia, sempre a mio avviso, ha il suo futuro proprio nel superamento della Metafisica, proprio perché ogni affermazione non può essere dimostrata, e come afferma giustamente Nietzsche si tratta sempre di un tener per vero."
E' comunque una illusione quella degli altri settori, infatti ragionano ancora come altrattante metafisiche.
Tra cui quella Tecnica è la più minacciosa. (o forse dovrei dire era, anche se non ho capito bene quale sia la prossima minaccia.di certo avrà a che fare con i fantasmi schizofrenici piuttosto che paranoici).
Cit Garbino
" Se il pensare è lo stesso che essere ( verissimo ) e se l' essere (identificazione dell' atto del pensare con la sua entificazione, a mio avviso errata) scompare all' orizzonte del pensiero etc.....
In altre parole si è pensando ma non è affatto detto che l' atto del pensare sia attribuibile ad una entificazione dell' essere."
Non mi è chiaro perchè ritieni che il pensiero dell'essere coincida con la sua entificazione.
Comunque sarei d'accordo se fosse così. Il pensiero non è un ente.
Ma se per questo nemmeno L'Essere è un ente! Quello che Heidegger tentava di far capire era che l'oblio del pensiero sull'essere, che
poi nel caso umano, coincide con la domanda del nostro essere uomini, portava irremediabilmente non solo alla scomparsa del pensiero sull'origine, ma proprio, e qui stava l'urgenza, al Pensiero in sè.
Infatti la Tecnica argomenta secondo il fatto che il pensiero è un entità (non ha importanza se di catattere scientifico o psichiatrico). Ossia passibile di una sua Indagine, ossia di una sua tortura.(secondo i canoni dell'occidente).
Facendo così oltre a vagheggiare di supposti attributi della stesso Pensiero (cibernetica) ottiene (la Tecnica) cosa ben più importante la dimenticanza del pensiero, ossia secondo Heidegger di cosa sia l'uomo.
Se l'uomo non si chiede più chi è, rischia di credere di essere qualcosa che non è.
Nei tempi di matura schizofrenia attuale, il monito di Heidegger è giunto a compimento.
Insomma la questione dell'entizzazione (collegata al PNDC) è il problema pià grave a livello contemporaneo.
ciao a presto!
Citazione di: green demetr il 01 Settembre 2017, 09:15:40 AM
5- il PNDC è un atto regolativo (sono d'accordo se lo intendiamo come proiezione del fantasma di controllo, e cioè se il PNDC risulti essere una fissazione identitaria, sono altresì dubbioso che Severino lo intenda realmente così, infatti negli anni scorsi ricordo benissimo che anche per lui l'identitarietà risulta essere un fantasma per un principio dialettico che richiamava la lettera B, non ricordo il termine da lui usato, chiedo aiuto Maral....sennò un pò di pazienza)
Non so se ti riferisci a questo, ma certamente Severino ritiene il principio di non contraddizione arbitrario (non è giustificato se non da se stesso), ma, come dicevo a Garbino, ne rileva l'insormontabilità per poter dire e dare significato a qualsiasi cosa. Inoltre S. rileva la contraddizione nel principio di identità qualora venga formulato nel modo classico come A=A, per cui lo riformula nei termini di (A=A)=(A=A) intendendo l'eguaglianza in forma perfettamente ciclica (eterno ritorno dell'identico su un piano logico?).
Per quanto riguarda Carrera (la sua critica a Severino, nonché le sue considerazioni in merito ad Heidegger e Nietsche) suggerisco anche a te, come già per Garbino, la lettura di questo testo che puoi scaricare in PDF gratuitamente da internet qui:
https://www.academia.edu/24047938/2007_-_La_consistenza_del_passato._Heidegger_Nietzsche_SeverinoDato che sei a Milano segnalo a te e a chiunque fosse interessato, la riapertura delle attività del gruppo "Mechrì" (che ruota intorno a Sini e che presenta quest'anno un seminario di filosofia a mio avviso particolarmente interessante). Qui puoi leggere il programma completo con i costi di partecipazione:
http://www.mechri.it/20172018/Mechri_Programma_2017-18_CORRETTO.pdfL'incontro di presentazione è previsto (previo avviso di partecipazione) per il 23-9 alle 17,30 presso la sede milanese dell'associazione. Se ti interessa fammi sapere. :)
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
X Green Demetr.
Un saluto e un ben tornato. Mi sembra che la vacanza presso Aquila, se ho capito bene, ti ha rimesso veramente in forma. Nulla di più auspicabile.
Scusa il ritardo ma il compito che mi sono prefisso ( quello di parlare de La filosofia futura ) non è dei più facili dal punto di vista dell' impostazione, ma penso di aver raggiunto una scaletta che mi tornerà molto utile.
Per quanto riguarda la frase di Carrera, mi riferivo proprio all' uso indistinto del termine essere sia come infinito del verbo che come significato simbolico di carattere metafisico. Ma anche appunto alla determinazione scontata che dietro il pensare ci sia un essere. Per altro Aristotele lo usa come tutto a metà strada tra fisica e metafisica e inoltre lo si usa comunemente come predicato come ad esempio nella frase: Io sono un essere umano. E non credo che in Greco "essere" possa essere ritrovato in ogni caso con lo stesso termine. La confusione, a mio avviso, è profonda e è necessario fare molta attenzione al suo uso.
Per la sua lunghezza e complessità ritengo meglio a questo punto sorvolare sul contesto del saggio di Carrera. Ciò non toglie che potremo riprenderlo in seguito. Una cosa è certa: che la nostra conoscenza si è arricchita e non si può che ringraziare ancora una volta Maral, sempre molto attento a ciò che avviene in casa nostra. Per altro invidiando chi come lui potrà partecipare, anche attivamente penso, al seminario del gruppo che ruota intorno a Sini.
La filosofia futura ( Severino ).
La lettura dei primi capitoli mi ha lasciato molto perplesso. E a questo riguardo inquadrerò i vari argomenti prima separatamente e in seguito, se ci sarà bisogno, globalmente.
Il primo argomento riguarda la causa del Nichilismo moderno che secondo Severino è tutta sulle spalle della filosofia dei Greci. E la loro colpa sarebbe stata il tradimento dell' episteme in favore del fato ( in rapporto al divenire, ma lo affronteremo in seguito ).
A tal proposito val la pena qui ricordare che secondo Nietzsche è il Cristianesimo la causa del Nichilismo e che proviene da Socrate e da Platone. Inoltre, fino a prova contraria, la filosofia Greca è nata proprio per il motivo opposto. E cioè per soppiantare il mito ( quello sì fatalistico ) con un episteme. E cioè con uno stare garantito da prove razionali basate sull' osservazione. Non credo di essere blasfemo nell' affermare che i filosofi che hanno avuto più influenza sul pensiero occidentale siano proprio Socrate, Platone ed Aristotele. E nessuno dei tre, sempre a mio avviso, avrebbe mai tradito l' episteme. Anzi possiamo affermare con Nietzsche, che in essi vi è il principio della razionalità ad ogni costo.
Ma allora, da dove avrebbe tratto Severino questa affermazione? A tal riguardo, ad esempio mi torna in mente la riflessione sul Gorgia di Maral "Nulla è". Riflessione che pone in evidenza che probabilmente Severino si rivolga più ai sofisti che ai tre grandi. Cosa questa che, come dicevo mi ha destato una notevole perplessità. Socrate non avrebbe mai tradito l' episteme, e Platone basa il Mondo delle Idee, come sappiamo, su prove di una certa attendibilità. Per non parlare poi di Aristotele per il quale il valore del sillogismo è alla base di qualsiasi conoscenza.
Per altro, proprio Aristotele ha affermato che " niente viene dal nulla e nulla vi torna ".
E ciò ci introduce nel secondo argomento che però rimando al prossimo post. Ritengo infatti doveroso riuscire ad affrontare questi argomenti ad uno ad uno per evitare qualsiasi tipo di confusione in merito.
Ricapitolando: io ritengo che l' affermazione di Severino sia alquanto discutibile e poco sostenibile. E il motivo appunto è che non si può dare la colpa di qualcosa a filosofi che non hanno avuto una profonda influenza sul pensiero occidentale. Spero che ci sia qualcuno che possa illuminarci su questo argomento. E cioè se Severino in altra opera ne parli e fornisca le prove di quel che afferma. E sinceramente non mi scandalizzerei se non vi sia, proprio perché ho già affermato che è un genio sofista. A Severino non interessa, sempre a mio avviso, dimostrare ma convincere.
Ringrazio tutti per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta
CitazioneIl primo argomento riguarda la causa del Nichilismo moderno che secondo Severino è tutta sulle spalle della filosofia dei Greci. E la loro colpa sarebbe stata il tradimento dell' episteme in favore del fato ( in rapporto al divenire, ma lo affronteremo in seguito ).
Tento di riflettere per quel poco che so fare sulla base di quello che di essa mi è rimasto di una lettura lontana nel tempo.
L'episteme per Severino è il fondamento incontrovertibile che fa capo al principio di non contraddizione o di "identicità? di ogni ente a se stesso (l'assoluta tautologia dell'ente). Rinunciare a questo principio incontrovertibile significa, per Severino, entrare nella follia del divenire di cui il fato inteso come destino inevitabile di un percorso di mutamenti esprime il risultato finale. E' chiaro che su questo piano il fatto che il fato sia inteso in termini mitici o razionali (ciò che ci si attende) non fa per Severino alcuna differenza, sempre di un mito irrazionale si tratta. Ossia tutto il percorso epistemico dell'Occidente per Severino è mito irrazionale e a maggior ragione quando questo mito proclama la propria razionalità, lo è in Platone come in Aristotele, lo è fin dall'inizio in quanto nega l'ente (l'essente) in essenza per poterlo far divenire, con tutta la potenza illusoria che dal controllo sul divenire consegue.
Severino è antitetico anche rispetto ai relativismo epistemico dei sofisti, proprio perché intende fissare un principio ontologico fondamentale assoluto e assolutamente inattaccabile, l'opposto dei sofisti per i quali tutto è negabile (il nulla è, come dice Gorgia. E' quindi la contraddizione assoluta che intende negare l'identità tra il nulla e il suo essere nulla), ma certamente in alcune argomentazioni che conduce nel suo attacco a Platone e alla filosofia classica può richiamare i sofisti (la cui portata filosofica trovo non sia peraltro affatto da sottovalutare).
Citazione di: Garbino il 08 Aprile 2016, 20:16:34 PM
E riprendendo il secondo paragrafo, Nietzsche conclude:
E' invece piuttosto vero che con la stessa necessità con cui un albero porta i suoi frutti noi produciamo i nostri pensieri, i nostri valori, i nostri sì e no, i se e i forse, affini tra loro e tutti insieme coincidenti, testimonianza di una volontà, di una salute, di un regno terreno, di un sole. Questi nostri frutti vi piaceranno? Ma questo per l' albero non ha alcuna importanza! Questo non ha alcuna importanza per noi, noi filosofi!....
Il Nietzsche che presenti tu è lo stesso che ha scritto cose ignobili come queste?:
"...Solo un eccesso di forza è la dimostrazione della forza. (...) Ogni mezzo è buono a questo scopo. Soprattutto la guerra. La guerra è sempre stata la grande saggezza di tutti gli spiriti divenuti troppo interiori, troppo profondi..." [Crepuscolo degli idoli]
"Conosco il piacere di distruggere in una misura conforme alla mia forza di distruzione. (...) Io sono il primo immoralista; con ciò sono il distruttore per excellence". [Crepuscolo degli idoli]
"Poter essere ostile, essere ostile: questo in ogni caso è il presupposto di ogni una natura forte. Essa ha bisogno di ostacoli, essa cerca ostacoli: il pathos aggressivo appartiene necessariamente alla forza, tanto quanto il sentimento di vendetta e il risentimento appartiene alla debolezza. (...)
Primo, attacco solo cose vittoriose. Secondo attacco solo cose contro le quali non troverei nessun alleato, contro le quali sono solo". [Crepuscolo degli idoli]
"L'amore del prossimo è in sé debolezza, un caso particolare di incapacità a resistere agli stimoli; la compassione è una virtù solo per i décadents. (...) Io annovero il superamento della compassione tra le virtù aristocratiche". [Crepuscolo degli idoli]
"Il male più alto appartiene alla più alta bontà". [Crepuscolo degli idoli]
"La condizione d'esistenza dei buoni è la menzogna. (...) Tutto è fino in fondo falsato e falsificato dagli uomini buoni.". [Crepuscolo degli idoli]
"La mia definizione d'amore è l'unica che sia degna di un filosofo. Amore, nei suoi mezzi, la guerra; nel suo fondo, l'odio mortale tra i sessi. (...)
Come si cura, come si "redime" una donna? Le si fa fare un bambino. (...)
"Emancipazione della donna" - è l'odio istintivo della donna mancata, cioè inidonea alla procreazione, verso la donna realizzata (...). In fondo, le donne emancipate sono le anarchiche nel mondo dell'Eterno Femminino, quelle finite male, il cui istinto più basso è la vendetta. (...)
Una piccola donna che insegue la sua vendetta manderebbe all'aria anche il destino. La donna è indicibilmente più cattiva dell'uomo e più intelligente; la bontà nella donna è già una forma di degenerazione. (...) La lotta per l'uguaglianza dei diritti è addirittura un sintomo di malattia: ogni medico lo sa". [Ecce Homo]
"Io sono stato il primo ad aver scoperto la verità, per il fatto che io per primo ho sentito, ho fiutato la menzogna come menzogna. Il mio genio è nelle mie narici. (...)
Io sono anche l'uomo della fatalità. Poiché quando la verità dà battaglia alla menzogna di secoli, avremo sconvolgimenti, un sussulto di terremoti, uno spostamento di monti e valli come non se ne sono mai sognati". [Ecce Homo]
"Un dio che venisse sulla terra non potrebbe fare nient'altro che torti". [Crepuscolo degli idoli]
"Se cerco la più profonda antitesi di me stesso, l'incalcolabile volgarità degli istinti, trovo sempre mia madre e mia sorella. Credermi imparentato con una tale 'canaille' sarebbe una bestemmia contro la mia divinità. (...) La continuità fisiologica rende possibile una tale 'disharmonia praestabilita'. (...)
Ma anche come polacco io sono un terribile atavismo. Bisognerebbe risalire i secoli per trovare questa razza, la più nobile che mai ci sia stata sulla terra, con la purezza d'istinto con la quale io la rappresento. (...) Non accorderei al giovane imperatore tedesco l'onore di essere il mio cocchiere". [Crepuscolo degli idoli]
"Si è apparentati meno di tutti che con i propri genitori: sarebbe il segno estremo della volgarità essere apparentati con i propri genitori". [Crepuscolo degli idoli]
"Che senso hanno quei concetti menzogneri quei conceti ausiliari della morale, 'anima', 'spirito', 'libero arbitrio', 'Dio', se non quello di rovinare fisiologicamente l'umanità?". [Crepuscolo degli idoli]
"Giudizi sulla vita, giudizi di valore, pro o contro, non possono infine mai esser veri: valgono solo come sintomi; in sé, giudizi del genere sono stupidaggini". [Crepuscolo degli idoli]
Quest'ultima affermazione conferma la sua ipocrisia di fondo. Infatti, che altro è la sua opera, se non una summa filosofica di "...giudizi sulla vita, giudizi di valore..."?
L'angolo musicale:
ZUCCHERO - Nice (Nietzsche) che dice?
https://youtu.be/M4apUpLQRl0
In Nietzche è famosa la frase che la filosofia nasce grande.
Per poi pervertirsi al principio di identità politico, ossia morale.
Lo fa con Socrate ed Euripide e dura fino ad oggi.
Tale errore è rimasto tale e quale. Ossia che vi sia una fissazione tra identità e politica.
+++
Questo errore tanto macroscopico, quanto ancora da affrontare in maniera seria dal canone della filosofia occidentale.
Ha un altro "eroe": anche per Severino l'identità è il grande errore che si sostituisce alla Verità.
Poichè sebbene a me pare evidente che sia un formalista, è però altrettanto evidente, che quel formalismo non è quello sterile della scuola analitica.
Nella sua polemica con i logici risentiti di ogni dove, egli oppone un formalismo dialettico, che affonda nell'hegelismo, a sentir certi autori.
Ossia che non è l'identità ma è l'ente che sussiste. E che l'identità è la grande follia dell'occidente.
Ma è una follia che segue il destino dell'ente che si manifesta nella sua apparenza ossia nella sua fenomenicità.
La sua fenomenicità è la sua contraddizione, ossia è l'apparenza dell'identità.
A seguire il suo discorso perciò l'apparenza seguendo il suo destino delirante, prosegue nel suo cammino di annichilimento.
Annichilimento che però Severino attende, vedendo nella fine della storia, l'inverarsi dell'esistente in quanto tale, e non in quanto apparizione (destinata appunto alla dissoluzione, o meglio al disapparire, sempre illusorio).
E' un percorso imbattibile e bizzarro che approda a certe idee della filosofia vedanta indiana non dualista.
A grandi linee questo è l'idea che ho di Severino, che lo vedo come alleato di Nietzche, salvo il colpo di teatro finale.
(peraltro impeccabile a livello logico).
+++
Ovviamente è solo una griglia (la mia griglia) per poi farsi le domande che vogliamo farci.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
X Carlo Pierini
Non è la prima volta che qualcuno cita frasi di Nietzsche pensando che ciò possa inficiare il suo notevole contributo alla conoscenza. E non è la prima volta che mi trovo sul banco degli accusati nel cercare di portare alla conoscenza dei più la sua filosofia. Perciò ti invito a leggere la risposta n. 97 in pag 7, in cui rispondo ad Eutidemo sulla donna, e la risposta n. 169 in pag. 12, in cui rispondo a Sariputra che aveva riportato più o meno le stesse frasi da te riportate. Ti auguro buona lettura.
X Green Demetr.
Sinceramente la penso un po' diversamente. Per molti versi posso ritenermi molto vicino a Carrera. Per altro ti consiglio la lettura del pdf di Carrera indicato da Maral perché lo ritengo veramente interessante. Specialmente per te che insegui l' Eterno Ritorno come descrivi nella risposta n. 5 della tua riflessione " La situazione della filosofia ", a cui purtroppo ancora non ho potuto dedicare il tempo necessario per un intervento che possa fornirti ulteriori spunti. E te ne consiglio la lettura perché appunto contiene una articolata riflessione sul tempo ( oltre a molto altro, tutto veramente interessante ).
X Maral
Sono d' accordo su quanto da te esposto nel tuo post e mi conforta riscontrare che sono giunto suppergiù alle stesse conclusioni, naturalmente su La filosofia futura di Severino. Ma è necessario che affronti la lettura in questo modo perché sono totalmente in disaccordo sui preconcetti che appaiono di frase in frase nei primi capitoli dell' opera. Come ad esempio che è l' attuale corso della filosofia occidentale ( sempre causata dai filosofi Greci, identificazione poco chiara sempre a mio avviso ) che ne determina l' angoscia o la follia. In altre parole non mi interessa confutare i cardini del suo pensiero come fa Carrera,, anche se naturalmente la penso in un modo totalmente diverso. Ciò che a me interessa è porre in discussione le basi da cui parte, su cui ho molti dubbi e mi hanno lasciato molto perplesso. E' ovvio che mi auspico che tu sia sempre pronto ad intervenire quando lo riterrai opportuno. Per quanto riguarda i sofisti forse ho esagerato un po', ma se ci guardiamo attorno, sempre a mio avviso, noi dipendiamo quasi interamente da Socrate, Platone ed Aristotele. Ciò non toglie che sia Protagora che Gorgia abbiano una certa rilevanza nel campo filosofico.
La Filosofia futura
Premetto che l' argomento che riguarda il diverso modo di intendere l' episteme da parte di Severino lo affronteremo in seguito.
Ma qual è secondo Severino la colpa dei filosofi Greci e che ha determinato il corso della filosofia occidentale? E' l' aver affidato l' essere al divenire. L' averlo inglobato nel venire dal niente e destinato a tornare nel niente.
Ed ancora una volta mi soggiunge immediatamente la domanda: chi è il filosofo Greco o i filosofi che avrebbero affermato ciò? Di certo né Platone, né Socrate né Aristotele; forse Eraclito ma chi altro?
Per il momento mi fermo qui. Aggiungo che ritengo meglio non trattare l' argomento dell' uso del termine niente in questo contesto perché troppo problematico, e che per altro ci porterebbe veramente lontano. Comunque lo riprenderò più avanti per una precisazione.
Ringrazio per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Citazione di: Garbino il 12 Settembre 2017, 17:42:33 PM
Premetto che l' argomento che riguarda il diverso modo di intendere l' episteme da parte di Severino lo affronteremo in seguito.
Ma qual è secondo Severino la colpa dei filosofi Greci e che ha determinato il corso della filosofia occidentale? E' l' aver affidato l' essere al divenire. L' averlo inglobato nel venire dal niente e destinato a tornare nel niente.
Ed ancora una volta mi soggiunge immediatamente la domanda: chi è il filosofo Greco o i filosofi che avrebbero affermato ciò? Di certo né Platone, né Socrate né Aristotele; forse Eraclito ma chi altro?
Per il momento mi fermo qui. Aggiungo che ritengo meglio non trattare l' argomento dell' uso del termine niente in questo contesto perché troppo problematico, e che per altro ci porterebbe veramente lontano. Comunque lo riprenderò più avanti per una precisazione.
Ringrazio per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Carrera l'ho scaricato, ma devo iniziare a leggere entrambi i libri (sia di Severino che dell'allievo di Sini), più UTU.
Sto cominciando ad ambientarmi ai veleni milanesi (quest'anno è più dura del solito...)
Non so Carrera, ma credo di capire perchè Sini rigetti in toto il pensiero Severiniano.
(semplicemente perchè Severino non si accorge che ogni cosa è Doxa, compresa la sua metafisica, e in generale, qualsiasi metafisica).
Ovviamente mi baso sulle numerose conferenze che ho sentito di Severino.
Per quanto riguarda il discorso logico, lo avevamo affrontato l'anno scorso, o l'altro ancora, leggendo alcune posizioni di Berto.
Ne ho ricordi sfumati.
Ma in complesso se vogliamo capirne le origini, ossia andare indietro fino agli errori primordiali della Filosofia, andiamo in argomentazioni complesse, che non padroneggio affatto.
Di certo però bisogna capire se tu ti riferisci a quelle argomentazioni (di allora) o delle nostre attuali (che pescano in abbondanza nella logica formale).
Certo non è cosa per liceali, si tratta di meditare a fondo su un pensiero che si interrogava sulla natura nascosta delle cose. In un periodo storico dove le cose parevano ancora misteriose.
Quindi il discorso sulla "cosa" (perchè è di questo che stiamo parlando suppongo) va chiarito sin dall'inizio caro Garbino!
Comunque più che Eraclito, che in realtà sebbene affermi il divenire, di fatto sposa l'idea di essere Parmenidea. (Tanto che le interpretazioni moderne, se ne rendono sempre più conto! Comunque sia Sini ci è già arrivato). Il divenire è un illusione per Eraclito infatti.
Severino è un neo-parmenideo, che non ha mai perdonato il maestro del fatto che per lui (Parmenide) esisteva il nulla.
Chi ha creato la spaccatura vera comunque è stato Platone con il famoso parricidio (parmenideo).
L'essere non è l'essere in quanto tale, ma in quanto formale, infatti la formalità non garantisce alcuna esistenza reale. Pocihè l'esitenza potrebbe benissimo essere non QUELLA ESISTENZA, ma un altra ESISTENZA, che non avevamo pensato.
Ossia l'oggetto è sempre presunto (da lì al concetto di Idea il passo è breve).
(cioè: non è l'ente a essere immortale, ma l'idea).
Per questo si parla di PNDC in fieri, che solo il suo allievo Aristotele, risolverà con la sua LOGICA.
Dunque i colpevoli sono Platone e Aristotele. (ecchialtri sennò?)
Citazione di: Garbino il 12 Settembre 2017, 17:42:33 PM
X Maral
Sono d' accordo su quanto da te esposto nel tuo post e mi conforta riscontrare che sono giunto suppergiù alle stesse conclusioni, naturalmente su La filosofia futura di Severino. Ma è necessario che affronti la lettura in questo modo perché sono totalmente in disaccordo sui preconcetti che appaiono di frase in frase nei primi capitoli dell' opera. Come ad esempio che è l' attuale corso della filosofia occidentale ( sempre causata dai filosofi Greci, identificazione poco chiara sempre a mio avviso ) che ne determina l' angoscia o la follia. In altre parole non mi interessa confutare i cardini del suo pensiero come fa Carrera,, anche se naturalmente la penso in un modo totalmente diverso. Ciò che a me interessa è porre in discussione le basi da cui parte, su cui ho molti dubbi e mi hanno lasciato molto perplesso. E' ovvio che mi auspico che tu sia sempre pronto ad intervenire quando lo riterrai opportuno. Per quanto riguarda i sofisti forse ho esagerato un po', ma se ci guardiamo attorno, sempre a mio avviso, noi dipendiamo quasi interamente da Socrate, Platone ed Aristotele. Ciò non toglie che sia Protagora che Gorgia abbiano una certa rilevanza nel campo filosofico.
Credo che la rilevanza di fatto dei sofisti sul modo di pensare attuale (che ha perso ogni riferimento epistemico assoluto) sia molto maggiore di quanto ritieni. Certo, a scuola i riferimenti li si fanno a Socrate, Platone e Aristotele, ma in realtà sono proprio Gorgia e Protagora ad aver vinto. Per non parlare che proprio Protagora è stato l'inventore e il sostenitore della democrazia (è Platone stesso a presentarcelo così e la forma di governo auspicata da Platone non era di sicuro democratica).
CitazioneLa Filosofia futura
Premetto che l' argomento che riguarda il diverso modo di intendere l' episteme da parte di Severino lo affronteremo in seguito.
Ma qual è secondo Severino la colpa dei filosofi Greci e che ha determinato il corso della filosofia occidentale? E' l' aver affidato l' essere al divenire. L' averlo inglobato nel venire dal niente e destinato a tornare nel niente.
Ed ancora una volta mi soggiunge immediatamente la domanda: chi è il filosofo Greco o i filosofi che avrebbero affermato ciò? Di certo né Platone, né Socrate né Aristotele; forse Eraclito ma chi altro?
Severino afferma che il pensiero occidentale si fonda sulla fede (che per lui è follia) che le cose vengono dal niente per tornare al niente (questo significa il Divenire e e in questo senso interpreta il frammento di Anassimandro). Il peccato originale è di Parmenide che per pensare all'Essere assoluto, quindi unico ente ha dovuto concepire il Niente, Il Niente costituisce dunque il fondamento della filosofia occidentale (ricordo un interessante intervento di Rocco Ronchi sul tema).
Certo, tu noti, nessuno in realtà sostiene che le cose vengono dal niente e vanno al niente, ma diventano altro e questo altro non è mai niente. Ma Severino nota che proprio il diventare altro implica che quello che è concretamente questa cosa deve diventare niente. La lampada accesa che si spegne, per diventare una lampada spenta deve diventare niente come lampada accesa, mentre la lampada spenta salta fuori dall'essere niente di quella accesa. In altre parole il diventar niente dell'ente è implicito nel suo diventar altro, è implicito secondo quel modo di pensare astratto che concepisce formalmente una lampada pretendendola come un reale esistente che è la medesima cosa sia accesa che spenta e accusa i Greci di essere stati i primi a pensarla in questo modo astratto, ritenendo in base ad esso realmente possibile il diventare altro. E' proprio in tal senso che Severino ad esempio svolge la sua polemica anti aristotelica (mi riferisco alla distinzione che Aristotele pone tra sostanza e accidente, per cui l'accidente può essere tolto senza che la sostanza muti).
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
X Maral e Green Demetr.
Finalmente posso riprendere il discorso e mi scuso per il ritardo. Fondamentalmente ritengo che abbiate ragione entrambe. Infatti, a mio avviso, Severino si riferisce a tutta la filosofia dei Greci. Rea appunto di aver confinato l' essere a venire dal nulla e a tornare nel nulla. Questa è naturalmente una sua interpretazione ed adesso andremo a verificare su quali basi egli riesca a giungere ad una tale affermazione.
La Filosofia Futura
Come abbiamo visto Severino afferma che i filosofi greci hanno tradito l' episteme. L' epistemologia è lo studio, la critica del metodo o dei metodi per raggiungere la conoscenza e l' episteme, secondo sempre i Greci ma anche per la filosofia attuale, è la conoscenza raggiunta grazie ad un metodo che ne garantisca la validità. Ed allora per quale motivo Severino accusa i filosofi Greci? La risposta sta nel suo differente modo di intendere, come aveva giustamente affermato Maral, l' episteme e non solo quello.
Per Severino esistono un episteme falso, un destino falso ed una filosofia falsa e sono tutte e tre di origine greca. E un episteme, un destino ed una filosofia ( appunto futura) vere, le sue.
Tutto ciò lo troviamo nel primo capitolo dell' opera e a cui mi riferirò dal momento che nel frattempo ho dovuto riconsegnare il libro e che comunque ritengo sufficiente per criticare l' impostazione di Severino.
L' episteme, secondo Severino, è ciò che sta, è la verità incontrovertibile che non può essere negata. In pratica qui assistiamo ad un' entificazione dell' episteme senza alcuna possibilità di critica dal momento che si stabilisce che è la verità. Ed è proprio grazie a questa entificazione che l' episteme a sua volta entifica il niente da cui l' essere verrebbe e lo trasforma in un ente immortale che dimora in un mondo immortale. E' la nascita della Filosofia Futura figlia del pensiero sincero che è riuscito a liberarsi della sua dipendenza dal divenire.
Al di là del fatto se i Greci abbiano fondato la loro filosofia sulla fede erronea legata al divenire, ciò non toglie che Severino ci chiede una fede ancora più profonda che le cose stiano come dice lui.
Carrera critica Severino chiedendo perché si dovrebbe accettare che scaturirebbe il mondo della Gioia e della Gloria, personalmente io chiedo perché si dovrebbe accettare questo mondo fin dall' inizio. In riferimento al niente, di cui avevo detto che il suo uso fosse improprio, aggiungo che sulle stesse basi si sarebbe potuto creare qualsiasi mondo, anche un mondo di folletti che ora perseguono il male ed ora il bene.
Lo zero o il niente, come avevo affermato altrove, è interpretabile come un buco nero dove noi non possiamo scrutare e che sarebbe meglio lasciare lì dov' è, in un limbo inarrivabile. Questa fondamentalmente la mia opinione.
X Maral
E' ovvio che c' è stato un fraintendimento. Io mi riferivo principalmente al Cristianesimo, che come Nietzsche rilevo di derivazione platonica e al sillogismo e al principio di non contraddizione che sono le basi del nostro pensiero. Non ricordo cosa dicesse Protagora sulla politica ma se non erro anche Aristotele aveva elaborato una democrazia in difesa delle minoranze. Il fatto è che per altro attualmente vedo un mondo politico alla mercé del potere economico, con molta demagogia e menzogna volte soltanto a non perdere i privilegi acquisiti.
Ringrazio per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Ciao Garbino, per quanto riguarda Protagora c'è un'interessantissima lezione di Sini su Youtube dal titolo "relativismo". E' divisa in sette parti, ma quelle fondamentali relativamente a Protagora sono la seconda, la terza e la quarta. E' interessante anche perché Sini presenta dal suo punto di vista, il perché della necessità di una cultura filosofica, soprattutto negli ultimi interventi con il pubblico.
Per quanto riguarda Severino in realtà egli pone l'assoluto dell'ente sulla base della tautologia del significato. Ora, si può sicuramente sospettare se questa presa dell'ente nell'assoluto della sua tautologia non rischi di rendere di fatto l'ente stesso niente. E questo mi pare la critica che si rileva in Carrera. La tautologia è certamente sempre vera ed è impossibile contestarla, ma proprio per questo, proprio in quanto da un punto di vista logico è assolutamente vera e incontestabile, essa non dice niente, cancella in una totale insignificanza quel significato che nella sua totale autoreferenzialità ha reso un assoluto innegabile, dunque eterno. Il fondamento del pensiero di Severino nega assolutamente l'autocontraddizione, ma negandola paradossalmente la ritrovo in se stesso. Cos'è allora l'ente reso assoluto se non il niente della sua perfetta e inattaccabile tautologia. Ed è per questo che poi Severino dal rigore logico incontestabile della sa assunzione (che sarà pure arbitraria, ma se non si assume l'identità di ciò che si dice perde di senso ogni dire), è costretto a un certo punto a sviluppare una sorta di pensiero di sapore mistico che muove dal fondamento logico e in cui compare la Gloria e il Destino della Gioia. Ma qui ancora è possibile chiedersi cosa giustifica questa Gloria e questa Gioia nell'ente che solo in astratto sa della sua eternità, ma non potrà mai sentirla effettivamente, non potrà mai viverla, non potrà mai concretamente conoscerla, in quato la concretezza non può non partecipare di una limitatezza e del conseguente dolore. Qual è la invisibile radiosità gioiosa di questa eternità' Dove se ne potrà mai prendere visione?
Il niente è l'opposto della tautologia, poiché niente, come dice Severino, è l'autocontraddizione, ma il punto è che questi due opposti finiscono con il coincidere, identicità di ogni ente a se stesso e autocontraddizione e il pensiero entra in un abisso da cui solo un grande afflato mistico pare poterlo liberare facendo apparire la Gioia come Destino.
Allora, non nego che anche io faccio a fatica a collegare la realtà e il discorso filosofico severiniano.
Di certo però non possiamo relegare a puro formalismo la filosofia di Severino.
Nel senso che tautologia (per Maral) o Niente (per Garbino) sembrano liquidare il senso che invece Severino riprende proprio dai Greci.
Ossia quello di ESSERE (qualcosa). Dove il vero arrovelamento è il capire che è l' "essere" ad essere il soggetto grammaticale e "qualcosa" a essere la copula.
Ossia l'inversione perfetta di quello che è il nostro linguaggio comune.
Infatti diciamo Il vaso è rosso. Intendiamo soggetti il vaso e il rosso, e l'essere è semplicemente un segno di relazione. Ossia qualcosa è qualcos'altro.
Ma nella filosofia greca e in quella di Severino è il contrario, essendo la forma che crea la sostanza.
Ossia ciò che crea (sottende) la sostanza, è appunto l'ESSERE.
L'esistente non è qualcosa. E' qualcosa che è l'esistente.
Ora che l'ente primo, sia col passare del tempo diventato un ente tra gli enti, credo sia il problema principale.
Almeno io cerco di leggere sempre in questa maniera.
Altrimenti avrebbe ragione Garbino, sarebbe un falso problema. Se qualcosa sia Niente o un Mondo di Folletti, che cambierebbe?
Stessa cosa per Marl, se il discorso dell'ente primo riguarda solo l'ente primo, allora è un falso problema.
Infatti l'essere è, d'accordo, ma come si relaziona con qualcosa? Ed è quello, a mio parere il problema.
Per capire le modalità di relazione dell'essere a qualcosa dobbiamo andare a rintracciare la "condizione di contraddizione necessaria" esposta da Severino, e che avevamo studiato insieme 2 anni fa con Berto.
(la memoria è labile a quanto sembra).
Io non la ricordo più (appunto). E mi dovete scusare. Riesco appena a scrivere sul forum, e ragiono con la mia testa. Ma non riesco a riaccendere il motore delle letture.
Saluti.
Mi intrometto di nuovo per riportare un passo di questa interessante dissertazione sul nostro che ho trovato per caso. E' di Antonio Gargano in "Istituto Italiano Studi Filosofici". Lo faccio, oltre che per fare il bastian contario e farvi imbufalire, perché la discussione non si riduca ad un coro di osanna verso il filosofo tetesko ( è sempre interessante arricchire anche con opinioni critiche...o no?...) : ;D
Nietzsche è oggi un pensatore di successo, viene visto come uno dei cardini della cultura del '900 e da molte parti viene accolta la sua critica della tradizione occidentale, ma c'è nel suo metodo un vizio di fondo. Qual è questo errore? L'avere confuso il piano della genesi con il piano della validità. In Umano troppo umano (1878) enella Genealogia della morale (1887), Nietzsche sostiene che se andiamo a ricercare qual è la genesi dei valori morali, troveremo che essa è sempre vile, bassa: l'invidia, la gelosia, l'impotenza, la debolezza, il servilismo danno luogo alle virtú. Non riesco a raggiungere l'uva che è troppo alta, la disprezzo, dico che è acerba, e che è meglio rinunciarvi: manifesto un risentimento, un'incapacità, un'impotenza, una debolezza. Le virtù sono generate da impulsi psicologici bassi, "umani, troppo umani". Nietzsche trova le radici della morale nelle pulsioni piú spregevoli dell'uomo. Sostiene di voler fare il lavoro della talpa, di voler scavare per vedere che cosa c'è sotto la superficie dell'albero dei valori, e trova che le radici di quest'albero sono marce. La Genealogia della morale distrugge i valori mostrando come gli ideali in cui gli uomini credono sono generati da torbide passioni, da ottusi impulsi, dalla volontà di essere ammirati, dall'incapacità di primeggiare. Che cosa è grave in questa affermazione di Nietzsche? Con la svalutazione dei valori in base alla loro genesi Nietzsche ha compiuto un errore, confondendo il piano della genesi e il piano della validità, che sono distinti e separati. Questa conclusione nietzschiana ha prodotto disastri, in quanto ha alimentato un disorientamento della cultura contemporanea. In che cosa consiste questo errore? Faccio un esempio. Consideriamo l'opera poetica di Leopardi: questa è valida, cioè ha un valore estetico, ha un valore di carattere universale, riesce a parlarci dopo due secoli, in quanto Leopardi è riuscito a esprimere valori di carattere estetico, di carattere anche morale e filosofico, ancora significativi per l'uomo contemporaneo. Ora, una tendenza genealogica di tipo nietzschiano su che cosa si sofferma? Leopardi era una persona sofferente, psichicamente e fisicamente, aveva forse la tubercolosi, era un po' gobbo, non veniva amato dalle donne, aveva una famiglia oppressiva, viveva in una condizione provinciale, in un'Italia molto arretrata e sonnacchiosa, ecc. ecc.; dalle turbe presunte o reali di Leopardi, dalla condizione familiare e sociale in cui è vissuto Leopardi, si cerca di trarre elementi di valutazione su L'infinito o sul Sabato del villaggio e si tende a scambiare il piano del valore estetico con quello della genesi psicologica. Queste due cose sono separate in maniera netta: basta fare la semplicissima considerazione che tantissimi altri giovani nell'Italia sonnacchiosa dei primi dell'Ottocento erano malati, vivevano in situazioni familiari disperate, vivevano in provincia e non hanno prodotto niente. Non c'è alcun rapporto necessario tra queste disgrazie, questo piano psico-sociologico, e il valore estetico delle poesie di Leopardi. Esse hanno un valore poetico, estetico, comunicativo, a prescindere dalla loro genesi. Una ulteriore testimonianza in questo senso può essere data dai poeti che hanno origini sconosciute, per esempio Shakespeare, sicuramente il piú grande genio tragico dell'età moderna, della cui vita non si sa quasi niente di certo, fino ad essere insicuri circa la sua stessa identità. Prendiamo da ultimo l'esempio forse piú clamoroso: "Dicunt Omerum fuisse caecum", si dice che Omero fosse cieco. Su Omero ci sono tantissime dispute. Il nostro Vico ha sostenuto che Omero non è mai esistito, non è altro che la voce della coralità del popolo greco delle origini. Di Omero non si sa niente, ma l'Iliade e l'Odissea sono grandi poemi in cui viene raggiunto un piano eccelso di valori estetici, e in cui vengono espressi valori etici come la fedeltà, la lealtà, il coraggio, la dedizione, la sete di conoscenza, grandi moventi umani che sono ancora oggi validi e palpitanti: la genesi empirica dell'Iliade non è rilevante per avvertire il valore estetico e filosofico dell'Iliade. Esempi ancora piú lampanti si possono trarre dalla storia della scienza, le cui conquiste sono valide a prescindere dal carattere e dai moventi dei loro scopritori. Ammesso pure, e non concesso, che la genesi dei valori sia quella che Nietzsche ha identificato, ciò non toglierebbe niente alla validità dei valori, in quanto i valori devono essere sottoposti ad una analisi di carattere razionale, non a una ricostruzione empirica della loro genesi, che può al più portare a scoprire che qualcuno aveva una debolezza e l'ha fatta diventare forza: non è la ricostruzione empirica, psicologica, sociologica, storica, che conta, bensí la valutazione da un punto di vista razionale. I valori della civiltà occidentale greco-cristiana sono sicuramente, alla luce della ragione, estremamente solidi, a prescindere dalla loro possibile genesi empirica. Si deve inoltre rilevare che il valore supremo è la verità: Nietzsche, sostenendo le origini "basse" della verità e la sua sostituzione con la volontà di potenza, destituisce di ogni valore di verità le sue stesse argomentazioni, che alla luce del suo stesso pensiero diventano espressioni di una volontà di potenza particolare.
Il sunto del discorso lo intendo così, con un esempio: se un canale d'irrigazione feconda un'arida campagna ha qualche importanza se è stato scavato da dei dementi?
Sari, non posso dire di essere un "fan tout court" di Nietzsche. Però quello che critichi di Nietzsche era anche la sua stessa critica a chi "preferiva" la virtù al vizio non per nobili intenti ma per bassi istinti. Volere le persone "obbedienti" alla "virtù" ha anche un connotato estremamente negativo e poco virtuoso: quello del controllo. Così la "virtù" dell'abbassamento dell'io e del mio, diventa un modo per inflazionare l'Io e il Mio! Così un'etica dell'"amore" può trasformarsi in un pretesto per il poco amorevole desiderio di controllo delle persone. E questo avviene a tutti i livelli - dall'individuo allo stato. Contro questo Nietzsche si ribellò e bisogna riconoscergli il merito, secondo me.
Poi eh la "soluzione" proposta, ossia quella di non reprimere più gli istinti mi pare completamente errata. Ma quasi nessuno è riuscito meglio di lui a diagnosticare l'ipocrisia e le bugie "mascherate" da coerenza e verità ;)
P.S. Ti consiglio di leggere qualcosa sul "ressentiment" (risentimento).
FIno a oggi, Gargano era uno dei pochi filosofi che ascoltato sul web, mi aveva piacevolmente sorpreso.
Ma a questo punto devo ricredermi completamente.
Basterebbe il passaggio in cui vuole unire l'analisi della poesia "l'Infinito" del Leopardi, con la vita dello stesso.
Errori di questo genere sono allucinanti. A Leopardi gli prende una sincope.
Sono d'accordo che se un demente porta acqua ad un arida campagna andrebbe bene, ma Nietzche non pensa affatto che l'uomo sia un arida campagna.
Il passaggio dell'uva troppo in altro, mi imbarazza alquanto....troppo facile fare un inversione della prospettiva.
Sul rapporto validità e genealogia sono contento di trovare un alleato (non troppo convinto ;) ) in Apeiron, che ha capito benissimo, che invece è proprio dalla validità (presunta) che Nietzche ricostruisce una genealogia.
Nietzche non si spaventa affatto del fatto che la morale è una costruzione dei potenti, non la critica, semplicemente ne prende atto.
Nietzche non ha mai parlato di repressione delle cattive inclinazioni, anzitutto perchè non ci vede alcuna cattiveria, semplicemente analizza il comportamento umano.
Non è che è il solo ad averlo fatto.
Bisognerebbe andare a leggersi i moralisti francesi, da Montaigne fino a La Rochefocauld.
Che praticamente anticipano Nietzche con la stessa precisione.(parlo di Rochefocauld che ho letto per intero)
Difficile pensare che le vite di questi autori fossero simili, la riduzione della teoria alla vita di un autore non è mai stata una grande idea.
Forse Sari hai trovato un passaggio di Gargano molto debole, non me lo immaginavo così ottuso.
Probabilmente bisogna reinterpretare questa sua "accusatio" alla luce delle sue idee etiche, che mi pare rientrino nella grande tradizione del razionalismo cattolico, la mia è solo una impressione, in quanto non conosco il pensiero di Gargano.
@Green però ecco mi devi delle spiegazioni (se ti va di farlo ;D ):
In sostanza Nietzsche viene accusato di non voler raccogliere l'uva dall'albero.
Nietzsche accusava che molti si vantavano di aver raccolto l'uva dall'albero quando in realtà spacciavano per "uva" qualcosa di molto meno prezioso.
Questo perchè in realtà all'atto pratico la "genealogia" conferisce una buona parte della "validità" (ossia la motivazione interiore è parecchio importante....) che a mio giudizio è maggioritaria.
Nietzsche: "allora visto che ci hanno raccontato bugie allora è giusto rifiutare le loro bugie (ok e qui ci sta)."
Da questo per Nietzsche segue che...
Nietzsche: "visto che quelle erano bugie è giusto seguire la "volontà di potenza" perchè ogni "etica" è illusoria e quindi dobbiamo crearci di volta in volta l'etica."
Su quest'ultima conclusione di Nietzsche personalmente mi trovo in forte disaccordo. Voglio dire "amare il prossimo" non può avere solo la genealogia che ci ha fatto rifiutarlo. Può avere un'altra geneaologia, più geniuna e profonda ;)
Green tu dici: "anzitutto perchè non ci vede alcuna cattiveria, semplicemente analizza il comportamento umano." Ecco: io sinceramente non sono d'accordo con questa tua e nicciana affermazione.
Stavo leggendo dall'enciclopedia filosofica curata da Volpi, alla voce Bentham
Le azioni umane si orientano in base al piacere o al dispiacere dei loro feed-back.
La stessa cosa per Nietzche, che in un altro aforisma nei pressi di quello riguardante il potere, che riconosce un finalismo delle azioni in base al piacere o al dispiacere che quelle comportano.
Un altro "insight" molto potente riguarda invece la punizione che deriva da quelle azioni che comportano dispiacere.
Per cui una società si organizza in base a delle leggi, giustamente in vista del piacere di una comunità intera.
(esattamente come per Bentham).
La potenza dell'insight è però che come al solito il maestro riesce a vedere oltre i meccanismi.
Riconoscendo che la colpevolezza non viene più data in base al teleologismo originario, ma invece rispetto alla legge stessa.
Di modo che si forma un reticolo che castra in maniera preventiva e senza più riconoscimento di ciò che realmente l'uomo vuole. Formando un rivolgimento totale del senso. (in questo senso la legge dogmatica cattolica ha avuto un ruolo nefasto).
Anzi vi è un altro aforsima sempre nei pressi di questi 2, dove addirittura propone la temperanza, la capacità di rasserenerarsi, e di provare piacere dalle piccole cose, dai volti vicini, per cui è facile riconoscerlo come un uomo dall'altezza spirituale elevatissima (sopratutto se apparteniamo al mondo orientale come ispirazione di ciò che è santo). L'insight è molto più potente, perchè è trattato insieme al tema del risentimento.
Per cui gli uomini difficilmente riconoscono la bontà e la pietà accanto a loro, delle persone e delle cose.
Il tentativo di Nietzche è a mio parere (per cui sto annotando con cura UTU) quello di costruire i presupposti degli amici liberi.
Direi insomma che la visione che si ha di Nietzche è totalmente fuorviante.
Io credo che in generale ci sia un grande fretta di raggiungere le mete.
Penso che l'uso della politica e della ideologia sia uno degli strumenti per raggiungere più in fretta l'obbiettivo comunitario (come lo chiamo io, non so che termine useresti tu).
Per questo non nego che il tentativo di utilizzare delle forme di unione in nome di qualcosa possa anche essere utile.
Ma non per questo bisogna dimenticare quale sia il vero lavoro.
Secoli e secoli di terrore e minacce non sono svaniti nel nulla, solo per un 60ennio di relativa pace (per altro solo in Europa, negli USA, in Canada e Giappone, perchè altrove si sputa sangue ogni dove.
(si anche nella corea del sud)
La militarizzazione, la costrizione, il ricatto sono all'ordine del giorno ovunque.
Il clash tra civiltà è già in atto e sta portando lentamente la disgrazia su noi tutti.
Ma pensare che un preghiera , che una pacca sulla spalla ci salverà è pura utopia (ad essere buoni).
Anche se sei giovane Apeiron come fai a credere che vi sia una più genuina genealogia???
Sono allibito, e comunque se altrove sei in grado di ricostruirla la leggerò volentieri.
Se poi ti riferisci alla questione della cementazione dei valori cristiani tramite il sui impero, Nietzche ne parla ampiamente, anzi è uno dei centri possibili di cui ha sempre parlato, ossia del progetto Europa.
Il progetto Europa è ancora in divenire. Un progetto fatto di uomini e civiltà e non di economie.
Visto l'ondata di razzismo che si sta estendendo in tutto il globo....la vedo male! (la strada è lunghissima).
Forse tu ti riferisci dunque a questo secondo passo.
Ossia alla possibilità generativa di una nuova genaologia che riprenda i tentativi più nobili della cultura continentale.
non so se ho risposto: ho provato solo a tracciare delle linee di pensiero
a presto! ;)
Green mi hai soddisfatto... in parte ;D lasciami però riscrivere la mia domanda in modo forse più chiaro, in modo da centrare il punto (il mio punto NON era politico o sociale. Bensì rigurardava l'interiorità).
Gli evoluzionisti (meglio: coloro per i quali l'etica deriva dalla "biologia" e basta...) dicono: ""amare il prossimo" è giusto perchè dobbiamo conservare la specie"... Mah ::)
Il cristiano (serio) tende a dire: "io "amo il prossimo" perchè la "parte più vera di me", la mia coscienza che è in rapporto con Dio" mi "mostra" che è vero.
"Nietzsche" dice: "Orsù guardiamo alla storia: l'uomo ha un desiderio di prevaricazione e di controllo - aspetti ineliminabili della Volontà di Potenza - incredibile. Questo lo manifesta in tutte le sue cose, tant'è che a volte impone ideali costringendo la vita a rinchiudersi in una prigione. Lo fa perfino nell'etica. Infatti consideriamo "amare il prossimo". I grandi "sapienti", i soffocatori della vita non hanno pensato questo: "Orbene non è forse un ottimo "valore" da inculcare ai nostri concittadini per fare in modo che "righino dritto"? non è forse un gran modo per fare in modo che chiunque cerchi di uscire dal seminato si senta in colpa?". Come possiamo vedere questa è la falsità e l'ipocrisia che ho messo alla luce nelle mie opere, questi "valori" non hanno una genealogia "alta" ma semplicemente "umana, troppo umana", nata addirittura dagli istinti più bassi dell'uomo! per questo motivo in Ecce Homo scrissi: "Non voglio essere un santo: preferisco d'essere un buffone.... Forse, sono un buffone.... E tuttavia, o piuttosto non tuttavia — poichè finora non c'è stato nulla di più bugiardo che i santi — io parlo la verità. Ma la mia verità è spaventosa, perchè finora s'è chiamata verità la menzogna... Il mio destino esige ch'io sia il primo uomo onesto". Per questo motivo quindi io voglio far nascere l'Oltre-Uomo, ossia colui che sfrutta al massimo la Volontà di Potenza"
Riguardo alla Genealogia... un cristiano (serio) direbbe quanto ho detto sopra. Quindi per lui "amare il prossimo" è un valore "alto" per un motivo ben preciso (motivo che ahimé come ha ben visto Nietzsche è stato tradito troppo spesso). La sua soluzione di esprimere al massimo la Volontà di Potenza non è un po' esagerato ::) ?
Credo che ognuno di noi (o quasi - prima che mi si accusi di dogmatismo ;D ) a "suo modo" riconosce che nel suo "intimo essere" "amare il prossimo" (per esempio) è una "virtù". Che la pace sia migliore della guerra ecc. Ovviamente la Volontà di Potenza, per la sua natura diciamo "focosa" (grazie ancora Eraclito per i tuoi oscuri frammenti ::) ), invece preferisce il dominio rispetto alla "pace" ecc. Ergo se si vuole fondare la propria etica sulla Volontà di Potenza all'ora l'Oltre-Uomo nicciano è consistente. Ma questo "senso" che mi pare che ognuno di noi riconosca nel suo "intimo essere" ci suggerisce altro e questo "altro" pare implicare una rinuncia (almeno parziale) alla Volontà di Potenza.
Ecco vedi Nietzsche mi sembra che abbia fatto l'errore di capire le cause dell'ipocrisia e della falsità (volontà di dominio, controllo ecc). Dopo averlo fatto invece di "curare" la causa e di purificare l'oggetto corrotto, ha invece "marciato" sulla causa, ossia sulla Volontà di Potenza, creando una non-etica. Almeno così mi sembra di vedere la questione. Ossia Nietzsche era un osservatore acutissimo che vedeva davvero la malattia dove c'era ma... la sua medicina non mi convince per niente. Preferisco invece cercare di mutare le mie motivazioni per cui "amo il prossimo" ecc
Ovviamente sei libero di bastonarmi ;D
P.S. Riguardo alla Genealogia... beh ecco ci sto lavorando. D'altronde chi vuole conoscere se stesso, cerca questa Genealogia - tra le altre cose ;)
Mi sembra di capire che il tuo obiettivo sia la critica della Volontà di Potenza in senso evoluzionistico nefasto all'uomo.
Certamente è problematico anche per me. :-[
Rimane lì scritto sulla pagina, ed essendo una cosa che non condivido minimamente, tendo a non leggerla.
Ma rimane da vedere in che misura incide il suo isolamento grammaticale rispetto a tutto il contesto semantico che Nietzche costruisce.
Perchè qui il tema non è tanto in sè la Natura, ma esattamente come in Leopardi il rapporto con essa.
Non è così facile amico mio, per come la vedo io, credo che Leopardi sia superiore rispetto a Nietzche.
Nel senso che la potenza di controllo di Leopardi era infinitamente più lucida, non doveva combattere contro i propri demoni.
Anche se in una misurazione senza senso (mi scusi professore Keats de l'attimo fuggente) sono proprio i demoni di nietzche a rendermelo fratello, e quindi più grande di Leopardi.
Grazie a Dio il destino mi ha fatto conoscere un brillante intellettuale, che confido gli DEI mi possa aiutare a decifrare proprio l'enigma Leopardi.
Mi sono orientato a ri-leggere Nietzche depurato dalle sue ossessioni, tramite Leopardi, e penso questo sia un punto nodale, e che sia perfettamente onesto intellettualmente.
Per inciso la Natura di Leopardi non ha alcuna pretesa evoluzionistica determinista, essa è invece la storia di una relazione.
http://www.academia.edu/19747588/Il_concetto_di_gradualismo_in_Giacomo_Leopardi_e_Charles_Darwin_assuefazione_adattamento_individuo
L'ho appena letto, mi è venuto il dubbio che pure Leopardi è considerato un evoluzionista.....e INFATTI !!!!
Se però leggiamo l'articolo si intravede che la visione di Leopardi parla di adattamento, di potenza in essere, e NON DI DISPOSIZIONE.
Non penso Nietzche sia lontano dalle considerazioni leopardiane, anzi è evidente che coincidono, nell'insieme delle idee che mi sono fatto su di lui.
Rimane il problema della volontà come se fosse esterna all'uomo in Nietzche. (questo sì che lo renderebbe aporetico! ma confido di poterla ricostruire correttamente).
Quindi niente bastonate Apeiron. Hai toccato un punto sensibile della questione.
Sulla costruzione della genealogia della bontà: ma per carità DEVI! è compito del giovane esperire possibilità! io ho già dato eh ;)
Citazione di: Apeiron il 18 Ottobre 2017, 23:32:45 PM
Gli evoluzionisti (meglio: coloro per i quali l'etica deriva dalla "biologia" e basta...) dicono: ""amare il prossimo" è giusto perchè dobbiamo conservare la specie"... Mah ::)
CitazioneEsistono evoluzionisti ed evoluzionisti (e "credenti che l' etica derivi dalla biologia" e "credenti che l' etica derivi dalla biologia"): per lo meno e soprattutto a mio parere, per dirlo grossolanamente, "evoluzionisti a là Dawkins" ed evoluzionisti a là Gould".
I primi (secondo il mio modesto modo di vedere) cadono in antiscientifici pregiudizi ideologici reazionari (perfettamente atti a sostenere lo stato di cose presenti iniquissimo e disastroso per le sorti dell' umanità; come d' altra parte, e ancor di più, il nichilismo nietzcheiano) non accorgendosi che l' altruismo, non meno dell' egoismo, é estremamente adattivo (fatti, questi, ben spiegati, sempre a mio modesto parere, dal materialismo storico: in ogni epoca le idee dominanti tendono oggettivamente ad essere le idee delle classi dominanti).
I secondi si avvedono della grande adattività (anche) dell' altruismo e del fatto che i geni (per usare l' orrenda metafora di Dawkins) non possono che essere "piuttosto altruisti che egoisti verso gli altri geni", poiché se così non fosse si determinerebbe l' estinzione delle rispettive specie (e dunque dei geni pretesi "egoisti" stessi) al primo inevitabile cambiamento ambientale sufficientemente drastico e intenso:
http://www.antimperialista.it/index.php?option=com_content&view=article&id=376:il-gene-altruista&catid=1:visioni-del-mondo-cat&Itemid=24
Questo spiega anche come mai
Apeiron:
ognuno di noi (o quasi - prima che mi si accusi di dogmatismo ;D
) a "suo modo" riconosce che nel suo "intimo essere" "amare il prossimo" (per esempio) è una "virtù". Che la pace sia migliore della guerra ecc.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Le tematiche aperte da Sari con il suo intervento ci riportano in pieno sui temi più ardui della filosofia di Nietzsche: l' eterno ritorno e la volontà di potenza. Una volta archiviato l' argomento Severino e rimandando l' argomento Sofisti- Protagora-Sini-Democrazia ad altro luogo in comune accordo con Maral, devo confessare che mi è piaciuto stare alla finestra ad osservare gli approfondimenti di Green e di Apeiron, e in ultimo di Sgiombo, e ringrazio tutti per il vostro contributo.
X Sari.
La critica è fondamentale per approfondire un autore ( o filosofo che sia ) e perciò non posso che essere d' accordo con te quando decidi di riportare visioni diverse sulla filosofia di Nietzsche.
Il brano da te riportato di Antonio Gargano e la critica di Green sullo stesso mi ha consigliato di leggere qualcosa di Gargano e concordo pienamente con Green. Sembra quasi che sia stato sollecitato a svolgere una critica nei confronti di Nietzsche per rimuovere i dubbi su una diversa interpretazione che la lettura degli altri suoi testi poteva far nascere.
Ma sorvolando su questo, posso tranquillamente affermare che sia l' intervento di Green che di Apeiron sono abbastanza condivisibili.
A questo punto non mi resta che aggiungere la mia valutazione che si può ritenere anche una risposta al successivo intervento di Apeiron, la cui critica si avvicina molto alle problematiche espresse da Gargano.
Gargano ad un certo punto afferma che l' errore di Nietzsche è stato quello di criticare la poesia del Leopardi, nonostante il grande valore estetico, etico e morale che in essa esprime. E che ritiene essere ancora significativi per l' uomo contemporaneo. Non entro nel merito sulla valutazione della grandezza tra Leopardi e Nietzsche aperta da Green, ma volevo solo soffermarmi sul fatto che è mia opinione che il valore estetico non può essere confuso, come Gargano fa, con ciò che una poesia, o qualsiasi scritto, esprime. E non è un errore in cui Nietzsche, a mio avviso, incorre.
Poi Gargano continua a confondere estetica e morale con Shakespeare, Omero ed infine con i valori della civiltà Greco-Cristiana affermando che vanno affrontati e valutati razionalmente e non in rapporto alla loro genealogia. Sorvolando sull' appiattimento della cultura e dei valori estetici e morali e soprattutto della Storia veramente sconcertante, quello che volevo mettere in risalto è un' altra cosa. Una cosa fondamentale e su cui Green mi sembra che non abbia focalizzato l' attenzione.
Per Nietzsche l' aspetto fondamentale di un valore etico, non estetico che è tutta un' altra cosa, è ciò che esso esprime. E cioè se in esso è riscontrabile un' ascesa della vita o una sua decadenza. E quello che lui afferma è che mentre in Omero e Shakespeare si ha una vita in ascesa, nei valori espressi dalla tradizione Greco-Cristiana si ci trova di fronte a una vita in decadenza. Rivolta al nulla e da qui il Nichilismo.
E la stessa cosa accade nella valutazione razionale, come afferma Gargano, e cioè che secondo Nietzsche bisogna sempre valutare se rappresenti una vita in ascesa o in decadenza. E per questo Nietzsche è molto critico sull' uomo moderno, che non si accorge di rappresentare una vita in declino.
Un' altro argomento che volevo evidenziare è che Nietzsche è solo chi pone in evidenza l' ascesa del Nichilismo e non colui che lo provoca. Per altro lui afferma che il Nichilismo ha il suo inizio con la filosofia di Platone che porrà le basi per il Cristianesimo.
X Apeiron
Come dice Green, è giusto che tu ti interroghi sul valore dell' amore del prossimo e sugli orizzonti aperti dalla volontà di potenza. Comunque non ti nascondo, come ho già detto in precedenza, che sia sull' Eterno Ritorno che sulla Volontà di Potenza sono anch' io molto critico, ma in un certo senso ho sospeso il giudizio finché non approfondirò meglio quello che Nietzsche afferma. Ma su questo tornerò nel prossimo intervento.
Avevo in mente di riportare un brano della Volontà di potenza, a mio avviso molto interessante sull' argomento, ma non volendo appesantire l' intervento mi fermo qui, sperando di aver risposto esaurientemente all' argomento. Sull' intervento di Sgiombo, che è apparso mentre stavo completando questo, mi sembra che possa essere incluso nelle tematiche già affrontate.
Ringrazio cortesemente per l' attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Rispondo solo a @sgiombo - ma in realtà il parere anche di altri è ben accetto, visto che secondo me arriva proprio a colpire il punto fondamentale di questa diatriba / anzi forse si potrebbe aprire un nuovo argomento*. Intanto lascio scritto il mio spunto di riflessione - @Garbino e @Green invece rimando a probabilmente domani la risposta su quanto avete scritto. Ad ogni modo vorrei anticiparvi che vi farò riflettere sul fatto che a mio giudizio la Volontà di Potentza ha origini in Eraclito, filosofo già apprezzato da Nietzsche fin dal 1873 ("La filosofia dell'età tragica dei Greci"). D'altronde 2400 anni prima di Nietzsche è stato lui a mettere il Conflitto come "padre e re di tutto"!
Vorrei puntualizzare due cose. Primo: sì hai ragione ad aver specificato che non tutti gli evoluzionisti sono come Dawkins e ti ringrazio di questa tua puntualizzazione.
Secondo: il problema è che fondare l'etica sulla scienza è a mio giudizio qualcosa di profondamente errato per vari motivi. Un motivo è che la spiegazione scientifica per sua natura è, richiamando Popper, quella di essere come una "palafitta" mentre nel caso dell'etica ci vorrebbe qualcosa, diciamo, di più stabile. Ma il motivo principale è il carattere deontologico e assiologico dell'etica: nella scienza di per sé non possono entrarci "giudizi di valore" in quanto la scienza descrive la regolarità dei fenomeni e si disinteressa della questione del "valore" (riguardo al carattere assiologico - "assiologia=studio del valore" - vorrei però dare il merito alla filosofia occidentale di aver cercato anche di indagare la dimensione dei Valori. Curiosamente nelle "vie della liberazione" come buddismo, advaita e daoismo questo tipo di questioni non vengono indagate esplicitamente. Nel senso non ci sono "trattati" che studiano questo tipo di domande - per quanto ne so io, ovviamente ;) Felicissimo di sbagliare ;D ). Che "amare il prossimo" sia preferibile solo per una questione accidentale o meno è una questione di totale indifferenza per la conoscenza scientifica. Ma dal punto di vista etico è importante che non lo sia.
Per dirla alla Wittgenstein:
"Supponiamo che uno di voi sia una persona onniscente e per questo motivo conosca tutti i movimenti di tutti i corpi vivi o morti nel mondo e che conosca tutti gli stati mentali di ogni essere umano che abbia mai vissuto, e supponente che questo uomo scriva tutto ciò che conosce in un grande libro. Ebbene questo libro conterrebbe la totale descrizione del mondo; e quello che voglio dire è, che se questo libro non contiene niente che possiamo chiamare un giudizio etico e niente che logicamente implica un tale giudizio. Conterrrebbe ovviamente ogni giudizio relativo di valore e ogni vera proposizione scientifica che può essere fatta. Ma i fatti descritti sarebbero allo stesso livello così come le proposizioni starebbero allo stesso livello. Non ci sono proposizioni che, in un qualsiasi senso assoluto sono sublimi, importanti o banali. "
Altro motivo per cui il "relativismo" a me non piace. E una descrizione solo scientifica dell'etica è insoddisfacente perchè manca dell'aspetto deontologico e assiologico dell'etica. Ergo: dalla "Morte degli dei" nicciana la scienza non ci può salvare ;)
*In realtà un nuovo argomento, volendo, c'è già. Lo ha aperto @sgiombo sull'etica. Si può anche andare di là a discutere su questo punto se vi va ;)
Citazione di: Sariputra il 17 Ottobre 2017, 11:52:54 AM
Mi intrometto di nuovo per riportare un passo di questa interessante dissertazione sul nostro che ho trovato per caso. E' di Antonio Gargano in "Istituto Italiano Studi Filosofici". Lo faccio, oltre che per fare il bastian contario e farvi imbufalire, perché la discussione non si riduca ad un coro di osanna verso il filosofo tetesko ( è sempre interessante arricchire anche con opinioni critiche...o no?...) : ;D
Fai bene Sari a indicare opinioni critiche su Nietzsche o chiunque altro, ma personalmente non sono per nulla d'accordo con quanto scrive Gargano. Sappiamo che il discorso sulla validità di una teoria indipendente dalla sua genealogia è il discorso che sta massimamente al cuore delle scienze, è infatti la scienza (la fisica e poi tutte le altre) che rivendica il fatto che le teorie scientifiche sono valide del tutto indipendentemente dai loro autori e del tutto indipendentemente dalla loro storia, sono infatti, una volta verificate, "verità oggettive" per le quali la genealogia è al massimo un'amena curiosità. Ora, a mio avviso, proprio questa è una pretesa che non ha alcun fondamento "oggettivo", e se non lo ha per la scienza, figuriamoci per l'etica o la filosofia dove la ricostruzione genealogica dei significati è fondante.
La ricostruzione che Nietzsche fa dei principi morali (che restano comunque i principi morali dell'uomo occidentale del suo tempo, non sono principi universali esistiti in ogni tempo e luogo, anche se la nostra pretesa sarebbe quella: l'Occidente come portatore dell'unica vera civiltà reale) è fondamentale, poiché la genesi è propriamente ciò che essi sono, genesi unica e irripetibile, ma quella è e quella storia, nient'altro, è la loro verità. Si può dire che la ricostruzione genealogica di Nietzsche contiene errori ed arbitrarietà e certamente ne contiene, come qualsiasi altra, ma non si può prescindere da una genealogia per parlare sensatamente del significato delle cose e certamente questo vale in primo luogo per i valori morali. Nietzsche coglie la crisi morale della sua epoca e presagisce con grandissima perspicacia quel secolo tremendo che sarà il XX, a fronte di questa immensa crisi non si può in alcun modo pensare di porsi al riparo restituendo a quei principi un valore in sé, come se niente fosse accaduto, collocarli nell'adamantino arcadico empireo della loro santissima verità inscalfibile, lo trovo assurdo quanto lo sarebbe andare in giro con parrucca incipriata e marsina non a Carnevale. "Dio è morto" non è semplicemente un proclama anti religioso, è molto di più, è il tramonto di un'intera civiltà, quella greco cristiana, con tutti i suoi valori e tutte le nefandezze orribili da cui quei valori scaturirono acquistando, proprio dalle nefandezze fondanti, il loro significato. La sfida che ci attende, non è rimetterne sugli altari le icone impagliate di antichi sogni ideali, ma tentare, se è possibile, di ravvisare ciò che
genealogicamente acquisisce verità, se ancora questa parola è possibile, se ancora una società e un individuo sono possibili, se ancora l'essere umano è possibile o non è già defunto da parecchi decenni, senza che alcun Oltreuomo sia arrivato a rimpiazzarlo (o magari sì, magari è in embrione, chi può dirlo).
Ad Apeiron
Concordo (se ho ben capito quanto intendi affermare; altrimenti "fammi un fischio") che la scienza non può dimostrare l' etica.
La mia convinzione é soltanto che la scienza biologica correttamente intesa (non alla maniera di "darwinismo sociale", "sociobiologia" e così via ideologizzando; più o meno razzisticamente) può dare spiegazioni del perché di fatto esistono determinati valori e imperativi etici (per esempio, come hai rilevato: ognuno di noi (o quasi - prima che mi si accusi di dogmatismo (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/grin.gif) ) a "suo modo" riconosce che nel suo "intimo essere" "amare il prossimo" (per esempio) è una "virtù". Che la pace sia migliore della guerra ecc.), e non dimostrare quali questi debbano essere, che é cosa impossibile: non lo si dimostra, semplicemente lo si avverte, e la scienza biologica spiega come mai (e non se ne può pretendere di più).
In questo periodo sto leggendo "La religione e il nulla" del filosofo giapponese Keiji Nischitani, uno dei più noti esponenti della famosa "Scuola di Kyoto", allievo di Nishida Kitaro. Mi sono imbattuto in questa riflessione sull'ateismo e sul nichilismo che, da quel che mi sembra di aver capito, Nishitani riconduce alla matrice stessa del pensiero greco-cristiano. Per Nishitani infatti un ateismo basato sulla razionalità scientifica, sul materialismo e sull'idea di progresso poteva nascere solo all'interno della cultura cristiana e occidentale. E passa poi a dimostrare come l'ateismo stesso e la nascita dell'importanza della 'soggettività' della persona sia ancora frutto del cristianesimo del quale l'ateismo vorrebbe, in un certo senso, essere l'opposto quando invece ne è il frutto...
Tre elementi allora compongono il moderno ateismo: materialismo, razionalismo scientifico e idea di progresso. Presi insieme mostrano ll destarsi dell'uomo alla sua soggettività libera e indipendente. In altri termini , ciò che può definirsi come "ateismo del progresso" risultò dalla combinazione del destarsi della soggettività nella ragione con la visione materialistica del mondo; entrambi accumunati dalla negazione dell'esistenza di Dio.
Nella nostra epoca l'ateismo ha fatto un ulteriore passo avanti. Da un lato, c'è l'insensatezza di un mondo concepito solo più materialisticamente e meccanicisticamente e la concomitante consapevolezza del nihilum che si nasconde sotto la superficie del mondo. Dall'altro lato si può parlare di soggettività solo come risveglio al nihilum interno alla natura umana, il quale nihilum sta al di là della ragione umana e tuttavia costituisce il fondamento sul quale noi stiamo. Sentire questo nihilum sotto i piedi è irrompere di colpo oltre il terreno dell'esistenza delle cose, passare al di là di quella dimensione nella quale ciascuna cosa nel mondo avrebbe un'esistenza oggettiva e aprire per l'uomo una posizione soggettiva che non si lascia mai ridurre ad un'esistenza meramente oggettiva.
Questa è la forma di soggettivazione nell'ateismo moderno.
Se paragoniam questo ateismo al cristianesimo...ha la sua contropartita nel nihilum che appare nella concezione cristiana della creazione divina come creatio ex nihilo. Ancora, l'atteggiamento nel quale il soggetto prende posizione sul nihilum ( la soggettivazione del nihilum), decidendo di confidare nient'altro che su se stesso, è analogo alla soggettività di Dio, che dice di se stesso "Io sono colui che sono".
Per l'ateismo contemporaneo, il nihilum della 'creatio ex nihilo' diventa un abisso nel quale l'esistenza di Dio viene negata e rimpiazzata dal nihilum stesso.
In questo abisso del nihilum sia il sé che il mondo trovano il loro fondamento. E' qui evidente il risveglio della soggettività...
Ciò è chiaro nel caso di Nietzsche. Come ho già detto, anche Sartre mostra simili tendenze. In entrambi l'ateismo si lega ad una forma di esistenzialismo. Ossia , l'ateismo viene soggettivato, il nihilum diventa il campo della cosiddetta extasis della propria esistenza e l'orizzonte della trascendenza sia apre nella direzione non di DIo, ma del nihilum.
E' evidente che un ateismo così non crede più nell'idea di progresso e non può più manifestare un ingenuo ottimismo, come il primo ateismo. Al contrario, i caratteri dell'ateismo esistenzialista, sono una presa di coscienza della più profonda crisi umana, una sofferenza che è tutt'uno con l'esistenza stessa, un'impetuosa decisione di conservare saldamente l'indipendenza dell'identità umana, contando nient'altro che su se stessa, sforzandosi di essere se stessa e di superare la crisi fondamentale dell'esistenza umana...
Storicamente parlando, questi problemi sono intimamente connessi col Cristianesimo, che è stato nel contempo matrice e antagonista della scienza moderna fin dagli inizi del Rinascimento, o ancora prima.
La stessa cosa vale anche per l'ateismo moderno, che nelle sue diverse forme è impensabile al di fuori del Cristianesimo.
E sferrando il suo radicale attacco contro il Cristianesimo, Nietzsche dava espressione di un atteggiamento nutrito all'interno del Cristianesimo stesso, ossia la costante e inflessibile volontà di verità.
Ho pensato di inserire questo stralcio perché mi sembrava interessante ( anche se per capire tutto il discorso di Nishitani bisogna leggere il libro...) capire la valutazione che fa un filosofo 'esterno', in un certo senso, vista la relativa gioventù dell'incontro tra la filosofia nipponica e il mondo occidentale,della cultura filosofica occidentale e quindi non conivolto totalmente nelle sue dinamiche interne.
Insomma , per Nishitani, il nichilismo della cultura e della scienza di matrice occidentale e imposta con le buone, ma spesso con le cattive, al resto del mondo è l'approdo di una costruzione basata su concetti che in radice sono nella visione stessa del mondo data dal Cristianesimo.
X Sariputra
Però gli atomisti antichi erano sia atei (Leucippo e Democrito senz' altro; circa Epicuro credo che ciò sia discutibile, non liquidabile negativamente senza dubbio alcuno), sia materialisti, sia occidentali, senza credere nel progresso umano (e men che meno naturale).
Inoltre (ma non so se questo cui muovo le seguenti obiezioni o meglio precisazioni almeno in parte concordanti sia effettivamente il pensiero tuo e/o di NIskitani correttamente da me compreso o "qualcos' altro" di malinterpretato o da me più o meno gravemente distorto), credo che il nichilismo in varia misura ateistico, materialistico, scientistico nato e prosperante in Occidente possa essere declinato in modi molto diversi.
Non solo, non necessariamente "a là Nietzche", coniugando alla consapevolezza dell' inesistenza di Dio (e in particolare di provvidenza e giustizia divina, con annessi e connessi premi o punizioni eterni dopo la vita mondana) e dell' "insensatezza del reale in generale e della nostra vita umana in particolare" (ma per me sarebbe più giusto dire "della consapevolezza dell' insensatezza della questione stessa della sensatezza o meno, del senso o della ragione o meno dell' esistenza di ciò che esiste, noi compresi") con la negazione se non addirittura la deliberata contravvenzione di ogni valore e principio etico e con la negazione di ogni possibilità di progresso della civiltà umana.
Ma invece anche (come possibilità altrettanto reale e secondo me ben diversa, se non diametralmente opposta) "a là Sartre", con la ricerca di un senso soggettivamente e arbitrariamente scelto (in quanto avvertito dentro di sé) da ciascuno di noi, ma non per questo non sufficientemente appagante, e con l' adesione a valori e principi etici relativamente (in parte) universali (e in parte condizionati storicamente e geograficamente, ovvero "macrosocialmenete"; nonché "microsocialmente", cioè dalle esperienze personali - individuali), indimostrabili ma di fatto presenti in tutti gli uomini (per motivi naturalissimi, riguardanti la "storia naturale" e ben spiegati dalla scienza naturale della moderna biologia evoluzionistica, oltre che in parte per motivi storici - sociali, riguardanti la "storia umana" e ben spiegati dalla scienza umana del materialismo storico).
E infatti Sartre, del tutto coerentemente, credeva nel progresso della civiltà umana.
Ricordo (con "gucciniano malinconico piacere") che nella mia lontana adolescenza, quando iniziai a ragionare "con la mia testa" mettendo in dubbio e sottoponendo a critica razionale l' educazione religiosa (cristiana) subita in famiglia, dopo una fase di "nichilismo quasi nietzchiano", fu proprio in modo particolare, fra gli altri, Jean Paul Sartre, oltre a Giacomo Leopardi, soprattutto quello della Ginestra- ad aiutarmi molto a trovare e a iniziare a percorre questa seconda possibile strada "antineitzchiana".
@Sgiombo
Nishitani accosta Sartre a Nietzsce non per accomunare i due filosofi, a parer mio, ma per mettere il evidenza il sorgere di una soggettività che ha nel nihilum il fondamento, a suo giudizio. Soggettività che, tolta dalla scienza la 'terra sotto i piedi' alla fede in un dio, deve per forza trovare in se stessa , nella sua extasis soggettiva la propria ragione/non ragione proprio perché fondata sul nulla., o per meglio dire fondata sul potere della scienza che però non dà un senso al dramma umano ( al massimo lo ignora o cerca panacee...). Mentre nell'ateismo e nel materialismo "ingenuo" dell'Illuminismo c'è una fede nelle meravigliose sorti progressive dell'umanità, in Nietzsche l'ateismo e il problema del nihilum come fondamento dell'esistenza di ogni cosa si fa consapevolezza. A Nishitani non interessa poi approfondire la tematica 'nicciana', le differenze nell'etica rispetto al Sartre o ad altri ( il suo lavoro verte infatti sulla genesi del nichilismo all'interno del cristianesimo stesso...e sulle ripercussione su culture non-cristiane che vengono ad essere 'infettate' dal nichilismo occidentale e sradicate dalle loro visioni tradizionali e diverse della realtà, con drammatiche conseguenze e spaesamenti...).
Con tradizione greco-cristiana penso intenda quella particolare forma filosofica che fa da 'supporto' alla prima teologia cristiana ( Platone in primis). Non dimentichiamo che, ancor adesso, fior di teologici e di papi ( Ratzinger per citarne uno) parlano di razionalità della fede in DIo. Quella stessa forma di razionalità sarà il frutto che porterà alla genesi del nichilismo occidentale, per Nishitani, che si pone come 'nuova trascendenza', come trascendenza del nihilum stesso ( come 'nuovo Dio'...una sorta di fede non dichiarata ma praticata da tutti...).
Un'etica soggettiva, come quella che descrivi e mi par di capire tu segua, è già all'interno di questo processo di soggettivazione del nihilum di cui parla Nishitani, in quanto non può che posare i piedi sul sottostante nulla di ogni cosa e confidare in se stessa...( il fatto che la materia esista è indifferente in quanto, privata dell'idea di essere manifestazione di Dio, non è altro che nihilum, non-senso o assenza di alcun senso della Natura...privata del suo 'essere in Dio").
Ovviamente, tengo a precisare, il mio pensiero non corrisponde automaticamente a quello dei vari autori che ho postato in questa discussione ( non essendo un filosofo ho già da fare di mio anche solo per capirli... :( ). In questo caso mi sento piuttosto concorde con il Nishitani su questa riflessione, se l'ho ben interpretata... :)
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
X Sari.
Sinceramente ritengo che il niente in cui Dio genera il Creato nella Genesi Biblica abbia poco o niente a che fare con il vuoto di senso che l' uomo percepisce nella sua vita non appena incomincia a farsi strada l' ateismo e conseguentemente che Dio e tutti i valori legati alla religione attraverso la morale siano falsi. Ripeto: Nietzsche non è Nichilista e il Nichilismo ha le sue radici nel Cristianesimo che a sua volta fu ispirato da Platone.
Ma non solo, secondo Nietzsche anche credere in Dio, soprattutto il Dio Cristiano, è nichilistico. Perché appunto l' uomo preferisce sempre credere nel nulla ( cioè un Dio buono e misericordioso ) piuttosto che ad un carro di incertezze.
Ma l' uomo che crede in un Dio buono e misericordioso è l' uomo in decadenza. E' l' uomo che fa della sua condizione di incapacità a sfogare la sua crudeltà all' esterno una scelta di vita buona e misericordiosa decisa da lui stesso. L' addomesticamento dell' uomo effettuato dal tipo prete è completo. L' uomo è migliorato in funzione della società, dipendente interamente all' autorità religiosa e asservito allo stato. Un miglioramento che Nietzsche interpreta come una castrazione del tipo uomo.
P.s. Non mi sembra che il tuo ultimo intervento mi ponga nella condizione di aggiungere qualcosa. In ogni caso se in caso riprenderò l' argomento nel prossimo.
Altra cosa è il fatto che la scienza ravveda e tenti di spiegare la virtuosità nelle caratteristiche che contraddistinguono l' uomo moderno. E a mio avviso è ovvio che accada. La scienza in fondo è peculiarità umana. Uomini sono gli scienziati che affermano ciò. Uomini moderni. Ma chiediamoci se il Greco o Il Romano o il Rinascimentale provasse la virtuosità nelle stesse caratteristiche. L' uomo d' azione trovava e trova, anche se ormai raramente, proprio nell' agire e negli effetti che procura l' azione la sua virtù. Lo stato d' animo che lo fa sentire in pace con sé stesso. La buona coscienza nell' agire è sempre stato molto soggettivo ed inerente a ciò che si è. E attinente anche al periodo storico, ma anche al di là di esso.
Come vi avevo promesso riporto un brano della Volontà di Potenza che sto leggendo approfonditamente ed è l' inizio dell' aforisma 707:
Il "mondo cosciente" non può servire da punto di partenza del valore: è necessaria una valutazione "oggettiva".
A fronte dell' enormità e della molteplicità delle operazioni sinergiche e conflittuali che costituiscono la vita complessiva di ogni organismo, il suo mondo cosciente fatto di sentimenti, intenzioni, valutazioni è una minuscola frazione. Il fare di questo frammento che è la coscienza lo scopo, il perché di ogni fenomeno complessivo della vita è assolutamente illecito: è evidente che prendere coscienza è solo un mezzo in più nel dispiegamento e nell' ampliamento della potenza della vita. Perciò è un' ingenuità porre come valori supremi il piacere, o la spiritualità, o la moralità, o qualsiasi altro singolo elemento della sfera cosciente, magari per giustificare "il mondo". E' questa la mia obiezione fondamentale contro tutte la cosmodicee e le teodicee filosofico-morali, contro tutti i perché e i valori supremi della filosofia e della filosofia religiosa sinora esistiti. Un genere di mezzi fu frainteso come uno scopo; la vita e il suo aumento di potenza furono abbassati al livello di mezzi.
X Apeiron
Attendendo la tua risposta volevo aggiungere qualcosa di fondamentale a ciò che ho argomentato. Ad un certo punto ti chiedevi se era lecito adeguarsi alla volontà di potenza, e cioè seguirla, invece che ad altro. Secondo Nietzsche questa è una domanda che non ha significato. Tu sei già volontà di potenza, la volontà di potenza che il tuo organismo nella sua complessità esprime.
Tutto quello che esprimo comunque è la mia interpretazione di Nietzsche. Ho già scritto che per il momento, a mio avviso, anche la volontà di potenza non sarebbe che un effetto delle sinergie tra mondo organico ed inorganico. Che la vita tende a bruciare come un cerino proprio perché non può essere diverso da così. E' un meccanicismo che va al di là di quello di cui Nietzsche parla e di cui nega la possibilità.
E cioè se è vero che l' alimentazione nello pseudopodo è soltanto un effetto della volontà di potenza, anche la volontà di potenza è un effetto ( ed uno degli aspetti ) delle condizioni necessarie alla vita.
Ringrazio per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
@Garbino scrive:
il Nichilismo ha le sue radici nel Cristianesimo che a sua volta fu ispirato da Platone.
In questo mi sembra che concordi quindi col Nishitani...
Ma l' uomo che crede in un Dio buono e misericordioso è l' uomo in decadenza. E' l' uomo che fa della sua condizione di incapacità a sfogare la sua crudeltà all' esterno una scelta di vita buona e misericordiosa decisa da lui stesso. L' addomesticamento dell' uomo effettuato dal tipo prete è completo. L' uomo è migliorato in funzione della società, dipendente interamente all' autorità religiosa e asservito allo stato. Un miglioramento che Nietzsche interpreta come una castrazione del tipo uomo.
E per fortuna che s'è castrato! Se l'alternativa era dare sfogo al proprio desiderio di crudeltà e di potenza. Però il famosso 'addomesticamento' fatto dal tipo prete e dalla società non può nascondere il fatto che forme di convivenza anche non crudeli , bensì altruistiche o volgarmente dette 'buone' sono biologicamente parte dell'uomo stesso e che anzi proprio in virtù di questo ha saputo e potuto 'scendere dagli alberi'...la religione è anche il prendere atto di questa positività insita nell'essere umano ed elevarla a sistema, cercando di arginare la sua capacità d'odio distruttivo, visto come negativo. Il bene o il male fatto da una religione è, a mio parere, da ascrivere alla coerenza e capacità di fare il bene o all'incoerenza e incapacità dei suoi attori. Siam sempre là, il problema non è il coltello ma l'uso che se ne fa...nemmeno lo stesso Nietzsche era, nella sua vita personale, coerente con la sua stessa filosofia...raramente lo siamo, tutti noi, coerenti... :(
Citazione di: Garbino il 22 Ottobre 2017, 17:09:26 PM
Come vi avevo promesso riporto un brano della Volontà di Potenza che sto leggendo approfonditamente ed è l' inizio dell' aforisma 707:
Il "mondo cosciente" non può servire da punto di partenza del valore: è necessaria una valutazione "oggettiva".
A fronte dell' enormità e della molteplicità delle operazioni sinergiche e conflittuali che costituiscono la vita complessiva di ogni organismo, il suo mondo cosciente fatto di sentimenti, intenzioni, valutazioni è una minuscola frazione. Il fare di questo frammento che è la coscienza lo scopo, il perché di ogni fenomeno complessivo della vita è assolutamente illecito: è evidente che prendere coscienza è solo un mezzo in più nel dispiegamento e nell' ampliamento della potenza della vita. Perciò è un' ingenuità porre come valori supremi il piacere, o la spiritualità, o la moralità, o qualsiasi altro singolo elemento della sfera cosciente, magari per giustificare "il mondo". E' questa la mia obiezione fondamentale contro tutte la cosmodicee e le teodicee filosofico-morali, contro tutti i perché e i valori supremi della filosofia e della filosofia religiosa sinora esistiti. Un genere di mezzi fu frainteso come uno scopo; la vita e il suo aumento di potenza furono abbassati al livello di mezzi.
CitazionePerché mai il "mondo cosciente" (in particolare umano) non dovrebbe "servire da punto di partenza del valore", semplicemente per il fatto (che già altri, come ad esempio Leopardi, ben sapevano prima di Nietzche) che nessun valore é dimostrabile (ma non per questo inesistente realmente di fatto come interiore sentire e come reale tendenza comportamentale)?
Perché mai l' uomo non dovrebbe potere avvertire dentro di sé (in conseguenza dell' evoluzione biologica che l' ha prodotto, e l' ha di fatto prodotto tale da poterlo e anzi da non poterlo, per lo meno tendenzialmente e in coesistenza anche con altre tendenze contrarie, non sentire) valori e imperativi etici "positivi" come altruismo, compassione (nel senso letterale del "sentire con gli altri" tanto il dolore e l' infelicità quanto il piacere, la gioia, la felicità), empatia, generosità, ecc.?
Che poi "i preti" (in senso lato, i preti di oggi essendo essenzialmente i giornalisti: "compagni, dobbiamo stare al passo coi tempi: con le budella dell' ultimo giornalista impiccheremo l' ultimo manager!" -Sgiombo-) spesso e volentieri (ma assolutamente non sempre: per esempio non certo l' arcivescovo Romero!) abbiano millantato tantissimo in proposito e se ne siano biecamente approfittati e tuttora se ne approfittino, al servizio delle cassi al potere, come é -di regola, ma con notevoli eccezioni- loro compito quasi istituzionale, é un altro discorso che non prova proprio nulla contro questa tesi.
Qualsiasi valutazione circa presunti rapporti quantitativi fra ragione e coscienza da una parte e istinti, "materialità", "non coscienza" nella natura e soprattutto nell' uomo dall' altra é senza senso (e anche se, per assurdo, ammesso e non concesso, fosse sensata, sarebbe comunque del tutto arbitraria e soggettiva).
La "volontà di potenza" é per me un' oscuro concetto non scientifico, mentre l' esistenza reale (anche) dell' altruismo e della generosità nella vita umana e non solo umana sono verità scientifiche solidissime circa la storia naturale biologica e la storica culturale umana.
Inoltre la scienza nega qualsiasi finalismo e finalità (compresa la vita e il suo "aumento di potenza", ammesso che si tratti di un autentico concetto, dotato di un qualche senso) in natura, che non sia limitato solo e unicamente a quella peculiare "parte" o "aspetto" della natura che é l' umanità.
Ricambio il ringraziamento per la cortese attenzione.
Per chi non la conoscesse:
https://www.youtube.com/watch?v=ziAJcO6QnIg
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
X Sari
Mio caro Sari volevo solo puntualizzare che è Nietzsche che afferma che il Nichilismo è derivato dal Cristianesimo che a sua volta è stato ispirato da Platone. Le mie opinioni in merito sono tutt' altro che definite e definitive. Per altro mi sembra che sia Nashtani che abbia ripreso la teoria di Nietzsche e la abbia interpretata a suo modo.
Inoltre bisogna considerare che se la crudeltà poteva, e può, essere considerata come una delle caratteristiche peculiari dell' uomo è ovvio che non può sparire come per incanto soltanto perché l' uomo è stato addomesticato. Ma, come afferma giustamente Nietzsche, è molto più probabile che si ripercuota all' interno dell' individuo contribuendo ad un deterioramento del tipo uomo.
Comprendo benissimo la tua posizione, ma non bisogna dimenticare che una delle caratteristiche umane, come ho già detto per lo scienziato o gli scienziati che pensano di poter determinare verità assai dubbie, è quella di traslare i propri criteri di apprezzamento su tutto senza accorgersene, o peggio, accorgendosene ma per motivi diversi, di interesse o ludici o malevoli ( spesso causati dall' invidia ) o perché ritenuti inaccettabili dal proprio ego smisurato, continuando ad usarli piuttosto che metterli in dubbio.
E' ovvio che ciascuno può interpretare l' attuale momento storico come gli pare, ma sinceramente vedo ben poco di tutto quell' altruismo di cui tu parli nel mondo in cui viviamo. Vedo invece molta cattiveria, interesse, demagogia, menzogna, desiderio di potere. E molto di tutto questo purtroppo mascherato da altruismo e 'buone' intenzioni. Sia a destra sia a sinistra sia al centro tanto per capirsi.
Poi ripeto ci si può illudere che tutto vada bene e che il mondo rispecchi un uomo che ha fatto dell' altruismo il suo regno sia a destra sia a sinistra sia al centro. Ma, a mio avviso, è mera illusione.
Inoltre sono andato a dare uno sguardo ad una trattazione sulla filosofia di Nashtani, e sostanzialmente mi sembra che, pur avventurandosi nell' arduo compito di cercare un punto di unione tra la filosofia occidentale e orientale, alla fine commetta lo stesso errore di Severino; e cioè quello di cercare una strada nel 'nulla', che, sempre a mio avviso, è molto meglio non intraprendere in campo filosofico perché non c' è la possibilità di dimostrare cosa alcuna di quel che si teorizza o che si afferma.
Ed adesso riporto un altro brano di Nietzsche sempre inerente all' argomento, a mio avviso, molto esplicativo. Il brano è tratto dall' aforisma 514 della Volontà di Potenza.
Una morale, un modo di vita provato da una lunga esperienza e un lungo esame ( a volte purtroppo anche molto corta, mia puntualizzazione ), finisce per presentarsi alla coscienza come una legge, come dominante.... E con essa entra nella coscienza tutto l' insieme dei valori e degli stati psicologici affini: diventa venerabile, inattaccabile, sacra, veritiera; è proprio del suo sviluppo il fatto che la sua origine venga dimenticata.... E' segno che è diventata padrona...
Un brano in cui si evidenzia l' impegno che Nietzsche riversa nei suoi scritti nel tentativo di riuscire a liberare l' uomo dalle proprie catene. Siano esse di destra, di sinistra, di centro, morali, religiose, anarchiche, comuniste, democratiche, fasciste, semite ed antisemiti, naziste, o determinate da qualsiasi altra variabile di ciò che si presenta all' uomo come una legge.
E' mia opinione che il modo più appropriato di porsi per sciogliere le catene dell' uomo ed avviare un processo di liberazione potrebbe essere la trasversalità in uno stato di continua critica, proprio perché nulla o poco più diventi legge ed offuschi o peggio ottenebri la nostra capacità razionale. E' tutto ciò possibile? Bella domanda...........
Ringrazio per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
@Garbino
Non fraintendermi. Sono ben consapevole che nell'uomo la radice dell'egoismo è molto sviluppata, se non la più tenace in assoluto. Volevo solo mettere in evidenza che l'uomo non è 'solo' egoismo, ma che è capace 'anche' di altruismo. Arrivo a credere che, se questo mondo sta ancora in piedi, seppur traballante, è per gli infiniti atti di altruismo, per lo più privati, che passano quasi sempre inosservati e che non trovano , o trovano poca, cassa di risonanza nei media e pure nelle 'chiacchere da bar' che formano il sentire comune, la percezione comune del mondo come qualcosa pieno solo di egoismo, mediocrità, ipocrisia e meschinità.
Ma se anche il mondo fosse solo egoismo dovremmo chiederci come sarebbe possibile uscirne con una filosofia che dice che in fondo non dobbiamo combatterlo , ma accettarlo, seppur in modo aristocratico o 'nobile', al motto " siam fatti così, dobbiamo accettarlo e anzi dargli libero sfogo per sentirci meglio e non cadere nella paranoia"( scusa l'eccessiva semplificazione...). Ma la mente umana , proprio perché ha salde radici nell'egoismo, nell'odio e nell'illusione di potenza, non può mai essere 'libera e spontanea' e certamente non aderendo in toto alla schiavitù imposta dalle radici stesse che la formano, diventandone anzi un tutt'uno con esse. Non mi libero dall'egoismo ( che genera ipocrisia, istituzionalizzazione dell'egoismo stesso attraverso apparati religiosi, statati , politici,, meschinità, ecc.) semplicemente aderendovi. Quindi non si otterrebbe alcun miglioramento della società umana, ma semmai un assai ampio miglioramento della possibilità di esercitare liberamente l'egoismo, come, di fatto, avviene. Ossia proprio quello che era , in sostanza, l'ideale aristocratico che poteva permettersi un nobile altruismo verso il 'debole' all'interno della propria volontà di potenza che si esplicava nell'adesione al proprio egoismo. Non era più il debole pieno di 'risentimento' per non poter essere un nobile a costringere all'obolo, ma era la libera volontà del nobile che si piegava, se lo voleva, nel dare l'obolo al debole risentito ( sigh).
Pensieri in libertà s'intende...
Natura egoistica dell'uomo= istituzionalizzazione dell'egoismo= società egoistica.
Natura egoistica dell'uomo mitigata dalla presenza dell'aspetto altruistico= istituzionalizzazione dell'egoismo mitigata dall'altruismo= società egoistica mitigata dall'altruismo.
Natura dell'uomo liberata dall'egoismo= Nessuna necessità di leggi e virtù = società altruistica = società utopistica. ;D
Grazie per le risposte!... :) :)
@Sgiombo (ma direi a tutti quelli che sono intervenuti in questa discussione),
La scienza può sì dare una spiegazione sul perchè "preferiamo" l'amore rispetto all'odio, l'altruismo rispetto all'egoismo... Ma e questo lo aggiungo io, seguendo (in parte in realtà) Wittgenstein, "Ebbene questo Libro [scritto da un fantomatico "uomo onnisciente" che conosce tutti i fatti e gli stati mentali di ogni uomo...] conterrebbe la totale descrizione del mondo; e quello che voglio dire è, che se questo libro non contiene niente che possiamo chiamare un giudizio etico e niente che logicamente implica un tale giudizio... Se per esempio nel nostro Libro leggiamo una descrizione di un omicidio con tutti i suoi dettagli psicologici e fisici la mera descrizione di questi fatti non contiene nulla che possiamo chiamare una proposizione etica. L'omicidio apparirà allo stesso livello di ogni altro evento, per esempio la caduta di una pietra. Certamente la lettura di questa descrizione potrebbe causarci dolore o rabbia o ogni altra emozione, o noi potremo leggere qualcosa a riguardo del dolore o della rabbia causata da questo omicidio in altre persone quando ne hanno sentito palare, ma ci sarebbero sempre fatti, fatti, e fatti ma non ci sarebbe l'Etica... non potremo scrivere un libro scientifico, il cui argomento sia intrinsecamente sublime o superiore rispetto ad ogni altro"
Wittgenstein ci sta dicendo che se anche la scienza ci spiega il motivo "biologico" per cui "preferiamo" certi comportamenti, nessuna spiegazione ci sarebbe data su cosa è questa "preferenza". Prendendo poi spunto dal Tractatus Logicus- Philosophicus proposizione 6.41 (da qui in poi TLP 6.41):
"Nel mondo tutto è come è, e tutto avviene come avviene; non v'è in esso alcun valore - né, se vi fosse, avrebbe un valore.
Se un valore che ha valore v'è, dev'esser fuori d'ogni avvenire ed essere-così. Infatti ogni avvenire ed essere-così è accidentale"
Il "valore", la ricerca di esso, impone una gerarchia nei fatti e nelle proposizioni, ma questa gerarchia non può essere ricavata dalla scienza o dalla mera osservazione dei fenomeni materiali (anzi per certi versi precede tale osservazione e tale ricerca). La scienza non può dimostrare che "ogni avvenire ed essere-così non è accidentale" - ossia che ci sono fatti, valori, ecc più importanti di altri.
Ossia per dirla in termini più comprensibili il fatto che noi cerchiamo ciò che ha valore suggerisce che l'Etica abbia una radice molto più profonda nel nostro essere rispetto alle contingenze. Anzi è l'etica che ci fa ricercare qualcosa "ch'è più alto" (TLP 6.42). Se la scienza può solo descrivermi le cose, dirmi perchè noi preferiamo questo o quello ma non riesce a spiegarmi cosa è il valore allora rimaneggiando la proposizione TLP 6.42: "le proposizioni" (scientifiche) "non possono esprimere nulla ch'è più alto."
@Garbino,
L'influenza di Eraclito, secondo me, su Nietzsche è enorme. http://www.nilalienum.it/Sezioni/Nietzsche/Opere/FTG.html nella Filosofia dell'Età Tragica dei Greci:
"V'è colpa, ingiustizia, contraddizione, dolore in questo mondo?
Sì, grida Eraclito, ma soltanto per l'uomo limitato che vede per parti staccate e non globalmente, non già per il dio contemplativo; per questi ogni contraddizione concorre ad un'unica armonia, invisibile, è vero, per il comune occhio umano, ma comprensibile per chi, come Eraclito, è simile al dio contemplativo. Dinanzi al suo sguardo fiammeo, nel mondo che gli si effonde intorno non una goccia di ingiustizia sopravvive; e persino quel fondamentale ostacolo, costituito dal modo con cui il fuoco puro possa penetrare in forme tanto impure, viene superato con una sublime similitudine. Un divenire e un trapassare, un edificare e un distruggere, senza alcuna imputazione morale, con eternamente eguale innocenza, sono presenti, in questo mondo, unicamente nel giuoco dell'artista e del fanciullo.
E così come giocano il fanciullo e l'artista, gioca il fuoco semprevivente, costruisce e distrugge, con innocenza ‑ e questo gioco gioca l'Eone con se stesso. Tramutandosi in acqua e terra, a somiglianza d'un fanciullo innalza cumuli di sabbia sul lido marino, ammonta e fa ruinare: di tempo in tempo riprende di nuovo il gioco. Un attimo di sazietà: poi lo riafferra nuovamente il bisogno, così come il bisogno costringe l'artista a creare. Non empietà, bensì il sempre risorgente impulso del gioco chiama altri mondi alla vita. Talora il fanciullo getta via il suo trastullo: ma ecco che subito ricomincia con estro innocente. Appena però costruisce, connette, incastra e foggia a misura di norma e secondo le sue interiori regole.
Soltanto l'uomo esteta riguarda in questo modo il mondo, lui che nell'artista e nel nascere dell'opera d'arte ha appreso come la contesa del molteplice può portare in sé norma e diritto, come l'artista sia contemplativamente al di sopra e agisca all'interno dell'opera d'arte, come necessità e gioco, conflitto e armonia debbano coniugarsi per generare l'opera d'arte.
Chi pretenderà ora da una siffatta filosofia altresì un'etica con i necessari imperativi «tu devi», o addirittura muoverà a Eraclito il rimprovero di una tale mancanza? Sin nelle sue più profonde midolla l'uomo è necessità e assolutamente «non libero» ‑ se si intende per libertà l'insana pretesa di poter mutare a talento la propria essentia a guisa di un abito, una pretesa che ogni seria filosofia ha fino ad oggi respinto con il dovuto sarcasmo. Che uomini coscienti vivano così poco nel logos e conformemente all'occhio artistico onniabbracciante, questo dipende dal fatto che le loro anime sono umide e che occhi e orecchie degli umani e soprattutto il loro intelletto sono un cattivo testimone, se «umido fango tiene le anime loro in sua balia».
Perché sia così, non lo si chiede, così come non si chiede perché fuoco diventi acqua e terra. Eraclito non ha appunto alcun motivo di dover dimostrare (come lo aveva Leibniz) che questo mondo è addirittura migliore fra tutti, a lui basta che esso sia il gioco bello e innocente dell'Eone. Persino considera in generale l'uomo un essere irrazionale: con la qual cosa non contrasta il fatto che in tutto il suo essere si adempia la legge della ragione su ogni cosa sovrana. Questi non assume fatto una posizione particolarmente privilegiata nella natura, la cui massima manifestazione è il fuoco, per esempio come astro, e non già lo stupido uomo. Se costui è giunto, attraverso la necessità, a partecipare del fuoco, è un po' più razionale; ma sintantoché consiste di acqua e terra, la sua ragione si trova in grave difetto.
Un obbligo a riconoscere il logos, per il fatto di essere uomini, non esiste. Ma perché c'è acqua, perché c'è terra? Questo è per Eraclito un problema molto più serio della questione sul perché gli uomini siano così sciocchi e malvagi. Nell'uomo più elevato come in quello più perverso si manifesta l'identica immanente normatività e giustizia. Ma se si volesse avanzare a Eraclito la domanda per quale ragione il fuoco non è sempre fuoco, perché mai sia ora acqua, ora terra, egli si limiterebbe appunto a rispondere: «E' un gioco, non prendetelo troppo sul patetico, e soprattutto non in termini morali!»."
Dirà in seguito che i suoi predecessori nel vedere il mondo come "gioco cosmico" sono Eraclito e (alcuni) Vedanta. In genere le filosofie "della liberazione" vedono sì la nostra moralità come qualcosa di "accidentale" (per riprendere l'espressione di Wittgenstein) però nella loro esperienza meditativa non hanno evidenziato "la volontà di Potenza", "la massima espressione dell'io" quanto al contrario il "dissolvimento dell'io" o l'unione dell'io col tutto (perchè hanno notato che in noi, nel "nostro più profondo essere" preferiamo la Pace rispetto a "Polemos"). Nietzsche e Eraclito ("bisogna sapere che il conflitto è comune a tutti e la giustizia è contesa"... "il conflitto è padre e re di tutte le cose") invece hanno evidenziato il lato "conflittuale" del mondo, il "fuoco". Garbino tu mi dici che sono "volontà di potenza" secondo Nietzsche. Il problema è che lo sei anche tu, lo è anche Green, lo è sgiombo, lo è il Sari... Ma se la "Volontà di Potenza", ossia la massima esaltazione dell'io - ossia della particolare "manifestazione" che io sono- ci mette l'uno contro l'altro? Se questo crea conflitto non dovremo dare retta invece a Schopenhauer o ai preti quando ci dicono che il conflitto è il vero problema? Il problema di mettere al primo posto la Volontà di Potenza mi pare proprio questo. E anche il problema che si potrebbe avere fondando l'etica sulla scienza? Che c'è di etico nell'osservazione del comportamento?
"Ma supponiamo che io dica a uno di voi una bugia assurda e che lui venga da me e dica: "ti stai comportando come una bestia" e io gli dica "so che mi sto comportando male, ma non voglio comportarmi meglio" potrebbe lui dirmi "ah, allora va tutto bene"? Ovviamente no; direbbe "Ebbene tu dovresti comportarti meglio". Qui avete un giudizio assoluto di valore..." (Wittgenstein, Lezione sull'Etica)
Perciò mentre ad esempio un Buddha mi direbbe "comportati così perchè così segui il Dhamma", un Laozi mi direbbe "comportati così perchè segui il Dao", il prete mi direbbe "comportati così per entrare nel Regno dei Cieli" (tutti giudizi assoluti di valore, seppur di tipo diverso ovviamente ;) ), un nietzscheiano mi direbbe "se la tua massima affermazione è quella, fai pure"?? Vedi questo è il problema di togliere l'addomesticamento e il guinzaglio all'uomo. Concordo che è una sana liberazione da molti bigottismi o ipocrisie ma se o togli una moralità "oggettiva" o se neghi completamente l'etica (abbracciando un relativismo o un nichilismo) il problema è che davvero crei una situazione in cui "giustizia è contesa" per citare Eraclito. Eraclito d'altronde vedeva ovunque conflitto, in ogni cosa l'armonia conflittuale tra forze opposte. Ma una cosa del genere può davvero nel nostro intimo essere soddisfarci? Può la conflittualità essere quel "Sommum Bonum" che cerchiamo? Però è anche vero che ad esempio nel daoismo si cerca di dare importanza alla "spontaneità" e alla "semplicità" (e con questo seguire il "Dao"), così come nella filosofia vedanta il contemplare il "gioco cosmico" (lila) da un senso di unione e di appartenenza. Ma a differenza della "volontà di potenza" queste tendenze, per così dire, generano in noi compassione per gli "esseri"... La Volontà di Potenza invece mi pare una spinta che tende a distanziare più che ad unire, a mettere gli esseri gli uni contro gli altri. E anche se c'è violenza e prevaricazione nel mondo, se si vede più conflitto che pace, io tendo a dire che comunque (e questo lo so è irrazionalismo) la "spontaneità", la nostra più "vera naturalezza", tende appunto alla compassione, alla pace, alla serenità ecc. Viceversa la Volontà di Potenza - se lasciata "incontrollata" - tende ad andare contro questa "spontaneità".
Vedi Garbino per questi motivi non riesco a essere d'accordo con Nietzsche.
Spero di averti risposto in modo completo ;)
N.B. Per questo motivo ritengo che Nietzsche con la sua critica sia per certi versi utile. Ma il suo totale rifiuto del "trascendente" e di ogni "Dio" va contro il nostro più intimo essere. La Volontà di Potenza può certamente essere importante: per esempio nella creatività un sano utilizzo della stessa aiuta a creare le "opere d'arte". Il problema è che per come la vedo io essa al massimo può essere uno strumento, non di certo un fine. Motivo per cui il mio giudizio su Nietzsche non può essere né completamente positivo né completamente negativo (ma curiosamente solitamente dove concordo con lui mi ci ritrovo molto ma dove sono in disaccordo con lui, il mio disaccordo è profondo e le nostre prospettive non possono essere più diverse di così!)
Citazione di: Apeiron il 27 Ottobre 2017, 22:53:35 PM
@Sgiombo (ma direi a tutti quelli che sono intervenuti in questa discussione),
La scienza può sì dare una spiegazione sul perchè "preferiamo" l'amore rispetto all'odio, l'altruismo rispetto all'egoismo... Ma e questo lo aggiungo io, seguendo (in parte in realtà) Wittgenstein, "Ebbene questo Libro [scritto da un fantomatico "uomo onnisciente" che conosce tutti i fatti e gli stati mentali di ogni uomo...] conterrebbe la totale descrizione del mondo; e quello che voglio dire è, che se questo libro non contiene niente che possiamo chiamare un giudizio etico e niente che logicamente implica un tale giudizio... Se per esempio nel nostro Libro leggiamo una descrizione di un omicidio con tutti i suoi dettagli psicologici e fisici la mera descrizione di questi fatti non contiene nulla che possiamo chiamare una proposizione etica. L'omicidio apparirà allo stesso livello di ogni altro evento, per esempio la caduta di una pietra. Certamente la lettura di questa descrizione potrebbe causarci dolore o rabbia o ogni altra emozione, o noi potremo leggere qualcosa a riguardo del dolore o della rabbia causata da questo omicidio in altre persone quando ne hanno sentito palare, ma ci sarebbero sempre fatti, fatti, e fatti ma non ci sarebbe l'Etica... non potremo scrivere un libro scientifico, il cui argomento sia intrinsecamente sublime o superiore rispetto ad ogni altro"
CitazioneMa tra questi fatti descritti in tale libro ci sarebbero appunto anche i fatti "etici" (dai quali si può astrarre una caratteristica comune da chiamare "eticita", astratta ma reale) costituiti dalla reale tendenza alla riprovazione che suscitata il delitto, pur senza che sia razionalmente dimostrabile la sua "riprovevolezza", in chiunque ne viene a conoscenza e lo considera con un minimo di attenzione (compreso il suo autore, che pure può pentirsene, o anche non pentirsene, cercando di compensarla e superarla con altre pretese giustificazioni irrazionali avvertite dentro di sé).
E questo in conseguenza di come di fatto gli uomini (e almeno in qualche altra misura anche altri animali) "sono fatti" a causa dell' evoluzione biologica per mutazioni genetiche e selezione naturale.
Wittgenstein ci sta dicendo che se anche la scienza ci spiega il motivo "biologico" per cui "preferiamo" certi comportamenti, nessuna spiegazione ci sarebbe data su cosa è questa "preferenza". Prendendo poi spunto dal Tractatus Logicus- Philosophicus proposizione 6.41 (da qui in poi TLP 6.41):
"Nel mondo tutto è come è, e tutto avviene come avviene; non v'è in esso alcun valore - né, se vi fosse, avrebbe un valore.
Se un valore che ha valore v'è, dev'esser fuori d'ogni avvenire ed essere-così. Infatti ogni avvenire ed essere-così è accidentale"
CitazioneNon é esatto: fra il "tutto" che avviene (ben all' interno dell' "avvenire universale") nel mondo vi sono di fatto i valori morali che, pur indimostrabili razionalmente, sono universalmente avertiti (forse salvo improbabili e difficilmente immaginabili gravissime patologie mentali) irrazionalmente (come é tipico non dei mezzi, che sono o sono ritenuti e sperati essere razionali, ma di tutti i fini) per lo meno nell' ambito dell' umanità, e non "accidentalmente", ma invece in conseguenza dell' evoluzione biologica.
Il "valore", la ricerca di esso, impone una gerarchia nei fatti e nelle proposizioni, ma questa gerarchia non può essere ricavata dalla scienza o dalla mera osservazione dei fenomeni materiali (anzi per certi versi precede tale osservazione e tale ricerca). La scienza non può dimostrare che "ogni avvenire ed essere-così non è accidentale" - ossia che ci sono fatti, valori, ecc più importanti di altri.
Ossia per dirla in termini più comprensibili il fatto che noi cerchiamo ciò che ha valore suggerisce che l'Etica abbia una radice molto più profonda nel nostro essere rispetto alle contingenze. Anzi è l'etica che ci fa ricercare qualcosa "ch'è più alto" (TLP 6.42). Se la scienza può solo descrivermi le cose, dirmi perchè noi preferiamo questo o quello ma non riesce a spiegarmi cosa è il valore allora rimaneggiando la proposizione TLP 6.42: "le proposizioni" (scientifiche) "non possono esprimere nulla ch'è più alto."
CitazionePerfettamente d' accordo!
@Garbino,
L'influenza di Eraclito, secondo me, su Nietzsche è enorme. http://www.nilalienum.it/Sezioni/Nietzsche/Opere/FTG.html nella Filosofia dell'Età Tragica dei Greci:
"V'è colpa, ingiustizia, contraddizione, dolore in questo mondo?
Sì, grida Eraclito, ma soltanto per l'uomo limitato che vede per parti staccate e non globalmente, non già per il dio contemplativo; per questi ogni contraddizione concorre ad un'unica armonia, invisibile, è vero, per il comune occhio umano, ma comprensibile per chi, come Eraclito, è simile al dio contemplativo. Dinanzi al suo sguardo fiammeo, nel mondo che gli si effonde intorno non una goccia di ingiustizia sopravvive; e persino quel fondamentale ostacolo, costituito dal modo con cui il fuoco puro possa penetrare in forme tanto impure, viene superato con una sublime similitudine. Un divenire e un trapassare, un edificare e un distruggere, senza alcuna imputazione morale, con eternamente eguale innocenza, sono presenti, in questo mondo, unicamente nel giuoco dell'artista e del fanciullo.
E così come giocano il fanciullo e l'artista, gioca il fuoco semprevivente, costruisce e distrugge, con innocenza ‑ e questo gioco gioca l'Eone con se stesso. Tramutandosi in acqua e terra, a somiglianza d'un fanciullo innalza cumuli di sabbia sul lido marino, ammonta e fa ruinare: di tempo in tempo riprende di nuovo il gioco. Un attimo di sazietà: poi lo riafferra nuovamente il bisogno, così come il bisogno costringe l'artista a creare. Non empietà, bensì il sempre risorgente impulso del gioco chiama altri mondi alla vita. Talora il fanciullo getta via il suo trastullo: ma ecco che subito ricomincia con estro innocente. Appena però costruisce, connette, incastra e foggia a misura di norma e secondo le sue interiori regole.
Soltanto l'uomo esteta riguarda in questo modo il mondo, lui che nell'artista e nel nascere dell'opera d'arte ha appreso come la contesa del molteplice può portare in sé norma e diritto, come l'artista sia contemplativamente al di sopra e agisca all'interno dell'opera d'arte, come necessità e gioco, conflitto e armonia debbano coniugarsi per generare l'opera d'arte.
Chi pretenderà ora da una siffatta filosofia altresì un'etica con i necessari imperativi «tu devi», o addirittura muoverà a Eraclito il rimprovero di una tale mancanza? Sin nelle sue più profonde midolla l'uomo è necessità e assolutamente «non libero» ‑ se si intende per libertà l'insana pretesa di poter mutare a talento la propria essentia a guisa di un abito, una pretesa che ogni seria filosofia ha fino ad oggi respinto con il dovuto sarcasmo. Che uomini coscienti vivano così poco nel logos e conformemente all'occhio artistico onniabbracciante, questo dipende dal fatto che le loro anime sono umide e che occhi e orecchie degli umani e soprattutto il loro intelletto sono un cattivo testimone, se «umido fango tiene le anime loro in sua balia».
Perché sia così, non lo si chiede, così come non si chiede perché fuoco diventi acqua e terra. Eraclito non ha appunto alcun motivo di dover dimostrare (come lo aveva Leibniz) che questo mondo è addirittura migliore fra tutti, a lui basta che esso sia il gioco bello e innocente dell'Eone. Persino considera in generale l'uomo un essere irrazionale: con la qual cosa non contrasta il fatto che in tutto il suo essere si adempia la legge della ragione su ogni cosa sovrana. Questi non assume fatto una posizione particolarmente privilegiata nella natura, la cui massima manifestazione è il fuoco, per esempio come astro, e non già lo stupido uomo. Se costui è giunto, attraverso la necessità, a partecipare del fuoco, è un po' più razionale; ma sintantoché consiste di acqua e terra, la sua ragione si trova in grave difetto.
Un obbligo a riconoscere il logos, per il fatto di essere uomini, non esiste. Ma perché c'è acqua, perché c'è terra? Questo è per Eraclito un problema molto più serio della questione sul perché gli uomini siano così sciocchi e malvagi. Nell'uomo più elevato come in quello più perverso si manifesta l'identica immanente normatività e giustizia. Ma se si volesse avanzare a Eraclito la domanda per quale ragione il fuoco non è sempre fuoco, perché mai sia ora acqua, ora terra, egli si limiterebbe appunto a rispondere: «E' un gioco, non prendetelo troppo sul patetico, e soprattutto non in termini morali!»."
Dirà in seguito che i suoi predecessori nel vedere il mondo come "gioco cosmico" sono Eraclito e (alcuni) Vedanta. In genere le filosofie "della liberazione" vedono sì la nostra moralità come qualcosa di "accidentale" (per riprendere l'espressione di Wittgenstein) però nella loro esperienza meditativa non hanno evidenziato "la volontà di Potenza", "la massima espressione dell'io" quanto al contrario il "dissolvimento dell'io" o l'unione dell'io col tutto (perchè hanno notato che in noi, nel "nostro più profondo essere" preferiamo la Pace rispetto a "Polemos"). Nietzsche e Eraclito ("bisogna sapere che il conflitto è comune a tutti e la giustizia è contesa"... "il conflitto è padre e re di tutte le cose") invece hanno evidenziato il lato "conflittuale" del mondo, il "fuoco". Garbino tu mi dici che sono "volontà di potenza" secondo Nietzsche. Il problema è che lo sei anche tu, lo è anche Green, lo è sgiombo, lo è il Sari... Ma se la "Volontà di Potenza", ossia la massima esaltazione dell'io - ossia della particolare "manifestazione" che io sono- ci mette l'uno contro l'altro? Se questo crea conflitto non dovremo dare retta invece a Schopenhauer o ai preti quando ci dicono che il conflitto è il vero problema? Il problema di mettere al primo posto la Volontà di Potenza mi pare proprio questo. E anche il problema che si potrebbe avere fondando l'etica sulla scienza? Che c'è di etico nell'osservazione del comportamento?
"Ma supponiamo che io dica a uno di voi una bugia assurda e che lui venga da me e dica: "ti stai comportando come una bestia" e io gli dica "so che mi sto comportando male, ma non voglio comportarmi meglio" potrebbe lui dirmi "ah, allora va tutto bene"? Ovviamente no; direbbe "Ebbene tu dovresti comportarti meglio". Qui avete un giudizio assoluto di valore..." (Wittgenstein, Lezione sull'Etica)
Perciò mentre ad esempio un Buddha mi direbbe "comportati così perchè così segui il Dhamma", un Laozi mi direbbe "comportati così perchè segui il Dao", il prete mi direbbe "comportati così per entrare nel Regno dei Cieli" (tutti giudizi assoluti di valore, seppur di tipo diverso ovviamente ;) ), un nietzscheiano mi direbbe "se la tua massima affermazione è quella, fai pure"?? Vedi questo è il problema di togliere l'addomesticamento e il guinzaglio all'uomo. Concordo che è una sana liberazione da molti bigottismi o ipocrisie ma se o togli una moralità "oggettiva" o se neghi completamente l'etica (abbracciando un relativismo o un nichilismo) il problema è che davvero crei una situazione in cui "giustizia è contesa" per citare Eraclito. Eraclito d'altronde vedeva ovunque conflitto, in ogni cosa l'armonia conflittuale tra forze opposte. Ma una cosa del genere può davvero nel nostro intimo essere soddisfarci? Può la conflittualità essere quel "Sommum Bonum" che cerchiamo? Però è anche vero che ad esempio nel daoismo si cerca di dare importanza alla "spontaneità" e alla "semplicità" (e con questo seguire il "Dao"), così come nella filosofia vedanta il contemplare il "gioco cosmico" (lila) da un senso di unione e di appartenenza. Ma a differenza della "volontà di potenza" queste tendenze, per così dire, generano in noi compassione per gli "esseri"... La Volontà di Potenza invece mi pare una spinta che tende a distanziare più che ad unire, a mettere gli esseri gli uni contro gli altri. E anche se c'è violenza e prevaricazione nel mondo, se si vede più conflitto che pace, io tendo a dire che comunque (e questo lo so è irrazionalismo) la "spontaneità", la nostra più "vera naturalezza", tende appunto alla compassione, alla pace, alla serenità ecc. Viceversa la Volontà di Potenza - se lasciata "incontrollata" - tende ad andare contro questa "spontaneità".
Vedi Garbino per questi motivi non riesco a essere d'accordo con Nietzsche.
CitazioneSplendide parole e magnifiche considerazioni, lasciamelo dire!
Che mi ricordano quanto sia limitata e carente la mia cultura, financo a proposito di un "classico dell' Occidente", per quanto antico e giunto a noi moderni molto frammentariamente, come Eraclito (che conoscevo solo per quel poco che mi é stato insegnato, non troppo bene, devo dire, al liceo), le tue citazioni del quale mi hanno letteralmente entusiasmato!
Grazie @sgiombo!
Certamente ci sarebbero fatti etici. Ma il fondamento all'etica non ci sarebbe. Infatti nulla dalla conoscenza scientifica mi può dire perchè devo preferire un certo comportamento rispetto ad un altro. Certamente la scienza potrà spiegarmi perchè preferiamo certi comportamenti sulla base della nostra evoluzione biologica (non l'ho mai negato ) ma non ci può spiegare perchè per esempio andare contro queste "preferenze" del nostro DNA è una cosa sbagliata. A mio personalissimo parere questo dimostra come l'etica è ad un livello "superiore" della scienza, ossia che non può essere ridotta ad essa (e in generale all'osservazione dei fenomeni). Ma il suo fondamento è un "qualcosa di più alto" che sinceramente devo ancora capire cos'è.
(lo so mi muovo su basi non più razionalistiche ma credo che ad un certo punto sia necessario ;) )
Dunque mi sembra di poter dire che concordiamo ...succede anche nelle migliori famiglie!
Credo di sì, @sgiombo. Probabilmente non concordiamo su "cosa sia il valore" (e cosa sia l'etica) ma questo è un po' troppo fuori tema ;D su questi argomenti ammetto di avere posizioni che al massimo posso definire ragionevoli ma non "razionali" (come credo che tu hai notato in altre discussioni). D'altronde l'etica (e anche la convinzione che ci sia un "ordine" nei fenomeni, cosa che è indimostrabile dalla sola scienza) mi suggerisce che ci siano "livelli" di realtà (o almeno della nostra stessa mente) posti in determinate "gerarchie". Spero che queste divagazioni non infastidiscano troppo ci vuole stare in topic, in caso chiedo venia anticipamente.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
X Apeiron.
Intanto ti ringrazio per il tuo intervento che ho trovato molto interessante. Però a questo punto è necessario che chiarisca alcune cose. Cose che del resto ho già affermato in altri interventi e che probabilmente ti sono sfuggiti. Il mio impegno è stato sempre rivolto a difendere ciò che Nietzsche ha scritto da interpretazioni impossibili, e cioè che tendono a mistificare il suo contenuto. Ma ciò non vuole assolutamente dire che non ho anch' io dei dubbi su diversi aspetti della sua filosofia. Come ad esempio appunto la volontà di potenza, l' eterno ritorno e la possibilità stessa dell' oltreuomo.
Una volta chiarito questo, provo a rispondere a ciò che tu hai argomentato. Quando ad esempio ti ho detto che per Nietzsche la tua domanda non aveva senso perché comunque tu sei comunque l' espressione della tua volontà di potenza, non dicevo affatto che io la pensassi così, ma che era il modo in cui Nietzsche, a mio avviso, si sarebbe espresso. E che per Nietzsche è così per tutti coloro che tu hai nominato, e per tutto l' universo, sia organico che inorganico. Ogni fenomeno, secondo Nietzsche, è interpretabile come una manifestazione della volontà di potenza che attraversa irrazionalmente tutta la materia. A mio avviso, invece per il momento considero anche la volontà di potenza come un effetto non come una causa ( e soprattutto non come l' unico aspetto riguardante i fenomeni) come ho accennato nell' ultimo intervento.
Per quanto riguarda il brano di Wittegenstein ( che ammetto di non conoscere ) non ho trovato nulla di nuovo di quello che avevo già letto nelle opere di Nietzsche e su cui sono, questa volta sì, profondamente d' accordo. L' errore che compie l' uomo moderno (mi riferisco soprattutto al mondo occidentale) è quello di considerarsi il risultato evolutivo di tutte le epoche, dannando e polemizzando su qualsiasi modo etico o morale differente dal suo nella valutazione di ciò che accade. Ma, come afferma giustamente Nietzsche, se un uomo moderno venisse proiettato in altre epoche o in ambienti anche contemporanei dove regna la violenza, rimarrebbe traumatizzato dall' esperienza, e non solo si troverebbe in grave difficoltà ma difficilmente riuscirebbe a sopportare quel tipo di vita e a sopravvivere.
Mal sopportiamo che ci si parli di epoche dove l' uccidere era una festa, dove si riteneva un disonore chiedere pietà per la propria sorte di sconfitto, dove si effettuavano sacrifici umani ( ad esempio quello del primogenito ), e non in tribù disperse chissà dove sulla terra ma in grandi civiltà. Come mal sopportiamo che ancora oggi ci siano ambienti dove il delitto d' onore è sacrosanto e ambienti malavitosi dove l' omicidio è di routine. E le persone che li commettono provano forse rimorso o giudicano negativamente le azioni che compiono? Assolutamente no. Per loro e l' etica che vige in quegli ambienti è giusto così. Il giudizio comunque è sempre a posteriori e è in diretta relazione con ciò che siamo. La scienza può soltanto stabilire gli stati che inducono benessere su una campionatura che riguarda specificatamente un certo tipo di uomo e non l' uomo in generale.
Ciò che accomuna l' uomo non è la sua psiche ma i suoi bisogni fisici. Ed è per questo che ritengo l' uguaglianza una mera follia. Come ad esempio quando si afferma di voler portare la democrazia dove non è assolutamente possibile. Una democrazia o qualsiasi altra forma sociale può scaturire soltanto dalle sinergie naturali dei popoli e non essere imposta dall' alto perché altrove si pensa che funzioni. Senza contare che spesso dietro queste valutazioni si sia in presenza soltanto di una spropositata sete di potere.
Per quanto riguarda Eraclito non c' è dubbio che si sia trattato di un filosofo con cui Nietzsche si sia sentito a lungo a suo agio e di cui abbia subito un notevole influsso ed anche l' ultimo 'amore intellettuale' ad aver abbandonato. E non perché me lo sogni ma perché lo afferma lui stesso in diversi brani delle sue opere. La loro ricerca però comporterà il passare di un po' di tempo, mentre invece ritenevo necessario cercare di risponderti almeno a taluni argomenti presenti nel tuo intervento.
X Sari
Scusami ma un ampliamento degli argomenti aperti nel tuo ultimo intervento li affronterò nel prossimo, ricollegandoli anche ali problemi sull' etica e la morale presenti nell' intervento di Apeiron.
P.s. Naturalmente avevo molte altre cose da dire ma, come sapete se mi seguite, cerco sempre di non appesantire gli interventi.
Ringrazio per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Grazie Garbino del chiarimento molto utile (sì ammetto che tra una cosa e l'altra un po' di informazioni le ho perse. D'altronde sono "umano, troppo umano" ;D ) ;)
Diciamo che anche la filosofia di Nietzsche (secondo me, ma vedo con piacere anche secondo te) va presa con la dovuta moderazione. Ecco colgo l'occasione che molte cose della filosofia del nostro le apprezzo molto (così come altre le detesto molto) e lo stesso vale per il suo predecessore (?) Eraclito di Efeso. Ad ogni modo ritengo del tutto normale che quando si vuole fare una "teoria" universale di cose come l'etica o la metafisica si inciampi in inconsistenze o "cose non dette" o cose "dette in modo oscuro" (tant'è che con Volontà di Potenza ed Eterno Ritorno la filosofia nicciana a mio giudizio ha raggiunto il suo apice ma allo stesso tempo la sua auto-contraddizione ;) ma lo stesso vale per esempio anche per altre metafisiche) - ma d'altronde se i filosofi non si spingessero così "in là" difficilmente sarebbero interessanti ;D . Motivo per cui ritengo corretto "correggere" anche il buon Nietzsche.
Concordo poi sulla falsità dell'idea di "progresso", cosa in verità ben nota specie prima della rivoluzione scientifica. Nell'antichità d'altronde si pensava che per certi versi tutto andava peggiorando più che migliorando (lo puoi vedere ad esempio nei rimandi all'Età dell'Oro o concetti simili...). L'idea del progresso però è diventata tirannica solo nella modernità, tant'è che pochi davvero hanno un approccio critico rispetto alle "grazie" della modernità. Per esempio è stato proprio grazie all'Internet che ho potuto studiare molta filosofia. Però il grosso problema è che più la tecnologia va avanti più siamo schiavi di essa, quindi da questo punto di vista siamo "regrediti". Discorsi analoghi si possono fare su molte altre cose: la modernità ci ha dato ovviamente molte cose in cui siamo progrediti, altre però ci mettono sempre più catene ed effettivamente Nietzsche fu davvero un genio a vedere quanto in realtà ci è addirittura piaciuto incatenarci.
Lasciami però dissentire sulla parte in cui a mio giudizio contestualizzi troppo l'etica (anche se ovviamente la contestualizzazione è una cosa che ritengo necessaria da fare proprio per evitare di essere noi stessi ipocriti. Però l'eccesso nella contestualizzazione e nella relativizzazione non riesco a "mandarlo giù" ;) ). Ritengo che nonostante l'enorme diversità di culture ed etiche qualcosa che sia "davvero comune" (qualcuno può accusarmi di dogmatismo, ma sinceramente non mi interessa) ci sia e anzi leggendo proprio gli scritti di uomini saggi (magari superstiziosi ma saggi eh) dell'antichità che non hanno potuto comunicare tra di loro questa mia convinzione si rafforza. Per esempio le culture in cui l'omicidio è qualcosa di normale le ritengo "difettose", "regredite" ma non per orgoglio perchè la mia epoca la ritengo l'apice dell'evoluzione ma perchè ritengo che qualcosa di comune ci sia veramente "in fondo al nostro essere". Quindi va bene contestualizzare e cercare di essere comprensivi ma non bisogna mai cadere nel relativismo o nel nichilismo (posizioni che tra l'altro Nietzsche cerò di evitare proprio con la Volontò di Potenza, l'Oltreuomo ecc). Se in una cosa possiamo progredire nella modernità è proprio tentare di trovare questi terreni comuni, unirci nelle nostre differenze (l'unione nella differenza tra l'altro è un tema ricorrente in filosofie simili a quella di Eraclito ;) ). Il relativismo e il nichilismo (almeno quando sono eccessivi) invece tendono ad atomizzare l'umanità e quindi a diversificare senza tentare di unire e quindi a portare al conflitto (oppure all'apatia in cui tutti si ignorano).
Apeiron,
Dipende da come si è svolta la storia della costituzione morale di quella cultura.
Ritenere retrograda una cultura è infatti tipico dell'imperialismo americano, che come forse sai, ha fatto e tutt'ora continua a fare strage di innocenti. (in nome della sua presunta superiorità....anche recentemente l'ho sentito dire chiaramente nei discorsi del senato per la conferma del mandato a Trump).
Non si sposa molto bene con "il fate l'amore e non la guerra" che prima rimproveravi a Nietzche di non credere.
Il nichilismo non è semplicemente uno stato d'animo è invece un profondo sguardo interiore che riguarda l'intera civiltà occidentale.
Ossia Nietzche parla di un destino.
Del magnifico passaggio che hai citato, dovresti tra l'altro ragionare su.
In cosa consiste il fuoco interiore? nel far bene alle persone? o forse si intende di far guerra alle persone?
La volontà di potenza (al di là della polemica se sia biologica o meno, nel senso che per questa volta soprassiedo) non è tanto un attegiamento che uno può o non può eseguire.
E' molto di più, è quasi una istanza storica con cui l'uomo si trova, per il gioco del caso, a fare i conti nel presente.
Che ha una genealogia, una logica ferrea.
Non si va da nessuna parte apprezzando una parte di Nietzche ma poi negando di fatto il suo messaggio di verità.
Mi pare veramente contradditorio, e tipico della morale cattolica.
Pensaci su! Fin dove sei tu, e fin dove è la cultura che ti ha forgiato.
Se ci avessi pensato prima, forse avrei evitato molti errori.
Ma poi ti ripeto, ognuno deve conoscere da sè i propri errori, anche se sono gli stessi che una generazione due e probabilmente molto di più, continuano ininterrottamente a fare.
Concordo che l'influenza del contesto sociale sulla mia persona è immenso (e non credo a differenza anche di Laozi &co che posso trascenderla totalmente).
Io vedo la questione in questo modo. Ogni società nella storia possiamo paragonarla ad un edificio. Questi edifici sono molti e hanno caratteristiche che li rendono unici. Le persone che vi abitano sono allo stesso modo diverse. Io sono nato in un edificio in mezzo a persone che abitano quel determinato edificio. Certamente mi hanno forgiato e hanno avuto un'influenza molto importante su di me (e ritengo irreversibile). Tuttavia proprio come Nietzsche vedo difetti nel mio edificio ma non posso non vederli anche negli edifici degli altri (l'erba del vicino non è sempre più verde...). E fin qui concordiamo. E fin qui concordo nell'ipocrisia di "sentirsi migliori" senza capire il contesto storico altrui (ossia in questo paragone le proprietà dei vari edifici). Ad ogni modo ritengo che sia ugualmente sbagliato un relativismo/nichilismo che non ponga alcuna gerarchia tra i vari edifici e che li ritenga tutti "allo stesso livello". Ritengo invece che si debba prendere il meglio da ogni cultura. Dunque però rimane la domanda: "cosa è questo meglio se tu sei condizionato dalla tua cultura e quindi non sei imparziale"?
Questa obiezione è la grande domanda che un nichilista potrebbe farmi a questo punto accusandomi di ipocrisia. Una semplice osservazione empirica della realtà e della storia non è molto utile per riuscire a rispondere a tale obiezione, anzi vedendo i fatti storici e studiando le varie culture vedi quanta "arbitrarietà" è presente nei nostri giudizi. Tuttavia e questo fu capito dallo stesso Nietzsche una visione delle cose di questo tipo è pericolosa. La risposta di Nietzsche però fu quella di - e qui posso interpretarlo male, non sono così sicuro di quanto sto per dire, quindi prendetelo con le dovute pinze - cavalcare questo "relativismo" e fare in modo che "prevalga" chi è capace di imporsi prima su sé stesso e poi su altri. Questo però è il culmine del relativismo e del nichilismo perchè a questo punto "tutto è permesso" visto che l'"io", essendo l'espressione della volontà di potenza, ha il "diritto" (se non il dovere) di imporsi. Così io vedo l'analogia del "fuoco" interiore. Il fuoco è l'elemento più distruttivo e "attivo" tra i quattro elementi (terra, aria e acqua) e mi pare un ottimo simbolo per designare sia il "polemos" (conflitto), che "eris" (discordia) ma anche la "volontà di potenza". Ben diverso è arrivare a riconoscere l'arbitrarietà di molti giudizi e poi però dire una frase come nel Daodejing "il bene supremo è come l'acqua; l'acqua ben giova alle creature e non contende...". Il simbolo scelto per esprimere la propria concezione di "bene supremo" è molto importante. A mio giudizio scegliere il fuoco o "la volontà di potenza" è sbagliato ma ammetto che potrei aver interpretato male sia Nietzsche che Eraclito e colgo l'invito di riflettere ancora su queste questioni ;)
P.S. Ovviamente ci sarebbe da chiedersi se il Daodejing parla veramente della "natura" che vediamo tutti i giorni. La sola osservazione empirica tenderebbe a mostrarci come il comportamento dell'acqua, la calma, la passività, la moderazione (o l'assenza) del desiderio sono tutte attività che vanno contro alla natura stessa (vedi la competizione tra le specie e anche i disastri naturali). Quindi ci si potrebbe chiedere se ha senso porre "l'acqua" come il simbolo del "bene (naturale) supremo". Proprio l'assenza di evidenza empirica da questo punto di vista mi suggerisce che qualcosa di "superiore" ai "fatti" c'è. Altrimenti il "fuoco", il "conflitto" ecc sono metafore che sembrano ben più adatte a descrivere questo mondo. Che questo mio "tendere" a qualcosa che va "oltre" (e che mi fa preferire l'acqua al fuoco) il semplice mondo empirico sia una illusione dovuta al mio condizionamento sociale (e nient'altro?) ? Possibile. Ma è anche possibile che la "natura" vada oltre quello che percepiamo con i sensi ;) Forse non tutte le concezioni di "mondo vero" sono da dimenticare...
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
X Green Demetr
Capisco la tua perplessità sulla volontà di potenza estesa anche all' inorganico, anche perché anch' io ero convinto che Nietzsche si riferisse soltanto all' organico. Ma nel capitolo: La volontà di potenza nella natura, per criticare e negare una concezione meccanicistica del mondo, ho trovato questo aforisma, e precisamente il n. 637, in cui Nietzsche scrive:
Anche nel regno inorganico a un atomo di forza importa solo ciò che gli è vicino: le forze a distanza si compensano. Questo è il nocciolo della 'prospettiva' e la ragione per cui un essere vivente è "egoista".
A mio avviso, quello che Nietzsche qui intende è che anche nell' inorganico qualunque cosa 'aspira' alla potenza e gli 'importa' ciò che gli è vicino.
Dove appunto il verbo 'aspirare e importare' sono soltanto il modo di descrivere l' accadere nel mondo inorganico, che naturalmente a nulla può aspirare e a cui niente può importare. Ma questo modo di comportarsi, secondo Nietzsche, sarebbe ciò che proverebbe: l' assenza di leggi nei fenomeni e di qualsiasi meccanicismo, l' Universo come regno del caos e l' egoismo di ogni essere vivente.
Sì, forse ho un po' esagerato nell' accomunare il mondo organico ed inorganico come attraversato irrazionalmente dalla volontà di potenza. E chiedo venia, anche se rimane indiscutibile che, secondo Nietzsche, attraversa irrazionalmente almeno tutto il mondo organico.
X Apeiron
Devo chiedere scusa anche a te, perché come al solito ho confuso Eraclito ed Epicuro. Fermo restando che ammirasse molto Eraclito, che ne sia stato influenzato e fonte di ispirazione, devo però correggermi ed affermare che l' ultimo 'amore intellettuale' abbandonato da Nietzsche, come lui stesso afferma in un brano che non riesco ancora ritrovare, è sicuramente Epicuro. Non so perché ma spesso mi capita di confonderli. Come appunto dicevi: nessuno è perfetto.
Inoltre sto sempre costruendo la mia risposta sull' etica e su Eraclito, tanto che sto rileggendo La filosofia nell' età tragica dei Greci. Un' opera giovanile in cui è ancora grande l' influsso di Schopenhauer, ma che ritengo molto interessante.
Però nel frattempo volevo anche darti uno spunto di riflessione su ciò che hai affermato nell' ultimo intervento. Non ti sembra che prendere il meglio da tutte le grandi civiltà sia un po' come il voler portare la Democrazia dove non è possibile? E cioè che quel meglio, chiunque sia chi lo decida e i motivi per cui lo fa, è stato generato in quelle civiltà ed è appartenuto a quelle civiltà e non è esportabile?
Grazie per la cortese attenzione
Garbino Vento di Tempesta.
@Garbino, Direi che sia Epicuro che Eraclito fossero i "preferiti" di Nietzsche. Il primo per la sua quasi (attenzione al "quasi") totale indifferenza rispetto alla metafisica e agli dei, il secono invece secondo me perchè è stato il vero "maestro" di Nietzsche ancor più di Schopenhauer. Da Eraclito infatti ha preso l'enfasi sul "conflitto", sulla "potenza", sulla "vitalità", sulla "contesa" e così via. Oltre all'affascinante (sono serio, non lo dico ironicamente - così come affascinante è la filosofia di Nietzsche compresa la sua parte "metafisica") teoria del "fuoco". Ancora nel 1888 ebbe un'alta stima di Eraclito anche se nel Crepuscolo degli Idoli scrisse: Io metto in disparte con profondo rispetto il nome di Eraclito. Se la folla degli altri filosofi rifiutava la testimonianza dei sensi perchè i sensi sono molteplici e variabili, egli ne rifiutava la testimonianza perchè essi presentano le cose come se esse avessero durata ed unità. — Eraclito, lui pure, fece torto ai sensi. Forse a Nietzsche non tornavano le tendenze monistiche del filosofo efesino. Ma non si capisce bene dal contesto in realtà su cosa Nietzsche lo critica.
Riguardo a questa obiezione che mi poni... sì ammetto che tale progetto potrebbe non stare in piedi, d'altronde anche laddove sembrano esserci evidenti somiglianze (ad esempio tra buddismo e certe scuole dell'induismo) non si possono ignorare le differenze. La vedo un po' come il discorso per cui "la Verità è una ma le descrizioni sono molte". Tuttavia ammesso che ci sia appunto una tale Verità e che non sia una menzogna (in tal caso probabilmente avrebbe quasi ragione Nietzsche a voler essere un buffone ;D ) ritengo che sia giusto procedere nel tentativo di comprenderla, sempre senza dimenticarsi che ognuno di noi ha il "suo" punto di vista su di essa e non essendo dei gli uomini tramite tentativi ed errori possono procedere nella loro ricerca. Ma non posso non notare come certe cose sembrano ("sembrano" prima che mi si accusi di dogmatismo ;D ) più "vere" di altre.
Citazione di: Garbino il 31 Ottobre 2017, 16:43:08 PM
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
X Green Demetr
Capisco la tua perplessità sulla volontà di potenza estesa anche all' inorganico, anche perché anch' io ero convinto che Nietzsche si riferisse soltanto all' organico. Ma nel capitolo: La volontà di potenza nella natura, per criticare e negare una concezione meccanicistica del mondo, ho trovato questo aforisma, e precisamente il n. 637, in cui Nietzsche scrive:
Anche nel regno inorganico a un atomo di forza importa solo ciò che gli è vicino: le forze a distanza si compensano. Questo è il nocciolo della 'prospettiva' e la ragione per cui un essere vivente è "egoista".
A mio avviso, quello che Nietzsche qui intende è che anche nell' inorganico qualunque cosa 'aspira' alla potenza e gli 'importa' ciò che gli è vicino.
Dove appunto il verbo 'aspirare e importare' sono soltanto il modo di descrivere l' accadere nel mondo inorganico, che naturalmente a nulla può aspirare e a cui niente può importare. Ma questo modo di comportarsi, secondo Nietzsche, sarebbe ciò che proverebbe: l' assenza di leggi nei fenomeni e di qualsiasi meccanicismo, l' Universo come regno del caos e l' egoismo di ogni essere vivente.
Sì, forse ho un po' esagerato nell' accomunare il mondo organico ed inorganico come attraversato irrazionalmente dalla volontà di potenza. E chiedo venia, anche se rimane indiscutibile che, secondo Nietzsche, attraversa irrazionalmente almeno tutto il mondo organico.
X Apeiron
Devo chiedere scusa anche a te, perché come al solito ho confuso Eraclito ed Epicuro. Fermo restando che ammirasse molto Eraclito, che ne sia stato influenzato e fonte di ispirazione, devo però correggermi ed affermare che l' ultimo 'amore intellettuale' abbandonato da Nietzsche, come lui stesso afferma in un brano che non riesco ancora ritrovare, è sicuramente Epicuro. Non so perché ma spesso mi capita di confonderli. Come appunto dicevi: nessuno è perfetto.
Inoltre sto sempre costruendo la mia risposta sull' etica e su Eraclito, tanto che sto rileggendo La filosofia nell' età tragica dei Greci. Un' opera giovanile in cui è ancora grande l' influsso di Schopenhauer, ma che ritengo molto interessante.
Però nel frattempo volevo anche darti uno spunto di riflessione su ciò che hai affermato nell' ultimo intervento. Non ti sembra che prendere il meglio da tutte le grandi civiltà sia un po' come il voler portare la Democrazia dove non è possibile? E cioè che quel meglio, chiunque sia chi lo decida e i motivi per cui lo fa, è stato generato in quelle civiltà ed è appartenuto a quelle civiltà e non è esportabile?
Grazie per la cortese attenzione
Garbino Vento di Tempesta.
La questione della volontà di potenza io la vedo come questione anzitutto psicologica.
E mi aspetto che Nietzche faccia lo stesso, e credo di poterlo ricostruire.
Ossia quale motivazione psicologica (appunto la volontà di potenza dovrebbe essere la risposta) ci porta a credere che la natura stessa fino all'inorganico sia tutta improntata ad un'azione meccanicistica che tende al caos.(epiciro e democrito appunto)
Ossia una volontà di potenza negativa. (sappiamo che le volontà di potenza sono 2 sei d'accordo no?) Per inciso che qui ci si perde facilmente la volontà di potenza non è la teoria fisica, la cosmologia nicciana, ma il pensiero stesso, il suo psicologismo.
Il punto è perchè Nietzche non la ravvisa, perchè ne parla invece come se fosse positiva?
(notare questa mia opinione nasce dalle tue citazioni e da un altro paio di dozzine di recensioni di intellettuali,
IO NON CI CREDO CHE SIA COSI)
Bisogna intendersi però.
Credo che come Leopardi Nietzche scopra ben presto che la Natura si disinteressa alle cose umane.
(Ma voglio dire anzitutto vorrei accertarmi che tu questo lo capisca e lo accetti, perchè invero già solo questa idea spezza le gambine al 99,9 per cento della gente, che crede invece che noi siamo la Natura....)
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
X Apeiron
Devo chiedere ancora una volta scusa sia a te che agli altri utenti perché sono andato a correggermi proprio la volta in cui non mi ero confuso tra Eraclito ed Epicuro. ( Il fatto che mi confonda ed anche spesso, a mio avviso, è che Eraclito viene soprannominato l' oscuro e da qui Epicuro.)
Ed allora conviene ricapitolare: Nietzsche ha avuto diversi autori, specialmente francesi come ad esempio La Rochefoucauld, ma senza dimenticare Goethe, Shakespeare e alcuni autori tragici e commediografi greci, che hanno suscitato la sua attenzione e le sue simpatie. Erano soprattutto libri ed autori che leggeva tra una sua opera ed un' altra. Leggere cose altrui nei periodi di gestazione lo riteneva assolutamente negativo. Ma tre sono gli 'amori intellettuali' a cui si sentiva veramente legato spiritualmente e cioè: Wagner, Schopenhauer ed Eraclito.
Con Wagner, come sappiamo, i rapporti andarono sempre peggiorando nel tempo finché crollarono quando Wagner 'divenne pio'. Mentre il ripudio di Schopenhauer dipese da un maggiore approfondimento delle sue opere in cui, a suo dire, constatò che Schopenhauer diceva no alla vita. E, a mio avviso, è ovvio che queste due figure rappresentarono nella sua giovinezza ( non dimentichiamo che la sua vulcanicità filosofica fu piuttosto precoce) quella necessità di trovare nel suo tempo qualcuno con cui si potesse sentire a suo agio. Naturalmente illudendosi, tanto che maltratterà sempre entrambe nei suoi scritti successivi. E giunse anche ad affermare che nell' Inattuale dedicata a Schopenhauer come educatore, ogni volta che aveva nominato Schopenhauer si poteva tranquillamente sostituirlo con Nietzsche.
Eraclito rappresentò per lungo tempo il filosofo a cui si sentiva più legato. E le motivazioni che tu hai portato sono sicuramente le più appropriate. Anche se taluni indicano come motivo anche l' atteggiamento aristocratico di Eraclito, che si ripercuoteva anche nell' individuazione e scelta dei suoi discepoli; pochi e sempre appartenenti alle famiglie più facoltose.
Il far torto ai sensi e che tu indichi come critica di Nietzsche ad Eraclito, a mio avviso, va visto in questo modo. Secondo Nietzsche infatti non sono i sensi a sbagliare ma l' uomo con le sue valutazioni razionali su ciò di cui ha esperienza. E' il riscontrare, anche attraverso la matematica e la logica, una similarità tra fenomeni, cose ed essere viventi, che secondo Nietzsche non esiste. Non sono i sensi a sbagliare e perciò Eraclito, affermando che ne rifiutava la testimonianza perché essi presentano le cose come se avessero durata ed unità, faceva torto ai sensi. Un aspetto che per Nietzsche può ritenersi fondamentale. Questo per il momento.
X Green Demetr.
Scusami ma non afferro il concetto della scissione della Volontà di Potenza. A mio avviso, secondo Nietzsche essa è una e indifferenziata. I suoi effetti però variano da organismo ad organismo in rapporto a ciò che ogni essere vivente è. E ciò dipende da tanti fattori, visto e considerato che oltre alle diversità di specie e la loro diversa complessità organica, secondo Nietzsche, c' è una differenza sostanziale tra ogni essere vivente anche appartenente alla stessa specie. Quindi, a mio avviso, non può essere considerata né positiva né negativa.
E' indubbio che nell' uomo la volontà di potenza acquisisce anche un aspetto psicologico, ma il sentire un appagamento della volontà di potenza è qualcosa che investe tutto il corpo. La menzogna in molte valutazioni umane dipende anche dalla volontà di potenza? Certo! Ma gli effetti saranno negativi per una vita in decadenza e positivi per una vita in ascesa. Questo sempre tendenzialmente. Ci sono stati errori infatti, secondo Nietzsche, che hanno giovato moltissimo all' uomo per poter vivere senza pesi che lo schiacciassero. Altre menzogne invece gli hanno reso la vita un inferno.
Per quanto riguarda il meccanicismo, mi sembra che fossimo d' accordo che bene o male ipotizziamo la presenza di un meccanicismo che dipende dalle sinergie stesse che si instaurano grazie alla diversità degli elementi e dalle condizioni in cui gli elementi vengono a trovarsi. Tanto che da parte mia lo definirei un meccanicismo sinergico. Senza regole, senza ripetizioni di fatti, di fenomeni uguali. Il Caos. E così la vede anche Nietzsche. Soltanto che lui nega anche il meccanicismo. E su questo riporterò qualcosa se dovessi avere qualche dubbio.
La Natura. Anche qui penso che ci sia un fraintendimento, di cui forse sono io il responsabile. Io non credo che la natura abbia nel suo complesso delle affezioni. Ogni essere vivente ne fa parte ma del tutto autonomamente. La natura cioè per me è solo un nome, niente di più. Ma ciò non toglie che sono le sinergie che si sviluppano al suo interno a permettere la vita. E il fatto che le foreste siano il polmone della Terra è uno dei tanti esempi che sembrano confermarlo. Ma è tutto circostanziale. Le cose accadono e basta. Non so se sono riuscito a spiegarmi, ma spero di sì.
E cerca di non urtarti se qualcosa non ti va a genio, ma esponi chiaramente quali siano i dubbi e le problematiche negative che ne risulterebbero.
Grazie per la cortese attenzione e mi scuso ancora per la doppia correzione riguardante Eraclito.
Garbino Vento di Tempesta.
C'è da chiedersi se Nietzsche non tradì in fondo i sensi anche lui ;D
Rilevo poi un'interessante differenza tra il "daoismo" e la volontà di potenza nietzscheiana. Nel daoismo la creazione e la distruzione - come fenomeni "naturali" - sono spontanei quindi senza alcun obbiettivo e scopo (motivo per cui si parla di "non-azione"). L'azione è totalmente spontanea. Il grande problema del daoismo è la sua errata idealizzazione della natura: l'acqua non è "più naturale" del fuoco, ergo se ci si limita alla mera osservazione empirica posso vedere che la stessa acqua non sempre "ben giova alle creature". Nella loro idealizzazione i daoisti invece ritengono che il comportamento più "naturale" dell'uomo è come quello più naturale del "Dao", ossia quello per cui l'acqua "ben giova alle creature e non contende...". Ad ogni modo l'azione della "natura" qui è vista come qualcosa di spontaneo.
La volontà di potenza invece NO. Nietzsche credeva molto quasi nel "dovere" dell'uomo di sforzarsi, di "creare" nuovi valori, di dominare ecc. Ora come può dirsi "spontanea" un'azione che ha un fine? Come può dirsi "libera dalla morale" ogni vita che si pone un "obbiettivo"? Ossia come può qualcosa di spontaneo volere/mirare a qualcosa? In sostanza per come la vedo io, il "tu devi" per Nietzsche da un'imposizione esterna si è trasformata in una sorta di "imposizione interna", ossia in una sorta di uno sforzo titanico (e tragico), di un tentativo di affermazione. Così infatti come nelle tragedie quello che ci provoca dispiacere è che le cose vadano contro la volontà dei protagonisti (e il dispiacere aumenta all'aumentare della nobiltà e alla "bontà" degli obbiettivi dei protagonisti), così l'aspetto "tragico" e "vitale" dell'oltre-uomo è il suo tentativo di "affermarsi" e di "trasvalutare" tutti i valori. Posso comprendere come questa "azione" possa essere vista come naturale. Però è anche vero che non mi pare veramente fuori dai concetti che solitamente si attribuiscono a morale ed etica, ossia lo "sforzarsi" di raggiungere un certo obbiettivo ;) su questo punto ha quasi ragione Schopenhauer (e i vari "rinuncianti"): è proprio l'azione che "non mira a nulla" ad essere veramente spontanea. Questa a mio giudizio è un'obiezione molto interessante per quanto riguarda la supposta spontaneità della "volontà di potenza". Può definirsi spontaneo qualcuno che agisce sempre per realizzarsi?
N.B. Vorrei far notare che questa mia obiezione può essere basata su un equivoco. Però quello che volevo far notare è che la stessa volontà di potenza "amorale" può essere capita in termini di obbiettivi e quindi in ultima analisi in termini "morali".
Citazione di: Apeiron il 04 Novembre 2017, 11:34:08 AM
N.B. Vorrei far notare che questa mia obiezione può essere basata su un equivoco. Però quello che volevo far notare è che la stessa volontà di potenza "amorale" può essere capita in termini di obbiettivi e quindi in ultima analisi in termini "morali".
Non so nulla di preciso della tradizione cinese, sebbene abbia letto qualche aforisma della tradizione taoista.
Mi pare un pensiero veramente ostico, vedere il cielo in terra, come nella tradizione confuciana, o vedere l'impossibilità della terra di tenere il cielo, come nella tradizione più propriamente filosofica del taoismo.
Non mi ci raccapezzo. Mancano tutte le principali coordinate della tradizione Europea e Indiana.
Rimane però una metafisica, ossia una ordinazione di un mondo sopra un altro (ideale).
Non devi mai dimenticare caro Apeiron che Nietzche è anzitutto un anti-metafisico.
Interessante il quesito che poni comunque.
A questo punto della mia ricerca non saprei dirti se possa essere una valida critica al pensiero di Nietzche.
Di certo la parola volontà sarebbe da intendere meglio.
E' la volontà del soggetto? E se no (come credo) come connotarla semanticamente?
Mi sembra che nel tuo caso, ne fai una questione del soggetto.
Tu rimproveri a Nietzche il fatto che lui ammettendo (?) la volontà come politica, di fatto dia adito alla creazione della stessa morale, che lui critica.
Ma certamente mi complimento perchè hai fatto un collegamento estremamente impervio (parrebbe così a sentire gli altri interventi, non dico solo su questo forum, ma proprio in generale) dimostrando di essere per qualche motivo dentro al percorso Nicciano.
Ti manca ovviamente (per me) il decennio in cui ti rendi conto di essere comunque dentro alla storia e alle sue torture (psicologiche ok).
Il punto è che Nietzche ci arriva quasi subito.(evvabbè è un mostro).
La questione della guerra è proprio dietro quell'angolo.
Non si tratterebbe di rimanere sulle proprie posizioni ma di superarle continuamente.
Ossia di leggere le continue chiusure che la storia, eventuale, mostra come morale.
Non si tratta di costruire una morale, ma di costruire la comunità degli amici.
Che per lui è una comunità in perenne lotta, in perenne guerra.
Non legge la storia come teleologia, ma comunque la legge in quanto esistente.
Negare il Mondo non significa automaticamente negare la storia.
Anzi è proprio la Storia che costruisce il Mondo che si vorrebbe negare, e che quindi di fatto si conosce!
Ahimè questa frase innocente è bagnata dal sangue della sofferenza del mio salto dall'oriente all'occidente.
Non esiste filosofia senza praxis, non significa che la filosofia debba avere una sua praxis, ma che la filosofia è dentro a quella praxis.
Ossia è dentro la morale.
Fare i conti con la morale, non significa creare un altra morale.
Ma hai colto nel segno però, perchè fare i conti con la morale significa alla fine costituire una nuova morale. Ottimo amico mio.
E' questo l'errore indefesso, e non raccolto, dell'eredità nicciana.
Che la morale è il nichilismo.
Ma il nichilismo va navigato. (ed è qui che perdi di vista l'orizzonte nicciano, e fermandoti alla tua intuizione primaria, credi che nietzche sia un nichilista. Il che sarebbe vero, se non aggiungi il resto del suo lavoro).
Nietzche è un navigatore delle morali, delle psicologie umane, come si sono date (random) nella storia.
Nietzche è il ri-costruttore della genealogia delle morali, ossia dei suoi errori.
Intesi proprio come suo vagare errante, senza meta reale (la meta è sempre presunta, metafisica).
La posta in gioco non è dunque la meta (non vi è mai meta) ma il viaggio comune, comunitario.
Ossia la potenziazione dell'essere uomini, ossia naviganti. Erranti.
Come dice nello zaratustra equilibristi, in attesa di essere fagocitati dal popolino.
Ossia se cominciamo a capire, in attesa di essere fagocitati dalla storia, dalla morte.
cit garbino
"Scusami ma non afferro il concetto della scissione della Volontà di Potenza. A mio avviso, secondo Nietzsche essa è una e indifferenziata. I suoi effetti però variano da organismo ad organismo in rapporto a ciò che ogni essere vivente è. E ciò dipende da tanti fattori, visto e considerato che oltre alle diversità di specie e la loro diversa complessità organica, secondo Nietzsche, c' è una differenza sostanziale tra ogni essere vivente anche appartenente alla stessa specie. Quindi, a mio avviso, non può essere considerata né positiva né negativa."
Ma certo! pensavo fosse necessario qualche distinguo e ho preso quello che di solito sento in giro nelle conferenze, ossia di 2 volontà di potenza (ma appunto penso anch'io fossero considerazioni didascaliche).
"E' indubbio che nell' uomo la volontà di potenza acquisisce anche un aspetto psicologico, ma il sentire un appagamento della volontà di potenza è qualcosa che investe tutto il corpo. La menzogna in molte valutazioni umane dipende anche dalla volontà di potenza? Certo! Ma gli effetti saranno negativi per una vita in decadenza e positivi per una vita in ascesa. Questo sempre tendenzialmente. Ci sono stati errori infatti, secondo Nietzsche, che hanno giovato moltissimo all' uomo per poter vivere senza pesi che lo schiacciassero. Altre menzogne invece gli hanno reso la vita un inferno. "
Nondimeno convengo.
"Per quanto riguarda il meccanicismo, mi sembra che fossimo d' accordo che bene o male ipotizziamo la presenza di un meccanicismo che dipende dalle sinergie stesse che si instaurano grazie alla diversità degli elementi e dalle condizioni in cui gli elementi vengono a trovarsi. Tanto che da parte mia lo definirei un meccanicismo sinergico. Senza regole, senza ripetizioni di fatti, di fenomeni uguali. Il Caos. E così la vede anche Nietzsche. Soltanto che lui nega anche il meccanicismo. E su questo riporterò qualcosa se dovessi avere qualche dubbio."
No nessun dubbio, sono anzi felicemente sorpreso, perchè questo punto in passato ha creato un certo distacco tra le nostre posizioni.
Può anche essere che non avessi capito bene.
Certamente se intendiamo il meccanicismo come sinergia, ossia nella mio vocabolario, come correlazione.
Siamo perfettamente d'accordo.
"La Natura. Anche qui penso che ci sia un fraintendimento, di cui forse sono io il responsabile. Io non credo che la natura abbia nel suo complesso delle affezioni. Ogni essere vivente ne fa parte ma del tutto autonomamente. La natura cioè per me è solo un nome, niente di più. Ma ciò non toglie che sono le sinergie che si sviluppano al suo interno a permettere la vita. E il fatto che le foreste siano il polmone della Terra è uno dei tanti esempi che sembrano confermarlo. Ma è tutto circostanziale. Le cose accadono e basta. Non so se sono riuscito a spiegarmi, ma spero di sì.
E cerca di non urtarti se qualcosa non ti va a genio, ma esponi chiaramente quali siano i dubbi e le problematiche negative che ne risulterebbero."
No siamo a posto con la questione Natura! urtarmi io? lol è la società che mi urta non certo mai il singolo. ;) (a meno che non mi minaccia lol).
Immagino che mi ero fermato su quel punto ma avrei continuato.
Per oggi però il tempo è scaduto. Riprendo domani il senso di quello che volevo comunicare.
Ok credo che ci sia un fraintendimento. Lasciate perdere i riferimenti alle tradizioni cinese e indiana che noto portano fuori strada. Torniamo a Nietzsche.
La morale racchiude in sé due cose: l'intenzionalità e la responsabilità! Se anche togliamo la responsabilità rimane l'intenzionalità. Bene. Ora pensiamo al super-uomo: vuole affermare la sua volontà di potenza (leviamo ogni discorso metafisico e diamo un significato solamente psicologico al termine "volontà").
Pensiamo alle tragedie ed al titanismo. A Nietzsche piacevano le tragedie perchè i protagonisti avevano un "grande obbiettivo" e combattevano per esso. OK. Analogamente l'oltre-uomo deve sempre cercare di "auto-superarsi" e/o di "trasvalutare i valori". Quindi in ogni momento della sua esistenza "combatte" per un fine. Ma siccome stiamo negando la metafisica (e simili cose) e stiamo affermando questa "volontà" attiva allora l'obbiettivo dell'oltre-uomo è essere sempre "attivo" o "vitale".
Questo a me non sembra un obbiettivo da ricercare. A differenza infatti di chi soffre per la pace (anche solo interiore), qui si "soffre per soffrire", ossia si rimane attivi per rimanere attivi. Nietzsche afferma che questo è "spontaneo" e "naturale". Invece mi sembra che ciò abbia lo stesso problema della moralità: la volontà ha sempre un fine ossia il suo continuo auto-superamento. Un'azione VERAMENTE spontanea (e quindi libera) è come quella dell'acqua che fluisce in un fiume, ossia un'azione che non ha alcun fine. Ossia il sogno di Nietzsche di "tornare fanciulli" non mi sembra veramente attuabile investendo su qualcosa il cui fine continuo sia l'auto-superamento.
Dove sbaglio? (Garbino e green, per favore fate riferimento a questo messaggio ;) l'inconsistenza che mi pare di trovare è la netta differenza che c'è tra lo "spirito che diventa fanciullo" e qualcosa che ha come obbiettivo il suo continuo auto-superamento.)
Citazione di: Apeiron il 04 Novembre 2017, 16:27:06 PM
Ok credo che ci sia un fraintendimento. Lasciate perdere i riferimenti alle tradizioni cinese e indiana che noto portano fuori strada. Torniamo a Nietzsche.
La morale racchiude in sé due cose: l'intenzionalità e la responsabilità! Se anche togliamo la responsabilità rimane l'intenzionalità. Bene. Ora pensiamo al super-uomo: vuole affermare la sua volontà di potenza (leviamo ogni discorso metafisico e diamo un significato solamente psicologico al termine "volontà").
Pensiamo alle tragedie ed al titanismo. A Nietzsche piacevano le tragedie perchè i protagonisti avevano un "grande obbiettivo" e combattevano per esso. OK. Analogamente l'oltre-uomo deve sempre cercare di "auto-superarsi" e/o di "trasvalutare i valori". Quindi in ogni momento della sua esistenza "combatte" per un fine. Ma siccome stiamo negando la metafisica (e simili cose) e stiamo affermando questa "volontà" attiva allora l'obbiettivo dell'oltre-uomo è essere sempre "attivo" o "vitale".
Questo a me non sembra un obbiettivo da ricercare. A differenza infatti di chi soffre per la pace (anche solo interiore), qui si "soffre per soffrire", ossia si rimane attivi per rimanere attivi. Nietzsche afferma che questo è "spontaneo" e "naturale". Invece mi sembra che ciò abbia lo stesso problema della moralità: la volontà ha sempre un fine ossia il suo continuo auto-superamento. Un'azione VERAMENTE spontanea (e quindi libera) è come quella dell'acqua che fluisce in un fiume, ossia un'azione che non ha alcun fine. Ossia il sogno di Nietzsche di "tornare fanciulli" non mi sembra veramente attuabile investendo su qualcosa il cui fine continuo sia l'auto-superamento.
Dove sbaglio? (Garbino e green, per favore fate riferimento a questo messaggio ;) l'inconsistenza che mi pare di trovare è la netta differenza che c'è tra lo "spirito che diventa fanciullo" e qualcosa che ha come obbiettivo il suo continuo auto-superamento.)
Difficile non vedere la tua domanda alla luce delle metafore del buddismo (il siddharta di Hesse) o dello zen (il monaco ikkyu).
Probabilmente non riesci a capire queste righe che ho scritto:
"Anzi è proprio la Storia che costruisce il Mondo che si vorrebbe negare, e che quindi di fatto si conosce!
Ahimè questa frase innocente è bagnata dal sangue della sofferenza del mio salto dall'oriente all'occidente."
L'errore è quello per cui ti scrivevo:
"Non devi mai dimenticare caro Apeiron che Nietzche è anzitutto un anti-metafisico."
Laddove nella religione orientale NON esiste storia è piuttosto normale credere che l'uomo sia la relazione tra microcosmo e macrocosmo.
La spontaneità là insegnata è quella del superamento della dualità, tramite la meditazione dell'unità fra io e mondo.
E cioè appunto indagando la natura nascosta del mondo, il suo pulsare cosmico.
In questo senso la storia è solo un intralcio alla spontaneità.(che consiste nella tendenza all'unione)
Ma questa è una metafisica, e cioè è la presunzione che veramente esista questo cosmo, a cui il nostro mondo deve forzatamente coincidere.
Ma genealogicamente Nietzche dimostra che qualsiasi religione è in realtà la conseguenza storica di una presunzione.
Perciò il rapporto con la natura si inverte, non è la storia dentro la natura, è la natura che è dentro la storia.
L'intera opera di Leopardi lo testimonia una volta di più.
La spontaneità del bambino non è quella ideale ipotizzata dalla nostra stupida cultura di una specie di realizzazione di un mondo magico, è invece l'indagine urgente e violenta del mondo.
Recuperare la spontaneità è perciò l'esatto opposto che il rinunciare alla storia, vi è anzi la spinta nichilistica a soggiogare il tempo ai propri piaceri.
Ma vi è anche il principio di morte (come lo chiamerebbe freud) ossia il principio di realtà che deforma ogni tentativo di modellazione della storia.
La storia è un capriccio, un perturbante stato di sovraeccitazione, una impossibilità di trovare casa.
E' per questo che Nietzche è un pensatore duro, ai limiti del sopportabile, perchè egli incita l'uomo a seguire la storia, e non a osteggiarla.
Come capirai l'esatto opposto di quanto predicato dall'oriente.
Non si tratta di errore ma di fede, la tua. Essendo un metafisico anch'io la capisco e propongo che si tratterebbe di contravenire alle leggi patriarcali, castali della religione orientale (o occidentale) e continuare nell'analisi infinita, dela storia.
In realtà l'oriente con i suoi insegnamenti sul distacco dovrebbe aiutare nella navigazione del mare del nichilismo.
Per questo credo, alcuni trovano una forte assonanza tra il pensiero buddista e quello niciano. (o almeno lo suppongo, non conoscendo bene le tesi e le argomentazioni di quel filone della ricerca).
Però insomma ci sta! Voglio dire è normale che tu possa fare tale critica a partire da posizioni differenti.
Questo lo ritengo un modo intelligente di fare critica (molto ben posta la questione). Lo rispetto.
Ok penso d'aver capito Green. Grazie!
Sì ammetto che è "fede". Come ho già detto dal mondo empirico non si ricava niente di quello che ho detto sul fatto che è preferibile comportarsi in un certo modo, ossia del non essere "affermativi" ;D
Un altro contributo, che spero sia interessante, alla discussione. Riguarda un confronto tra il pensiero di F.M. Dostoevskij e Nietzsche che ho trovato andandomi a rileggere alcune considerazione che fa Maria Russo, partendo da un'analisi dell'opera "
Memorie del sottosuolo", uno dei capolavori del grande romanziere russo che ho ripreso in mano in questi giorni:
Gide scrisse che i romanzi di Dostoevskij sono i libri più carichi di pensiero che esistano, pur essendo romanzi. In Dostoevskij filosofia e letteratura si fondono, si compenetrano, perché se la filosofia è riflessione sulla esistenza è propedeutica alla scelta tra le modalità che questa propone, e non mera speculazione; e quindi non può nascere che dall'esistenza, dalla vita. Il problema fondamentale che attraversa tutta la sua opera, almeno dalle Memorie del sottosuolo in poi, è un problema etico e metafisico insieme; quello del bene e del male.Dostoevskij può essere considerato, come sostiene Nikolaj Berdjaev, "il più grande metafisico russo"...L'uomo è libero, ci dice Dostoevskij, tragicamente libero, perché è stato creato a immagine e somiglianza di Dio che l'ha messo al mondo dotato di ragione, facoltà che deve saper incanalare per poter cogliere nel corso dell'esistenza la differenza tra il bene e il male. Quando però la "ruminazione cerebrale" (espressione usata da Gide) conduce alla pretesa superomistica di autodeterminarsi da sé, rinnegando Dio e perciò anche la natura divina dell'uomo, la libertà rinnega sé stessa e si ritorce contro l'individuo, conducendo la sua personalità alla dissoluzione. Nessuno come Dostoevskij ha rappresentato con così tanto vigore gli effetti a cui può portare il rovesciamento della natura divina dell'uomo dal Dio-uomo all'Uomo-dio.La dialettica dostoevskijana squarcia i veli che la filosofia razionalistica aveva steso sui più bassi istinti della natura umana, impedendo di coglierne le contraddizioni. Sembra quasi di ritrovare qualcosa dello spirito di Eraclito nello scrittore russo: pur essendo una vera e propria gnosi, le sue idee sono percezioni dinamiche della realtà, non statiche come avviene in Platone; la sua filosofia è una percezione religiosa dell'esistenza umana, che si colloca però all'opposto dei grandi pensatori cristiani mistici proprio perché nei suoi personaggi rappresenta le conseguenze che la tragicità insita nella libertà umana può portare all'individuo. Emblematica, in questo senso, è la figura dell'"uomo del sottosuolo", espressione indicante quel lato oscuro della personalità presente in ogni uomo che Freud più avanti chiamerà "inconscio". Costui dichiara infatti nelle sue memorie (prima con una sconvolgente riflessione-confessione, poi con una serie di episodi della sua vita) che l'uomo sarebbe disposto, pur di conservare per sé la cosa più stupida e dannosa, la peggiore umiliazione o vergogna pur di conservare la sua libertà nei confronti degli alfieri del progresso sociale e politico che vogliono impostare la convivenza sociale e l'ordine politico in base a criteri di pura razionalità. L'uomo non sarà mai un tasto di pianoforte e non si rassegnerà mai al "due più due uguale quattro"."Memorie del sottosuolo" è forse l'opera più profonda e compiuta di Dostoevskij, quella dove la sua filosofia viene espressa in forma pura, e rappresenta un sconvolgente resoconto del più turpe lato dell'animo umano. Pochi hanno saputo trattari temi così alti e profondi con tale forza e chiarezza espressiva. Tra gli autori a lui contemporanei, si fa spesso il nome di Friedrich Nieztsche, a cui è accomunato dalla percezione tragica dell'esistenza che però nel filosofo tedesco si risolve nel nichilismo perché egli è troppo profondamente legato alla cultura greca e sostanzialmente estraneo al cristianesimo, incapace perciò di intravedere nella figura salvifica di Cristo il riscatto dell'umanità. La concezione di Dostoevskij è tragica, ma nella misura in cui il fardello della libertà pesa interamente sulle spalle dell'uomo conferendogli tutta la sua dignità. Quella di Nietzsche è concezione dell'assurdo, perché non riconosce alcun senso ontologicamente dato nell'essere: per riscattarsi, l'uomo deve darsi da sé un senso trasformandosi nel superuomo la cui volontà di potenza lo conduce però alla catastrofe dell'anti-uomo.È impressionante come Dostoevskij abbia in questo anticipato la concezione superomistica di Nietzsche con Delitto e castigo prima e con I demoni poi, dove lo stesso problema viene affrontato a livello politico e collettivo anziché individuale.
Kirillov porta invece agli estremi l'idea del suicidio logico formulata da Dostoevskij nel Diario di uno scrittore; la sua idea è quella di uccidersi per poter diventare egli stesso un Dio, liberare l'uomo dalla paura della morte e donargli la libertà. Come ha efficacemente scritto Pareyson, nella prospettiva fatta valere da Dostoevskij "l'uomo non può riconoscere Dio senza volerlo essere", con tutti gli effetti catastrofici che ne scauriscono. Negare Dio vuol dire divinizzare l'uomo: ma ciò porta a effetti disastrosi, alla luce del fatto che "se Dio non esiste, tutto è permesso" (I fratelli Karamazov), crolla ogni limite e l'uomo può commettere ogni sorta di nefandezza.
La sostituzione dell'uomo a Dio è così tratteggiata da Dostoevskij ne I fratelli Karamazov:
Citazione
"Secondo me, non c'è nulla da distruggere, fuorché l'idea di Dio nell'umanità; ecco di dove occorre cominciare! È di qui, di qui che si deve partire, o ciechi, che non capite nulla! Una volta che l'umanità intera abbia rinnegato Dio (e io credo che tale epoca, a somiglianza delle epoche geologiche, verrà un giorno), tutta la vecchia concezione cadrà da sé, senza bisogno di antropofagia, e soprattutto cadrà la vecchia morale, e tutto si rinnoverà. Gli uomini si uniranno per prendere alla vita tutto ciò che essa può dare, ma unicamente per la gioia e la felicità di questo mondo. L'uomo si esalterà in un orgoglio divino, titanico, e apparirà l'uomo-dio. Trionfando senza posa e senza limiti della natura, mercé la sua volontà e la sua scienza, l'uomo per ciò solo proverà ad ogni istante un godimento cosí alto da tenere per lui il posto di tutte le vecchie speranze di gioie celesti. Ognuno saprà di essere per intero mortale, senza resurrezione possibile, e accoglierà la morte con tranquilla fierezza, come un dio. Per fierezza comprenderà di non dover mormorare perché la vita è solo un attimo, e amerà il fratello suo senza ricompensa. L'amore non riempirà che un attimo di vita, ma la stessa consapevolezza di questa sua fugacità ne rinforzerà altrettanto l'ardore quanto prima esso si disperdeva nelle speranze di un amore d'oltre tomba e infinito...", e via di questo passo. Delizioso!"
La sua straordinaria attenzione per la vita sociale e politica della sua epoca non rende certo anacronistico il suo messaggio, anzi lo rende vivo perché mostra gli effetti che grandi idee producono nella vita di persone comuni nella vita di tutti i giorni. La sua attualità è del resto evidente oggi: basta pensare al difficile tentativo di conciliare fede e scienza, al dibattito sulla laicità dello stato che oggi trovano ampio risalto nei nostri media. Su questi temi, lo sguardo di Dostoevskij può essere ancora illuminante e scuotere ancora le coscienze.(tratto da "La libertà secondo Dostoevskij" di Maria russo)
@Sari, il problema è sempre lo stesso: tolto Dio (o qualsivoglia base "universale" su cui fondare l'etica) non c'è nessuna ragione per cui un'azione può essere "permessa" o "non permessa". Quindi di fatto sono possibili entrambe le visioni per le quali "tutto è permesso" e "tutto non è permesso" o anche nessuna delle due. Qui ho trovato qualcosa che è chiaramente legato a quanto hai citato http://www.filosofico.net/dostoevskijmrusso.htm.
Ad un certo punto afferma: "Nietzsche lascia la libertà impotente sostenendo l'inconsistenza dell'Io". Ciò in realtà è falso perchè d'altronde Nietzsche voleva affermare l'individuo - quindi anche se ogni tanto Nietzsche sembra dire che "l'io non esiste" in realtà si ha lo "strapotere" dell'io in quanto l'"io" non ha più niente su cui basare la propria libertà d'agire. In questo modo l'oltre-uomo nietzschiano diventa una sorta di "uomo-dio" in quanto si autogestisce da sé e questo unito al fatto che è sparita l'esistenza di modi comportamentali condivisi fa in modo che l'oltre-uomo fa tutto ciò che vuole. Ergo si ha l'acume della volontà e dell'affermazione e quindi per così dire la massima "libertà". Essendo sparita ogni cosa che può tenere a freno l'io allora l'io può pensare di essere libero di "affermare" qualsiasi suo aspetto. E l'affermazione sarà diversa, in linea di principio, da individuo ad individuo. Ognuno a questo punto è libero di "creare nuovi valori", ossia di scegliere come "comportarsi" con il "resto del mondo" (uomini compresi) e non avrà alcuna ragione per considerare la scelta dei "nuovi valori" come giusta o sbagliata. Quello che chiaramente resta è un caso di conflitto, guerra, lotte, contese... (Ovviamente ciò avviene perchè la "volontà di potenza" si manifesta in modo diverso a priori in ognuno di noi e quindi non è possibile a priori trovare un terreno in comune - ossia un'etica che possa essere quella "giusta". Per questo motivo ognuno è libero di "creare nuovi valori" a seconda della sua volontà - si noti la contrapposizione con le filosofie "atee"* buddhiste, daoiste, induiste ecc per le quali però esiste una base oggettiva e universale dell'etica e inoltre tendono a fare in modo che si "rinunci" alla volontà d'affermazione del proprio "io". Una conclusione opposta di quella Nietzche...). Nietzsche in sostanza ha voluto sia "negare Dio" che "affermare la storia (dell'uomo)", da qui la sua contrapposizione con (forse) tutti i filosofi precedenti visto che anche Eraclito comunque ha sempre ammesso che l'uomo è subordinato al "logos"...
Ad ogni modo non sono d'accordo con l'affermazione (per me completamente errata) che l'autrice fa per la quale "Nietzsche... si risolve nel nichilismo perchè legato troppo alla cultura greca". Chiaramente ciò è vero se togliamo di mezzo Socrate, Platone, Aristotele, Pitagora, lo stoicismo ecc dalla cultura greca ::) no Nietzsche si è "ribellato" anche contro la cultura greca! Ad ogni modo concordo con quanto dice l'autrice: entrambi hanno compreso appieno tutte le conseguenze della negazione di ogni "Dio". Entrambi sono "grandi" pensatori. Però la loro conclusione è curiosamente opposta.
P.S. Secondo me in genere l'errore del relativismo-nichilismo è di dimenticarsi che in fin dei conti tra gli uomini ci sono più somiglianze che differenze...
*"atee" in questo caso significa "che non ritengono che la Realtà Ultima sia una divinità personale" (in realtà tutte queste tradizioni orientali ammettono l'esistenza di divinità.)
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Vento di Garbino.
Tu ed io
persi nell' estasi
di un vibrante respiro,
io e te.
Tu: calda
pioggia d' estate;
ed io: sabbia alzata
dal Vento di Garbino.
Le tue grandi e
copiose gocce
cadono su di me
e bagnano la sabbia,
che il Garbino lesto asciuga
così che io abbia sempre e
comunque sete di te.
Questo breve scritto è un regalo per una persona a cui farà molto piacere riceverlo e non solo perché mi rappresenta, e se non fosse così: amen. Ma è uno scritto che dedico anche a tutti coloro che si amano e che soprattutto amano profondamente sé stessi. Soltanto un grande amore per sé stessi può traboccare e illuminare, come un sole, ciò e chi lo circonda. E' un amore che non chiede niente in ritorno e l' unico interesse che motiva la persona è quello di liberarsene perché ne ha in eccesso.
X Sari
Mio caro Sari, questo breve preambolo e soprattutto la dedica, ci introduce nell' argomento da te affrontato dal momento che, a mio avviso, questo è Nietzsche. Imperdibile il suo Canto Notturno ( anche l' anima mia è il canto di un amante ) che troviamo nel terzo libro dello Zarathustra. L' oltreuomo è in tutti i sensi l' uomo ben riuscito, è colui che ha un surplus di forza e che è necessario che manifesti in ogni suo agire. Secondo Nietzsche, l' uomo moderno lo definirebbe " terribile ".
A completamento della critica di Apeiron, che continua a farmi pensare che ha inquadrato Nietzsche in un modo molto simile al mio, vorrei aggiungere che di solito riscontro che i credenti in Cristo o affermano che Nietzsche è cristiano o che è nichilista. In ogni caso sbagliando. Ma è anche logico che lo facciano perché Nietzsche afferma che è proprio il Cristianesimo che ha aperto la strada al nichilismo e che il Cristianesimo è la religione nichilista per eccellenza.
La Russo infatti afferma grandemente la sua fede nell' effetto salvifico del Cristo, anche se non capisco quale possa essere se non è collegato al peccato originale e alla riapertura del Paradiso in cui non posso proprio ritrovarmi. Un Dio che punisce non è nobile, e neanche chi sacrifica il proprio figlio. Un atteggiamento nobile è quello dei Dei Greci che prendono su di sé la colpa.... L' uomo libero creato da Dio a sua somiglianza di quale libertà può disporre, se Dio sa già quel che accadrà? Non conosco bene Dostojevsky, ma già questa affermazione me lo configura come un credente che tenta di fare filosofia. Ed è ovvio che un credente non possa che trovarlo profondo. Sul resto, come sempre, non conoscendolo sospendo il giudizio, e non escludo che possa aver qualcosa di interessante su cui riflettere. Ma preferisco dedicare il mio tempo ad altre letture.
Beati monocoli in terra caecorum. Dove i monocoli sono i credenti e i cechi coloro che si affidano alla capacità critica, anche e soprattutto in campo religioso.
La morte di Dio non significa che ci siamo liberati del bisogno metafisico. E' questo il vero problema. La morte di Dio per Nietzsche è solo un fatto. Un fatto evidente, inevitabile. Ma l' uomo sarà veramente libero, o almeno sulla strada per esserlo, soltanto quando riuscirà a liberarsi del bisogno metafisico.
Ringrazio tutti per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
x Sari
Penso che ci sia un fraintendimento grave da parte di Gide, scrittore profondamento religioso e disturbante, ricordo ancora la sensazione sgradevole della sua prosa virulenta in "Pastorale".
E cioè che in Nietzche vi sia un idea di riscatto, quando invece è chiaramente una posizione escatologica, ed avulsa, anzi deplorata dalla filosofia del tedesco.
x Apeiron
cit"Ad un certo punto afferma: "Nietzsche lascia la libertà impotente sostenendo l'inconsistenza dell'Io". Ciò in realtà è falso perchè d'altronde Nietzsche voleva affermare l'individuo - quindi anche se ogni tanto Nietzsche sembra dire che "l'io non esiste" in realtà si ha lo "strapotere" dell'io in quanto l'"io" non ha più niente su cui basare la propria libertà d'agire."
E invece ti sbagli perchè fermandoti alla porta di ingresso del vero pensiero Nietzchiano, ossia quello della desogettivazione, ripiombi per i noti meccanismi paranoici di blocco e proiezione, nel tuo, e solo tuo, credere forte nel soggetto.
Ripetendo un errore che torna a ripetizione, nonostante in teoria sei uno fra i pochi che lo ha inquadrato abbastanza bene.
Come spesso ti dico: Il maestro tedesco chiede uno sforzo in più ;)
Tra l'altro da conoscitore del Buddismo dovresti sapere quanto è importante la desogettivazione!(motivo per cui Nietzche è spesso avvicinato al buddismo).
Anche se ritengo che collegamenti di senso fra le due scuole di pensiero non siano accettabili.
Hai invece ragione sul fatto che la frase è sbagliata ;) , perchè il concetto di libertà è invece fondamentale in Nietzche.
Sul rapporto tra Nietzche e Dostoevski.
Non è un vero e proprio rapporto, anche se entrambi sono testimoni del nichilismo.
I loro orizzonti sono però a mio avviso estremamente incompatibili.
Resta il fatto che all'altezza di Nietzche ci sono soltanto Dostoevski e Rilke.
Non si possono non leggere. (che mi combini Garbino? come si fa a non leggere Dostoevski?) ;)
Citazione di: green demetr il 18 Novembre 2017, 17:58:38 PMx Sari Penso che ci sia un fraintendimento grave da parte di Gide, scrittore profondamento religioso e disturbante, ricordo ancora la sensazione sgradevole della sua prosa virulenta in "Pastorale". E cioè che in Nietzche vi sia un idea di riscatto, quando invece è chiaramente una posizione escatologica, ed avulsa, anzi deplorata dalla filosofia del tedesco. x Apeiron cit"Ad un certo punto afferma: "Nietzsche lascia la libertà impotente sostenendo l'inconsistenza dell'Io". Ciò in realtà è falso perchè d'altronde Nietzsche voleva affermare l'individuo - quindi anche se ogni tanto Nietzsche sembra dire che "l'io non esiste" in realtà si ha lo "strapotere" dell'io in quanto l'"io" non ha più niente su cui basare la propria libertà d'agire." E invece ti sbagli perchè fermandoti alla porta di ingresso del vero pensiero Nietzchiano, ossia quello della desogettivazione, ripiombi per i noti meccanismi paranoici di blocco e proiezione, nel tuo, e solo tuo, credere forte nel soggetto. Ripetendo un errore che torna a ripetizione, nonostante in teoria sei uno fra i pochi che lo ha inquadrato abbastanza bene. Come spesso ti dico: Il maestro tedesco chiede uno sforzo in più ;) Tra l'altro da conoscitore del Buddismo dovresti sapere quanto è importante la desogettivazione!(motivo per cui Nietzche è spesso avvicinato al buddismo). Anche se ritengo che collegamenti di senso fra le due scuole di pensiero non siano accettabili. Hai invece ragione sul fatto che la frase è sbagliata ;) , perchè il concetto di libertà è invece fondamentale in Nietzche. Sul rapporto tra Nietzche e Dostoevski. Non è un vero e proprio rapporto, anche se entrambi sono testimoni del nichilismo. I loro orizzonti sono però a mio avviso estremamente incompatibili. Resta il fatto che all'altezza di Nietzche ci sono soltanto Dostoevski e Rilke. Non si possono non leggere. (che mi combini Garbino? come si fa a non leggere Dostoevski?) ;)
Se non c'è alcun soggetto non c'è nessuna volontà di affermarsi. Quello che Nietzsche non capì, secondo me, è proprio questo. La Storia richiede intenzionalità, aspirazioni, "sofferenza", conflitto, lotta ecc. Sarà stato anche un maestro del "de-soggettivismo" ma allo stesso tempo riteneva che "tolto" il soggetto "con le sue paranoie" e le sue pretese di controllo quello che rimaneva non era "cessazione, pace..." bensì al contrario volontà di affermazione. Il buddhismo viene paragonato ad Epicuro epppure il buddhismo a differenza dell'epicureismo "predica" il ciclo delle rinascite
e il nirvana. Il buddhismo viene paragonato a Schopenhauer ma anche qui la differenza è che Schopenhuaer ha reso la Volontà un assoluto e così facendo ha creato un "misto" tra vedanta e buddhismo. Il buddhismo zen (e il daoismo) viene paragonato a Wittgenstein dimenticandosi del fatto che la filosofia di Wittgenstein non richiede la trascendenza mentre il buddhismo sì. Infine il buddhismo (specie quello zen - ma anche il daoismo) viene paragonato a Nietzsche ma il filosofo tedesco ha sempre preferito la "moralità dei signori" dove c'era l'"esplosione" della volontà, del conflitto ecc - inoltre manca completamente in Nietzsche la trascendenza (a meno che ovviamente non si ha un'interpretazione "realistica" dell'Eterno Ritorno e della Volontà di Potenza - ma nuovamente questo fa cadere nella metafisica)
Ad ogni modo
perfino il buddhismo (!) come Sari nel topic ha ben precisato non va in giro a predicare che "il soggetto non esiste" (la posizione del "Canone Pali" è in realtà ambigua https://www.canonepali.net/2015/06/sn-44-10-ananda-sutta-ad-ananda/ perchè forse anche "il soggetto non esiste" è una teoria metafisica, dopotutto ::) ) e inoltre è ben chiaro che prima di giungere all'Estinzione e alla realizzazione che "
ogni cosa è non-sé" c'è da fare un
durissimo lavoro su se stessi per eliminare
ogni tendenza che genere attaccamento
e avversione, ossia l'eliminazione della brama, la sete. Nietzsche avrà anche "intuito" che il "soggetto non esiste", che l'io è una prigione
però la descrizione dell'oltre-uomo non è (guarda a caso ;D ) così simile a quella dell'arhant.
In sostanza per riassumere: per il buddhismo tolto il "soggetto" quello che rimane è a "pace del nirvana". Per Nietzsche tolto il soggetto quello che rimane è "la volontà di affermazione" ;) Il suo grande "distacco" da Schopenhauer d'altronde è stato quello di considerare che non è vero che la volontà deve essere negata (ossia dire che la "Storia non esiste" come predicano in India ;) ), bensì secondo Nietzsche la "volontà deve essere affermata" e quindi l'inesistenza dell'io "libera" la volontà da
ogni restrizione. Se vogliamo il motivo per cui viene negato l'io per il buddhismo e per Nietzsche è opposto. Per Nietzsche l'io viene negato per "non mettere più alcuna diga sulla fiumana della Volontà", per il buddhismo invece l'io (di fatto) coincide con la volontà e quindi negare l'io è negare la volontà, ossia usando il tuo lessico "negare la Storia".
Detto questo ripeto ci sono ovviamente somiglianze. "Dio" è assente o ha un ruolo marginale, l'uomo deve mirare alla libertà, la costruzione dell'identità personale è vista come una prigione, c'è la consapevolezza che la rete di concetti con cui "controlliamo" la realtà non è la realtà stessa, il fatto che il divenire è ben più "reale" dell'essere ecc Però dove il buddhismo
nega la volontà
nega anche il "soggetto". Viceversa secondo Nietzsche dove si nega il soggetto si afferma la "volontà" e la "storia" (non a caso lui prende d'esempio come "grandi uomini" Napoleone, Cesare - ossia uomini che "spezzano la storia in due"). Questo è il
mio problema con Nietzsche. Dove lui vede l'affermazione della "volontà" e del "conflitto" io vedo invece l'esatto opposto. Sarò tardo ;)
La mia "fissazione" col soggetto deriva dal fatto che volenti o nolenti si deve partire proprio da lì, studiarlo bene, capirlo. Si deve "ammestrarlo", perfezionarlo. Una volta che si è raggiunto l'obbiettivo però credo che si debba lasciarlo andare per essere veramente liberi, così come una volta attraversato un fiume si lascia andare la zattera. Ergo la metafisica è importante proprio in questo senso: è grazie a lei che possiamo "distoglierci" dalla confusione "mondana" e iniziare il
lungo viaggio con anche il necessario "timore e tremore".
Citando una bellissima frase Garbino "
l' uomo sarà veramente libero, o almeno sulla strada per esserlo, soltanto quando riuscirà a liberarsi del bisogno metafisico." Concordo a quel punto l'uomo avrà trasceso anche il suo bisogno metafisico e quindi sarà libero. Ma non conviene lasciare andare la zattera prima di aver raggiunto l'altra riva, è molto rischioso ;) Però il risultato non sarà l'oltre-uomo o l'affermazione ;)
(X Green e Garbino) Comunque in Dostoevskij personalmente trovo talvolta uno "spirito" un po' patologico ed eccessivamente critico della natura umana e soprattutto della ragione. In sostanza mi sembra troppo orientato a far vedere che l'uomo "ha cattivi istinti" e quindi rinnega anche la ragione. Paradossalmente preferisco Kierkegaard che invece si concentra sull'angoscia, lo "scacco" della morale e la liberazione del singolo dall'eventuale cattiva moralità della società in cui è inserito ;) Nuovamente vista la direzione del pensiero Nietzsche è qualcosa di unico che merita d'essere studiato (spero che le mie parole non abbiano suggerito che Nietzsche non meriti di essere studiato. Anzi ritengo il suo pensiero meritevole di una attenta analisi per evitare che venga accettato o rifiutato per le ragioni errate...).
La morale e l'etica non sono solo "bigottismo" e catene per l'uomo, ma lo valorizzano. Questo si è perso. La morale è un dovere che facciamo a noi stessi (quindi una sorta di "diritto" - coincidentia oppositorum). Cerca di valorizzare ciò che nella nostra natura è importante. Che poi i "moralisti" storicamente abbiano visto la morale solo come una catena contro la vita è un altro discorso (sul quale non ha senso ripetere la critica corretta che ha fatto Nietzsche). Ma
non è l'unico modo di vedere l'etica, la morale e i valori universali. Spero d'essere stato chiaro!
Curiosità/domanda per Garbino e Green. Conosco Stirner solo per fonti indirette. Si dice che nella sua filosofia "è simile a Nietzsche". A me non sombra. Lo conoscete? Se sì, cosa ne pensate?
P.S. Personalmente ho letto solo "Delitto e Castigo" di Dostoevskij. Ho provato a leggere "I Fratelli Karamazov" ma ho scelto il periodo sbagliato per leggerlo e quindi l'ho messo da parte. Non ho mai letto invece nulla di Rilke.
Una cosa su Dostoevskij.
C'è un aspetto che è sfuggito a molti critici ma che secondo me illumina la sua posizione su Cristo.
Il protagonista de "L'idiota", il principe Myskin, è uno dei personaggi che incarnano la "bellezza evangelica" (come Alesa de "I fratelli Karamazov", Sònja di "Delitto e castigo") - il concetto di bellezza evangelica è tipicamente russo o comunque appartenente soprattutto al cristianesimo orientale.
A un certo punto nel romanzo, nel corso della "spiegazione necessaria" di Ippolit (un giovane malato rancoroso che decide di suicidarsi davanti a un gruppo di conoscenti non prima di averne spiegato le ragioni filosofiche), salta fuori che alla provocazione di Ippolit che dice "secondo me il principe è un materialista", Myskin conferma (e lui dice sempre la verità).
Quindi uno dei suoi personaggi più evangelici è un materialista. Evidentemente non crede in Dio.
Che cosa significa?
Ipotesi: Dostoevskij partendo dalle preoccupazioni per le conseguenze sociali di un nichilismo del tipo "se Dio non esiste tutto è permesso" finisce per abbracciare, di nascosto, quasi inconsciamente, un'idea tipicamente cattolica: fare come se Dio esistesse (anche se non ci si crede più).
Non si tratta di un atteggiamento subdolo. Non siamo qui accanto ai religiosi che fingono di credere per costruirsi una carriera.
Piuttosto abbiamo a che fare con una melanconica determinazione a non staccarsi da qualcosa che si è amato profondamente e senza il quale ci si sente destinati all'orrore (della crudeltà, del crimine, appunto).
Da questo punto di vista l'umanità può elevare se stessa, redimere se stessa e il mondo, solo tenendosi stretta l'immagine di un Cristo in cui in verità non si crede più.
Inutile chiedersi se una cosa del genere possa funzionare...
Citazione di: Kobayashi il 20 Novembre 2017, 13:00:52 PMUna cosa su Dostoevskij. C'è un aspetto che è sfuggito a molti critici ma che secondo me illumina la sua posizione su Cristo. Il protagonista de "L'idiota", il principe Myskin, è uno dei personaggi che incarnano la "bellezza evangelica" (come Alesa de "I fratelli Karamazov", Sònja di "Delitto e castigo") - il concetto di bellezza evangelica è tipicamente russo o comunque appartenente soprattutto al cristianesimo orientale. A un certo punto nel romanzo, nel corso della "spiegazione necessaria" di Ippolit (un giovane malato rancoroso che decide di suicidarsi davanti a un gruppo di conoscenti non prima di averne spiegato le ragioni filosofiche), salta fuori che alla provocazione di Ippolit che dice "secondo me il principe è un materialista", Myskin conferma (e lui dice sempre la verità). Quindi uno dei suoi personaggi più evangelici è un materialista. Evidentemente non crede in Dio. Che cosa significa? Ipotesi: Dostoevskij partendo dalle preoccupazioni per le conseguenze sociali di un nichilismo del tipo "se Dio non esiste tutto è permesso" finisce per abbracciare, di nascosto, quasi inconsciamente, un'idea tipicamente cattolica: fare come se Dio esistesse (anche se non ci si crede più). Non si tratta di un atteggiamento subdolo. Non siamo qui accanto ai religiosi che fingono di credere per costruirsi una carriera. Piuttosto abbiamo a che fare con una melanconica determinazione a non staccarsi da qualcosa che si è amato profondamente e senza il quale ci si sente destinati all'orrore (della crudeltà, del crimine, appunto). Da questo punto di vista l'umanità può elevare se stessa, redimere se stessa e il mondo, solo tenendosi stretta l'immagine di un Cristo in cui in verità non si crede più. Inutile chiedersi se una cosa del genere possa funzionare...
La materia però per D. è materia intrisa e pregna della sofferenza di Cristo. Rogozin ha in casa una copia di un quadro di Hans Holbein il Giovane, il "Cristo Morto", e di fronte a questo dipinto il Principe Myskin dice:"Osservando quel quadro c'è da perdere ogni fede!". "E infatti si perde" risponde Rogozin. Ma penetrare nel Cristianesimo di D. significa partire da una grande sofferenza e senza di quella non lo si comprende fino in fondo. D. è un poeta del sottosuolo e solo cristiani del sottosuolo lo possono capire. Cristiani da catacombe...E' un autore per chi sente il bisogno di sostituire l'alcool e la droga con la lettura :) ...Per chi ama D. ho trovato questo bellissimo "Monologo del Principe Myskin" tratto da l'"idiota" con l 'interpretazione di Valter Zanardi. Nella prima parte è contenuto molto del pensiero del grande autore russo sul cristianesimo e sul nichilismo:https://www.youtube.com/watch?v=A65qgq6JmKA
Il monologo che hai allegato è uno dei brani peggiori de "L'idiota".
Non parla il caro principe Myskin, parla Dostoevskij l'apologeta della tradizione ortodossa.
Il grande Dostoevskij, il grande scrittore, lo si trova altrove.
Non facciamoci ingannare dal sentimentalismo messo dall'attore: lì c'è un uomo che cerca di convincere se stesso, nient'altro.
Tutto ciò mi sembra in linea con l'ambiguità di cui parlavo nel post precedente.
Ma non essendo io, per fortuna, un cristiano delle catacombe, probabilmente mi sbaglio...
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
X Green Demetr.
Mio caro Green, ho approfondito un po' l' argomento Dostojevsky, per altro visionando il monologo riportato da Sari e tratto da L' Idiota. Ma, pur riconoscendo una certa profondità, non cambio opinione. Si tratta del pensiero di un credente ortodosso che affronta i problemi del mondo contemporaneo da credente. E' sempre la stessa solfa. Quella solfa che Nietzsche ha rimosso in modo esplosivo.
Non c' è da stupirsi che un ortodosso parli male del Cristianesimo Romano, ma lo fa sempre e soltanto dal punto di vista del credente. Per altro ripercorrendo eresie che nacquero anche all' interno del mondo ecclesiastico medioevale. Ed è logico che il nulla che Dostojevsky ritrova negli atei acquisti una dimensione diversa da quella di Nietzsche. Non dimentichiamo che per Nietzsche già Dio è il nulla. E che il Nichilismo ha le sue basi proprio nel Cristianesimo.
Ma mentre per Dostojevsky l' amoralità raccolta nella frase: se Dio non esiste tutto è concesso, dipende direttamente dall' assenza della fede in Dio ma in presenza di una fede atea, per Nietzsche si tratterebbe soltanto di una razionalizzazione. Di un pensiero che nasconde la grande crisi dell' uomo moderno e nient' altro. Il fatto che Dostojevsky sia riuscito a delineare questa crisi è senz' altro notevole, ma, a mio avviso, è il suo punto di vista, la sua prospettiva ad essere sbagliata. E' come se si potesse affermare che l' uomo in presenza della fede in Dio non si sia concesso nulla di efferato nella sua Storia. Cosa talmente assurda che ogni pagina dei libri di Storia smentisce. E guarda caso proprio quella medioevale è quella che presenta un compendio di atrocità commesse nel nome di Dio e di Cristo.
Ma l' esplosività del pensiero di Nietzsche è proprio nel suo modo di osservare il mondo da ogni prospettiva possibile. E Genealogia della Morale ce lo consegna in tutta la sua grandezza. E' l' ascetismo, la menzogna necessaria che però porta a ripudiare la vita e a farne un calvario nell' attesa del nulla, ad essere il responsabile di questa svolta nella Storia dell' umanità. E' l' ascetismo che da una risposta assurda al perché soffrire. Ma che comunque rimane una risposta a cui l' uomo preferisce credere piuttosto che ravvisare che si soffre, quando si soffre, per nessun motivo.
Ho sempre avuto il desiderio di leggere Rilke, ma non l' ho mai fatto. Mi impegno a farlo nel breve, ma ti chiedo di consigliarmi l' opera che ritieni indispensabile leggere. Quella in cui possa confrontarmi con il suo pensiero in modo ottimale.
X Apeiron.
Non conosco Stirner, ma dando uno sguardo al web mi sembra che venga più accomunato ad un anarchismo di tipo Bakuniano di cui poi sembra grande ispiratore.
Al contrario di Green, ho preferito soprassedere all' argomento della disoggettivazione dell' io che va affrontata, a mio avviso, in separata sede, e non ritengo di poter affrontare argomenti riguardanti il pensiero orientale su cui mi sento impreparato. Lo conosco veramente poco.
X Kobayashy
L' errore in cui spesso molti pensatori incorrono è quello di pensare ad un' umanità composta da persone che bene o male, oltre ai nostri stessi bisogni, hanno anche le nostre stesse peculiarità. L' errore fondamentale cioè è di non accorgersi della varietà delle tipologie caratteriali umane, e l' unicità che in ogni uomo si manifesta.
E questa prospettiva, diverso tempo fa, mi ha portato a supporre ( una teoria di cui ho già parlato altre volte ) che noi già amiamo ( o odiamo ) il prossimo come noi stessi. Ciò te lo propongo come spunto di riflessione dal momento che non abbiamo ancora affrontato qualcosa insieme e perciò non saprei da dove incominciare.
Ringrazio per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Grazie Garbino per la precisazione su Stirner :) Nietzsche mi sembra molto più profondo.
Sì mi scuso d'aver fatto una divagazione così lunga sul pensiero orientale che tra l'altro nemmeno Nietzsche conosceva bene (anche se il suo trattamento del buddhismo come "negazione del mondo" agli occhi di un nicciano ha perfettamente senso a differenza di quanto dicono molti studiosi che si fermano appunto a vedere che "entrambi" negano l'io). Motivo per cui tra l'altro ritengo che paragonare la "disoggettivazione" di Nietzsche e delle filosofie orientali rischia di essere fuorviante vista la grossa differenza che si nota appunto nel "risultato finale".
x garbino
cit
"La desogettivazione riguarda il soggetto storico per lo più.
Una volta capita la genealogia del nostro vivere quotidiano (dal vagito iniziale ai pensieri di morte, fino alla costruzione del mondo sociale) si tratterebbe non di rimanere senza un punto di vista, ma piuttosto di ri-partire (ri-precipitare per l'esatezza, o navigare nel nichilismo) a partire da quel punto di vista.
Per Nietzche non esiste un punto di vista in sè, e non ha trovato di meglio che chiamarlo come volontà di potenza.
Ma appunto cosa sarebbe la volontà di potenza se non l'affermazione della vita, ossia che esiste quel punto di osservazione.
E che quel punto di osservazione sia annichilazione."
Certamente è un pensiero problematico, ritenerlo affermativo, ossia appunto decisivo per le sorti umane è un errore gravissimo, e che porta alle peggiore metafisica storica, quella nazista.
Non si tratta come credi di accettare quel punto di vista, ma piuttosto di testarlo danzando.
La comunità degli amici futuri è questa. E' possibile facilmente desumere una etica dal corpus nicciano.
Non importa che sia aristocratica o socialista, entrambe sono comunque una etica.
Quindi ritenere Nietzche senza etica è l'ennesima grossolanità volgare.
E' invece il solito modo con cui si vuol liquidare la questione genealogica e quella del nichilismo.
Un simpatico regalo del cristianesimo che Nietzche combatterà fino alla fine.
So benissimo che per te la morale è una questione importante, e come già ti ho detto, è giusto che la affronti.
Solo quando questa ricerca inevitabilmente fallirà (ma ovviamente non te lo auguro e sono sincero), potremo tornare a parlare delle 2 questioni sopra esposte.
Cosa che diventerà difficile, perchè chi è disposto a parlare di filosofia reale? Chi è disposto a mettersi in prima persona?
(nessuno).
Cosa farai quando capirai che buddismo o matematica sono semplicemente dei campi precostruiti per profughi umani da fine dell'Occidente?
Ci sarà da ridere. O da piangere.
Cosa c'entra in tutto questo la volontà di potenza?
Prima di imparare a volare, impara a camminare, citazione dal principe cerca moglie che cita nietzche, ho trovato questo sul web.
E devo dire che si sposa perfettamente con quanto da me scritto sopra. (e certo amare se stessi non significa amare il soggetto, ma il proprio punto di osservazione de-soggettivato, de-storicizzato ossia compreso genealogicamente).
"Nutrito di cose innocenti, con poco, sempre pronto e impaziente di volare, di volar via, questa é la mia specie: come potrebbe non esservi qualcosa degli uccelli! Tanto più che io sono nemico dello spirito di gravità , come lo sono gli uccelli: e ne sono nemico mortale, arcinemico, nemico da sempre! [...] Colui che un giorno insegnerà il volo agli uomini, avrà spostato tutte le pietre di confine; esse tutte voleranno in aria per lui, ed egli darà un nuovo nome alla terra, battezzandola la leggera. Lo struzzo corre più veloce del più veloce dei cavalli, ma anche lui ficca ancora pesantemente la testa nella terra pesante: così pure l'uomo, che ancora non sa volare. Pesante é per lui la terra e la vita; e così vuole che sia lo spirito di gravità! Ma chi vuol divenire leggero e un uccello, non può non amare se stesso: questo é il mio insegnamento."
* * *
https://www.canonepali.net/2015/06/sn-44-10-ananda-sutta-ad-ananda/
Sono d'accordo sulle tue puntualizzazioni.
D'altronde rimango della mia originale intuizione-idea che nel buddhimsmo il sè non è, per il semplice fatto che è ciò che non è.
In sostanza non esiste una co-scienza cosmica come nell'induismo, dove la realtà è maya, magia, fenomeno.
In quanto noi siamo il niente che si dà come qualcosa, non vi è nessuna radice latina e sanscitta "cum-"
Niente viene "accompagnato" perchè tutto è già quello che è, appunto niente. Ossia non ente, non io.
( e si comprende meglio anche il passaggio citato)
Il nichilismo è invece qualcosa che crede che vi sia qualcosa dietro il fenomeno. Penso che il canone ha ragione.
In effetti per un metafisico come me, la posizione di Nietzche andrebbe indagata, riletta.
Non nel senso che Nietzche vi appartenga, perchè egli è un antimetafisico, nel suo discorso le parole del canone suonano sorde.
Torno a ripeterti!
Ma per chi è un ricercatore metafisico, ossia per chi fà della libertà del proprio punto di vista una ricerca interiore, e quindi legata all'antica religione, c'è da riflettere, per vedere se si riesce a gettare un ponte obliquo col maestro tedesco.
Per Nietzsche l'io viene negato per "non mettere più alcuna diga sulla fiumana della Volontà", per il buddhismFo invece l'io (di fatto) coincide con la volontà e quindi negare l'io è negare la volontà, ossia usando il tuo lessico "negare la Storia".
* * *
cit
"Per Nietzsche l'io viene negato per "non mettere più alcuna diga sulla fiumana della Volontà", per il buddhismo invece l'io (di fatto) coincide con la volontà e quindi negare l'io è negare la volontà, ossia usando il tuo lessico "negare la Storia"."
Certamente dobbiamo capire che entrambe le scuole come metodi diversi uno genealogico, l'altro metodico di rinuncia hanno in mente di attaccare le certezze del soggetto. Ossia del soggetto sociale.
Una volta indebolito il soggetto, emerge inevitabilmente che esiste un punto di vista. Lo chiamerei allora l'io, anche se tecnicamente è ancora il soggetto, ma ripulito del suo divenire storico per come dire
E questo in entrambe le scuole è una critica al mondano.
A quel punto si innestano le differenze radicali, su cui sono d'accordo.
Se è vero che l'io è semplicemente il riflesso del niente, allora anche quel residuo soggettivo deve essere negato, e arriviamo così al silenzio che tante echo ha anche nello zen e in quella forma del buddismo giapponese che è profondamente influenzato dal tao.
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cit
"La mia "fissazione" col soggetto deriva dal fatto che volenti o nolenti si deve partire proprio da lì, studiarlo bene, capirlo. Si deve "ammestrarlo", perfezionarlo. Una volta che si è raggiunto l'obbiettivo però credo che si debba lasciarlo andare per essere veramente liberi, così come una volta attraversato un fiume si lascia andare la zattera. Ergo la metafisica è importante proprio in questo senso: è grazie a lei che possiamo "distoglierci" dalla confusione "mondana" e iniziare il lungo viaggio con anche il necessario "timore e tremore". "
Sono d'accordo con questa visione. D'altronde la ritroviamo anche nella parte finale del Siddharta di Hesse.
La trovo saggia perchè appunto anche la metafisica deve diventare vita, e non monumento.
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cit
"Comunque in Dostoevskij personalmente trovo talvolta uno "spirito" un po' patologico"
Certamente la patologia fa parte del problema, ossia è quello che vede chi non riesce a scorgere il problema complessivo.
Ma è naturale per chi ha una mente scientifica, diciamo così.
In questo senso, pur sempre ritenendo che Nietzche non sarà mai un tuo autore, sicuramente è più vicino alla razionalità pura.
E di certo propedeutico se mai per una futura lettura del genio russo.
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cit
"La morale e l'etica non sono solo "bigottismo" e catene per l'uomo, ma lo valorizzano. Questo si è perso. La morale è un dovere che facciamo a noi stessi (quindi una sorta di "diritto" - coincidentia oppositorum)"
Il problema è la perdita del senso dell'utile per il soggetto come causa strumentale, in favore del rafforzamente del soggetto e del gregge, causa immanente o causale.
Quindi repetita iuvant.
Ma vedo che continui imperterrito a rimanere ottimista. Buon per te ma non a caso hai scritto dovere verso NOI STESSI, che è poi una contraddizione rispetto a quanto dice sia il Buddismo che Nietzche.
Ovviamente sono fiducioso sul fatto che le tue intenzioni sono buone, anche se di solito la coincidentia oppositorum, significa la cancellazione di uno dei 2 opponenti...non proprio la soluzione migliore per una futura coniuctio, congiunzione dei dissidi politici.
Ovviamente la concertazione sarebbe sempre gradita, ma anche lì si dice che quel tempo sia finito, che anche l'arte diplomatica sia un pò in crisi, e la globalizzazione è una sfida da far tremare i polsi, a livello geo-politico tra l'altro non vedo cosa possa fare il singolo, e neppure la filosofia. Almeno è discriminante sul valore delle persone di chi comunque lo vuole promuovere (diplomatismo).
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Stirner era uno degli autori più amati nel forum di filosofia ora deceduto di qualche anno fa su forumfree.
Provai a leggere l'introduzione, mi pare un cinico particolarmente intelligente. Di certo è da leggere (l'unico e la sua proprietà).
Non è esattamente il tipo di autore che preferisco, zero anima, zero metafisica.
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x kobayshi
Caro kobayashi purtroppo l'idiota lo lessi senza leggere la prefazione Einaudi, e quindi non riuscii a capire che il principe era cristo (tesi della prefazione).
E quando lo lessi, mi sembrò veramente di leggere le vicissitudini di un idiota, su cui veniva a galla il mondo femminile come un nodo ad un pettine.
Ossia lo lessi come un romanzo di psicologia femminile. Di livello eccelso ovviamente, perchè la lettura risultò così sardonica sino al fastidio fisico. In generale un romanzo che non ho amato.
cit
"Quindi uno dei suoi personaggi più evangelici è un materialista. Evidentemente non crede in Dio.
Che cosa significa?
Ipotesi: Dostoevskij partendo dalle preoccupazioni per le conseguenze sociali di un nichilismo del tipo "se Dio non esiste tutto è permesso" finisce per abbracciare, di nascosto, quasi inconsciamente, un'idea tipicamente cattolica: fare come se Dio esistesse (anche se non ci si crede più)."
Devo dire che questa tua ipotesi ha fatto emergere impressioni che ebbi ma che furono sotterrate, perchè non avevo ancora gli strumenti analitici di oggi, e forse nemmeno la sensibilità che quel romanzo richiede.
In effetti oggi ha susciato una echo immediata. Le vicende del principe sprovveduto, sono assolutamente quelle di chi si regge su una sorta di forza interiore incorruttibile, e col passare delle pagine ricordo come tutti i personaggi e io stesso curvavamo, ossia uscivamo dai canovacci del vivere civile, per addentrarci nella presunta stupidità del nostro.
La psicologia che emergeva era quella di un modo di mettere in crisi. Ossia di mettere in crisi il mondano, proprio come se Dio esistesse per davvero.
Una intuizione la tua che dunque trova un riverbero forte nelle mie impressioni.
In fin dei conti se il cristianesimo è questa idea dell'assuro, del aporetico, la sua impersonificazione letteraria più credibile non è forse quello del principe-cristo?
Ossia dell'esplorazione esterna con fede ingenua, ma probante di quanto le altre fedi siano in realtà fasulle.
Perchè vi è l'idea dell'andare nel mondo come vi è nel principe di dostoevski e come lo è nel Cristo(?) ora che ci penso.
In fin dei conti non è l'esplorazione esterna di fatto il vero viaggio? (mi perdonerai ma ho in mente i passaggi sulla "decisione" in chiave cacciariana come riportadi da blondet, che dovrebbero essere contenuti in "Geofilosofia dell'Europa").
In questo senso il cristianesimo di Dostoevsky è rivoluzionario?
* * *
x sari
cit
"Ma penetrare nel Cristianesimo di D. significa partire da una grande sofferenza e senza di quella non lo si comprende fino in fondo."
Eppure il Principe Myskin mi sembra di ricordare non aveva questa grande sofferenza, che nel tuo esempio è più di Rogozin.
https://www.youtube.com/watch?v=A65qgq6JmKA
Penso che questo monologo sia fuorviante. L'ingenuità (idiozia) del principe non si manifesta certo nelle sue idee.
Ma piuttosto nella scontro-incontro con gli altri personaggi, in cui egli ha sempre la peggio, in cui è evidente la sua incapacità di adattamento.Tale che le sue idee sembrano sempre idealiste, incapaci di risolversi storicamente.
Uno fuori posto ovunque lo metti. Ma fu interessante per me lo sviluppo psicologico degli altri persoaggi che avvicinandosi a lui piano piano prendono confidenza col suo modo di essere e di fare, e in qualche maniera si affezionano.
Credo che la riflessione dostoevskiana vada molto più in profondita delle tesi genealogiche sostenute nel monologo citato.
Riguarda in fin dei conti l'amore. E infatti quando lessi la prefazione rimasi interdetto. Poi non l'ho più ripreso.
Il mio mondo intellettuale e affettivo è comunque totalmente dentro le pagine dei Demoni.
In attesa di leggere i fratelli karamazov.
x garbino
Come dicevo a sari il monolo è fuorviante. (in effetti sembra una lezioncina)
Ti assicuro che dostoevsky si può leggere anche da atei.
Ma sarà un tuo piacere sommo quando verrà il momento che lo apprezzerai.
Come dicevo anche ad apeiron, la tematica della desogettivazione, è uno di quei filoni, che probabilmente si capiscono una volta spenti gli ardori della giovinezza. O quell'ardore positivo che caratterizza la giovinezza (ma che si trova anche in età adulta in molte persone, cosa positiva invero).
Per quanto riguarda Rilke invece è necessario essere credenti, lo trovo un indagatore degli abissi più remoti, anche quelli che Nietzche non ha osato (almeno per quello che ho letto finora) nemmeno avvicinarsi.
In generale un autore a cui non oso ancora avvicinarmi, tanto lo sento superiore.
Come per Apeiron invece mi sembra che anche tu preferisci la razionalità, di cui Nietzche è maestro.
E va bene così.
Grazie green! mediterò sulla risposta (secondo me hai un punto di vista molto originale sulla questione, d'altronde la filosofia Nietzscheiana può essere vista come qualcosa di "polimorfo", quindi è interessante leggere le altrui opinioni ;) )
Dici "Ovviamente sono fiducioso sul fatto che le tue intenzioni sono buone"
Lo spero ;D
X Garbino
Non so se ho capito bene...
Intendi dire che finiamo per proiettare ciò che noi siamo negli altri (o di interpretare gli altri con forme che appartengono a noi, alla nostra esistenza), per cui quando amiamo (o odiamo) l'altro, in realtà amiamo (o odiamo) ciò che riconosciamo (inconsciamente) di noi stessi in lui?
Un'altra cosa, volevo sentire il tuo punto di vista su una questione attinente Nietzsche (non ho letto tutti gli interventi di questo 3D, quindi può essere che l'abbiate già trattata).
Nel concetto di "volontà di potenza" non mi soddisfa molto l'utilizzo del termine "potenza", che è relazionale, e quindi rimanda sempre a un rapporto, tra chi è potente e chi non lo è. Non credo infatti abbia senso pensare di avere potere in assenza di qualcuno su cui esercitarlo. Ma essendo relazionale si finisce per portare con se' anche la parte antagonista. Lo stesso discorso vale per chi si definisce ateo (che definisce la propria identità partendo dalla negazione del suo opposto, l'uomo di fede).
Rimanere invischiato nel suo opposto non mi sembra coerente con la vitalità dell'oltre-uomo, che è affermativa, qualcosa che ha a che fare con la piena abbondanza, la creatività, con il piacere di costruire.
Perdere tempo con il potere (di qualunque tipo, politico, intellettuale, spirituale etc.), finire per essere coinvolto in qualcosa di simile alla dialettica servo-signore è, secondo me, una debolezza che l'oltre-uomo non si può permettere.
Penso non si tratti solo di un problema terminologico. C'è nei testi di N. un po' il gusto del dominio (vedi per esempio nel brano "Delle tre cose malvagie" dello Zarathustra la riabilitazione della "sete di dominio").
È, secondo me, un punto debole del suo pensiero che ha finito per creare infiniti fraintendimenti.
@Kobayashi forse ti possono essere d'aiuto questi passi scritti da Nietzsche sul concetto della Volontà di Potenza:
13.
I fisiologi dovrebbero riflettere prima di fare dell'istinto di conservazione un impulso cardinale di un essere organico. Un'entità vivente vuole prima di tutto liberare la propria forza ‑ la vita stessa è volontà di potenza ‑:
259.
Astenersi reciprocamente dall'offesa, dalla violenza, dallo sfruttamento, equiparare la propria volontà a quella degli altri: ciò può divenire in un certo qual rozzo modo una buona abitudine tra individui, ove ve ne siano le condizioni (cioè la loro effettiva omogeneità di forze e di valori e la loro appartenenza reciproca all'interno di un unico corpo). Non appena però si volesse prendere questo principio in senso più ampio e, se possibile, come principio fondamentale della società, esso si dimostrerebbe subito per ciò che è: volontà di negazione della vita, principio di dissoluzione e di decadenza. Occorre qui pensare in modo esaustivo al fondamento e rifiutarsi ad ogni debolezza sentimentale: la vita stessa è essenzialmente, appropriazione, violazione, sopruso su ciò che è estraneo e più debole, oppressione, durezza e imposizione delle proprie forme, annessione e perlomeno ‑ ed è il caso più benevolo ‑, sfruttamento, ma a che scopo bisognerebbe usare sempre proprio queste parole, sulle quali si è impressa sin dai tempi antichi un'intenzione diffamatoria?
Anche quel corpo, all'interno del quale, come prima abbiamo supposto, gli individui si trattano da uguali ‑ avviene in ogni sana aristocrazia ‑, deve esso stesso, nel caso esso sia un corpo vitale e non moribondo, fare contro altri corpi tutto ciò da cui gli individui che sono in lui si astengono dal fare reciprocamente: esso dovrà crescere per attrarre a sé, conquistare, vorrà prevalere, ‑ non a causa di una qualche moralità o immoralità, ma perché egli vive, e perché vita è appunto volontà di potenza. In nessun punto tuttavia la coscienza comune degli Europei è più ostile all'insegnamento di quanto non lo sia qui; oggi ci si entusiasma ovunque, addirittura sotto un travestimento scientifico, di condizioni future della società, dalle quali dovrà scomparire il «carattere di sfruttamento»: ‑ ciò suona alle mie orecchie come se si promettesse di inventare una vita che si trattenesse da ogni funzione organica.
Lo «sfruttamento» non appartiene a una società deteriorata o incompleta e primitiva: esso appartiene all'essenza stessa di ciò che è vivente, come organica funzione fondamentale essa è una conseguenza della caratteristica volontà di potenza, che è appunto la volontà della vita. ‑ Posto che questa sia nuova come teoria ‑ come realtà è il fatto originario di tutta la storia: si sia onesti verso se stessi fino a questo punto! ‑ (Al di là del Bene e del Male)
La "volontà di potenza" quindi non è neanche "relazionale", bensì (secondo Nietzsche) è il modo in cui la vita in quanto tale si afferma. In sostanza per Nietzsche la vita è conflitto e contesa e vivere in modo "autentico" significa (da come lo interpreto io, Garbino e green forse la pensano in modo differente) lasciare libera da ogni restrizione questa tendenza all'affermazione e al conflitto. Ma siccome questo conflitto causa sofferenza, Nietzsche ritiene che storicamente quasi tutti i filosofi precedenti hanno "ripudiato" il mondo pieno di conflitto, postulando l'esistenza di "un altro mondo" di calma e di pace. E per affermare questo "altro mondo" hanno imposto l'etica, la metafisica ecc in modo da "rinchiudere" questa volontà d'affermazione. Secondo Nietzsche il conflitto e la tendenza a dominare sono il modo naturale in cui la vita si manifesta. E dove gli indiani vedono la caduta proprio in questa conflittualità, Nietzsche vede l'affermazione della vita stessa.
Ed è proprio su questo che non sono d'accordo. Paradossalmente sono proprio la pace e la traquillità - secondo me - ad essere "spontanee" perchè la contesa è sempre una lotta, una tendenza a (e quindi c'è sempre un fine - anche se magari non c'è più nemmeno l'idea dell'"io" che interviene. Pura volontà di affermazione, nemmeno mediata da un "io" che vuole affermarsi). In sostanza tra il buddhismo e Nietzsche si ha un'opposizione enorme: per il buddhismo il risultato della liberazione dalle finzioni è pace, tranquillità, calma ecc, nel caso di Nietzsche invece conflitto, lotta, contesa... Il problema che tu vedi secondo me è il problema centrale di Nietzsche e il motivo per cui preferisco altre filosofie. Ad ogni modo anziché potenza puoi usare "espressione" - volontà di espressione - ma vedrai che il risultato in fin dei conti è quello!
In sostanza non ritengo vero che tolto il soggetto (e le altre finzioni) quello che rimane è la tendenza ad esprimere "qualcosa". Quello che rima è invece "la pace" in quanto questa tendenza cessa non appena non c'è più niente da esprimere. (Questo è il mio pensiero e il motivo per cui credo che Nietzsche abbia compiuto un "grosso" errore e purtroppo questo errore non è notato nemmeno da chi lo paragona alle "filosofie indiane". Dal punto di vista nietzscheiano ovviamente queste filosofie sono veramente "nichiliste" in quanto negano la volontà, la tendenza ad esprimere ecc ma credo (e qui ahimé ammetto che non ho basi davvero razionali per crederlo, ma solo "ragionevoli") che questo nulla sia qualcosa di relativo - ossia che negata la "tendenza" rimanga "qualcosa" ;) )
X Apeiron
Grazie del contributo, delle tue spiegazioni e dei brani di Nietzsche (molto pertinenti in merito alla questione che ho sollevato).
Mi chiedo ancora una cosa: quando N. parla della vita liberata dalle finzioni della morale, quando afferma quindi che è essenzialmente lotta, contesa, etc. dobbiamo pensare che stia parlando dell'esistenza dell'oltre-uomo? Cioè, dobbiamo pensare che l'oltre-uomo sia perfettamente sovrapponibile all'uomo liberato dalle falsità della morale platonico-cristiana? O c'è un piccolo scarto tra le due cose?
Quello che voglio dire è che accanto a parti della sua opera che farebbero pensare di sì – di sì alla sovrapposizione – ce ne sono altre in cui la crudeltà, la ferocia etc. sembrano essere piuttosto funzionali alla costruzione di un proprio regime di vita (e quindi dirette contro le debolezze del proprio io, al rischio di regressioni nel religioso), regime di vita in cui la vitalità, la creatività possano quindi essere espresse con pienezza.
Per essere ancora più esplicito: l'oltre-uomo è più simile a un guerriero aristocratico dell'antichità o all'uomo virtuoso del Rinascimento (di cui si trovano accenni negli ultimi testi)?
@Kobayashi l'oltre-uomo è colui che vede la realtà all'infuori delle illusioni, delle convenzioni, delle razionalizzazioni ecc. Siccome per N. la vera essenza della vita (almeno a livello psicologico ma secondo me lui è andato un po' oltre...) è la "volontà di potenza", allora l'oltre-uomo diviene una sorta di "centro" da dove questa "energia" si "irradia". L'oltre-uomo è colui che si esprime perciò "autenticamente" senza alcun "ostacolo". Da qui nasce a mio giudizio la confusione: perchè in genere anche il "santo" (in diverse tradizioni) è colui che vede la "realtà così come è", è spontaneo (nel senso che non ha più nessun "ostacolo") però non è uno che in genere può essere visto come uno che si "appropria". TUTTAVIA è anche interessante notare che in un certo senso anche questi "santi" sono guerrieri, ma solamente contro "il male" che è presente in loro stessi. Quindi sì c'è molta somiglianza, la lettura di N. certamente per certi versi è liberante ecc ma non riesce a darmi l'idea che quello sia il fine (né per me, né per nessun altro).
La questione che sollevi tu sullo "scarto" tra l'uomo comunemente inteso come "violento" e l'uomo che ha superato i propri difetti secondo me nasce appunto da questa sua "visione" di come è la "vera essenza della vita". Perchè è vero che tu puoi interpretare tutta la sua filosofia come una "lotta spirituale" (come fanno in realtà alcuni interpreti negando il lato "violento" della filosofia N.), però il fatto che il fine della sua filosofia è proprio la realizzazione della volontà di potenza (e quindi del conflitto ecc) fa sospettare che per N. è il conflitto il vero "sommo bene" (in quanto la negazione di esso è una illusione) rende possibile affermare che l'oltre-uomo per N. è proprio colui che "si afferma" e quindi simile sia al guerriero aristocratico che all'uomo virtuoso del Rinascimento - e infatti lui stesso tende a precisare come "artisti" e "guerrieri" sono appunto quelli più vicini all'idea dell'oltre-uomo. Volendo anche i "santi" sono anch'essi oltre-uomini (non dimentichiamoci che N. apprezzava in realtà anche Gesù e Buddha - nonché i "cristiani seri", ossia coloro che sono coerenti - nella Genealogia scrive: "tutto il rispetto per l'ideale ascetico onesto") però avendo rigettato ogni base universale dell'etica e nel contempo avendo posto come "vera realtà" l'affermazione (che può prendere diverse forme) N. secondo me è costretto ad apprezzare allo stesso modo gli artisti, i guerrieri, i santi ecc con tutte le conseguenze che ciò implica (d'altronde parliamo di un uomo che ammirava sia Buddha che Napoleone). Ergo non vedo nella filosofia di N. alcun indizio per cui ad esempio un artista come Beethoven è preferibile ad un uomo che "esprime" la sua "vitalità" nel combattimento (con tutte le problematiche che possono seguire da questo). Quindi rispondendo alla tua domanda direi che per N. l'oltre-uomo può essere benissimo entrambi gli esempi che tu porti ma non solo!
Ovviamente io non sono d'accordo con questa visione delle cose pur riconoscendo che ha dei suoi meriti visto che d'altronde i "santi", i "saggi" e i "virtuosi" spesso parlano di una "guerra spirituale". Le somiglianze ci sono, però questa "affermazione" (che di fatto è il "percorso" con cui diventano santi, virtuosi o saggi) in genere dai virtuosi non è vista come il fine, bensì come il mezzo. Per cui secondo me la "volontà di potenza" e la "morale" (religiosa o meno) devono collaborare per fare in modo che si "avanzi" nel percorso verso il raggiungimento del fine, ossia della "liberazione". Diciamo che per me N. ha scambiato il fine col mezzo, da qui appunto sorgono le ambiguità di cui tu parli. N. si è fermato appunto a vedere la "lotta" e non ha visto quello "che c'è oltre" (cosa che personalmente mi riesce estremamente difficile avendo per così dire "obbligato" me stesso a rimuovere ogni illusione... tra l'altro ho un conflitto interiore abbastanza forte in questo momento e di certo non "mi augurerei" che questo sia il fine. :( Ritengo che il fine sia qualcosa di simile alla "cessazione" di ogni conflitto e di ogni tendenza all'affermazione ossia qualcosa di simile al nirvana buddhista che mi sembra la più coerente descrizione di questo "stato", anche se in realtà sono pieno di perplessità e di dubbi anche su questo). Comunque la polimorfia del pensiero di N. la si vede anche nella diversità delle interpretazioni che anche in questo forum vengono fuori. E qualunque sia quella "giusta" credo che la migliore qualità di N. da ammirare sia la sua dedizione e perseveranza a "scoprire la realtà" e il suo impegno a "equilibrare la filosofia e la vita". Personalmente comunque tra i vari tipi di "conflitto" che ci sono l'unico che a mio giudizio per così dire è necessario è quello "interiore" (conflitto che ritengo estremamente difficile e in cui ahimé si può anche perdere :( )
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
X Green Demetr
Ho iniziato la lettura di alcuni racconti di Rilke e per il momento non ho trovato nulla di così abissale per cui tu non ti debba sentire all' altezza. Ma perché poi ci dovrebbe essere un autore che ti provoca questa sensazione? Proprio non lo capisco. Se mi dicessi di un grande filosofo, Aristotele o Platone, lo comprenderei, ma se mi citi un romanziere del secolo scorso come Rilke non ha proprio senso. Probabilmente dovrò passare alla sua opera più indicata come il suo capolavoro e cioè I Quaderni di Malte per venirne a capo. Comunque non ti svilire. Con la tua cultura nessuno ti può far sentire non all' altezza.
X Apeiron.
Bravo, va benissimo così. Mi compiaccio delle tue risposte a Kobayashy e le ritengo di un ottimo livello. Anche la scelta dei brani la ritengo ottimale. E penso che l' interessato possa trarne validi suggerimenti per i suoi dubbi e riflessioni.
Però vorrei puntualizzare alcune cose. Per quanto riguarda la stima di Nietzsche per Cristo e Buddha posso tranquillamente affermare che non sono d' accordo. Su Cristo basta leggere attentamente L' Anticristo ( in un punto come ho già detto lo definisce 'idiota' ) per ricredersi su questo aspetto. Mentre per quanto riguarda Buddha, le cose sono un po' più complesse. E mi spiego. E' vero che Nietzsche inquadra il Buddhismo come una morale positiva, ma sempre come l' unica risposta possibile ad uno stato di crisi. E come hai affermato rimane comunque una religione nichilista. E cioè che non affronta il problema delle cause ma risolve tutto nel non agire per non infierire su di una condizione di degrado fisico-biologico-psichico e di sofferenza. Il Nirvana per Nietzsche è la morte stessa dell' individuo anche se in quello stato la sofferenza determinata dalle sue sensazioni esterne non lo raggiunge più. Questo da profano. Mi sono soltanto riferito a ciò che Nietzsche scrive in diversi brani delle sue opere.
Altra puntualizzazione riguarda la domanda di Kobayashy su quale sia la tipologia di uomo più vicina all' oltreuomo. Nietzsche non afferma mai che una delle due sia la più vicina, altrimenti avremmo un metro di paragone su cui riflettere. Diciamo che entrambe le tipologia possono dare uno spunto, ma niente di più. E soltanto perché lui le ritiene categorie umane che possono essere in grado di generarlo, ma non di rappresentarlo. Non dimentichiamo il Capitolo dello Zarathustra in cui Nietzsche descrive le metamorfosi dello spirito per tornare fanciullo.
L' oltreuomo cioè può esserlo sempre prima in potenza, ma poi deve diventarlo. Deve diventare ciò che è, ma la strada è di un' asperità enorme. Le tre fasi: cammello leone fanciullo, di Delle Tre Metamorfosi, sono l' arduo cammino che aspettano l' oltreuomo in potenza per divenire tale. E' solo allora che potrà volgere le spalle al proprio passato, rinnegarlo pur amandolo, e grazie all' arte creare nuovi valori. Ed è perciò che ritengo molto difficile identificare un qualsiasi paragone che lo possa rappresentare. Lo stesso Nietzsche, ripeto, dichiara che l' uomo moderno lo definirebbe 'terribile'.
Naturalmente ci sono altre interpretazioni su cui, come tu stesso hai ipotizzato, non siamo d' accordo. Ma le ritengo superabili col tempo ed un sempre maggiore approfondimento del grande filosofo. Ti rinnovo i complimenti e continua così.
X Kobayashy
Ritengo che alla maggior parte delle tue domande tu abbia avuto risposte più che soddisfacenti. Ciò non toglie che tu possa avere ulteriori dubbi e perciò ti rassicuro sul fatto che siamo sempre qui.
Rimane invece da approfondire l' aspetto dell' amore. Quello che tu hai supposto è una delle possibili varianti a livello più superficiale dell' inconscio. Io mi riferisco a qualcosa di più profondo. A quel qualcosa che ci porta ad avere una certa cura di noi stessi ed a resistere a varie tendenze autolesionistiche che il vivere può comportare. E ciò, sempre a mio avviso, corrisponde ad un grado di armonia che non può dipendere da fattori ambientali o di crescita, ma che ha, o a me sembra avere, caratteristiche più profonde. Comunque, qualsiasi ne siano le cause o la provenienza, ho questa teoria che mi si presenta sempre davanti, e cioè che la nostra disponibilità ad amare e a porci positivamente sia già connaturata, e che la frase ama il prossimo tuo come te stesso sia in un certo senso tautologica, perché è già il nostro modo di porci.
Ringrazio per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Ciao Apeiron e Ciao Kobayashi.
Io purtroppo non ho continuato gli studi di Filosofia e sono rimasto emotivamente attaccato ad alcune convinzioni, ma anche a domande che purtroppo nell'opera di Nietzsche non trovano risposta.
Ad esempio, se dovessimo cercare di comprendere quale sia l'obbiettivo principale, il più importante, della razza umana, Nietszche non ci risponderebbe, lo vedrei tacere come uno degli idoli che lui vuole siano al crepuscolo. Innanzitutto suppongo che l'unica strategia per adattarsi all'ambiente degli esseri umani sia stata quella di creare gruppi più ampi e coesi. Ovvero suppongo che tali gruppi possano trovare successo adattivo tramite una divisione sociale del lavoro complessa, una solidarietà interindividuale sentita come motivazione di una morale trascendente, e una forma di collaborazione che a volte supera le motivazioni di sopravvivenza o realizzazione del singolo. E' vero però che la brama di potenza di alcuni individui motiva il gruppo ad armarsi in funzione di una difesa comune. Ed è altrettanto vero che alcuni individui possono trovare appagamento alla loro bramosia in modi narcisistici e non solidali all'interno di tale gruppo senza che tale gruppo perda completamente la sua coesione. Ma è vero anche che in presenza di una guerra il gruppo non si estende mai in numero, anzi solitamente decresce. Quindi non è affatto detto che tale volontà di potenza miri a selezionare dopo uno scontro gli individui socialmente più desiderabili, volitivi, forti o intelligenti o creativi. Purtroppo l'era moderna ci ha insegnato che la distruzione etnica, gli olocausti e le esplosioni nucleari e le devastazioni protratte contro l'ambiente non hanno come risultato la sopravvivenza dell'individuo più adatto o creativo o costruttivo e concreto, in quanto la distruzione agisce a caso.
Quindi Nietzche non mi dice come fare per evitare che lo scontro tra uomini non miri a eliminare le condizioni per un miglioramento delle capacità tecniche o culturali del gruppo di sopravvivere.
Abbandonando per un momento il discorso morale, e considerando la morale per un attimo come funzionale alla coesione del gruppo e della sua sopravvivenza, è difficile pensare ad esempio che il Nazismo avrebbe potuto "funzionare" come rivoluzione sociale. I nazisti uccidevano convinti che solo il loro gruppo potesse ereditare la terra. E tutto ciò aveva un non so che di metafisico.
Inoltre alcuni studiosi hanno supposto che tale bramosia di potere si possa esprimere in modi non distruttivi e comunque per certi versi eroici come lo sport, oppure una vita passata a salvare il prossimo (ospedali o vigili del fuoco, etc...)
E' vero che i sentimenti ed i rapporti o i giudizi morali per le persone sono viziati da proiezione ed è vero che odiamo nelle persone quanto non riconosciamo in noi stessi come morale. Ma esistono forme di amore che trascendono i meccanismi di proiezione. Quella del bambino per la madre o quella del poeta per la Natura... Inoltre il controllo razionale delle nostre emozioni non ci impedisce di limitare i danni sociali del nostro odio o della nostra distruttività. Posso odiare una persona fino a desiderarne la morte ma la società mi impone regole fondamentali per la sopravvivenza del gruppo e della sua coesione che mi sanzionerebbero se io imponessi il mio giudizio morale in modo illegittimo. La società umana viene tenuta coesa proprio da sentimenti che vengono stimolati dalla produzione di ormoni come l'ossitocina. L'ossitocina ha una funzione sociale prevalente. Però rende gli individui paranoici ed ostili verso altri individui considerati appartenenti ad altri gruppi. Nulla mi vieta però di cercare alleanze affinché il mio gruppo si allarghi. Nulla mi vieta di "ideare" e non "idealizzare" una società che mi permetta veramente di garantire una più concreta sopravvivenza proprio a coloro che implementano le possibilità di sopravvivenza del gruppo. Quindi è utile e non solo "giusto" che la volontà di potenza si schieri nella repressione o nel controllo di quanto possa essere sconveniente all'adattamento del gruppo ed alla creazione di gruppi sempre più allargati e funzionali alla sopravvivenza umana. La lotta dunque, la contesa e la volontà di potenza o di sfruttamento devono esprimersi in una audace intelligenza volta a risolvere o ridurre i problemi di adattamento del gruppo alla vita, e all'adattamento all'ambiente e persino oramai alla preservazione dell'ambiente. Questo io intendo per pienezza ed è una considerazione razionale che ispira il mio umanismo. Ma ciò che ancora di più lo ispira in un periodo ove i mezzi di comunicazione permettono possibilità di interazione quasi infinite è la possibilità sempre più efficace di creare opportunità del tutto pacifiche affinché più gruppi si scambino informazioni. L'umanità si è evoluta comunicandosi soluzioni a problemi. Lo scambio di tecnologia e soluzioni ha affrancato spesso gruppi in conflitto dalla necessità di una guerra. La promozione dello spirito collaborativo e solidale ha emarginato spesso proprio gli individui più violenti e meno appagati dalla volontà di proteggere l'intelligenza e la naturale predisposizione al confronto. Ci tengo a dire che non si tratta di pura e semplice morale democratica. Non sto dicendo che trovi innaturale la competizione politica che è spesso tenuta proprio da individui amanti della volontà di potenza, sto parlando del confronto cristallino tra persone motivate a risolvere problemi di prima necessità, in quanto tale confronto delimita il potere a contesti estranei alle loro necessità quotidiane. Ancora una volta il grande filosofo non mi aiuta. Certo, il suo disquisire torna vitale quando la società impone a volte con ipocrisia le idee cattoliche, Nietzche sembra un genio che togliamo dalla bottiglia proprio quando le persone che veicolano idee cattoliche non riescono a dimostrare che tali idee usate in modo dispotico non tolgano vitalità sia al confronto che alle possibilità di adattamento del gruppo. E quindi per dei brevi momenti pare che le persone più disgustate da questa ipocrisia vedano nella filosofia di N. una possibilità concreta di abbattere tutto ciò che rende meno vitali anche sul piano emotivo le relazioni tra le persone. Così per non dovere sottostare ad una morale dispotica, inibente, ipocrita, ecco che l'abuso, lo sfruttamento, il conflitto appaiono come liberatori. E' una terribile tentazione. E non v'è nulla di eroico. Proprio nulla. Ma chi scegliere? Il despota ipocrita o quello vitalista?
@Christian,
i temi di cui parli sono molto profondi e riguardano un livello sociale che vanno oltre la portata della filosofia di Nietzsche, anche se Nietzsche ha certamente scritto molto di filosofia politica e temi simili. Riguardo alla prima parte del tuo messaggio ritengo che - secondo me - l'a-moralismo nicciano in un contesto sociale crea veri e propri "disastri" in quanto non può dare alcun "giudizio morale" contro il "conflitto" (non si può dire che Nietzsche l'uomo approvasse tale conflitto, però è una cosa che segue dalla sua filosofia... Comunque è interessante notare che sia Nietzsche che Schopenhauer non si consideravano "l'espressione" della loro filosofia e Schopenhauer è stato "ignorato" anche per questo). Il che è piuttosto inquietante, se ci pensi: rimuovendo ogni "idolo" Nietzsche ha lasciato andare ogni restrizione e quindi ha lasciato tutto al "caso", come ben dici tu. Ah e "la legge del più adatto" nel contesto darwiniano è una mera tautologia nel senso che nel "darwinismo" le specie e gli individui mutano in continuazione e sopravvivono se riescono ad adattarsi alle condizioni (o se ovviamente le condizioni sono "favorevoli"), il che è tautologico. Però l'evoluzione darwiniana è cieca, irrazionale e quindi ai nostri occhi "sembra non avere senso". Dall'altro lato però la spinta all'evoluzione nasce dalla "tendenza a continuare a vivere" e quindi paradossalmente l'evoluzione ha un "fine". Il problema - Darwin ci dice - è che sia nel mondo animale che in quello umano le risorse sono limitate e gli individui desiderano risorse differenti e quindi di fatto il conflitto è inevitabile. La "vittoria" però non avviene in linea del tutto generica per l'individuo che "è più forte" o "più meritevole" in quanto possono sempre avvenire eventi accidentali a destabilizzare il tutto, ovvero a mutare le condizioni in modo che "il più forte" diviene il più debole. E questo lo si nota ovunque, nell'economia e nel mercato, nella "scalata sociale", nella politica ecc: tutti sono in competizione e il risultato della competizione talvolta pare casuale anche se - secondo me - se uno analizza bene "le condizioni ambientali" la componente "arbitraria" si riduce moltissimo. E in questa componente "arbitraria" ci sono le decisioni individuali ecc. Dunque "promuovere il conflitto" secondo me è promuovere una cosa che è una dolorosa necessità nel mondo animale (dove non ci si può far niente) e una cosa evitabile nel mondo umano (visto che, in fin dei conti il "vincitore" spesso è frutto del Caso, inteso come il risultato di "meccanismi" indipendenti dagli "agenti decisionali"). Nietzsche non parlerebbe mai di "fine ultimo" perchè è ben consapevole di questo Caso. E qui ci sta tutta l'incompletezza del pensiero nicciano: nessuno si può davvero "accontentare" di questo "Caso". Ergo a mio giudizio si reintroducono le cose che Nietzsche disprezzava, moralità e metafisica su tutte, proprio per riuscire ad "orientarsi" nel Caso (e ovviamente si deve anche ritenere che "parlino" di qualcosa di "reale", altrimenti non si è usciti dalla "crisi nicciana").
Riguardo alla seconda parte del tuo contributo... Riguardo al resto concordo con te che la "volontà di potenza" non è da "buttare via in blocco" perchè in fin dei conti è questa "vitalità" che ci fa vivere. Come ho già detto la volontà di potenza può ad esempio essere utile perfino a promuovere l'altruismo, la "lotta interiore", ovvero proprio i "valori nobili" comunemente intesi. Ergo l'approccio nicciano giustamente ci fa notare l'ipocrisia dell'imposizione di "valori" che "soffocano" la vita, ma al contempo si "dimentica" che è proprio grazie a questi valori che la vita raggiunge la sua "pienezza" (non a caso molti valori sono condivisi nel cristianesimo, nell'induismo, nel buddhismo, nel daoismo ecc ecc) e la sua "massima espressione". E anche se ti sembrerò forse troppo "individualista" ritengo che quello che manca nel nostro occidente è proprio una "sana" tendenza all'auto-dominio, all'essere "timorosi" ("timore e tremore"), all'essere "passivi", "ricettivi", "calmi" ecc e che il "pensiero positivo" di oggi sia una sorta di errore che nasce dal non voler vedere i problemi che abbiamo nella nostra interiorità. Curiosamente nella Chiesa Cattolica dove la religione era "sentita" (NON nel senso del fanatismo, nell'altro più nobile senso...) c'era questo lavoro su sé stessi. Dove però la meta-fisica, l'etica, la trascendenza ecc non erano e non sono sentite questo lavoro su sé stessi non viene fatto. Sarà un caso? ::) ovviamente secondo me, non lo è. Riguardo all'umanesimo c'è lo stesso problema: aver tolto la "base" della moralità si passa facilmente dal bigottismo/ipocrisia al "caos vitalistico" e l'uomo per vivere una vita autentica non ha bisogno di nessuno dei due estremi, ma della "via di mezzo" ;D
Aggiunta: ovviamente se dico che questi valori sono "realtà", intendo che almeno si riferiscono "indirettamente" a qualcosa di "reale". Non sono meri castelli d'aria. Se credessi che fossero "meri concetti" sarei ovviamente d'accordo con Nietzsche. E sono d'accordo con Nietzsche fino a quando la morale/etica non viene pensata come qualcosa di "vissuto liberamente", "liberamente scelto" ovvero quando l'etica/morale
non viene "sentita da dentro", ovvero quando diventa qualcosa di "veramente reale" e non "detto/imposti da altri". Quando invece l'etica/morale (e anche la meta-fisica) sono viste come "realtà" (in un certo senso) credo che la filosofia di Nietzsche venga, per così dire, trascesa. [Però credo anche che per certi individui l'unico modo di farli "rigare dritto" - ovvero per non farli diventare dei pericoli - sia proprio quello di imporre la moralità. Ergo tutti questi discorsi in fin dei conti nella realtà quotidiana devono essere fatti con moltissima attenzione] [Ad ogni modo credo di avere una forte affinità per la parte "meta-fisica" della filosofia di Platone. Più precisamente ritengo che i "valori etici", la matematica ecc siano veramente qualcosa che si riferiscono a qualcosa di "reale", oltre i fenomeni e che non siano "meri concetti" della mente umana. Quindi il mio punto di vista è molto peculiare ed estrememente poco popolare e condiziona la mia lettura della questione ;) ]
P.S. Personalmente ritengo ad esempio che la "cristianità" (almeno in alcune sue forme) è molto più ricca e più "vitale" di quella criticata da Nietzsche. In essa ci sono molte cose che si tendono a non vedere per una sorta di "paura della religione". Però chiaramente se si è contrari ad ogni tipo di "trascendenza" a-priori non si possono apprezzare.
EDIT: [credo che usare la parola "metafisico" sul discorso del nazismo sia fuorviante. Più precisamente è vero che ci hanno fatto una "metafisica" e un "occultismo" sopra, però d'altro canto temi come "il conflitto", la "lotta", la (loro) eugenetica ecc erano state "ispirate" (ovviamente in modo distorto*) dalla funesta interpretazione del darwinismo unita all'altrettanto funesto spirito nazionalistico che andava di moda dalla seconda metà dell'ottocento... secondo su questa faccenda l'esoterismo e l'occultismo hanno inciso molto meno delle idee che ormai erano presenti in tutta Europa da più di un secolo.
*distorto perchè chiaramente nel regno animale (dove il darwinismo ha più validità) ovviamente le specie viventi non lottano tra di loro per imporsi sulle altre ma semplicemente per "vivere". La violenza e il conflitto nascono per una dolorosa necessità e non certo perchè le specie animali hanno il concetto di "razza", "superiorità" in quanto nel mondo animale non si formano questi concetti ecc]
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Per prima cosa non posso sorvolare sul fatto che oggi è l' otto Marzo e quindi esprimo un grande augurio a tutte le donne.
Devo sinceramente confessare che la lettura de La Volontà di potenza (frammenti postumi ordinati da Peter Gast e la sorella Elisabeth) mi sta impegnando a fondo, e quando mi siedo per scrivere un post mi ritrovo quasi sempre la testa vuota.
Ho tralasciato di rispondere all' ultimo argomento dal momento che lo considero irrilevante. Infatti non credo che possa essere importante stabilire l' utilità o il danno di qualsiasi messaggio filosofico dal momento che è un argomento che non fa testo. Se poi aggiungiamo che l' argomento aveva una caratteristica personale e non generale, la possibilità di interesse si riduce ancora di più. Forse sarebbe interessante fare uno studio sul modo in cui ciascun filosofo è stato ritenuto utile o dannoso nel corso della Storia, ma lo ritengo un argomento molto complesso da trattare. Anche perché in ogni periodo ciascun filosofo è stato interpretato diversamente, e come ad esempio accade ancora con Nietzsche anche nello stesso periodo. Ma questa è una sorte che si ripete e si è ripetuta per tutti i grandi. E che continua ancora oggi sicuramente per Socrate, Platone ed Aristotele.
La mia opinione comunque è che l' importanza di un filosofo, come la sua utilità in senso generale, non dovrebbe basarsi sull' utilità o il danno che può provocare su un individuo o su di un intero periodo storico, ma proprio su quanto il filosofo abbia contribuito alla conoscenza.
La conoscenza. Filosofia: Amore per la conoscenza. Eppure sembra incredibile che uno degli argomenti più profondi svelati da Nietzsche riguarda proprio la conoscenza. Il dramma e la tragedia che contornano la conoscenza. Non dimentichiamo infatti che proprio la sua affermazione che non è possibile la conoscenza in un mondo che diviene è al tempo stesso una delle affermazioni filosofiche più importanti. Una delle affermazioni più geniali e al tempo stesso, paradossalmente, uno dei più grandi contributi alla conoscenza stessa.
Grazie per la cortese attenzione
Garbino Vento di Tempesta.
Citazione di: Garbino il 08 Marzo 2018, 20:27:10 PM
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Per prima cosa non posso sorvolare sul fatto che oggi è l' otto Marzo e quindi esprimo un grande augurio a tutte le donne.
Devo sinceramente confessare che la lettura de La Volontà di potenza (frammenti postumi ordinati da Peter Gast e la sorella Elisabeth) mi sta impegnando a fondo, e quando mi siedo per scrivere un post mi ritrovo quasi sempre la testa vuota.
Ho tralasciato di rispondere all' ultimo argomento dal momento che lo considero irrilevante. Infatti non credo che possa essere importante stabilire l' utilità o il danno di qualsiasi messaggio filosofico dal momento che è un argomento che non fa testo. Se poi aggiungiamo che l' argomento aveva una caratteristica personale e non generale, la possibilità di interesse si riduce ancora di più. Forse sarebbe interessante fare uno studio sul modo in cui ciascun filosofo è stato ritenuto utile o dannoso nel corso della Storia, ma lo ritengo un argomento molto complesso da trattare. Anche perché in ogni periodo ciascun filosofo è stato interpretato diversamente, e come ad esempio accade ancora con Nietzsche anche nello stesso periodo. Ma questa è una sorte che si ripete e si è ripetuta per tutti i grandi. E che continua ancora oggi sicuramente per Socrate, Platone ed Aristotele.
La mia opinione comunque è che l' importanza di un filosofo, come la sua utilità in senso generale, non dovrebbe basarsi sull' utilità o il danno che può provocare su un individuo o su di un intero periodo storico, ma proprio su quanto il filosofo abbia contribuito alla conoscenza.
La conoscenza. Filosofia: Amore per la conoscenza. Eppure sembra incredibile che uno degli argomenti più profondi svelati da Nietzsche riguarda proprio la conoscenza. Il dramma e la tragedia che contornano la conoscenza. Non dimentichiamo infatti che proprio la sua affermazione che non è possibile la conoscenza in un mondo che diviene è al tempo stesso una delle affermazioni filosofiche più importanti. Una delle affermazioni più geniali e al tempo stesso, paradossalmente, uno dei più grandi contributi alla conoscenza stessa.
Grazie per la cortese attenzione
Garbino Vento di Tempesta.
Ciao Garbino, felice di sentire che sei ancora al lavoro sul nostro.
Penso che questo contributo non sia minimamente capito dalla scienza moderna.
Che continua imperterrita a definirsi astorica. Denotazione e già mai Connotazione.
A informare dei fatti, e non sui fatti.
Salve. Per Christian: ......"Ad esempio, se dovessimo cercare di comprendere quale sia l'obbiettivo principale, il più importante, della razza umana, Nietszche non ci risponderebbe, lo vedrei tacere come uno degli idoli che lui vuole siano al crepuscolo".....
La razza umana può credere di aver un obiettivo oppure porselo, ma ciò non ha nulla a che vedere con lo scopo e l'effetto della sua esistenza.
I quali consistono semplicemente nella propria perpetuazione. Scopo ovviamente comune a quella della vita biologica, e riflesso della naturale tendenza alla persistenza (attraverso la diversificazione) del mondo intero.
Purtroppo i filosofi e gli ideologi dell'età moderna, quando trattano dell'uomo, si occupano soprattuttodelle sue speranze e velleità, trascurando un pò troppo l'ambiente extraumano in cui noi siamo inseriti.
Per Viator. Ridurre il fine dell'umanita' alla sua riproduzione biologica e' specularmente lo stesso errore di chi non considera la biologia come precondizione di ogni etica o filosofia pratica. Non siamo solo anima ma non siamo neppure solo rozzo corpo affamato e preda di impulsi biologici. Tra l'altro questa visione, ben lungi da essere veritiera e' un tentativo ormai vecchio di almeno 150 anni di giustificare la prepotenza umana e la soppressione o lo sfruttamento dei piu' deboli.
Citazione di: viator il 24 Marzo 2018, 15:45:21 PM
Salve. Per Christian: ......"Ad esempio, se dovessimo cercare di comprendere quale sia l'obbiettivo principale, il più importante, della razza umana, Nietszche non ci risponderebbe, lo vedrei tacere come uno degli idoli che lui vuole siano al crepuscolo".....
La razza umana può credere di aver un obiettivo oppure porselo, ma ciò non ha nulla a che vedere con lo scopo e l'effetto della sua esistenza.
I quali consistono semplicemente nella propria perpetuazione. Scopo ovviamente comune a quella della vita biologica, e riflesso della naturale tendenza alla persistenza (attraverso la diversificazione) del mondo intero.
Purtroppo i filosofi e gli ideologi dell'età moderna, quando trattano dell'uomo, si occupano soprattuttodelle sue speranze e velleità, trascurando un pò troppo l'ambiente extraumano in cui noi siamo inseriti.
Non ricordo se avevo risposto a Christian, comunque nel caso non l'avessi fatto, ribadisco che Nietzche ha risposto e a lungo visto la mole imponente degli scritti. (io ne ho letta solo una minima parte, e faccio fatica a far fronte a tutte le intuizioni che esso ci ha lasciato).
Viator, ma la visione che proponi è quella di schopenauer, che come sai fu il maestro riconosciuto da Nietzche!
Inoltre il problema dell'extraumano viene posto da Nietzche, almeno il Nietzche maturo, fin da subito, quando parla, in particolare, del problema gerarchico della natura.
Non è solo la questione dell'essere usati per procreare, ma anche quello del pesce piccolo che mangia il pesce più grande, in soldoni, e frettolosamente.
(in realtà la visione di Nietzche è di ben altra corposità, ma non mi sembra tu mi abbia seguito finora).
Quindi insomma sono abbastanza d'accordo, ma più Ni, che Sì.
Citazione di: Jacopus il 24 Marzo 2018, 17:22:47 PM
Per Viator. Ridurre il fine dell'umanita' alla sua riproduzione biologica e' specularmente lo stesso errore di chi non considera la biologia come precondizione di ogni etica o filosofia pratica. Non siamo solo anima ma non siamo neppure solo rozzo corpo affamato e preda di impulsi biologici. Tra l'altro questa visione, ben lungi da essere veritiera e' un tentativo ormai vecchio di almeno 150 anni di giustificare la prepotenza umana e la soppressione o lo sfruttamento dei piu' deboli.
Indubbiamente serve del lavoro, lavoro intellettuale per affrotare entrambi i problemi, ma non mi sembra utile liquindarli solo perchè vecchi.
A me paiono entrambi attuali. D'altronde sono molto d'accordo sul mettere l'accento più sulla violenza che sull'impassibilità della natura, in ogni futura discussione.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Questa è la settimana pasquale e colgo l' occasione per augurare a tutti una Felice Pasqua, dovunque siate o andiate.
Inoltre ho un' informazione che piacerà a tutti gli appassionati di Nietzsche: è finalmente uscita una versione economica del 'Nietzsche' di Heidegger, sempre dell' Adelphi mi sembra (ma ha poca importanza l' editore), al costo di £ 28,00. Io ne ho già richiesta una copia e spero di averla al più presto.
Avevo scelto diversi brani del testo La volontà di potenza ( curata da Gast e dalla sorella Elizabeth ), ma preferisco soprassedere per affrontare l' argomento avviato da Viator e poi ripreso da Eutidemo e su cui è intervenuto Green. Questa è la mia opinione.
La frase presa in esame è sicuramente non corretta. E' ovvio che non si può parlare di un' unica razza umana ma di specie. Ma sarebbe stato ancora più indicato parlare di obiettivo principale dell' uomo ( ma specie umana sarebbe stato ugualmente accettabile ). Anche il termine obiettivo nel senso di scopo o di senso non è proprio il massimo. Comunque, sempre a mio avviso, restringe il campo tra la scelta che si ci dà o che ci è stata imposta da altri e non dovrebbe essere inteso o interpretato come qualcosa di innato.
Ed infatti ciò che segue sembra confermarlo perché Christiane ci dice che vedrebbe tacere Nietzsche come uno degli idoli che lui vuole siano al crepuscolo.... Questa naturalmente è quello che pensa lui e del resto tutto l' intervento è una critica a Nietzsche anche se sembra provenire da qualcuno che di Nietzsche ha letto poco o fa finta di aver letto poco.
Quello che affermerebbe Nietzsche, sempre a mia opinione, è che qualsiasi scopo, principale o non, e che per esso segue determinati obiettivi è sempre il frutto della menzogna. E che qualsiasi senso o scopo che si ponga degli obiettivi non è automaticamente negativo, né del resto positivo. Ciò che conta, come ho affermato più volte, è se questo scopo o senso è favorevole o contrario alla vita. Nel primo caso sarà positivo nel secondo caso negativo, in entrambe i casi nonostante la menzogna.
A Jacopus invece vorrei controbattere che, sempre a mio avviso, il suo punto di vista non è assolutamente scontato. E che le cause del domino dell' uomo sulla natura e sugli altri uomini ha radici ben più profonde e che risalgono molto più in là nel tempo. Ciò che è cambiato sono gli effetti. Le macchine, e tutto ciò che ad esse è collegato, hanno ormai un potere devastante. E l' uomo le usa, come le ha da molto tempo usate, trascurando completamente i loro effetti. E molte volte con la buona coscienza di fare il meglio per l' umanità.
Ma come Nietzsche afferma più volte, il massimo errore dell' uomo è di aver sbagliato come umanità.
X Green.
Mio caro Green, gli scienziati che parlano di astoricità non sanno neanche di cosa parlano. Il loro limite è quello di essere avvinghiati alla Matematica e perciò incapaci di studiare qualcosa in divenire. E così si definiscono astorici. Ma questo termine indica colui che abbraccia intere epoche senza cadere nelle trappole temporali. Valutando ogni epoca proprio in modo diveniente. E questa peculiarità può appartenere soltanto al genio filosofico.
Grazie per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Non so perché, ma continuo a rimanere affascinato da come quasi tutti ( se non tutti ) i filosofi ed i pensatori ( come noi ci definiamo ) continuino, anzi perseverino in un tragico e fatale errore. E questo errore non è soltanto il ritenere l' uomo come metro di tutte le cose, ma soprattutto deformare questa interpretazione sempre più ritenendo l' uomo genericamente inteso come una copia di sé stessi. E perciò tutti i ragionamenti, argomenti, teorie, ipotesi e deduzioni sono fatalmente false. Menzognere, a volte volutamente menzognere. Se non ci si rende conto, malgrado l' appiattimento sociale, culturale e morale, che ciascun uomo si adatta alla vita in base alla sua radice genetica, saremo ancora qui a parlare e a discutere di nulla per altri mille anni.
Nietzsche lo ha specificato più volte ( ma chi è che lo legge veramente? ) che l' errore basilare dell' uomo è la mancanza di una prospettiva ampia. Che ciascun individuo, come rilevò anche Heidegger, vede il mondo da una certa prospettiva, e che non tenere ciò in considerazione, e ne ha veramente una specificità abissale, significa sempre prendere lucciole per lanterne. Che un ragionamento morale o etico che affermi che l' uomo è così e così e che dovrebbe essere così e così, non è solo fallace ma un' autentica critica al tutto. Il tutto che non è che la determinazione di un momento storico dipendente da tutte le parti che lo compongono ed interagiscono, e che non può essere diverso da com' è, uomo compreso.
Naturalmente l' argomento andrebbe approfondito, ma per il momento mi fermo qui in attesa di eventuali critiche.
Adesso riporterò la Prefazione che Nietzsche aveva preparato per una eventuale pubblicazione dell' opera La volontà di potenza e che si trova a pag. 3. E la riporto nella speranza di stendere una parola definitiva sulla confusione che si ha su Nietzsche nei riguardi del Nichilismo. La considerazione principale è che lui non è nichilista e non è la causa del NIchilismo. Lui è soltanto colui che rileva questo fenomeno e che ne prevede una sempre maggiore crescita.
Prefazione. Par 2:
Ciò che racconto è la storia dei prossimi due secoli. Io descrivo ciò che viene, ciò che non può più venire in altro modo: l' insorgere del nichilismo. Questa storia può essere narrata già ora: perché qui è all' opera la stessa necessità. Un tale avvenire parla già per cento segni, questo destino si annuncia ovunque: già tutte le orecchie sono tese per questa musica dell' avvenire. Tutta la nostra cultura europea si muove già da gran tempo con un tormento e una tensione che cresce di decennio in decennio, come si tendesse ad una catastrofe: inquieta, violenta, impetuosa: come una corrente che vuol giungere alla fine, che non riflette più, che ha paura di riflettere.
Premettendo che il terzo e il quarto paragrafo li riporterò nel prossimo post, volevo sottolineare che qui non esiste qualcuno che crea, o che auspica un certo tipo di fenomeno legato all' avvenire come il Nichilismo. Lo si prevede. Ne si certifica i sintomi che sono già evidenti nella sua contemporaneità.
Ringrazio per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Citazione di: Garbino il 29 Aprile 2018, 08:48:25 AM
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
Non so perché, ma continuo a rimanere affascinato da come quasi tutti ( se non tutti ) i filosofi ed i pensatori ( come noi ci definiamo ) continuino, anzi perseverino in un tragico e fatale errore. E questo errore non è soltanto il ritenere l' uomo come metro di tutte le cose, ma soprattutto deformare questa interpretazione sempre più ritenendo l' uomo genericamente inteso come una copia di sé stessi. E perciò tutti i ragionamenti, argomenti, teorie, ipotesi e deduzioni sono fatalmente false. Menzognere, a volte volutamente menzognere. Se non ci si rende conto, malgrado l' appiattimento sociale, culturale e morale, che ciascun uomo si adatta alla vita in base alla sua radice genetica, saremo ancora qui a parlare e a discutere di nulla per altri mille anni.
Nietzsche lo ha specificato più volte ( ma chi è che lo legge veramente? ) che l' errore basilare dell' uomo è la mancanza di una prospettiva ampia. Che ciascun individuo, come rilevò anche Heidegger, vede il mondo da una certa prospettiva, e che non tenere ciò in considerazione, e ne ha veramente una specificità abissale, significa sempre prendere lucciole per lanterne. Che un ragionamento morale o etico che affermi che l' uomo è così e così e che dovrebbe essere così e così, non è solo fallace ma un' autentica critica al tutto. Il tutto che non è che la determinazione di un momento storico dipendente da tutte le parti che lo compongono ed interagiscono, e che non può essere diverso da com' è, uomo compreso.
Naturalmente l' argomento andrebbe approfondito, ma per il momento mi fermo qui in attesa di eventuali critiche.
Adesso riporterò la Prefazione che Nietzsche aveva preparato per una eventuale pubblicazione dell' opera La volontà di potenza e che si trova a pag. 3. E la riporto nella speranza di stendere una parola definitiva sulla confusione che si ha su Nietzsche nei riguardi del Nichilismo. La considerazione principale è che lui non è nichilista e non è la causa del NIchilismo. Lui è soltanto colui che rileva questo fenomeno e che ne prevede una sempre maggiore crescita.
Prefazione. Par 2:
Ciò che racconto è la storia dei prossimi due secoli. Io descrivo ciò che viene, ciò che non può più venire in altro modo: l' insorgere del nichilismo. Questa storia può essere narrata già ora: perché qui è all' opera la stessa necessità. Un tale avvenire parla già per cento segni, questo destino si annuncia ovunque: già tutte le orecchie sono tese per questa musica dell' avvenire. Tutta la nostra cultura europea si muove già da gran tempo con un tormento e una tensione che cresce di decennio in decennio, come si tendesse ad una catastrofe: inquieta, violenta, impetuosa: come una corrente che vuol giungere alla fine, che non riflette più, che ha paura di riflettere.
Premettendo che il terzo e il quarto paragrafo li riporterò nel prossimo post, volevo sottolineare che qui non esiste qualcuno che crea, o che auspica un certo tipo di fenomeno legato all' avvenire come il Nichilismo. Lo si prevede. Ne si certifica i sintomi che sono già evidenti nella sua contemporaneità.
Ringrazio per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
La mia non è una vera e propria critica, in quanto sono ampiamente d'accordo.
Ribadisco che però rispetto a te e Maral, non credo che il soggetto si determini su basi evoluzinostiche e tantomeno, anzi meno che mai su basi genetiche.
Ma questo non cambia che il soggetto, e il discorso sul soggetto, dipendano largamente dalle situazioni storiche e sociali in cui ogni uomo si trova.
Dipende sostanzialmente dalle politiche.
La grande illusione ovviamente è quella di credere che si possa fare politica secondo le proprie idee, quando invece prima bisogna intendere, con la genealogia, quali sono le idee che ci informano e ci guidano, come esse si sono date nella storia, quale sia la loro validità.
E anche allora, saremo comunque dentro alle pratiche del Mondo, senza mai una vera libertà di giudizio.
Ogni politica è dunque se sinceramente pensata, scontro, guerra.
Tutti temi assolutamente attuali, e che informano il delirio personale della filosofia.
A mio avviso Nietzche idea una filosofia che vada oltre se stessa, che superi le sue fantasie coercitive, per affrontare i grandi temi del nichilismo e della gerarchia naturale.
Purtroppo all'altezza dei tempi contemporanei, noi non siamo in grado di adempire ad una sola delle grande sfide nicciane.
Siamo ancora alle genealogie: certo abbiamo partorito il grande tema della teologia politica.
Ma mentre la studio, capisco, che invece che liberarcene, la filosofia ne è rimasta impietrita, e tenta di combatterla.
Ma combattere la teologia politica, significa ribadirla. Roba da donnette che fanno calzamaglia: manca il vigore, manca il coraggio.
In Nietzche invece il coraggio e il vigore non mancano mai.
Persino nei momenti più buj, quelli della belva bionda, per intenderci, noi non possiamo non trovarci il disperato bisogno di combattere una malattia.
Disperata lotta (io sono la goccia che testimonia della tempesta, e come goccia destinato a cadere) che nei momenti lucidi, tanti, tantissimi, sconfinati per i tempi contemporanei, diviene canto accorato, profezia, ma anche traccia, l'intera sua filosofia è una lotta alla paranoia, e il suo futuro è la comunità degli amici, di chi salpa per il mare del nichilismo, inesplorato.
La via di Nietzche è la via della metamorfosi.
Heidegger invece è l'accompagnatore, quello che ci porta, con altrettanta perizia, al porto per salpare sul mare del nichilismo.
Nelle sue ultime opere, ancora da pubblicare, egli prova a salpare (ma in attesa che vengano pubblicate, sempre che lo si farà con noi in vita) le opere precedenti, non arrivano che sul sentiero che porta al port.
Heidegger non è all'altezza di Nietzche.
E questo è tutto un dire.
Perchè Heidegger è il filosofo maggiore del novecento.
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
X Green.
Anch' io condivido molto di quello che hai affermato nella tua risposta ( soprattutto che uno dei temi principali di Nietzsche è che la sua via è la via delle Metamorfosi, e aggiungo: una via impervia e per altro completamente o quasi trascurata da molti ).
Sono d' accordo anche su Heidegger, di cui finalmente sono entrato in possesso dell' opera Nietzsche. Per altro più estesa della versione più costosa e con argomentazioni tutte da capire e verificare, almeno per me.
Per il resto invece non riesco a seguirti. Poco male, penso che siano argomenti che necessiterebbero di una lunga discussione per chiarire le basi da sui parte o si intende partire.
A questo punto riporto il terzo e il quarto paragrafo della Prefazione de: La volontà di potenza, come avevo promesso:
par. 3: Chi prende qui la parola, viceversa, sinora non ha fatto altro che riflettere: come filosofo ed eremita per istinto, che trovò vantaggio nell' appartarsi, nel restar fuori, nella pazienza, nell' indugio, nel ritardare, come uno spirito audace, indagatore e tentatore che già si è smarrito in ogni labirinto dell' avvenire; come un uccello profeta, che guarda indietro mentre narra ciò che avverrà, come il primo nichilista compiuto d' Europa, che ha già vissuto in sé il nichilismo fino alla fine - e ha il nichilismo dietro di sé, sotto di sé, fuori di sé.
par. 4: Onde non si fraintenda il senso del titolo con cui voglio che sia chiamato questo Vangelo dell' avvenire: "La volontà di potenza. Saggio di una trasvalutazione di tutti i valori" - con questa formula è espresso un contromovimento, rispetto al principio e al compito; un movimento che in un qualche futuro risolverà quel nichilismo compiuto, che però lo presuppone, logicamente e psicologicamente; e che assolutamente non può venire se non dopo dopo il nichilismo e dal nichilismo. Infatti, perché è ormai necessario l' insorgere del nichilismo? Perché sono gli stessi valori che abbiamo avuto finora a trarne le loro ultime conseguenze; perché il nichilismo è la logica, pensata sino alla fine, dei nostri grandi valori e ideali: perché dobbiamo prima vivere il nichilismo per giungere ad intendere cosa fu veramente il valore di questi valori..... In qualche modo abbiamo necessità di nuovi valori.
La chiave di tutto è la frase: che ha il nichilismo dietro di sé, sotto di sé, ( ma soprattutto - aggiungo ) fuori di sé.
Ringrazio per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
La "lievità" nietscheana
La "lievità" di Nietzsche è un concetto noto anche ai pedagogisti come ipotesi educativa. Negli anni '80 m' interessò un' interpretazione proposta da studiosi cone G. M. Bertin, G. Deleuze, il germanista C. Magris, ecc. sull'"Oltre uomo", sia pure con aspetti allora problematici e paradossali. Oggi non più tali, essendo riconosciuto Nietzsche possibile educatore e imprescindibile per la cultura del '900 e oltre.
La "demonicità" nell'ottica di Nietzsche assume il significato della volontà di donare ( o di "potenza" correttamente interpretata) in una visione di lievità non intesa come superficialità e leggerezza, ma come antitesi alla pesantezza dei dogmi e della retorica degli eterni "valori" di una massa opportunista e volgare, passivamene integrata in una civiltà produttivo-consumistica, competitiva ,tecnologica.
L'uomo del "lieve" è in divenire superando anche se stesso ove opportuno, in un altruismo anticonvenzionale, perchè non avrebbe senso donare mediocrità e infelicità personale. Interagisce con l'altro per un arricchimento reciproco. I suoi valori sono contemplazione, ozio e solitudine proficui, in ampia accezione e profondamente meditativi.
Pur non ignorando le sue suggestioni estetiche, mistiche e antidemocrtiche, a volte anche con interpretazioni di comodo. Nietzsche nichilista costruttivo e riformatore viene oggi interpretato come costruttore di una civiltà alternativa, dove "l'uomo che oggi non sa vivere vivrà nel modo migliore". Abbozzo dell'uomo del futuro: l'"oltreuomo"
Citazione di: sileno il 18 Maggio 2018, 07:55:17 AM
La "lievità" nietscheana
La "lievità" di Nietzsche è un concetto noto anche ai pedagogisti come ipotesi educativa. Negli anni '80 m' interessò un' interpretazione proposta da studiosi cone G. M. Bertin, G. Deleuze, il germanista C. Magris, ecc. sull'"Oltre uomo", sia pure con aspetti allora problematici e paradossali. Oggi non più tali, essendo riconosciuto Nietzsche possibile educatore e imprescindibile per la cultura del '900 e oltre.
La "demonicità" nell'ottica di Nietzsche assume il significato della volontà di donare ( o di "potenza" correttamente interpretata) in una visione di lievità non intesa come superficialità e leggerezza, ma come antitesi alla pesantezza dei dogmi e della retorica degli eterni "valori" di una massa opportunista e volgare, passivamene integrata in una civiltà produttivo-consumistica, competitiva ,tecnologica.
L'uomo del "lieve" è in divenire superando anche se stesso ove opportuno, in un altruismo anticonvenzionale, perchè non avrebbe senso donare mediocrità e infelicità personale. Interagisce con l'altro per un arricchimento reciproco. I suoi valori sono contemplazione, ozio e solitudine proficui, in ampia accezione e profondamente meditativi.
Pur non ignorando le sue suggestioni estetiche, mistiche e antidemocrtiche, a volte anche con interpretazioni di comodo. Nietzsche nichilista costruttivo e riformatore viene oggi interpretato come costruttore di una civiltà alternativa, dove "l'uomo che oggi non sa vivere vivrà nel modo migliore". Abbozzo dell'uomo del futuro: l'"oltreuomo"
Interessante questa particolare lettura di Nietzche.
La problematicità (ovvero il vero senso filosofico) delle tue assunzioni riguarderebbe dunque una dimensione educativa ed una donativa.
Se nel primo caso non faccio fatica a vedere l'ennesima appropriazione fuori luogo della educazione, da parte della pedagogia.
Per la quale tra l'altro rimando se vogliamo parlarne, ai numerosi scritti CONTRO l'educazione, invece scritti di proprio pugno da Nietzche.
E non è difficilissimo capire perchè: il tema della guerra richiede agli amici uno sforzo personale, e non un DUCE, un accompagnatore.
Il tema della lievità io lo intendo in modo diverso, non riguarda la dinamicità, quella è piuttosto la "grande salute", è piuttosto il tema delle forme, dei corpi.
Molto interessante il tema del dono.
Devo dire che non l'ho ancora incontrato, o forse non vi ho posto particolare attenzione.
Il dono in me ricorda, piuttosto il patto, la diplomazia.
Nel Nietzche progressista non reazionario, questo sarebbe impossibile.
Allora sarebbe da rileggere in altra maniera.
La tua proposta della condivisione delle contemplazioni del mare nichilista, mi pare molto interessante, per cui ti faccio i complimenti.
Vedrò se effettivamente questo tema emerge in qualche maniera dal magma di umano troppo umano.
Si avvicina l'estate, tentativo numero 3 di farne un lavoro sistematico.
Dovrei partire a metà Giugno, ci risentiremo a Settembre.
Citazione di: Garbino il 17 Maggio 2018, 20:20:40 PM
La chiave di tutto è la frase: che ha il nichilismo dietro di sé, sotto di sé, ( ma soprattutto - aggiungo ) fuori di sé.
Ringrazio per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Caro Garbino
indeed !!!
D'altronde però la problematicità. è proprio cosa sia il nichilismo(?).
Solo gli spiriti liberi possono intenderlo. (al di là delle formulette veloci che si usano per indicarlo, ma di cosa si tratta effettivamente nel reale?)
Possibilità in nuce, comunque sia, siamo sicuri che abbiamo (gli intellettuali in generale) capito cosa sia il nichilismo?
Io me lo chiedo cento, mille volte.
Nietzsche: L' uomo e il suo diritto al futuro.
Dopo una breve pausa, eccomi qui a riprendere il cammino verso il diritto dell'uomo al suo futuro.
E naturalmente uno degli aspetti principali di questo argomento è il Nichilismo.
X Green
Come da te anticipato, probabilmente sei già altrove, sia con il corpo che con lo spirito, ma non posso comunque non rispondere al tuo ultimo e cruciale post.
Sì, mio caro Green, questi sono due punti cruciali che riguardano la critica e la comprensione di Nietzsche. Che cosa sia il Nichilismo e quanto di ciò è stato compreso dagli intellettuali e pensatori moderni. Anche perché soltanto rispondendo alla prima domanda, dimostrando di aver compreso il Nichilismo, potremo poi fare una valutazione sulla seconda.
E proprio ciò pone dei limiti enormi al nostro argomentare proprio perché chi dovrebbe avallare la risposta alla domanda: Che cosa sia il Nichilismo?, sono poi gli stessi intellettuali che dovremmo poi criticare nella seconda.
Noi naturalmente ce ne infischiamo altamente di tutto e rispondiamo ad entrambe le domande.
Per quanto riguarda la comprensione del Nichilismo presso gli intellettuali la mia opinione è che sia quasi nulla.
E ti posso accennare che, sempre a mio avviso, sia stato proprio questo argomento a sconvolgere Heidegger. A te ( ma anche a chiunque voglia cimentarsi ) lascio il resto della riflessione in merito.
Mentre posso affermare che, sempre a mio avviso, ho raggiunto una certa comprensione del Nichilismo, ma non so se mi sarà possibile riportarla in questo momento perché sinceramente ho già diversi argomenti promessi in precedenza di cui trattare e non voglio mancare alle promesse fatte.
L' unica cosa che voglio sottolineare è che il termine Nichilismo si riferisce soprattutto ad uno stato d' animo, e le cui cause sono da ricercare nel nostro passato morale. L' argomento comunque è vastissimo e va dal credere a Nulla ( cioè a Dio ) a non trovare più un senso giustificabile e logico al nostro vivere e perché soffrire. Nel mezzo c' è una marea di casi che ne rende la comprensione molto complicata.
Ringrazio per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Ciao Garbino, sono ancora a a Milano, sono preso dai preparativi.
Ma ovviamente a questo 3d ci tengo particolarmente. (odio la burocrazia, che impone una agenda, assolutamente inutile, ma quand'è che i servizi on line saranno pronti per la cittadinanza! BAH!)
L'interpretazione che accenni soltanto del nichilismo, mi piace, è assai evocativa, e sopratutto, già nel suo incipit, non è banale e sbrigativa.
Anche secondo me è una riflessione sul Dio e sul nulla, forse sulla loro coincidenza? può essere! possiamo anche forzare il messaggio di Nietzche, portarlo avanti, e a partire da questo punto di vista, rivedere sotto una diversa ombra tutta la formazione genealogica della morale.
Ovviamente questo discorso che tu qui anticipi, spero di sentirlo più avanti. Molto interessante.
A Settembre, e buona continuazione a tutto il Forum.
Nietzsche: l' umo e il suo diritto al futuro.
Prima di riprendere il viaggio una piccola appendice per Green. Sul fatto che per Nietzsche Dio si identifichi con il nulla non c' è alcun dubbio. Ho già riportato varie volte alcune frasi delle sue opere che lo testimoniano. E specificatamente lo annovera come un' invenzione umana che però non è e non può essere. Il discorso perciò parte da lì ma poi prende mille strade, il tutto perciò acquisisce una dimensione enorme di difficile sintesi. Perciò quando ci torneremo avremo delle belle gatte da pelare. Buone vacanze.
A questo punto mi trovo nella condizione di avere molti punti in sospeso, tra i quali il rapporto tra Genealogia della morale e la realtà. L' attacco di Nietzsche al prete asceta o all' ascetismo è profondo e tremendo e non si conclude nell' opera. Anzi negli scritti postumi assume dimensioni ancora più chiare e specifiche. Come per esempio nell' aforisma n138 sempre dell' opera La volontà di potenza curata da Gast e dalla sorella:
I preti sono i teatranti che rappresentano alcunché di sovrumano a cui devono dare un carattere sensibile, di ideali, o di Dei, o di redentori: in ciò trovano la loro vocazione, per ciò posseggono gli istinti necessari; per rendere la cosa più credibile, devono spingersi il più lontano possibile nell'imitazione; la loro accortezza deve soprattutto suscitare in loro stessi ' la buona coscienza ' necessaria per persuadere qualcuno.
Questa precisazione, data in modo così perentorio, senza giri di parole, ci dà una dimensione di quanto Nietzsche veda nel prete asceta la genìa più pericolosa per l' umanità.
E' ovvio che comunque il prete per avere successo ha bisogno di uomini che siano nella condizione di ascoltarlo e di farsi ammaliare.
Ecco perché, come ipotizzavo in un post rivolto a Maral, ritengo che i periodi storici in cui tale genìa si afferma sono quelli in decadenza. Dove cioè l' uomo cerca certezze invisibili e non discutibili. Certezze cioè che necessitano di un grado di fede maggiore di quelle che gli derivano dai sensi. E questo proprio perché un uomo in decadenza può incominciare a mettere in discussione le morali o etiche determinate dal credere vere le sensazioni su ciò che lo circonda. Non bisogna dimenticare che tutte le certezze che l' uomo di volta in volta crea e da cui scaturisce una determinata morale necessitano comunque sempre di un grado di fede non indifferente, anche se poi è necessario che questo grado aumenti o diminuisca in base alla forza dell' uomo che lo crea.
L' argomento è abbastanza complesso, perciò mi fermo qui e ringrazio per la cortese attenzione.
Garbino Vento di Tempesta.
Onibrag, caro amico... :)
mi rivolgo a te per risolvere il dubbio che m'è sorto in merito a due differenti (e forse opposte) asserzioni in una discussione qui in filosofia: Cos'è la verità racchiuse nel post 209:
Cit Lou - E Nietzsche, essendo poliedrico allo stato brado, proprio lui, quando si scaglia contro il positivismo, da un primo avvertimento di ciò. Il nichilismo estremo si risolve in un appiattimento del soggetto sull'oggetto, per quanto di mio riesco intendere.
Cit. Ipazia - Il nichilismo estremo per FN è quello degli ideali ascetici incarnati nella figura del prete giudaico-cristiano (Genealogia della morale). Un soggettivista estremo come FN non poteva ricondurre il nichilismo all'oggettività, ma solo alla falsa coscienza soggettiva. L'oggettività in FN è lo stato di natura, ovvero l'esatto opposto del nichilismo ascetico.
Il motivo è presto detto, il tema della discussione si presta al tutto e di più, naturalmente spaziando da un campo (filosofico) all'altro e molto in quello scientifico; sì che a chi la segue come osservatore (parola divenuta assai sensibile...) qual sono, si presentano tutte queste "diramazioni" e per percorrerne una necessariamente si deve tralasciar l'altre.
Se (anche le congiunzioni si scaldano...) la verità le comprende tutte, non ha maggior significato (salvo quello di studio e approfondimento) il procedere per dieci metri o per cento (... numero di post) e se la verità fosse una sola... non ci sarebbe alcuna discussione...
Che rimane quindi di fattibile se non l'entrare nel merito d'una qualche asserzione, come quella che ti ho proposto, e cercar di dirimerla con l'aiuto (la guida) di uno studioso preparato qual hai avuto modo di dimostrare nella tua discussione su Nietzsche, vero fiore all'occhiello dell'intero forum (per numero di visualizzazioni = interesse)?
Non per stabilir un vincitore della (eterna) disputa oggettivo/soggettivo, ben sapendo che la verità d'oggi può cambiare domani, ma per aver un riferimento... gli allievi han discusso e poi si ascolta il professore (io ti ritengo tale, su Nietzsche).
Ma c'è un altro motivo, per me ben più importante, aver (mi auguro) l'occasione per rileggerti.
Un caro saluto
Jean
Ringrazio jean per avermi fatto conoscere questa splendida discussione che mi sto centellinando 2-3 pagine alla volta. Tra l'altro vi incontro l'amico maral, compagno di (s)ventura in altro forum dove la supponenza talebana in salsa atea la faceva da padrona. Ma quell'esperienza mi è stata assai utile per rivedere il mio stesso modo di pensare, grazie anche ad una presenza qualificata come quella di maral (che fine ha fatto ?) .
Bella questa discesa nel labirinto nicciano dove, sia detto, l'unico Minotauro mi pare green, mentre gli altri interpreti devono sempre stare un po' sulla difensiva. Ma certo non sprovvisti di argomenti. Del mio discorso non sarebbe passata certamente l'oggettività naturalistica, ma è tutto da vedere, perchè le posizioni non sono certo coincidenti tra gli attori del dibattito. Concordo con green che FN bisogna leggerlo tutto e rileggerlo ancora per connettere i fili e accedere agli strati diversi della sua evoluzione filosofica. Un labirinto certo, ma su più piani. Che moltiplica sia i percorsi che le uscite. Chissà se green ha finito la lettura di UTU e trovato quello che cercava ?
Un pensierino anche all'Anticristo. E alla sua metafora più proibita: l'eterno ritorno. Un estremo tentativo di fondere metafisicamente essere e divenire, Parmenide ed Eraclito. Forse.