volevo esporre una mia personale riflessione sull'inconscio, su quanto un discorso sull'inconscio possa soddisfare le richieste di coerenza interna che credo la filosofia, nel suo ruolo fondativo epistemologico, debba sempre avanzare di fronte alle pretese di verità riferibili ai risultati delle varie scienze.
A rigor di termini, l'inconscio è definibile con ciò che è al di là del "conscio", dei limiti della nostra coscienza. La psicoanalisi freudiana si incentra sull'assunto che solo una piccola parte, la punta dell'iceberg della psiche, è cosciente, è oggetto della nostra consapevolezza e controllo, tutto il resto è "inconscio", una presenza che ci condiziona in forme che sfuggono alla nostra consapevolezza. La mia perplessità che ho di fronte a questa visione è, se si vuole, semplice (spero non semplicistica): se l'inconscio è ciò che trascende la coscienza allora noi, così come gli psicoanalisti, non dovremmo saperne nulla! A mio avviso l'inconscio dovrebbe essere considerato alla stessa stregua di come la teologia negativa considera Dio, qualcosa di cui si può dire solo ciò che non è, considerarlo come un'indeterminatezza, ciò che vi è al di là dei limiti della nostra conoscenza. Perchè al contrario, un sapere positivo, un sapere che presume di tematizzare l'inconscio, di descriverlo, analizzarlo, qualificarlo con certe proprietà, identificandolo come un campo di pulsioni di cui è possibile attestare la natura e di conseguenza poter studiare la situazione psichica di ciascun individuo a partire appunto dal rilievo della presenza di tali pulsioni, è un sapere che di fatto finisce con il ricondurre l'inconscio a contenuto CONSCIO del soggetto di tale sapere, negandolo in quanto tale, in quanto inconscio! Con l'analisi dell'inconscio l'io cosciente rompe i suoi limiti e finisce col riappropriarsi della psiche, inglobando l'inconscio a suo contenuto. In questo modo la psicoanalisi mostra una sua importante incoerenza tra i suoi presupposti epistemici e metodologici da un lato e la sua tesi fondamentale dall'altro. Da un lato si fonda sull'idea che la coscienza sia solo una piccola parte della psiche, poi continua ad assegnare all'Io conscio e razionale il ruolo di soggetto del sapere psiconalitico, che prende coscienza dell'inconscio annettendo quest'ultimo al suo regno. Se lo psicoanalista freudiano che reputa l'Io cosciente come sopravvalutante la sua autoconoscenza, e subente il condizionamento delle pulsioni inconscie fosse coerente con tale assunto allora dovrebbe ammettere la possibilità che le sue stesse analisi coscienti e razionali siano condizionati dal suo inconscio non meno di quanto avviene nei suoi pazienti, e dovrebbe dunque rigettare come non scientifici i suoi risultati, in quanto dovrebbe, scetticamente, dubitare della possibilità in generale per una coscienza razionale di svincolarsi dal condizionamento dell'inconscio, capovolgere la situazione a suo vantaggio e riportare l'inconscio nell'immanenza dei suoi contenuti. Invece la psico-ANALISI in quanto ANALISI conserva la fiducia nella sua razionalità, o quantomeno pone le capacità della sua razionalità su di un piedistallo che la eleva rispetto alla razionalità più debole dei suoi pazienti. Freud, immagino, non ha svolto i suoi studi e scritto le sue opere mentre era sotto ipnosi, o mentre sognava, ma nella sua condizione di Io cosciente e razionale oggettivante l'inconscio.
Di fronte a questa situazione la mia proposta è: perchè non considerare la dialettica coscienza-inconscio come dialettica di matrice aristotelica potenza-atto? Considerare l'inconscio non come realtà in sè, separata dalla coscienza, Es contrapposto all'Ego, ma come "coscienza potenziale non attuale", una negatività, una mancanza, un complesso di meccanismi, tensioni, motivazioni agenti sia a livello genericamente umano, sia nella situazione psichica particolare del singolo individuo, di cui non siamo attualmente consapevoli, ma che, con futuri atti di riflessione e introspezione possono divenire tali, riconducendoli al patrimonio della nostra coscienza. Invece di spezzare l'unità dell'Io personale frazionandolo in due entità contrapposte ed antagoniste, inconscio, istintualità, libido, contro coscienza, razionalità, occorrerrebbe considerare l'Io come limitato, imperfetto, mancante in senso ontologico, dunque impossibilitato e identificare il suo controllo cosciente con tutta la complessità del Sè, che rimane sempre in parte oscuro, ma questo limite ontologico dovrebbe corrispondere coerentemente con il limite gnoseologico e epistemologico di ogni possibile psicologia e antropologia. Non si tratta di negare l'esistenza dell'inconscio, ma di limitarci a considerarlo come davvero "inconscio", cioè come ignoto, quel fondo di opacità presente in qualunque sguardo sulla nostra interiorità dovuta alla componente di materialità (dunque di potenzialità) che ci impedisce di essere Atto puro, puro spirito, condizione divina che dovrebbe corrispondere ad una condizione di Coscienza pura, condizione non umana. L'inconscio cioè è solo ciò che manca alla coscienza umana, finita per essere coscienza divina, assoluta, infinita. In breve, "atto", "forma", "potenza", "materia", "spirito" invece di essere viste come categorie antico-medioevali antiquate ed inservibili, come molti le vedono, andrebbero usate come valide categorie per interpretare i concetti delle scienze empiriche come la psicologia empirica, che, prive di una base filosofica trascendentale, non potrebbero cogliere come qualunque forma di razionalità rigorosa non possa che partire dall'impossibilità di un totale affrancamento della realtà oggetto di tale razionalità dalla soggettività cosciente, che resta orizzonte necessario ed evidente di ogni esperienza possibile, pena cadere nell'assurdo di pensare una conoscenza del reale senza un darsi fenomenico costitutivo di tale reale costitutivo di una coscienza.
Mi fa piacere gettare nella mischia questo mio pensiero all'interno di un eventuale confronto, anche con chi la psiconalisi freudiana la conosce molto più di me...
Mi sembra che ci siano degli errori di metodo in questo modo di procedere.
Il primo riguarda l'approccio a conscio e inconscio in termini quantitativi, dimensionali. Dire che la parte cosciente è la punta dell'iceberg presuppone una specie di misurazione, in vastità e profondità, delle dimensioni cosciente e inconscia. È ovvio che per affermare che un oggetto è di vaste dimensioni bisogna aver potuto valutare tali dimensioni, il che si scontra con l'idea di irraggiungibilità dell'inconscio. Ma l'inconscio non è una stanza, non è un mare. Dire che la parte cosciente è la punta di un iceberg non è un'espressione scientifica; serve solo a richiamare l'attenzione sul fatto che ciò che riteniamo vasto, cioè la parte cosciente, non è poi così vasto e viceversa. Si esprime ciò semplicemente per dire che senza dubbio c'è molto da approfondire. Una volta spazzata via la concezione dell'inconscio in termini di profondità ed estensione fisica, sparisce il problema della sua esistenza, che verrebbe a contraddire la sua inconoscibilità: intuiamo che l'inconscio è tutto un universo da scoprire proprio perché sentiamo di non conoscerlo abbastanza; di esso però riceviamo segnali: i sogni, comportamenti involontari, le opere d'arte. Queste manifestazioni ci fanno capire che l'inconscio è davvero un oceano sconosciuto, perché quel poco che riusciamo a conoscerne si rivela di portata enorme; figuriamoci quindi che portata può avere tutta la parte che non conosciamo. Facciamo un esempio, per essere più chiari: un'opera d'arte come la pietà di Michelangelo fa affacciare alla mente un miliardo di pensieri, alcuni più chiari, altri solo sfiorati; questo ci fa pensare che l'artista ha saputo ascoltare i suoi istinti più intimi, ma soprattutto istinti che sono comuni alla maggior parte delle persone, visto che un mare di persone nel mondo riscontrano nella pietà di Michelangelo qualcosa che parla intimamente alle nostre emozioni. Lo stesso vale per molta musica, che riesce a parlare al cuore di tutto il mondo, senza che riusciamo a capirne del tutto il motivo. Così sono pure i sogni. In questo senso l'inconscio non è un mondo inventato per spiegare cose che non capiamo, non è una certezza della scienza; è, più semplicemente, il mondo dei significati e degli istinti che le manifestazioni a cui ho fatto riferimento lasciano trasparire. In questo senso, dunque, la scienza, proprio perché non parla dell'inconscio in termini filosofici, può permettersi di farvi riferimento senza timore di cadere nella contraddizione di parlare di ciò che viene definito inconoscibile: la scienza ne parla perché prova a porre in connessione certe manifestazioni, senza alcuna pretesa di riuscire a definirne con precisione i connotati.
Quello che mi sembra il secondo errore è la pretesa opposta, cioè proporre una cognizione alternativa dell'inconscio a partire da una proposta filosofica. La scienza, se non altro, si basa su manifestazioni verificabili, senza alcuna pretesa di aver raggiunto un'idea definitiva dell'inconscio. Al contrario, la proposta filosofica è uno schema concettuale che non trova giustificazioni nell'esperienza: in base a quale criterio giustificare la definizione dell'inconscio come coscienza potenziale? La scienza almeno ha chiare le manifestazioni dell'inconscio: sono sogni, comportamenti, opere che è possibile descrivere, analizzare, misurare; ma il concetto di coscienza potenziale cos'ha di chiaro?
Purtroppo non è la prima volta che vedo criticare la scienza accusandola di pretese che in realtà essa non ha: pretese di certezza, di assolutezza, la scienza come vangelo, la scienza divinizzata. Ma la scienza è tutto l'opposto: essa è continuo invito alla critica, è incertezza e proprio perché è incertezza si sforza di raccogliere in continuazione dati, misurazioni, dimostrazioni. La ricerca non rende la scienza certa, ma al contrario, invita sempre a ricerche ulteriori. Il fatto che nel sangue ci siano i globuli rossi non è una cosa certa e indiscutibile stabilita dalla scienza, ma il contrario: è il risultato di esperimenti che la scienza invita a controbattere e criticare, stimolando altri esperimenti ancora, perché la scienza non si fida di niente e di nessuno: la scienza va per probabilità. Ci sono moltissime probabilità che nel sangue ci siano i globuli rossi, perché tutti dati finora in nostro possesso inducono a pensarlo; ma moltissime probabilità non significano certezza assoluta, come quella che si pretende in filosofia. Significa nient'altro che moltissime probabilità. Sono gli ignoranti a scambiare la scienza per filosofia e vangelo, ma la scienza è quanto di più umile e modesto l'uomo riesca a praticare. Proprio per questo essa si fa apprezzare come via seria.
Al contrario, la filosofia cade spesso nell'arbitrario preteso come certezza; anche in questo caso, comunque, la vera filosofia non è mai fanatismo, ma è anch'essa umiltà.
Dal punto di vista filosofico, come rilevato da Galimberti, Freud è figlio del pensiero greco. Sembra che, da stimatore di Nietzsche qual era, si sia servito dei concetti di conscio e inconscio per reinterpretare la dicotomia fra apollineo e dionisiaco. Se apollineo si intende la regolarità, quindi la coscienza e la razionalità, il dionisiaco è invece rappresentato dall'inconscio, l'irrazionale, la follia ispiratrice, l'istinto vitale. Ma poi - adesso mi copro di ridicolo psicanalizzando Freud - dopo aver concettualizzato la potenza creatrice dell'inconscio, Freud (e Nietzsche) riprende in mano il conscio (la razionalità) a mo di randello, per domare la bestia e condurla alla propria volontà.
Dal punto di vista psicologico - oltre alla appena necessaria precisazione che il metodo Freud non funziona e non ha mai guarito nessuno - Freud ha individuato nella rimozione la causa della nevrosi. E la sua cura è stata identificata nella reintroduzione dell'oggetto o evento rimosso nella sfera conscia. Mi pare interessante il parallelo con la ipnoterapia eriksoniana, per cui l'inconscio mal tollera le intrusioni nella sua sfera da parte del conscio, per cui il tentativo di cura finisce per aggravare il male. Secondo tale ottica gli interventi sull'inconscio devono avvenire in modo naturale dirigendo si a livello conscio, ma secondo i modi dell'inconscio. Il quale percepisce positivamente le indicazioni consce non allargando la coscienza - reintroducendo la rimozione come voleva Freud - bensì restringendola, come quando si provoca uno stato di trance.
Penso che l'obiezione che si muove contro il concetto di inconscio sia fondamentalmente giusta da un punto di vista epistemologico. L'inconscio peraltro è stato descritto e interpretato in modi diversi, esso si trasforma noc i suoi interpretanti: ad esempio l'inconscio freudiano, dominato dalla libido (a cui dopo il primo conflitto mondiale, Freud accompagnerà l'istinto di morte) non è l'inconscio junghiano (dominato dalla memoria collettiva archetipica). L'inconscio in fondo rappresenta il tentativo di risposta in cerca di continua re interpretazione a un sospetto cosciente certamente di natura filosofica, che riguarda la verità di noi stessi, quello che crediamo di essere rispetto a quello che realmente siamo. Certamente in questo ambito, come riconosce Freud, il pensiero nicciano (la filosofia del sospetto) ha aperto la strada alla psicanalisi (si veda ad esempio qui nel forum l'interessante disamina di "Genealogia della morale" presentata da Garbino, una sorta di vera e propria seduta psicanalitica ante litteram della dimensione morale).
Potremmo quindi dire che l'inconscio è il sospetto enorme che il conscio nutre su di sé, un sospetto che è il prodotto di una vicenda umana che copre centinaia di millenni e innumerevoli prassi che lasciano segni nella psiche di ognuno, ma non solo, include pure la genealogia biologica del vivente e forse la stessa cosmologia della materia-energia, e indubbiamente tutto quello che istante per istante ci accade senza apparentemente lasciare traccia alcuna alla soglia della coscienza, ma che fa comunque di noi quello che siamo e determina quello che possiamo diventare ben al di là delle nostre intenzioni coscienti, dei nostri progetti in cui ci riconosciamo, anzi, spesso, contro di essi. Il sospetto che alimenta l'idea di un inconscio, nasce evidentemente dal fatto che c'è qualcosa che non va come dovrebbe, il progetto non si realizza, dunque occorre che questo qualcosa si presenti affinché sia possibile affrontarlo, coscientemente, con la nostra volontà risolutrice e manipolatrice, con il nostro sguardo analitico, clinico, razionale e terapeutico grazie al discorso che il paziente produce, venendosi a riconoscere. Per non cadere in seduzioni inconscie che riguardano tutti , l'analisi e l'autoanalisi sono essenziali per la formazione dello psicoanalista, ma questa analisi non potrà mai cisrcoscrivere la dimensione inconscia da cui essa stessa è prodotta, dunque sarà un'analisi necessariamente infinita, perpetuamente in divenire, il discorso sull'inconscio non può mai terminare, se è coerente non può mai risolvere il sospetto.
L'approccio psicanalitico e la stessa dimensione inconscia non appartengono alla scienza di stampo galileiano (se non in un modo molto ingenuo, quasi feticistico: quello di una natura che sta dentro e ricalca nei modi di essere esplorata la natura esterna che si vede fuori dalla finestra), non può presentare alcuna verifica definitiva, alcuna "oggettività" misurabile sui parametri di una psicologia cognitiva, e giustamente Freud aveva auspicato che in essa si applicassero i filosofi ben più dei medici (pur essendo lui un medico). Purtroppo la smania dell'oggettivismo positivo avrebbe spinto le cose in altra direzione e la psicanalisi che fondamentalmente è il tentativo di una continua interpretazione del significato, una sorta di ermeneutica interminabile, è stata sempre più abbandonata dalla scienza, insieme alle teorie sull'inconscio, a vantaggio delle illusioni di carattere superstizioso e le ingenuità di un approccio organico fisiologico neurologico o computazionale statistico al problema della verità su ciò che siamo e sospettiamo di essere.
Mi trovo perfettamente d' accordo con le semplici (e non affatto semplicistiche) considerazioni inziali di Davintro.
Per parte mia ho "sempre" considerato la psicoanalisi una dottrina (o insieme di dottrine in parte reciprocamente contraddittorie) irrazionalistica e assolutamente non scientifica (qualcosa che sta a una -ipotetica- conoscenza scientifica della personalità umana, nella sua fisiologia e nelle sue patologie, come l' alchimia sta alla chimica scientifica) *.
Successivamente mi sono reso conto che una scienza in senso stretto o proprio della personalità umana, nella sua fisiologia e nelle sue patologie, analoga alla chimica in quanto scienza delle trasformazioni delle sostanze materiali, non può darsi in linea di principio per il fatto che, contrariamente alle sostanze materiali ("res extensa"), la mente umana ("res cogitans") non è né quantificabile (misurabile mediante rapporti quantitativi espressi da numeri), né intersoggettiva (constatabile empiricamente allo stesso modo da chiunque la osservi collocandosi nella giusta posizione e guardando nella giusta direzione con i giusti strumenti tecnici): un chilo di ferro pesato da me è esattamente un chilo di ferro se pesato da chiunque si trovi alla stessa distanza dal centro della terra, il monte Bianco -salvo eventuali cataclismi tettonici o di altro genere naturale- è altro sul livello del mare 1810 m per chiunque si prenda la briga di misurarlo; ma invece non solo non posso sapere se la mia attuale soddisfazione (perché ho trovato che Davintro la pensa su Freud e la psicoanalisi sostanzialmente come me) è uguale, maggiore o minore -e men che meno di quanto, quale sia il rapporto numerico fra di esse!- rispetto alla soddisfazione del mio vicino di casa (perché, dopo avere perso innumerevoli volte e gettato molto più denaro di quello attualmente guadagnato, stamane ha vito al "gratta e perdi"); ma financo non posso stabilire se la mia soddisfazione attuale sia maggiore, uguale o minore -e men che meno di quanto lo sia- di quella di me stesso (!) quando, qualche mese fa, ho brillantemente risolto un problema logico proposto nel forum da Eutidemo.
La conoscibilità scientifica in senso stretto presuppone come conditio (-nes) sine qua non intersoggettività e misurabilità di quanto osservato (e divenire ordinato dell' ambito della realtà di cui fa parte, condizione altrettanto indimostrabile né mostrabile dell' intersoggettività: Hume!).
E dunque le cosiddette "scienze umane", trattando principalmente di "res cogitans", non misurabile e non intersoggettiva, non potranno mai in linea di principio diventare "scienze in senso stretto" (cioè nel senso delle "scienze naturali"). Ma ciò non toglie che la psicoanalisi non sia nemmeno un "scienza umana", ma solo una congerie di farneticazioni irrazionalistiche.
Piuttosto mi sembra interessante considerare che:
a) Come brillantemente confermano le moderne neuroscienze (ma una buona filosofia razionalistica consentiva di ben comprenderlo almeno da tempi di Broca e Wernike), l' esperienza cosciente è necessariamente correlata (N.B.: non: "è la stessa cosa di", contrariamente a quanto credono erroneamente moltissimi neurosienziati e non pochi filosofi della mente) con determinati stati funzionali di determinati cervelli (o comunque, con ogni verosimiglianza, anche sistemi nervosi sufficientemente sviluppati e complessi di varie specie animali, anche non vertebrate);
b) Che questi determinati stati funzionali cerebrali sono solo una piccola parte degli stati funzionali cerebrali in generale, che la maggior parte degli eventi neurofisiologici cerebrali non hanno ( N.B.: non: "non sono la stessa cosa di") un "corrispettivo cosciente" e tuttavia sono "causalmente connessi" con quelli che un "corrispettivo cosciente" presentano: gli uni determinano l' insorgere, l' accadere degli altri e viceversa;
E dunque la nostra attività cosciente accade corrispettivamente ad (N.B.: non: "è la stessa cosa di", e nemmeno " è causata da) alcuni eventi neurofisiologici del nostro cervello, i quali sono una "minoranza" dei suoi stati funzionali e da altri suoi stati funzionali senza "correlato cosciente" sono causati, e reciprocamente li causano.
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* Mi piace raccontare che sono stato molto contento allorché, trovandomi per motivi professionali a Vienna (per seguire l' importante congresso europeo di radiologia medica che vi si svolge ogni anno: Vienna, per sua fortuna, è stata anche la città natale di Roentgen, nella quale ha principalmente svolto la sua opera!), e scorrendo le grafiche relative alla città e alle ottime linee di trasporti pubblici di cui è dotata che erano esposte sulle vetture della metropolitana, mi sono reso conto con enorme piacere che la capitale dell' Austria ha dedicato tante importantissime strade, soprattutto della "periferia storica", ove sorgevano le vecchie mura (un po' come i navigli a Milano), a suoi illustri cittadini che hanno esercitato, sviluppato e onorato la professione medica (per lo più a me del tutto sconosciuti), di cui evidentemente la cittadinanza va fiera, ma non sono riuscito a trovare nemmeno un infimo vicolo dedicato a Freud (invece esaltatissimo all' estero, soprattutto negli USA; e dopo più di mezzo secolo dalla morte credo non valga più la considerazione che "nemo profeta in patria": di regola i "profeti", anche e soprattutto in patria, post mortem vengono "rivalutati", magari in varia misura "evirati della loro carica critica" e trasformati in innocue icone della conservazione e del conformismo).
Penso che in filosofia l'inconscio sia già compreso come natura umana e l'approccio attuale più serio sia la filosofia della mente.
Sarò molto sintetico: l'attuale medicina "dell'inconscio" segue più la vecchia frenologia che non la psicanalisi.
Oggi la psicoterapia è parlare fra amici , vale a dire serve a ben poco, e la cura del farmaco che interviene nei processi biochimici del cervello ha superto la seduta psicanalitica.
La psicanalisi soprattutto di Freud era troppo scomoda, e dire che un bambino ha una fase orale, anale e parlare di libido ai tempi di Freud era un insulto al buon costume.Nessuno è arrivato più vicino alla natura animale umana di Freud. Gli archetipi di Jung sono già altro, interessanti per altri aspetti.Altri discepoli di Freud hanno scritto.
L'importanza dell apsicanalisi è stata culturale e quindi ha a che fare con la filosofia, piaccia o meno alla scienza.
Perchè l'episteme filosofico non è quello delle scienze moderne, limitato al fenomeno, alla sperimentazione, agli effetti.Non necessita quindi di un origine con una pretesa ontologica.
La dimostrazione è che quando si discute di natura umana ascrivibile all'evoluzione biologica e umana o ancor di più alla morale ed etica, la problematica della natura umana di nuovo ne sortisce.
Ed oggi è più confusa che mai anche e soprattutto in ambito delle scienze naturali e sociali: perchè non scioglie il dilemma iniziale sulla natura animale e umana. Si risolve in una perdita sua volta di episteme anche nella morale.
D'altra parte basterebbe vedere l'approccio giurisprudenziale come sia mutato nei casi di omicidio:conviene essere matti che sani.Ma i matti non esistono così le differenze si sono appiattite standardizzandosi in un concetto di normalità che non ha più nulla di normale.
Non so se e dove porterà la filosofia della mente che è un approccio variegato di posizioni fra scienziati e filosofi.
Inserirvi poi anima e spirito ...beh, sarebbe troppo
Citazione di: paul11 il 25 Dicembre 2016, 00:01:07 AM
La psicanalisi soprattutto di Freud era troppo scomoda, e dire che un bambino ha una fase orale, anale e parlare di libido ai tempi di Freud era un insulto al buon costume.Nessuno è arrivato più vicino alla natura animale umana di Freud. Gli archetipi di Jung sono già altro, interessanti per altri aspetti.Altri discepoli di Freud hanno scritto.
CitazioneSi arriverebbe più o meno "vicino alla natura animale umana" se si dimostrasse e non semplicemente si sostenesse con una prosa più o meno brillante che un bambino ha una fase orale, anale (e che tutti i bambini hanno il desiderio inconscio di uccidere il padre e avere rapporti sessuali con la madre e tantissime altre corbellerie psicoanalitiche).
Quando ero giovane Freud e la psicoanalisi erano acriticamente sulla bocca di tutti i miei coetanei conformisti, più o meno a vanvera (come é alquanto ovvio, dal momento che non si tratta affatto di una terapia efficace e men che meno scientifica, tant' é vero che per lo più non guarisce i pazienti -comunque meno di quanto possa fare un semplice placebo- e anzi spesso ne peggiora le condizioni psichiche rendendoli dipendenti dalla pratica psicoanalitica stessa; per la cronaca lautissimamente pagata).
Infatti a mio parere Freud e la psicoanalisi erano (e in qualche misura tuttora sono) comodissimi alle classi dominanti (che se ne strafregano del "buon costume"; e ancor più della morale autentica) onde occultare le vere cause, in molti casi per lo meno in larga misura sociali, del malessere interiore di tante persone affette da sofferenze psichiche.
Citazione di: sgiombo il 25 Dicembre 2016, 10:00:16 AM
Citazione di: paul11 il 25 Dicembre 2016, 00:01:07 AM
La psicanalisi soprattutto di Freud era troppo scomoda, e dire che un bambino ha una fase orale, anale e parlare di libido ai tempi di Freud era un insulto al buon costume.Nessuno è arrivato più vicino alla natura animale umana di Freud. Gli archetipi di Jung sono già altro, interessanti per altri aspetti.Altri discepoli di Freud hanno scritto.
CitazioneSi arriverebbe più o meno "vicino alla natura animale umana" se si dimostrasse e non semplicemente si sostenesse con una prosa più o meno brillante che un bambino ha una fase orale, anale (e che tutti i bambini hanno il desiderio inconscio di uccidere il padre e avere rapporti sessuali con la madre e tantissime altre corbellerie psicoanalitiche).
Quando ero giovane Freud e la psicoanalisi erano acriticamente sulla bocca di tutti i miei coetanei conformisti, più o meno a vanvera (come é alquanto ovvio, dal momento che non si tratta affatto di una terapia efficace e men che meno scientifica, tant' é vero che per lo più non guarisce i pazienti -comunque meno di quanto possa fare un semplice placebo- e anzi spesso ne peggiora le condizioni psichiche rendendoli dipendenti dalla pratica psicoanalitica stessa; per la cronaca lautissimamente pagata).
Infatti a mio parere Freud e la psicoanalisi erano (e in qualche misura tuttora sono) comodissimi alle classi dominanti (che se ne strafregano del "buon costume"; e ancor più della morale autentica) onde occultare le vere cause, in molti casi per lo meno in larga misura sociali, del malessere interiore di tante persone affette da sofferenze psichiche.
E' proprio nel dimostrare che la scienza naturale diventa cieca, con tutto il rispetto che ho verso di essa.
Cosa ne sa dell'origine della vita? Cosa ne sa della natura umana? E allora cosa cura dell'uomo?
Buon Natale
Citazione di: paul11 il 25 Dicembre 2016, 12:07:05 PM
Citazione di: sgiombo il 25 Dicembre 2016, 10:00:16 AM
Citazione di: paul11 il 25 Dicembre 2016, 00:01:07 AM
La psicanalisi soprattutto di Freud era troppo scomoda, e dire che un bambino ha una fase orale, anale e parlare di libido ai tempi di Freud era un insulto al buon costume.Nessuno è arrivato più vicino alla natura animale umana di Freud. Gli archetipi di Jung sono già altro, interessanti per altri aspetti.Altri discepoli di Freud hanno scritto.
CitazioneSi arriverebbe più o meno "vicino alla natura animale umana" se si dimostrasse e non semplicemente si sostenesse con una prosa più o meno brillante che un bambino ha una fase orale, anale (e che tutti i bambini hanno il desiderio inconscio di uccidere il padre e avere rapporti sessuali con la madre e tantissime altre corbellerie psicoanalitiche).
Quando ero giovane Freud e la psicoanalisi erano acriticamente sulla bocca di tutti i miei coetanei conformisti, più o meno a vanvera (come é alquanto ovvio, dal momento che non si tratta affatto di una terapia efficace e men che meno scientifica, tant' é vero che per lo più non guarisce i pazienti -comunque meno di quanto possa fare un semplice placebo- e anzi spesso ne peggiora le condizioni psichiche rendendoli dipendenti dalla pratica psicoanalitica stessa; per la cronaca lautissimamente pagata).
Infatti a mio parere Freud e la psicoanalisi erano (e in qualche misura tuttora sono) comodissimi alle classi dominanti (che se ne strafregano del "buon costume"; e ancor più della morale autentica) onde occultare le vere cause, in molti casi per lo meno in larga misura sociali, del malessere interiore di tante persone affette da sofferenze psichiche.
E' proprio nel dimostrare che la scienza naturale diventa cieca, con tutto il rispetto che ho verso di essa.
Cosa ne sa dell'origine della vita? Cosa ne sa della natura umana? E allora cosa cura dell'uomo?
Buon Natale
CitazioneInnanzitutto ricambio gli auguri e aggiungo quelli di buon ano 2017, oltre ovviamente ad inoltrarli anche agli altri frequentatori del forum.
La scienza naturale non é cieca, semplicemente ha dei limiti, come ogni opera umana: "vede" molto o poco a seconda del maggiore o minor ottimismo di chi la prende in considerazione, ma certamente, se correttamente intesa, non ha mai preteso di vedere "tutto" e "nei minimi dettagli".
Cieche diventano le filosofie scientiste che non vogliono riconoscerne i limiti (e credo ne peccasse in non piccola misura lo stesso Freud).
Non può la scienza in senso stretto (quello delle "scienze naturali") conoscere l' uomo, se non limitatamente al suo essere (anche, non solo!) "natura materiale" (non relativamente alla "res cogitans" che ne é un aspetto fondamentale).
La scienza (fra l' altro, anche di negativo, che ne consegue) cura dell' uomo moltissime esigenze e malesseri fisici dotandolo di (ovviamente limitati) mezzi conoscitivi atti a "dominare" (sottomettendosi alle sue leggi oggettive e applicandole a scopi coscienti purché realistici!) la natura.
Citazione di: sgiombo il 25 Dicembre 2016, 10:00:16 AM
Quando ero giovane Freud e la psicoanalisi erano acriticamente sulla bocca di tutti i miei coetanei conformisti, più o meno a vanvera (come é alquanto ovvio, dal momento che non si tratta affatto di una terapia efficace e men che meno scientifica, tant' é vero che per lo più non guarisce i pazienti -comunque meno di quanto possa fare un semplice placebo- e anzi spesso ne peggiora le condizioni psichiche rendendoli dipendenti dalla pratica psicoanalitica stessa; per la cronaca lautissimamente pagata).
Infatti, l'errore ò quello di considerare la psicanalisi come una terapia medica: un certo numero di sedute, proprio come un certo numero di pastiglie e il disagio della malattia è risolto. In realtà il percorso psicanalitico non può mai terminare, è una sorta di percorso ermenutico infinito basato sulla parola che trova in se stesso la propria ragion d'essere e, magari anche nelle parcelle dello psicanalista, il proprio termine effettivo.
Citazione di: paul11 il 25 Dicembre 2016, 12:07:05 PM
E' proprio nel dimostrare che la scienza naturale diventa cieca, con tutto il rispetto che ho verso di essa.
Cosa ne sa dell'origine della vita? Cosa ne sa della natura umana? E allora cosa cura dell'uomo?
Il punto è qui che la scienza naturale, fondata da un lato sulla neurofisiologia e dall'altro sulla psicologia cognitiva sperimentale, prestabilisce la natura umana come biologicamente del tutto definibile (se non oggi domani o dopodomani di sicuro) e la soluzione del disagio psichico come rilevabile su base comportamentale statistico oggettivo. Dunque cosa ò l'uomo lo ha già prestabilito, come è prestabilita la soluzione verificabile dalla rimozione/contenimento per via biochimica del sintomo socialmente disturbante.
Una volta in campo psichiatrico si ricorreva all'elettroshock, poi passato di moda rispetto allo psicofarmaco, ma il discorso è del tutto simile: l'elettroshock di un tempo era come una martellata tirata più o meno a caso su una machina- cervello guasta, lo psicofarmaco è un più sottile aggiustamento in punta di cacciavite, che, se funziona nella rimozione del sintomo, ha assolto al meglio al suo compito. Anche qui ovviamente la guarigione consiste in una eterna dipendenza (pare che per il disagio psichico non vi siano alternative), ma è una dipendenza clinica, organica, non certo ermeneutico-filosofica.
Buone feste a tutti :)
ma cos'è la scienza medica e la scienza naturale se non un ordine autolimitato spazio temporale.
Cosa vuol dire guarire una persona, se non verificare quelli che oggi sono i parametri metabolici.
Cosa vuol dire guarire un sintomo di ansia di depressione con un farmaco, è come dare da bere un assetato e dopo ritornerà la sete,Chi può dire che una persona è guarita da problemi dissociativi , chi può dire cosa significa normalità dentro un sistema che costruisce disagi.Chi ci da il manuale di sopravvivenza, una famiglia è malata e genera dissociazione, si guarisce il dissociato e lo si rimette in quella famiglia o in quella società che rigenera la malattia..
Va bene quel che può fare la medicina fisicamente, ma nel suo dominio autolimitato dal suo stesso metodo e relativo alla cultura del suo tempo, perchè anche la medicina ha una storia.Oggi la medicina "fisica" biochimica standardizza l'individuo ,non gli importa della soggettività del malato e lo inserisce in architetture simili a caserme militari, a scuole, nel loro silente e sofferente anonimato, con i suoi odori misti di refettorio ,farmaci e disinfettanti.
Dov'è il soggetto uomo in tutto questo? Oggettivato nello standard industriale di questo tempo, come un automobile da revisionare, si attaccano a macchine che danno i parametri confondendo il dolore fisico dalla sofferenza psichica
Ecco perchè ritengo importante che la filosofia si interroghi sulla natura umana, ma non come la vecchia metafiisca che spersonalizza, che oggettiva a sua volta come l'uomo fosse fuori dal processo epistemico, razionale così come irrazionale .E' la centralità umana che è importante, ma non come delirio della tecnica che schiaccia umanità, quindi non come esaltazione di sè, ma come riappropriazione di un ruolo armonico,
Buone Feste
Il primo argomento di Davintro è molto intrigante e non escludo che sia già stato esplicitato in letteratura. Direi che attraverso il discorso dell'inconscio si tocca uno dei temi fondamentali della psicoanalisi, se non il tema per eccellenza. Ed è molto vera anche la disamina che viene fornita. E' come se Freud si accapigliasse con sè stesso: con la ricerca psicoanalitica tende a far riemergere l'inconscio, ma se fa riemergere l'inconscio la teoria psicoanalitica non ha più senso di esistere.
Freud in ciò può essere rappresentato come una ruota dentata di congiunzione fra il pensiero positivista e quello successivo che perde fiducia nelle "magnifiche sorti e progressive". Da una parte quindi l'agire verso la scoperta di quanto è sconosciuto, dall'altra l'eterno amletico ritorno a qualcosa che non può mai essere del tutto scoperto...
Freud rimette in campo con l'inconscio l'ambivalenza dell'agire umano ma lo ricolloca in un campo più vicino al sapere ufficiale. Non è più relegato alle opere d'arte, alla tragedia greca, ma diventa un tema del dibattito scientifico e per un quarantennio, dal 1930 al 1970, con una voce piuttosto autorevole. Ora il vento è mutato e le neuroscienze sono la nuova illusione di massa.
Le critiche alla psicoanalisi presenti anche in questo topic mi fanno pensare che derivi da una scarsa conoscenza della stessa. Che non abbia mai curato nessuno lo escludo. Vi sono una infinità di testi che raccontano di guarigioni a seguito del trattamento psicoanalitico e le guarigioni sono state descritte in primis proprio da Freud. La psicoanalisi inoltre è fondata su protocolli serissimi e gli eventuali ciarlatani (che esistono) vengono comunque defenestrati in fretta.
Che la psicoanalisi sia un modo per confondere le acque rispetto alle vere cause "sociali" del disagio psichico è vero solo in parte. Freud non ha mai voluto approfondire questa tematica, ma il suo approccio alla sua disciplina è stato comunque sempre "scientifico", nel senso che incoraggiava a migliorare la sua disciplina, a non credere di aver afferrato una volta per tutte la "verità", ed infatti dalla psicoanalisi sono partite molte altre correnti, alcune delle quali hanno anche interpretato il fascismo (Reich) o la personalità autoritaria in chiave psicoanalitica (Adorno-Horkheimer). Attualmente la psicoanalisi è ben diversa da quella freudiana, anche perché la società è diversa. All'epoca di Freud la società era organizzata in senso autoritario, il senso di colpa schiacciava i figli fino a farli sentire degli scarafaggi e quindi il disturbo tipico era la depressione e la paranoia (che infatti spesso clinicamente sono associate). Attualmente la società è organizzata per il consumo, il senso di colpa viene ridicolizzato e i figli sono idolatrati, il disturbo tipico in questo contesto diventa il narcisismo, con relativo passaggio in secondo piano del complesso di Edipo, che fondava la psicoanalisi classica.
Sulla natura epistemologica della psicoanalisi credo che bisogna accettarne la sua natura centaurica, non è scienza fondata sulle analisi del sangue ma non è neppure alchimia (anche se Jung qualcosa in merito ha scritto). Vi sono delle tracce che ne fondano la necessità. Altrimenti ditemi qual'è la funzione organica dei sogni, e non ditemi che non servono a nulla, perché l'organismo non fa nulla per nulla. Un altro argomento a favore dell'esistenza della psicoanalisi si trae proprio dai recenti studi genetici, visto che l'epigenetica ci informa di come alcune parti del DNA siano sensibili all'ambiente non nel corso dei secoli ma anche nel corso dell'ontogenesi di un singolo individuo. Questo per sottolineare l'importanza dei traumi familiari rimossi e non rimossi nella strutturazione anche genetica della personalità degli individui.
Troppo spesso si intende l'inconscio nella sua chiave Freudiana, questo a mio parere non permette di capirne realmente le componenti. L'idea di inconscio ha un suo "senso" naturale che viene dal fatto che si osserva, in antitesi rispetto a una visione psichista che vuole limitare l'essere umano al suo pensiero logico, la presenza di situazioni che alterano la realizzazione di detto pensiero. Il caso tipico è quando ti piace una ragazza, razionalmente cerchi di costruire mentalmente le opportunità di un dialogo, di un approccio, poi però, al momento giusto, c'è qualcosa che ti blocca, questo qualcosa non lo comprendi razionalmente, non si esprime con pensieri, con argomenti, allora lo chiami inconscio.
Rimanendo nel dominio filosofico, forse una chiave è nella filosofia esistenziale e nella fenomenologia husserliana.
L'aspetto dell'inconscio viene visto come spinta motivazionale, e come intuito che si traduce in volontà razionale, da una parte la volontà di potenza nitzscheana , dall'altra in progetto,heideggeriano e ancora in soggetto/oggetto dentro il fenomeno ma non disgiunti. Ancora il pessimismo schopenauriano e la trascendenza kierkegardiana.
Perchè uno dei quesiti è la trascendenza , se la mente trascende o meno l'inconscio o sono un tutt'uno ontologico.
Avviene storicamente, che l'inconscio si appropria dello spirito , quindi in una visione più laica ora l'inconscio
non trascende metafisicamente ,ma si cala nell'esistenza alla ricerca di significati
CitazioneCitazione di Maral:
Infatti, l'errore ò quello di considerare la psicanalisi come una terapia medica: un certo numero di sedute, proprio come un certo numero di pastiglie e il disagio della malattia è risolto. In realtà il percorso psicanalitico non può mai terminare, è una sorta di percorso ermenutico infinito basato sulla parola che trova in se stesso la propria ragion d'essere e, magari anche nelle parcelle dello psicanalista, il proprio termine effettivo.
Sgiombo:
Ma l' errore l' ha compiuto la psicoanalisi stessa che è nata e si è sviluppata come pretesa scienza della mente e pretesa terapia delle psicopatologie.
Se intesa come "percorso ermeneutico che trova in se stesso la propria ragion d' essere e non finisce mai", allora, contrariamente alle sue proprie pretese (dei suoi fondatori e cultori, anche attuali) non è nulla di scientifico ma invece un' ideologia (magari una filosofia, in un senso a mio parere alquanto "ampio o "debole" del termine; e, sempre a mio parere, decisamente irrazionalistica; non meno ad esempio di molte filosofie-teologie dei più relativamente razionalisti -o relativamente meno irrazionalisti- fra i credenti alle principali religioni rivelate, cosa che non credo i suoi fondatori né i suoi attuali cultori sarebbero disposti ad ammettere).
Citazione da Paul11:
Cosa vuol dire guarire un sintomo di ansia di depressione con un farmaco, è come dare da bere un assetato e dopo ritornerà la sete,Chi può dire che una persona è guarita da problemi dissociativi , chi può dire cosa significa normalità dentro un sistema che costruisce disagi.Chi ci da il manuale di sopravvivenza, una famiglia è malata e genera dissociazione, si guarisce il dissociato e lo si rimette in quella famiglia o in quella società che rigenera la malattia.
Sgiombo:
Infatti (e mi scuso per il fatto di ripetermi) non ritengo possibile in linea di principio una scienza (in senso stretto, quello delle "scienze naturali") né una cura letteralmente "medica" della mente o personalità umana, ma casomai solo del cervello e del suo funzionamento (sono la scienza della neurofisiologia e le terapie, spesso molto efficaci e talora risolutive, della neuropatologia, neurofarmacologia e neurochirurgia).
Citazione da Paul11:
Oggi la medicina "fisica" biochimica standardizza l'individuo,non gli importa della soggettività del malato e lo inserisce in architetture simili a caserme militari, a scuole, nel loro silente e sofferente anonimato, con i suoi odori misti di refettorio ,farmaci e disinfettanti.
Sgiombo:
Conosco diversi medici (fra cui io stesso), praticanti la medicina scientifica "occidentale", che non standardizzano affatto l'individuo, ai quali molto importa della soggettività del malato e che non lo inseriscono affatto in architetture simili a caserme militari, a scuole, nel loro silente e sofferente anonimato, con i suoi odori misti di refettorio ,farmaci e disinfettanti, ma invece lo aiutano ad affrontare le sue malattie, le curano spessissimo efficacemente e talora perfino le guariscono.
E, nonostante il forsennato attacco in corso allo "stato sociale" a partire (secondo me non affatto a caso!) dall' abbattimento del da me mai abbastanza rimpianto Muro di Berlino, credo che questa sia tuttora non solo l' accezione teoricamente corretta ma anche, malgrado tutto, la pratica reale ancora di fatto di gran lunga prevalente della medicina scientifica "occidentale" (grazie all' umantà e al vero e proprio spirito -letteralmente- di abnegazione di tanti colleghi, malgrado -ripeto- i forsennati, criminali attacchi allo "stato sociale" da parte di governi e classi dominanti).
Citazione da Jacopus:
Altrimenti ditemi qual'è la funzione organica dei sogni, e non ditemi che non servono a nulla, perché l'organismo non fa nulla per nulla. Un altro argomento a favore dell'esistenza della psicoanalisi si trae proprio dai recenti studi genetici, visto che l'epigenetica ci informa di come alcune parti del DNA siano sensibili all'ambiente non nel corso dei secoli ma anche nel corso dell'ontogenesi di un singolo individuo. Questo per sottolineare l'importanza dei traumi familiari rimossi e non rimossi nella strutturazione anche genetica della personalità degli individui.
Sgiombo:
Non è affatto vero che l' organismo "non fa nulla per nulla" (di utile alla sua sopravvivenza): le corna dei cervi e delle renne maschi sono più dannose che utili alla loro sopravvivenza, così come penne delle code dei pavoni e dei fagiani maschi, ma la natura, i loro organismi, le hanno fatte e le fanno benissimo così come sono "per puro sfizio" gratuito, per nulla di utile alla loro sopravvivenza.
Ed é molto più razionalistico e scientifico (anzi: è scientifico tout court!) ipotizzare (e sottoporre l' ipotesi a verifica empirica) che i sogni non servano a nulla nello stesso senso delle corna dei cervi e le piume caudali dei pavoni e di tantissimi altri aspetti della vita che hanno ottimamente superato la selezione naturale che ipotizzare (senza poterlo in alcun modo sottoporre a verifica: per niente scientifico!) che esista un inconscio che, fra un accesso di desiderio di uccidere il padre e trombarsi la madre in età infantile e non essendo ancora sessualmente, fisiologicamente in grado di farlo e l' altro, causa i sogni (esattamente come per la Bibbia Dio causò i sogni di Abramo e di Giuseppe, con la stessa -nulla = 0- possibilità di verifica empirica).
Quanto alle vere o (secondo me per lo meno molto più spesso) presunte guarigioni psicoanalitiche rivendicate (più che provate) da Freud e altri, è arcinoto che talvolta le malattie possono migliorare e financo guarire per effetto placebo, per i miracoli di Lourdes o di Padre Pio, ecc.
L' epigenetica e le interazioni (biochimiche!) genoma-citoplasma-soma non hanno nulla a che fare con i veri o pretesi "traumi familiari rimossi e non rimossi nella strutturazione della personalità".
L'argomento è interessante e accurato, quindi non entro totalmnete nel merito della discussione perché dovrei leggere tutti i post precedenti. Ma ieri ho letto il post di Jacopus che mi sembra sui generis e qualche domandina sorge spontanea.
Citazione di: Jacopus il 25 Dicembre 2016, 23:53:57 PM
...infatti dalla psicoanalisi sono partite molte altre correnti, alcune delle quali hanno anche interpretato il fascismo (Reich) o la personalità autoritaria in chiave psicoanalitica (Adorno-Horkheimer).
Ma il Reich non era fascismo, era nazismo, non si possono confondere, pur essendo alleati. Sarebbe come dire che la Russia di Putin e la Turchia di Erdogan sono la stessa cosa dato che ora vanno d'accordo. Mi piacerebbe sapere sulla personalità sinisteoide o dei tipi dei centri sociali che interpretazione in chiave psicoanalitica specifica si può dare.
Citazione di: Jacopus il 25 Dicembre 2016, 23:53:57 PM
All'epoca di Freud la società era organizzata in senso autoritario, il senso di colpa schiacciava i figli fino a farli sentire degli scarafaggi e quindi il disturbo tipico era la depressione e la paranoia (che infatti spesso clinicamente sono associate).
Ma cosa dice? La depressione può essere presente nella paranoia, ma non è detto che la depressione sia associata anche alla paranoia.
@flarenight: Non capisco la sua obiezione/distinzione fascismo-nazismo. Il mio intervento era solo per evidenziare come alcune correnti influenzate dalla psicoanalisi si sono interessate di fenomeni sociali in modo critico. Tra l'altro gli studi di Reich parlavano di fascismo in senso generico, includendo in esso anche il nazismo (che tra l'altro era al centro della sua attenzione, essendo di cultura tedesca).
Se la cosa la può consolare le consiglio di leggere, se non lo conosce, Alice Miller, una psicoanalista eretica, che accomuna Hitler, Caesescu e Stalin, come persone autoritarie (2 a 1 per i sinistroidi). Il libro si intitola "La persecuzione del bambino". Non conosco studi di psicologia sociale sui sinistroidi e sui centri sociali.
La differenza fra "presenza" e "associazione" in merito al collegamento paranoia e depressione non l'ho capito. Quello che volevo dire è che un disturbo depressivo importante può trasformarsi in un disturbo paranoico più o meno grave e coesistere con ulteriori episodi di depressione. In sostanza i due disturbi possono coesistere e conosco direttamente episodi di passaggio/coesistenza da depressione a paranoia mentre non sono a conoscenza diretta di episodi di passaggio/coesistenza da paranoia a depressione. Senza entrare nel dettaglio i due disturbi sono comunque molto diversi, mentre nella paranoia c'è un delirio che modifica la percezione della realtà, nella depressione si conserva la percezione della realtà ma viene svuotata di ogni valore fino a far sentire il depresso fuori dalla vita stessa. Se la depressione persiste fino a minacciare la vita stessa, la persona ha alcune alternative a disposizione ed una è la difesa proiettiva paranoica che sposta su qualcuno/qualcosa il proprio disagio e può così attivarsi e reagire.
Citazione di: sgiombo il 26 Dicembre 2016, 17:10:30 PM
Ma l' errore l' ha compiuto la psicoanalisi stessa che è nata e si è sviluppata come pretesa scienza della mente e pretesa terapia delle psicopatologie.
Se intesa come "percorso ermeneutico che trova in se stesso la propria ragion d' essere e non finisce mai", allora, contrariamente alle sue proprie pretese (dei suoi fondatori e cultori, anche attuali) non è nulla di scientifico ma invece un' ideologia (magari una filosofia, in un senso a mio parere alquanto "ampio o "debole" del termine; e, sempre a mio parere, decisamente irrazionalistica; non meno ad esempio di molte filosofie-teologie dei più relativamente razionalisti -o relativamente meno irrazionalisti- fra i credenti alle principali religioni rivelate, cosa che non credo i suoi fondatori né i suoi attuali cultori sarebbero disposti ad ammettere).
Un percorso ermeneutico non è scientifico in termini galileiani, ma come esplorazione del significato (nel caso specifico il significato dell'individuo umano) si colloca in un discorso scientifico più ampio. L'errore credo sia ridurre la psicanalisi a una branchia della medicína organicistica verificabile secondo i metodi statistici della psicologia cognitiva.
Non penso comunque che sia una pratica irrazionale , al contrario, è un tentativo di dare una lettura razionale all'irrazionale che comunque è sempre presente in noi nei suoi aspetti sia positivi che negativi (ad esempio i sogni che sicuramente possono rivelarci molto di quello che siamo e dei nostri desideri, svelati a mezzo dell'analisi interpretatativa del loro significato dietro la maschera con cui da desti ci identifichiamo). Come ogni tecnica interpretativa corre il rischio di assumere in modo indiscutibile alcuni preconcetti, come fece Freud prendendo come base indiscutibile la sua teoria della libido (che pure presenta aspetti interessanti, ma non generalizzabili in una sorta di legge universale a priori). Proprio per questo Jung si distaccò da lui, ma anche la psicanalisi junghiana ha poi incontrato problemi simili con la teoria archetipica.
Molto interessanti trovo gli sviluppi che ha dato Lacan alla teoria psicanalitica, con aspetti terapeutici interessanti e letture importanti anche riguardo alle tematiche sociali attuali. In Italia c'è Massimo Recalcati che si muove in questo ambito (oltre ai suoi numerosi libri si possono trovare molti suoi interventi su Youtube)
Forse comumunque, anche le psicanalisi, nei loro diversi fondamenti teorici, andrebbero psicanalizzate, un po' come i sogni da Freud..
Citazione di: Jacopus il 26 Dicembre 2016, 18:53:11 PM@flarenight:
Senza entrare nel dettaglio i due disturbi sono comunque molto diversi, mentre nella paranoia c'è un delirio che modifica la percezione della realtà, nella depressione si conserva la percezione della realtà ma viene svuotata di ogni valore fino a far sentire il depresso fuori dalla vita stessa. Se la depressione persiste fino a minacciare la vita stessa, la persona ha alcune alternative a disposizione ed una è la difesa proiettiva paranoica che sposta su qualcuno/qualcosa il proprio disagio e può così attivarsi e reagire.
Mah, sarà, ma persone depresse che ho conosciuto, anche gravi, non avevano la difesa proiettiva paranoica. Piuttosto ho riscontrato invece, anche dopo la guarigione, dei comportamenti istrionicio/narcisistici... ma anche una perdurante fissazione colpevolizzante verso la madre, e forse quest'ultimo potrebbe essere la difesa proiettiva paranoica di cui parla... forse.
Ma siamo OT
Citazione di: Jacopus il 26 Dicembre 2016, 18:53:11 PM
Se la cosa la può consolare le consiglio di leggere, se non lo conosce, Alice Miller, una psicoanalista eretica, che accomuna Hitler, Caesescu e Stalin, come persone autoritarie (2 a 1 per i sinistroidi). Il libro si intitola "La persecuzione del bambino". Non conosco studi di psicologia sociale sui sinistroidi e sui centri sociali.
CitazioneL' accostare Stalin (e Ceausescu) a Hitler si commenta da solo (come anche, per passare da giganti a nani, Putin a Erdogan).
Nel senso che non ho alcuna intenzione di esaminare affinità (relative; e ben comprensibili: a volte gli stessi mezzi si possono usare per ottenere anche fini opposti!) e differenze (profonde, "di sostanza"), tantomeno in questo forum (anzi, preannuncio che ignorerò qualsiasi ulteriore replica a questo proposito perché ritengo che il forum non sia la sede adatta per trattarne, e anzi che il trattarne sarebbe pericoloso per il buona andamento del forum stesso).
Mi limito a dire che per me si tratta di "pensiero unico politicamente corretto", centrato sul concetto (per me ideologico e fuorviante) di "totalitarismo", dal quale dissento radicalmente
Citazione di: maral il 26 Dicembre 2016, 19:07:03 PM
Citazione di: sgiombo il 26 Dicembre 2016, 17:10:30 PM
Ma l' errore l' ha compiuto la psicoanalisi stessa che è nata e si è sviluppata come pretesa scienza della mente e pretesa terapia delle psicopatologie.
Se intesa come "percorso ermeneutico che trova in se stesso la propria ragion d' essere e non finisce mai", allora, contrariamente alle sue proprie pretese (dei suoi fondatori e cultori, anche attuali) non è nulla di scientifico ma invece un' ideologia (magari una filosofia, in un senso a mio parere alquanto "ampio o "debole" del termine; e, sempre a mio parere, decisamente irrazionalistica; non meno ad esempio di molte filosofie-teologie dei più relativamente razionalisti -o relativamente meno irrazionalisti- fra i credenti alle principali religioni rivelate, cosa che non credo i suoi fondatori né i suoi attuali cultori sarebbero disposti ad ammettere).
Un percorso ermeneutico non è scientifico in termini galileiani, ma come esplorazione del significato (nel caso specifico il significato dell'individuo umano) si colloca in un discorso scientifico più ampio. L'errore credo sia ridurre la psicanalisi a una branchia della medicína organicistica verificabile secondo i metodi statistici della psicologia cognitiva.
Non penso comunque che sia una pratica irrazionale , al contrario, è un tentativo di dare una lettura razionale all'irrazionale che comunque è sempre presente in noi nei suoi aspetti sia positivi che negativi (ad esempio i sogni che sicuramente possono rivelarci molto di quello che siamo e dei nostri desideri, svelati a mezzo dell'analisi interpretatativa del loro significato dietro la maschera con cui da desti ci identifichiamo). Come ogni tecnica interpretativa corre il rischio di assumere in modo indiscutibile alcuni preconcetti, come fece Freud prendendo come base indiscutibile la sua teoria della libido (che pure presenta aspetti interessanti, ma non generalizzabili in una sorta di legge universale a priori). Proprio per questo Jung si distaccò da lui, ma anche la psicanalisi junghiana ha poi incontrato problemi simili con la teoria archetipica.
Molto interessanti trovo gli sviluppi che ha dato Lacan alla teoria psicanalitica, con aspetti terapeutici interessanti e letture importanti anche riguardo alle tematiche sociali attuali. In Italia c'è Massimo Recalcati che si muove in questo ambito (oltre ai suoi numerosi libri si possono trovare molti suoi interventi su Youtube)
Forse comumunque, anche le psicanalisi, nei loro diversi fondamenti teorici, andrebbero psicanalizzate, un po' come i sogni da Freud..
CitazioneCirca il "razionalismo" della psicoanalisi intesa come "tentativo di dare una lettura razionale all'irrazionale" mi limito a chiedere quale mai "razionalità" ci sarebbe nel postulare (indimostrabilmente) che i bimbi sessualmente del tutto immaturi proverebbero "fisiologicamente" il desiderio inconscio di uccidere il proprio padre e possedere sessualmente la propria madre.
Tutto ciò mi ricorda molto le persecuzioni assolutamente disumane e barbariche cui sono state sottoposte per un decennio (fino all' assoluzione perché i fatti non erano accaduti) le maestre d' asilo di Rignano, vicino a Roma, per il fatto che alcuni psicologi (non mi stupirei se fossero stati psicoanalitici, ma per essere sincero non sono informato su questo) hanno messo in bocca a dei poveri bambini viziati le loro proprie perversioni (smentite dalla vera scienza medica, che aveva provato che i bambini stessi non avevano subito alcuna violenza sessuale, ma prese per buone dai magistrati inquirenti); inaudite barbariche, disumanissime, mostruose persecuzione (autentici Calvari) per le quali non mi risulta che nessuna miserabile mamma stronza, nessuno psicologo, nessun giornalista calunniatore inveterato e ostinatissimo, nessun magistrato inquirente che fra le perizie mediche e le miserabili farneticazioni degli psicologi aveva dato retta a queste ultime abbia pagato alcunché (in termini penali: se fossi stato una delle vittime di tale inenarrabile, orrendo obbrobrio avrei trovato offensivo che solo si parlasse ipoteticamente di risarcimenti venali).
Ma sta di fatto che Freud e per lo meno molti dei suoi seguaci più o meno critici e dissenzienti (ma "interni al paradigma psicoanalitico", per così dire, onde cercare di intenderci) pretendevano e pretendono che fosse scienza (medica).
Citazione di: anthonyi il 26 Dicembre 2016, 10:32:24 AMTroppo spesso si intende l'inconscio nella sua chiave Freudiana, questo a mio parere non permette di capirne realmente le componenti. L'idea di inconscio ha un suo "senso" naturale che viene dal fatto che si osserva, in antitesi rispetto a una visione psichista che vuole limitare l'essere umano al suo pensiero logico, la presenza di situazioni che alterano la realizzazione di detto pensiero. Il caso tipico è quando ti piace una ragazza, razionalmente cerchi di costruire mentalmente le opportunità di un dialogo, di un approccio, poi però, al momento giusto, c'è qualcosa che ti blocca, questo qualcosa non lo comprendi razionalmente, non si esprime con pensieri, con argomenti, allora lo chiami inconscio.
Sì, in questo senso ritengo corretto parlare di inconscio, fintanto che, appunto, viene identificato con il contenuto di un sentimento indeterminato, confuso, misterioso, che però ci condiziona. Qualcosa di fronte a cui il nostro sapere razionale si blocca. Nella mia "polemica" contestavo proprio l'idea secondo cui si pretende di identificare come ciò che dovrebbe trascendere la coscienza qualcosa cje possiamo analizzare,descrivere,all'interno di un sapere razionale, dunque prodotto di un soggetto conoscente. Ma nel momento in cui con uno sforzo di introspezione riusciamo ad individuare le motivazioni prima nascoste che ci portano ad agire come agiamo o a provare i sentimenti che avvertiamo, allora parlare di "inconscio" non dovrebbe avere più alcun senso, dato che tutto ciò ora viene illuminato dalla luce della consapevolezza emanata dall'Io
L'idea di "confini mobili" tra conscio ed inconscio, l'idea che ciò che ora è inconscio un domani potrebbe divenire coscienza (o viceversa), tra l'altro ha il merito di esaltare ed attribuire la giusta importanza alla singolarità ed alla responsabilità del singolo individuo. In questo modo i limiti della coscienza nei confronti dell'inconscio non sono limiti identici all'interno della specie umana, ma differiscono da individuo ad individuo. Ciascuno di noi lascia nell'inconscio aspetti, tendenze, potenzialità psichiche diverse sulla base dei differenti valori della nostra personalità, e della diversa quantità di forza vitale che impieghiamo nell'introspezione, nell'autoconoscenza. Si presume che una persona dotata di grandi doti introspettive giunga nel corso della vita ad un'estensione della componente conscia nella sua psiche maggiore rispetto a chi vive in modo meno consapevole e più superficiale, lasciando più vaste zone d'ombra nella visione della sua personalità. Partendo da tali basi teoriche, è possibile conservare il senso del valore sia intellettuale che clinico-professionale dello psicanalista: considerandolo non più il depositario di un sapere peculiare alla sua disciplina da applicare in modo meccanico ed impersonale nel rapporto coi pazienti, bensì, più "laicamente", una persona le cui capacità introspettive, di ascolto, di sensibilità la hanno portata a formare un bagaglio di esperienze che le permette di essere un aiuto, una guida che invece di imporre, stimola il paziente ad una libera e personale presa di coscienza delle proprie problematiche, responsabilizzandolo a trovare una sua individuale soluzione per una situazione che è appunto individuale, una figura dialogica, socratica, maieutica,che ispira il paziente una più profonda autocoscienza, e l'acquisizione di una maggiore fiducia nelle proprie potenzialità psichiche finalizzate al raggiungimento di obiettivi personali. In questo senso, trovo piuttosto condivisibile ed apprezzabile l'approccio umanistico di Karl Rogers
Angelo Cannata scrive:
"Quello che mi sembra il secondo errore è la pretesa opposta, cioè proporre una cognizione alternativa dell'inconscio a partire da una proposta filosofica. La scienza, se non altro, si basa su manifestazioni verificabili, senza alcuna pretesa di aver raggiunto un'idea definitiva dell'inconscio. Al contrario, la proposta filosofica è uno schema concettuale che non trova giustificazioni nell'esperienza: in base a quale criterio giustificare la definizione dell'inconscio come coscienza potenziale? La scienza almeno ha chiare le manifestazioni dell'inconscio: sono sogni, comportamenti, opere che è possibile descrivere, analizzare, misurare; ma il concetto di coscienza potenziale cos'ha di chiaro?
Purtroppo non è la prima volta che vedo criticare la scienza accusandola di pretese che in realtà essa non ha: pretese di certezza, di assolutezza, la scienza come vangelo, la scienza divinizzata. Ma la scienza è tutto l'opposto: essa è continuo invito alla critica, è incertezza e proprio perché è incertezza si sforza di raccogliere in continuazione dati, misurazioni, dimostrazioni. La ricerca non rende la scienza certa, ma al contrario, invita sempre a ricerche ulteriori. Il fatto che nel sangue ci siano i globuli rossi non è una cosa certa e indiscutibile stabilita dalla scienza, ma il contrario: è il risultato di esperimenti che la scienza invita a controbattere e criticare, stimolando altri esperimenti ancora, perché la scienza non si fida di niente e di nessuno: la scienza va per probabilità. Ci sono moltissime probabilità che nel sangue ci siano i globuli rossi, perché tutti dati finora in nostro possesso inducono a pensarlo; ma moltissime probabilità non significano certezza assoluta, come quella che si pretende in filosofia. Significa nient'altro che moltissime probabilità. Sono gli ignoranti a scambiare la scienza per filosofia e vangelo, ma la scienza è quanto di più umile e modesto l'uomo riesca a praticare. Proprio per questo essa si fa apprezzare come via seria.
Al contrario, la filosofia cade spesso nell'arbitrario preteso come certezza; anche in questo caso, comunque, la vera filosofia non è mai fanatismo, ma è anch'essa umiltà."
Rispondo che a mio avviso il criterio che legittimerebbe l'idea di "coscienza potenziale" sarebbe semplicemente la constatazione del carattere di divenire e mutevolezza dell'essere umano, dovuta alla contingenza ontologica di tale essere. Ogni divenire è passaggio dalla potenza all'atto, passaggio da qualcosa che "avrebbe potuto realizzarsi" all'effettiva realizzazione. E anche l'acquisizione di conoscenza, riferita sia al mondo esterno sia a se stessi, come processo che si dispiega temporalmente va pensato come un passaggio dalla potenza all'atto, qualcosa prima di essere oggetto della coscienza è potenzialmente coscienza ma non ancora attualmente, inconscio, mentre dopo essere realmente divenuto oggetto di conoscenza, diviene coscienza attuale. Credo che la filosofia perda la sua umiltà quando pretende di giudicare sui risultati attinenti ad un campo della realtà che non le è proprio, pretende di intervenire nel merito dei risultati delle scienze empiriche, ma che resti coerente con la propria natura quando si limita a ricavare deduttivamente delle conseguenze necessarie a partire da presupposti che rientrano nel campo che le è proprio, l'ambito dei principi primi dell'essere, delle conoscenze fondamentali ed evidenti il cui fungere da base di ogni possibile discorso legittima le esigenze di apoditticità. E credo che l'idea che il divenire, compreso il divenire dei processi di presa di coscienza, sia sempre un passaggio dalla potenza all'atto rientri in tali premesse evidenti. Poi, ovviamente, le inferenze deduttive possono essere svolte in modo più o meno corretto in base alle capacità di ciascuno di noi
Auguri a tutti di buone feste anche da parte mia!
Pensieri sull' inconscio.
Al di là dell' argomento di merito, su cui tornerò tra poco, mi duole dover constatare che ci sia una sempre maggiore tendenza a depauperare l' importanza filosofico-sociale dei tre grandi a cavallo della fine del Novecento: Marx, Freud e Nietzsche. E spesso da chi non ha letto Il Capitale o una delle opere degli altri due sommi pensatori. E' chiaro che il sistema persegua tale scopo a tutto vantaggio delle neuroscienze, che a mio avviso sono largamente sovvenzionate dal sistema proprio perché non rivoluzionarie. E proprio perché in questo modo è sicuro di controllarne i modi, i tempi e l' allineamento al potere delle risposte.
Lasciatemi invece affermare che, avendo letto sia Il Capitale che l' opera omnia degli altri due, il loro pensiero è fondamentale per qualsiasi sviluppo etico-morale-sociale-politico-economico per i tempi a venire. E naturalmente a tutto danno dell' attuale potere proprio per l' impatto rivoluzionario in tutto l' ambito del pensiero filosofico-scientifico.
In linea di massima concordo con Maral e Paul 11 e su alcune argomentazioni dell' ultimo post di Davintro. Specialmente quelle sulla diversità di ogni individuo nei confronti di qualsiasi accadere ed affini.
Sulla scienza mi sembra invece che lui indichi quello che dovrebbe essere e non quello che è, ma su questo sorvoliamo.
Entrando nel merito, va fatto un chiarimento. L' inconscio è un termine un po' troppo generico. L' ES, la parte più profonda, in gran parte di carattere e derivazione genetica è al di fuori di qualsiasi terapia psicoanalitica. E' il sub-conscio, e cioè ciò che è in relazione a tutto il nostro vissuto, dove la psicoanalisi può intervenire e con successo.
Naturalmente è bene chiarire che non vi è nulla di scientifico nella psicanalisi, che qui si sta parlando di fenomenologia della psiche e dei vantaggi che alcuni interventi di carattere psicoanalitico possono determinare in qualsiasi individuo. Perché non illudiamoci, anche se molti non lo accettano, tutti hanno qualche rimosso, e ciòè ricordi che vengono oscurati nella memoria e che provocano grandi o piccole disarmonie. E il ruolo principale della psicoanalisi è quello di riportare alla memoria queste rimozioni perché finalmente l' individuo possa accettarle e conviverci.
Il sogno può aiutare moltissimo perché spesso fa emergere questi ricordi non essendoci nel sogno il controllo che si ha nelle ore di veglia. Il problema è che lo fa per simboli, e ciò fa capire che la bravura dello psicoanalista è indispensabile.
Che a questo riguardo sia palese che specialmente negli USA la psicoanalisi sia diventata uno status-symbol, in altre parole un grosso affare commerciale, può determinare un certo scetticismo sulla sua importanza medica, come succede ad esempio anche per molte ricerche farmaceutiche.
La medicina farmaceutica non può nulla o quasi, né nelle patologie di carattere genetico né sui disturbi da me indicati perché non si ha a che fare con malattie ma con disturbi di natura diversa. E questo lo posso affermare anche per esperienza personale, basata su interventi su me stesso ed altre persone, naturalmente gratuitamente.
La medicina farmaceutica tornerà ad essere medicina a tutti gli effetti quando tornerà a far uso, e in parte lo fa già, soltanto di prodotti naturali, abbandonando definitivamente composti di natura chimico-sintetica.
Tutto ciò che ho qui esposto identifica la mia opinione sull' argomento. Ho scelto di agire così proprio per non dover ripetere ad ogni frase il fantomatico: a mio avviso.
Grazie per la cortese attenzione, e di nuovo auguri a tutti.
Garbino Vento di Tempesta.
Citazione di: Garbino il 27 Dicembre 2016, 11:24:34 AM
La medicina farmaceutica non può nulla o quasi, né nelle patologie di carattere genetico né sui disturbi da me indicati perché non si ha a che fare con malattie ma con disturbi di natura diversa. E questo lo posso affermare anche per esperienza personale, basata su interventi su me stesso ed altre persone, naturalmente gratuitamente.
La medicina farmaceutica tornerà ad essere medicina a tutti gli effetti quando tornerà a far uso, e in parte lo fa già, soltanto di prodotti naturali, abbandonando definitivamente composti di natura chimico-sintetica.
Garbino Vento di Tempesta.
Mentre le altre considerazioni sono decisamente opinabili (e la mia opinione, contraria alla tua, l' ho già chiaramente esposta in altri interventi), queste affermazioni mi sembrano decisamente errate.
Con farmaci si curano molto bene divese malattie genetiche, per esempio somministrando, per l' appunto come farmaci, varie sostanze che l' organismo non é in grado di sintetizzare da sè a causa di difetti nei geni che le codificano o codificano la sintesi degli enzimi proteici necessari alla produzione di tali sostanze chimiche.
Inoltre non vedo come si possa sostenere che "La medicina farmaceutica tornerà ad essere medicina a tutti gli effetti quando tornerà a far uso, e in parte lo fa già, soltanto di prodotti naturali, abbandonando definitivamente composti di natura chimico-sintetica".
Facciamo l' esempio del' insulina per i diabetici tipo I (ma é solo un caso emblematico di tanti altri possibili).
Essa era prodotta fino agli ultimi anni del secolo scorso attraverso un processo di estrazione abbastanza complesso dal tessuto pancreatico di maiali o altri animali (come sostanza "naturale", cioé naturalmente prodotta e semplicemente "estratta" da tessuti animali presnti in natura, non per sintesi).
Il processo era costosissimo e inoltre le insuline di origine animale contenevano impurità che provocavano intolleranze e reazioni allergiche; purificarle da queste impurità aumentava ulteriormente di molto i costi di produzione e comunque non era possibile farlo in maniera completa.
Ora viene sintetizzata artificialmente da culture batteriche in cui é stato inserito il gene umano per la sua codifica, costa molto meno (consentendo, ceteris paribus, di curare molti più pazienti) e determina reazioni allergiche o comunque indesiderate in un numero spettacolarmente inferiore di casi.
In che senso sarebbe mai preferibile un' insulina più costosa e più dannosa (come effetti "collaterali" indesiderati, oltre a quello curativo desiderato) come le insuline "naturali" di prima rispetto a quella "di sintesi" attuale?
Mi sembra indubbio che l' uso della seconda sia "medicina (scientifica, "occidentale") a tutti gli effetti" non meno dell' uso delle prima, e inoltre decisamente progredita, più efficace, migliore.
Ricambio sinceramente i convenevoli.
Si rischia l'ot ma preciso sinteticamente che almeno nei disturbi psichiatrici una terapia farmacologica dovrebbe/potrebbe essere parallela ad una psicoterapia: l'una cosa non esclude l'altra e nei disturbi seri la duplicita' dell'intervento e' quello che cura meglio. Sulla prevalenza dell'intervento farmacologico incidono molte cause. Nei servizi pubblici e' determinante la diversita' del tempo necessario ad una psicoterapia individuale rispetto al tempo necessario per prescrivere un farmaco. Inoltre la psicoterapia presuppone una attivita' di supervisione e una formazione continua, per limitare gli effetti negativi dovuti dall'assorbimento del dolore altrui e quindi una maggiore complessita' organizzativa. L'erogazione di medicine non pone ovviamente allo stesso livello di esposizione allo stress.
Citazione di: davintro il 26 Dicembre 2016, 22:14:42 PM
Citazione di: anthonyi il 26 Dicembre 2016, 10:32:24 AMTroppo spesso si intende l'inconscio nella sua chiave Freudiana, questo a mio parere non permette di capirne realmente le componenti. L'idea di inconscio ha un suo "senso" naturale che viene dal fatto che si osserva, in antitesi rispetto a una visione psichista che vuole limitare l'essere umano al suo pensiero logico, la presenza di situazioni che alterano la realizzazione di detto pensiero. Il caso tipico è quando ti piace una ragazza, razionalmente cerchi di costruire mentalmente le opportunità di un dialogo, di un approccio, poi però, al momento giusto, c'è qualcosa che ti blocca, questo qualcosa non lo comprendi razionalmente, non si esprime con pensieri, con argomenti, allora lo chiami inconscio.
Sì, in questo senso ritengo corretto parlare di inconscio, fintanto che, appunto, viene identificato con il contenuto di un sentimento indeterminato, confuso, misterioso, che però ci condiziona. Qualcosa di fronte a cui il nostro sapere razionale si blocca. Nella mia "polemica" contestavo proprio l'idea secondo cui si pretende di identificare come ciò che dovrebbe trascendere la coscienza qualcosa cje possiamo analizzare,descrivere,all'interno di un sapere razionale, dunque prodotto di un soggetto conoscente. Ma nel momento in cui con uno sforzo di introspezione riusciamo ad individuare le motivazioni prima nascoste che ci portano ad agire come agiamo o a provare i sentimenti che avvertiamo, allora parlare di "inconscio" non dovrebbe avere più alcun senso, dato che tutto ciò ora viene illuminato dalla luce della consapevolezza emanata dall'Io
L'idea di "confini mobili" tra conscio ed inconscio, l'idea che ciò che ora è inconscio un domani potrebbe divenire coscienza (o viceversa), tra l'altro ha il merito di esaltare ed attribuire la giusta importanza alla singolarità ed alla responsabilità del singolo individuo. In questo modo i limiti della coscienza nei confronti dell'inconscio non sono limiti identici all'interno della specie umana, ma differiscono da individuo ad individuo. Ciascuno di noi lascia nell'inconscio aspetti, tendenze, potenzialità psichiche diverse sulla base dei differenti valori della nostra personalità, e della diversa quantità di forza vitale che impieghiamo nell'introspezione, nell'autoconoscenza. Si presume che una persona dotata di grandi doti introspettive giunga nel corso della vita ad un'estensione della componente conscia nella sua psiche maggiore rispetto a chi vive in modo meno consapevole e più superficiale, lasciando più vaste zone d'ombra nella visione della sua personalità. Partendo da tali basi teoriche, è possibile conservare il senso del valore sia intellettuale che clinico-professionale dello psicanalista: considerandolo non più il depositario di un sapere peculiare alla sua disciplina da applicare in modo meccanico ed impersonale nel rapporto coi pazienti, bensì, più "laicamente", una persona le cui capacità introspettive, di ascolto, di sensibilità la hanno portata a formare un bagaglio di esperienze che le permette di essere un aiuto, una guida che invece di imporre, stimola il paziente ad una libera e personale presa di coscienza delle proprie problematiche, responsabilizzandolo a trovare una sua individuale soluzione per una situazione che è appunto individuale, una figura dialogica, socratica, maieutica,che ispira il paziente una più profonda autocoscienza, e l'acquisizione di una maggiore fiducia nelle proprie potenzialità psichiche finalizzate al raggiungimento di obiettivi personali. In questo senso, trovo piuttosto condivisibile ed apprezzabile l'approccio umanistico di Karl Rogers
Angelo Cannata scrive:
"Quello che mi sembra il secondo errore è la pretesa opposta, cioè proporre una cognizione alternativa dell'inconscio a partire da una proposta filosofica. La scienza, se non altro, si basa su manifestazioni verificabili, senza alcuna pretesa di aver raggiunto un'idea definitiva dell'inconscio. Al contrario, la proposta filosofica è uno schema concettuale che non trova giustificazioni nell'esperienza: in base a quale criterio giustificare la definizione dell'inconscio come coscienza potenziale? La scienza almeno ha chiare le manifestazioni dell'inconscio: sono sogni, comportamenti, opere che è possibile descrivere, analizzare, misurare; ma il concetto di coscienza potenziale cos'ha di chiaro?
Purtroppo non è la prima volta che vedo criticare la scienza accusandola di pretese che in realtà essa non ha: pretese di certezza, di assolutezza, la scienza come vangelo, la scienza divinizzata. Ma la scienza è tutto l'opposto: essa è continuo invito alla critica, è incertezza e proprio perché è incertezza si sforza di raccogliere in continuazione dati, misurazioni, dimostrazioni. La ricerca non rende la scienza certa, ma al contrario, invita sempre a ricerche ulteriori. Il fatto che nel sangue ci siano i globuli rossi non è una cosa certa e indiscutibile stabilita dalla scienza, ma il contrario: è il risultato di esperimenti che la scienza invita a controbattere e criticare, stimolando altri esperimenti ancora, perché la scienza non si fida di niente e di nessuno: la scienza va per probabilità. Ci sono moltissime probabilità che nel sangue ci siano i globuli rossi, perché tutti dati finora in nostro possesso inducono a pensarlo; ma moltissime probabilità non significano certezza assoluta, come quella che si pretende in filosofia. Significa nient'altro che moltissime probabilità. Sono gli ignoranti a scambiare la scienza per filosofia e vangelo, ma la scienza è quanto di più umile e modesto l'uomo riesca a praticare. Proprio per questo essa si fa apprezzare come via seria.
Al contrario, la filosofia cade spesso nell'arbitrario preteso come certezza; anche in questo caso, comunque, la vera filosofia non è mai fanatismo, ma è anch'essa umiltà."
Rispondo che a mio avviso il criterio che legittimerebbe l'idea di "coscienza potenziale" sarebbe semplicemente la constatazione del carattere di divenire e mutevolezza dell'essere umano, dovuta alla contingenza ontologica di tale essere. Ogni divenire è passaggio dalla potenza all'atto, passaggio da qualcosa che "avrebbe potuto realizzarsi" all'effettiva realizzazione. E anche l'acquisizione di conoscenza, riferita sia al mondo esterno sia a se stessi, come processo che si dispiega temporalmente va pensato come un passaggio dalla potenza all'atto, qualcosa prima di essere oggetto della coscienza è potenzialmente coscienza ma non ancora attualmente, inconscio, mentre dopo essere realmente divenuto oggetto di conoscenza, diviene coscienza attuale. Credo che la filosofia perda la sua umiltà quando pretende di giudicare sui risultati attinenti ad un campo della realtà che non le è proprio, pretende di intervenire nel merito dei risultati delle scienze empiriche, ma che resti coerente con la propria natura quando si limita a ricavare deduttivamente delle conseguenze necessarie a partire da presupposti che rientrano nel campo che le è proprio, l'ambito dei principi primi dell'essere, delle conoscenze fondamentali ed evidenti il cui fungere da base di ogni possibile discorso legittima le esigenze di apoditticità. E credo che l'idea che il divenire, compreso il divenire dei processi di presa di coscienza, sia sempre un passaggio dalla potenza all'atto rientri in tali premesse evidenti. Poi, ovviamente, le inferenze deduttive possono essere svolte in modo più o meno corretto in base alle capacità di ciascuno di noi
Auguri a tutti di buone feste anche da parte mia!
Davintro,
con tutto il bene che possa avere per K.Rogers, stiamo dimenticando che la battaglia fra razionale e irrazionale,
fra ragione e desiderio è più che millenaria, è simbolismo religioso persino incarnazione come lo è l'apollineo e il dionisiaco Nitzschiano,.
Un conto è parlare di psicanalisi clinica, medica, e un conto è discutere di filosofia
I razionalisti come Cartesio, Spinoza e Kant pensano che la ragione debba vincere contro le "affezioni" come li definìì Cartesio, addirittura Spinoza, ma soprattutto Kant, ne farà i principi universali, Vuol dire che per loro la ragione razionalizza l'irrazionale. il ponderabile riesce a domare la natura, tanto che non siamo individui, ma società e quindi i principi etici emorali diventano universali.
Hobbes, Hume, non ritenevano affatto che la ragione potesse domare gli istinti.Hume ad esempio ritneva che la volontà non fosse dipendente dalla ragione ,ma da quegli impulsi imponderabili, dal desiderio.
Quì ci sono già tutte le basi della futiurastruttura politico culturale economica.Vale a dire il pensiero che giustificherà l'azione.
Schopenhauer era talmente pessimista che riteneva che quei desideri, emozioni ,sentimenti, dovessero essere razionalizzati per poterli "vincere" Questa è l'ispirazione culturale per Freud: fare emergere le pulsioni affinchè la sublimazione razionale li riconduca alla ragione.
La via individuale è tipica della cultura orientale a cui Schopenhauer era affezionato.
Ma la via occidentale è quelal sociale, della struttura culturale che domina su quella politico sociale, ovvero è uno standard dentro le costituzioni, dentro l'economia del principio egoistico o edonistico e lo Stato sociale dall'altra.
E' tut'ora in corso la dialettica storica, fra ragione e passione, fra razionalismo e irrazionalismo
Citazione di: Fharenight il 26 Dicembre 2016, 18:16:49 PM
L'argomento è interessante e accurato, quindi non entro totalmnete nel merito della discussione perché dovrei leggere tutti i post precedenti. Ma ieri ho letto il post di Jacopus che mi sembra sui generis e qualche domandina sorge spontanea.
Citazione di: Jacopus il 25 Dicembre 2016, 23:53:57 PM
...infatti dalla psicoanalisi sono partite molte altre correnti, alcune delle quali hanno anche interpretato il fascismo (Reich) o la personalità autoritaria in chiave psicoanalitica (Adorno-Horkheimer).
Ma il Reich non era fascismo, era nazismo, non si possono confondere, pur essendo alleati. Sarebbe come dire che la Russia di Putin e la Turchia di Erdogan sono la stessa cosa dato che ora vanno d'accordo. Mi piacerebbe sapere sulla personalità sinisteoide o dei tipi dei centri sociali che interpretazione in chiave psicoanalitica specifica si può dare.
Citazione di: Jacopus il 25 Dicembre 2016, 23:53:57 PM
All'epoca di Freud la società era organizzata in senso autoritario, il senso di colpa schiacciava i figli fino a farli sentire degli scarafaggi e quindi il disturbo tipico era la depressione e la paranoia (che infatti spesso clinicamente sono associate).
Ma cosa dice? La depressione può essere presente nella paranoia, ma non è detto che la depressione sia associata anche alla paranoia.
A quanto mi risulta la paranoia è un sintomo spesso relazionato alle sindromi depressive.
Citazione di: davintro il 26 Dicembre 2016, 22:14:42 PM
L'idea di "confini mobili" tra conscio ed inconscio, l'idea che ciò che ora è inconscio un domani potrebbe divenire coscienza (o viceversa),
Su questo punto credo ci siano delle osservazioni interessanti, tutti noi ci domandiamo come è fatta l'intelligenza degli animali, abbiamo difficoltà a concepirla perché non si esprime con parole, e lo stesso vale anche per noi. Il conscio non è che quella nostra parte che si esprime in forma logica, poi ci sono tutti gli altri ragionamenti che elaborano emozioni, sensazioni, istinti, che sono dentro di noi, e che a volte si trascodificano in forma logica, come se fosse una traduzione, e questo è il passaggio dall'inconscio al conscio. Se poi teniamo conto che il nostro cervello evolve da almeno 500.000.000 di anni, diciamo dalla nascita dei vertebrati in poi, ed è caratterizzato dall'elaborazione di sensazioni e istinti, un po' più tardi anche emozioni(direi negli ultimi 65 milioni di anni), mentre il pensiero logico entra in gioco con il suono articolato, forse nell'ultimo milione di anni, non mi sembra ci sia da meravigliarsi se l'uomo ha un inconscio che, magari, è anche molto più ampio del conscio.
Citazione di: sgiombo il 26 Dicembre 2016, 21:37:21 PM
Circa il "razionalismo" della psicoanalisi intesa come "tentativo di dare una lettura razionale all'irrazionale" mi limito a chiedere quale mai "razionalità" ci sarebbe nel postulare (indimostrabilmente) che i bimbi sessualmente del tutto immaturi proverebbero "fisiologicamente" il desiderio inconscio di uccidere il proprio padre e possedere sessualmente la propria madre.
Ma questa del complesso di Edipo non è una postulazione a priori, come se Freud si fosse svegliato una mattina e gli fosse improvvisamente venuto in mente dal nulla che i bambini non desiderano altro inconsciamente che uccidere il padre e fare sesso con la propria madre, è piuttosto una conseguenza dell'assunzione della volontà di potenza in forma libidica. Questo semmai è il postulato che si può o meno trovare o no condivisibile. Posso concordare che le conclusioni che tira Freud sul complesso di Edipo possano risultare scandalose, inudibili in certi contesti, ma proprio nell'illustrare il complesso edipico egli tenta di superarne l'irrazionalità che sta nel rimuoverlo o nel reprimerlo. Oltretutto ponendolo come universale (tutti, Freud compreso, secondo la lettura psicanalitica, hanno attraversato il complesso edipico; se così non fosse la maturazione dell'individuo adulto e razionale risulterebbe impossibile, giacché la sua psiche rimarrebbe legata a forme pre edipiche di tipo psicotico narcisistico). Personalmente non ci trovo nulla di così scandaloso, penso che sia normale che il bambino desideri sostituirsi al padre nella sua vicinanza con la madre e che, nelle antiche società tribali, l'assassinio del re-padre da parte del cuccessore-figlio era praticata e non solo nella forma simbolica che ci hanno tramandato i miti (che peraltro sono comunque rappresentazioni del reale, come i sogni). Certo, sotto la visione psicanalitica (e questo accomuna Jung e Freud) c'è l'idea di una fondamentale "innocente" perversione fondamentale, ma la vera perversione che determina il disturbo mentale e la sofferenza che ne consegue sta nel nascondersi questo fondamento umano-biologico, nel non accettarlo nella sua natura fondamentale, nel non voler vedere che esso è la radice da cui pesca, si alimenta e matura realizzandosi la vita umana.
Ringrazio Garbino per aver ricordato che, certo, anche Marx è allineabile nella filosofia del sospetto a Freud e Nietzsche. Anche Marx scoperchia (o pensa finalmente di poter scoperchiare) quello che davvero ci sta sotto alla situazione sociale e per fare questo, compie una grande genealogia, o una sorta di "psicanalisi" storica delle classi sociali, proprio per rivelarne l'inconscio che le alimenta, interpretandolo secondo i termini della ragione economica . umanistica. E qualcosa del genere lo aveva già effettuato Feuerbach (per non parlare di Nietzsche) nei confronti del cristianesimo.
Pensieri sull' inconscio.
X Sgiombo.
Non avevo dubbi che avresti reputato le mie opinioni opinabili. Se la si pensa in modo diverso è difficile che si possa essere d' accordo in qualcosa, anche se è già successo, tanto che lo hai persino sottolineato con enfasi.
Comunque quando ho affermato che la medicina farmaceutica nulla può nei confronti delle malattie di carattere genetico mi riferivo in particolar modo a quelle psichiche, ma soprattutto sottintendevo nel senso di curare. E mi scuso se non sono stato sufficientemente chiaro. Ma anche per le altre, il farmaco non cura, come ad ad esempio nel caso a cui ti riferisci. Infatti, se non ho capito male, supplisce ad una carenza genetica, dando la possibilità all' organismo di produrre o fornendo in modo diretto sostanze che per motivi genetici lo stesso non riesce a produrre o a sintetizzare. La differenza sta appunto tra il supplire e il curare, che a mio avviso è determinante nel quadro di ciò che intendevo esprimere.
Per quanto riguarda i farmaci di fattura chimico-sintetica non metto in dubbio le tue conoscenze mediche né la veridicità di quanto affermi, ritenendoti una persona di una certa onestà intellettuale, e scusa il certa ma diffido anche di me stesso, ma volevo esporre due cose che mi fanno vertere su quanto ho espresso in merito. La prima è che le sperimentazioni su questi farmaci, anche se a volte più che decennali non ci dicono gli effetti collaterali a lunga scadenza degli stessi, e per lunga scadenza intendo anche sulle successive generazioni, ma che soprattutto diffido profondamente di tutto ciò che ci viene propinato come certo anche purtroppo dalla ricerca di carattere farmaceutico. Da dove impera il profitto, in altre parole, ci si può attendere di tutto, anche l' assenza di senso etico dove appunto non dovrebbe mai mancare.
X Maral. Infatti Il Capitale non è soltanto un testo difficile a livello matematico, ma lo è anche per la profondità di diverse considerazioni e teorie di carattere psico-sociale sia individuali che di classe, a cui tu appunto ti riferisci. E' proprio lo scoperchiamento effettuato da tutti e tre su un mondo ( e un uomo ) in deflagrazione che determina la loro caratteristica rivoluzionaria. E questo al di là di quanto siano criticabili o di quanto io stesso sia critico nei loro confronti.
Garbino Vento di Tempesta.
Citazione di: maral il 27 Dicembre 2016, 19:31:43 PM
Citazione di: sgiombo il 26 Dicembre 2016, 21:37:21 PM
Circa il "razionalismo" della psicoanalisi intesa come "tentativo di dare una lettura razionale all'irrazionale" mi limito a chiedere quale mai "razionalità" ci sarebbe nel postulare (indimostrabilmente) che i bimbi sessualmente del tutto immaturi proverebbero "fisiologicamente" il desiderio inconscio di uccidere il proprio padre e possedere sessualmente la propria madre.
Ma questa del complesso di Edipo non è una postulazione a priori, come se Freud si fosse svegliato una mattina e gli fosse improvvisamente venuto in mente dal nulla che i bambini non desiderano altro inconsciamente che uccidere il padre e fare sesso con la propria madre, è piuttosto una conseguenza dell'assunzione della volontà di potenza in forma libidica. Questo semmai è il postulato che si può o meno trovare o no condivisibile. Posso concordare che le conclusioni che tira Freud sul complesso di Edipo possano risultare scandalose, inudibili in certi contesti, ma proprio nell'illustrare il complesso edipico egli tenta di superarne l'irrazionalità che sta nel rimuoverlo o nel reprimerlo. Oltretutto ponendolo come universale (tutti, Freud compreso, secondo la lettura psicanalitica, hanno attraversato il complesso edipico; se così non fosse la maturazione dell'individuo adulto e razionale risulterebbe impossibile, giacché la sua psiche rimarrebbe legata a forme pre edipiche di tipo psicotico narcisistico). Personalmente non ci trovo nulla di così scandaloso, penso che sia normale che il bambino desideri sostituirsi al padre nella sua vicinanza con la madre e che, nelle antiche società tribali, l'assassinio del re-padre da parte del cuccessore-figlio era praticata e non solo nella forma simbolica che ci hanno tramandato i miti (che peraltro sono comunque rappresentazioni del reale, come i sogni). Certo, sotto la visione psicanalitica (e questo accomuna Jung e Freud) c'è l'idea di una fondamentale "innocente" perversione fondamentale, ma la vera perversione che determina il disturbo mentale e la sofferenza che ne consegue sta nel nascondersi questo fondamento umano-biologico, nel non accettarlo nella sua natura fondamentale, nel non voler vedere che esso è la radice da cui pesca, si alimenta e matura realizzandosi la vita umana.
Ringrazio Garbino per aver ricordato che, certo, anche Marx è allineabile nella filosofia del sospetto a Freud e Nietzsche. Anche Marx scoperchia (o pensa finalmente di poter scoperchiare) quello che davvero ci sta sotto alla situazione sociale e per fare questo, compie una grande genealogia, o una sorta di "psicanalisi" storica delle classi sociali, proprio per rivelarne l'inconscio che le alimenta, interpretandolo secondo i termini della ragione economica . umanistica. E qualcosa del genere lo aveva già effettuato Feuerbach (per non parlare di Nietzsche) nei confronti del cristianesimo.
CitazioneA priori o meno, non vedo come si possa trovare razionalistica (e men che meno un "tentativo di superare una qualsiasi forma di irrazionalità") l' idea che ogni bambino "fisiologicamente" desideri sessualmente sua madre in un' età nella quale i suoi organi genitali non sono sviluppati e le sue ghiandole sessuali non funzionano, e anche di uccidere (per questo; e sebbene per fortuna non sia quasi mai necessario uccidere un rivale per possedere la sua donna) suo padre (inconsciamente, com' é ovvio, dato che "incoscio" = " inverificabile" e dunque anche infalsificabile, come ha ben evidenziato Davintro in apertura di questa discussione.
Non ho affermato che il complesso di Edipo sia scandaloso (non mi scandalizzo più di quasi nulla, dopo ciò che ho constatato nella mia lunga vita), bensì (e lo ripeto) che é irrazionalsitico; ed ovviamente lo é di conseguenza tutto ciò che se ne può dedurre.
Avere l' affetto (materno) della madre =/= possedere sessualmente la propria madre.
Il parricidio da parte dei principi é evento rarissimo (e, se é per questo, é molto più frequente il fratricidio), mentre Freud pretende che il complesso di Edipo sia generalizzato, universale; inoltre é motivato dalla brama di potere e non dalla brama sessuale della propria madre. C' é una bella differenza (per quanto abbietto e malvagio, non é comunque irrazionalistico)!
Che i miti siano (corrette, veritiere, per quanto metaforiche) rappresentazione del reale (se non del tutto casualmente) é per lo meno discutibile, anche perché molti miti di diverse religioni sono reciprocamemte alternativi.
Marx, come tutti i grandi (e i piccoli) può essere "stiracchaito" più o meno correttamente da molti in molti modi.
E poiché sono tutti morti si può certo negare che Freud e Nietzche fossero irrazionalisti, mentre Marx era razionalista, e che Nietzche fosse reazionario mentre Marx era rivoluzionario senza tema di smentita da parte loro.
Si tratta di opinioni che mi sembrano con tutta evidenza enormemente errate e false (ma non ho tempo e voglia di fare l' esegesi dei loro testi: pensatela pure come volete in proposito).
Citazione di: Garbino il 27 Dicembre 2016, 21:14:32 PM
Pensieri sull' inconscio.
X Sgiombo.
Non avevo dubbi che avresti reputato le mie opinioni opinabili. Se la si pensa in modo diverso è difficile che si possa essere d' accordo in qualcosa, anche se è già successo, tanto che lo hai persino sottolineato con enfasi.
Comunque quando ho affermato che la medicina farmaceutica nulla può nei confronti delle malattie di carattere genetico mi riferivo in particolar modo a quelle psichiche, ma soprattutto sottintendevo nel senso di curare. E mi scuso se non sono stato sufficientemente chiaro. Ma anche per le altre, il farmaco non cura, come ad ad esempio nel caso a cui ti riferisci. Infatti, se non ho capito male, supplisce ad una carenza genetica, dando la possibilità all' organismo di produrre o fornendo in modo diretto sostanze che per motivi genetici lo stesso non riesce a produrre o a sintetizzare. La differenza sta appunto tra il supplire e il curare, che a mio avviso è determinante nel quadro di ciò che intendevo esprimere.
Per quanto riguarda i farmaci di fattura chimico-sintetica non metto in dubbio le tue conoscenze mediche né la veridicità di quanto affermi, ritenendoti una persona di una certa onestà intellettuale, e scusa il certa ma diffido anche di me stesso, ma volevo esporre due cose che mi fanno vertere su quanto ho espresso in merito. La prima è che le sperimentazioni su questi farmaci, anche se a volte più che decennali non ci dicono gli effetti collaterali a lunga scadenza degli stessi, e per lunga scadenza intendo anche sulle successive generazioni, ma che soprattutto diffido profondamente di tutto ciò che ci viene propinato come certo anche purtroppo dalla ricerca di carattere farmaceutico. Da dove impera il profitto, in altre parole, ci si può attendere di tutto, anche l' assenza di senso etico dove appunto non dovrebbe mai mancare.
CitazioneMi sembra ovvio che Se la si pensa in modo diverso è difficile che si possa essere d' accordo in qualcosa, anche se è già successo (sta succedendo anche proprio in questo momento!), e infatti l' ho sottolineato con enfasi.
Non vedo che cosa possa significare, se non "curare" il "supplire ad una carenza genetica, dando la possibilità all' organismo di produrre o fornendo in modo diretto sostanze che per motivi genetici lo stesso non riesce a produrre o a sintetizzare", così limitando e talora evitando del tutto le sofferenze, le invaldità e spesso le morti "premature" che ne derivano.
Ovviamente tutte le conoscenze scientifiche (non solo in medicina e farmacologia!) sono relative e fallibili (né alcun serio cultore delle scienze ha mai preteso di negarlo), ragion per cui a volte succede che a distanza di tempo dall' uso si evidenzino effetti collaterali di farmaci precedentemente ignorati e magari gravi.
Inoltre dell' onestà intellettuale (e generale) delle grandi imprese farmaceutiche c' é tutt' altro che da fidarsi (altro raro caso di concordanza da parte mia: "Da dove impera il profitto, in altre parole, ci si può attendere di tutto, anche l' assenza di senso etico dove appunto non dovrebbe mai mancare" *).
Malgrado ciò i fatti dimostrano che il bilancio costi/benefici complessivo della medicina scientifica "occidentale" é "spettacolarmente positivo", in misura assolutamente non paragonabile ai risultati di qualsiasi pratica "alternativa" non scientifica (che ovviamente può anche talora portare a benefici per effetto placebo; e soprattutto in campo psichiatrico).
Ti ringrazio per l' apprezzamento della mia onestà intellettuale, che mi ha molto gratificato e che ricambio con convinzione (poiché diffidi anche di te stesso, di più non potevo sperare)
__________________
* En passant: rimango alquanto perplesso al sentir parlare di "senso etico che almeno in certi casi non dovrebbe mai mancare" un convintissimo seguace e cultore di Nietzche come te; ma non conoscendo se non per sentito dire questo autore potrebbe anche darsi che in realtà non ci sia nulla di cui stupirsi).
Citazione di: sgiomboAvere l' affetto (materno) della madre =/= possedere sessualmente la propria madre.
E' diverso per un adulto, non per un bambino piccolo. La sessualità adulta è certamente diversa da quella vissuta da un bambino (e anche nel bambino in età edipica appare un'eccitazione fallica che impara presto a stimolare). Freud comunque si riferisce alla libido intesa come pulsione originaria vitale che si traduce nel principio del piacere che è sempre presente e attraversa le fasi pregenitali (orale e anale) prima di fissarsi sull'organo sessuale maschile e quindi poter essere sublimata e controllata razionalmente proprio a seguito della crisi edipica (giacché il desiderio del bambino non trova soddisfazione e quindi viene rimosso e sublimato con la formazione del super io che introietta inconsciamente proprio la figura del padre che viene a costituire la dimensione ideale e la regola sociale). Certamente tutto questo possiamo ritenerlo discutibile, come qualsiasi teoria riguardante l'inconscio, ma è comunque un punto di vista interpretativo assai interessante.
Comunque l'uccisione del vecchio capo tribù da parte dei pretendenti alla successione dinastica è tutt'altro che rara, anche se talvolta viene effettuata solo in forma simbolico rituale. D'altra parte basta considerare le cosmogonie mitiche e in primo luogo quella greca: Urano (che impediva a Gea di partorire i suoi figli temendo di venire esautorato) viene evirato da Kronos il quale a sua volta, per essere sicuro di conservare il potere, i propri figli li divora, finché Zeus, ultimo nato, non lo sconfigge, lo detronizza e lo costringe a vomitarli.
E i miti raccontano molto delle più profonde pulsioni psichiche dell'umanità, proprio perché l'umanità che li ha "inventati" o "sognati" era in questo senso molto più "innocente" di quella attuale.
Citazione di: maral il 28 Dicembre 2016, 23:36:25 PM
CitazioneAvere l' affetto (materno) della madre =/= possedere sessualmente la propria madre.
E' diverso per un adulto, non per un bambino piccolo. La sessualità adulta è certamente diversa da quella vissuta da un bambino (e anche nel bambino in età edipica appare un'eccitazione fallica che impara presto a stimolare). Freud comunque si riferisce alla libido intesa come pulsione originaria vitale che si traduce nel principio del piacere che è sempre presente e attraversa le fasi pregenitali (orale e anale) prima di fissarsi sull'organo sessuale maschile e quindi poter essere sublimata e controllata razionalmente proprio a seguito della crisi edipica (giacché il desiderio del bambino non trova soddisfazione e quindi viene rimosso e sublimato con la formazione del super io che introietta inconsciamente proprio la figura del padre che viene a costituire la dimensione ideale e la regola sociale). Certamente tutto questo possiamo ritenerlo discutibile, come qualsiasi teoria riguardante l'inconscio, ma è comunque un punto di vista interpretativo assai interessante.
Comunque l'uccisione del vecchio capo tribù da parte dei pretendenti alla successione dinastica è tutt'altro che rara, anche se talvolta viene effettuata solo in forma simbolico rituale. D'altra parte basta considerare le cosmogonie mitiche e in primo luogo quella greca: Urano (che impediva a Gea di partorire i suoi figli temendo di venire esautorato) viene evirato da Kronos il quale a sua volta, per essere sicuro di conservare il potere, i propri figli li divora, finché Zeus, ultimo nato, non lo sconfigge, lo detronizza e lo costringe a vomitarli.
E i miti raccontano molto delle più profonde pulsioni psichiche dell'umanità, proprio perché l'umanità che li ha "inventati" o "sognati" era in questo senso molto più "innocente" di quella attuale.
CitazioneChe anche un bambino piccolo possa avre limitate eccitazioni sessuali (ma non sia in grado di avere veri e propri rapporti sessuali attivi, tantomeno con la propria madre essendo inconsciamente intenzionato ad uccidere il padre per questo) negli anni nei quali Freud fantastica di complessi di Edipo non significa affatto che il suo affetto e attaccamento verso la madre non sia tutt' atra cosa (fra l' altro si tratta di ecctazioni "falliche, ergo "genitali" e non affatto "anali" né "orali") .
Che a tutte le età si cerchi piacere (ma in modi e attraverso esperienze in gran parte nettamente diverse da età a età) mi sembra proprio la scoperta dell' acqua calda!
E chiamare la generica ricerda del piacere, alla latina, "libido" non aggiunge nulla a questa ovvietà.
Le altre considerazioni freudiane cui accenni non mi sembrano meno eclatantemente irrazionali, oltre che gratuite, di quelle sul complesso doi Edipo.
Che siano interessanti o meno é ovviamente del tutto soggettivo (personalmente trovo molto più interessante le favole di Biancaneve o di Cenerentola; che peraltro non hanno mai indebitamente preteso alcuna dignità scientifica, contrariamente a quelle di Freud).
Le cosmogonie mitiche sono una cosa (anche le leggende sulle "rivoluzioni -ma soprattutto le controrivoluzioni- che divorano i loro padri" se é per questo: Stalin che "divota" Trotsky -ma non Lenin!-, Krusciov che "divora" Stalin, ecc.), le uccisioni storiche di regnanti da parte degli eredi ai troni sono un' altra cosa, non dovute al desiderio di avere rapporti sessuali con le regine madri ma a brama di potere, come pure i molto più numerosi fratricidi.
Si, i miti, proprio per loro ingenuità, possono anche contenere qualche verità, magari interessante, circa la psiche umana; ma vanno presi con le pinze e sottoosti a serrata critica razionale, non trasformati in pretese teorie scientifiche tout court.
CitazioneChe siano interessanti o meno é ovviamente del tutto soggettivo (personalmente trovo molto più interessante le favole di Biancaneve o di Cenerentola; che peraltro non hanno mai indebitamente preteso alcuna dignità scientifica, contrariamente a quelle di Freud).
No, sono oggettivamente interessanti avendo comunque segnato la visione culturale di un'epoca. Che poi tu possa trovare piú interessanti le favole di Biancaneve o di Cenerentola, anche questo è sicuramente interessante, potresti provare a fondare una teoria della psiche partendo dall'interpretazione di queste due fiabe, magari fondando una nuova teoria della psiche dagli effetti epocali.
L'idea per nulla banale di Freud è che la pulsione del piacere (a cui in un secondo tempo si aggiungerà la pulsione di morte) nel suo progressivo articolarsi è la matrice della psiche (idea piuttosto innovativa rispetto ai tempi in cui si riteneva che la psiche fosse un ente di matrice del tutto spirituale, non credi?) e questa rappresenta un'autentica rivoluzione che ha base filosofica nel pensiero nicciano e origine in quello di Brentano. A determinare il contesto culturale in cui nasce la psicanalisi vanno considerati inoltre il clima scientifico e quello sociale dell'epoca: il progresso scientifico: in particolare la teoria darwiniana a cui Freud si interessò, I modelli dell'elettromagnetismo in fisica e gli studi sull'ipnotismo in campo medico che rivelarono a Freud l'importanza delle suggestioni inconsce e quindi l'esistenza di una dimensione non cosciente determinante le azioni indipendentemente dalla volontà del soggetto.
Il mito di Edipo è fondamentale proprio in tal senso: Edipo infatti
non sa che è lui la causa della pestilenza a Tebe, cerca la soluzione in modo razionale, guidato dal suo io, senza riuscirvi. Non sa che Giocasta, la regina, è sua madre con cui lui ha avuto dei figli, non sa che l'uomo che ha ucciso tornando da Delfi e dopo aver risolto con acume razionale l'enigma della Sfinge, era suo padre e quando lo viene a sapere si acceca.
Nella teoria psicanalitica convergono e si intrecciano tutti questi temi filosofici, scientifici, mitologici e proprio per questo è estremamente e oggettivamente interessante. Ed è interessante anche il fatto che, pur essendo centrata sull'interpretazione della genesi della psiche maschile e sul ruolo del padre, Freud ottenne i maggiori successi nella cura dell'isteria, che era un disturbo nevrotico legato soprattutto alla sessualità femminile.
Infine non possiamo dimenticare che oltre alla teoria analitica junghiana e la profonda rivisitazione Lacaniana, la teoria psicanalitica freudiana ha determinato nel corso del 900 un fiorire di letture certamente molto interessanti sul significato della natura dell'essere umano, tra queste vorrei ricordare in particolare quelle della Klein sugli aspetti psicotici autodistruttivi nel bambino e di Bion, ancora sul rapporto bambino - madre e individuo - società.
Citazione di: maral il 29 Dicembre 2016, 23:33:37 PM
CitazioneChe siano interessanti o meno é ovviamente del tutto soggettivo (personalmente trovo molto più interessante le favole di Biancaneve o di Cenerentola; che peraltro non hanno mai indebitamente preteso alcuna dignità scientifica, contrariamente a quelle di Freud).
No, sono oggettivamente interessanti avendo comunque segnato la visione culturale di un'epoca.
CitazioneSu questo non posso non concordare.
Notando en passant che nello stesso modo, per questi stessi motivi potrebbero essere oggettivamente interessante anche la frenologia di Gall o le teorie di Lombroso che hanno comunque segnato la visione culturale di un'epoca rispettivamente a livello mondiale e italiano.
Che poi tu possa trovare piú interessanti le favole di Biancaneve o di Cenerentola, anche questo è sicuramente interessante, potresti provare a fondare una teoria della psiche partendo dall'interpretazione di queste due fiabe, magari fondando una nuova teoria della psiche dagli effetti epocali.
CitazioneNo, grazie!
Contrariamente a Freud non mi va di millantare pseudoscienza.
L'idea per nulla banale di Freud è che la pulsione del piacere nel suo progressivo articolarsi è la matrice della psiche (idea piuttosto innovativa rispetto ai tempi in cui si riteneva che la psiche fosse un ente di matrice del tutto spirituale, non credi?) e questa rappresenta un'autentica rivoluzione che ha base filosofica nel pensiero nicciano e origine in quello di Brentano.
CitazioneChe la pulsione del piacere nel suo progressivo articolarsi è la matrice della psiche non capisco che cosa possa significare se non la banale ovvietà che il piacere è soddisfazione di desideri (cosa arcinota dai tempi di Epicuro e anche precedenti).
Citazione di: sgiombo il 30 Dicembre 2016, 09:41:47 AM
Notando en passant che nello stesso modo, per questi stessi motivi potrebbero essere oggettivamente interessante anche la frenologia di Gall o le teorie di Lombroso che hanno comunque segnato la visione culturale di un'epoca rispettivamente a livello mondiale e italiano.
Certamente anch'esse lo sono dal punto di vista interpretativo del significato, rimanendo, come la psicanalisi, discutibili. Qualsiasi ipotesi che si afferma storicamente è valida nel contesto sociale che la rende vera, quando questo ambito muta la pretesa di verità di quell'interpretazione scompare ed essa appare come una pseudo scienza rispetto al nuovo modo di vedere le cose che si viene affermando mostrando una diversa verità (e quindi una diversa realtà nelle cose), la quale sarà a sua volta messa in discussione dagli ulteriori contesti culturali e sociali che andrà a produrre. E' questa la storia del pensiero umano in cui non si può mai raggiungere nessuna teoresi definitiva, ma ogni volta l'interpretazione che emerge appare quella più scientificamente e realisticamente valida. La differenza tra vera scienza e pseudoscienza emerge in ogni epoca solo nel presente, non in una pretesa di una verità universalmente valida in sé, al di fuori dal tempo e dai contesti.
CitazioneChe la pulsione del piacere nel suo progressivo articolarsi è la matrice della psiche non capisco che cosa possa significare se non la banale ovvietà che il piacere è soddisfazione di desideri (cosa arcinota dai tempi di Epicuro e anche precedenti).
Che il piacere consista nella soddisfazione (razionale) dei desideri è certamente un'idea antica, presente nel pensiero epicureo e in generale in tutto quello classico; la novità freudiana consiste nel ritenere che l'istanza razionale che guida la realizzazione del desiderio (l'io) non è che il prodotto di matrice inconscia di quella stessa pulsione che si illude di poter dominare, controllare e censurare moralmente. Questo significa che mentre nel pensiero classico c'è una dualità tra natura (irrazionale) e pensiero (razionale), ovvero tra materia e spirito in cui il secondo giunge a prevalere sulla prima, con la psicanalisi questa dualità scompare, poiché in ogni caso la razionalità non è che il prodotto della pulsione e solo da essa prende continuamente forma.
Pensieri sull' inconscio.
X Sgiombo.
Mi sembra strano che proprio tu non ravveda la differenza tra curare una malattia o supplire ai suoi effetti. Certo sempre di curare si tratta, ma al di là del miglioramento o della possibilità di vita che questi farmaci offrono, rimane il fatto che questi farmaci non curano il male. E questo era importante sempre in merito a ciò che avevo affermato e cioè che una patologia di carattere genetico non è curabile, a quanto mi risulta e almeno per il momento.
Per quanto riguarda la medicina alternativa ho sempre il sospetto che la ricerca farmaceutica si sia indirizzata su farmaci sintetici più per un motivo di lucro che di salvaguardia della salute. Del resto mi sembra, ma posso sempre sbagliare, che la medicina anticamente non era proprio così sprovveduta come molti ritengono. E questo pur non disponendo dei mezzi che lo sviluppo scientifico nell' epoca moderna ha messo a disposizione in campo medico.
Il discorso sul senso etico, specialmente sulle differenze tra etica e morale, ci porterebbe lontano, e probabilmente finiremmo fuori tema. Due cose volevo però sottolineare. La prima è che, pur essendo un cultore di Nietzsche, questo non vuol dire che io non possa avere mie idee sull' eticità. La seconda è che ho sempre più frequente il sospetto, tanto che ormai è diventato quasi una certezza, che molti ritengono che l' autosuperamento o l' autoannullamento della morale ( quella corrente imposta si identifica nella liberazione dell' uomo ) in Nietzsche sfoci in una amoralità assoluta. Questo è falso. Le cose stanno proprio all' opposto. E cioè che in tale condizione l' individuo dovrebbe impegnarsi nella ricerca di una moralità maggiore.
Rinnovo a tutti gli auguri di buona fine e di buon inizio d' anno.
Garbino Vento di Tempesta.
Citazione di: maral il 31 Dicembre 2016, 10:31:45 AM
Citazione di: sgiombo il 30 Dicembre 2016, 09:41:47 AM
Notando en passant che nello stesso modo, per questi stessi motivi potrebbero essere oggettivamente interessante anche la frenologia di Gall o le teorie di Lombroso che hanno comunque segnato la visione culturale di un'epoca rispettivamente a livello mondiale e italiano.
Certamente anch'esse lo sono dal punto di vista interpretativo del significato, rimanendo, come la psicanalisi, discutibili. Qualsiasi ipotesi che si afferma storicamente è valida nel contesto sociale che la rende vera, quando questo ambito muta la pretesa di verità di quell'interpretazione scompare ed essa appare come una pseudo scienza rispetto al nuovo modo di vedere le cose che si viene affermando mostrando una diversa verità (e quindi una diversa realtà nelle cose), la quale sarà a sua volta messa in discussione dagli ulteriori contesti culturali e sociali che andrà a produrre. E' questa la storia del pensiero umano in cui non si può mai raggiungere nessuna teoresi definitiva, ma ogni volta l'interpretazione che emerge appare quella più scientificamente e realisticamente valida. La differenza tra vera scienza e pseudoscienza emerge in ogni epoca solo nel presente, non in una pretesa di una verità universalmente valida in sé, al di fuori dal tempo e dai contesti.
CitazioneRitengo lo scetticismo (radicale; e anche il più limitato solipsismo) insuperabile razionalmente; cioé attraverso indubitabili dimostrazioni logiche e/o osservazioni empiriche.
Ma che, se si ammette per veri (si crede infondatamente veri) un minimo di assunti indimostrabili né logicamente né empiricamente, allora si può distinguere fra verità (predicati circa la realtà tali che la realtà é ad essi "conforme", così come essi predicano che sia) e falsità (per lo meno in un numero limitato di casi, non esistendo da nessuna parte la perfezione).
E che la verità della scienza "in sé" non sia condizionata socialmente, che non sia "valida nel contesto sociale che la rende vera" ma sia invece vera oggettivamente.
I diversi contesi sociali condizionano i tempi dell' affermarsi della verità scientifica oggettiva (talora favorendone in maggiore o minor misura l' acquisizione e lo sviluppo, nell' uno o nell' altro campo della ricerca, talaltra contrastandolo in maggiore o minor misura), ma non dettano affatto alla scienza i "contenuti" delle sue verità oggettive (che tali inevitabilmente non sarebbero, mentre lo sono, ammesso un minimo di tesi indimostrabili né mostrabili) così come secondo l' Islam Dio avrebbe dettato a Maometto il Corano.
E inoltre condizionano pesantemente, ideologicamente (producendo e diffondendo falsa coscienza "di regola", ovvero generalmente, nell' interesse delle classi dominanti e del mantenimento del loro potere e dei loro privilegi) il "contesto culturale di contorno" che accompagna, favorendolo o meno a seconda dei casi, lo sviluppo delle scienze; e questo in generale (nel caso del contesto culturale ampiamente inteso), e in particolare fra i cultori professionali della ricerca scientifica, i quali non di rado disprezzano "positivisticamente" la filosofia e pretendono di poterne fare a meno, e comunque a mio modesto parere "di regola" non sono dei buoni filosofi razionalisti conseguenti (questo è a mio parere esemplificato particolarmente bene dall' imporsi a tutt' oggi fra gli scienziati, anche se recentemente tendono a crescere le "voci critiche", dell' interpretazione filosofica irrazionalistica "di Copenhagen" della meccanica quantistica).
CitazioneChe la pulsione del piacere nel suo progressivo articolarsi è la matrice della psiche non capisco che cosa possa significare se non la banale ovvietà che il piacere è soddisfazione di desideri (cosa arcinota dai tempi di Epicuro e anche precedenti).
Che il piacere consista nella soddisfazione (razionale) dei desideri è certamente un'idea antica, presente nel pensiero epicureo e in generale in tutto quello classico; la novità freudiana consiste nel ritenere che l'istanza razionale che guida la realizzazione del desiderio (l'io) non è che il prodotto di matrice inconscia di quella stessa pulsione che si illude di poter dominare, controllare e censurare moralmente. Questo significa che mentre nel pensiero classico c'è una dualità tra natura (irrazionale) e pensiero (razionale), ovvero tra materia e spirito in cui il secondo giunge a prevalere sulla prima, con la psicanalisi questa dualità scompare, poiché in ogni caso la razionalità non è che il prodotto della pulsione e solo da essa prende continuamente forma.
CitazioneC' é pensiero "classico" (o antico) e pensiero "classico". Nell' epicureismo (non é classico? Certamente é antico) questo dualismo non c' era.
E nemmeno in molti altri filoni di pensiero antichi e moderni molto più razionalistici della psicoanalisi.
E a partire dal pensiero epicureo (e anche stoico, a mio parere, volendo limitarsi all' antichità) un atteggiamento razionalistico ha secondo me dimostrato di poter conseguire un buon (non perfetto, ovviamente, poiché la perfezione non esiste) autocontrollo razionale dei desideri.
Cioé la ragione consente a mio avviso molto meglio di qualsiasi irrazionalismo, psicoanalisi compresa, di:
a) stabilire quali singoli desideri siano realisticamente considerabili con buona approssimazione e probabilità soddisfabili (e quali no) e attraverso quali mezzi;
b) valutare quali insiemi di desideri siano realisticamente considerabili con buona approssimazione e probabilità tali da essere soddisfabili nel loro complesso in alternativa a quali altri insiemi (e quali insiemi non siano invece realisticamente soddisfabili nel loro complesso: "botti piene e mogli ubriache"), e con quali mezzi;
c) "ponderare" o "soppesare" con molta approssimazione e una certa inevitabile incertezza fra più insiemi di desideri realisticamente soddisfabili gli uni alternativamente agli altri quali siano complessivamente più forti o intensi, e dunque la ricerca della soddisfazione di quali fra di essi sia da preferire in quanto foriera di maggiore piacere, felicità, ecc. (ovvero, per chi per sua sfortuna fosse pessimista, di minor dispiacere, infelicità, ecc.).
Purtroppo sto per partire per una breve vacanza e non potrò rispondere alle obiezioni che mi aspetto prima dell' Epifania ("circa").
Buon anno a Maral e a tutti!
Citazione di: Garbino il 31 Dicembre 2016, 16:35:45 PM
Pensieri sull' inconscio.
X Sgiombo.
Mi sembra strano che proprio tu non ravveda la differenza tra curare una malattia o supplire ai suoi effetti. Certo sempre di curare si tratta, ma al di là del miglioramento o della possibilità di vita che questi farmaci offrono, rimane il fatto che questi farmaci non curano il male. E questo era importante sempre in merito a ciò che avevo affermato e cioè che una patologia di carattere genetico non è curabile, a quanto mi risulta e almeno per il momento.
Per quanto riguarda la medicina alternativa ho sempre il sospetto che la ricerca farmaceutica si sia indirizzata su farmaci sintetici più per un motivo di lucro che di salvaguardia della salute. Del resto mi sembra, ma posso sempre sbagliare, che la medicina anticamente non era proprio così sprovveduta come molti ritengono. E questo pur non disponendo dei mezzi che lo sviluppo scientifico nell' epoca moderna ha messo a disposizione in campo medico.
Il discorso sul senso etico, specialmente sulle differenze tra etica e morale, ci porterebbe lontano, e probabilmente finiremmo fuori tema. Due cose volevo però sottolineare. La prima è che, pur essendo un cultore di Nietzsche, questo non vuol dire che io non possa avere mie idee sull' eticità. La seconda è che ho sempre più frequente il sospetto, tanto che ormai è diventato quasi una certezza, che molti ritengono che l' autosuperamento o l' autoannullamento della morale ( quella corrente imposta si identifica nella liberazione dell' uomo ) in Nietzsche sfoci in una amoralità assoluta. Questo è falso. Le cose stanno proprio all' opposto. E cioè che in tale condizione l' individuo dovrebbe impegnarsi nella ricerca di una moralità maggiore.
Rinnovo a tutti gli auguri di buona fine e di buon inizio d' anno.
Garbino Vento di Tempesta.
CitazioneLa medicina scientifica non pretende di curare il "male metafisico", ma le malattie fisiche, naturali.
Le cure mediche scientifiche (prescindendo dalla prevenzione, che è almeno parimenti uno scopo spesso conseguito dalla medicina scientifica) possono essere a seconda dei casi eziologiche (eliminano la malattia, conseguendo la guarigione) o in varia misura sintomatiche o palliative (attenuano i sintomi della malattia, alleviano le sofferenze dei malati, ne limitano l' invalidità, ne procrastinano la morte).
Non poche malattie genetiche sono attualmente curabili (se per "male" non si intende metafisicamente il genoma dell' individuo, ma i suoi effetti epigenetici, sia corporei che psichici. Modificare il genoma non può comunque tantomeno alcuna pratica pretesa "terapeutica" alternativa e non scientifica; e inoltre queste ultime non ottegonoe neppure niente di minimamente paragonabile ai successi della medicina scientifica nemmeno nella cura della malattie genetiche).
Sugli scopi delle imprese farmaceutiche ti ho già risposto.
Dunque, pur essendo un cultore di Nietzche, tu non sei "al di là del bene e del male" ma per la ricerca di una moralità maggiore di quella corrente.
Ne sono contento.
Di nuovo buon anno a tutti!
Citazione di: sgiombo il 31 Dicembre 2016, 16:51:31 PM
se si ammette per veri (si crede infondatamente veri) un minimo di assunti indimostrabili né logicamente né empiricamente, allora si può distinguere fra verità (predicati circa la realtà tali che la realtà é ad essi "conforme", così come essi predicano che sia) e falsità (per lo meno in un numero limitato di casi, non esistendo da nessuna parte la perfezione).
E che la verità della scienza "in sé" non sia condizionata socialmente, che non sia "valida nel contesto sociale che la rende vera" ma sia invece vera oggettivamente.
Il punto è che qualsiasi assunto indimostrabile si assuma come punto di partenza esso è "assunto" sulla base di un percorso storico e sociale che va ben al di là di qualsiasi scelta razionale degli individui, è assunto sulla base di un modo di sentire la "verità" che resta negli individui e nei gruppi fondamentalmente inconscia e di cui la posizione assuntiva di certi principi è un effetto contingente e mai assoluto.
Questo vale anche per la scienza attuale che potrebbe essere "oggettivamente" vera (ossia vera in sé, come se con la scienza si potesse godere dello sguardo dell'assoluto, di un Dio che può vedere ciò che è in modo panoramico) solo se fosse al di fuori di ciò che interpreta e descrive (appunto come Dio), ma non è così, poiché anche il modo di pensare scientifico è il prodotto (e non l'origine trascendente) di una storia sociale sterminata, fatta di un numero infinito di prassi che sono andate modificandosi e continueranno a modificarsi reciprocamente, dunque continuerà a modificarsi il senso di quegli stessi assunti e quindi quelle stesse verità e metodologie scientifiche che ora si ritengono oggettivamente incontestabili, in modo del tutto ovvio. Questa non è una affermazione scettica o solipsistica, è la pura constatazione che nessun osservatore storico (quindi non trascendente come una divinità creatrice fuori dal mondo) può considerarsi al di sopra della storia che genera il suo modo di osservare, di fare e di pensare il significato di ciò che pensa e osserva e nel contempo che ogni osservatore partecipa della realtà nel contesto specifico che gliela presenta. Non è allora possibile raffrontare la verità ritenuta vera un tempo con quella ritenuta vera oggi, proprio perché tale giudizio comporterebbe un situarsi fuori dalla storia che produce ogni ieri e ogni oggi, ogni osservatore e ogni principio a cui ci si affida. Non c'è alcun percorso progressivo verso la verità, un simile progresso può apparire tale solo relativamente alla verità attuale che solo oggi funziona come verità vera, solo relativamente al contesto che oggi la produce che non può essere il contesto (sociale, culturale) che produceva la verità nel passato. Il difetto di buona parte della scienza (e anche di molta filosofia) è, per usare un termine psicanalitico, quello di rimuovere il fatto di essere sempre e comunque il risultato di una storia immensa di cui ogni attribuzione di senso è sempre arbitraria, poiché sempre in realtà si partecipa della verità nel continuo divenire dei suoi significati relazionali.
La scienza, proprio in quanto prodotto del fare umano (delle tecniche umane), è sempre condizionata dai modi di fare che generano modi di capire e di pensare che non possono essere gli stessi in tempi e luoghi diversi e nemmeno possono pretendere di essere più veritieri rispetto a quelli di altri tempi e luoghi.
Le classi dominanti che incarnano le idee dominanti in realtà sono sempre transienti; esse si affermano in quanto interpretano esigenze storiche e tentano di resistere anche quando i contesti che proponevano quei significati culturali e sociali che le favorivano sono mutati. Pensano allora di poter imbrigliare la storia con il mantenimento inamovibile di quei principi di cui proclamano l'oggettività formale incontestabile, ma che essi stessi, senza saperlo, con le loro pratiche, hanno contribuito a mutare e, con la violenza ferocemente conservatrice di tale pretesa, inevitabilmente tramontano, insieme a quelle idee che ora sono diventate come gusci vuoti, strutture artificiose e soffocanti prive di senso (e in questo consiste l'abbattimento della vecchia morale che effettua Nietzsche per affermarne una nuova oltre i vecchi concetti di bene e di male, ma anche il pensiero politico economico e sociale di Marx si muove nella stessa direzione, poiché ogni classe sociale è portatrice di aspetti congruenti di realtà nel divenire storico).
L'unica certezza su cui sarei pronto a scommettere è che le nostre attuali "visioni oggettive" tra qualche secolo (o forse prima) appariranno del tutto inconsistenti in ragione delle nuove prassi che verranno, e che le nuove visioni saranno intese come doverose correzioni e rivisitazioni in senso oggettivo e razionale di quelle che le hanno fondate. Così è per la meccanica quantistica di Copenhagen, così è per la psicanalisi e per qualsiasi principio morale o di cura medica e così sarà per tutte le teorie che vengono e verranno a sostituirle nella pretesa di guida delle prassi.
CitazioneC' é pensiero "classico" (o antico) e pensiero "classico". Nell' epicureismo (non é classico? Certamente é antico) questo dualismo non c' era.
E nemmeno in molti altri filoni di pensiero antichi e moderni molto più razionalistici della psicoanalisi.
Certo, intendevo l'epicureismo come pensiero classico (per questo ho scritto "nell'epicureismo e nelle altre forme di pensiero classico", ove l'epicureismo è una di queste).
La differenza con la psicanalisi è proprio qui: mentre nel pensiero classico, epicureismo compreso (per come ci è pervenuto), c'è un dualismo contrapposto tra razionalità del logos governante e irrazionalità della natura, con il pensiero post nicciano e con la psicanalisi questo dualismo viene superato nella posizione di una fondamentale matrice inconscia pulsante che sta alla radice di tutto, è il regno della pulsione e dei suoi vitali che precedono ogni razionalità e di conseguenza ogni irrazionalità, è questa matrice che dà forma a ogni forma vitale (stabilendo così anche ciò che è irrazionale agli occhi del razionale).
I punti "razionali" (e credo perfettamente condivisibili anche da un freudiano) che tu presenti sono le regole con cui la razionalità esercita il suo dominio raziocinante (quindi soppesante e calcolante) sugli impulsi irrazionali dettati da una necessità che Freud intende fondamentalmente biologica. Ma questa sfera pulsionale, non è altra cosa, ma l'unica matrice sovra individuale di quella stessa razionalità che consente all'essere umano di costituirsi come individuo realizzando la propria autonomia esistenziale. E' il flusso da cui ogni nostro pensiero e sentimento trae origine e questo né Epicuro, né le altre forme di pensiero classico, mi sembra lo avessero pensato (forse un'intuizione simile la si ritrova nel pensiero filosofico-mitologico orientale, proprio perché in tale ambito la filosofia non ha mai inteso annullare la mitologia come ha fatto il pensiero logico occidentale fin dalle sue origini).
Buon anno Sgiombo e felice nuovo anno a tutti! :)
Citazione di: maral il 31 Dicembre 2016, 22:35:26 PM
CitazioneRIESCO ANCORA A DARE UNA RISPOSTA PRIMA DELL MIE BREVI FERIE
Citazione di: sgiombo il 31 Dicembre 2016, 16:51:31 PM
se si ammette per veri (si crede infondatamente veri) un minimo di assunti indimostrabili né logicamente né empiricamente, allora si può distinguere fra verità (predicati circa la realtà tali che la realtà é ad essi "conforme", così come essi predicano che sia) e falsità (per lo meno in un numero limitato di casi, non esistendo da nessuna parte la perfezione).
E che la verità della scienza "in sé" non sia condizionata socialmente, che non sia "valida nel contesto sociale che la rende vera" ma sia invece vera oggettivamente.
Il punto è che qualsiasi assunto indimostrabile si assuma come punto di partenza esso è "assunto" sulla base di un percorso storico e sociale che va ben al di là di qualsiasi scelta razionale degli individui, è assunto sulla base di un modo di sentire la "verità" che resta negli individui e nei gruppi fondamentalmente inconscia e di cui la posizione assuntiva di certi principi è un effetto contingente e mai assoluto.
CitazioneCome ha fatto ben notare Davintro in apertura di questa discussione, se ci si appella ll' "inconscio" non è possibili per definizione alcuna verifica/falsificazione empirica; all' inconscio si può attribuire tutto e (o meglio, per coerenza logica: o) il contrario di tutto senza tema di smentita né speranza di conferma.
Da seguace del materialismo storico credo che qualsiasi scelta (oltre che pratica) teorica, razionale o meno, è condizionata socialmente (in ultima istanza, attraverso complesse mediazioni, dalle relazioni dialettiche fra sviluppo delle forze produttive e rapporti di produzione); ma credo che si tratti di un condizionamento ben diverso da quello fra Dio-dettatore e Corano-dettato a Maometto secondo la religione musulmana.
Credo che si tratti del fatto che, a seconda dei casi, i rapporti sociali favoriscono od ostacolano in maggiore o minor misura la ricerca razionale della conoscenza, la critica razionale della conoscenza stessa, la scelta se assumere o meno credenze logicamente indimostrabili né empiricamente constatabili come premesse indispensabili di conoscenza vera in generale e di conoscenza scientifica in particolare, l' acquisizione o meno della consapevolezza del carattere non razionalmente fondato (non dimostrabile né constatabile) di li credenze, ecc. Il che (i quali risultati teorici) non è di per sé così com' è (non sono quelli che sono e non invece altri) in quanto conseguenza del condizionamento sociale ma invece di ragionamento, di riflessione (più o meno corretti), che i rapporti sociali possono favorire o meno nel raggiungimento della correttezza e della verità in maggiore o minor misura a seconda dei casi.
Una critica razionale delle conoscenza (e in particolare delle conoscenze scientifiche; e anche una concezione della realtà in generale, un' ontologia) può essere più o meno correttamente razionale per quello che afferma e per come lo afferma (e le condizioni sociali possono favorire od ostacolare in maggior e o minor misura il suo raggiungimento); e non è invece correttamente razionale se raggiunge determinati risultati teorici (afferma determinate tesi) in determinate circostanze sociali e altrettanto correttamente razionale se raggiunge determinati altri risultati teorici (afferma determinate altre, diverse tesi), diversi e incompatibili con i precedenti, in altre diverse, determinate circostanze sociali.
Solo in questo senso accetto che qualsiasi assunto indimostrabile si assuma come punto di partenza esso è "assunto" sulla base di un percorso storico e sociale che va ben al di là di qualsiasi scelta razionale degli individui.
Questo vale anche per la scienza attuale che potrebbe essere "oggettivamente" vera (ossia vera in sé, come se con la scienza si potesse godere dello sguardo dell'assoluto, di un Dio che può vedere ciò che è in modo panoramico) solo se fosse al di fuori di ciò che interpreta e descrive (appunto come Dio), ma non è così, poiché anche il modo di pensare scientifico è il prodotto (e non l'origine trascendente) di una storia sociale sterminata, fatta di un numero infinito di prassi che sono andate modificandosi e continueranno a modificarsi reciprocamente, dunque continuerà a modificarsi il senso di quegli stessi assunti e quindi quelle stesse verità e metodologie scientifiche che ora si ritengono oggettivamente incontestabili, in modo del tutto ovvio. Questa non è una affermazione scettica o solipsistica, è la pura constatazione che nessun osservatore storico (quindi non trascendente come una divinità creatrice fuori dal mondo) può considerarsi al di sopra della storia che genera il suo modo di osservare, di fare e di pensare il significato di ciò che pensa e osserva e nel contempo che ogni osservatore partecipa della realtà nel contesto specifico che gliela presenta. Non è allora possibile raffrontare la verità ritenuta vera un tempo con quella ritenuta vera oggi, proprio perché tale giudizio comporterebbe un situarsi fuori dalla storia che produce ogni ieri e ogni oggi, ogni osservatore e ogni principio a cui ci si affida. Non c'è alcun percorso progressivo verso la verità, un simile progresso può apparire tale solo relativamente alla verità attuale che solo oggi funziona come verità vera, solo relativamente al contesto che oggi la produce che non può essere il contesto (sociale, culturale) che produceva la verità nel passato. Il difetto di buona parte della scienza (e anche di molta filosofia) è, per usare un termine psicanalitico, quello di rimuovere il fatto di essere sempre e comunque il risultato di una storia immensa di cui ogni attribuzione di senso è sempre arbitraria, poiché sempre in realtà si partecipa della verità nel continuo divenire dei suoi significati relazionali.
La scienza, proprio in quanto prodotto del fare umano (delle tecniche umane), è sempre condizionata dai modi di fare che generano modi di capire e di pensare che non possono essere gli stessi in tempi e luoghi diversi e nemmeno possono pretendere di essere più veritieri rispetto a quelli di altri tempi e luoghi.
Le classi dominanti che incarnano le idee dominanti in realtà sono sempre transienti; esse si affermano in quanto interpretano esigenze storiche e tentano di resistere anche quando i contesti che proponevano quei significati culturali e sociali che le favorivano sono mutati. Pensano allora di poter imbrigliare la storia con il mantenimento inamovibile di quei principi di cui proclamano l'oggettività formale incontestabile, ma che essi stessi, senza saperlo, con le loro pratiche, hanno contribuito a mutare e, con la violenza ferocemente conservatrice di tale pretesa, inevitabilmente tramontano, insieme a quelle idee che ora sono diventate come gusci vuoti, strutture artificiose e soffocanti prive di senso (e in questo consiste l'abbattimento della vecchia morale che effettua Nietzsche per affermarne una nuova oltre i vecchi concetti di bene e di male, ma anche il pensiero politico economico e sociale di Marx si muove nella stessa direzione, poiché ogni classe sociale è portatrice di aspetti congruenti di realtà nel divenire storico).
L'unica certezza su cui sarei pronto a scommettere è che le nostre attuali "visioni oggettive" tra qualche secolo (o forse prima) appariranno del tutto inconsistenti in ragione delle nuove prassi che verranno, e che le nuove visioni saranno intese come doverose correzioni e rivisitazioni in senso oggettivo e razionale di quelle che le hanno fondate. Così è per la meccanica quantistica di Copenhagen, così è per la psicanalisi e per qualsiasi principio morale o di cura medica e così sarà per tutte le teorie che vengono e verranno a sostituirle nella pretesa di guida delle prassi.
CitazioneLa scienza non ha mai preteso alcuna perfezione e completezza "divina" (casomai l' hanno fatto e lo fanno pessime filosofie irrazionalistiche; "scientistiche").
Può però pretendere a ragione l' oggettività (e la verità relativa, parziale, limitata) delle sue teorie se sono vere alcune sue premesse indispensabili (non confutate dall' esperienza né dalla logica ma non constatabili empiricamente né dimostrabili logicamente: possibili, non necessarie, che potrebbero, non devono necessariamente, essere vere; premesse e infondabilità razionale delle premesse stesse spesso implicite, di cui cioè molti suoi cultori sono di fatto ignari), quali l' esistenza di più esperienze fenomeniche coscienti oltre la "propria" immediatamente esperita, l' intersoggettività delle componenti materiali (esteriori) delle diverse esperienze fenomeniche coscienti (cose "suggerite" da quanto gli altri uomini ci comunicano verbalmente se -cosa indimostrabile- non si tratta di pseudocomunicazioni del tutto fortuite di inesistenti significati solo apparentemente ma falsamente indicati da pseudosimboli verbali; oppure di "maliziosi inganni" del tipo del cartesiano "genio maligno" o del putmaniano scienziato maligno che ha messo il nostro "cervello nella vasca"); e inoltre il divenire di tali componenti materiali – naturali (esteriori) ordinato, relativo o parziale, secondo modalità o leggi universali e costanti astraibili col pensiero dai fatti particolari e concreti e "confermabili" (e non: verificabili) o falsificabili (letteralmente) attraverso adeguate osservazioni e misurazioni empiriche ("spontaneamente offerte dalla natura" o ad essa "estorte" cimentandola adeguatamente in maniera più o meno artificiosa e ingegnosa).
A queste condizioni la conoscenza scientifica è vera ed oggettiva e le circostanze sociali possono (non certo "dettarne i contenuti teorici", ma solo) favorirne od ostacolarne in maggiore o minor misura l' acquisizione e lo sviluppo (che consiste in un progressivo, non lineare "sfrondamento" di elementi di falsità e loro sostituzione con elementi di tendenzialmente crescente verità, o comunque con l' acquisizione ex novo di elementi di verità, nella successione -modificazione più o meno "riformistica" o sostituzione più o meno "rivoluzionaria"- delle teorie scientifiche (sviluppo socialmente agevolato od ostacolato in maggiore o minor misura nelle diverse circostanze storiche).
Dunque il fatto che nessun osservatore storico (quindi non trascendente come una divinità creatrice fuori dal mondo) può considerarsi al di sopra della storia che genera il suo modo di osservare, di fare e di pensare il significato di ciò che pensa e osserva, a certe indimostrabili né confutabili condizioni è del tutto compatibile con la verità oggettiva (ovviamente parziale, limitata) della conoscenza scientifica.
E infatti a quanto pare essa funziona (ha sempre funzionato, nei suoi limiti ovviamente, fin dai suoi esordi più rudimentali o primitivi, poi in gran parte superati).
E infatti nessuna persona comunemente considerata sana di mente agisce in contrasto alle sue conoscenze (nella misura in cui ne dispone di fatto); per esempio nessuna persona comunemente considerata sana di mente si getta dal 100° piano di un grattacielo in quanto, non essendovi certezza razionale in grado di superare il dubbio scettico più radicale circa le leggi della gravità, in teoria la possibilità di sfracellarsi da un momento all' altro contro il soffitto è pari a quella di sfracellarsi al suolo, e dunque di tanto in tanto, prima o poi, tanto vale provare a farlo.
Dunque (nei limiti e alle condizioni di cui sopra) é possibilissimo raffrontare la verità ritenuta vera un tempo con quella ritenuta vera oggi, poiché tale giudizio non comporta un impossibile situarsi fuori dalla storia che produce ogni ieri e ogni oggi, ogni osservatore e ogni principio a cui ci si affida.
Ed infatti ciò è accaduto più di una volta (un caso celebre è quello dell' osservazione dell' eclissi di sole del 1919 che consentì di confrontare la teoria della gravitazione di Newton con quella di Einstein e di stabilire che fra le due la seconda è oggettivamente da ritenersi più vera (ieri, oggi e domani; salvo l' emergere di errori od omissioni, sempre umanamente possibili e di cui le scienze non hanno mai preteso infallibilmente di essere esenti, ovviamente).
Non può darsi contesto culturale in grado di far sì che la teoria tolemaica sia vera e quella copernicana sia falsa (ve ne è stato uno che ha fatto sì che questo fosse creduto falsamente vero quasi universalmente, ma non certo che fosse reale! I fatti hanno la testa molto più dura della più ottusa e coriacea ideologia dominante nel più opprimente e oscurantista contesto sociale!).
Marx non confonde di certo per niente l' inevitabile superamento delle ideologie non più al passo con lo sviluppo delle forze produttive con la pretesa non oggettività e ideologicità della conoscenza scientifica!
Quanto a Nietzche vedo affermate da te e da Garbino cose che non avrei mai immaginato; pensavo che per lui qualsiasi morale fosse artificiosa e falsa e che gli uomini "ben nati", pretesi "superiori agli altri" potessero e dovessero disporre degli altri a loro piacimento senza scrupolo alcuno (come fanno per esempio gli imprenditori di "big pharma", che se ne fregano altamente della salute della gente poiché la loro brama di profitto giustifica ampiamente ai loro occhi, ma -e me ne compiaccio!- non agli occhi di Garbino, il fatto di rovinare eventualmente la salute della popolazione, alla faccia della detestabile ed esecrabile compassione, pietà e carità –fra l' altro, ma non solo- cristiana): quasi quasi mi convincente a cominciare a leggerlo!
Le attuali concezioni scientifiche (dunque non la psicoanalisi) verranno certamente superate, migliorate, integrate (se l' umanità sopravvivrà abbastanza a lungo; cosa di cui dubito); ma non nel senso che verranno riabilitate magie, taumaturghi, astrologie, superstizioni, psicoanalisi e via irrazionaleggiando, bensì nel senso che saranno sostituite da teorie tendenzialmente (ma non: linearmente) meno limitate da errori e falsità, più corrette e dotate di verità oggettiva, cioè più conseguentemente scientifiche.
Continuazione:
SGIOMBO:
C' é pensiero "classico" (o antico) e pensiero "classico". Nell' epicureismo (non é classico? Certamente é antico) questo dualismo non c' era.
E nemmeno in molti altri filoni di pensiero antichi e moderni molto più razionalistici della psicoanalisi.
MARAL:
Certo, intendevo l'epicureismo come pensiero classico (per questo ho scritto "nell'epicureismo e nelle altre forme di pensiero classico", ove l'epicureismo è una di queste).
La differenza con la psicanalisi è proprio qui: mentre nel pensiero classico, epicureismo compreso (per come ci è pervenuto), c'è un dualismo contrapposto tra razionalità del logos governante e irrazionalità della natura, con il pensiero post nicciano e con la psicanalisi questo dualismo viene superato nella posizione di una fondamentale matrice inconscia pulsante che sta alla radice di tutto, è il regno della pulsione e dei suoi vitali che precedono ogni razionalità e di conseguenza ogni irrazionalità, è questa matrice che dà forma a ogni forma vitale (stabilendo così anche ciò che è irrazionale agli occhi del razionale).
I punti "razionali" (e credo perfettamente condivisibili anche da un freudiano) che tu presenti sono le regole con cui la razionalità esercita il suo dominio raziocinante (quindi soppesante e calcolante) sugli impulsi irrazionali dettati da una necessità che Freud intende fondamentalmente biologica. Ma questa sfera pulsionale, non è altra cosa, ma l'unica matrice sovra individuale di quella stessa razionalità che consente all'essere umano di costituirsi come individuo realizzando la propria autonomia esistenziale. E' il flusso da cui ogni nostro pensiero e sentimento trae origine e questo né Epicuro, né le altre forme di pensiero classico, mi sembra lo avessero pensato (forse un'intuizione simile la si ritrova nel pensiero filosofico-mitologico orientale, proprio perché in tale ambito la filosofia non ha mai inteso annullare la mitologia come ha fatto il pensiero logico occidentale fin dalle sue origini).
SGIOMBO:
Non trovo alcun dualismo fra pretesa razionalità umana e irrazionalità naturale nell' epicureismo )e in altre filosofie razionalistiche di tutti i tempi).
Ciò che "sta oggettivamente alla radice di tutto" non è neé razionale né irrazionale, è reale e basta: più o meno razionale o irrazionale può essere l' uomo nell' atteggiarsi di fronte alla realtà.
Epicuro non ignorava certo l' irrazionalità dei desideri, ma giustamente rilevava che per essere felici (il più umanamente possibile) essa va razionalmente valutata, e in base a questa valutazione razionale si deve agire (senza farneticazioni mitologiche inutili e fuorvianti).
Citazione di: sgiombo il 01 Gennaio 2017, 17:34:15 PM
Non trovo alcun dualismo fra pretesa razionalità umana e irrazionalità naturale nell' epicureismo )e in altre filosofie razionalistiche di tutti i tempi).
Perché
1- razionale e 2- irrazionale non sono forse due principi nel pensiero classico in contraddizione reciproca? E forse che a partire da Platone (nella sua visione dell'anima rappresentata come una biga, ma certo ancor prima, dall'inizio della filosofia greca) non si è detto che il logos razionale deve governare l'irrazionale e la mente il corpo? Si tratta di un dualismo che fonda lo stesso pensiero occidentale, epicurei e stoici compresi e la cui dicotomia si approfondisce nel pensiero cristiano (spirito e materia, creatore e creato) e poi scientifico (soggetto raziocinante e oggetto osservato, res cogitans e res extensa). Non so come fai a non vederlo, visto che sempre di due cose (la razionalità e la sua negazione pulsiva biologica e materiale) e non di una si parla.
CitazioneCiò che "sta oggettivamente alla radice di tutto" non è neé razionale né irrazionale, è reale e basta: più o meno razionale o irrazionale può essere l' uomo nell' atteggiarsi di fronte alla realtà.
Certo, la radice non è né razionale né irrazionale, ma se è l'uomo a porre questa distinzione nel suo modo di atteggiarsi di fronte alla realtà, questo uomo non è forse nella realtà anche quando così si atteggia? Il suo atteggiarsi qualificando il reale non è forse ancora reale e quindi originariamente prima di ogni distinzione tra razionale e irrazionale? E questo indistinto primario è quello che Freud intende come inconscio (concetto estraneo a Epicuro e a tutta la filosofia classica), al di là di ogni dicotomia, al di là del bene e del male, al di là del vero e del falso, prima del due che pone ognuna di queste concettualizzazioni dicotomizzanti l'unità indistinta.
CitazioneEpicuro non ignorava certo l' irrazionalità dei desideri, ma giustamente rilevava che per essere felici (il più umanamente possibile) essa va razionalmente valutata, e in base a questa valutazione razionale si deve agire (senza farneticazioni mitologiche inutili e fuorvianti).
E chi ha detto che Epicuro ignorasse l'irrazionalità dei desideri? Ma quella valutazione razionale che rende felici guidando il desiderio non apparteneva all'irrazionalità dei desideri, era altra cosa, quindi le cose erano da sempre due: 1- razionalità del pensiero guida e 2- irrazionalità del desiderio che va guidato (invecchiando mi sono un po' rimbambito, ma almeno fino a due so ancora contare :) ).
In realtà comunque nel pensiero greco le cose non erano così semplici (1 e 2), ma questa è stata l'aspetto concettualizzante che ha dominato per secoli nel pensiero occidentale, fino alla seconda metà del XIX secolo.
Maral scrive:
"con il pensiero post nicciano e con la psicanalisi questo dualismo viene superato nella posizione di una fondamentale matrice inconscia pulsante che sta alla radice di tutto, è il regno della pulsione e dei suoi vitali che precedono ogni razionalità e di conseguenza ogni irrazionalità, è questa matrice che dà forma a ogni forma vitale (stabilendo così anche ciò che è irrazionale agli occhi del razionale)."
Questo è il punto centrale della questione che provavo a sollevare. Se si è coerenti con l'idea che la base fondante delle molteplici forme della nostra vita psichica, compresa la coscienza e la razionalità, è l'inconscio, l'irrazionalità, allora la psicanalisi dovrebbe ammettere l'inconscio come presupposto condizionante anche la sua analisi razionale impedendo a quest'ultima di attribuirsi la qualifica di sapere scientifico giustificato da criteri epistemici aventi valore oggettivo. Di fatto la razionalità psicanalitica necessita di mettersi su un piedistallo superiore rispetto alle credenze che la osteggiano, agisce in linea con lo spirito illuminista teso allo smascheramento RAZIONALE delle illusioni e dell'ignoranza. Lo stesso Freud parlava della psicoanalisi come il tentativo dell'Io di allargare il suo dominio sulla psiche sottraendo territorio all'inconscio. Ma in questo modo la psicanalisi rinnega il suo assunto centrale, cioè il condizionamento da parte dell'inconscio nei confronti dell'Io. In nome di tale assunto la stessa razionalità psicanalitica si presta a dover ammettere su di sè il condizionamento dell'inconscio, dei desideri, delle pulsioni soggettive dello psicanalista che in tale modo non potrebbe pretendere di fondare la sua analisi su criteri oggettivi e razionali, cioè scientifici. Per farlo dovrebbe considerare la sua razionalità e la sua coscienza come soggetto libero, svincolato dall'inconscio e perciò capace di oggettivarlo riconducendolo a "docile" contenuto del suo sapere. L'oggettivazione presuppone sempre uno stadio di passività di ciò che viene oggettivato. E la psicanalisi ricadrebbe pienamente in quel paradigma classico (ma aggiungerei anche medioevale e moderno da Cartesio fino all'ottocento) basato sul dualismo razionale-irrazionale col primo termine che alla fine riesce a dominare il secondo rendendolo adeguato ad esso: conosciuto, spiegato, razionalizzato, mentre la coerenza verso l'assunto richiederebbe, al contrario, la caduta nello scetticismo scientifico, l'impossibilità per la ragione di svincolarsi in alcun modo dalle pulsioni desideranti individuali.
Buon anno a tutti anche da parte mia!
Citazione di: davintroE la psicanalisi ricadrebbe pienamente in quel paradigma classico (ma aggiungerei anche medioevale e moderno da Cartesio fino all'ottocento) basato sul dualismo razionale-irrazionale col primo termine che alla fine riesce a dominare il secondo rendendolo adeguato ad esso: conosciuto, spiegato, razionalizzato, mentre la coerenza verso l'assunto richiederebbe, al contrario, la caduta nello scetticismo scientifico, l'impossibilità per la ragione di svincolarsi in alcun modo dalle pulsioni desideranti individuali.
Concordo su questa considerazione: la terapia con cui la psicanalisi affronta il disturbo mentale resta evidentemente fondata sul logos interpretante, quindi non è coerente con il proprio assunto, resta a metà strada (e forse proprio per questa incoerenza non risolve la malattia psichica, soprattutto se di tipo psicotico o caratteriale, anzi, soprattutto nel primo caso può persino peggiorarla), ma è anche vero che proprio l'incoerenza della teoria mostra la validità dell'ipotesi che ne sta alla base, ossia la provenienza di ogni discorso logico da una matrice pre-razionale e pre-logica (preferisco indicarla in questo modo, piuttosto che con la parola "irrazionale" che ha senso solo collocandosi sul piano di una razionalità giudicante indipendente) che viene a trovarsi in qualsiasi elaborazione interpretativa, compresa inevitabilmente quella psicanalitica.
Si potrebbe forse dire, estremizzando il discorso, che la psicanalisi non cura la psicosi, perché rappresenta essa stessa una forma di psicosi, per quanto ben inserita nei termini sociali.
Citazione di: maral il 02 Gennaio 2017, 10:56:48 AM
CitazioneE la psicanalisi ricadrebbe pienamente in quel paradigma classico (ma aggiungerei anche medioevale e moderno da Cartesio fino all'ottocento) basato sul dualismo razionale-irrazionale col primo termine che alla fine riesce a dominare il secondo rendendolo adeguato ad esso: conosciuto, spiegato, razionalizzato, mentre la coerenza verso l'assunto richiederebbe, al contrario, la caduta nello scetticismo scientifico, l'impossibilità per la ragione di svincolarsi in alcun modo dalle pulsioni desideranti individuali.
Concordo su questa considerazione: la terapia con cui la psicanalisi affronta il disturbo mentale resta evidentemente fondata sul logos interpretante, quindi non è coerente con il proprio assunto, resta a metà strada (e forse proprio per questa incoerenza non risolve la malattia psichica, soprattutto se di tipo psicotico o caratteriale, anzi, soprattutto nel primo caso può persino peggiorarla), ma è anche vero che proprio l'incoerenza della teoria mostra la validità dell'ipotesi che ne sta alla base, ossia la provenienza di ogni discorso logico da una matrice pre-razionale e pre-logica (preferisco indicarla in questo modo, piuttosto che con la parola "irrazionale" che ha senso solo collocandosi sul piano di una razionalità giudicante indipendente) che viene a trovarsi in qualsiasi elaborazione interpretativa, compresa inevitabilmente quella psicanalitica. Si potrebbe forse dire, estremizzando il discorso, che la psicanalisi non cura la psicosi, perché rappresenta essa stessa una forma di psicosi, per quanto ben inserita nei termini sociali.
Maral, allora... se tutto è psicosi si deve anche trarre la conclusione che nulla è psicosi ? ;D
Bè, non ho detto che tutto sia psicosi, ma che la psicanalisi potrebbe essere intesa come una forma psicotica :).
D'altra parte però è vero che la stessa esistenza umana che si trova esposta sul bilico di una frattura potrebbe essere considerata come una sorta di psicosi che ha effetto nell'unità originaria, come uno stato "border line" cosmico che si manifesta in modo diverso in ogni individuo e in cui la normalità o anormalità individuale è data dal rapporto con il contesto in cui questi è inserito.
In fondo spesso, soprattutto di questi tempi, si ha come la sensazione di vivere in un mondo di matti di cui si è comunque parte partecipe e in cui è improbabile trovare un filo sensato. Un motivo dovrà pur esserci :D
Pensieri sull' inconscio.
X Sgiombo.
Oh no! Mi dispiace, ma contrariamente a quanto hai supposto, io sono grato a Nietzsche per avermi fatto riflettere a livello filosofico sia sull' importanza vera o presunta della verità e su ciò che costituisce la base di tutte le morali ed etiche passate. E se soprattutto la morale corrente, la ricerca cioè comunque del bene, non viva a spese del futuro. Chiedersi questo comporta automaticamente un porsi al di sopra di tutto il passato e la spinta propulsiva per un eventuale liberazione dell' uomo dai suoi condizionamenti e soprattutto un porsi Al di là del bene e del male.
Questo ripeto a livello filosofico. A livello etico ciò comporta una sempre maggiore considerazione e serietà su ciò che si ritiene debba essere il nostro codice di comportamento sia individuale che sociale.
Mentre invece sono compiaciuto del fatto che forse Maral ed il sottoscritto abbiano incominciato a farti venire dei dubbi su ciò che solitamente e in modo erroneo viene ritenuto e passato ( a volte volutamente da chi si sente minacciato dalla sua esplosività ) come il pensiero di Nietzsche.
X Davintro
Scusa se mi inserisco ma al pari di Maral concordo con quello che affermi nell' ultimo post. Al di là perciò dell' importanza storico-filosofico di ciò che ha espresso nelle sue opere, la critica a Freud si incentra sull' eccessiva schematizzazione della psiche, sull' irremovibilità da lui dimostrata nei confronti della pulsione sessuale come unica pulsione vitale e proprio sul non rendersi conto che chi cura è al tempo stesso un uomo con gli stessi problemi, se a volte non maggiori, del paziente che si presenta al suo cospetto.
A questo riguardo sottolineo che in precedenza avevo affermato che le caratteristiche dello psicanalista erano fondamentali per la riuscita o il fallimento della terapia. Anche perché il transfert tra paziente e psicanalista può diventare proficuo soltanto quando raggiunge una certa profondità. E ciò naturalmente pone dei problemi a livello di standardizzazione del tipo psicanalista, e cioè di chi poi fa l' analisi sul paziente.
Per quanto riguarda la contraddizione che mina la psicoanalisi tra una razionalità che viene dominata dai propri istinti o irrazionalità, e che naturalmente riconduce automaticamente la psicoanalisi nel non scientifico, mi ero già espresso precedentemente affermando che la psicoanalisi non poteva essere considerata scienza ma che del resto rimaneva un' ottima terapia per determinati problemi psichici.
Ciò su cui può intervenire la psicoanalisi non è ciò che è alla base delle nostre pulsioni desideranti che possono ritenersi caratteriali e troppo profonde per qualsiasi analisi e quasi tutte di origina genetica, ma su ciò che impedisce il flusso armonico di questi istinti e che è rappresentato dalle rimozioni causate da traumi infantili. Il riportare alla memoria questi episodi e riuscire a conviverci porta quasi sempre ad una migliore condizione psichica del paziente.
Garbino Vento di Tempesta.
A Maral:Citazione
Anche a me, leggendo le tue risposte, sorge il dubbio di essermi rincoglionito con l' età (evidentemente, come al solito, ci è per lo meno molto difficile intenderci).
Intanto mi sembra che Freud considerasse la psicoanalisi una scienza (medica) e non una filosofia. Quindi anche da un "presumibile punto di vista freudiano ortodosso" la tua interpretazione filosofica mi sembra per lo meno decisamente discutibile.
Inoltre se "da sempre" (per lo meno dai tempi di Epicuro, se non anche prima) era nota (in occidente e probabilmente anche altrove) la differenza - complementarietà fra impulsi irrazionali ad agire (desideri, aspirazioni, ambizioni ecc.) e (possibile) considerazione razionale degli stessi, della loro realizzabilità (soddisfabilità) realistica o meno, dei mezzi a ciò necessari, ecc. (ed Epicuro, gli Stoici e altri, antichi e moderni, sostenevano e sostengono che la considerazione razionale la più rigorosa e corretta possibile degli impulsi irrazionali soggettivi e delle eventuali condizioni oggettive del loro soddisfacimento è necessaria per vivere una vita la più felice ovvero la meno infelice possibile), come mi sembra anche tu ammetta, allora non vedo proprio che cosa di buono possano averci dato in più le irrazionalistiche e inverificabili elucubrazioni fantasiose di Freud e seguaci sull' inconscio (ignorato da Epicuro semplicemente perché sarebbe risultato da un certo punto di vista un inutile e infondato orpello non necessario alla sua filosofia, da un altro punto di vista un ovvio corollario).
Anche il fatto che pretendere di negare e ignorare determinati impulsi ad agire (anziché cercare razionalmente di soppesarne la forza e di valutarne la realizzabilità o meno congiuntamente ad altri impulsi e con quali mezzi) fosse foriero di infelicità mi sembra evidentissimamente "sottinteso" dall' epicureismo, cioè un' ovvio corollario della filosofia del Giardino (e forse perfino che oltre certi limiti fosse un comportamento decisamente psicopatogeno; cosa questa comunque se non altro molto facilmente arguibile).
Quanto al fatto che le patologie psichiatriche non siano curabili farmacologicamente, se non in modo decisamente palliativo onde attenuarne (ovviamente non senza effetti collaterali più o meno indesiderabili) le sofferenze sintomatiche (per i pazienti e per "il loro prossmimo"), beh non mi sembra un buon motivo per abbracciare acriticamente pretese terapie "analitiche" fondate su fantasiose teorie non verificabili/falsificabili e non testate scientificamente onde discriminarne eventuali risultati episodici reali dal mero effetto placebo.
Né men che meno per interpretare queste pretese teorie scientifiche come non voluta filosofia (a mio modo di vedere irrazionalistica, non sottoposta a serrata critica razionale delle sue tesi, e che perciò comunque personalmente rifiuto).
A Garbino
Innanzitutto ci tengo a precisare che se non ho mai letto Nietzche non è certo per il timore di una sua presunta "esplosività": uno come me, che ha letto (e in complesso approvato in varia misura, e per quanto riguarda alcuni di essi sostanzialmente in toto), fra gli altri, Machiavelli, Robespierre, Babeuf, Buonarroti, Bakunin, Blanqui, Engels, Marx, Lenin, Stalin, Mao Tsetung non teme di certo la eventuale "esplosività" di nessun altro autore!
Probabilmente non ti riferivi a me con questa espressione, ma mi sono comunque sentito in dovere di fare questa precisazione.
Non ho mai letto Nietzche perché su di lui ho sentito dire e letto (anche da parte di suoi più o meno entusiastici ammiratori dichiarati) che ritenesse infondata qualsiasi morale (secondo lui di infausta ascendenza ebraico-cristiana) basata sull' altruismo, la compassione e la solidarietà verso i più sfortunati, deboli. bisognosi di aiuto (per intenderci "la morale del buon samaritano"), nonché sull' uguale dignità personale di tutti gli uomini, e che propugnasse invece un preteso più "nobile" atteggiamento (di presunta origine "classica - precristiana", ma forse da "sviluppare" ulteriormente) forsennatamente elitario, disegualitario (al limite o forse oltre il limite del razzismo), egoistico, cinico, spietato, aggressivo, che pretenderebbe fondato sul (falso) presupposto che gli uomini sarebbero profondamente diversi fra loro quanto a dignità personale, nel senso che si distinguerebbero (fin dalla nascita -congenitamente- e incorregibilmente) fra "superiori", "ben riusciti", "dominatori" da un parte e "inferiori", "mal riusciti", inetti", "pavidi e codardi", "servi per vocazione" dall' altra; atteggiamento da lui propugnato secondo il quale i primi possono e devono servirsi per i propri scopi dei secondi ad libitum, senza limiti di sorta, senza scrupolo alcuno, anche danneggiandoli, opprimendoli, depredandoli, sfruttandoli, schiavizzandoli e financo sterminandoli senza pietà (ritenuta un pessimo vizio ebraico-cristiano) onde perseguire a qualsiasi costo (ovviamente per gli altri!) il proprio egoistico, insindacabile interesse.
Proprio come di fatto "Big pharma" fa con i veri o presunti malati (anche se sostanzialmente sani), dal momento che, come anche da te affermato, "Da dove impera il profitto [...] ci si può attendere di tutto, anche l' assenza di senso etico dove [...] non dovrebbe mai mancare".
Ora, se tu mi assicurassi che queste sono solo fregnacce di malevoli denigratori in malafede o magari di idioti ammiratori e pseudoseguaci in buonafede che non hanno capito un accidente (e magari mi consigliassi uno scritto nel quale Nietzche condanna drasticamente tutto ciò sostenendo tesi nettamente contrarie), allora forse potrei anche prendere in considerazione l' ipotesi di cominciare a leggerlo prima o poi (altre più desiderabili letture permettendo).
Ma già da quanto sostieni in questa discussione circa la pretesa necessità di porsi "Al di là del bene e del male" (N.B.: non di ciò che oggi sarebbe erroneamente ritenuto da alcuni, da molti o magari dai più essere bene ed essere male onde seguire una concezione di ciò che è bene e di ciò che è male più autentica, più corretta, più vera) mi sembra con tutta evidenza andare proprio nel senso nel quale ho sempre sentito parlare del pensiero di Nietzche, e che me lo ha fatto sempre disprezzare toto corde, quale espressione ideologica (dunque falsa), forse la più genuina e probabilmente a tutt' oggi insuperata, del capitalismo giunto a uno stadio del suo corso storico ormai ampiamente superato oggettivamente dallo sviluppo delle forze produttive, in una fase di "ingravescente putrefazione" *
Non vedo comunque come con tutto ciò "a livello filosofico" (ma forse quello etico non è forse uno dei più importanti problemi, interessi, argomenti della filosofia?!) possa conciliarsi "una sempre maggiore considerazione e serietà su ciò che si ritiene debba essere il nostro codice di comportamento sia individuale che sociale": cos' altro se non il bene e il male (ciò che si ritiene sia bene fare e male non fare e ciò che si ritiene male fare e bene non fare; ovvero: l' etica) potrebbe dettarci un codice assiologico, deontologico di comportamento?
Se le parole in lingua italiana hanno un senso, allora cercare, proporre, seguire un codice di comportamento etico implica necessariamente il restare "Al di qua della distinzione fra il bene e il male", magari per superare determinati limiti ed aspetti o elementi superati, storicamente transeunti del modo in cui viene di fatto oggi prevalentemente declinata; mentre invece pretendere di trascenderla non può significare altro che rifiutare qualsiasi codice di comportamento morale.
___________________
* Come vedi, non sono un moralista politicamente corretto e non mi astengo dal descrivere senza ipocrisia e "diplomaticistica delicatezza" ciò che penso; anche perché immagino che altri (e tu fra questi) disprezzino altrettanto cordialmente le mie convinzioni egualitaristiche, altruistiche, solidaristiche, e probabilmente ancor più le mie convinzioni politiche ("vetero")-comuniste (che potremmo impropriamente denominare "staliniste", tanto per intenderci); ma se anche così non fosse per me non cambierebbe nulla.
Citazione di: sgiombo il 05 Gennaio 2017, 19:33:11 PM
Intanto mi sembra che Freud considerasse la psicoanalisi una scienza (medica) e non una filosofia. Quindi anche da un "presumibile punto di vista freudiano ortodosso" la tua interpretazione filosofica mi sembra per lo meno decisamente discutibile.
Probabilmente sì, ma il concetto di inconscio ha risvolti filosofici fondamentali, in parole povere implica che nessuno, con la sua parte razionale (e a dispetto del mito platonico dell'anima che sta alla base del pensiero occidentale successivo, classico e poi cristiano nella sua forma teologica razionale), può essere davvero padrone di se stesso, poiché quella parte razionale proviene comunque dall'irrazionale inconscio. L'unica terapia praticabile per la malattia psichica è quindi la presentazione di questa matrice profonda e oscura alla sfera razionale che essa produce tramite il discorso e il linguaggio psicoanalitico, affinché ci si possa riconoscere in quello che si è, nella propria radicale genealogia e credo che questo rappresenti una novità assolutamente non trascurabile rispetto al pensiero classico.
Freud era un medico, dunque sicuramente e soprattutto inizialmente perso considerasse la psicanalisi una forma di scienza medica che sviluppò interessandosi di ipnotismo come terapia mei casi di isteria, vedendo in essa solo limitatamente i presupposti filosofici, ma poi riconobbe sempre più la natura filosofica della questione, soprattutto con l'entrata in gioco della dicotomia tra istinto di vita e istinto di morte, tanto da auspicare che fossero in primo luogo i filosofi e non i medici a occuparsi di psicanalisi. Ma poi le cose sono andate in modo diverso per ovvie ragioni per cui oggi per fare psicanalisi occorre essere medici o quanto meno psicologi.
Comunque la si pensi in merito, credo però si possa riconoscere che la psicanalisi ha marcato il clima di un'epoca, è nata da un contesto epocale culturale e sociale alla fine dell'800, ed è stata determinante per il clima filosofico almeno della prima metà del secolo successivo con strascichi molto importanti che arrivano ai primi decenni successivi. Certamente è stata il prodotto della cultura della classe sociale borghese dell'epoca e del suo tramonto.
Come terapia forse potrei dire che essa si è rivolta all'uomo del '900, intendendolo in chiave nevrotica, senza accorgersi che quel malato in realtà era psicotico o si avviava verso una psicosi epocale.
Citazione di: maral il 06 Gennaio 2017, 09:40:06 AM
Citazione di: sgiombo il 05 Gennaio 2017, 19:33:11 PM
Intanto mi sembra che Freud considerasse la psicoanalisi una scienza (medica) e non una filosofia. Quindi anche da un "presumibile punto di vista freudiano ortodosso" la tua interpretazione filosofica mi sembra per lo meno decisamente discutibile.
Probabilmente sì, ma il concetto di inconscio ha risvolti filosofici fondamentali, in parole povere implica che nessuno, con la sua parte razionale (e a dispetto del mito platonico dell'anima che sta alla base del pensiero occidentale successivo, classico e poi cristiano nella sua forma teologica razionale), può essere davvero padrone di se stesso, poiché quella parte razionale proviene comunque dall'irrazionale inconscio. L'unica terapia praticabile per la malattia psichica è quindi la presentazione di questa matrice profonda e oscura alla sfera razionale che essa produce tramite il discorso e il linguaggio psicoanalitico, affinché ci si possa riconoscere in quello che si è, nella propria radicale genealogia e credo che questo rappresenti una novità assolutamente non trascurabile rispetto al pensiero classico.
CitazioneAnche secondo me nessuno può essere davvero padrone di se stesso. Secondo me perché anche se a un certo punto si decidesse di essere in un certo modo dettato dalla propria volontà, eventualmente mutando se stessi (per quello che si fosse stati fino ad allora), comunque questa decisione nascerebbe dal come si fosse allora (prima di essere come di deciderebbe di essere, ovvero di diventare); e il come si fosse allora (prima di decidere di essere nel modo che si vuole; compreso il fatto di essere tali da desiderare di diventare diversi da allora) non dipenderebbe dalla propria volontà ma sarebbe comunque subito non per una libera scelta da parte propria.
Inoltre le neuroscienze dimostrano che il divenire della coscienza va di pari passo con (N.B.: non é la stessa cosa di; e nemmeno é causato da) il divenire (in certe circostanze e non in altre) del cervello di ciascuno.
E gli stati del cervello di ciascuno che vanno di pari passo con la sua coscienza sono determinati (conseguono) secondo le leggi di natura dal divenire degli stati precedenti, i quali non sempre necessariamente corrispondono a stati coscienti (spesso non vi corrispondono). In questo senso potrei concordare che la coscienza (sia i suoi aspetti razionali che quelli irrazionali) derivano dall' inconscio (cioé gli stati neurofisiologici che con la coscienza vanno di pari passo derivano da altri stati neurofisiologici che non sempre e necessariamente hanno un corrispettivo cosciente).
Dissento invece che l'unica terapia praticabile per la malattia psichica sia la presentazione dell' inconscio (per definizione non esperibile coscientemente) alla sfera razionale cosciente, la quale vi consegue nel senso di cui sopra, men che meno attraverso il discorso e il linguaggio psicoanalitico. "Presentazione alla coscienza dell' inconscio" é un' espressione contraddittoria, ciò che pretende di esprimere é impossibile; casomai si può cercare di fare ipotesi su cosa di "noumenico, di non cosciente poteva accadere nel proprio cervello mentre non si era coscienti ed a cui sono conseguiti stati fisiologici cerebrali con corrispettivo cosciente.
E penso che riconoscersi in quello che si è, nella propria radicale genealogia richieda introspezione razionale (già praticata da molti pensatori da gran tempo) e non certo le elucubrazioni irrazionali della psicoanalisi.
Che quest' ultima abbia avuto non trascurabile influenza in una certa fase della cultura occidentale (secondo me negativamente) concordo.
Pensieri sull' inconscio.
X Sgiombo.
Ho letto con piacere la lunga dissertazione e probabilmente la lettura di Nietzsche ti resterebbe sgradita ed insopportabile. Io stesso mentre leggevo per la prima volta Umano troppo umano fui tentato più volte di gettare il libro dalla finestra. Ciò era causato dall' atteggiamento critico che ha sempre contraddistinto il mio modo di pormi nei confronti di qualsiasi cosa leggessi. Ma tenni duro e passai oltre, e piano piano sono entrato, o spero di essere entrato nell' universo Nietzsche. E scoprii molte cose, soprattutto errori, che provenivano dall' impostazione culturale che mi era stata tramandata. Il tuo pensiero invece è talmente radicalizzato che difficilmente Nietzsche, come hai supposto, potrebbe avere lo stesso effetto che ha avuto su di me.
Mentre invece penso che potrebbe interessarti e molto, se non l' hai letto già, L' Ecologia della Libertà di Murray Bookchin.
Tutto comunque è cominciato all' università quando ebbi la fortuna, almeno io la considero tale, di seguire un corso su Freud tenuto da Meghnagi David, uno dei più grandi intellettuali e conoscitori dell' Universo Freud. Tutt' ora docente, a quanto mi risulta, presso l' Università di Roma. Per altro il docente della cattedra di Lettere era il Prof. Samonà un eminente intellettuale di fede Trotskysta.
Questo mi portò alcuni anni dopo a leggere l' opera omnia di Freud, seguito da Fromm, Platone, Organon di Aristotele, Opus Postumum di Kant ed infine a rivolgermi all' opera omnia di Nietzsche.
Un excursus, come puoi constatare, completamente differente dal tuo, con qualcosa di Russel, Einstein, Bookhin, Ghandi, e venti pagine di Fenomenologia dello Spirito di Hegel, giuro che non avrei potuto reggerne di più.
Tornando a Nietzsche, c' è molto di vero in quello che dici, ma naturalmente chi te ne ha parlato nei modi in cui descrivi penso proprio che di lui non abbia capito niente. Lui attacca continuamente sia gli antisemiti che gli Ebrei, gli anarchici come i socio-comunisti, i tedeschi, la maggior parte dei filosofi, alla fine non se ne salva nessuno, e tutto questo perché riesce a mutare continuamente prospettiva.
Heidegger diceva ( nel Mio Nietzsche ) che il limite umano è quello di guardare da un angolo, da un determinato punto prospettico il mondo, non accorgendosi se non forse tardivamente, che Nietzsche aveva superato questa empasse umana.
Comunque io non disprezzo né le tue convinzioni né le tue idee politiche. Anche se le mie differiscono in modo sostanziale dalle tue ( mi ritengo figlio di un pensiero trasversale ). Anche se considero quella di Cuba la rivoluzione per eccellenza di stampo comunista. Anche se a mio avviso, con la morte di Fidel Castro il destino di Cuba tornerà ad essere incerto e la rivoluzione probabilmente un ricordo.
Infine sull' etica ci divide una profonda differenza di opinione su ciò che è l' uomo, e questo l' abbiamo mi sembra già appurato. Ed è proprio su questa differenza di opinione che si basa anche la sostanziale differenza di valore tra ciò che è giusto e sbagliato e su ciò che sia bene e male.
L' argomento è comunque talmente vasto e particolare che merita altra collocazione.
Ringrazio cortesemente per l' attenzione e la pazienza.
Garbino Vento di Tempesta.
Citazione di: sgiombo il 06 Gennaio 2017, 19:24:39 PM
Dissento invece che l[/size]'unica terapia praticabile per la malattia psichica sia la presentazione dell' inconscio (per definizione non esperibile coscientemente) alla sfera razionale cosciente, la quale vi consegue nel senso di cui sopra, men che meno attraverso il discorso e il linguaggio psicoanalitico. "Presentazione alla coscienza dell' inconscio" é un' espressione contraddittoria, ciò che pretende di esprimere é impossibile; casomai si può cercare di fare ipotesi su cosa di "noumenico, di non cosciente poteva accadere nel proprio cervello mentre non si era coscienti ed a cui sono conseguiti stati fisiologici cerebrali con corrispettivo cosciente.
Sul fatto che la psicanalisi non sia l'unica terapia praticabile per la malattia psichica concordo perfettamente con te, anche se mi pare che a oggi non ci sia alcuna terapia che possa agire realmente sulla malattia psichica e quella farmacologica riesce solo a contenerne gli effetti, senza, per quanto ne so, incidere sulle cause, soprattutto se queste non appaiono essere direttamente fisiologiche. Il problema è anche comprendere cosa, al di là del disagio sociale e psicologico che procura, sia effettivamente la malattia psichica e mi pare che il mondo attuale sia ben poco capace di farlo. Io la definirei, in accordo con Jung (che soffriva di allucinazioni che sono molto interessanti da seguire con lui nel suo "Libro rosso"), un disturbo del significato. Ma mi è difficile capire cosa davvero significhi "disturbo del significato".
Concordo anche sul fatto, come già detto in precedenza, che la terapia mediante il discorso psicanalitico presenta gli aspetti contradditori che tu denoti.
CitazioneE penso che riconoscersi in quello che si è, nella propria radicale genealogia richieda introspezione razionale (già praticata da molti pensatori da gran tempo) e non certo le elucubrazioni irrazionali della psicoanalisi.
Sulla necessità dell'introspezione non ho dubbi, ma che questa debba essere necessariamente razionale non credo, se per razionale si intende uno sguardo del tutto oggettivo che rifiuta il proprio essere fondamentalmente irrazionale, anche quando si opera da osservatori. Più sopra ho accennato a Jung che nel "Libro rosso" compie un'introspezione del tutto irrazionale, lasciandosi guidare dalle proprie allucinazioni per tentare di arrivare al "Sé". E in un certo senso trovo sia quello che fanno in genere i poeti. Chissà se potrà mai esservi per la malattia psichica, una "via terapeutica della poesia"... (o forse vi è già stata, è stato il mito per l'umanità)
Citazione di: Garbino il 07 Gennaio 2017, 16:40:22 PM----------------------------------------
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CitazioneBeh, se non altro devo dire che consento sui dissensi (e che non mi é costata neanche tanta pazienza il leggerti).
Più di questo (e di un reciproco cortese rispetto) penso che fra concezioni così reciprocamente contrastanti come sono le nostre non sia possibile pretendere.
Quindi stiamo sereni e cerchiamo di goderci al meglio la vita!
(Sgiombo)
Citazione di: maral il 07 Gennaio 2017, 18:34:38 PM
CitazioneSulla necessità dell'introspezione non ho dubbi, ma che questa debba essere necessariamente razionale non credo, se per razionale si intende uno sguardo del tutto oggettivo che rifiuta il proprio essere fondamentalmente irrazionale, anche quando si opera da osservatori. Più sopra ho accennato a Jung che nel "Libro rosso" compie un'introspezione del tutto irrazionale, lasciandosi guidare dalle proprie allucinazioni per tentare di arrivare al "Sé". E in un certo senso trovo sia quello che fanno in genere i poeti. Chissà se può esservi una "via terapeutica della poesia"...
CitazioneL' oggettività della conoscenza secondo me é un ideale a cui tendere quanto più possibile (sempre messo in dubbio -criticato razionalmente- dall' insuperabile dubbio scettico), tanto più difficile da raggiungersi circa se stessi; ma questo secondo me proprio perché é difficile distaccarsi dall' irrazionale (da pregiudizi e inclinazioni soggettive) nell' esaminare se stessi e adottare un atteggiamento razionalistico fino in fondo (che dunque resta per me un' esigenza necessaria della ricerca della verità e della felicità; di fatto non sempre conseguibile pienamente, ma comunque da ricercare quanto più conseguentemente possibile).