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LOGOS - Argomenti => Tematiche Filosofiche => Discussione aperta da: Vito J. Ceravolo il 30 Gennaio 2017, 19:09:10 PM

Titolo: Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 30 Gennaio 2017, 19:09:10 PM
«[...] affinché il nulla non esista deve negarsi all'esistenza implicando così l'esistenza stessa. Una logica negativa per cui è necessario che esista l'esistenza per la non esistenza del nulla [...].
[...] Se il "nulla assoluto" è impossibilitato a esistere per la sua identità priva di valore, allora il nulla non può accadere e necessariamente deve accadere qualcos'altro affinché ad accadere non sia il nulla. Che è come dire: il nulla non può esserci, altrimenti il nulla sarebbe, ma se il nulla non può esserci allora "qualcosa"; perché: se non c'è nulla allora o c'è nulla, il che contraddirebbe il non esserci del nulla, o c'è qualcosa. E badate bene: se con l'inversione verbo-soggetto la frase non cambia di significato, allora il misterioso "non c'è nulla" brilla come "nulla non c'è" quindi necessariamente qualcosa. Anche se poi "non c'è nulla" o "nulla non c'è" possano rispondere a domande diverse, pur mantenendo lo stesso risultato. Relativamente si potrebbe dire: "non c'è nulla di quello che intendevo ma c'è altro" oppure "nulla non c'è, guarda bene". A questo punto sospendiamo qui la domanda heideggeriana e riassumiamo le diverse logiche sopra espresse [...]»

Ceravolo V.J., Mondo. Strutture portanti, Editore Il Prato, Collana Cento Talleri, 2016 (dicembre), Nihil negativum e privatum, pp. 133-134

Libro sul sito della casa editrice Il Prato, collana Cento talleri
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Ciò che qui ho riportato è un piccolo estratto del paragrafo "3.15. Nihil negativum e privatum" del suddetto libro, dove si esamina la differenza fra nulla assoluto e relativo, così da abbattere ciò che Jim Holt (Perché il mondo esiste?) chiama "l'ultimo baluardo del nichilismo".
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: donquixote il 30 Gennaio 2017, 20:04:58 PM
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 30 Gennaio 2017, 19:09:10 PM«[...] affinché il nulla non esista deve negarsi all'esistenza implicando così l'esistenza stessa. Una logica negativa per cui è necessario che esista l'esistenza per la non esistenza del nulla [...]. [...] Se il "nulla assoluto" è impossibilitato a esistere per la sua identità priva di valore, allora il nulla non può accadere e necessariamente deve accadere qualcos'altro affinché ad accadere non sia il nulla. Che è come dire: il nulla non può esserci, altrimenti il nulla sarebbe, ma se il nulla non può esserci allora "qualcosa"; perché: se non c'è nulla allora o c'è nulla, il che contraddirebbe il non esserci del nulla, o c'è qualcosa. E badate bene: se con l'inversione verbo-soggetto la frase non cambia di significato, allora il misterioso "non c'è nulla" brilla come "nulla non c'è" quindi necessariamente qualcosa. Anche se poi "non c'è nulla" o "nulla non c'è" possano rispondere a domande diverse, pur mantenendo lo stesso risultato. Relativamente si potrebbe dire: "non c'è nulla di quello che intendevo ma c'è altro" oppure "nulla non c'è, guarda bene". A questo punto sospendiamo qui la domanda heideggeriana e riassumiamo le diverse logiche sopra espresse [...]» Ceravolo V.J., Mondo. Strutture portanti, Editore Il Prato, Collana Cento Talleri, 2016 (dicembre), Nihil negativum e privatum, pp. 133-134 Libro sul sito della casa editrice Il Prato, collana Cento talleri academia.edu VJCeravolo facebook VJCeravolo Ciò che qui ho riportato è un piccolo estratto del paragrafo "3.15. Nihil negativum e privatum" del suddetto libro, dove si esamina la differenza fra nulla assoluto e relativo, così da abbattere ciò che Jim Holt (Perché il mondo esiste?) chiama "l'ultimo baluardo del nichilismo".

Il vocabolo nulla così come il vocabolo Tutto hanno una connotazione particolare e non hanno un opposto; non trattandosi di vocaboli sottoposti a "definizione", quindi a limitazione, non c'è niente che gli si possa opporre poichè l'opposizione dovrebbe situarsi al di fuori del loro limite, della loro definizione, che non esiste. Il Tutto comprende tutto ciò che è (quindi da esso niente può essere escluso) e dunque il nulla è solo un opposto in senso grammaticale che non ha e non può avere alcun tipo di esistenza. È solo una parola senza alcun significato e senza alcun nesso con la realtà, per quanto ampia la si possa considerare. Se il nulla  fosse o esistesse (sotto qualunque forma) allora il Tutto non sarebbe più tale poichè vi sarebbe qualcosa al di fuori di esso e dunque non sarebbe più il Tutto. L'esistenza non può sussistere di per sé perchè l'esistenza è un predicato, un attributo, una condizione secondaria che per sussistere necessita di una condizione primaria: l'essenza; la frase "il nulla esiste" è doppiamente contraddittoria poichè non è possibile attribuire una qualità (l'esistenza) a qualcosa che non ha essenza. "Non c'è nulla" o "nulla c'è" sono solo modi di dire colloquiali e semplicistici che non hanno alcuna valenza filosofica, come se ne sentono tanti tutti i giorni.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 30 Gennaio 2017, 20:36:47 PM
CitazioneVolendo cercare il pelo nell' uovo, mi sembra che invertendo soggetto e verbo in italiano (a volte) può cambiare il senso delle frasi.
Per esempio la frase "l' uomo mangia (il cinghiale)" è ben diversa da "mangia l' uomo (il cinghiale )" o "Marc Marquez batte Valentino Rossi" è ben diversa da "Batte Marc Marquez Valentino Rossi" (e anche da "Abbatte Marc Marquez Valentino Rossi" da "Marc Marquez abbatte Valentino Rossi").
E se vogliamo considerare frasi in cui compaiono solo soggetto e predicato, senza complementi, allora l' imperativo "Giovanni, uccidi!" è ben diverso dall' altro imperativo "uccidi Giovanni!" (la virgola, ben visibile nella frase scritta, può sfuggire del tutto nella frase pronunciata).

In italiano inoltre crea una certa confusione il fatto che (illogicamente, in senso letterale) due negazioni a volte negano (anziché affermare, secondo logica). Per esempio "non esiste nulla" non significa (come sarebbe logico) che esiste qualcosa, ma che esiste il nulla ovvero che non esiste alcunché.

Secondo me per considerare correttamente il problema (almeno per come lo intendo io; ma non so se fraintendendo te) bisogna iniziare dalla distinzione fra realtà e pensiero. Cioè, per cercare di essere il più chiaro possibile, dalla differenza fra realtà (in sé, in quanto tale, relativamente al suo essere reale) e pensiero (non in sé, non in quanto tale: pensiero, non relativamente al suo essere reale, bensì) relativamente al suo "oggetto" o "contenuto": la realtà che denota, se denota qualcosa di reale (per esempio il concetto di un cavallo, un "cavallo pensato", oltre che -e a prescindere dal fatto che- è il concetto di un cavallo reale, se è il pensiero di un cavallo reale); oppure la non-realtà che connota, se non denota alcunché di reale (per esempio il concetto di un ippogrifo, un "ippogrifo pensato", che non è il pensiero di un ippogrifo reale).
Il pensiero del nulla assoluto, cioè che non esista alcunché, è possibile (in quanto tale: pensiero; cioè è logicamente corretto, sensato, lo si può benissimo pensare senza che alcunché lo vieti). Ma il (reale) predicarlo affermativamente, l' affermare che realmente si dà, che realmente accade il nulla assoluto (se realmente questa affermazione accade) è falso, dal momento che (per l' ipotesi qui considerata) tale affermazione accade ed è qualcosa (di reale) e non nulla (di reale).
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 30 Gennaio 2017, 20:54:12 PM
Citazione di: donquixote il 30 Gennaio 2017, 20:04:58 PM


Il vocabolo nulla così come il vocabolo Tutto hanno una connotazione particolare e non hanno un opposto; non trattandosi di vocaboli sottoposti a "definizione", quindi a limitazione, non c'è niente che gli si possa opporre poichè l'opposizione dovrebbe situarsi al di fuori del loro limite, della loro definizione, che non esiste. Il Tutto comprende tutto ciò che è (quindi da esso niente può essere escluso) e dunque il nulla è solo un opposto in senso grammaticale che non ha e non può avere alcun tipo di esistenza. È solo una parola senza alcun significato e senza alcun nesso con la realtà, per quanto ampia la si possa considerare. Se il nulla  fosse o esistesse (sotto qualunque forma) allora il Tutto non sarebbe più tale poichè vi sarebbe qualcosa al di fuori di esso e dunque non sarebbe più il Tutto. L'esistenza non può sussistere di per sé perchè l'esistenza è un predicato, un attributo, una condizione secondaria che per sussistere necessita di una condizione primaria: l'essenza; la frase "il nulla esiste" è doppiamente contraddittoria poichè non è possibile attribuire una qualità (l'esistenza) a qualcosa che non ha essenza. "Non c'è nulla" o "nulla c'è" sono solo modi di dire colloquiali e semplicistici che non hanno alcuna valenza filosofica, come se ne sentono tanti tutti i giorni.

CitazioneDissento in toto.

Sia "tutto" che "nulla" hanno un senso (denotazione) stabilita per definizione, come tutti gli altri vocaboli (simboli verbali). 

Essi sono reciprocamente contrari (dunque hanno ciascuno un contrario, rappresentato dall' altro di essi).

Se -per ipotesi- il nulla fosse o esistesse (non esistesse alcunché), allora il tutto (esistente) sarebbe costituito dal nulla, ovvero non sarebbe costituito da alcunché; e nulla vi sarebbe fuori di (od oltre ad) esso: dunque continuerebbe tranquillamente ad essere il tutto (esistente), ovvero il nulla che esisterebbe costituendo la totalità dell' esistente (nell' ipotesi considerata).

L' esistenza di qualcosa può essere un fatto reale (negarlo significherebbe che non può esistere alcunché, ovvero che deve necessariamente essere il nulla: il nichilismo più "sfrenato"!), anche se é sensatamente predicabile (affermativamente oppure negativamente) solo di un qualche soggetto.

Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: donquixote il 30 Gennaio 2017, 21:41:00 PM
Citazione di: sgiombo il 30 Gennaio 2017, 20:54:12 PMDissento in toto. Sia "tutto" che "nulla" hanno un senso (denotazione) stabilita per definizione, come tutti gli altri vocaboli (simboli verbali). Essi sono reciprocamente contrari (dunque hanno ciascuno un contrario, rappresentato dall' altro di essi). Se -per ipotesi- il nulla fosse o esistesse (non esistesse alcunché), allora il tutto (esistente) sarebbe costituito dal nulla, ovvero non sarebbe costituito da alcunché; e nulla vi sarebbe fuori di (od oltre ad) esso: dunque continuerebbe tranquillamente ad essere il tutto (esistente), ovvero il nulla che esisterebbe costituendo la totalità dell' esistente (nell' ipotesi considerata). L' esistenza di qualcosa può essere un fatto reale (negarlo significherebbe che non può esistere alcunché, ovvero che deve necessariamente essere il nulla: il nichilismo più "sfrenato"!), anche se é sensatamente predicabile (affermativamente oppure negativamente) solo di un qualche soggetto. 

Invece di fare delle ipotesi e dei giochi di parole che servono solo a confondere  dovresti spiegare cosa ho scritto di sbagliato. Se ogni parola è connotata dalla sua definizione la parola "tutto" (o "totalità") se affermata così com'è senza attribuzioni particolari (la totalità degli uomini, o delle stelle, o delle automobili) che la limiterebbero contiene qualsiasi ente, materiale o spirituale, visibile o non visibile, conoscibile o non conoscibile, manifesto o immanifesto. Nella parola "tutto" sono comprese tutte queste "cose" e se qualcosa rimanesse fuori significa che il tutto non è più tutto, ma solo una parte da cui manca ciò che si trova al di fuori, e dunque non si potrebbe chiamare "tutto" in quanto contraddittorio rispetto alla sua "definizione". E se tutto è contenuto nel tutto da cosa sarebbe costituito il "nulla"? Cosa conterrebbe?
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 30 Gennaio 2017, 22:14:57 PM
Mentre il nulla non è definibile, se anche il tutto non lo fosse allora nulla sarebbe definibile, neppure le parole che ci scambiamo; oltre al fatto che ciò contraddirebbe l'indefinibilità del nulla e la perfetta determinazione del tutto che in quanto tutto è la determinazione di ogni cosa.
In questo senso il nulla non può avere alcun tipo di esistenza perché se l'avesse il tutto non sarebbe tale; deve cioè negarsi all'esistenza all'infinito, implicandola negativamente.

Esiste poi una nuova definizione di esistenza che parte dalle sue origine etimologiche:

L'esistenza è la sostanza d'ogni cosa che è. Ciò che non è prodotto da niente se non da sé. Il suo esistere, cioè avere l'essere, è proprio della sua natura. [p. 118]

"Nulla non c'è" rimane un derivato negativo dell'esserci, mentre dall'essere si dice "nulla non è". In entrambi i casi si ha l'annullamento di una possibile qualità ed esistenza del nulla, qualcosa che sta alla base di quel tipo di filosofia che trova nella logica formale una guida A=A. 
Invece "Nulla c'è" come "c'è nulla", se da una parte colloquiale sono qualcosa di utilizzato, dall'altra scientifico-filosofica sono qualcosa di concettualmente contraddittorio A≠A. 

L'inversione verbo predicato funziona così:
1) verso "l'uomo (chi) mangia (fa)" 
1a) inverso "mangia (fa) l'uomo (chi)" 

2) verso "l'uomo (chi) mangia (fa) il chinghiale (cosa)" 
2a) inverso "il chinghiale (cosa) l'uomo (chi) mangia (fa) "

3) verso "Marc Marquez (chi) Batte (fa) Valentino Rossi (cosa)" 
3a) inverso "Batte (fa) Marc Marquez (chi)  Valentino Rossi (cosa)"

In sostanza la frase, con l'inversione verbo soggetto, cambia significato solo se si invertono fra loro anche i significati di "chi" fa e "cosa" fa; ma in questo caso si ha una frase completamente diversa, mentre io ho parlato solo di una inversione predicato-soggetto, e non di un'inversione dei significati e valori delle parole utilizzate. 
E comunque questa è una posizione linguistica che condivido, non solo per la sopra dimostrazione, ma riconosciuta anche in ambito linguistico, come per esempio da Aldo Moro (Breve storia del verbo essere) oltre che da molti altri su cui non mi dilungo. 

La frase "non esiste nulla" non è data da una doppia negazione ma da una sola negazione che si applica su un oggetto. Esattamente "non esiste A" non è una doppia negazione, indipendentemente se l'oggetto A sia una pera, una mela, tutto, nulla, la pragmatica ecc.

La particolarità paradigmatica da cui si erge questa piccola citazione, è un nuovo paradigma che riconosce la verità sia dei fenomeni che della cosa in sé. Tale paradigma è anticipato nella quarta di copertina del libro di riferimento (per leggerla cliccare sopra uno dei link nel post di apertura). 

Sull'opposizione bisogna logicamente accettare formalmente (logica formale) che ogni cosa ha la sua negazione, anche se questo è sicuramente un problema fondamentale.
Ci tengo comunque a precisare che in rigore di questo particolare "nuovo paradigma", se la predicazione è riferibile sensatamente solo al soggetto predicante, ciò non necessariamente nega l'esistenza di una cosa al mancare di questo o quell'altro particolare soggetto.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: donquixote il 30 Gennaio 2017, 23:03:42 PM
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 30 Gennaio 2017, 22:14:57 PMMentre il nulla non è definibile, se anche il tutto non lo fosse allora nulla sarebbe definibile, neppure le parole che ci scambiamo; oltre al fatto che ciò contraddirebbe l'indefinibilità del nulla e la perfetta determinazione del tutto che in quanto tutto è la determinazione di ogni cosa. In questo senso il nulla non può avere alcun tipo di esistenza perché se l'avesse il tutto non sarebbe tale; deve cioè negarsi all'esistenza all'infinito, implicandola negativamente.

Per definizione non intendo la descrizione che ne darebbe un vocabolario, ma nel senso etimologico di delimitazione (fines=limite) Il tutto non può essere limitato da alcunchè perchè se questo accadesse ciò che lo limita dovrebbe essere esterno al tutto, e quindi lo negherebbe. Se dunque il nulla non può essere definito perchè non contiene nulla anche il tutto non può esserlo perchè contiene tutto. Nessuno dei due concetti ha limitazioni

Citazione di: Vito J. Ceravolo il 30 Gennaio 2017, 22:14:57 PM
Esiste poi una nuova definizione di esistenza che parte dalle sue origine etimologiche:
L'esistenza è la sostanza d'ogni cosa che è. Ciò che non è prodotto da niente se non da sé. Il suo esistere, cioè avere l'essere, è proprio della sua natura. [p. 118]
 

L'etimologia di esistenza è ex-stare ovvero stare (o essere) fuori, quindi l'esistenza non è, secondo me, la sostanza dell'essere, ma la sua manifestazione; ciò che dell'essere si manifesta, che viene alla luce, che ex-siste.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 31 Gennaio 2017, 03:12:10 AM
Mia colpa in errata corrige:
1) La frase giusta è: "Esiste poi una nuova definizione di esistenza che parte dal suo significato originario": quello di avere l'essere portandolo esplicitamente nel suo significato.
2) Errato è anche il nome "Aldo Moro" che in verità è Andrea Moro.

La mia buona fede in questi due errori si riscontra nel libro in cui invece vengono riportati correttamente, sia Andrea Moro in bibliografia che la differenza etimologica fra essere ed esistenza:
 
-  L'esistenza consiste etimologicamente nello stare (in latino existere da ex e sistere forma derivata da stàre): l'esistenza sta [...] nel permanere;
-   L'essere si compone etimologicamente nell'esistenza (radice da es nelle lingue di ramo europeo, contenente la nozione di esistenza): l'essere esiste [...] nel divenire, una sorta di attività come lascia intendere la forma participiale inglese be-ing. [p. 123]

E questo è uno dei motivi della sopra nuova definizione di "esistenza", etimologicamente valido e completo. Ma la definizione di una parola è anche il suo vocabolario, che è quello tramite cui la riconosciamo e distinguiamo da un'altra; e l'esistenza ha l'essere esplicitamente nel suo significato mentre l'esistere si cova nell'essere.
Quindi il problema non è certo la mia ivi definizione completa di "esistenza", ma sta su un altro piano: nel millenario conflitto per il quale il principio primo è nel contempo finito e infinito. Questo conflitto ci catapulta sull'altro tuo discorso, un conflitto aperto che rende valida tanto la tua definizione di limite quanto la mia definizione di finita perfezione [pp.122, 124].
Ma questi sono solo uno dei modi di parlare del detto "millenario conflitto finito-infinito del principio primo". Il che non toglie le altre forme con cui se ne può parlare e se ne è parlato da Parmenide in poi: immobile; divenire; ecc.
Il libro si poggia sulla possibilità di risolvere positivamente questo apparente contraddizione, cioè risolverlo attraverso la logica formale.

Nella citazione in apertura, comunque, si chiarisce che tale soluzione della domanda heideggeriana passa attraverso una differenziazione fra nulla assoluto e nulla relativo.  Il che mi permette di arrivare a tale risoluzione heideggeriana attraverso vie diverse dal detto contrasto millenario (benché l'abbia obbligatoriamente trattato, ma attraverso termini puramente esistenziali). La teoria di fondo è questa: se c'è un principio primo per tutto allora tutto ha, in linea di principio, un percorso di riconduzione al detto principio. Cioè: esistono tante strade per dare una soluzione corretta ad un dato problema, benché ogni diversa sintesi (strada) generi uno o l'altro insieme di relazioni descrittive che, se ben utilizzate, devono coesistere reciprocamente senza contraddirsi logicamente, appunto per la medesima unità di fondo per cui si danno [p. 75]
Ammetto che il libro da cui questa citazione è esteso.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 31 Gennaio 2017, 08:57:07 AM
Citazione di: donquixote il 30 Gennaio 2017, 21:41:00 PM
Citazione di: sgiombo il 30 Gennaio 2017, 20:54:12 PMDissento in toto. Sia "tutto" che "nulla" hanno un senso (denotazione) stabilita per definizione, come tutti gli altri vocaboli (simboli verbali). Essi sono reciprocamente contrari (dunque hanno ciascuno un contrario, rappresentato dall' altro di essi). Se -per ipotesi- il nulla fosse o esistesse (non esistesse alcunché), allora il tutto (esistente) sarebbe costituito dal nulla, ovvero non sarebbe costituito da alcunché; e nulla vi sarebbe fuori di (od oltre ad) esso: dunque continuerebbe tranquillamente ad essere il tutto (esistente), ovvero il nulla che esisterebbe costituendo la totalità dell' esistente (nell' ipotesi considerata). L' esistenza di qualcosa può essere un fatto reale (negarlo significherebbe che non può esistere alcunché, ovvero che deve necessariamente essere il nulla: il nichilismo più "sfrenato"!), anche se é sensatamente predicabile (affermativamente oppure negativamente) solo di un qualche soggetto.  

Invece di fare delle ipotesi e dei giochi di parole che servono solo a confondere  dovresti spiegare cosa ho scritto di sbagliato. Se ogni parola è connotata dalla sua definizione la parola "tutto" (o "totalità") se affermata così com'è senza attribuzioni particolari (la totalità degli uomini, o delle stelle, o delle automobili) che la limiterebbero contiene qualsiasi ente, materiale o spirituale, visibile o non visibile, conoscibile o non conoscibile, manifesto o immanifesto. Nella parola "tutto" sono comprese tutte queste "cose" e se qualcosa rimanesse fuori significa che il tutto non è più tutto, ma solo una parte da cui manca ciò che si trova al di fuori, e dunque non si potrebbe chiamare "tutto" in quanto contraddittorio rispetto alla sua "definizione". E se tutto è contenuto nel tutto da cosa sarebbe costituito il "nulla"? Cosa conterrebbe?

CitazioneBeh, innanzitutto giochi di parole (innocenti; e mi pare anche un po' arguti, almeno per chi segua il motociclismo sportivo, cosa non vietata ai filosofi) mi sembra di averne fatti solo nella mia prima risposta a Vito Ceravolo.

Inoltre se, come é perfettamente pensabile (non: possibile nella realtà, dal momento che "pensare" é un evento, dunque "qualcosa e non "nulla") non esistesse o non accadesse realmente alcunché, ovvero esistesse, accadesse (il) nulla, allora "tutto ciò che esisterebbe - accadrebbe" sarebbe "nulla", la "totalità del reale", il "tutto reale" (non "la totalità del pensabile",  non "il tutto pensabile") sarebbe (il) "nulla".
Questo non mi sembra un gioco di parole ma un onesto ragionamento corretto (fino a prova contraria, se qualcuno me ne proponesse una).

Dunque, come sostenevo in quel primo intervento di cui sopra per intenderci (ed evitare reazioni stizzite -almeno così, francamente, mi pare la tua- ma fuori luogo) bisogna innanzitutto distinguere fra realtà (pensata o meno) e pensiero (circa la realtà o meno): nel concetto di "tutto il pensabile (indipendentemente dal fatto che sia anche reale o meno)" é compreso "di tutto e di più" (tutto ciò che non sia autocontraddittorio cioé insensato) , quindi (fra l' altro) anche tutto quanto da te elencato. Ma é pensabile (ipotizzabile) in maniera perfettamente corretta una realtà costituita da nulla, e in questo ipotetico caso "tutto il reale" sarebbe per l' appunto "nulla (di reale)".

Il nulla (assoluto; non la negazione di qualcosa di determinato, non il nulla relativo) ovviamente, non comprendendo alcunché che potesse contenere qualcosa (o che potesse contenerlo), non conterrebbe né sarebbe contenuto da alcunché, non sarebbe costituito da alcunché: concetti perfettamente logici, sensatissimi, sebbene (ma questo é un altro discorso) il predicarli realmente accadere sarebbe con tutta evidenza falso contraddicendo la realtà (implicante, nell' ipotesi considerata, per lo meno questa predicazione, e dunque "qualcosa" e non "nulla").

Il nulla non può essere (di fatto) saputo (predicato) essere reale. Ma può benissimo essere pensato (ipotizzato, magari negato essere reale se si vuole predicarne veracemente, se si vuole avere una conoscenza vera su di esso).

Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: donquixote il 31 Gennaio 2017, 11:48:51 AM
Citazione di: sgiombo il 31 Gennaio 2017, 08:57:07 AMBeh, innanzitutto giochi di parole (innocenti; e mi pare anche un po' arguti, almeno per chi segua il motociclismo sportivo, cosa non vietata ai filosofi) mi sembra di averne fatti solo nella mia prima risposta a Vito Ceravolo. Inoltre se, come é perfettamente pensabile (non: possibile nella realtà, dal momento che "pensare" é un evento, dunque "qualcosa e non "nulla") non esistesse o non accadesse realmente alcunché, ovvero esistesse, accadesse (il) nulla, allora "tutto ciò che esisterebbe - accadrebbe" sarebbe "nulla", la "totalità del reale", il "tutto reale" (non "la totalità del pensabile", non "il tutto pensabile") sarebbe (il) "nulla". Questo non mi sembra un gioco di parole ma un onesto ragionamento corretto (fino a prova contraria, se qualcuno me ne proponesse una). Dunque, come sostenevo in quel primo intervento di cui sopra per intenderci (ed evitare reazioni stizzite -almeno così, francamente, mi pare la tua- ma fuori luogo) bisogna innanzitutto distinguere fra realtà (pensata o meno) e pensiero (circa la realtà o meno): nel concetto di "tutto il pensabile (indipendentemente dal fatto che sia anche reale o meno)" é compreso "di tutto e di più" (tutto ciò che non sia autocontraddittorio cioé insensato) , quindi (fra l' altro) anche tutto quanto da te elencato. Ma é pensabile (ipotizzabile) in maniera perfettamente corretta una realtà costituita da nulla, e in questo ipotetico caso "tutto il reale" sarebbe per l' appunto "nulla (di reale)". Il nulla (assoluto; non la negazione di qualcosa di determinato, non il nulla relativo) ovviamente, non comprendendo alcunché che potesse contenere qualcosa (o che potesse contenerlo), non conterrebbe né sarebbe contenuto da alcunché, non sarebbe costituito da alcunché: concetti perfettamente logici, sensatissimi, sebbene (ma questo é un altro discorso) il predicarli realmente accadere sarebbe con tutta evidenza falso contraddicendo la realtà (implicante, nell' ipotesi considerata, per lo meno questa predicazione, e dunque "qualcosa" e non "nulla"). Il nulla non può essere (di fatto) saputo (predicato) essere reale. Ma può benissimo essere pensato (ipotizzato, magari negato essere reale se si vuole predicarne veracemente, se si vuole avere una conoscenza vera su di esso).


Scusa Sgiombo, ma se rileggendo l'inizio del mio intervento posso comprendere che potesse essere interpretato come una reazione "stizzita", questa non era davvero la mia intenzione, e forse solo la fretta mi ha indotto a mantenere una forma colloquiale e non perfettamente asettica, quindi leggibile anche in termini di "toni". Chiarito ciò (spero), entrando nel merito e cercando di essere preciso e non confusionario devo innanzitutto rilevare che la tua frase  "pensare" é un evento, dunque "qualcosa e non "nulla" non ha senso perchè il pensare non è, come magari credeva anche Cartesio, qualcosa. Non si può "pensare" e basta, o "pensare un pensiero", perchè questa frase è solo una parola accanto ad un'altra che non ha alcun senso. Noi ci possiamo costruire un'idea, un pensiero, solo a partire da un evento che accade, da una nostra percezione interiore o esteriore: per pensare bisogna pensare "qualcosa", ovvero formarsi nella mente un'idea di qualcosa che è esterno alla mente stessa. Questa idea che si forma nella nostra mente (e della medesima percezione ognuno si farà magari un'idea diversa) in italiano diamo il nome convenzionale di pensiero ma il pensiero, come del resto tutti gli altri sostantivi del vocabolario, è solo un "contenitore" convenzionale che acquisisce senso (e realtà) solo se vi è anche il contenuto, che esiste indipendentemente dal fatto che questo venga "pensato" da qualcuno. Dunque anche "pensare il nulla" è una frase senza senso, un mero giro di parole perchè se il nulla è effettivamente tale non si può nemmeno pensarlo. Se dunque tutto ciò che è rientra nel "Tutto", si può pensare solo il "Tutto" o una parte di esso, ma non certo il nulla. Si può certo inventarsi un nulla a proprio comodo e ragionarci su, ma avrebbe lo stesso senso logico e la stessa aderenza alla realtà di una frase che dice: "albero per sublima noi che trattoria in andasse volere dunque tomba se immantinente con mangiarono".
Per quanto riguarda il concetto di realtà non so esattamente cosa tu intenda con questo, ma se intendi "reale" con "esistente" allora il "Tutto", essendo reale, è anche necessariamente esistente.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 31 Gennaio 2017, 16:59:54 PM
CitazioneVito Ceravolo:
Mentre il nulla non è definibile, se anche il tutto non lo fosse allora nulla sarebbe definibile, neppure le parole che ci scambiamo; oltre al fatto che ciò contraddirebbe l'indefinibilità del nulla e la perfetta determinazione del tutto che in quanto tutto è la determinazione di ogni cosa.

Sgiombo:
Il "nulla" è definito (la definizione la puoi trovare su qualsiasi vocabolario).
 


Vito Ceravolo:
In questo senso il nulla non può avere alcun tipo di esistenza perché se l'avesse il tutto non sarebbe tale; deve cioè negarsi all'esistenza all'infinito, implicandola negativamente.

Sgiombo:
Il nulla può in teoria, nell' ambito del mero pensiero (altra cosa essendo la realtà, che sia inoltre anche pensata o meno), esistere; cioè è pensabilissimo senza alcuna contraddizione o non-senso.



Vito Ceravolo:
Invece "Nulla c'è" come "c'è nulla", se da una parte colloquiale sono qualcosa di utilizzato, dall'altra scientifico-filosofica sono qualcosa di concettualmente contraddittorio A≠A. 

Sgiombo:
"Nulla c' è" e "c'è nulla" sono frasi perfettamente logiche, coerenti, non contraddittorie (anche se palesemente false).
Sarebbe contraddittorio casomai dire "nulla è qualcosa (di esistente)" o qualcosa (di esistente) è nulla".



Vito Ceravolo:
In sostanza la frase, con l'inversione verbo soggetto, cambia significato solo se si invertono fra loro anche i significati di "chi" fa e "cosa" fa; ma in questo caso si ha una frase completamente diversa, mentre io ho parlato solo di una inversione predicato-soggetto, e non di un'inversione dei significati e valori [piuttosto delle funzioni sintattiche, N.d.R.] delle parole utilizzate. 

Sgiombo:
Con questo chiarimento concordo (la tua primitiva formulazione si prestava invece a fraintendimenti e obiezioni).
 


Vito Ceravolo:
La frase "non esiste nulla" non è data da una doppia negazione ma da una sola negazione che si applica su un oggetto. Esattamente "non esiste A" non è una doppia negazione, indipendentemente se l'oggetto A sia una pera, una mela, tutto, nulla, la pragmatica ecc.

Sgiombo:
Nulla = negazione di qualsiasi cosa.
Dunque "non esiste nulla" è una doppia negazione ammessa in lingua italiana in deroga (eccezione) a un principio logico: letteralmente dovrebbe significare "esiste (per lo meno) qualcosa), esattamente al contrario di quanto invece  di fatto significa.
Infatti lingue più coerentemente logiche dell' italiano, come ad esempio il latino, non cadono in questa "inappropriatezza" o "eccezione alla regola" logica: nihil est = non esiste nulla; nihil non est (la traduzione letterale dell' italiano "non c'é nulla"!) = non (é vero che) non esiste nulla = esiste (almeno) qualcosa" (l' esatto contrario della traduzione letterale o "pedissequa" in italiano).

Vorrei cogliere l' occasione di questa discussione per accennare nuovamente a ciò che penso per parte mia di questo problema del "perché c' è qualcosa (in generale; e in particolare "questo" determinato qualcosa che c' è) anziché (il) nulla?".
 Tuttavia, poiché l' ho già fatto in altre discussioni, evito un fastidioso copia-incolla e invito te e chiunque non l' avesse già fatto e trovasse interessante la questione a leggere quel che ne penso nella mia recente risposta #28 del 14 Gennaio c.a. nella discussione "Cos' è un ente? Perché è diverso da un niente?".
Grazie per l' attenzione.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 31 Gennaio 2017, 17:04:17 PM
Citazione di: donquixote il 31 Gennaio 2017, 11:48:51 AM

Scusa Sgiombo, ma se rileggendo l'inizio del mio intervento posso comprendere che potesse essere interpretato come una reazione "stizzita", questa non era davvero la mia intenzione, e forse solo la fretta mi ha indotto a mantenere una forma colloquiale e non perfettamente asettica, quindi leggibile anche in termini di "toni". Chiarito ciò (spero), entrando nel merito e cercando di essere preciso e non confusionario devo innanzitutto rilevare che la tua frase  "pensare" é un evento, dunque "qualcosa e non "nulla" non ha senso perchè il pensare non è, come magari credeva anche Cartesio, qualcosa. Non si può "pensare" e basta, o "pensare un pensiero", perchè questa frase è solo una parola accanto ad un'altra che non ha alcun senso. Noi ci possiamo costruire un'idea, un pensiero, solo a partire da un evento che accade, da una nostra percezione interiore o esteriore: per pensare bisogna pensare "qualcosa", ovvero formarsi nella mente un'idea di qualcosa che è esterno alla mente stessa. Questa idea che si forma nella nostra mente (e della medesima percezione ognuno si farà magari un'idea diversa) in italiano diamo il nome convenzionale di pensiero ma il pensiero, come del resto tutti gli altri sostantivi del vocabolario, è solo un "contenitore" convenzionale che acquisisce senso (e realtà) solo se vi è anche il contenuto, che esiste indipendentemente dal fatto che questo venga "pensato" da qualcuno. Dunque anche "pensare il nulla" è una frase senza senso, un mero giro di parole perchè se il nulla è effettivamente tale non si può nemmeno pensarlo. Se dunque tutto ciò che è rientra nel "Tutto", si può pensare solo il "Tutto" o una parte di esso, ma non certo il nulla. Si può certo inventarsi un nulla a proprio comodo e ragionarci su, ma avrebbe lo stesso senso logico e la stessa aderenza alla realtà di una frase che dice: "albero per sublima noi che trattoria in andasse volere dunque tomba se immantinente con mangiarono".
Per quanto riguarda il concetto di realtà non so esattamente cosa tu intenda con questo, ma se intendi "reale" con "esistente" allora il "Tutto", essendo reale, è anche necessariamente esistente.

CitazioneInnanzitutto sono molto contento per il superamento del malinteso (mi era perfino venuto il dubbio che tu fossi uno dei tanti tifosi "fondamentalisti" di Valentino Rossi che si indispettiscono appena sentono criticare il loro "idolo", a mio parere degno di invece non poche e non tenere critiche).
 


Pensare (se realmente accade) è un evento, e dunque pensare che esiste (il) nulla, che non accada nulla, se realmente accade, è pensare il falso (e che di fatto, nella realtà, se si pensa si pensa per forza qualcosa, cosa che non ho mai negato, non cambi nulla di tutto ciò -sic!-).

Ma -a conferma di quanto fondamentale in filosofia sia sapere distinguere ed evitare di confondere fra "essere reale (che inoltre lo si pensi o meno)" ed "essere pensato (essere reale o meno)"- nell' ambito del pensiero si può benissimo considerare il "pensare" astrattamente, prescindendo dal "contenuto" dei pensieri considerati, da ciò che inevitabilmente nella realtà viene pensato allorché si pensa (e infatti i dizionari riportano la definizione del "pensare" -che dunque ha un senso- in astratto, prescindendo da ciò che di particolare, concretamente nella realtà inevitabilmente si pensa, se realmente si pensa).

Dunque se il nulla è effettivamente ciò che è reale, allora non si può nemmeno pensarlo (non può essere reale nemmeno il pensiero del nulla stesso, coincidente, secondo questa ipotesi, con tutto ciò che è reale).

Ma se invece il nulla non è reale, come a quanto pare di fatto accade, allora il "nulla" può benissimo essere pensato ("pensare il nulla" è una frase sensatissima); tant'è vero che può anche essere predicato essere reale (falsamente) o non essere reale (veracemente; e se si può veracemente pensare "il nulla non è reale" = esiste qualcosa, come mi pare indubitabile, allora a maggior ragione "il nulla" lo si può pensare sensatamente: non si può pensare veracemente -né falsamente- qualcosa che non si può pensare sensatamente).
 


Tu affermi che "in italiano diamo il nome convenzionale di pensiero ma il pensiero, come del resto tutti gli altri sostantivi del vocabolario, è solo un "contenitore" convenzionale che acquisisce senso (e realtà) solo se vi è anche il contenuto, che esiste indipendentemente dal fatto che questo venga "pensato" da qualcuno. Dunque anche "pensare il nulla" è una frase senza senso, un mero giro di parole perchè se il nulla è effettivamente tale non si può nemmeno pensarlo".

Qui bisognerebbe distinguere con Frege il significato di un concetto inteso come "senso" o "connotazione" arbitrariamente stabilita per definizione (che potrebbe anche non essere reale ma solo pensato, come nel caso del concetto di "ippogrifo") e inteso come denotazione reale (se e quando c' è, come nel caso del concetto di "cavallo" e non di quello di "ippogrifo").

Quest' ultima c' è (se c'è) anche se non viene pensata da nessuno (anche senza concetto, pensiero di essa), ovvero indipendentemente dall' essere eventualmente inoltre pensata (è il caso dei cavalli); invece il senso o connotazione di un concetto non reale (se non in quanto tale -concetto, oggetto o "contenuto" di pensiero- allorché lo si pensa) può benissimo esserci (realmente) anche in assenza di denotazione reale (come nel caso degli ippogrifi): basta pensarlo.

Il "nulla (assoluto)" fa parte di quei concetti (pensabilissimi, possibilissimi, sensatissimi oggetti di pensiero) che sono privi di denotazione reale: come si può benissimo, sensatissimamente pensare il concetto di "ippogrifo" (anche se non si dà realmente l' esistenza di alcun ippogrifo), così, esattamente allo stesso modo, si può benissimo, sensatissimamente pensare il concetto di "nulla" (anche se non si dà realmente l' esistenza del nulla ma invece di qualcosa: per lo meno il pensiero del "nulla").
La (pretesa) frase "albero per sublima noi che trattoria in andasse volere dunque tomba se immantinente con mangiarono" non ha alcun senso, non è nemmeno una frase ma una casuale successione di caratteri tipografici non significante alcunché (=significante nulla).
Invece "gli ippogrifi sono cavalli alati", "il nulla realmente non esiste" (che è vero) e perfino "il nulla esiste = non esiste alcunché" (che è falso) sono farsi ben dotate di senso: che siano vere o meno (e di fatto una di esse la è, le altre due non le sono) è tutt' altra questione da quella se siano (lo sono -eccome!- tutte e tre!) dotate di significato, cioè autentiche frasi e non mere successioni insignificanti di caratteri tipografici.
 


Non è reale "il tutto (astrattissimamente inteso in senso assoluto)", in quanto esso comprenderebbe per esempio anche gli ippogrifi, che non sono reali.
E' casomai reale "il tutto reale", che non comprende, fra le tante altre "cose" immaginarie, connotate da concetti senza alcuna denotazione reale, gli ippogrifi), ovvero "tutto ciò che è reale" (=/= "mero oggetto di -eventuale- pensiero").

Si cade sempre sulla questione "fondamentalissima" della distinzione
"essere reale (che anche lo si pensi o meno)" ed "essere pensato (essere reale o meno)".
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 31 Gennaio 2017, 18:17:54 PM
Del nulla non si può dire altro che non esiste e quindi che non ha alcun valore per cui essere definito. E tanto non esiste fisicamente quanto non esiste concettualmente. 
Tutte le descrizione del nulla che vadano oltre l'affermazione della sua impossibilità definitoria (affermo che non esiste perché per principio non posso affermarne l'esistenza) non sono altro che descrizioni di un nulla relativo, come uno spazio vuoto con la sua precisa struttura metrica finita o infinita, come il vuoto quantistico con le sue profonde leggi matematiche ecc.
Nessuno è in grado di immaginare il nulla o pensarlo, anche nel silenzio dei propri pensieri permane un ronzio di fondo come nella radiazione cosmica universale. E questo non è solo un concetto fisico che impedisce di principio la costituzione del nulla, ma è anche concetto logico-formale, perché qualunque pensiero o immaginazione si riferiscono sempre ad un oggetto, mentre il nulla assoluto non è qualcosa. 

Il nulla non è tanto pensabile-creabile fisicamente quanto concettualmente. Ogni pensiero che s'illude di pensare  il nulla, o qualunque fisicità che s'illude di creare il nulla, a nient'altro si approssima che ad un oggetto e al suo valore. Al più si approssima ad un nulla relativo (come il sopraddetto spazio vuoto, il vuoto quantistico ecc).

Nella logica formale il nulla non è, mentre dire "nulla è" è semplicemente una contraddizione logica A≠A. Questa non è una opinione ma un fatto formale.
La logica di cui parli tu ("nulla è") è prettamente dialettica e non formale. E so bene che esistono "filosofie" che basano il loro presupposti sulla contraddizione formale A≠A  a favore di dialettiche che tutto possono dire. Ma io non sono di queste ultime correnti e nel libro cerco di mostrarne il superamento. 

Poi è vero (come vediamo nel passo successivo) che dire "nulla è nulla" altro non significa dire "nulla non è". Ma ciò non toglie che dire "nulla è" rimane pur sempre una contraddizione fin quando non viene negata attraverso il predicato "nulla": perché nel "nulla è" il verbo essere assume una predicazione esistenziale, cosa in contraddizione col non-valore del nulla.

Le eccezioni non fanno parte della mia filosofia. La mia metafisica copre ogni caso senza alcuna eccezione. Le eccezioni sono casi che mostrano un difetto della regola, e questo è un fondamento della mia filosofia. E in questa mia filosofia la struttura linguistica è uguale per ogni cosa senza alcuna eccezione; sarà poi il contenuto della forma linguistica a decretare uno o l'altro valore o alcun valore.
"X (soggetto) è (copula) nulla (predicato)" significa che X non ha valore. Qualunque cosa sia X. 
"X (soggetto) è (predicato)" significa che X ha valore. Qualunque cosa sia X. 
ecc.
In sostanza bisogna sempre differenziare quando una cosa viene posta come soggetto o predicato. La mancanza di tale differenziazione è fonte di errori e paradossi irrisolvibili. 

Con calma leggerò.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: pepe98 il 31 Gennaio 2017, 18:20:52 PM
Perché il nulla è per definizione ció che non è. Sarebbe contraddittorio dire "(c') è il nulla".
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 31 Gennaio 2017, 19:58:53 PM
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 31 Gennaio 2017, 18:17:54 PM
Del nulla non si può dire altro che non esiste e quindi che non ha alcun valore per cui essere definito. E tanto non esiste fisicamente quanto non esiste concettualmente.
Tutte le descrizione del nulla che vadano oltre l'affermazione della sua impossibilità definitoria (affermo che non esiste perché per principio non posso affermarne l'esistenza) non sono altro che descrizioni di un nulla relativo, come uno spazio vuoto con la sua precisa struttura metrica finita o infinita, come il vuoto quantistico con le sue profonde leggi matematiche ecc.
Nessuno è in grado di immaginare il nulla o pensarlo, anche nel silenzio dei propri pensieri permane un ronzio di fondo come nella radiazione cosmica universale. E questo non è solo un concetto fisico che impedisce di principio la costituzione del nulla, ma è anche concetto logico-formale, perché qualunque pensiero o immaginazione si riferiscono sempre ad un oggetto, mentre il nulla assoluto non è qualcosa.

Il nulla non è tanto pensabile-creabile fisicamente quanto concettualmente. Ogni pensiero che s'illude di pensare  il nulla, o qualunque fisicità che s'illude di creare il nulla, a nient'altro si approssima che ad un oggetto e al suo valore. Al più si approssima ad un nulla relativo (come il sopraddetto spazio vuoto, il vuoto quantistico ecc).

Nella logica formale il nulla non è, mentre dire "nulla è" è semplicemente una contraddizione logica A≠A. Questa non è una opinione ma un fatto formale.
La logica di cui parli tu ("nulla è") è prettamente dialettica e non formale. E so bene che esistono "filosofie" che basano il loro presupposti sulla contraddizione formale A≠A  a favore di dialettiche che tutto possono dire. Ma io non sono di queste ultime correnti e nel libro cerco di mostrarne il superamento.

Poi è vero (come vediamo nel passo successivo) che dire "nulla è nulla" altro non significa dire "nulla non è". Ma ciò non toglie che dire "nulla è" rimane pur sempre una contraddizione fin quando non viene negata attraverso il predicato "nulla": perché nel "nulla è" il verbo essere assume una predicazione esistenziale, cosa in contraddizione col non-valore del nulla.

Le eccezioni non fanno parte della mia filosofia. La mia metafisica copre ogni caso senza alcuna eccezione. Le eccezioni sono casi che mostrano un difetto della regola, e questo è un fondamento della mia filosofia. E in questa mia filosofia la struttura linguistica è uguale per ogni cosa senza alcuna eccezione; sarà poi il contenuto della forma linguistica a decretare uno o l'altro valore o alcun valore.
"X (soggetto) è (copula) nulla (predicato)" significa che X non ha valore. Qualunque cosa sia X.
"X (soggetto) è (predicato)" significa che X ha valore. Qualunque cosa sia X.
ecc.
In sostanza bisogna sempre differenziare quando una cosa viene posta come soggetto o predicato. La mancanza di tale differenziazione è fonte di errori e paradossi irrisolvibili.

Con calma leggerò.
CitazioneNon esistere fisicamente (realmente) =/= non esistere concettualmente.
 
Siamo sempre qui: da Parmenide in poi, tramite Platone, Hegel e un' infinità di altri, confondere questi due concetti fondamentali ben diversi l' uno dall' altro porta a fraintendimenti inestricabili.
 
Il nulla è pensabilissimo.
Tant' è vero che per poter sostenere (giustamente, veracemente) che il nulla non si dà realmente (ovvero che realmente esiste qualcosa) bisogna pensare (sensatamente) il soggetto, oltre al verbo di questa frase; e il soggetto è per l' appunto "il nulla".
 
Secondo la logica formale dire "nulla è" si può benissimo, correttissimamente, senza alcuna contraddizione (che sia una affermazione vera oppure falsa -e di fatto è falsa- è tutt' altra questione dal suo essere una affermazione corretta, logicamente coerente oppure contraddittoria; e di fatto è corretta, logicamente corrente: non A =/= A, bensì "A" = "A"; non "nulla" =/= "nulla" ovvero "nulla = "-almeno- qualcosa", bensì "nulla" = "nulla").
 
Una predicazione esistenziale può essere attribuita correttamente, non affatto contraddittoriamente (casomai falsamente; ma quello sulla verità o falsità delle affermazioni è tutt' altro discorso di quello sulla loro correttezza logica o meno) di qualsiasi soggetto, ivi compreso il "nulla". Non può esserlo casomai unitamente alla predicazione della negazione di esistenza (ovvero alla negazione della predicazione esistenziale) di qualsiasi concetto: questa si sarebbe una contraddizione!
 
Infatti l' eccezione o contravvenzione alla regola logica che due negazioni affermano non l' ho attribuita alla tua filosofia, bensì alla lingua italiana.
 
"X (soggetto) è (copula) nulla (predicato)" significa che X è nulla, cioé non esiste nella realtà ma casomai solo nei pensieri, nella fantasia (e questo del tutto indipendentemente da come che sia la realtà: X potrebbe benissimo essere l' ippogrifo Pegaso, e la frase sarebbe correttissima, oltre che vera; ma potrebbe anche essere il monte Cervino e sarebbe ugualmente correttissima, benché falsa).
Invece "X (soggetto) è (copula) nulla di realmente esistente (predicato) significa che X realmente non esiste; malgrado questo può avere moltissimo valore (per esempio credo che siamo tutti d' accordo che l' antico dio semitico Baal non esiste; e tuttavia esso aveva grandissimo valore per tutti coloro che rischiavano di finire sue vittime sacrificali, anche se non era reale affatto nemmeno allora, quando si ammazzavano uomini a dozzine per ingraziarselo).
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 31 Gennaio 2017, 20:03:04 PM
Citazione di: pepe98 il 31 Gennaio 2017, 18:20:52 PM
Perché il nulla è per definizione ció che non è. Sarebbe contraddittorio dire "(c') è il nulla".
CitazioneIl nulla é per definizione il non esistere di alcunché.
Quindi non é affatto contraddittorio (ma solo falso) dire "(c') è il nulla" (significa -falsamente ma non assurdamente- che non esiste alcunché).
Tant' é vero che si può ben dire la frase (vera) "é falso dire che c' é il nulla": una frase per poter essere vera (e anche per poter essere falsa) deve necessariamente essere sensata, cioé logicamente coerente, non contraddittoria.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 01 Febbraio 2017, 21:46:11 PM
Mi spiace doverlo ripetere ma la tua posizione e formalmente una contraddizione logica. Nel dire che il "nulla è" affermi che l'essere è nulla e ciò sta alla base per eccellenza del nichilismo; oltre che di altro.
"Nulla è" non equivale a "nulla =" ma a "nulla = è". In questo tuo passaggio confondi la copula con la predicazione.
Comunque esistono tanti centri logici (o libri) dove puoi presentare (o confrontare) la tua teoria e così verificare quanto sia vera la mia affermazione: ciò che scrivi è formalmente una contraddizione logica e tu stai basando la tua teoria su A≠A. 
Capisco che il tuo intento sia altro, ma comunque questo è il risultato. 
Se tu vuoi continuare a pensare che quello che hai scritto è logica formale, fai pure, ma io ti consiglieri un confronto con qualche gruppo logico.

Nota che io non ho mai parlato di indifferenza fra fisicità e immaginazione: infatti so bene che una cosa può esistere solo nell'immaginazione e non nella realtà fisica. Questo fa cadere le tue parole di apertura del tuo ultimo post: "confondere questi due aspetti ben diversi".
No, non ho confuso proprio nulla e non capisco da dove tu abbia pensato a questa confusione (non ho confuso né il soggetto col predicato, né la copula con la predicazione, né la realtà fisica con l'immaginazione) . Ho solo ricalcato quanto il nulla non sia possibile né fisicamente né concettualmente, sia attraverso esempi fisici sia attraverso esempi formali.
La tua idea di pensare il nulla assoluto è solo un'illusione. Qualunque definizione tua immaginifica o di pensiero non è altro che, per definizione, una determinazione di un qualche valore, al massimo di un qualche nulla relativo, mentre il nulla assoluto è privo d'ogni tipo di valorizzazione, anche immaginifica. 
Io non sono mai riuscito a pensare al nulla, neanche ad immaginarlo. Tutti i pensieri e le immagini mentali sul nulla si sono sempre dimostrate definitorie di un qualche valore, come il "vuoto nero" ... un'attrazione ecc. Ogni pensiero è una determinazione e ciò esclude da esso qualunque cosa sia priva di qualunque determinazione. Appunto il nulla assoluto.
Ma comunque questa tua posizione è chiaramente derivata dal tuo convincimento che "nulla è" è un'espressione vera. 
Non so se ti può essere utile, ma anche il nichilismo e altri similari basano la propria teoria su "nulla è", benché loro siano consapevoli che questa è una contraddizione logica-formale, ed è anche per questo che hanno bandito la logica formale a fronte di una dialettica priva della stessa logica-formale.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 01 Febbraio 2017, 23:39:14 PM
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 01 Febbraio 2017, 21:46:11 PM
Mi spiace doverlo ripetere ma la tua posizione e formalmente una contraddizione logica. Nel dire che il "nulla è" affermi che l'essere è nulla e ciò sta alla base per eccellenza del nichilismo; oltre che di altro.
"Nulla è" non equivale a "nulla =" ma a "nulla = è". In questo tuo passaggio confondi la copula con la predicazione.
Comunque esistono tanti centri logici (o libri) dove puoi presentare (o confrontare) la tua teoria e così verificare quanto sia vera la mia affermazione: ciò che scrivi è formalmente una contraddizione logica e tu stai basando la tua teoria su A≠A.
Capisco che il tuo intento sia altro, ma comunque questo è il risultato.
Se tu vuoi continuare a pensare che quello che hai scritto è logica formale, fai pure, ma io ti consiglieri un confronto con qualche gruppo logico.

Nota che io non ho mai parlato di indifferenza fra fisicità e immaginazione: infatti so bene che una cosa può esistere solo nell'immaginazione e non nella realtà fisica. Questo fa cadere le tue parole di apertura del tuo ultimo post: "confondere questi due aspetti ben diversi".
No, non ho confuso proprio nulla e non capisco da dove tu abbia pensato a questa confusione (non ho confuso né il soggetto col predicato, né la copula con la predicazione, né la realtà fisica con l'immaginazione) . Ho solo ricalcato quanto il nulla non sia possibile né fisicamente né concettualmente, sia attraverso esempi fisici sia attraverso esempi formali.
La tua idea di pensare il nulla assoluto è solo un'illusione. Qualunque definizione tua immaginifica o di pensiero non è altro che, per definizione, una determinazione di un qualche valore, al massimo di un qualche nulla relativo, mentre il nulla assoluto è privo d'ogni tipo di valorizzazione, anche immaginifica.
Io non sono mai riuscito a pensare al nulla, neanche ad immaginarlo. Tutti i pensieri e le immagini mentali sul nulla si sono sempre dimostrate definitorie di un qualche valore, come il "vuoto nero" ... un'attrazione ecc. Ogni pensiero è una determinazione e ciò esclude da esso qualunque cosa sia priva di qualunque determinazione. Appunto il nulla assoluto.
Ma comunque questa tua posizione è chiaramente derivata dal tuo convincimento che "nulla è" è un'espressione vera.
Non so se ti può essere utile, ma anche il nichilismo e altri similari basano la propria teoria su "nulla è", benché loro siano consapevoli che questa è una contraddizione logica-formale, ed è anche per questo che hanno bandito la logica formale a fronte di una dialettica priva della stessa logica-formale.

CitazioneDispiace anche a me dovermi ripetere, ma resta il fatto che la proposizione "nulla è" è ben diversa da (é tutt' altro che) "nulla è uguale a è ["è" chi? "è" che cosa?, N.d.R]", ovvero da "nulla significa  è ["è" chi? "è" che cosa?, N.d.R]".
Invece "nulla è" può solo significare "non esiste realmente alcunché" (attribuendo ad "essere" il significato di "esistere, accadere realmente", cioè intendendo "è" come predicato verbale; intransitivo, per la cronaca): frase perfettamente logica, non affatto autocontraddittoria.
Infatti l' unica interpretazione alternativa possibile, attribuendo invece ad "essere" il significato di "essere inteso come", "significare", "essere costituito da", "essere caratterizzato dalle seguenti qualità o caratteristiche o aspetti", cioè intendendo "è" come copula, sarebbe una frase incompleta (in particolare nel predicato!) e dunque senza senso compiuto (letteralmente, per definizione): una pretesa proposizione costituita da un soggetto e una copula ma senza alcun predicato (nominale)!
Ergo: non baso affatto le mie considerazioni sull' assurda autocontraddizione "A" =/="A".
Rinvio pertanto al mittente l' invito a ripassarsi la logica formale.
 
Se tu affermi -come infatti affermi- che io Nel dire che il "nulla è" affermerei che l'essere è nulla (e ciò sta alla base per eccellenza del nichilismo; oltre che di altro -?-) e dunque che mi contraddirei, allora confondi l' esistenza reale del nulla (= di alcunché) nella frase "nulla è" di cui sostengo la perfetta correttezza logica e sensatezza (non la verità, ovviamente) con l' identità concettuale fra "essere" e "non essere (alcunchè)" nella frase "l' essere è nulla".
Dunque almeno in questo caso hai proprio confuso questi due ben diversi concetti dell' "essere reale" ("esistere, accadere realmente") e dell' "essere oggetto di considerazione teorica, di pensiero" (essere reale unicamente come concetto, se e quando il pensiero di tale concetto realmente accade); ovviamente i due casi, oltre a non coimplicarsi necessariamente, nemmeno si escludono necessariamente a vicenda: una cosa (ente o eveneto) reale può anche essere pensata (oltre a non essere pensata) e può anche darsi che una cosa pensata sia anche reale (oltre a potersi dare che una -altra, diversa dalla precedente- cosa pensata non sia reale).
Hai proprio confuso la parola "è" come predicato verbale ("esiste o accade realmente") con la parola "è" come copula.
 
(La mia idea di) Pensare il nulla assoluto  è un' illusione nel senso che si tratta di un pensiero che non denota qualcosa* di reale (come ho sempre chiaramente sostenuto), ma è un' autentico, logicamente correttissimo pensiero (ad ulteriore conferma dell' importanza di non confondere pensiero e realtà: il nulla assoluto pensato non è realtà, ma il pensarlo è "perfettamente", logicissimamente, correttissimamente pensiero).
Che poi il nulla assoluto non sia immaginabile (per definizione si può "immaginare" solo "qualcosa") è semplicemente ovvio ma irrilevante: "pensare" =/= "immaginare".
 
"Omnis determinatio est negatio" (Spinoza"), certo! Infatti "nulla" e "(almeno) qualcosa" si negano-determinano reciprocamente.
 
Scusami, ma non posso non rilevare che scrivendo <<Ma comunque questa tua posizione è chiaramente derivata dal tuo convincimento che "nulla è" è un' espressione vera>> dimostri di non aver letto oppure di non aver capito affatto quello che ho scritto: non sto a contare le volte che ho scritto esattamente il contrario e cioè "nulla è" è [un predicato, N. d.R] falso": ti invito a farlo tu stesso!
 
Non conosco bene i vari nichilismi per valutare l' esattezza o meno della tua affermazione secondo la quale essi riconoscerebbero che "nulla è" sarebbe una contraddizione (anche se non vedo come, sostenendo che sia una contraddizione, dunque senza senso, possano affermare che sia vera).
In ogni caso, poiché ho sempre negato (contrariamente a quanto del tutto indebitamente e falsamente mi attribuisci!) la verità dell' affermazione "nulla è" (affermando invece la sua sensatezza: ennesima dimostrazione delle incomprensioni derivanti dalla confusione fra realtà e pensiero!), col nichilismo non ho nulla (alcunché, volendo evitare la doppia negazione che in italiano, poco o punto logicamente, nega) a che fare.

______________ 

* Ma si potrebbe anche dire "alcunché", e in italiano, per il carattere non perfettamente conforme alla logica formale della nostra lingua, pure "nulla".
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 04 Febbraio 2017, 11:21:25 AM
Come sappiamo la domanda "perché esiste qualcosa piuttosto che il nulla?" fu formulata da Leibniz, Heidegger la riprende nella forma modificata (e quindi a ben vedere di senso diverso) "Perché in generale l'ente piuttosto che niente?" e la indica come la domanda fondamentale e più radicale della metafisica, da cui si sviluppa il e in cui si conclude, senza che sia dato risolverla, tutto il pensiero metafisico ontologico, giacché il pensiero metafisico in Occidente non nasce dal pensare l'ente, ma dal pensare il niente (proprio nel senso di nulla assoluto) che costituisce il presupposto generale per il venire a essere di ogni ente.
Il nulla assoluto da un punto di vista logico formale è evidentemente una contraddizione assoluta, poiché è in quanto non è e non è in quanto è, ma è al contempo una tautologia la cui verità è del tutto corretta; il nulla dice infatti di se stesso proprio di essere nulla, ossia di essere proprio ciò che è e ciò che è è un assoluto non essere, in perfetta coerenza autoreferente. Quindi il nulla significa positivamente e si presenta come la negazione più radicale e primigenia del principium firmissimum aristotelico su cui si basa la logica formale, quindi non c'è logica formale che possa porre il nulla in discussione. Il punto che andrebbe invece considerato è invece da dove viene questo poter concepire il nulla assoluto e primigenio nella storia del pensiero dell'Occidente. C'è qualcosa di ancor più originario? Il sospetto è che questo qualcosa stia nell'assunzione a evidenza incontestabile del divenire (nel senso di venire da e venire a) nulla di ogni ente, quindi fondamentalmente ogni ente (in generale appunto) è niente e lo è da sempre e per sempre. Dunque, dato che tutto è fondamentalmente niente (per origine e destino), perché c'è l'ente? Come fa a esserci qualsiasi ente e la totalità degli enti?
Risulta chiaro allora che nella matrice fondamentalmente nichilista di tutto il pensiero dell'Occidente il problema non è il nulla, essendo il nulla ciò che vi è di originariamente evidente, ma è proprio l'essente, l'essente si presenta in tutta la sua irrisolvibile problematicità a fronte della quale continuamente torna a ripetersi che l'essente in generale è niente, nell'eternità del provenire e del finire.
In tal senso dire che il nulla non è sulla base della logica formale non risolve la questione, poiché tutto, logica formale formale compresa in quanto ente, ha origine e termine nel nulla primigenio, banale ed elementare che sta in principio a tutto e a cui tutto torna senza che sia dato in alcun modo capire perché, senza che vi sia alcun perché.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 04 Febbraio 2017, 14:32:50 PM
Citazione di: maral il 04 Febbraio 2017, 11:21:25 AM
Come sappiamo la domanda "perché esiste qualcosa piuttosto che il nulla?" fu formulata da Leibniz, Heidegger la riprende nella forma modificata (e quindi a ben vedere di senso diverso) "Perché in generale l'ente piuttosto che niente?" e la indica come la domanda fondamentale e più radicale della metafisica, da cui si sviluppa il e in cui si conclude, senza che sia dato risolverla, tutto il pensiero metafisico ontologico, giacché il pensiero metafisico in Occidente non nasce dal pensare l'ente, ma dal pensare il niente (proprio nel senso di nulla assoluto) che costituisce il presupposto generale per il venire a essere di ogni ente.
Il nulla assoluto da un punto di vista logico formale è evidentemente una contraddizione assoluta, poiché è in quanto non è e non è in quanto è, ma è al contempo una tautologia la cui verità è del tutto corretta; il nulla dice infatti di se stesso proprio di essere nulla, ossia di essere proprio ciò che è e ciò che è è un assoluto non essere, in perfetta coerenza autoreferente. Quindi il nulla significa positivamente e si presenta come la negazione più radicale e primigenia del principium firmissimum aristotelico su cui si basa la logica formale, quindi non c'è logica formale che possa porre il nulla in discussione. Il punto che andrebbe invece considerato è invece da dove viene questo poter concepire il nulla assoluto e primigenio nella storia del pensiero dell'Occidente. C'è qualcosa di ancor più originario? Il sospetto è che questo qualcosa stia nell'assunzione a evidenza incontestabile del divenire (nel senso di venire da e venire a) nulla di ogni ente, quindi fondamentalmente ogni ente (in generale appunto) è niente e lo è da sempre e per sempre. Dunque, dato che tutto è fondamentalmente niente (per origine e destino), perché c'è l'ente? Come fa a esserci qualsiasi ente e la totalità degli enti?
Risulta chiaro allora che nella matrice fondamentalmente nichilista di tutto il pensiero dell'Occidente il problema non è il nulla, essendo il nulla ciò che vi è di originariamente evidente, ma è proprio l'essente, l'essente si presenta in tutta la sua irrisolvibile problematicità a fronte della quale continuamente torna a ripetersi che l'essente in generale è niente, nell'eternità del provenire e del finire.
In tal senso dire che il nulla non è sulla base della logica formale non risolve la questione, poiché tutto, logica formale formale compresa in quanto ente, ha origine e termine nel nulla primigenio, banale ed elementare che sta in principio a tutto e a cui tutto torna senza che sia dato in alcun modo capire perché, senza che vi sia alcun perché.

Citazione

Francamente non capisco come "una contraddizione assoluta" possa essere "al contempo una tautologia": concetti reciprocamente contrari, pretendere di considerare i quali congiuntamente, come un solo concetto mi sembra ovviamente e indubitabilmente contraddittorio e dunque insensato.

Attribuire (predicare) a un concetto (non definito autocontraddittoriamente) l' "essere" (sia in senso concettuale sia in senso reale) mi sembra sempre perfettamente logico (e non: sempre vero; ovviamente) in generale; in particolare anche nel caso in cui tale concetto del quale lo si predichi sia il "nulla assoluto", esattamente come nel caso del "nulla relativo".
Predicare il nulla di "X", il non essere "X" (il "nulla relativo" del -o: al- particolare ente o evento "X") non è predicare di "X" che è in quanto non è e non è in quanto è, bensì soltanto il predicare di "X" che non è (e basta; e in quanto tale non è, e non: é).
Ed esattamente allo stesso modo predicare il nulla del "tutto" (il "nulla assoluto") non è predicare di "tutto" (tutti gli enti ed eventi considerabili, possibili oggetti di predicazione in generale) che è in quanto non è e non è in quanto è, bensì soltanto il predicare che non è (e basta: e in quanto tale -tutto, totalità degli enti ed eventi considerabili, possibili oggetti predicazione in generale- non è, e non: é).

Che la memoria sia solitamente veritiera e in linea teorica, di principio "smascherabile", correggibile quando fallace é indimostrabile; ma senza ammettere questo postulato indimostrabile non è possibile ragionare su nulla, ma casomai, al massimo, solo limitarsi a constatare sic et simpliciter il presente (constatazione "muta", non pensata, non vagliata criticamente, non fatta oggetto di considerazione teorica alcuna), dal momento che anche il ragionare, il pensare, se accade (come la memoria ci suggerisce accada), si svolge nel tempo: per esempio queste stesse semplicissime argomentazioni, se sono effettivamente accadute (come credo), hanno avuto uno svolgimento durato alcuni secondi o frazioni di secondo e non sono qualcosa di istantaneo, né nello scriverle, né nel leggerle, né nel pensarle.
E se ammettiamo la generale o "fisiologica" veridicità della memoria (con "eccezioni" o "patologie" che "confermano la regola" e inoltre sono in linea di principio riconoscibili e correggibili), allora la memoria stessa ci dice che in realtà si danno eventi e non enti, se non nel senso di astrazioni operabili da parte del pensiero dal (nell' ambito del) divenire reale (anche il metro campione depositato al Conservatoire des Arts et Métiersdi Parigi in condizioni il più possibile -sic!- stabili e costanti di temperatura, pressione, ecc., anche una montagna che esiste per centinaia di migliaia di anni, anche un continente che ha una durata ancor maggiore, anche un pianeta o una stella  o una galassia che esistono per ancor più tempo non sono che astrazioni del pensiero nell' ambito di eventi reali in continuo divenire: "enti" che prima non c' erano -non accadevano- poi hanno iniziato ad esserci -ad accadere- poi mentre ci sono -accadono- mutano continuamente, per quanto in misura scarsamente, difficilmente percettibile, poi finiscono di esserci -di accadere- poi di nuovo non ci sono -non accadono- più).
Dunque l' evidenza del divenire non è incontestabile; ma se la si contesta (nega), allora inevitabilmente ipso facto si smette di ragionare sensatamente, di "fare della filosofia" razionale, logicamente coerente: qualunque ragionamento si consideri, si pensi, si proponga contraddice tale negazione ammettendo implicitamente la veridicità in generale (con eccezioni limitate e in linea di principio riconoscibili) della memoria (e dunque la realtà dello scorrere del tempo nello svolgersi di pensieri, considerazioni teoriche, ragionamenti in particolare, e dello scorrere del tempo in generale).
Se si vuol ragionare (che lo si faccia, che ciò accada realmente o che sia solo un' illusione) si deve inevitabilmente ammettere il divenire.

Secondo me la domanda "perché c' è ciò che c' è (o meglio: accade ciò che accade)?" non ha senso per il fatto che poichè tutto ciò che realmente accade non può realmente darsi che non accada (autocontraddizione senza senso); può casomai soltanto essere pensato (falsamente ma in modo logicamente corretto) che non accada: non c' é alternativa possibile reale bensì solo e unicamente concettuale a ciò che accade; e dunque non c' bisogno di spiegazione alcuna per l' accadere reale di una alternativa che accade di fatto fra altre alternative realmente possibili, che invece per l' appunto non si danno).
E' solo concettualmente, come ipotesi del pensiero e non come fatti reali che si danno altre possibilità (per esempio di un diverso "qualcosa" di reale, o magari di alcunché -ossia del "nulla assoluto"- di reale): non c' é alternativa da spiegare (bisognosa di spiegazione, senso, ragione, "perché") nel reale, ma solo si dà alternativa nel concettuale, nel pensabile, la cui spiegazione sta nelle definizioni (arbitrarie) di "reale", "concettuale", "negazione" ("non reale", "non concettuale"), "necessario", "possibile", "impossibile", ecc., nel fatto che si può anche pensare (ma non può realmente accadere) ciò che non accade realmente (oltre a ciò che accade realmente; e che può accadere realmente anche ciò che non é pensato, oltre a ciò che é pensato).


(Mannaggia, più agli antipodi di così non potemmo essere!).
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 04 Febbraio 2017, 19:31:41 PM
Certo Sgiombo, il nulla non accade, ma si può sempre dire che il nulla accade proprio in quanto non accade, proprio in quanto è tautologicamente per definizione nulla, E' per questo che il nulla è positivamente proprio quello che è, nulla. Nell'essere del nulla c'è una contraddizione che si presenta come tautologia assolutamente non contraddittoria.  Il nulla è veramente e tautologicamente ciò che non è.
Sugli enti reali abbiamo già ampiamente discusso in passato, resta probabilmente inconciliabile il nostro modo di definire il reale. Tutto ciò che accade è reale, poiché accade. Poi possiamo vedere in che modo accade (in un sogno, in una speculazione razionale, in un paradosso, accade come pura sensazione, come emozione e via dicendo). Per me non è essenziale il modo di accadere per stabilirne la realtà, è invece essenziale per poterci convivere.
Il divenire è un provenire assoluto di qualcosa dal nulla per finire nel nulla, ma se il nulla assolutamente e tautologicamente non è, come può esserci qualcosa che viene da quel nulla e ci torna? Come potrà mai esserci un inizio e una fine di quel qualcosa? Certo si potrebbe dire che il nulla qui è inteso solo in senso relativo a quel qualcosa, non vale per tutti gli altri essenti, anche se alla fine vale, vale proprio per tutti, in generale ogni essente va dal nulla al nulla. Tutto quindi va dal nulla al nulla ed è questo che non si riesce proprio a spiegare: perché mai dunque un qualsiasi ente dovrebbe esserci se il fondamento e destino del suo esserci è proprio essere nulla? 
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Phil il 04 Febbraio 2017, 21:15:34 PM
E se fosse vero che "nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma" (intendendo "nulla" come semplice pronome indefinito, e non come sostantivo "il nulla")?
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 04 Febbraio 2017, 22:29:02 PM
E' che il trasformarsi implica sempre qualcosa che per trasformarsi deve finire nel nulla da cui qualcos'altro sorge. E se questo qualcosa è tutto il problema di Leibniz e di Heidegger resta.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Phil il 04 Febbraio 2017, 23:20:01 PM
Lo spunto interessante, secondo me, è proprio che non c'è niente che sorga ("nulla si crea"), niente che finisca nel nulla ("nulla si distrugge"), ma un tutto che si modifica ("tutto si trasforma").
In questo "tutto" che muta, non c'è spazio (nè tempo) per il nulla, che quindi non è, non esiste (confermandosi appunto, logicamente, un "nulla"...). Secondo questa prospettiva è inevitabile che il nulla non possa essere, e quindi resta solo un concetto-limite predefinito, non reale e non immaginabile ("per difetto", proprio come l'infinito è un concetto-limite non immaginabile "per eccesso"...). A questo punto, chiedersi "perché l'esistente esiste" è logicamente ridondante (e tautologico) come chiedersi "perché il caldo scalda" o "perché la vibrazione vibra", etc. in una convergenza fra definizione linguistica e causalismo con regresso all'infinito...
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 05 Febbraio 2017, 08:58:37 AM
Sì è certamente interessante, è la posizione di chi sostiene un Divenire assoluto. Qui però dobbiamo dimenticarci dell'ente come essente, c'è piuttosto un continuo accadere che continuamente accade, una sorta di continuo senza momenti discreti. E lo stesso "Tutto" va inteso in questo modo, non come Essere, ma come trasformazione che continuamente si trasforma senza venire mai a definirsi in qualcosa che stia.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 05 Febbraio 2017, 10:28:58 AM
Citazione di: maral il 05 Febbraio 2017, 08:58:37 AMSì è certamente interessante, è la posizione di chi sostiene un Divenire assoluto. Qui però dobbiamo dimenticarci dell'ente come essente, c'è piuttosto un continuo accadere che continuamente accade, una sorta di continuo senza momenti discreti. E lo stesso "Tutto" va inteso in questo modo, non come Essere, ma come trasformazione che continuamente si trasforma senza venire mai a definirsi in qualcosa che stia.

Potremmo forse inserire e usare il verbo stare (nel significato di dimorare, trovarsi) al posto del verbo essere. Avremmo , a mio parere, una più calzante adesione al reale, per quanto possibile nei limiti dati dal linguaggio: il Tutto sta trasformandosi ( variante: il Tutto dimora nella trasformazione. Oppure: la Trasformazione si trova nel tutto ). Così: il nulla sta nel tutto. Eliminando nella domanda il verbo essere ( c'è ) le cose mi appaiono più comprensibili e la domanda appare priva di senso.
Tutto dimora nella trasformazione ( non c'è un venire-da e un andare-verso). Tutto come designazione convenzionale, infatti non ci sono che stati dimoranti nella trasformazione incessante; stati che non si possono separare dalla trasformazione in quanto stanno nella trasformazione stessa. Se non c' è ( non ci sta) qualcosa che è ( il Tutto) non può esserci qualcosa che non-è ( non sta), ossia il nulla. Dove potrebbe dimorare  il Tutto se non nella trasformazione? Dove potrebbe non dimorare il nulla se non , anch'esso, nella trasformazione? Solo un (eterno?) cambiamento , senza origine e senza fine. Una gabbia terrificante, un orrore senza tempo, da cui la coscienza umana , che dimora nel cambiamento stesso, si ritrae inorridita. La trasformazione ha orrore di s stessa, sorge la speranza di essere ( fuori dalla trasformazione) e la speranza di non-essere ( all'interno della trasformazione). Però. la speranza stessa, dimora nella trasformazione...
Il nulla si prende tutto e non basta ignorarlo per eluderlo: la nostra coscienza lo sa e le nostre viscere ce ne parlano attraverso ciò che l'occidente ha chiamato angoscia . La malattia dell'anima è dovuta all'inconsistenza e all'impermanenza delle cose del mondo. (Franco Bertossa-Shunyata e il nulla - Centro studi Asia ).
Trasformazione come fluidità, come scorrimento, unione senza distinzione nel cangiare, mentre scrivo cambio e fluisco, devo scrivere frasi senza significato, vanno e vengono nella mente...inafferrabile da dove vengano, inafferrabile dove  vadano...dimoro  nella trasformazione...Dove mai dimora il vento?...

 E lo stesso "Tutto" va inteso in questo modo, non come Essere, ma come trasformazione che continuamente si trasforma senza venire mai a definirsi in qualcosa che stia. 

E' così, è così...bellissimo! Son felice come un bambino! E' proprio così...dimorare dove non c'è alcuna dimora...
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 05 Febbraio 2017, 12:09:06 PM
Citazione di: maral il 04 Febbraio 2017, 19:31:41 PM
Certo Sgiombo, il nulla non accade, ma si può sempre dire che il nulla accade proprio in quanto non accade, proprio in quanto è tautologicamente per definizione nulla,
CitazioneNon capisco il "ma": che se si può correttamente pensare "il nulla è (esiste)", allora è (esiste, o meglio: accade) per lo meno questo pensiero e dunque si tratta di un pensiero falso è proprio quanto ho sempre sostenuto anch' io in  questa discussione.


E' per questo che il nulla è positivamente proprio quello che è, nulla. Nell'essere del nulla c'è una contraddizione che si presenta come tautologia assolutamente non contraddittoria.  Il nulla è veramente e tautologicamente ciò che non è.
CitazioneQui c' è la solita confusione fra "essere" nel senso di  "essere oggetto di considerazione teorica", essere pensato (in qualche modo), significare (qualcosa), essere inteso come o in quanto (qualcosa)" ed "essere" nel senso di "esistere o -meglio!- accadere realmente" ("è" come copula, che deve reggere un qualche predicato nominale, se si vuole dire realmente qualcosa, se si vuole che si tratti di un' autentica proposizione, dotata di senso -vera o falsa che sia- e non di un' insignificante sequela di caratteri tipografici, ed "è" come predicato verbale; per la cronaca intransitivo).
Il nulla è inteso, si intende, è da intendersi, da pensarsi (è nel pensiero) (tautologicamente e non affatto contraddittoriamente) come "il non esistere (di alcunché o di qualcosa a seconda che si tratti di nulla assoluto o nulla relativo)"; e inoltre (invece) il nulla di fatto (veracemente; e lo dimostra anche proprio il semplice -fatto del- pensarlo) non esiste, non accade realmente (nella realtà): quest' ultima è una proposizione vera (non tautologicamente ma sinteticamente a posteriori); e dunque è un' autentica proposizione (sensata, non autocontraddittoria, altrimenti sarebbe una mera sequela insignificante di caratteri tipografici e dunque non potrebbe essere né vera né falsa, né analiticamente a priori né sinteticamente a posteriori).


Sugli enti reali abbiamo già ampiamente discusso in passato, resta probabilmente inconciliabile il nostro modo di definire il reale. Tutto ciò che accade è reale, poiché accade. Poi possiamo vedere in che modo accade (in un sogno, in una speculazione razionale, in un paradosso, accade come pura sensazione, come emozione e via dicendo). Per me non è essenziale il modo di accadere per stabilirne la realtà, è invece essenziale per poterci convivere.
Il divenire è un provenire assoluto di qualcosa dal nulla per finire nel nulla, ma se il nulla assolutamente e tautologicamente non è, come può esserci qualcosa che viene da quel nulla e ci torna? Come potrà mai esserci un inizio e una fine di quel qualcosa? Certo si potrebbe dire che il nulla qui è inteso solo in senso relativo a quel qualcosa, non vale per tutti gli altri essenti, anche se alla fine vale, vale proprio per tutti, in generale ogni essente va dal nulla al nulla. Tutto quindi va dal nulla al nulla ed è questo che non si riesce proprio a spiegare: perché mai dunque un qualsiasi ente dovrebbe esserci se il fondamento e destino del suo esserci è proprio essere nulla?
CitazioneChe "Il divenire è un provenire assoluto di qualcosa dal nulla per finire nel nulla, l' esserci qualcosa che viene da quel nulla e ci torna, l' esserci un inizio e una fine di quel qualcosa" sono modi (forse un po' "poetici", cioè implicanti qualche suggestione emotiva, ma certamente corretti) di descrivere il mutamento (purché siano chiari i ben diversi significati in cui si impiega il termine "essere").
Ed (il divenire, il mutamento; anche così descritto) è sensatissimo, possibilissimo (pensabilissimo accadere o meno analiticamente a priori; o meglio: come ipotesi), oltre che realmente accadente (dunque il pensarlo è vero; sinteticamente a posteriori).
Infatti il nulla assolutamente e tautologicamente significa, è da intendersi come "il non esserci -o meglio accadere- (di alcunché o di qualcosa a seconda che sia assoluto o relativo)".
Ed allora è sensatissimo, logicamente correttissimo, coerentissimo, "non contraddittorissimo" (licenza poetica) del "nulla di qualcosa" -così inteso come "il non essere -di- tale cosa (da pensarsi tale indipendentemente dal tempo: tanto prima, quanto ora e altrettanto dopo)"- che prima "era" intendendosi in questo caso con "essere", significando stavolta "essere" l' accadere realmente" (e non affatto contraddittoriamente l' "intendersi", il "significare", l' "essere da considerarsi o pensarsi come"), che ora è (idem) e che dopo nuovamente non sarà (idem).
Ovvero che (un certo) qualcosa (esempio: cenere; e non un  qualcosaltro, ad esempio legno, che tautologicamente e non contraddittoriamente non può essere inteso -pensato- come l' essere (tale certo) qualcosa: il legno non può essere inteso essere cenere: copula + predicato nominale) ...un (certo) qualcosa non affatto contraddittoriamente prima non era realmente (predicato verbale: non accadeva realmente), ora é realmente (predicato verbale: accade realmente; e non, contraddittoriamente, è inteso, è da intendersi come, significa -il non essere tale cosa bensì qualcos' altro, ad esempio legno), e dopo nuovamente non sarà realmente (predicato verbale: non accadrà realmente; e non contraddittoriamente non potrà essere inteso -pensato- come l' essere tale qualcosa: la cenere non essere cenere -copula + predicato nominale- ma casomai qualcos' altro, ad esempio legno di un atro albero, cosa magari che sarà realmente diventata).
Quindi è vero che alla fine vale, vale proprio per tutti, in generale il fatto che ogni cosa (ente, "cosa reale"; personalmente non uso il termine "essente" perché in dubbio sul suo significato), per così dire (un po' "poeticamente"), va dal nulla al nulla. Tutto quindi va dal nulla al nulla e questo si comprende benissimo se non si confonde "essere" nel senso di "essere reale, accadere realmente" (predicato verbale; intransitivo) con "essere" nel senso di "essere inteso, da intendersi (essere pensato, da pensarsi) come, significare" (copula; che necessariamente richiede un qualche predicato nominale per comporre una proposizione sensata): un qualsiasi ente c' è (accade realmente) per un certo lasso di tempo  anche se, per così dire, il "fondamento e destino" (il prima e il dopo di tale lasso di tempo) del suo esserci (accadere realmente) è proprio non essere (non accadere realmente; e non contraddittoriamente: il proprio essere da intendersi, essere pensato come nulla).

Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 05 Febbraio 2017, 12:13:13 PM
Citazione di: Phil il 04 Febbraio 2017, 21:15:34 PM
E se fosse vero che "nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma" (intendendo "nulla" come semplice pronome indefinito, e non come sostantivo "il nulla")?
CitazioneAggiungerei: "secondo proporzioni (rapporti quantitativi fra le diverse qualità delle cose) universali e costanti".

Ma secondo me questo é predicabile limitatamente alla "res extensa", mentre -sempre a mio parere- é reale, sia pure fenomenicamente ("esse est percipi"), ma in questo esattamente come la "res extensa, pure la "res cogitans", la quale non é misurabile (e comunque anch' essa diviene, trasformandosi in un certo senso tutto in essa in "altro da sé").

Inoltre secondo le mie personali convinzioni, essendo fenomeni (insiemi e successioni di sensazioni "e basta"), sia la materia che il pensiero di cui abbiamo consapevolezza (che constatiamo), in realtà essi sono reali (accadono realmente) soltanto allorché accadono (sono presentemente in atto) le sensazioni ("esteriori" ed "interiori"rispettivamente) dalle quali unicamente sono costituiti.
E questo (stando alla memoria) non é accaduto prima di un certo momento (maldefinibile, e anzi indefinibile  nei ricordi), inoltre (stando alla scienza e anche solo al senso comune) non accadrà più dopo un certo altro successivo momento, e accade per lassi di tempo finiti intervallati dal nulla (per lo meno di constatabile): il sonno profondo.
Il principio scientifico (indimostrabile: Hume!) che nulla si crea, nulla si annichila, tutto si trasforma secondo determinate proporzioni universali e costanti a mio parere va inteso nel senso che "se vi fosse la possibilità di compiere osservazioni ininterrottamente nel tempo della materia -la "res extensa"- (se vi fosse un "osservatore di tutto l' osservabile materiale" allora (si) rileverebbe che ...".
E secondo me ciò é comprensibile solo ammettendo (indimostrabilmente) la realtà (esistente-diveniente indefinitamente nel tempo e senza discontinuità) di una cosa in sé o noumeno (non sensibile, non osservabile ma solo congetturabile) a determinate condizioni del quale corrispondono biunivocamente determinate condizioni dei fatti fenomenici di coscienza (delle diverse esperienze fenomeniche coscienti).
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 05 Febbraio 2017, 21:11:47 PM
Citazione"Essere1" = esistere (accadere) realmente: predicato verbale.
"Essere2" = intendersi (pensarsi): copula.

Esempi:


Ieri c' era1 (=esisteva realmente) un pezzo di legno; dire che non c' era1 (non esisteva realmente) è sensato e falso; (pretendere di) dire che era2 (da intendersi come) un mucchietto di cenere è contraddittorio, insensato.


Oggi quel pezzo di legno è bruciato e ora dire che non c' è1 (non esiste realmente) quel pezzo di legno e che c' è1 (esiste realmente) un mucchietto di cenere é sensato e vero.
Invece (pretendere di) dire che il mucchietto di cenere che c' è1 (esiste realmente) adesso è2 (da intendersi come) quel pezzo di legno dalla cui combustione si è formato è contraddittorio, insensato; dire che il mucchietto di cenere che c' è1 (esiste realmente) adesso é2 (da intendersi come) il mucchietto di cenere che c' è1 (esiste realmente) adesso è sensato e tautologico; dire che ora c' é1 (esiste realmente) il pezzo di legno (che c' era1 -esisteva realmente- ieri e dalla cui combustione si è formato il mucchietto di cenere) é sensato e falso; (pretendere di) dire che il pezzo di legno (che c' era1 -esisteva realmente- ieri e dalla cui combustione si è formato il mucchietto di cenere) è2 (da intendersi come) il mucchietto di cenere (che dalla sua combustione si è formato e) che c' è1 (esiste realmente) ora è contraddittorio, insensato.

Contraddittorio, insensato sarebbe (pretendere di) dire che ieri c' era1 (esisteva realmente) il pezzo di legno e inoltre non c' era1 (non esisteva realmente) quello stesso pezzo di legno (perché invece c' era 1 -esisteva realmente- o perché esso era2 -da intendersi come- il mucchietto di cenere che c' é1 -esiste realmente- ora); oppure che ora c'é1 (esiste realmente) il mucchietto di cenere e inoltre non c'é1 (non esiste realmente) questo stesso mucchietto di cenere (perché c' é1 -esiste realmente- o perché esso  é2 -da intendersi come- il pezzo di legno che c' era1 -esisteva realmente ieri).
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 06 Febbraio 2017, 14:54:36 PM
Grazie mille per i tanti testi riflessivi.

L'ordine formale a fondamento di questa filosofia (e quindi di questo genere di soluzione della domanda in oggetto), si basa su A=A. Ne segue l'allontanamento di questo paradigma dal nichilismo occidentale imperante (cioè da "nulla è" ovvero A≠A).

Come detto da alcuni sopra, qui si tratta di una trasformazione di ciò che è e dell'impossibilità di trasformarsi in niente (assoluto) perché non esiste.
In questo senso, per quanto sia vero che "nulla è nulla" sia una tautologia, altrettanto vero è che predicare nulla di qualcosa è dire che essa "non è" ciò in cui si predica "nulla". Ne segue che "Nulla è nulla" si trasforma in "nulla non-è"; così come "Aristotele è nullamente-giallo" significa "Aristotele non è giallo".

Penso che una delle più importanti novità di questo libro sia proprio il basare la sua ricerca partendo dall'identità originaria formalmente incontrovertibile, cioè A=A; il che (come dagli esempi sopra) impedisce che il nulla assoluto sia qualcosa, ovvero impedisce la possibilità di A≠A.

Se mi posso permettere, vi segnalo la pubblicazione di un saggio sulla Verità introduttivo a questo pensiero, pubblicato per la prima volta presso «Azioni parallele" a questo indirizzo
http://www.azioniparallele.it/30-eventi/atti,-contributi/174-verita-realismo-costruttivismo.html

Sperando possa dare un contributo a capire le linee formali e di ricerca di verità che hanno portato alla soluzione della domanda in oggetto.

Sempre grazie per il genuino confronto
Vito
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 10 Febbraio 2017, 10:33:37 AM
Citazione di: sgiombo il 05 Febbraio 2017, 21:11:47 PM
"Essere1" = esistere (accadere) realmente: predicato verbale.
"Essere2" = intendersi (pensarsi): copula.
Si può vederla così e distinguere l'uso esistenziale da quello copulativo del verbo essere, ma non è necessario: "essere" afferma sempre ciò che è, quindi si può partire dal valore esistenziale. L'essere da "intendersi come ...", ossia "l'essere da intendersi come se fosse", ovviamente non è, altrimenti non sarebbe da intendersi come. In quanto è qualsiasi cosa è quello che è, non è un "da intendersi come".

CitazioneEsempi:

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Ieri c' era1 (=esisteva realmente) un pezzo di legno; dire che non c' era1 (non esisteva realmente) è sensato e falso; (pretendere di) dire che era2 (da intendersi come) un mucchietto di cenere è contraddittorio, insensato.
Qui sorge un primo dubbio. Va bene "ieri c'era un pezzo di legno" non è certo autocontraddittorio, ma il punto è, se ieri significa quella giornata di ieri, che ora non c'è più, quindi non c'è, come possiamo dire che c'era un "ieri" (ove si trovava un pezzo di legno) che non c'è? Possiamo vederla in due modi, o pensare che quell'ieri che c'era, ma non c'è è diventato oggi, ma qui il mistero si infittisce (come fa un ieri che non è oggi in nulla a diventare, ossia a venire a essere, oggi?) o possiamo dire che c'è oggi e non c'è ieri, ma che quell'oggi che solo c'è contiene una traccia che sembra essere un ieri reale a sé stante, ma in effetti è solo qualcosa che fa parte dell'oggi che è. Ogni ieri (proprio come ogni domani) è sempre e solo nell'oggi che si presenta e sempre e solo nell'oggi si presenta pure quel pezzo di legno che ci appare un contenuto della giornata di ieri.
Se tutto quello che accade (realmente) accade solo oggi (che è la sola cosa che c'è) e fa parte solo di oggi, cosa intendiamo dire davvero quando diciamo che quel pezzo di legno di ieri oggi è bruciato per diventare oggi cenere, quel mucchietto di cenere che c'è qui davanti a me? cosa è davvero bruciato tra ieri e oggi, dato che ieri non c'è? Quello che sembra essere bruciata è solo la mia idea di oggi di un pezzo di legno che, sempre nella mia idea attuale, proprio e solo di oggi, lo faccio pre esistere all'oggi in cui solo realmente si trova. Questa idea è quello che è diventato cenere, ma come può questa idea attuale di un pezzo di legna di un ieri che non c'è, diventare quella cenere che ho qui davanti? Se tutto quello che accade è solo oggi che accade (e non vedo come possa essere altrimenti) è chiaro che questo è impossibile, un'idea non diventa cenere, ma è vero che un'idea può presentarsi (può apparire) come idea di una storia: c'era una volta un pezzo di legno, poi quel pezzo di legno diventa cenere e tutti vivranno felici e contenti accanto al caminetto, mentre fuori infurierà la tempesta. Una bella storia che sembra avere un tempo di svolgimento tra passato e futuro che non sono, ma in realtà accade tutta in un solo istante, proprio adesso.

Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: baylham il 10 Febbraio 2017, 11:56:04 AM
Il principio, oltre all'inesistenza del nulla, è che l'essere è divenire, l'ente è ciò che diviene. Mi sembra che il problema sia di applicare la logica formale, che è statica, a partire dal principio di identità, comunque problematico, all'essere, alla realtà che è diveniente, dinamica. La realtà di ieri, lo ieri, non sono diventati, non sono nulla, sono diventati la realtà di oggi, l'oggi, e viceversa. Il pezzo di legno di ieri non è finito nel nulla, è diventato la cenere di oggi e viceversa. L'oggi c'è perché nell'oggi c'è lo ieri, senza lo ieri non c'è l'oggi.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 10 Febbraio 2017, 13:46:05 PM
CitazioneSgiombo:
"Essere1" = esistere (accadere) realmente: predicato verbale.

"Essere2" = intendersi (pensarsi): copula.

Maral:
Si può vederla così e distinguere l'uso esistenziale da quello copulativo del verbo essere, ma non è necessario: "essere" afferma sempre ciò che è, quindi si può partire dal valore esistenziale. L'essere da "intendersi come ...", ossia "l'essere da intendersi come se fosse", ovviamente non è, altrimenti non sarebbe da intendersi come. In quanto è qualsiasi cosa è quello che è, non è un "da intendersi come".

Sgiombo:
Se si vogliono evitare fraintendimenti ed errori è necessario fare questa distinzione; altrimenti si confondono due ben diversi casi: quello degli enti ed eventi reali (le cose realmente esistenti/accadenti: i cavalli reali) e quello degli enti ed eventi pensati ma non realmente esistenti (le cose che sono oggetto di pensiero ma non esistono/accadono realmente: gli immaginari ippogrifi).

Gli ippogrifi sono da intendersi come se esistessero realmente ma non esistono realmente; ciò che eventualmente accade realmente è solo il pensiero degli ippogrifi.
I cavalli invece sono da intendersi come animali realmente esistenti, sia che inoltre accada anche realmente il pensiero dei cavalli, sia che realmente non accada.
Se non si fa questa distinzione fondamentale si rischia di pretendere di andare da qualche parte in groppa a un ippogrifo e dunque non andare realmente da nessuna parte.








Citazione
CitazioneSgiombo:
Ieri c' era1 (=esisteva realmente) un pezzo di legno; dire che non c' era1 (non esisteva realmente) è sensato e falso; (pretendere di) dire che era2 (da intendersi come) un mucchietto di cenere è contraddittorio, insensato.

Maral:
Qui sorge un primo dubbio. Va bene "ieri c'era un pezzo di legno" non è certo autocontraddittorio, ma il punto è, se ieri significa quella giornata di ieri, che ora non c'è più, quindi non c'è, come possiamo dire che c'era un "ieri" (ove si trovava un pezzo di legno) che non c'è? Possiamo vederla in due modi, o pensare che quell'ieri che c'era, ma non c'è è diventato oggi, ma qui il mistero si infittisce (come fa un ieri che non è oggi in nulla a diventare, ossia a venire a essere, oggi?) o possiamo dire che c'è oggi e non c'è ieri, ma che quell'oggi che solo c'è contiene una traccia che sembra essere un ieri reale a sé stante, ma in effetti è solo qualcosa che fa parte dell'oggi che è. Ogni ieri (proprio come ogni domani) è sempre e solo nell'oggi che si presenta e sempre e solo nell'oggi si presenta pure quel pezzo di legno che ci appare un contenuto della giornata di ieri.

Sgiombo:
Solita confusione fra reale e pensato: i misteri li crea e li infittisce unicamente questo fraintendimento!

Che "fa parte dell' oggi", che accade realmente ("è1") oggi non é la realtà ("essere1") di ieri (contraddizione!!!), ma solo il pensiero (il ricordo, la memoria, "la traccia". l' "essere2") di ieri.

Il pensiero (l' essere2) e non la realtà (l' essere1) di ogni ieri (proprio come di ogni domani) é1 (accade realmente) sempre e solo nell' oggi; oggi che non "si presenta2 (al pensiero? Cioè é2, é pensato?)" affatto, bensì é1 (accade realmente). E infatti solo nell' oggi "si presenta" (=é2, é pensato; e non affatto é1 =esiste realmente) anche quel pezzo di legno che nel frattempo é bruciato.


Infatti per "ieri" valgono esattamente le stesso considerazioni che per il "pezzo di legno" (e se si confonde reale con penato si continua ad autocontraddirsi)
:
Ora quel giorno "ieri" (il 9 Febbraio 2017) è passato e ora dire che non c' è1 (non esiste realmente) "ieri" (il 9 Febbraio 2017) e che c' è1 (esiste realmente) "oggi" (il 10 Febbraio) ésensato e vero.
Invece (pretendere di) dire che il giorno "oggi" (il 10 Febbraio) che c' è1 (esiste, sta trascorrendo realmente) adesso è2 (da intendersi come) il giorno "ieri" (il 9 Febbraio 2017)  è contraddittorio, insensato; dire che il giorno "oggi" (il 10 Febbraio) che c' è1 (esiste, sta trascorrendo realmente) adesso é2 (da intendersi come il giorno "oggi", il 10 Febbraio, che c' è1 (esiste, sta trascorrendo realmente) adesso è sensato e tautologico; dire che ora c' é1 (esiste realmente) il giorno "ieri" (il 9 Febbraio 2017; che c' era1 -esis,teva, trascorreva realmente- ieri e dal cui trascorrere compiutamente, dal cui finire si è passati all' oggi, 10 Febbraio) é sensato e falso; (pretendere di) dire che il giorno "ieri" (il 9 Febbraio 2017; che c' era1 -esisteva, trascorreva realmente- ieri e dal compimento del trascorre del quale, dalla fine del quale si passati al' "oggi", 10 Febbraio) è2 (da intendersi come) il giorno "oggi", il 10 Febbraio, che c' è1 (esiste, sta trascorrendo realmente) ora è contraddittorio, insensato.

Contraddittorio, insensato sarebbe (pretendere di) dire che ieri c' era1 (esisteva, trascorreva realmente) il giorno "ieri" (il 9 Febbraio 2017) e inoltre non c' era1 (non esisteva realmente) quellto stesso giorno "ieri", il 9 Febbraio 2017 (perché invece c' era 1 -esisteva, trascorreva realmente- o perché esso era2 -da intendersi come- il giorno "oggi" (il 10 Febbraio) che c' é1 -esiste, trascorre realmente- ora); oppure che ora c'é1 (esiste, trascorre realmente) il giorno "ieri" (il 9 Febbraio 2017) e inoltre ora non c'é1 (non esiste, non trascorre realmente) questo stesso giorno "ieri", il 9 Febbraio 2017 (perché c' é1 -esiste realmente- o perché esso  é2 -da intendersi come- il giorno "oggi" (il 10 Febbraio) che c' é1 -esiste, trascorre realmente- ora.







Maral:
Se tutto quello che accade (realmente) accade solo oggi (che è la sola cosa che c'è) e fa parte solo di oggi, cosa intendiamo dire davvero quando diciamo che quel pezzo di legno di ieri oggi è bruciato per diventare oggi cenere, quel mucchietto di cenere che c'è qui davanti a me? cosa è davvero bruciato tra ieri e oggi, dato che ieri non c'è? Quello che sembra essere bruciata è solo la mia idea di oggi di un pezzo di legno che, sempre nella mia idea attuale, proprio e solo di oggi, lo faccio pre esistere all'oggi in cui solo realmente si trova. Questa idea è quello che è diventato cenere, ma come può questa idea attuale di un pezzo di legna di un ieri che non c'è, diventare quella cenere che ho qui davanti? Se tutto quello che accade è solo oggi che accade (e non vedo come possa essere altrimenti) è chiaro che questo è impossibile, un'idea non diventa cenere, ma è vero che un'idea può presentarsi (può apparire) come idea di una storia: c'era una volta un pezzo di legno, poi quel pezzo di legno diventa cenere e tutti vivranno felici e contenti accanto al caminetto, mentre fuori infurierà la tempesta. Una bella storia che sembra avere un tempo di svolgimento tra passato e futuro che non sono, ma in realtà accade tutta in un solo istante, proprio adesso.

Sgiombo:
Quando oggi (realmente) diciamo che quel pezzo di legno di ieri oggi é bruciato per diventare oggi cenere, quel mucchietto di cenere che c'è qui davanti a me, come capisce chiunque non sia un filosofo severiniano, cioé chiunque sappia distinguere fra reale e pensato, intendiamo dire proprio quel che diciamo, che quel pezzo di legno di ieri oggi é bruciato per diventare oggi cenere, quel mucchietto di cenere che c'è qui davanti a me.

Non é realmente bruciata la tua idea del pezzo di legno, bensì il pezzo di legno reale, che oggi non fai affatto realmente pre-esistere ma invece oggi pensi realmente preesistente all' oggi (ieri), in cui non affatto realmente si trova, bensì é solo pensato.

Non é affatto diventata realmente cenere l' dea del pezzo di legno (magari fosse possibile! Incenerirei immediatamente Renzi, Gentiloni, Draghi, Monti, la Fornero, la Lagarde, Sheuble e tanti altri per fare giustizia di mio figlio Michele di Tarcento da loro assassinato! Credo che chiunque abbia un minimo di sensibilità umana non possa non sentirlo e non piangerlo come un figlio suo!), bensì il pezzo di legno reale (fatto possibilissimo, contrariamente all' incenerimento attraverso il pensiero dei nemici del popolo, purtroppo!).

Sì, è vero che un'idea può presentarsi (può apparire) come idea di una storia: c'era una volta un pezzo di legno, poi quel pezzo di legno diventa cenere e tutti vivranno felici e contenti accanto al caminetto, mentre fuori infurierà la tempesta: una storia che può benissimo essere vera e di fatto spesso é vera, cioé una successione di pensieri conforme alla realtà, da non confondersi con la realtà stessa, alla quale altri pensieri (falsi) possono invece benissimo non essere affatto conformi... Una bella storia che non sembra avere bensì ha realmente un tempo di svolgimento -reale- tra passato e futuro che non sono (infatti rispettivamente era e sarà), e in realtà non accade realmente affatto, bensì realmente é soltanto pensata tutta in un solo breve lasso di tempo, proprio adesso.

Comunque il caso é disperato.
Non tenterò ulteriormente di farti comprendere ciò che non sono riuscito a farti comprendere con sforzi "titanici" fimo ad ora (solita clausola che chi tace non acconsente al tuo eventuale ripetere le stesse affermazioni senza argomenti realmente nuovi).
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 10 Febbraio 2017, 14:19:11 PM
Sgiombo, capisco e condivido pure la tua esigenza di non confondere il reale con il pensato, ma ribadisco che il reale e il pensato non sono separabili, non sono cose che appartengono a mondi diversi e l'uno "il reale" al mondo duro e puro, mentre il "pensato" solo alle fantasie più o meno realistiche e arbitrarie che stanno dentro a una testa (reale? pensata? mah!).
Il reale è sempre e solo qui e ora e in questo qui e ora c'è pure l'accadere di pensare, in questo qui e ora c'è pure l'ieri che è pensato come "ieri" solo adesso, poiché l'ieri (che non c'è e non può esserci) accade di pensarlo e solo perché accade ora in un modo che è del tutto evidente, l'ieri è reale.
La storia che collega ieri a oggi e poi a domani, in realtà è solo oggi, adesso, che c'è ed è perché adesso c'è e appare nel suo essere pensata che è reale.
Il problema che tu temi e per cui ti vuoi premunire, affinché giustamente non ci siano inganni, il problema di non confondere i cavalli con gli ippogrifi, non è per nulla messo in discussione da questa, a tuo avviso, indebita e confusionaria sovrapposizione tra realtà e immaginazione. Realtà e immaginazione restano distinti dal modo in cui adesso si presenta (ci appare) qualcosa, nel suo esserci in quanto venir pensata e viceversa. E' il modo dell'esserci e contemporaneamente il pensarlo che ci permette, nei modi e non nelle essenze, di distinguere cavalli e ippogrifi, di credere alla realtà dei primi e alla non realtà e solo "immaginabilità" dei secondi. E questi modi non siamo noi a sceglierli arbitrariamente da fuori, perché questi modi siamo noi stessi, siamo noi che accadiamo proprio qui e ora, in questo preciso istante e in questi modi con cui sperimentiamo e facciamo le cose esistendo.
Il mondo è reale, per questo è pensabile in modi diversi e solo poiché è pensato esso si presenta (agli umani, agli altri non so) in modo reale, sempre oltre il nostro pensarlo e quindi sempre ancora ripensabile, senza fine, ossia senza che mai sia nulla.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 10 Febbraio 2017, 18:55:42 PM
Citazione di: maral il 10 Febbraio 2017, 14:19:11 PM
Sgiombo, capisco e condivido pure la tua esigenza di non confondere il reale con il pensato, ma ribadisco che il reale e il pensato non sono separabili, non sono cose che appartengono a mondi diversi e l'uno "il reale" al mondo duro e puro, mentre il "pensato" solo alle fantasie più o meno realistiche e arbitrarie che stanno dentro a una testa (reale? pensata? mah!).
Il reale è sempre e solo qui e ora e in questo qui e ora c'è pure l'accadere di pensare, in questo qui e ora c'è pure l'ieri che è pensato come "ieri" solo adesso, poiché l'ieri (che non c'è e non può esserci) accade di pensarlo e solo perché accade ora in un modo che è del tutto evidente, l'ieri è reale.
La storia che collega ieri a oggi e poi a domani, in realtà è solo oggi, adesso, che c'è ed è perché adesso c'è e appare nel suo essere pensata che è reale.
Il problema che tu temi e per cui ti vuoi premunire, affinché giustamente non ci siano inganni, il problema di non confondere i cavalli con gli ippogrifi, non è per nulla messo in discussione da questa, a tuo avviso, indebita e confusionaria sovrapposizione tra realtà e immaginazione. Realtà e immaginazione restano distinti dal modo in cui adesso si presenta (ci appare) qualcosa, nel suo esserci in quanto venir pensata e viceversa. E' il modo dell'esserci e contemporaneamente il pensarlo che ci permette, nei modi e non nelle essenze, di distinguere cavalli e ippogrifi, di credere alla realtà dei primi e alla non realtà e solo "immaginabilità" dei secondi. E questi modi non siamo noi a sceglierli arbitrariamente da fuori, perché questi modi siamo noi stessi, siamo noi che accadiamo proprio qui e ora, in questo preciso istante e in questi modi con cui sperimentiamo e facciamo le cose esistendo.
Il mondo è reale, per questo è pensabile in modi diversi e solo poiché è pensato esso si presenta (agli umani, agli altri non so) in modo reale, sempre oltre il nostro pensarlo e quindi sempre ancora ripensabile, senza fine, ossia senza che mai sia nulla.
CitazioneDistinguere (concettualmente, nel pensiero) =/= separare (nella realtà: siamo sempre lì).
Anche il pensiero, se accade realmente, fa parte della realtà, ma ne è una "parte decisamente peculiare" ben diversa dal resto per sue proprie importantissime caratteristiche: gli "oggetti" o "contenuti" del pensiero che sono tali unicamente in quanto tali (la loro realtà consiste nell' essere pensati e non sono inoltre, come può ben darsi, anche "oggetti" o "contenuti" della realtà indipendentemente dal fatto che questa sia inoltre pensata o meno, come può altrettanto ben darsi) sono "di natura", presentano una "valenza o qualità ontologica" ben diversa dai fatti reali (in quanto tali, e non unicamente in quanto pensati, in quanto oggetti o contenuti di pensiero, come può peraltro ben darsi che pure siano, o meno).
La confusione (cioè la mancata distinzione teorica; e non certo una pretesa separazione reale di fatto: riecco "il problema dei problemi" che si riaffaccia inevitabilmente di continuo!) fra questi due diversi (anche se passibili di coesistere tanto quanto di non coesistere a seconda dei casi) significati di "essere" è come "la notte in cui tutte le vacche sembrano nere" (mi scuso con il da me tutt' altro che apprezzato Hegel, che per quel poco che ne ho capito doveva essere un habitué di questa confusione).
E da questa confusione, come ho ampiamente argomentato nei precedenti interventi e non sto a ripetere, nasce la pretesa negazione del divenire: dalla confusione fra il pensarsi qualcosa, il qualcosa pensato che, astraendo, prescindendo dalla sua (eventuale) realtà (dalla realtà di tale "qualcosa" in quanto tale e non solo in quanto contenuto di pensiero, del suo accadere e non del suo essere pensato), se e quando accade, è ciò che è e non può essere altro da una parte; e dall' altra parte l' accadere realmente qualcosa che può benissimo prima non darsi, adesso darsi, poi di nuovo non darsi (magari trasformandosi da - in qualcos' altro secondo proporzioni universali e costanti, come a quanto pare di fatto accade del mondo fisico materiale).

Secondo me le fantasie, come il resto della coscienza (anche le sensazioni di cose reali), non stanno nelle teste (e in particolare nei cervelli), ma al contrario le teste (e in particolare i cervelli) stanno nelle coscienze (di chi le pensa nel caso di teste e cervelli fantastici, o di chi le esperisce come teste e cervelli reali nel caso delle sensazioni di enti ed eventi reali reali).

Non obietto al resto di queste affermazioni perché già fatto più volte.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Apeiron il 10 Febbraio 2017, 21:19:17 PM
Alla domanda iniziale rispondo così: finchè non si ha una chiara definizione di "nulla" la domanda non è altro che un'espressione della nostra meraviglia dinanzi ad un mistero. Parlare di niente e di nulla ha perfettamente senso quando si pensa all'assenza di qualcosa, tuttavia parlare di niente come l'assenza di ogni cosa è molto problematico. Non appena infatti si fa ciò ne consegue che se si parla del nulla, allora il nulla è qualcosa, ossia non è nulla. La cosa ovviamente sfocia nella contraddizione.

In modo analogo il "Perchè" dell'esistenza, ossia il Senso dell'esistenza è maldefinito. Questo perchè in sostanza la parola "senso" o "perchè"noi la usiamo in contesti di causalità, ossia dove si ha una successione di eventi tra loro connessi. Motivo per cui l'espressione il "senso dell'esistenza" rispecchia la nostra tendenza alla meraviglia, al mistero. Se anche un senso vi fosse questo per noi non sarebbe comprensibile perchè appunto noi siamo nel mondo (e quindi parliamo del senso di qualcosa o qualche evento)e quell'eventuale "senso" sarebbe di tutta l'esistenza.


Motivo per cui: la domanda perchè c'è qualcosa anziché il nulla? è una domanda religiosa e non filosofica. Ogni parola espressa in quella frase è decontestualizzata e proprio la sua decontestualizzazione la rende una "domanda eterna". Ma la filosofia, che deve attenersi allo studio degli eventi e della realtà non può che rassegnarsi al Silenzio. Rimane dunque il "misticismo" ossia la religione. La filosofia deve "rassegnarsi" ad indagare nella sua sfera di competenza, non può andare oltre. Infatti se va oltre costruisce sistemi senza fondamento (può l'etica avere fondamento? ossia si può dimostrare che un'azione è giusta e una è sbagliata?) o sistemi inconsistenti. La filosofia deve - in modo simile a quanto detto da Kant - essere circoscritta al suo ambito di competenza e su ciò di cui non può parlare, deve tacere.

P.S. Mi è difficile argomentare su queste questioni (che tra l'altro sono le più importanti), motivo per cui non credo che il post sia chiarissimo. Il "consiglio" per capire meglio il post è appunto pensare alla seguente domanda: si possono fondare filosoficamente giudizi assoluti di valore (ad esempio: si può dimostrare che un'azione è giusta?)? oppure: si può dimostrare che la probabilità che il lancio di un dado faccia 6 è 1/6 (qui il problema è che il concetto di "probabilità" è un'astrazione matematica...) ?
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 10 Febbraio 2017, 22:05:39 PM
Non so se ho capito tutto, non sono addentro nella logica formale, voglio solo provare ad esprimere ciò che mi sembra di aver capito, in modo da provare ad imparare qualcosa.

A quanto sembra, il problema della contraddizione del nulla consisterebbe in questo: il nulla non è altro che il non essere. Dunque, se diciamo che il nulla è, stiamo dicendo che il non essere è. Dire che il non essere è significa introdurre nel nostro pensare un'indifferenza totale di ogni significato; ultimamente significa non poter pensare, è una specie di suicidio del pensare, un buttarsi la zappa sui piedi.

Mi sembra che tutto ciò abbia a che fare con l'origine del nostro linguaggio, nato per gestire piccole quantità e poi dalla filosofia stirato a più non posso per fargli gestire quantità smisurate, quali sono i concetti di tutto, nulla e simili.

Infatti, se ci limitiamo a piccole quantità, è possibilissimo parlare del nulla, poiché esso è sempre relazionato a pochi altri esseri: possiamo benissimo dire "in questa stanza non c'è nulla di quanto tu hai detto"; in questo senso è possibile parlare anche di esistenza della mancanza: c'è mancanza di denaro, mancanza di risorse. Questo mi fa pensare al fatto che in matematica è possibile sommare numeri negativi: 5 + (-3) = 2.

Come dicevo, le cose si complicano se questo linguaggio viene stirato per esprimere quantità smisurate. In questo senso già il concetto di "tutto" è problematico: com'è possibile pensare di aver pensato il concetto di "tutto", una volta che nessuno di noi l'ha mai visto? In matematica il concetto di "tutto" è riferito alle possibilità future: per esempio, possiamo dire che, se ad un numero qualsiasi sottraiamo se stesso, il risultato sarà sempre zero. Come facciamo a sapere che ciò vale per tutti i numeri? Siamo noi ad aver deciso che ciò è vero, sulla base delle verifiche e delle corrispondenze che finora abbiamo trovato; tuttavia potrebbe sempre succedere in futuro di scoprire qualche tipo di calcolo che smentisca che x-x fa sempre zero.

Questo mi sembra un problema fondamentale dei concetti totalizzanti, quali "tutto", "nulla" e simili: sono scommesse sul futuro, di cui è impossibile avere prove definitive, perché è umanamente impossibile verificare tutti i casi possibili. Siamo, insomma, nel problema del tacchino induttivista.

Da ciò consegue che un difetto fondamentale di ogni matematica e di ogni logica è quello di trascurare la loro impotenza riguardo a ciò che si potrà scoprire in futuro. Anzi, direi piuttosto, che una vera matematica o una vera logica contengono già quest'umiltà, anche se per semplicità non la esprimono; chi dimentica quest'umiltà siamo noi, nel momento in cui utilizziamo questi strumenti dimenticando che esistiamo nel tempo e non abbiamo potere sul futuro.

Ciò non vieta di fare matematica o logica; basta che lo si faccia con consapevolezza dei loro limiti.

Oltre a quello del tempo, un altro limite della logica mi sembra essere quello dei paradossi che si verificano quando si vogliono creare affermazioni totali che includano la negazione di se stessi: è il caso del catalogo che voglia contenere la lista di tutti i cataloghi che non includono se stessi; ne consegue che un paradosso simile sarà quello del concetto di "tutto", che in quanto tale dovrebbe includere ogni negazione di stesso, teorica o reale, quindi dovrebbe includere anche il nulla, con i conseguenti problemi che finora avete evidenziato.

Ma anche lasciando da parte i problemi specifici creati dai paradossi, mi sembra che già l'ipotesi teorica di pensare il "tutto" in modo filosofico e non semplicemente matematico crei dei problemi. Infatti, se voglio pensare il tutto, è ovvio che in questo concetto dovrò includere anche me stesso che sto pensando il tutto. A questo punto però ho creato una nuova entità: il concetto di me stesso che sto pensando il tutto. Cioè, io mi sono creato dentro il mio cervello un'idea di me come di uno che sta pensando il tutto. Ma quell'uno che sta pensando il tutto, che si trova nel mio cervello sotto forma di concetto, sta davvero pensando tutto? Credo di no, altrimenti significa che sarei riuscito a creare nel mio cervello non un concetto, ma una vera persona che è in grado di pensare a me. Da questa difficoltà mi sembra dover dedurre che il tutto è pensabile solo in contesti matematici, che come tali includono esclusivamente enti matematici, e quindi non si tratta davvero del tutto, o in contesti logici che, occupandosi esclusivamente di funzionalità formali, neppure essi si occupano davvero di tutto. Non è pensabile in filosofia poiché implicherebbe il trattare il concetto di me stesso come se fosse non un concetto, ma un essere reale in grado di pensare a me che sto pensando ad esso.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Apeiron il 10 Febbraio 2017, 23:18:01 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 10 Febbraio 2017, 22:05:39 PMNon so se ho capito tutto, non sono addentro nella logica formale, voglio solo provare ad esprimere ciò che mi sembra di aver capito, in modo da provare ad imparare qualcosa. A quanto sembra, il problema della contraddizione del nulla consisterebbe in questo: il nulla non è altro che il non essere. Dunque, se diciamo che il nulla è, stiamo dicendo che il non essere è. Dire che il non essere è significa introdurre nel nostro pensare un'indifferenza totale di ogni significato; ultimamente significa non poter pensare, è una specie di suicidio del pensare, un buttarsi la zappa sui piedi. Mi sembra che tutto ciò abbia a che fare con l'origine del nostro linguaggio, nato per gestire piccole quantità e poi dalla filosofia stirato a più non posso per fargli gestire quantità smisurate, quali sono i concetti di tutto, nulla e simili. Infatti, se ci limitiamo a piccole quantità, è possibilissimo parlare del nulla, poiché esso è sempre relazionato a pochi altri esseri: possiamo benissimo dire "in questa stanza non c'è nulla di quanto tu hai detto"; in questo senso è possibile parlare anche di esistenza della mancanza: c'è mancanza di denaro, mancanza di risorse. Questo mi fa pensare al fatto che in matematica è possibile sommare numeri negativi: 5 + (-3) = 2. Come dicevo, le cose si complicano se questo linguaggio viene stirato per esprimere quantità smisurate. In questo senso già il concetto di "tutto" è problematico: com'è possibile pensare di aver pensato il concetto di "tutto", una volta che nessuno di noi l'ha mai visto? In matematica il concetto di "tutto" è riferito alle possibilità future: per esempio, possiamo dire che, se ad un numero qualsiasi sottraiamo se stesso, il risultato sarà sempre zero. Come facciamo a sapere che ciò vale per tutti i numeri? Siamo noi ad aver deciso che ciò è vero, sulla base delle verifiche e delle corrispondenze che finora abbiamo trovato; tuttavia potrebbe sempre succedere in futuro di scoprire qualche tipo di calcolo che smentisca che x-x fa sempre zero. Questo mi sembra un problema fondamentale dei concetti totalizzanti, quali "tutto", "nulla" e simili: sono scommesse sul futuro, di cui è impossibile avere prove definitive, perché è umanamente impossibile verificare tutti i casi possibili. Siamo, insomma, nel problema del tacchino induttivista. Da ciò consegue che un difetto fondamentale di ogni matematica e di ogni logica è quello di trascurare la loro impotenza riguardo a ciò che si potrà scoprire in futuro. Anzi, direi piuttosto, che una vera matematica o una vera logica contengono già quest'umiltà, anche se per semplicità non la esprimono; chi dimentica quest'umiltà siamo noi, nel momento in cui utilizziamo questi strumenti dimenticando che esistiamo nel tempo e non abbiamo potere sul futuro. Ciò non vieta di fare matematica o logica; basta che lo si faccia con consapevolezza dei loro limiti. Oltre a quello del tempo, un altro limite della logica mi sembra essere quello dei paradossi che si verificano quando si vogliono creare affermazioni totali che includano la negazione di se stessi: è il caso del catalogo che voglia contenere la lista di tutti i cataloghi che non includono se stessi; ne consegue che un paradosso simile sarà quello del concetto di "tutto", che in quanto tale dovrebbe includere ogni negazione di stesso, teorica o reale, quindi dovrebbe includere anche il nulla, con i conseguenti problemi che finora avete evidenziato. Ma anche lasciando da parte i problemi specifici creati dai paradossi, mi sembra che già l'ipotesi teorica di pensare il "tutto" in modo filosofico e non semplicemente matematico crei dei problemi. Infatti, se voglio pensare il tutto, è ovvio che in questo concetto dovrò includere anche me stesso che sto pensando il tutto. A questo punto però ho creato una nuova entità: il concetto di me stesso che sto pensando il tutto. Cioè, io mi sono creato dentro il mio cervello un'idea di me come di uno che sta pensando il tutto. Ma quell'uno che sta pensando il tutto, che si trova nel mio cervello sotto forma di concetto, sta davvero pensando tutto? Credo di no, altrimenti significa che sarei riuscito a creare nel mio cervello non un concetto, ma una vera persona che è in grado di pensare a me. Da questa difficoltà mi sembra dover dedurre che il tutto è pensabile solo in contesti matematici, che come tali includono esclusivamente enti matematici, e quindi non si tratta davvero del tutto, o in contesti logici che, occupandosi esclusivamente di funzionalità formali, neppure essi si occupano davvero di tutto. Non è pensabile in filosofia poiché implicherebbe il trattare il concetto di me stesso come se fosse non un concetto, ma un essere reale in grado di pensare a me che sto pensando ad esso.

Aggiungo solo che matematica e logica in generale non si applicano all'Esperienza. Non si può dimostrare che la probabilità che il lancio del dado dia 6 perchè non possiamo avere infinite prove, ma soprattutto - mi ero scordato di dirlo - anche se avessimo a disposizione infinite prove la generalizzazione potrebbe ugualmente essere accidentale.
Ad esempio per la logica:
La validità generale logica potrebbe chiamarsi essenziale, in contrapposizione alla accidentale, come quella della proposizione: "Tutti gli uomini sono mortali". (Wittgenstein)

La logica non si può applicare alla natura perchè dall'esperienza possiamo solo desumere generalizzazioni accidentali, non essenziali. Perfino applicare i concetti della fisica alla natura è "improprio" nel senso che nulla nell'esperienza ci garantisce che tra i fatti ci sia un legame. Causalità, regolarità della natura... sono tutti concetti che noi imponiamo sulla natura in modo errato. Infatti non vengono dall'esperienza.


"Il senso del mondo dev'essere fuori di esso. Nel mondo tutto è come è, e tutto avviene come avviene; non v'è in esso alcun valore - né, se vi fosse, avrebbe un valore.

Se un valore che ha valore v'è, dev'esser fuori d'ogni avvenire ed essere-così. Infatti ogni avvenire ed essere-così è accidentale.

Ciò che li rende non-accidentali non può essere nel mondo, ché altrimenti sarebbe, a sua volta, accidentale.

Dev'essere fuori dal mondo.  
...
Non come il mondo è, è il mistico, ma che esso è" (Wittgenstein)

non rimane quindi che rinunciare a filosofare a riguardo di domande che non possono avere una risposta. Non possiamo desumere in alcun modo una "spiegazione" che qualcosa è. Possiamo fare una teoria su "perchè" il periodo di rivoluzione della Terra è circa 365 giorni e non 1244 (numero a caso  ;D ) ma non possiamo dare una spiegazione su "perchè" esistiamo. Alcune - ma non tutte - le religioni cercano proprio di dare una spiegazione a ciò ma la spiegazione è infalsificabile, inverificabile, non deducibile dall'esperienza e non fondata logicamente da alcun assioma che possa essere considerato dato di fatto (non a caso è rischiesta la fede (che può essere ragionevole ma non razionale) in tale spiegazione). Ma le spiegazioni che noi facciamo su particolari fenomeni naturali sono appunto testabili e per questo motivo sono soggette ad errore. Dove non c'è possibilità di verifica/falsificazione/test non vi è possibilità d'errore e quindi propriamente non si tratta nemmeno di una spiegazione scientifica. Dove non v'è possibilità d'errore non si può nemmeno propriamente parlare di "aumento della conoscenza". Motivo per cui le spiegazioni "sul senso delle cose" non sono nemmeno "vere" spiegazioni. Ma qui trattiamo di argomenti su cui la razionalità non può avere nulla a che fare. Le spiegazioni filosofiche che si fanno sono speculazioni oppure sono rielaborazioni ossia tentativi di capire meglio le "spiegazioni religiose". Ma qui chiaramente ormai la filosofia è sparita - in quanto la filosofia si ferma prima.

P.S. Angelo Cannata non sono di certo un esperto di logica simbolica e infatti moltissime cose del Tractatus di Wittgenstein non le ho capite, ma mi pare d'aver afferrato ciò che penso sia l'essenziale per me. Ti consiglio, se non lo hai già fatto, di leggere le sue opere sia del primo periodo sia del secondo. E inoltre anche le opere non prettamente filosofiche  ;) Comunque il senso del discorso mi pare che tu l'abbia capito.

5+(-3)=2 non si applica alla realtà. Infatti che (5+(-3))*mele=2mele è una generalizzazione accidentale che faccio da un numero finito di prove. Non posso dimostrare che se da un sacchetto di 5 mele ne tiro via 3 ne rimangono sempre 2. Realizzata questa cosa, si realizza tutto questo discorso (che il mondo segua leggi "matematiche" è un "atto di fede" per quanto sia molto più "plausibile" - ossia "ragionevole" - rispetto ad altri...).
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 11 Febbraio 2017, 11:08:23 AM
Citazione di: Apeiron il 10 Febbraio 2017, 23:18:01 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 10 Febbraio 2017, 22:05:39 PMNon so se ho capito tutto, non sono addentro nella logica formale, voglio solo provare ad esprimere ciò che mi sembra di aver capito, in modo da provare ad imparare qualcosa. A quanto sembra, il problema della contraddizione del nulla consisterebbe in questo: il nulla non è altro che il non essere. Dunque, se diciamo che il nulla è, stiamo dicendo che il non essere è. Dire che il non essere è significa introdurre nel nostro pensare un'indifferenza totale di ogni significato; ultimamente significa non poter pensare, è una specie di suicidio del pensare, un buttarsi la zappa sui piedi. Mi sembra che tutto ciò abbia a che fare con l'origine del nostro linguaggio, nato per gestire piccole quantità e poi dalla filosofia stirato a più non posso per fargli gestire quantità smisurate, quali sono i concetti di tutto, nulla e simili. Infatti, se ci limitiamo a piccole quantità, è possibilissimo parlare del nulla, poiché esso è sempre relazionato a pochi altri esseri: possiamo benissimo dire "in questa stanza non c'è nulla di quanto tu hai detto"; in questo senso è possibile parlare anche di esistenza della mancanza: c'è mancanza di denaro, mancanza di risorse. Questo mi fa pensare al fatto che in matematica è possibile sommare numeri negativi: 5 + (-3) = 2. Come dicevo, le cose si complicano se questo linguaggio viene stirato per esprimere quantità smisurate. In questo senso già il concetto di "tutto" è problematico: com'è possibile pensare di aver pensato il concetto di "tutto", una volta che nessuno di noi l'ha mai visto? In matematica il concetto di "tutto" è riferito alle possibilità future: per esempio, possiamo dire che, se ad un numero qualsiasi sottraiamo se stesso, il risultato sarà sempre zero. Come facciamo a sapere che ciò vale per tutti i numeri? Siamo noi ad aver deciso che ciò è vero, sulla base delle verifiche e delle corrispondenze che finora abbiamo trovato; tuttavia potrebbe sempre succedere in futuro di scoprire qualche tipo di calcolo che smentisca che x-x fa sempre zero. Questo mi sembra un problema fondamentale dei concetti totalizzanti, quali "tutto", "nulla" e simili: sono scommesse sul futuro, di cui è impossibile avere prove definitive, perché è umanamente impossibile verificare tutti i casi possibili. Siamo, insomma, nel problema del tacchino induttivista. Da ciò consegue che un difetto fondamentale di ogni matematica e di ogni logica è quello di trascurare la loro impotenza riguardo a ciò che si potrà scoprire in futuro. Anzi, direi piuttosto, che una vera matematica o una vera logica contengono già quest'umiltà, anche se per semplicità non la esprimono; chi dimentica quest'umiltà siamo noi, nel momento in cui utilizziamo questi strumenti dimenticando che esistiamo nel tempo e non abbiamo potere sul futuro. Ciò non vieta di fare matematica o logica; basta che lo si faccia con consapevolezza dei loro limiti. Oltre a quello del tempo, un altro limite della logica mi sembra essere quello dei paradossi che si verificano quando si vogliono creare affermazioni totali che includano la negazione di se stessi: è il caso del catalogo che voglia contenere la lista di tutti i cataloghi che non includono se stessi; ne consegue che un paradosso simile sarà quello del concetto di "tutto", che in quanto tale dovrebbe includere ogni negazione di stesso, teorica o reale, quindi dovrebbe includere anche il nulla, con i conseguenti problemi che finora avete evidenziato. Ma anche lasciando da parte i problemi specifici creati dai paradossi, mi sembra che già l'ipotesi teorica di pensare il "tutto" in modo filosofico e non semplicemente matematico crei dei problemi. Infatti, se voglio pensare il tutto, è ovvio che in questo concetto dovrò includere anche me stesso che sto pensando il tutto. A questo punto però ho creato una nuova entità: il concetto di me stesso che sto pensando il tutto. Cioè, io mi sono creato dentro il mio cervello un'idea di me come di uno che sta pensando il tutto. Ma quell'uno che sta pensando il tutto, che si trova nel mio cervello sotto forma di concetto, sta davvero pensando tutto? Credo di no, altrimenti significa che sarei riuscito a creare nel mio cervello non un concetto, ma una vera persona che è in grado di pensare a me. Da questa difficoltà mi sembra dover dedurre che il tutto è pensabile solo in contesti matematici, che come tali includono esclusivamente enti matematici, e quindi non si tratta davvero del tutto, o in contesti logici che, occupandosi esclusivamente di funzionalità formali, neppure essi si occupano davvero di tutto. Non è pensabile in filosofia poiché implicherebbe il trattare il concetto di me stesso come se fosse non un concetto, ma un essere reale in grado di pensare a me che sto pensando ad esso.

Aggiungo solo che matematica e logica in generale non si applicano all'Esperienza. Non si può dimostrare che la probabilità che il lancio del dado dia 6 perchè non possiamo avere infinite prove, ma soprattutto - mi ero scordato di dirlo - anche se avessimo a disposizione infinite prove la generalizzazione potrebbe ugualmente essere accidentale.
Ad esempio per la logica:
La validità generale logica potrebbe chiamarsi essenziale, in contrapposizione alla accidentale, come quella della proposizione: "Tutti gli uomini sono mortali". (Wittgenstein)

La logica non si può applicare alla natura perchè dall'esperienza possiamo solo desumere generalizzazioni accidentali, non essenziali. Perfino applicare i concetti della fisica alla natura è "improprio" nel senso che nulla nell'esperienza ci garantisce che tra i fatti ci sia un legame. Causalità, regolarità della natura... sono tutti concetti che noi imponiamo sulla natura in modo errato. Infatti non vengono dall'esperienza.


"Il senso del mondo dev'essere fuori di esso. Nel mondo tutto è come è, e tutto avviene come avviene; non v'è in esso alcun valore - né, se vi fosse, avrebbe un valore.

Se un valore che ha valore v'è, dev'esser fuori d'ogni avvenire ed essere-così. Infatti ogni avvenire ed essere-così è accidentale.

Ciò che li rende non-accidentali non può essere nel mondo, ché altrimenti sarebbe, a sua volta, accidentale.

Dev'essere fuori dal mondo.  
...
Non come il mondo è, è il mistico, ma che esso è" (Wittgenstein)

non rimane quindi che rinunciare a filosofare a riguardo di domande che non possono avere una risposta. Non possiamo desumere in alcun modo una "spiegazione" che qualcosa è. Possiamo fare una teoria su "perchè" il periodo di rivoluzione della Terra è circa 365 giorni e non 1244 (numero a caso  ;D ) ma non possiamo dare una spiegazione su "perchè" esistiamo. Alcune - ma non tutte - le religioni cercano proprio di dare una spiegazione a ciò ma la spiegazione è infalsificabile, inverificabile, non deducibile dall'esperienza e non fondata logicamente da alcun assioma che possa essere considerato dato di fatto (non a caso è rischiesta la fede (che può essere ragionevole ma non razionale) in tale spiegazione). Ma le spiegazioni che noi facciamo su particolari fenomeni naturali sono appunto testabili e per questo motivo sono soggette ad errore. Dove non c'è possibilità di verifica/falsificazione/test non vi è possibilità d'errore e quindi propriamente non si tratta nemmeno di una spiegazione scientifica. Dove non v'è possibilità d'errore non si può nemmeno propriamente parlare di "aumento della conoscenza". Motivo per cui le spiegazioni "sul senso delle cose" non sono nemmeno "vere" spiegazioni. Ma qui trattiamo di argomenti su cui la razionalità non può avere nulla a che fare. Le spiegazioni filosofiche che si fanno sono speculazioni oppure sono rielaborazioni ossia tentativi di capire meglio le "spiegazioni religiose". Ma qui chiaramente ormai la filosofia è sparita - in quanto la filosofia si ferma prima.

P.S. Angelo Cannata non sono di certo un esperto di logica simbolica e infatti moltissime cose del Tractatus di Wittgenstein non le ho capite, ma mi pare d'aver afferrato ciò che penso sia l'essenziale per me. Ti consiglio, se non lo hai già fatto, di leggere le sue opere sia del primo periodo sia del secondo. E inoltre anche le opere non prettamente filosofiche  ;) Comunque il senso del discorso mi pare che tu l'abbia capito.

5+(-3)=2 non si applica alla realtà. Infatti che (5+(-3))*mele=2mele è una generalizzazione accidentale che faccio da un numero finito di prove. Non posso dimostrare che se da un sacchetto di 5 mele ne tiro via 3 ne rimangono sempre 2. Realizzata questa cosa, si realizza tutto questo discorso (che il mondo segua leggi "matematiche" è un "atto di fede" per quanto sia molto più "plausibile" - ossia "ragionevole" - rispetto ad altri...).

CitazioneConcordo che la logica non si può applicare all' esperienza,
La logica (e la matematica pura) propone giudizi analitici a priori, mentre la natura si conosce (se si conosce) attraverso giudizi sintetici a posteriori.
E (a proposito di conoscenza sintetica a posteriori della natura) concordo anche sull' indimostrabilità dell' induzione (Hume!).
 
 

Inoltre sono d' accordo che razionalmente, filosoficamente non si possa trovare una senso (una ragione, una risposta alla domanda "perché?") del fatto che accade realmente ciò che accade.
Ma già chiedersi (e rispondere alla domanda) se questo sia un problemi razionalmente risolvibile è filosofia.
Per parte mia ribadisco (e mi sembra di concordare) che sono domande  senza senso (per quanto insopprimibili per chi cerchi di vivere con senso critico e non di vivere a casaccio essendo acriticamente eterodiretto) per il significato stesso dei termini della questione, perché per definizione si può pensare, può essere pensato anche ciò che non è reale (che non accade realmente: basta che non sia autocontraddittorio), mentre può essere reale solo e unicamente ciò che è reale (solo ciò che accade realmente) e nient' altro: la possibilità esiste solo nel pensiero e non nella realtà; e questo indipendentemente dall' eventuale determinismo nella realtà, che soltanto imporrebbe la necessità ed eliminerebbe la possibilità anche al pensiero della realtà, oltre che alla realtà (ovviamentenel caso si abbia una conoscenza sufficientemente completa e precisa delle leggi  universali e costanti -cioè deterministiche - generali astratte del divenire nonché delle condizioni particolari concrete, in un -qualsiasi- determinato istante, della realtà stessa: in queste condizioni "ideali" -in linea di principio, non di fatto!- sarebbe possibile pensare in modo corretto, non autocontraddittorio, unicamente -ovvero sarebbe necessario anche il pensare, oltre che l' accadere realmente di- ciò che realmente accade in qualsiasi altro istante di tempo).
In caso di possibilità (ergo: nel pensiero e non nella realtà) si pone la questione di un senso, una ragione, una risposta alla domanda "perché?": "perché, fra tutte le alternative possibili a ciò che di fatto si dà, si dà proprio quella che di fatto si dà e non alcun altra?".
Ma invece in caso di necessità (ergo nella realtà e non nel *pensiero) non si pone la questione di un senso, una ragione, una risposta alla domanda "perché?": non essendoci alternative a ciò che di fatto si dà, non ha senso chiedersi "perché si dà proprio ciò che si dà anziché alcun altra alternativa", la quale, per l' appunto non c'é, non si pone; non ponendosi alcuna alternativa sarebbe evidentemente autocontraddittorio, senza senso chiedersi perché (cercare una ragione o un senso del fatto che) si dà è proprio una certa determinata alternativa anziché qualsiasi altra (possibile), che per l' appunto non si dà.
E per l' appunto per definizione (analiticamente a priori) si dà possibilità solo nel pensiero e non nella realtà.
 
(Con tutte queste evidenziazioni in grassetto spero di aver dato l' idea dell' importanza a mio parere "fondamentalissima" in filosofia della distinzione fra -eventuale accadere reale del ed eventuale accadere reale del pensiero del- pensiero (circa la realtà) e -eventuale accadere reale ed eventuale accadere reale del pensiero della- realtà).
 
 
 
Non concordo invece che  che (5+(-3))*mele=2mele è una generalizzazione accidentale che faccio da un numero finito di prove. Non posso dimostrare che se da un sacchetto di 5 mele ne tiro via 3 ne rimangono sempre 2. Realizzata questa cosa, si realizza tutto questo discorso (che il mondo segua leggi "matematiche" è un "atto di fede" per quanto sia molto più "plausibile" - ossia "ragionevole" - rispetto ad altri...
Per me quelli della logica e della matematica pura sono giudizi analitici a priori e non sintetici a posteriori: è per le definizioni di "5", "3", "2", "+", "-", "=" che sempre e comunque, indipendentemente da come che sia il mondo reale, 5 - 3 = 2.
Posso poi applicare le astrazioni matematiche alle mele e a qualsiasi altro oggetto concreto eventualmente rilevato sinteticamente a posteriori.
 
 

Per Angelo Cannata (scusandomi) per la pignoleria e la non essenzialità per la questione in esame):
il concetto di me stesso che sto pensando il tutto, l'idea di me come di uno che sta pensando il tutto non accade, non me lo sono cerato dentro il mio cervello: dentro il mio cervello (il quale è, accade, almeno potenzialmente e di fatto sempre attualmente qualora di diano determinate condizioni, "dentro", nell' ambito de-, le esperienze fenomeniche coscienti di chi lo osserva, diverse dalla mia) accadono, si osservano unicamente neuroni e altre cellule, fasci di assoni con impulsi nervosi che li percorrono, eccitazioni e inibizioni trans – sinaptiche, eccetera: tutt' altre cose che concetti, anche se necessariamente coesistenti e biunivocamente corrispondenti al mio pensare i concetti che penso (che invece accade "dentro", nell' ambito de-, la mia di esperienza fenomenica cosciente, ben diversa, altra da quelle degli osservatori del mio cervello).
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Apeiron il 11 Febbraio 2017, 11:53:03 AM
@sgiombo

Ma il giudizio sintetico a priori è appunto un'applicazione della logica e della matematica (che come dici tu sono a-priori ossia "trascendentali") all'esperienza. Il punto è che: se un giorno io tirando via tre mele dal sacchetto di cinque trovassi ancora cinque mele anziché due avrei davvero falsificato la posizione secondo la quale la matemtica si può applicare alla realtà? Probabilmente esclamerei: "questo è un miracolo!". Tuttavia in modo analogo ai miracoli delle religioni uno per vedere un miracolo deve pensare che essi siano possibili. Ma che i miracoli siano possibili o impossibili è una questione irresolvibile dalla sola esperienza (la quale è l'unica fonte di conoscenza!). La stessa introspezione è a-posteriori: quando indago ad esempio le mie emozioni la mia indagine riguarda fenomeni e nient'altro.

Il discorso della generalizzazione accidentale pensalo in questo modo: il fatto che tu fai quel giudizio sintetico a-priori è dovuto al fatto che tu applichi le nozioni matematiche a-priori all'esperienza. Se invece mettessi in un sacchetto contenente una mela una seconda mela e dopo questa operazione trovassi che ci sono zero mele nel sacchetto, userei un'altro sistema algebrico. Precisamente userei il seguente:
Ossia quel sistema algebrico tale per cui: "0+0=0", "1+0=0+1=0" e "1+1=0". Perchè non usiamo questo sistema per fare i nostri giudizi sintetici a posteriori? Non c'è davvero alcuna ragione che necessariamente ci impone di non farlo eppure se lo facessi verrei contraddetto dall'esperienza. Tuttavia siccome l'intera esperienza è accidentale dobbiamo dire che i nostri giudizi sintetici a posteriori sono essi stessi accidentali (non stiamo realmente dicendo cose diverse...).

Ma allora la realtà è accidentale? Noi se vogliamo essere onesti dovremo ammettere di sì, la successione di fatti è accidentale e ogni regolarità che troviamo in essi è puro accidente. Ma è davvero così? Uno potrebbe dire: non è così "sub specie aeternitatis". Ma qui si va già oltre la filosofia (amore della "saggezza")...

In modo simile per le questioni dell'etica (da non confondersi con la "morale" ossia il sistema di regole assunto da una cultura): esse sono trascendentali ossia "a-priori". L'etica infatti tratta del dover-essere che di certo non è deducibile dall'essere. Perchè non ci è permesso ad esempio "frodare il prossimo"? Lo studio dei fatti ci dice che "frodare il prossimo" è un evento come un altro, l'etica invece ci dice che non dovrebbe essere così. L'etica cambia la prospettiva della realtà, ossia cambia il modo con cui tu ti rapporti al tuo mondo, ossia la totalità delle tue esperienze. Per questo motivo l'etica è trascendentale. Non potrò mai dimostrarti che "frodare il prossimo" è sbagliato così come non potrò mai realmente convincerti che il lancio di un dado ha una necessità di dare il risultato "6" con la probabilità di 1/6.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 11 Febbraio 2017, 15:30:45 PM
Che bisogno ho di "dimostrare" quando  ho assoluta certezza di un'esperienza? Posso dimostrare che sono vivo? Sono però certo che sono vivo e questo indipendentemente se sono vivo nella realtà, in un sogno o in un ologramma. Il dubbio riguarda le cause del perché sono vivo, non l'esperienza di esserlo. La conoscenza del reale è, a mio parere, vera ma limitata. Non posso dimostrare che una mela più un'altra fa sempre logicamente due , ma so per esperienza che, se anche passo la vita a mettere una mela accanto all'altra , mai ne vedrò tre. Similmente se anche un altro uomo passa la vita a mettere queste due mele una accanto all'altra ne vedrà sempre due e non tre. Questo fatto esperienziale crea un assoluto relativo alla condizione umana. La mia mente dispone di una certa struttura logica e semantica che mi permette di formulare un linguaggio con una certa metodologia. Questa struttura è un assoluto relativo alla condizione umana che mi permette di formulare teorie logiche  e semantiche che però non possono essere assolute. Ciò che è assoluto è relativo alla sottostante struttura che rende possibile qualunque teoria su di essa. Chi presenta una nuova teoria logica o semantica si serve della logica e della semantica per poterlo fare. Egli presuppone ciò di cui desidera presentare una teoria. E' la struttura della mente che mette in grado qualunque teoria, anche una della struttura della mente, di fare ciò che tenta di fare. Anche chi parla in nome del relativismo presuppone la validità della logica in questione. La coscienza umana ha una sorta di "centratezza", o autoconsapevolezza che sembra una sorta di quid che ci impedisce di perderci nel torrente infinito delle esperienze relative. Questa centratezza serve a dare quel senso di continuità alla nostra esperienza di vita che sperimentiamo e che ci fa dire "Io sono" ( che questo 'io sono' sia permanente o impermanente e un altro discorso che investe altri fattori esperienziali). Abbiamo molti assoluti relativi alla condizione umana. Ciò che non abbiamo è una conoscenza assoluta che è una impossibilità. Ma la mancanza di una conoscenza assoluta implicva che la conoscenza (relativa alla condizione umana) è falsa? Possiamo definirla limitata, ma non falsa, a mio avviso. La mente dispone pure della capacità di annullare la distinzione soggetto-oggetto tipica del pensiero, e questo avviene a livello delle sensazioni dove si manifesta un'unità materiale in ogni impressione sensoriale. Se vedo, per es. il colore giallo non lo posso negare nemmeno se si tratta di un sogno o di una allucinazione. La sua causa è aperta al dubbio, ma l'esperienza in sé è certa e immediata. Ciò che vedo non è più il mio oggetto: esso è in me e io sono in esso.
E' qualcosa di assoluto relativo all'atto conoscitivo. In ogni atto conoscitivo è presente un'interdipendenza di soggetto e oggetto. In ogni domanda che ci poniamo è già presente qualcosa dell'oggetto su cui ci interroghiamo, altrimenti non potremmo nemmeno porre la domanda. Avere e non avere è la natura stessa degli interrogativi e chi interroga conferma questa struttura interdipendente della coscienza come un assoluto relativo agli uomini in quanto uomini.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 11 Febbraio 2017, 16:28:50 PM
Citazione@ Apeiron

Sono perfettamente d' accordo che l' introspezione (le sensazioni  empiriche della res cogitans) é anch' essa empiria (esattamente come l' "extrospezione", o meglio le diverse  "extrosensazioni", della res extensa); e dunque qualsiasi giudizio circa la realtà interiore o mentale, esattamente come qualsiasi giudizio circa la realtà esteriore o materiale (essendo l' una altrettanto empirica dell' altra), è un giudizio sintetico a posteriori.
Tuttavia dissento da Quine (forse contrariamente a te) nel ritenere che i giudizi analitici a priori siano riducibili a giudizi sintetici a posteriori e ritengo che le nozioni e i predicati espressi (significati) dai pensieri empiricamente avvertiti mentalmente (le verità logiche) siano ben altra cosa delle percezioni mentali che costituiscono i pensieri stessi (gli eventi psicologici; i quali, contrariamente alle verità logiche, possono solo essere reali o meno -accadere o meno- e non anche essere veri o falsi, in questo esattamente come quegli altri tipi di eventi psicologici che sono le emozioni e i sentimenti).
 
Se -per assurdo; ammesso e non concesso- avvenisse un miracolo "tipo moltiplicazione dei pani e dei pesci" credo che allora le leggi fisiche (per lo meno una o più determinate leggi fisiche; le quali peraltro, essendo fondate sull' induzione, non sono comunque logicamente dimostrabili con certezza essere vere: Hume!) sarebbero contravvenute, cioé falsificate (non credo che abbia senso ma sia autocontraddittorio il concetto di "sospensione" momentanea od occasionale delle leggi di natura, o di "eccezione alla regola" del divenire naturale in quanto per definizione -e senza che sia possibile dimostrarne la verità: a-ri-Hume!- le leggi del divenire naturale sono letteralmente universali e costanti, id est: non ammettono deroghe, sospensioni o eccezioni di sorta).
La logica non credo sarebbe facilmente applicabile: se accadesse che 5 pani e 2 pesci a un certo punto diventassero, da 7 che erano, 14 o 21 vivande penso che l' unico modo sensato (possibile) di applicare alla realtà l' astrazione matematica sarebbe quello di considerare "7 x 2" o rispettivamente "7 x 3", oppure "7 + 7" o "7 + 7 + 7" o "7 + 14", ecc.; mentre "7 + 5 = 14 = 24" semplicemente non avrebbe senso. Sarebbe come dire "un cerchio è quadrato": non una proposizione, un predicato ma una mera sequela casuale, insignificante di caratteri tipografici.
E così dicasi di "1 + 0 = 0" e di "1 + 1 = 0"; il caso miracoloso da te proposto sarebbe matematicamente formalizzabile (sensatamente) come "0 + 1 + 1 – 2 = 0" o in altri modi equivalenti come "- 1 - 1" anziché "- 2".
 
I giudizi sintetici a posteriori sono (nozioni significate da) pensieri che riguardano dati di fatto (empirici) reali e, se vogliono essere veri, sono vincolati alle caratteristiche reali dei dati di fatto; per questo non possiamo sostituirli con giudizi analitici a priori, i quali invece son "completamente interni alla teoria, al -alle nozioni significate dal-  pensiero", sono connessioni e inferenze logiche fra concetti definiti arbitrariamente e assiomi arbitrariamente assunti del tutto indipendentemente dalla realtà (empirica): questa è precisamente la ragione che ci impone di non pretendere che i giudizi circa la realtà possano essere analitici a priori: potrebbero esserlo solo se, per assurdo, si desse il caso che::
"pensabile (correttamente, coerentemente, logicamente)" = reale".
 
Ma invece (torniamo sempre su questo "fondamentalissimo principio filosofico! L' autentico "nocciolo della questione"!) il reale può essere, ma non è necessariamente, (anche) pensato (oggetto di pensiero) e il pensato  (l' oggetto di pensiero) può essere, ma non è necessariamente, (anche) reale.
 
Ma allora la realtà è accidentale"?
Rispondo:
La realtà non è necessariamente "pensanda"; cioè si può pensare essere reale ciò che è reale ma anche ciò che non è reale e si può pensare non essere reale ciò che non è reale ma anche ciò che è reale.
Se per "accidentale" intendiamo questo ("non necessariamente pensanda essere così com' è; pensabile non essere anziché essere, ovvero essere diversa da ciò che è, da com' è") allora sì, la realtà è accidentale.
Ma inoltre la realtà è realmente (per definizione) necessariamente ciò che è (così com' è), sebbene sia pensabile diversamente): può essere pensata essere ma non realmente essere diversa da come è, da ciò che é.
E allora se per "accidentale" intendiamo quest' altro ("non necessariamente accadente  realmente - così come accade", ma anche altrimenti" ma casomai solo non necessariamente pensabile accadere realmente -così come accade, ma anche altrimenti- allora no, la realtà non è accidentale.
 
Concordo che l'etica non sia dimostrabile (benché -secondo me- di fatto in parte universalmente diffusa nell' umanità e immutabile in tempi biologici per motivi contingenti, di fatto, rilevabili analiticamente a posteriori, ben compresi dalla teoria scientifica naturale dell' evoluzione biologica per mutazioni genetiche casuali e selezione naturale, correttamente intesa "a la Gould" e non indebitamente, falsamente assolutizzata "a la Dawkins"; e in altra parte mutevole da ambiente sociale –latamente inteso– ad ambiente sociale, transeunte per motivi contingenti, di fatto, rilevabili analiticamente a posteriori, ben compresi dalla teoria scientifica umana del materialismo storico; non posso pretendere che quest' ultimo sia da tutti condiviso per la sua natura di scienza in senso lato o umana, mentre pretendo che -fino all' eventuale improbabile verificarsi di future rivoluzioni scientifiche- la teoria dell' evoluzione biologica sia condivisa da tutti i miei interlocutori per la sua natura di scienza in senso stretto o naturale e per il mio soggettivo, arbitrario, insindacabile non essere disposto a colloquiare di scienza e di filosofia con irrazionalisti antiscientifici).
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 11 Febbraio 2017, 16:48:48 PM
Citazione di: Sariputra il 11 Febbraio 2017, 15:30:45 PM
Che bisogno ho di "dimostrare" quando  ho assoluta certezza di un'esperienza? Posso dimostrare che sono vivo? Sono però certo che sono vivo e questo indipendentemente se sono vivo nella realtà, in un sogno o in un ologramma. Il dubbio riguarda le cause del perché sono vivo, non l'esperienza di esserlo. La conoscenza del reale è, a mio parere, vera ma limitata. Non posso dimostrare che una mela più un'altra fa sempre logicamente due , ma so per esperienza che, se anche passo la vita a mettere una mela accanto all'altra , mai ne vedrò tre. Similmente se anche un altro uomo passa la vita a mettere queste due mele una accanto all'altra ne vedrà sempre due e non tre. Questo fatto esperienziale crea un assoluto relativo alla condizione umana. La mia mente dispone di una certa struttura logica e semantica che mi permette di formulare un linguaggio con una certa metodologia. Questa struttura è un assoluto relativo alla condizione umana che mi permette di formulare teorie logiche  e semantiche che però non possono essere assolute. Ciò che è assoluto è relativo alla sottostante struttura che rende possibile qualunque teoria su di essa. Chi presenta una nuova teoria logica o semantica si serve della logica e della semantica per poterlo fare. Egli presuppone ciò di cui desidera presentare una teoria. E' la struttura della mente che mette in grado qualunque teoria, anche una della struttura della mente, di fare ciò che tenta di fare. Anche chi parla in nome del relativismo presuppone la validità della logica in questione. La coscienza umana ha una sorta di "centratezza", o autoconsapevolezza che sembra una sorta di quid che ci impedisce di perderci nel torrente infinito delle esperienze relative. Questa centratezza serve a dare quel senso di continuità alla nostra esperienza di vita che sperimentiamo e che ci fa dire "Io sono" ( che questo 'io sono' sia permanente o impermanente e un altro discorso che investe altri fattori esperienziali). Abbiamo molti assoluti relativi alla condizione umana. Ciò che non abbiamo è una conoscenza assoluta che è una impossibilità. Ma la mancanza di una conoscenza assoluta implicva che la conoscenza (relativa alla condizione umana) è falsa? Possiamo definirla limitata, ma non falsa, a mio avviso. La mente dispone pure della capacità di annullare la distinzione soggetto-oggetto tipica del pensiero, e questo avviene a livello delle sensazioni dove si manifesta un'unità materiale in ogni impressione sensoriale. Se vedo, per es. il colore giallo non lo posso negare nemmeno se si tratta di un sogno o di una allucinazione. La sua causa è aperta al dubbio, ma l'esperienza in sé è certa e immediata. Ciò che vedo non è più il mio oggetto: esso è in me e io sono in esso.
E' qualcosa di assoluto relativo all'atto conoscitivo. In ogni atto conoscitivo è presente un'interdipendenza di soggetto e oggetto. In ogni domanda che ci poniamo è già presente qualcosa dell'oggetto su cui ci interroghiamo, altrimenti non potremmo nemmeno porre la domanda. Avere e non avere è la natura stessa degli interrogativi e chi interroga conferma questa struttura interdipendente della coscienza come un assoluto relativo agli uomini in quanto uomini.

CitazionePerò, Sari assoluta certezza c'é solo del fluire delle ("proprie") sensazioni (esteriori e interiori) che immediatamente accadono (se e quando accadono), immediatamente esperite: la realtà potrebbe anche esaurirsi in esse, non eccederle, senza che nulla possa dimostrare il contrario di ciò (né dimostrare ciò).
Un soggetto (oltre che oggetti) delle sensazioni, in aggiunta ad esse, potrebbe benissimo non esserci (come pure esserci).
Come tutte le altre persone comunemente ritenute sane di mente, personalmente credo di esistere come soggetto e che esistano anche oggetti delle (mie) sensazioni (e che nel caso di quelle esterne materiali siano gli stessi delle sensazioni di altri soggetti, costituenti altre esperienze fenomeniche coscienti i cui "contenuti" esterni materiali sono reciprocamente corrispondenti -"poliunivocamente"- fra tutte le esperienze fenomeniche coscienti stesse, compresa ovviamente la mia).
Però (forse da "occidentale razionalista che cerca sempre il pelo nell' uovo"?) per me é -del tutto soggettivamente- importante questo fatto di rendermi conto che queste credenze non sono logicamente dimostrabili né tantomeno empiricamente constatabili ma solo fideisticamente, infondatamente, irrazionalmente credibili (e di fatto credute).
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 11 Febbraio 2017, 16:50:02 PM
Mi sembra che tutto il discorso di Ceravolo, come anche quelli di tanti altri, tra cui quest'ultimo di Sariputra, non siano altro che tentativi di salvare la metafisica. Ceravolo stesso l'ha detto a chiare lettere:

Citazione di: Vito J. Ceravolo il 30 Gennaio 2017, 19:09:10 PM... così da abbattere ciò che Jim Holt (Perché il mondo esiste?) chiama "l'ultimo baluardo del nichilismo".

Citazione di: Vito J. Ceravolo il 31 Gennaio 2017, 18:17:54 PMLa mia metafisica...

L'andamento del discorso si è un po' complicato solamente perché il metodo di Ceravolo crea un po' di torbido tra linguaggio formale, che di per sé non ha a che vedere con la metafisica, visto che, a somiglianza della matematica, si occupa soltanto di funzionalità formali, e linguaggio riferito al reale. Questo rischio di torbido è stato denunciato da sgiombo:

Citazione di: sgiombo il 31 Gennaio 2017, 08:57:07 AMbisogna innanzitutto distinguere fra realtà (pensata o meno) e pensiero (circa la realtà o meno)

L'ultima proposta di Sariputra mi somiglia ai vari tentativi che tutt'oggi si fanno di salvare la metafisica ribadendo che comunque non ne possiamo fare a meno, oppure che in forme moderate può essere accettata e si può anche rivelare utile.
Mi sembra che in tutto questo ci sia nient'altro che il timore di prendere congedo dalla metafisica, una volta preso atto che essa non ha modo di reggere alla critica. Uno dei motivi di questo timore è una forma mentis che si è talmente immersa in certi modi di pensare da non riuscire a prendere le distanze da essi. Io stesso ho detto poco sopra che, se diciamo che il non essere è, ci autopriviamo della possibilità di pensare. Adesso ho l'occasione di precisare che ci autopriviamo di un certo modo di pensare, non di ogni possibilità del pensare. Qualcuno magari mi dirà che io non potrei fare il discorso che sto facendo adesso se non mi servissi del principio di non contraddizione. Rispondo sì, è vero, ma ciò non toglie che qualsiasi linguaggio possa criticare se stesso e prendere atto delle proprie contraddizioni. Anche la matematica è in grado di criticare se stessa, nel momento in cui va a rifugiarsi in concetti fabbricati ad hoc, come i numeri immaginari o quelli irrazionali. Solo che la matematica è leale, nel momento in cui li dichiara apertamente immaginari o irrazionali, mentre uno stregone che intenda spiegare il mondo parlando di fantasmi e forze oscure non mostra questa lealtà.
Ma il motivo essenziale del timore di prendere le distanze dalla metafisica mi sembra la percezione di non trovare alternative con cui rimpiazzarla; da qui il timore di anarchia, violenza, irresponsabilità e via dicendo. Di fronte a questo timore mi viene da fare una battuta, per un sorriso: non è che per caso tanti siano come dei nonnetti, che amano nient'altro che il calduccio delle loro coperte, impauriti di fronte a qualsiasi prospettiva di pensare diversamente dal solito? La citazione che segue non è riferita al suo autore, ma la riprendo solo perché la trovo significativa per il mio discorso:

Citazione di: Jean il 15 Gennaio 2017, 00:08:48 AMSi sta bene davanti ad una stufa accesa
D'inverno, col gelo di questi giorni
Non c'è cosa migliore

Personalmente mi sembra importante prendere atto che non esistono affermazioni in grado di resistere ad una critica qualsiasi: tutto può essere smontato, demolito. Insomma, la situazione che consegue all'affermare che "il non essere è" non è una situazione da evitare, ma una in cui ormai ci troviamo, fino al collo. L'alternativa è chiudersi in una mentalità, autoprivandosi di ogni dialogo fruttuoso con chi la pensa diversamente, oppure sprecare tempo nel tentativo di resuscitare il cadavere della metafisica, oppure ancora armarsi di pazienza, di coraggio e ricercare.
Un fatto curioso è che gran parte di questo ricercare è stato già fatto da altri, mentre qui ancora si passa il tempo a ripercorrere mentalità tradizionali, nel tentativo di resuscitarle. In questo senso trovo sintomatiche le risposte per me abbastanza scoraggianti che mi furono date quando chiesi come fate a tenervi aggiornati.
Ovviamente io non sono un'arca di scienza, specialmente in fatto di aggiornamento, ma almeno tengo presente la necessità di farlo, di ricercare e di non sprecare tempo nel ripercorrere vie ormai mille volte battute, le cui inconsistenze sono state già mille volte smascherate da chi vi è passato prima di noi.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 11 Febbraio 2017, 18:34:30 PM
@ Angelo Cannata
Scusa, ma  ricercare cosa se affermi che nessuna ricerca può resistere al vaglio della critica? Neghi qualsiasi valore alla metafisica, sostituendola con una non meglio precisata "ricerca". Francamente lo trovo estremamente contradditorio. Se affermi che tutto è relativo, qualsiasi approdo delle tue "ricerche" non potrà essere che relativo e quindi...cosa te ne fai?  Piccole soddisfazioni della vita ( fingendo a te stesso che abbiano qualche importanza) ? Meglio alzare il calice e circondarsi di leggiadre fanciulle, se è una questione di piccoli godimenti relativi!! ;D Non ha alcun senso perdere tempo con la ricerca di qualcosa di relativo.  Una ricerca senza obiettivi non è una ricerca; c'è un altro termine per definirla...ma io sono un "nonnetto" molto educato.. ;)
Tra l'altro avevo impostato il mio intervento sulla ricerca di assoluti che io stesso avevo definito come "relativi alla condizione umana". Non vedo quindi cosa c'entri la critica di "tentar di salvare la metafisica", da cui , come ben sai, mi tengo alla larga come visione dogmatica del reale ( ma nello stesso tempo mi tengo alla larga anche da un relativismo che non può che sfociare, se si è onesti con se stessi, in un assoluto nichilismo). Mi piacerebbe che , alla fine, definissi in concreto quel che intendi come "un altro modo di pensare" di cui scrivi spesso. Se sei un marziano o un venusiano, con una struttura cerebrale diversa dalla mia, non credo che potremo mai intenderci, non più di quel che intende il mio asino quando raglia... ::)  
C'è molta arroganza nella parte finale del tuo scritto, caro Angelo, un chiaro sentimento di superiorità che capisco come ti rendesse oltremodo difficile la permanenza all'interno di un'istituzione che richiede umiltà...non ha alcuna importanza , per me, che il ricercare sia già stato fatto da altri. Anche il buon vino è stato prodotto dalla notte dei tempi, ciò non toglie che ogni assaggio è sempre nuovo, se è la mia esperienza, qui e ora.

P.S: Cosa avrebbero dimostrato le ricerche fatte da altri? Che tutto è relativo? Beh...lo sono anche le dimostrazioni in questo caso. ;D ;D Che fai, mi prendi come assoluto la struttura mentale che stabilisce che ogni cosa si è dimostrata relativa?...
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 11 Febbraio 2017, 18:46:20 PM
Citazione di: sgiombo il 11 Febbraio 2017, 16:48:48 PM
Citazione di: Sariputra il 11 Febbraio 2017, 15:30:45 PMChe bisogno ho di "dimostrare" quando ho assoluta certezza di un'esperienza? Posso dimostrare che sono vivo? Sono però certo che sono vivo e questo indipendentemente se sono vivo nella realtà, in un sogno o in un ologramma. Il dubbio riguarda le cause del perché sono vivo, non l'esperienza di esserlo. La conoscenza del reale è, a mio parere, vera ma limitata. Non posso dimostrare che una mela più un'altra fa sempre logicamente due , ma so per esperienza che, se anche passo la vita a mettere una mela accanto all'altra , mai ne vedrò tre. Similmente se anche un altro uomo passa la vita a mettere queste due mele una accanto all'altra ne vedrà sempre due e non tre. Questo fatto esperienziale crea un assoluto relativo alla condizione umana. La mia mente dispone di una certa struttura logica e semantica che mi permette di formulare un linguaggio con una certa metodologia. Questa struttura è un assoluto relativo alla condizione umana che mi permette di formulare teorie logiche e semantiche che però non possono essere assolute. Ciò che è assoluto è relativo alla sottostante struttura che rende possibile qualunque teoria su di essa. Chi presenta una nuova teoria logica o semantica si serve della logica e della semantica per poterlo fare. Egli presuppone ciò di cui desidera presentare una teoria. E' la struttura della mente che mette in grado qualunque teoria, anche una della struttura della mente, di fare ciò che tenta di fare. Anche chi parla in nome del relativismo presuppone la validità della logica in questione. La coscienza umana ha una sorta di "centratezza", o autoconsapevolezza che sembra una sorta di quid che ci impedisce di perderci nel torrente infinito delle esperienze relative. Questa centratezza serve a dare quel senso di continuità alla nostra esperienza di vita che sperimentiamo e che ci fa dire "Io sono" ( che questo 'io sono' sia permanente o impermanente e un altro discorso che investe altri fattori esperienziali). Abbiamo molti assoluti relativi alla condizione umana. Ciò che non abbiamo è una conoscenza assoluta che è una impossibilità. Ma la mancanza di una conoscenza assoluta implicva che la conoscenza (relativa alla condizione umana) è falsa? Possiamo definirla limitata, ma non falsa, a mio avviso. La mente dispone pure della capacità di annullare la distinzione soggetto-oggetto tipica del pensiero, e questo avviene a livello delle sensazioni dove si manifesta un'unità materiale in ogni impressione sensoriale. Se vedo, per es. il colore giallo non lo posso negare nemmeno se si tratta di un sogno o di una allucinazione. La sua causa è aperta al dubbio, ma l'esperienza in sé è certa e immediata. Ciò che vedo non è più il mio oggetto: esso è in me e io sono in esso. E' qualcosa di assoluto relativo all'atto conoscitivo. In ogni atto conoscitivo è presente un'interdipendenza di soggetto e oggetto. In ogni domanda che ci poniamo è già presente qualcosa dell'oggetto su cui ci interroghiamo, altrimenti non potremmo nemmeno porre la domanda. Avere e non avere è la natura stessa degli interrogativi e chi interroga conferma questa struttura interdipendente della coscienza come un assoluto relativo agli uomini in quanto uomini.
CitazionePerò, Sari assoluta certezza c'é solo del fluire delle ("proprie") sensazioni (esteriori e interiori) che immediatamente accadono (se e quando accadono), immediatamente esperite: la realtà potrebbe anche esaurirsi in esse, non eccederle, senza che nulla possa dimostrare il contrario di ciò (né dimostrare ciò). Un soggetto (oltre che oggetti) delle sensazioni, in aggiunta ad esse, potrebbe benissimo non esserci (come pure esserci). Come tutte le altre persone comunemente ritenute sane di mente, personalmente credo di esistere come soggetto e che esistano anche oggetti delle (mie) sensazioni (e che nel caso di quelle esterne materiali siano gli stessi delle sensazioni di altri soggetti, costituenti altre esperienze fenomeniche coscienti i cui "contenuti" esterni materiali sono reciprocamente corrispondenti -"poliunivocamente"- fra tutte le esperienze fenomeniche coscienti stesse, compresa ovviamente la mia). Però (forse da "occidentale razionalista che cerca sempre il pelo nell' uovo"?) per me é -del tutto soggettivamente- importante questo fatto di rendermi conto che queste credenze non sono logicamente dimostrabili né tantomeno empiricamente constatabili ma solo fideisticamente, infondatamente, irrazionalmente credibili (e di fatto credute).

Infatti, Sgiombo, io parlavo proprio della certezza della sensazione ( di esistere) e non certo della certezza a riguardo delle cause e dei perché per cui provo questa sensazione di esistere. E' vero che la realtà potrebbe esaurirsi solo in questo, ma anch'io, pur non essendo totalmente sicuro di essere sano di mente,  trovo più plausibile che vi sia distinzione tra il soggetto e l'oggetto, anche se mi sembra vi sia assoluta interdipendenza tra i due. Anche perché troverei alquanto strano che , la maggior parte delle sensazioni che provo, siano l'esatto contrario di quelle che speravo, o sognavo, o immaginavo, se fossi io stesso a crearmele... :'(
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 11 Febbraio 2017, 19:15:37 PM
Riconosco di essermi preso un po' di gusto del divertimento; se viene percepito come superiorità arrogante ne chiedo scusa.

Per quanto riguarda la ricerca del relativo, mi sembra che il tuo intervento sia molto utile, perché già esso stesso delinea implicitamente come dovrebbe essere quest'ipotesi di ricerca.

Come hai scritto, nessuna ricerca può resistere al vaglio della critica. Una volta preso atto di ciò, per me ne deriva semplicemente un ricercare che sa, appunto, di non resistere al vaglio della critica. Più semplice di così? Il problema mi sembra nascere quando si vuole negare questa irresistibilità del vaglio della critica e far finta che sia possibile pervenire a punti fermi, resistenti. Questo per me è spreco di tempo: il primo ragazzino che si alzerà la mattina smaschererà la pretesa fermezza di ciò che si pensava di aver ottenuto e ci si ritrova punto e a capo su strade già percorse.
Imbarcarsi in ricerche che sanno di non resistere alla critica significa portarle avanti con l'intenzione di lavorarci quanto si vuole e non con l'intenzione di trovare punti definitivi. Dunque, io faccio una ricerca; pervengo ad un risultato provvisorio; domattina si alza un ragazzino e me la demolisce; io lo ringrazio e provo ad apportarvi modifiche, aggiustamenti, sapendo già che il tutto sarà di nuovo demolito. Anzi, farò a gara col ragazzino per vedere se troverò prima di lui i difetti dei miei nuovi risultati. Che problemi ci sono in questo modo di procedere? Mi sembra tutt'altro che scegliere la strada rinunciataria di un Berlusconi che preferisce circondarsi di leggiadre fanciulle.
Dici che una ricerca senza obiettivi non è una ricerca. Sono d'accordo, ma gli obiettivi devono essere intesi come provvisori, predisposti ad affrontare le demolizioni a cui inevitabilmente andranno incontro.
Questo è ciò che considero "un altro modo di pensare": un modo di pensare che procede per costruzioni e ricostruzioni infinite, piuttosto che un inseguire la prospettiva di punti fermi resistenti che, a quanto mi sembra, nessuno ha mai visto in questo mondo.
A me sembra più marziano parlare di "assoluti relativi".
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 11 Febbraio 2017, 19:46:32 PM
@ Angelo Cannata

Mi corre l' obbligo di segnalarti che, citandomi (positivamente; e ti ringrazio comunque) come "chiarificatore del torbido metafisico linguistico-semantico" nel corso della tua condanna senza appello della metafisica, che trovo alquanto "veteropositivista" (sì, proprio un po' da "nonnetto, che ama nient'altro che il calduccio delle sue coperte") non mi hai fatto "un buon servizio" essendo io un fiero sostenitore del "non-superamento della metafisica", come illustrato nell' intervento # 119 nella discussione "Cos' è un ente? Perché è diverso da un niente?" (in risposta a Phil), che "copioincollo" (e d' altra parte mi sembra del tutto evidente che la metafisica, in barba ai tantissimi ripetuti, più o meno accorati oppure baldanzosi necrologi che ne sono stati fatti negli ultimi 150 anni, è di fatto più viva e vegeta che mai):
Citazione 
Secondo me per la "metafisica" può essere intesa sostanzialmente in due modi.

In senso letterale come "ciò che sta oltre la fisica", cioè oltre "il mondo materiale naturale" (e ciò che se ne può dire o pensare).In questo senso chi é monista materialista (una corrente di pensiero che mi pare oggi -ma é sempre difficile dare valutazioni in proposito e potrei benissimo sbagliarmi- prevalente fra gli "intellettuali", in particolare filosofi e scienziati; mentre fra i "non addetti ai lavori teorici" mi sembra prevalgano credenze religiose e anche superstiziose per lo meno dualiste, se non addirittura spiritualiste) nega che possa esistere qualcosa che stia oltre la materia (che non sia materia o in qualche modo non sia riducibile alla, o non emerga dalla materia), e dunque che si possa sensatamente coltivare una qualsiasi metafisica (se non, al massimo, come oggetto di erudizione, o anche di autentica cultura viva, ma comunque in quanto mero modo di pensare non più attuale e insensato se considerato "in sé e per sé" e non unicamente per le considerazioni, magari anche interessanti e attuali, che se ne possono fare, per le conseguenze che ha avuto e magari ancora ha sulla cultura e sulla storia umana; un po' alla maniera del latino o di altre lingue, sia pure importanti ma morte, come ha osservato Phil).
Personalmente, come in tante altre questioni, anche su questa vado, con una certa soddisfazione che non celo, decisamente controcorrente: infatti sono dualista, per lo meno relativamente ai fenomeni (la realtà che ci si dà o "cui abbiamo accesso" nell' esperienza sensibile), ritenendo che il pensiero (e più in generale la coscienza) non sia in alcun modo identificabile con la, non sia in alcun senso riducibile alla, non emerga in alcun senso dalla materia (cerebrale); la quale anziché "contenere coscienza e pensiero", come creduto da molti, é contenuta, unitamente e del tutto parimenti al pensiero, nella coscienza: "esse est percipi" (Berkeley).
Ritengo inoltre che, anche se ciò é indimostrabile e men che meno mostrabile (per definizione), esista una realtà in sé o noumeno, che essendo "oltre" i fenomeni a noi accessibili, e dunque alla coscienza in toto, cioè sia al pensiero che alla materia, ha natura letteralmente "metafisica" (oltre che "metapsichica"); e questo perché é l' unico modo che ho trovato convincente per cercare di comprendere e per ammettere sensatamente l' intersoggettività dei fenomeni materiali, e dunque anche la verità della conoscenza scientifica che ha in tale intersoggettività una (indimostrabile) conditio sine qua non.

Oppure la "metafisica" può essere intesa come sinonimo di "ontologia", cioé come la considerazione teorica, il discorso (più o meno) razionale circa la realtà (ciò che é/accade realmente) intesa nel senso più generale e astratto possibile, cioè non limitatamente ai suoi molteplici caratteri solo relativamente universali e costanti, solo limitatamente generali e astratti, quali quelli che studiano e conoscono le scienze (in quanto forme di conoscenza -in senso stretto limitate alla sola realtà materiale o "naturale"- comunque più generali delle semplici conoscenze "aneddottiche" o "episodiche", cioè riguardanti determinati enti ed eventi considerati nella loro mera singolarità).
In questo secondo senso la metafisica si occupa di questioni che un po' tutte le correnti filosofiche attuali (magari, nel caso di qualcuna di esse, dopo qualche decennio di disinteresse più o meno completo) ritengono attuali, come quella se la realtà (in generale; e in articolare la realtà da noi uomini conoscibile) sia o meno indipendente dal pensiero e dalla conoscenza (di essa), se sia monistica (materialistica, spiritualistica o "altro") o dualistica, o ancor più pluralistica, se sia necessaria o contingente o in parte necessaria in parte contingente, se sia deterministica o indeterministica (e dunque se esista o meno il libero arbitrio) o in parte deterministica in parte contingente, se implichi oggettivi valori morali e/o criteri estetici o se questi siano solo preferenze arbitrarie e soggettive, più o meno "ingiustificate, indimostrabili a preferirsi ad eventuali altre," ecc.
 
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 11 Febbraio 2017, 19:54:07 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 11 Febbraio 2017, 19:15:37 PM
Riconosco di essermi preso un po' di gusto del divertimento; se viene percepito come superiorità arrogante ne chiedo scusa.

Per quanto riguarda la ricerca del relativo, mi sembra che il tuo intervento sia molto utile, perché già esso stesso delinea implicitamente come dovrebbe essere quest'ipotesi di ricerca.

Come hai scritto, nessuna ricerca può resistere al vaglio della critica. Una volta preso atto di ciò, per me ne deriva semplicemente un ricercare che sa, appunto, di non resistere al vaglio della critica. Più semplice di così? Il problema mi sembra nascere quando si vuole negare questa irresistibilità del vaglio della critica e far finta che sia possibile pervenire a punti fermi, resistenti. Questo per me è spreco di tempo: il primo ragazzino che si alzerà la mattina smaschererà la pretesa fermezza di ciò che si pensava di aver ottenuto e ci si ritrova punto e a capo su strade già percorse.
Imbarcarsi in ricerche che sanno di non resistere alla critica significa portarle avanti con l'intenzione di lavorarci quanto si vuole e non con l'intenzione di trovare punti definitivi. Dunque, io faccio una ricerca; pervengo ad un risultato provvisorio; domattina si alza un ragazzino e me la demolisce; io lo ringrazio e provo ad apportarvi modifiche, aggiustamenti, sapendo già che il tutto sarà di nuovo demolito. Anzi, farò a gara col ragazzino per vedere se troverò prima di lui i difetti dei miei nuovi risultati. Che problemi ci sono in questo modo di procedere? Mi sembra tutt'altro che scegliere la strada rinunciataria di un Berlusconi che preferisce circondarsi di leggiadre fanciulle.
Dici che una ricerca senza obiettivi non è una ricerca. Sono d'accordo, ma gli obiettivi devono essere intesi come provvisori, predisposti ad affrontare le demolizioni a cui inevitabilmente andranno incontro.
Questo è ciò che considero "un altro modo di pensare": un modo di pensare che procede per costruzioni e ricostruzioni infinite, piuttosto che un inseguire la prospettiva di punti fermi resistenti che, a quanto mi sembra, nessuno ha mai visto in questo mondo.
A me sembra più marziano parlare di "assoluti relativi".
CitazioneMa perché mai la metafisica dovrebbe essere per forza dogmatica?

Esistono metafisiche più o meno irrazionalistiche e dogmatiche e metafisiche più o meno razionalisticamente critiche!
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 11 Febbraio 2017, 20:02:12 PM
@ Sariputra:

(Soddisfatto del chiarimento) Non posso non manifestare ancora una volta il mio apprezzamento per la tua sagacia, bonomia e (auto- ed etero-) -ironia.
Mi da un particolare piacere apprezzare chi ha convinzioni probabilmente (e comunque un' esperienza di vita e una cultura certamente) molto diverse dalle mie; non mi capita spesso (spero non per un atteggiamento di odiosa superbia intellettuale; se esiste l' "onestà intellettuale" esisterà probabilmente anche la "superbia intellettuale", quella dei "saputi").
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 11 Febbraio 2017, 20:40:52 PM
Col termine metafisica intendo il ritenere che esistano realtà oggettive indipendenti dal nostro cervello: dire, per esempio, che in un certo punto del nostro pianeta esiste un continente chiamato Australia, il quale esiste che io ci pensi o no, che io ci creda o no, è ciò che io intendo con metafisica.

Intesa in questo modo, la metafisica non può non essere dogmatica, esattamente come le leggi civili: che tu sia d'accordo o no, non si deve rubare; se tu rubi, che tu sia d'accordo o no, ti arrestiamo. Così la metafisica: che tu ci creda o no, molti oggetti esistono indipendentemente da te.

A questo punto, solitamente, ma ritengo non del tutto casualmente, sorge un ricorso dimostrativo che ipotizza l'uso della violenza: "Se ti tiro una sedia in testa, voglio vedere se ancora dirai che forse la sedia non esiste".

Ora, tutti sappiamo che le nostre percezioni, le nostre idee, i nostri ragionamenti sono fallaci. Se tu mi tiri una sedia in testa, né il mio dolore, né la mia eventuale morte saranno stati dimostrazione inconfutabile dell'esistenza di quella sedia. Il tutto può essere sempre e comunque oggetto di dubbio. In questo senso sfido chiunque ad escogitare affermazioni che riescano a resistere al dubbio. D'altra parte, questo lavoro fu già compiuto da Cartesio, quando pensò di aver trovato l'affermazione incontestabile "Penso, dunque sono". In realtà, tale affermazione è risultata più che contestabile, sotto diversi punti di vista. Finora nessuno al mondo ha mai saputo trovare affermazioni incontestabili. Perfino il principio di non contraddizione può essere sospettato di essere ingannevole.

Di fronte a ciò, trovo che la metafisica possa essere ritenuta "più viva e vegeta che mai" solo da chi non si confronta con questi problemi. In questo senso non sarebbe difficile sostenere che anche la religione dei faraoni sia viva e vegeta: basta crederci, non confrontarsi con le obiezioni e qualsiasi cosa può diventare viva e vegeta.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 11 Febbraio 2017, 21:32:05 PM
Caro Angelo, è proprio quel "a quanto mi sembra, nessuno ha mai visto in questo mondo." che non trovo convincente, perché nessuno di noi può uscire dalla propria esperienza e stabilire la validità dell'esperienza altrui.  Tu non hai nessuna possibilità di stabilire la verità o meno dell'esperienza altrui, come io non ho nessuna possibilità di stabilire la validità della tua. Posso proprio solo dire, come scrivi anche tu, "mi sembra". Ma "mi sembra" è un pò poco...una mera sensazione ( o riflessione) personale. A meno che non la valutiamo con il metro della logica umana, che però tu stesso hai definito relativa...
Non credo che il Berlusca si ponesse molti problemi filosofici  mentre giocava con le sue starlette, almeno questa saggezza dobbiamo riconoscergliela ( forse l'unica... ;D) e in effetti  certe cose non funzionano a dovere se ci mettiamo a ragionarci troppo sopra, a volte bisogna lasciare che le cose siano semplicemente quello che sono...
Non trovi che , questo continuo costruire per poi demolire e ricostruire ancora, ad libitum, oltre che sembrare assurdo sia insensato? Un conto è costruire e accorgersi poi che quel che si è costruito è malfatto, un altro è costruire in vista del demolire...L'idea della necessità della demolizione non va ad inficiare la profondità e autenticità  della ricerca stessa?  Ti fideresti di un muratore che, mentre sta edificando la tua casa, ti avvisa candidamente che poi la demolirà?...La necessità stessa del continuo e incessante costruire e demolire non rivela quello che definivo come l'assoluto relativo alla tua struttura mentale logica e semantica? Se non ci fosse questa struttura logica e semantica come potresti valutare o meno la necessità di relativizzare ogni costruzione mentale? I punti fermi, che sembra tu disprezzi totalmente, non sono dogmi, ma pioli per proseguire la scalata.  Un abile scalatore non può esercitare la sua abilità se i suoi scarponi non poggiano su chiodi saldamente infissi nella roccia. Una volta superata la pendenza, i chiodi possono restare al loro posto e altri ne serviranno per proseguire , ma spesso se ne trovano di altri scalatori che sono passati per quella via  e quelli che hai lasciato serviranno a qualcun'altro. La scalata però presuppone un obiettivo da raggiungere, ossia la vetta. per godere del panorama che si può vivere SOLO da lassù. Sicuramente tu mi dirai che la ricerca non deve presuppore una meta, ma semplicemente un andar su per qualche metro e poi scendere per poi salire e scendere da un'altro monte, ad libitum consapevoli che "ci sembra" non ci sia alcuna vetta da raggiungere , perché tanti hanno detto che c'è ma a noi e a tanti altri "non sembra" che sia così...Non è forse che sei tu che non ti fidi dei chiodi che hai infisso ?...
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 11 Febbraio 2017, 21:49:39 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 11 Febbraio 2017, 20:40:52 PM
Col termine metafisica intendo il ritenere che esistano realtà oggettive indipendenti dal nostro cervello: dire, per esempio, che in un certo punto del nostro pianeta esiste un continente chiamato Australia, il quale esiste che io ci pensi o no, che io ci creda o no, è ciò che io intendo con metafisica.

Intesa in questo modo, la metafisica non può non essere dogmatica, esattamente come le leggi civili: che tu sia d'accordo o no, non si deve rubare; se tu rubi, che tu sia d'accordo o no, ti arrestiamo. Così la metafisica: che tu ci creda o no, molti oggetti esistono indipendentemente da te.

A questo punto, solitamente, ma ritengo non del tutto casualmente, sorge un ricorso dimostrativo che ipotizza l'uso della violenza: "Se ti tiro una sedia in testa, voglio vedere se ancora dirai che forse la sedia non esiste".

Ora, tutti sappiamo che le nostre percezioni, le nostre idee, i nostri ragionamenti sono fallaci. Se tu mi tiri una sedia in testa, né il mio dolore, né la mia eventuale morte saranno stati dimostrazione inconfutabile dell'esistenza di quella sedia. Il tutto può essere sempre e comunque oggetto di dubbio. In questo senso sfido chiunque ad escogitare affermazioni che riescano a resistere al dubbio. D'altra parte, questo lavoro fu già compiuto da Cartesio, quando pensò di aver trovato l'affermazione incontestabile "Penso, dunque sono". In realtà, tale affermazione è risultata più che contestabile, sotto diversi punti di vista. Finora nessuno al mondo ha mai saputo trovare affermazioni incontestabili. Perfino il principio di non contraddizione può essere sospettato di essere ingannevole.

Di fronte a ciò, trovo che la metafisica possa essere ritenuta "più viva e vegeta che mai" solo da chi non si confronta con questi problemi. In questo senso non sarebbe difficile sostenere che anche la religione dei faraoni sia viva e vegeta: basta crederci, non confrontarsi con le obiezioni e qualsiasi cosa può diventare viva e vegeta.

CitazioneMa allora tu, negando (nei tuoi interventi immediatamente precedenti in questa stessa discussione) la metafisica e intendendo, come fai ora,  per "metafisica" la realtà di molti oggetti che esistono indipendentemente da te (ma il continente Australiano è tutt' altro che metafisico: è fisico, "fatto di materia"!) sei solipsista (niente di male; semplicemente me ne stupisco perché da tuoi precedenti interventi non mi sarebbe sembrato).
CitazioneSecondo me le nostre percezioni, le nostre idee, i nostri ragionamenti possono essere fallaci, ma non lo sono necessariamente; e la stessa affermazione che lo siano, essendo conseguenza di un nostro ragionamento o in alternativa essendo comunque un nostro ragionamento a priori, dovrebbe essere intesa come fallace, cadendosi così in un ben noto paradosso (che invece gli scettici scansano brillantemente sospendendo il giudizio, cioè ritenendo qualsiasi affermazione -compresa questa stessa presentemente in atto, se la é- dubbia, passibile di fallacia).

Non raccolgo la sfida a escogitare affermazioni circa la realtà (autentiche: sintetiche a posteriori, essendo quelle analitiche a priori mere esplicitazioni di tesi già implicitamente incluse nei postulati e definizioni "di partenza" del tutto indipendentemente da come che sia o meno la realtà) che riescano a resistere al dubbio, in quanto anch' io ritengo lo scetticismo non superabile razionalmente (mediante dimostrazioni logiche o constatazioni empiriche; ma solo irrazionalmente, fideisticamente).

Concordo su Cartesio ma non sul principio di non contraddizione che è una verità analitica a priori, quindi indubitabile, ma che non costituisce conoscenza della realtà, che non dice nulla della realtà.

Che la metafisica sia più viva e vegeta che mai è semplicemente una constatazione: basta "guardarsi intorno" fra chi fa della filosofia (fra l' altro mi sembra evidente che ragionando -come me e tanti altri- della realtà o meno di oggetti che esistono indipendentemente da te, tu stesso stia facendo della metafisica).
E ribadisco quanto affermato nell' intervento precedente: secondo me la metafisica si può intendere in due modi, entrambi i quali si confrontano -eccome!- con questi problemi e sono ben vivi e vegeti nelle riflessioni di fior di filosofi di un po' tutti gli orientamenti (tu riterrai pure i frequentatori del forum "poco aggiornati" -su che? La scienza? Senza falsa modestia, non credo proprio sia il caso mio e di tanti altri! Sulla "spiritualità? E' certamente il mio caso- ma allora lascia che ti dica che trovo te decisamente digiuno di filosofia, anche attuale e contemporanea).

Non vedo però come ti sia possibile sostenere che quanto andiamo dicendo io personalmente e anche tanti altri nel forum (in diversi modi) non sia un confrontarsi con questi problemi ma sia attuale come lo sarebbe anche la religione dei faraoni ("basta crederci, non confrontarsi con le obiezioni e qualsiasi cosa può diventare viva e vegeta, anche la religione dei faraoni"): a me pare proprio l' esatto contrario!

Ma sei sicuro di aver letto quello che scriviamo???.

(A questo punto sono curioso di leggere una replica di Maral; non tanto a me, avendomene già proposte ripetutamente, quanto ad Angelo Cannata, che mi sembra ancor più di me lontanissimo dalle -contrario alle- sue convinzioni).

Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 11 Febbraio 2017, 22:01:14 PM
@Sariputra
Sì, vedo le cose esattamente come dici: il fatto che "mi sembra" che nessuno abbia mai raggiunto certezze non è per me una verità inconfutabile, ma una questione di economia di tempo ed energie: se, da quando il mondo esiste e dopo qualche migliaio di anni di filosofia, nessuno ha trovato certezze, anzi, tutto concorre a far presagire (senza alcuna certezza) che tali certezze non ci possono essere a causa dei limiti del nostro pensare, a che serve insistere nella ricerca di certezze? Mi suona come se si insistesse nel cercare l'inconfutabilità dell'esistenza dei fantasmi: nulla vieta che ci si dedichi a farlo, ma tutto mi fa pensare che c'è qualcosa di strano in quest'insistenza, tanto più che la metafisica si fa sospettare come ricerca di potere, ricerca di verità da poter imporre agli altri, ricerca di motivi con cui mandare al manicomio chi la pensa in maniere che non ci garbano.
Per me un muratore che mi dica che prima o poi la mia casa dovrà essere demolita non mi sta dicendo altro che quello che già la storia dice all'intera umanità da quando tutto esiste. Il problema essenziale della metafisica si può infatti esprimere proprio in questi termini: essa è tentativo di rifiutare la storicità nostra e delle nostre idee. Ciò che è storico è temporaneo, mortale.
Il continuo costruire e demolire è assurdo e insensato, su questo non ho dubbi, ma finora nessuno ha saputo propormi procedure che appaiano meno assurde e più sensate.
Come potrei fidarmi dei chiodi che ho infisso?
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 11 Febbraio 2017, 22:08:28 PM
Citazione di: sgiombo il 11 Febbraio 2017, 21:49:39 PMConcordo su Cartesio ma non sul principio di non contraddizione che è una verità analitica a priori, quindi indubitabile
Indubitabile? Pensi di essere padrone del futuro, poter stabilire ciò che in futuro potrà succedere e ciò che non potrà mai succedere? Ciò che si potrà scoprire e ciò che non si potrà mai scoprire? Pensi di poter stabilire che è impossibile che in futuro possano esserci persone con un'intelligenza organizzata diversamente dalla nostra, come da sempre continua a verificarsi nella storia? Pensi che ciò che noi non riusciamo ad immaginare non potrà mai succedere?
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 11 Febbraio 2017, 23:13:40 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 11 Febbraio 2017, 22:01:14 PM@Sariputra Sì, vedo le cose esattamente come dici: il fatto che "mi sembra" che nessuno abbia mai raggiunto certezze non è per me una verità inconfutabile, ma una questione di economia di tempo ed energie: se, da quando il mondo esiste e dopo qualche migliaio di anni di filosofia, nessuno ha trovato certezze, anzi, tutto concorre a far presagire (senza alcuna certezza) che tali certezze non ci possono essere a causa dei limiti del nostro pensare, a che serve insistere nella ricerca di certezze? Mi suona come se si insistesse nel cercare l'inconfutabilità dell'esistenza dei fantasmi: nulla vieta che ci si dedichi a farlo, ma tutto mi fa pensare che c'è qualcosa di strano in quest'insistenza, tanto più che la metafisica si fa sospettare come ricerca di potere, ricerca di verità da poter imporre agli altri, ricerca di motivi con cui mandare al manicomio chi la pensa in maniere che non ci garbano. Per me un muratore che mi dica che prima o poi la mia casa dovrà essere demolita non mi sta dicendo altro che quello che già la storia dice all'intera umanità da quando tutto esiste. Il problema essenziale della metafisica si può infatti esprimere proprio in questi termini: essa è tentativo di rifiutare la storicità nostra e delle nostre idee. Ciò che è storico è temporaneo, mortale. Il continuo costruire e demolire è assurdo e insensato, su questo non ho dubbi, ma finora nessuno ha saputo propormi procedure che appaiano meno assurde e più sensate. Come potrei fidarmi dei chiodi che ho infisso?

Come fai ad essere sicuro che "nessuno ha trovato certezze"? Su quale base proclami questa roboante affermazione: "Nessuno ha mai trovato certezze"? Forse che Angelo Cannata conosce tutto ciò che è stato pensato, che  pensa e che  penserà e che è stato provato, che prova e che proverà ogni singolo essere pensante che è vissuto, vive o vivrà? E' solo una tua riflessione e sensazione personale che "nessuno ha mai trovato certezze" perché io ti potrei obiettare che ho trovato certezze, non comunicabili tramite la struttura logica e semantica del nostro costituente mentale ad Angelo Cannata, ma certe per la mia esperienza. Tu non avresti nessuna possibilità di sapere  se quello che dichiaro sia vero o falso , se non valutandolo in riferimento a ciò che tu personalmente ritieni vero o falso.  L'assoluto relativismo implica anche il dover relativizzare qualsiasi affermazione e pertanto è assolutamente relativo  che "nessuno ha mai trovato certezze". Alla fine relativizzando tutto rendi inconsistente qualunque proposizione e affermazione che tu stesso proponi e ti condanni alla inutilità verso te stesso. A questo punto non rimane che servire il desiderio...Tu vedi nella metafisica una minaccia di violenza e potere sulla libertà, mentre a me sembra che sia chi si serve della metafisica per i suoi fini nichilistici ad aver esercitato questo potere. Non si può ritenere una medicina , nata per curare, un veleno solo perché qualcuno se ne serve per avvelenare il nemico. Pur non essendo un metafisico, e tenendomi lontano dai suoi estremi, riconosco però la superiore valenza etica di questa posizione rispetto al suo opposto che, relativizzando l'etica stessa, non può che consegnare l'esistenza alla soddisfazione inesausta dell'ego. La frase "economia di tempo e di energie" mi è incomprensibile, sono sincero, non penso proprio sia un problema di "tempo" ma di qualità. La mia è bassa, purtroppo, sul lato filosofico...ma sono fiducioso su altri versanti  ;D ;D

P.S. utilizzo un paragone già usato da Acquario69 in un altro topic e che penso sia tratto da una intervista di questi giorni a Nico Rosberg, ossia quello del criceto. Una posizione simile a quella del relativista che, come un criceto, corre continuamente all'insù, sapendo che in questo modo non può far altro che far girare in continuazione la ruota rimanendo sempre nella stessa posizione, pur avendo la sensazione di correre... almeno il criceto ne è inconsapevole. Non conviene al relativista assoluto , a questo punto, saltar giù dalla ruota? Sbarazzarsi dell'inutile riflessione filosofica e guardarsi intorno in cerca di qualcos'altro? Perché continuare a correre? Non dirmi che è solo per divertimento...
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 12 Febbraio 2017, 00:41:44 AM
Io non ho certezze, sono gli altri che mi dicono di averle; poi succede sempre che queste certezze non reggono di fronte ad una critica qualsiasi.

Riguardo al criceto che gira nella sua ruota, questo è un sospetto che si può applicare a tutti; chiunque di noi potrebbe essere il criceto, ciascuno entro il suo modo di pensare. È per questo che io cerco di non fidarmi di alcun modo di pensare e di sperimentare modi di pensare sempre diversi. Al contrario, mi viene a risultare che i metafisici, ritenendo di aver raggiunto delle certezze, sono contenti di essersi installati in una ruota da cui non uscire più. Vedi ad esempio il caso di sgiombo che ha affermato che per lui il principio di non contraddizione è indiscutibile: non viene a diventare tale principio una ruota da cui egli ritiene che sia impossibile uscire? Può darsi che egli abbia ragione, ma perché rassegnarsi a questo, anzi, andare in cerca di ruote entro cui chiudersi, come fece Cartesio che andò in cerca di certezze indubitabili? Se esistono ruote di cui siamo prigionieri io preferisco fare di tutto per uscirne. E qual è il metodo migliore per uscire dalle eventuali prigioni se non provare a mettere in discussione tutto?
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 12 Febbraio 2017, 01:31:31 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 12 Febbraio 2017, 00:41:44 AMIo non ho certezze, sono gli altri che mi dicono di averle; poi succede sempre che queste certezze non reggono di fronte ad una critica qualsiasi. Riguardo al criceto che gira nella sua ruota, questo è un sospetto che si può applicare a tutti; chiunque di noi potrebbe essere il criceto, ciascuno entro il suo modo di pensare. È per questo che io cerco di non fidarmi di alcun modo di pensare e di sperimentare modi di pensare sempre diversi. Al contrario, mi viene a risultare che i metafisici, ritenendo di aver raggiunto delle certezze, sono contenti di essersi installati in una ruota da cui non uscire più. Vedi ad esempio il caso di sgiombo che ha affermato che per lui il principio di contraddizione è indiscutibile: non viene a diventare tale principio una ruota da cui egli ritiene che sia impossibile uscire? Può darsi che egli abbia ragione, ma perché rassegnarsi a questo, anzi, andare in cerca di ruote entro cui chiudersi, come fece Cartesio che andò in cerca di certezze indubitabili? Se esistono ruote di cui siamo prigionieri io preferisco fare di tutto per uscirne. E qual è il metodo migliore per uscire dalle eventuali prigioni se non provare a mettere in discussione tutto?

Ma non rispondi alla domanda che anche prima ti ho posto, ossia: In concreto, quali sono questi modi di pensare "diversi" che altri non hanno già pensato? Il  relativismo ti sembra per caso un modo nuovo di pensare? Già al tempo di Buddha era seguito da maestri eterodossi molto famosi e si parla di 2.500 anni fa circa. Guarda che è già stato messo tutto in discussione da molto tempo ormai, se non appare è perché la volontà di potere umana si è servita del pensiero filosofico per i suoi fini. E , in ogni caso, il pensiero relativista è proprio quello che domina l'umanità in questo particolare momento storico ( almeno nell'Occidente senz'altro). Quando si parla di certezze , mi sembra che tu pretendi una bella formula logica e semantica che tutti , urlando felici,  proclamino: "'Ecco la Verità" senza alcun dubbio rimanente. Ma le famose "certezze" investono l'intera sfera delle possibilità esperienziali umane e della coscienza stessa e non necessariamente possono o devono essere comunicabil attraverso una formula verbale, se no cadiamo in quello che tu mi contesti, ossia nella necessità di un assoluto semantico e logico, che io invece considero necessario e reale, ma relativo alla condizione strutturale umana e non un assoluto metafisico, o principio che dir si voglia. E' la semplice constatazione di qualcosa che c'è, esiste in forma interdipendente e di cui possiamo fare esperienza. La chiusura che tu contesti alla metafisica mi pare la stessa chiusura ravvisabile nel relativismo nichilista. Il relativismo non mi sembra un pensare "altro" rispetto alla metafisica, ma un'opposto di pura impronta semantica. Mi appare come lo stesso pensiero che corre sempre sullo stesso filo... in direzione divergente. Ossia , nulla di nuovo sotto il sole...la gabbia è sempre ben salda. Se vuoi mettere in discussione tutto devi iniziare a mettere in discussione anche il tuo voler sempre mettere in discussione tutto; ma come puoi fidarti della risposta se metti in discussione anche quello che deve mettere tutto in discussione e chi è che lo mette in discussione? Sei condannato ad una regressione all'infinito, simile ad una caduta senza appigli e senza fondo. Questo se resti sul piano del pensiero e non ti servi, invece, del pensiero come uno strumento per creare scale d'ascesa all'esperienza diretta di quello che viene semplicemente definito come "certezza"; invero una semplice definizione che lascia il tempo che trova...
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 12 Febbraio 2017, 04:13:30 AM
Io non cerco il nuovo per il nuovo, il puro orgoglio di pensare in modi inediti, mai sfiorati da altri. Io cerco il crescere, il divenire, camminare, progredire. La metafisica cerca invece l'opposto: punti d'arrivo dove non ci sia più crescita, se non all'interno di essi stessi. Questa è la verità, la certezza, metafisicamente intesa: se è una verità assoluta, significa che riguardo ad essa non potrà mai esserci alcuna evoluzione, se non all'interno di essa; è uno stabilire binari obbligatori da cui non uscire; una gabbia insomma.

Sono d'accordo sul fatto che un rifiutare ad oltranza è sterile; il mio infatti non è un rifiutare, ma un invito a considerare le cose discutibili, soggette ad evoluzione della loro comprensione. Se uno mi dice che in cielo c'è il sole, ciò che cerco non è rifiutare la sua affermazione, ma considerarla uno spunto per progredire, ma progredire senza limiti, in ogni aspetto; invece il metafisico mi dice che c'è un aspetto su cui non si deve progredire, ed è precisamente l'aspetto del suo essere una verità oggettiva.

Per quanto riguarda ciò che tu chiami assoluto relativo alla condizione umana, non capisco che cos'abbia di assoluto: se un'affermazione è relativa alla condizione umana, allora è discutibile in tutti i suoi aspetti; se in contemporanea tu la definisci assoluta, mi sembra di dover dedurre che c'è almeno qualche aspetto su cui non ammetti discussione; ciò per me non è altro che metafisica.

Io non mi fido affatto del mio mettere in discussione tutto: non lo considero la salvezza del mondo; il problema è che finora nessuno mi ha mostrato metodi più aperti.

Voglio aggiungere un paragone per tentare di chiarire meglio la mia posizione. Consideriamo Picasso. Molti considerano i suoi quadri delle storture insensate, nient'altro che scarabocchi senza senso, un'accozzaglia di parti del corpo o del viso che solo lui poteva considerare ritratti. Eppure ci sarà un motivo se Picasso è diventato uno dei più grandi pittori del mondo, proprio con quelle sue accozzaglie di occhi e nasi alla rinfusa. Il motivo per me è questo: egli suggerisce nuove vie di pensiero, nuovi modi di accostarsi al vissuto, alla realtà, nuovi modi di esprimere la nostra interiorità. Questo è ciò che io provo quando vedo le reazioni reazionarie di fronte all'antimetafisica: scandalo di fronte al nuovo da parte di menti che non accettano che certi canoni tradizionali vengano messi in discussione, esattamente come non accetterebbero che certi quadri di Picasso possano essere considerati ritratti.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 12 Febbraio 2017, 09:40:40 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 12 Febbraio 2017, 04:13:30 AMIo non cerco il nuovo per il nuovo, il puro orgoglio di pensare in modi inediti, mai sfiorati da altri. Io cerco il crescere, il divenire, camminare, progredire. La metafisica cerca invece l'opposto: punti d'arrivo dove non ci sia più crescita, se non all'interno di essi stessi. Questa è la verità, la certezza, metafisicamente intesa: se è una verità assoluta, significa che riguardo ad essa non potrà mai esserci alcuna evoluzione, se non all'interno di essa; è uno stabilire binari obbligatori da cui non uscire; una gabbia insomma. Sono d'accordo sul fatto che un rifiutare ad oltranza è sterile; il mio infatti non è un rifiutare, ma un invito a considerare le cose discutibili, soggette ad evoluzione della loro comprensione. Se uno mi dice che in cielo c'è il sole, ciò che cerco non è rifiutare la sua affermazione, ma considerarla uno spunto per progredire, ma progredire senza limiti, in ogni aspetto; invece il metafisico mi dice che c'è un aspetto su cui non si deve progredire, ed è precisamente l'aspetto del suo essere una verità oggettiva. Per quanto riguarda ciò che tu chiami assoluto relativo alla condizione umana, non capisco che cos'abbia di assoluto: se un'affermazione è relativa alla condizione umana, allora è discutibile in tutti i suoi aspetti; se in contemporanea tu la definisci assoluta, mi sembra di dover dedurre che c'è almeno qualche aspetto su cui non ammetti discussione; ciò per me non è altro che metafisica. Io non mi fido affatto del mio mettere in discussione tutto: non lo considero la salvezza del mondo; il problema è che finora nessuno mi ha mostrato metodi più aperti. Voglio aggiungere un paragone per tentare di chiarire meglio la mia posizione. Consideriamo Picasso. Molti considerano i suoi quadri delle storture insensate, nient'altro che scarabocchi senza senso, un'accozzaglia di parti del corpo o del viso che solo lui poteva considerare ritratti. Eppure ci sarà un motivo se Picasso è diventato uno dei più grandi pittori del mondo, proprio con quelle sue accozzaglie di occhi e nasi alla rinfusa. Il motivo per me è questo: egli suggerisce nuove vie di pensiero, nuovi modi di accostarsi al vissuto, alla realtà, nuovi modi di esprimere la nostra interiorità. Questo è ciò che io provo quando vedo le reazioni reazionarie di fronte all'antimetafisica: scandalo di fronte al nuovo da parte di menti che non accettano che certi canoni tradizionali vengano messi in discussione, esattamente come non accetterebbero che certi quadri di Picasso possano essere considerati ritratti.

Ma non si può impedire ad una cosa di essere oggettiva, se lo è, solo perché noi desideriamo che non lo sia, in quanto riteniamo che , se esiste qualcosa di oggettivo, questo limita la nostra libertà di "progredire" (?). Per questo scrivevo del pericolo di ridursi ad "inseguire il proprio desiderio" ( di cambiamento) che è una delle caratteristiche psicologiche profonde della nostra mente di scimmia, continuamente tesa ad afferrare qualcos'altro, spesso non altro che un sperimentare sterilmente. I quadri di Picasso non sono una nuova forma di pensiero, ma un tentativo di nuova forma di armonia, che è una cosa diversa a parer mio. Questa armonia a qualcuno parla, ad altri non dice assolutamente nulla. Non capisco nemmeno questa sorta di dualità che introduci: Metafisica=impossibilità di progredire e conseguentemente relativismo=possibilità di progredire. Avere un punto fermo non impedisce l'andare avanti, come essere senza punti fermi non impedisce di tornare indietro. Penso che sarà sempre un problema di qualità del pensiero. Un metafisico intelligente sarà da preferire ad un relativista scimunito e viceversa...
Quando parlo di assoluto (minuscolo) relativo alla condizione umana mi riferisco a quell'insieme di fattori costanti che permettono, e ci permettono, di condividere esperienze. Se non fosse presente questa struttura come potrebbero il Sari e Angelo Cannata discutere di metafisica o di relativismo e stabilire dei giudizi su di essi, o delle preferenze? Tu , allergico al solo termine "assoluto", subito parli di approccio metafisico e il Sari ti risponde:"Metafisica? Ti parlo solo di qualcosa di cui tutti facciamo esperienza..."
Io non ho nessun problema né con la tradizione, né con il rifiuto della tradizione. Non sono in competizione con nessuna delle due posizioni e non mi identifico con nessuna delle due. Non ritengo che il "nuovo" sia da preferire al "vecchio" e non ritengo che "il vecchio" sia preferibile al "nuovo". Sono termini senza senso, a parer mio. Mi tengo lontano ( o cerco di farlo) da ogni estremo e apprezzo la"qualità" di ogni cosa, sia che rifulga nella novità o piuttosto che sia coperta dalla patina del "tempo"...
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 12 Febbraio 2017, 10:00:26 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 11 Febbraio 2017, 22:08:28 PM
Citazione di: sgiombo il 11 Febbraio 2017, 21:49:39 PMConcordo su Cartesio ma non sul principio di non contraddizione che è una verità analitica a priori, quindi indubitabile
Indubitabile? Pensi di essere padrone del futuro, poter stabilire ciò che in futuro potrà succedere e ciò che non potrà mai succedere? Ciò che si potrà scoprire e ciò che non si potrà mai scoprire? Pensi di poter stabilire che è impossibile che in futuro possano esserci persone con un'intelligenza organizzata diversamente dalla nostra, come da sempre continua a verificarsi nella storia? Pensi che ciò che noi non riusciamo ad immaginare non potrà mai succedere?
CitazioneIl principio di non contraddizione, essendo una verità analitica a priori, non dice proprio nulla circa la realtà (passata, presente, futura), su ciò che potrà succedere o meno, non è propriamente "conoscenza (della realtà)". Dice sono che non si può pensare (sensatamente) che qualcosa succederà a un determinato tempo e che inoltre a tale determinato tempo la stessa cosa non succederà.

Dunque non è contravvenuto dall' ipotesi (non autocontraddittoria) che sia possibile o meno che in futuro possano esserci persone con un' intelligenza organizzata diversamente da quelle attualmente presenti; che ciò "da sempre continua a verificarsi nella storia" è una tua affermazione dogmatica (ma non metafisica) indimostrata, sulla quale io invece sospendo il giudizio; stando all' ipotesi cosmogonica corrente (che personalmente non condivido) sarebbe addirittura falsa.

E con questo penso di avere risposto anche a quanto falsamente affermi nell' intervento #56: a pretendere di avere conoscenze certe (ad  esserti "installato in una ruota da cui non uscire più", nonché ad essere reazionario) sei proprio tu e non io!
Io ho solo certezze circa il significato delle parole arbitrariamente stabilito per convenzione, che non è affatto conoscenza della realtà

Penso che di ciò che noi non riusciamo ad immaginare non possiamo nemmeno dire sensatamente se mai succederà o meno.


Se vuoi essere conseguentemente scettico, sospendi il giudizio, anziché fare affermazioni dogmatiche che portano ad antichi paradossi logici (e non parlare a ruota libera di "metafisica" attribuendole caratteristiche che non sono conformi -false- o non sono del tutto conformi -tendenziose-  alla realtà; e non confondere estetica e teoria della conoscenza).

Personalmente preferisco (coerentemente) credere irrazionalmente a un minimo di tesi indispensabili per vivere normalmente (se sono vere e ciò accade), fra cui quelle su cui si fonda la scienza, nella piena consapevolezza della loro arbitrarietà, infondatezza razionale.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 12 Febbraio 2017, 12:19:25 PM
Citazione di: Sariputra il 12 Febbraio 2017, 09:40:40 AMnon si può impedire ad una cosa di essere oggettiva, se lo è
La difficoltà a cui la metafisica non sa rispondere è proprio questa: essa pretende di stabilire l'esistenza oggettiva delle cose, trascurando che in questo stabilire c'è sempre l'intervento di un soggetto. In questo caso il soggetto sei stato tu. In questa tua frase che ho citato hai preteso di stabilire che una cosa possa essere oggettiva, ma hai trascurato che sei tu a dire questo. Il fatto è che non è possibile parlare di cose che sono oggettive senza che ci sia qualcuno che lo dica o che lo pensi. Vista quest'impossibilità di non intervento di un soggetto, viene a risultare che la metafisica è un discorso impossibile, che riesce a farsi strada soltanto in persone che trascurano, dimenticano, l'intromissione del soggetto parlante o pensante in ogni affermazione. Quest'inevitabile intromissione rende ogni affermazione relativa, cioè relativa al soggetto.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 12 Febbraio 2017, 12:29:32 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Febbraio 2017, 10:00:26 AMIl principio di non contraddizione, essendo una verità analitica a priori, non dice proprio nulla circa la realtà (passata, presente, futura), su ciò che potrà succedere o meno, non è propriamente "conoscenza (della realtà)". Dice sono che non si può pensare (sensatamente) che qualcosa succederà a un determinato tempo e inoltre a tale determinato tempo la stessa cosa non succederà.
Il fatto che sia una verità analitica a priori non esclude che in futuro si possa scoprire che tale verità era basata su meccanismi mentali errati. È molto importante la precisazione "sensatamente" che hai aggiunto in parentesi: significa che con la tua affermazione avanzi la pretesa di stabilire per l'eternità che cosa possa considerarsi sensato e che cosa no, perdendo di vista che tale criterio, provenendo da cervelli umani, non può avanzare alcuna pretesa di validità totale. Dicendo "sensatamente" stai pretendendo di stabilire chi va mandato al manicomio e chi no: chi non la pensa come te va considerato "insensato", e questo addirittura in eterno.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 12 Febbraio 2017, 13:54:30 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 12 Febbraio 2017, 12:19:25 PM
Citazione di: Sariputra il 12 Febbraio 2017, 09:40:40 AMnon si può impedire ad una cosa di essere oggettiva, se lo è
La difficoltà a cui la metafisica non sa rispondere è proprio questa: essa pretende di stabilire l'esistenza oggettiva delle cose, trascurando che in questo stabilire c'è sempre l'intervento di un soggetto. In questo caso il soggetto sei stato tu. In questa tua frase che ho citato hai preteso di stabilire che una cosa possa essere oggettiva, ma hai trascurato che sei tu a dire questo. Il fatto è che non è possibile parlare di cose che sono oggettive senza che ci sia qualcuno che lo dica o che lo pensi. Vista quest'impossibilità di non intervento di un soggetto, viene a risultare che la metafisica è un discorso impossibile, che riesce a farsi strada soltanto in persone che trascurano, dimenticano, l'intromissione del soggetto parlante o pensante in ogni affermazione. Quest'inevitabile intromissione rende ogni affermazione relativa, cioè relativa al soggetto.

Certo che tutto è relativo al soggetto ma questo non toglie che anche il relativista si serva del soggetto per relativizzare ogni cosa. Chi è che afferma 'tutto è oggettivo" o 'tutto è relativo' se non il soggetto? E non può farlo che usando la struttura logica e semantica di cui dispone in quel momento e infatti tutto è oggettivo o tutto è relativo a riguardo del soggetto conoscente non certo del reale in sè. Essere costretti come esseri umani a servirsi della propria struttura mentale, non significa stabilire un valore o principio alla struttura stessa ma semplicemente accettare che c'è ,così come un cane deve accettare la propria struttura che lo fa abbaiare o un asino la sua che lo fa ragliare, a meno di non consegnarsi ad un più saggio silenzio. Se no veramente il relativista finisce per stabilire la "metafisica del relativo" stabilendo un valore al pensare in maniera relativa e quindi contraddicendo se stesso.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 12 Febbraio 2017, 14:04:40 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 12 Febbraio 2017, 12:29:32 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Febbraio 2017, 10:00:26 AMIl principio di non contraddizione, essendo una verità analitica a priori, non dice proprio nulla circa la realtà (passata, presente, futura), su ciò che potrà succedere o meno, non è propriamente "conoscenza (della realtà)". Dice sono che non si può pensare (sensatamente) che qualcosa succederà a un determinato tempo e inoltre a tale determinato tempo la stessa cosa non succederà.
Il fatto che sia una verità analitica a priori non esclude che in futuro si possa scoprire che tale verità era basata su meccanismi mentali errati. È molto importante la precisazione "sensatamente" che hai aggiunto in parentesi: significa che con la tua affermazione avanzi la pretesa di stabilire per l'eternità che cosa possa considerarsi sensato e che cosa no, perdendo di vista che tale criterio, provenendo da cervelli umani, non può avanzare alcuna pretesa di validità totale. Dicendo "sensatamente" stai pretendendo di stabilire chi va mandato al manicomio e chi no: chi non la pensa come te va considerato "insensato", e questo addirittura in eterno.

CitazioneE invece lo esclude perchè si tratta di un principio (probabilmente il più fondamentale) arbitrariamente stabilito del discorso logico (per "negazione" e "affermazione" arbitrariamente si intendono due modi di predicare reciprocamente escludentisi, che non si possono -id est: non ha senso- attribuire contemporaneamente al medesimo soggetto ma l' uno alternativamente all' altro; tutt' al più potrebbe forse in linea teorica di principio capitare che si stabiliscano inoltre anche altri criteri logici, che non inficeranno comunque mai quelli della logica formale classica, come le geometrie non euclidee non costituiscono una confutazione della geometria euclidea; probabilmente, almeno in qualche misura, si può dire che ciò sia di fatto accaduto con la logica fuzzy (che "conosco solo per sentito dire").

Quando convenzionalmente si stabilisce la definizione di un concetto la si stabilisce auspicabilmente in maniera definitiva, "per l' eternità" (salvo correzioni da stabilirsi convenzionalmente, cosa che di fatto capita del tutto eccezionalmente: per fortuna non si tratta solo di una "mia pretesa", ché altrimenti vivremmo in una sorta di Babele di incomunicabilità pressocché totale).

Ti intimo di evitare insinuazioni offensive e false nei miei confronti: non ho mai mandato al manicomio nessuno!
E nemmeno mi sono mai permesso di considerare "insensato e addirittura in eterno" chi non la pensa come me (per il semplice fatto di non pensarla come me; ma casomai solo chi, come te in parecchie occasioni, si autocontraddice, ed unicamente nel fatto di aurtocontraddirsi, soltanto a proposito delle sue autocontraddizioni e non in assoluto: nessuno é perfetto, nemmeno come "insensato"; e si tratta di una piccola minoranza fra coloro che hanno opinioni diverse e anche contrarie alle mie).
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 12 Febbraio 2017, 14:07:31 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 12 Febbraio 2017, 12:19:25 PM
Citazione di: Sariputra il 12 Febbraio 2017, 09:40:40 AMnon si può impedire ad una cosa di essere oggettiva, se lo è
La difficoltà a cui la metafisica non sa rispondere è proprio questa: essa pretende di stabilire l'esistenza oggettiva delle cose, trascurando che in questo stabilire c'è sempre l'intervento di un soggetto.

CitazioneConfesso che non ho mai capito e apprezzato quel grande metafisico che -oggettivamente-  é Hegel.
Ma per quel poco che mi pare di aver capito dai tempi del liceo credo che si starà rivoltando nella tomba.

Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Apeiron il 12 Febbraio 2017, 14:09:00 PM
Nemmeno io capisco il relativismo. Per capire dove sta il problema faccio questo esempio:
"la mela dell'albero a destra è caduta" dice l'osservatore A
"la mela dell'albero a sinistra è caduta" dice l'osservatore B
Ora se supponiamo che entrambi parlino dello stesso evento, chiaramente siccome l'albero non può essere sia a destra che a sinistra, per risolvere la contraddizione si dice che:
"la mela dell'albero a destra di A e a sinistra di B è caduta".
Poi arrivano C e D, che si trovano sotto l'albero e sopra l'albero, dicono rispettivamente: "la mela dell'albero sopra (C) è caduta" e "la mela dell'albero sotto (D) è caduta". Come prima arriva E un altro osservatore e dice:
"la mela dell'albero a destra di A, a sinistra di B, sopra C e sotto D è caduta".
Ora mentre dunque è vero che ognuna di queste proposizioni è vera nel riferimento scelto, quella di E può essere definita "più assoluta" nel senso che può essere ricondotta facilmente alle altre. Arriva il relativismo e ti dice in sostanza che fare questa continua crescita della "conoscenza" è inutile perchè tanto l'obbiettivo - ossia l'assolutezza - è irraggiungibile. Il problema infatti è che se neghi l'assolutezza come obbiettivo neghi anche la gerarchia delle proposizioni (che a sua volta deve essere "assoluta"), altrimenti non puoi né affermare né negare niente. Motivo per cui anche se il relativismo concede una buona apertura alla novità finisce per banalizzare il processo della ricerca stessa. Infatti nel relativismo in cui la gerarchia è negata la proposizione di E non è per niente "più generale" di quella ad esempio di A. Il problema di questa posizione è appunto che non solo nega che per noi umani è impossibile arrivare alla verità e alla realtà ma che in realtà queste proprio non ci siano.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Duc in altum! il 12 Febbraio 2017, 14:10:27 PM
**  scritto da Angelo Cannata:
CitazioneQuest'inevitabile intromissione rende ogni affermazione relativa, cioè relativa al soggetto.
Sì, ma questa realtà non elimina il fatto che all'origine dell'affermazione, del verbo, del logos, della filosofia, della metafisica, nella notte, nottissima dei tempi, la verità è una, unica e universale  ...e qualcuno, che diamine, dovrà pur avvicinarsi a essa, se non centrarla a pieno!
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 12 Febbraio 2017, 14:15:37 PM
Citazione di: Sariputra il 12 Febbraio 2017, 13:54:30 PM
Chi è che afferma 'tutto è oggettivo" o 'tutto è relativo' se non il soggetto?
Certo, infatti un vero relativista non dice "tutto è relativo", ma "mi sembra che tutto sia relativo", "forse tutto è relativo". Il relativista non ha certezze, egli getta soltanto dubbi, sospetti. Il problema è che di fronte a questi dubbi la metafisica non ha risposte.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 12 Febbraio 2017, 14:16:58 PM
Citazione di: sgiombo il 11 Febbraio 2017, 16:28:50 PMLa realtà non è necessariamente "pensanda"; cioè si può pensare essere reale ciò che è reale ma anche ciò che non è reale e si può pensare non essere reale ciò che non è reale ma anche ciò che è reale.
Se per "accidentale" intendiamo questo ("non necessariamente pensanda essere così com' è; pensabile non essere anziché essere, ovvero essere diversa da ciò che è, da com' è") allora sì, la realtà è accidentale.
Ma inoltre la realtà è realmente (per definizione) necessariamente ciò che è (così com' è), sebbene sia pensabile diversamente): può essere pensata essere ma non realmente essere diversa da come è, da ciò che é.
E allora se per "accidentale" intendiamo quest' altro ("non necessariamente accadente  realmente - così come accade", ma anche altrimenti" ma casomai solo non necessariamente pensabile accadere realmente -così come accade, ma anche altrimenti- allora no, la realtà non è accidentale
Se intendiamo quel pensare nel senso di conoscere (un conoscere che sempre un po' pensa, ossia che in qualche misura sa di sapere), si conosce solo ciò che è reale, e sempre in un modo almeno un po' diverso dal suo essere reale e non si può conoscere il non essere esattamente come non si può conoscere l'essere (l'essere così com'è di qualsiasi cosa) in nessun caso. L'essere così com'è lo si vive, ma non si può conoscerlo, il conoscerlo in qualche modo lo tradisce, sempre, sia che appaiano cavalli che ippogrifi. Quello che si può dire è che accade di pensare cavalli e di pensare ippogrifi (qualcuno li pensa) e che nel pensarli capita che qualcosa si presenti come immagine di un cavallo o di un ippogrifo, ma questo presentarsi non dipende da noi come soggetti pensanti, ma dipende dal nostro essere soggetti viventi (da quel vivere e saper vivere in cui siamo sempre e che sempre vuole essere conosciuto, quindi tradito per poterlo riconoscere).
Se non si ammette questo, pensando così di non far confusione, si rischiano errori enormi ove l'errore più grosso è quello di credere che l'oggetto del nostro conoscere sia (o possa essere) la realtà stessa o che, al contrario, si possano conoscere (pensare) cose non aventi alcuna realtà.
CitazioneUn soggetto (oltre che oggetti) delle sensazioni, in aggiunta ad esse, potrebbe benissimo non esserci (come pure esserci).

Infatti soggetti e oggetti delle sensazioni (con le sensazioni che li collegano), mentre semplicemente si vive, non ci sono. Non ci sono proprio perché si vive e si sa vivere senza sapere di vivere, soggetti e oggetti sono figure del conoscere, che solo nel conoscere si danno e si sottraggono.
Citazione di: Angelo Cannata il 11 Febbraio 2017, 16:50:02 PM
L'ultima proposta di Sariputra mi somiglia ai vari tentativi che tutt'oggi si fanno di salvare la metafisica ribadendo che comunque non ne possiamo fare a meno, oppure che in forme moderate può essere accettata e si può anche rivelare utile.
La metafisica è implicita in ogni processo di conoscenza (e non vi è nulla di più metafisico del negarla mentre si pensa di conoscere le cose come stanno, la scienza esprime comunque una posizione metafisica a priori, di stampo in larghissima parte ancora aristotelico tra l'altro), in questo Sari ha ragione, ma se la conoscenza, che costruisce il sapere di sapere, vuole tornare alla vita (al saper vivere di cui è espressione e da cui per saper di sapere se ne allontana), è necessario che si decostruisca, che ammetta cioè un non saper di sapere in tutto ciò che viene conoscendo.
Quando si conosce, si conosce la maschera in cui ciò che è mentendosi si rivela, a quel punto è necessario cominciare a decostruire la maschera, così da poter tornare (euforicamente) verso il saper vivere che sempre ci sta sotto.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Apeiron il 12 Febbraio 2017, 14:20:43 PM
La metafisica, come ho già detto altrove, è irrinunciabile. Così come è irrinuncaibile pensare per "enti" e ciò lo si vede dal fatto che se vogliamo dire qualcosa siamo costretti ad usare proposizioni e nomi, ossia siamo costretti ad usare definizioni.
La mia personale opinione è che sia vero il fallibilismo, ossia che la realtà sia oggettiva ma che sia inconoscibile, motivo per cui non dovremmo essere troppo attaccati alle nostre teorie (vedi la storiella giaino-buddista degli uomini ciechi e dell'elefante).
Avevo altrove pensato all'esperimento mentale di un essere dotato di intelligenza in un ambiente in cui non sono presenti distinzioni. Tale essere comunque a mio giudizio farebbe la distinzione tra "sé" e "l'esterno", perciò almeno una sorta di sistema di pensiero binario lo svilupperebbe.
La metafisica perciò è una nostra immagine (distorta, imperfetta...) della realtà.

Il problema è l'abuso della stessa. Ad esempio pensare di essere un "ente" e ritenere che per noi funzioni il principio di non-contraddizione aristotelico. Invece secondo me la nostra facoltà di scegliere e di cambiare ci conduce a ritenere vere le seguente proposizioni:
"io sono lo stesso di 10 anni fa"
"io non sono lo stesso di 10 anni fa"
Ma questo NON è dovuto al fatto che ci sia una substantia, un atman che non cambia, dentro di noi. E qui si arriva ad una metafisica "paradossale" secondo la quale una cosa cambiando rimane se stessa. Come si può vedere anche pensando in termini di enti e ritenendo che esista una realtà oggettiva è possibile progredire (d'altronde ci può essere progresso, se tale progresso non ha un fine?) nella nostra comprensione della realtà.

P.S. Matematicamente si possono definire sistemi algebrici per cui "1+1=0". Ma ciò non implica che "1+1=2" sia falso.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 12 Febbraio 2017, 14:29:37 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Febbraio 2017, 14:04:40 PME invece lo esclude perchè si tratta di un principio (probabilmente il più fondamentale) arbitrariamente stabilito del discorso logico...
Come può essere fondamentale se viene stabilito arbitrariamente? Arbitrario non significa altro che soggettivo.

Citazione di: sgiombo il 12 Febbraio 2017, 14:04:40 PMTi intimo di evitare insinuazioni offensive e false nei miei confronti: non ho mai mandato al manicomio nessuno!
Non mi permetterei mai di giudicare te come persona, anzi, apprezzo moltissimo il tuo modo di procedere dei dibattiti. Ciò che ho detto riguarda l'uso a cui si prestano le tue affermazioni. Quando ho detto "stai pretendendo di stabilire chi va mandato al manicomio e chi no" la mia intenzione era mostrare che le tue affermazioni si prestano a tali abusi. Tu senza dubbio non commetterai mai tali abusi, ma a me sembra che una radice lontana delle più opprimenti dittature si trovi proprio in modi di pensare a prima vista innocui, che circolano tra gente onesta.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 12 Febbraio 2017, 14:45:16 PM
Citazione di: Apeiron il 12 Febbraio 2017, 14:09:00 PM
... quella di E può essere definita "più assoluta" nel senso che può essere ricondotta facilmente alle altre.
...
Infatti nel relativismo in cui la gerarchia è negata la proposizione di E non è per niente "più generale" di quella ad esempio di A
Sì, il problema è proprio lì: cioè, anche quella di E non è altro che una prospettiva. E quando individuiamo delle gerarchie, cioè che E si trova in un punto di vista più inclusivo, più vasto, quindi più valido rispetto agli altri, dimentichiamo che anche noi stiamo parlando dall'interno della nostra prospettiva; ne consegue che non è possibile stabilire gerarchie assolute, non esistono punti di vista privilegiati, oggettivi, proprio perché sono tutti punti di vista.

Citazione di: Apeiron il 12 Febbraio 2017, 14:09:00 PM
... Il problema di questa posizione è appunto che non solo nega che per noi umani è impossibile arrivare alla verità e alla realtà ma che in realtà queste proprio non ci siano.
No, il relativismo non può negare l'esistenza della realtà e della verità, altrimenti sarebbe anch'esso una metafisica che avanza certezze. Il relativismo avanza dubbi, sospetti e il problema è che a questi dubbi non vengono date risposte.

Citazione di: Apeiron il 12 Febbraio 2017, 14:09:00 PM
... il relativismo ... finisce per banalizzare il processo della ricerca stessa.
Non lo banalizza, perché una ricerca può essere sensatissima pur riconoscendo la propria soggettività. Tutte le scoperte scientifiche sono sensatissime, sebbene nessuna di esse abbia la pretesa di non poter essere mai smentita. Anzi, proprio se avanzassero tale pretesa, diventerebbero all'istante invalide perché infalsificabili. Un problema della metafisica è proprio il suo timore che ciò che è soggettivo, opinabile, sia senza valore, inutile; invece le cose stanno proprio al contrario: in base al principio di falsificabilità, ciò che vale è proprio ciò che si autoriconosce soggettivo, opinione, conclusione provvisoria aperta alle smentite; viceversa, sono le cose che si pretendono assolute, indubitabili, a risultare proprio per questo invalide, perché incapaci di resistere al dubbio. Ma il problema non è che non resistono al dubbio, poiché anche le opinioni non resistono al dubbio. Il problema è che esse dicono di essere al di sopra del dubbio, mentre invece, all'atto del confronto, dimostrano di non reggere. Al contrario, l'opinione ammette di essere dubitabilissima e proprio questo suo giocare a carte scoperte la rende affidabile, valida.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 12 Febbraio 2017, 14:49:03 PM
Citazione di: Duc in altum! il 12 Febbraio 2017, 14:10:27 PM
Sì, ma questa realtà non elimina il fatto che all'origine dell'affermazione, del verbo, del logos, della filosofia, della metafisica, nella notte, nottissima dei tempi, la verità è una, unica e universale  ...e qualcuno, che diamine, dovrà pur avvicinarsi a essa, se non centrarla a pieno!
Chi è che sta facendo quest'affermazione? Tu. Ecco il soggetto. Chi è che la sta leggendo? Io. Ecco un altro soggetto. Abbiamo quindi già due soggetti la cui intromissione nel discorso è ineliminabile. Una volta che qualsiasi discorso è inesorabilmente inquinato da soggetti che vi entrano da ogni direzione, come possiamo pensare di parlare di una verità indipendente da noi?
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 12 Febbraio 2017, 15:00:31 PM
Citazione di: maral il 12 Febbraio 2017, 14:16:58 PMLa metafisica è implicita in ogni processo di conoscenza
Risposta:
Citazione di: Apeiron il 12 Febbraio 2017, 14:20:43 PMIl problema è l'abuso della stessa.
Infatti col termine metafisica si può anche intendere soltanto un'ipotesi di esistenza della realtà oggettiva. Fin quando è un'ipotesi, quindi aperta al dubbio, al sospetto, alla messa in discussione, la metafisica non è altro che una fase importante, e possiamo dire perfino necessaria, della ricerca.
Il problema si pone perché solitamente i metafisici non si accontentano di dire che la realtà è un'ipotesi, ma pretendono di stabilire che è una certezza indubitabile, quindi eterna, assoluta, dogmatica.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 12 Febbraio 2017, 17:45:45 PM
Citazione di: Apeiron il 12 Febbraio 2017, 14:20:43 PM
Il problema è l'abuso della stessa. Ad esempio pensare di essere un "ente" e ritenere che per noi funzioni il principio di non-contraddizione aristotelico. Invece secondo me la nostra facoltà di scegliere e di cambiare ci conduce a ritenere vere le seguente proposizioni:
"io sono lo stesso di 10 anni fa"
"io non sono lo stesso di 10 anni fa"
Ma questo NON è dovuto al fatto che ci sia una substantia, un atman che non cambia, dentro di noi. E qui si arriva ad una metafisica "paradossale" secondo la quale una cosa cambiando rimane se stessa. Come si può vedere anche pensando in termini di enti e ritenendo che esista una realtà oggettiva è possibile progredire (d'altronde ci può essere progresso, se tale progresso non ha un fine?) nella nostra comprensione della realtà.
Il problema in termini non contraddittori si può risolvere così:
Io sono adesso e adesso accade pure il mio pensare di me stesso 10 anni fa. ossia quel qualcosa che non sono io adesso, ma che nella storia che sto adesso pensando appare, per astrazione, come se fosse sempre me.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 12 Febbraio 2017, 18:59:12 PM
Sono d'accordo con l'idea di considerare la metafisica non un filosofare da buttare nella spazzatura, ma un punto oltre il quale progredire. Non esistono filosofie che possano essere buttate nella spazzatura. Tutta la storia della filosofia può essere riletta in quest'ottica: ogni filosofo si è accorto dei problemi presentati dalla metafisica e in fondo non ha fatto altro che tentare il proprio modo di gestire il rapporto con essa.

La proposta di Apeiron mi sembra un tentativo di considerare la metafisica come un grande, generoso contenitore, in grado di avere spazio anche per la contraddizione. Ma in questo modo non si fa altro che voler salvare la metafisica e tentare di farci entrare tutto.

La proposta di maral mi sembra simile, solo che lui invece di tentare di includere nella metafisica la contraddizione tenta di includervi la storicità. Anche questo mi viene a risultare un tentativo di fare della metafisica un contenitore di tutto.

Credo che contraddizione e storicità, introdotti a forza all'interno della metafisica, non farebbero altro che disturbarla e destabilizzarla in continuazione.

Perché non esaminare i tentativi che già oggi si fanno, evitando di perdere tempo a scoprire ciò che è già stato scoperto?

A me sembra che oggi i tentativi di gestire il rapporto con la metafisica, cioè di fare filosofia, si pongano in questi termini:

- vie analitiche, che cioè si concentrano sui meccanismi formali dei linguaggi; ciò somiglia a quello che Ceravolo ha cercato di fare, solo che, come ho detto, il suo tentativo non mi sembra puramente formale, ma si sbilancia ad occuparsi di significato, cioè di rapporto con la realtà; anche sgiombo viene a risultare occuparsi di meccanismi formali, nel momento in cui segue la via dei giudizi analitici apriori, ma il problema che io vedo è che egli pretende di attribuire a tali giudizi una qualità di certezza che non fa altro che ridurli ancora a metafisica, pur rimanendo giudizi formali;

- vie pratiche, che cioè scelgono di far tesoro di tutta la filosofia per aiutare i popoli a prendere coscienza delle loro oppressioni, smascherare i dittatori che oggi esercitano il loro potere in tutto il mondo, svelare i meccanismi dell'economia che rendono l'uomo schiavo della borsa, andare a protestare insieme alla gente per appoggiare i loro movimenti di liberazione, di progresso;

- vie umanistiche, che cioè scelgono di contaminare la filosofia con le arti, la letteratura, la musica, non per creare torbidi miscugli, ma perché la filosofia è anche arte, è emozione, psicologia, studio estetico delle forme espressive.

Queste vie non spazzano via la metafisica, ma ne fanno un uso diverso, critico; in fondo la metafisica non è altro che il linguaggio della gente e come tale è uno strumento ottimo per intendersi, ma sempre trattandola con la consapevolezza delle critiche che essa ha già ricevuto in tutta la storia della filosofia.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 12 Febbraio 2017, 19:35:44 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 12 Febbraio 2017, 14:29:37 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Febbraio 2017, 14:04:40 PME invece lo esclude perchè si tratta di un principio (probabilmente il più fondamentale) arbitrariamente stabilito del discorso logico...
Come può essere fondamentale se viene stabilito arbitrariamente? Arbitrario non significa altro che soggettivo.
CitazionePer il semplice fatto che le regole logiche (più o meno fondamentali che siano), come gli assiomi e le definizioni matematiche sono arbitrariamente stabilite a priori e non oggettivamente rilevate a posteriori

Citazione di: sgiombo il 12 Febbraio 2017, 14:04:40 PMTi intimo di evitare insinuazioni offensive e false nei miei confronti: non ho mai mandato al manicomio nessuno!
Non mi permetterei mai di giudicare te come persona, anzi, apprezzo moltissimo il tuo modo di procedere dei dibattiti. Ciò che ho detto riguarda l'uso a cui si prestano le tue affermazioni. Quando ho detto "stai pretendendo di stabilire chi va mandato al manicomio e chi no" la mia intenzione era mostrare che le tue affermazioni si prestano a tali abusi. Tu senza dubbio non commetterai mai tali abusi, ma a me sembra che una radice lontana delle più opprimenti dittature si trovi proprio in modi di pensare a prima vista innocui, che circolano tra gente onesta.
CitazioneApprezzo a mia volta la precisazione.
E' evidente che tutto il peggio che può darsi può avere "radici" -in senso lato- più o meno lontane; ma la responsabilità intellettuale, morale, eventualmente politica di chi perpetra abusi non può essere addossata a "radici più o meno lontane" alle quali chi li perpetra si può magari arbitrariamente ispirare (senza dover "chiedere il permesso" alle "radici stesse"), ma non consegue inevitabilmente.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 12 Febbraio 2017, 19:42:24 PM
Citazione di: Apeiron il 12 Febbraio 2017, 14:20:43 PM


Il problema è l'abuso della stessa. Ad esempio pensare di essere un "ente" e ritenere che per noi funzioni il principio di non-contraddizione aristotelico. Invece secondo me la nostra facoltà di scegliere e di cambiare ci conduce a ritenere vere le seguente proposizioni:
"io sono lo stesso di 10 anni fa"
"io non sono lo stesso di 10 anni fa"
Ma questo NON è dovuto al fatto che ci sia una substantia, un atman che non cambia, dentro di noi. E qui si arriva ad una metafisica "paradossale" secondo la quale una cosa cambiando rimane se stessa.

CitazioneNon ci vedo nulla di paradossale.
Semplicemente può darsi mutamento relativo, limitato, parziale ovvero (è la stessa cosa detta con parole diverse) fissità relativa, limitata, parziale.
Qualcosa del me di oggi é uguale al me di dieci anni fa, qualcos' altro é cambiato ed ora é diverso.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Apeiron il 12 Febbraio 2017, 19:48:08 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 12 Febbraio 2017, 14:45:16 PM
Citazione di: Apeiron il 12 Febbraio 2017, 14:09:00 PM... quella di E può essere definita "più assoluta" nel senso che può essere ricondotta facilmente alle altre. ... Infatti nel relativismo in cui la gerarchia è negata la proposizione di E non è per niente "più generale" di quella ad esempio di A
Sì, il problema è proprio lì: cioè, anche quella di E non è altro che una prospettiva. E quando individuiamo delle gerarchie, cioè che E si trova in un punto di vista più inclusivo, più vasto, quindi più valido rispetto agli altri, dimentichiamo che anche noi stiamo parlando dall'interno della nostra prospettiva; ne consegue che non è possibile stabilire gerarchie assolute, non esistono punti di vista privilegiati, oggettivi, proprio perché sono tutti punti di vista.
Citazione di: Apeiron il 12 Febbraio 2017, 14:09:00 PM... Il problema di questa posizione è appunto che non solo nega che per noi umani è impossibile arrivare alla verità e alla realtà ma che in realtà queste proprio non ci siano.
No, il relativismo non può negare l'esistenza della realtà e della verità, altrimenti sarebbe anch'esso una metafisica che avanza certezze. Il relativismo avanza dubbi, sospetti e il problema è che a questi dubbi non vengono date risposte.
Citazione di: Apeiron il 12 Febbraio 2017, 14:09:00 PM... il relativismo ... finisce per banalizzare il processo della ricerca stessa.
Non lo banalizza, perché una ricerca può essere sensatissima pur riconoscendo la propria soggettività. Tutte le scoperte scientifiche sono sensatissime, sebbene nessuna di esse abbia la pretesa di non poter essere mai smentita. Anzi, proprio se avanzassero tale pretesa, diventerebbero all'istante invalide perché infalsificabili. Un problema della metafisica è proprio il suo timore che ciò che è soggettivo, opinabile, sia senza valore, inutile; invece le cose stanno proprio al contrario: in base al principio di falsificabilità, ciò che vale è proprio ciò che si autoriconosce soggettivo, opinione, conclusione provvisoria aperta alle smentite; viceversa, sono le cose che si pretendono assolute, indubitabili, a risultare proprio per questo invalide, perché incapaci di resistere al dubbio. Ma il problema non è che non resistono al dubbio, poiché anche le opinioni non resistono al dubbio. Il problema è che esse dicono di essere al di sopra del dubbio, mentre invece, all'atto del confronto, dimostrano di non reggere. Al contrario, l'opinione ammette di essere dubitabilissima e proprio questo suo giocare a carte scoperte la rende affidabile, valida.

Ma le gerarchie sono talmente evidenti che mi sembra assurdo negarle. La prospettiva di E contiente molte più affermazioni di quella di A, la quale è appunto contenuta in quella di E. Credo sia innegabile che una prospettiva che ne contenga un'altra sia più "oggettiva". Ad esempio la prospettiva di E ci spiega che destra e sinistra sono concetti relativi e che non c'è alcun conflitto tra le prospettive di A e di B. Se pensiamo a persone reale dire che anche quella di E è "una prospettiva come le altre" lascia passare il messaggio che quella di A è completa, cosa che non ha senso. Anzi si rischia che ad esempio A dice: "questa è la mia prospettiva, siccome qualsiasi prospettiva che trovo rimane una prospettiva non migliore della mia allora posso tenermi la mia e ignorare quelle altrui". Poi magari contatta che A contatta B e si mettono a litigare sulla questione della posizione dell'albero. La negazione delle gerarchie secondo me tende a promuovere la soppressione della curiosità e della voglia di mettersi in discussione perchè se uno è relativista arriva a dire "beh perchè devo passare la vita a ricercare se tanto la prospettiva che troverò non è superiore a quella di un altro".  

Altro discorso: la metafisica non nega il soggetto o almeno lo nega quanto allo stesso modo della scienza. In entrambi i casi il "soggetto metafisico" da una parte e l' "osservatore" dall'altra in linea di principio vengono presi come "uguali". Per capire cosa sto dicendo si pensi al fatto che nella scienza le osservazioni non devono dipendere dal fatto che le faccia io, il mio vicino o un computer. In ambo i casi si devono fare delle assunzioni che dovrebbero essere chiarite prima di iniziare a teorizzare.

Citazione di: maral il 12 Febbraio 2017, 17:45:45 PM
Citazione di: Apeiron il 12 Febbraio 2017, 14:20:43 PMIl problema è l'abuso della stessa. Ad esempio pensare di essere un "ente" e ritenere che per noi funzioni il principio di non-contraddizione aristotelico. Invece secondo me la nostra facoltà di scegliere e di cambiare ci conduce a ritenere vere le seguente proposizioni: "io sono lo stesso di 10 anni fa" "io non sono lo stesso di 10 anni fa" Ma questo NON è dovuto al fatto che ci sia una substantia, un atman che non cambia, dentro di noi. E qui si arriva ad una metafisica "paradossale" secondo la quale una cosa cambiando rimane se stessa. Come si può vedere anche pensando in termini di enti e ritenendo che esista una realtà oggettiva è possibile progredire (d'altronde ci può essere progresso, se tale progresso non ha un fine?) nella nostra comprensione della realtà.
Il problema in termini non contraddittori si può risolvere così: Io sono adesso e adesso accade pure il mio pensare di me stesso 10 anni fa. ossia quel qualcosa che non sono io adesso, ma che nella storia che sto adesso pensando appare, per astrazione, come se fosse sempre me.

Il problema è che il "tu" di "adesso" è una pura astrazione. Ciò che fonda il mio "io" è la "somma" delle mie scelte passate, delle mie emozioni, delle relazioni umane ecc. In sostanza preferisco pensare alla mia identità come un qualcosa che pur cambiando rimane indentica. Non sono nemmeno la somma delle mie esperienze interiore ed esteriori perchè non sono un libro ma sono un essere umano vivente. Proprio il fatto che io sia vivente implica che io ogni istante cambio ma ogni istante "conservo" la mia identità (motivo per cui un fiume viene chiamato con lo stesso nome nel tempo anche se ogni istante il suo contenuto cambia). Si può pensare in questo modo se si comprende che si è più simili a processi che a sostanze fisse. La teoria dell'atman indiana (Adviata Vedanta a parte) e della sostanza aristotelico-platonica è problematica perchè vuole trovare un qualcosa di immutabile. Infatti ad ogni istante io cambio in "toto".

Citazione di: Angelo Cannata il 12 Febbraio 2017, 18:59:12 PMSono d'accordo con l'idea di considerare la metafisica non un filosofare da buttare nella spazzatura, ma un punto oltre il quale progredire. Non esistono filosofie che possano essere buttate nella spazzatura. Tutta la storia della filosofia può essere riletta in quest'ottica: ogni filosofo si è accorto dei problemi presentati dalla metafisica e in fondo non ha fatto altro che tentare il proprio modo di gestire il rapporto con essa. La proposta di Apeiron mi sembra un tentativo di considerare la metafisica come un grande, generoso contenitore, in grado di avere spazio anche per la contraddizione. Ma in questo modo non si fa altro che voler salvare la metafisica e tentare di farci entrare tutto. La proposta di maral mi sembra simile, solo che lui invece di tentare di includere nella metafisica la contraddizione tenta di includervi la storicità. Anche questo mi viene a risultare un tentativo di fare della metafisica un contenitore di tutto. Credo che contraddizione e storicità, introdotti a forza all'interno della metafisica, non farebbero altro che disturbarla e destabilizzarla in continuazione. Perché non esaminare i tentativi che già oggi si fanno, evitando di perdere tempo a scoprire ciò che è già stato scoperto? A me sembra che oggi i tentativi di gestire il rapporto con la metafisica, cioè di fare filosofia, si pongano in questi termini: - vie analitiche, che cioè si concentrano sui meccanismi formali dei linguaggi; ciò somiglia a quello che Ceravolo ha cercato di fare, solo che, come ho detto, il suo tentativo non mi sembra puramente formale, ma si sbilancia ad occuparsi di significato, cioè di rapporto con la realtà; anche sgiombo viene a risultare occuparsi di meccanismi formali, nel momento in cui segue la via dei giudizi analitici apriori, ma il problema che io vedo è che egli pretende di attribuire a tali giudizi una qualità di certezza che non fa altro che ridurli ancora a metafisica, pur rimanendo giudizi formali; - vie pratiche, che cioè scelgono di far tesoro di tutta la filosofia per aiutare i popoli a prendere coscienza delle loro oppressioni, smascherare i dittatori che oggi esercitano il loro potere in tutto il mondo, svelare i meccanismi dell'economia che rendono l'uomo schiavo della borsa, andare a protestare insieme alla gente per appoggiare i loro movimenti di liberazione, di progresso; - vie umanistiche, che cioè scelgono di contaminare la filosofia con le arti, la letteratura, la musica, non per creare torbidi miscugli, ma perché la filosofia è anche arte, è emozione, psicologia, studio estetico delle forme espressive. Queste vie non spazzano via la metafisica, ma ne fanno un uso diverso, critico; in fondo la metafisica non è altro che il linguaggio della gente e come tale è uno strumento ottimo per intendersi, ma sempre trattandola con la consapevolezza delle critiche che essa ha già ricevuto in tutta la storia della filosofia.

Vedo sinceramente la metafisica come quell'insieme di ipotesi che si fanno sulla realtà esterna, sulla nostra identità ecc che si basano sui nostri sistemi formali. Il fatto che io "accetto la contraddizione" è dovuto al fatto che invece di partire dalla teoria parto dall'esperienza e da lì cerco di costruirmi una "teoria" che tenta di spiegare ad esempio la persistenza dell'identità nel cambiamento. Anche se la contraddizione sembra una blasfemia negli ultimi anni alcuni logici di un certo livello lavorano sulla dialeteia, ossia su proposizioni A per le quali sia A che non-A risultano essere vere.

N.B. Preciso che non accetto la contraddizione sempre altrimenti finirei nel paradosso dell'esplosione, ossia nel paradosso in cui ogni affermazione risulta essere  vera.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Apeiron il 12 Febbraio 2017, 19:50:43 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Febbraio 2017, 19:42:24 PM
Citazione di: Apeiron il 12 Febbraio 2017, 14:20:43 PM


Il problema è l'abuso della stessa. Ad esempio pensare di essere un "ente" e ritenere che per noi funzioni il principio di non-contraddizione aristotelico. Invece secondo me la nostra facoltà di scegliere e di cambiare ci conduce a ritenere vere le seguente proposizioni:
"io sono lo stesso di 10 anni fa"
"io non sono lo stesso di 10 anni fa"
Ma questo NON è dovuto al fatto che ci sia una substantia, un atman che non cambia, dentro di noi. E qui si arriva ad una metafisica "paradossale" secondo la quale una cosa cambiando rimane se stessa.

CitazioneNon ci vedo nulla di paradossale.
Semplicemente può darsi mutamento relativo, limitato, parziale ovvero (è la stessa cosa detta con parole diverse) fissità relativa, limitata, parziale.
Qualcosa del me di oggi é uguale al me di dieci anni fa, qualcos' altro é cambiato ed ora é diverso.



Tutto il mio pensiero, tutte le mie cellule ecc sono cambiate nel corso degli anni. Non puoi trovare niente di materiale e nemmeno tra i pensieri che sia rimasto identico. Ritengo invece che nuovamente io "vivo" ossia permango nel cambiamento.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 12 Febbraio 2017, 21:26:27 PM
Citazione di: maral il 12 Febbraio 2017, 14:16:58 PM
Citazione di: sgiombo il 11 Febbraio 2017, 16:28:50 PMLa realtà non è necessariamente "pensanda"; cioè si può pensare essere reale ciò che è reale ma anche ciò che non è reale e si può pensare non essere reale ciò che non è reale ma anche ciò che è reale.
Se per "accidentale" intendiamo questo ("non necessariamente pensanda essere così com' è; pensabile non essere anziché essere, ovvero essere diversa da ciò che è, da com' è") allora sì, la realtà è accidentale.
Ma inoltre la realtà è realmente (per definizione) necessariamente ciò che è (così com' è), sebbene sia pensabile diversamente): può essere pensata essere ma non realmente essere diversa da come è, da ciò che é.
E allora se per "accidentale" intendiamo quest' altro ("non necessariamente accadente  realmente - così come accade", ma anche altrimenti" ma casomai solo non necessariamente pensabile accadere realmente -così come accade, ma anche altrimenti- allora no, la realtà non è accidentale
Se intendiamo quel pensare nel senso di conoscere (un conoscere che sempre un po' pensa, ossia che in qualche misura sa di sapere), si conosce solo ciò che è reale, e sempre in un modo almeno un po' diverso dal suo essere reale e non si può conoscere il non essere esattamente come non si può conoscere l'essere (l'essere così com'è di qualsiasi cosa) in nessun caso. L'essere così com'è lo si vive, ma non si può conoscerlo, il conoscerlo in qualche modo lo tradisce, sempre, sia che appaiano cavalli che ippogrifi. Quello che si può dire è che accade di pensare cavalli e di pensare ippogrifi (qualcuno li pensa) e che nel pensarli capita che qualcosa si presenti come immagine di un cavallo o di un ippogrifo, ma questo presentarsi non dipende da noi come soggetti pensanti, ma dipende dal nostro essere soggetti viventi (da quel vivere e saper vivere in cui siamo sempre e che sempre vuole essere conosciuto, quindi tradito per poterlo riconoscere).
Se non si ammette questo, pensando così di non far confusione, si rischiano errori enormi ove l'errore più grosso è quello di credere che l'oggetto del nostro conoscere sia (o possa essere) la realtà stessa o che, al contrario, si possano conoscere (pensare) cose non aventi alcuna realtà.
CitazioneNon capisco il senso di queste parole (mi sembrano contraddittorie).
Ciò che è reale si può conoscere ("si conosce solo ciò che è reale" per quanto di fatto limitatamente, "pensandolo in modo almeno un po' diverso dal suo essere leale") oppure no (("non si può conoscere il non essere esattamente come non si può conoscere l'essere (l'essere così com'è di qualsiasi cosa) in nessun caso"))?
Inoltre il non essere (di qualcosa; cioè che qualcosa non sia reale) si può ben conoscere; per esempio il non essere reali dei soliti ippogrifi.
 
Non si vive l' essere in quasiasi senso (l' essere qualsiasi cosa), ma da parte di ciascuno il proprio essere, la propria vita (non la vita di un pipistrello o di una balena da parte di noi uomini, né men che meno l' essere di qualcosa di non vivente, come ad esempio di una montagna).


E d' altra parte non è affatto detto che non si possa conoscere ciò che è; se così fosse si cadrebbe nel noto paradosso per il quale nemmeno (il fatto; che tale sarebbe, secondo questa affermazione) che non si possa conoscere ciò che é si potrebbe conoscere: affermazione-negazione della stessa tesi.


Ancora una volta mi tocca citare il da me non amato Hegel a proposito della pretesa che "il conoscerlo [dell' "essere"; suppongo intenda la realtà, ciò che realmente è o accade] in qualche modo lo tradisce, sempre, sia che appaiano cavalli che ippogrifi]": un tipico caso di "notte in cui tutte le vacche -o anche tutti gli equini, reali e fantastici- sembrano nere": se ho la visione di un cavallo può darsi si tratti di un sogno o un' allucinazione ma anche che si tratti di un' esperienza reale, mentre se vedo un ippogrifo è: o un sogno; o un' allucinazione; o al  limite uno scherzo da prete fattomi da qualcuno; ma non di certo un' esperienza (ti pregherei di non ricorrere al sofisma consistente nel dire che anche un' allucinazione o un sogno è realmente un' esperienza, giocando sull' ambiguità dei concetti: certo che la è, ma è un' esperienza realmente onirica o realmente allucinatoria rispettivamente e non realmente reale (come avrai capito quella sullo scherzo da prete è solo una battuta).


Per essere soggetti pensanti bisogna per forza essere soggetti viventi, non potendosi dare pensiero senza vita.


Ribadito ancora una volta che non ritengo razionalmente superabile lo scetticismo, ti segnalo che affermando che distinguendo "reale" da immaginario" si compie (accade che si compia) l'errore più grosso (che si possa fare), che sarebbe quello di "credere che l' oggetto del nostro conoscere sia (o possa essere) la realtà stessa", poiché questo preteso "errore più grosso" farebbe parte della realtà stessa (accadrebbe), cadi nel ben noto paradosso di chi afferma che nulla si possa conoscere (per l' appunto della realtà), affermazione che nega se stessa, essendo essa stessa una pretesa conoscenza (della realtà).


Dagli ippogrifi ai centauri e alle chimere (e chi più ne ha più ne metta), si può pensare un' infinità di cose non aventi realtà (se non ovviamente in quanto oggetti di pensiero: tautologia! Cosa ben diversa dalla realtà che è propria di cavalli, uomini, grifi, vacche -di vari colori, anche se di notte, come nell' ignoranza, sembrano tutte nere- e un' infinità di -altre- cose).





CitazioneSgiombo:
Un soggetto (oltre che oggetti) delle sensazioni, in aggiunta ad esse, potrebbe benissimo non esserci (come pure esserci).

Maral:
Infatti soggetti e oggetti delle sensazioni (con le sensazioni che li collegano), mentre semplicemente si vive, non ci sono. Non ci sono proprio perché si vive e si sa vivere senza sapere
di vivere, soggetti e oggetti sono figure del conoscere, che solo nel conoscere si danno e si sottraggono.
CitazioneSgiombo:
"Infatti" è fuori luogo dal momento che io ho affermato che potrebbero benissimo esserci come pure non esserci e non affatto che certamente non ci sono ("mentre semplicemente si vive" -?-).

Che gli oggetti di sensazioni possano benissimo essere morti mi è chiaro, ma che possano darsi soggetti di sensazione morti non è possibile dal momento che (secondo la lingua italiana, di cui entrambi dobbiamo rispettare il lessico, oltre che la grammatica e la sintassi per poter comunicare) per sentire bisogna essere vivi (in qualche modo, fosse pure come "anime disincarnate").

Lo stesso dicasi del conoscere.


Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 12 Febbraio 2017, 21:34:34 PM
Citazione di: Apeiron il 12 Febbraio 2017, 19:50:43 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Febbraio 2017, 19:42:24 PM
Citazione di: Apeiron il 12 Febbraio 2017, 14:20:43 PM


Il problema è l'abuso della stessa. Ad esempio pensare di essere un "ente" e ritenere che per noi funzioni il principio di non-contraddizione aristotelico. Invece secondo me la nostra facoltà di scegliere e di cambiare ci conduce a ritenere vere le seguente proposizioni:
"io sono lo stesso di 10 anni fa"
"io non sono lo stesso di 10 anni fa"
Ma questo NON è dovuto al fatto che ci sia una substantia, un atman che non cambia, dentro di noi. E qui si arriva ad una metafisica "paradossale" secondo la quale una cosa cambiando rimane se stessa.

CitazioneNon ci vedo nulla di paradossale.
Semplicemente può darsi mutamento relativo, limitato, parziale ovvero (è la stessa cosa detta con parole diverse) fissità relativa, limitata, parziale.
Qualcosa del me di oggi é uguale al me di dieci anni fa, qualcos' altro é cambiato ed ora é diverso.



Tutto il mio pensiero, tutte le mie cellule ecc sono cambiate nel corso degli anni. Non puoi trovare niente di materiale e nemmeno tra i pensieri che sia rimasto identico. Ritengo invece che nuovamente io "vivo" ossia permango nel cambiamento.
CitazioneTantissime cose nella mia anatomia sono rimaste uguali, anche se costituite da molecole diverse (ma organizzate nello stesso modo, a costituire gli stessi organi, come é tipico dei viventi) i quali sono cambiati solo parzialmente.

D' altra parte non vedo che possa significare "io "vivo" ossia permango nel cambiamento" o "Proprio il fatto che io sia vivente implica che io ogni istante cambio ma ogni istante "conservo" la mia identità"se non che v' è "parte" (aspetti, caratteristiche, ecc,) di me che permane (come é: non cambia) e altra "parte " che cambia.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Duc in altum! il 12 Febbraio 2017, 22:05:27 PM
**  scritto da Angelo Cannata:
CitazioneUna volta che qualsiasi discorso è inesorabilmente inquinato da soggetti che vi entrano da ogni direzione, come possiamo pensare di parlare di una verità indipendente da noi?
Perché abbiamo la stessa origine, respiriamo lo stesso ossigeno, e desideriamo con la stessa fede e la stessa speranza.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 13 Febbraio 2017, 00:32:12 AM
@A.Cannata scrive:

Certo, infatti un vero relativista non dice "tutto è relativo", ma "mi sembra che tutto sia relativo", "forse tutto è relativo". Il relativista non ha certezze, egli getta soltanto dubbi, sospetti. Il problema è che di fronte a questi dubbi la metafisica non ha risposte.

Beh...sembra che nessuno dei due abbia risposte direi  ;D.  Quello che dicono i metafisici è vero o falso ? Quelli che dicono i relativisti è vero o falso? Il riferimento al vero e al falso rimane ineludibile. E se il relativista dice 'dipende' allora 'da cosa dipende'? Se anche vogliamo superare il concetto metafisico di 'verità' con una specie di post-verità(  verità a cui si fa riferimento sia pure come qualcosa che si vuole superare o che, secondo molti, sarebbe già superato), non si può lo stesso sfuggire alla domanda:'ma la post-verità è vera o falsa?' La pretesa relativista di ricondurre tutto nel campo probabilistico dell'interpretazione, della narrazione e delle opzioni di valore mi sembra inutile e non può sfuggire all'obiezione "binaria". Un giudizio su qualunque cosa non può essere vero e falso nello stesso momento. Il realtivismo, a mio parere, non sembra accorgersi della contraddizione logica in cui cade affermando che ' non esistono verità assolute' nello stesso momento affermando ciò che nega e negando ciò che afferma. Sarebbe come affermare : ' E' vero che non esiste nessuna verità assoluta'. E se il relativista obietta:'Ma io non intendo sapere ciò che è vero e ciò che è falso in senso assoluto, in quanto mi sembra non ci sia nulla di vero o di falso in senso assoluto'dovrebbe spiegare  se 'è vero che gli sembra vero non ci sia nulla di vero o di falso in senso assoluto' ricadendo, a mio avviso, nuovamente in contraddizione logica ad libitum. Insuperabile, a mio parere...ma sono un logico inadeguato ovviamente... un semplice viticoltore ;D
Se non c'è alcuna verità..di cosa stiamo parlando? Quindi , parafrasando Wittgenstein."Di ciò che non si può parlare si deve tacere" propongo una settimana di silenzio nella sezione filosofica del forum... ;D ;D ;D ;D    
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Duc in altum! il 13 Febbraio 2017, 01:09:05 AM
**  scritto da Angelo Cannata:
CitazioneNo, il relativismo non può negare l'esistenza della realtà e della verità, altrimenti sarebbe anch'esso una metafisica che avanza certezze. Il relativismo avanza dubbi, sospetti e il problema è che a questi dubbi non vengono date risposte.
"Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le proprie voglie". - (Ratzinger)
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 13 Febbraio 2017, 14:09:16 PM
Citazione di: Apeiron il 12 Febbraio 2017, 19:48:08 PM
Ma le gerarchie sono talmente evidenti che mi sembra assurdo negarle.
Proprio questo è uno dei punti deboli della metafisica: non ha senso stabilire una verità solo perché ci sembra evidentissima e ci sembra assurdo negarla, anche se su tale evidenza l'intera umanità fosse d'accordo: nulla vieta che anche l'intera umanità possa ingannarsi.
Ogni valutazione di evidenza o di assurdità è compiuta dal nostro cervello e il nostro cervello viene a risultare del tutto inaffidabile, poiché è impossibile fare su di esso verifiche, controlli, senza che tali controlli vengano inquinati dall'intromissione del nostro cervello stesso. L'evidenza non può essere considerata fonte di verità.
La scienza si basa su evidenze, ma la scienza non stabilisce verità metafisiche, dogmatiche, da considerare infallibili in eterno.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 13 Febbraio 2017, 14:21:39 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Febbraio 2017, 19:35:44 PMPer il semplice fatto che le regole logiche (più o meno fondamentali che siano), come gli assiomi e le definizioni matematiche sono arbitrariamente stabilite a priori e non oggettivamente rilevate a posteriori
La pretesa coerenza, indubitabilità, infallibilità di un giudizio può essere messa in questione senza bisogno di servirsi di riferimenti a posteriori. È sufficiente far notare che i concetti stessi di coerenza, dubbio, a priori, a posteriori, giudizio, essendo concetti elaborati dal cervello umano, non possono avanzare nessuna pretesa di coerenza, indubitabilità, ecc.
Probabilmente a questo punto mi dirai che io, per poterti rivolgere questa critica, mi sono servito proprio di tali concetti. Ma io non ho nessuna fiducia in tali concetti: io non faccio altro che far interagire tra loro i materiali che tu mi fornisci (concetti, idee, criteri), mostrando che sono essi stessi a condurre all'autonegazione.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 13 Febbraio 2017, 14:37:32 PM
Citazione di: Apeiron il 12 Febbraio 2017, 19:48:08 PMAltro discorso: la metafisica non nega il soggetto o almeno lo nega quanto allo stesso modo della scienza. In entrambi i casi il "soggetto metafisico" da una parte e l' "osservatore" dall'altra in linea di principio vengono presi come "uguali". Per capire cosa sto dicendo si pensi al fatto che nella scienza le osservazioni non devono dipendere dal fatto che le faccia io, il mio vicino o un computer. In ambo i casi si devono fare delle assunzioni che dovrebbero essere chiarite prima di iniziare a teorizzare.
Se la metafisica negasse il soggetto sarebbe già una gran cosa, poiché significherebbe che lo tiene in conto; il problema è che lo trascura, lo ignora, fa finta che non esista.
La scienza si sforza in continuazione di pervenire ad assunti che non dipendano dal soggetto, ma, nel momento in cui qualcuno facesse osservare che un certo teorema scientifico è errato perché fu viziato dall'intromissione del soggetto, essa non si fa problema di riconsiderare il tutto e verificare gli inquinamenti introdotti dai soggetti.
La metafisica no. Nel momento in cui essa pretende di stabilire verità assolute, infallibili, eterne, essa nega la possibilità di ulteriori controlli futuri. È così e basta, non si discute. Se ammettesse discussioni, non sarebbe più metafisica, ma sarebbe scienza. Per chiarire meglio: sia la scienza che la metafisica affermano che esiste un pianeta chiamato Terra. Se però io presento alla scienza il sospetto che tale pianeta smetta di esistere tutte le volte che io non lo guardo, la scienza mi risponde: "Sì, può essere, ma oggi viene a risultare economico, efficace, ai fini della ricerca scientifica, far finta che esso continui ad esistere anche quando non lo guardiamo". La metafisica no. Per la metafisica l'esistenza indipendente dal soggetto è un dogma. Essa mi dice: "Che tu lo creda o no, che tu ci pensi o no, il pianeta Terra esiste sempre, anche quando nessuno lo pensa o lo guarda, poiché, se un oggetto esiste, esso esiste indipendentemente da qualsiasi soggetto; la sua esistenza è oggettiva".
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 13 Febbraio 2017, 14:52:54 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 13 Febbraio 2017, 14:21:39 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Febbraio 2017, 19:35:44 PMPer il semplice fatto che le regole logiche (più o meno fondamentali che siano), come gli assiomi e le definizioni matematiche sono arbitrariamente stabilite a priori e non oggettivamente rilevate a posteriori
La pretesa coerenza, indubitabilità, infallibilità di un giudizio può essere messa in questione senza bisogno di servirsi di riferimenti a posteriori. È sufficiente far notare che i concetti stessi di coerenza, dubbio, a priori, a posteriori, giudizio, essendo concetti elaborati dal cervello umano, non possono avanzare nessuna pretesa di coerenza, indubitabilità, ecc. Probabilmente a questo punto mi dirai che io, per poterti rivolgere questa critica, mi sono servito proprio di tali concetti. Ma io non ho nessuna fiducia in tali concetti: io non faccio altro che far interagire tra loro i materiali che tu mi fornisci (concetti, idee, criteri), mostrando che sono essi stessi a condurre all'autonegazione.


Angelo, non voglio sostituirmi a Sgiombo nella ev.risposta, ma negando valore ai tuoi concetti critici ( io non ho nessuna fiducia in tali concetti) neghi valore alla critica stessa. Infatti tu usi la critica logica per dimostrare che le assunzioni della metafisica non sono verità assolute, cioè usi uno strumento che tu stessi dichiari non valido ( o valido relativamente). Tralasciando il fatto che affermare che uno strumento non è valido stabilisce necessariamente un giudizio sullo strumento adottato e quindi come si può valutare la sua validità, più o meno relativa, se non esiste metro di paragone su ciò che è valido? Anche dire che i concetti sono elaborati dal cervello umano è stabilire una pretesa verità. Come puoi essere certo ( ossia vero o falso?) che il pensiero sia esclusivamente il prodotto di una massa cerebrale? Anche non volendo cominci già ad affermare qualcosa, una "verità" ( la logica è relativa perchè prodotta da un cervello) e lo fai utilizzando uno strumento di cui " non ho nessuna fiducia". E' assolutamente senza senso, a parer mio...
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 13 Febbraio 2017, 14:55:00 PM
Citazione di: Sariputra il 13 Febbraio 2017, 00:32:12 AM
@A.Cannata scrive:

Certo, infatti un vero relativista non dice "tutto è relativo", ma "mi sembra che tutto sia relativo", "forse tutto è relativo". Il relativista non ha certezze, egli getta soltanto dubbi, sospetti. Il problema è che di fronte a questi dubbi la metafisica non ha risposte.

Beh...sembra che nessuno dei due abbia risposte direi  ;D.  Quello che dicono i metafisici è vero o falso ? Quelli che dicono i relativisti è vero o falso? Il riferimento al vero e al falso rimane ineludibile. E se il relativista dice 'dipende' allora 'da cosa dipende'? Se anche vogliamo superare il concetto metafisico di 'verità' con una specie di post-verità(  verità a cui si fa riferimento sia pure come qualcosa che si vuole superare o che, secondo molti, sarebbe già superato), non si può lo stesso sfuggire alla domanda:'ma la post-verità è vera o falsa?' La pretesa relativista di ricondurre tutto nel campo probabilistico dell'interpretazione, della narrazione e delle opzioni di valore mi sembra inutile e non può sfuggire all'obiezione "binaria". Un giudizio su qualunque cosa non può essere vero e falso nello stesso momento. Il realtivismo, a mio parere, non sembra accorgersi della contraddizione logica in cui cade affermando che ' non esistono verità assolute' nello stesso momento affermando ciò che nega e negando ciò che afferma. Sarebbe come affermare : ' E' vero che non esiste nessuna verità assoluta'. E se il relativista obietta:'Ma io non intendo sapere ciò che è vero e ciò che è falso in senso assoluto, in quanto mi sembra non ci sia nulla di vero o di falso in senso assoluto'dovrebbe spiegare  se 'è vero che gli sembra vero non ci sia nulla di vero o di falso in senso assoluto' ricadendo, a mio avviso, nuovamente in contraddizione logica ad libitum. Insuperabile, a mio parere...ma sono un logico inadeguato ovviamente... un semplice viticoltore ;D
Se non c'è alcuna verità..di cosa stiamo parlando? Quindi , parafrasando Wittgenstein."Di ciò che non si può parlare si deve tacere" propongo una settimana di silenzio nella sezione filosofica del forum... ;D ;D ;D ;D   
Non è necessario stabilire l'essere vera o falsa di una cosa per poterne parlare. Wittgenstein è rimasto vittima del suo modo di pensare estremistico, sì o no, tutto o niente; io rispondo: di ciò di cui non si può parlare si può tentare di parlare, poiché si può sempre scoprire che il non poterne parlare non era totale.
Inoltre è il caso di dire anche a te ciò che ho appena detto a sgiombo: il demolire la metafisica da parte del relativista consiste nel far interagire tra di loro gli elementi che la metafisica stessa fornisce. Ciò non significa che per me tali elementi siano validi. In altre parole, è come se uno mi presentasse un macchinario e mi dicesse che tale macchinario funziona molto bene. Provo a farlo funzionare e gli faccio vedere: "Vedi? Il tuo macchinario funziona molto bene solo fin quando non gli fai compiere certe azioni che tu dici che esso è capace di compiere; invece ti sto facendo vedere che, facendogli compiere tali azioni, il tuo macchinario va in tilt; dunque non è vero che il tuo macchinario funziona molto bene". A quel punto ciò che interessa a me non è aver guadagnato io la certezza che quel macchinario non funziona; io non sono affatto sicuro che non funzioni; ho solo provato a farlo funzionare e ho fatto vedere che va in tilt. Può darsi che quell'andare in tilt sia un mio inganno. Ma a me non interessa guadagnare la certezza che quel macchinario va in tilt; a me interesssa destabilizzare chi avanza pretese di stabilità, m'interessa creare crisi, smascherare malfunzionamenti; in tutto ciò io non ho alcuna certezza, né ho interesse ad averne.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 13 Febbraio 2017, 14:57:04 PM
Sariputra, non avevo letto il tuo ultimo messaggio, ma mi sembra che la risposta che ho appena dato a quello tuo precedente si applichi anche a questo tuo ultimo.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 13 Febbraio 2017, 15:30:18 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 13 Febbraio 2017, 14:55:00 PM
Citazione di: Sariputra il 13 Febbraio 2017, 00:32:12 AM@A.Cannata scrive: Certo, infatti un vero relativista non dice "tutto è relativo", ma "mi sembra che tutto sia relativo", "forse tutto è relativo". Il relativista non ha certezze, egli getta soltanto dubbi, sospetti. Il problema è che di fronte a questi dubbi la metafisica non ha risposte. Beh...sembra che nessuno dei due abbia risposte direi ;D. Quello che dicono i metafisici è vero o falso ? Quelli che dicono i relativisti è vero o falso? Il riferimento al vero e al falso rimane ineludibile. E se il relativista dice 'dipende' allora 'da cosa dipende'? Se anche vogliamo superare il concetto metafisico di 'verità' con una specie di post-verità( verità a cui si fa riferimento sia pure come qualcosa che si vuole superare o che, secondo molti, sarebbe già superato), non si può lo stesso sfuggire alla domanda:'ma la post-verità è vera o falsa?' La pretesa relativista di ricondurre tutto nel campo probabilistico dell'interpretazione, della narrazione e delle opzioni di valore mi sembra inutile e non può sfuggire all'obiezione "binaria". Un giudizio su qualunque cosa non può essere vero e falso nello stesso momento. Il realtivismo, a mio parere, non sembra accorgersi della contraddizione logica in cui cade affermando che ' non esistono verità assolute' nello stesso momento affermando ciò che nega e negando ciò che afferma. Sarebbe come affermare : ' E' vero che non esiste nessuna verità assoluta'. E se il relativista obietta:'Ma io non intendo sapere ciò che è vero e ciò che è falso in senso assoluto, in quanto mi sembra non ci sia nulla di vero o di falso in senso assoluto'dovrebbe spiegare se 'è vero che gli sembra vero non ci sia nulla di vero o di falso in senso assoluto' ricadendo, a mio avviso, nuovamente in contraddizione logica ad libitum. Insuperabile, a mio parere...ma sono un logico inadeguato ovviamente... un semplice viticoltore ;D Se non c'è alcuna verità..di cosa stiamo parlando? Quindi , parafrasando Wittgenstein."Di ciò che non si può parlare si deve tacere" propongo una settimana di silenzio nella sezione filosofica del forum... ;D ;D ;D ;D
Non è necessario stabilire l'essere vera o falsa di una cosa per poterne parlare. Wittgenstein è rimasto vittima del suo modo di pensare estremistico, sì o no, tutto o niente; io rispondo: di ciò di cui non si può parlare si può tentare di parlare, poiché si può sempre scoprire che il non poterne parlare non era totale. Inoltre è il caso di dire anche a te ciò che ho appena detto a sgiombo: il demolire la metafisica da parte del relativista consiste nel far interagire tra di loro gli elementi che la metafisica stessa fornisce. Ciò non significa che per me tali elementi siano validi. In altre parole, è come se uno mi presentasse un macchinario e mi dicesse che tale macchinario funziona molto bene. Provo a farlo funzionare e gli faccio vedere: "Vedi? Il tuo macchinario funziona molto bene solo fin quando non gli fai compiere certe azioni che tu dici che esso è capace di compiere; invece ti sto facendo vedere che, facendogli compiere tali azioni, il tuo macchinario va in tilt; dunque non è vero che il tuo macchinario funziona molto bene". A quel punto ciò che interessa a me non è aver guadagnato io la certezza che quel macchinario non funziona; io non sono affatto sicuro che non funzioni; ho solo provato a farlo funzionare e ho fatto vedere che va in tilt. Può darsi che quell'andare in tilt sia un mio inganno. Ma a me non interessa guadagnare la certezza che quel macchinario va in tilt; a me interesssa destabilizzare chi avanza pretese di stabilità, m'interessa creare crisi, smascherare malfunzionamenti; in tutto ciò io non ho alcuna certezza, né ho interesse ad averne.

Ma come fai a stabilire che è andato in tilt? Su cosa basi la tua affermazione " è andato in tilt"? Sulla critica alla logica del macchinario, giusto? E se anche ogni macchinario che ti si presenta andasse in tilt come puoi dire che ogni macchinario che potrà essere prodotto andrà in tilt? Puoi solo dire , per adesso, , tutti i macchinari che mi sono stati presentati, a parer mio, sono andati in tilt, però non posso sapere se arriveranno macchinari che non andranno, a parer mio, in tilt. Il problema potrebbe essere relativo al produttore di macchinari e non al concetto di macchinario. Ossia potrebbe darsi un problema di qualità del metafisico e non della metafisica in sè. Non mi sembra che, nel mondo, ci sia un così grosso bisogno di destabilizzazioni e di creare crisi...forse potresti scoprire che non è così confortevole come pensi il caos totale  ;D ;D ;D  
E' curioso che ti dai così pena di sostenere il tuo relativismo non avendo "alcuna certezza, né ho interesse ad averne. " Sembra quasi una fede nel relativismo... :D Scherzo, ovviamente...
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 13 Febbraio 2017, 15:33:10 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 13 Febbraio 2017, 14:21:39 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Febbraio 2017, 19:35:44 PMPer il semplice fatto che le regole logiche (più o meno fondamentali che siano), come gli assiomi e le definizioni matematiche sono arbitrariamente stabilite a priori e non oggettivamente rilevate a posteriori
La pretesa coerenza, indubitabilità, infallibilità di un giudizio può essere messa in questione senza bisogno di servirsi di riferimenti a posteriori. È sufficiente far notare che i concetti stessi di coerenza, dubbio, a priori, a posteriori, giudizio, essendo concetti elaborati dal cervello umano, non possono avanzare nessuna pretesa di coerenza, indubitabilità, ecc.
Probabilmente a questo punto mi dirai che io, per poterti rivolgere questa critica, mi sono servito proprio di tali concetti. Ma io non ho nessuna fiducia in tali concetti: io non faccio altro che far interagire tra loro i materiali che tu mi fornisci (concetti, idee, criteri), mostrando che sono essi stessi a condurre all'autonegazione.
CitazioneLa verità di un giudizio sintetico a posteriori in generale può essere messa in dubbio (e non negata con certezza) perché in linea di principio la realtà potrebbe sempre essere diversa da come il giudizio stesso afferma che sia (cioé il giudizio sintetico a posteriori potrebbe essere falso; oltre a poter essere vero).
Ma assiomi e definizioni, come le regole logiche (fra cui il principio di non contraddizione), da cui si deducono i giudizi analitici a priori, non dicono nulla di come sia o meno la realtà, non sono (pretese) conoscenze (della realtà) che potrebbero essere vero o false (a seconda dei casi).
Sono certi ma non sono conoscenze.
"Pagano" per così dire la loro certezza con la loro inevitabile "sterilità conoscitiva della realtà"; mentre i giudizi sintetici a posteriori "pagano" la loro "fecondità conoscitiva della realtà" con la loro inevitabile incertezza.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 13 Febbraio 2017, 15:48:37 PM
Citazione di: Sariputra il 13 Febbraio 2017, 14:52:54 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 13 Febbraio 2017, 14:21:39 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Febbraio 2017, 19:35:44 PMPer il semplice fatto che le regole logiche (più o meno fondamentali che siano), come gli assiomi e le definizioni matematiche sono arbitrariamente stabilite a priori e non oggettivamente rilevate a posteriori
La pretesa coerenza, indubitabilità, infallibilità di un giudizio può essere messa in questione senza bisogno di servirsi di riferimenti a posteriori. È sufficiente far notare che i concetti stessi di coerenza, dubbio, a priori, a posteriori, giudizio, essendo concetti elaborati dal cervello umano, non possono avanzare nessuna pretesa di coerenza, indubitabilità, ecc. Probabilmente a questo punto mi dirai che io, per poterti rivolgere questa critica, mi sono servito proprio di tali concetti. Ma io non ho nessuna fiducia in tali concetti: io non faccio altro che far interagire tra loro i materiali che tu mi fornisci (concetti, idee, criteri), mostrando che sono essi stessi a condurre all'autonegazione.


Angelo, non voglio sostituirmi a Sgiombo nella ev.risposta, ma negando valore ai tuoi concetti critici ( io non ho nessuna fiducia in tali concetti) neghi valore alla critica stessa. Infatti tu usi la critica logica per dimostrare che le assunzioni della metafisica non sono verità assolute, cioè usi uno strumento che tu stessi dichiari non valido ( o valido relativamente). Tralasciando il fatto che affermare che uno strumento non è valido stabilisce necessariamente un giudizio sullo strumento adottato e quindi come si può valutare la sua validità, più o meno relativa, se non esiste metro di paragone su ciò che è valido? Anche dire che i concetti sono elaborati dal cervello umano è stabilire una pretesa verità. Come puoi essere certo ( ossia vero o falso?) che il pensiero sia esclusivamente il prodotto di una massa cerebrale? Anche non volendo cominci già ad affermare qualcosa, una "verità" ( la logica è relativa perchè prodotta da un cervello) e lo fai utilizzando uno strumento di cui " non ho nessuna fiducia". E' assolutamente senza senso, a parer mio...

CitazioneBeh, io ho dato una risposta un po' diversa, ma mi sembra che si integri benissimo con questa tua.
Che mi suggerisce di ripetere ancora una volta che lo scetticismo per essere conseguente deve essere inteso come sospensione del giudizio, come dubbio assoluto e universale (anche circa se stesso); mentre pretendere di affermare che nulla é conosciuto (anziché che di nulla, di nessuna conoscenza può aversi certezza ma di tutto si può dubitare) é autocontraddittorio, e dunque senza senso, dal momento che tale affermazione implica inevitabilmente che, se é vera, allora pure essa stessa ("nulla é conosciuto") non é conoscenza, cioé che é falsa: é una (pretesa) affermazione che nega se stessa (= letteralmente un' atutocontraddizione).
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 13 Febbraio 2017, 16:08:07 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 13 Febbraio 2017, 14:55:00 PM
Citazione di: Sariputra il 13 Febbraio 2017, 00:32:12 AM
@A.Cannata scrive:

il demolire la metafisica da parte del relativista consiste nel far interagire tra di loro gli elementi che la metafisica stessa fornisce. Ciò non significa che per me tali elementi siano validi.


CitazioneSgiombo:
dunque il "relativista" (secondo te) pretenderebbe di demolire la "metafisica" (nel senso decisamente personale in cui la intendi tu, cioé come necessariamente dogmatica) per mezzo di (facendo interagire fra loro) elementi forniti dalla metafisica stessa che (secondo te) non sono validi: demolizione non riuscita perché impossibile con tali mezzi!

Infatti questo é un circolo vizioso: se la metafisica ha pretese di verità infondate, se é falsa, allora non può fornire al "relativista" alcuno strumento teorico in grado di dimostrare alcunché, compresa la falsità della metafisica stessa (in grado cioé di demolire la metafisica).

CitazioneAngelo Cannata:
In altre parole, è come se uno mi presentasse un macchinario e mi dicesse che tale macchinario funziona molto bene. Provo a farlo funzionare e gli faccio vedere: "Vedi? Il tuo macchinario funziona molto bene solo fin quando non gli fai compiere certe azioni che tu dici che esso è capace di compiere; invece ti sto facendo vedere che, facendogli compiere tali azioni, il tuo macchinario va in tilt; dunque non è vero che il tuo macchinario funziona molto bene". A quel punto ciò che interessa a me non è aver guadagnato io la certezza che quel macchinario non funziona; io non sono affatto sicuro che non funzioni; ho solo provato a farlo funzionare e ho fatto vedere che va in tilt. Può darsi che quell'andare in tilt sia un mio inganno. Ma a me non interessa guadagnare la certezza che quel macchinario va in tilt; a me interesssa destabilizzare chi avanza pretese di stabilità, m'interessa creare crisi, smascherare malfunzionamenti; in tutto ciò io non ho alcuna certezza, né ho interesse ad averne.


CitazioneSgiombo:
I giudizi analitici a priori funzionano benissimo in ambito logico-matematico (che é la loro funzione).

Metterli in dubbio perché inefficaci o fallimentari in quanto strumenti o metodi di conoscenza della realtà (che non é affatto il loro scopo) sarebbe come pretendere di dire che una macchina per grattuggiare il formaggio non funziona per il fatto che con essa non si riesce a tagliare una tela o a stappare una bottiglia.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 13 Febbraio 2017, 18:00:20 PM
La cosa più difficile è sicuramente capire che tale risoluzione iniziale, come anche le mie spiegazioni passate, presenti e future, sono inconcepibili ed esulano dall'attuale dominio del nichilismo occidentale.
Avete scritto tanto e non posso rispondere ad ognuno, però cerco di riportarvi alcuni passaggi che possono aiutare nell'immergersi in questo nuovo modo di fare filosofia. 
Il resto purtroppo, per quanto possiate trovare risposte nel libro da cui la citazione in apertura, qui non le riporto... mi chiederebbero uno sforzo di ricerca nel libro non indifferente e che non mi posso permettere in questo periodo.

CONSERVAZIONE DEL PASSATO
«Il risultato del divenire conserva sia l'esser divenuto che l'origine da cui diviene, diversamente (come Severino) il risultato non sarebbe un mediato del divenire, ma un qualcosa che si dà immediatamente, senza alcun passaggio diveniente.
Nel risultato del divenire, dunque, come in qualunque altro risultato, debbono conservarsi i valori per cui il risultato è tale (divenuto), ma non è nel particolare risultato preso in esame che si deve conservare necessariamente la totalità di ciò da cui il risultato si dà. Ovvero: la totalità di ciò che dà un risultato può in parte conservarsi anche nell'ambiente esterno a quel particolare risultato, se vi è un ambiente esterno. Per esempio: [...]»

VALORE DEL NULLA ASSOLUTO
La sopra definizione si poggia sulla non esistenza del nulla in assoluto, cioè sul fatto che nulla si dà dal nulla o finisce nel nulla, poiché non esiste. Cosicché del nulla non si può dire nulla e qualunque pensare il nulla non è altro che pensare a qualcosa che non è nulla: essendo impossibile pensare senza l'oggetto pensato, allora il nulla assoluto, non essendo alcun oggetto, non può essere pensato.
La sopra soluzione della domanda iniziale, poggia semplicemente sul concetto di nulla inteso in assoluto. Pertanto non si potrà mai coglierla fin quando si continua nichilisticamente a pensare che il nulla sia qualcosa da cui si dà altro o in cui è possibile accadere: il nulla non accade e tutto ciò che accade non è nulla. Di conseguenza è possibile solo l'accadere di ciò che ha valore, quindi è.
Sotto questo punto di partenza, possiamo sospendere la definizione di tutto ciò che è (dai suoi apparenti paradossi alle  altre varie problematice), in quanto la definizione in apertura, mira solo a definire la necessità dell'essere davanti all'impossibilità dell'accadere del nulla. Quindi sotto questo punto di vista a noi è sufficiente affermare il nulla assoluto come qualcosa che di principio è impossibile a qualunque definizione (sia reale che immaginaria). Cosicché noterete che qualunque mia definizione del nulla altro non è che la definizione della sua impossibilità definitoria: similmente a come si definisce che il rotondo-quadrato non è di principio definibile perché impossibile. E, ripeto, non si può comprendere la definizione di apertura se non si accetta il detto presupposto: A=A. Il che è naturalmente incomprensibile alla filosofia di natura nichilista.
[maggiori dettagli su Mondo. Srutture portanti]


DIFFERENZA FRA PENSIERO E REALE
«è vero ciò che accade nel mondo psicofisico (verità fisico-concettuale) ed è falso ciò che accade solo nel mondo immaginifico (es. sogno)» 

«non sempre l'ordine e la connessione dei nostri concetti sono uguali all'ordine e alla connessione delle cose; solo quando il nostro concetto sia la verità dell'oggetto (o rapporto) trattato»

RICONCILIAZIONE FRA OGGETTO E SOGGETTO
Vi consiglio la lettura gratuita di questo mio saggio dove tratto alcune soluzione dell'argomento
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 13 Febbraio 2017, 18:51:11 PM
Citazione di: Sariputra il 13 Febbraio 2017, 15:30:18 PMMa come fai a stabilire che è andato in tilt?
La critica alla metafisica avviene sempre dal di dentro, poiché il linguaggio umano, nel suo uso quotidiano è metafisico. È per questo che la gente comune rimane molto sorpresa quando dico che quel tavolo forse non esiste. Io e il mio interlocutore ci troviamo entrambi dentro lo stesso linguaggio metafisico, il quale dà per scontato che quel tavolo lì esiste per conto proprio. Ciò che io faccio è far funzionare tale linguaggio, che è un linguaggio non solo di parole, ma anche di concetti, idee che interagiscono tra di loro. Ci sono delle interazioni che il mio interlocutore non ha sperimentato. Io le metto in moto e gli faccio vedere: "Vedi? Il linguaggio metafisico, che è quello di cui io e te ci serviamo tutti i giorni, se viene fatto interagire così e così, mostra di andare in tilt". Nel dettaglio: il metafisico dice: "Io, usando il mio cervello, sono in grado di produrre affermazioni indipendenti dal mio cervello; dico che quel tavolo è lì e ho prodotto un'affermazione indipendente dal mio cervello, perché quel tavolo è lì che io ci pensi o no". Allora io obietto: "Ma se tu stesso ammetti che ogni volta che devi esprimere un'affermazione non puoi fare a meno di usare il tuo cervello, come puoi dire di poter produrre affermazioni indipendenti dal tuo cervello?".
In tutto questo procedimento io ho continuato a muovermi all'interno della metafisica, ho agito da metafisico. Infatti è la metafisica stessa, se usata in maniera completa, a condurre alla negazione di se stessa.
A quel punto io decido di prendere le distanze dalla metafisica e prendo la via del relativismo.
Siccome però il linguaggio comune rimane di stampo metafisico, mi troverò costretto, per esprimere la mia presa di distanze, a continuare ad usare concetti metafisici, quali il verbo essere, il principio di non contraddizione ecc. Questa è la situazione che mi costringe a parlare in maniere che non possono non apparire contraddittorie. Infatti, se dico "Non ho certezze" la frase può subito essere accusata di avanzare proprio se stessa come pretesa di certezza; se dico "mi sembra", si può sospettare che quel "mi sembra" venga detto come certezza. Ora, io ammetto senza problemi questa contraddittorietà del linguaggio. Il problema è che il metasifico non ammette le sue contraddittorietà e di fronte alle mie obiezioni non offre risposte in grado di reggere ad ulteriore critica.
La situazione dunque è questa: la metafisica è oggetto di obiezioni all'infinito, può essere demolita all'infinito; il relativismo non può essere demolito, perché esso stesso è già fatto di macerie sparse qua e là, che sono i residui della demolizione della metafisica, che il relativista ha operato in se stesso. In questo senso la demolizione della metafisica non può essere mai considerata dal relativismo un dato di fatto avvenuto, certo e sicuro, poiché ciò significherebbe da parte del relativismo avanzare la pretesa di una certezza metafisica. La demolizione della metafisica è sempre in atto. Tutt'al più, il relativismo la può sospettare come un dato di fatto perché il relativismo continua a servirsi di categorie metafisiche, non potendone fare a meno.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 13 Febbraio 2017, 19:07:11 PM
Citazione di: sgiombo il 13 Febbraio 2017, 15:33:10 PMLa verità di un giudizio sintetico a posteriori in generale può essere messa in dubbio (e non negata con certezza) perché in linea di principio la realtà potrebbe sempre essere diversa da come il giudizio stesso afferma che sia (cioé il giudizio sintetico a posteriori potrebbe essere falso; oltre a poter essere vero).
Ma assiomi e definizioni, come le regole logiche (fra cui il principio di non contraddizione), da cui si deducono i giudizi analitici a priori, non dicono nulla di come sia o meno la realtà, non sono (pretese) conoscenze (della realtà) che potrebbero essere vero o false (a seconda dei casi).
Sono certi ma non sono conoscenze
Non è detto che l'unico modo di dubitare sia operare un confronto con la realtà. Io posso gettare un dubbio semplicemente mettendo a confronto gli assiomi che il mio interlocutore mi presenta e mostrando che essi non danno come risultato l'assioma che egli mi presenta come risultato. Per esempio, se il mio interlocutore mi presenta l'intero gruppo di assiomi di tutta la matematica, e aggiunge che uno dei risultati è che 2 + 2 = 5, io non vado a prendere 2 + 2 mele, non vado alla realtà. Seplicemente metto in funzione gli assiomi della matematica, li faccio interagire tra di loro e gli faccio vedere che 2 + 2 = 5 è incompatibile con gli assiomi che egli stesso mi ha fornito.
Potrebbe darsi un'altra situazione: il mio interlocutore potrebbe benissimo inventare una matematica che contiene come eccezione straordinaria l'assioma che 2 + 2 = 5. È ciò che tu chiami arbitrarietà. Quest'esempio evidenzia però la soggettività di quel sistema arbitrariamente inventato. Cioè, se dici che quella speciale matematica in cui 2 + 2 fa 5 è indubitabile, non puoi fare a meno di ammettere che è indubitabile solo per chi accetta di stare alle regole di quel gioco: non è un'indubitabilità oggettiva.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 13 Febbraio 2017, 19:20:14 PM
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 13 Febbraio 2017, 18:00:20 PMIl risultato del divenire conserva sia l'esser divenuto che l'origine da cui diviene, diversamente (come Severino) il risultato non sarebbe un mediato del divenire, ma un qualcosa che si dà immediatamente, senza alcun passaggio diveniente.
È quanto meno inadeguato pensare di parlare del divenire utilizzando categorie statiche, quali sono il verbo essere, l'articolo determinativo, le categorie di "concetto", "risultato", i sostantivi.
Il nostro linguaggio è frutto di un'approssimazione, l'approssimazione che ci permette di dire che ore sono, pur sapendo che è impossibile isolare un momento statico in cui quell'ora esatta era afferrabile.
Con ciò non voglio vietare che si parli del divenire, a patto che lo si faccia con consapevolezza dell'inadeguatezza di ciò che stiamo esprimendo. Quando diciamo che ore sono, lo facciamo con riserva di un po' di inadeguatezza. Questa consapevolezza di inadeguatezza non è ammessa dalla metafisica e ciò le fa prestare il fianco in continuazione a critiche di ogni genere.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Apeiron il 13 Febbraio 2017, 19:33:54 PM
Mi spiace ma mi trovo in una situazione per cui posso scrivere poco, quindi spero che la qualità di quanto scriverò in questo post non rispecchi la quantità  ;D 

Primo: criticare la metafisica perchè "pretende" di assolutizzare le verità che sono tali solo in certe prospettive si basa sul presupposto che la metafisica debba necessariamente parlare solo di una realtà assoluta, ossia indipendente dalle prospettive. Il prospettivismo una sorta di versione "metafisica" del relativismo sostiene che pur non essendoci una realtà assoluta è possibile usare la metafisica (ossia il modo di spiegare la realtà tramite distinzioni/enti) anche solo per stabilire ciò che è vero secondo le varie prospettive. Per questo motivo ritengo doveroso "creare" una sorta di "teoria" (mappa) che in qualche modo tenta di descrivere il mondo-come-lo-vedo-io (territorio). Ma visto che mi pare impossibile costruire mappe senza usare i concetti della metafisica - ossia dividere la realtà in enti - allora la metafisica sono costretto ad utilizzarla comunque, per quanto la cosa possa darmi fastidio. Il discorso semmai si sposta sulla seguente domanda: la mappa è più simile ad una "approssimazione" della realtà o ad un semplice modello concettuale? Ossia: le mappe che creo hanno la stessa forma, una forma simile o completamente diversa dal territorio. Visto che a tale domanda non possiamo mai avere risposta (la quale risposta sarebbe infatti un'altra mappa) mi fa scegliere di ritenere la teoria una approssimazione della realtà, per quanto imperfetta essa sia. Certo mi rendo conto che è un'approssimazione ma questo spiega perchè certe approssimazioni sono meglio di altre nel confronto con la realtà.

Secondo: il concetto di prospettiva implica il concetto di soggetto, il quale è un concetto metafisico. Se si ritiene la metafisica superata bisogna anche superare il soggetto e le prospettive. Frasi come "mi sembra", "secondo me" ecc in realtà sono ancora metafisiche. Perciò il relativismo non è un vero superamento della metafisica, quanto invece una metafisica mascherata. Nuovamente certe interpretazioni del buddismo (scusami Sariputra se lo cito  ;D ) ci vengono in aiuto: negando il soggetto si nega anche l'oggetto e ciò che rimane è la Realtà Ineffabile sulla quale si deve stare in silenzio (e così ci ho messo anche il buon Ludwig Wittgenstein  ;D ).

Terzo: il problema del concetto di Essere è appunto che come opposto ha il concetto di Non-Essere o Nulla. Ma se il Nulla Non è allora non può essere nemmeno pensato. Motivo per cui non può essere nemmeno pensato l'Essere.  Essere e Nulla perciò sono "fuori dalla filosofia" nel senso che sono pseudo-concetti che indicano che la filosofia non potrà descrivere tutto. Se tenta di farlo cade in contraddizioni (dove non sono previste), insensatezze ecc. Come direbbe L.W. "il linguaggio è andato in vacanza". Per evitare che il linguaggio vada in vacanza è meglio tacere.

Quarto: la contraddizione è inseparabile secondo me dal divenire. Per comprendere questa mia affermazione chiedo a tutti di non identificare per forza il proprio sé con qualche elemento stabile del proprio corpo o della propria mente bensì proprio con l'atto di vivere. Ma le parole e i concetti in realtà sono fissi e "morti" mentre l'esperienza vivente è "mobile", "viva" ecc Motivo per cui o si accetta la dialeteia oppure nuovamente si deve accettare che domande come "esiste un io?" sono in realtà insolubili oppure addirittura insensate. Perciò o si usa la dialeteia oppure come nel caso di Essere e Nulla l'io è uno pseudoconcetto che indica qualcosa di "oltre", qualcosa di incomprensibile, di ineffabile. Perciò risulterebbe che l'io, l'Essere, il Nulla e "concetti" simili in realtà sono come il famoso "dito che indica la Luna" della filosofia Zen.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 13 Febbraio 2017, 19:46:17 PM
Citazione di: Apeiron il 13 Febbraio 2017, 19:33:54 PMSecondo: il concetto di prospettiva implica il concetto di soggetto, il quale è un concetto metafisico.
Il relativismo è uno sbocco della metafisica portata alle sue conseguenze. Non può esistere relativismo che non si basi sulla metafisica. Il relativista è un metafisico che tiene conto del soggetto, considerato metafisicamente, quindi esistente, oggettivo, parte del processo di comprensione. Tenendo conto di tutto ciò, il metafisico critico si accorge che l'intromissione del soggetto rende impossibile parlare di oggettività. Allora il metafisico critico demolisce la propria metafisica e persegue un ricercare che si sforza in continuazione di evitare certezze, oggettivismi, assolutizzazioni. È solo uno sforzo, poiché, come ho già detto in un altro post qui sopra, il nostro linguaggio nasce metafisico e non ci possiamo spogliare di esso.
Dunque, il concetto di soggetto è, sì, in partenza, metafisico, ma successivamente il relativista lo include tra le macerie che sono il risultato della demolizione della metafisica. Attenzione che macerie non significa nulla: macerie sono le idee, di cui è impossibile fare a meno; solo che il metafisico ritiene che esse stiano in piedi benissimo.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 13 Febbraio 2017, 20:12:15 PM
Angelo, allora non sei un relativista ma un metafisico critico! Sono sollevato... ;D ;D 
A parte gli scherzi, se il linguaggio è metafisico e per comunicare bisogna usarlo, l'unica alternativa coerente per il relativista è stare in silenzio ( o non usa il linguaggio per comunicare qualcosa, attraverso quindi la pittura , la scultura, ecc.). Non se ne scappa, secondo me, altrimenti cade continuamente in contraddizione, perché tutto quello che vuole negare in realtà finisce per affermare qualcos'altro. Apeiron cita la filosofia buddhista e proprio nell' Abhidamma c'è un approfondimento continuo di tutta la problematica del relativismo che porta al nichilismo, dimostrandone l'inconsistenza logica e formale.
L'inconsistenza si rivela in questa frase:
 il relativismo non può essere demolito, perché esso stesso è già fatto di macerie sparse qua e là, che sono i residui della demolizione della metafisica, che il relativista ha operato in se stesso.

Con un paragone sembra la descrizione di un uomo che, per evitare di essere castrato, si frantumi personalmente i gioielli.... ;D
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 13 Febbraio 2017, 20:49:18 PM
Chi ha detto che per poter parlare si debba essere coerenti? Il relativista sa perfettamente di essere incoerente, contraddittorio, inconsistente. Il problema è che il metafisico invece non accetta di ammettere anche lui la propria inconsistenza e contraddittorietà. E allora il relativista, il quale conosce le debolezze della metafisica, essendo lui stato in precedenza un metafisico, per nascita, per linguaggio che tutti noi assorbiamo, si può dire, insieme al latte materno, gli pone le critiche.

L'esperienza, il cammino compiuto dal relativista, ex metafisico, lo induce a trattare la coerenza totale, perfetta, assoluta, come qualcosa di impossibile. Appena apriamo la bocca, anzi, appena mettiamo in moto la mente, la prima condizione da accettare è quella di essere dalla mattina alla sera tutti incoerenti e contraddittori. C'è uno strumento utilissimo che ci permette di superare ciò ed è l'approssimazione: sono le 7; lì c'è un tavolo. Come affermazioni approssimative vanno benissimo, l'esperienza ce lo conferma. Ma la metafisica non accetta di essere tacciata di approssimazione; essa reclama di essere assoluta, perfetta, oggettiva, indiscutibile.
Ho detto "trattare", "trattare come se...", non "considerare", poiché "considerare" significherebbe pensare come metafisici.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 13 Febbraio 2017, 21:17:56 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 13 Febbraio 2017, 19:07:11 PM
Citazione di: sgiombo il 13 Febbraio 2017, 15:33:10 PMLa verità di un giudizio sintetico a posteriori in generale può essere messa in dubbio (e non negata con certezza) perché in linea di principio la realtà potrebbe sempre essere diversa da come il giudizio stesso afferma che sia (cioé il giudizio sintetico a posteriori potrebbe essere falso; oltre a poter essere vero).
Ma assiomi e definizioni, come le regole logiche (fra cui il principio di non contraddizione), da cui si deducono i giudizi analitici a priori, non dicono nulla di come sia o meno la realtà, non sono (pretese) conoscenze (della realtà) che potrebbero essere vero o false (a seconda dei casi).
Sono certi ma non sono conoscenze
Non è detto che l'unico modo di dubitare sia operare un confronto con la realtà. Io posso gettare un dubbio semplicemente mettendo a confronto gli assiomi che il mio interlocutore mi presenta e mostrando che essi non danno come risultato l'assioma che egli mi presenta come risultato. Per esempio, se il mio interlocutore mi presenta l'intero gruppo di assiomi di tutta la matematica, e aggiunge che uno dei risultati è che 2 + 2 = 5, io non vado a prendere 2 + 2 mele, non vado alla realtà. Seplicemente metto in funzione gli assiomi della matematica, li faccio interagire tra di loro e gli faccio vedere che 2 + 2 = 5 è incompatibile con gli assiomi che egli stesso mi ha fornito.
Potrebbe darsi un'altra situazione: il mio interlocutore potrebbe benissimo inventare una matematica che contiene come eccezione straordinaria l'assioma che 2 + 2 = 5. È ciò che tu chiami arbitrarietà. Quest'esempio evidenzia però la soggettività di quel sistema arbitrariamente inventato. Cioè, se dici che quella speciale matematica in cui 2 + 2 fa 5 è indubitabile, non puoi fare a meno di ammettere che è indubitabile solo per chi accetta di stare alle regole di quel gioco: non è un'indubitabilità oggettiva.
CitazioneGli assiomi non dimostrano altri assiomi.
Gli assiomi non sono risultati di dimostrazioni bensì punti di partenza indimostrati per operare deduttivamente dimostrazioni, per dimostrare teoremi, mediante giudizi analitici a priori.

Dimostrando che 2 + 2 = 5 é incompatibile con gli assiomi della matematica "semplicemente metti in funzione gli assiomi della matematica", operando una corretta deduzione da essi, certa circa i concetti matematici puri e che nulla ti dice (nulla ti permette di conoscere) della realtà (reale e non meramente concettuale).

Non mi é possibile immaginare che cosa potrebbe essere un eventuale sistema assiomatico che implica la possibilità che 2 + 2 = 5 (ma come assioma indimostrato oppure come teorema dimostrato da -altri- assiomi?).
Bisognerebbe che per "2" e/o per "+", e/o "=" e/o per "5" in esso si intendano altri concetti, diversi da quelli comunemente intesi per convenzione linguistica; e dunque per poter capire la proposta il proponente dovrebbe tradurmeli (letteralmente) in italiano corrente o ancor meglio in un linguaggio matematico formale a me noto.
Altrimenti non posso proprio capire che cosa mi sta proponendo, di cosa stia parlando, che stia dicendo, esattamente come non potrei capire un discorso in lingua cinese (che ignoro completamente).

Comunque (come ho sempre sostenuto a chiare lettere) é vero che le verità logiche e matematiche ("pure") sono analitiche a priori e come tali sono in tantissimi casi certe, indubitabili, ma solo come relazioni di compatibilità fra concetti arbitrariamente assunti secondo regole di compatibilità arbitrariamente assunte (e fra l' altro, come ha dimostrato Goedel, senza che ciò eviti anche affermazioni di cui é impossibile stabilire se siano compatibili o incompatibili con le altre nel sistema); e comunque non come conoscenze (circa come é o come non é ovvero come diviene o come non diviene la realtà).

Trattandosi di correttezza logica, "interna al discorso", e non riguardando i rapporti di verità o di falsità fra il discorso (soggettivo: del soggetto eventualmente conoscente, attraverso di esso, la realtà) e la realtà oggettiva "ad esso esterna" (da esso distinta e da esso predicata essere o divenire in qualche modo) non ha senso parlare di soggettività e/od oggettività a questo proposito.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 13 Febbraio 2017, 21:35:36 PM
Citazione di: sgiombo il 13 Febbraio 2017, 21:17:56 PMTrattandosi di correttezza logica, "interna al discorso", e non riguardando i rapporti di verità o di falsità fra il discorso (soggettivo: del soggetto eventualmente conoscente, attraverso di esso, la realtà) e la realtà oggettiva "ad esso esterna" (da esso distinta e da esso predicata essere o divenire in qualche modo) non ha senso parlare di soggettività e/od oggettività a questo proposito.
Esistono correttezze logiche interne al discorso non individuate o stabilite da esseri umani? Appena tu provassi a citarmene una, risponderei che l'hai individuata o stabilita come minimo tu che me la stai proponendo, dunque è individuata o stabilita da un essere umano; inoltre ci sarei anch'io come interlocutore, un altro umano che la sta individuando o stabilendo. A quanto pare, dunque, non sembra proprio possibile, o, per essere meno metafisici, sembra più conveniente trattare come non possibile, la non intromissione di soggetti in qualsiasi cosa che vogliamo chiamare "correttezza logica interna al discorso". In queste condizioni, come fai a dire che non ha senso parlare di soggettività a questo proposito?
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 13 Febbraio 2017, 21:35:55 PM
Angelo, per dire:

la prima condizione da accettare è quella di essere dalla mattina alla sera tutti incoerenti e contraddittori.

Affermi qualcosa di inverificabile , quindi stai facendo metafisica. Come puoi affermare che "tutti sono incoerenti e contraddittori", come lo puoi dimostrare? Partendo dalla tua riflessione personale che tu stesso definisci infondata? Certo che si può parlare senza essere coerenti, il mondo è pieno di gente che parla in modo incoerente...personalmente trovo alquanto problematico seguirli... :) questione di gusti personali ovviamente. Sembra quasi che tu abbia qualcosa di "personale" verso la metafisica visto l'odio ( o avversione) con cui ne parli. Io non vedo tutto questo problema e non mi sembra nemmeno che tutta la metafisica sia dogmatica. Il metafisico propone la sua teoria , io l'ascolto e , se non mi convince, la rifiuto, punto. Dove sta il problema? Di solito è l'uso che se ne fa il problema e anche il relativismo crea problemi ( basti pensare al relativismo etico in campo economico e quanta sofferenza crea...).
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 13 Febbraio 2017, 21:43:25 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 13 Febbraio 2017, 20:49:18 PM
Chi ha detto che per poter parlare si debba essere coerenti? Il relativista sa perfettamente di essere incoerente, contraddittorio, inconsistente. Il problema è che il metafisico invece non accetta di ammettere anche lui la propria inconsistenza e contraddittorietà. E allora il relativista, il quale conosce le debolezze della metafisica, essendo lui stato in precedenza un metafisico, per nascita, per linguaggio che tutti noi assorbiamo, si può dire, insieme al latte materno, gli pone le critiche.

L'esperienza, il cammino compiuto dal relativista, ex metafisico, lo induce a trattare la coerenza totale, perfetta, assoluta, come qualcosa di impossibile. Appena apriamo la bocca, anzi, appena mettiamo in moto la mente, la prima condizione da accettare è quella di essere dalla mattina alla sera tutti incoerenti e contraddittori. C'è uno strumento utilissimo che ci permette di superare ciò ed è l'approssimazione: sono le 7; lì c'è un tavolo. Come affermazioni approssimative vanno benissimo, l'esperienza ce lo conferma. Ma la metafisica non accetta di essere tacciata di approssimazione; essa reclama di essere assoluta, perfetta, oggettiva, indiscutibile.
Ho detto "trattare", "trattare come se...", non "considerare", poiché "considerare" significherebbe pensare come metafisici.


CitazioneApprossimazione non é sinonimo di incoerenza o autocontraddizione.

Chiunque abbia un minimo di cultura scientifica elementare (ma anche semplicemente di buon senso e non sia un metafisico severiniano; non un metafisico in generale!) sa che dire "sono le ore venti e trenta minuti" é un approssimazione; e tranne Emanuele Severino e suoi seguaci (che della metafisica sono una piccolissima corrente) non conosco al presente altri metafisici che siano convinti che non accade il divenire e che non comprendano il reale significato (di approssimazione transeunte) che chi pronuncia le suddette parole attribuisce loro.

Ribadisco che c' é metafisica e metafisica e la taccia di dogmatismo, assolutezza, pretesa perfezione, indiscutibilità rivolta alla "metafisica" complessivamente e indiscriminatamente intesa é semplicemente falsa.

Ma la contraddizione é altra cosa.
E' per esempio pretendere di dire che adesso qui sono le venti e trenta ed inoltre adesso qui sono le sette e un quarto: una sequela di caratteri tipografici o si vocalizzi senza significato, come potrebbero essere "trallalerollerollà" o "sciabadabada, sciabadabada", e non un autentico discorso.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 13 Febbraio 2017, 21:47:57 PM
Citazione di: Sariputra il 13 Febbraio 2017, 21:35:55 PM
Angelo, per dire:

la prima condizione da accettare è quella di essere dalla mattina alla sera tutti incoerenti e contraddittori.

Affermi qualcosa di inverificabile , quindi stai facendo metafisica.
La mia affermazione che hai citato non è una mia certezza, è solo una critica.
Ma si può andare oltre.
Le critiche che io pongo alla metafisica non sono poste dall'interno del relativismo, ma dall'interno della metafisica stessa. Quando io critico la metafisica, non faccio altro che mettermi nei panni del metafisico e vedere cosa succede. E succede che mi scontro con la soggettività. Allora chiedo al mio amico metafisico: "Perché non hai tenuto conto della soggettività?". E qui non ho mai ricevuto risposte in grado di reggere a critiche ulteriori.
A quel punto io seguo una via di relativismo, ma quando continua a capitarmi di fare critiche alla metafisica non faccio altro che reindossare i miei vecchi panni di metafisico.
In questo senso non è il relativismo che demolisce la metafisica, ma è essa stessa ad autodemolirsi nel momento in cui accetti di tener conto del soggetto. Non riesco a capire come mai ci sia tutto questo terrore di tener conto del soggetto e si escogitano vie di qualsiasi genere per sfuggire al dato di fatto della sua intromissione, e dico dato di fatto perché è la stessa metafisica a non poter negare l'intromissione del soggetto.

Riguardo al rifiutare la metafisica e mettere punto, certo, è possibile, il problema nasce quando vedo persone proporre verità che secondo loro valgono anche per me, poiché, a detta di loro, essendo oggettive valgono per tutti. Qui io vedo un tentativo, certamente involontario e inconsapevole nella gente, com'è accaduto con sgiombo che si era offeso per essere stato accusato da me di mandare gente al manicomio, di esercitare un potere abusivo, un dittatura, un tentativo di imporre delle verità agli altri.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 13 Febbraio 2017, 21:51:49 PM
CitazioneIl problema è che il "tu" di "adesso" è una pura astrazione. Ciò che fonda il mio "io" è la "somma" delle mie scelte passate, delle mie emozioni, delle relazioni umane ecc. In sostanza preferisco pensare alla mia identità come un qualcosa che pur cambiando rimane indentica. Non sono nemmeno la somma delle mie esperienze interiore ed esteriori perchè non sono un libro ma sono un essere umano vivente. Proprio il fatto che io sia vivente implica che io ogni istante cambio ma ogni istante "conservo" la mia identità (motivo per cui un fiume viene chiamato con lo stesso nome nel tempo anche se ogni istante il suo contenuto cambia). Si può pensare in questo modo se si comprende che si è più simili a processi che a sostanze fisse. La teoria dell'atman indiana (Adviata Vedanta a parte) e della sostanza aristotelico-platonica è problematica perchè vuole trovare un qualcosa di immutabile. Infatti ad ogni istante io cambio in "toto".
L'io di adesso è qualcosa che solo adesso accade e in cui accade, sempre e solo adesso, una storia. Il (mio) passato è solo adesso che accade, come ogni cosa che accade essa accade sempre e solo ora. E in questo presente accadere che qualcosa accade e appare come io e accadendo come io accade adesso e solo adesso come un io che ha un passato da cui immagina il dover accadere di un (suo) futuro. Solo l'adesso accade, tutto il resto ne è parte.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 13 Febbraio 2017, 21:56:02 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 13 Febbraio 2017, 21:35:36 PM
Citazione di: sgiombo il 13 Febbraio 2017, 21:17:56 PMTrattandosi di correttezza logica, "interna al discorso", e non riguardando i rapporti di verità o di falsità fra il discorso (soggettivo: del soggetto eventualmente conoscente, attraverso di esso, la realtà) e la realtà oggettiva "ad esso esterna" (da esso distinta e da esso predicata essere o divenire in qualche modo) non ha senso parlare di soggettività e/od oggettività a questo proposito.
Esistono correttezze logiche interne al discorso non individuate o stabilite da esseri umani? Appena tu provassi a citarmene una, risponderei che l'hai individuata o stabilita come minimo tu che me la stai proponendo, dunque è individuata o stabilita da un essere umano; inoltre ci sarei anch'io come interlocutore, un altro umano che la sta individuando o stabilendo. A quanto pare, dunque, non sembra proprio possibile, o, per essere meno metafisici, sembra più conveniente trattare come non possibile, la non intromissione di soggetti in qualsiasi cosa che vogliamo chiamare "correttezza logica interna al discorso". In queste condizioni, come fai a dire che non ha senso parlare di soggettività a questo proposito?
CitazioneHo per caso mai affermato che esistono correttezze logiche interne al discorso non individuate o stabilite da esseri umani???

E dove e quando mai l' avrei affermato???

Ma che così non sia (coerentemente con quanto sempre da me sostenuto) non toglie affatto che sia possibilissimo (e di fatto avvenga) che si stabiliscano sistemi assiomatici logici e matematici!

Ma non fare facili sofismi e giochi di parole: é ovvio che anche i logici e i matematici puri sono soggetti di ciò che fanno e di ciò che pensano (nemmeno questo ho mai preteso di negare! Solo un pazzo potrebbe farlo!).
Ma ciò non toglie che non ha senso parlare di oggettività o meno (o di mera soggettività) dei loro sistemi assiomatici per il semplice fatto che non si riferiscono ad alcuna realtà oggettiva alla quale potrebbero o meno essere adeguati o conformi.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 13 Febbraio 2017, 21:57:43 PM
Citazione di: sgiombo il 13 Febbraio 2017, 21:43:25 PM...c' é metafisica e metafisica e la taccia di dogmatismo, assolutezza, pretesa perfezione, indiscutibilità rivolta alla "metafisica" complessivamente e indiscriminatamente intesa é semplicemente falsa.
Ma la contraddizione é altra cosa.
E' per esempio pretendere di dire che adesso qui sono le venti e trenta ed inoltre adesso qui sono le sette e un quarto: una sequela di caratteri tipografici o si vocalizzi senza significato, come potrebbero essere "trallalerollerollà" o "sciabadabada, sciabadabada", e non un autentico discorso.
Hai sostenuto che i giudizi analitici apriori sono indubitabili. Questo non è dogmatismo, pretesa di assolutezza?

La contraddizione della metafisica non è subito visibile perché essa ignora il soggetto. Però, nel momento in cui glielo si fa notare, non può negarlo, come non può negare che, proprio da un punto di vista metafisico, non è possibile affermare alcunché che non sia condizionato dal soggetto. Essa però sostiene che le sue affermazioni sono oggettive, cioè non condizionate dal soggetto. Dunque, la metafisica non può negare che qualsiasi affermazione sia condizionata dal soggetto, eppure afferma di poter pronunciare affermazioni non condizionate dal soggetto. Ecco messa a nudo la contraddizione, un'operazione di scopertura compiuta tutta all'interno della metafisica stessa.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 13 Febbraio 2017, 22:06:20 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 13 Febbraio 2017, 21:47:57 PM
Citazione di: Sariputra il 13 Febbraio 2017, 21:35:55 PM
Angelo, per dire:

la prima condizione da accettare è quella di essere dalla mattina alla sera tutti incoerenti e contraddittori.

Affermi qualcosa di inverificabile , quindi stai facendo metafisica.
Non riesco a capire come mai ci sia tutto questo terrore di tener conto del soggetto e si escogitano vie di qualsiasi genere per sfuggire al dato di fatto della sua intromissione, e dico dato di fatto perché è la stessa metafisica a non poter negare l'intromissione del soggetto.

CitazioneIo non vedo da nessuna parte questo preteso "terrore di tener conto del soggetto" se non in una certa metafisica "scientistica", un po' più diffusa di quella severiniana, ma anch' essa ben lungi dall' esaurire l' ampia e variegata totalità delle metafisiche che si offrono alla riflessione di chi si pone problemi sulla realtà e su se stesso.

Riguardo al rifiutare la metafisica e mettere punto, certo, è possibile, il problema nasce quando vedo persone proporre verità che secondo loro valgono anche per me, poiché, a detta di loro, essendo oggettive valgono per tutti. Qui io vedo un tentativo, certamente involontario e inconsapevole nella gente, com'è accaduto con sgiombo che si era offeso per essere stato accusato da me di mandare gente al manicomio, di esercitare un potere abusivo, un dittatura, un tentativo di imporre delle verità agli altri.

CitazioneChiunque può vedere del tutto a vanvera intenzioni inconsce e inconsapevoli in chiunque, insinuazioni che non valgono proprio un bel nulla, mere maldicenze gratuite e totalmente infondate!
Personalmente mi vergognerei di farlo e dunque me ne astengo.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 13 Febbraio 2017, 22:14:55 PM
Citazione di: sgiombo il 13 Febbraio 2017, 21:56:02 PMé ovvio che anche i logici e i matematici puri sono soggetti di ciò che fanno e di ciò che pensano (nemmeno questo ho mai preteso di negare! Solo un pazzo potrebbe farlo!).
Ma ciò non toglie che non ha senso parlare di oggettività o meno (o di mera soggettività) dei loro sistemi assiomatici per il semplice fatto che non si riferiscono ad alcuna realtà oggettiva alla quale potrebbero o meno essere adeguati o conformi.
Non è necessario che affinché si possa parlare di soggetto debba esistere un oggetto, inteso come riferimento al reale. D'altra parte, tu stesso lo stai ammettendo:

...anche i logici e i matematici puri sono soggetti di ciò che fanno...

È possibile parlare di soggettività e oggettività anche in mancanza di un oggetto, perché se un'affermazione viene dichiarata indubitabile per chiunque, il fatto di dichiararla, in questo modo, indubitabile per qualsiasi soggetto, non fa che renderla oggettiva, senza alcun bisogno di riferimento alla realtà. Per esempio, se si dichiara che la matematica è indubitabile per chiunque, non c'è bisogno di alcun riferimento ad oggetti per dedurre che tale affermazione avanza la pretesa di stabilire la matematica come una verità oggettiva. Oggettivo non significa aderente alla realtà, agli oggetti, significa indipendente dal soggetto. Se si dichiara una cosa qualsiasi indipendente dal soggetto, automaticamente la si sta dichiarando oggettiva, senza alcun bisogno di far riferimento a oggetti di alcun genere. Anzi, si può precisare che in questo caso l'oggetto non è altro che la verità stessa che s'intende affermare, quindi l'oggetto c'è eccome, sono proprio, nel tuo caso, i giudizi analitici apriori. Nel momento in cui affermi che sono indubitabili non fai altro che oggettivizzarli.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 13 Febbraio 2017, 22:17:01 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 13 Febbraio 2017, 21:57:43 PM
Citazione di: sgiombo il 13 Febbraio 2017, 21:43:25 PM...c' é metafisica e metafisica e la taccia di dogmatismo, assolutezza, pretesa perfezione, indiscutibilità rivolta alla "metafisica" complessivamente e indiscriminatamente intesa é semplicemente falsa.
Ma la contraddizione é altra cosa.
E' per esempio pretendere di dire che adesso qui sono le venti e trenta ed inoltre adesso qui sono le sette e un quarto: una sequela di caratteri tipografici o si vocalizzi senza significato, come potrebbero essere "trallalerollerollà" o "sciabadabada, sciabadabada", e non un autentico discorso.
Hai sostenuto che i giudizi analitici apriori sono indubitabili. Questo non è dogmatismo, pretesa di assolutezza?

CitazioneNo, questa é solo correttezza logica.
Se vuoi sragionare illogicissimamente sei liberissimo di farlo, ma altrettanto libero sono io di ragionare in maniera logicamente corretta, a costo di essere indebitamente e falsamente accusato di dogmatismo e pretesa assolutezza.
Pazienza.


La contraddizione della metafisica non è subito visibile perché essa ignora il soggetto. Però, nel momento in cui glielo si fa notare, non può negarlo, come non può negare che, proprio da un punto di vista metafisico, non è possibile affermare alcunché che non sia condizionato dal soggetto. Essa però sostiene che le sue affermazioni sono oggettive, cioè non condizionate dal soggetto. Dunque, la metafisica non può negare che qualsiasi affermazione sia condizionata dal soggetto, eppure afferma di poter pronunciare affermazioni non condizionate dal soggetto. Ecco messa a nudo la contraddizione, un'operazione di scopertura compiuta tutta all'interno della metafisica stessa.

CitazioneVedo che continui a fantasticare di una pretesa "metafisica" unica e assoluta, senza accorgerti, purtroppo per te, che esistono molteplici metafisiche più o meno razionalistiche e critiche.
Ti auguro di cuore di guarire da questa tua metaforica cecità, molto autolimitante.

Vedo che non hai resistito alla tentazione di ricorrere al facile sofisma che preventivamente avevo confutato invitandoti a evitarlo.
A-ri-Pazienza, come direbbero a Roma.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 13 Febbraio 2017, 22:19:09 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 13 Febbraio 2017, 21:47:57 PM
Citazione di: Sariputra il 13 Febbraio 2017, 21:35:55 PMAngelo, per dire: la prima condizione da accettare è quella di essere dalla mattina alla sera tutti incoerenti e contraddittori. Affermi qualcosa di inverificabile , quindi stai facendo metafisica.
La mia affermazione che hai citato non è una mia certezza, è solo una critica. Ma si può andare oltre. Le critiche che io pongo alla metafisica non sono poste dall'interno del relativismo, ma dall'interno della metafisica stessa. Quando io critico la metafisica, non faccio altro che mettermi nei panni del metafisico e vedere cosa succede. E succede che mi scontro con la soggettività. Allora chiedo al mio amico metafisico: "Perché non hai tenuto conto della soggettività?". E qui non ho mai ricevuto risposte in grado di reggere a critiche ulteriori. A quel punto io seguo una via di relativismo, ma quando continua a capitarmi di fare critiche alla metafisica non faccio altro che reindossare i miei vecchi panni di metafisico. In questo senso non è il relativismo che demolisce la metafisica, ma è essa stessa ad autodemolirsi nel momento in cui accetti di tener conto del soggetto. Non riesco a capire come mai ci sia tutto questo terrore di tener conto del soggetto e si escogitano vie di qualsiasi genere per sfuggire al dato di fatto della sua intromissione, e dico dato di fatto perché è la stessa metafisica a non poter negare l'intromissione del soggetto. Riguardo al rifiutare la metafisica e mettere punto, certo, è possibile, il problema nasce quando vedo persone proporre verità che secondo loro valgono anche per me, poiché, a detta di loro, essendo oggettive valgono per tutti. Qui io vedo un tentativo, certamente involontario e inconsapevole nella gente, com'è accaduto con sgiombo che si era offeso per essere stato accusato da me di mandare gente al manicomio, di esercitare un potere abusivo, un dittatura, un tentativo di imporre delle verità agli altri.

Capisco, ma non è un problema del pensiero metafisico ma di quelle persone che lo impongono agli altri. In sé una teoria è una teoria e basta. La metafisica è solo un pretesto per queste persone e per la loro sete di potere. Però bisogna anche diffidare della propria, involontaria o inconsapevole, sete di potere a cui il relativismo concede un'enorme sponda...
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Apeiron il 13 Febbraio 2017, 22:20:45 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 13 Febbraio 2017, 19:46:17 PM
Citazione di: Apeiron il 13 Febbraio 2017, 19:33:54 PMSecondo: il concetto di prospettiva implica il concetto di soggetto, il quale è un concetto metafisico.
Il relativismo è uno sbocco della metafisica portata alle sue conseguenze. Non può esistere relativismo che non si basi sulla metafisica. Il relativista è un metafisico che tiene conto del soggetto, considerato metafisicamente, quindi esistente, oggettivo, parte del processo di comprensione. Tenendo conto di tutto ciò, il metafisico critico si accorge che l'intromissione del soggetto rende impossibile parlare di oggettività. Allora il metafisico critico demolisce la propria metafisica e persegue un ricercare che si sforza in continuazione di evitare certezze, oggettivismi, assolutizzazioni. È solo uno sforzo, poiché, come ho già detto in un altro post qui sopra, il nostro linguaggio nasce metafisico e non ci possiamo spogliare di esso. Dunque, il concetto di soggetto è, sì, in partenza, metafisico, ma successivamente il relativista lo include tra le macerie che sono il risultato della demolizione della metafisica. Attenzione che macerie non significa nulla: macerie sono le idee, di cui è impossibile fare a meno; solo che il metafisico ritiene che esse stiano in piedi benissimo.

Eh appunto siamo costretti - se pensiamo - a usare concetti e determinazioni, ossia a cercare di "catturare" la realtà pensandola costituita da "enti". E siccome siamo costretti ad essere così, non ci è permesso nemmeno in realtà ad andare oltre, perchè tale "oltre" per noi sarebbe incomprensibile. Anzi sarebbe impensabile. Mi pare che la tua proposta sia di riconoscere che le nostre teorie che possiamo fare per quanto "benfatte" che siano non riusciranno a cogliere la realtà perchè siamo "intrappolati in un contesto". Ebbene ciò lo riconosco anche io, tuttavia a differenza tua ritengo che quello sforzo di cui parli tenda proprio a "allargare la propria prospettiva" e renderla "più oggettiva". Tuttavia questo processo non ci porterà mai ad avere la prospettiva assoluta, anche se questa magari c'è. Tuttavia se neghi le gerarchie delle prospettive allora anche questo tuo sforzo di "allargare la prospettiva" è inutile. Come afferma il Sari a questo punto è meglio rinunciare a pensare. O forse questo sarebbe il bene per tutti  ;D visto che si guadagnerebbe la pace interiore.

Comunque secondo me la tua è ancora metafisica, solo che il tuo metodo e il tuo atteggiamento nei suoi confronti sono diversi dalla stragrande maggioranza dei metafisici. Non a caso stai cercando di convincermi che non ci sono prospettive assolute, giusto? Ma se ciò è vero allora la proposizione "ci sono prospettive assolute" è falsa e non solo per noi due, ma per tutti. Ossia tale affermazione sarebbe "oggettivamente" falsa. Inoltre ritieni che sia falso che i sistemi metafisici si reggano in piedi. Questo non mi pare relativismo. Mi pare pirronismo ma appunto il pirronismo richiede la sospensione del giudizio, ossia la rinuncia a pensare.

@maral, sono d'accordo col tuo ultimo post, tuttavia ritengo che non sono riuscito a trasmettere bene la mia idea. Però adesso dovrei mettermi seriamente a scrivere in modo chiaro la mia opinione sull'io e su ciò faccio una tremenda fatica (nel senso che mi sembra di esprimere malissimo quello che ho in mente). Siccome col tempo che ho a disposizione in questo periodo non riesco ad esprimermi meglio di così, ti andrebbe di riprendere la discussione in un altro momento (non lo faccio per evitare il dibattito, anzi...)?  Ti consiglio dunque di ragionare sul fiume dove noterai che il suo "essere" dipende proprio dal cambiamento delle sue acque e tale cambiamento avviene in un modo che dipende dalla sua storia passata. Ciò non toglie che appunto anche se il fiume è cambiato è comunque lo stesso fiume (o forse è lo stesso proprio perchè è cambiato). Se ti va comunque ti consiglio di leggerti un po' di cose sulla dialeteia, è proprio un modo di ragionare diverso.

Edit: sono anche d'accordo col Sari sul relativismo etico. L'assenza di una gerarchia nel campo dell'etica è pericolosa. Sono anche d'accordo con lui sul fatto che il vero problema è chi impone la sua particolare teoria. In ogni caso se ad esempio Buddha non si fosse convinto di aver capito che tutti i 31 piani dell'esistenza erano impermanenti (che per Buddha era forse l'unica verità oggettiva) di certo non si sarebbe messo a cercare di convincere le persone a seguire il Dhamma. A mio giudizio se non si è convinti di fare un passo verso una qualche verità "oggettiva" non si ha proprio lo stimolo di incamminarsi in una ricerca.  Magari Buddha ha davvero scoperto la verità e noi che non ci convinciamo siamo poveri illusi. Di certo però Buddha non la impone a nessuno la sua verità...
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 13 Febbraio 2017, 22:21:18 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 13 Febbraio 2017, 22:14:55 PM
Citazione di: sgiombo il 13 Febbraio 2017, 21:56:02 PMé ovvio che anche i logici e i matematici puri sono soggetti di ciò che fanno e di ciò che pensano (nemmeno questo ho mai preteso di negare! Solo un pazzo potrebbe farlo!).
Ma ciò non toglie che non ha senso parlare di oggettività o meno (o di mera soggettività) dei loro sistemi assiomatici per il semplice fatto che non si riferiscono ad alcuna realtà oggettiva alla quale potrebbero o meno essere adeguati o conformi.
Non è necessario che affinché si possa parlare di soggetto debba esistere un oggetto, inteso come riferimento al reale. D'altra parte, tu stesso lo stai ammettendo:

...anche i logici e i matematici puri sono soggetti di ciò che fanno...

CitazioneAmmetere = correggere affermazioni precedenti, non ribadire quanto da sempre sostenuto.
È possibile parlare di soggettività e oggettività anche in mancanza di un oggetto, perché se un'affermazione viene dichiarata indubitabile per chiunque, il fatto di dichiararla, in questo modo, indubitabile per qualsiasi soggetto, non fa che renderla oggettiva, senza alcun bisogno di riferimento alla realtà. Per esempio, se si dichiara che la matematica è indubitabile per chiunque, non c'è bisogno di alcun riferimento ad oggetti per dedurre che tale affermazione avanza la pretesa di stabilire la matematica come una verità oggettiva. Oggettivo non significa aderente alla realtà, agli oggetti, significa indipendente dal soggetto. Se si dichiara una cosa qualsiasi indipendente dal soggetto, automaticamente la si sta dichiarando oggettiva, senza alcun bisogno di far riferimento a oggetti di alcun genere. Anzi, si può precisare che in questo caso l'oggetto non è altro che la verità stessa che s'intende affermare, quindi l'oggetto c'è eccome, sono proprio, nel tuo caso, i giudizi analitici apriori. Nel momento in cui affermi che sono indubitabili non fai altro che oggettivizzarli.

Citazioneoggettivo =/= unanimemente creduto di fatto (che può anche essere soggettivo).

La matematica pura non parla di oggetti reali ma di costrutti concettuali arbitrariamente stabiliti.
Ma a questo punto mi sono stufato di seguirti nelle tue farneticazioni (dammi pure indebitamente del dogmatico e del "richiuditore di gente in manicomio", che non mi fa né caldo né freddo
Buonanotte!

Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 13 Febbraio 2017, 22:21:47 PM
Citazione di: sgiombo il 13 Febbraio 2017, 22:17:01 PMTi auguro di cuore di guarire da questa tua metaforica cecità, molto autolimitante.
Vedo che passi alle offese, non ho più motivi per proseguire a risponderti.
Augurarmi di guarire significa considerarmi un malato, e visto che qui non si fanno altro che riflessioni, un malato di mente. E meno male che ti eri offeso perché avevo scritto che manderesti gente al manicomio.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 13 Febbraio 2017, 22:32:24 PM
Citazione di: Sariputra il 13 Febbraio 2017, 22:19:09 PMCapisco, ma non è un problema del pensiero metafisico ma di quelle persone che lo impongono agli altri. In sé una teoria è una teoria e basta. La metafisica è solo un pretesto per queste persone e per la loro sete di potere. Però bisogna anche diffidare della propria, involontaria o inconsapevole, sete di potere a cui il relativismo concede un'enorme sponda...
La metafisica a cui io sto facendo obiezioni in tutta questa discussione non accetta di essere definita una teoria. Quando la metafisica dice che l'esistenza lì di quel tavolo è una verità oggettiva, significa che essa non ammette che ciò venga considerato una teoria; essa sostiene che è così e basta.

Esiste la metafisica intesa come semplice teoria, a cui qualche volta io stesso ho fatto riferimento per dire, con Dario Antiseri, che la metafisica è un bene per la scienza, poiché per la scienza è un bene fare teorie. Ma la metafisica che presenta verità indubitabili non può essere considerata una teoria: essa è un'altra metafisica, è la metafisica che si ritiene assoluta, dogmatica, infallibile.

Un relativista che prenda sul serio il relativismo non potrà mai essere condotto dal relativismo alla sete di potere o alla violenza; potrà farlo solo tradendo il relativismo stesso. Relativismo significa dubitare di tutto e uno che dubita di tutto non ha niente da imporre agli altri; non può esercitare violenza perché dubitare in continuazione di ciò che sta facendo. Se lo farà, lo farà solo a causa di altri limiti della nostra condizione umana. Invece la metafisica ti dà il lasciapassare: hai diritto di imporre una verità perché la verità è un bene e quindi merita di essere imposta.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 13 Febbraio 2017, 22:54:16 PM
Citazione di: Apeiron il 13 Febbraio 2017, 22:20:45 PMComunque secondo me la tua è ancora metafisica
Sì, di primo acchito il relativismo si può considerare nient'altro che una metafisica che cerca di essere più completa, includendo nel proprio sistema di idee un tener conto del soggetto; sarebbe quindi nient'altro che una metafisica più vera, più aderente a come stanno le cose. Difatti ho già detto che il relativista non è altro che un ex metafisico.

A questo punto punto però nasce un problema: nel momento in cui io creo una metafisica che tiene conto del soggetto, quest'operazione provoca un annullamento totale di tutti i valori, tutti i significati, tutti i criteri: è il nichilismo. Infatti, siccome il soggetto soffre di inaffidabilità, ammettere la sua inclusione nel sistema metafisico significa far saltare in aria tutto. È questo il motivo della paura di tener conto del soggetto: perché il soggetto è pericoloso, destabilizzante.

A questo punto si pone l'alternativa: proseguire con la metafisica, come se nulla fosse, facendo finta che il soggetto non ci sia, o armarsi pazienza e affrontare la distruzione totale? Secondo me non c'è alternativa perché, una volta preso atto del limite della metafisica, la distruzione è già tutta avvenuta. Essa può essere ignorata, si può far finta di niente, ma ormai c'è.

In realtà la situazione non è poi così disastrosa: è sufficiente abbandonare la metafisica intesa come dogma e praticarla, più umilmente, come teoria, ipotesi, approssimazione. Solo che così si perde quel senso di padronanza sulla realtà che tu hai espresso bene all'inizio usando il verbo "catturare". Per mettere da parte la metafisica è necessario adottare stili di esistenza completamente diversi, non basati sulla cattura; cosa difficile, perché la razza umana è riuscita finora a sopravvivere anche grazie al suo istinto predatorio, istinto di cattura e di potere. È il nostro DNA ad essere così. Essere relativisti significa, per certi versi, andare contro il nostro DNA che ci porta a catturare, predare, competere.

Ma vogliamo provare o no a sperimentare modi di vivere meno violenti?
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 13 Febbraio 2017, 23:05:22 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Febbraio 2017, 21:26:27 PM
Non capisco il senso di queste parole (mi sembrano contraddittorie).
Ciò che è reale si può conoscere ("si conosce solo ciò che è reale" per quanto di fatto limitatamente, "pensandolo in modo almeno un po' diverso dal suo essere leale") oppure no (("non si può conoscere il non essere esattamente come non si può conoscere l'essere (l'essere così com'è di qualsiasi cosa) in nessun caso"))?
Inoltre il non essere (di qualcosa; cioè che qualcosa non sia reale) si può ben conoscere; per esempio il non essere reali dei soliti ippogrifi.[/quote]
Il senso della frase è che conoscendo non si conosce ciò che è, poiché ciò che è viene sempre tradito nell'atto stesso del conoscerlo dicendolo. L'essere "reali" dei cavalli contrapposto all'essere "irreale" degli ippogrifi, non consiste nel fatto che qualcosa come un cavallo lo possiamo toccare, vedere, misurare, mentre qualcosa come un ippogrifo no, al massimo sognare, ma che mentre qualcosa che significa "cavallo" ha un posto nella rappresentazione che ci si dà nel mondo, qualcosa come un ippogrifo no, ove la rappresentazione che si dà del mondo non è una rappresentazione assoluta. ma partecipa del nostro esserci noi stessi rappresentati come soggetti che vedono cavalli e non ippogrifi.

Scusa Sgiombo, ma tutto il resto della risposta l'editor lo ha tagliato, questo thread si va intasando troppo :) . Peccato, lo riprenderò un'altra volta, insieme con il discorso con Apeiron sull'aletheia (ah questa tecnologia!)

Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 14 Febbraio 2017, 00:09:10 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 13 Febbraio 2017, 22:32:24 PM
Citazione di: Sariputra il 13 Febbraio 2017, 22:19:09 PMCapisco, ma non è un problema del pensiero metafisico ma di quelle persone che lo impongono agli altri. In sé una teoria è una teoria e basta. La metafisica è solo un pretesto per queste persone e per la loro sete di potere. Però bisogna anche diffidare della propria, involontaria o inconsapevole, sete di potere a cui il relativismo concede un'enorme sponda...
La metafisica a cui io sto facendo obiezioni in tutta questa discussione non accetta di essere definita una teoria. Quando la metafisica dice che l'esistenza lì di quel tavolo è una verità oggettiva, significa che essa non ammette che ciò venga considerato una teoria; essa sostiene che è così e basta. Esiste la metafisica intesa come semplice teoria, a cui qualche volta io stesso ho fatto riferimento per dire, con Dario Antiseri, che la metafisica è un bene per la scienza, poiché per la scienza è un bene fare teorie. Ma la metafisica che presenta verità indubitabili non può essere considerata una teoria: essa è un'altra metafisica, è la metafisica che si ritiene assoluta, dogmatica, infallibile. Un relativista che prenda sul serio il relativismo non potrà mai essere condotto dal relativismo alla sete di potere o alla violenza; potrà farlo solo tradendo il relativismo stesso. Relativismo significa dubitare di tutto e uno che dubita di tutto non ha niente da imporre agli altri; non può esercitare violenza perché dubitare in continuazione di ciò che sta facendo. Se lo farà, lo farà solo a causa di altri limiti della nostra condizione umana. Invece la metafisica ti dà il lasciapassare: hai diritto di imporre una verità perché la verità è un bene e quindi merita di essere imposta.

Sì, ma qui il problema è il rapporto che ha l'uomo e i suoi istinti con il pensiero metafisico, non la metafisica in sé. Quando la metafisica si fa religione da imporre sorgono i problemi, ma questo al massimo riguarda la qualità di quella particolare religione che vuol essere imposta e che si serve di qualche teoria metafisica per legittimarsi sul piano logico. Mi sembra che , in realtà, ma ovviamente posso sbagliarmi, tu abbia un problema ( ma non intenderlo in modo offensivo :)) con la religione , non con la metafisica che, tutto sommato, come dice Apeiron, apre il campo delle prospettive possibili sul reale.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 14 Febbraio 2017, 00:18:19 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 13 Febbraio 2017, 22:54:16 PM
Citazione di: Apeiron il 13 Febbraio 2017, 22:20:45 PMComunque secondo me la tua è ancora metafisica
Sì, di primo acchito il relativismo si può considerare nient'altro che una metafisica che cerca di essere più completa, includendo nel proprio sistema di idee un tener conto del soggetto; sarebbe quindi nient'altro che una metafisica più vera, più aderente a come stanno le cose. Difatti ho già detto che il relativista non è altro che un ex metafisico. A questo punto punto però nasce un problema: nel momento in cui io creo una metafisica che tiene conto del soggetto, quest'operazione provoca un annullamento totale di tutti i valori, tutti i significati, tutti i criteri: è il nichilismo. Infatti, siccome il soggetto soffre di inaffidabilità, ammettere la sua inclusione nel sistema metafisico significa far saltare in aria tutto. È questo il motivo della paura di tener conto del soggetto: perché il soggetto è pericoloso, destabilizzante. A questo punto si pone l'alternativa: proseguire con la metafisica, come se nulla fosse, facendo finta che il soggetto non ci sia, o armarsi pazienza e affrontare la distruzione totale? Secondo me non c'è alternativa perché, una volta preso atto del limite della metafisica, la distruzione è già tutta avvenuta. Essa può essere ignorata, si può far finta di niente, ma ormai c'è. In realtà la situazione non è poi così disastrosa: è sufficiente abbandonare la metafisica intesa come dogma e praticarla, più umilmente, come teoria, ipotesi, approssimazione. Solo che così si perde quel senso di padronanza sulla realtà che tu hai espresso bene all'inizio usando il verbo "catturare". Per mettere da parte la metafisica è necessario adottare stili di esistenza completamente diversi, non basati sulla cattura; cosa difficile, perché la razza umana è riuscita finora a sopravvivere anche grazie al suo istinto predatorio, istinto di cattura e di potere. È il nostro DNA ad essere così. Essere relativisti significa, per certi versi, andare contro il nostro DNA che ci porta a catturare, predare, competere. Ma vogliamo provare o no a sperimentare modi di vivere meno violenti?

Ma non è la metafisica che impone stili di vita violenti, è l'istinto naturale umano che si serve della metafisica per giustificare stili di vita violenti. E siccome questo istinto esiste ed è connaturato all'uomo, si può servire tranquillamente anche del relativismo (soprattutto etico) per esercitare il suo desiderio predatorio e di potere.  Se , per es. affermo che il valore della vita umana è relativo ed è indimostrabile che la vita umana ha un qualche valore, cosa può impedire all'istinto violento e predatorio dell'uomo di sfruttare, ancor meglio che non con la metafisica, il suo stile di vita violento? Dopo tutto...perché no?
E' pura utopia sperare che la bestia umana, pur non credendo in nulla, si astenga dal fare il male e si dedichi ad uno stile di vita amorevole, pieno di bellezza , d'arte, riflettendo sul fatto che tutto è relativo, ecc. Anzi si dedicheranno alla violenza e al piacere di far del male  senza alcun senso di colpa...e molti casi incominciano già a vedersi nella nostra quotidianità...credo che Dostoevskij, con la sua capacità insuperabile di penetrare negli anfratti più bui della psiche umana, ne abbia già tracciato un quadro assai verosimile nel capolavoro "I demoni".
L'uomo non è solo pensiero, Angelo...
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 14 Febbraio 2017, 08:53:19 AM
Citazione di: maral il 13 Febbraio 2017, 23:05:22 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Febbraio 2017, 21:26:27 PM
Non capisco il senso di queste parole (mi sembrano contraddittorie).
Ciò che è reale si può conoscere ("si conosce solo ciò che è reale" per quanto di fatto limitatamente, "pensandolo in modo almeno un po' diverso dal suo essere leale") oppure no (("non si può conoscere il non essere esattamente come non si può conoscere l'essere (l'essere così com'è di qualsiasi cosa) in nessun caso"))?
Inoltre il non essere (di qualcosa; cioè che qualcosa non sia reale) si può ben conoscere; per esempio il non essere reali dei soliti ippogrifi.
Il senso della frase è che conoscendo non si conosce ciò che è, poiché ciò che è viene sempre tradito nell'atto stesso del conoscerlo dicendolo. L'essere "reali" dei cavalli contrapposto all'essere "irreale" degli ippogrifi, non consiste nel fatto che qualcosa come un cavallo lo possiamo toccare, vedere, misurare, mentre qualcosa come un ippogrifo no, al massimo sognare, ma che mentre qualcosa che significa "cavallo" ha un posto nella rappresentazione che ci si dà nel mondo, qualcosa come un ippogrifo no, ove la rappresentazione che si dà del mondo non è una rappresentazione assoluta. ma partecipa del nostro esserci noi stessi rappresentati come soggetti che vedono cavalli e non ippogrifi.

Scusa Sgiombo, ma tutto il resto della risposta l'editor lo ha tagliato, questo thread si va intasando troppo :) . Peccato, lo riprenderò un'altra volta, insieme con il discorso con Apeiron sull'aletheia (ah questa tecnologia!)
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CitazioneSpero proprio che dopo la risoluzione dei problemi tecnici mi spiegherai più comprensibilmente le tue affermazioni.
Per esempio che "conoscendo non si consce ciò che é (reale?) poiché ciò che è viene sempre tradito nell'atto stesso del conoscerlo dicendolo: che significa "tradire"?
Che il dire qualcosa é diverso dall' essere reale qualcosa é quanto da sempre sostengo vigorosamente anch' io.
Ma ciò non toglie che ciò che è reale possa in linea di principio essere detto (che possa essere la denotazione di un concetto di cui si predica che é/accade realmente).

Inoltre (per farmi capire) mi dovresti tradurre in italiano l' affermazione che
 L'essere "reali" dei cavalli contrapposto all'essere "irreale" degli ippogrifi, non consiste nel fatto che qualcosa come un cavallo lo possiamo toccare, vedere, misurare, mentre qualcosa come un ippogrifo no, al massimo sognare, ma che mentre qualcosa che significa "cavallo" ha un posto nella rappresentazione che ci si dà nel mondo, qualcosa come un ippogrifo no, ove la rappresentazione che si dà del mondo non è una rappresentazione assoluta. ma partecipa del nostro esserci noi stessi rappresentati come soggetti che vedono cavalli e non ippogrifi.

Perché in italiano "essere reali" come lo sono i cavalli significa proprio poter essere toccato, visto, misurato realmente, mentre "essere qualcosa di immaginario" come lo sono gli ippogrifi significa potere al massimo essere toccato, visto, misurato solo in sogno, nella fantasia o in un' allucinazione.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Apeiron il 14 Febbraio 2017, 10:14:01 AM
Citazione di: Sariputra il 14 Febbraio 2017, 00:18:19 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 13 Febbraio 2017, 22:54:16 PM
Citazione di: Apeiron il 13 Febbraio 2017, 22:20:45 PMComunque secondo me la tua è ancora metafisica
Sì, di primo acchito il relativismo si può considerare nient'altro che una metafisica che cerca di essere più completa, includendo nel proprio sistema di idee un tener conto del soggetto; sarebbe quindi nient'altro che una metafisica più vera, più aderente a come stanno le cose. Difatti ho già detto che il relativista non è altro che un ex metafisico. A questo punto punto però nasce un problema: nel momento in cui io creo una metafisica che tiene conto del soggetto, quest'operazione provoca un annullamento totale di tutti i valori, tutti i significati, tutti i criteri: è il nichilismo. Infatti, siccome il soggetto soffre di inaffidabilità, ammettere la sua inclusione nel sistema metafisico significa far saltare in aria tutto. È questo il motivo della paura di tener conto del soggetto: perché il soggetto è pericoloso, destabilizzante. A questo punto si pone l'alternativa: proseguire con la metafisica, come se nulla fosse, facendo finta che il soggetto non ci sia, o armarsi pazienza e affrontare la distruzione totale? Secondo me non c'è alternativa perché, una volta preso atto del limite della metafisica, la distruzione è già tutta avvenuta. Essa può essere ignorata, si può far finta di niente, ma ormai c'è. In realtà la situazione non è poi così disastrosa: è sufficiente abbandonare la metafisica intesa come dogma e praticarla, più umilmente, come teoria, ipotesi, approssimazione. Solo che così si perde quel senso di padronanza sulla realtà che tu hai espresso bene all'inizio usando il verbo "catturare". Per mettere da parte la metafisica è necessario adottare stili di esistenza completamente diversi, non basati sulla cattura; cosa difficile, perché la razza umana è riuscita finora a sopravvivere anche grazie al suo istinto predatorio, istinto di cattura e di potere. È il nostro DNA ad essere così. Essere relativisti significa, per certi versi, andare contro il nostro DNA che ci porta a catturare, predare, competere. Ma vogliamo provare o no a sperimentare modi di vivere meno violenti?
Ma non è la metafisica che impone stili di vita violenti, è l'istinto naturale umano che si serve della metafisica per giustificare stili di vita violenti. E siccome questo istinto esiste ed è connaturato all'uomo, si può servire tranquillamente anche del relativismo (soprattutto etico) per esercitare il suo desiderio predatorio e di potere. Se , per es. affermo che il valore della vita umana è relativo ed è indimostrabile che la vita umana ha un qualche valore, cosa può impedire all'istinto violento e predatorio dell'uomo di sfruttare, ancor meglio che non con la metafisica, il suo stile di vita violento? Dopo tutto...perché no? E' pura utopia sperare che la bestia umana, pur non credendo in nulla, si astenga dal fare il male e si dedichi ad uno stile di vita amorevole, pieno di bellezza , d'arte, riflettendo sul fatto che tutto è relativo, ecc. Anzi si dedicheranno alla violenza e al piacere di far del male senza alcun senso di colpa...e molti casi incominciano già a vedersi nella nostra quotidianità...credo che Dostoevskij, con la sua capacità insuperabile di penetrare negli anfratti più bui della psiche umana, ne abbia già tracciato un quadro assai verosimile nel capolavoro "I demoni". L'uomo non è solo pensiero, Angelo...

Sottoscrivo quanto dice il Sari. All'uomo serve l'etica. E l'etica la deve sentire come qualcosa di importante. E siccome deve appunto sentirla come "importante" servono le "gerarchie dei valori". In un contesto relativistico cosa si potrebbe dire a chi usa tale filosofia proprio per giustificare le sue azioni violente? Oppure magari sparirebbe la violenza ma potrebbe anche sparire lo stimolo all'impegno visto che tutto ha importanza relativa. In ogni caso mi pare che il tuo relativismo sia molto spostato sulla non-violenza e sulla non-imposizione, quindi avverto una sorta di "bias" nei tuoi discorsi. Ritenere che "uccidere il primo che passa" non è né giusto né sbagliato mi sembra un tradimento non solo della metafisica ma della stessa coscienza umana. In ogni caso l'uomo è ancora più bestiale di tutti gli altri animali perchè appunto sa che le sue azioni possono far soffrire e lo fa lo stesso. Riconoscere ad esempio che un essere umano non puoi trattarlo come un oggetto materiale è già imporre una gerarchia. Ho veramente molta difficoltà ad abbandonare qualsiasi "oggettivismo etico" (o almeno un'etica che possa essere condivisa).

In ogni caso non sono d'accordo con Sari che il problema sia la religione ma l'atteggiamento che si ha avuto e che si ha con essa. Ad esempio nel Discorso della Montagna si legge "ama il tuo nemico" , "porgi l'altra guancia", "perdona il tuo prossimo", "riconoscere la trave nel proprio occhio". Questo richiamo alla non-violenza purtroppo non è stato ascoltato dalla Chiesa stessa che doveva appunto mostrarsi "perfetta". Bruciare un eretico, indire crociate ecc di certo non mi sembrano consistenti con "porgere l'altra guancia", "pregare per i persecutori" ecc. Il vero problema semmai è come ho già sottolineato l'imposizione di un'etica. Infatti chi usa la religione come pretesto per la violenza è come coloro che volevano lapidare l'adultera. Chiaramente ho usato l'esempio del cristianesimo ma potevo usare anche altre religioni. E purtroppo ci sono anche buddisti, indù che fanno violenza proprio perchè non seguono il precetto dell'ahimsa (non-violenza). Tutto perchè si è scelto di preferire l'utilitarianesimo rispetto a tali precetti. Ma questo è un altro discorso.

Comunque  se nel Vangelo o nei suttas ci fosse scritto "odia il tuo prossimo", "fai il violento con lui" ecc allora sarebbe stato un altro discorso. Ma c'è scritto ben altro...
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 14 Febbraio 2017, 11:06:50 AM
Come ho detto diverse volte, il problema della metafisica è il fatto di trascurare il soggetto. Il soggetto viene trascurato nel momento in cui il metafisico presenta affermazioni alle quali attribuisce validità "in sé", validità indipendente da se stesso, come se tali affermazioni si fossero pronunciate da se stesse, senza qualcuno che ne è autore.

Ma il soggetto trascurato non è soltanto l'autore delle affermazioni; c'è anche il recettore, cioè colui che le legge, o le ascolta, e le interpreta, usando il proprio cervello.

Una volta preso atto che le affermazioni non spuntano mai da sole come funghi, ma ci dev'essere sempre qualche soggetto che le crea o le recepisce, ne nasce il relativismo: l'affermazione che hai posto non è assoluta, ma relativa a te e a me che siamo soggetti interpretanti. Da qui consegue un'altra inevitabile obiezione: perché le tue affermazioni dovrebbero valere più delle mie, visto che abbiamo entrambi la stessa inaffidabilità come soggetti? Siamo ancora nel relativismo, ma si affaccia un altro criterio inevitabile che è il convenzionalismo: visto che non possiamo fare a meno di avere a che fare con soggetti, tanto vale ascoltarli, e ascoltarli in continuazione. È quella che poi in politica, sotto varie forme, non è altro che la democrazia.

Convenzionalismo e democrazia significano che i soggetti non solo sono inevitabilmente intromessi in ogni affermazione, rendendola relativa, ma anche che l'unica via che ci rimane è ascoltarli in continuazione.

In una visione metafisica del relativismo, si potrebbe obiettare che nulla vieta che un soggetto avanzi la pretesa di sopraffare tutti gli altri, visto che nessun valore e nessuna etica ha importanza assoluta. Questo è vero, ma ho già indicato una differenza riguardo a questo: il relativismo è dubbio su tutto, quindi, se un soggetto decide di sopraffare gli altri, dovrà continuare a dubitare anche di questa sua decisione di sopraffare gli altri; la metafisica invece ti dà il lasciapassare: siccome la verità è un bene, essa merita di essere imposta, per il bene di coloro a cui viene imposta, come quando si forza un malato riluttante a prendere una medicina per il suo bene; ecco le guerre giuste, l'esportazione delle democrazie attraverso le bombe.

Dunque, Apeiron, il giorno in cui penserai di aver individuato un'etica, ti sentirai in dovere di modificarla, a partire dall'ascolto di altri soggetti? Se la risposta è sì, vuol dire che avrai individuato un'etica relativa, visto che necessita di essere modificata in continuazione ascoltando altri soggetti; se la risposta è no, non si capisce come mai un'etica individuata da te soggetto debba valere più di un'etica individuata da altri, che sono soggetti al pari di te.

A questo punto può nascere il dubbio sull'impegnarsi: cosa sarà a spingerci ad impegnarci per il bene, supponendo il sospetto che un bene potrebbe esistere? L'ascolto. Relativismo e convenzionalismo sono la stessa cosa, implicano entrambi la necessità che i soggetti si ascoltino reciprocamente in continuazione; da questo ascolto nascono accordi comuni, sempre nuovi e sempre da aggiornare, su come tali soggetti ritengono meglio gestire i loro comportamenti.

Ciò che tu chiami "coscienza umana", la quale non dovrebbe essere tradita dall'uccidere il primo che passa, è la tua idea di coscienza umana. Anche in questo caso, non è possibile parlare di coscienza umana senza che ci sia qualcuno che ne parli, cioè un soggetto. Il riferimento alla coscienza non è altro che un tuo tentativo, fatto in buona fede e senza malizia, senza dubbio, di imporre agli altri la tua idea di che cosa la coscienza umana è.

Un'etica definitiva come quella che tu vorresti individuare è già per definizione imposizione di un'etica, perché definitiva significa che pretende di smettere di ascoltare i soggetti. Oggettivismo è questo: smettere di ascoltare i soggetti. Ma perché tutto questo desiderio di smettere di ascoltare i soggetti? Perché tu soggetto hai tutto questo desiderio di individuare un'etica che ti consenta, riguardo ad essa, di smettere di ascoltare gli altri?

Per quanto riguarda il Vangelo, i suoi richiami alla non violenza non possono essere ascoltati perché sono ipocriti, contraddittori. In questo mondo tutti siamo ipocriti e contraddittori e Gesù non lo è stato da meno; l'unica differenza è che il Vangelo pretende di presentarlo come assolutamente non ipocrita, ma questo non fa che peggiorare la sua situazione, esattamente come i metafisici che pretendono di poter pronunciare affermazioni assolute, il che non fa che aumentare la loro inaffidabilità.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 14 Febbraio 2017, 11:36:36 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 14 Febbraio 2017, 11:06:50 AMCome ho detto diverse volte, il problema della metafisica è il fatto di trascurare il soggetto. Il soggetto viene trascurato nel momento in cui il metafisico presenta affermazioni alle quali attribuisce validità "in sé", validità indipendente da se stesso, come se tali affermazioni si fossero pronunciate da se stesse, senza qualcuno che ne è autore. Ma il soggetto trascurato non è soltanto l'autore delle affermazioni; c'è anche il recettore, cioè colui che le legge, o le ascolta, e le interpreta, usando il proprio cervello. Una volta preso atto che le affermazioni non spuntano mai da sole come funghi, ma ci dev'essere sempre qualche soggetto che le crea o le recepisce, ne nasce il relativismo: l'affermazione che hai posto non è assoluta, ma relativa a te e a me che siamo soggetti interpretanti. Da qui consegue un'altra inevitabile obiezione: perché le tue affermazioni dovrebbero valere più delle mie, visto che abbiamo entrambi la stessa inaffidabilità come soggetti? Siamo ancora nel relativismo, ma si affaccia un altro criterio inevitabile che è il convenzionalismo: visto che non possiamo fare a meno di avere a che fare con soggetti, tanto vale ascoltarli, e ascoltarli in continuazione. È quella che poi in politica, sotto varie forme, non è altro che la democrazia. Convenzionalismo e democrazia significano che i soggetti non solo sono inevitabilmente intromessi in ogni affermazione, rendendola relativa, ma anche che l'unica via che ci rimane è ascoltarli in continuazione. In una visione metafisica del relativismo, si potrebbe obiettare che nulla vieta che un soggetto avanzi la pretesa di sopraffare tutti gli altri, visto che nessun valore e nessuna etica ha importanza assoluta. Questo è vero, ma ho già indicato una differenza riguardo a questo: il relativismo è dubbio su tutto, quindi, se un soggetto decide di sopraffare gli altri, dovrà continuare a dubitare anche di questa sua decisione di sopraffare gli altri; la metafisica invece ti dà il lasciapassare: siccome la verità è un bene, essa merita di essere imposta, per il bene di coloro a cui viene imposta, come quando si forza un malato riluttante a prendere una medicina per il suo bene; ecco le guerre giuste, l'esportazione delle democrazie attraverso le bombe. Dunque, Apeiron, il giorno in cui penserai di aver individuato un'etica, ti sentirai in dovere di modificarla, a partire dall'ascolto di altri soggetti? Se la risposta è sì, vuol dire che avrai individuato un'etica relativa, visto che necessita di essere modificata in continuazione ascoltando altri soggetti; se la risposta è no, non si capisce come mai un'etica individuata da te soggetto debba valere più di un'etica individuata da altri, che sono soggetti al pari di te. A questo punto può nascere il dubbio sull'impegnarsi: cosa sarà a spingerci ad impegnarci per il bene, supponendo il sospetto che un bene potrebbe esistere? L'ascolto. Relativismo e convenzionalismo sono la stessa cosa, implicano entrambi la necessità che i soggetti si ascoltino reciprocamente in continuazione; da questo ascolto nascono accordi comuni, sempre nuovi e sempre da aggiornare, su come tali soggetti ritengono meglio gestire i loro comportamenti. Ciò che tu chiami "coscienza umana", la quale non dovrebbe essere tradita dall'uccidere il primo che passa, è la tua idea di coscienza umana. Anche in questo caso, non è possibile parlare di coscienza umana senza che ci sia qualcuno che ne parli, cioè un soggetto. Il riferimento alla coscienza non è altro che un tuo tentativo, fatto in buona fede e senza malizia, senza dubbio, di imporre agli altri la tua idea di che cosa la coscienza umana è. Un'etica definitiva come quella che tu vorresti individuare è già per definizione imposizione di un'etica, perché definitiva significa che pretende di smettere di ascoltare i soggetti. Oggettivismo è questo: smettere di ascoltare i soggetti. Ma perché tutto questo desiderio di smettere di ascoltare i soggetti? Perché tu soggetto hai tutto questo desiderio di individuare un'etica che ti consenta, riguardo ad essa, di smettere di ascoltare gli altri? Per quanto riguarda il Vangelo, i suoi richiami alla non violenza non possono essere ascoltati perché sono ipocriti, contraddittori. In questo mondo tutti siamo ipocriti e contraddittori e Gesù non lo è stato da meno; l'unica differenza è che il Vangelo pretende di presentarlo come assolutamente non ipocrita, ma questo non fa che peggiorare la sua situazione, esattamente come i metafisici che pretendono di poter pronunciare affermazioni assolute, il che non fa che aumentare la loro inaffidabilità.

Il tuo ragionamento potrebbe filare se tutti  i relativisti ( ammesso che tutti diventassero dei relativisti) mettessero in dubbio i loro convincimenti relativi continuamente, ma mi sembra che dimentichi sempre ( o per te non è importante) la componente non razionale dell'essere umano, che decide il 90% delle nostre azioni, sotto forma di desideri e impulsi consci e inconsci...e infatti, guarda caso, anche la democrazia non funziona ( e lo vediamo costantemente), forse è meno peggio di altri sistemi, ma non possiamo certo dire che funzioni. Praticamente i tuoi ragionamenti sono asettici, iperbarici, disumanizzanti. Vorresti cambiare il mondo  ritenendolo possibile solo agendo sul pensiero, e ciò non è. Una prova di questo la troviamo nella storia stessa dell'uomo. Come giustamente fa notare Apeiron , non è servito molto a milioni di persone l'aver avuto fede in un ideale non violento per trattenere l'odio, la bramosia e l'illusione di potere. Proprio perché la componente non razionale ( o animale) è sempre prevalsa sull'altra. Quindi non esiste un motivo valido perché questa componente predominante nell'uomo venga "placata" da un " convenzionale cazzeggio" tra raffinati filosofi...
Vuoi educare al relativismo l'umanità? Sarebbe più utile educarla a comprendere la sorgente della propria bramosia, non ti sembra? Guarda che il relativismo pratico ed etico ( in poche parole predicare bene e razzolare male) è una delle attività che, da sempre, riescono meglio all'essere umano. L'orrore di questo mondo non è stato creato dalla metafisica, ma dalle tre robuste radici di ogni male: la brama, l'odio e l'illusione, La metafisica è stata sempre  e solo un pretesto ( molto utile, ma sempre un pretesto). Poi dire che Yeoshwa era un ipocrita. Scusami , ma questa affermazione , rivela il tuo odio verso questa figura. Infatti , da buon relativista come affermi essere, come puoi essere certo che il rabbi ebreo era un ipocrita? Sei una contraddizione vivente, Angelo... :) Scusami se te lo dico...ma, in questo caso, ci sta...
Alla fine non sarebbe più semplice dichiarare: Odio il Cristo e il Cristianesimo tutto perché vogliono costringermi ad amare e io non tollero imposizioni alla mia volontà ( che è la maschera dove si nasconde il volto del relativista...) ;)
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 14 Febbraio 2017, 12:01:33 PM
Sì, infatti per me il relativismo non è la salvezza del mondo, anche perché ritengo che il concetto stesso di salvezza sia un concetto umanamente molto distruttivo.

Ma tra la metafisica, che giustifica la violenza contro chi dissente da ciò che tu consideri verità oggettiva, e il relativismo, che sottopone tutto al dubbio, senza peraltro imporre freni ad alcuno, mi sembra che il male minore sia il relativismo.

Che la metafisica sia solo un pretesto al desiderio di potere, lo condivido al cento per cento, forse con la differenza che secondo me essa nasce proprio come strumento di potere; cioè, il suo essere al servizio dell'oppressione non è casuale, ma insito nella sua stessa natura, nello scopo per cui viene elaborata, sebbene inconsapevolmente nella maggior parte dei casi.

Per quanto riguarda le ipocrisie di Gesù, la mia non è un'affermazione campata in aria: possiamo benissimo prendere in mano i Vangeli e ti mostro come i testi siano stracolmi di contraddizioni, e parlo non di piccole contraddizioni formali, ma proprio in merito ai contenuti fondamentali.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 14 Febbraio 2017, 12:18:00 PM
P.S. Questo non m'impedisce di ritenere Gesù il più grande maestro di spiritualità di tutti i tempi; ma per me la spiritualità è un fatto umano e come tale non può fare a meno di realizzarsi tra ipocrisie e contraddizioni.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 14 Febbraio 2017, 12:25:38 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 14 Febbraio 2017, 12:01:33 PMSì, infatti per me il relativismo non è la salvezza del mondo, anche perché ritengo che il concetto stesso di salvezza sia un concetto umanamente molto distruttivo. Ma tra la metafisica, che giustifica la violenza contro chi dissente da ciò che tu consideri verità oggettiva, e il relativismo, che sottopone tutto al dubbio, senza peraltro imporre freni ad alcuno, mi sembra che il male minore sia il relativismo. Che la metafisica sia solo un pretesto al desiderio di potere, lo condivido al cento per cento, forse con la differenza che secondo me essa nasce proprio come strumento di potere; cioè, il suo essere al servizio dell'oppressione non è casuale, ma insito nella sua stessa natura, nello scopo per cui viene elaborata, sebbene inconsapevolmente nella maggior parte dei casi. Per quanto riguarda le ipocrisie di Gesù, la mia non è un'affermazione campata in aria: possiamo benissimo prendere in mano i Vangeli e ti mostro come i testi siano stracolmi di contraddizioni, e parlo non di piccole contraddizioni formali, ma proprio in merito ai contenuti fondamentali.

Dovresti però specificare quale metafisica giustifica la violenza verso chi dissente. Non puoi dire la metafisica in toto, non ha senso. Il Jainismo, per es., è sicuramente un sistema metafisico, ma chi lo pratica veramente, va in giro con la mascherina per non recare danno ad eventuali insetti che potrebbero entrare in bocca... :)
Quindi l'affermazione che fai, che la metafisica " nasce proprio come strumento di potere", è falsa e rivela, a parer mio ovviamente, un giudizio aprioristico negativo che fa "di tutta l'erba un fascio".  E questo non è razionale, ovviamente. E' tutto da dimostrare che un sistema relativista sia meno dannoso di uno che segue una metafisica non-violenta. Anche qui...sarà la coerenza di chi segue quel particolare sistema a fare la differenza. Non è il sistema in sé il toccasana.
Non si può affermare che Yeoshwa era incoerente perché i Vangeli sono incoerenti, come non si può affermare che Siddhartha fosse incoerente perché i sutra sono pieni di incoerenze. Non possiamo essere certi nemmeno che veramente, un grosso angelo alato, non sia sceso davanti a Mohammed  per dettargli il Corano, giusto? Se tu dici che è falso, di nuovo, cadi in contraddizione con il tuo professare un relativismo assoluto...al massimo possiamo dire che, coloro che hanno steso quei racconti, sembrano incoerenti... ;D
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 14 Febbraio 2017, 13:29:20 PM
A questo scopo sarebbe necessario accordarci sul significato di violenza. Per esempio, è o non è violenza, come una volta vidi in TV in una trasmissione che era qualcosa di simile a medici senza frontiere, aprire con la forza la bocca di una bambina morente, per farle inghiottire una medicina che le salverà la vita? Qui mi sembra che la risposta sia abbastanza facile. E se invece ad essere morente non è una bambina, ma un anziano di cento anni in preda a sofferenze terribili, il quale non desidera altro che morire e la medicina servirà solo a prolungare le sue sofferenze? È violenza uccidere per salvare la democrazia?
Questi interrogativi non fanno altro che evidenziare che è impossibile una definizione definitiva, metafisica, oggettiva, di cosa voglia dire violenza.
Quest'impossibilità dimostra che tutte le volte che qualcuno si oppone alla violenza, egli si sta opponendo a ciò che per lui è violenza. L'unica via che ci rimane è tentare di accordarci su un significato; è il convenzionalismo: accordarsi su una convenzione. È possibile accordarci su una definizione oggettiva di violenza, cioè valida per tutti, in maniera definitiva, non soggetta a continue rimesse in discussione? È ciò che sta cercando Apeiron, con la sua ricerca di un'etica oggettiva. Io ritengo ciò impossibile, perché ci sarà sempre qualcuno in disaccordo, e anche se vuoi giudicare tale disaccordo, dovrai farlo in funzione di qualche criterio, il quale sarà a sua volta dipendente da valutazioni soggettive.

Il mio relativismo è una proposta di dialogo, dialogo che non deve finire mai. La metafisica è invece una proposta di fine del dialogo, una volta che si siano individuate verità definitive, valide per tutti.

Questo per me è violenza: cessazione del dialogo, dell'ascolto, dell'interrogarsi e lasciarsi interrogare.

Quelli che vanno in giro con la mascherina sono complici di quegli insetti che, grazie al fatto di non essere stati disturbati, potranno esercitare il loro dominio su altri esseri. Ciò significa che non è possibile sottrarci all'essere violenti o, come minimo, complici, più o meno alla lontana, della violenza di altri.

Ciò che io vedo nel relativismo non è l'eliminazione della violenza, ma un tentativo per vedere se almeno in qualche caso sia possibile ridurre qualche violenza. Il relativismo è solo un tentare, nient'altro. Ma mi sembra che oggi, con tutta l'inaffidabilità della metafisica, l'umilissimo tentare, prontissimo a mettersi sempre in discussione, sia la cosa più seria che si possa fare.

Riguardo alle incoerenze di Gesù, io non do per scontatamente vero ciò che dicono i Vangeli; resta che essi sono la sola principale fonte di informazione su di lui. I Vangeli, da un punto di vista di analisi dei testi, lo mostrano incoerente. Poi, riguardo a ciò che egli sia stato storicamente, è molto difficile, se non del tutto impossibile, ottenere dati certi.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Apeiron il 14 Febbraio 2017, 13:44:03 PM
Angelo Cannata,
ti dico semplicemente che io sono adesso (chissà in futuro?) molto aperto al dialogo perchè ho la convinzione di essere nella stessa situazione dei ciechi con l'elefante. So che la mia prospettiva sarà parziale e distorta. Tuttavia non nego l'esistenza dell'elefante e non dico che nessuno può avere una conoscenza dell'elefante migliore della mia. Non dico ad esempio che il cieco che dice che "l'elefante coincide con la sua coda" descriva meglio l'elefante di chi dice che "l'elefante coincide con la sua zampa". Entrambi sbagliano e se fossero intellettualmente onesti dovrebbero essere aperti al dialogo. Spero di aver chiarito la posizione.

Per me l'etica è inconoscibile ma anche se è inconoscibile ciò non significa che alcuni  non la conoscano meglio di me. Altrimenti a che cavolo servierebbe imparare e dialogare? Mi stai accusando di evitare il dialogo e l'ascolto. Io ti dico invece che uso il dialogo e l'ascolto per conoscere meglio. Così come i ciechi con l'elefante invece di prendersi a pugni potrebbero imparare qualcosa di più dialogando. Ad esempio trovo il dialogo con te e Sari molto utili.

Se non ho chiarito con questo messaggio smetto anche di parlare perchè a quanto pare non so per nulla esprimermi.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 14 Febbraio 2017, 14:15:10 PM
Non mi sognerei mai di considerarti uno che evita il dialogo e l'ascolto. Tu, a mio parere, non sei un metafisico, tanto meno un metafisico incallito; sei una persona molto aperta, la quale non si accorge, nel servirsi di categorie metafisiche, di far uso di categorie che distolgono dal dialogo.

Anche la Chiesa Cattolica è molto metafisica, eppure ho sempre sostenuto che essa, tra tutte le religioni, mi viene a risultare finora la più aperta al dialogo, al confronto, all'autocritica.

In altre parole, ritengo che la metafisica possa nascostamente annidarsi anche in certi modi di ragionare adottati dalle persone più aperte e più disposte a mettersi in questione. Anch'io indubbiamente mi servo di un sacco di categorie metafisiche, più o meno consapevolmente.

Quando dico che la metafisica è una proposta di fine del dialogo, dico che, una volta che essa pretende di stabilire delle verità indiscutibili, "indiscutibile" significa proprio questo: riguardo a quella verità non è più ammesso il mettere in discussione. Questo non ammettere la messa in discussione va distinto dalla gestione concreta delle possibilità: per esempio, per la Chiesa Cattolica è un dogma indiscutibile che Gesù è il Figlio di Dio; ma ciò non significa che essa vieti alle università cattoliche di indagare su tale dogma, perfino provando a verificare che conseguenze nascono se viene negato. Però, nel momento in cui esso debba venire utilizzato in attività che lo pressuppongono, va considerato, trattato, come indiscutibile.

Allo stesso modo, un metafisico non vieterà la possibilità di effettuare ricerche accademiche sulla possibilità che 2 + 2 faccia 5. Però, nel momento in cui bisognerà fare matematica, bisogna dare per scontato, cioè come verità definitiva, e quindi indiscutibile, che 2 + 2 fa 4.

Ugualmente, tu cerchi un'etica oggettiva e ciò non significa che, dopo averla individuata, stabilirai il divieto di ulteriori ricerche su di essa e sulla sua messa in questione; però mi sembra chiaro che chiederai, a chi la volesse adottare e praticare, che nel momento in cui la metterà in pratica la dia per certa e definitiva, la tratti come certa e definitiva, quindi come indiscutibile.

Questo è dove io individuo una proposta di fine del dialogo. Il relativismo invece prevede il mettere in discussione tutto, quindi dialogare, in qualsiasi momento, anche nel momento della pratica; d'altra parte, in esso non vi sono princìpi che si prestino essere adottati e quindi dati per certi.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Apeiron il 14 Febbraio 2017, 15:15:26 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 14 Febbraio 2017, 14:15:10 PMNon mi sognerei mai di considerarti uno che evita il dialogo e l'ascolto. Tu, a mio parere, non sei un metafisico, tanto meno un metafisico incallito; sei una persona molto aperta, la quale non si accorge, nel servirsi di categorie metafisiche, di far uso di categorie che distolgono dal dialogo. Anche la Chiesa Cattolica è molto metafisica, eppure ho sempre sostenuto che essa, tra tutte le religioni, mi viene a risultare finora la più aperta al dialogo, al confronto, all'autocritica. In altre parole, ritengo che la metafisica possa nascostamente annidarsi anche in certi modi di ragionare adottati dalle persone più aperte e più disposte a mettersi in questione. Anch'io indubbiamente mi servo di un sacco di categorie metafisiche, più o meno consapevolmente. Quando dico che la metafisica è una proposta di fine del dialogo, dico che, una volta che essa pretende di stabilire delle verità indiscutibili, "indiscutibile" significa proprio questo: riguardo a quella verità non è più ammesso il mettere in discussione. Questo non ammettere la messa in discussione va distinto dalla gestione concreta delle possibilità: per esempio, per la Chiesa Cattolica è un dogma indiscutibile che Gesù è il Figlio di Dio; ma ciò non significa che essa vieti alle università cattoliche di indagare su tale dogma, perfino provando a verificare che conseguenze nascono se viene negato. Però, nel momento in cui esso debba venire utilizzato in attività che lo pressuppongono, va considerato, trattato, come indiscutibile. Allo stesso modo, un metafisico non vieterà la possibilità di effettuare ricerche accademiche sulla possibilità che 2 + 2 faccia 5. Però, nel momento in cui bisognerà fare matematica, bisogna dare per scontato, cioè come verità definitiva, e quindi indiscutibile, che 2 + 2 fa 4. Ugualmente, tu cerchi un'etica oggettiva e ciò non significa che, dopo averla individuata, stabilirai il divieto di ulteriori ricerche su di essa e sulla sua messa in questione; però mi sembra chiaro che chiederai, a chi la volesse adottare e praticare, che nel momento in cui la metterà in pratica la dia per certa e definitiva, la tratti come certa e definitiva, quindi come indiscutibile. Questo è dove io individuo una proposta di fine del dialogo. Il relativismo invece prevede il mettere in discussione tutto, quindi dialogare, in qualsiasi momento, anche nel momento della pratica; d'altra parte, in esso non vi sono princìpi che si prestino essere adottati e quindi dati per certi.

Angelo, grazie per questa risposta. Non volevo rispondere oggi nuovamente, ma vista questa tua risposta mi sono sentito in "dovere" di farlo.
Vedi per me sei uno dei più onesti ricercatori della verità. Hai abbandonato le tue certezze e sei pronto a metterti in discussione in ogni momento. Ti metti in pericolo e lo fai appunto perchè ritieni che ciò sia giusto. E di certo non imponi la tua filosofia a nessuno. Questo ti rende onore. Così come ti rende onore la tua disponibilità a riconoscere anche i pregi altrui. Motivo per cui ritengo che le discussioni con te siano sempre utili. Mi costringi ogni volta a rivedere le mie convinzioni.

Personalmente non credo che un'etica possa davvero essere scritta in modo "sistematico". Questo per il semplice fatto che massime come "ama il tuo prossimo come te stesso" sono maldefinite proprio perchè la parola "amore" è maldefinita. Cosa vuol dire? Boh! Uno psicopatico potrebbe intendere "amore" anche la tortura, il creare sofferenza all'altro. Viceversa "amore" per qualcuno potrebbe voler dire solo "non far del male". Per me non è così e ho motivi abbastanza validi per pensarlo. L'etica non può essere trascritta in un sistema di "regolette" proprio perchè manca il contributo più importante ossia l'esperienza, la vita ecc. Ma allora cosa serve dare importanza alle regole? Le regole servono come una guida, un'indicazione. Così io ho cercato di capire dai Vangeli, dai suttas ecc.

Ritengo poi che tu sia non un "anti-metafisico" ma un "vero metafisico", proprio come me (per quanto mi sia concesso di definirmi tale). Diamine possibile che fino all'incirca all'anno 1000 sbucavano sistemi metafisici da ogni parte e ora invece abbiamo come metafisica in mente solo quella di Platone o di Aristotele? Perchè smettere di fare teorie solo perchè quelle passate si sono rilevate errate? Perchè smettere di ricercare? Ma ogni ricerca deve secondo me avere un obbiettivo, eventualmente sconosciuto. E questo obbiettivo si manifesta nel modo in cui si procede nella ricerca.

Sulla Chiesa concordo con te. Ho avuto occasione di parlare con un mio amico prete e teologo e ho visto che ha davvero una mentalità aperta e su certe questione più della mia. Però come dici tu ha i suoi dogmi su cui non può rinunciare.

Infine dico che magari fra qualche anno divento un relativista come te oppure divento un fondamentalista, un metafisico incallito oppure rimango come sono ora ecc. Non prevedo il futuro, spero solo che la mia ricerca sia "per il bene" (uso questa espressione "etico-religiosa"). Detto questo in queste discussioni ci si dimentica inoltre del tempo della rielaborazione personale. Una cosa che leggo ora può sembrarmi un'assurdità e per questo motivo posso disprezzarla e dire all'altro che la sostiene che è una "stupidaggine". Poi succede che fra qualche anno mi accorgo che bastava che la leggessi in modo diverso e invece di essere una "stupidaggine" era una genialatà. Ma sono processi lunghi, che durano anni e non mi faccio illusioni. Perchè dunque scrivere il mio pensiero e leggere il vostro se il convincimento non è immediato? Semplice: ho la speranza che queste discussioni siano utili a me e al "prossimo" (ossia agli altri utenti e visitatori) e siano un modo per conoscere meglio l'elefante. Anzi non solo: anche semplicemente per capire meglio la mia stessa prospettiva, conoscere meglio le mie stesse convinzioni. Nelle'esempio di prima il "comandamento" di "amare il prossimo" può avere sfaccettatura che da me non sono comprese, perchè magari l'"amore" si manifesta in modi a me sconosciuti.

Ora però per un po' me ne vado sul serio anche perchè con la mia mente eccessivamente logica a volte la applico dove non dovrebbe essere applicata.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 14 Febbraio 2017, 16:02:35 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 14 Febbraio 2017, 13:29:20 PMA questo scopo sarebbe necessario accordarci sul significato di violenza. Per esempio, è o non è violenza, come una volta vidi in TV in una trasmissione che era qualcosa di simile a medici senza frontiere, aprire con la forza la bocca di una bambina morente, per farle inghiottire una medicina che le salverà la vita? Qui mi sembra che la risposta sia abbastanza facile. E se invece ad essere morente non è una bambina, ma un anziano di cento anni in preda a sofferenze terribili, il quale non desidera altro che morire e la medicina servirà solo a prolungare le sue sofferenze? È violenza uccidere per salvare la democrazia? Questi interrogativi non fanno altro che evidenziare che è impossibile una definizione definitiva, metafisica, oggettiva, di cosa voglia dire violenza. Quest'impossibilità dimostra che tutte le volte che qualcuno si oppone alla violenza, egli si sta opponendo a ciò che per lui è violenza. L'unica via che ci rimane è tentare di accordarci su un significato; è il convenzionalismo: accordarsi su una convenzione. È possibile accordarci su una definizione oggettiva di violenza, cioè valida per tutti, in maniera definitiva, non soggetta a continue rimesse in discussione? È ciò che sta cercando Apeiron, con la sua ricerca di un'etica oggettiva. Io ritengo ciò impossibile, perché ci sarà sempre qualcuno in disaccordo, e anche se vuoi giudicare tale disaccordo, dovrai farlo in funzione di qualche criterio, il quale sarà a sua volta dipendente da valutazioni soggettive. Il mio relativismo è una proposta di dialogo, dialogo che non deve finire mai. La metafisica è invece una proposta di fine del dialogo, una volta che si siano individuate verità definitive, valide per tutti. Questo per me è violenza: cessazione del dialogo, dell'ascolto, dell'interrogarsi e lasciarsi interrogare. Quelli che vanno in giro con la mascherina sono complici di quegli insetti che, grazie al fatto di non essere stati disturbati, potranno esercitare il loro dominio su altri esseri. Ciò significa che non è possibile sottrarci all'essere violenti o, come minimo, complici, più o meno alla lontana, della violenza di altri. Ciò che io vedo nel relativismo non è l'eliminazione della violenza, ma un tentativo per vedere se almeno in qualche caso sia possibile ridurre qualche violenza. Il relativismo è solo un tentare, nient'altro. Ma mi sembra che oggi, con tutta l'inaffidabilità della metafisica, l'umilissimo tentare, prontissimo a mettersi sempre in discussione, sia la cosa più seria che si possa fare. Riguardo alle incoerenze di Gesù, io non do per scontatamente vero ciò che dicono i Vangeli; resta che essi sono la sola principale fonte di informazione su di lui. I Vangeli, da un punto di vista di analisi dei testi, lo mostrano incoerente. Poi, riguardo a ciò che egli sia stato storicamente, è molto difficile, se non del tutto impossibile, ottenere dati certi.

Nel paragone sul significato di violenza che porti, la risposta mi appare scontata , e non mi serve un sistema filosofico metafisico o relativista per deciderlo, tutto ciò che opera per aumentare il bene dell'altro è salutare, tutto ciò che procura sofferenza all'altro è dannoso. La bambina va salvata perché la piccola sofferenza causata dal forzarle l'apertura della bocca è al fine di ottenere un maggior bene per lei ; nel caso del vecchio sofferente non si ottiene alcun bene ma un aumento della durata della sofferenza, perciò è dannoso. Se l'anziano è in possesso delle sue facoltà deve poter decidere se desidera continuare a vivere nonostante la sofferenza o se preferisce evitare qualsiasi accanimento. Il problema è che,in un sistema relativistico, si potrebbe "convenzionalmente", per democratica decisione di maggioranza ;D, decidere che il bene relativo della maggioranza è quello di fregarsene della volontà dell'anziano e sopprimerlo direttamente o che la bambina, essendo povera, non vale il costo della medicina da darle, e lasciarla quindi morire... Perciò sostengo che, tra le due visioni del reale, quella metafisica e quella autocontradditoria del relativismo, sia preferibile la prima, perché  di solito ( ma non sempre) fonda un'etica che tenta di salvaguardare il valore oggettivo della vita ( pur non potendolo dimostrare oggettivamente).
L'inevitabile approdo del relativismo è il nichilismo e, a questo punto ( carattere psicologico: cinismo) , si arriva a non mettere in discussione più niente, con effetto esattamente contrario a quello da te auspicato.  Infatti è solo una nuova teoria metafisica che può mettere in discussione la precedente e superarla, dimostrandosi più convincente logicamente della precedente, Ambedue, ribadisco, sia la metafisica che diventa dogma, sia il relativismo che diventa dogma, sono ditthi ( scusa il termine pali ma non conosco un termine analogo nostrano), opinioni, visioni fallaci , ecc.
La metafisica in sè non è la fine del dialogo, anzi invoglia  a trovare un'altra visione pià profonda, più ampia, più logica, ecc.. E'la fine del dialogo solo nel caso si stabilisce come dogma.
Rischio che corre anche il relativismo , che non diventa dogma, ma approda nella visione nichilistica della realtà, condannandosi alla mancanza totale di senso.
Ribadisco ancora...nessuna delle due è in grado di curare la sofferenza umana, a mio modesto avvso, ( sofferenza che non è un concetto metafisico o relativo, ma semplicemente lo stato percepito come insoddisfacente del soggetto), ma questo è ovviamente un altro discorso ( di parte... :-[ ).
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 14 Febbraio 2017, 16:22:46 PM
Citazione di: Apeiron il 14 Febbraio 2017, 15:15:26 PM
L'etica non può essere trascritta in un sistema di "regolette"
Il relativismo non è senza obiettivi, solo che li considera provvisori, discutibili.

Anche la metafisica si serve di obiettivi provvisori e discutibili. Dico si serve. Cioè, quelli provvisori sono solo uno strumento per giungere a qualcos'altro; questo qualcos'altro è una meta, arrivati alla quale smettere di andare oltre. Meta definitiva.

Ci sono i metafisici che dicono di aver già raggiunto questa meta, cioè ritengono di aver individuato delle verità che saranno indiscutibili in eterno, come per esempio il principio di non contraddizione.

Ci sono altri metafisici che pensano di non aver raggiunto tale meta, però ritengono che essa esiste, deve per forza esistere. Una meta che, almeno riguardo ad essa, consenta di smettere ulteriori ricerche. A questa categoria mi sembra che appartenga tu, pur con tutte le tue particolarità, cioè la tua apertura al dialogo, al mettere in discussione ecc. Voglio dire: sono o non sono nel giusto quando ritengo che tu sei alla ricerca di un'etica che sia definitiva, cioè che non abbia bisogno di ulteriori ricerche, ulteriori sforzi di individuare un'altra etica ancora? Ora ti chiedo: qual è il vantaggio di un'etica che non prevede ulteriori ricerche di altre etiche che la sostituiscano? Perché porsi come obiettivo una meta che implichi il blocco del progredire, in merito alla possibilità di sostituirla con qualcos'altro che risulti migliore? È come se un fisico si ponesse come meta la scoperta di una particella che blocchi la ricerca su di essa. Questa in fondo fu la pretesa di individuare gli atomi da parte di Democrito: a-tomos significa non ulteriormente divisibile. A suo dispetto, in fisica si individuarono particelle che si decise di chiamare atomi, ma essi erano ancora divisibili. Ma perché cercare qualcosa che non sia più divisibile? Perché voler trovare a tutti i costi un punto sul quale smettere di fare ricerca, di progredire?

Sì, magari l'etica che tu ricerchi non sarà esprimibile a parole, non sarà fatta di regolette, ma questo cosa cambia in merito al concepirla come qualcosa di definitivo, oltre la quale non ci sia altro da cercare se non come dettaglio marginale?
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 14 Febbraio 2017, 16:50:26 PM
Citazione di: Sariputra il 14 Febbraio 2017, 16:02:35 PM
... il valore oggettivo della vita
Sì, lo spauracchio del convenzionalismo è questo: l'intera umanità potrebbe mettersi d'accordo su decisioni sbagliate.

Ma se per l'intera umanità sono giuste, allora per chi è che sono sbagliate?

L'intera umanità potrebbe decidere di autodistruggersi. Chi stabilirà che è sbagliato? Non è scritto da nessuna parte che l'umanità debba esistere per forza, così come la natura ha dimostrato che non era scritto da nessuna parte che i dinosauri dovessero esistere per forza. L'estinzione dei dinosauri fu un bene o un male? Non fu né un bene né un male, fu semplicemente un fenomeno della natura. L'estinzione dell'umanità sarebbe un bene o un male? Bene o male per chi? Per gli scarafaggi che potrebbero sopravvivere a noi? Un giorno allora saranno loro, nel frattempo progrediti nell'intelligenza, a chiedersi se la nostra estinzione fu un bene o un male e risponderanno che fu solo un fenomeno della natura.

Da qui mi sembra conseguire che il problema del convenzionalismo non è uno spauracchio, ma un dato di fatto in cui già ci troviamo dentro fino al collo. Che cos'è la democrazia se non un convenzionalismo su alcune regole su cui un popolo si mette d'accordo? Il convenzionalismo non può essere fermato con qualche principio superiore per lo stesso motivo per cui non puoi fermare con un principio superiore la democrazia. Quest'eventuale principio superiore non può essere altro che una dittatura.

Da questo punto di vista la democrazia è spaventosa, basti pensare che Hitler fu eletto democraticamente. Visto quel che combinò, ci sarebbero motivi più che validi per stabilire che la democrazia non va permessa perché lascia i popoli troppo liberi di fare quello che vogliono.

La democrazia ci riporta al soggetto: ciò che conta sono i soggetti. Ma i soggetti sono inaffidabili, sono capaci di eleggere Hitler. Però non c'è nulla in grado di contrastare l'importanza del soggetto, perché qualunque cosa si trovi sarà qualcosa individuata da qualche soggetto.

Hai scritto che la metafisica, di solito, fonda un'etica che cerca di salvaguardare il valore oggettivo della vita. La vita di chi e che tipo di vita? Io posso salvaguardare la vita uccidendo Saddam Hussein e poi rovinare quella di milioni di altre persone attraverso operazioni finanziarie schiavizzanti. È più grave uccidere una persona o compiere sotterfugi politici causando danni di portata gigantesca a intere popolazioni, in cui però tutti restano vivi? Penso che mi risponderai che in questi casi la colpa non è della metafisica, ma di chi tradisce il valore oggettivo della vita. Allora mi chiedo: dove sta depositata la definizione esatta del valore oggettivo della vita? Nel nostro cuore? Nella filosofia di qualcuno? Se tale definizione non è per niente chiara, né chiarificabile, una volta che ogni chiarificazione avrebbe bisogno a sua volta di essere chiarificata, cos'è allora questo valore oggettivo della vita?
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 14 Febbraio 2017, 17:08:21 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 14 Febbraio 2017, 16:50:26 PM
Citazione di: Sariputra il 14 Febbraio 2017, 16:02:35 PM... il valore oggettivo della vita
Sì, lo spauracchio del convenzionalismo è questo: l'intera umanità potrebbe mettersi d'accordo su decisioni sbagliate. Ma se per l'intera umanità sono giuste, allora per chi è che sono sbagliate? L'intera umanità potrebbe decidere di autodistruggersi. Chi stabilirà che è sbagliato? Non è scritto da nessuna parte che l'umanità debba esistere per forza, così come la natura ha dimostrato che non era scritto da nessuna parte che i dinosauri dovessero esistere per forza. L'estinzione dei dinosauri fu un bene o un male? Non fu né un bene né un male, fu semplicemente un fenomeno della natura. L'estinzione dell'umanità sarebbe un bene o un male? Bene o male per chi? Per gli scarafaggi che potrebbero sopravvivere a noi? Un giorno allora saranno loro, nel frattempo progrediti nell'intelligenza, a chiedersi se la nostra estinzione fu un bene o un male e risponderanno che fu solo un fenomeno della natura. Da qui mi sembra conseguire che il problema del convenzionalismo non è uno spauracchio, ma un dato di fatto in cui già ci troviamo dentro fino al collo. Che cos'è la democrazia se non un convenzionalismo su alcune regole su cui un popolo si mette d'accordo? Il convenzionalismo non può essere fermato con qualche principio superiore per lo stesso motivo per cui non puoi fermare con un principio superiore la democrazia. Quest'eventuale principio superiore non può essere altro che una dittatura. Da questo punto di vista la democrazia è spaventosa, basti pensare che Hitler fu eletto democraticamente. Visto quel che combinò, ci sarebbero motivi più che validi per stabilire che la democrazia non va permessa perché lascia i popoli troppo liberi di fare quello che vogliono. La democrazia ci riporta al soggetto: ciò che conta sono i soggetti. Ma i soggetti sono inaffidabili, sono capaci di eleggere Hitler. Però non c'è nulla in grado di contrastare l'importanza del soggetto, perché qualunque cosa si trovi sarà qualcosa individuata da qualche soggetto. Hai scritto che la metafisica, di solito, fonda un'etica che cerca di salvaguardare il valore oggettivo della vita. La vita di chi e che tipo di vita? Io posso salvaguardare la vita uccidendo Saddam Hussein e poi rovinare quella di milioni di altre persone attraverso operazioni finanziarie schiavizzanti. È più grave uccidere una persona o compiere sotterfugi politici causando danni di portata gigantesca a intere popolazioni, in cui però tutti restano vivi? Penso che mi risponderai che in questi casi la colpa non è della metafisica, ma di chi tradisce il valore oggettivo della vita. Allora mi chiedo: dove sta depositata la definizione esatta del valore oggettivo della vita? Nel nostro cuore? Nella filosofia di qualcuno? Se tale definizione non è per niente chiara, né chiarificabile, una volta che ogni chiarificazione avrebbe bisogno a sua volta di essere chiarificata, cos'è allora questo valore oggettivo della vita?

Vedi che stai sprofondando nell'estremo del nichilismo ? Se niente è chiarificabile, cosa dobbiamo chiarire tra noi due? Se la vita non è un valore oggettivo, devi prepararti a difenderti, da solo, perché qualcuno verrà a pretendere qualcosa da te. Senza valori non è possibile una legge. Senza legge prevale il valore della forza, non certo la capacità filosofica e democratica.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Phil il 14 Febbraio 2017, 19:14:34 PM
Secondo me il "valore" è sempre una costruzione arbitraria e convenzionale (sia esso etico, economico, filosofico o altro), non a caso le dichiarazioni di diritti universali e affini non scoprono nulla oggettivamente, ma decidono arbitrariamente (al di là di quanto siano condivise o condivisibili: se fosse vera oggettività, non si porrebbe nemmeno il problema della condivisibilità...). Per cui parlare di "valore oggettivo della vita" è un ossimoro, per quanto suadentemente antropocentrico, umanistico e "politicamente corretto".

Ammettere l'arbitrarietà dei valori (distinguendo le pie ambizioni oggettive della scienza dal fideismo soggettivo e "artificiale" della cultura di riferimento) significa essere nichilisti? Se ci si accorge che la nostra compagna, che si professava fedele e integerrima, invece era dedita al meretricio, questo cambio di valutazione sulla sua condotta, è nichilismo? Riconoscere che non esiste una lingua superiore, ma ogni lingua è funzionale al suo contesto e ha i suoi problemi di traducibilità, è nichilismo? La risposta a queste tre domande sarà "si", se intendiamo per nichilismo la presa di consapevolezza dell'imperfezione di ciò che si credeva perfetto, il riconoscere la presenza della negazione (non necessariamente della negatività) in qualcosa che si reputava idillicamente incontaminato da punti critici, falle strutturali o contestualizzazioni che lo relativizzano... ma questo nichilismo (se lo intendiamo come sopra) non comporta necessariamente la rinuncia totale ad ogni valutazione, comunicazione, organizzazione o progetto; si tratta solo di muoversi con minore sicurezza (il che non piace a nessuno, ma è il prezzo del disincanto) e maggiore versatilità e spirito d'adattamento (l'antitesi dell'eroe epico che cambia le sorti del mondo cui le sue gesta). 

Realizzare che c'è del relativismo nella storia dell'uomo (presente compreso), comporta una maggiore attenzione e una maggiore fatica nel giostrarsi (senza concedersi il sereno sonno dei dormienti eraclitei), tuttavia non significa concludere che allora "ogni scelta va bene" (anzi, il presunto "bene" diventa più arduo poiché più instabile e relativo al "qui ed ora") né significa tantomeno che non abbia senso cercare (di comunicare, di vivere al meglio delle proprie possibilità, di essere al timone dei propri giorni). Il relativista (o il nichilista per come connotato sopra) non può permettersi di essere scoraggiato, ma è costretto dagli eventi (salvo fare l'eremita, e neanche...) a non smettere mai di ricalibrare la propria prospettiva, seguendo il fluire della realtà che lo circonda (e, in fondo, a pensarci bene, non è forse quello che molti di noi hanno fatto e fanno avanzando nelle età della loro vita? I vostri paradigmi non sono forse cambiati nell'avvicendarsi delle vostre decadi? I venti anni, poi i trenta, etc. non hanno avuto interpretazioni e approcci differenti al mondo? Forse siamo tutti un po' più relativisti/nichilisti di quanto crediamo ;D )
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 14 Febbraio 2017, 19:40:46 PM
Citazione di: Sariputra il 14 Febbraio 2017, 17:08:21 PMVedi che stai sprofondando nell'estremo del nichilismo ? Se niente è chiarificabile, cosa dobbiamo chiarire tra noi due?
A me sembra che questa situazione sussista da sempre nel mondo, con suoi pro e i suoi contro.

Chi è mai riuscito in questo mondo a chiarificare qualcosa che non sia meglio chiarificabile oppure del tutto smentibile? In questo senso, se io e te tentassimo ora di chiarificare finalmente qualcosa di definitivo, ritengo che staremmo tentando di fare qualcosa che in questo mondo non è mai stato realizzato.
Citazione di: Sariputra il 14 Febbraio 2017, 17:08:21 PMSe la vita non è un valore oggettivo, devi prepararti a difenderti, da solo, perché qualcuno verrà a pretendere qualcosa da te.
Mi sembra che da quando il mondo esiste fino ad oggi continui ad essere necessario difendersi: in questo senso mi stai dicendo di prepararmi a fare qualcosa che in questo mondo si fa per lo meno da quando è nata la vita.
Citazione di: Sariputra il 14 Febbraio 2017, 17:08:21 PMSenza valori non è possibile una legge.
Per quanto riguarda le leggi, meno male che non è possibile una legge: se fosse possibile l'avrebbero già scoperta e ne avrebbero approfittato per assoggettarvi l'intera umanità. Invece sono necessarie sempre nuove leggi, e di quelle fatte non ne esiste alcuna che non sia soggetta ad aggiornamento, eliminazione o sostituzione.
Citazione di: Sariputra il 14 Febbraio 2017, 17:08:21 PMSenza legge prevale il valore della forza, non certo la capacità filosofica e democratica.
Riguardo alla forza e alla democrazia, effettivamente anche la democrazia si può considerare nient'altro che un modo di usare la forza in maniere più furbe. Oggi a me sembra che la democrazia ci faccia stare meglio, ma riconosco che è solo un mio parere soggettivo.

D'altra parte, questo forum non si chiama "chiarimenti", ma "riflessioni", o "logos", termini che non presuppongono alcun raggiungimento di chiarimenti definitivi. Siamo qui e comunichiamo, ci scambiamo idee, emozioni, interrogativi, conoscenze, opinioni. Secondo te tutto ciò è inutile, per il fatto che l'intero sito di riflessioni.it, da quando fu creato fino ad ora, non è pervenuto ad alcun chiarimento da abbia in sé la forza di valore oggettivo?

Casomai (questa mi è venuta per un sorriso, se causa offesa la ritiro) potremmo formulare una lettera di invito a Ivo Nardi a chiudere il sito, visto che esso non è mai riuscito a produrre uno straccio di chiarimento definitivo valido per tutti:

Egregio sig. Ivo Nardi,
con la presente le intimiamo la chiusura definitiva del sito riflessioni.it, avendo appurato che esso è causa di grave danno alla popolazione, consistente in spreco di tempo prezioso, visto che in suddetto sito non si è mai pervenuti a chiarimenti oggettivi.
Con riserva di chiederle risarcimento danni e con diffida dal riaprirlo.

I firmatari

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Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 14 Febbraio 2017, 21:03:09 PM
@ A:Cannata
Vedo che non perdi l'abitudine di desumere , partendo dai tuoi pre-giudizi, intenzioni che gli interlocutori non hanno ( come è capitato con l'utente Sgiombo). Quando mai ho affermato che la metafisica è oggettiva?  Ho solo detto che un'etica, per quanto imperfetta, è preferibile a nessuna etica che è l'approdo naturale del nichilismo. Punto. Poi  mi sembra che confondi cambiamento di teoria con relativismo ( e questo vale come risposta anche per Phil). Il divenire impone il cambiamento di una teoria con un'altra che può rivelarsi più valida, non che nessuna teoria può mai essere valida, che è un dogma del relativismo. Se mi sono fatto , dentro di me, la teoria ( il giudizio) che mia moglie è una santa, ma poi scopro che non lo è , mi costruisco inevitabilmente la teoria opposta. ma non posso sfuggire al teorizzare, ossia fare della metafisica ( magari spicciola). Quindi credo che nessuna metafisica seria ( non dogmatica) pensa di essere eterna ( questa è magari un'aspirazione delle religioni, ma non sono esattamente la stessa cosa, anche se vediamo il cambiamento continuo pure in esse).  Ho fatto solo notare che dire che "tutto è relativo" e " tutte le teorie metafisiche proposte sono cambiate" non è esattamente e logicamente la stessa cosa. Infatti  non si può desumere dogmaticamente che per sempre  tutte le teorie saranno relative. Questa è un'affermazione dogmatica e metafisica, una teoria delle teorie. Sappiamo che le teorie sulla realtà non si sono rivelate del tutto adeguate, ma non sappiamo che per sempre le teorie sulla realtà saranno inadeguate. Possiamo essere scettici sul fatto che mai potremo avere una teoria valida sulla realtà, oppure ottimisti, ma questa non è una cosa che si può stabilire a priori, pena cadere nelle stesse contraddizioni che si imputano alle teorie metafisiche.
Sull'ironia a buon mercato, Angelo, passo sopra...ma cosa vi hanno insegnato in seminario? ;D ;D
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 14 Febbraio 2017, 23:08:00 PM
Citazione di: Sariputra il 14 Febbraio 2017, 21:03:09 PM... credo che nessuna metafisica seria ( non dogmatica) pensa di essere eterna ...
Oh, ma allora la pensiamo allo stesso modo! Ottimo, questo accorcia ed evita un mare di discussioni.
Citazione di: Sariputra il 14 Febbraio 2017, 21:03:09 PM... ma cosa vi hanno insegnato in seminario? ;D ;D
Una delle cose più importanti che mi hanno insegnato in seminario è stato il convivere, però lo ammetto, non m'insegnarono a relazionarmi via computer, via internet, anche perché allora internet non esisteva affatto. È vero che quando non ho la gente fisicamente presente davanti a me perdo un po' di contatto con la realtà. Ricordo che mi accadde diverse volte di essermi preparato la predica su un foglietto e poi, dopo aver alzato gli occhi per guardare in faccia la gente che mi trovavo davanti, aver appallottolato il foglietto intuendo che c'erano scritte cose troppo distanti da quei volti. In compenso questo mi ha consentito in altri contesti una maggiore concentrazione nel non perdere di vista il nocciolo delle questioni.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 14 Febbraio 2017, 23:27:48 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 14 Febbraio 2017, 23:08:00 PM
Citazione di: Sariputra il 14 Febbraio 2017, 21:03:09 PM... credo che nessuna metafisica seria ( non dogmatica) pensa di essere eterna ...
Oh, ma allora la pensiamo allo stesso modo! Ottimo, questo accorcia ed evita un mare di discussioni.
Citazione di: Sariputra il 14 Febbraio 2017, 21:03:09 PM... ma cosa vi hanno insegnato in seminario? ;D ;D
Una delle cose più importanti che mi hanno insegnato in seminario è stato il convivere, però lo ammetto, non m'insegnarono a relazionarmi via computer, via internet, anche perché allora internet non esisteva affatto. È vero che quando non ho la gente fisicamente presente davanti a me perdo un po' di contatto con la realtà. Ricordo che mi accadde diverse volte di essermi preparato la predica su un foglietto e poi, dopo aver alzato gli occhi per guardare in faccia la gente che mi trovavo davanti, aver appallottolato il foglietto intuendo che c'erano scritte cose troppo distanti da quei volti. In compenso questo mi ha consentito in altri contesti una maggiore concentrazione nel non perdere di vista il nocciolo delle questioni.

No, desumi ancora in modo sbagliato.  Per me il relativismo è una teoria come un'altra. Da buon seguace del Dharma non amo il teorizzare, mi premeva unicamente metterne in evidenza le contraddizioni logiche in cui cade.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 14 Febbraio 2017, 23:40:07 PM
Il relativismo che intendo io è ancora meno di una teoria, perché dubita del teorizzare stesso, dell'esistenza di se stesso, del significato di ogni parola, dell'uso della grammatica. Per il relativismo contraddirsi è una condizione inevitabile in cui tutti ci troviamo, quindi la accoglie a piene mani. Il relativismo è proprio un nulla, perché esso è nichilismo; è un nulla che stranamente crea problemi dovunque si trovi.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 15 Febbraio 2017, 00:08:39 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 14 Febbraio 2017, 23:40:07 PMIl relativismo che intendo io è ancora meno di una teoria, perché dubita del teorizzare stesso, dell'esistenza di se stesso, del significato di ogni parola, dell'uso della grammatica. Per il relativismo contraddirsi è una condizione inevitabile in cui tutti ci troviamo, quindi la accoglie a piene mani. Il relativismo è proprio un nulla, perché esso è nichilismo; è un nulla che stranamente crea problemi dovunque si trovi.

Personalmente non mi crea nessun problema  ;D ...mi sembra anzi che ne crei di più a te. Che problemi potrebbe crearmi il nulla?  Scompaginare le mie credenze? Non ha nessun argomento ( ossia nulla) per poterlo fare. Dimostrarmi che le mie credenze sono false? Deve usare le mie armi per farlo, con il nulla non lo può fare, e usando le mie armi dimostra anche lui di credere in quello che usa. Non ne esci , Angelo... ;D ;D ;D
E' come una partita a scacchi e io ho la regina... ;)
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 15 Febbraio 2017, 04:33:13 AM
Citazione di: Sariputra il 15 Febbraio 2017, 00:08:39 AMNon ne esci...
io ho la regina...
A mio parere non è mai possibile stabilire chi è dentro e chi è fuori, chi dovrebbe uscire e chi dovrebbe entrare, chi ha la regina e se esiste una regina.
Dalla frequentazione dei Vangeli mi è rimasto impresso come, specialmente in quello di Giovanni, riguardo al momento in cui Gesù fu processato, il lettore venga condotto a chiedersi chi è che sta facendo da giudice, Pilato, il sinedrio, il popolo nei confronti di Gesù oppure Gesù nei confronti di tutti costoro.
Anche questo è relativismo: stabilire chi è giudice e chi imputato, chi vinto e chi vincitore, o se sia tutt'altro il senso di ciò che si sta verificando, dipende dalla prospettiva da cui scegliamo di interpretare le cose.
Da un punto di vista di relativismo appare umanamente interessante abituarsi a frequentare sempre più prospettive, mai accontentarsi di una sola. Anche questo era un insegnamento che raccomandavano i miei professori di Bibbia: mai studiare la Bibbia accompagnandosi con un commentario solo: minimo due, meglio se sono di più.
Questo fa abituare alla mentalità che non esiste un senso (delle cose, di un testo, della vita, ecc.), tanto meno il senso, ma sempre molteplici sensi, tutti dipendenti dal nostro essere umani, quindi relativi.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 15 Febbraio 2017, 05:01:30 AM
P.S.
Ma poi non capisco come mai ti sei sentito attaccato personalmente, visto che parli di armi, di partita a scacchi, non ne esci, ecc. E che è, la terza guerra mondiale? Io avevo semplicemente espresso un mio modo di considerare il relativismo. Se la senti come guerra penso che per me non sia il caso di proseguire.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 15 Febbraio 2017, 08:46:03 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 15 Febbraio 2017, 04:33:13 AM
Citazione di: Sariputra il 15 Febbraio 2017, 00:08:39 AMNon ne esci... io ho la regina...
A mio parere non è mai possibile stabilire chi è dentro e chi è fuori, chi dovrebbe uscire e chi dovrebbe entrare, chi ha la regina e se esiste una regina. Dalla frequentazione dei Vangeli mi è rimasto impresso come, specialmente in quello di Giovanni, riguardo al momento in cui Gesù fu processato, il lettore venga condotto a chiedersi chi è che sta facendo da giudice, Pilato, il sinedrio, il popolo nei confronti di Gesù oppure Gesù nei confronti di tutti costoro. Anche questo è relativismo: stabilire chi è giudice e chi imputato, chi vinto e chi vincitore, o se sia tutt'altro il senso di ciò che si sta verificando, dipende dalla prospettiva da cui scegliamo di interpretare le cose. Da un punto di vista di relativismo appare umanamente interessante abituarsi a frequentare sempre più prospettive, mai accontentarsi di una sola. Anche questo era un insegnamento che raccomandavano i miei professori di Bibbia: mai studiare la Bibbia accompagnandosi con un commentario solo: minimo due, meglio se sono di più. Questo fa abituare alla mentalità che non esiste un senso (delle cose, di un testo, della vita, ecc.), tanto meno il senso, ma sempre molteplici sensi, tutti dipendenti dal nostro essere umani, quindi relativi.
Citazione di: Angelo Cannata il 15 Febbraio 2017, 05:01:30 AMP.S. Ma poi non capisco come mai ti sei sentito attaccato personalmente, visto che parli di armi, di partita a scacchi, non ne esci, ecc. E che è, la terza guerra mondiale? Io avevo semplicemente espresso un mio modo di considerare il relativismo. Se la senti come guerra penso che per me non sia il caso di proseguire.

E chi ha mai detto che bisogna accontentarsi di una sola prospettiva?Avere molteplici possibilità di interpretazione e di prospettiva, non significa affatto, come sostieni tu, che quindi nessuna prospettiva ha significato ( e, in ogni caso, a parer mio, si sta semplicemente formulando una nuova teoria: la teoria delle molteplici prospettive). Tutte le prospettive però, per essere prospettive, ricorrono allo stesso linguaggio interpretativo, a cui tu , come nichilista, neghi qualunque validità. Di più, neghi qualunque validità  di qualunque cosa, persino della tua stessa esistenza e quindi ,a mio parere, trovo estremamente contraddittorio che tu adesso venga ad affermare l'importanza di avere molteplici prospettive. Importanza rispetto a che cosa, visto che neghi il concetto stesso di importanza?
Per quello che riguarda la regina...sei tu, Angelo, che hai iniziato questa discussione con fare arrogante e dileggiante le opinioni altrui, non io...e non è un caso che , sia io che un altro utente, ci siamo sentiti offesi da questo atteggiamento. Pertanto ho cercato, nei miei immensi limiti, di mostrarti quello che , a mio modesto parere, risultava contraddittorio anche nella tua posizione...che poi tu provi piacere per le contraddizioni, non è affar mio... ;D
Mi associo alla considerazione della sterilità di continuare questa discussione tra di noi. Se dobbiamo ridurci a discutere...del nulla ::)
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Apeiron il 15 Febbraio 2017, 09:40:15 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 14 Febbraio 2017, 16:22:46 PM
Citazione di: Apeiron il 14 Febbraio 2017, 15:15:26 PML'etica non può essere trascritta in un sistema di "regolette"
Il relativismo non è senza obiettivi, solo che li considera provvisori, discutibili. Anche la metafisica si serve di obiettivi provvisori e discutibili. Dico si serve. Cioè, quelli provvisori sono solo uno strumento per giungere a qualcos'altro; questo qualcos'altro è una meta, arrivati alla quale smettere di andare oltre. Meta definitiva. Ci sono i metafisici che dicono di aver già raggiunto questa meta, cioè ritengono di aver individuato delle verità che saranno indiscutibili in eterno, come per esempio il principio di non contraddizione. Ci sono altri metafisici che pensano di non aver raggiunto tale meta, però ritengono che essa esiste, deve per forza esistere. Una meta che, almeno riguardo ad essa, consenta di smettere ulteriori ricerche. A questa categoria mi sembra che appartenga tu, pur con tutte le tue particolarità, cioè la tua apertura al dialogo, al mettere in discussione ecc. Voglio dire: sono o non sono nel giusto quando ritengo che tu sei alla ricerca di un'etica che sia definitiva, cioè che non abbia bisogno di ulteriori ricerche, ulteriori sforzi di individuare un'altra etica ancora? Ora ti chiedo: qual è il vantaggio di un'etica che non prevede ulteriori ricerche di altre etiche che la sostituiscano? Perché porsi come obiettivo una meta che implichi il blocco del progredire, in merito alla possibilità di sostituirla con qualcos'altro che risulti migliore? È come se un fisico si ponesse come meta la scoperta di una particella che blocchi la ricerca su di essa. Questa in fondo fu la pretesa di individuare gli atomi da parte di Democrito: a-tomos significa non ulteriormente divisibile. A suo dispetto, in fisica si individuarono particelle che si decise di chiamare atomi, ma essi erano ancora divisibili. Ma perché cercare qualcosa che non sia più divisibile? Perché voler trovare a tutti i costi un punto sul quale smettere di fare ricerca, di progredire? Sì, magari l'etica che tu ricerchi non sarà esprimibile a parole, non sarà fatta di regolette, ma questo cosa cambia in merito al concepirla come qualcosa di definitivo, oltre la quale non ci sia altro da cercare se non come dettaglio marginale?

Qui tu assumi un po' di cose che sinceramente non ho mica affermato. Il mio unico obbiettivo non è quello di trovare l' "etica perfetta", visto che mi interessano anche altre parti della filosofia e della scienza. Se mai dovessi finire di ricercare su un argomento allora sicuramente ne prenderei altri su ci ricercare.
Tuttavia già quando si dice che uno cerca un'etica o una particella o qualcosa ci si pone un obbiettivo e tale obbiettivo è meglio che sia condiviso da più persone, le quali spesso ricercano nel loro modo più peculiare. Perciò la mia ricerca non è la tua ricerca, quindi quando io eventualmente finirò la mia ricerca non è detto che il resoconto della mia ricerca sia in fin dei conti soddisfacente anche per te.

Tornando all'esempio dell'etica è come avere davanti ritrovarsi sulla Terra 10000 anni fa e volerlo esplorare nella sua interezza. Col dettaglio metti di essere ad esempio privo dell'olfatto. L'obbiettivo è ben definito. Ora metti che io vada in Italia e dico, arrivo alle Alpi e dico: "le alpi delimitano la Terra". Poi arriva un altro e mi porta oltre le Alpi e mi fa capire: "no guarda la Terra va oltre le Alpi". A questo punto posso non crederci e considerarlo "pericoloso" oppure posso accettare quello che dice. Poi arriva un altro e mi fa un bellissimo discorso su quanto siano belli gli odori che si sentono nelle campagne della Pianura Padana. In questo caso io non ho la possibilità di capire nulla di quanto dice perchè io sono privo di olfatto. Posso rinchiuderlo in manicomio perchè "pazzo" o posso accettare che non posso conoscere pienamente la Terra, visto che mi manca l'olfatto. Così nel mio studio dell'etica non pretendo di avere una conoscenza "assoluta, completa ecc" di essa ma di certo avrò una conoscenza distorta e relativa ossia prospettivistica. Nulla però mi vieta di teorizzare e di provare a formulare ipotesi che vadano oltre alla mia prospettiva. Ad esempio se nella Pianura Padana cade una male, tale fenomeno è visibile a tutti quelli che hanno la vista. Un cieco potrebbe sentire il suono della mela caduta ecc. Tuttavia al cieco fa anche bene affinché non cada nell'arroganza di sapere anche cosa dicono gli altri e di "accogliere le loro prospettive" senza che necessariamente debba ritenere che la sua prospettiva è inferiore o superiore.  In sostanza è come se fossimo bloccati a vedere il paesaggio da diverse angolazioni e ognuno di noi vede qualcosa. C'è chi vede solo una piccolissima parte e c'è chi lo vede quasi completamente. Magari però quello che vede una piccolissima parte può istruire quello che vede quasi tutto di dettagli che quell'altro non ha mai osservato. Viceversa quello che vede quasi tutto può raccontare all'altro che ha visto molte cose. E così via. Metti che quello che vede poco si è accorto della presenza di un sasso e quello che vede tanto no. Quello che vede tanto può dire all'altro "c'è il sasso" e l'altro può non crederci (e magari dalla sua angolazione non è possibilitato a vedere il sasso con i suoi occhi). Può rifiutarsi di credere che ci sia il sasso eppure per quanto si rifiuti il sasso è presente. Ora tornando a noi: il prospettivismo apre la mente perchè ti fa capire che sei costretto a vedere le cose dalla tua prospettiva. Tuttavia il prospettivismo secondo me ha il problema che dice che "ci sono tante angolazioni". Tuttavia il prospettivismo-relativismo conduce al nichilismo perchè nega l'esistenza del paesaggio.

Quindi rispondendoti: a meno che io non raggiunga l'onniscenza dovrò comunque essere aperto alla ricerca e al dialogo. Se dovessi per assurdo essere onniscente saprò già tutto quello che dovrai dirmi e quindi l'eventuale dialogo non mi sarebbe di nessuna utilità se non quella di sentirti parlare. Il problema del relativismo è appunto quello che nega il paesaggio e tiene solo le angolazioni. Affermare l'esistenza del paesaggio non è essere dogmatici ma semplicemente riconoscere che c'è un oggetto della nostra ricerca, indipendente da noi. Quello che dico io è che bisogna essere pronti a capire che di esso possiamo avere solo una prospettiva limitata.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Duc in altum! il 15 Febbraio 2017, 09:42:46 AM
**  scritto da Angelo Cannata:
CitazioneAllora mi chiedo: dove sta depositata la definizione esatta del valore oggettivo della vita? Nel nostro cuore? Nella filosofia di qualcuno? Se tale definizione non è per niente chiara, né chiarificabile, una volta che ogni chiarificazione avrebbe bisogno a sua volta di essere chiarificata, cos'è allora questo valore oggettivo della vita?
Il valore oggettivo della vita è il Mistero della vita che nessuno può svelare totalmente (per volere divino secondo me, purtroppo per gli altri), ma che ognuno sperimenta in corpo e coscienza, e sta depositato in ciò che tu con la tua fede definisci essere l'amore; e che, metafisico o anti-metafisico, dirige le tue scelte etiche e, soprattutto, morali.
Hai voglia ad auto-ritenerti anti-tutto, ma da come e perché svolgi il tuo lavoro, da come e perché relazioni con gli altri, da come e perché leggi dei libri anziché altri, da come e perché hai speranza in quella determinata utopia, già sei diventato un valore oggettivo della vita, secondo la tua personale opinione.
Qual è la tua posizione sulla creazione dell'Universo e della vita? ...qual è la tua idea di benessere sociale? ...qual è la tua opinione sul testamento biologico? ...che posizione hai preso all'ultimo referendum? ...qual è il motivo che ti ha fatto decidere di recidere burocraticamente il tuo sacerdozio? Ecco, dentro di te c'è un filo rosso che collega tutte le tue personali risposte e le conseguenti decisioni pratiche: quello è il valore oggettivo della vita secondo te, ed è quello che definisce l'esistenza e l'essere di @Angelo Cannata, anche se anarchicamente.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Apeiron il 15 Febbraio 2017, 09:51:18 AM
Citazione di: Sariputra il 15 Febbraio 2017, 08:46:03 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 15 Febbraio 2017, 04:33:13 AM
Citazione di: Sariputra il 15 Febbraio 2017, 00:08:39 AMNon ne esci... io ho la regina...
A mio parere non è mai possibile stabilire chi è dentro e chi è fuori, chi dovrebbe uscire e chi dovrebbe entrare, chi ha la regina e se esiste una regina. Dalla frequentazione dei Vangeli mi è rimasto impresso come, specialmente in quello di Giovanni, riguardo al momento in cui Gesù fu processato, il lettore venga condotto a chiedersi chi è che sta facendo da giudice, Pilato, il sinedrio, il popolo nei confronti di Gesù oppure Gesù nei confronti di tutti costoro. Anche questo è relativismo: stabilire chi è giudice e chi imputato, chi vinto e chi vincitore, o se sia tutt'altro il senso di ciò che si sta verificando, dipende dalla prospettiva da cui scegliamo di interpretare le cose. Da un punto di vista di relativismo appare umanamente interessante abituarsi a frequentare sempre più prospettive, mai accontentarsi di una sola. Anche questo era un insegnamento che raccomandavano i miei professori di Bibbia: mai studiare la Bibbia accompagnandosi con un commentario solo: minimo due, meglio se sono di più. Questo fa abituare alla mentalità che non esiste un senso (delle cose, di un testo, della vita, ecc.), tanto meno il senso, ma sempre molteplici sensi, tutti dipendenti dal nostro essere umani, quindi relativi.

Citazione di: Angelo Cannata il 15 Febbraio 2017, 05:01:30 AMP.S. Ma poi non capisco come mai ti sei sentito attaccato personalmente, visto che parli di armi, di partita a scacchi, non ne esci, ecc. E che è, la terza guerra mondiale? Io avevo semplicemente espresso un mio modo di considerare il relativismo. Se la senti come guerra penso che per me non sia il caso di proseguire.
E chi ha mai detto che bisogna accontentarsi di una sola prospettiva?Avere molteplici possibilità di interpretazione e di prospettiva, non significa affatto, come sostieni tu, che quindi nessuna prospettiva ha significato. Tutte le prospettive però, per essere prospettive, ricorrono allo stesso linguaggio interpretativo, a cui tu , come nichilista, neghi qualunque validità. Di più, neghi qualunque validità di qualunque cosa, persino della tua stessa esistenza e quindi ,a mio parere, trovo estremamente contraddittorio che tu adesso venga ad affermare l'importanza di avere molteplici prospettive. Importanza rispetto a che cosa, visto che neghi il concetto stesso di importanza? Per quello che riguarda la regina...sei tu, Angelo, che hai iniziato questa discussione con fare arrogante e dileggiante le opinioni altrui, non io...e non è un caso che , sia io che un altro utente, ci siamo sentiti offesi da questo atteggiamento. Pertanto ho cercato, nei miei immensi limiti, di mostrarti quello che , a mio modesto parere, risultava contraddittorio anche nella tua posizione...che poi tu provi piacere per le contraddizioni, non è affar mio... ;D Mi associo alla considerazione della sterilità di continuare questa discussione tra di noi. Se dobbiamo ridurci a discutere...del nulla ::)

Negare il concetto di importanza segue dal negare il concetto di "gerarchia delle prospettive". Ma ammettere una gerarchie tra le prospettive non è dogmatismo. Semmai dogmatismo è anche dire: "io ho la mia prospettiva e siccome nessuna è più importante della mia allora non ha senso che io impari altre prospettive. Perchè d'altronde se comunque sono prospettive come la mia anche conoscendole, la mia nuova prospettiva sarà tanto importante quanto quella che ora! Quindi non ci guadagnerei nulla". Questo discorso vale per ogni relativismo (quindi anche per quello "temporale" di Phil).

Ti correggo Sari su una cosa. Anche nel buddismo c'è una "verità eterna" ed quella del trittico anicca-anatta-dukkha (ossia il Dhamma stesso). La suprema prospettiva è appunto quella che conduce alla Liberazione. Nel cristianesimo la "verità eterna" è quella di Dio. Ciò non toglie tuttavia che il dialogo tra le religioni può aiutare ai componenti di una determinata religione di conoscere meglio la propria. Nell'esempio del messaggio precedente anche se una religione vede tutto il paesaggio può ancora imparare dalle altre i dettagli su cui  non si è soffermata. Di certo una religione non può rifiutare un dogma (il buddismo senza "anicca" non sarebbe più tale ecc), tuttavia è bene essere comunque aperti al dialogo per il discorso dei dettagli. Ad esempio personalmente trovo molto problematico l'esasperato dualismo del cristianesimo...

In ogni caso anche se riprendendo il discorso delle angolazioni e del paesaggio, io fossi in una angolazione che mi fa vedere tutto continuerei a dialogare proprio per istruire l'altro di ciò che vedo io e per imparare dall'altro dettagli che ho trascurato. Negare il paesaggio tuttavia mi sembra del tutto assurdo.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 15 Febbraio 2017, 10:11:16 AM
Citazione di: Apeiron il 15 Febbraio 2017, 09:51:18 AM
Citazione di: Sariputra il 15 Febbraio 2017, 08:46:03 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 15 Febbraio 2017, 04:33:13 AM
Citazione di: Sariputra il 15 Febbraio 2017, 00:08:39 AMNon ne esci... io ho la regina...
A mio parere non è mai possibile stabilire chi è dentro e chi è fuori, chi dovrebbe uscire e chi dovrebbe entrare, chi ha la regina e se esiste una regina. Dalla frequentazione dei Vangeli mi è rimasto impresso come, specialmente in quello di Giovanni, riguardo al momento in cui Gesù fu processato, il lettore venga condotto a chiedersi chi è che sta facendo da giudice, Pilato, il sinedrio, il popolo nei confronti di Gesù oppure Gesù nei confronti di tutti costoro. Anche questo è relativismo: stabilire chi è giudice e chi imputato, chi vinto e chi vincitore, o se sia tutt'altro il senso di ciò che si sta verificando, dipende dalla prospettiva da cui scegliamo di interpretare le cose. Da un punto di vista di relativismo appare umanamente interessante abituarsi a frequentare sempre più prospettive, mai accontentarsi di una sola. Anche questo era un insegnamento che raccomandavano i miei professori di Bibbia: mai studiare la Bibbia accompagnandosi con un commentario solo: minimo due, meglio se sono di più. Questo fa abituare alla mentalità che non esiste un senso (delle cose, di un testo, della vita, ecc.), tanto meno il senso, ma sempre molteplici sensi, tutti dipendenti dal nostro essere umani, quindi relativi.

Citazione di: Angelo Cannata il 15 Febbraio 2017, 05:01:30 AMP.S. Ma poi non capisco come mai ti sei sentito attaccato personalmente, visto che parli di armi, di partita a scacchi, non ne esci, ecc. E che è, la terza guerra mondiale? Io avevo semplicemente espresso un mio modo di considerare il relativismo. Se la senti come guerra penso che per me non sia il caso di proseguire.
E chi ha mai detto che bisogna accontentarsi di una sola prospettiva?Avere molteplici possibilità di interpretazione e di prospettiva, non significa affatto, come sostieni tu, che quindi nessuna prospettiva ha significato. Tutte le prospettive però, per essere prospettive, ricorrono allo stesso linguaggio interpretativo, a cui tu , come nichilista, neghi qualunque validità. Di più, neghi qualunque validità di qualunque cosa, persino della tua stessa esistenza e quindi ,a mio parere, trovo estremamente contraddittorio che tu adesso venga ad affermare l'importanza di avere molteplici prospettive. Importanza rispetto a che cosa, visto che neghi il concetto stesso di importanza? Per quello che riguarda la regina...sei tu, Angelo, che hai iniziato questa discussione con fare arrogante e dileggiante le opinioni altrui, non io...e non è un caso che , sia io che un altro utente, ci siamo sentiti offesi da questo atteggiamento. Pertanto ho cercato, nei miei immensi limiti, di mostrarti quello che , a mio modesto parere, risultava contraddittorio anche nella tua posizione...che poi tu provi piacere per le contraddizioni, non è affar mio... ;D Mi associo alla considerazione della sterilità di continuare questa discussione tra di noi. Se dobbiamo ridurci a discutere...del nulla ::)
Negare il concetto di importanza segue dal negare il concetto di "gerarchia delle prospettive". Ma ammettere una gerarchie tra le prospettive non è dogmatismo. Semmai dogmatismo è anche dire: "io ho la mia prospettiva e siccome nessuna è più importante della mia allora non ha senso che io impari altre prospettive. Perchè d'altronde se comunque sono prospettive come la mia anche conoscendole, la mia nuova prospettiva sarà tanto importante quanto quella che ora! Quindi non ci guadagnerei nulla". Questo discorso vale per ogni relativismo (quindi anche per quello "temporale" di Phil). Ti correggo Sari su una cosa. Anche nel buddismo c'è una "verità eterna" ed quella del trittico anicca-anatta-dukkha (ossia il Dhamma stesso). La suprema prospettiva è appunto quella che conduce alla Liberazione. Nel cristianesimo la "verità eterna" è quella di Dio. Ciò non toglie tuttavia che il dialogo tra le religioni può aiutare ai componenti di una determinata religione di conoscere meglio la propria. Nell'esempio del messaggio precedente anche se una religione vede tutto il paesaggio può ancora imparare dalle altre i dettagli su cui non si è soffermata. Di certo una religione non può rifiutare un dogma (il buddismo senza "anicca" non sarebbe più tale ecc), tuttavia è bene essere comunque aperti al dialogo per il discorso dei dettagli. Ad esempio personalmente trovo molto problematico l'esasperato dualismo del cristianesimo... In ogni caso anche se riprendendo il discorso delle angolazioni e del paesaggio, io fossi in una angolazione che mi fa vedere tutto continuerei a dialogare proprio per istruire l'altro di ciò che vedo io e per imparare dall'altro dettagli che ho trascurato. Negare il paesaggio tuttavia mi sembra del tutto assurdo.

Infatti il Buddhismo non ha mai negato l'importanza della fede nell'insegnamento di Buddha. Se non hai fiducia che quell'insegnamento sia vero, non vai da nessuna parte. La fede è una componente importante di ogni pratica spirituale ed è necessaria per il progresso in quel "particolare" cammino che hai intrapreso. La fede la riponi in quello che la tua riflessione logica personale ( e non solo logica , ma che investe l'intera situazione esistenziale ) ti fa ritenere come la prospettiva migliore in cui ti sei imbattuto e aumenta quando verifichi che , seguendola, c'è una diminuzione della tua sofferenza esistenziale. Questo non significa affatto sminuire, e credo che un buddhista coerente mai lo farebbe , le prospettive altrui. Semplicemente si ha fiducia, perché lo si sperimenta giorno dopo giorno, dopo giorno che si è sul cammino giusto per liberarsi dall'angoscia esistenziale. Nel Dharma ( almeno in quello vero...) non c'è mai esaltazione della propria dottrina e dileggio di quelle altrui, invita semplicemente a "venire e vedere"...
Credo che la fiducia sia necessaria in ogni campo. Se lo scienziato non ha alcuna fiducia negli strumenti di ricerca, come può progredire nella ricerca stessa? Ovvia che si renda perfettamente conto che dispone di strumenti limitati...ma questo non gli impedisce di andare avanti, perché, se anche limitati,  i risultati non sono necessariamente falsi.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: acquario69 il 15 Febbraio 2017, 10:26:47 AM
Sariputra scrive:
CitazionePertanto ho cercato, nei miei immensi limiti, di mostrarti quello che , a mio modesto parere, risultava contraddittorio anche nella tua posizione...che poi tu provi piacere per le contraddizioni, non è affar mio...

Mi associo alla considerazione della sterilità di continuare questa discussione tra di noi. Se dobbiamo ridurci a discutere...del nulla


A questo punto della discussione leggendo gli interventi  "metafisici e antimetafisici"   ;D  ..mi piacerebbe  proporre un quesito che riporto qui sotto e che secondo me potrebbe portare ad altre importanti considerazioni al tema proposto.

..ed e' questo;

"Dove sei quando non sei presente a te stesso?"
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 15 Febbraio 2017, 10:47:33 AM
Citazione di: Duc in altum! il 15 Febbraio 2017, 09:42:46 AM** scritto da Angelo Cannata:
CitazioneAllora mi chiedo: dove sta depositata la definizione esatta del valore oggettivo della vita? Nel nostro cuore? Nella filosofia di qualcuno? Se tale definizione non è per niente chiara, né chiarificabile, una volta che ogni chiarificazione avrebbe bisogno a sua volta di essere chiarificata, cos'è allora questo valore oggettivo della vita?
Il valore oggettivo della vita è il Mistero della vita che nessuno può svelare totalmente (per volere divino secondo me, purtroppo per gli altri), ma che ognuno sperimenta in corpo e coscienza, e sta depositato in ciò che tu con la tua fede definisci essere l'amore; e che, metafisico o anti-metafisico, dirige le tue scelte etiche e, soprattutto, morali. Hai voglia ad auto-ritenerti anti-tutto, ma da come e perché svolgi il tuo lavoro, da come e perché relazioni con gli altri, da come e perché leggi dei libri anziché altri, da come e perché hai speranza in quella determinata utopia, già sei diventato un valore oggettivo della vita, secondo la tua personale opinione. Qual è la tua posizione sulla creazione dell'Universo e della vita? ...qual è la tua idea di benessere sociale? ...qual è la tua opinione sul testamento biologico? ...che posizione hai preso all'ultimo referendum? ...qual è il motivo che ti ha fatto decidere di recidere burocraticamente il tuo sacerdozio? Ecco, dentro di te c'è un filo rosso che collega tutte le tue personali risposte e le conseguenti decisioni pratiche: quello è il valore oggettivo della vita secondo te, ed è quello che definisce l'esistenza e l'essere di @Angelo Cannata, anche se anarchicamente.

Si potrebbe anche dire: è come agisci e non quello che dici, che parla per te. Su questo sono perfettamente d'accordo. :)
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Apeiron il 15 Febbraio 2017, 11:19:39 AM
Citazione di: Sariputra il 15 Febbraio 2017, 10:11:16 AM
Citazione di: Apeiron il 15 Febbraio 2017, 09:51:18 AM
Citazione di: Sariputra il 15 Febbraio 2017, 08:46:03 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 15 Febbraio 2017, 04:33:13 AM
Citazione di: Sariputra il 15 Febbraio 2017, 00:08:39 AMNon ne esci... io ho la regina...
A mio parere non è mai possibile stabilire chi è dentro e chi è fuori, chi dovrebbe uscire e chi dovrebbe entrare, chi ha la regina e se esiste una regina. Dalla frequentazione dei Vangeli mi è rimasto impresso come, specialmente in quello di Giovanni, riguardo al momento in cui Gesù fu processato, il lettore venga condotto a chiedersi chi è che sta facendo da giudice, Pilato, il sinedrio, il popolo nei confronti di Gesù oppure Gesù nei confronti di tutti costoro. Anche questo è relativismo: stabilire chi è giudice e chi imputato, chi vinto e chi vincitore, o se sia tutt'altro il senso di ciò che si sta verificando, dipende dalla prospettiva da cui scegliamo di interpretare le cose. Da un punto di vista di relativismo appare umanamente interessante abituarsi a frequentare sempre più prospettive, mai accontentarsi di una sola. Anche questo era un insegnamento che raccomandavano i miei professori di Bibbia: mai studiare la Bibbia accompagnandosi con un commentario solo: minimo due, meglio se sono di più. Questo fa abituare alla mentalità che non esiste un senso (delle cose, di un testo, della vita, ecc.), tanto meno il senso, ma sempre molteplici sensi, tutti dipendenti dal nostro essere umani, quindi relativi.
Citazione di: Angelo Cannata il 15 Febbraio 2017, 05:01:30 AMP.S. Ma poi non capisco come mai ti sei sentito attaccato personalmente, visto che parli di armi, di partita a scacchi, non ne esci, ecc. E che è, la terza guerra mondiale? Io avevo semplicemente espresso un mio modo di considerare il relativismo. Se la senti come guerra penso che per me non sia il caso di proseguire.
E chi ha mai detto che bisogna accontentarsi di una sola prospettiva?Avere molteplici possibilità di interpretazione e di prospettiva, non significa affatto, come sostieni tu, che quindi nessuna prospettiva ha significato. Tutte le prospettive però, per essere prospettive, ricorrono allo stesso linguaggio interpretativo, a cui tu , come nichilista, neghi qualunque validità. Di più, neghi qualunque validità di qualunque cosa, persino della tua stessa esistenza e quindi ,a mio parere, trovo estremamente contraddittorio che tu adesso venga ad affermare l'importanza di avere molteplici prospettive. Importanza rispetto a che cosa, visto che neghi il concetto stesso di importanza? Per quello che riguarda la regina...sei tu, Angelo, che hai iniziato questa discussione con fare arrogante e dileggiante le opinioni altrui, non io...e non è un caso che , sia io che un altro utente, ci siamo sentiti offesi da questo atteggiamento. Pertanto ho cercato, nei miei immensi limiti, di mostrarti quello che , a mio modesto parere, risultava contraddittorio anche nella tua posizione...che poi tu provi piacere per le contraddizioni, non è affar mio... ;D Mi associo alla considerazione della sterilità di continuare questa discussione tra di noi. Se dobbiamo ridurci a discutere...del nulla ::)
Negare il concetto di importanza segue dal negare il concetto di "gerarchia delle prospettive". Ma ammettere una gerarchie tra le prospettive non è dogmatismo. Semmai dogmatismo è anche dire: "io ho la mia prospettiva e siccome nessuna è più importante della mia allora non ha senso che io impari altre prospettive. Perchè d'altronde se comunque sono prospettive come la mia anche conoscendole, la mia nuova prospettiva sarà tanto importante quanto quella che ora! Quindi non ci guadagnerei nulla". Questo discorso vale per ogni relativismo (quindi anche per quello "temporale" di Phil). Ti correggo Sari su una cosa. Anche nel buddismo c'è una "verità eterna" ed quella del trittico anicca-anatta-dukkha (ossia il Dhamma stesso). La suprema prospettiva è appunto quella che conduce alla Liberazione. Nel cristianesimo la "verità eterna" è quella di Dio. Ciò non toglie tuttavia che il dialogo tra le religioni può aiutare ai componenti di una determinata religione di conoscere meglio la propria. Nell'esempio del messaggio precedente anche se una religione vede tutto il paesaggio può ancora imparare dalle altre i dettagli su cui non si è soffermata. Di certo una religione non può rifiutare un dogma (il buddismo senza "anicca" non sarebbe più tale ecc), tuttavia è bene essere comunque aperti al dialogo per il discorso dei dettagli. Ad esempio personalmente trovo molto problematico l'esasperato dualismo del cristianesimo... In ogni caso anche se riprendendo il discorso delle angolazioni e del paesaggio, io fossi in una angolazione che mi fa vedere tutto continuerei a dialogare proprio per istruire l'altro di ciò che vedo io e per imparare dall'altro dettagli che ho trascurato. Negare il paesaggio tuttavia mi sembra del tutto assurdo.
Infatti il Buddhismo non ha mai negato l'importanza della fede nell'insegnamento di Buddha. Se non hai fiducia che quell'insegnamento sia vero, non vai da nessuna parte. La fede è una componente importante di ogni pratica spirituale ed è necessaria per il progresso in quel "particolare" cammino che hai intrapreso. La fede la riponi in quello che la tua riflessione logica personale ( e non solo logica , ma che investe l'intera situazione esistenziale ) ti fa ritenere come la prospettiva migliore in cui ti sei imbattuto e aumenta quando verifichi che , seguendola, c'è una diminuzione della tua sofferenza esistenziale. Questo non significa affatto sminuire, e credo che un buddhista coerente mai lo farebbe , le prospettive altrui. Semplicemente si ha fiducia, perché lo si sperimenta giorno dopo giorno, dopo giorno che si è sul cammino giusto per liberarsi dall'angoscia esistenziale. Nel Dharma ( almeno in quello vero...) non c'è mai esaltazione della propria dottrina e dileggio di quelle altrui, invita semplicemente a "venire e vedere"... Credo che la fiducia sia necessaria in ogni campo. Se lo scienziato non ha alcuna fiducia negli strumenti di ricerca, come può progredire nella ricerca stessa? Ovvia che si renda perfettamente conto che dispone di strumenti limitati...ma questo non gli impedisce di andare avanti, perché, se anche limitati, i risultati non sono necessariamente falsi.

Totalmente d'accordo. Come ho cercato di dire: per semplice onestà intellettuale non si può escludere che "qualcuno ne sappia di più". A questo punto uno è libero di crederci o no. Quello che mi sembra indice di fanatismo è appunto sminuire l'altro. Ma ciò non toglie che si possa ritenere la propria "prospettiva" "più importante", "più valida" ecc. Altrimenti la teoria aristotelica della caduta dei gravi e la relatività generale avrebbero la "stessa importanza". In ogni caso personalmente nella scienza non appoggio completamente neanche il falsificazionismo perchè è anch'esso problematico, visto che non è affatto facile dire quando un esperimento ha davvero falsificato una teoria. Nella scienza ci sono teorie che funzionano meglio e teorie che funzionano peggio. La differenza tra spiritualità e scienza è semmai che si deve essere pronti a scartare una certa teoria. Ma anche lo scienziato d'altronde non può negare il paesaggio: anzi la sua unica fede finchè svolge il suo lavoro da scienziato è appunto che la sua ricerca dia informazioni in più sul paesaggio. E inoltre proprio perchè crede nell'esistenza del paesaggio è sempre pronto a scartare una teoria per un'altra, infatti ritiene che il paesaggio è "superiore" rispetto alla teoria. La vedo molto dura che uno scienziato rinneghi completamente il paesaggio.

Citazione di: Sariputra il 15 Febbraio 2017, 10:47:33 AM
Citazione di: Duc in altum! il 15 Febbraio 2017, 09:42:46 AM** scritto da Angelo Cannata:
CitazioneAllora mi chiedo: dove sta depositata la definizione esatta del valore oggettivo della vita? Nel nostro cuore? Nella filosofia di qualcuno? Se tale definizione non è per niente chiara, né chiarificabile, una volta che ogni chiarificazione avrebbe bisogno a sua volta di essere chiarificata, cos'è allora questo valore oggettivo della vita?
Il valore oggettivo della vita è il Mistero della vita che nessuno può svelare totalmente (per volere divino secondo me, purtroppo per gli altri), ma che ognuno sperimenta in corpo e coscienza, e sta depositato in ciò che tu con la tua fede definisci essere l'amore; e che, metafisico o anti-metafisico, dirige le tue scelte etiche e, soprattutto, morali. Hai voglia ad auto-ritenerti anti-tutto, ma da come e perché svolgi il tuo lavoro, da come e perché relazioni con gli altri, da come e perché leggi dei libri anziché altri, da come e perché hai speranza in quella determinata utopia, già sei diventato un valore oggettivo della vita, secondo la tua personale opinione. Qual è la tua posizione sulla creazione dell'Universo e della vita? ...qual è la tua idea di benessere sociale? ...qual è la tua opinione sul testamento biologico? ...che posizione hai preso all'ultimo referendum? ...qual è il motivo che ti ha fatto decidere di recidere burocraticamente il tuo sacerdozio? Ecco, dentro di te c'è un filo rosso che collega tutte le tue personali risposte e le conseguenti decisioni pratiche: quello è il valore oggettivo della vita secondo te, ed è quello che definisce l'esistenza e l'essere di @Angelo Cannata, anche se anarchicamente.
Si potrebbe anche dire: è come agisci e non quello che dici, che parla per te. Su questo sono perfettamente d'accordo. :)

Visto che però anche la parola è azione, anche la parola parla. Mi è piaciuta la metafora del "filo rosso"  :)
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 15 Febbraio 2017, 11:31:15 AM
Citazione di: Apeiron il 15 Febbraio 2017, 09:40:15 AMIl problema del relativismo è appunto quello che nega il paesaggio e tiene solo le angolazioni.
Il relativismo non nega l'esistenza del paesaggio. Non può negarla, poiché negarla significherebbe avanzare la pretesa di aver raggiunto una certezza, la certezza, appunto, che il paesaggio non c'è. Il relativismo dubita, getta sospetti, mette tutto in questione, ma non nega né afferma alcunché.

Citazione di: Apeiron il 15 Febbraio 2017, 09:40:15 AMAffermare l'esistenza del paesaggio non è essere dogmatici ma semplicemente riconoscere che c'è un oggetto della nostra ricerca, indipendente da noi.
Riconoscere che c'è un oggetto della nostra ricerca indipendente da noi è essere dogmatici.

Per tentare di chiarire meglio faccio il confronto con la scienza.

Se io dico alla scienza che forse il sangue è blu, la scienza non nega questa possibilità. È questo che tanti non capiscono. Quando la scienza dice che il sangue è rosso, per essere più esatti, la sua affermazione dovrebbe essere riportata in questi termini: "I risultati delle ricerche effettuate finora mostrano produttivo, efficace, funzionale, trattare il sangue come se fossse di colore rosso; ma nulla esclude che tale colore possa essere nient'altro che un'illusione, un inganno che finora ha gravato su tutti noi; se tu vuoi proporre che il sangue è blu, siamo ben lieti che tu faccia le tue ricerche per farci sapere se per caso ci siamo ingannati". Ora, la scienza non può ripetere tutta questa tiritera ad ogni sua affermazione; e allora, per accorciare i discorsi, essa preferisce dire con semplicità "Il sangue è rosso". Sia chiaro quindi che, tutte le volte che la scienza usa il verbo essere, si tratta di un uso sbrigativo per non dover ripetere tutti i dettagli che ho detto sopra.

Adesso andiamo alla metafisica, non la metafisica intesa come semplice teoria aperta alle smentite, ma la metafisica dogmatica, poiché è questa che finora è stata al centro della mia attenzione in tutta questa discussione. Per la metafisica dogmatica non ci sono usi sbrigativi delle parole: ogni parola viene usata in tutto il suo peso totale, assoluto, che non lascia spazio alcuno a divergenze o imprecisioni. In questo senso, nel momento in cui la metafisica afferma che il sangue è rosso, significa che è rosso e basta, non sono ammesse discussioni, né presenti, né future.

A questo punto si tratta di verificare che peso vuoi dare alle parole che hai usato nella tua frase che ho citato qui sopra, specificamente alla parola "indipendente". Se è la scienza a dire che l'esistenza di un oggetto è indipendente da noi, in tal caso la parola "indipendente" ha un valore sbrigativo. Il vero senso è "troviamo fruttuoso, efficace, produttivo, trattare l'esistenza di quell'oggetto come indipendente da noi, ma non escludiamo, né escluderemo mai ulteriori ricerche al riguardo". In metafisica invece la parola "indipendente" è una parola di importanza cruciale, fondamentale, capitale. In metafisica "indipendente" significa che tu ed io non possiamo farci niente, e non potremo mai farci niente, né in presente né in futuro, per principio non sarà mai possibile smentire tale esistenza insieme alla sua indipendenza.

Ciò significa che, se devo dare alle tue parole un peso forte, non posso non sentirle come contraddittorie. A meno che anche tu, come la scienza, non intenda darvi un senso sbrigativo.
Una caratteristica della scienza, legata al principio di falsificabilità, consiste proprio nel non dare mai nulla per definitivamente certo. In questo senso la scienza è nichilista, nella scienza non esistono verità definitive, ma tutto rimane aperto alla smentita, al dubbio, a ulteriori ricerche. Secondo la mentalità dei metafisici, ciò dovrebbe rendere la scienza qualcosa di inaffidabile, perennemente insicuro, senza alcun valore, e invece accade proprio l'opposto: la scienza oggi è quanto di più serio e di affidabile possiamo produrre proprio perché essa si presenta nuda, esposta al dubbio.
Il metafisico invece, proprio a causa di queste sue paure del dubbio, va a cadere nell'esatto opposto: pensa di pervenire ad affermazioni indubitabili, infalsificabili, ma proprio a causa di ciò le sue affermazioni sono del tutto inconsistenti, perennemente esposte ai sospetti del relativismo.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: baylham il 15 Febbraio 2017, 12:01:34 PM
Ad Angelo Cannata

Il dubbio è comunque dubbio di qualcosa, il dubbio stesso è qualcosa, dunque non nulla. Il nichilismo è pertanto inconsistente.
Inoltre, coerentemente, metterei in dubbio l'esistenza di un metafisicismo dogmatico.
Infine non tutti i dubbi sono uguali: non ho mai sentito di un uomo capace di attraversare un muro, ma soltanto di aggirarlo. Quando succederà comunque darà una conferma dell'esistenza di un muro.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 15 Febbraio 2017, 12:02:23 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 15 Febbraio 2017, 11:31:15 AM
Citazione di: Apeiron il 15 Febbraio 2017, 09:40:15 AMIl problema del relativismo è appunto quello che nega il paesaggio e tiene solo le angolazioni.
Il relativismo non nega l'esistenza del paesaggio. Non può negarla, poiché negarla significherebbe avanzare la pretesa di aver raggiunto una certezza, la certezza, appunto, che il paesaggio non c'è. Il relativismo dubita, getta sospetti, mette tutto in questione, ma non nega né afferma alcunché.
Citazione di: Apeiron il 15 Febbraio 2017, 09:40:15 AMAffermare l'esistenza del paesaggio non è essere dogmatici ma semplicemente riconoscere che c'è un oggetto della nostra ricerca, indipendente da noi.
Riconoscere che c'è un oggetto della nostra ricerca indipendente da noi è essere dogmatici. Per tentare di chiarire meglio faccio il confronto con la scienza. Se io dico alla scienza che forse il sangue è blu, la scienza non nega questa possibilità. È questo che tanti non capiscono. Quando la scienza dice che il sangue è rosso, per essere più esatti, la sua affermazione dovrebbe essere riportata in questi termini: "I risultati delle ricerche effettuate finora mostrano produttivo, efficace, funzionale, trattare il sangue come se fossse di colore rosso; ma nulla esclude che tale colore possa essere nient'altro che un'illusione, un inganno che finora ha gravato su tutti noi; se tu vuoi proporre che il sangue è blu, siamo ben lieti che tu faccia le tue ricerche per farci sapere se per caso ci siamo ingannati". Ora, la scienza non può ripetere tutta questa tiritera ad ogni sua affermazione; e allora, per accorciare i discorsi, essa preferisce dire con semplicità "Il sangue è rosso". Sia chiaro quindi che, tutte le volte che la scienza usa il verbo essere, si tratta di un uso sbrigativo per non dover ripetere tutti i dettagli che ho detto sopra. Adesso andiamo alla metafisica, non la metafisica intesa come semplice teoria aperta alle smentite, ma la metafisica dogmatica, poiché è questa che finora è stata al centro della mia attenzione in tutta questa discussione. Per la metafisica dogmatica non ci sono usi sbrigativi delle parole: ogni parola viene usata in tutto il suo peso totale, assoluto, che non lascia spazio alcuno a divergenze o imprecisioni. In questo senso, nel momento in cui la metafisica afferma che il sangue è rosso, significa che è rosso e basta, non sono ammesse discussioni, né presenti, né future. A questo punto si tratta di verificare che peso vuoi dare alle parole che hai usato nella tua frase che ho citato qui sopra, specificamente alla parola "indipendente". Se è la scienza a dire che l'esistenza di un oggetto è indipendente da noi, in tal caso la parola "indipendente" ha un valore sbrigativo. Il vero senso è "troviamo fruttuoso, efficace, produttivo, trattare l'esistenza di quell'oggetto come indipendente da noi, ma non escludiamo, né escluderemo mai ulteriori ricerche al riguardo". In metafisica invece la parola "indipendente" è una parola di importanza cruciale, fondamentale, capitale. In metafisica "indipendente" significa che tu ed io non possiamo farci niente, e non potremo mai farci niente, né in presente né in futuro, per principio non sarà mai possibile smentire tale esistenza insieme alla sua indipendenza. Ciò significa che, se devo dare alle tue parole un peso forte, non posso non sentirle come contraddittorie. A meno che anche tu, come la scienza, non intenda darvi un senso sbrigativo. Una caratteristica della scienza, legata al principio di falsificabilità, consiste proprio nel non dare mai nulla per definitivamente certo. In questo senso la scienza è nichilista, nella scienza non esistono verità definitive, ma tutto rimane aperto alla smentita, al dubbio, a ulteriori ricerche. Secondo la mentalità dei metafisici, ciò dovrebbe rendere la scienza qualcosa di inaffidabile, perennemente insicuro, senza alcun valore, e invece accade proprio l'opposto: la scienza oggi è quanto di più serio e di affidabile possiamo produrre proprio perché essa si presenta nuda, esposta al dubbio. Il metafisico invece, proprio a causa di queste sue paure del dubbio, va a cadere nell'esatto opposto: pensa di pervenire ad affermazioni indubitabili, infalsificabili, ma proprio a causa di ciò le sue affermazioni sono del tutto inconsistenti, perennemente esposte ai sospetti del relativismo.

Ma tutti dubitano, Angelo! Il dubitare fa parte della condizione esistenziale stessa dell'essere umano. Sei tu che stai proiettando sulla figura del metafisico l'idea che egli non dubita mai. E' una tua convinzione che il metafisico non dubiti, o un tuo bisogno psicologico di credere in questo. Anzi, aggiungo, perfino il dogmatico dubita dei suoi dogmi, ma ritiene che li lascerà solo se gli verrà dimostrato ( o crederà) a dei dogmi più sicuri, o non li lascerà per paura ( ma questa è tutta un'altra questione, non filosofica ma psicologica o di potere). Le sue affermazioni sono limitate, non necessariamente inconsistenti. Per fare queste affermazioni deve usare un linguaggio limitato, che anche il relativista deve usare per dimostrare la loro limitatezza. Però devi fare chiarezza, perché veramente non riesco a capirti... Da una parte sembri un metafisico critico e poi invece affermi di essere nichilista. Nichilista è non stabilire nessuna scala di valori , che è profondamente diverso da essere critico, come lo sono anch'io in certa misura, verso le speculazioni metafisiche e aperto, come lo sono io, alla continua verifica di queste. Ma essere nichilista significa che non ha alcun senso cercare una prospettiva diversa, perché tanto tutte le prospettive sono uguali. E questo , a parer mio, che dovresti chiarire perché è su questo punto che trovo la tua estrema contraddizione.
Ciao  ;D

P.S. Sono d'accordo con baylham. Il dubitare è qualcosa, non nulla. Il relativista è colui che crede nell'esercizio del dubitare. Quindi una fede come un'altra.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Apeiron il 15 Febbraio 2017, 12:15:39 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 15 Febbraio 2017, 11:31:15 AM
Citazione di: Apeiron il 15 Febbraio 2017, 09:40:15 AMIl problema del relativismo è appunto quello che nega il paesaggio e tiene solo le angolazioni.
Il relativismo non nega l'esistenza del paesaggio. Non può negarla, poiché negarla significherebbe avanzare la pretesa di aver raggiunto una certezza, la certezza, appunto, che il paesaggio non c'è. Il relativismo dubita, getta sospetti, mette tutto in questione, ma non nega né afferma alcunché.
Citazione di: Apeiron il 15 Febbraio 2017, 09:40:15 AMAffermare l'esistenza del paesaggio non è essere dogmatici ma semplicemente riconoscere che c'è un oggetto della nostra ricerca, indipendente da noi.
Riconoscere che c'è un oggetto della nostra ricerca indipendente da noi è essere dogmatici. Per tentare di chiarire meglio faccio il confronto con la scienza. Se io dico alla scienza che forse il sangue è blu, la scienza non nega questa possibilità. È questo che tanti non capiscono. Quando la scienza dice che il sangue è rosso, per essere più esatti, la sua affermazione dovrebbe essere riportata in questi termini: "I risultati delle ricerche effettuate finora mostrano produttivo, efficace, funzionale, trattare il sangue come se fossse di colore rosso; ma nulla esclude che tale colore possa essere nient'altro che un'illusione, un inganno che finora ha gravato su tutti noi; se tu vuoi proporre che il sangue è blu, siamo ben lieti che tu faccia le tue ricerche per farci sapere se per caso ci siamo ingannati". Ora, la scienza non può ripetere tutta questa tiritera ad ogni sua affermazione; e allora, per accorciare i discorsi, essa preferisce dire con semplicità "Il sangue è rosso". Sia chiaro quindi che, tutte le volte che la scienza usa il verbo essere, si tratta di un uso sbrigativo per non dover ripetere tutti i dettagli che ho detto sopra. Adesso andiamo alla metafisica, non la metafisica intesa come semplice teoria aperta alle smentite, ma la metafisica dogmatica, poiché è questa che finora è stata al centro della mia attenzione in tutta questa discussione. Per la metafisica dogmatica non ci sono usi sbrigativi delle parole: ogni parola viene usata in tutto il suo peso totale, assoluto, che non lascia spazio alcuno a divergenze o imprecisioni. In questo senso, nel momento in cui la metafisica afferma che il sangue è rosso, significa che è rosso e basta, non sono ammesse discussioni, né presenti, né future. A questo punto si tratta di verificare che peso vuoi dare alle parole che hai usato nella tua frase che ho citato qui sopra, specificamente alla parola "indipendente". Se è la scienza a dire che l'esistenza di un oggetto è indipendente da noi, in tal caso la parola "indipendente" ha un valore sbrigativo. Il vero senso è "troviamo fruttuoso, efficace, produttivo, trattare l'esistenza di quell'oggetto come indipendente da noi, ma non escludiamo, né escluderemo mai ulteriori ricerche al riguardo". In metafisica invece la parola "indipendente" è una parola di importanza cruciale, fondamentale, capitale. In metafisica "indipendente" significa che tu ed io non possiamo farci niente, e non potremo mai farci niente, né in presente né in futuro, per principio non sarà mai possibile smentire tale esistenza insieme alla sua indipendenza. Ciò significa che, se devo dare alle tue parole un peso forte, non posso non sentirle come contraddittorie. A meno che anche tu, come la scienza, non intenda darvi un senso sbrigativo. Una caratteristica della scienza, legata al principio di falsificabilità, consiste proprio nel non dare mai nulla per definitivamente certo. In questo senso la scienza è nichilista, nella scienza non esistono verità definitive, ma tutto rimane aperto alla smentita, al dubbio, a ulteriori ricerche. Secondo la mentalità dei metafisici, ciò dovrebbe rendere la scienza qualcosa di inaffidabile, perennemente insicuro, senza alcun valore, e invece accade proprio l'opposto: la scienza oggi è quanto di più serio e di affidabile possiamo produrre proprio perché essa si presenta nuda, esposta al dubbio. Il metafisico invece, proprio a causa di queste sue paure del dubbio, va a cadere nell'esatto opposto: pensa di pervenire ad affermazioni indubitabili, infalsificabili, ma proprio a causa di ciò le sue affermazioni sono del tutto inconsistenti, perennemente esposte ai sospetti del relativismo.

Angelo, si è vero. Lo ammetto. Non si può dimostrare l'esistenza del paesaggio. Ammetto di avere fede nell'esistenza del paesaggio. Secondo me è una fede ragionevole. Mi sembra a momenti di vedere il me di qualche anno fa dopo che ho abbandonato Spinoza per Nietzsche. Tuttavia nel dubbio poni una scelta: o il paesaggio esiste o il paesaggio non esiste. Se il paesaggio non esiste allora è vero che non ci sono gerarchie, non ci sono valori ecc e si ha il nichilismo. Se il paesaggio esiste allora si dubita con uno scopo ossia per esplorare le varie prospettive. Ho scelto di credere nell'esistenza del paesaggio, perchè come dici tu è una posizione indimostrabile e infalsificabile. Così come è indimostrabile per me che la Terra abbia più di 23 anni. Come dice Wittgenstein nel suo capolavoro "della Certezza" che consiglio a tutti, l'esistenza del paesaggio non è una vera proposizione ma è posta come il fondamento delle altre. Ma in ogni caso si deve scegliere tra le due. Sinceramente ho scelto quella che mi sembra più "utile". In quell'altra mi sembrava di essere all'oscuro e solo. Se vuoi l'ho fatto per codardia, anche se sinceramente non mi sembra.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 15 Febbraio 2017, 12:28:56 PM
Citazione di: Apeiron il 15 Febbraio 2017, 12:15:39 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 15 Febbraio 2017, 11:31:15 AM
Citazione di: Apeiron il 15 Febbraio 2017, 09:40:15 AMIl problema del relativismo è appunto quello che nega il paesaggio e tiene solo le angolazioni.
Il relativismo non nega l'esistenza del paesaggio. Non può negarla, poiché negarla significherebbe avanzare la pretesa di aver raggiunto una certezza, la certezza, appunto, che il paesaggio non c'è. Il relativismo dubita, getta sospetti, mette tutto in questione, ma non nega né afferma alcunché.
Citazione di: Apeiron il 15 Febbraio 2017, 09:40:15 AMAffermare l'esistenza del paesaggio non è essere dogmatici ma semplicemente riconoscere che c'è un oggetto della nostra ricerca, indipendente da noi.
Riconoscere che c'è un oggetto della nostra ricerca indipendente da noi è essere dogmatici. Per tentare di chiarire meglio faccio il confronto con la scienza. Se io dico alla scienza che forse il sangue è blu, la scienza non nega questa possibilità. È questo che tanti non capiscono. Quando la scienza dice che il sangue è rosso, per essere più esatti, la sua affermazione dovrebbe essere riportata in questi termini: "I risultati delle ricerche effettuate finora mostrano produttivo, efficace, funzionale, trattare il sangue come se fossse di colore rosso; ma nulla esclude che tale colore possa essere nient'altro che un'illusione, un inganno che finora ha gravato su tutti noi; se tu vuoi proporre che il sangue è blu, siamo ben lieti che tu faccia le tue ricerche per farci sapere se per caso ci siamo ingannati". Ora, la scienza non può ripetere tutta questa tiritera ad ogni sua affermazione; e allora, per accorciare i discorsi, essa preferisce dire con semplicità "Il sangue è rosso". Sia chiaro quindi che, tutte le volte che la scienza usa il verbo essere, si tratta di un uso sbrigativo per non dover ripetere tutti i dettagli che ho detto sopra. Adesso andiamo alla metafisica, non la metafisica intesa come semplice teoria aperta alle smentite, ma la metafisica dogmatica, poiché è questa che finora è stata al centro della mia attenzione in tutta questa discussione. Per la metafisica dogmatica non ci sono usi sbrigativi delle parole: ogni parola viene usata in tutto il suo peso totale, assoluto, che non lascia spazio alcuno a divergenze o imprecisioni. In questo senso, nel momento in cui la metafisica afferma che il sangue è rosso, significa che è rosso e basta, non sono ammesse discussioni, né presenti, né future. A questo punto si tratta di verificare che peso vuoi dare alle parole che hai usato nella tua frase che ho citato qui sopra, specificamente alla parola "indipendente". Se è la scienza a dire che l'esistenza di un oggetto è indipendente da noi, in tal caso la parola "indipendente" ha un valore sbrigativo. Il vero senso è "troviamo fruttuoso, efficace, produttivo, trattare l'esistenza di quell'oggetto come indipendente da noi, ma non escludiamo, né escluderemo mai ulteriori ricerche al riguardo". In metafisica invece la parola "indipendente" è una parola di importanza cruciale, fondamentale, capitale. In metafisica "indipendente" significa che tu ed io non possiamo farci niente, e non potremo mai farci niente, né in presente né in futuro, per principio non sarà mai possibile smentire tale esistenza insieme alla sua indipendenza. Ciò significa che, se devo dare alle tue parole un peso forte, non posso non sentirle come contraddittorie. A meno che anche tu, come la scienza, non intenda darvi un senso sbrigativo. Una caratteristica della scienza, legata al principio di falsificabilità, consiste proprio nel non dare mai nulla per definitivamente certo. In questo senso la scienza è nichilista, nella scienza non esistono verità definitive, ma tutto rimane aperto alla smentita, al dubbio, a ulteriori ricerche. Secondo la mentalità dei metafisici, ciò dovrebbe rendere la scienza qualcosa di inaffidabile, perennemente insicuro, senza alcun valore, e invece accade proprio l'opposto: la scienza oggi è quanto di più serio e di affidabile possiamo produrre proprio perché essa si presenta nuda, esposta al dubbio. Il metafisico invece, proprio a causa di queste sue paure del dubbio, va a cadere nell'esatto opposto: pensa di pervenire ad affermazioni indubitabili, infalsificabili, ma proprio a causa di ciò le sue affermazioni sono del tutto inconsistenti, perennemente esposte ai sospetti del relativismo.
Angelo, si è vero. Lo ammetto. Non si può dimostrare l'esistenza del paesaggio. Ammetto di avere fede nell'esistenza del paesaggio. Secondo me è una fede ragionevole. Mi sembra a momenti di vedere il me di qualche anno fa dopo che ho abbandonato Spinoza per Nietzsche. Tuttavia nel dubbio poni una scelta: o il paesaggio esiste o il paesaggio non esiste. Se il paesaggio non esiste allora è vero che non ci sono gerarchie, non ci sono valori ecc e si ha il nichilismo. Se il paesaggio esiste allora si dubita con uno scopo ossia per esplorare le varie prospettive. Ho scelto di credere nell'esistenza del paesaggio, perchè come dici tu è una posizione indimostrabile e infalsificabile. Così come è indimostrabile per me che la Terra abbia più di 23 anni. Come dice Wittgenstein nel suo capolavoro "della Certezza" che consiglio a tutti, l'esistenza del paesaggio non è una vera proposizione ma è posta come il fondamento delle altre. Ma in ogni caso si deve scegliere tra le due. Sinceramente ho scelto quella che mi sembra più "utile". In quell'altra mi sembrava di essere all'oscuro e solo. Se vuoi l'ho fatto per codardia, anche se sinceramente non mi sembra.

Secondo me, Apeiron, non è che scegliamo di credere al paesaggio per ragionamento logico. Ci crediamo per istinto naturale.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 15 Febbraio 2017, 14:17:00 PM
Penso che sia bene dare qualche chiarimento, perché mi sembra che ci siano dei malintesi ricorrenti.

Come ho già detto, il relativista è un ex metafisico. Il relativismo non è né un punto di partenza, né un punto di arrivo, ma parte di un cammino. In questo senso il relativismo non è un sistema di idee stabile a cui poter fare riferimento: è solo un momento di passaggio. Non è possibile l'esistenza del relativismo senza far riferimento alla metafisica, su cui esso si basa cronologicamente.

Si parte quindi sempre dalla metafisica. Metafisica significa oltre la fisica. Lasciamo da parte l'etimologia dipendente da Aristotele, che si riferiva al fatto che certi suoi libri si vennero a trovare dopo quelli sulla fisica e perciò furono chiamati meta-fisica, cioè libri che venivano dopo quelli sulla fisica. Consideriamo piuttosto un'etimologia del significato attuale dell'espressione "oltre la fisica".

"Oltre la fisica" può avere due principali significati.

Può significare "mancante del conforto degli esperimenti, ma finalizzata ad ottenerlo". In questo caso "metafisica" sono le teorie, le ipotesi, che si avanzano in ambito scientifico al fine di avviare un lavoro di ricerca, di esperimenti fisici. In questo senso "metafisica" significa "affermazione provvisoria destinata ad essere sostituita dai risultati degli esperimenti fisici". In questo contesto "oltre la fisica" significa che lo scienziato, nel momento in cui avanza una teoria, va con la mente oltre i dati fisici che ha a disposizione, in vista di confermarla o smentirla. Una volta effettuati gli esperimenti, i risultati non sono più metafisica, ma fisica.

Questo significato della parola "metafisica" non ha motivo di essere tenuto in considerazione qui, in questa discussione, perché la discussione che stiamo facendo qui non è una discussione scientifica, non abbiamo in programma di compiere esperimenti scientifici che avvalorino o smentiscano le nostre teorie. L'avvio della discussione operato da Ceravolo non è fatto di teorie, ipotesi, mirate a confrontarsi con i risultati di successivi esperimenti scientifici. La discussione che stiamo facendo è filosofica e in filosofia non si mettono in programma esperimenti scientifici.

Dunque, come ho detto, dobbiamo lasciare da parte l'uso del termine "metafisica" inteso come semplice teoria, ipotesi, che attende conferme sperimentali. Dobbiamo non perché lo dico io, ma perché mi sembra che questa sia una discussione filosofica, non scientifica.

Andiamo al significato filosofico di "oltre la fisica". "Oltre la fisica" in questo caso significa "cognizioni acquisite col semplice ragionare, senza bisogno di esperimenti scientifici, senza bisogno di verifiche fisiche". Questo avviene attraverso la generalizzazione: Aristotele vedeva che gli oggetti sono costituiti da materia e forma; il ragionamento generalizza e decide di stabilire che tutti gli oggetti, quindi anche quelli non osservati, anche quelli che esisteranno solo in futuro, sono costituiti da materia e forma. Ovviamente tale generalizzazione può essere criticata, ma intanto Aristotele decise che si poteva fare, era logico farla ed era ragionevole considerare certe le sue conclusioni universalizzanti: tutti gli oggetti sono costituiti da materia e forma. Quest'affermazione è un'affermazione metafisica, poiché, per poter dire "tutti", bisognerebbe prima aver controllato davvero tutti gli oggetti, compresi quelli futuri, compresi quelli che verranno all'esistenza tra un miliardo di anni. Ma poiché questo controllo fisico di tutti gli oggetti non è stato effettuato, allora si tratta di un'affermazione "oltre il fisico", "oltre la fisica", "meta-fisica".

A questo punto dobbiamo chiarire qual è il peso che la metafisica dà alle parole. La fisica dà alle parole un senso dipendente dagli esperimenti effettuati: se, da quando l'umanità esiste, finora è stato controllato il colore del sangue di venti miliardi di persone, la fisica non può permettersi di dire che tutti hanno il sangue di colore rosso. La fisica può solo dire: quelli che abbiamo controllato hanno il sangue di colore rosso; riguardo agli altri, visti i risultati degli esperimenti effettuati, consideriamo altamente probabile che anch'essi abbiano il sangue di colore rosso.
La metafisica ritiene di poter supplire all'inevitabile mancanza di informazioni connessa agli esperimenti scientifici. Non è scientificamente possibile effettuare verifiche su tutti i casi possibili. Aristotele ritenne che la ragione, attraverso procedimenti logici, possa permettere di guadagnare informazioni oltre le possibilità consentite dalle verifiche scientifiche. Dunque, la metafisica si pone precisamente questo come scopo: giungere a un'estensione della conoscenza che sia totale. "Totale" significa poter esprimere affermazioni che abbracciano tutti i casi possibili esistenti in qualsiasi parte del mondo, non solo nel presente, ma anche nel futuro. Dunque, la scienza esamina tre, quattro, venti, mille oggetti e dice che questi oggetti hanno materia e forma. Viene Aristotele e dice: grazie alla ragione, alla logica, io posso dire di più: non solo questi oggetti hanno materia e forma, ma tutti gli oggetti, di ogni luogo e di ogni tempo, hanno materia e forma. Dunque, la metafisica ritiene di poter esprimere affermazioni universali.
Tutto quanto detto finora implica l'indipendenza dal soggetto: cioè indipendenza da quante osservazioni fisiche è stato possibile compiere, quando furono compiute, chi le ha compiute. In altre parole, la metafisica è dogmatica. Il termine "dogmatico" fa pensare alla religione, alla fede, ma qui religione e fede non c'entrano. Le cognizioni che il metafisico ritiene di aver acquisito non vengono assunte per fiducia, per fede: "Mi fido di credere che anche gli oggetti che non ho controllato hanno materia e forma". No. Aristotele non avrebbe speso tempo ad elaborare la sua filosofia se il risultato finale fosse stato un risultato che ha bisogno di fiducia. Per avere fiducia non c'è bisogno di fare filosofia. Semmai questo avviene nella scienza: ciò che nella scienza si chiama "probabilità" si potrebbe anche sostituire con "fiducia". Il lavoro di Aristotele era finalizzato a compensare i limiti della scienza, quindi ottenere un tipo di scienza illimitata, totale. Dunque, dev'essere chiaro che in metafisica non si scherza con le parole: in metafisica "definitivo" significa che non ammette ulteriori discussioni, da nessuno e mai, per l'eternità. In metafisica "certezza" significa "certezza", cioè certezza totale, assoluta, eterna, non significa "fiducia che è così". Lo scopo della metafisica è proprio quello di eliminare i limiti della scienza, la quale è incapace di offrire certezze totali.

Questo dovrebbe spiegare come mai io ritenga errata la seguente affermazione:
Citazione di: baylham il 15 Febbraio 2017, 12:01:34 PMmetterei in dubbio l'esistenza di un metafisicismo dogmatico.
In coerenza con la frase citata qui sopra, devo concludere che l'affermazione
Citazione di: baylham il 15 Febbraio 2017, 12:01:34 PMQuando succederà comunque darà una conferma dell'esistenza di un muro.
non sia da considerare stringente, assoluta, totale: conferma dell'esistenza di un muro, ma nei limiti in cui ne può essere certo un essere umano, con l'inevitabile misura di ricorso alla fiducia. In questo caso il discorso non ha a che vedere con quello che sto facendo io: il mio discorso è centrato sulla metafisica intesa come un sapere che non ammette dubbi di alcun genere, né presenti né futuri; un sapere che contiene la pretesa di raggiungere certezze oltre le possibilità del cervello umano. Trascurare il soggetto da parte della metafisica significa infatti proprio questo: le affermazioni metafisiche hanno la pretesa di non dipendere dai limiti del cervello umano.

Ora torniamo al relativismo, di cui dicevo all'inizio che ha come base necessaria la metafisica.

Il relativista è un metafisico che decide di tener conto del soggetto. Essendo un metafisico, egli è in grado di esprimere certezze. C'è poi una seconda fase: una volta tenuto conto del soggetto, l'inaffidabilità del soggetto rende nulla ogni certezza. Ciò significa che, in una fase ulteriore, il relativista è costretto a prendere atto che perfino l'esistenza stessa del relativismo non ha alcun significato; le parole non hanno significato; le strutture grammaticali delle frasi sono soltanto giochetti inconsistenti. Ma dire che sono giochetti inconsistenti significa già usare tali strutture grammaticali. Ecco che secondo molti il relativismo non merita alcuna attenzione, poiché si serve di certe cose come se funzionassero, per poter dire che esse non funzionano. Se teniamo conto che il relativista è un ex metafisico, comprendiamo che ciò è possibile: infatti il relativista si muove sempre tra metafisica e nullificazione della metafisica. Faccio osservare che la nullificazione della metafisica avviene dal di dentro della metafisica stessa, quando ancora il relativismo non è nato: ho detto infatti che il nostro metafisico, ad un certo punto, decide di tener conto del soggetto. Fin qui siamo ancora dentro la metafisica. Il soggetto fa nullificare tutto e anche a questo punto siamo ancora nella metafisica. Dev'essere chiaro quindi che non è il relativismo a sostenere che la metafisica è un nulla, ma il processo di inclusione del soggetto, processo operato all'interno della metafisica stessa. È la metafisica ad essere costretta ad annullare se stessa, una volta accolto dentro di sé il soggetto.

Con tutto quanto detto finora dovrebbe essere chiaro quello che per me è il difetto del ragionamento di baylham:
Citazione di: baylham il 15 Febbraio 2017, 12:01:34 PMIl dubbio è comunque dubbio di qualcosa, il dubbio stesso è qualcosa, dunque non nulla. Il nichilismo è pertanto inconsistente.
Questo modo di ragionare si mantiene all'interno di un ragionare metafisico, cioè logico. E abbiamo detto che il relativista è in partenza un metafisico. Ma il relativista è un metafisico che ad un certo punto ha ritenuto corretto tener conto del soggetto. Vogliamo provare a vedere cosa succede se nelle affermazioni di baylam proviamo a tener conto del soggetto? Semplice: saltano in aria, perché dire soggetto significa dire inaffidabilità di qualsiasi cosa. Ora, dopo questa specie di deflagrazione dovrebbe essere possibile solo il silenzio, una volta che perfino le strutture grammaticali, i verbi, i significati, vengono nullificati.
Tuttavia, siccome il relativista è un essere umano, egli non si rassegna. Continua a fare la spola tra la sua vecchia metafisica e il nuovo stato di demolizione in cui è pervenuto. Questo andirivieni tra metafisica e stato successivo di demolizione gli consente di accorgersi che il lavoro compiuto da Aristotele non aveva motivo di sussistere: Aristotele aveva tentato di colmare con la ragione e la logica le lacune che la ricerca scientifica non riusciva a coprire. Ma perché non accontentarsi di affermazioni modeste, approssimative, aperte alla ricerca, come sono quelle della scienza? Perché questa voglia di onnipotenza?
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 15 Febbraio 2017, 14:27:19 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 15 Febbraio 2017, 14:17:00 PMPenso che sia bene dare qualche chiarimento, perché mi sembra che ci siano dei malintesi ricorrenti. Come ho già detto, il relativista è un ex metafisico. Il relativismo non è né un punto di partenza, né un punto di arrivo, ma parte di un cammino. In questo senso il relativismo non è un sistema di idee stabile a cui poter fare riferimento: è solo un momento di passaggio. Non è possibile l'esistenza del relativismo senza far riferimento alla metafisica, su cui esso si basa cronologicamente. Si parte quindi sempre dalla metafisica. Metafisica significa oltre la fisica. Lasciamo da parte l'etimologia dipendente da Aristotele, che si riferiva al fatto che certi suoi libri si vennero a trovare dopo quelli sulla fisica e perciò furono chiamati meta-fisica, cioè libri che venivano dopo quelli sulla fisica. Consideriamo piuttosto un'etimologia del significato attuale dell'espressione "oltre la fisica". "Oltre la fisica" può avere due principali significati. Può significare "mancante del conforto degli esperimenti, ma finalizzata ad ottenerlo". In questo caso "metafisica" sono le teorie, le ipotesi, che si avanzano in ambito scientifico al fine di avviare un lavoro di ricerca, di esperimenti fisici. In questo senso "metafisica" significa "affermazione provvisoria destinata ad essere sostituita dai risultati degli esperimenti fisici". In questo contesto "oltre la fisica" significa che lo scienziato, nel momento in cui avanza una teoria, va con la mente oltre i dati fisici che ha a disposizione, in vista di confermarla o smentirla. Una volta effettuati gli esperimenti, i risultati non sono più metafisica, ma fisica. Questo significato della parola "metafisica" non ha motivo di essere tenuto in considerazione qui, in questa discussione, perché la discussione che stiamo facendo qui non è una discussione scientifica, non abbiamo in programma di compiere esperimenti scientifici che avvalorino o smentiscano le nostre teorie. L'avvio della discussione operato da Ceravolo non è fatto di teorie, ipotesi, mirate a confrontarsi con i risultati di successivi esperimenti scientifici. La discussione che stiamo facendo è filosofica e in filosofia non si mettono in programma esperimenti scientifici. Dunque, come ho detto, dobbiamo lasciare da parte l'uso del termine "metafisica" inteso come semplice teoria, ipotesi, che attende conferme sperimentali. Dobbiamo non perché lo dico io, ma perché mi sembra che questa sia una discussione filosofica, non scientifica. Andiamo al significato filosofico di "oltre la fisica". "Oltre la fisica" in questo caso significa "cognizioni acquisite col semplice ragionare, senza bisogno di esperimenti scientifici, senza bisogno di verifiche fisiche". Questo avviene attraverso la generalizzazione: Aristotele vedeva che gli oggetti sono costituiti da materia e forma; il ragionamento generalizza e decide di stabilire che tutti gli oggetti, quindi anche quelli non osservati, anche quelli che esisteranno solo in futuro, sono costituiti da materia e forma. Ovviamente tale generalizzazione può essere criticata, ma intanto Aristotele decise che si poteva fare, era logico farla ed era ragionevole considerare certe le sue conclusioni universalizzanti: tutti gli oggetti sono costituiti da materia e forma. Quest'affermazione è un'affermazione metafisica, poiché, per poter dire "tutti", bisognerebbe prima aver controllato davvero tutti gli oggetti, compresi quelli futuri, compresi quelli che verranno all'esistenza tra un miliardo di anni. Ma poiché questo controllo fisico di tutti gli oggetti non è stato effettuato, allora si tratta di un'affermazione "oltre il fisico", "oltre la fisica", "meta-fisica". A questo punto dobbiamo chiarire qual è il peso che la metafisica dà alle parole. La fisica dà alle parole un senso dipendente dagli esperimenti effettuati: se, da quando l'umanità esiste, finora è stato controllato il colore del sangue di venti miliardi di persone, la fisica non può permettersi di dire che tutti hanno il sangue di colore rosso. La fisica può solo dire: quelli che abbiamo controllato hanno il sangue di colore rosso; riguardo agli altri, visti i risultati degli esperimenti effettuati, consideriamo altamente probabile che anch'essi abbiano il sangue di colore rosso. La metafisica ritiene di poter supplire all'inevitabile mancanza di informazioni connessa agli esperimenti scientifici. Non è scientificamente possibile effettuare verifiche su tutti i casi possibili. Aristotele ritenne che la ragione, attraverso procedimenti logici, possa permettere di guadagnare informazioni oltre le possibilità consentite dalle verifiche scientifiche. Dunque, la metafisica si pone precisamente questo come scopo: giungere a un'estensione della conoscenza che sia totale. "Totale" significa poter esprimere affermazioni che abbracciano tutti i casi possibili esistenti in qualsiasi parte del mondo, non solo nel presente, ma anche nel futuro. Dunque, la scienza esamina tre, quattro, venti, mille oggetti e dice che questi oggetti hanno materia e forma. Viene Aristotele e dice: grazie alla ragione, alla logica, io posso dire di più: non solo questi oggetti hanno materia e forma, ma tutti gli oggetti, di ogni luogo e di ogni tempo, hanno materia e forma. Dunque, la metafisica ritiene di poter esprimere affermazioni universali. Tutto quanto detto finora implica l'indipendenza dal soggetto: cioè indipendenza da quante osservazioni fisiche è stato possibile compiere, quando furono compiute, chi le ha compiute. In altre parole, la metafisica è dogmatica. Il termine "dogmatico" fa pensare alla religione, alla fede, ma qui religione e fede non c'entrano. Le cognizioni che il metafisico ritiene di aver acquisito non vengono assunte per fiducia, per fede: "Mi fido di credere che anche gli oggetti che non ho controllato hanno materia e forma". No. Aristotele non avrebbe speso tempo ad elaborare la sua filosofia se il risultato finale fosse stato un risultato che ha bisogno di fiducia. Per avere fiducia non c'è bisogno di fare filosofia. Semmai questo avviene nella scienza: ciò che nella scienza si chiama "probabilità" si potrebbe anche sostituire con "fiducia". Il lavoro di Aristotele era finalizzato a compensare i limiti della scienza, quindi ottenere un tipo di scienza illimitata, totale. Dunque, dev'essere chiaro che in metafisica non si scherza con le parole: in metafisica "definitivo" significa che non ammette ulteriori discussioni, da nessuno e mai, per l'eternità. In metafisica "certezza" significa "certezza", cioè certezza totale, assoluta, eterna, non significa "fiducia che è così". Lo scopo della metafisica è proprio quello di eliminare i limiti della scienza, la quale è incapace di offrire certezze totali. Questo dovrebbe spiegare come mai io ritenga errata la seguente affermazione:
Citazione di: baylham il 15 Febbraio 2017, 12:01:34 PMmetterei in dubbio l'esistenza di un metafisicismo dogmatico.
In coerenza con la frase citata qui sopra, devo concludere che l'affermazione
Citazione di: baylham il 15 Febbraio 2017, 12:01:34 PMQuando succederà comunque darà una conferma dell'esistenza di un muro.
non sia da considerare stringente, assoluta, totale: conferma dell'esistenza di un muro, ma nei limiti in cui ne può essere certo un essere umano, con l'inevitabile misura di ricorso alla fiducia. In questo caso il discorso non ha a che vedere con quello che sto facendo io: il mio discorso è centrato sulla metafisica intesa come un sapere che non ammette dubbi di alcun genere, né presenti né futuri; un sapere che contiene la pretesa di raggiungere certezze oltre le possibilità del cervello umano. Trascurare il soggetto da parte della metafisica significa infatti proprio questo: le affermazioni metafisica hanno la pretesa di non dipendere dai limiti del cervello umano. Ora torniamo al relativismo, di cui dicevo all'inizio che ha come base necessaria la metafisica. Il relativista è un metafisico che decide di tener conto del soggetto. Essendo un metafisico, egli è in grado di esprimere certezze. C'è poi una seconda fase: una volta tenuto conto del soggetto, l'inaffidabilità del soggetto rende nulla ogni certezza. Ciò significa che, in una fase ulteriore, il relativista è costretto a prendere atto che perfino l'esistenza stessa del relativismo non ha alcun significato; le parole non hanno significato; le strutture grammaticali delle frasi sono soltanto giochetti inconsistenti. Ma dire che sono giochetti inconsistenti significa già usare tali strutture grammaticali. Ecco che secondo molti il relativismo non merita alcuna attenzione, poiché si serve di certe cose come se funzionassero, per poter dire che esse non funzionano. Se teniamo conto che il relativista è un ex metafisico, comprendiamo che ciò è possibile: infatti il relativista si muove sempre tra metafisica e nullificazione della metafisica. Faccio osservare che la nullificazione della metafisica avviene dal di dentro della metafisica stessa, quando ancora il relativismo non è nato: ho detto infatti che il nostro metafisico, ad un certo punto, decide di tener conto del soggetto. Fin qui siamo ancora dentro la metafisica. Il soggetto fa nullificare tutto e anche a questo punto siamo ancora nella metafisica. Dev'essere chiaro quindi che non è il relativismo a sostenere che la metafisica è un nulla, ma il processo di inclusione del soggetto, processo operato all'interno della metafisica stessa. È la metafisica ad essere costretta ad annullare se stessa, una volta accolto dentro di sé il soggetto. Con tutto quanto detto finora dovrebbe essere chiaro quello che per me è il difetto del ragionamento di baylham:
Citazione di: baylham il 15 Febbraio 2017, 12:01:34 PMIl dubbio è comunque dubbio di qualcosa, il dubbio stesso è qualcosa, dunque non nulla. Il nichilismo è pertanto inconsistente.
Questo modo di ragionare si mantiene all'interno di un ragionare metafisico, cioè logico. E abbiamo detto che il relativista è in partenza un metafisico. Ma il relativista è un metafisico che ad un certo punto ha ritenuto corretto tener conto del soggetto. Vogliamo provare a vedere cosa succede se nelle affermazioni di baylam proviamo a tener conto del soggetto? Semplice: saltano in aria, perché dire soggetto significa dire inaffidabilità di qualsiasi cosa. Ora, dopo questa specie di deflagrazione dovrebbe essere possibile solo il silenzio, una volta che perfino le strutture grammaticali, i verbi, i significati, vengono nullificati. Tuttavia, siccome il relativista è un essere umano, egli non si rassegna. Continua a fare la spola tra la sua vecchia metafisica e il nuovo stato di demolizione in cui è pervenuto. Questo andirivieni tra metafisica e stato successivo di demolizione gli consente di accorgersi che il lavoro compiuto da Aristotele non aveva motivo di sussistere: Aristotele aveva tentato di colmare con la ragione e la logica le lacune che la ricerca scientifica non riusciva a coprire. Ma perché non accontentarsi di affermazioni modeste, approssimative, aperte alla ricerca, come sono quelle della scienza? Perché questa voglia di onnipotenza?

Non riesco a capire perché affermi che il soggetto nullifica tutto. Me lo potresti spiegare logicamente? Nullificare significa rendere nulla una cosa, mentre si può solo dimostrare che una cosa è falsa non nulla e per dimostrarlo crei inevitabilmente un'altra teoria. Ora tu dici che il nichilista  non si rassegna  al nulla pur non credendo a nulla ( e ovviamente non potendo mai credere a nulla)...perché non si rassegna al nulla? Non è che è proprio il nichilista a desiderare l' onnipotenza? ( equazione: non c'é nulla = nessun vincolo  = posso fare ciò che la mia volontà desidera di più).
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 15 Febbraio 2017, 14:58:32 PM
Citazione di: Apeiron il 15 Febbraio 2017, 12:15:39 PM
...o il paesaggio esiste o il paesaggio non esiste.
in ogni caso si deve scegliere tra le due
Un problema della metafisica è proprio questo: essa non riesce a concepire alternative oltre al binomio essere/non essere.

Ma prova un attimo a pensare a un'opinione: io sono dell'opinione che Michelangelo è da considerare superiore a Picasso. È o non è superiore? Neanch'io lo so, visto che ammetto che si tratta solo di un'opinione. Ora tu mi dirai che una cosa però è certa: che io ho quest'opinione. È perché dovrebbe essere certa? Domani potrei scoprire che pensavo di avere quest'opinione, ma in realtà non era così: pensavo di avere quest'opinione perché il mio cervello era confuso. Potresti ribadirmi che allora è certo che il mio cervello era confuso. E chi può dirlo? Devo dirlo io, dal di dentro del mio cervello confuso?

In realtà il problema è sempre il fatto di ignorare il soggetto. Quando dici "o il paesaggio esiste o il paesaggio non esiste" stai ignorando te stesso. Che il paesaggio esista o non esista non è un'affermazione che possa nascere come un fungo, da sola; ci vuole sempre qualcuno che la pensi. E allora tale affermazione sarà inevitabilmente dipendente da questo soggetto che l'ha pensata. Ma il soggetto che l'ha pensata può sempre essere sospettato di confusione; potrebbe anche accadere che tra diecimila anni si scopra che dicendo ciò eri confuso. Questa è l'inaffidabilità del soggetto. Ma siccome il soggetto entra dappertutto, ne consegue che tutto è inaffidabile.
L'alternativa esserci/non esserci del paesaggio contiene il difetto di trascurare il soggetto, quindi, in quanto difettata da questa grave lacuna, non merita che ci si lavori su. D'altra parte, includere il soggetto significa contagiare tutto con la confusione che il soggetto si porta appresso. A questo punto cosa preferisci? Continuare a trascurare il soggetto, il che ti dà la sensazione confortevole di avere qualche certezza, ma al prezzo di una grave lacuna, oppure tener conto del soggetto, al prezzo del nichilismo che ne consegue? Io preferisco la seconda alternativa, anche perché il nichilismo non è certezza che tutto vale nulla, ma solo invito alla modestia. Il nichilismo è nichilismo se preso in considerazione dai metafisici, per i quali le sole affermazioni che contano sono quelle dogmatiche, assolute, totali; ma da un punto di vista non metafisico il nichilismo è semplicemente modestia, accontentarsi dell'approssimazione.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Phil il 15 Febbraio 2017, 16:19:50 PM
Citazione di: Sariputra il 14 Febbraio 2017, 21:03:09 PM
nessuna teoria può mai essere valida, che è un dogma del relativismo
Il relativismo non ha dogmi, il relativismo relativizza persino se stesso riconoscendosi come uno degli approcci possibili (la validità è relativa, fino a prova contraria ;) ), né più "vero" né più "falso" di altri (due categorie abbandonate, o meglio, relativizzate, dal relativista...). Allora perché lo si sceglie rifiutando altri orientamenti? Falso problema, poiché, da quanto capisco, non lo si sceglie, come non si può scegliere a piacimento di essere autenticamente razionalisti o irrazionalisti o nichilisti o altro; o lo si è, qui ed ora, o non lo si è (direi che non possiamo auto-programmarci, al massimo auto-suggestionarci...).
Perchè non si cerca di abbandonare il relativismo? Probabilmente perché la peculiarità del relativismo è che consente una maggiore curiosità teoretica: il relativista può costruire un "puzzle personalizzato" usando e ricombinando pezzi di varie teorie (sincretismo filosofico) senza bisogno di etichettarlo; inoltre, può smontare e modificare la sua prospettiva senza perdere la sua identità fluida (e sono due opzioni che le posizioni dogmatiche non possono ammettere...). Tutto ciò senza porsi come "oggettivamente migliore" delle altre prospettive, ma semplicemente come più adatto a chi preferisce libertà di sperimentazione di pensiero (che non è un pregio... o lo è solo relativamente  :) ); chi invece preferisce valori solidi, universalistici e "classici", si troverà più a suo agio con altri paradigmi, e questo il relativista non lo biasima, proprio in virtù del suo relativismo!

P.s.
Chi usa il motto "tutto è relativo" o addirittura "tutto sarà sempre relativo", secondo me, non è un relativista, ma un dogmatico ventriloquo che fa dire questo slogan al suo pupazzo vestito da relativista... conosco personalmente almeno un relativista ( ;) ) che, se costretto da un plotone di esecuzione, descriverebbe il relativismo con ben altra affermazione: "secondo me, per ora, quello che conosco è relativo"... che è l'antitesi del dogmatico, per il quale il "per me" non esiste (usa piuttosto "è così"), il "per ora" è insulso (preferisce il "sempre"), e il "quello che conosco" sconfina nell'universalità; altrimenti non possiamo chiamarlo dogmatico, poiché i dogmi, in quanto tali, non contemplano "per me", "per ora", "nei limiti della mia conoscenza"...


Citazione di: Apeiron il 15 Febbraio 2017, 09:51:18 AM
Semmai dogmatismo è anche dire: "io ho la mia prospettiva e siccome nessuna è più importante della mia allora non ha senso che io impari altre prospettive. Perchè d'altronde se comunque sono prospettive come la mia anche conoscendole, la mia nuova prospettiva sarà tanto importante quanto quella che ora! Quindi non ci guadagnerei nulla". Questo discorso vale per ogni relativismo (quindi anche per quello "temporale" di Phil).
Il relativismo, per come lo intendo, non è esclusivamente "temporale" e di certo non ha l'assioma o dogma (vedi sopra) che "una prospettiva vale l'altra". Come ricordavo altrove, il relativista non va al ristorante per dire al cameriere "scelga lei, tanto un cibo vale l'altro...", al contrario, il relativista ha il suo personale percorso di degustazione, di ricerca e di azione, caratterizzato però dall'umiltà di sapere che altri stanno battendo altri sentieri (da cui egli può prendere spunto). Sentieri per arrivare alla Verità? Niente affatto, il relativista ha solitamente traguardi meno aulici, come il vivere serenamente, il cercare di capire ciò che lo circonda nei limiti delle sue possibilità, etc. Proprio come i taoisti che (sia chiaro, non erano relativisti!) non avevano come obiettivo la Conoscenza Suprema, ma l'essere in armonia con il Tao, almeno finché si restava vivi  ;D
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 15 Febbraio 2017, 16:51:29 PM
I momenti, o stadi, della dialettica possono trovare una specie di schema, che un pò rappresenta anche gli stadi dell'evoluzione della coscienza filosofica.
Per primo vi è il momento del dogmatismo, l'indulgere nella filosofia speculativa. Questa "naturale" disposizione metafisica dà vita a due o più sistemi filosofici. Sistemi che non sono semplicemente diversi, ma opposti e contrari uno all'altro; spiegano le cose da punti di vista in conflitto.. Poichè questo conflitto  non è di origine e di portata empirica diventiamo consapevoli della gravità del conflitto e pure sospettosi della pretesa del pensiero di darci la conoscenza della realtà. Nasce in questo modo la critica.
Il secondo momento nasce con la consapevolezza dell'illusione trascendentale, ossia la soggettività del pensiero. La critica dialettica mette in luce le pretese della ragione sèpeculativa e lo fa mettendo in evidenza la contraddizione interna presente in ogni opinione, con argomentazioni mediante riduzione all'assurdo. la critica è shunyata, negazione del pensiero come rivelatore del reale. Tutti i giudizi sono costruzioni del pensiero ( sia essere che non-essere, che né essere nè non essere, ecc.).
Il pensiero è soggettivo rispetto al reale. Se non vi fosse un incondizionato ( nirvikalpa, tattva o dharmata) però. a cui il pensiero non ha accesso, non potrebbe esservi nessuna coscienza della soggettività del pensiero. L'incondizionato trascende il pensiero; ma ci è certamente accessibile tramite l'intuizione.
La morte del pensiero è la nascita di prajna, conoscenza priva di distinzioni  (jnanam advayam). Per il madhyamika , la scomparsa effettiva e completa del pensiero ( il famoso Silenzio) è l'intuizione del reale.; questa intuizione non sorge da qualche luogo, ma è stata sempre presente. E' soltanto oscurata dal pensiero. nagarjuna dichiara chi non lo capisce come colui che non distingue tra verità incondizionata e verità convenzionale. L'assoluto non è quindi una realtà posta contro un'altra, l'empirico. L'assoluito visto attraverso le forme del pensiero è fenomeno ( samsara, lett. "coperto"). La differenza è epistemologica o soggettiva e non ontologica.
La coscienza filosofica giunge a frutto tramite l'azione del suo dinamismo interno, attraverso i tre momenti della dialettica: dogmatismo, critica ( shunyata) e intuizione ( prajna). Nella sua naturale utilizzazione la filosofia speculativa è dogmatica ( vari sistemi di pensiero). Si arriva inevitabilmente al conflitto e la filosofia diventa critica, autocosciente dei limiti e delle insufficienze della ragione (coscienza della relatività dei fenomeni). I fenomeni sono sunya, interdipendenti. La maturazione completa della critica porta come culmine all'intuizione del reale.
E' impossible negare che vi sia coscienza dell'intero processo ( dogmatismo-relativismo critico-intuizione del reale).

@Phil
Sono d'accordo su molto di quello che hai scritto. Ma un conto è un relativismo critico delle presunte verità dogmatiche metafisiche,quindi un processo dialettico di consapevolezza dei loro limiti.  Se questo è una posizione o una non-posizione è proprio un problema di logica, nemmeno importante e che penso si giochi soprattutto sul piano semantico del significato convenzionale dei termini. Un conto è invece una chiara posizione nichilistica per cui la non vi è nessuna necessità di andare oltre e si rimane nello stato di approssimazione perenne negando perfino di avere coscienza di vivere in uno stato di approssimazione, per non contraddire il relativismo assoluto...Penso che bisognerebbe stare alla larga da tutti gli estremi. estremi che poi finiscono per sortire gli stessi effetti pratici: la stasi, l'impossibilità di andare oltre. La metafisica dogmatica ferma nei suoi dogmi inossidabile e il relativismo assoluto fermo nella sua "raccolta di punti di vista".
Qui sopra ho portato un contributo di filosofia buddhista, non per affermare qualche presunta verità, ma per far capire che nella filosofia ci sono molte  strade diverse. Questa , per es. , si pone come tentativo ( che poi investe anche la pratica di vita ) di superare sia la metafisica dogmatica che il relativismo.

Ho scritto troppo, e male...pensare che mi ero proposto di non intervenire più nella sezione "giungla del teorizzare"... :( :(
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Duc in altum! il 15 Febbraio 2017, 20:02:28 PM
**  scritto da Angelo Cannata:
CitazioneMa perché non accontentarsi di affermazioni modeste, approssimative, aperte alla ricerca, come sono quelle della scienza? Perché questa voglia di onnipotenza?
Perché la scienza, da sola, come la metafisica, non rende felice nessuno, e perché nessuno può dimostrare che non siamo parte di una onnipotenza. Quindi speranza per speranza ognuno, inevitabilmente, fa la sua scelta.
Titolo: Re: Alcune precisazioni circa la “metafisica” (o meglio: le metafisiche).
Inserito da: sgiombo il 15 Febbraio 2017, 20:42:42 PM
Come ci hanno mostrato Berkeley e soprattutto (in maniera più conseguente e non integrata da dogmi teistici) Hume, sottoponendo a critica razionale serrata le convinzioni dogmaticamente assunte dal senso comune, di tutto ciò che possiamo constatare empiricamente, di cui possiamo avere esperienza "esse est percipi": si tratta di insiemi e/o successioni di sensazioni, reali unicamente se e quando accadono ed esclusivamente in quanto tali (sensazioni o "fenomeni": dal greco "apparenze").
Contrariamente a quanto ingenuamente suggerisce il senso comune, non si tratta di oggetti reali anche allorché non accadono le sensazioni che li costituiscono, unicamente delle quali constano (e di nient' altro).
Questo vale tanto per le sensazioni (i fenomeni) esteriori o materiali (quelle che, se la scienza ci dice il vero, avvengono attraverso i cinque o sei o sette organi di senso e i numerosi recettori sparsi per il corpo: Berkeley!), quanto per le sensazioni interiori o mentali (Hume!): sia la luna allorché non la vedo non esiste (in quanto tale: corpo rotondo o variamente falciforme a seconda delle circostanze, di colore che va dall' arancione-quasi rosso al bianco passando per varie sfumature di giallo), sia la mia stessa mente allorché non avverto la mia "voce interiore" (i miei pensieri, ricordi, volizioni, sentimenti, ecc.) non esiste in quanto tale (sarebbe autocontraddittorio pretendere di affermarlo).
Se qualcosa esiste anche allorché (se e quando) non accadono sensazioni materiali o mentali, tale da spiegare il fatto (indimostrabile ma necessario come una conditio sine qua non perché sia possibile conoscenza scientifica vera: negando il quale, il pretendere di credere vera la conoscenza scientifica sarebbe autocontraddittorio, senza senso) che vi è una intersoggettività e relativa costanza nell' accadere realmente degli oggetti (enti ed eventi) materiali (insiemi e successioni di sensazioni "extensae", per dirlo a la Descartes: la luna, purché osservi "dal punto giusto" e "nella maniera giusta" la vede chiunque), nonché una certa relativa costanza di quelli mentali (l' "io" oggetto-soggetto dei miei pensieri, insieme e successione di sensazioni "cogitantes"), allora questo "qualcosa", per non cadere in contraddizione, non può dirsi essere costituito da sensazioni fenomeniche (la falce o il cerchio giallo o bianco o arancione che costituisce la -visione della-  luna, i vari pensieri, sentimenti, ecc. costituenti la -sensazione della- mia mente); altrimenti si pretenderebbe di dire che queste sensazioni (fenomeni) accadono realmente anche se e quando non accadono realmente.
Questo "qualcosa", onde non cadere in contraddizione, non può che essere ritenuto essere costituito da evenienze non fenomeniche sensibili bensì unicamente "congetturabili" (dal greco e a la Kant "noumena") reali "in sé" e non in quanto insiemi di sensazioni (materiali o mentali): si può congetturare che esista realmente qualcosa di "in sé" tale che allorché questo determinato "qualcosa" viene a trovarsi in determinate relazioni con certi determinati altri "qualcosa" accadono certe determinate sensazioni fenomeniche nell' ambito di certe determinate esperienze fenomeniche coscienti, e precisamente le sensazioni costituenti la luna; questo "qualcosa di in sé" è l' oggetto delle sensazioni fenomeniche della luna; quegli altri determinati "qualcosa di in sé" sono i soggetti delle sensazioni fenomeniche della luna (nell' ambito delle esperienze fenomeniche coscienti relative ai quali accadono le sensazioni esteriori materiali della luna, come eventi di coscienza biunivocamente corrispondenti al primo "qualcosa in sé" considerato -l' oggetto delle sensazioni materiali- e ai rapporti fra questo e i secondi, i soggetti delle sensazioni materiali). E allorché questi altri determinati "qualcosa di in sé" (soggetti di determinate esperienze fenomeniche coscienti) vengono a trovarsi in certe determinate relazioni con se stessi, allora in maniera biunivocamente corrispondente a questi secondi "qualcosa in sé" e a tali determinate relazioni di essi con se stessi -soggetti e oggetti delle sensazioni mentali- accadono le sensazioni mentali interiori dei propri pensieri, ricordi, sentimenti, ecc. nell' ambito delle rispettive esperienze fenomeniche coscienti.
In alternativa si potrebbe ipotizzare, onde credere coerentemente alla (indimostrabile) verità della conoscenza scientifica, una sorta di Leibniziana "armonia prestabilita" fra i "contenuti" fenomenici" sensibili (per lo meno di quelli materiali) delle varie esperienze coscienti; ipotesi che rovo alquanto vaga e confusa.
Né mi riesce di immaginare altre alternative in grado di spiegare: l' intersoggettività dei fenomeni materiali e il fatto che malgrado i suoi malintesi e le sue contraddizioni, a quanto pare il senso comune in pratica funziona correttamente circa le esperienze che si compiono, circa i rapporti fra pretesi oggetti di sensazioni identificati contraddittoriamente con le sensazioni materiali stesse e preteso e soggetto di esse identificato contraddittoriamente (in quanto oggetto delle (auto)sensazioni di se stesso) con le sensazioni coscienti mentali.
Questa realtà in sé o noumeno (se c' è, cosa indimostrabile) è letteralmente "metafisica", cioè (qualcosa di)  reale "oltre la natura (materiale)".
Alla quale peraltro secondo me (come ho argomentato più volte nel forum, e sarebbe troppo lungo, oltre che ripetitivo, farlo nuovamente qui) non sono in alcun modo riducibili o "emergenti" o sopravvenienti gli enti ed eventi mentali (parimenti meramente fenomenici): la conoscenza scientifica, quella propria elle scienze in senso stretto o "naturali" non esaurisce la conoscenza della realtà in toto comunque (anche qualora nulla di metafisico esistesse).
Quella qui descritta è una metafisica (la mia personale), fra le tante altre, ben più note e importanti, più o meno critiche o dogmatiche a seconda dei casi.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Jean il 15 Febbraio 2017, 21:37:27 PM
 
Mi piace il modo d'argomentare di Angelo Cannata, che tende a rimaner semplice, usando parole semplici.

Grazie al quale (unito al contributo di Phil) ho compreso (per quel che il sottoscritto può comprendere) qualcosa in più del relativismo.

Proseguo copiando qui sotto un frammento di una mia risposta ad Angelo (in Spiritualità- Lo specchio della verità – post 24):

 
Poiché (Angelo) mi hai onorato della tua visita mi son sentito in dovere di accedere al link della tua firma e dare un'occhiata al sito che hai costruito. 
Permettimi di avere delle perplessità sull'essere...
l'unico sito al mondo, interamente dedicato alla spiritualità, con l'obiettivo di essere imparziale e indipendente da qualsiasi religione o credenza.  
Un proclama altrettanto categorico di quelli di ogni religione che ritenga di essere la sola depositaria della "vera" verità...

 

... per porre la questione della coesistenza (in un soggetto) di posizioni che spaziano da un estremo (assunti relativi) all'altro (assunti indimostrabili).

Nel caso del relativismo mi chiedo se (riferito a un soggetto) preveda o accetti  la possibilità d'esserlo a fasi/ambiti alterni... se questa è una sua peculiarità sarebbe interessante darne spiegazione.


Tra i due estremi... quelli che Freedom ha chiamato "gradi di verità" che permettono, nei semplici casi della vita quotidiana, di non sbattere contro i muri o di ritenere, ad un livello un po' superiore, forse metafisico... che le migliaia di ex voto (strano che alcuno si sia sentito sollecitato ad approfondir l'argomento in spiritualità, forse ho sbagliato sezione...) abbiano valenza di prove, ovviamente dopo esser stati "valutati"  con diversi strumenti d'indagine (non ultimo quello statistico) e non solo relegati ad atti di fede... perché lì c'è qualcosa anziché il nulla quale risultato di molte discussioni.   
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Apeiron il 15 Febbraio 2017, 21:45:38 PM
Grazie Phil della tua spiegazione. Domanda per te: esiste il paesaggio (che può essere oggettivo e mutevole, chi ha mai detto il contrario?  ;D ) o solo le prospettive? Non appena crei una gerarchia delle prospettive vai già oltre il relativismo. D'altronde nemmeno Nietzsche in fondo si può considerare "prospettivista" non appena parla di "volontà di potenza"...

Come Sari affermo anche io che la critica è ben accetta, proprio perchè senza il dubbio non si va da nessuna parte, nel senso che non si fanno progressi. Pensare di conoscere il paesaggio completamente è da folli, è appunto da delirio di onnipotenza. Ciò non toglie che tuttavia si può cercare di conoscere meglio il paesaggio. Ora potremmo chiederci se il paesaggio esiste o no. L'istinto naturale ci dice di sì ma l'istinto naturale magari ci inganna. A questo punto passiamo alla ragione: o esiste o non esiste. Se non esiste non c'è niente di oggettivo e non ci sono gerarchie delle prospettive. Siccome questo mi pare nichilismo, possiamo scegliere di credere che esista. Tale "credenza" non può essere "dimostrata", tuttavia l'assunzione mi sembra più che ragionevole.

Una domanda per il Sari: se il buddismo afferma che il paesaggio esiste allora è anch'esso "metafisico". D'altronde "tutta l'esistenza condizionata è impermanente" (deva compresi che vivono molto di più di Buddha, quindi Buddha non può aver avuto l'esperienza diretta che conferma la sua "teoria" e qui entra in ballo la fede...) mi pare un'affermazione "oggettiva". Semmai su può dire che siccome per Buddha (o anche Nagarjuna) non è possibile "afferrare" tutta la realtà e ciò lo si capisce con la critica allora non rimane che rinunciare al pensiero ed entrare nel Silenzio. Ma questo d'altronde è un insegnamento comune a molte tradizioni orientali (es taoismo). Non mi pare che siano relativisti a riguardo ad una realtà oggettiva, al karma ecc. E nemmeno uno può essere relativista nella pratica: non ha senso se inizi l'Ottuplice Sentiero mettere in dubbio continuamente che "tutta l'esistenza condizionata è impermanente". Lo accetti e basta  ;D Quindi la domanda per il Sari: come fai a dire che il buddismo è sempre la via di mezzo tra estremi quando fa delle affermazioni indimostrabili che devono essere accettate?  ;D  Si può semmai dire che la dottrina buddista è meno importante della pratica ma questo si sapeva già... Tuttavia in un forum filosofico bisogna parlare di dottrine.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 15 Febbraio 2017, 22:17:02 PM
Citazione di: sgiombo il 14 Febbraio 2017, 08:53:19 AM
Spero proprio che dopo la risoluzione dei problemi tecnici mi spiegherai più comprensibilmente le tue affermazioni.
Per esempio che "conoscendo non si consce ciò che é (reale?) poiché ciò che è viene sempre tradito nell'atto stesso del conoscerlo dicendolo: che significa "tradire"?
Che il dire qualcosa é diverso dall' essere reale qualcosa é quanto da sempre sostengo vigorosamente anch' io.
Ma ciò non toglie che ciò che è reale possa in linea di principio essere detto (che possa essere la denotazione di un concetto di cui si predica che é/accade realmente).

No non può, se per essere reale si intende la cosa come è in sé e per sé. La cosa per come è in sé è tradita nell'atto stesso in cui la si definisce dicendola.

CitazioneInoltre (per farmi capire) mi dovresti tradurre in italiano l' affermazione che[/size] L'essere "reali" dei cavalli contrapposto all'essere "irreale" degli ippogrifi, non consiste nel fatto che qualcosa come un cavallo lo possiamo toccare, vedere, misurare, mentre qualcosa come un ippogrifo no, al massimo sognare, ma che mentre qualcosa che significa "cavallo" ha un posto nella rappresentazione che ci si dà nel mondo, qualcosa come un ippogrifo no, ove la rappresentazione che si dà del mondo non è una rappresentazione assoluta. ma partecipa del nostro esserci noi stessi rappresentati come soggetti che vedono cavalli e non ippogrifi.

Perché in italiano "essere reali" come lo sono i cavalli significa proprio poter essere toccato, visto, misurato realmente, mentre "essere qualcosa di immaginario" come lo sono gli ippogrifi significa potere al massimo essere toccato, visto, misurato solo in sogno, nella fantasia o in un' allucinazione.
Il problema è che noi non tocchiamo, né vediamo semplicemente cavalli, ma qualcosa che per noi assume mentalmente tale significato e i significati non si toccano con le dita né si vedono con gli occhi, anche se qualcosa deve essere esperita per avere significato. Questo per me è fondamentale, poiché implica che l'allucinazione non è qualcosa di irreale in senso oggettivo, ma è irreale in rapporto a una soggettività condivisa che non è per nulla arbitraria, ma è il risultato di un contesto che determina il senso di verità o falsità su cui convengono necessariamente e con limitate possibilità di scarto i soggetti che vivono e operano in quel contesto. In definitiva chi vede ippogrifi non vede l'irreale più di chi vede cavalli, semplicemente è fuori dal contesto di senso soggettivamente condiviso nel mondo in cui vive. Ed è questo che ha delle enormi conseguenze sulla sua vita, non certo la questione di cosa sia in sé reale o no (che nessuno vede).
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 15 Febbraio 2017, 22:34:21 PM
Citazione di: Jean il 15 Febbraio 2017, 21:37:27 PMl'unico sito al mondo, interamente dedicato alla spiritualità, con l'obiettivo di essere imparziale e indipendente da qualsiasi religione o credenza.
Un proclama altrettanto categorico di quelli di ogni religione che ritenga di essere la sola depositaria della "vera" verità
Più che un proclama è un invito a segnalarmi siti o pagine internet che abbiano la caratteristica di essere dedicati alla spiritualità, ma indipendenti da religioni o credenze: ne sarei ultra interessato (chiedo scusa agli altri per l'off topic).
Citazione di: Jean il 15 Febbraio 2017, 21:37:27 PMNel caso del relativismo mi chiedo se (riferito a un soggetto) preveda o accetti  la possibilità d'esserlo a fasi/ambiti alterni... se questa è una sua peculiarità sarebbe interessante darne spiegazione.
Il relativismo, per come lo vedo io, è la massima esaltazione della libertà umana, quindi non vedo come dovrebbe porre divieti di alcun genere ad alcuno.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Jean il 15 Febbraio 2017, 22:53:03 PM
Jean - Nel caso del relativismo mi chiedo se (riferito a un soggetto) preveda o accetti  la possibilità d'esserlo a fasi/ambiti alterni... se questa è una sua peculiarità sarebbe interessante darne spiegazione.

A. Cannata - Il relativismo, per come lo vedo io, è la massima esaltazione della libertà umana, quindi non vedo come dovrebbe porre divieti di alcun genere ad alcuno.
 

La constatazione intendeva esser inclusiva (più ambiti...) e non il contrario (divieti), forse non l'ho ben espressa.


Alla massima esaltazione della realtà umana forse dovrebbe accompagnarsi un elevato grado di coerenza interna e di riscontro esterno.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 15 Febbraio 2017, 23:10:12 PM
Dipende da cosa s'intende per coerenza: se la intendiamo in un senso pratico, quotidiano, di sentire della gente comune, utile a creare con gli altri rapporti di fiducia, allora il relativista non può che essere d'accordo con il consiglio di essere coerenti.

Se invece coerenza significa far riferimento a criteri di oggettività, allora veniamo a trovarci nella metafisica e quindi un relativista non può condividerla.

Se per coerenza intendi quella che sembra mancare a chi è soggetto a troppi cambiamenti, troppe alternanze, anche lì dipende da quali sono queste alternanze, chi è la persona interessata, che cammino sta facendo.

A questo punto la vera questione non è più se essere relativisti o no e in che modo esserlo, ma ci troviamo in una questione diversa che per me è il camminare: ognuno ha il suo camminare personale e può essere giudicato solo in relazione a tale cammino.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Apeiron il 15 Febbraio 2017, 23:17:20 PM
Citazione di: Jean il 15 Febbraio 2017, 21:37:27 PMMi piace il modo d'argomentare di Angelo Cannata, che tende a rimaner semplice, usando parole semplici. Grazie al quale (unito al contributo di Phil) ho compreso (per quel che il sottoscritto può comprendere) qualcosa in più del relativismo. Proseguo copiando qui sotto un frammento di una mia risposta ad Angelo (in Spiritualità- Lo specchio della verità – post 24):  Poiché (Angelo) mi hai onorato della tua visita mi son sentito in dovere di accedere al link della tua firma e dare un'occhiata al sito che hai costruito. Permettimi di avere delle perplessità sull'essere...l'unico sito al mondo, interamente dedicato alla spiritualità, con l'obiettivo di essere imparziale e indipendente da qualsiasi religione o credenza. Un proclama altrettanto categorico di quelli di ogni religione che ritenga di essere la sola depositaria della "vera" verità...  ... per porre la questione della coesistenza (in un soggetto) di posizioni che spaziano da un estremo (assunti relativi) all'altro (assunti indimostrabili). Nel caso del relativismo mi chiedo se (riferito a un soggetto) preveda o accetti la possibilità d'esserlo a fasi/ambiti alterni... se questa è una sua peculiarità sarebbe interessante darne spiegazione. Tra i due estremi... quelli che Freedom ha chiamato "gradi di verità" che permettono, nei semplici casi della vita quotidiana, di non sbattere contro i muri o di ritenere, ad un livello un po' superiore, forse metafisico... che le migliaia di ex voto (strano che alcuno si sia sentito sollecitato ad approfondir l'argomento in spiritualità, forse ho sbagliato sezione...) abbiano valenza di prove, ovviamente dopo esser stati "valutati" con diversi strumenti d'indagine (non ultimo quello statistico) e non solo relegati ad atti di fede... perché lì c'è qualcosa anziché il nulla quale risultato di molte discussioni.

Personalmente considero una posizione come la mia o ad essa affine una sorta di "via di mezzo" tra il relativismo e il dogmatismo assoluto. Ossia secondo me nella maggior parte delle cose si deve essere critici (per questo dopotutto rispetto lo spirito critico di Angelo Cannata) ma l'eccesso della critica conduce al nichilismo (negando completamente l'oggettività) o alla completa inazione (perchè d'altronde non si può affermare più nulla). Sinceramente il relativismo mi sembra una posizione provvisoria, nel senso che non rimarrei nel relativismo per sempre (per lo stesso motivo per cui non rimarrei nella bonaccia con una barca a vele...). Il relativismo lo ritengo incompleto tuttavia riconosco in esso una profonda verità che tuttavia era già stata detta dall'Oracolo di Delfi in due suoi aforismi: "pensa come un mortale" e "conosci te stesso". Il relativismo appunto ci fa capire che non siamo né onniscenti né onnipotenti ed è un ottimo modo per riconoscere la nostra limitatezza. Ci si deve riconoscere piccoli, anzi vado oltre e seguendo Pascal dico che è anche giusto sentirsi "miseri". Ma appunto proprio perchè non ci si può riconoscere solo miseri è anche giusto secondo me ritenere possibile l'esistenza di una realtà oggettiva (magari mutevole nel tempo!) e la possibilità di una conoscenza incompleta e distorta di essa. Questa posizione, secondo me, incita al dialogo e di certo non lo sopprime. Col dialogo infatti posso capire meglio sia la mia prospettiva sul "paesaggio" (ossia la "realtà") sia tentare di "capire" anche quelle altrui.

A questo punto ti farei una domanda (rispondi se ti va di farlo  ;) ): Esiste il paesaggio o solo le prospettive?
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Phil il 15 Febbraio 2017, 23:25:31 PM
Citazione di: Apeiron il 15 Febbraio 2017, 21:45:38 PM
Grazie Phil della tua spiegazione. Domanda per te: esiste il paesaggio (che può essere oggettivo e mutevole, chi ha mai detto il contrario?  ;D ) o solo le prospettive?
Bella domanda; ma la (mia) risposta, non credo sia altrettanto bella: onestamente, non lo so... credo sia uno di quei presupposti "indecidibili" (à la Godel) che, come ricorda spesso sgiombo (e anche tu, se non ti ho frainteso), se non si vuol essere presi per matti (ovvero per stare al gioco del "senso comune", che non è sempre "buon senso"), conviene considerare apodittici e fuori di dubbio; eppure, detto fra noi, non sono totalmente convinto sia così necessario né ovvio che ci sia un paesaggio a "ispirare" le molteplici prospettive...

Citazione di: Apeiron il 15 Febbraio 2017, 21:45:38 PMA questo punto passiamo alla ragione: o esiste o non esiste.
Nel mio piccolo propendo per una terza via (per quanto poco affascinante) e mi fermo al "non lo so", accettando che certe domande non possano per ora avere risposta (e non vadano "forzate" o semplificate pur di trovarne una).

Citazione di: Apeiron il 15 Febbraio 2017, 21:45:38 PMSe non esiste non c'è niente di oggettivo e non ci sono gerarchie delle prospettive. Siccome questo mi pare nichilismo, possiamo scegliere di credere che esista.
Colgo una leggera "allergia" verso il nichilismo (figlia della necessità di salvaguardare la speranza in un'oggettività?). Non vogliamo proprio riconoscergli una minima dignità teoretica e lo fuggiamo come la peste? ;D

Citazione di: Apeiron il 15 Febbraio 2017, 21:45:38 PMNon appena crei una gerarchia delle prospettive vai già oltre il relativismo.
Sulla affermazione che la gerarchizzazione ponga oltre il relativismo (che ha un "dentro" decisamente "spazioso" ;) ), sarei piuttosto cauto: nel momento in cui ritengo più plausibile che domani il sole sorga (almeno stando alla prospettiva terrestre), piuttosto che non ci sia mai più un'alba, pongo una gerarchia fra due plausibilità differenti, ma senza per questo assolutizzarne nessuna, senza porre certezze e sempre con la cautela di chi, guardando il cielo notturno fra un'ora, potrebbe invertire la gerarchia (l'esempio è sciocco, ma spero allusivo a ciò che intendo: ci possono essere "gerarchie relative", che in fondo sono quelle che orientano, pur nella loro "debolezza", le scelte del relativista e lo differenziano da un "qualunquista catatonico"  ;D ).



Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 15 Febbraio 2017, 23:27:35 PM
@Apeiron
Cerco i rispondere alla tua domanda brevemente ( anche per non rischiare di finire fuori tema...come ci capita quando entriamo più nel dettaglio della filosofia buddhista, che magari alla fine interessa solo a noi due :) ). Come sai un buddhista , alla tua domanda, se è una metafisica ti guarderebbe strano e ...ti manderebbe a pelare le patate! Questo perché il Dharma è la pratica. Non esiste una filosofia buddhista autentica  che prescinda dalla pratica. Ciò non toglie che, secoli dopo la morte del fondatore, del grande medico della sofferenza umana, si sia sentito il bisogno di dare una sistematicità filosofica all'insegnamento. A parer mio, sperando che qualche maestro non mi legga, la filosofia è una metafisica. Metafisica che si pone l'obiettivo di superare la metafisica stessa, senza sfociare nel nichilismo o nel dogmatismo. La Via di Mezzo, ossia stare lontani da ogni estremo,  è consapevolezza dell'impossibilità del pensiero  di trascendere i suoi limiti; una medicina non adatta al superamento della sofferenza dell'esistenza condizionata. Pertanto si propone un'altra via, eminentemente pratica, il Nobile Ottuplice Sentiero, ecc. Il Dharma si base sul "venire e vedere" ( molto importante) e quindi, a riguardo delle sue affermazioni che paiono indimostrabili ti risponderebbe " vieni e vedi da te" ( ossia, la pratica ti dimostrerà come vere quelle affermazioni). Ma per "venire e vedere" devi avere fiducia che la medicina sia valida e il medico competente. Possiamo guarire da una malattia se pensiamo che tutte le medicine sono uguali e tutti i medici hanno lo stesso valore? Per questo il relativismo, nel Buddhismo, è considerato una malattia spirituale peggiore persino del dogmatismo, in quanto relativizzando tutto, compresa la fiducia nel medico, non permette alcun progresso sulla via della guarigione dal Dolore. Credo  che , non ricordo in quale sutra, il Buddha affermi che un somaro e un uomo troppo intelligente sono i tipi più difficile da guarire. Il primo per la sua ottusità e il secondo perché, mettendo continuamente in discussione tutto e tutti  e preso da un'infinità di dubbi, finisce per non andare da nessuna parte, e quindi a continuare a soffrire. Non ho mai letto nel canone Pali che si discutesse se il "paesaggio"  esiste o non esiste. Famoso a riguardo il Silenzio del Buddha agli asceti che volevano trascinarlo in quelle che per lui, erano solo sterili e inutile speculazioni. "Un'unica cosa io insegno, il Dolore , la sua causa , la sua cessazione".. A riguardo del Dolore la sua era sicuramente una visione non relativista, e infatti si parla delle Quattro Nobili Verità.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Apeiron il 15 Febbraio 2017, 23:42:15 PM
Grazie, come sempre, Sari   :D Per la questione dell'off topic: beh da quando abbiamo iniziato a discutere del relativismo ho come l'impressione di essere andati off topic  ;D  


@Phil
Ok sì appunto non ho mai "preteso" di "dimostrare" che ci sia un'oggettività e una gerarchia. Quindi sì ammetto che "non lo so" è una risposta "onesta". Tuttavia, credo, che in questo contesto si "debba" scegliere pur riconoscendo l'impossibilità di dimostrare la propria scelta. La scelta io l'ho effettuata considerando i pregi e i difetti delle due alternative e  ho scelto di conseguenza. Il nichilismo è una via e come ho già detto ha i suoi meriti perchè aiuta a sbatterci in faccia i nostri limiti (o meglio è la critica che lo fa...). Quindi sì sono se vuoi allergico ma la mia allergia è passata proprio nel considerare il nichilismo e nel riconoscere che in esso un po' di verità c'è.
Sulla gerarchia. Sì hai ragione non implica che ci sia una "prospettiva assoluta", tuttavia non appena dici che una prospettiva è "migliore" di un'altra fai un giudizio "assoluto" di valore. Per farlo in sostanza devi fare in modo che tale gerarchia "trascenda" le prospettive. Quindi secondo me l'ammissione delle gerarchie implica "certa oggettività". Ritenere che le gerarchie siano pure convenzioni a mio giudizio non è soddisfacente.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 15 Febbraio 2017, 23:58:23 PM
@Phil scrive:

Colgo una leggera "allergia" verso il nichilismo (figlia della necessità di salvaguardare la speranza in un'oggettività?). Non vogliamo proprio riconoscergli una minima dignità teoretica e lo fuggiamo come la peste? (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/grin.gif) 

Personalmente non sono allergico verso il nichilismo , ma verso i nichilisti...Sono quel genere di persone che, quando l'inviti a cena , non sai mai dove metterli a sedere e quando gli chiedi se il cibo è stato di loro gradimento , ti rispondono: "Dipende..."! Terribile ... ;D ;D ;D   
Scherzo, ovviamente...
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Duc in altum! il 15 Febbraio 2017, 23:59:19 PM
**  scritto da Angelo Cannata:
CitazioneIl relativismo, per come lo vedo io, è la massima esaltazione della libertà umana, quindi non vedo come dovrebbe porre divieti di alcun genere ad alcuno.
Quindi essere liberi significa non condividere nessun valore con nessun individuo, giacché solo ciò che io ritengo sia un valore è la pura verità.
Più che esaltazione della libertà io ci vedo una venerazione all'anarchia totale, un'idolatria al disordine, dunque in piena coerenza con l'etica sociale odierna.

CitazioneA questo punto la vera questione non è più se essere relativisti o no e in che modo esserlo, ma ci troviamo in una questione diversa che per me è il camminare: ognuno ha il suo camminare personale e può essere giudicato solo in relazione a tale cammino.
Sì, ma bisogna decidere se uno se lo sceglie il cammino o se è anche destinato a quel cammino, perché è lì che potremmo essere giudicati.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Duc in altum! il 16 Febbraio 2017, 00:22:21 AM
**  scritto da Sariputra:
CitazioneSi potrebbe anche dire: è come agisci e non quello che dici, che parla per te. Su questo sono perfettamente d'accordo
Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, va' oggi a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò. Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?".

Questo esempio ci dimostra che le chiacchiere dei buoni propositi nei nostri bip mentali, innanzi all'inevitabilità della scelta, se le porta il vento, quello che resta è l'operato in virtù della volontà.
Innanzi a una scelta o a una decisione, il dubbio si ridimensiona, il relativismo scompare, giacché l'azione è qualcosa di assoluto in quel momento.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 16 Febbraio 2017, 05:04:15 AM
Citazione di: Apeiron il 15 Febbraio 2017, 23:42:15 PMPer la questione dell'off topic: beh da quando abbiamo iniziato a discutere del relativismo ho come l'impressione di essere andati off topic
Il relativismo non dovrebbe essere off topic: ho avviato il discorso evidenziando che il discorso di Ceravolo, come lui stesso ha accennato all'inizio, è una metafisica. Il relativismo è una critica della metafisica.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Duc in altum! il 16 Febbraio 2017, 10:00:27 AM
**  scritto da Angelo Cannata;
CitazioneIl relativismo è una critica della metafisica.
Ma sia il relativismo che la metafisica sono nient'altro che mezzi e non il fine dell'esistenza: le scelte quotidiane.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Apeiron il 16 Febbraio 2017, 14:44:15 PM
@Angelo Cannata,
sì in realtà dovevo esprimermi meglio (come al solito...). Volevo rassicurare Sariputra che secondo me il suo non era "off-topic" o almeno lo era tanto quanto i post che non rispondevano più alla domanda inziale. Poi con la discussione in realtà non ho problemi a continuare anche se era off-topic  :D
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 16 Febbraio 2017, 18:35:40 PM
Citazione di: maral il 15 Febbraio 2017, 22:17:02 PM
Citazione di: sgiombo il 14 Febbraio 2017, 08:53:19 AM
Spero proprio che dopo la risoluzione dei problemi tecnici mi spiegherai più comprensibilmente le tue affermazioni.
Per esempio che "conoscendo non si consce ciò che é (reale?) poiché ciò che è viene sempre tradito nell'atto stesso del conoscerlo dicendolo: che significa "tradire"?
Che il dire qualcosa é diverso dall' essere reale qualcosa é quanto da sempre sostengo vigorosamente anch' io.
Ma ciò non toglie che ciò che è reale possa in linea di principio essere detto (che possa essere la denotazione di un concetto di cui si predica che é/accade realmente).

No non può, se per essere reale si intende la cosa come è in sé e per sé. La cosa per come è in sé è tradita nell'atto stesso in cui la si definisce dicendola.

CitazioneDire che una cosa è come è in sé e per sé, indipendentemente dal fatto di essere inoltre detta esserlo è in linea teorica di principio possibilissimo e sensatissimo.
Non vi è nulla di contraddittorio (ergo: è un' ipotesi sensatissima, del tutto tranquillamente proponibile come tale -ipotesi- sia che sia inoltre di fatto vera, sia che sia inoltre di fatto falsa) nel dire che una certa cosa è in un certo modo e sarebbe tale e quale anche se non fosse detta esserlo: semplicemente si intendende con questa affermazione che fra quella che sarebbe la realtà nel caso tale cosa, oltre ad essere reale, sia inoltre detta esserlo e quella che sarebbe la realtà nel caso che tale cosa non sia inoltre detta essere reale l' unica e sola differenza (reale; aggettivo pleonastico) starebbe nel fatto del dirla o meno, fatto che in un caso realmente accadrebbe, nell' altro realmente non accadrebbe: in nient' altro la realtà sarebbe diversa fra i due casi ipotetici considerati.

E nell' atto del dirla essere come é non ci vedo alcun "tradimento" di niente e nessuno.




CitazioneInoltre (per farmi capire) mi dovresti tradurre in italiano l' affermazione che
Citazione L'essere "reali" dei cavalli contrapposto all'essere "irreale" degli ippogrifi, non consiste nel fatto che qualcosa come un cavallo lo possiamo toccare, vedere, misurare, mentre qualcosa come un ippogrifo no, al massimo sognare, ma che mentre qualcosa che significa "cavallo" ha un posto nella rappresentazione che ci si dà nel mondo, qualcosa come un ippogrifo no, ove la rappresentazione che si dà del mondo non è una rappresentazione assoluta. ma partecipa del nostro esserci noi stessi rappresentati come soggetti che vedono cavalli e non ippogrifi.

Perché in italiano "essere reali" come lo sono i cavalli significa proprio poter essere toccato, visto, misurato realmente, mentre "essere qualcosa di immaginario" come lo sono gli ippogrifi significa potere al massimo essere toccato, visto, misurato solo in sogno, nella fantasia o in un' allucinazione.
Il problema è che noi non tocchiamo, né vediamo semplicemente cavalli, ma qualcosa che per noi assume mentalmente tale significato e i significati non si toccano con le dita né si vedono con gli occhi, anche se qualcosa deve essere esperita per avere significato. Questo per me è fondamentale, poiché implica che l'allucinazione non è qualcosa di irreale in senso oggettivo, ma è irreale in rapporto a una soggettività condivisa che non è per nulla arbitraria, ma è il risultato di un contesto che determina il senso di verità o falsità su cui convengono necessariamente e con limitate possibilità di scarto i soggetti che vivono e operano in quel contesto. In definitiva chi vede ippogrifi non vede l'irreale più di chi vede cavalli, semplicemente è fuori dal contesto di senso soggettivamente condiviso nel mondo in cui vive. Ed è questo che ha delle enormi conseguenze sulla sua vita, non certo la questione di cosa sia in sé reale o no (che nessuno vede).
CitazioneDunque secondo te se uno ha un' allucinazione o un sogno ciò che percepisce è altrettanto reale di ciò che vedrebbe realmente in condizioni veglia e di sanità psichica, senza effetti di farmaci psicotropi.
Ma purtroppo è di fatto accaduto che persone che avevano assunto farmaci allucinogeni avessero visioni (allucinatorie) di passerelle che univano la loro stanza al centesimo piano di un grattacielo a quella del grattacielo di fronte e abbiano pensato bene di camminarci sopra.
Beh, purtroppo per loro, non c è stata "soggettività condivisa che non è per nulla arbitraria", né " risultato di un contesto che determina il senso di verità o falsità" che tenesse e si sono tragicamente sfracellati al suolo.

Comunque, poiché credi che "chi vede ippogrifi non vede l'irreale più di chi vede cavalli, semplicemente è fuori dal contesto di senso soggettivamente condiviso nel mondo" ti sconsiglio di recarti al lavoro in groppa a un  ippogrifo, per quanto tu ritenga tali equini alati "non più irreali dei cavalli", se ci tieni ad arrivarci ed evitare il rischio di essere licenziato.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 17 Febbraio 2017, 22:23:37 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 16 Febbraio 2017, 05:04:15 AM
Citazione di: Apeiron il 15 Febbraio 2017, 23:42:15 PMPer la questione dell'off topic: beh da quando abbiamo iniziato a discutere del relativismo ho come l'impressione di essere andati off topic
Il relativismo non dovrebbe essere off topic: ho avviato il discorso evidenziando che il discorso di Ceravolo, come lui stesso ha accennato all'inizio, è una metafisica. Il relativismo è una critica della metafisica.
Si penso ci sia stato uno spostamento del tema da un piano ontologico a uno etico, ma probabilmente anche la questione del nulla , come ogni questione metafisica o logica, nasconde alla sua radice una ragione etica. Il motivo etico è stato enunciato molto chiaramente da Cannata che l'ha inteso nel senso di una destabilizzazione critica di qualsiasi principio metafisico a priori, in ragione di un dialogo sempre aperto. Questa necessità etica per Cannata, significa riconoscere il soggetto, o meglio direi, i soggetti al plurale (soggetti che si parlano, soggetti che si ascoltano, criticano e replicano). La pluralità soggettiva è fondamentale per incrinare l'Uno granitico che ogni metafisica vuole imporre a tutti come saldissimo fondamento universale a fronte del quale, per sentirsi ognuno (ogni soggetto) felice, occorre ubbidire con fede (è interessante questo riflesso di felicità soggettiva che viene a riverberare, almeno per quanto riguarda il Cristianesimo, dal principio trascendente, come indicato da Duc, meriterebbe una riflessione accurata). In nome del soggetto e si potrebbe dire di una metafisica che si allarghi alla pluralità soggettiva, Cannata rigetta altri tipi di inclusioni nella metafisica, come la dialeteia o la storicità (da me intesa in senso di prassi), mentre trova piuttosto nella scienza un'etica migliore, infatti anche se anche la scienza vuole eliminare la soggettività dal giudizio, lo fa solo a posteriori (quindi con maggiore umiltà), secondo verifica procedurale oggettiva che stabilisce oggettivamente come va da parte di tutti valutato il fenomeno per trasformare ipotesi soggettive in teorie oggettive. In realtà anche qui a ben vedere c'è un'assunzione a priori oggettiva che riguarda proprio il presupposto di realtà che fonda il metodo, ma resta ben nascosta e tanto vale.
Quello che noto è che, comunque la si metta, dalla metafisica non si esce, non ne esce nemmeno la soggettualità di Cannata che piuttosto la allarga (forse il pensiero orientale e in particolare buddista riesce a farne a meno, ma, da occidentale ne dubito), anche se sono perfettamente d'accordo che l'ammissione di una pluralità soggettiva è di base per evitare proprio quel nichilismo che la pretesa totalizzante, assoluta e unitaria delle impostazioni metafisiche (che sono sempre al plurale, con grande dispetto di chi punta all'assoluto fondamento monolitico) vorrebbe esorcizzare, mentre in realtà non fa altro che evocare, come l'altra faccia della sua stessa moneta.
Il dubbio e la critica sono quindi essenziali per introdurre a piccole dosi proprio quel nulla (attraverso gli altri che in qualche misura sono sempre il nulla relativo di noi stessi) che inteso in senso assoluto è morte assoluta, è l'assoluta contraddizione che tanto ci angoscia. Ma penso anche che se la critica è irrinunciabile, va messa in crisi anche la soggettualità e qui mi pare che si possa partire proprio dalla domanda (passata inosservata) di Acquario:  "Dove sei quando non sei presente a te stesso?" , perché il soggetto non è sempre presente, anzi, lo è raramente, perché il dubbio qui è che anche il soggetto, così fondamentale, in fondo non sia che un effetto di contesto, una sorta di ippogrifo, o una costruzione "immaginifica" di prassi culturali, il soggetto è solo una categoria del pensiero che si immagina mentre fa. Ma certamente a ragionare di questo si produrrebbe un altro spostamento dal tema e forse Acquario non intendeva la questione nel senso di una critica al soggetto, gli propongo quindi di aprire una nuova riflessione specifica, se vuole.

PS è la terza volta che, volendo intervenire in questa riflessione, il messaggio mi svanisce nel nulla (assoluto?). Spero che stavolta il forum funzioni, altrimenti dovrò accettare il decreto del destino ineluttabile: il nulla assoluto esiste, è quello che inghiotte i miei messaggi.  :)
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 17 Febbraio 2017, 23:03:10 PM
Citazione di: sgiombo il 16 Febbraio 2017, 18:35:40 PM
Dire che una cosa è come è in sé e per sé, indipendentemente dal fatto di essere inoltre detta esserlo è in linea teorica di principio possibilissimo e sensatissimo.
Non vi è nulla di contraddittorio (ergo: è un' ipotesi sensatissima, del tutto tranquillamente proponibile come tale -ipotesi- sia che sia inoltre di fatto vera, sia che sia inoltre di fatto falsa) nel dire che una certa cosa è in un certo modo e sarebbe tale e quale anche se non fosse detta esserlo: semplicemente si intendende con questa affermazione che fra quella che sarebbe la realtà nel caso tale cosa, oltre ad essere reale, sia inoltre detta esserlo e quella che sarebbe la realtà nel caso che tale cosa non sia inoltre detta essere reale l' unica e sola differenza (reale; aggettivo pleonastico) starebbe nel fatto del dirla o meno, fatto che in un caso realmente accadrebbe, nell' altro realmente non accadrebbe: in nient' altro la realtà sarebbe diversa fra i due casi ipotetici considerati.

E nell' atto del dirla essere come é non ci vedo alcun "tradimento" di niente e nessuno.
No, perché il dirla significa prendere coscienza di quella cosa ed è proprio il prenderne coscienza che la tradisce. Essa è quello che è, non vi è dubbio, e noi la viviamo sapendo le cose, ma solo finché non le conosciamo e conoscendole creiamo un mondo che significa, il mondo del linguaggio ove le parole con cui tentiamo di rendere conto delle cose non sono mai le cose. E' esattamente come dici tu quando dici che una "montagna" c'è anche quando ci passo vicino senza vederla, solo che quello vicino a cui passo non è la "montagna", la montagna la costruisce la mia mente nel suo significato nel momento in cui la conosco, non è la montagna reale che non posso assolutamente conoscere in sé, è la montagna significato per me (che per alcuni aspetti di significato altri soggetti condividono e per altri no)
Perché in italiano "essere reali" come lo sono i cavalli significa proprio poter essere toccato, visto, misurato realmente, mentre "essere qualcosa di immaginario" come lo sono gli ippogrifi significa potere al massimo essere [/size]toccato, visto, misurato solo in sogno, nella fantasia o in un' allucinazione


CitazioneDunque secondo te se uno ha un' allucinazione o un sogno ciò che percepisce è altrettanto reale di ciò che vedrebbe realmente in condizioni veglia e di sanità psichica, senza effetti di farmaci psicotropi.
Ma purtroppo è di fatto accaduto che persone che avevano assunto farmaci allucinogeni avessero visioni (allucinatorie) di passerelle che univano la loro stanza al centesimo piano di un grattacielo a quella del grattacielo di fronte e abbiano pensato bene di camminarci sopra.
Beh, purtroppo per loro, non c è stata "soggettività condivisa che non è per nulla arbitraria", né " risultato di un contesto che determina il senso di verità o falsità" che tenesse e si sono tragicamente sfracellati al suolo.


Perché la condividevano con altri la loro "realtà"? Il punto è questo, noi vediamo dei significati, sentiamo cosa vedono gli altri. Io vedo una passerella, tu vedi un baratro ... andiamoci cauti su quello che c'è e cerchiamo di capire come funzionano le cose nel contesto che ce le fa significare.
Comunque, come tutti gli esseri viventi, in generale sappiamo vivere finché viviamo, il problema è che vivendo come esseri umani vogliamo sapere di vivere. E quel "di vivere" fa una differenza enorme dal semplice "vivere".



CitazioneComunque, poiché credi che "chi vede ippogrifi non vede l'irreale più di chi vede cavalli, semplicemente è fuori dal contesto di senso soggettivamente condiviso nel mondo" ti sconsiglio di recarti al lavoro in groppa a un  ippogrifo, per quanto tu ritenga tali equini alati "non più irreali dei cavalli", se ci tieni ad arrivarci ed evitare il rischio di essere licenziato.


Lo farei volentieri 1) se dal contesto in cui vivo mi si presentassero degli ippogrifi e io fossi capace di cavalcarli (avrei, credo dei problemi anche se mi si presentasse un cavallo comunque), 2) se questo contesto fosse condiviso dal mio datore di lavoro, cosa che al momento, purtroppo, non accade (e se chi non vede ippogrifi è il tuo datore di lavoro è buona regola assecondarlo, il suo contesto è di sicuro più determinante). :)

Il matto è colui che dice "io conosco con certezza come stanno le cose nella realtà", non matto è invece chi sa di sognare anche quando si pensa desto e con gli occhi bene aperti e può dire all'altro "vedi, sto sognando, tu invece cosa sogni?"
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 17 Febbraio 2017, 23:13:34 PM
Citazione di: maral il 17 Febbraio 2017, 22:23:37 PM
... anche se anche la scienza vuole eliminare la soggettività dal giudizio, lo fa solo a posteriori (quindi con maggiore umiltà), secondo verifica procedurale oggettiva che stabilisce oggettivamente come va da parte di tutti valutato il fenomeno per trasformare ipotesi soggettive in teorie oggettive. In realtà anche qui a ben vedere c'è un'assunzione a priori oggettiva che riguarda proprio il presupposto di realtà che fonda il metodo, ma resta ben nascosta e tanto vale.
Quello che noto è che, comunque la si metta, dalla metafisica non si esce,
La scienza non ha come scopo l'eliminazione della soggettività, proprio perché essa non è una filosofia metafisica. Essa si serve di metafisiche da intendere come teorie tutte da verificare, ma, una volta che una teoria venga verificata dall'esperienza, non per questo essa si trasforma in una certezza metafisica in senso filosofico. La scienza è essa stessa soggettività, essa è tutta soggettiva dall'inizio alla fine, da quando immagina che il sangue sia blu fino a quando, dopo una serie di esperimenti, conclude che esso è rosso. Essa non stabilisce "come va da parte di tutti valutato il fenomeno": essa dice soltanto: "abbiamo fatto degli esperimenti e sono venuti fuori questi risultati". Ma i risultati non stabiliscono niente, poiché essi possono e devono essere a loro volta criticati, affinché si progredisca. I risultati propongono soltanto delle convenienze ("conviene trattare il sangue come se fosse rosso"), non dicono "d'ora in poi guai a chi si azzarda a ipotizzare che il sangue sia blu"; chi volesse perseverare nell'ipotizzare che il sangue sia blu è benvenuto, poiché la scienza non cerca altro che cercare, cercare e ancora cercare, criticare, sperimentare e mettere in discussione i risultati degli esperimenti. Non vedo quindi come si possa dire, in questo caso in riferimento alla scienza, che dalla metafisica non si esce.

Citazione di: maral il 17 Febbraio 2017, 22:23:37 PM
... non ne esce nemmeno la soggettualità di Cannata
Ciò è vero nella prima fase del relativismo: ho detto infatti che il relativista non è altro che un metafisico che decide di tener conto del soggetto. Una volta che però il soggetto venga fatto entrare nella metafisica, esso sconvolge tutto e quindi anche la cognizione di se stesso. Relativismo significa infatti messa in questione anzitutto del significato del verbo essere, cosicché non ha più alcun senso chiedersi se qualcosa esista oppure no; poi significa anche messa in questione del significato di ogni parola, cosicché non è più possibile distinguere il soggetto dall'oggetto. In questo senso, nel momento in cui il relativista critica la metafisica di aver trascurato il soggetto, lo fa servendosi del concetto di soggetto adoperato dalla metafisica, concetto che egli conosce bene, essendo stato lui stesso in precedenza un metafisico.

Citazione di: maral il 17 Febbraio 2017, 22:23:37 PM
va messa in crisi anche la soggettualità e qui mi pare che si possa partire proprio dalla domanda (passata inosservata) di Acquario:  "Dove sei quando non sei presente a te stesso?" , perché il soggetto non è sempre presente, anzi, lo è raramente
Credo che, prima di chiederci dove siamo quando non siamo presenti a noi stessi, dovremmo chiederci il significato di "presente a te stesso", significato che mi sembra tutt'altro che chiaro e tutt'altro che chiarificabile: infatti non esiste alcun modo con cui io possa far provare ad altri quello che io provo quando ritengo di essere "presente a me stesso". Inoltre, ogni concetto al riguardo è senza dubbio condizionato dalla nostra cultura, le nostre categorie, le esperienze vissute, la lingua, il tempo. Già in me stesso l'esperienza di "presenza a me stesso" non è sempre la stessa esperienza, poiché io sono in divenire, insieme alla mia coscienza e tutto quanto mi costituisce.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 18 Febbraio 2017, 00:28:03 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 17 Febbraio 2017, 23:13:34 PM
La scienza non ha come scopo l'eliminazione della soggettività, proprio perché essa non è una filosofia metafisica. Essa si serve di metafisiche da intendere come teorie tutte da verificare, ma, una volta che una teoria venga verificata dall'esperienza, non per questo essa si trasforma in una certezza metafisica in senso filosofico. La scienza è essa stessa soggettività, essa è tutta soggettiva dall'inizio alla fine, da quando immagina che il sangue sia blu fino a quando, dopo una serie di esperimenti, conclude che esso è rosso. Essa non stabilisce "come va da parte di tutti valutato il fenomeno": essa dice soltanto: "abbiamo fatto degli esperimenti e sono venuti fuori questi risultati". Ma i risultati non stabiliscono niente, poiché essi possono e devono essere a loro volta criticati, affinché si progredisca. I risultati propongono soltanto delle convenienze ("conviene trattare il sangue come se fosse rosso"), non dicono "d'ora in poi guai a chi si azzarda a ipotizzare che il sangue sia blu"; chi volesse perseverare nell'ipotizzare che il sangue sia blu è benvenuto, poiché la scienza non cerca altro che cercare, cercare e ancora cercare, criticare, sperimentare e mettere in discussione i risultati degli esperimenti. Non vedo quindi come si possa dire, in questo caso in riferimento alla scienza, che dalla metafisica non si esce.
Ma assolutamente no, la scienza mira a stabilire cosa oggettivamente funziona e si basa su criteri rigorosamente oggettivi per stabilirlo, il soggetto deve rimanere fuori dalla porta del laboratorio. Certo che poi i risultati saranno sempre criticabili in linea di principio (in realtà non è proprio così, stai sicuro che se vai da uno scienziato e gli proponi l'ipotesi del sangue blu quello per prima cosa chiama uno psichiatra), ma lo saranno sulla base di un'oggettività quanto mai rigorosa e proceduralizzata in cui il soggetto con le sue istanze individuali resta del tutto estraneo. Ho fatto per vent'anni il ricercatore e so bene cosa gli si chiede, non certo la sua soggettività, quella va proprio proceduralmente esclusa!  
Citazione di: maral il 17 Febbraio 2017, 22:23:37 PM
Ciò è vero nella prima fase del relativismo: ho detto infatti che il relativista non è altro che un metafisico che decide di tener conto del soggetto. Una volta che però il soggetto venga fatto entrare nella metafisica, esso sconvolge tutto e quindi anche la cognizione di se stesso. Relativismo significa infatti messa in questione anzitutto del significato del verbo essere, cosicché non ha più alcun senso chiedersi se qualcosa esista oppure no; poi significa anche messa in questione del significato di ogni parola, cosicché non è più possibile distinguere il soggetto dall'oggetto. In questo senso, nel momento in cui il relativista critica la metafisica di aver trascurato il soggetto, lo fa servendosi del concetto di soggetto adoperato dalla metafisica, concetto che egli conosce bene, essendo stato lui stesso in precedenza un metafisico.
Restiamo comunque nell'ambito di un mettere tutto in discussione, la qual cosa va benissimo, ma non vi è dubbio a mio avviso che la totalità discutibile (su cui sono d'accordo) risuona, proprio in quanto totalità, di una grande metafisica. Mettere in discussione il verbo essere non basta per eliminare la metafisica, si può fare una metafisica anche basandola su un divenire assoluto, "tutto è divenire" è di nuovo una proposizione metafisica con enormi pretese di indiscutibilità (non parliamo poi di un nichilistico "tutto è nulla"). L'unico modo di cavarsela per far fuori la metafisica è allora mantenersi nei limiti di giudizi parziali riconoscendone la necessaria e imprescindibile debolezza (Vattimo docet) e abbandonarsi a ermeneutiche infinite.

Citazione di: maral il 17 Febbraio 2017, 22:23:37 PM
Credo che, prima di chiederci dove siamo quando non siamo presenti a noi stessi, dovremmo chiederci il significato di "presente a te stesso", significato che mi sembra tutt'altro che chiaro e tutt'altro che chiarificabile: infatti non esiste alcun modo con cui io possa far provare ad altri quello che io provo quando ritengo di essere "presente a me stesso". Inoltre, ogni concetto al riguardo è senza dubbio condizionato dalla nostra cultura, le nostre categorie, le esperienze vissute, la lingua, il tempo. Già in me stesso l'esperienza di "presenza a me stesso" non è sempre la stessa esperienza, poiché io sono in divenire, insieme alla mia coscienza e tutto quanto mi costituisce.
Presente a me stesso lo intendo essere coscienti di se stessi, non esserci (che sempre siamo), ma sapere di esserci che è enormemente diverso. Ora, quello che noto in me (ma mi pare anche in quasi tutti coloro che incontro e conosco) è che questo sapere di esserci accade assai raramente e molto limitatamente e il sospetto è che se il soggetto è propriamente colui che sa di esserci (in altre parole che conosce), esso accada raramente. Questo implica che il soggetto, come l'oggetto che ne è controparte, non possono essere assunti come punto stabile per la critica di alcunché. Soggetto e oggetto sono insieme fusi nel vivere, nel saper vivere che non sa di vivere, ma solo vive, inconsapevolmete.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 18 Febbraio 2017, 01:01:55 AM
Citazione di: maral il 18 Febbraio 2017, 00:28:03 AMMa assolutamente no, la scienza mira a stabilire cosa oggettivamente funziona e si basa su criteri rigorosamente oggettivi per stabilirlo, il soggetto deve rimanere fuori dalla porta del laboratorio. Certo che poi i risultati saranno sempre criticabili in linea di principio (in realtà non è proprio così, stai sicuro che se vai da uno scienziato e gli proponi l'ipotesi del sangue blu quello per prima cosa chiama uno psichiatra), ma lo saranno sulla base di un'oggettività quanto mai rigorosa e proceduralizzata in cui il soggetto con le sue istanze individuali resta del tutto estraneo. Ho fatto per vent'anni il ricercatore e so bene cosa gli si chiede, non certo la sua soggettività, quella va proprio proceduralmente esclusa!
Dipende da cosa vogliamo intendere con la parola "oggettivo".

In filosofia metafisica, oggettivo significa indipendente dal soggetto, ma a questo punto è bene specificare: l'indipendenza intesa dalla metafisica è perenne. Facciamo un esempio per capirci meglio: quando la metafisica afferma che ogni oggetto è costituito di materia e di forma, essa sostiene che tale struttura degli oggetti non è una schema mentale creato dalla mente umana; tale struttura è piuttosto la natura stessa degli oggetti, motivo per cui gli oggetti sono sempre stati cosi, sono così e saranno sempre così, in eterno. Da un punto di vista metafisico non sono previste evoluzioni di schemi mentali, non sono previsti errori umani: la metafisica filosofica avanza proprio la pretesa di essere un sistema di pensiero che non risente in maniera alcuna dei limiti della mente umana.

Uno scienziato, di fronte alla mia ipotesi che il sangue sia blu, può chiamare uno psichiatra se ci troviamo in un contesto di scherzo oppure di ignoranza filosofica. Nessuna persona al mondo può stabilire che ci siano acquisizioni scientifiche che in futuro non possano essere smentite. Tutt'al più ci può essere una convenienza nel dedicare gli sforzi a un tipo di ricerca piuttosto che ad un altro, ma questo è tutto un altro discorso. Tu hai fatto per vent'anni il ricercatore e tutti i ricercatori hanno due limiti ben precisi: 1) sono mortali; 2) non hanno risorse infinite. È questo che fa sì che si chieda loro di dedicarsi a quelle ricerche che con più probabilità lasciano intravedere di far ottenere risultati utili. Ma da un punto di vista teorico nessun ricercatore può permettersi di affermare che il colore rosso del sangue sia una certezza eterna: si può solo affermare che tutte le esperienze compiute finora fanno risultare conveniente trattare il sangue come un oggetto di colore rosso. Non è la stessa cosa. Non esistono in questo mondo ricercatori in grado di poter stabilire cosa si potrà scoprire e cosa non si potrà mai scoprire nel futuro: il motivo è semplice: non mi pare che esistano ricercatori che possiedano superpoteri di chiaroveggenza, con la sfera di cristallo. Se, in un contesto di discussione epistemologica, uno scienziato pensa di mandarmi dalla psichiatra perché ho ipotizzato che il sangue sia blu, significa che questo scienziato ritiene di avere una sfera di cristallo che gli consente pieni poteri sul futuro.

Citazione di: maral il 18 Febbraio 2017, 00:28:03 AMPresente a me stesso lo intendo essere coscienti di se stessi, non esserci (che sempre siamo), ma sapere di esserci che è enormemente diverso.
Non è che "essere coscienti di se stessi" sia più chiaro di "presente a me stesso": cosa vuol dire essere coscienti? Ci sono mille modi umani di essere coscienti, semicoscienti, coscienti ma condizionati dal momento. Lo stesso riguarda il concetto di "sapere".
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 18 Febbraio 2017, 01:21:59 AM
Aggiungo qualche altra precisazione per tentare di essere più chiaro.

In ambito scientifico il termine "oggettivo" ha un significato pratico: si considera oggettivo ciò che è stato oggetto di prova scientifica. Ma le prove scientifiche non hanno alcun potere sul futuro: esse possono riferirsi soltanto a ciò che è stato esaminato. Riguardo al futuro possono esprimere soltanto delle probabilità, le quali non potranno mai essere certezza immune da ogni dubbio. In questo senso, per esempio, non è possibile affermare, con la severità stringente tipica della metafisica, che non esistono uova di pollo quadrate, poiché, per poterlo affermare, bisognerebbe controllare tutte le uova di questo mondo, uno per uno, ma non solo; bisognerebbe controllare tutte le uova del passato, del presente e anche del futuro. La scienza può affermare che tutte le uova sono ovali solo dando a "tutte" un senso pratico, sbrigativo, non stringente con la stessa pretesa di assolutezza avanzata dalla metafisica. In metafisica "tutto" significa veramente "tutto", includendo anche il non osservato e anche il futuro.

La metafisica ritiene di poter esprimere affermazioni universali, estese a tutto l'esistente, passato, presente e futuro. Essa fa questo discorso allo scienziato: "Tu scienziato mi puoi dire soltanto come sono le uova che tu hai controllato; fine. Io posso fare di più: attraverso criteri di ragione e di logica riesco a pronunciarmi anche su ciò che non è stato controllato; e mi pronuncio esprimendo non probabilità o convenienze, ma certezze in grado di oltrepassare ogni possibilità umana di dubbio: certezze totali".

Dunque, in metafisica "oggettivo" ha un valore teorico. Teorico in questo senso non significa senza applicazione sulla pratica; significa piuttosto che non risente dei limiti della pratica, ma si applica ad essa ad occhi chiusi, senza alcun bisogno di controlli o verifiche. Teorico in questo senso significa illimitato.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 18 Febbraio 2017, 09:58:46 AM
Citazione di: maral il 17 Febbraio 2017, 23:03:10 PM
Citazione di: sgiombo il 16 Febbraio 2017, 18:35:40 PM
Dire che una cosa è come è in sé e per sé, indipendentemente dal fatto di essere inoltre detta esserlo è in linea teorica di principio possibilissimo e sensatissimo.
Non vi è nulla di contraddittorio (ergo: è un' ipotesi sensatissima, del tutto tranquillamente proponibile come tale -ipotesi- sia che sia inoltre di fatto vera, sia che sia inoltre di fatto falsa) nel dire che una certa cosa è in un certo modo e sarebbe tale e quale anche se non fosse detta esserlo: semplicemente si intendende con questa affermazione che fra quella che sarebbe la realtà nel caso tale cosa, oltre ad essere reale, sia inoltre detta esserlo e quella che sarebbe la realtà nel caso che tale cosa non sia inoltre detta essere reale l' unica e sola differenza (reale; aggettivo pleonastico) starebbe nel fatto del dirla o meno, fatto che in un caso realmente accadrebbe, nell' altro realmente non accadrebbe: in nient' altro la realtà sarebbe diversa fra i due casi ipotetici considerati.

E nell' atto del dirla essere come é non ci vedo alcun "tradimento" di niente e nessuno.
No, perché il dirla significa prendere coscienza di quella cosa ed è proprio il prenderne coscienza che la tradisce. Essa è quello che è, non vi è dubbio, e noi la viviamo sapendo le cose, ma solo finché non le conosciamo e conoscendole creiamo un mondo che significa, il mondo del linguaggio ove le parole con cui tentiamo di rendere conto delle cose non sono mai le cose.
CitazioneChe le parole con cui tentiamo di rendere conto delle cose non sono mai le cose mi sembra perfettamente ovvio (altrimenti non proporremmo che giudizi analitici a priori).
Ma ciò non toglie che (per lo meno in linea di principio; e potendo sempre dubitarne, che è ben altro che avere la certezza del contrario!) delle parole con le quali predichiamo qualcosa della realtà possa darsi denotazione reale e che le connotazioni delle parole con cui predichiamo circa la realtà possano essere almeno in parte "fedeli" e non "traditrici" nel caratterizzare le denotazioni reali cui si riferiscono




E' esattamente come dici tu quando dici che una "montagna" c'è anche quando ci passo vicino senza vederla, solo che quello vicino a cui passo non è la "montagna", la montagna la costruisce la mia mente nel suo significato nel momento in cui la conosco, non è la montagna reale che non posso assolutamente conoscere in sé, è la montagna significato per me (che per alcuni aspetti di significato altri soggetti condividono e per altri no)
Perché in italiano "essere reali" come lo sono i cavalli significa proprio poter
CitazioneLa mia mente non "costruisce la montagna" (altrimenti la mia personale mente avrebbe "costruito" dozzine di bellissime donne desiderose di soddisfare ogni mia voglia! Oltre a tante altre cose più serie e rispettabili), bensì il concetto della montagna, avente per denotazione la montagna reale (della quale eventualmente predica veracemente la realtà; ma l' esistenza reale della montagna non dipende affatto da questo concetto e da questa eventuale predicazione; e anche se altri soggetti attribuiscono al concetto della montagna, avente la stessa denotazione reale, connotazioni in parte diverse).





CitazioneDunque secondo te se uno ha un' allucinazione o un sogno ciò che percepisce è altrettanto reale di ciò che vedrebbe realmente in condizioni veglia e di sanità psichica, senza effetti di farmaci psicotropi.
Ma purtroppo è di fatto accaduto che persone che avevano assunto farmaci allucinogeni avessero visioni (allucinatorie) di passerelle che univano la loro stanza al centesimo piano di un grattacielo a quella del grattacielo di fronte e abbiano pensato bene di camminarci sopra.
Beh, purtroppo per loro, non c è stata "soggettività condivisa che non è per nulla arbitraria", né " risultato di un contesto che determina il senso di verità o falsità" che tenesse e si sono tragicamente sfracellati al suolo.


Perché la condividevano con altri la loro "realtà"? Il punto è questo, noi vediamo dei significati, sentiamo cosa vedono gli altri. Io vedo una passerella, tu vedi un baratro ... andiamoci cauti su quello che c'è e cerchiamo di capire come funzionano le cose nel contesto che ce le fa significare.
Comunque, come tutti gli esseri viventi, in generale sappiamo vivere finché viviamo, il problema è che vivendo come esseri umani vogliamo sapere di vivere. E quel "di vivere" fa una differenza enorme dal semplice "vivere".

CitazioneIl punto per me è di non sfracellarmi, oltre che di sapere come è la realtà e non come ci si può immaginare eventualmente che sia, sia pure eventualmente condividendo anche questa immaginazione con altri (non "il vedere dei significati arbitrari" ma invece il sapere -se possibile- ciò che è reale; perché fra l' altro se vedo allucinatoriamente una passerella dove c' è un baratro reale non è che pretendendo di andarci sopra si sfracellano solo quelli che vedono veracemente  il baratro mentre io sono sano e salvo: no, invece mi ci sfracello realmente anch' io alla faccia della mia visione allucinatoria della passerella! E, almeno per ora, non ho alcuna intenzione di suicidarmi).




CitazioneComunque, poiché credi che "chi vede ippogrifi non vede l'irreale più di chi vede cavalli, semplicemente è fuori dal contesto di senso soggettivamente condiviso nel mondo" ti sconsiglio di recarti al lavoro in groppa a un  ippogrifo, per quanto tu ritenga tali equini alati "non più irreali dei cavalli", se ci tieni ad arrivarci ed evitare il rischio di essere licenziato.

Lo farei volentieri 1) se dal contesto in cui vivo mi si presentassero degli ippogrifi e io fossi capace di cavalcarli (avrei, credo dei problemi anche se mi si presentasse un cavallo comunque), 2) se questo contesto fosse condiviso dal mio datore di lavoro, cosa che al momento, purtroppo, non accade (e se chi non vede ippogrifi è il tuo datore di lavoro è buona regola assecondarlo, il suo contesto è di sicuro più determinante). :)

CitazioneOvviamente era solo un' esempio.
Allora parliamo di una bicicletta immaginaria.
In questo caso se dal contesto in cui vivi ti si presentasse una bicilcetta immaginaria spererei proprio che non cercheresti di usarla per andare al lavoro (ma che impiegheresti invece un' eventuale bicicletta reale); e questo anche se condividesse il contesto della bicicletta immaginaria pure il tuo datore di lavoro: non ci arriveresti lo stesso col pericolo di essere licenziato; a meno che il tuo datore di lavoro (che, per inciso ben presto fallirebbe e dunque resteresti comunque disoccupato) avesse pure l' allucinazione di vedere il tuo cartellino timbrato.




Il matto è colui che dice "io conosco con certezza come stanno le cose nella realtà", non matto è invece chi sa di sognare anche quando si pensa desto e con gli occhi bene aperti e può dire all'altro "vedi, sto sognando, tu invece cosa sogni?"

CitazioneColui che dice "io conosco con certezza come stanno le cose nella realtà" è un presuntuoso che si sbaglia (che dice il falso), ma non è affatto necessariamente matto.
Matto è invece necessariamente chi immagina da sveglio o sogna un ippogrifo e dice all' altro. "c' è realmente un ippogrifo, dal momento che lo sogno o lo immagino e fra sogni e realtà non c' è alcuna differenza: sono entrambi del tutto parimenti reali" (che mi sembra quanto da te sempre affermato; mentre sono io che invece affermo che se sogno o immagino un ippogrifo dico all' altro "sto sognando o immaginando un ippogrifo, il quale dunque, contrariamente a tantissimi cavalli, non è reale").

Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 18 Febbraio 2017, 10:15:27 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 17 Febbraio 2017, 23:13:34 PM

 La scienza è essa stessa soggettività, essa è tutta soggettiva dall'inizio alla fine, da quando immagina che il sangue sia blu fino a quando, dopo una serie di esperimenti, conclude che esso è rosso. Essa non stabilisce "come va da parte di tutti valutato il fenomeno": essa dice soltanto: "abbiamo fatto degli esperimenti e sono venuti fuori questi risultati". Ma i risultati non stabiliscono niente, poiché essi possono e devono essere a loro volta criticati, affinché si progredisca. I risultati propongono soltanto delle convenienze ("conviene trattare il sangue come se fosse rosso"), non dicono "d'ora in poi guai a chi si azzarda a ipotizzare che il sangue sia blu"; chi volesse perseverare nell'ipotizzare che il sangue sia blu è benvenuto, poiché la scienza non cerca altro che cercare, cercare e ancora cercare, criticare, sperimentare e mettere in discussione i risultati degli esperimenti. Non vedo quindi come si possa dire, in questo caso in riferimento alla scienza, che dalla metafisica non si esce.

CitazioneConstato che, oltre che della metafisica" hai un' opinione del tutto personale anche della scienza (e non ne concludo affatto: "guai a te che ti azzardi ad avere un' opinione personalissima!". E oso sperare che non mi attribuirai indebitamente tale intenzione, magari "inconscia").

Comunque nessuna metafisica in quanto tale (ma casomai qualche particolare, determinato metafisico in quanto intollerante; e a mio parere di fatto non di rado particolari determinati metafisici scientisti sono fra i più intolleranti in circolazione) dice "d' ora in poi guai a chi si azzarda ad ipotizzare qualcosa (qualsiasi cosa!)".
Casomai dice "chi afferma qualcosa erra, afferma il falso".
Perché invece la scienza di chi afferma che la terra é piatta o che il cancro si cura con pannicelli caldi cosa dice?
Che a furia di cercare e ricercare si potrebbe anche scoprire che la terra é piatta o che i pannicelli caldi curano il tumore?


Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 18 Febbraio 2017, 16:44:05 PM
A proposito del fatto che secondo la scienza Riguardo al futuro possono esprimere soltanto delle probabilità, le quali non potranno mai essere certezza immune da ogni dubbio. In questo senso, per esempio, non è possibile affermare, con la severità stringente tipica della (presunta) metafisica, che non esistono uova di pollo quadrate, poiché, per poterlo affermare, bisognerebbe controllare tutte le uova di questo mondo, uno per uno, ma non solo; che bisognerebbe controllare tutte le uova del passato, del presente e anche del futuro. La scienza può affermare che tutte le uova sono ovali solo dando a "tutte" un senso pratico, sbrigativo, non stringente con la stessa pretesa di assolutezza avanzata dalla (presunta) metafisica; che In metafisica "tutto" significa veramente "tutto", includendo anche il non osservato e anche il futuro,

mi corre l' obbligo (verso la memoria di colui che più di ogni altro mi ha indicato la via verso la ragione e la verità, nei limiti in cui questa sia attingibile e non oltre) di rilevare che questo discorso sulla indimostrabilità dell' induzione, secondo quanto storicamente documentato e constatabile (finora) l' ha fatto per primo il grandissimo filosofo David Hume con la sua critica filosofica razionale al concetto di "causalità" (e non affatto alcuno scienziato).

E che in nessuno scritto (articolo, trattato; a partire da Galileo e Newton in poi) che sia unicamente, integralmente scientifico (senza nulla di metafisico) é scritto che le tesi circa il divenire naturale materiale che vi sono esposte descrivono solamente quanto finora di fatto osservato; bensì se ne afferma la validità anche indefinitamente per il futuro (in condizioni simili a quelle descritte).
Soltanto se l' autore fa, per esempio come premessa all' esposizione delle sue tesi propriamente scientifiche, qualche considerazione metafisica (a mio parere sicuramente tale; anche se a seconda del significato che si attribuisce alle parole qualcuno potrebbe considerarla latamente filosofica o per lo meno epistemologica; comunque filosofica e non scientifica; cosa ovviamente non vietata, ma il crederla scienza é come la notte hegeliana in cui tutte le vacche sembrano nere), soltanto se l' autore fa anche della filosofia, oltre che della scienza, può accadere che vi si leggano considerazioni simili di evidente ascendenza humeiana (dal filosofo e non scienziato David Hume).

La filosofia (in generale; ma anche la metafisica, almeno in un' accezione diffusa e non vietabile da parte di chi non sia dogmatico) fa questo discorso allo scienziato: "Tu scienziato mi puoi dire soltanto come sono le uova; fine. Io posso fare di più: attraverso criteri di ragione e di logica riesco a farti rendere conto anche del fatto che questa tua affermazione é degna di dubbio.

In generale "metafisica" non é sinonimo di "dogmatismo" (anche se vi possono essere metafisiche dogmatiche; e di fatto lo scientismo é una delle più evidentemente dogmatiche), né "relativismo" di "tolleranza".
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: donquixote il 18 Febbraio 2017, 17:50:06 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 18 Febbraio 2017, 01:01:55 AMFacciamo un esempio per capirci meglio: quando la metafisica afferma che ogni oggetto è costituito di materia e di forma, essa sostiene che tale struttura degli oggetti non è una schema mentale creato dalla mente umana; tale struttura è piuttosto la natura stessa degli oggetti, motivo per cui gli oggetti sono sempre stati cosi, sono così e saranno sempre così, in eterno.

Solo per chiarire, ma l'esempio qui sopra è un concentrato di errori. Prima di tutto non c'entra niente con la metafisica. Ma proprio niente. La metafisica non potrà mai affermare una cosa del genere perchè l'oggetto costituito di materia e forma è un oggetto "fisico", non metafisico, e quindi di esso si occupa la fisica. La metafisica può affermare tranquillamente che esistono oggetti costituiti solo di forma e non di materia, anzi si occupa solo di quelli. Inoltre l'oggetto fisico appartiene al mondo del divenire mentre la metafisica si occupa dell'essere. E poi la struttura fisica degli oggetti considerati come "sinolo" di materia e forma è chiaramente uno schema mentale umano, che "separa" la materia dalla forma (e anche un oggetto dall'altro) per potersi rappresentare meglio l'oggetto nelle sue componenti basiche (è ovvio che non si può "concretamente" separare la materia dalla forma, per cui questa visione è solo una rappresentazione schematica che si adotta ai fini della comprensione umana). E già che ci siamo vorre sottolineare che con "forma" non si intende forma spaziale (come a dire forma quadrata, rotonda o rettangolare) ma si intende il complesso delle caratteristiche che fanno di quell'oggetto ciò che è, la sua "anima". Materia e forma possono essere resi anche con sostanza (materia) ed essenza (forma).
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 19 Febbraio 2017, 11:38:04 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 18 Febbraio 2017, 01:21:59 AM
Dunque, in metafisica "oggettivo" ha un valore teorico. Teorico in questo senso non significa senza applicazione sulla pratica; significa piuttosto che non risente dei limiti della pratica, ma si applica ad essa ad occhi chiusi, senza alcun bisogno di controlli o verifiche. Teorico in questo senso significa illimitato.
Innanzitutto si può notare che comunque soggetto e oggetto sono termini metafisici e che propriamente le scienze (salvo quando vogliono definirsi metafisicamente) non si occupano di soggetto e oggetto, ma semmai di organismi e ambienti, in un quadro di trascendentalismo empirico in cui l'osservatore (il soggetto osservante) resta nascosto, come se non ci fosse (il quadro ha senso scientifico se e solo se il soggetto autore non vi si manifesta e il lavoro scientifico consiste appunto nel costruire quadri senza autori, poiché solo questi riflettono la realtà per come realmente è. E' vero che da un punto di vista scientifico ogni quadro può sempre essere rimesso in discussione dall'osservatore, ma solo se l'osservatore si mantiene del tutto fuori dal quadro stesso così da assicurarne la tenuta oggettiva della visione che, per avere valore, deve essere da lui soggetto, del tutto indipendente. Questo è il motivo per cui la scienza fissa una sintassi e un metodo molto precisi per i suoi linguaggi, per quello che si può dire scientificamente (e quindi realmente) e quello che non si può (e quindi da rigettare in un mondo privo di qualsiasi effettiva rilevanza o consistenza: ad esempio l'arte, l'etica e tutto quello che scienza non è). Tutti possono avanzare le ipotesi in cui soggettivamente credono, ma quelle che scientificamente meritano di essere prese in considerazione sono solo quelle che possono essere tradotte in una sintassi scientifica molto precisa che è condizione a priori riguardo la realtà stessa delle cose e la regola cogente di questa sintassi è appunto che il soggetto (individuale, culturale o storico che sia) resti del tutto estraneo al discorso che si fa.
Paradossalmente è proprio la scienza e non la vecchia metafisica che si avvicina di più alla pretesa di oggettività assoluta, la metafisica per millenni ci ha solo provato fallendo a ripetizione, la scienza sperimentale non si dice infatti ciò che è vero a priori, ma come vanno considerate e dette le cose per rivelarsi a posteriori reali come sono nella loro pura oggettualità intrinseca. Nel mondo si sono fatte guerre e persecuzioni in nomi di verità metafisiche, proprio perché in esse le pretese dei soggetti erano vive e fortissime, nessuna guerra invece è mai stata fatta per sostenere che l'acqua bolle a 100°, proprio perché è oggettivo, perché vale per tutti i soggetti date determinate condizioni oggettivamente definibili. E' del tutto anonimo che l'acqua bolla a 100° e ogni soggetto da quell'osservazione è a priori escluso, è un dato di fatto per il quale l'acqua non è più quello che sappiamo essere vivendo, ma è realmente e solo quella cosa che bolle a 100°, è ridotta al suo essere perfettamente oggettivo che potrà certo venire rimesso in discussione, ma solo da considerazioni ancora perfettamente oggettive, per come il metodo le definisce tali, escludendo cioè i soggetti che le fanno.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 19 Febbraio 2017, 12:21:09 PM
Citazione di: maral il 19 Febbraio 2017, 11:38:04 AMParadossalmente è proprio la scienza e non la vecchia metafisica che si avvicina di più alla pretesa di oggettività assoluta
Trovo corretto che tu dica "si avvicina di più": se si avvicina vuol dire che non ottiene oggettività assoluta, ma vi tende.

Avevo detto questa cosa in un mio post precedente:

Citazione di: Angelo Cannata il 15 Febbraio 2017, 11:31:15 AMUna caratteristica della scienza, legata al principio di falsificabilità, consiste proprio nel non dare mai nulla per definitivamente certo. In questo senso la scienza è nichilista, nella scienza non esistono verità definitive, ma tutto rimane aperto alla smentita, al dubbio, a ulteriori ricerche. Secondo la mentalità dei metafisici, ciò dovrebbe rendere la scienza qualcosa di inaffidabile, perennemente insicuro, senza alcun valore, e invece accade proprio l'opposto: la scienza oggi è quanto di più serio e di affidabile possiamo produrre proprio perché essa si presenta nuda, esposta al dubbio.
Il metafisico invece, proprio a causa di queste sue paure del dubbio, va a cadere nell'esatto opposto: pensa di pervenire ad affermazioni indubitabili, infalsificabili, ma proprio a causa di ciò le sue affermazioni sono del tutto inconsistenti, perennemente esposte ai sospetti del relativismo.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 19 Febbraio 2017, 12:49:35 PM
Citazione di: sgiombo il 18 Febbraio 2017, 09:58:46 AM
Che le parole con cui tentiamo di rendere conto delle cose non sono mai le cose mi sembra perfettamente ovvio (altrimenti non proporremmo che giudizi analitici a priori).
Ma ciò non toglie che (per lo meno in linea di principio; e potendo sempre dubitarne, che è ben altro che avere la certezza del contrario!) delle parole con le quali predichiamo qualcosa della realtà possa darsi denotazione reale e che le connotazioni delle parole con cui predichiamo circa la realtà possano essere almeno in parte "fedeli" e non "traditrici" nel caratterizzare le denotazioni reali cui si riferiscono
Sto tentando di dire che le parole non sono le cose non perché i significanti sono diversi dai significati, ma perché proprio il significato di ciò che diciamo è sempre in qualche misura diverso dalla cosa che esso dice. Nel significato attraverso il quale veniamo a conoscere la cosa, la cosa è evocata e non ricalcata per come è. Il linguaggio prima di tutto chiama la cosa a farsi presente in una rappresentazione, non si limita mai a ricopiarla.
La nostra mente non copia montagne reali, ma nel momento in cui prende coscienza di qualcosa che accade secondo certe modalità che non dipendono da essa, rappresenta quello che accade nei termini di una montagna. Questo, lo ripeto ancora, non significa assolutamente che essa sia libera di rappresentare le cose come vuole, non posono tuo malgrado, apparirti donne bellissime invece di montagne, perché la tua mente fa parte della rappresentazione, è guidata dai suoi giochi, non è libera di scegliere cosa far apparire e cosa no, non è né il registra né l'autore della rappresentazione in scena, è solo un attore che fa parte della rappresentazione in scena come tutti gli altri elementi di cui non può sapere cosa siano fuori scena. E il fatto che altri condividano questa rappresentazione rinforza il potere evocativo che connota qualcosa che sta accadendo per tutti coloro che ne partecipano.

CitazioneIl punto per me è di non sfracellarmi, oltre che di sapere come è la realtà e non come ci si può immaginare eventualmente che sia, sia pure eventualmente condividendo anche questa immaginazione con altri (non "il vedere dei significati arbitrari" ma invece il sapere -se possibile- ciò che è reale; perché fra l' altro se vedo allucinatoriamente una passerella dove c' è un baratro reale non è che pretendendo di andarci sopra si sfracellano solo quelli che vedono veracemente  il baratro mentre io sono sano e salvo: no, invece mi ci sfracello realmente anch' io alla faccia della mia visione allucinatoria della passerella! E, almeno per ora, non ho alcuna intenzione di suicidarmi).
Per tutti il problema è non sfracellarsi che si risolve nel rispettare la rappresentazione in cui ci troviamo insieme rappresentati. Questo gioco coerente con la rappresentazione è l'unico tipo di realtà a cui abbiamo accesso, non quella delle cose come stanno in sé e per sé. Ci aiuta il fatto che tutti noi sappiamo vivere, proprio perché viviamo, come sa vivere un lombrico o una pianta, la difficoltà rispetto ai lombrichi e alle piante, è che nel nostro caso il saper vivere vuole sapere di vivere, vuole chiedersene la ragione e se la rappresenta continuamente e dalla rappresentazione che si fa chiama continuamente quel saper vivere per toranare semplicemente a vivere.  




CitazioneAllora parliamo di una bicicletta immaginaria.
In questo caso se dal contesto in cui vivi ti si presentasse una bicilcetta immaginaria spererei proprio che non cercheresti di usarla per andare al lavoro (ma che impiegheresti invece un' eventuale bicicletta reale); e questo anche se condividesse il contesto della bicicletta immaginaria pure il tuo datore di lavoro: non ci arriveresti lo stesso col pericolo di essere licenziato; a meno che il tuo datore di lavoro (che, per inciso ben presto fallirebbe e dunque resteresti comunque disoccupato) avesse pure l' allucinazione di vedere il tuo cartellino timbrato.
Ma chi stabilisce che la bicicletta è immaginaria se "l'allucinazione" della bicicletta è condivisa? Arriverei eccome a dove devo arrivare, perché anche il "dove devo arrivare" fa parte dell'allucinazione condivisa. E se non ci arrivo perché magari da quella bicicletta sono caduto, non perché essa non esiste. Anche sulle "biciclette immaginarie" occorre saperci andare, anzi è proprio su quelle che è necessario imparare ad andare.

CitazioneColui che dice "io conosco con certezza come stanno le cose nella realtà" è un presuntuoso che si sbaglia (che dice il falso), ma non è affatto necessariamente matto.
Matto è invece necessariamente chi immagina da sveglio o sogna un ippogrifo e dice all' altro. "c' è realmente un ippogrifo, dal momento che lo sogno o lo immagino e fra sogni e realtà non c' è alcuna differenza: sono entrambi del tutto parimenti reali" (che mi sembra quanto da te sempre affermato; mentre sono io che invece affermo che se sogno o immagino un ippogrifo dico all' altro "sto sognando o immaginando un ippogrifo, il quale dunque, contrariamente a tantissimi cavalli, non è reale").
Dicono esattamente la stessa cosa, poiché entrambi pensano di poter definire la realtà, mentre è la realtà che li definisce e pertanto non può essere da loro definita, anche se lo si tenta sempre.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 19 Febbraio 2017, 13:06:08 PM
Citazione di: maral il 19 Febbraio 2017, 11:38:04 AM

 E' vero che da un punto di vista scientifico ogni quadro può sempre essere rimesso in discussione dall'osservatore, ma solo se l'osservatore si mantiene del tutto fuori dal quadro stesso così da assicurarne la tenuta oggettiva della visione che, per avere valore, deve essere da lui soggetto, del tutto indipendente. Questo è il motivo per cui la scienza fissa una sintassi e un metodo molto precisi per i suoi linguaggi, per quello che si può dire scientificamente (e quindi realmente) e quello che non si può (e quindi da rigettare in un mondo privo di qualsiasi effettiva rilevanza o consistenza: ad esempio l'arte, l'etica e tutto quello che scienza non è).

CitazioneQuello che non si può dire impersonalmente e intersoggettivamente e in generale nei limiti del discorso scientifico non é affatto per la scienza (ma casomai per lo scientismo: ben altra cosa: una filosofia! E comunque può essere o meno dl tutto soggettivamente per ciascuno di noi, ma non é scientificamente) da rigettare in assoluto in un modo privo di qualsiasi rilevanza o consistenza; arte, etica e tutto quello che scienza non é sono privi ovviamente (direi quasi tautologicamemte) unicamente di rilevanza o consistenza scientifica; nel senso non che non possano essere studiate scientificamente, ma ch quello che affermano non é affatto, per nulla conoscenza scientifica).




Tutti possono avanzare le ipotesi in cui soggettivamente credono, ma quelle che scientificamente meritano di essere prese in considerazione sono solo quelle che possono essere tradotte in una sintassi scientifica molto precisa che è condizione a priori riguardo la realtà stessa delle cose e la regola cogente di questa sintassi è appunto che il soggetto (individuale, culturale o storico che sia) resti del tutto estraneo al discorso che si fa.
CitazioneNon é condizione a priori della realtà stessa delle cose bensì della conoscibilità scientifica delle cose, del fatto che le cose meritino o meno di essere prese in considerazione come oggetto di conoscenza scientifica (e non per esempio come oggetto di considerazione etica, estetica, ecc.).
Ma la realtà in generale eccede la realtà scientificamente conoscibile (detto in latro modo, non tutto é possibile oggetto d conoscenza scientifica)




Paradossalmente è proprio la scienza e non la vecchia metafisica che si avvicina di più alla pretesa di oggettività assoluta, la metafisica per millenni ci ha solo provato fallendo a ripetizione, la scienza sperimentale non si dice infatti ciò che è vero a priori, ma come vanno considerate e dette le cose per rivelarsi a posteriori reali come sono nella loro pura oggettualità intrinseca. Nel mondo si sono fatte guerre e persecuzioni in nomi di verità metafisiche, proprio perché in esse le pretese dei soggetti erano vive e fortissime, nessuna guerra invece è mai stata fatta per sostenere che l'acqua bolle a 100°, proprio perché è oggettivo, perché vale per tutti i soggetti date determinate condizioni oggettivamente definibili. E' del tutto anonimo che l'acqua bolla a 100° e ogni soggetto da quell'osservazione è a priori escluso, è un dato di fatto per il quale l'acqua non è più quello che sappiamo essere vivendo, ma è realmente e solo quella cosa che bolle a 100°, è ridotta al suo essere perfettamente oggettivo che potrà certo venire rimesso in discussione, ma solo da considerazioni ancora perfettamente oggettive, per come il metodo le definisce tali, escludendo cioè i soggetti che le fanno.
CitazioneIn compenso del fatto che la scienza non ha mai offerto scopi a guerre, essa ha sempre offerto mezzi (conoscenze) sempre più micidiali; anche se non necessariamente, non per intrinseca necessità scientifica, bensì per le scelte di fatto compiute dagli utilizzatori pratici della scienza.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 19 Febbraio 2017, 13:13:15 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 19 Febbraio 2017, 12:21:09 PM
Citazione di: maral il 19 Febbraio 2017, 11:38:04 AMParadossalmente è proprio la scienza e non la vecchia metafisica che si avvicina di più alla pretesa di oggettività assoluta
Trovo corretto che tu dica "si avvicina di più": se si avvicina vuol dire che non ottiene oggettività assoluta, ma vi tende.

Avevo detto questa cosa in un mio post precedente:

Citazione di: Angelo Cannata il 15 Febbraio 2017, 11:31:15 AMUna caratteristica della scienza, legata al principio di falsificabilità, consiste proprio nel non dare mai nulla per definitivamente certo. In questo senso la scienza è nichilista, nella scienza non esistono verità definitive, ma tutto rimane aperto alla smentita, al dubbio, a ulteriori ricerche. Secondo la mentalità dei metafisici, ciò dovrebbe rendere la scienza qualcosa di inaffidabile, perennemente insicuro, senza alcun valore, e invece accade proprio l'opposto: la scienza oggi è quanto di più serio e di affidabile possiamo produrre proprio perché essa si presenta nuda, esposta al dubbio.
Il metafisico invece, proprio a causa di queste sue paure del dubbio, va a cadere nell'esatto opposto: pensa di pervenire ad affermazioni indubitabili, infalsificabili, ma proprio a causa di ciò le sue affermazioni sono del tutto inconsistenti, perennemente esposte ai sospetti del relativismo.
L'oggettività assoluta della conoscenza non è ottenibile da nessuno, il desiderio di ottenerla, di arrivare all'ultima parola che coincide con il puro fatto che precede ogni parola è però di tutti e la scienza (come in passato la metafisica) intende definire come si fa indipendentemente da ogni soggetto, per cui anche il dubitare per essere lecito va compreso in questa metodologia che elimina ogni soggettività. Il puro fatto è, dal punto di vista della conoscenza, il niente che accade e che diventa qualcosa solo in virtù del poterlo conoscere e rappresentare insieme come un dato di fatto che è per tutti lo stesso. La differenza è che mentre la metafisica intendeva fissare il suo conoscere in un apriori originario che scopre irrecuperabile, la scienza lo vede a posteriori e quindi sempre recuperabile in un cammino progressivo in grado di mantenersi su un percorso di assoluta oggettività tecnica funzionale.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 19 Febbraio 2017, 14:53:49 PM
Citazione di: maral il 19 Febbraio 2017, 13:13:15 PML'oggettività assoluta della conoscenza non è ottenibile da nessuno...
...la metafisica intendeva fissare il suo conoscere in un apriori originario che scopre irrecuperabile
È ciò che ho cercato di dire sin dall'inizio: la metafisica non può avanzare pretese di affermare alcunché di indubitabile, universale, non soggettivo, né sotto forma di conoscenze a posteriori, né sotto forma affermazioni a priori.

Questa contrasta con la pretesa iniziale di Ceravolo di una sua metafisica totale, universale, assoluta, priva dei difetti, dei limiti che inevitabilmente inficiano tutto ciò che è umano:
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 31 Gennaio 2017, 18:17:54 PMLe eccezioni non fanno parte della mia filosofia. La mia metafisica copre ogni caso senza alcuna eccezione. Le eccezioni sono casi che mostrano un difetto della regola, e questo è un fondamento della mia filosofia. E in questa mia filosofia la struttura linguistica è uguale per ogni cosa senza alcuna eccezione
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Duc in altum! il 19 Febbraio 2017, 19:41:30 PM
**  scritto da Angelo Cannata:
CitazioneÈ ciò che ho cercato di dire sin dall'inizio: la metafisica non può avanzare pretese di affermare alcunché di indubitabile, universale, non soggettivo, né sotto forma di conoscenze a posteriori, né sotto forma affermazioni a priori.
Ma niente e nessuno non può avanzare pretese di affermare alcunché di indubitabile, universale, non soggettivo, né sotto forma di conoscenze a posteriori, né sotto forma affermazioni a priori.
Altrimenti, nel caso esistesse Dio, come potremmo essere giudicabili sulla fede?
Quindi tu puoi essere ex quello che ti pare e piace, ma mai ex/fede, ossia, poter esentarti di essere senza fede.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 19 Febbraio 2017, 20:03:12 PM
Citazione di: maral il 19 Febbraio 2017, 12:49:35 PM
Citazione di: sgiombo il 18 Febbraio 2017, 09:58:46 AM
Che le parole con cui tentiamo di rendere conto delle cose non sono mai le cose mi sembra perfettamente ovvio (altrimenti non proporremmo che giudizi analitici a priori).
Ma ciò non toglie che (per lo meno in linea di principio; e potendo sempre dubitarne, che è ben altro che avere la certezza del contrario!) delle parole con le quali predichiamo qualcosa della realtà possa darsi denotazione reale e che le connotazioni delle parole con cui predichiamo circa la realtà possano essere almeno in parte "fedeli" e non "traditrici" nel caratterizzare le denotazioni reali cui si riferiscono
Sto tentando di dire che le parole non sono le cose non perché i significanti sono diversi dai significati, ma perché proprio il significato di ciò che diciamo è sempre in qualche misura diverso dalla cosa che esso dice. Nel significato attraverso il quale veniamo a conoscere la cosa, la cosa è evocata e non ricalcata per come è. Il linguaggio prima di tutto chiama la cosa a farsi presente in una rappresentazione, non si limita mai a ricopiarla.
CitazioneNon vedo in che senso questa possa essere considerata un' obiezione a quanto da me più sopra affermato: la parola "cavallo" e il concetto che essa significa (come connotazione) non é il cavallo reale, che pure denota; invece la parola "ippogrifo" e il concetto che essa significa (come connotazione) sono tutto quanto é reale (mentalmente, nel pensiero; magari scritto o parlato) dell' ippogrifo, senza alcun denotato reale.

La nostra mente non copia montagne reali, ma nel momento in cui prende coscienza di qualcosa che accade secondo certe modalità che non dipendono da essa, rappresenta quello che accade nei termini di una montagna. Questo, lo ripeto ancora, non significa assolutamente che essa sia libera di rappresentare le cose come vuole, non posono tuo malgrado, apparirti donne bellissime invece di montagne, perché la tua mente fa parte della rappresentazione, è guidata dai suoi giochi, non è libera di scegliere cosa far apparire e cosa no, non è né il registra né l'autore della rappresentazione in scena, è solo un attore che fa parte della rappresentazione in scena come tutti gli altri elementi di cui non può sapere cosa siano fuori scena. E il fatto che altri condividano questa rappresentazione rinforza il potere evocativo che connota qualcosa che sta accadendo per tutti coloro che ne partecipano.
CitazioneL' unica cosa che mi sembra di "intravedere nella fitta nebbia", l' unica traduzione che mi sembra di poter fare in italiano di queste parole che mi sembrano, non solo metaforiche, ma decisamente arcane e sibiliine, é che le cose reali sono come sono indipendentemente dai nostri eventuali pensieri su di esse, dalla eventuale nostra conoscenza di esse; e ovviamente se non si conoscono non si può sapere di che cosa si tratti; e che le cose materiali autenticamente percepite (contrariamente ai contenuti percettivi di sogni e allucinazioni) sono intersoggettive (che é quanto da me sostenuto; sempre se -metaforicamente- quanto mi pare di "intravedere" é effettivamente ciò che vuoi "mostrarmi").





CitazioneIl punto per me è di non sfracellarmi, oltre che di sapere come è la realtà e non come ci si può immaginare eventualmente che sia, sia pure eventualmente condividendo anche questa immaginazione con altri (non "il vedere dei significati arbitrari" ma invece il sapere -se possibile- ciò che è reale; perché fra l' altro se vedo allucinatoriamente una passerella dove c' è un baratro reale non è che pretendendo di andarci sopra si sfracellano solo quelli che vedono veracemente  il baratro mentre io sono sano e salvo: no, invece mi ci sfracello realmente anch' io alla faccia della mia visione allucinatoria della passerella! E, almeno per ora, non ho alcuna intenzione di suicidarmi).
Per tutti il problema è non sfracellarsi che si risolve nel rispettare la rappresentazione in cui ci troviamo insieme rappresentati. Questo gioco coerente con la rappresentazione è l'unico tipo di realtà a cui abbiamo accesso, non quella delle cose come stanno in sé e per sé. Ci aiuta il fatto che tutti noi sappiamo vivere, proprio perché viviamo, come sa vivere un lombrico o una pianta, la difficoltà rispetto ai lombrichi e alle piante, è che nel nostro caso il saper vivere vuole sapere di vivere, vuole chiedersene la ragione e se la rappresenta continuamente e dalla rappresentazione che si fa chiama continuamente quel saper vivere per toranare semplicemente a vivere.  
CitazioneMa per non sfracellarsi la "rappresentazione" che va rispettata è quella di sensazioni reali e non allucuinatorie (od oniriche), nel qual caso ci si sfracella al suolo.

Ma la questione della differenza fra cose in sé inaccessibili sensibilmente (ma solo congetturabili) e fenomeni é diversa da quella della differenza fra fenomeni materiali costituiti da sensazioni autentiche, che (ammettendo un minimo di premesse indimostrabili né mostrabili) possono essere considerate intersoggettive, e fenomeni materiali onirici o allucinatori, che invece, esattamente come i fenomeni mentali, non possono essere considerate intersoggettive ma soggettive.





CitazioneAllora parliamo di una bicicletta immaginaria.
In questo caso se dal contesto in cui vivi ti si presentasse una bicilcetta immaginaria spererei proprio che non cercheresti di usarla per andare al lavoro (ma che impiegheresti invece un' eventuale bicicletta reale); e questo anche se condividesse il contesto della bicicletta immaginaria pure il tuo datore di lavoro: non ci arriveresti lo stesso col pericolo di essere licenziato; a meno che il tuo datore di lavoro (che, per inciso ben presto fallirebbe e dunque resteresti comunque disoccupato) avesse pure l' allucinazione di vedere il tuo cartellino timbrato.
Ma chi stabilisce che la bicicletta è immaginaria se "l'allucinazione" della bicicletta è condivisa? Arriverei eccome a dove devo arrivare, perché anche il "dove devo arrivare" fa parte dell'allucinazione condivisa. E se non ci arrivo perché magari da quella bicicletta sono caduto, non perché essa non esiste. Anche sulle "biciclette immaginarie" occorre saperci andare, anzi è proprio su quelle che è necessario imparare ad andare.
CitazionePossono accadere anche allucinazioni collettive (madonne che piangono: pianti ancor meno reali degli ippogrifi! A meno che si tratti di banali trucchi, come nel caso famoso della madonna che piangeva sangue maschile), ma ciò non le equipara a sensazioni autentiche.
Certo prendendo una bicicletta reale puoi anche cadere, venire investito da un tram, ecc.; ma inoltre puoi anche arrivare a destinazione.
Mentre prendendo una bicicletta in un' esperienza allucinatoria non ci arrivi di sicuro (e per fortuna se nell' alucinazione sei travolto dal tram non ti fai nessun male).

Volendo essere sincero (e senza intenzione offensiva alcuna) non posso non dire che l' ultima frase mi sembra proprio quella di un pazzo (o in alternativa di un "virtuosista del sofisma" che compie "acrobatiche arrampicate sugli specchi dialettiche"); purtroppo se non lo dicessi sarei un ipocrita e un mentitore, cosa che non voglio. 





CitazioneColui che dice "io conosco con certezza come stanno le cose nella realtà" è un presuntuoso che si sbaglia (che dice il falso), ma non è affatto necessariamente matto.
Matto è invece necessariamente chi immagina da sveglio o sogna un ippogrifo e dice all' altro. "c' è realmente un ippogrifo, dal momento che lo sogno o lo immagino e fra sogni e realtà non c' è alcuna differenza: sono entrambi del tutto parimenti reali" (che mi sembra quanto da te sempre affermato; mentre sono io che invece affermo che se sogno o immagino un ippogrifo dico all' altro "sto sognando o immaginando un ippogrifo, il quale dunque, contrariamente a tantissimi cavalli, non è reale").
Dicono esattamente la stessa cosa, poiché entrambi pensano di poter definire la realtà, mentre è la realtà che li definisce e pertanto non può essere da loro definita, anche se lo si tenta sempre.
CitazioneEntrambi fanno parte della realtà e dunque se la realtà diviene deterministicamente sono determinati da- (-le condizioni de-) -la realtà in cui si vengono a trovare.
Ma ciò mi sembra del tutto irrilevante ai fini della distinzione (o confusione) fra realtà e immaginazione.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: acquario69 il 19 Febbraio 2017, 22:25:25 PM
Citazione
La differenza è che mentre la metafisica intendeva fissare il suo conoscere in un apriori originario che scopre irrecuperabile, la scienza lo vede a posteriori e quindi sempre recuperabile in un cammino progressivo in grado di mantenersi su un percorso di assoluta oggettività tecnica funzionale.
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È ciò che ho cercato di dire sin dall'inizio: la metafisica non può avanzare pretese di affermare alcunché di indubitabile, universale, non soggettivo, né sotto forma di conoscenze a posteriori, né sotto forma affermazioni a priori.

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Ma niente e nessuno non può avanzare pretese di affermare alcunché di indubitabile, universale, non soggettivo, né sotto forma di conoscenze a posteriori, né sotto forma affermazioni a priori.
Altrimenti, nel caso esistesse Dio, come potremmo essere giudicabili sulla fede?
Quindi tu puoi essere ex quello che ti pare e piace, ma mai ex/fede, ossia, poter esentarti di essere senza fede.


A mio avviso quello che sta succedendo (detto in parole povere,in questo caso le mie) e' che la scienza riscopre verità universali (metafisiche) che erano già conosciute da sempre prima ancora che iniziasse l'indagine scientifica stessa...un po come aver percorso un cammino che lo ha riportato esattamente al punto in cui coincide con cio che e' vero da sempre...

Poteva risparmiarsi l'inutile fatica ed evitare cosi pure qualche inutile maceria che avrebbe lasciato alle spalle


"Senza uscire dalla porta conosce tutto quel che c'è da conoscere. Senza guardare dalla finestra vede le vie del cielo perché più lontano si va meno si capisce. Il saggio arriva senza partire, vede senza guardare, fa senza fare"
Lao Tzu (Tao)
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 20 Febbraio 2017, 07:18:55 AM
Citazione di: acquario69 il 19 Febbraio 2017, 22:25:25 PM



A mio avviso quello che sta succedendo (detto in parole povere,in questo caso le mie) e' che la scienza riscopre verità universali (metafisiche) che erano già conosciute da sempre prima ancora che iniziasse l'indagine scientifica stessa...un po come aver percorso un cammino che lo ha riportato esattamente al punto in cui coincide con cio che e' vero da sempre...

Poteva risparmiarsi l'inutile fatica ed evitare cosi pure qualche inutile maceria che avrebbe lasciato alle spalle


"Senza uscire dalla porta conosce tutto quel che c'è da conoscere. Senza guardare dalla finestra vede le vie del cielo perché più lontano si va meno si capisce. Il saggio arriva senza partire, vede senza guardare, fa senza fare"
Lao Tzu (Tao)
CitazioneQuali cose "sapute da sempre" la scienza sta riscoprendo?

Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Duc in altum! il 20 Febbraio 2017, 09:25:13 AM
**  scritto da sgiombo:
CitazioneQuali cose "sapute da sempre" la scienza sta riscoprendo?
Può darsi che mi sbaglio (e quindi sorvolate l'osservazione), ma penso che forse @acquario69 volesse dire questo:
"La scienza, non crea la verità,
ma la scopre ;
pertanto, prima di essere scoperta, essa
esiste in sé".

Agostino d'Ippona
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: acquario69 il 20 Febbraio 2017, 12:10:36 PM
CitazioneQuali cose "sapute da sempre" la scienza sta riscoprendo?

Non sono in grado nei dettagli specifici di sapere quali siano le scoperte specifiche della scienza moderna che riscoprono le verità di sempre...penso sicuramente che fanno comunque riferimento alla fisica quantistica che dimostrerebbe che l'universo o il reale sottostante e' un campo di informazioni sottili,che tutto non e' un processo meccanicistico ma olistico e spirituale,che non siamo enti separati,che tutto e' già in tutto,che e' il "vuoto" ad essere l'essenza stessa del "pieno"...le stesse "cose" che in forma e "linguaggio" diverso era già secondo sapienza delle "antiche" (più che antiche sarebbe corretto dire "senza tempo") scienze sacre.

Ma ripeto non sono ne uno scienziato ne un fisico...pero si può cogliere perfettamente e senza alcun dubbio nella citazione riportata da Duc di Agostino d'ippona che dimostra pure come il paradigma sia stato rovesciato e che fondamentalmente si sta riscoprendo proprio questo come base per qualsiasi valutazione scientifica a priori sui massimi livelli e non il contrario come poteva accadere fino a non molto....certo poi il cambiamento di un paradigma necessita di un tempo necessario per vederne i suoi effetti concreti
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Eretiko il 20 Febbraio 2017, 13:10:01 PM
Citazione di: acquario69 il 20 Febbraio 2017, 12:10:36 PM
Non sono in grado nei dettagli specifici di sapere quali siano le scoperte specifiche della scienza moderna che riscoprono le verità di sempre...penso sicuramente che fanno comunque riferimento alla fisica quantistica che dimostrerebbe che l'universo o il reale sottostante e' un campo di informazioni sottili,che tutto non e' un processo meccanicistico ma olistico e spirituale,che non siamo enti separati,che tutto e' già in tutto,che e' il "vuoto" ad essere l'essenza stessa del "pieno"...le stesse "cose" che in forma e "linguaggio" diverso era già secondo sapienza delle "antiche" (più che antiche sarebbe corretto dire "senza tempo") scienze sacre.

Ma ripeto non sono ne uno scienziato ne un fisico...pero si può cogliere perfettamente e senza alcun dubbio nella citazione riportata da Duc di Agostino d'ippona che dimostra pure come il paradigma sia stato rovesciato e che fondamentalmente si sta riscoprendo proprio questo come base per qualsiasi valutazione scientifica a priori sui massimi livelli e non il contrario come poteva accadere fino a non molto....certo poi il cambiamento di un paradigma necessita di un tempo necessario per vederne i suoi effetti concreti

Mi permetto di fare 2 osservazioni.

1) E' ovvio che la scienza non "inventa" le leggi di natura, ma le scopre: è la sua missione. Ma il fatto che queste leggi di natura siano insite, appunto, nell'universo, non significa che noi le conosciamo da sempre, e soprattutto non è semplice scoprirle.

2) Capisco che la meccanica quantistica possa favorire certe suggestioni, ma è importante sempre saper distinguere verità di scienza da semplici ipotesi o opinioni personali. In particolare che l'universo sia "olistico" è solo l'opinione di qualcuno, e non è "verità scientifica", anche perché se fosse vero non si potrebbe fare nessuna "scienza". Ancora più assurdo (scientificamente parlando) è ritenere che nei fenomeni fisici intervenga in qualche modo la coscienza umana o che ci sia qualcosa di spirituale.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Apeiron il 20 Febbraio 2017, 15:48:23 PM
Citazione di: Eretiko il 20 Febbraio 2017, 13:10:01 PM
Citazione di: acquario69 il 20 Febbraio 2017, 12:10:36 PMNon sono in grado nei dettagli specifici di sapere quali siano le scoperte specifiche della scienza moderna che riscoprono le verità di sempre...penso sicuramente che fanno comunque riferimento alla fisica quantistica che dimostrerebbe che l'universo o il reale sottostante e' un campo di informazioni sottili,che tutto non e' un processo meccanicistico ma olistico e spirituale,che non siamo enti separati,che tutto e' già in tutto,che e' il "vuoto" ad essere l'essenza stessa del "pieno"...le stesse "cose" che in forma e "linguaggio" diverso era già secondo sapienza delle "antiche" (più che antiche sarebbe corretto dire "senza tempo") scienze sacre. Ma ripeto non sono ne uno scienziato ne un fisico...pero si può cogliere perfettamente e senza alcun dubbio nella citazione riportata da Duc di Agostino d'ippona che dimostra pure come il paradigma sia stato rovesciato e che fondamentalmente si sta riscoprendo proprio questo come base per qualsiasi valutazione scientifica a priori sui massimi livelli e non il contrario come poteva accadere fino a non molto....certo poi il cambiamento di un paradigma necessita di un tempo necessario per vederne i suoi effetti concreti
Mi permetto di fare 2 osservazioni. 1) E' ovvio che la scienza non "inventa" le leggi di natura, ma le scopre: è la sua missione. Ma il fatto che queste leggi di natura siano insite, appunto, nell'universo, non significa che noi le conosciamo da sempre, e soprattutto non è semplice scoprirle. 2) Capisco che la meccanica quantistica possa favorire certe suggestioni, ma è importante sempre saper distinguere verità di scienza da semplici ipotesi o opinioni personali. In particolare che l'universo sia "olistico" è solo l'opinione di qualcuno, e non è "verità scientifica", anche perché se fosse vero non si potrebbe fare nessuna "scienza". Ancora più assurdo (scientificamente parlando) è ritenere che nei fenomeni fisici intervenga in qualche modo la coscienza umana o che ci sia qualcosa di spirituale.

Strettamente parlando la scienza non inventa e non scopre "leggi naturali" ma fa solo modelli predittivi. Ho aperto questa discussione proprio per questa questione: https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/dadi-e-probabilita/. In sostanza che ci siano "regolarità nella natura" è una certezza infondata: non è né giustificata dall'esperienza e nemmeno dal puro ragionamento. In un certo senso empirismo e razionalismo sono entrambi errati.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 20 Febbraio 2017, 17:19:27 PM
Citazione di: sgiombo il 19 Febbraio 2017, 20:03:12 PM
Non vedo in che senso questa possa essere considerata un' obiezione a quanto da me più sopra affermato: la parola "cavallo" e il concetto che essa significa (come connotazione) non é il cavallo reale, che pure denota; invece la parola "ippogrifo" e il concetto che essa significa (come connotazione) sono tutto quanto é reale (mentalmente, nel pensiero; magari scritto o parlato) dell' ippogrifo, senza alcun denotato reale.
L'obiezione sta nell'obiettare da parte mia che ci sia un cavallo (e non qualcosa di) reale prima che appaia il significato di cavallo (che non è semplicemente quel qualcosa di reale che si vive, ma solo lo evoca) e che questo significato risulti condivisibile (la qualcosa permette poi una denotazione).

CitazioneL' unica cosa che mi sembra di "intravedere nella fitta nebbia", l' unica traduzione che mi sembra di poter fare in italiano di queste parole che mi sembrano, non solo metaforiche, ma decisamente arcane e sibiliine, é che le cose reali sono come sono indipendentemente dai nostri eventuali pensieri su di esse, dalla eventuale nostra conoscenza di esse; e ovviamente se non si conoscono non si può sapere di che cosa si tratti; e che le cose materiali autenticamente percepite (contrariamente ai contenuti percettivi di sogni e allucinazioni) sono intersoggettive (che é quanto da me sostenuto; sempre se -metaforicamente- quanto mi pare di "intravedere" é effettivamente ciò che vuoi "mostrarmi").
Ci stiamo avvicinando: se non si conoscono (se non so del cavallo) nessun cavallo può apparire, mentre se conosco (se so del cavallo) il cavallo appare, ma esso non è la cosa che io vivo quando non so di esso, è come (metafora) una sorta di immagine riflessa ove ciò che riflette facendola apparire è la mente, ma la mente non è uno specchio liscio e ben levigato, conoscendo modifica ciò che conosce.

CitazioneMa per non sfracellarsi la "rappresentazione" che va rispettata è quella di sensazioni reali e non allucuinatorie (od oniriche), nel qual caso ci si sfracella al suolo.
Per non sfracellarsi è necessario tenersi nella posizione giusta nel contesto in cui avviene il cammino della nostra esistenza tenendo conto dei contesti in cui si svolge e dei significati ad essi relativi che ci presentano come delle realtà. In altre parole occorre mantenersi nei pressi del proprio saper vivere pur volendolo conoscere. In altre parole ancora costruire la propria conoscenza (so di sapere) per poterla sempre decostruire (non so di sapere). Nel momento in cui la conoscenza si disconosce e torna al saper vivere si realizza il momento più alto della conoscenza, quello di una conoscenza sapiente.

CitazioneMa la questione della differenza fra cose in sé inaccessibili sensibilmente (ma solo congetturabili) e fenomeni é diversa da quella della differenza fra fenomeni materiali costituiti da sensazioni autentiche, che (ammettendo un minimo di premesse indimostrabili né mostrabili) possono essere considerate intersoggettive, e fenomeni materiali onirici o allucinatori, che invece, esattamente come i fenomeni mentali, non possono essere considerate intersoggettive ma soggettive.
Anche l'esperienza onirica è una forma di conoscenza guidata da fenomeni materiali, non più falsa di per sé da quella di veglia, ma, di solito, meno condivisibile. Semplicemente allora occorre rendersi conto di quando ci si trova in un contesto onirico o in un contesto di veglia per mantenere la coerenza evitando di sfracellarsi.
Questo è quello che intendevo dire dicendo che <<Anche sulle "biciclette immaginarie" occorre saperci andare>> e per saperci andare non basta negarne la realtà. Con i sogni e le allucinazioni ci si può e si può fare davvero molto male.

CitazioneVolendo essere sincero (e senza intenzione offensiva alcuna) non posso non dire che l' ultima frase mi sembra proprio quella di un pazzo (o in alternativa di un "virtuosista del sofisma" che compie "acrobatiche arrampicate sugli specchi dialettiche"); purtroppo se non lo dicessi sarei un ipocrita e un mentitore, cosa che non voglio.
Ti ringrazio per la sincerità, spero di essere riuscito almeno un po' a chiarire tanto da non essere considerato un pazzo matricolato (anche se un po' matto lo sono certamente). :)

CitazioneEntrambi fanno parte della realtà e dunque se la realtà diviene deterministicamente sono determinati da- (-le condizioni de-) -la realtà in cui si vengono a trovare.
Ma ciò mi sembra del tutto irrilevante ai fini della distinzione (o confusione) fra realtà e immaginazione.
A mio avviso, come ho detto, quello che fa la differenza è la pretesa di un contenuto assolutamente reale, che ovviamente rende impossibile fin dal principio ogni discussione in merito.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 20 Febbraio 2017, 17:37:45 PM
Citazione di: acquario69 il 20 Febbraio 2017, 12:10:36 PM
Non sono in grado nei dettagli specifici di sapere quali siano le scoperte specifiche della scienza moderna che riscoprono le verità di sempre...penso sicuramente che fanno comunque riferimento alla fisica quantistica che dimostrerebbe che l'universo o il reale sottostante e' un campo di informazioni sottili,che tutto non e' un processo meccanicistico ma olistico e spirituale,che non siamo enti separati,che tutto e' già in tutto,che e' il "vuoto" ad essere l'essenza stessa del "pieno"...le stesse "cose" che in forma e "linguaggio" diverso era già secondo sapienza delle "antiche" (più che antiche sarebbe corretto dire "senza tempo") scienze sacre.

Ma ripeto non sono ne uno scienziato ne un fisico...pero si può cogliere perfettamente e senza alcun dubbio nella citazione riportata da Duc di Agostino d'ippona che dimostra pure come il paradigma sia stato rovesciato e che fondamentalmente si sta riscoprendo proprio questo come base per qualsiasi valutazione scientifica a priori sui massimi livelli e non il contrario come poteva accadere fino a non molto....certo poi il cambiamento di un paradigma necessita di un tempo necessario per vederne i suoi effetti concreti
La scienza sperimentale e le forme di conoscenza mistica o filosofica fanno appello allo stesso saper vivere, ma lo conoscono in forme diverse e corrono rischi specifici diversi di deragliamento, anche se in ogni forma di conoscenza questo rischio c'è e cresce a dismisura quanto più si pensa di avvicinare l'oggetto o il soggetto assoluti intendendolo dire. Qui trovo che davvero sarebbe opportuno ammutolire, sapendo che comunque non si può non ricominciare a porsi (e quindi a ripetersi) la domanda.
La meccanica quantistica per certi aspetti consente una visione olistica (Sono diventati famosi i lavori di F. Capra che evidenziano le somiglianze al pensiero orientale, soprattutto al Taoismo), bisogna comunque dire che la meccanica quantistica considera solo la realtà atomica e subatomica e che ormai tende a essere vista solo sotto l'aspetto modellistico funzionale piuttosto che ontologico-metafisico (la qualcosa sarebbe effettivamente un bel problema dal punto di vista scientifico).
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 20 Febbraio 2017, 17:50:13 PM
Citazione di: Eretiko il 20 Febbraio 2017, 13:10:01 PM
Citazione di: acquario69 il 20 Febbraio 2017, 12:10:36 PM
Non sono in grado nei dettagli specifici di sapere quali siano le scoperte specifiche della scienza moderna che riscoprono le verità di sempre...penso sicuramente che fanno comunque riferimento alla fisica quantistica che dimostrerebbe che l'universo o il reale sottostante e' un campo di informazioni sottili,che tutto non e' un processo meccanicistico ma olistico e spirituale,che non siamo enti separati,che tutto e' già in tutto,che e' il "vuoto" ad essere l'essenza stessa del "pieno"...le stesse "cose" che in forma e "linguaggio" diverso era già secondo sapienza delle "antiche" (più che antiche sarebbe corretto dire "senza tempo") scienze sacre.

Ma ripeto non sono ne uno scienziato ne un fisico...pero si può cogliere perfettamente e senza alcun dubbio nella citazione riportata da Duc di Agostino d'ippona che dimostra pure come il paradigma sia stato rovesciato e che fondamentalmente si sta riscoprendo proprio questo come base per qualsiasi valutazione scientifica a priori sui massimi livelli e non il contrario come poteva accadere fino a non molto....certo poi il cambiamento di un paradigma necessita di un tempo necessario per vederne i suoi effetti concreti

Mi permetto di fare 2 osservazioni.

1) E' ovvio che la scienza non "inventa" le leggi di natura, ma le scopre: è la sua missione. Ma il fatto che queste leggi di natura siano insite, appunto, nell'universo, non significa che noi le conosciamo da sempre, e soprattutto non è semplice scoprirle.

2) Capisco che la meccanica quantistica possa favorire certe suggestioni, ma è importante sempre saper distinguere verità di scienza da semplici ipotesi o opinioni personali. In particolare che l'universo sia "olistico" è solo l'opinione di qualcuno, e non è "verità scientifica", anche perché se fosse vero non si potrebbe fare nessuna "scienza". Ancora più assurdo (scientificamente parlando) è ritenere che nei fenomeni fisici intervenga in qualche modo la coscienza umana o che ci sia qualcosa di spirituale.
Citazioneconcordo in pieno (e ti ringrazio per aver già dato la risposta che avrei sostanzialmente proposto anch' io e che comunque sottoscrivo in toto).
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 20 Febbraio 2017, 18:00:44 PM
Citazione di: Apeiron il 20 Febbraio 2017, 15:48:23 PM
Citazione di: Eretiko il 20 Febbraio 2017, 13:10:01 PM
Citazione di: acquario69 il 20 Febbraio 2017, 12:10:36 PMNon sono in grado nei dettagli specifici di sapere quali siano le scoperte specifiche della scienza moderna che riscoprono le verità di sempre...penso sicuramente che fanno comunque riferimento alla fisica quantistica che dimostrerebbe che l'universo o il reale sottostante e' un campo di informazioni sottili,che tutto non e' un processo meccanicistico ma olistico e spirituale,che non siamo enti separati,che tutto e' già in tutto,che e' il "vuoto" ad essere l'essenza stessa del "pieno"...le stesse "cose" che in forma e "linguaggio" diverso era già secondo sapienza delle "antiche" (più che antiche sarebbe corretto dire "senza tempo") scienze sacre. Ma ripeto non sono ne uno scienziato ne un fisico...pero si può cogliere perfettamente e senza alcun dubbio nella citazione riportata da Duc di Agostino d'ippona che dimostra pure come il paradigma sia stato rovesciato e che fondamentalmente si sta riscoprendo proprio questo come base per qualsiasi valutazione scientifica a priori sui massimi livelli e non il contrario come poteva accadere fino a non molto....certo poi il cambiamento di un paradigma necessita di un tempo necessario per vederne i suoi effetti concreti
Mi permetto di fare 2 osservazioni. 1) E' ovvio che la scienza non "inventa" le leggi di natura, ma le scopre: è la sua missione. Ma il fatto che queste leggi di natura siano insite, appunto, nell'universo, non significa che noi le conosciamo da sempre, e soprattutto non è semplice scoprirle. 2) Capisco che la meccanica quantistica possa favorire certe suggestioni, ma è importante sempre saper distinguere verità di scienza da semplici ipotesi o opinioni personali. In particolare che l'universo sia "olistico" è solo l'opinione di qualcuno, e non è "verità scientifica", anche perché se fosse vero non si potrebbe fare nessuna "scienza". Ancora più assurdo (scientificamente parlando) è ritenere che nei fenomeni fisici intervenga in qualche modo la coscienza umana o che ci sia qualcosa di spirituale.

Strettamente parlando la scienza non inventa e non scopre "leggi naturali" ma fa solo modelli predittivi. Ho aperto questa discussione proprio per questa questione: https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/dadi-e-probabilita/. In sostanza che ci siano "regolarità nella natura" è una certezza infondata: non è né giustificata dall'esperienza e nemmeno dal puro ragionamento. In un certo senso empirismo e razionalismo sono entrambi errati.
CitazioneCome ci ha insegnato il grande David Hume, la regolarità della natura non é certa (non è né giustificata dall'esperienza e nemmeno dal puro ragionamento; ma allora l' empirismo di Hume non é errato).
Ma mi sembra di poter dire sia comunque (per lo meno di fatto) una premessa (magari sottintesa, non esplicitata) della conoscenza scientifica.
Infatti le predizioni della scienza sono vere alla condizione (indimostrabile) della regolarità del divenire naturale, ovvero delle leggi naturali del divenire (che gli scienziati se ne rendano conto o meno); se fossero vere in assenza del divenire regolare secondo "leggi", allora vorrebbe dire che lo sono solo casualmente oppure per magia,le comunque non potrebbero essere previsioni generali, universali e costanti.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 20 Febbraio 2017, 18:59:31 PM
Citazione di: maral il 20 Febbraio 2017, 17:19:27 PM
Citazione di: sgiombo il 19 Febbraio 2017, 20:03:12 PM
Non vedo in che senso questa possa essere considerata un' obiezione a quanto da me più sopra affermato: la parola "cavallo" e il concetto che essa significa (come connotazione) non é il cavallo reale, che pure denota; invece la parola "ippogrifo" e il concetto che essa significa (come connotazione) sono tutto quanto é reale (mentalmente, nel pensiero; magari scritto o parlato) dell' ippogrifo, senza alcun denotato reale.
L'obiezione sta nell'obiettare da parte mia che ci sia un cavallo (e non qualcosa di) reale prima che appaia il significato di cavallo (che non è semplicemente quel qualcosa di reale che si vive, ma solo lo evoca) e che questo significato risulti condivisibile (la qualcosa permette poi una denotazione).
CitazioneQuel qualcosa di reale, se il predicato "esiste realmente un certo cavallo" è vero, era appunto il cavallo (successivamente) denotato dal concetto di "cavallo" (indipendentemente dal fatto che questa predicazione sia fatta "fra sé e sé" o sia manifestata e condivisa pubblicamente; la qual cosa può casomai aumentare la fondatezza o la credibilità del predicato, in virtù dell' intersoggettività dell' osservazione che ne può dare conferma, ma non la sua verità).



CitazioneL' unica cosa che mi sembra di "intravedere nella fitta nebbia", l' unica traduzione che mi sembra di poter fare in italiano di queste parole che mi sembrano, non solo metaforiche, ma decisamente arcane e sibiliine, é che le cose reali sono come sono indipendentemente dai nostri eventuali pensieri su di esse, dalla eventuale nostra conoscenza di esse; e ovviamente se non si conoscono non si può sapere di che cosa si tratti; e che le cose materiali autenticamente percepite (contrariamente ai contenuti percettivi di sogni e allucinazioni) sono intersoggettive (che é quanto da me sostenuto; sempre se -metaforicamente- quanto mi pare di "intravedere" é effettivamente ciò che vuoi "mostrarmi").
Ci stiamo avvicinando: se non si conoscono (se non so del cavallo) nessun cavallo può apparire, mentre se conosco (se so del cavallo) il cavallo appare, ma esso non è la cosa che io vivo quando non so di esso, è come (metafora) una sorta di immagine riflessa ove ciò che riflette facendola apparire è la mente, ma la mente non è uno specchio liscio e ben levigato, conoscendo modifica ciò che conosce.
CitazioneAnche se un bambino, che non aveva mai visto prima un cavallo, ne vede uno per la prima volta, allora questo gli appare sebbene non lo conosca, anche se non ne sa nulla.
E se è un cavallo reale (e non, per esempio, un ippogrifo) allora non è la mente che lo fa apparire al bambino (come allucinazione o come oggetto di fantasia), ma invece il suo apparire  è reale (e intersoggettivamente verificabile, almeno in line di principio).



CitazioneMa per non sfracellarsi la "rappresentazione" che va rispettata è quella di sensazioni reali e non allucuinatorie (od oniriche), nel qual caso ci si sfracella al suolo.
Per non sfracellarsi è necessario tenersi nella posizione giusta nel contesto in cui avviene il cammino della nostra esistenza tenendo conto dei contesti in cui si svolge e dei significati ad essi relativi che ci presentano come delle realtà. In altre parole occorre mantenersi nei pressi del proprio saper vivere pur volendolo conoscere. In altre parole ancora costruire la propria conoscenza (so di sapere) per poterla sempre decostruire (non so di sapere). Nel momento in cui la conoscenza si disconosce e torna al saper vivere si realizza il momento più alto della conoscenza, quello di una conoscenza sapiente.
CitazioneNo, guarda che se la passerella è un' allucinazione, allora non c' è "mantenersi nei pressi del proprio saper vivere pur volendolo conoscere", non c' è "costruzione della propria conoscenza (so di sapere) per poterla sempre decostruire (non so di sapere)" che tenga: se si pretende di andare al centesimo piano del grattacielo di fronte ci si sfracella inesorabilmente; solo se la passerella è reale, si può sperare di arrivarci sani e salvi (a parte eventuali incidenti di percorso).



CitazioneMa la questione della differenza fra cose in sé inaccessibili sensibilmente (ma solo congetturabili) e fenomeni é diversa da quella della differenza fra fenomeni materiali costituiti da sensazioni autentiche, che (ammettendo un minimo di premesse indimostrabili né mostrabili) possono essere considerate intersoggettive, e fenomeni materiali onirici o allucinatori, che invece, esattamente come i fenomeni mentali, non possono essere considerate intersoggettive ma soggettive.
Anche l'esperienza onirica è una forma di conoscenza guidata da fenomeni materiali, non più falsa di per sé da quella di veglia, ma, di solito, meno condivisibile. Semplicemente allora occorre rendersi conto di quando ci si trova in un contesto onirico o in un contesto di veglia per mantenere la coerenza evitando di sfracellarsi.
Questo è quello che intendevo dire dicendo che <<Anche sulle "biciclette immaginarie" occorre saperci andare>> e per saperci andare non basta negarne la realtà. Con i sogni e le allucinazioni ci si può e si può fare davvero molto male.
CitazioneIl fatto che anche l' esperienza allucinatoria abbia un corrispettivo cerebrale come quella reale (e a livello corticale del tutto simile, sostanzialmente uguale) non toglie la sua illusorietà (dell' esperienza allucinatoria, non del corrispettivo cerebrale): contrariamente all' esperienza reale, essa non è causata dalla presenza di oggetti reali che attraverso una serie di eventi "fisici generici" e poi "specificamente neurologici" determinano gli eventi neurologici corticali corrispondenti all' esperienza, ma invece eventi neurologici corticali del tutto simili, corrispondenti a un' esperienza del tutto simile, sono in questo caso provocati "intrinsecamente" da (altri) eventi neurofisiologici cerebrali in assenza dell' oggetto reale: è per questo che, pur essendo gli eventi corticali e le corrispondenti sensazioni soggettive della passerella del tutto simili, in un caso si può giungere sani e salvi al grattacielo di fronte (salvo "complicazioni"), mentre nell' altro ci si sfracella inesorabilmente al suolo (salvo "miracoli").
E questo perché (il "contenuto" de-) -l' allucinazione non è reale (è reale solo l' allucinazione; e non condivisibile, salvo allucinazioni collettive), mentre ("il contenuto de-") -la visione autentica è reale (e condivisibile; ma è reale indipendentemente da un' eventuale sua condivisione di fatto o meno).

Appunto, come ho sempre sostenuto, con i sogni e le allucinazioni ci si può fare davvero molto male proprio se li si confonde con le esperienze reali!

Se invece mi godo la lettura dell' Orlando furioso non confondendo Pegaso con un animale reale e non pretendendo quindi di usarlo per volare dal centesimo piano di un grattacielo al centesimo piano di quello di fronte (in assenza della famosa pensilina, manco allucinatoria!) mi faccio solo del bene!



CitazioneVolendo essere sincero (e senza intenzione offensiva alcuna) non posso non dire che l' ultima frase mi sembra proprio quella di un pazzo (o in alternativa di un "virtuosista del sofisma" che compie "acrobatiche arrampicate sugli specchi dialettiche"); purtroppo se non lo dicessi sarei un ipocrita e un mentitore, cosa che non voglio.
Ti ringrazio per la sincerità, spero di essere riuscito almeno un po' a chiarire tanto da non essere considerato un pazzo matricolato (anche se un po' matto lo sono certamente). :)
CitazioneDevo dire che non ci sei riuscito, anche se credo che siamo tutti un po' pazzi, specialmente qui nel forum (tranne chi si dovesse offendere, che escluderei preventivamente dalla generalizzazione).



CitazioneEntrambi fanno parte della realtà e dunque se la realtà diviene deterministicamente sono determinati da- (-le condizioni de-) -la realtà in cui si vengono a trovare.
Ma ciò mi sembra del tutto irrilevante ai fini della distinzione (o confusione) fra realtà e immaginazione.
A mio avviso, come ho detto, quello che fa la differenza è la pretesa di un contenuto assolutamente reale, che ovviamente rende impossibile fin dal principio ogni discussione in merito.
CitazioneLa discussone secondo me potrebbe (in teoria; e "salvo imprevisti o complicazioni") svolgersi comprensibilmente e non come un dialogo fra sordi (ma evidentemente di fatto ci sono "imprevisti o complicazioni") se invece del concetto alquanto problematico di "realtà assoluta" ci si limitasse a considerare quelli di "realtà in quanto oggetto -ente o evento- che esiste o diviene indipendentemente dall' eventuale accadere realmente anche del fatto che sia pensato o meno (es.: il cavallo di mio nonno)" e "realtà unicamente in quanto oggetto di pensiero, che non esisterebbe se non accadesse realmente il fatto che sia pensato e che esiste realmente unicamente nell' ambito del pensiero come suo contenuto (es.: un ippogrifo)".

Se si considera la caratteristica del tutto peculiare di un certo genere di eventi reali, i pensieri (concetti, predicati, discorsi teorie, ecc.), i quali, oltre ad essere reali "di per sé" come tutti gli altri eventi, come tutti gli eventi genericamente intesi, inoltre significano (connotano) altri da loro stessi diversi enti o eventi, dei quali non necessariamente accadono realmente (avverbio pleonastico) anche denotazioni reali.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Duc in altum! il 20 Febbraio 2017, 19:05:09 PM
**  scritto da Eretiko:

CitazioneAncora più assurdo (scientificamente parlando) è ritenere che nei fenomeni fisici intervenga in qualche modo la coscienza umana o che ci sia qualcosa di spirituale.

Ma scientificamente parlando sti fenomeni fisici avranno pure una verità nella loro origine, ecco perciò che l'opinione (che poi diviene fiducia, per mezzo della fede, che poi sviluppa morale, per mezzo della ragione, che poi produce soggettività esistenziale, per mezzo della volontà) è inevitabile e ogni opinione sul loro fondamento assurda.

Non è che la scienza sappia cosa intervenga in qualche modo nei fenomeni fisici, può solo scoprire quel che gli è concesso, per il resto è tutta fede.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 20 Febbraio 2017, 19:17:56 PM
Citazione di: Duc in altum! il 20 Febbraio 2017, 19:05:09 PM
**  scritto da Eretiko:

CitazioneAncora più assurdo (scientificamente parlando) è ritenere che nei fenomeni fisici intervenga in qualche modo la coscienza umana o che ci sia qualcosa di spirituale.

Ma scientificamente parlando sti fenomeni fisici avranno pure una verità nella loro origine, ecco perciò che l'opinione (che poi diviene fiducia, per mezzo della fede, che poi sviluppa morale, per mezzo della ragione, che poi produce soggettività esistenziale, per mezzo della volontà) è inevitabile e ogni opinione sul loro fondamento assurda.

Non è che la scienza sappia cosa intervenga in qualche modo nei fenomeni fisici, può solo scoprire quel che gli è concesso, per il resto è tutta fede.
CitazioneGli eventi fisici (che accadono) accadono indipendentemente da qualsiasi eventuale opinione su di essi.
E hanno un' origine (e una fine; secondo me arbitrariamente stabilibili nell' insieme del divenire naturale: gli eventi -in generale; ma non in particolare se si intende fare scienza- possono essere "ritagliati ad libitum" nel tempo e nello spazio nell' ambito del generale divenire naturale complessivo).

La verità può averla (o meno) un discorso (scientifico o meno) circa gli eventi (fisici; o anche non fisici, che io credo esistano, come per esempio i pensieri, sentimenti, ecc., che non ritengo riducibili in alcun modo, né emergenti in alcun senso dai fatti fisici cerebrali).

La scienza scopre "quel che le é concesso" (quel che può); e se correttamente intesa non pretende di più.
Poi uno può credere per fede quel che vuole (ma allora si tratta di altro e non della scienza).
Mi aspetto la probabile obiezione che anche la scienza si fonda su premesse indimostrabili, e dunque credibili (e di fatto credute) solo per fede (letteralmente).
Preciso dunque che, nel caso della scienza, non si tratta di credere "quel che si vuole" (ad libitum; come nel caso delle religioni e delle superstizioni), ma unicamente che i fenomeni materiali - naturali (contrariamente a quelli mentali) sono intersoggettivi, e che il divenire naturale é ordinato secondo modalità o "leggi" universali e costanti.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Duc in altum! il 20 Febbraio 2017, 19:38:06 PM
**  scritto da sgiombo:
CitazioneGli eventi fisici (che accadono) accadono indipendentemente da qualsiasi eventuale opinione su di essi.
Certo, sono d'accordo con te @sgiombo, ma è l'opinione personale sul perché e come accadono che determinano la nostra esistenza, e non il contrario. E siccome il chi io desidero essere e il cosa io riesco a essere, o il io chi sono poi, in definitiva, sono sentimenti intuitivi o istintivi più elevati di qualsiasi sensazione scientifica, ecco che non ci si può fermare (almeno io) innanzi alla realtà che i fenomeni fisici accadono indipendentemente da qualsiasi opinione.
C'è qualcos'altro, che per adesso la scienza non può scoprire, e non che non esiste questo qualcos'altro, quindi è impossibile scoprirlo.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 20 Febbraio 2017, 21:45:56 PM
Citazione di: Duc in altum! il 20 Febbraio 2017, 19:38:06 PM
**  scritto da sgiombo:
CitazioneGli eventi fisici (che accadono) accadono indipendentemente da qualsiasi eventuale opinione su di essi.
Certo, sono d'accordo con te @sgiombo, ma è l'opinione personale sul perché e come accadono che determinano la nostra esistenza, e non il contrario. E siccome il chi io desidero essere e il cosa io riesco a essere, o il io chi sono poi, in definitiva, sono sentimenti intuitivi o istintivi più elevati di qualsiasi sensazione scientifica, ecco che non ci si può fermare (almeno io) innanzi alla realtà che i fenomeni fisici accadono indipendentemente da qualsiasi opinione.
C'è qualcos'altro, che per adesso la scienza non può scoprire, e non che non esiste questo qualcos'altro, quindi è impossibile scoprirlo.
CitazioneStrani questi accordi fra noi due (ovvero: statisticamente rari, improbabili).

A parte questa battuta che vorrebbe essere simpatica (e spero ci riesca), c' é certamente qualcos' altro di naturale che la scienza non ha scoperto e che potrebbe scoprire in futuro.
Ma se inoltre (come tu credi e io no) c' é anche qualcos' altro di soprannaturale e di credibile per fede e non per osservazione empirica e ragionamento logico (necessitanti la fede nell' intersoggettività dei fenomeni naturali e nel loro divenire ordinato), allora questo la scienza non potrà mai scoprirlo: per dirlo con le tue parole, fa parte di ciò che non le é concesso.
Comunque per parte mia credo ci sia anche qualcos' altro che la scienza non potrà mai conoscere e spiegare "alla sua maniera" anche se non é soprannaturale e se é constatabile empiricamente; si tratta della mente, del pensiero, che non ritengo riducibile alla, né emergente dalla materia (cerebrale).
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Duc in altum! il 20 Febbraio 2017, 22:57:18 PM
**  scritto da sgiombo:
CitazioneStrani questi accordi fra noi due (ovvero: statisticamente rari, improbabili).
Anche Saulo si accordò con Pietro, Giovanni e Giacomo: statisticamente, allora, molto raro, e più che improbabile quando partì sulla via di Damasco.

CitazioneMa se inoltre (come tu credi e io no) c' é anche qualcos' altro di soprannaturale e di credibile per fede e non per osservazione empirica e ragionamento logico (necessitanti la fede nell' intersoggettività dei fenomeni naturali e nel loro divenire ordinato), allora questo la scienza non potrà mai scoprirlo: per dirlo con le tue parole, fa parte di ciò che non le é concesso.
Perché no? Io non ho nessun problema a "immaginare" che la scienza tra duemila anni incontri la prova inconfutabile che: sì è vero, il big bang è stato un colpo di fortuna.
Nella stessa maniera, dovesse esserci lo zampino di una mente scientificamente sacerdotale, ad aver fatto partire il Tutto a noi conosciuto, allora lo stesso la scienza terrestre lo scoprirebbe quando questa glie lo permetterà come gran galà del suo progetto/show.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: acquario69 il 21 Febbraio 2017, 04:05:25 AM
Citazione di: Eretiko il 20 Febbraio 2017, 13:10:01 PM
Mi permetto di fare 2 osservazioni.

1) E' ovvio che la scienza non "inventa" le leggi di natura, ma le scopre: è la sua missione. Ma il fatto che queste leggi di natura siano insite, appunto, nell'universo, non significa che noi le conosciamo da sempre, e soprattutto non è semplice scoprirle.

2) Capisco che la meccanica quantistica possa favorire certe suggestioni, ma è importante sempre saper distinguere verità di scienza da semplici ipotesi o opinioni personali. In particolare che l'universo sia "olistico" è solo l'opinione di qualcuno, e non è "verità scientifica", anche perché se fosse vero non si potrebbe fare nessuna "scienza". Ancora più assurdo (scientificamente parlando) è ritenere che nei fenomeni fisici intervenga in qualche modo la coscienza umana o che ci sia qualcosa di spirituale.

1)
Se non si può dubitare sul fatto che esistano (da sempre) principi fissi ed immutabili allora e' a questi che dovrò innanzitutto fare riferimento e ricollegarlo a tutto il resto e non considerarli come qualcosa di staccato e indipendente,(o addirittura inesistente, come penso non si raffiguravano i "vecchi scienziati") perche poi succede che credendo di esserne separato saro' di nuovo costretto a "scoprirle"...come un cane che rincorre la propria coda,ritenendo che sia una parte diversa da lui, mentre la coda e' parte stessa del cane..
la parte non può avere significato per se stesso ma solo in relazione al Tutto.

Questo essendo appunto e analogamente un principio immutabile,poiche imprescindibile, era cosa conosciuta da sempre, magari non solo razionalmente o nella concezione esclusivamente strumentale e utilitaristica di questa, ma "spontaneamente" perché l'ordine non era ancora stato invertito, ossia l'uomo non si sentiva (e lo comprendeva benissimo) di non essere lui al centro dell'universo


2)
sulle le presunte suggestioni sarebbe interessante sapere cosa ne penserebbero scienziati del calibro di David bhom (uno a caso)

Ad ogni modo cio che si manifesta non lo si può riscontrare soltanto attraverso i nostri sensi, o alla maniera empirica. 
ma per comprendere questo bisogna intuirne l'Unita intrinseca,e ne e' propria del prenderne coscienza non essendone un fattore separato.

Per me la discussione si chiude qui.
Grazie
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 21 Febbraio 2017, 17:13:26 PM
Citazione di: Duc in altum! il 20 Febbraio 2017, 22:57:18 PM
**  scritto da sgiombo:
CitazioneStrani questi accordi fra noi due (ovvero: statisticamente rari, improbabili).
Anche Saulo si accordò con Pietro, Giovanni e Giacomo: statisticamente, allora, molto raro, e più che improbabile quando partì sulla via di Damasco.
CitazioneBeh, per parte mia credo che potrei al più accordarmi con Aldo, Giovanni e Giacomo!
(Per una particina o una comparsata in un flim comico, o meglio per un abbonamento gratis ai loro spettacoli).




CitazioneMa se inoltre (come tu credi e io no) c' é anche qualcos' altro di soprannaturale e di credibile per fede e non per osservazione empirica e ragionamento logico (necessitanti la fede nell' intersoggettività dei fenomeni naturali e nel loro divenire ordinato), allora questo la scienza non potrà mai scoprirlo: per dirlo con le tue parole, fa parte di ciò che non le é concesso.
Perché no? Io non ho nessun problema a "immaginare" che la scienza tra duemila anni incontri la prova inconfutabile che: sì è vero, il big bang è stato un colpo di fortuna.
Nella stessa maniera, dovesse esserci lo zampino di una mente scientificamente sacerdotale, ad aver fatto partire il Tutto a noi conosciuto, allora lo stesso la scienza terrestre lo scoprirebbe quando questa glie lo permetterà come gran galà del suo progetto/show.
CitazionePerché la scienza si occupa di natura e non del (persunto, per quanto mi riguarda) "soprannaturale".
Essa non si basa su rivelazioni (nel finale dello show o meno) da parte di presunte "menti sacerdotali che avrebbero fatto partire il tutto": questo é ciò che fanno invece le religioni (del tutto legittimamente, sia chiaro, anche se personalmente altrettanto legittimamente me ne tengo accuratamente alla larga).
Quella del Big bang non é una teoria scientifica indiscussa e consolidata e per quanto mi riguarda ne diffido moltissimo (trovo che fa acqua da tutte le parti).


Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 21 Febbraio 2017, 17:29:21 PM
Citazione di: acquario69 il 21 Febbraio 2017, 04:05:25 AM
Citazione di: Eretiko il 20 Febbraio 2017, 13:10:01 PM
Mi permetto di fare 2 osservazioni.

1) E' ovvio che la scienza non "inventa" le leggi di natura, ma le scopre: è la sua missione. Ma il fatto che queste leggi di natura siano insite, appunto, nell'universo, non significa che noi le conosciamo da sempre, e soprattutto non è semplice scoprirle.

2) Capisco che la meccanica quantistica possa favorire certe suggestioni, ma è importante sempre saper distinguere verità di scienza da semplici ipotesi o opinioni personali. In particolare che l'universo sia "olistico" è solo l'opinione di qualcuno, e non è "verità scientifica", anche perché se fosse vero non si potrebbe fare nessuna "scienza". Ancora più assurdo (scientificamente parlando) è ritenere che nei fenomeni fisici intervenga in qualche modo la coscienza umana o che ci sia qualcosa di spirituale.

1)
Se non si può dubitare sul fatto che esistano (da sempre) principi fissi ed immutabili allora e' a questi che dovrò innanzitutto fare riferimento e ricollegarlo a tutto il resto e non considerarli come qualcosa di staccato e indipendente,(o addirittura inesistente, come penso non si raffiguravano i "vecchi scienziati") perche poi succede che credendo di esserne separato saro' di nuovo costretto a "scoprirle"...come un cane che rincorre la propria coda,ritenendo che sia una parte diversa da lui, mentre la coda e' parte stessa del cane..
la parte non può avere significato per se stesso ma solo in relazione al Tutto.

Questo essendo appunto e analogamente un principio immutabile,poiche imprescindibile, era cosa conosciuta da sempre, magari non solo razionalmente o nella concezione esclusivamente strumentale e utilitaristica di questa, ma "spontaneamente" perché l'ordine non era ancora stato invertito, ossia l'uomo non si sentiva (e lo comprendeva benissimo) di non essere lui al centro dell'universo
CitazioneMi scuso se aggiungo due critiche (per me necessarie).

Beh, che prima di Copernico per vari secoli L' uomo non si sentisse al centro dell' universo (e lo comprendesse benissimo) non lo credo proprio!
Vedi fra il tantissimo altro la Divina Commedia.

Distinguere =/= da separare fisicamente.
Per conoscere qualcosa di cui si fa parte é necessario distinguersi dal resto di tale "qualcosa"; col che non é che ci si estrania da esso e ci si impedisce di conoscerlo, anzi si pongono le premesse per conoscerlo meglio!


2)
sulle le presunte suggestioni sarebbe interessante sapere cosa ne penserebbero scienziati del calibro di David bhom (uno a caso)

Ad ogni modo cio che si manifesta non lo si può riscontrare soltanto attraverso i nostri sensi, o alla maniera empirica.
ma per comprendere questo bisogna intuirne l'Unita intrinseca,e ne e' propria del prenderne coscienza non essendone un fattore separato.

Per me la discussione si chiude qui.
Grazie
CitazioneNon é che uno scienziato, anche grandissimo, sia da considerare una sorta di oracolo.
Questo é un atteggiamento religioso, non scientifico (ma forse non era ciò che intendevi dire: é certamente interessante conoscere le opinioni di tantissimi pensatori; anche di Schroedinger, per esempio, o di Einstein -"Dio non gioca a dadi"- fra i tantissimi altri; anche del "primo Bohm" degli anni '50).

L' Unità intrinseca"  (con l' iniziale maiuscola!) la trovo un concetto oscuro e alquanto misticheggiante.
Comunque nemmeno io penso che esistano soltanto fenomeni materiali che si manifestano attraverso i sensi fisici ma anche (altrettanto reali! Anche se non intersoggettivi ma solo soggettivi) i fenomeni mentali che si manifestano nei pensieri, sentimenti, "stati d' animo", ecc.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: acquario69 il 22 Febbraio 2017, 04:33:14 AM
CitazioneMi scuso se aggiungo due critiche (per me necessarie).

Beh, che prima di Copernico per vari secoli L' uomo non si sentisse al centro dell' universo (e lo comprendesse benissimo) non lo credo proprio!
Vedi fra il tantissimo altro la Divina Commedia.

Distinguere =/= da separare fisicamente.
Per conoscere qualcosa di cui si fa parte é necessario distinguersi dal resto di tale "qualcosa"; col che non é che ci si estrania da esso e ci si impedisce di conoscerlo, anzi si pongono le premesse per conoscerlo meglio!


L' Unità intrinseca"  (con l' iniziale maiuscola!) la trovo un concetto oscuro e alquanto misticheggiante.

Comunque nemmeno io penso che esistano soltanto fenomeni materiali che si manifestano attraverso i sensi fisici ma anche (altrettanto reali! Anche se non intersoggettivi ma solo soggettivi) i fenomeni mentali che si manifestano nei pensieri, sentimenti, "stati d' animo", ecc.

Sgiombo l'individualismo e' venuto fuori dopo il medioevo e si e' progressivamente radicato,fino ad arrivare ai nostri giorni all'individuo atomo e assoluto.
L'individuo non era e non si sentiva "separato" dai suoi simili o da tutto cio che lo circondava...la sua concezione era di tipo organico e/o olistico.

Quando per esempio me ne esco fuori con le mie frasi "oscure e misticheggianti"..tipo sotto, (qualora l'hai ritenuta tale anche quella)

la parte non può avere significato per se stesso ma solo in relazione al Tutto.

Riprende esattamente anche questa considerazione.

Ora io non nego affatto l'importanza del singolo individuo,e della sua distinzione naturale e necessaria come per l'appunto sono sicuro che non lo facesse nemmeno l'umanità premoderna..Ma quando a questa,viene meno,ed anzi viene pressoché eliminata diciamo la sua controparte essenziale,da cui in realtà proviene e dipende (cioè il Tutto) allora significa semplicemente che l'individuo non ha nemmeno più senso,perde proprio il suo significato, diventa "niente"..tante' vero che avrebbe poi inevitabilmente sfociato nell'attuale nichilismo, che si associa parallelamente in egual misura all'atomismo di sopra e che nel suo processo inarrestabile sta ora emergendo la fase della sua stessa "polverizzazione" (a me piace definirlo stato gassoso,che viene subito dopo a quello liquido -Bauman-)

La frase "misticheggiante" (e sui presunti mistici ci sarebbero una vagonata di pregiudizi del tutto infondati e ce da chiedersi se "l'oscurita" non riguardi piuttosto gli altri) e' in realtà qualcosa di rigorosamente logico e per nulla oscuro e che collega tante cose insieme per ricomprenderle tutte simultaneamente.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 22 Febbraio 2017, 08:56:35 AM
Citazione di: acquario69 il 22 Febbraio 2017, 04:33:14 AM
CitazioneMi scuso se aggiungo due critiche (per me necessarie).

Beh, che prima di Copernico per vari secoli L' uomo non si sentisse al centro dell' universo (e lo comprendesse benissimo) non lo credo proprio!
Vedi fra il tantissimo altro la Divina Commedia.

Distinguere =/= da separare fisicamente.
Per conoscere qualcosa di cui si fa parte é necessario distinguersi dal resto di tale "qualcosa"; col che non é che ci si estrania da esso e ci si impedisce di conoscerlo, anzi si pongono le premesse per conoscerlo meglio!


L' Unità intrinseca"  (con l' iniziale maiuscola!) la trovo un concetto oscuro e alquanto misticheggiante.

Comunque nemmeno io penso che esistano soltanto fenomeni materiali che si manifestano attraverso i sensi fisici ma anche (altrettanto reali! Anche se non intersoggettivi ma solo soggettivi) i fenomeni mentali che si manifestano nei pensieri, sentimenti, "stati d' animo", ecc.

Sgiombo l'individualismo e' venuto fuori dopo il medioevo e si e' progressivamente radicato,fino ad arrivare ai nostri giorni all'individuo atomo e assoluto.
L'individuo non era e non si sentiva "separato" dai suoi simili o da tutto cio che lo circondava...la sua concezione era di tipo organico e/o olistico.

Quando per esempio me ne esco fuori con le mie frasi "oscure e misticheggianti"..tipo sotto, (qualora l'hai ritenuta tale anche quella)

la parte non può avere significato per se stesso ma solo in relazione al Tutto.

Riprende esattamente anche questa considerazione.

Ora io non nego affatto l'importanza del singolo individuo,e della sua distinzione naturale e necessaria come per l'appunto sono sicuro che non lo facesse nemmeno l'umanità premoderna..Ma quando a questa,viene meno,ed anzi viene pressoché eliminata diciamo la sua controparte essenziale,da cui in realtà proviene e dipende (cioè il Tutto) allora significa semplicemente che l'individuo non ha nemmeno più senso,perde proprio il suo significato, diventa "niente"..tante' vero che avrebbe poi inevitabilmente sfociato nell'attuale nichilismo, che si associa parallelamente in egual misura all'atomismo di sopra e che nel suo processo inarrestabile sta ora emergendo la fase della sua stessa "polverizzazione" (a me piace definirlo stato gassoso,che viene subito dopo a quello liquido -Bauman-)

La frase "misticheggiante" (e sui presunti mistici ci sarebbero una vagonata di pregiudizi del tutto infondati e ce da chiedersi se "l'oscurita" non riguardi piuttosto gli altri) e' in realtà qualcosa di rigorosamente logico e per nulla oscuro e che collega tante cose insieme per ricomprenderle tutte simultaneamente.
CitazioneIndividualisti e nichilisti ce ne sono stati in tutti i tempi, anche se ce ne sono arrivate scarsissime testimonianze (per esempio probabilmente erano tali molti dei sofisti ai tempi di Socrate).

Ma io avevo negato la tua affermazione che "[in era pre-moderna] l'uomo si sentiva (e lo comprendeva benissimo) di non essere lui al centro dell'universo".

Si, ritengo decisamente misticheggiante anche l' "olismo" (più che legittimo, esattamente come anche il fatto di detestarlo e ritenerlo irrazionalistico e misticheggiante, ovviamente); e dunque dissento completamente dalle tue affermazioni in proposito

Da marxista ritengo che le cause reali del diffondersi (anche, non solo) attuale del nichilismo e dell' individualismo siano ben altre, strutturali, legate al persistere di rapporti di produzione capitalistici oggettivamente di gran lunga superati dalle sviluppo delle forze produttive.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Duc in altum! il 22 Febbraio 2017, 10:03:18 AM
**  scritto da sgiombo:
CitazionePerché la scienza si occupa di natura e non del (persunto, per quanto mi riguarda) "soprannaturale".
Essa non si basa su rivelazioni (nel finale dello show o meno) da parte di presunte "menti sacerdotali che avrebbero fatto partire il tutto"
Ma già la natura, dal momento che non sappiamo come e perché si sia "ordinata", è qualcosa di soprannaturale.
La scienza, per esempio, studia e ci spiega Saturno, ma come davvero Saturno sia giunto lì (e perché lì e non al posto di Marte), la scienza non lo sa, intanto però si basa su questa rivelazione irrisolta.

La scienza, alla domanda della discussione: Perché c'è qualcosa anziché il nulla?, quesito basilare della natura di cui si occupa, può replicare, così come ognuno di noi, solo con una ragione di fede, solo con una probabile teoria, che in termini pratici però, e non è una cosa da poco, diviene la soluzione personale al perché io esisto, come mai ci sono, condizionando, soprattutto nelle relazioni, tutta la nostra esistenza e il vero senso della vita che, come tu ben sostieni, accade indipendentemente da qualsiasi eventuale opinione su di esso, che continua a realizzarsi, anche se noi non centriamo il suo bersaglio.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: InVerno il 22 Febbraio 2017, 11:26:40 AM
Citazione di: acquario69 il 22 Febbraio 2017, 04:33:14 AM
Sgiombo l'individualismo e' venuto fuori dopo il medioevo e si e' progressivamente radicato,fino ad arrivare ai nostri giorni all'individuo atomo e assoluto.
L'individuo non era e non si sentiva "separato" dai suoi simili o da tutto cio che lo circondava...la sua concezione era di tipo organico e/o olistico.
L'individualismo( non la solitudine o l'esistenzialismo) non è un incidente di percorso, come essere umano hai la possibilità di coltivare relazioni personali significative al massimo con cento-centocinquanta persone, ma più probabilmente le mantieni con un numero molto più basso che corrisponde alla tua cerchia familiare, o ti attieni al galateo di Kant che non voleva ci fossero più di 13 persone a tavola per giusti e ovvi motivi. I miti e le ideologie hanno costruito identità più ampie ma sempre settarie e legate a confini ideologici o nazionali o religiosi. Se oggi le persone non legassero con il "tutto", con il loro "essere tutti umani" non si spiegherebbe come da qualche anno il numero di suicidi ha superato il numero di morti in guerra, e come invece i guerrafondai medievali fossero cosi legati con il tutto da massacrare le persone oltre ad un determinato e arbitriario confine e farne dell'atto in se motivo di gloria e successo. La violenza imperante del mondo premoderno non si sposa esattamente con la visione di "stare tutti sulla stessa barca", e non mi addentro riguardo ai vari "Tutto" trascendentali perchè in ogni caso hanno fallito nel fungere da collante sociale. Se l'unico argomento contro la storia è la supposta capacità di "immedesimarsi nella mente del contadino medievale" e da li trarre conclusioni riguardo il suo individualismo, stiamo freschi?
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 22 Febbraio 2017, 13:00:37 PM
Citazione di: Duc in altum! il 22 Febbraio 2017, 10:03:18 AM
**  scritto da sgiombo:
CitazionePerché la scienza si occupa di natura e non del (persunto, per quanto mi riguarda) "soprannaturale".
Essa non si basa su rivelazioni (nel finale dello show o meno) da parte di presunte "menti sacerdotali che avrebbero fatto partire il tutto"
Ma già la natura, dal momento che non sappiamo come e perché si sia "ordinata", è qualcosa di soprannaturale.
La scienza, per esempio, studia e ci spiega Saturno, ma come davvero Saturno sia giunto lì (e perché lì e non al posto di Marte), la scienza non lo sa, intanto però si basa su questa rivelazione irrisolta.

La scienza, alla domanda della discussione: Perché c'è qualcosa anziché il nulla?, quesito basilare della natura di cui si occupa, può replicare, così come ognuno di noi, solo con una ragione di fede, solo con una probabile teoria, che in termini pratici però, e non è una cosa da poco, diviene la soluzione personale al perché io esisto, come mai ci sono, condizionando, soprattutto nelle relazioni, tutta la nostra esistenza e il vero senso della vita che, come tu ben sostieni, accade indipendentemente da qualsiasi eventuale opinione su di esso, che continua a realizzarsi, anche se noi non centriamo il suo bersaglio.

CitazioneIl fatto é che, come hai scritto tu stesso, "la scienza fa quel che può" (come ogni altra iniziativa o attività umana).

Dunque non può risolvere problemi filosofici come quello del "perché c' é qualcosa anziché il nulla".

Né ha mai preteso di essere onnisciente anche solo in quello che é il suo campo di indagine, cioé la natura (casomai l' ha preteso o pretende -indebitamente- qualche filosofo scientista).

Ma non per questo, né per il fatto che non sappiamo perché la natura é ordinata (nè abbiamo certerzza assoluta, indubitabile che lo sia; mentre sul come lo sia -se lo é; se determinati assunti indimostrabili sono veri- la scienza sa non poco) non ne fa qualcosa di "soprannaturale" (affermare che la natura sia soprannaturale é fra l' altro una contraddizione).
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 24 Febbraio 2017, 21:49:46 PM
Citazione di: sgiombo il 20 Febbraio 2017, 18:59:31 PM
Quel qualcosa di reale, se il predicato "esiste realmente un certo cavallo" è vero, era appunto il cavallo (successivamente) denotato dal concetto di "cavallo" (indipendentemente dal fatto che questa predicazione sia fatta "fra sé e sé" o sia manifestata e condivisa pubblicamente; la qual cosa può casomai aumentare la fondatezza o la credibilità del predicato, in virtù dell' intersoggettività dell' osservazione che ne può dare conferma, ma non la sua verità).
Ma non c'è nessun cavallo, c'è qualcosa che sta accadendo e in questo qualcosa non c'è ancora né un soggetto (ad esempio tu che vedi il cavallo) né un oggetto (appunto il cavallo). Quando il cavallo appare come significato di questo accadere, appare anche il significato di te come soggetto, ma quello che è accaduto non c'è più. Quando il significato "cavallo" appare (che, ripeto non è ciò che originariamente è accaduto, ma l'evocazione di quel qualcosa che è originariamente accaduto) allora vale la coerenza di ciò che dici ed entra in gioco il potere denotativo del linguaggio, che non denota però quello che realmente è accaduto, ma il significato di ciò che è accaduto, riferendolo a te come soggetto che nell'accadere immediato e originario non c'eri.
A un bambino che non ha mai visto un cavallo, ad esempio un bambino molto piccolo, puoi essere sicuro che il cavallo non appare come a te, perché non ne ha il significato che ne hai tu e il significato che vedi tu che intendi la parola "cavallo" per come essa è divenuta contrassegno evocativo di tutta una serie di esperienze che hai vissuto non è quello che vede lui pur essendo per entrambi assolutamente reale. E quello che sente lui che non vede distinguendoli né un cavallo né se stesso soggetto di quel vedere, non è per nulla meno reale di quello che vedi tu in tutta chiarezza, ossia che ci sei tu con davanti, ben distinto e separato, un bel cavallo.

CitazioneNo, guarda che se la passerella è un' allucinazione, allora non c' è "mantenersi nei pressi del proprio saper vivere pur volendolo conoscere", non c' è "costruzione della propria conoscenza (so di sapere) per poterla sempre decostruire (non so di sapere)" che tenga: se si pretende di andare al centesimo piano del grattacielo di fronte ci si sfracella inesorabilmente; solo se la passerella è reale, si può sperare di arrivarci sani e salvi (a parte eventuali incidenti di percorso).
L'allucinazione la valuti tale dall'esterno, in ragione dei significati che richiamano le tue esperienze che sono state condivise e riflesse da altri soggetti. In ogni caso non c'è proprio nessuna passerella in sé, c'è qualcosa che accade e che significa: sono una passerella, ci sono io e ci sei tu, se vuoi puoi usarmi per passare oltre". Nessuna allucinazione il soggetto la intende come qualcosa di inesistente (nessun soggetto ha mai pensato: questa passerella è un'allucinazione, ma ci passo sopra lo stesso), sono gli altri che non vedendo alcun accaduto che abbia il significato di passerella pensano che la tua sia un'allucinazione.
Solo in funzione di una diversa esperienza dei significati si può parlare di allucinazioni, non di cose di per se stesse reali o meno, perché quello che effettivamente sperimentiamo è l'accadere di qualcosa che si rappresenta in forma di significato riflesso alla luce di esperienze di prassi fatte con altri e condivise con altri grazie alle quali abbiamo imparato a conoscere e a muoverci nel mondo in un modo che si ritiene affidabile, ossia in generale prevedibilmente sicuro. Al di fuori di questa condivisibilità non c'è nessuna realtà "esterna" a cui si abbia accesso.

CitazioneLa discussone secondo me potrebbe (in teoria; e "salvo imprevisti o complicazioni") svolgersi comprensibilmente e non come un dialogo fra sordi (ma evidentemente di fatto ci sono "imprevisti o complicazioni") se invece del concetto alquanto problematico di "realtà assoluta" ci si limitasse a considerare quelli di "realtà in quanto oggetto -ente o evento- che esiste o diviene indipendentemente dall' eventuale accadere realmente anche del fatto che sia pensato o meno (es.: il cavallo di mio nonno)" e "realtà unicamente in quanto oggetto di pensiero, che non esisterebbe se non accadesse realmente il fatto che sia pensato e che esiste realmente unicamente nell' ambito del pensiero come suo contenuto (es.: un ippogrifo)".

Se si considera la caratteristica del tutto peculiare di un certo genere di eventi reali, i pensieri (concetti, predicati, discorsi teorie, ecc.), i quali, oltre ad essere reali "di per sé" come tutti gli altri eventi, come tutti gli eventi genericamente intesi, inoltre significano (connotano) altri da loro stessi diversi enti o eventi, dei quali non necessariamente accadono realmente (avverbio pleonastico) anche denotazioni reali.
Ma ho forse detto che la realtà esiste solo come prodotto del pensiero? Mi pare l'esatto contrario, ho affermato che la realtà proprio in quanto ci si presenta come rappresentazione mentale (comunque, anche quando dici che il monte Cervino c'è anche se non lo si percepisce, contraddicendo l'esse est percipi, stai dando una rappresentazione mentale di quel monte) falsifica non una fantomatica "realtà assoluta", ma quell'evento che accade. La realtà assoluta sono d'accordissimo con te a lasciarla stare, perché non la possiamo né vedere né concepire e nemmeno avvicinare più o meno e questo per il fatto banale che ne facciamo parte, quindi non possiamo porci all'esterno di essa per darci un attimo un'occhiata e dire com'è. Quello che diciamo parla solo dei significati delle cose ("cavallo" è significato di qualcosa che accade) e i significati non sono le cose, ma solo segni che per dirceli traduciamo con altri segni vocali o grafici come qui, sperando risultino almeno un po' condivisibili in un senso che restituisce e mantiene il senso di noi stessi. 
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 24 Febbraio 2017, 22:47:21 PM
Citazione di: maral il 24 Febbraio 2017, 21:49:46 PM
Citazione di: sgiombo il 20 Febbraio 2017, 18:59:31 PM
Quel qualcosa di reale, se il predicato "esiste realmente un certo cavallo" è vero, era appunto il cavallo (successivamente) denotato dal concetto di "cavallo" (indipendentemente dal fatto che questa predicazione sia fatta "fra sé e sé" o sia manifestata e condivisa pubblicamente; la qual cosa può casomai aumentare la fondatezza o la credibilità del predicato, in virtù dell' intersoggettività dell' osservazione che ne può dare conferma, ma non la sua verità).
Ma non c'è nessun cavallo, c'è qualcosa che sta accadendo e in questo qualcosa non c'è ancora né un soggetto (ad esempio tu che vedi il cavallo) né un oggetto (appunto il cavallo).
CitazioneTi raccomando, quando vedi un cavallo e dunque secondo te "non c' é nessun cavallo reale", di non innervosire il cavallo per te inesistente e comunque di stare alla larga dalle sue "inesistenti" zampe posteriori: conosco persone (esistenti) che si sono prese terribili calcioni (reali) da cavalli reali.





Quando il cavallo appare come significato di questo accadere, appare anche il significato di te come soggetto, ma quello che è accaduto non c'è più. Quando il significato "cavallo" appare (che, ripeto non è ciò che originariamente è accaduto, ma l'evocazione di quel qualcosa che è originariamente accaduto) allora vale la coerenza di ciò che dici ed entra in gioco il potere denotativo del linguaggio, che non denota però quello che realmente è accaduto, ma il significato di ciò che è accaduto, riferendolo a te come soggetto che nell'accadere immediato e originario non c'eri.
CitazioneSe intendi dre che esistenza reale del cavallo e pensiero reale del cavallo sono due diversi fatti reali sono d' accordo.
Ma per definizione sei il predicato (reale) "esiste questo cavallo" é vero, allora esiste realmente anche questo cavallo.
A un bambino che non ha mai visto un cavallo, ad esempio un bambino molto piccolo, puoi essere sicuro che il cavallo non appare come a te, perché non ne ha il significato che ne hai tu e il significato che vedi tu che intendi la parola "cavallo" per come essa è divenuta contrassegno evocativo di tutta una serie di esperienze che hai vissuto non è quello che vede lui pur essendo per entrambi assolutamente reale. E quello che sente lui che non vede distinguendoli né un cavallo né se stesso soggetto di quel vedere, non è per nulla meno reale di quello che vedi tu in tutta chiarezza, ossia che ci sei tu con davanti, ben distinto e separato, un bel cavallo.
CitazioneChe di enti ed eventi reali si possano dare interpretazioni diverse e più o meno vere, avere conoscenze vere più o meno limitate, illusorie convinzioni più o meno false non fa sì che enti ed eventi reali (i soliti cavalli) siano tali nello stesso modo (illusorio) in cui lo sono enti ed eventi di fantasia (i soliti ippogrifi).




CitazioneNo, guarda che se la passerella è un' allucinazione, allora non c' è "mantenersi nei pressi del proprio saper vivere pur volendolo conoscere", non c' è "costruzione della propria conoscenza (so di sapere) per poterla sempre decostruire (non so di sapere)" che tenga: se si pretende di andare al centesimo piano del grattacielo di fronte ci si sfracella inesorabilmente; solo se la passerella è reale, si può sperare di arrivarci sani e salvi (a parte eventuali incidenti di percorso).
L'allucinazione la valuti tale dall'esterno, in ragione dei significati che richiamano le tue esperienze che sono state condivise e riflesse da altri soggetti. In ogni caso non c'è proprio nessuna passerella in sé, c'è qualcosa che accade e che significa: sono una passerella, ci sono io e ci sei tu, se vuoi puoi usarmi per passare oltre". Nessuna allucinazione il soggetto la intende come qualcosa di inesistente (nessun soggetto ha mai pensato: questa passerella è un'allucinazione, ma ci passo sopra lo stesso), sono gli altri che non vedendo alcun accaduto che abbia il significato di passerella pensano che la tua sia un'allucinazione.
Solo in funzione di una diversa esperienza dei significati si può parlare di allucinazioni, non di cose di per se stesse reali o meno, perché quello che effettivamente sperimentiamo è l'accadere di qualcosa che si rappresenta in forma di significato riflesso alla luce di esperienze di prassi fatte con altri e condivise con altri grazie alle quali abbiamo imparato a conoscere e a muoverci nel mondo in un modo che si ritiene affidabile, ossia in generale prevedibilmente sicuro. Al di fuori di questa condivisibilità non c'è nessuna realtà "esterna" a cui si abbia accesso.
CitazionePurtroppo invece ci sono state (realmente) persone (sotto allucinogeni) che hanno avuto allucinazioni di passerelle fra la finestra al centesimo piano del loro grattacielo e quella dell' edificio di fronte e hanno cercato di passarci su; e poiché purtroppo, malgrado qualsiasi possibile "diversa esperienza dei significati che si rappresenta in forma di significato riflesso alla luce di esperienze di prassi fatte con altri e condivise con altri, ecc.", passerelle reali e passerelle immaginarie non sono affatto entrambe "qualcosa che accade e che significa: sono una passerella, ci sono io e ci sei tu, se vuoi puoi usarmi per passare oltre", ma lo sono solo quelle reali, si sono inesorabilmente schiantate al suolo (un po' come -ma con conseguenze reali ben più gravi- quelli che credendo allucinatori dei cavalli reali si sono beccati dei terribili calcioni).




CitazioneLa discussone secondo me potrebbe (in teoria; e "salvo imprevisti o complicazioni") svolgersi comprensibilmente e non come un dialogo fra sordi (ma evidentemente di fatto ci sono "imprevisti o complicazioni") se invece del concetto alquanto problematico di "realtà assoluta" ci si limitasse a considerare quelli di "realtà in quanto oggetto -ente o evento- che esiste o diviene indipendentemente dall' eventuale accadere realmente anche del fatto che sia pensato o meno (es.: il cavallo di mio nonno)" e "realtà unicamente in quanto oggetto di pensiero, che non esisterebbe se non accadesse realmente il fatto che sia pensato e che esiste realmente unicamente nell' ambito del pensiero come suo contenuto (es.: un ippogrifo)".

Se si considera la caratteristica del tutto peculiare di un certo genere di eventi reali, i pensieri (concetti, predicati, discorsi teorie, ecc.), i quali, oltre ad essere reali "di per sé" come tutti gli altri eventi, come tutti gli eventi genericamente intesi, inoltre significano (connotano) altri da loro stessi diversi enti o eventi, dei quali non necessariamente accadono realmente (avverbio pleonastico) anche denotazioni reali.
Ma ho forse detto che la realtà esiste solo come prodotto del pensiero?
CitazioneMi sembra proprio di sì!

Mi pare l'esatto contrario, ho affermato che la realtà proprio in quanto ci si presenta come rappresentazione mentale (comunque, anche quando dici che il monte Cervino c'è anche se non lo si percepisce, contraddicendo l'esse est percipi, stai dando una rappresentazione mentale di quel monte) falsifica non una fantomatica "realtà assoluta", ma quell'evento che accade. La realtà assoluta sono d'accordissimo con te a lasciarla stare, perché non la possiamo né vedere né concepire e nemmeno avvicinare più o meno e questo per il fatto banale che ne facciamo parte, quindi non possiamo porci all'esterno di essa per darci un attimo un'occhiata e dire com'è. Quello che diciamo parla solo dei significati delle cose ("cavallo" è significato di qualcosa che accade) e i significati non sono le cose, ma solo segni che per dirceli traduciamo con altri segni vocali o grafici come qui, sperando risultino almeno un po' condivisibili in un senso che restituisce e mantiene il senso di noi stessi.
CitazioneGiusta osservazione.
Quando dico che il Cervino c' é anche quando non lo vedevo perché non c' ero intendo non letteralmente le percezioni fenomeniche che lo costituiscono, ma invece qualcosa di in sé che ad esse corrisponde biunivocamente e la cui realtà é necessario sia in determinate relazioni con quella dei soggetti di esperienza affinché questi abbiano l' esperienza del (=accada nella loro coscienza l' esistenza del) Cervino.

Però quello che diciamo parla anche (non sempre; a volte sì, a volte no, a seconda dei casi) di enti ed eventi reali, significati dai concetti che li denotano (il cavallo reale dal concetto del "cavallo reale").

Aggiunta"del giorno dopo":
Ripensandoci (la notte porta consiglio) ho quasi l' impressione che il tuo sia un modo di dire sostanzialmente le stesse cose che penso io ma con un linguaggio forzatamente "tecnico" (proprio forse di qualche scuola filosofica attuale) a cui mi sembri molto affezionato.

Non ho mai negato, anzi ho sempre baldanzosamente affermato (mi piace molto scandalizzare i ben pensanti in tutti i campi) che "esse est percipi" (Berkeley) e dunque le cose come il monte Cervino esistono realmente solo in quanto sono percepite (allorché e fintanto che accadono le sensazioni da cui unicamente sono costituiti).

Però, se é vera la conoscenza scientifica (come credo di fatto) c' é una bella differenza fra sogni, allucinazioni, fantasie (artistiche o meno) da una parte e realtà "autentica" (materiale) dall' altra: questa si può ammettere (non dimostrare né tantomeno mostrare) che sia intersoggettiva e accada con una certa regolarità e costanza in determinate circostanze in modo da tutti constatabile (verificabile); mentre quelle (pur essendo ugualmente fenomeniche) accadono solo soggettivamente e in certe circostanze particolari (sonno, allucinazioni, ispirazione artistica, ecc.) non essendo possible rilevarne la conformità con (integrarle ne-) la "concatenazione causale (considerabile propria, sia pure indimostrabilmente: Hume!)" della realtà (materiale) autentica, cosicché non subiscono le trasformazioni naturali proprie di essa ma semplicemente vengono immediatamente, "automaticamente" meno ("di punto in bianco") al venir meno delle condizioni oniriche, allucinatorie o fantastiche in cui (realmente; ma in quanto tali: sogni, ecc.) accadono.
r
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 27 Febbraio 2017, 22:33:38 PM
Citazione di: sgiombo il 24 Febbraio 2017, 22:47:21 PM
Quando dico che il Cervino c' é anche quando non lo vedevo perché non c' ero intendo non letteralmente le percezioni fenomeniche che lo costituiscono, ma invece qualcosa di in sé che ad esse corrisponde biunivocamente e la cui realtà é necessario sia in determinate relazioni con quella dei soggetti di esperienza affinché questi abbiano l' esperienza del (=accada nella loro coscienza l' esistenza del) Cervino.

Però quello che diciamo parla anche (non sempre; a volte sì, a volte no, a seconda dei casi) di enti ed eventi reali, significati dai concetti che li denotano (il cavallo reale dal concetto del "cavallo reale").
Mi limito a queste tue ultime affermazioni che penso ci consenta di capirci meglio. Io penso che ogni evento sia reale e ogni evento ci coinvolge nel suo significare che appunto è la manifestazione di quelle relazioni, ma questo significare (l'essere il monte Cervino di quell'evento o l'essere un cavallo di quell'altro evento) non si riferisce a un monte Cervino o a un cavallo in sé reale, ma appunto a quell'evento nel contesto in cui si manifesta e che ha il senso di reale nella misura in cui esso può venire condiviso tra tutti i soggetti che lo vivono. Questa condivisibilità non nasce dal nulla, non è arbitraria, ma è il risultato di quello che sappiamo fare insieme agli altri, è il risultato del nostro saper vivere nel mondo che precede la coscienza che abbiamo di esso e la determina, di un saper vivere che viene prima di qualsiasi conoscenza che sa di cavalli, di montagne e anche di ippogrifi, perché è la matrice di ogni immagine e significato nella sua relativa parzialità.

Aggiunta"del giorno dopo":
Ripensandoci (la notte porta consiglio) ho quasi l' impressione che il tuo sia un modo di dire sostanzialmente le stesse cose che penso io ma con un linguaggio forzatamente "tecnico" (proprio forse di qualche scuola filosofica attuale) a cui mi sembri molto affezionato.

Non ho mai negato, anzi ho sempre baldanzosamente affermato (mi piace molto scandalizzare i ben pensanti in tutti i campi) che "esse est percipi" (Berkeley) e dunque le cose come il monte Cervino esistono realmente solo in quanto sono percepite (allorché e fintanto che accadono le sensazioni da cui unicamente sono costituiti).

Però, se é vera la conoscenza scientifica (come credo di fatto) c' é una bella differenza fra sogni, allucinazioni, fantasie (artistiche o meno) da una parte e realtà "autentica" (materiale) dall' altra: questa si può ammettere (non dimostrare né tantomeno mostrare) che sia intersoggettiva e accada con una certa regolarità e costanza in determinate circostanze in modo da tutti constatabile (verificabile); mentre quelle (pur essendo ugualmente fenomeniche) accadono solo soggettivamente e in certe circostanze particolari (sonno, allucinazioni, ispirazione artistica, ecc.) non essendo possible rilevarne la conformità con (integrarle ne-) la "concatenazione causale (considerabile propria, sia pure indimostrabilmente: Hume!)" della realtà (materiale) autentica, cosicché non subiscono le trasformazioni naturali proprie di essa ma semplicemente vengono immediatamente, "automaticamente" meno ("di punto in bianco") al venir meno delle condizioni oniriche, allucinatorie o fantastiche in cui (realmente; ma in quanto tali: sogni, ecc.) accadono.[/quote]
Ecco, proprio questo ripetersi regolare di certi accadimenti "in modo da tutti constatabile" nel mondo in cui insieme si interagisce vivendo che ci dà il senso di realtà di quello che accade e ci rassicura sulla sua prevedibilità consistente. L'esperienza della realtà è in ciò che per tutti dura e a cui insieme si può dare affidamento, non è nell'essere un cavallo o un ippogrifo la differenza tra realtà e un'allucinazione, ma è appunto ne potersi produrre di significati condivisibili, prevedibili e ripetibili per quello che il contesto in cui abbiamo imparato a vivere lo permette.
La conoscenza scientifica si basa su un metodo che definisce in che modo si possono costruire questi contesti affinché ciò che vi appare possa apparire da tutti condiviso in modo ripetibile come se il soggetto con la sua aleatorietà non vi fosse (o fosse un soggetto del tutto sovraindividuale e collettivo), essa quindi non vede la realtà, ma la costruisce artificialmente nel modo più efficace per tutti coloro che ne apprendono e ne seguono i metodi.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 27 Febbraio 2017, 23:13:51 PM
Citazione di: sgiombo il 24 Febbraio 2017, 22:47:21 PM
Quando dico che il Cervino c' é anche quando non lo vedevo perché non c' ero intendo non letteralmente le percezioni fenomeniche che lo costituiscono, ma invece qualcosa di in sé che ad esse corrisponde biunivocamente e la cui realtà é necessario sia in determinate relazioni con quella dei soggetti di esperienza affinché questi abbiano l' esperienza del (=accada nella loro coscienza l' esistenza del) Cervino.

Però quello che diciamo parla anche (non sempre; a volte sì, a volte no, a seconda dei casi) di enti ed eventi reali, significati dai concetti che li denotano (il cavallo reale dal concetto del "cavallo reale").
Sono d'accordo, ma quello che è in sé e con cui veniamo a essere in relazione non è un monte Cervino in sé o un cavallo in sé, ma l'accadere di qualcosa il cui significa si presenta come monte Cervino o come cavallo non in modo arbitrario, ma in relazione di un contesto stabilito dal nostro saper vivere in modo condiviso con altri, fatto di prassi condivise nel tempo e nel luogo in cui ci si trova a vivere sapendo vivere ben prima del sapere di vivere, ben prima cioè di conoscere cosa è il monte Cervino o cosa sono i cavalli.  

CitazioneAggiunta"del giorno dopo":
Ripensandoci (la notte porta consiglio) ho quasi l' impressione che il tuo sia un modo di dire sostanzialmente le stesse cose che penso io ma con un linguaggio forzatamente "tecnico" (proprio forse di qualche scuola filosofica attuale) a cui mi sembri molto affezionato.

Non ho mai negato, anzi ho sempre baldanzosamente affermato (mi piace molto scandalizzare i ben pensanti in tutti i campi) che "esse est percipi" (Berkeley) e dunque le cose come il monte Cervino esistono realmente solo in quanto sono percepite (allorché e fintanto che accadono le sensazioni da cui unicamente sono costituiti).

Però, se é vera la conoscenza scientifica (come credo di fatto) c' é una bella differenza fra sogni, allucinazioni, fantasie (artistiche o meno) da una parte e realtà "autentica" (materiale) dall' altra: questa si può ammettere (non dimostrare né tantomeno mostrare) che sia intersoggettiva e accada con una certa regolarità e costanza in determinate circostanze in modo da tutti constatabile (verificabile); mentre quelle (pur essendo ugualmente fenomeniche) accadono solo soggettivamente e in certe circostanze particolari (sonno, allucinazioni, ispirazione artistica, ecc.) non essendo possible rilevarne la conformità con (integrarle ne-) la "concatenazione causale (considerabile propria, sia pure indimostrabilmente: Hume!)" della realtà (materiale) autentica, cosicché non subiscono le trasformazioni naturali proprie di essa ma semplicemente vengono immediatamente, "automaticamente" meno ("di punto in bianco") al venir meno delle condizioni oniriche, allucinatorie o fantastiche in cui (realmente; ma in quanto tali: sogni, ecc.) accadono.
La differenza tra ciò che ci appare reale e ciò che ci appare come sogno o allucinazione, sta appunto, come giustamente dici, nella regolarità intersoggettiva di quello che ci si manifesta, una regolarità che costituisce proprio in quanto tale la base solida di una prevedibilità attendibile e condivisibile. Questa regolarità condivisibile non è arbitraria, ma si presenta in relazione alle prassi esercitate insieme nel tempo e nel luogo in cui si vive.
La conoscenza scientifica permette di costruire dei contesti di condivisione in modo particolarmente efficace proprio perché esclude l'aleatorietà della componente soggettiva espressa nei significati trasformando il soggetto individuale in un soggetto collettivo rigorosamente uniformato nel modo di operare e tradurre ciò che osserva in dati. Istituendo prassi di conoscenza comuni e condivise la scienza non rileva il mondo com'è, ma viene continuamente a costruire e ricostruire un mondo sempre più condivisibile tra tutti i soggetti che usano correttamente le procedure. In questo mondo ciò che la scienza vede non è "la realtà" in sé di ciò che accade, ma la selezione di quei significati che verifica ripetibilmente come condivisi da ogni osservatore. In tal modo essa ricrea artificialmente il mondo nel suo significare per renderlo ripetibile e condivisibile, per trasformarlo in un dato oggettivo che è sempre ben diverso da ciò di cui facciamo effettiva esperienza, ma che può apparire come la realtà fondamentale, reale in quanto oggettiva di ciò di cui facciamo esperienza.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 28 Febbraio 2017, 08:41:22 AM
Citazione di: maral il 27 Febbraio 2017, 22:33:38 PM
Citazione di: sgiombo il 24 Febbraio 2017, 22:47:21 PM
Quando dico che il Cervino c' é anche quando non lo vedevo perché non c' ero intendo non letteralmente le percezioni fenomeniche che lo costituiscono, ma invece qualcosa di in sé che ad esse corrisponde biunivocamente e la cui realtà é necessario sia in determinate relazioni con quella dei soggetti di esperienza affinché questi abbiano l' esperienza del (=accada nella loro coscienza l' esistenza del) Cervino.

Però quello che diciamo parla anche (non sempre; a volte sì, a volte no, a seconda dei casi) di enti ed eventi reali, significati dai concetti che li denotano (il cavallo reale dal concetto del "cavallo reale").
Mi limito a queste tue ultime affermazioni che penso ci consenta di capirci meglio. Io penso che ogni evento sia reale e ogni evento ci coinvolge nel suo significare che appunto è la manifestazione di quelle relazioni, ma questo significare (l'essere il monte Cervino di quell'evento o l'essere un cavallo di quell'altro evento) non si riferisce a un monte Cervino o a un cavallo in sé reale, ma appunto a quell'evento nel contesto in cui si manifesta e che ha il senso di reale nella misura in cui esso può venire condiviso tra tutti i soggetti che lo vivono. Questa condivisibilità non nasce dal nulla, non è arbitraria, ma è il risultato di quello che sappiamo fare insieme agli altri, è il risultato del nostro saper vivere nel mondo che precede la coscienza che abbiamo di esso e la determina, di un saper vivere che viene prima di qualsiasi conoscenza che sa di cavalli, di montagne e anche di ippogrifi, perché è la matrice di ogni immagine e significato nella sua relativa parzialità.
CitazioneDissento completamente.
A significare sono solo taluni determinati enti o eventi fenomenici (esse st percipi!) che diconsi "simboli" (parole, segnali stradali, icone dei desktop dei computer, ecc.) e non gli enti ed eventi fenomenici in generale.
E mentre il monte Cervino è reale in quanto cosa (montagna) indipendentemente dal fatto che lo si pensi o meno (come montagna fenomenica allorché è percepita; come potenziale manifestazione fenomenica intersoggettiva che, salvo che sia coperto da nuvole reali, si attua nella coscienza di chiunque, non cieco vada a Zermatt e guardi verso sudest o a Valtournanche e guardi verso nordest), invece l' ippogrifo Pegaso può esistere solo come concetto, contenuto di pensiero in un pensiero pensato, detto, letto, udito o scritto oppure come dipinto o scultura o armamentario teatrale.
C' è una bella differenza!
La stessa che c'é fra una passerella reale che mi consente di andare sull' altro grattacielo senza sfracellarmi e una allucinatoria che mi fa sfracellare: dimmi se è poco!
Che per intenderci si ci deve accordare socialmente sui simboli usati per comunicare è ovvio ma irrilevante: non salverà certamente nessuno dallo sfracellarsi se ha l' allucinazione della passerella e pensa di usarla!
E contrariamente alle pretese e aspirazioni del potere capitalistico attuale (e di altri passati altrettanto oppressivi e antidemocratici) non c' è convenzione sociale più o meno spontanea od imposta che trasformi le falsità ideologiche in verità, ciò che i potenti millantano in realtà: per questo servo panem et circenses, preti (un tempo) e giornalisti (oggi)!


Aggiunta"del giorno dopo":
Ripensandoci (la notte porta consiglio) ho quasi l' impressione che il tuo sia un modo di dire sostanzialmente le stesse cose che penso io ma con un linguaggio forzatamente "tecnico" (proprio forse di qualche scuola filosofica attuale) a cui mi sembri molto affezionato.

Non ho mai negato, anzi ho sempre baldanzosamente affermato (mi piace molto scandalizzare i ben pensanti in tutti i campi) che "esse est percipi" (Berkeley) e dunque le cose come il monte Cervino esistono realmente solo in quanto sono percepite (allorché e fintanto che accadono le sensazioni da cui unicamente sono costituiti).

Però, se é vera la conoscenza scientifica (come credo di fatto) c' é una bella differenza fra sogni, allucinazioni, fantasie (artistiche o meno) da una parte e realtà "autentica" (materiale) dall' altra: questa si può ammettere (non dimostrare né tantomeno mostrare) che sia intersoggettiva e accada con una certa regolarità e costanza in determinate circostanze in modo da tutti constatabile (verificabile); mentre quelle (pur essendo ugualmente fenomeniche) accadono solo soggettivamente e in certe circostanze particolari (sonno, allucinazioni, ispirazione artistica, ecc.) non essendo possible rilevarne la conformità con (integrarle ne-) la "concatenazione causale (considerabile propria, sia pure indimostrabilmente: Hume!)" della realtà (materiale) autentica, cosicché non subiscono le trasformazioni naturali proprie di essa ma semplicemente vengono immediatamente, "automaticamente" meno ("di punto in bianco") al venir meno delle condizioni oniriche, allucinatorie o fantastiche in cui (realmente; ma in quanto tali: sogni, ecc.) accadono.
Ecco, proprio questo ripetersi regolare di certi accadimenti "in modo da tutti constatabile" nel mondo in cui insieme si interagisce vivendo che ci dà il senso di realtà di quello che accade e ci rassicura sulla sua prevedibilità consistente. L'esperienza della realtà è in ciò che per tutti dura e a cui insieme si può dare affidamento, non è nell'essere un cavallo o un ippogrifo la differenza tra realtà e un'allucinazione, ma è appunto ne potersi produrre di significati condivisibili, prevedibili e ripetibili per quello che il contesto in cui abbiamo imparato a vivere lo permette.
La conoscenza scientifica si basa su un metodo che definisce in che modo si possono costruire questi contesti affinché ciò che vi appare possa apparire da tutti condiviso in modo ripetibile come se il soggetto con la sua aleatorietà non vi fosse (o fosse un soggetto del tutto sovraindividuale e collettivo), essa quindi non vede la realtà, ma la costruisce artificialmente nel modo più efficace per tutti coloro che ne apprendono e ne seguono i metodi.
[/quote]

CitazioneMa che c' entrano i significati condivisibili?
Cervino e cavalli si ripetono regolarmente di fatto, indipendentemente dal fatto che siano inoltre pensati o meno, in quanto accadimenti reali in modo da tutti constatabile (senza virgolette; salvo difetti degli organi di senso o impedimenti altrettanto reali) nel mondo in cui insieme si interagisce vivendo; gli ippogrifi neanche per sogno (...anzi: proprio unicamente "per sogno")!
L'esperienza della realtà è in ciò che per tutti dura e a cui insieme si può dare affidamento, il che accade de- (l' essere un) cavallo e non de- (-l' essere) un ippogrifo, che é la differenza tra la realtà e un'allucinazione; ma il potersi produrre di significati condivisibili permette di pensare e comunicare (anche ciò che non è reale), mentre l' accadere reale è proprio soltanto di enti ed eventi (intersoggettivi) prevedibili e ripetibili in determinate circostanze per tutti gli osservatori "adeguati", indipendentemente da quello che é il contesto in cui abbiamo imparato a vivere (un selvaggio che non abbia mai abbandonato una foresta senza strade percorribile solo a piedi se un bel giorno giunge in città vede benissimo macchine e camion (e per fortuna, perché se la loro realtà dipendesse solo dal suo proprio contesto culturale, da ciò che consce, ne finirebbe travolto).
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 28 Febbraio 2017, 08:44:10 AM
Citazione di: maral il 27 Febbraio 2017, 23:13:51 PM
Citazione di: sgiombo il 24 Febbraio 2017, 22:47:21 PM
Quando dico che il Cervino c' é anche quando non lo vedevo perché non c' ero intendo non letteralmente le percezioni fenomeniche che lo costituiscono, ma invece qualcosa di in sé che ad esse corrisponde biunivocamente e la cui realtà é necessario sia in determinate relazioni con quella dei soggetti di esperienza affinché questi abbiano l' esperienza del (=accada nella loro coscienza l' esistenza del) Cervino.

Però quello che diciamo parla anche (non sempre; a volte sì, a volte no, a seconda dei casi) di enti ed eventi reali, significati dai concetti che li denotano (il cavallo reale dal concetto del "cavallo reale").
Sono d'accordo, ma quello che è in sé e con cui veniamo a essere in relazione non è un monte Cervino in sé o un cavallo in sé, ma l'accadere di qualcosa il cui significa si presenta come monte Cervino o come cavallo non in modo arbitrario, ma in relazione di un contesto stabilito dal nostro saper vivere in modo condiviso con altri, fatto di prassi condivise nel tempo e nel luogo in cui ci si trova a vivere sapendo vivere ben prima del sapere di vivere, ben prima cioè di conoscere cosa è il monte Cervino o cosa sono i cavalli.  

CitazioneQuello che è reale e con cui veniamo ad essere in relazione sono le sensazioni fenomeniche che costituiscono Cervino e cavalli (fenomenici in quanto enti ed eventi reali; indipendentemente dall' essere eventualmente pure pensati) e non affatto ippogrifi (fenomenici unicamente in quanto pensati, contenuti di pensiero, immaginazione); e questo del tutto indipendentemente dal modo di vivere e da prassi condivise o meno da chiunque (altrimenti il selvaggio appena arrivato in città potrebbe tranquillamente attraversare incolume "col rosso" la strada affollatissima percorsa da auto e camion a tutta velocità!


CitazioneAggiunta"del giorno dopo":
Ripensandoci (la notte porta consiglio) ho quasi l' impressione che il tuo sia un modo di dire sostanzialmente le stesse cose che penso io ma con un linguaggio forzatamente "tecnico" (proprio forse di qualche scuola filosofica attuale) a cui mi sembri molto affezionato.

Non ho mai negato, anzi ho sempre baldanzosamente affermato (mi piace molto scandalizzare i ben pensanti in tutti i campi) che "esse est percipi" (Berkeley) e dunque le cose come il monte Cervino esistono realmente solo in quanto sono percepite (allorché e fintanto che accadono le sensazioni da cui unicamente sono costituiti).

Però, se é vera la conoscenza scientifica (come credo di fatto) c' é una bella differenza fra sogni, allucinazioni, fantasie (artistiche o meno) da una parte e realtà "autentica" (materiale) dall' altra: questa si può ammettere (non dimostrare né tantomeno mostrare) che sia intersoggettiva e accada con una certa regolarità e costanza in determinate circostanze in modo da tutti constatabile (verificabile); mentre quelle (pur essendo ugualmente fenomeniche) accadono solo soggettivamente e in certe circostanze particolari (sonno, allucinazioni, ispirazione artistica, ecc.) non essendo possible rilevarne la conformità con (integrarle ne-) la "concatenazione causale (considerabile propria, sia pure indimostrabilmente: Hume!)" della realtà (materiale) autentica, cosicché non subiscono le trasformazioni naturali proprie di essa ma semplicemente vengono immediatamente, "automaticamente" meno ("di punto in bianco") al venir meno delle condizioni oniriche, allucinatorie o fantastiche in cui (realmente; ma in quanto tali: sogni, ecc.) accadono.
La differenza tra ciò che ci appare reale e ciò che ci appare come sogno o allucinazione, sta appunto, come giustamente dici, nella regolarità intersoggettiva di quello che ci si manifesta, una regolarità che costituisce proprio in quanto tale la base solida di una prevedibilità attendibile e condivisibile. Questa regolarità condivisibile non è arbitraria, ma si presenta in relazione alle prassi esercitate insieme nel tempo e nel luogo in cui si vive.
La conoscenza scientifica permette di costruire dei contesti di condivisione in modo particolarmente efficace proprio perché esclude l'aleatorietà della componente soggettiva espressa nei significati trasformando il soggetto individuale in un soggetto collettivo rigorosamente uniformato nel modo di operare e tradurre ciò che osserva in dati.

Citazione 
Questa regolarità condivisibile non è arbitraria, perché si presenta del tutto indipendentemente alle prassi esercitate insieme nel tempo e nel luogo in cui si vive (altrimenti ai tempi dell' antica Roma sarebbero stati reali Giove, Saturno, Venere, chimere, centauri, ecc.
La conoscenza scientifica, contrariamente alla narrativa e alla poesia non costruisce trame e racconti arbitrari, ma ipotizza teorie e le sottopone a verifica (o meglio falsificazione) empirica, osservativa diretta o sperimentale.
L' intersoggettività del mondo fenomenico materiale naturale non la costruisce la scienza trasformando il soggetto individuale in un soggetto collettivo rigorosamente uniformato, ma la presuppone come reale.

Istituendo prassi di conoscenza comuni e condivise la scienza non rileva il mondo com'è, ma viene continuamente a costruire e ricostruire un mondo sempre più condivisibile tra tutti i soggetti che usano correttamente le procedure. In questo mondo ciò che la scienza vede non è "la realtà" in sé di ciò che accade, ma la selezione di quei significati che verifica ripetibilmente come condivisi da ogni osservatore. In tal modo essa ricrea artificialmente il mondo nel suo significare per renderlo ripetibile e condivisibile, per trasformarlo in un dato oggettivo che è sempre ben diverso da ciò di cui facciamo effettiva esperienza, ma che può apparire come la realtà fondamentale, reale in quanto oggettiva di ciò di cui facciamo esperienza.
CitazioneMa toh!, sorpresa!
Non ti facevo scientista! Non ti credevo uno che attribuisce alla scienza l' onnipotenza!
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 28 Febbraio 2017, 14:16:38 PM
Citazione di: sgiombo il 28 Febbraio 2017, 08:44:10 AM

Quello che è reale e con cui veniamo ad essere in relazione sono le sensazioni fenomeniche che costituiscono Cervino e cavalli (fenomenici in quanto enti ed eventi reali; indipendentemente dall' essere eventualmente pure pensati) e non affatto ippogrifi (fenomenici unicamente in quanto pensati, contenuti di pensiero, immaginazione); e questo del tutto indipendentemente dal modo di vivere e da prassi condivise o meno da chiunque (altrimenti il selvaggio appena arrivato in città potrebbe tranquillamente attraversare incolume "col rosso" la strada affollatissima percorsa da auto e camion a tutta velocità!
Sgiombo, cavalli, ippogrifi e montagne sono tutti traduzioni di significati il cui senso realtà fenomenica è dato dal rinforzo che queste immagini acquistano da prassi ancestrali condivise del mondo in cui si vive diventando abitudini e automatismi interpretativi di cui non ci rendiamo normalmente più conto. E' proprio per questo che il selvaggio non può in città attraversare con il rosso, il significato del rosso è proprio nel contesto in cui ora si trova e deve imparare a tenerne conto se vuole vivere lì, in quel contesto. I significati, in qualsiasi forma si presentino, riflettono sempre aspetti del tutto reali dei contesti in cui viviamo, ma non valgono allo stesso modo in ogni contesto poiché ogni contesto li produce in modo diverso.


Citazione
Questa regolarità condivisibile non è arbitraria, perché si presenta del tutto indipendentemente alle prassi esercitate insieme nel tempo e nel luogo in cui si vive (altrimenti ai tempi dell' antica Roma sarebbero stati reali Giove, Saturno, Venere, chimere, centauri, ecc.
E infatti lo erano, ma non in senso oggettivo come la scienza si illude oggi debba essere la realtà. Lo erano nella misura in cui quei contesti li presentavano come significati veri di quello che realmente accadeva. E vale lo stesso anche per noi al giorno d'oggi, la nostra conoscenza scientifica è vera in relazione a un contesto condiviso di prassi e modi di conoscere, non certo in termini assoluti validi da sempre e per sempre. Qualsiasi verifica vale fatti salvi i contesti e gli strumenti che ne istituiscono i parametri di validità, e quindi i significati, non c'è alcuna verifica assoluta, non è che quando verifichiamo qualcosa usciamo dal mondo in cui ci troviamo per vedere le cose in sé. Ogni verifica è sempre mediata da significati culturali che ne istituiscono il valore e la significatività., non ci sono verifiche dirette se non in ciò che immediatamente accade di sentire (ma ciò che immediatamente sentiamo in misura soggettiva e intersoggettiva in genere è colto ben più dalla poesia e dall'arte che dalla scienza)
CitazioneL' intersoggettività del mondo fenomenico materiale naturale non la costruisce la scienza trasformandoil soggetto individuale in un soggetto collettivo rigorosamente uniformato, ma la presuppone come reale.
L'intersoggettività non la inventa la scienza, ma è data da prassi condivise, dagli stessi modi di agire nel mondo a cui partecipiamo e quindi di trovarci e di sentirci. La scienza stabilisce con estremo rigore, attraverso gli strumenti che si interpongono tra osservatore e osservato, questi modi con cui è lecito guardare il mondo per vedere tutti lo stesso mondo in modo ripetibile e oggettivo e considerare questo mondo così costruito la realtà.


CitazioneMa toh!, sorpresa!
Non ti facevo scientista! Non ti credevo uno che attribuisce alla scienza l' onnipotenza!
Infatti la scienza non è onnipotente, ma mette in scena la rappresentazione che meglio illude di potenza di tutte quelle che l'umanità fino a oggi ha saputo costruire. Non c'è dubbio che la mitologia della conoscenza tecnico scientifica sbaraglia di gran lunga ogni altra mitologia che fino a oggi l'umanità abbia conosciuto.

Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 28 Febbraio 2017, 16:36:35 PM
Inserisco uno schema per meglio chiarire il discorso (cliccandoci sopra si vede ingrandita)
(http://i66.tinypic.com/jgsl8l.jpg)
L'area arancione a sinistra della figura possiamo considerarla come l'area di ciò che è reale in cui si sviluppa l'esistenza (che sa in quanto esiste, ma non sa di sapere) indicata dalla linea gialla punteggiata. Su questa linea qualcosa realmente accade come momento di discontinuità  che genera un'immagine nella zona di colore sfumato. Nell'immagine non c'è ancora né un soggetto né un oggetto, essa è il segno originario di una relazione che si sviluppa nelle polarità di oggetto (che cosa è accaduto) e soggetto (a chi è accaduto) nella parte azzurra a destra della figura. Questa parte azzurra rappresenta l'area di ciò che veniamo a conoscere. Soggetto e oggetto che si trovano in essa collocati, sono quindi figure del conoscere, nella relazione che sempre li lega.
La presenza dell'oggetto, di ciò che intendiamo come oggetto reale, è data dal rinforzo proveniente dalla conoscenza condivisa (linea continua rossa nell'area blu), ossia le prassi che insieme seguiamo, il nostro modo di vedere le cose nel mondo in cui viviamo. Sono queste che ci danno il senso della realtà oggettuale, non quello che realmente accade nella zona arancione, sono le tracce e i resti di un enorme cammino di conoscenza che proviene dalle origini ancestrali dell'intero genere umano, dalla sua storia biologica che lo lega all'universo stesso e culturale. Esse identificano ciò che realmente è accaduto nel contesto che determinano e quindi il soggetto stesso a cui è accaduto, entrambi come significati estremi di una distanza che li mantiene in reciproca relazione. il soggetto che diventa così soggetto che conosce rientra nel cammino della conoscenza.
In realtà sia la linea gialla (linea dell'esistenza che non possiamo vedere come tale e in tal senso corrisponde al continuo accadere di nulla) che la linea rossa (linea della conoscenza) si implicano costantemente in un unico percorso, ma è solo lungo la conoscenza che qualcosa che esiste può apparire e venire identificato e condiviso in un significare che fa parte dei contesti di conoscenza, mentre è solo sulla linea gialla che quel qualcosa che si rivela in un significato esiste.
L'oggetto conosciuto non è pertanto mai l'accadimento reale, ma è il modo di manifestarsi significando dell'accadimento reale alla luce di una conoscenza condivisa in un contesto, quando è già accaduto.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 28 Febbraio 2017, 17:57:59 PM
Citazione di: maral il 28 Febbraio 2017, 14:16:38 PM
Citazione di: sgiombo il 28 Febbraio 2017, 08:44:10 AM

Quello che è reale e con cui veniamo ad essere in relazione sono le sensazioni fenomeniche che costituiscono Cervino e cavalli (fenomenici in quanto enti ed eventi reali; indipendentemente dall' essere eventualmente pure pensati) e non affatto ippogrifi (fenomenici unicamente in quanto pensati, contenuti di pensiero, immaginazione); e questo del tutto indipendentemente dal modo di vivere e da prassi condivise o meno da chiunque (altrimenti il selvaggio appena arrivato in città potrebbe tranquillamente attraversare incolume "col rosso" la strada affollatissima percorsa da auto e camion a tutta velocità!
Sgiombo, cavalli, ippogrifi e montagne sono tutti traduzioni di significati il cui senso realtà fenomenica è dato dal rinforzo che queste immagini acquistano da prassi ancestrali condivise del mondo in cui si vive diventando abitudini e automatismi interpretativi di cui non ci rendiamo normalmente più conto. E' proprio per questo che il selvaggio non può in città attraversare con il rosso, il significato del rosso è proprio nel contesto in cui ora si trova e deve imparare a tenerne conto se vuole vivere lì, in quel contesto. I significati, in qualsiasi forma si presentino, riflettono sempre aspetti del tutto reali dei contesti in cui viviamo, ma non valgono allo stesso modo in ogni contesto poiché ogni contesto li produce in modo diverso.
CitazioneSe questo significa che semafori reali, cavalli reali, montagne reali, passerelle reali  hanno, del tutto indipendentemente da qualsiasi -eventuale- espressione della cultura umana (prassi più o meno ancestrali, più o meno condivise, ecc.), una "qualità ontologica" (reale) completamente diversa da quella di ippogrifi, cavalli immaginari, montagne immaginarie e passerelle immaginarie (fantastica), allora sono d' accodo; altrimenti no.




Citazione
Questa regolarità condivisibile non è arbitraria, perché si presenta del tutto indipendentemente alle prassi esercitate insieme nel tempo e nel luogo in cui si vive (altrimenti ai tempi dell' antica Roma sarebbero stati reali Giove, Saturno, Venere, chimere, centauri, ecc.
E infatti lo erano, ma non in senso oggettivo come la scienza si illude oggi debba essere la realtà. Lo erano nella misura in cui quei contesti li presentavano come significati veri di quello che realmente accadeva. E vale lo stesso anche per noi al giorno d'oggi, la nostra conoscenza scientifica è vera in relazione a un contesto condiviso di prassi e modi di conoscere, non certo in termini assoluti validi da sempre e per sempre. Qualsiasi verifica vale fatti salvi i contesti e gli strumenti che ne istituiscono i parametri di validità, e quindi i significati, non c'è alcuna verifica assoluta, non è che quando verifichiamo qualcosa usciamo dal mondo in cui ci troviamo per vedere le cose in sé. Ogni verifica è sempre mediata da significati culturali che ne istituiscono il valore e la significatività., non ci sono verifiche dirette se non in ciò che immediatamente accade di sentire (ma ciò che immediatamente sentiamo in misura soggettiva e intersoggettiva in genere è colto ben più dalla poesia e dall'arte che dalla scienza)
Citazione A meno di non abbracciare lo scetticismo, che conseguentemente imporrebbe di tacere, se invece si ammette per vero il minimo indispensabile di indimostrabile né constatabile che comunemente si attribuisce a chiunque sia sano di mente e segue, più o meno criticamente, il senso comune, allora la scienza non si illude affatto circa l' oggettività del reale e la sua conoscenza da parte sua e (al contrario di: magia, alchimia, animismo, astrologia, olismi vari, tradizioni ancestrali varie, ecc., ecc., ecc.; compresa ovviamente la mitologia romana antica), bensì ne ha conoscenza, per quanto del tutto ovviamente relativa, limitata.


Se fossi coerente in questa credenza dovresti considerare illusori, fra le tantissime altre cose, che il tuo computer funzioni, sia collegato ad altri fra cui il mio e che ti permetta di comunicare con me e glia altri del forum, e dunque dovresti evitare di illuderti di farlo; a meno che, contrariamente a me,  non pensi  facendolo che ti stai semplicemente abbandonando a una serie di fantasie irreali, tanto per rilassarti (personalmente credo invece di stare cercando di aumentare, nei limiti del possibile, la mia comprensione di me e del mondo in cui mi trovo, per cui se le cose stessero veramente così ti pregherei di dirmelo esplicitamente onde evitare di farmi perdere del temo, avendo io altri modi di rilassarmi quando necessario).
 
Per verificare qualcosa (di fenomenico: sinteticamente a posteriori; o di logico: analiticamente a priori) non c' è alcun bisogno di uscire dal mondo in cui ci troviamo per vedere le cose in sé; nel primo caso è anzi necessario starci (e ovviamente tenere conto del nostro starci).
 
Il modo di cogliere (meglio) le cose proprio della poesia e dell' arte ad una parte e e quello di cogliere (meglio) le cose proprio della scienza dall' altra sono completamente diversi e validi ciascuno nel suo ben diverso ruolo (a meno di confondere ippogrifi e cavalli reali: la notte hegeliana).

CitazioneL' intersoggettività del mondo fenomenico materiale naturale non la costruisce la scienza trasformandoil soggetto individuale in un soggetto collettivo rigorosamente uniformato, ma la presuppone come reale.
L'intersoggettività non la inventa la scienza, ma è data da prassi condivise, dagli stessi modi di agire nel mondo a cui partecipiamo e quindi di trovarci e di sentirci. La scienza stabilisce con estremo rigore, attraverso gli strumenti che si interpongono tra osservatore e osservato, questi modi con cui è lecito guardare il mondo per vedere tutti lo stesso mondo in modo ripetibile e oggettivo e considerare questo mondo così costruito la realtà.
CitazioneL' intersoggettività scientifica (e di tante altre cose della normale esperienza) non è affatto data da prassi condivise, dagli stessi modi di agire nel mondo a cui partecipiamo e quindi di trovarci e di sentirci: si può recitare collettivamente l' Orlando Furioso in centomila persone e all' ippogrifo Pegaso non si conferisce comunque alcuna intersoggettività scientifica (né meramente empirica-episodica-aneddottica).
 
L' intersoggettività dei fenomeni materiali è invece postulata (consapevolmente o meno da parte chi la pratica) dalla scienza.
 
Se si vede tutti lo stesso mondo in modo ripetibile e oggettivo, allora questo mondo non è arbitrariamente costruito come oggetto di fantasia (sia pure collettivamente condivisa) ma invece reale e intersoggettivo.




CitazioneMa toh!, sorpresa!
Non ti facevo scientista! Non ti credevo uno che attribuisce alla scienza l' onnipotenza!
Infatti la scienza non è onnipotente, ma mette in scena la rappresentazione che meglio illude di potenza di tutte quelle che l'umanità fino a oggi ha saputo costruire. Non c'è dubbio che la mitologia della conoscenza tecnico scientifica sbaraglia di gran lunga ogni altra mitologia che fino a oggi l'umanità abbia conosciuto.
Citazione Credo che ci siano mitologie ben più strampalate e anche di fatto più diffuse nel mondo di quelle scientistiche (quanta gente legge gli oroscopi, gira se vede un gatto nero, fa le corna o si tocca i coglioni se vede un carro funebre!).
Le quali peraltro sono tutt' altra cosa dell' intersoggettiva conoscenza scientifica!
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 28 Febbraio 2017, 18:00:19 PM
Citazione di: maral il 28 Febbraio 2017, 16:36:35 PM
Inserisco uno schema per meglio chiarire il discorso (cliccandoci sopra si vede ingrandita)
(http://i66.tinypic.com/jgsl8l.jpg)
L'area arancione a sinistra della figura possiamo considerarla come l'area di ciò che è reale in cui si sviluppa l'esistenza (che sa in quanto esiste, ma non sa di sapere) indicata dalla linea gialla punteggiata. Su questa linea qualcosa realmente accade come momento di discontinuità  che genera un'immagine nella zona di colore sfumato. Nell'immagine non c'è ancora né un soggetto né un oggetto, essa è il segno originario di una relazione che si sviluppa nelle polarità di oggetto (che cosa è accaduto) e soggetto (a chi è accaduto) nella parte azzurra a destra della figura. Questa parte azzurra rappresenta l'area di ciò che veniamo a conoscere. Soggetto e oggetto che si trovano in essa collocati, sono quindi figure del conoscere, nella relazione che sempre li lega.
La presenza dell'oggetto, di ciò che intendiamo come oggetto reale, è data dal rinforzo proveniente dalla conoscenza condivisa (linea continua rossa nell'area blu), ossia le prassi che insieme seguiamo, il nostro modo di vedere le cose nel mondo in cui viviamo. Sono queste che ci danno il senso della realtà oggettuale, non quello che realmente accade nella zona arancione, sono le tracce e i resti di un enorme cammino di conoscenza che proviene dalle origini ancestrali dell'intero genere umano, dalla sua storia biologica che lo lega all'universo stesso e culturale. Esse identificano ciò che realmente è accaduto nel contesto che determinano e quindi il soggetto stesso a cui è accaduto, entrambi come significati estremi di una distanza che li mantiene in reciproca relazione. il soggetto che diventa così soggetto che conosce rientra nel cammino della conoscenza.
In realtà sia la linea gialla (linea dell'esistenza che non possiamo vedere come tale e in tal senso corrisponde al continuo accadere di nulla) che la linea rossa (linea della conoscenza) si implicano costantemente in un unico percorso, ma è solo lungo la conoscenza che qualcosa che esiste può apparire e venire identificato e condiviso in un significare che fa parte dei contesti di conoscenza, mentre è solo sulla linea gialla che quel qualcosa che si rivela in un significato esiste.
L'oggetto conosciuto non è pertanto mai l'accadimento reale, ma è il modo di manifestarsi significando dell'accadimento reale alla luce di una conoscenza condivisa in un contesto, quando è già accaduto.
CitazioneNon c' era bisogno di questo schema per ribadire che non distingui (= letteralmente confondi) esperienze reali e costrutti immaginari, oggetti di esperienze reali (cavalli) e oggetti di fantasia (ippogrifi), che infatti collochi entrambi in quella "notte hegeliana" che chiami "oggetto" (tanto di fantasia quanto di autentica esperienza, indifferentemente: tutti neri, come le vacche di notte sembrano; ma non sono).
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 01 Marzo 2017, 15:57:27 PM
Citazione di: sgiombo il 28 Febbraio 2017, 18:00:19 PM
Non c' era bisogno di questo schema per ribadire che non distingui (= letteralmente confondi) esperienze reali e costrutti immaginari, oggetti di esperienze reali (cavalli) e oggetti di fantasia (ippogrifi), che infatti collochi entrambi in quella "notte hegeliana" che chiami "oggetto" (tanto di fantasia quanto di autentica esperienza, indifferentemente: tutti neri, come le vacche di notte sembrano; ma non sono).
Li distinguo perfettamente invece, ma so di non essere io a distinguerli, bensì il contesto in cui vivo che determina, in base al significato condiviso delle esperienze quali significati possono apparire reali e quali no. Sono i contesti che dà a ogni vacca il suo diverso colore, non le "vacche in sé".
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Phil il 01 Marzo 2017, 16:09:02 PM
@maral
Quando la filosofia usa immagini esplicative, la trovo sempre molto intrigante... per questo, pur non avendo avuto modo di seguire la discussione sovrastante, chiedo delucidazioni sullo schema:

- se ho ben capito, la zona sfumata è quella in cui si arresta lo scettico (che mette in dubbio l'esistenza della zona arancione e della linea gialla); lo schema stesso presuppone tuttavia che la zona arancione sia attingibile, e per questo raffigurabile nello schema, contraddicendo l'ipotesi secondo cui il soggetto ragiona e conosce solo all'interno della zona blu... il filo giallo è dunque un'ipotesi teoretica o lo prendiamo come assioma anapodittico (innescando tutti i problemi tipici del noumeno e suoi simili)? 
Detto altrimenti, se la linea gialla "corrisponde al continuo accadere di nulla"(cit.) poiché è la "linea dell'esistenza che non possiamo vedere come tale"(cit.) come possiamo parlarne e ragionarci?

- in che senso "l'esistenza sa in quanto esiste, ma non sa di sapere" (cit.)? Il sapere è proprio dell'uomo, ma non dell'esistenza, che è una condizione e in quanto tale, non pensa (così come l'accadere non filosofeggia, etc.)

- c'è una freccia che va da "immagine" a "soggetto"; è possibile per un'immagine avere senso per un soggetto senza che essa sia prima "oggetto"? Come può l'immagine "polarizzarsi" nel soggetto (vs oggetto) se il soggetto preesiste all'immagine (l'uomo che vede l'ippogrifo precede crono-logicamente l'immagine dell'ippogrifo) e se il soggetto può cogliere intelligibilmente solo oggetti (e non immagini)?
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 01 Marzo 2017, 17:01:10 PM
Citazione di: sgiombo il 28 Febbraio 2017, 17:57:59 PM
Se questo significa che semafori reali, cavalli reali, montagne reali, passerelle reali  hanno, del tutto indipendentemente da qualsiasi -eventuale- espressione della cultura umana (prassi più o meno ancestrali, più o meno condivise, ecc.), una "qualità ontologica" (reale) completamente diversa da quella di ippogrifi, cavalli immaginari, montagne immaginarie e passerelle immaginarie (fantastica), allora sono d' accodo; altrimenti no.
La qualità ontologica diversa è il riflesso della diversità di contesto in cui ciò che accade si traduce in un significato più o meno condiviso.

CitazioneA meno di non abbracciare lo scetticismo, che conseguentemente imporrebbe di tacere, se invece si ammette per vero il minimo indispensabile di indimostrabile né constatabile che comunemente si attribuisce a chiunque sia sano di mente e segue, più o meno criticamente, il senso comune, allora la scienza non si illude affatto circa l' oggettività del reale e la sua conoscenza da parte sua e (al contrario di: magia, alchimia, animismo, astrologia, olismi vari, tradizioni ancestrali varie, ecc., ecc., ecc.; compresa ovviamente la mitologia romana antica), bensì ne ha conoscenza, per quanto del tutto ovviamente relativa, limitata.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 01 Marzo 2017, 18:13:30 PM
Citazione di: maral il 01 Marzo 2017, 15:57:27 PM
Citazione di: sgiombo il 28 Febbraio 2017, 18:00:19 PM
Non c' era bisogno di questo schema per ribadire che non distingui (= letteralmente confondi) esperienze reali e costrutti immaginari, oggetti di esperienze reali (cavalli) e oggetti di fantasia (ippogrifi), che infatti collochi entrambi in quella "notte hegeliana" che chiami "oggetto" (tanto di fantasia quanto di autentica esperienza, indifferentemente: tutti neri, come le vacche di notte sembrano; ma non sono).
Li distinguo perfettamente invece, ma so di non essere io a distinguerli, bensì il contesto in cui vivo che determina, in base al significato condiviso delle esperienze quali significati possono apparire reali e quali no. Sono i contesti che dà a ogni vacca il suo diverso colore, non le "vacche in sé".
Citazione"Mettendomi nei tuoi panni" mi domando:
Che senso ha discutere con me (e con chiunque altro) se é il contesto in cui ciascuno vive (e non la realtà oggettiva alla quale i pensieri e le credenze, per essere veri, devono adeguarsi) che determina, in base al significato condiviso delle esperienze quali significati possono apparire reali e quali no? Se sono i contesti che danno a ogni vacca il suo diverso colore, non le "vacche in sé" per come oggettivamente sono in realtà?

Diversi contesti, diverse credenze, tutte parimenti vere, ciascuna nel suo proprio contesto (e in barba a ciò che realmente accade): che senso ha confrontarle?
Ha senso invece per chi, come me, crede che non "tutte le credenze fanno brodo" (ciascuna in un qualche contesto), ma ci sono criteri, per quanto arbitrariamente stabilibili ma comunque condivisibili, per sapere che cosa é vero e che cosa é falso; e innanzitutto non il fatto che una tesi si inquadri più o meno bene in un conteso culturale qualsiasi, ma invece che dica che qualcosa di reale é reale (o che qualcosa di non reale non é reale).

Se il colore alle vacche glielo do io ad libitum, fregandomene di come realmente sono, tanto vale chiudermi nel solipsismo: tanto chiunque altro attribuirà loro il colore che più gli aggrada con lo steso diritto di chiunque altro, me compreso: dunque che ognuno si faccia i cavolacci suoi (si dipinga arbitrariamente le sue vacche immaginarie coi colori che preferisce) "in santa pace"!
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 01 Marzo 2017, 18:21:02 PM
Citazione di: maral il 01 Marzo 2017, 17:01:10 PM
Citazione di: sgiombo il 28 Febbraio 2017, 17:57:59 PM
Se questo significa che semafori reali, cavalli reali, montagne reali, passerelle reali  hanno, del tutto indipendentemente da qualsiasi -eventuale- espressione della cultura umana (prassi più o meno ancestrali, più o meno condivise, ecc.), una "qualità ontologica" (reale) completamente diversa da quella di ippogrifi, cavalli immaginari, montagne immaginarie e passerelle immaginarie (fantastica), allora sono d' accodo; altrimenti no.
La qualità ontologica diversa è il riflesso della diversità di contesto in cui ciò che accade si traduce in un significato più o meno condiviso.
CitazioneQuel tale che cercò di percorrere una passerella immaginaria e si ritrovò sfracellato al suolo aveva nel suo contesto allucinatorio o immaginario una passerella col significato, più o meno condiviso, di essere reale.
...Peccato che, alla faccia del contesto e del significato che in esso vi si attribuiva in maniera più o meno condivisa, la passerella non fosse reale e il malcapitato si sfracellasse al suolo!

Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 01 Marzo 2017, 19:56:02 PM
Citazione di: Phil il 01 Marzo 2017, 16:09:02 PM
@maral
Quando la filosofia usa immagini esplicative, la trovo sempre molto intrigante... per questo, pur non avendo avuto modo di seguire la discussione sovrastante, chiedo delucidazioni sullo schema:

- se ho ben capito, la zona sfumata è quella in cui si arresta lo scettico (che mette in dubbio l'esistenza della zona arancione e della linea gialla); lo schema stesso presuppone tuttavia che la zona arancione sia attingibile, e per questo raffigurabile nello schema, contraddicendo l'ipotesi secondo cui il soggetto ragiona e conosce solo all'interno della zona blu... il filo giallo è dunque un'ipotesi teoretica o lo prendiamo come assioma anapodittico (innescando tutti i problemi tipici del noumeno e suoi simili)?
Detto altrimenti, se la linea gialla "corrisponde al continuo accadere di nulla"(cit.) poiché è la "linea dell'esistenza che non possiamo vedere come tale"(cit.) come possiamo parlarne e ragionarci?
Lo schema, come tutto ciò che rappresenta, è elemento della zona blu, che immagina una zona arancione per tracciarla. La linea gialla in realtà non appare (per questo è punteggiata), è solo un modo di rappresentare che qualcosa continuamente accade: quel nulla che continuamente accade assumendo la forma informe di qualcosa e si traduce in un'immagine originaria in cui quel qualcosa comincia a prendere forma come qualcosa che è accaduto e pone la domanda che chiede di conoscere: "cosa è accaduto?". La linea gialla non è però né una mera ipotesi teoretica, né un assioma anapodittico, è solo il tentativo del tutto inadeguato, di rappresentare quel nulla (nulla per la conoscenza) che continuamente accade e che chiede di essere conosciuto attraverso la domanda che genera accadendo. E' la vita che continuamente ci anima (poiché sa vivere) e di cui non siamo coscienti, è il nostro essere qui vivendo, respirando senza sapere di respirare, sapendo vivere per il fatto stesso che si vive, mentre il nostro cuore pulsa senza sapere di pulsare.

Citazione- in che senso "l'esistenza sa in quanto esiste, ma non sa di sapere" (cit.)? Il sapere è proprio dell'uomo, ma non dell'esistenza, che è una condizione e in quanto tale, non pensa (così come l'accadere non filosofeggia, etc.)
Nel senso appunto che sa esistere anche se non sa di esistere. L'uomo, in quanto essere cosciente che parla, è l'unico ente che oltre a sapere esistere (come sa esistere una pianta, un insetto, un lombrico, ma anche una roccia o una montagna) incontra il sapere di esistere, incontra cioè la zona blu e l'incontro è assai problematico, è la matrice di ogni problema.

Citazione- c'è una freccia che va da "immagine" a "soggetto"; è possibile per un'immagine avere senso per un soggetto senza che essa sia prima "oggetto"? Come può l'immagine "polarizzarsi" nel soggetto (vs oggetto) se il soggetto preesiste all'immagine (l'uomo che vede l'ippogrifo precede crono-logicamente l'immagine dell'ippogrifo) e se il soggetto può cogliere intelligibilmente solo oggetti (e non immagini)?
L'immagine originaria (originaria in quanto è all'alba di ciò che si comincia a conoscere e non è da intendersi come immagine solo visiva) indica il crearsi di una separazione, di una distanza tra il sapere e il vivere, soggetto e oggetto non sono che gli estremi di questa distanza che, pur separati, si mantengono tra loro in relazione per cui non vi può essere l'uno senza l'altro, né l'uno prima dell'altro. Il soggetto (io come essere umano che dico queste cose) non precedo ciò che vedo, ma nasco insieme a ciò che vedo e sento nell'immagine. Solo una volta che il soggetto è confermato dal contesto e acquista persistenza in relazione agli oggetti del mondo che conosce può volgersi alle sue immagini credendo di esserne l'autore, mentre ne è stato il prodotto. Quella consistenza reale del mondo e di un io nel mondo a cui fa riferimento Sgiombo è quindi solo il risultato del processo cognitivo che si sviluppa tutto nella zona blu, ma che continuamente partecipa della zona arancione dell'esistenza che non conosce, ma solo vive, esiste.

Ci sono due frecce in basso e in alto nel disegno che vanno dalla zona arancione alla zona blu e viceversa, esse rappresentano il fatto che in realtà le due zone partecipano dello stesso cammino, sono reciprocamente una nell'altra e l'una tende continuamente a essere compresa nell'altra (essere parte dell'altra), poiché mentre il saper vivere (l'esistenza) chiede, attraverso le immagini che produce di sapere di vivere vivendo, il sapere di vivere chiede di sapervivere (così, tutto attaccato), ossia, semplicemente, chiede continuamente di vivere.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Phil il 01 Marzo 2017, 22:21:33 PM
@maral
Grazie per i chiarimenti.

Citazione di: maral il 01 Marzo 2017, 19:56:02 PMLo schema, come tutto ciò che rappresenta, è elemento della zona blu, che immagina una zona arancione per tracciarla.
(corsivo mio) Quindi tutto inizia della zona blu, dal soggetto che si chiede cosa c'è oltre il suo blu e quindi si traccia una zona arancione.

Citazione di: maral il 01 Marzo 2017, 19:56:02 PMLa linea gialla in realtà non appare (per questo è punteggiata), è solo un modo di rappresentare che qualcosa continuamente accade: quel nulla che continuamente accade assumendo la forma informe di qualcosa e si traduce in un'immagine 
Credo che se accade non è nulla, e se è un nulla per la nostra conoscenza non possiamo predicare niente che lo riguardi positivamente (come accadere, originare, etc.). Ammenoché non si tratti di una congettura teoretica... Affermare che
Citazione di: maral il 01 Marzo 2017, 19:56:02 PMLa linea gialla non è però né una mera ipotesi teoretica, né un assioma anapodittico, è solo il tentativo del tutto inadeguato, di rappresentare quel nulla (nulla per la conoscenza) che continuamente accade 
è contraddittorio, poiché se è nulla per la coscienza, non può essere rappresentato da essa, nemmeno con un tentativo (poiché non si ha nulla per impostarlo...).

Quando dici che 
Citazione di: maral il 01 Marzo 2017, 19:56:02 PMquel nulla che continuamente accade assumendo la forma informe di qualcosa e si traduce in un'immagine originaria in cui quel qualcosa comincia a prendere forma come qualcosa che è accaduto e pone la domanda che chiede di conoscere: "cosa è accaduto?"
non personifichi forse il nulla (poiché il chiedere è attività umana) rischiando di non realizzare che la domanda non è posta dal nulla (che in quanto tale non chiede) ma dall'uomo? La trappola del linguaggio "heidegerianeggiante" (non heidegeriano) è che poetizza animando e proiettando capacità umane anche su ciò che non è umano, e sono proprio queste licenze poetiche che rischiano di fuorviare con belle metafore come
Citazione di: maral il 01 Marzo 2017, 19:56:02 PMil nostro cuore pulsa senza sapere di pulsare. 
giocando poeticamente (ma non filosoficamente) sulla duplicità del "sapere", come "conoscere" ed "essere in grado": ma una pianta o un sasso non sanno esistere in nessuno dei due sensi, semplicemente esistono (forse  ;D ). 
Non a caso, non è plausibile il contrario, ovvero che non sappiano esistere (quindi se non è sensato che un ente non sappia esistere, è insensato o ridondante sostenere che sappia esistere).

Parimenti mi pare che il chiedere circolare (che coinvolge una zona solamente ipotizzata) 
Citazione di: maral il 01 Marzo 2017, 19:56:02 PMCi sono due frecce in basso e in alto nel disegno che vanno dalla zona arancione alla zona blu e viceversa, esse rappresentano il fatto che in realtà le due zone partecipano dello stesso cammino, sono reciprocamente una nell'altra e l'una tende continuamente a essere compresa nell'altra (essere parte dell'altra), poiché mentre il saper vivere (l'esistenza) chiede, attraverso le immagini che produce di sapere di vivere vivendo, il sapere di vivere chiede di sapervivere (così, tutto attaccato), ossia, semplicemente, chiede continuamente di vivere.
è ambiguamente incentrato sulla personificazione dell'esistenza del saper vivere. Tale personificazione pervasiva potrebbe essere sintomo dell'antropocentrismo del soggetto che, anche quando prova a porsi come semplice pezzo del puzzle, finisce inevitabilmente per deformare la  ricerca a sua immagine e somiglianza, confermando così sia che l'ipotetica zona arancione è inverificabile e inintelligibile (quindi potrebbe non esserci affatto), sia che il chiedere "cosa è accaduto?" è sempre un chiedersi (riflessivo, chiedere a se stessi), quindi il rischio di domande infondate o irrisolvibili fa parte del gioco umano del domandare.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 02 Marzo 2017, 09:20:42 AM
Citazione di: sgiombo il 01 Marzo 2017, 18:13:30 PM
"Mettendomi nei tuoi panni" mi domando:
Che senso ha discutere con me (e con chiunque altro) se é il contesto in cui ciascuno vive (e non la realtà oggettiva alla quale i pensieri e le credenze, per essere veri, devono adeguarsi) che determina, in base al significato condiviso delle esperienze quali significati possono apparire reali e quali no? Se sono i contesti che danno a ogni vacca il suo diverso colore, non le "vacche in sé" per come oggettivamente sono in realtà?
Ma il contesto è costituito proprio da ciò che ognuno fa con gli altri. Ciò che mi appare reale è in ragione di un essere sempre insieme agli altri che mi corrispondono e mi si oppongono (come qui tu Sgiombo, che sei, insieme a ogni altro qui, con il tuo modo di vedere le cose parte fattivo di quel contesto che determina il significato delle cose anche per me), non è quello che penso io o che pensi tu che stabilisce il colore delle vacche, è ciò che ci collega insieme mentre ne parliamo. E' esattamente il contrario di una visione solipsistica centrata sull'ego da solo pensante e svincolato dai pensieri e dalle immaginazioni altrui. Il fatto poi che ogni contesto produce una verità condivisa mai definitiva, ma sempre in cammino poiché la realtà sempre ci sopravanza, è la chiara negazione che possa esservi un contesto assoluto, contesto di tutti i contesti, o meglio è l'affermazione che esso, se pure c'è, rimane del tutto inaccessibile, proprio come il nulla assoluto che introduce questa discussione.
CitazioneQuel tale che cercò di percorrere una passerella immaginaria e si ritrovò sfracellato al suolo aveva nel suo contesto allucinatorio o immaginario una passerella col significato, più o meno condiviso, di essere reale.
...Peccato che, alla faccia del contesto e del significato che in esso vi si attribuiva in maniera più o meno condivisa, la passerella non fosse reale e il malcapitato si sfracellasse al suolo!
E' vero Sgiombo, ma quel tale è ciascuno di noi, perché ogni passerella interpretata fuori dal contesto che la rende reale si dimostra poi sempre, nelle sue conseguenze, un'allucinazione. E questo non è pura una metafora, anche se a leggerlo come metafora è più facile da condividere.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 02 Marzo 2017, 10:45:39 AM
Citazione di: Phil il 01 Marzo 2017, 22:21:33 PM
Citazione di: maral il 01 Marzo 2017, 19:56:02 PMLo schema, come tutto ciò che rappresenta, è elemento della zona blu, che immagina una zona arancione per tracciarla.
(corsivo mio) Quindi tutto inizia della zona blu, dal soggetto che si chiede cosa c'è oltre il suo blu e quindi si traccia una zona arancione.
Direi piuttosto che tutto inizia da un soggetto che comincia a sentire che tutto non inizia da lui e in tal modo "disconosce", ossia prende a decostruire ciò che conosce. Questo momento inaugura un sapere di non sapere che nasce certamente dal soggetto e lo riguarda, ma lo travalica (perché se non lo travalicasse di fatto si resterebbe sempre nel sapere di sapere e nelle illusioni ad esso implicite di un sapere progressivo).

CitazioneCredo che se accade non è nulla, e se è un nulla per la nostra conoscenza non possiamo predicare niente che lo riguardi positivamente (come accadere, originare, etc.). Ammenoché non si tratti di una congettura teoretica... Affermare che
Citazione di: maral il 01 Marzo 2017, 19:56:02 PMLa linea gialla non è però né una mera ipotesi teoretica, né un assioma anapodittico, è solo il tentativo del tutto inadeguato, di rappresentare quel nulla (nulla per la conoscenza) che continuamente accade
è contraddittorio, poiché se è nulla per la coscienza, non può essere rappresentato da essa, nemmeno con un tentativo (poiché non si ha nulla per impostarlo...).
E' nulla per la nostra coscienza e tuttavia accade continuamente, come accade il sonno profondo, come accade il nostro respirare e il rispondere appropriato e inconsapevole del nostro corpo che sa rispondere e lo dimostra vivendo. E' la dimensione inconscia che racchiude ogni conoscenza pur apparendovi inclusa quando ce la rappresentiamo. E' la storia di miliardi di individui di cui non sapremo mai nulla, ma che hanno vissuto e vivendo determinato ciò che ora siamo. E' la meta del paradossale "diventare ciò che si è" di Nietzsche, è "il luogo ove non si è mai stati, ma a cui bisogna ritornare". E' forse, ancora più propriamente, quel Tao della sapienza orientale, che sfugge a ogni rappresentazione e di cui nulla si può dire se non in negativo  pur essendo sempre in positivo (2 e 1 nello stesso tempo). E' la matrice a cui non vi è accesso proprio perché ci siamo da sempre e sempre dentro, ne siamo sempre parte. Qualsiasi cosa io qui dica o tracci in figura può però solo evocarlo, non rappresentarlo e men che meno definirlo e solo ciò che si definisce può essere analizzato alla luce del principio di non contraddizione, non ciò che si evoca.

CitazioneQuando dici che
Citazione di: maral il 01 Marzo 2017, 19:56:02 PM...
non personifichi forse il nulla (poiché il chiedere è attività umana) rischiando di non realizzare che la domanda non è posta dal nulla (che in quanto tale non chiede) ma dall'uomo?
Non sto personificando il nulla, piuttosto tento di annullare l'antropomorfismo che immagina l'uomo come autore originario di ogni domanda. L'uomo ha un linguaggio, ma la domanda precede quel linguaggio, il linguaggio riformula e ritraduce continuamente la domanda secondo una semantica e una sintassi tentando di rispondere a partire da un'immagine che introduce la domanda stessa, un'immagine che non è l'uomo a immaginare, ma che immagina l'uomo ed è proprio con la domanda che un essere umano comincia ad apparire. (sappiamo quanto questa immagine originaria e sfuggente abbia assunto nella storia umana una prima conformazione divina attraverso il mito, ma essa non abita nell'azzurro dei cieli - qui è un altro Dio che vi abita, un Dio che tutto conosce e tutto può- abita invece presso la vita sapiente di sassi, degli animali e delle piante che sanno senza  conoscere)


Citazionegiocando poeticamente (ma non filosoficamente) sulla duplicità del "sapere", come "conoscere" ed "essere in grado": ma una pianta o un sasso non sanno esistere in nessuno dei due sensi, semplicemente esistono (forse  ;D ).
Non a caso, non è plausibile il contrario, ovvero che non sappiano esistere (quindi se non è sensato che un ente non sappia esistere, è insensato o ridondante sostenere che sappia esistere).
Ma siamo sicuri che giocare poeticamente non sia un modo più serio e profondo di giocare filosoficamente? Lo so, è questione di gusti, ma merita di rifletterci, non fosse altro perché proprio il gioco poetico (o artistico in genere) è quello che più ci porta nei pressi dell'immagine originaria che è la porta di una zona altrimenti inaccessibile, la soglia che si apre sul nulla che sa e questo lo sa fare l'arte (poetica e non solo) molto meglio della riflessione logica razionale.
Le piante e i sassi sanno esistere perfettamente, sanno come si fa ad esistere e lo dimostrano esistendo (dunque sapere esistere ed esistere non sono la stessa cosa, ma esistere è il mostrarsi del sapere esistere). L'essere umano, oltre a esistere e a sapere esistere, sa di esistere. Anche se in genere accade limitatamente e saltuariamente, poiché il sapere di esistere, pur facendo parte dell'esistenza, agisce contrapponendovisi per poter poi ritenere di saper dominare efficacemente l'esistenza. Per  esempio: noi sappiamo scendere le scale per lo più senza avere coscienza di come si muovono i piedi (sono i piedi che sanno scendere le scale e lo dimostrano scendendole), ma se vogliamo sapere di come i piedi scendono le scale, scendere le scale diventa molto più problematico, i piedi rischiano di inciampare, dobbiamo fermarci al pianerottolo per tentare di conoscere il movimento dei piedi. Per forza, il sapere di fare, spezza innanzitutto l'unità del saper fare per conoscere il collegamento tra il sapere e il fare.


CitazioneParimenti mi pare che il chiedere circolare (che coinvolge una zona solamente ipotizzata) ...
è ambiguamente incentrato sulla personificazione dell'esistenza del saper vivere. Tale personificazione pervasiva potrebbe essere sintomo dell'antropocentrismo del soggetto che, anche quando prova a porsi come semplice pezzo del puzzle, finisce inevitabilmente per deformare la  ricerca a sua immagine e somiglianza, confermando così sia che l'ipotetica zona arancione è inverificabile e inintelligibile (quindi potrebbe non esserci affatto), sia che il chiedere "cosa è accaduto?" è sempre un chiedersi (riflessivo, chiedere a se stessi), quindi il rischio di domande infondate o irrisolvibili fa parte del gioco umano del domandare.
Sì può essere, ma puoi provare a vederla all'opposto come un tentativo di decostruire l'antropocentrismo, condotto da un soggetto che si depersonifica a partire dalla sua persona e lo prova a fare non nei termini dei trucchi di un oggettivismo logico o scientifico che immaginano la possibilità di sguardi sovranamente oggettivi, ma in un avvicinarsi evocando quella immagine originaria che sta sulla soglia, come l'immagine viva di un sogno (che ci è giunto come non sognato da noi) che poi, appena desti subito svanisce lasciando solo qualche resto sempre più irriconoscibile che ci accompagna per un po'.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 02 Marzo 2017, 16:51:27 PM
Citazione di: maral il 02 Marzo 2017, 09:20:42 AM
Citazione di: sgiombo il 01 Marzo 2017, 18:13:30 PM
"Mettendomi nei tuoi panni" mi domando:
Che senso ha discutere con me (e con chiunque altro) se é il contesto in cui ciascuno vive (e non la realtà oggettiva alla quale i pensieri e le credenze, per essere veri, devono adeguarsi) che determina, in base al significato condiviso delle esperienze quali significati possono apparire reali e quali no? Se sono i contesti che danno a ogni vacca il suo diverso colore, non le "vacche in sé" per come oggettivamente sono in realtà?

Ma il contesto è costituito proprio da ciò che ognuno fa con gli altri. Ciò che mi appare reale è in ragione di un essere sempre insieme agli altri che mi corrispondono e mi si oppongono (come qui tu Sgiombo, che sei, insieme a ogni altro qui, con il tuo modo di vedere le cose parte fattivo di quel contesto che determina il significato delle cose anche per me), non è quello che penso io o che pensi tu che stabilisce il colore delle vacche, è ciò che ci collega insieme mentre ne parliamo. E' esattamente il contrario di una visione solipsistica centrata sull'ego da solo pensante e svincolato dai pensieri e dalle immaginazioni altrui. Il fatto poi che ogni contesto produce una verità condivisa mai definitiva, ma sempre in cammino poiché la realtà sempre ci sopravanza, è la chiara negazione che possa esservi un contesto assoluto, contesto di tutti i contesti, o meglio è l'affermazione che esso, se pure c'è, rimane del tutto inaccessibile, proprio come il nulla assoluto che introduce questa discussione.

CitazioneE' ben qui la contraddizione: se non esiste una realtà oggettiva con la quale "testare" le opinioni che si confrontano, non ha alcun senso confrontarle, poiché l' una vale l' altra del tutto indifferentemente (se una serratura si apre con qualsiasi chiave non ha alcun senso un confronto fra chiavi diverse; l' avrebbe invece solo se occorresse trovare quella o quelle che la aprono distinguendola da quelle che non servono all' uopo, anche se si può benissimo pensare -falsamente- che la aprano anch' esse).

Inoltre se ciò che stabilisce il colore della vacche fosse ciò che ci collega insieme mentre ne parliamo, allora poiché per me sono "bianche" (fuor di metafora: immaginario =/= reale) e per te sono "nere (immaginario = reale) allora le vacche sarebbero contraddittoriamente sia bianche che nere (non credo che nella metafora avrebbero un qualche senso vacche a pois o a scacchi, che comunque non sarebbero né le vacche che "vedi tu", nere in "tinta unita", né quelle che "vedo" io, bianche "in tinta unita").

CitazioneQuel tale che cercò di percorrere una passerella immaginaria e si ritrovò sfracellato al suolo aveva nel suo contesto allucinatorio o immaginario una passerella col significato, più o meno condiviso, di essere reale.
...Peccato che, alla faccia del contesto e del significato che in esso vi si attribuiva in maniera più o meno condivisa, la passerella non fosse reale e il malcapitato si sfracellasse al suolo!

E' vero Sgiombo, ma quel tale è ciascuno di noi, perché ogni passerella interpretata fuori dal contesto che la rende reale si dimostra poi sempre, nelle sue conseguenze, un'allucinazione. E questo non è pura una metafora, anche se a leggerlo come metafora è più facile da condividere.

CitazioneIndipendentemente dal contesto una passerella immaginaria é tale che se cerchi di percorrerla ti sfracelli al suolo (perché non é altro che il contenuto dei tuoi pensieri, é solo qualcosa che tu pensi), mentre una passerella reale é tale che ti consente di arrivare dall' altra parte dell' abisso (perché esiste nella realtà, oltre ad essere eventualmente anche da te pensata).

Infatti l' unica interpretazione che riesco sensatamente a cogliere nel concetto di "interpretazione di qualcosa fuori dal contesto che la rende reale, rendendola invece un' allucinazione" é che se interpreto l' ippogrifo Pegaso, anziché veracemente come un oggetto di fantasia nell' ambito della letteratura (per esempio nell' Orlando Furioso), falsamente come un animale reale, alla stregua del cavallo che ha vinto l' ultimo Derby, allora prendo lucciole per lanterne.
E se non colgo la differenza, allora brancolo nel buio della notte hegeliana in cui tutte le vacche -nonché tutti gli equini, alati o meno, reali o fantastici- sembrano nere.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 02 Marzo 2017, 22:40:37 PM
Citazione di: sgiombo il 02 Marzo 2017, 16:51:27 PM
E' ben qui la contraddizione: se non esiste una realtà oggettiva con la quale "testare" le opinioni che si confrontano, non ha alcun senso confrontarle, poiché l' una vale l' altra del tutto indifferentemente (se una serratura si apre con qualsiasi chiave non ha alcun senso un confronto fra chiavi diverse; l' avrebbe invece solo se occorresse trovare quella o quelle che la aprono distinguendola da quelle che non servono all' uopo, anche se si può benissimo pensare -falsamente- che la aprano anch' esse).
Sgiombo, non c'è una realtà oggettiva assoluta con cui ci si possa confrontare, ma c'è una realtà oggettivamente condivisibile (fatta di prassi e dei modi di intendere il mondo che ne consegue) con la quale siamo tenuti per vivere a misurare le nostre chiavi diverse, individualmente soggettive. Dunque il confronto vale sempre e dal confronto risulterà che ci sono delle chiavi vere e delle chiavi false che non funzionano, delle vacche nere, delle vacche pezzate, delle vacche bianche e marroni. Il valore di verità è del tutto conservato in ciò che dico (e lo ripeto per l'ennesima volta) in quanto vale in modo dirimente in relazione al contesto in cui si usa quella chiave, è il contesto che fa funzionare una chiave anziché un'altra e rende percorribili alcune passerelle e non altre.
Noi esistiamo in questo mondo ove le immagini assumono valore di realtà in rapporto proprio al mondo in cui esistiamo e se non ci comportiamo di conseguenza sempre in questo mondo ci sfracelliamo. Ma non possiamo pretendere che la realtà che oggettivamente appare in questo mondo valga in assoluto per tutti i mondi del passato, presente e futuro diversi dal nostro. Ogni mondo condivide e ammette la sua verità e quindi la sua regola per conoscere, percorrerlo e viverci.
Tutto qui, ma se ci si rende conto di questo si compie un salto fondamentale in termini etici, proprio in quanto la si smette di ritenere che il nostro modo di vivere e di conoscere debba valere per tutti, perché è capace di rivelare (il nostro) come stanno e sono sempre state le cose in sé per tutti in ogni contesto culturale.
La verità è un'abitudine a fare significato condiviso insieme, un'abitudine condivisa che ci fa essere quello che siamo permettendoci di vivere conoscendo e regolandoci di conseguenza, ciascuno qui e ora e non in assoluto, non in sé, quindi ogni mondo presenta la sua verità in cui comunque occorre collocarsi per non precipitare.
Ogni porta ha la chiave giusta, ma è la diversa serratura che richiede la sua chiave, perché nessuna chiave è giusta in sé, ma ogni chiave diversamente e relativamente a ogni serratura.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 02 Marzo 2017, 22:53:14 PM
Citazione di: maral il 02 Marzo 2017, 10:45:39 AM
Citazione di: Phil il 01 Marzo 2017, 22:21:33 PM
Citazione di: maral il 01 Marzo 2017, 19:56:02 PMLo schema, come tutto ciò che rappresenta, è elemento della zona blu, che immagina una zona arancione per tracciarla.
(corsivo mio) Quindi tutto inizia della zona blu, dal soggetto che si chiede cosa c'è oltre il suo blu e quindi si traccia una zona arancione.
Direi piuttosto che tutto inizia da un soggetto che comincia a sentire che tutto non inizia da lui e in tal modo "disconosce", ossia prende a decostruire ciò che conosce. Questo momento inaugura un sapere di non sapere che nasce certamente dal soggetto e lo riguarda, ma lo travalica (perché se non lo travalicasse di fatto si resterebbe sempre nel sapere di sapere e nelle illusioni ad esso implicite di un sapere progressivo).

CitazioneCredo che se accade non è nulla, e se è un nulla per la nostra conoscenza non possiamo predicare niente che lo riguardi positivamente (come accadere, originare, etc.). Ammenoché non si tratti di una congettura teoretica... Affermare che
Citazione di: maral il 01 Marzo 2017, 19:56:02 PMLa linea gialla non è però né una mera ipotesi teoretica, né un assioma anapodittico, è solo il tentativo del tutto inadeguato, di rappresentare quel nulla (nulla per la conoscenza) che continuamente accade
è contraddittorio, poiché se è nulla per la coscienza, non può essere rappresentato da essa, nemmeno con un tentativo (poiché non si ha nulla per impostarlo...).
E' nulla per la nostra coscienza e tuttavia accade continuamente, come accade il sonno profondo, come accade il nostro respirare e il rispondere appropriato e inconsapevole del nostro corpo che sa rispondere e lo dimostra vivendo. E' la dimensione inconscia che racchiude ogni conoscenza pur apparendovi inclusa quando ce la rappresentiamo. E' la storia di miliardi di individui di cui non sapremo mai nulla, ma che hanno vissuto e vivendo determinato ciò che ora siamo. E' la meta del paradossale "diventare ciò che si è" di Nietzsche, è "il luogo ove non si è mai stati, ma a cui bisogna ritornare". E' forse, ancora più propriamente, quel Tao della sapienza orientale, che sfugge a ogni rappresentazione e di cui nulla si può dire se non in negativo  pur essendo sempre in positivo (2 e 1 nello stesso tempo). E' la matrice a cui non vi è accesso proprio perché ci siamo da sempre e sempre dentro, ne siamo sempre parte. Qualsiasi cosa io qui dica o tracci in figura può però solo evocarlo, non rappresentarlo e men che meno definirlo e solo ciò che si definisce può essere analizzato alla luce del principio di non contraddizione, non ciò che si evoca.

CitazioneQuando dici che
Citazione di: maral il 01 Marzo 2017, 19:56:02 PM...
non personifichi forse il nulla (poiché il chiedere è attività umana) rischiando di non realizzare che la domanda non è posta dal nulla (che in quanto tale non chiede) ma dall'uomo?
Non sto personificando il nulla, piuttosto tento di annullare l'antropomorfismo che immagina l'uomo come autore originario di ogni domanda. L'uomo ha un linguaggio, ma la domanda precede quel linguaggio, il linguaggio riformula e ritraduce continuamente la domanda secondo una semantica e una sintassi tentando di rispondere a partire da un'immagine che introduce la domanda stessa, un'immagine che non è l'uomo a immaginare, ma che immagina l'uomo ed è proprio con la domanda che un essere umano comincia ad apparire. (sappiamo quanto questa immagine originaria e sfuggente abbia assunto nella storia umana una prima conformazione divina attraverso il mito, ma essa non abita nell'azzurro alto dei cieli - qui è un altro Dio che vi abita, un Dio che tutto conosce e tutto può- abita invece presso la vita sapiente delle rocce, degli animali e delle piante che sanno senza  conoscere)


Citazionegiocando poeticamente (ma non filosoficamente) sulla duplicità del "sapere", come "conoscere" ed "essere in grado": ma una pianta o un sasso non sanno esistere in nessuno dei due sensi, semplicemente esistono (forse  ;D ).
Non a caso, non è plausibile il contrario, ovvero che non sappiano esistere (quindi se non è sensato che un ente non sappia esistere, è insensato o ridondante sostenere che sappia esistere).
Ma siamo sicuri che giocare poeticamente non sia un modo più serio e profondo di giocare filosoficamente? Lo so, è questione di gusti, ma merita di rifletterci, non fosse altro perché proprio il gioco poetico (o artistico in genere) è quello che più ci porta nei pressi dell'immagine originaria che è la porta di una zona altrimenti inaccessibile, la soglia che si apre sul nulla che sa e questo lo sa fare l'arte (poetica e non solo) molto meglio della riflessione logica razionale.
Le piante e i sassi sanno esistere perfettamente, sanno come si fa ad esistere e lo dimostrano esistendo (dunque sapere esistere ed esistere non sono la stessa cosa, ma esistere è il mostrarsi del sapere esistere). L'essere umano, oltre a esistere e a sapere esistere, sa di esistere. Anche se in genere accade limitatamente e saltuariamente, poiché il sapere di esistere, pur facendo parte dell'esistenza, agisce contrapponendovisi per poter poi ritenere di saper dominare efficacemente l'esistenza. Per  esempio: noi sappiamo scendere le scale per lo più senza avere coscienza di come si muovono i piedi (sono i piedi che sanno scendere le scale e lo dimostrano scendendole), ma se vogliamo sapere di come i piedi scendono le scale, scendere le scale diventa molto più problematico, i piedi rischiano di inciampare, dobbiamo fermarci al pianerottolo per tentare di conoscere il movimento dei piedi. Per forza, il sapere di fare, spezza innanzitutto l'unità del saper fare per conoscere il collegamento tra il sapere e il fare.


CitazioneParimenti mi pare che il chiedere circolare (che coinvolge una zona solamente ipotizzata) ...
è ambiguamente incentrato sulla personificazione dell'esistenza del saper vivere. Tale personificazione pervasiva potrebbe essere sintomo dell'antropocentrismo del soggetto che, anche quando prova a porsi come semplice pezzo del puzzle, finisce inevitabilmente per deformare la  ricerca a sua immagine e somiglianza, confermando così sia che l'ipotetica zona arancione è inverificabile e inintelligibile (quindi potrebbe non esserci affatto), sia che il chiedere "cosa è accaduto?" è sempre un chiedersi (riflessivo, chiedere a se stessi), quindi il rischio di domande infondate o irrisolvibili fa parte del gioco umano del domandare.
Sì può essere, ma puoi provare a vederla all'opposto come un tentativo di decostruire l'antropocentrismo, condotto da un soggetto che si depersonifica a partire dalla sua persona e lo prova a fare non nei termini dei trucchi di un oggettivismo logico o scientifico che immaginano la possibilità di sguardi sovranamente oggettivi, ma in un avvicinarsi evocando quella immagine originaria che sta sulla soglia, come l'immagine viva di un sogno (che ci è giunto come non sognato da noi) che poi, appena desti subito svanisce lasciando solo qualche resto sempre più irriconoscibile che ci accompagna per un po'.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 03 Marzo 2017, 11:53:56 AM
Citazione di: maral il 02 Marzo 2017, 22:40:37 PM
Citazione di: sgiombo il 02 Marzo 2017, 16:51:27 PM
E' ben qui la contraddizione: se non esiste una realtà oggettiva con la quale "testare" le opinioni che si confrontano, non ha alcun senso confrontarle, poiché l' una vale l' altra del tutto indifferentemente (se una serratura si apre con qualsiasi chiave non ha alcun senso un confronto fra chiavi diverse; l' avrebbe invece solo se occorresse trovare quella o quelle che la aprono distinguendola da quelle che non servono all' uopo, anche se si può benissimo pensare -falsamente- che la aprano anch' esse).
Sgiombo, non c'è una realtà oggettiva assoluta con cui ci si possa confrontare, ma c'è una realtà oggettivamente condivisibile (fatta di prassi e dei modi di intendere il mondo che ne consegue) con la quale siamo tenuti per vivere a misurare le nostre chiavi diverse, individualmente soggettive.
Citazione"Realtà oggettivamente condivisibile" significa "realtà che può -N.B.: non deve necessariamente!- essere condivisa", cioè che è reale indipendentemente da qualsiasi eventuale (possibile e non necessaria) condivisione".
E in esssa non hanno denotazione reale tutti i concetti variamente denotati che si possono pensare e che di fatto si pensano (ad esempio i cavalli sì, gli ippogrifi no); e inoltre le denotazioni reali di quei concetti che si pensano e che ne sono "dotati", che vi si riferiscono, sono tali (reali) anche indipendentemente dall' eventuale accadere realmente o meno pure dei concetti che ad esse si riferiscono (anche se non vengono pensate).
Conclusione: vi sono cose (realmente) pensate non reali (ippogrifi; se non ovviamente, tautologicamente in quanto pensate) e cose reali che non sono inoltre anche (realmente) pensate.



Dunque il confronto vale sempre e dal confronto risulterà che ci sono delle chiavi vere e delle chiavi false che non funzionano, delle vacche nere, delle vacche pezzate, delle vacche bianche e marroni.
Citazionerisulterà che ci sono delle chiavi vere e delle chiavi false che non funzionano, delle vacche nere, delle vacche pezzate, delle vacche bianche e marroni non dal confronto fra vari modi di pensare a prescindere dalla realtà (nel quale c' è tutto e il contrario di tutto e non vi è differenza di colore e tutto sembra "ugualmente nero": l' esserci di una passerella reale per non sfracellarsi e l' esserci di una passerella immaginaria per sfracellarsi; è solo nel confronto con la serratura reale che si può stabilire quali chiavi funzionano e quali no, non certo dal confronto delle chiavi fra loro a prescindere dalla serratura reale, che può essere interessante ma non é dirimente); bensì dal confronto fra i vari modi di pensare e la realtà.



Il valore di verità è del tutto conservato in ciò che dico (e lo ripeto per l'ennesima volta) in quanto vale in modo dirimente in relazione al contesto in cui si usa quella chiave, è il contesto che fa funzionare una chiave anziché un'altra e rende percorribili alcune passerelle e non altre.
CitazioneIl contesto che fa funzionare la chiave è il contesto reale (la serratura reale) e non il contesto culturale, ideale, pensato (il confronto di una chiave con l' altra): le chiavi vanno confrontate con la serratura reale e non fra loro per capire quali funzionano (fuor di metafora: le credenze vanno confrontate non fra loro -questo può essere interessante e utile, anche ai fini euristici, ma non é dirimente- ma con la realtà per capire quali siano vere).



Noi esistiamo in questo mondo ove le immagini assumono valore di realtà in rapporto proprio al mondo in cui esistiamo e se non ci comportiamo di conseguenza sempre in questo mondo ci sfracelliamo. Ma non possiamo pretendere che la realtà che oggettivamente appare in questo mondo valga in assoluto per tutti i mondi del passato, presente e futuro diversi dal nostro.
CitazioneMa chi avrebbe mai avuto una simile pretesa autocontraddittoria, assurda???



Ogni mondo condivide e ammette la sua verità e quindi la sua regola per conoscere, percorrerlo e viverci.
CitazioneOgni mondo reale e non ogni "contesto culturale più o meno condiviso"!



Tutto qui, ma se ci si rende conto di questo si compie un salto fondamentale in termini etici, proprio in quanto la si smette di ritenere che il nostro modo di vivere e di conoscere debba valere per tutti, perché è capace di rivelare (il nostro) come stanno e sono sempre state le cose in sé per tutti in ogni contesto culturale.
CitazioneNon confondiamo etica e ontologia, senso del dovere e conoscenza della realtà!

Il nostro modo di vivere non vale per tutti: e chi l' avrebbe mai preteso???

Ma non esiste affatto un numero indefinito e arbitrario di modi di conoscere, non si può pretendere di conoscere (veracemente) inventandosi con la fantasia sfrenata "presunte realtà ad libitum", ma solo adeguando il proprio pensiero alla realtà effettivamente data, al "come stanno le cose in sé per tutti indipendentemente da qualsiasi eventuale contesto culturale".



La verità è un'abitudine a fare significato condiviso insieme, un'abitudine condivisa che ci fa essere quello che siamo permettendoci di vivere conoscendo e regolandoci di conseguenza, ciascuno qui e ora e non in assoluto, non in sé, quindi ogni mondo presenta la sua verità in cui comunque occorre collocarsi per non precipitare.
Ogni porta ha la chiave giusta, ma è la diversa serratura che richiede la sua chiave, perché nessuna chiave è giusta in sé, ma ogni chiave diversamente e relativamente a ogni serratura.
CitazioneNO!
La verità (per definizione) è adeguazione del pensiero alla realtà quale accade e accadrebbe comunque, anche indipendentemente dall' eventuale essere pure oggetto di pensiero, anche se non fosse pensata e conosciuta (salvo ovviamente, tautologicamente il fatto di essere inoltre anche pensata e conosciuta).

Si può condividere insieme in un numero di illusi (credenti il falso) grande quanto si vuole l' abitudine  a credere che esistono gli ippogrifi o che la terra è piatta o al centro dell' universo, ma gli ippogrifi continuano a non esistere e la terra a non essere piatta e non al centro dell' universo.
Non è che prima di Copernico la terra fosse al centro dell' universo e dopo si è spostata in periferia!
Se la passerella reale non c' è, allora per non precipitare occorre collocarsi nel modo teorico in cui (si sa che) non c' è e non in un mondo teorico qualsiasi, in cui magari (si pretende di sapere che) c' è: in questo modo ci si sfracella di sicuro!

Infatti per l' appunto Ogni porta ha la chiave giusta, ma è la diversa serratura reale che richiede la sua chiave (proprio quella, e non qualsiasi chiave), perché nessuna chiave è giusta in sé, ma sono giuste non tutte le chiavi (non ogni chiave) ma solo quelle che lo sono (diversamente l' una dall' altra) e relativamente alle serrature reali (diverse l' una dall' altra).
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 04 Marzo 2017, 22:46:58 PM
Citazione di: sgiombo il 03 Marzo 2017, 11:53:56 AM
"Realtà oggettivamente condivisibile" significa "realtà che può -N.B.: non deve necessariamente!- essere condivisa", cioè che è reale indipendentemente da qualsiasi eventuale (possibile e non necessaria) condivisione".
E in esssa non hanno denotazione reale tutti i concetti variamente denotati che si possono pensare e che di fatto si pensano (ad esempio i cavalli sì, gli ippogrifi no); e inoltre le denotazioni reali di quei concetti che si pensano e che ne sono "dotati", che vi si riferiscono, sono tali (reali) anche indipendentemente dall' eventuale accadere realmente o meno pure dei concetti che ad esse si riferiscono (anche se non vengono pensate).
Conclusione: vi sono cose (realmente) pensate non reali (ippogrifi; se non ovviamente, tautologicamente in quanto pensate) e cose reali che non sono inoltre anche (realmente) pensate.
Sì realtà condivisibile significa che può essere condivisa, ma c'è sempre un fondo di condivisione fondamentale in cui ci si muove insieme, fatto di esperienze comuni e di una storia comune che stabilisce significati che si considerano insieme veri o falsi, ove questa verità e falsità non è certo data solo dalle cose in sé che come tali non possiamo né conoscere né tanto meno definire, ma solo viverle come accadimenti. Qualcosa è accaduto a me come a chi ha visto un ippogrifo, cosa? Il cosa lo definisce sempre parzialmente un significato che è il prodotto delle nostre esperienze, che non sono assolute e non sono né mie né tue.



Citazionerisulterà che ci sono delle chiavi vere e delle chiavi false che non funzionano, delle vacche nere, delle vacche pezzate, delle vacche bianche e marroni non dal confronto fra vari modi di pensare a prescindere dalla realtà (nel quale c' è tutto e il contrario di tutto e non vi è differenza di colore e tutto sembra "ugualmente nero": l' esserci di una passerella reale per non sfracellarsi e l' esserci di una passerella immaginaria per sfracellarsi; è solo nel confronto con la serratura reale che si può stabilire quali chiavi funzionano e quali no, non certo dal confronto delle chiavi fra loro a prescindere dalla serratura reale, che può essere interessante ma non é dirimente); bensì dal confronto fra i vari modi di pensare e la realtà.
Ma la serratura reale a cui ti riferisci non ce l'hai, perché nel momento in cui la conosci non può essere la serratura in sé e per sé proprio perché la conosci e la usi con un significato. La serratura che tu consideri reale in sé e per sé è qualcosa che ha il significato di essere una serratura reale in sé e per sé. Né la chiave né la serratura sono reali in sé, ma sono reali per noi, nel loro venirci a significare nei contesti in cui le viviamo.




CitazioneIl contesto che fa funzionare la chiave è il contesto reale (la serratura reale) e non il contesto culturale, ideale, pensato (il confronto di una chiave con l' altra): le chiavi vanno confrontate con la serratura reale e non fra loro per capire quali funzionano (fuor di metafora: le credenze vanno confrontate non fra loro -questo può essere interessante e utile, anche ai fini euristici, ma non é dirimente- ma con la realtà per capire quali siano vere).
Ma cos'è la serratura reale? E' forse reale perché la apre la chiave reale? E allora cos'è la chiave reale? quella che mi apre la serratura reale perbacco! Capisci il circolo vizioso del discorso che vieni a fare? Qual è la prima cosa reale in sé da cui partire?

CitazioneMa chi avrebbe mai avuto una simile pretesa autocontraddittoria, assurda???
Tu, quando affermi che ci sono cose reali in sé e che come tali le possiamo conoscere.
Tutto quello che la realtà manifesta è solo che qualcosa accade nel nulla di un puro accadere e accadendo è subito parte di noi (dove il noi ancora non c'è). Siamo noi stessi che cominciamo ad accadere nel nostro significato quando qualcosa sta accadendo nel suo significato che è sempre relativo al contesto in cui del tutto concretamente ci accade di vivere.

CitazioneOgni mondo reale e non ogni "contesto culturale più o meno condiviso"!
E di nuovo cos'è il mondo reale di per sé? Cosa rende reale il mondo se non significati ereditati da millenni e prodotto da miliardi di pratiche di conoscenza condivise che letteralmente producono ciò che siamo?


CitazioneNon confondiamo etica e ontologia, senso del dovere e conoscenza della realtà!

Il nostro modo di vivere non vale per tutti: e chi l' avrebbe mai preteso???
Alla base di ogni ontologia c'è sempre un modo di sentire etico, proprio come ogni etica nasce a partire da un'ontologia. Possiamo non confonderle, ma non possiamo non vedere quanto costantemente si implicano.

CitazioneMa non esiste affatto un numero indefinito e arbitrario di modi di conoscere, non si può pretendere di conoscere (veracemente) inventandosi con la fantasia sfrenata "presunte realtà ad libitum", ma solo adeguando il proprio pensiero alla realtà effettivamente data, al "come stanno le cose in sé per tutti indipendentemente da qualsiasi eventuale contesto culturale".
Infatti, non ti sei ancora reso conto, nonostante continui a ripeterlo, che non sto dicendo affatto che ci sia un numero indefinito e arbitrario di modi di conoscere, né c'è alcuna fantasia sfrenata nel conoscere. E questo vale per tutti, anzi ce ne è uno solo, proprio quello che ognuno vive, insieme agli altri come reale, con limitate varianti individuali che fanno la differenza tra l'uno e l'altro soggetto.



CitazioneNO!
La verità (per definizione) è adeguazione del pensiero alla realtà quale accade e accadrebbe comunque, anche indipendentemente dall' eventuale essere pure oggetto di pensiero, anche se non fosse pensata e conosciuta (salvo ovviamente, tautologicamente il fatto di essere inoltre anche pensata e conosciuta).
Accadrebbe comunque certo, ma cosa accade? Quello che accade ci accade nella forma in cui accade perché così si fa conoscere e il modo in cui si fa conoscere dipende dai soggetti che insieme la conoscono.

CitazioneSi può condividere insieme in un numero di illusi (credenti il falso) grande quanto si vuole l' abitudine  a credere che esistono gli ippogrifi o che la terra è piatta o al centro dell' universo, ma gli ippogrifi continuano a non esistere e la terra a non essere piatta e non al centro dell' universo.
Non è che prima di Copernico la terra fosse al centro dell' universo e dopo si è spostata in periferia!
No, la terra è sempre stata dove è, ma il suo significato è stato diverso. Che la terra non sia piatta e non ci sia un centro dell'universo sta nel nostro significato che diamo all'accadere del luogo in cui viviamo, esattamente come stava nel significato di chi viveva 4000 anni fa ed era convinto quanto noi che il suo significato fosse del tutto reale, proprio come noi e avrebbe ritenuto pazzesco quello che oggi noi sappiamo della terra.



CitazioneSe la passerella reale non c' è, allora per non precipitare occorre collocarsi nel modo teorico in cui (si sa che) non c' è e non in un mondo teorico qualsiasi, in cui magari (si pretende di sapere che) c' è: in questo modo ci si sfracella di sicuro!

Infatti per l' appunto Ogni porta ha la chiave giusta, ma è la diversa serratura reale che richiede la sua chiave (proprio quella, e non qualsiasi chiave), perché nessuna chiave è giusta in sé, ma sono giuste non tutte le chiavi (non ogni chiave) ma solo quelle che lo sono (diversamente l' una dall' altra) e relativamente alle serrature reali (diverse l' una dall' altra).
E' quello che dico anch'io, solo che la passerella reale in sé o la chiave reale in sé non si può in alcun modo trovare, semplicemente perché siamo dentro alla realtà, dunque non si può vedere la realtà per come è. Tutto quello che si può fare e che dobbiamo fare è ascoltarci l'un l'altro per capire quali significati insieme possiamo dare a quello che ci accade. Ed è così che l'ontologia ritrova il suo fondamento etico, ed è così che ci si può confrontare su un forum anche avendo opinioni diversi sui fondamenti della realtà.

Come scrive Sini in "Inizio":« Capita allora che a noi filosofi, dal tempo di Talete consapevoli adepti del dio delle macchine e dei frantoi, continui a riservarsi il compito di invitare i nostri fratelli a quel lucido incantesimo cui accennava Nietzsche: la capacità di sognare più vero, la capacità di dirsi, sognando: vedi sto sognando
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 05 Marzo 2017, 16:22:51 PM
Citazione di: maral il 04 Marzo 2017, 22:46:58 PM
Citazione di: sgiombo il 03 Marzo 2017, 11:53:56 AM
"Realtà oggettivamente condivisibile" significa "realtà che può -N.B.: non deve necessariamente!- essere condivisa", cioè che è reale indipendentemente da qualsiasi eventuale (possibile e non necessaria) condivisione".
E in esssa non hanno denotazione reale tutti i concetti variamente denotati che si possono pensare e che di fatto si pensano (ad esempio i cavalli sì, gli ippogrifi no); e inoltre le denotazioni reali di quei concetti che si pensano e che ne sono "dotati", che vi si riferiscono, sono tali (reali) anche indipendentemente dall' eventuale accadere realmente o meno pure dei concetti che ad esse si riferiscono (anche se non vengono pensate).
Conclusione: vi sono cose (realmente) pensate non reali (ippogrifi; se non ovviamente, tautologicamente in quanto pensate) e cose reali che non sono inoltre anche (realmente) pensate.
Sì realtà condivisibile significa che può essere condivisa, ma c'è sempre un fondo di condivisione fondamentale in cui ci si muove insieme, fatto di esperienze comuni e di una storia comune che stabilisce significati che si considerano insieme veri o falsi, ove questa verità e falsità non è certo data solo dalle cose in sé che come tali non possiamo né conoscere né tanto meno definire, ma solo viverle come accadimenti. Qualcosa è accaduto a me come a chi ha visto un ippogrifo, cosa? Il cosa lo definisce sempre parzialmente un significato che è il prodotto delle nostre esperienze, che non sono assolute e non sono né mie né tue.
CitazionePer definizione ciò che fa vere o false le credenze non è la loro condivisione in una cerchia più o meno ampia di soggetti di conoscenza, bensì la loro conformità con la realtà; solitamente non con la realtà in sé ma invece con la realtà fenomenica (assunta essere intersoggettiva nel caso di quella materiale) quale è anche indipendentemente dall' eventuale essere pure oggetto di conoscenza: che la terra fosse al centro dell' universo fino al sedicesimo secolo era opinione amplissimamente condivisa, ma non per questo non era falsa.


E una conoscenza vera che fosse saputa da una sola persona e non condivisa con nessuno (per esempio la relatività prima che Einstein la pubblicasse) non per questo non sarebbe vera.





Citazionerisulterà che ci sono delle chiavi vere e delle chiavi false che non funzionano, delle vacche nere, delle vacche pezzate, delle vacche bianche e marroni non dal confronto fra vari modi di pensare a prescindere dalla realtà (nel quale c' è tutto e il contrario di tutto e non vi è differenza di colore e tutto sembra "ugualmente nero": l' esserci di una passerella reale per non sfracellarsi e l' esserci di una passerella immaginaria per sfracellarsi; è solo nel confronto con la serratura reale che si può stabilire quali chiavi funzionano e quali no, non certo dal confronto delle chiavi fra loro a prescindere dalla serratura reale, che può essere interessante ma non é dirimente); bensì dal confronto fra i vari modi di pensare e la realtà.
Ma la serratura reale a cui ti riferisci non ce l'hai, perché nel momento in cui la conosci non può essere la serratura in sé e per sé proprio perché la conosci e la usi con un significato. La serratura che tu consideri reale in sé e per sé è qualcosa che ha il significato di essere una serratura reale in sé e per sé. Né la chiave né la serratura sono reali in sé, ma sono reali per noi, nel loro venirci a significare nei contesti in cui le viviamo.
CitazioneSe la conosco veracemente (senza che le dia alcun significato: mica è un simbolo!), allora è proprio quella chiave che apre quella serratura.


Il fatto che la conosca non ne fa affatto un' altra chiave che non apre la serratura!


La chiave della porta di casa mia, come tante altre chiavi e al contrario di tante altre cose pensabili e pensate (come gli ippogrifi), è realissima: non vivo nel mondo delle favole...almeno io!).





CitazioneIl contesto che fa funzionare la chiave è il contesto reale (la serratura reale) e non il contesto culturale, ideale, pensato (il confronto di una chiave con l' altra): le chiavi vanno confrontate con la serratura reale e non fra loro per capire quali funzionano (fuor di metafora: le credenze vanno confrontate non fra loro -questo può essere interessante e utile, anche ai fini euristici, ma non é dirimente- ma con la realtà per capire quali siano vere).
Ma cos'è la serratura reale? E' forse reale perché la apre la chiave reale? E allora cos'è la chiave reale? quella che mi apre la serratura reale perbacco! Capisci il circolo vizioso del discorso che vieni a fare? Qual è la prima cosa reale in sé da cui partire?
CitazioneMa quale mai circolo (preteso) "vizioso" ? ! ? ! ? !


E' casomai una tautologia: la chiave reale si definisce come quell' attrezzo che apre una serratura reale!


Non  pretendo certo di "dimostrare" che la chiave è reale perché apre una serratura reale, la quale è reale perché è aperta dalla chiave reale!
Invece provo ad usare la chiave che constato reale per aprire la serratura che parimenti constato reale: se è quella "giusta" la apre, tutto lì (constatazioni empiriche)!





CitazioneMa chi avrebbe mai avuto una simile pretesa autocontraddittoria, assurda???
Tu, quando affermi che ci sono cose reali in sé e che come tali le possiamo conoscere.
Tutto quello che la realtà manifesta è solo che qualcosa accade nel nulla di un puro accadere e accadendo è subito parte di noi (dove il noi ancora non c'è). Siamo noi stessi che cominciamo ad accadere nel nostro significato quando qualcosa sta accadendo nel suo significato che è sempre relativo al contesto in cui del tutto concretamente ci accade di vivere.

CitazioneNo, guarda che sono innumerevoli le volte in cui ho affermato a chiare lettere nel forum che se ci sono cose reali in sé, come credo fideisticamente, allora sono altra cosa dalle percezioni fenomeniche che ho, cioè dalle cose che posso conoscere; non sono le mie sensazioni ma gli oggetti di esse come io ne sono il soggetto.


Io affermo invece che ci sono cose fenomeniche e non affatto in sé che possiamo conoscere, e che sono reali sia nel caso che le conosciamo sia qualora non le conosciamo.


Non devi confondere cose reali indipendentemente dall' essere eventualmente anche conosciute e cose in sé o noumeno, si tratta di concetti ben diversi fra loro!


"Qualcosa accade nel nulla di un puro accadere" è uno pseudoconcetto autocontraddittorio, senza senso: nel nulla secondo logica non può accadere alcunché e non affatto accadere qualcosa.
Idem per qualcosa che "è subito parte di noi (dove il noi ancora non c'è)".






CitazioneOgni mondo reale e non ogni "contesto culturale più o meno condiviso"!
E di nuovo cos'è il mondo reale di per sé? Cosa rende reale il mondo se non significati ereditati da millenni e prodotto da miliardi di pratiche di conoscenza condivise che letteralmente producono ciò che siamo?
CitazioneSignificati ereditati da millenni e prodotti da miliardi di pratiche di conoscenza condivise possono costituire (al limite "produrre") conoscenze (ma pure false credenze!) e non affatto cose (enti ed eventi) reali; altrimenti sarebbero reali ippogrifi, centauri, chimere e chi più ne ha più ne metta!






CitazioneNon confondiamo etica e ontologia, senso del dovere e conoscenza della realtà!

Il nostro modo di vivere non vale per tutti: e chi l' avrebbe mai preteso???
Alla base di ogni ontologia c'è sempre un modo di sentire etico, proprio come ogni etica nasce a partire da un'ontologia. Possiamo non confonderle, ma non possiamo non vedere quanto costantemente si implicano.
CitazioneMa il fatto è che tu indebitamente le confondevi (e lo fai anche più sotto):

"Tutto qui, ma se ci si rende conto di questo si compie un salto fondamentale in termini etici, proprio in quanto la si smette di ritenere che il nostro modo di vivere e di conoscere debba valere per tutti, perché è capace di rivelare (il nostro) come stanno e sono sempre state le cose in sé per tutti in ogni contesto culturale",

Attribuendomi indebitamente la pretesa che il mio modo di vivere debba valere per tutti (aberrazione etica!) per il fatto che affermo non che un presunto "mio" modo di conoscere, ma il "modo di conoscere" inteso (comunemente) come predicazione della realtà di ciò che è reale e/o della irrealtà di ciò che non è reale vale per tutti (corretta relazione della gnoseologia all' ontologia; per definizione! Per ciò che comunemente parlando in lingua italiana si intende con "conoscere" e con "realtà").






CitazioneMa non esiste affatto un numero indefinito e arbitrario di modi di conoscere, non si può pretendere di conoscere (veracemente) inventandosi con la fantasia sfrenata "presunte realtà ad libitum", ma solo adeguando il proprio pensiero alla realtà effettivamente data, al "come stanno le cose in sé per tutti indipendentemente da qualsiasi eventuale contesto culturale".
Infatti, non ti sei ancora reso conto, nonostante continui a ripeterlo, che non sto dicendo affatto che ci sia un numero indefinito e arbitrario di modi di conoscere, né c'è alcuna fantasia sfrenata nel conoscere. E questo vale per tutti, anzi ce ne è uno solo, proprio quello che ognuno vive, insieme agli altri come reale, con limitate varianti individuali che fanno la differenza tra l'uno e l'altro soggetto.
CitazioneNo, guarda che questo è proprio quanto da me instancabilmente affermato e da te altrettanto instancabilmente negato (anche appena qui sopra in questo stesso intervento che sto criticando; e pure poco più sotto)!






CitazioneNO!
La verità (per definizione) è adeguazione del pensiero alla realtà quale accade e accadrebbe comunque, anche indipendentemente dall' eventuale essere pure oggetto di pensiero, anche se non fosse pensata e conosciuta (salvo ovviamente, tautologicamente il fatto di essere inoltre anche pensata e conosciuta).
Accadrebbe comunque certo, ma cosa accade? Quello che accade ci accade nella forma in cui accade perché così si fa conoscere e il modo in cui si fa conoscere dipende dai soggetti che insieme la conoscono.
CitazioneIl modo in cui é conosciuto (per dirlo alquanto antropomorficamente: "in cui si fa conoscere"), certo!

Ma non affatto il modo in cui realmente accade, che sia conosciuto o meno.

Infatti, al contrario di quanto da te preteso anche qui appena sopra (e pure più sotto), il conoscere e in generale il pensare qualcosa è ben altra cosa dall' accadere realmente di tale "qualcosa", che si può dare anche senza che si dia il conoscere e in generale il pensare: cavalli reali (mentre si può anche dare il pensare ciò che non accade realmente: ippogrifi!).






CitazioneSi può condividere insieme in un numero di illusi (credenti il falso) grande quanto si vuole l' abitudine  a credere che esistono gli ippogrifi o che la terra è piatta o al centro dell' universo, ma gli ippogrifi continuano a non esistere e la terra a non essere piatta e non al centro dell' universo.
Non è che prima di Copernico la terra fosse al centro dell' universo e dopo si è spostata in periferia!
No, la terra è sempre stata dove è, ma il suo significato è stato diverso. Che la terra non sia piatta e non ci sia un centro dell'universo sta nel nostro significato che diamo all'accadere del luogo in cui viviamo, esattamente come stava nel significato di chi viveva 4000 anni fa ed era convinto quanto noi che il suo significato fosse del tutto reale, proprio come noi e avrebbe ritenuto pazzesco quello che oggi noi sappiamo della terra.
CitazioneLa terra è stata dov' è (o meglio si è mossa dove si è mossa) senza significare alcunché: mica ce l' ha messa intenzionalmente un dio per insegnare qualcosa a qualcuno!
Infatti che la terra non sia piatta e non ci sia un centro dell'universo sta nella realtà e non solo nel significato delle nostre affermazioni vere su di essa, mentre non stava per neinte nel modo in cui la pensava falsamente, al contrario di noi, chi viveva 4000 anni fa e avrebbe ritenuto falsamente pazzesco quello che oggi noi sappiamo veracemente della terra.







CitazioneSe la passerella reale non c' è, allora per non precipitare occorre collocarsi nel modo teorico in cui (si sa che) non c' è e non in un mondo teorico qualsiasi, in cui magari (si pretende di sapere che) c' è: in questo modo ci si sfracella di sicuro!

Infatti per l' appunto Ogni porta ha la chiave giusta, ma è la diversa serratura reale che richiede la sua chiave (proprio quella, e non qualsiasi chiave), perché nessuna chiave è giusta in sé, ma sono giuste non tutte le chiavi (non ogni chiave) ma solo quelle che lo sono (diversamente l' una dall' altra) e relativamente alle serrature reali (diverse l' una dall' altra).
E' quello che dico anch'io, solo che la passerella reale in sé o la chiave reale in sé non si può in alcun modo trovare, semplicemente perché siamo dentro alla realtà, dunque non si può vedere la realtà per come è. Tutto quello che si può fare e che dobbiamo fare è ascoltarci l'un l'altro per capire quali significati insieme possiamo dare a quello che ci accade. Ed è così che l'ontologia ritrova il suo fondamento etico, ed è così che ci si può confrontare su un forum anche avendo opinioni diversi sui fondamenti della realtà.

Come scrive Sini in "Inizio":« Capita allora che a noi filosofi, dal tempo di Talete consapevoli adepti del dio delle macchine e dei frantoi, continui a riservarsi il compito di invitare i nostri fratelli a quel lucido incantesimo cui accennava Nietzsche: la capacità di sognare più vero, la capacità di dirsi, sognando: vedi sto sognando
CitazioneA parte la solita confusione fra "cose in sé (noumeno)" e "cose (fenomeniche) reali anche indipendentemente dall' essere pure, inoltre, (realmente) pensate, conosciute o meno", non vedo perché mai non si possa riflessivamente conoscere qualcosa di cui si è parte, all' interno della quale si é.
Fin dai tempi di Socrate ("gnothis hautòn") l' autoconoscienza è stata tranquillamente accettata come sensatissima e possibilissima senza che nessuno, a quanto mi consta, ne abbia dimostrato l' impossibilità!
 
Ripeto che l' etica della tolleranza e del confronto critico con gli altri non va assolutamente confusa con la gnoseologia e l' ontologia; la quale non si può affatto "costruire" ad libitum ma alla quale ci si deve (se la si vuol conoscere: niente di obbligatorio per nessuno, per carità! Chi vuol credere che gli ippogrifi sono altrettanto reali dei cavalli faccia pure! E ci mancherebbe altro!) adeguare con i nostri pensieri.
 
MI dispiace per Sini e per Nietzche, ma sognando si può magari fare dell' ottima poesia o arte figurativa, ma non conoscere (se non del tutto fortuitamente e improbabilissimamente; "inaffidabilmente"), di norma si pendono invece lucciole per lanterne.
Per conoscere si deve pensare la realtà per come essa è e non affatto per come la fantasia o il sogno ce la fanno sembrare.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 07 Marzo 2017, 11:22:54 AM
Caro Sgiombo in conclusione mi pare che abbiamo portato questo thread ben oltre lo spunto iniziale e forse troppo oltre per mantenere il tema. Mi riprometto di riprendere in un altro, appena ne avrò il tempo anche per rifletterci sopra, il discorso sull'intreccio tra ontologia, epistemologia ed etica.
Per il momento, riguardo al discorso, che resta a mio avviso impossibile, sulla conoscenza delle cose in sé mi limito a osservare che non le ho mai viste né conosciute, ancor meno degli ippogrifi, e che, anche se nel sogno che mi vive non vedo in giro ippogrifi, non mi scandalizzerei se qualcuno li avesse visti, cercherei di capire il significato di ciò che accade nei sogni, diversi dal mio, che lo vivono.
Di allucinazioni di passerelle penso invece di averne avute, come tutti, tante e il brutto è che ci se ne accorge solo a posteriori, quando si precipita, prima no, prima sembrano passerelle solide e sicure, il mondo pare confermarcelo, perché il mondo è proprio sempre e solo nel significato che in esso risulta condiviso e da qui nascono tutti i suoi inganni, le sue promesse e le sue rassicuranti certezze "oggettive".
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 07 Marzo 2017, 22:58:16 PM
Citazione di: maral il 07 Marzo 2017, 11:22:54 AM
Caro Sgiombo in conclusione mi pare che abbiamo portato questo thread ben oltre lo spunto iniziale e forse troppo oltre per mantenere il tema. Mi riprometto di riprendere in un altro, appena ne avrò il tempo anche per rifletterci sopra, il discorso sull'intreccio tra ontologia, epistemologia ed etica.
Per il momento, riguardo al discorso, che resta a mio avviso impossibile, sulla conoscenza delle cose in sé mi limito a osservare che non le ho mai viste né conosciute, ancor meno degli ippogrifi, e che, anche se nel sogno che mi vive non vedo in giro ippogrifi, non mi scandalizzerei se qualcuno li avesse visti, cercherei di capire il significato di ciò che accade nei sogni, diversi dal mio, che lo vivono.

CitazioneMi limito, per chiudere la discussione, a ribadire che nemmeno io ho mai affermato che ho percepito (contraddizione!) o conosciuto con certezza cose in sé, ma solo apparenze fenomeniche coscienti


Di allucinazioni di passerelle penso invece di averne avute, come tutti, tante e il brutto è che ci se ne accorge solo a posteriori, quando si precipita, prima no, prima sembrano passerelle solide e sicure, il mondo pare confermarcelo, perché il mondo è proprio sempre e solo nel significato che in esso risulta condiviso e da qui nascono tutti i suoi inganni, le sue promesse e le sue rassicuranti certezze "oggettive".

CitazioneMa per fortuna più spesso si vedono passerelle reali (indipendente da qualsissi eventuale significato più o meno condiviso) e non si precipita.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Eutidemo il 13 Marzo 2017, 13:09:47 PM
Citazione di: donquixote il 30 Gennaio 2017, 20:04:58 PM
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 30 Gennaio 2017, 19:09:10 PM«[...] affinché il nulla non esista deve negarsi all'esistenza implicando così l'esistenza stessa. Una logica negativa per cui è necessario che esista l'esistenza per la non esistenza del nulla [...]. [...] Se il "nulla assoluto" è impossibilitato a esistere per la sua identità priva di valore, allora il nulla non può accadere e necessariamente deve accadere qualcos'altro affinché ad accadere non sia il nulla. Che è come dire: il nulla non può esserci, altrimenti il nulla sarebbe, ma se il nulla non può esserci allora "qualcosa"; perché: se non c'è nulla allora o c'è nulla, il che contraddirebbe il non esserci del nulla, o c'è qualcosa. E badate bene: se con l'inversione verbo-soggetto la frase non cambia di significato, allora il misterioso "non c'è nulla" brilla come "nulla non c'è" quindi necessariamente qualcosa. Anche se poi "non c'è nulla" o "nulla non c'è" possano rispondere a domande diverse, pur mantenendo lo stesso risultato. Relativamente si potrebbe dire: "non c'è nulla di quello che intendevo ma c'è altro" oppure "nulla non c'è, guarda bene". A questo punto sospendiamo qui la domanda heideggeriana e riassumiamo le diverse logiche sopra espresse [...]» Ceravolo V.J., Mondo. Strutture portanti, Editore Il Prato, Collana Cento Talleri, 2016 (dicembre), Nihil negativum e privatum, pp. 133-134 Libro sul sito della casa editrice Il Prato, collana Cento talleri academia.edu VJCeravolo facebook VJCeravolo Ciò che qui ho riportato è un piccolo estratto del paragrafo "3.15. Nihil negativum e privatum" del suddetto libro, dove si esamina la differenza fra nulla assoluto e relativo, così da abbattere ciò che Jim Holt (Perché il mondo esiste?) chiama "l'ultimo baluardo del nichilismo".

Il vocabolo nulla così come il vocabolo Tutto hanno una connotazione particolare e non hanno un opposto; non trattandosi di vocaboli sottoposti a "definizione", quindi a limitazione, non c'è niente che gli si possa opporre poichè l'opposizione dovrebbe situarsi al di fuori del loro limite, della loro definizione, che non esiste. Il Tutto comprende tutto ciò che è (quindi da esso niente può essere escluso) e dunque il nulla è solo un opposto in senso grammaticale che non ha e non può avere alcun tipo di esistenza. È solo una parola senza alcun significato e senza alcun nesso con la realtà, per quanto ampia la si possa considerare. Se il nulla  fosse o esistesse (sotto qualunque forma) allora il Tutto non sarebbe più tale poichè vi sarebbe qualcosa al di fuori di esso e dunque non sarebbe più il Tutto. L'esistenza non può sussistere di per sé perchè l'esistenza è un predicato, un attributo, una condizione secondaria che per sussistere necessita di una condizione primaria: l'essenza; la frase "il nulla esiste" è doppiamente contraddittoria poichè non è possibile attribuire una qualità (l'esistenza) a qualcosa che non ha essenza. "Non c'è nulla" o "nulla c'è" sono solo modi di dire colloquiali e semplicistici che non hanno alcuna valenza filosofica, come se ne sentono tanti tutti i giorni.


Il tuo ragionamento è condivisibile; almeno a seconda al significato che vogliamo attribuire alle parole.
Ed infatti, si potrebbe anche dire che:
- 'opposto di "nulla" non è "tutto", bensì "qualcosa":
- l'opposto di "tutto" non è nulla, bensì "parte".
Ed invero, ad esempio, suole dirsi: "Senti qualcosa? No, nulla!".
Ovvero: "E questo è tutto quello che hai da dire? No, solo una parte!".
Senza considerare che "tutto" può essere inteso anche in senso relativo ("ho passato tutta la notte a dormire"); mentre, in senso assoluto, effettivamente, come dici tu, suona un po' ambiguo.
Lo stesso dicasi per il nulla!
In effetti, anzi, come tu giustamente osservi, la frase "il nulla esiste" è doppiamente contraddittoria poichè non è possibile attribuire una qualità (l'esistenza) a qualcosa che non ha essenza. "Non c'è nulla" o "nulla c'è" sono solo modi di dire colloquiali e semplicistici che non hanno alcuna valenza filosofica, come se ne sentono tanti tutti i giorni.
Se poi per "tutto" intendiamo l'Universo nel suo complesso, che ha dei confini già misurati, oltre potremmo anche dire che c'è il "nulla"; ma questo è un altro discorso.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 21 Aprile 2017, 16:47:31 PM
Dicevo che non mi viene facile seguire le varie discussioni, e che chissà quando potrò riprendere questo discorso e se mai potrò ancora... Di mio, in questo tempo, mi sono dedicato su un ulteriore articolo filosofico che, teoricamente, a breve dovrebbe uscire su un rivista. Quando sarà, ve lo riporterò per completezza di intenti e sperando di coprire ulteriori domande.

In fondo ciò di cui si parla in questa discussione è quello di cui si parla anche su alcuni libri che ho affrontato per scrivere il mio libro. Anzi... di argomenti a cui rispondere, fra i vari libri filosofici, ce n'è assai tanti. Spero pertanto non sia "offendere" dire che qui non faccio altro che riscrivere cose già scritte nel libro, annoiandomi come un cantante che continua a ripetere la stessa canzone. Però è anche vero che qui si è mossa una degna discussione ed ora che ho un po' di tempo, provo a dire anche io la mia...

Sarebbe veramente ingenuo pretendere di fare affermazioni indipendenti dal proprio "cervello" [cit. Angelo Cannata]. Sarebbe come pretendere di affermare qualcosa senza il mezzo con cui lo si afferma. Assurdo! Direi al quanto contraddittorio... come già in molti hanno dimostrato.
Nessuna affermazione può esistere al di fuori dalla mente che l'afferma. Ma ciò non esclude in alcuna guisa che qualcosa possa esistere al di fuori di quella mia particolare affermazione.
Dove per "particolare affermazione" intendo non solo il mio personale dire, ma anche l'affermazione di un intero genere che non è tutti i generi (come il genere umano). Più semplicemente: come è ingenuo quanto rilevato sopra, ormai è altrettanto ingenuo pensare che il mondo non abbia esistenza al di fuori del genere umano o di qualche altro relativo essere pensante.
Certo! Vi deve essere comunque una "ragione" reggente l'ordine delle cose, le quali, in quanto ordinate, pretendono la ragione per cui si ordinano come tali... Anche da qui la mia filosofia, da cui la compartecipazione nella costruzione della realtà (e verità) fra oggetto e soggetto, da cui l'esistenza di questi ultimi.

In questa mia filosofia (fuori dal nichilismo occidentale) il modo di dubitare sulla realtà si poggia sulla "coerenza dell'affermazione all'oggetto che descrive e a se stessa": cioè una verità non in senso esclusivamente realista ma assieme "costruttivista" (come già vi segnali nel mio articolo sulla Verità https://www.azioniparallele.it/contatti/30-eventi/atti,-contributi/174-verita-realismo-costruttivismo.html).
Questa è un'altra particolarità derivata dal mettere a "in sé" delle cose la "ragione" la quale è da intendersi in misura differente dalla particolare razionalità di questo o quell'altro essere relativo. In termini di conoscenza: ragione come sostanza di ogni particolare razionalità e irrazionalità (ben intendendo l'oggetto irrazionale come qualcosa privo di cosciente razionalità, ma non privo di quella ragione in sé per cui si ordina).

Dalla mia filosofia non vi è nulla di inadeguato nel considerare il divenire tramite categorie statiche, non solo perché:
... Ma al di fuori di questo che già dovremmo sapere, per di più nella mia filosofia il divenire è possibile solo per l'immobilità da cui si dà ogni divenire e verso cui ogni divenire tende. Il che garantisce di essere coerenti nella descrizione del divenire tramite quell'immobilità tramite cui il divenire si determina.

La metafisica di mio utilizzo riconosce la verità di stati generali e statici riferiti ad ogni oggetto, quanto di passaggi in divenire riferiti al particolare soggetto. Ossia una Teoria sul mondo-come-è e il «mondo-come-lo-vedo-io»  [cit. Apeiron], intese come verità differenti ma correlate quindi non contraddittorie.

[Apeiron] «Il discorso semmai si sposta sulla seguente domanda: la mappa è più simile ad una "approssimazione" della realtà o ad un semplice modello concettuale?»
Assai complicato è soffermarmi qui sul fatto che, mettendo la "ragione" come "in sé" delle cose, ne segue che la descrizione razionale di un qualcosa, laddove ne rispecchia la ragione (benché tramite le differenze fenomeniche del proprio linguaggio) né è una descrizione adeguata... Ma qui è assai ampio il discorso e vi converrebbe leggere il mio libro per averne una più avanzata e completa argomentazione.

Da me se il non-essere (nulla) assoluto non può essere pensato allora, davanti ad un qualsivoglia pensare, deve essere necessariamente pensato l' "essere" affinché non sia pensato il "non-essere (assoluto)".
Questa è una chiara conseguenza logica la cui negazione porta solo a contraddizioni formali.
ES: Questa frase che segue ha una contraddizione formale, è contraddittoria con se stessa: «se il Nulla Non è allora non può essere nemmeno pensato. Motivo per cui non può essere nemmeno pensato l'Essere.» Questa sembra una frase che ha la pretesa di dire che la "negazione" non sia un derivato della "affermazione", ciò sembra pretendere di poter negare qualcosa che non sia stato prima presupposto... Ma su questo argomento ho scritto profusamente nel mio articolo in prossima uscita e che spero di riportarvi a breve.

Nel mio libro ho parlato diffusamente dell'impossibilità di una incoerenza reggente: «Un'incoerenza generale, cioè, incoerente col suo stesso intento di essere la descrizione coerente delle cose.» pp. 54-58

Da me la soggettività non esclude l'oggettività come il soggetto (pensante) non esclude l'oggetto (pensato), ma anzi ne è relativamente una conseguenza, coincidendo (soggetto-oggetto) all'infinito; da cui la "ragione in sé" come coincidenza fra soggetto e oggetto, come medio di contatto e possibilità di conoscenza.

Vale per tutti che se "x" ed "y" esistono allora esiste l'insieme "z" degli stessi: così accade sia in coerenza formale sia davanti a qualsiasi caso materiale. Fino a prova contraria? Già. (cfr. Mondo. Strutture portanti)
Il che, come dicevo sopra, non esclude la verità soggettiva. E poi, in fondo, è chiaro che qualunque affermazione è una pretesa di assolutezza, anche quando dico che "assolutamente qui ed ora a me piace il caffé", o come quando affermo che la verità non esiste o... Accipicchia! E' chiaro come ogni dichiarazione soggettiva è un ergersi sull'oggetto della propria dichiarazione, cioè il soggetto sull'oggetto. (Cfr. Articolo sulla verità)
Viene da sé che non basta che una comunità intenda come vera una cosa per far si che essa sia vera, come quando tutti credevano che la Terra fosse piatta, così come la verità oggettiva non toglie la possibilità di verità personali.

[acquario69] Dove sei quando non sei presente a te stesso?
«Dove qualcosa d'altro oltre sé c'è, ci si può trasformare da un sé a un altro diverso sé, dove ogni distinto sé è identico a se stesso e non ad altro, quindi portatore individuale dell'infinita uguaglianza del sé con sé.» p. 168

Ora mi stacco... Anche perché capisco il forte distacco e difficoltà a comprendere la mia filosofia solo su sprazzi sparsi qua e là di "ragioni"... e le innumerevoli conseguenti domande che, in generale, trovano comunque argomentazioni sul mio libro in questione.
Oltre al fatto che voi, dopo diverse discussioni, avete slittato il discorso sull'etica, la violenza e altre questioni su cui mi azzittisco.


P.S. Per quanto sembri strano dirlo da un paradigma di "ragione in sé", nella mia filosofia l'amore è il culmine sensibile. Da cui un'etica assai diversa dalla "cattiveria personale" su cui si erge un ingenuo nichilismo o dalla "cattiveria universale" opprimente l'ingenuo realista. Ma su tali caratteri di "cattiveria", come detto sopra, mi azzittisco.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 22 Aprile 2017, 21:26:39 PM
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 21 Aprile 2017, 16:47:31 PM
Nessuna affermazione può esistere al di fuori dalla mente che l'afferma. Ma ciò non esclude in alcuna guisa che qualcosa possa esistere al di fuori di quella mia particolare affermazione.
È una contraddizione.

Infatti, dire che "Nessuna affermazione può esistere al di fuori dalla mente che l'afferma" significa dire che il concetto stesso di "al di fuori" e tutti i concetti ad esso connessi sono interamente dipendenti dalla mente umana. Ciò significa che il concetto di "al di fuori della mente" è un concetto ingannevole, poiché si riferisce in apparenza a qualcosa di indipendente dalla mente, mentre è stato appena detto che la mente non può pensare nulla senza allo stesso tempo condizionarlo con sé stessa e quindi renderlo automaticamente dipendende da sé stessa. In questo senso la frase "Nessuna affermazione può esistere al di fuori dalla mente che l'afferma" equivale ad affermare ingannevole il concetto di "al di fuori della mente": negandolo, sta affermando che presupporlo come vero o possibile è un inganno.
Il problema è che la frase che segue "Ma ciò non esclude in alcuna guisa che qualcosa possa esistere al di fuori di quella mia particolare affermazione" rivendica una non ingannevolezza del concetto di "al di fuori", visto che rivendica la possibilità di parlare di esistenza di qualcosa rispondente a tale concetto.
In sintesi, è come se avesse detto così:
Il concetto di "al di fuori della mente" risulta alla nostra mente un concetto impossibile, ma ciò non esclude di potercene servire trattandolo come se fosse possibile.

Nessuno impedisce di trattare come possibile un concetto appena dichiarato impossibile, ma in questo caso si sta facendo letteratura, romanzo, non filosofia.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: myfriend il 24 Aprile 2017, 17:22:59 PM
Affinchè un concetto abbia un senso esso deve avere una definizione formale e deve avere una sua rappresentazione nella Realtà.

Se io enuncio il concetto "asino che vola", posso darne una definizione formale, ma non posso darne una rappresentazione nella Realtà. Quindi quel concetto non ha senso.
La stessa cosa vale per il "nulla". Posso darne una definizione formale, ma non posso darne una rappresentazione nella Realtà.
Quindi, il concetto di "nulla" non ha alcun senso. E' un po' come l' "asino che vola".

Quindi, impostare una filosofia sul concetto di "nulla" è un po' come impostare una filosofia sull' "asino che vola".
Lascio a voi trarne le debite conclusioni.  ;)
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 24 Aprile 2017, 22:20:32 PM
Citazione di: myfriend il 24 Aprile 2017, 17:22:59 PM
Affinchè un concetto abbia un senso esso deve avere una definizione formale e deve avere una sua rappresentazione nella Realtà.

Se io enuncio il concetto "asino che vola", posso darne una definizione formale, ma non posso darne una rappresentazione nella Realtà. Quindi quel concetto non ha senso.
La stessa cosa vale per il "nulla". Posso darne una definizione formale, ma non posso darne una rappresentazione nella Realtà.
Quindi, il concetto di "nulla" non ha alcun senso. E' un po' come l' "asino che vola".

Quindi, impostare una filosofia sul concetto di "nulla" è un po' come impostare una filosofia sull' "asino che vola".
Lascio a voi trarne le debite conclusioni.  ;)

CitazioneSensatezza =/= realtà.

Un asino che vola é sensatissimo, solo che di solito non é reale (ma credo che per esempio tasportandoli su aerei o elicotteri anche gli asini, come gli uomini, possano benissimo volare e dunque affermarlo é (di solito) falso.

Ma insensato é casomai un asino-elefante o un cerchio-quadrato, cioé (pseudo-) concetti autocontraddittori; mentre non necessariamente sono insensati concetti privi di denotazione reale, cioé predicare i quali essere reali (accadere realmente) sia falso.
Un asino che vola, come una zebra a pois o una chimera metà leonessa e metà donna non denotano alcunché di reale, ma sono comunque sensati, ovvero hanno una connotazione non autocontraddittoria (non assurda) e quindi ben sensatamente intelligibile.

E così il nulla (assoluto: nulla di reale), che realmente non si dà (non accade) ma è pensabilissimo sensatissimamente.
Insensato, cioé assurdo, autocontraddittorio sarebbe casomai il "nulla implicante qualcosa" o magari il "nulla assoluto" con qualcuno (reale!) che lo sa (che sa che nulla in assoluto esiste realmente).

Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 24 Aprile 2017, 22:40:53 PM
Citazione di: sgiombo il 24 Aprile 2017, 22:20:32 PM
Citazione di: myfriend il 24 Aprile 2017, 17:22:59 PMAffinchè un concetto abbia un senso esso deve avere una definizione formale e deve avere una sua rappresentazione nella Realtà. Se io enuncio il concetto "asino che vola", posso darne una definizione formale, ma non posso darne una rappresentazione nella Realtà. Quindi quel concetto non ha senso. La stessa cosa vale per il "nulla". Posso darne una definizione formale, ma non posso darne una rappresentazione nella Realtà. Quindi, il concetto di "nulla" non ha alcun senso. E' un po' come l' "asino che vola". Quindi, impostare una filosofia sul concetto di "nulla" è un po' come impostare una filosofia sull' "asino che vola". Lascio a voi trarne le debite conclusioni. ;)
CitazioneSensatezza =/= realtà. Un asino che vola é sensatissimo, solo che di solito non é reale (ma credo che per esempio tasportandoli su aerei o elicotteri anche gli asini, come gli uomini, possano benissimo volare e dunque affermarlo é (di solito) falso. Ma insensato é casomai un asino-elefante o un cerchio-quadrato, cioé (pseudo-) concetti autocontraddittori; mentre non necessariamente sono insensati concetti privi di denotazione reale, cioé predicare i quali essere reali (accadere realmente) sia falso. Un asino che vola, come una zebra a pois o una chimera metà leonessa e metà donna non denotano alcunché di reale, ma sono comunque sensati, ovvero hanno una connotazione non autocontraddittoria (non assurda) e quindi ben sensatamente intelligibile. E così il nulla (assoluto: nulla di reale), che realmente non si dà (non accade) ma è pensabilissimo sensatissimamente. Insensato, cioé assurdo, autocontraddittorio sarebbe casomai il "nulla implicante qualcosa" o magari il "nulla assoluto" con qualcuno (reale!) che lo sa (che sa che nulla in assoluto esiste realmente).

Un asino che vola è assolutamente sensato, per esempio, dipinto in un bel quadro.  Si può tranquillamente provare in sogno di volare in groppa ad un asino volante e si può immaginare un asino volante nei minimi dettagli. Si tratta di definire quale piano di realtà s'intende. C'è la realtà 'concreta', diciamo così, dove gli asini, non avendo ali non possono volare e c'è la realtà fantastica, quella onirica, quella artistica, ecc. La prima si definisce 'oggettiva' perché ( normalmente) la maggior parte degli agenti conoscenti comunemente definiti 'sani di mente' constatano che un asino non vola e c'è quella dell'esperienza soggettiva fantastica, onirica, artistica, in cui l'esperienza che si vive è relativa al solo soggetto, il quale ,se "comunemente sano di mente", sa distinguere e tenere separati i diversi piani della realtà..finchè non inizia la demenza  :( e allora non si distingue più nulla e i piani si intersecano tra loro...
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 24 Aprile 2017, 22:59:19 PM
Detta in altre parole ci sono esperienze soggettive non condivise ed esperienze soggettive condivise. Chiamare le seconde oggettive si può anche farlo, basta intendere che vi è sempre un soggetto comune a giocarsele e non il puro oggetto per come è.
L'esperienza artistica è comunque a parte, apparentemente nasce come soggettiva nel primo senso, ma a monte di questa ci sta una esperienza di una soggettività originaria che trascende l'individuo ed è la vita stessa che si rappresenta a mezzo di quel soggetto individuale. Ogni esperienza artistica autentica è un'epifania.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 24 Aprile 2017, 23:59:44 PM
Citazione di: maral il 24 Aprile 2017, 22:59:19 PMDetta in altre parole ci sono esperienze soggettive non condivise ed esperienze soggettive condivise. Chiamare le seconde oggettive si può anche farlo, basta intendere che vi è sempre un soggetto comune a giocarsele e non il puro oggetto per come è. L'esperienza artistica è comunque a parte, apparentemente nasce come soggettiva nel primo senso, ma a monte di questa ci sta una esperienza di una soggettività originaria che trascende l'individuo ed è la vita stessa che si rappresenta a mezzo di quel soggetto individuale. Ogni esperienza artistica autentica è un'epifania.

'Oggettive' in quanto è presente un 'oggetto' ( in questo caso l'asino) di cui tutti possono fare comunemente e soggettivamente esperienza e questa esperienza è comune ( in quanto tutti possono constatare che l'asino non vola...). Se uno affermasse :"Per me quest'asino vola" lo si riterrebbe comunemente insano di mente, a meno che non dimostrasse ( mettendo l'asino sotto un poderoso deltaplano a motore per esempio)  che in realtà l'asino vola ( e allora lo si riterrebbe comunemente astuto di mente... ;D ).
Oggettivo anche inteso come non vi sia necessità di un soggetto che lo sperimenta perchè possa definirsi reale. Ossia l'asino non vola sia che un miliardo di soggetti lo osservino non volare, sia che non vi sia alcun soggetto che lo possa osservare. La 'natura' dell'asino è quella ( tra le altre) di non volare nella realtà comunemente intesa ( quindi non solo la realtà percepita dall'uomo ma in generale, visto che sicuramente anche l'aquila non si preoccupa di trovarsi sopra la testa un asino... :) ), ma spesso di poter volare nella realtà "interiore" dell'uomo, che però lo potrà veder volare come soggettivamente preferisce.
L'asino dipinto o ritratto...è vero che sembrerebbe un ponte tra due piani diversi di realtà ma si tratta di una rappresentazione che esegue l'autore che , a differenza del sogno o del fantasticare, si fa segno concreto e visibile e che interroga la rappresentazione personale di chi la osserva. L'opera d'arte però richiama un'assenza ( dell'asino 'vivo'...) che viene colmata solo dalla presenza del ricordo dell'asino...
Ovviamente la presenza di un bell'asino con le ali scolpito in marmo, per esempio, è una cosa concreta e 'oggettiva' ma non si può certo definire 'un asino', semmai sempre solo come una rappresentazione personale in marmo di un asino immaginato come volante. ( E non intendo dire che si tratti di una realtà di grado inferiore o superiore, bensì di un piano diverso del reale).
E' un discorso complesso che richiederebbe discussione apposita...tenendo presente che l'opera d'arte nasce anche dal sogno e dal fantasticare ...
Non so se sono riuscito a spiegare bene cosa intendo...l'ora è tarda e il sonno incombe... :-\


P.S. Intendo il termine 'oggettivo' come la definizione classica del Treccani: Oggettivo come contrapposizione di soggettivo. Che si fonda sull'oggetto, ossia su fatti o cose concrete, sull'esperienza diretta. Che vale per tutti i soggetti e non soltanto per uno o per alcuni individui,ed è quindi universale e non condizionato dalla variabilità o particolarità dei punti di vista.
Che poi la filosofia non sia molto d'accordo è un'altra storia...purtroppo bisogna pur utilizzare qualche forma di linguaggio...

P.S:II  I piani del reale ( "oggettivo", onirico, artistico, ecc.) si compenetrano a vicenda senza ostruzione. Il fatto oggettivo che gli asini non volano non ostruisce la possibilità di scolpire un asino con le ali.
Ogni "mondo" entra nell'altro senza ostruzione e senza invalidarlo. E' funzione del pensiero definire la distinzione.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 25 Aprile 2017, 09:25:26 AM
C'è sempre un oggetto, ma è sempre insieme a un soggetto, non c'è mai l'oggetto da solo, in sé, separato dal soggetto che può anche non esserci tanto l'oggetto, che egli ci sia o non ci sia, non cambia.
Il problema non è l'asino che non vola, ma cos'è l'asino, cos'è il volo e cosa sono io (cosa siamo noi) davanti all'asino. Il discorso è tutto umano, perché gli asini non sanno cosa vuol dire un "asino che vola o no", solo l'essere umano può intendere il significato, può vedere in questo significato un fatto e nel fatto un significato che solo un matto (sempre e solo umano) può negare.
Se un essere umano, un bambino, sogna un asino che vola occorre che ci sia un altro essere umano che gli dica: "tu hai sognato" affinché sappia che il suo era solo un sogno ed è questo che accade agli esseri umani quando cominciano il loro viaggio nel mondo. Iniziano partecipando di una soggettività umanamente condivisa attraverso il linguaggio che parla, una soggettività comune di esperienze che diventerà l'oggetto di una realtà in cui le cose possono restare per tutti nel loro significare, il nostro mondo ripetibilmemte sicuro per tutti.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Garbino il 25 Aprile 2017, 10:12:52 AM
Perché c' è qualcosa anziché il nulla?

X Vito J. Cerasolo

E' per puro caso che ho dato uno sguardo al tuo post in questa pagina e mi sento in dovere di puntualizzare che ogni puntino nero a cui corrisponde una definizione è viziato dallo stesso errore di fondo. Ciò che diviene non sta mai fermo né può farlo per fare un piacere alla nostra necessità che stia fermo. Quando cerchiamo di analizzare qualsiasi cosa che diviene, lo possiamo fare soltanto attraverso il pensiero astraendoci, ma ciò che diviene continua a divenire, o sulla carta, su una fotografia, su una serie di raggi, ma ciò che diviene continua a divenire lo stesso. Ma anche ciò che a noi appare statico in effetti non lo è e perciò la frase del Galilei rappresenta la forzatura che noi facciamo nel prendere in esame qualcosa che ci sembra statico per poter valutare il moto di qualcos' altro.

La matematica è una scienza statica e lo è altrettanto la logica che è una sua derivazione. Infatti non è un caso che per la quantistica il divenire non esiste, proprio perché più radicalizziamo la matematica nel nostro modo di intendere la realtà più il fluire non può esistere.

Il contesto è abbastanza complicato e spero che tu non ti offenda, e che anzi ti abbia dato qualcosa su cui riflettere. Poi naturalmente puoi benissimo restare della tua opinione e sorvolare su ciò che ho appena opinato. 

Garbino Vento di Tempesta.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 25 Aprile 2017, 10:15:47 AM
@Maral scrive:
C'è sempre un oggetto, ma è sempre insieme a un soggetto, non c'è mai l'oggetto da solo, in sé, separato dal soggetto che può anche non esserci tanto l'oggetto, che egli ci sia o non ci sia, non cambia.

Secondo me invece ci può essere tranquillamente un oggetto anche in mancanza di un soggetto che lo percepisce. Quando un soggetto "incontra" un oggetto sorge un "mondo". La mente crea il "mondo" nel contatto con l'oggetto di cui si fa una rappresentazione . . E' chiaro che poi l'oggetto ("comunemente" inteso) diventa una semplice convenzione condivisa e in comune con la maggior parte dei soggetti appercipienti. L'oggetto designato convenzionalmente dall'uomo come "montagna" non è la stessa rappresentazione che, di quell'oggetto, se ne fa un'aquila e quella dell'aquila non è la stessa dello stambecco( la "montagna" esiste solo nella mente dell'uomo, in quella dello stambecco non ci sarà certo la "montagna" ...). Però ( di fronte) a tutti e tre i soggetti diversi (uomo-aquila-stambecco) c'è "qualcosa" di reale. A mio parere questo "qualcosa" che si pone di fronte esiste indipendentemente dall'esistenza dell'uomo, dell'aquila o dello stambecco.In questo senso sono un "realista", consapevole e cosciente che di questo "qualcosa" posso farmene la semplice rappresentazione che compete alle possibilità dell'essere "uomo" ( e trovo che la rappresentazione non manchi di Bellezza... :)).

Il discorso è tutto umano, perché gli asini non sanno cosa vuol dire un "asino che vola o no", solo l'essere umano può intendere il significato, può vedere in questo significato un fatto e nel fatto un significato che solo un matto (sempre e solo umano) può negare.

Sono d'accordo che il discorso è tutto umano ( infatti io e te siamo "umani" e non "asini"... ;D). Anche i significati sono umani ed è la negazione di un significato del tutto umano che fa di un umano un "matto", il quale non apparirebbe certo tale allo sguardo privo di significati umani di un asino, di un'aquila o di uno stambecco...

Se un essere umano, un bambino, sogna un asino che vola occorre che ci sia un altro essere umano che gli dica: "tu hai sognato" affinché sappia che il suo era solo un sogno

Ecco, su questo punto, sono incerto perché è vero che ci vuole un altro essere umano che dica al bimbo "tu hai sognato" ma non sono così sicuro che il bimbo non percepisca naturalmente una "qualità" di coscienza diversa tra uno stato di sogno e uno di veglia. Certo..ci vuole poi un altro che gli insegni la definizione comunemente intesa di "sogno" ( un misto di istinto ed educazione forse?...).

... il nostro mondo ripetibilmemte sicuro per tutti.

Che è soprattutto una necessità biologica per la sopravvivenza. Non è che ce lo costruiamo ripetibilmente sicuro per sfizio o perché odiamo l'insicurezza ( c'è anche questo ovviamente, ma non è la molla originaria...)
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 25 Aprile 2017, 11:42:40 AM
Citazione di: Sariputra il 25 Aprile 2017, 10:15:47 AM
Secondo me invece ci può essere tranquillamente un oggetto anche in mancanza di un soggetto che lo percepisce... ( di fronte) a tutti e tre i soggetti diversi (uomo-aquila-stambecco) c'è "qualcosa" di reale. A mio parere questo "qualcosa" che si pone di fronte esiste indipendentemente dall'esistenza dell'uomo, dell'aquila o dello stambecco.In questo senso sono un "realista", consapevole e cosciente che di questo "qualcosa" posso farmene la semplice rappresentazione che compete alle possibilità dell'essere "uomo" ( e trovo che la rappresentazione non manchi di Bellezza... :)).
C'è qualcosa di reale, è vero, ma non è di fronte, è tutto attorno e soggetto e oggetto vi stanno inclusi, l'uno di fronte all'altro nella prospettiva del soggetto che vede e vedendo agisce sull'oggetto mentre è agito attraverso l'oggetto che vede e su cui agisce. Il qualcosa di reale non è né soggetto né oggetto, è prima di questa distinzione e di qualsiasi distinzione, è ciò in cui oggetto e soggetto stanno insieme, la loro realtà più profonda di cui sono entrambi espressione rappresentativa. Non c'è una montagna ma io e la montagna che vedo e vado a scalare e tutto intorno c'è la realtà di me e della montagna insieme, che non sono né io né la montagna (qualcuno direbbe che è la relazione, ma non è così semplice, perché non è tra me e la montagna, ma appunto tutto intorno e comprende pure la relazione).

CitazioneSono d'accordo che il discorso è tutto umano ( infatti io e te siamo "umani" e non "asini"... ;D). Anche i significati sono umani ed è la negazione di un significato del tutto umano che fa di un umano un "matto", il quale non apparirebbe certo tale allo sguardo privo di significati umani di un asino, di un'aquila o di uno stambecco...
Infatti, nessun animale potrà mai essere matto. Ci può apparire tale solo se lo umanizziamo. L'animale sa, senza saper di sapere (o almeno non nella misura in cui lo sa l'uomo).

CitazioneEcco, su questo punto, sono incerto perché è vero che ci vuole un altro essere umano che dica al bimbo "tu hai sognato" ma non sono così sicuro che il bimbo non percepisca naturalmente una "qualità" di coscienza diversa tra uno stato di sogno e uno di veglia. Certo..ci vuole poi un altro che gli insegni la definizione comunemente intesa di "sogno" ( un misto di istinto ed educazione forse?...).
Non so, dall'esperienza che ho come padre, quando i miei figli erano piccoli e avevano un incubo dovevo dire loro che era solo un sogno per tranquillizzarli, altrimenti la loro angoscia non cessava. E anche se ritorno con la memoria alla mia infanzia era così. Poi, col tempo ho imparato a dirmelo da solo, ma me lo hanno insegnato gli altri (in particolare mia madre e mio padre) a distinguere.

CitazioneChe è soprattutto una necessità biologica per la sopravvivenza. Non è che ce lo costruiamo ripetibilmente sicuro per sfizio o perché odiamo l'insicurezza ( c'è anche questo ovviamente, ma non è la molla originaria...)
Certamente. Il nostro continuo progettare e riprogettare un mondo sicuro per il nostro viverci e trattenere la vita non è per nulla uno sfizio, è indispensabile per quello che siamo come esseri umani che appunto non solo vivono, ma sanno di vivere e questo sapere di vivere determina il faticoso ed esaltante compito di doversi progettare per la vita.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: myfriend il 25 Aprile 2017, 13:02:38 PM
Avendo precisato che stavo parlando della Realtà, un "asino che vola" non ha senso. Esattamente come non ha senso il concetto di "nulla". Poichè il concetto di " nulla" non è rappresentabile nella Realtà.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 25 Aprile 2017, 21:27:40 PM
Citazione di: Sariputra il 24 Aprile 2017, 22:40:53 PM
Citazione di: sgiombo il 24 Aprile 2017, 22:20:32 PM
Citazione di: myfriend il 24 Aprile 2017, 17:22:59 PMAffinchè un concetto abbia un senso esso deve avere una definizione formale e deve avere una sua rappresentazione nella Realtà. Se io enuncio il concetto "asino che vola", posso darne una definizione formale, ma non posso darne una rappresentazione nella Realtà. Quindi quel concetto non ha senso. La stessa cosa vale per il "nulla". Posso darne una definizione formale, ma non posso darne una rappresentazione nella Realtà. Quindi, il concetto di "nulla" non ha alcun senso. E' un po' come l' "asino che vola". Quindi, impostare una filosofia sul concetto di "nulla" è un po' come impostare una filosofia sull' "asino che vola". Lascio a voi trarne le debite conclusioni. ;)
CitazioneSensatezza =/= realtà. Un asino che vola é sensatissimo, solo che di solito non é reale (ma credo che per esempio tasportandoli su aerei o elicotteri anche gli asini, come gli uomini, possano benissimo volare e dunque affermarlo é (di solito) falso. Ma insensato é casomai un asino-elefante o un cerchio-quadrato, cioé (pseudo-) concetti autocontraddittori; mentre non necessariamente sono insensati concetti privi di denotazione reale, cioé predicare i quali essere reali (accadere realmente) sia falso. Un asino che vola, come una zebra a pois o una chimera metà leonessa e metà donna non denotano alcunché di reale, ma sono comunque sensati, ovvero hanno una connotazione non autocontraddittoria (non assurda) e quindi ben sensatamente intelligibile. E così il nulla (assoluto: nulla di reale), che realmente non si dà (non accade) ma è pensabilissimo sensatissimamente. Insensato, cioé assurdo, autocontraddittorio sarebbe casomai il "nulla implicante qualcosa" o magari il "nulla assoluto" con qualcuno (reale!) che lo sa (che sa che nulla in assoluto esiste realmente).

Un asino che vola è assolutamente sensato, per esempio, dipinto in un bel quadro.  Si può tranquillamente provare in sogno di volare in groppa ad un asino volante e si può immaginare un asino volante nei minimi dettagli. Si tratta di definire quale piano di realtà s'intende. C'è la realtà 'concreta', diciamo così, dove gli asini, non avendo ali non possono volare e c'è la realtà fantastica, quella onirica, quella artistica, ecc. La prima si definisce 'oggettiva' perché ( normalmente) la maggior parte degli agenti conoscenti comunemente definiti 'sani di mente' constatano che un asino non vola e c'è quella dell'esperienza soggettiva fantastica, onirica, artistica, in cui l'esperienza che si vive è relativa al solo soggetto, il quale ,se "comunemente sano di mente", sa distinguere e tenere separati i diversi piani della realtà..finchè non inizia la demenza  :( e allora non si distingue più nulla e i piani si intersecano tra loro...
CitazioneD' accordo, Sari, hai perfettamente ragione nelle precisazioni - correzioni di queste mie affermazioni.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Mario Barbella il 25 Aprile 2017, 21:39:52 PM
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 30 Gennaio 2017, 19:09:10 PM
«[...] affinché il nulla non esista deve negarsi all'esistenza implicando così l'esistenza stessa. Una logica negativa per cui è necessario che esista l'esistenza per la non esistenza del nulla [...].

Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 25 Aprile 2017, 21:41:11 PM
Citazione di: maral il 25 Aprile 2017, 09:25:26 AM
C'è sempre un oggetto, ma è sempre insieme a un soggetto, non c'è mai l'oggetto da solo, in sé, separato dal soggetto che può anche non esserci tanto l'oggetto, che egli ci sia o non ci sia, non cambia.

CitazioneNecessariamente insieme al soggetto di conoscenza c' é la conoscenza di un oggetto, e non la realtà (conosciuta o meno che sia, per l' apunto) di esso.

Ma tu evidentemente credi che quando ancora non era nata la vita (e nel suo ambito la sensibilità animale) la terra coi suoi mari e i suoi continenti, il sole e le altre stelle, ecc. non esistevano.

Oppure che non é esistito il continente antartico fino al XVII secolo, allorché si é formato come per incanto allorché il primo esploratore l' ha visto e ha pensato: "ecco una terra ancora non nota! (id est: "fiat lux"; o meglio "Antartis").

Beh, non so dirti altro che personalmente non sono affatto d' accordo!


Il problema non è l'asino che non vola, ma cos'è l'asino, cos'è il volo e cosa sono io (cosa siamo noi) davanti all'asino. Il discorso è tutto umano, perché gli asini non sanno cosa vuol dire un "asino che vola o no", solo l'essere umano può intendere il significato, può vedere in questo significato un fatto e nel fatto un significato che solo un matto (sempre e solo umano) può negare.
Se un essere umano, un bambino, sogna un asino che vola occorre che ci sia un altro essere umano che gli dica: "tu hai sognato" affinché sappia che il suo era solo un sogno ed è questo che accade agli esseri umani quando cominciano il loro viaggio nel mondo. Iniziano partecipando di una soggettività umanamente condivisa attraverso il linguaggio che parla, una soggettività comune di esperienze che diventerà l'oggetto di una realtà in cui le cose possono restare per tutti nel loro significare, il nostro mondo ripetibilmemte sicuro per tutti.
CitazioneMa il bambino potrebbe insistere che l' asino vola.

E se non esistesse un mondo reale nel quale gli asini (solitamente, e nel piano materiale della realtà) non volano, solo un' inammissibile prepotenza e violenza degli adulti potrebbe arbitrariamente imporgli di credere che non vola (ma di solito non mi risulta che le cose stiano in questi termini).
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 25 Aprile 2017, 21:44:32 PM
Citazione di: Mario Barbella il 25 Aprile 2017, 21:39:52 PM
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 30 Gennaio 2017, 19:09:10 PM
«[...] affinché il nulla non esista deve negarsi all'esistenza implicando così l'esistenza stessa. Una logica negativa per cui è necessario che esista l'esistenza per la non esistenza del nulla [...].

CitazioneNO!

Casomai affinché vi sia la affermazione (pensiero, credenza, ipotesi) che il nulla esista (affinché lo si sappia, affinché qualcuno lo sappia).

E non affatto affinché il nulla esista. (non esista alcunché), che é ipotesi perfettamente logica.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 25 Aprile 2017, 21:50:35 PM
Citazione di: myfriend il 25 Aprile 2017, 13:02:38 PM
Avendo precisato che stavo parlando della Realtà, un "asino che vola" non ha senso. Esattamente come non ha senso il concetto di "nulla". Poichè il concetto di " nulla" non è rappresentabile nella Realtà.
CitazioneNon reale =/= senza senso.

"Nulla esiste" é falso, ma non insensato (insensato sarebbe casomai "nulla é qualcosa" o "qualcosa che non esiste esiste").
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Mario Barbella il 25 Aprile 2017, 21:52:09 PM
Non penso che il problema (di cui alla domanda) sia risolvibile semplicemente giocando sul significato dei termini di esistenza e nulla, cosa che in altri casi ha funzionato. Ritengo, invece, che se teniamo conto del fattore "Osservatore", fattore onnipresente ed universale, si potrebbe, per questa via, trovare una risposta adeguata al quesito. Per esempio potrei dire che se esiste l'Osservatore (in altre parole: l'IO cosciente)  allora il nulla non ha senso (perché, appunto, ci sono IO).    ::)
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 25 Aprile 2017, 21:57:53 PM
Citazione di: Mario Barbella il 25 Aprile 2017, 21:52:09 PM
Non penso che il problema (di cui alla domanda) sia risolvibile semplicemente giocando sul significato dei termini di esistenza e nulla, cosa che in altri casi ha funzionato. Ritengo, invece, che se teniamo conto del fattore "Osservatore", fattore onnipresente ed universale, si potrebbe, per questa via, trovare una risposta adeguata al quesito. Per esempio potrei dire che se esiste l'Osservatore (in altre parole: l'IO cosciente)  allora il nulla non ha senso (perché, appunto, ci sono IO).   ::)
CitazioneMi sembra che a trastullarsi con le parole sia proprio tu!

E' ovvio che se esiste l' "Osservatore" (ma anche qualsiasi banalissimo "osservatore") allora dire che esiste il nulla é falso.
Ma

a) innanzitutto bisognerebbe dimostrare che esiste l' Osservatore (e chiarire chi caspita sia);

b) il concetto di "nulla" per il fatto di non essere corrispondente al reale (e dunque per il fatto che affermate che esista sia falso) non é certamente assurdo; é invece sensatissimo.
Anche l' Onnipotente (secondo me) non esiste, ma non per questo é un concetto insensato.
E infatti

sensato =/= reale

e

Assurdo =/= non reale.


Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: myfriend il 26 Aprile 2017, 13:08:22 PM
Citazione di: sgiombo il 25 Aprile 2017, 21:50:35 PM
Citazione di: myfriend il 25 Aprile 2017, 13:02:38 PM
Avendo precisato che stavo parlando della Realtà, un "asino che vola" non ha senso. Esattamente come non ha senso il concetto di "nulla". Poichè il concetto di " nulla" non è rappresentabile nella Realtà.
CitazioneNon reale =/= senza senso.

"Nulla esiste" é falso, ma non insensato (insensato sarebbe casomai "nulla é qualcosa" o "qualcosa che non esiste esiste").
Non ha senso imbastire un pensiero filosofico su qualcosa che non è rappresentabile nella Realtà.
E' come imbastire un pensiero filosofico su "l'asino che vola".  :D
Oddio...c'è chi lo fa eh! E ne va pure fiero.  :D
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 26 Aprile 2017, 13:27:32 PM
Citazione di: myfriend il 26 Aprile 2017, 13:08:22 PM
Citazione di: sgiombo il 25 Aprile 2017, 21:50:35 PM
Citazione di: myfriend il 25 Aprile 2017, 13:02:38 PM
Avendo precisato che stavo parlando della Realtà, un "asino che vola" non ha senso. Esattamente come non ha senso il concetto di "nulla". Poichè il concetto di " nulla" non è rappresentabile nella Realtà.
CitazioneNon reale =/= senza senso.

"Nulla esiste" é falso, ma non insensato (insensato sarebbe casomai "nulla é qualcosa" o "qualcosa che non esiste esiste").
Non ha senso imbastire un pensiero filosofico su qualcosa che non è rappresentabile nella Realtà.
E' come imbastire un pensiero filosofico su "l'asino che vola".  :D
Oddio...c'è chi lo fa eh! E ne va pure fiero.  :D
Citazione"imbastire un pensiero filosofico su qualcosa che non é rappresentabile nella realtà" non so cosa possa significare (anche se a volte ho la netta impressione che sia proprio ciò che tenti di fare tu).

Però so bene che cosa significa "nulla", mi interessa la verità in generale, e so che in particolare che é vero che "nulla", é un concetto sensatissimo e che "non esiste nulla (ovvero: alcunché)" é una proposizione sensatissima, anche se (ben diversa cosa!) falsa.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: myfriend il 26 Aprile 2017, 13:31:41 PM
@sgiombo

Dov'è o dove sarebbe il "nulla" nella Realtà?  :D
Dov'è o dove sarebbe "l'asino che vola" nella Realtà?  :D
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Sariputra il 26 Aprile 2017, 15:49:35 PM
Citazione di: myfriend il 26 Aprile 2017, 13:31:41 PM@sgiombo Dov'è o dove sarebbe il "nulla" nella Realtà? :D Dov'è o dove sarebbe "l'asino che vola" nella Realtà? :D

L'asino che vola è nel foglio disegnato, nella scultura, nel sogno, nell'immaginazione, ecc. Ovviamente sono realtà diverse da quella di un asino effettivamente vivo, ma sempre di realtà si tratta. O vorresti dire che un asino volante sognato, dipinto, scolpito, ecc. non-è? Come fa a non-essere se ne facciamo l'esperienza nel sogno, nella rappresentazione grafica o scultorea? Si tratta di rappresentazioni nella realtà di un asino immaginato come volante. A meno che non vogliamo ritenere arbitrariamente, come penso intendi tu, che "realtà" sono solo i fenomeni della natura che seguono determinate leggi ...ma non è un fenomeno pure una bella scultura di un asino volante ( anche se non un fenomeno "naturale") ?  :)
L'asino vivo è generato da un'asina, l'asino volante è generato dall'immaginazione della mente dell'uomo.  Ambedue sono generati da qualcosa...
Dove sono? L'asino vivo nella stalla, l'asino volante in una mostra d'arte.  Realtà è la stalla , ma Realtà è pure la mostra d'arte. Sono semplicemente due piani di realtà diversi, che non confliggono l'uno con l'altro. L'esistenza dell'asino vivo non impedisce ( ostruisce) l'esistenza dell'asino volante immaginario. Basta saperli distinguere...
E ogni "mondo" che l'uomo crea è anche un prodotto dell'immaginario mentale e non solo della necessità. 
Se tu che affermi sempre.: "LA VERITA' è la Realtà", escludi l'intera dimensione immaginativa dell'essere umano, escludi automaticamente un piano della realtà stessa; quello che non ha molto a che fare con i fenomeni di cui si occupano le scienze naturali...
Non ti sembra limitativo? A me parrebbe proprio di sì...
Ma, ad ognuno il suo, giusto?... :)
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 26 Aprile 2017, 16:33:28 PM
Citazione di: myfriend il 26 Aprile 2017, 13:31:41 PM
@sgiombo

Dov'è o dove sarebbe il "nulla" nella Realtà?  :D
Dov'è o dove sarebbe "l'asino che vola" nella Realtà?  :D
CitazioneSe non vuoi deliberatamente capire, allora é inutile che perda altro tempo per cercare di spiegartelo.

Dove avrei mai sostenuto che c' é il nulla (assoluto; che nulla esiste nella realtà) ? ? ?
Ho invece proprio sempre sostenuto a chiarissime lettere che ciò é (sensatissimo) e falso!

Idem per quanto riguarda l' asino che vola (a meno che non sia stato caricato su un aereo o un elicottero oppure non sia -grazie Sari!- un asino dipinto o scolpito o vagheggiato in una poesia, ecc.).

Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: maral il 26 Aprile 2017, 22:44:54 PM
Si dice che nella realtà non c'è alcun asino che vola e dovremmo allo stesso modo anche dire che non c'è alcun uomo che vola, proprio come un asino a meno che non salga su un aereo o un elicottero.
Ma siamo sicuri che un aereo o un elicottero davvero volino? Cosa vuol dire per noi volare?
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 10 Maggio 2017, 15:08:54 PM
L'articolo che volevo presentarvi ha dei ritardi, quindi lo rimando a più avanti. In compenso vi segnalo che il libro (Mondo. Strutture portanti. Dio, conoscenza ed essere) da cui la citazione di apertura, è arrivato secondo fra i libri editi presso il Premio Nazionale Filosofia 2017.

Certo, il secondo posto non è il primo, ma è anche da dire che vista le diverse rivoluzioni filosofiche presenti nello stesso, e visto che le "novità" sono solitamente "mal viste", direi... tuttosommato, che non è un cattivo risultato.

I punti forse più importanti del libro sono:

- Ragione come "in sé" (rivoluzione paradigmatica);

- Esistenza come "primo essere";

- Implementazione di un nuovo processo di logica formale.

 

La motivazione pervenutami per il secondo posto è:

Opera fresca e originale che unisce, sapientemente ed elegantemente, filosofia e matematica in un unico processo del pensiero critico.

 

I risultati ufficiali penso usciranno settimana prossima.

Veniamo a noi.

 

In verità, Angelo Cannata, io ho solo detto che è la "affermazione" a non esistere fuori da colui che l'afferma. Ciò che tu ne consegui non è una conseguenza che si spiega senza ricorrere ad argomentazioni fuori dal concetto in essere. Dico:

La presupposizione di "al di fuori della mente" per quanto espressa dalla mente che l'afferma, è la ferrea rivendicazione di quell'esterno che affetta le nostre percezioni e affermazioni (su Spinoza - Etica). L'inoppugnabile influenza degli oggetti sulle nostre affermazioni è a sua volta la ferrea rivendicazione della loro esistenza e della nostra interiorizzazione del loro valore nelle nostre immediate rappresentazioni mentali (su Searse - La mente).  

Esempio: l'immediata esperienza interna di uno con una pietra davanti, include i valori di quella pietra interiorizzati grazie alla percezione e all'apparato neurologico. Sostanzialmente:

- La cancellazione dell'oggetto per la verità del soggetto è un dogma dell'ingenuo nichilista;

- La cancellazione del soggetto per la verità dell'oggetto è un dogma dell'ingenuo realista.

 

In entrambi i casi non esistono argomentazioni in grado di sostenere genuinamente uno o l'altro di questi due sopra-dogma. Si tratta infatti di vere e proprie religioni impedenti la libertà di pensiero. Già nel mio articolo sulla "verità" si può leggere la necessaria esistenza dell'oggetto indipendentemente da uno o l'altro particolare soggetto: https://www.academia.edu/31272058/VERIT%C3%80._UNIONE_FRA_REALISMO_E_COSTRUTTIVISMO

 

Ma su un punto siamo d'accordo Angelo: quando si può dire di fare "filosofia"? 

In generale penso che fare filosofia su dogmi senza argomentazioni forti e, per di più, in aperto contrasto con la formalità e/o la materialità, non sia filosofia. In particolare penso che le due sopra correnti (realismo e nichilismo) siano protofilosofia.

Poi indubbiamente e palesemente, non posso che essere d'accordo con l'affermazione di Myfriend: fare filosofia su ciò che è "impossibile" non è fare filosofia (es: impostare una filosofia sul concetto di "nulla").

 

In merito invece al conflitto che state aprendo fra "realtà" e "immaginazione" e "impossibile"... se qualcuno lo ha letto, nell'articolo sulla verità (cap. 3) ho steso una logica formale che delimita i confini fra queste categorie.

Per carità, non vi dico di comprarvi il libro (costa 18 euro), ma magari almeno gli articoli "gratis" potreste leggerli per riuscire a intravedere la portata filosofica di questo nuovo paradigma della "ragione in sé", da cui, appunto, alcune sue conseguenze... es: un "real-costrutto" in cui si riconosce sia la verità dell'oggetto che del soggetto, "su piani diversi, quindi diversi, ma legati, in dipendenza".

 

Non capisco perché Garbino mi dovrei offendere. Dici per Galilei? In verità la sua non è una forzatura, bensì il processo con cui si basa qualunque processo conoscitivo: la definizione di un fisso per riconoscere un divenire (la fissità delle leggi di natura; la fissità delle determinazioni o astrazioni ecc).  

Poi... certo che il divenire non si ferma per far piacere alla determinazione. Certo che il divenire può essere solo "astratto" per essere determinato, perché ogni determinazione presuppone il suo fissaggio, mentre il divenire è ciò che non si fissa e che per il suo scorrere necessità di momenti sopra cui scorrere, cioè necessità di fissità da cui darsi. Ripeto: il divenire è il passaggio da un fisso a un altro.

Sulla quantistica penso sia un po' più complicato di quello che affermi, soprattutto perché mi sfugge la tua teoria per la quale la matematica cancelli il divenire (hai scritto questo?), anche perché nulla di ciò che presuppone relazioni può escludere quel divenire per cui la relazione stessa è possibile. Per di più in filosofia, e non solo, la matematica è associata al tempo, cioè alle successioni, la scienza delle successioni: da Kant in poi il concetto è abbastanza convenzionale e accettato. Ed io mi ci sposo volentieri (sotto questo aspetto).

 

No  Sciombo: tu parli di affermazione. Io parlo della differenza fra affermazione e oggetto. 

(rinvio all'articolo sulla "verità" per chi non ha il libro).

 

Carino il pensiero di M. Bardella: se esiste l'io allora il nulla non ha senso. Anche se la sua affermazione presuppone l'esistenza chiusa sul particolare soggetto. Cosa che viene superata dal mio paradigma. Da me si parafrasa così: se esiste la "esistenza" allora la "non esistenza" non esiste.



Che semplice tautologia. 



Quando sarà, riporterò l'articolo.

Per ora a presto
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Garbino il 10 Maggio 2017, 16:12:01 PM
Perché c' è qualcosa anziché il nulla?

X Vito J. Ceravolo.

Ti ringrazio per aver considerato le mie critiche dimostrando che sei pronto a dialogare su quanto ho affermato. 

Non c' è dubbio che, per quanto riguarda Galilei, si tratta del processo conoscitivo uniformemente ritenuto valido, ma ciò non toglie che esso si basa sul rendere statico qualcosa che non lo è, come non è reale che tutto scorre da un attimo ad un altro. E' l' uomo che lo interpreta così ed è necessario che lo interpreti così per dar ordine al caos che lo circonda. Ma nella realtà tutto fluisce senza soste.

Kant definisce il tempo e lo spazio come pure intuizioni, invece a mio avviso non sono che pure illusioni. Esiste soltanto il presente. Punto.

E la staticità del metodo conoscitivo basato sulla matematica o sulla logica, che poi sono la stessa cosa, sono erroneamente ritenuti il metodo più valido per conoscere. E' solo il migliore che abbiamo elaborato e quindi a disposizione. Ma affermare che con quel metodo si può arrivare ad una conoscenza della realtà che ci circonda è tutto da dimostrare. Quello che voglio intendere è che spesso viene presentata conoscenza ciò che invece ne è soltanto l' ipotesi.

E la stessa staticità con cui inquadriamo il processo conoscitivo determina che nell' immensamente grande e nell' immensamente piccolo tutto è fermo. Ecco perché come mi è capitato di vedere in un interessante trasmissione televisiva, una gran parte degli scienziati ritengono che il divenire non esiste. Naturalmente c' è anche chi afferma il contrario. 
Il concetto di base è che la matematica all' infinito non ha più un prima e un dopo e perciò finisce per definire tutto statico.

Per altro nella stessa trasmissione hanno documentato la difficoltà di far rientrare i quanta nella teoria della relatività, in quanto proprio per l' assenza di massa non risentirebbero della gravità, ma hanno già pensato ad un' equazione basata su sette variabili per superare il problema. Questa è la matematica. è lei a costruire la conoscenza e non noi che la costruiamo grazie ad essa.

Garbino Vento di Tempesta
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 10 Maggio 2017, 21:16:25 PM
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 10 Maggio 2017, 15:08:54 PM


No  Sciombo: tu parli di affermazione. Io parlo della differenza fra affermazione e oggetto.

(rinvio all'articolo sulla "verità" per chi non ha il libro).


CitazioneCerca per lo meno si spiegarti (se vuoi che si discuta).

In maniera logicamente corretta puoi affermare che se si afferma che il nulla non esista é necessario che qualcosa di reale esista (per lo meno la negazione del nulla stessa); dunque l' affermare che il nulla esiste é falso; ma non contraddittorio: smentito (nel senso di: falsificato) dall' osservazione inevitabile che accade il predicare l' esistenza di nulla (dunque qualcosa esiste) e non negato intrinsecamente dalla sua stessa affermazione (che, se per assurdo accadesse, significherebbe "contraddittorio").

Un oggetto può darsi che sia o che non sia.

Un' affermazione (l' oggetto affermazione) può essere contraddittoria, oppure vera o falsa.

L' oggetto "nulla" realmente non si dà (e lo stesso pretendere di affermare che si dia -dandosi e non essendo nulla bensì qualcosa- implica la falsità -e non la contraddittorietà- dell' affermazione stessa).
Sarebbe contraddittoria invece l' affermazione "si dà il nulla e anche qualcosa".



Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: green demetr il 10 Maggio 2017, 22:01:03 PM
parte 1 di 3  utile anche per altri utenti, dalla 2 è un discorso privato.

buonasera ceravolo

Mi permetto di dividere il post in 3 segmenti. (tutti spropositatamente lunghi visto l'esito tiepido a cui giungo  ;) ).
Ma non è una questione di tempo, prenditi per favore tutto il tempo per leggerli con calma.
Ci terrei particolarmente ad un confronto. Che sebbene alla fine ci distanzierà come mi sembra, mi aiuterà, ne sono sicuro.
A rinfrescarmi le idee su questioni che sono bollenti.

Il primo segmento è di carattere generale, per vedere se riesci a trovare delle assonanze, qualcosa che caldeggi un nostro (seppure dilatato nel tempo mi par di capire) eventuale dialogo.

E' la prima volta che ti leggo, non ho seguito lo spiegarsi della discussione. (ma il tuo ultimo intervento mi ha colpito molto).  :D

Ho letto quindi solo i tuoi interventi e conoscendo più o meno il pensiero degli altri utenti, credo che la discussione sia ancora nella premesse.

E' invece per me un piacere immergermi subito nel discorso del formale dialettico.
(senza troppi preamboli, visto comunque la mole che segue di riflessioni  ;D  )

Penso che sia una porta da cui assolutamente passare per un rinnovamento proficuo del pensare, foss'ancor metafisico come nel mio caso.
E penso che sia anche una questione sostanzialmente per pochissimi eletti che la intendono.

Proprio per via della penuria di tali intellettuali, rinuncio alle mie argomentazioni standard (il ruolo della metafisica nel Mondo).

E procedo cercando punti di incontro o di aiuto nello sviluppo di un nuovo formalismo. (certo potrebbe benissimo essere un abbaglio, sarebbe un caso strano, se ci intediamo su una cosa così urgente per la filosofia, sono diventato cinico in questo  :'( ).

Spero che nel mentre scrivo, riesca a riformulare le istanze per cui ero arrivato a intuire della necessità per una nuova riformulazione. (purtroppo la penuria di contributi assottiglia il mio desiderio di confronto, raffreddando entusiasmi epocali a mio modo di sentire e vedere  :'( )

Non so se intuitivamente si riesce a capire, ma il punto è questo: si tratta di inventare le forme di una nuova metafisica, che io chiamo metafisica di secondo livello o di secondo grado, che faccia attenzione a non cadere negli errori delle metafisiche di primo grado.

Per cercare anche di capire se riusciamo ad essere più o meno vicini, provo ad aggiungere altri elementi per indicare l'emergenza assoluta che l'intellettuale riesca ad intendere la questione.

Punto primo: nessuno uomo può fare a meno di una metafisica.

Secondo punto : la metafisica di secondo grado non può che essere che formale.

e infatti tu (ti dò del tu, scusa) scrivi molto bene che

cit
"- La cancellazione dell'oggetto per la verità del soggetto è un dogma dell'ingenuo nichilista;

- La cancellazione del soggetto per la verità dell'oggetto è un dogma dell'ingenuo realista."

Il dogma in cui cadono le 2 metafisiche, è tale , e cioè ingenuo, proprio per la portante formale, che si astrae dalle loro narrazioni, perdendo consistenza.

Vedi Ceravolo, è la qualità dell'invenzione formale che deciderà sul valore o meno, dell'inadeguatezza o meno. delle metafisiche di primo grado.

Come dico io, si tratta di trovare una meta-narrazione all'altezza dei nostri tempi.

Ossia nel nostro mondo occidentale, del rapporto tra soggetto e realtà.

(Che poi non è molto dissimile dal problema tra trascendentalità e "cosa in sè".)

Ma ora dammi il tempo di leggere il tuo "unione tra costruttivismo e realismo"

ne trarrò nel secondo segmento alcune considerazioni mie, e domande per te.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: green demetr il 10 Maggio 2017, 22:16:28 PM
parte 2 di 3 in cui anche tenendo conto delle mie polemiche finali vi sono paralleli molto forti con le mie posizioni

Allora definiamo la realtà dunque come adequatio rei et intellectu, e come coerenza a sè dell'interpretazione.

Sono assolutamente d'accordo, sopratutto perchè il punto su cui dovrebbe cadere l'interesse dell'intellettuale (maturo) è su quel "in sè" della interpretazione, per cui non potrà che essere che formale.
L'in sè deve essere formale. E quindi a sè, a sè stante. Un invenzione intellettuale (che tu aggiungi deve essere coerente, e mi sta bene).  (mi rendo conto che non era questo quello che volevi intendere, prendi queste note come un parallelismo, se è possibile, e rimando invece a ulteriori approfondimenti, al segmento 3 direttamente)

Sul paradosso del mentitore, siamo parimenti d'accordo. In effetti era stato già risolto dalla logica: in quanto la categoria dei predicati è valida solo se non applicata a se stessa, quindi deve essere applicata ad un oggetto esterno.
Si ha sempre un predicato ogettuale, come dico io una funzione d'oggetto. Ma va benissimo anche la tua regola che il predicato deve essere coerente con se stesso.  :D

La realtà dell'oggetto garante del predicato, è la cosa in sè kantiana, non ritengo di aggiugervi ulteriori impianti concettuali.    anche se poi tu critichi questo concetto vedi poi

Non so cosa sia il diallele scettico, ma rimane la problematica di dire cosa è reale, senza cadere nella petitio principii. 8)

Anche se siamo d'accordo che lo scettico confonde il suo predicato con il reale. Dunque traspongo la tua formula nel mio impianto funzionale insiemistico (è quello che ho scelto io  ;) ).

Lo riscriverei così   Lf(a)=1 ; solo e solo se a < cosa in sè 

L'immaginario non aderisce alla definizione della cosa in sè, mi sembra inutile aggiungerlo.

Ti poni poi il problema della decidibilità della cosa, afferendo che di una cosa dovremmo potere dire sia se il suo reale, che l'impossibilità del suo essere immaginario (visto che lo hai introdotto), o semplicemente della sua irrealtà.  appunto il problema della decidibilità di tarsky

Successivamente torni ad argomentare sull'adequatio rei et intellectu. Proponendo la distinzione agostiniana della verità lucente del soggetto e della verità redarguitrice (?) dell'oggetto.  :)
Qui certamente si sofferma tanta filosofia contemporanea, in primis lo strutturalismo.(intendo il primo argomento, la verità lucente)  ;)

La logica di Tarsky come ogni logica formale non intende il senso di esistenza a onore del vero.

Comunque poichè necessitiamo di una nuova logica formale, va anche bene far notare come notazioni complesse come quella di Tarsky si risolvano in maniera banale per un filosofo.

Siamo a metà articolo. Direi che ci intediamo perfettamente.  col senno del poi mica tanto, ma le cose simili sono notevoli

Sullo statuto degli oggetti reali non mediati dall'uomo:
Infatti Heidegger parla di analitiche possibili infinite. Infatti ci può essere anche una analitica diversa da quella umana (Che concerne l'uomo specifico).
(essere e tempo).


Mi piace il tuo tentativo di salvare il costruttivismo, presumendo una unità in cui giacciono sia soggetto che oggetto.

Il punto che ti vorrei chiedere è però se tu sposi l'idea che questa unità sia a sua volta un oggetto.
(questo punto magari si intende meglio nelle critiche che faccio nel terzo segmento)
in effetti anche col senno del poi non riesco a ricavarlo

In passato in questo forum ho già avuto un violento litigio su questo punto, e in effetti la cosa che più detesto del costruttivismo o nuovo realismo come lo si voglia chiamare, è che si illude che di questa unità si possa parlare in maniera oggettiva.  diciamo che ho una flebile speranza che così non sia perchè la ragione in sè, ha un carattere oggettivo solo nel campo della relazione, che di oggettivo ha ben poco. O meglio l'oggettivo è la relazione.
Dunque è un in sè, che contiene un dualismo. Spero ma non sono convinto che sia così per te.


Se noi poniamo l'unità come relazione del predicato e oggetto. Siamo chiamati ad una doppia analisi del predicato e dell'oggetto.
Cosa che formalmente è indecidibile, a mio parere. (ma non è importante per i miei fini).
Cioè non è dimostrabile tout-court. (lato esistente sì - lato inesistente no, vedi segmento 3)

Ma seguiamo invece la tua contro-argomentazione (che in parte (o del tutto?) riferendosi a Severino, intendo benissimo).  :D

Finisco qui il secondo segmento. Nel terzo che si sta rivelando piuttosto ampio ci occupiamo di alcune notazioni erronee, e di possibili alleanze.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: green demetr il 10 Maggio 2017, 22:33:45 PM
segmento 3 di 3 -   precisazioni, polemiche e prime conclusioni.  ;)


riguardo il par.5
Su Heidegger citi il medesimo mondo di appartenza, (sono arrivato solo alla fine del primo capitolo di essere e tempo, che a mio parere suscita una marea di quesiti ben più radicali di quanto non sembri, e su cui non concordo per esempio nell'utilizzo naive del concetto di tempo come universale: ma il tempo è relativo!).

Siccome non specifichi vorrei proporre un precisazione, che il medesimo mondo, è il mondo della medietà, fra ente ed oggetto.
Ma poichè la medietà è una proprieta dell'essere, allora l'unico ente in grado di comprenderla è quell'ente che è la medianità stessa, ossia l'Uomo.
Non sono sicuro che Heidegger convenga con noi perciò (nel senso che il soggetto dunque non soggiace a quella unità, semplicemente perchè l'unità soggiace a lui che la intende).


Dovremmo cioè e qui sta il compito della filosofia formale, intendere quel "soggiace", come una questione formale.
E che l'"unità" è il "domandante formale", non effettivo, non reale. Ci deve quindi essere la meta-narrazione, il controllo delle istanze di verità tra soggetto formale, e oggetto formale.

In questo paragrafo però non mi sembra che contenga elementi per la decidibilità del carattere formale.
(che desumo dal tuo attacco a tarsky)

riguardo il p.6

cit
"L'estrema conseguenza di questo è il decadimento dell'uomo come osservatore privilegiato."

Qua dobbiamo intenderci, perchè questa è la tipica posizione del neo-realista.
La cui ingenuità è quella di pensare a quella unità come reale.
E invece è "solo" eminentemente formale. (e perciò non ha alcuna rilevanza la polarizzazione tra soggetto e oggetto, in quanto abbiamo privilegiato il reale, che è una unità e non un dualismo).
Ma spero tu possa capire e correggere tale posizione.  :'(

Nel proseguimento dell'argomento sulla decidibilità introduci il concetto della cardinalità degli enti. Così da poter dire che un ente segue sempre un altro, ma che ogni ente è separato da esso. Penso sia una soluzione soddisfacente e ben addentro alla classicità della filosofia.   :D  :D  :D

Spezzerei una lancia in favore di Platone, in quanto la cardinalità è esattamente quello che introduce sulla scorta del suo maestro Pitagora, come elemento di indagine.  E che fa da paio con quanto scrivo sopra.
http://www.filosofico.net/numer37.html

La polemica che tu indichi a mio parere è esatta nella misura in cui intendiamo che le idee e i numeri siano quelli ideali.
E non quelli reali.
In particolare forse tu (come me) rigetti l'idea che l'ideale possa avere una valenza etica che sia pre-ordinante il reale.
Ma ideale e reale per Platone non coincidono. (se ho ben intuito sono gerarchici il secondo al primo)
E' il matema che decide del reale, esattamente come stiamo cercando di accordarci noi altri



Non ho capito bene la tua posizione su Kant, mi sembra una grossolana considerazione.
Cosa c'entra l'idealità con la cosa in sè (mi pare tu ci veda un parallelismo)?
:'(


Idem su Nietzche intendere il nichilismo come nonsense sulle cose, piuttosto che sui valori, dimostra quanto poco hai presente del discorso Nietzchiano. :'(  :'(  :'(  :'(  :'(

Comunque al di là delle definizioni, conta la sostanza.(del formale, perciò sorvolo la questione del confronto con la storia della filosofia.)  ;)  ;D

Sostanza che torna di nuovo a trovarmi d'accordo su Hegel (autore da cui prendo spunto come te).  :D  :D  :D

Passiamo alla tua proposta di portare

cit
"Tesi dell'essere:
- L'unità è il principio di conoscenza;
- La verità è la possibilità di conoscenza;
- La realtà è la necessità di conoscenza.
Antitesi dell'appartenere:  (o Tesi dell'esistente).
- La realtà è dell'oggetto;
- La verità è del soggetto;  (che si scontra con un oggetto, sempre, ricordiamo)
- L'unità è di ogni cosa.
Sintesi dell'unione:
- L'unità di ogni cosa è il principio di conoscenza;
- La verità del soggetto è la possibilità di conoscenza;
- La realtà dell'oggetto è la necessità di conoscenza."

Molto interessante la sintesi. Complimenti.   :)  :)  :)  :)  (premierei sopratutto questo ultimo punto)

par.7

Dunque annoto verità di ragione, e verità sensibili.

Non trovo però elementi sulla decidibilità nuovi. Trovo cioè sempre il tema della cardinalità. ;)

par 8

Noto una debolezza della teoria, che era poi anche la debolezza kantiana. (quindi insomma siamo in buona compagnia). ;)  ;D

Se è decidibile che la soggettività esista, in quanto non può non esistere.

Diverso è il caso della oggettività, in quanto non possiamo dimostrare che è parimenti esistente.

Cioè la cosa in sè è indecidibile. (che è una falla che kant lascia aperta nel suo sistema, e che prova a coprire con la trascendenza nel critica del giudizio, fallendo a trovarla, e rimanendo trascendentale). (prigioniero del soggetto verrebbe da dire a me, o della ragione per i kantiani più radicali).
Rimane come d'altronde anche tu scrivi dunque la verità computabile, ovvero in sè. (che poi sarebbe la ragione in sè, o il soggetto idealista come dico io)



cit
"Così che non esista cosa che possa percepirsi fuori dagli apparati del sensibile – materia
universalis – o cosa che possa affermarsi fuori dai predicati dell'intelletto – ratio
universalis –. Si dice: - La "percezione" della materia è l'atto sensibile e primordiale di presa della
realtà (sulla terra responsum della realtà);
- L'"affermazione" della ratio è l'atto intellettuale e finale di presa della
realtà (sul cielo veritas della realtà)."

Vedi qua è un problema serio. Lo dico sempre ad un mio amico kantiano. Chi decide di quella "ratio"?
E' una petitio principii.
Se noi introduciamo la cardinalità (da pitagora in poi) poi non possiamo riferirci ad essa come testimonianza di verità.

Come spero di non sbagliare possiamo dire che la cardinalità è necessaria, ma non sufficiente per dimostrare la relazione di ragione.

Pensiamo solo ai risultati delle fisica quantistica, che intende il campo e non la posizione.

Il campo non è una cardinalità. Principio di indeterminatezza di Schroedinger.

Il tempo è una piegatura dello spazio. Principio di relatività di Einstein.

cit
"Cioè la ragione in sé a fondamento d'ogni cosa"

Ma questo è Hegel (oddio io rispetto tantissimo il maestro, anzi lo adoro  :)  :)  :) ) però il punto che cercavo non è quello amico mio! Ti sei perso sul più bello!  :'(



Cerchiamo di tornare sui nostri passi e di ricordarci cosa abbiamo detto.  8)

Che la formalità è un principio dell'unità, se non ci fosse formalità saremmo in una metafisica di primo grado.

Hegel è un metafisico infatti.

Ma all'altezza dei nostri tempi. La formalità va considerata solo come strumento di controllo, e non come strumento  veritativo.

Dovremmo a questo punto tornare sulla tua proposta, che non mi dispiaceva per niente.

Dicevi che dato L linguaggio la veritatività è etc....etc.....

Ora noi a questo punto dobbiamo interrogarci sul linguaggio e non sull'unità di razionalità in sè.

E' il linguaggio che decide della unità e non la ragione in sè, che usa quel linguaggio per ottenere una unità.

Possiamo ben dire in un discorso semiotico che predicato e realtà, siano deducibili come cardinalità.
E che la veritatività sta proprio nel fatto che è la riflessività di quella cardinalità. Se esiste o meno.
Ma non possiamo dire per via della cardinalità allora esiste una realtà. E' un errore logico, che la filosofia continua a perpretare contro se stessa.

Conclusioni

Ben venga un libro che parli della portante ragione in sè-fenomeno. (sono povero, attenderò qualche anno se verrà acquistato da qualche biblioteca milanese. il prezzo mi sembra onesto comunque.)  :'(
(sopratutto perchè non ho ben capito che differenza c'è tra razionalità e ragione in sè.)

Mi rimane un senso di incompiuto, e sopratutto non ho letto l'orizzonte Mondo che dovrebbe aprire.

La prassi, il paradigma, io lo legherei sempre ad un orizzonte. E non mi pare di averlo colto.

Rimane aperta la critica di Kripke, non  mi pare abbiamo risposto. (e d'altronde sono d'accordo con lui sul principio di indecidibilità formale che non prevede un contenuto.  (ps io ODIO kripke)

In generale però la composizione formale è ben fatta, e mi convince su molti punti. (non su quello fondamentali ahimè!)  :D  :D  :D  :D

Spero vivamente che continuerai a riservare qualche spazio a questo forum.
E nel frattempo ti ringrazio per i molti spunti.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 11 Maggio 2017, 09:33:36 AM
Citazione di: sgiombo il 10 Maggio 2017, 21:16:25 PM
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 10 Maggio 2017, 15:08:54 PM


No  Sciombo: tu parli di affermazione. Io parlo della differenza fra affermazione e oggetto.

(rinvio all'articolo sulla "verità" per chi non ha il libro).


Citazione
Riscrivo correggendo un deplorevole errore (chiedo scusa a tutti):

Cerca per lo meno si spiegarti (se vuoi che si discuta).

In maniera logicamente corretta puoi affermare che se si afferma che il nulla non esista é necessario che qualcosa di reale esista (per lo meno l' affermazione del nulla - negazione di alcunché di esistente stessa); dunque l' affermare che il nulla esiste é falso; ma non contraddittorio: smentito (nel senso di: falsificato) dall' osservazione inevitabile che accade quantomeno il predicare l' esistenza di nulla (dunque qualcosa esiste) e non negato intrinsecamente dalla sua stessa affermazione (che, se per assurdo accadesse, significherebbe "contraddittorio").

Un oggetto può darsi che sia o che non sia.

Un' affermazione (l' oggetto affermazione) può essere contraddittoria, oppure vera o falsa.

L' oggetto "nulla" realmente non si dà (e lo stesso pretendere di affermare che si dia -dandosi e non essendo nulla bensì qualcosa- implica la falsità -e non la contraddittorietà- dell' affermazione stessa).
Sarebbe contraddittoria invece l' affermazione "si dà il nulla e anche qualcosa".



Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 12 Maggio 2017, 21:29:20 PM
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 10 Maggio 2017, 15:08:54 PM
In verità, Angelo Cannata, io ho solo detto che è la "affermazione" a non esistere fuori da colui che l'afferma. Ciò che tu ne consegui non è una conseguenza che si spiega senza ricorrere ad argomentazioni fuori dal concetto in essere. Dico:

La presupposizione di "al di fuori della mente" per quanto espressa dalla mente che l'afferma, è la ferrea rivendicazione di quell'esterno che affetta le nostre percezioni e affermazioni (su Spinoza - Etica). L'inoppugnabile influenza degli oggetti sulle nostre affermazioni è a sua volta la ferrea rivendicazione della loro esistenza e della nostra interiorizzazione del loro valore nelle nostre immediate rappresentazioni mentali (su Searse - La mente).
L'oggetto della mia obiezione non erano l'esterno o gli oggetti; era il concetto di "esterno alla nostra mente". Io non nego né affermo l'esistenza di oggetti, poiché negarla sarebbe comunque un'affermazione metafisica. Io dico che il concetto di "esterno alla nostra mente", in quanto inevitabilmente dipendente dalla nostra mente, come tu stesso ammetti, è un concetto impossibile.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 12 Maggio 2017, 22:10:06 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 12 Maggio 2017, 21:29:20 PM
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 10 Maggio 2017, 15:08:54 PM
In verità, Angelo Cannata, io ho solo detto che è la "affermazione" a non esistere fuori da colui che l'afferma. Ciò che tu ne consegui non è una conseguenza che si spiega senza ricorrere ad argomentazioni fuori dal concetto in essere. Dico:

La presupposizione di "al di fuori della mente" per quanto espressa dalla mente che l'afferma, è la ferrea rivendicazione di quell'esterno che affetta le nostre percezioni e affermazioni (su Spinoza - Etica). L'inoppugnabile influenza degli oggetti sulle nostre affermazioni è a sua volta la ferrea rivendicazione della loro esistenza e della nostra interiorizzazione del loro valore nelle nostre immediate rappresentazioni mentali (su Searse - La mente).
L'oggetto della mia obiezione non erano l'esterno o gli oggetti; era il concetto di "esterno alla nostra mente". Io non nego né affermo l'esistenza di oggetti, poiché negarla sarebbe comunque un'affermazione metafisica. Io dico che il concetto di "esterno alla nostra mente", in quanto inevitabilmente dipendente dalla nostra mente, come tu stesso ammetti, è un concetto impossibile.
CitazioneIl concetto di "esterno alla nostra mente" in quanto tale (concetto) é interno alla nostra mente; ma con esso denotiamo qualcosa (ente o evento; o caratteristica generale astratta da, essendo presente in, più enti e/o eventi) di esterno alla nostra mente.

Impossibile (come autentico pensiero -sensato- in quanto autocontraddittorio sarebbe il predicato "oggetto esterno alla nostra mente" [denotato da questo concetto appena scritto fra virgolette, il quale -concetto- é interno alla nostra mente] "il quale -oggetto da esso denotato- é interno alla nostra mente".
Oppure "concetto [che per definizione é un "contenuto mentale", un "oggetto di pensiero", magari correlato a un oggetto reale che ne é la denotazione] il quale [il concetto; e non: la sua eventuale denotazione reale]  é esterno alla nostra mente.

Non bisogna confondere i concetti, inevitabilmente interni alla mente di chi li pensa, con le loro (eventuali, se e quando realmente si danno) denotazioni (enti e/o eventi e/o astrazioni da enti e/o eventi) reali.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 12 Maggio 2017, 22:22:46 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Maggio 2017, 22:10:06 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 12 Maggio 2017, 21:29:20 PM
CitazioneOppure "concetto [che per definizione é un "contenuto mentale", un "oggetto di pensiero", magari correlato a un oggetto reale che ne é la denotazione] il quale [il concetto; e non: la sua eventuale denotazione reale]  é esterno alla nostra mente.
Mi pare di vedere un po' di confusione in mezzo a tutte queste parentesi, trattini, virgolette: se togliamo il contenuto in parentesi della frase, rimane:

concetto il quale é esterno alla nostra mente.

Concetto esterno alla nostra mente? Come possono esistere concetti fuori della nostra mente?
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 12 Maggio 2017, 22:30:47 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 12 Maggio 2017, 22:22:46 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Maggio 2017, 22:10:06 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 12 Maggio 2017, 21:29:20 PM
CitazioneOppure "concetto [che per definizione é un "contenuto mentale", un "oggetto di pensiero", magari correlato a un oggetto reale che ne é la denotazione] il quale [il concetto; e non: la sua eventuale denotazione reale]  é esterno alla nostra mente.
Mi pare di vedere un po' di confusione in mezzo a tutte queste parentesi, trattini, virgolette: se togliamo il contenuto in parentesi della frase, rimane:

concetto il quale é esterno alla nostra mente.

Concetto esterno alla nostra mente? Come possono esistere concetti fuori della nostra mente?
CitazionePurtroppo la questione non é semplice e necessita di parentesi.

Che infatti permettono (a chi abbia la pazienza di prenderle in considerazione) di distuinguere il concetto inevitabilmente interno alla mete dal denotato reale del concetto che può benissimo essere esterno alla mente stessa.

Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 12 Maggio 2017, 22:52:28 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Maggio 2017, 22:30:47 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 12 Maggio 2017, 22:22:46 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Maggio 2017, 22:10:06 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 12 Maggio 2017, 21:29:20 PM
CitazioneOppure "concetto [che per definizione é un "contenuto mentale", un "oggetto di pensiero", magari correlato a un oggetto reale che ne é la denotazione] il quale [il concetto; e non: la sua eventuale denotazione reale]  é esterno alla nostra mente.
Mi pare di vedere un po' di confusione in mezzo a tutte queste parentesi, trattini, virgolette: se togliamo il contenuto in parentesi della frase, rimane:

concetto il quale é esterno alla nostra mente.

Concetto esterno alla nostra mente? Come possono esistere concetti fuori della nostra mente?
CitazionePurtroppo la questione non é semplice e necessita di parentesi.

Che infatti permettono (a chi abbia la pazienza di prenderle in considerazione) di distuinguere il concetto inevitabilmente interno alla mete dal denotato reale del concetto che può benissimo essere esterno alla mente stessa.
E sì, ma difatti la tua frase in questione che ho citato non parla di denotato reale, parla del concetto.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 12 Maggio 2017, 23:09:38 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 12 Maggio 2017, 22:52:28 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Maggio 2017, 22:30:47 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 12 Maggio 2017, 22:22:46 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Maggio 2017, 22:10:06 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 12 Maggio 2017, 21:29:20 PM
CitazioneOppure "concetto [che per definizione é un "contenuto mentale", un "oggetto di pensiero", magari correlato a un oggetto reale che ne é la denotazione] il quale [il concetto; e non: la sua eventuale denotazione reale]  é esterno alla nostra mente.
Mi pare di vedere un po' di confusione in mezzo a tutte queste parentesi, trattini, virgolette: se togliamo il contenuto in parentesi della frase, rimane:

concetto il quale é esterno alla nostra mente.

Concetto esterno alla nostra mente? Come possono esistere concetti fuori della nostra mente?
CitazionePurtroppo la questione non é semplice e necessita di parentesi.

Che infatti permettono (a chi abbia la pazienza di prenderle in considerazione) di distuinguere il concetto inevitabilmente interno alla mete dal denotato reale del concetto che può benissimo essere esterno alla mente stessa.
E sì, ma difatti la tua frase in questione che ho citato non parla di denotato reale, parla del concetto.
CitazioneE dice che quest' ultimo, e non il denotato reale, é mentale (interno alla mente di chi lo pensa).
Mi sembra tutto chiaro!
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 12 Maggio 2017, 23:12:11 PM
Io vedo scritto "esterno"
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 12 Maggio 2017, 23:14:26 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Maggio 2017, 22:10:06 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 12 Maggio 2017, 21:29:20 PM
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 10 Maggio 2017, 15:08:54 PM
In verità, Angelo Cannata, io ho solo detto che è la "affermazione" a non esistere fuori da colui che l'afferma. Ciò che tu ne consegui non è una conseguenza che si spiega senza ricorrere ad argomentazioni fuori dal concetto in essere. Dico:

La presupposizione di "al di fuori della mente" per quanto espressa dalla mente che l'afferma, è la ferrea rivendicazione di quell'esterno che affetta le nostre percezioni e affermazioni (su Spinoza - Etica). L'inoppugnabile influenza degli oggetti sulle nostre affermazioni è a sua volta la ferrea rivendicazione della loro esistenza e della nostra interiorizzazione del loro valore nelle nostre immediate rappresentazioni mentali (su Searse - La mente).
L'oggetto della mia obiezione non erano l'esterno o gli oggetti; era il concetto di "esterno alla nostra mente". Io non nego né affermo l'esistenza di oggetti, poiché negarla sarebbe comunque un'affermazione metafisica. Io dico che il concetto di "esterno alla nostra mente", in quanto inevitabilmente dipendente dalla nostra mente, come tu stesso ammetti, è un concetto impossibile.
CitazioneIl concetto di "esterno alla nostra mente" in quanto tale (concetto) é interno alla nostra mente; ma con esso denotiamo qualcosa (ente o evento; o caratteristica generale astratta da, essendo presente in, più enti e/o eventi) di esterno alla nostra mente.

Impossibile (come autentico pensiero -sensato- in quanto autocontraddittorio sarebbe il predicato "oggetto esterno alla nostra mente" [denotato da questo concetto appena scritto fra virgolette, il quale -concetto- é interno alla nostra mente] "il quale -oggetto da esso denotato- é interno alla nostra mente".
Oppure "concetto [che per definizione é un "contenuto mentale", un "oggetto di pensiero", magari correlato a un oggetto reale che ne é la denotazione] il quale [il concetto; e non: la sua eventuale denotazione reale]  é esterno alla nostra mente.

Non bisogna confondere i concetti, inevitabilmente interni alla mente di chi li pensa, con le loro (eventuali, se e quando realmente si danno) denotazioni (enti e/o eventi e/o astrazioni da enti e/o eventi) reali.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 13 Maggio 2017, 08:34:35 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 12 Maggio 2017, 23:14:26 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Maggio 2017, 22:10:06 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 12 Maggio 2017, 21:29:20 PM

CitazioneIl concetto di "esterno alla nostra mente" in quanto tale (concetto) é interno alla nostra mente; ma con esso denotiamo qualcosa (ente o evento; o caratteristica generale astratta da, essendo presente in, più enti e/o eventi) di esterno alla nostra mente.

Impossibile (come autentico pensiero -sensato- in quanto autocontraddittorio sarebbe il predicato "oggetto esterno alla nostra mente" [denotato da questo concetto appena scritto fra virgolette, il quale -concetto- é interno alla nostra mente] "il quale -oggetto da esso denotato- é interno alla nostra mente".
Oppure "concetto [che per definizione é un "contenuto mentale", un "oggetto di pensiero", magari correlato a un oggetto reale che ne é la denotazione] il quale [il concetto; e non: la sua eventuale denotazione reale]  é esterno alla nostra mente.

Non bisogna confondere i concetti, inevitabilmente interni alla mente di chi li pensa, con le loro (eventuali, se e quando realmente si danno) denotazioni (enti e/o eventi e/o astrazioni da enti e/o eventi) reali.

Io vedo scritto "esterno" (Angelo Cannata)
E dunque, come chiaramente leggibile, dire che é esterno alla mente il concetto (il quale le é interno per definizione, contrariamente alla sua denotazione reale) sarebbe contraddittorio, ovvero insensato, impossibile (come autentico pensiero).

Mentre non lo é (non é contraddittorio, insensato) dire che l concetto di "esterno alla nostra mente" in quanto tale (concetto) é interno alla nostra mente; anche se con esso denotiamo qualcosa (ente o evento; o caratteristica generale astratta da -essendo presente in- più enti e/o eventi) di esterno alla nostra mente.

L' assurdità nasce dall' "indebito salto logico" dal concetto alla sua (eventuale; se e quando si dà) denotazione reale, dalla confusione fra di essi (analogamente al salto dal linguaggio al metalinguaggio -la confusione dell' uno con l' altro- nel caso del celeberrimo paradosso del mentitore).
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 13 Maggio 2017, 09:15:43 AM
Bene, la mia obiezione era questa: una volta che qualsiasi concetto non può non dipendere dalla nostra mente, il concetto di "esterno alla nostra mente" è un concetto impossibile, perché "esterno alla nostra mente" significa "indipendente dalla nostra mente". In altre parole, la mente può illudersi di aver pensato a qualcosa di esterno ad essa solo trascurando il fatto che qualunque cosa essa pensi è dipendente da essa. Io posso pensare che una pietra esista per conto suo, indipendente da me, solo se trascuro che tale pensiero non può esistere se non condizionato al cento per cento dalla mia mente. Dire che quella pietra esiste per conto proprio è un'illusione: mi illudo di essere riuscito a pensarlo, ma in realtà ho pensato soltanto ciò che la mia mente mi ha dettato. Non è possibile pensare idee che non siano dettate dalla propria mente a se stessa. La mente non è in grado di pensare se non fornendo essa stessa idee a se stessa.
Ceravolo sostiene che la realtà sia in grado di provocare idee. Ciò è ipotizzabile, ma non possiede alcuna ferrea inoppugnabilità, come egli sostiene.

L'unica certezza che ho è che per pensare, per formarsi idee, è necessario usare il cervello. Quest'affermazione, che potrebbe sembrare scontata, perfino ridicola nel suo eccesso di ovvietà, ha una conseguenza grave: qualsiasi cosa io pensi, non c'è verso di poterla attribuire con certezza ad una realtà esterna alla mia mente, poiché l'unico dato che ho a mia disposizione è che ho usato il cervello. Il problema è che il cervello si pone così come mezzo insormontabile, ineludibile tra me e qualsiasi pensiero, in modo tale che mi è del tutto impossibile sapere cosa c'è oltre il mio cervello: è impossibile perché il cervello si pone sempre in mezzo.

Si può paragonare alla situazione in cui è impossibile contattare certe persone, perché l'unico mezzo per poter arrivare ad esse è passare per il loro segretario. Se il segretario decide di ingannarmi, dicendomi "Il capo è uscito, torni tra mezzora", per me non c'è verso né di sapere se il segretario mi ha ingannato, né di trovare altri modi per contattare il suo capo senza passare attraverso il suo segretario. Il mio cervello è il segretario della realtà: non c'è verso di contattare la realtà se non passando attraverso questo segretario. In questo modo non posso sapere neanche se la realtà esiste.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 13 Maggio 2017, 21:03:41 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 13 Maggio 2017, 09:15:43 AM
Bene, la mia obiezione era questa: una volta che qualsiasi concetto non può non dipendere dalla nostra mente, il concetto di "esterno alla nostra mente" è un concetto impossibile, perché "esterno alla nostra mente" significa "indipendente dalla nostra mente". In altre parole, la mente può illudersi di aver pensato a qualcosa di esterno ad essa solo trascurando il fatto che qualunque cosa essa pensi è dipendente da essa. Io posso pensare che una pietra esista per conto suo, indipendente da me, solo se trascuro che tale pensiero non può esistere se non condizionato al cento per cento dalla mia mente. Dire che quella pietra esiste per conto proprio è un'illusione: mi illudo di essere riuscito a pensarlo, ma in realtà ho pensato soltanto ciò che la mia mente mi ha dettato. Non è possibile pensare idee che non siano dettate dalla propria mente a se stessa. La mente non è in grado di pensare se non fornendo essa stessa idee a se stessa.
Ceravolo sostiene che la realtà sia in grado di provocare idee. Ciò è ipotizzabile, ma non possiede alcuna ferrea inoppugnabilità, come egli sostiene.

L'unica certezza che ho è che per pensare, per formarsi idee, è necessario usare il cervello. Quest'affermazione, che potrebbe sembrare scontata, perfino ridicola nel suo eccesso di ovvietà, ha una conseguenza grave: qualsiasi cosa io pensi, non c'è verso di poterla attribuire con certezza ad una realtà esterna alla mia mente, poiché l'unico dato che ho a mia disposizione è che ho usato il cervello. Il problema è che il cervello si pone così come mezzo insormontabile, ineludibile tra me e qualsiasi pensiero, in modo tale che mi è del tutto impossibile sapere cosa c'è oltre il mio cervello: è impossibile perché il cervello si pone sempre in mezzo.

Si può paragonare alla situazione in cui è impossibile contattare certe persone, perché l'unico mezzo per poter arrivare ad esse è passare per il loro segretario. Se il segretario decide di ingannarmi, dicendomi "Il capo è uscito, torni tra mezzora", per me non c'è verso né di sapere se il segretario mi ha ingannato, né di trovare altri modi per contattare il suo capo senza passare attraverso il suo segretario. Il mio cervello è il segretario della realtà: non c'è verso di contattare la realtà se non passando attraverso questo segretario. In questo modo non posso sapere neanche se la realtà esiste.
CitazioneDal momento che qualsiasi concetto non può non essere (necessariamente è) pensato nell' ambito della nostra mente, il concetto di "esterno alla nostra mente" è un concetto possibilissimo (e sensatissimo), perché non pretende assurdamente di essere esso stesso esterno alla nostra mente, bensì di denotare qualcosa di esterno ed indipendente dalla nostra mente (qualche cosa di diverso dal concetto stesso che la denota =/= costituisce).
Denotato reale che con il concetto (inevitabilmente mentale, quest' ultimo) che per l' appunto lo denota non si identifica, essendo al contrario di esso esterno alla nostra mente (questo vale nel caso del concetto di "esterno alla nostra mente", ovviamente; non per esempio per il concetto di "interno alla nostra mente").
Confondere concetto (inevitabilmente mentale) e denotato reale del concetto (non necessariamente mentale) è come confondere le parole e le cose e pretendere, per esempio, che le parole "inesistente" o "nulla" (che, come si vede leggendo questa riga, esistono eccome, precedendo immediatamente questa considerazione fra parentesi) non esistano.
 
Il fatto che il pensiero di qualunque cosa la mente pensi è dipendente da essa non implica necessariamente che sia dipendente da essa anche la cosa pensata.
Per esempio il fatto che io pensi alla morte non fa certo sì che la morte dipenda dal mio pensiero di essa, e dunque che mi basti pensare il concetto della "mia immortalità" (pensare la mia morte stessa come impossibile) per vivere in eterno!
Ovvero il fatto che il pensiero (il concetto) de- "la pietra" è nella mia mente non implica affatto che la pietra sia nella mia mente; casomai può implicare un insuperabile dubbio scettico; N. B.: non la negazione certa! Non la certezza della negazione!) circa l' esistenza reale della pietra stessa (comunque) fuori della mia mente.
Ma questo è un altro discorso.
 
 
 
La certezza che per pensare, per formarsi idee, è necessario che ci sia un cervello l' ho anch' io.
Però (e per me personalmente é importantissimo!) sono anche consapevole che si tratta di una certezza indimostrabile né empiricamente constatabile (ovvero dimostrabile solo alla condizione di ammettere altre credenze a loro volta non dimostrabili né constatabili: solo ***se*** queste sono vere).
E inoltre (altra cosa per me importantissima!) sono consapevole che idee e pensieri non sono prodotti dal e non accadono nel cervello, bensì -ben diversa cosa!- che accadono necessariamente in presenza (almeno potenziale) di un cervello vivo e funzionante.
 
 
 
Il nostro cervello non è il tramite fra la nostra coscienza (comprendente, o "contenente" i concetti) e la realtà eventualmente denotata dai nostri concetti.
Le nostre coscienze non sono nei nostri cervelli, ma invece i nostri cervelli sono una serie di sensazioni nell' ambito delle coscienze (solitamente quelle di altri, non quella di ciascuno di noi) che lo percepiscono.
I cervelli sono precisamente alcuni dei contenuti delle coscienze, e non viceversa: le coscienze non sono contenute nei, nè prodotte dai cervelli (che invece producono solo movimenti muscolari, e al limite secrezioni ghiandolari, e contengono solo neuroni, assoni, sinapsi, ecc. fatti di molecole, atomi, particelle/onde subatomiche, campi di forza, ecc.).
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: green demetr il 14 Maggio 2017, 00:59:20 AM
cit angelo
Io posso pensare che una pietra esista per conto suo, indipendente da me, solo se trascuro che tale pensiero non può esistere se non condizionato al cento per cento dalla mia mente. Dire che quella pietra esiste per conto proprio è un'illusione

Esatto! se riguarda la pietra  :) , ma se riguarda una qualità formale allora possiamo ben dire che non possiamo mai dire quella pietra se non presupponendola (formalmente, astrattamente) come indefinibile prima. Che poi sarebbe La cosa in sè kantiana.
Non ho ben capito perchè C. abbia attaccato un concetto che egli stesso ipotizza.

Si capisce se diciamo che la Cosa in sè non esiste se non come formalizzazione, come linguaggio di controllo? (boh ci provo, non si sa mai!)

cit angelo
"Non è possibile pensare idee che non siano dettate dalla propria mente a se stessa. La mente non è in grado di pensare se non fornendo essa stessa idee a se stessa."

Ma come potrebbe dettare idee a se stessa? se prima non le conosce? o ritorniamo a Platone e ipotizziamo la teoria della reminiscenza o accettiamo che il mentale è "vicino" alla tavola rasa (perchè sappiamo già che il dna contiene informazioni trasmesse): proprio da zero no.

Siamo ancora alle premesse, la domanda di Ceravolo è un altra, non l'avete ancora intesa.  :(


cit angelo
"Ceravolo sostiene che la realtà sia in grado di provocare idee. Ciò è ipotizzabile, ma non possiede alcuna ferrea inoppugnabilità, come egli sostiene."

Per poter intendere la "ferrea inoppugnabilità" bisogna rifarsi al concetto di essere, che appunto non è un concetto.
Non è una idea. (e che poi è il vero discrimine tra analitici e continentali).

Prima dovete intendere quello, poi se volete possiamo ragionare sulle soluzioni formali. (La vedo dura, non credo proprio riusciate a fare nemmeno il primo salto qualitativo).

Comunque possiamo rimanere alle premesse. (chiedo solo che si capisca il soggetto! per questo Sgiombo non sarà mai un mio interlocutore!).


cit angelo
"L'unica certezza che ho è che per pensare, per formarsi idee, è necessario usare il cervello."
 
Il cervello nella vasca....l'ho sempre odiato questo esempio. perchè non intende una cosa semplice semplice, che qualcuno sta narrando quell'esperimento.
L'unica certezza è l'esistenza non il cervello.


cit angelo
"qualsiasi cosa io pensi, non c'è verso di poterla attribuire con certezza ad una realtà esterna alla mia mente"

tralasciando quale sia la mediazione se mentale (io) o cerebrale (tu), siamo d'accordo! infatti il mentale è una questione sempre del soggetto.  :)

il mentale di un oggetto sarà quindi sempre il suo categoriale, ossia la ragione.
ossia il giudizio del mentale sarà il categoriale dell'oggetto, oggetto che diventa mentale "solo dopo". Il tutto viene chiamato trascendentale.

Ma perchè vi sia un categoriale, che è innato nell'uomo, ci deve essere un oggetto esterno!

Ma questo oggetto non può avere alcuna caratteristica categoriale. Perciò è fuori del mentale! e viene "conosciuto" per negazione come non mentale: necessariamente! se no scadiamo nello scetticismo più ignorante.

il primo passaggio formale ce lo consegna la storia della filosofia"dunque per negazione", ma questa formalità è realo o no?
A questo punto si tratterebbe di decidere (tramite qualche passaggio ulteriore, per me ancora formale, per Ceravolo dialettico) se questo oggetto esista o meno: 
alias Perchè qualcosa piuttosto che il nulla?

Ceravolo riparte dal principio di kripke : Quale classe categoriale controlla un altra classe categoriale? (senza esserne compreso, se no si cade nell'errore di epimenide).

Tentando di rispondere.

Secondo me non riuscendoci, ma mettendo ulteriori mattoncini riguardanti il formalismo (per una nuova futura metafisica).
Insomma andando oltre il modello negativo, e costruendone altri. (che anche secondo me non possono non ripartire dall'esistente. Ossia il soggetto. Back to Cartesio!)  (senza fare il suo errore della res estensa...non c'è nulla di tutto ciò!)

E' da lì che riparte Ceravolo. ("abbastanza" brillantemente...forse meritava il primo prermio....sono curioso di vedere chi l'ha vinto!)


cit angelo
"Il mio cervello è il segretario della realtà: non c'è verso di contattare la realtà se non passando attraverso questo segretario. In questo modo non posso sapere neanche se la realtà esiste."

Perfetto! :)  infatti il modello formale è consistente o meno se poi il tuo soggetto sa di vivere l'esperienza di incontrare il direttore dopo mezz'ora.
Certo che se facciamo l'errore delle neuroscienze di scambiare l'evento vissuto, con l'evento delle palline che si accendono....siamo messi male come loro! :(

Certo possiamo dire che se le lampadine si accendono, tu hai visto il direttore....ma se io ti do un allucinogeno, si accenderanno altre lampadine....non ha senso!!!(oppure gli scienziati dell'esperimento mi hanno beccato)(oppure altri scienziati vivranno lo stesso esperimento, e statisticamente si penserà che vi è un modello. dei vissuti degli esperimenti, e non degli esperimenti in sè però. Che potrebbero benissimo essere stati tutti co-optati da una casa farmaceutica, o addirittura ordinati!)

L'unica certezza è il vissuto....se poi quel vissuto sia allucinazione o altro, questo è altro paio di maniche.

non si può usare la mediazione (mentale) di una mediazione (il cervello) per mediare se l'oggetto sia reale o meno.

Il punto semplice è che sia se il vissuto sia allucinazione sia che sia "realtà", l'unica cosa certa è l'esistenza del soggetto. Senza attributo, non categoriale.

E' il sapere immediato come dicono tutti i filosofi!! l'essere un ente. l'essenza, l'esistenza, chiamiamola un pò come vogliamo. (direi che per andare a capire Ceravolo serve questo)

Peirce a mo di domanda diceva il contenitore di tutti i contenitori possibili? direi di rubargli l'intuizione.

Io semplicemente lo chiamo il soggetto. (razionale se proprio vogliamo essere riduzionisti)
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 14 Maggio 2017, 01:34:28 AM
Citazione di: green demetr il 14 Maggio 2017, 00:59:20 AM
...non l'avete ancora intesa.

Prima dovete intendere quello ...  La vedo dura, non credo proprio riusciate a fare nemmeno il primo salto qualitativo

... chiedo solo che si capisca il soggetto! per questo Sgiombo non sarà mai un mio interlocutore!
Visto che sei persuaso di avere a che fare con persone incapaci di capire, non mi spiego come mai hai scritto tutto il resto.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: green demetr il 14 Maggio 2017, 02:29:45 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 14 Maggio 2017, 01:34:28 AM
Citazione di: green demetr il 14 Maggio 2017, 00:59:20 AM
...non l'avete ancora intesa.

Prima dovete intendere quello ...  La vedo dura, non credo proprio riusciate a fare nemmeno il primo salto qualitativo

... chiedo solo che si capisca il soggetto! per questo Sgiombo non sarà mai un mio interlocutore!
Visto che sei persuaso di avere a che fare con persone incapaci di capire, non mi spiego come mai hai scritto tutto il resto.

Beh perchè uno un tentativo lo fa sempre.
Non è che posso esserne certo, esprimo un forte dubbio, inoltre.
E inoltre per non amazzare la discussione propongo un tema secondario rispetto all'essere.
E cioè il soggetto. Conoscendo le varie posizioni, o supponendo di averle vagamente intese, credo che si possa fare uno sforzo per arrivare a qualcosa di comune.
Quello che scrivo dopo è come se voi le aveste intese, o provo a spiegarle come se non le aveste ANCORA intese, propongo soluzioni possibili e future domande.

Perchè no scusa? Poi se non vuoi rispondere mica è obbligatorio, mica m'offendo.

Aspetterò Ceravolo risponda. Se ne ha voglia, se ne ha tempo, e se ne vuole discutere.

La scrittura per me è anche un modo di ricomprendere quello che vado pensando.

E' anche un esercizio. Non ho paura alcuna dei labirinti filosofici.

ps 

inoltre ti rinfranchi sul fatto che ritengo tutto bello quello che scrivi!  ;)  (scherzo!)
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Phil il 14 Maggio 2017, 13:11:00 PM
Citazione di: green demetr il 14 Maggio 2017, 00:59:20 AMSi capisce se diciamo che la Cosa in sè non esiste se non come formalizzazione, come linguaggio di controllo?
Da Protagora a Wittgenstein (passando attraverso Kant a Husserl) la radice linguistica del famigerato "noumeno" è stata spesso ostracizzata dall'impostazione onto-metafisica dominante; ma oggi se ne può parlare serenamente senza temere l'inquisizione dei trascendentalisti  ;)


Citazione di: green demetr il 14 Maggio 2017, 00:59:20 AM
il mentale di un oggetto sarà quindi sempre il suo categoriale, ossia la ragione. ossia il giudizio del mentale sarà il categoriale dell'oggetto, oggetto che diventa mentale "solo dopo". Il tutto viene chiamato trascendentale. Ma perchè vi sia un categoriale, che è innato nell'uomo, ci deve essere un oggetto esterno!
Indagherei ancora su tale necessità del "ci deve essere un oggetto esterno"(cit., corsivo mio): e se fosse un "si deve porre" (da lato del soggetto) piuttosto che un "si deve imporre" (dal lato dell'oggetto)? L'oggetto non è forse solo il simulacro gnoseologico della suddetta fantomatica cosa-in-sé?


Citazione di: green demetr il 14 Maggio 2017, 00:59:20 AM
A questo punto si tratterebbe di decidere (tramite qualche passaggio ulteriore, per me ancora formaleper Ceravolo dialettico) se questo oggetto esista o meno: alias Perchè qualcosa piuttosto che il nulla? 
Tutto dipende dallo statuto ontologico che ci aspettiamo di trovare nell'oggetto (non si esce facilmente dalla precomprensione, dal circolo ermeneutico...).


Citazione di: green demetr il 14 Maggio 2017, 00:59:20 AM
cit angelo "Non è possibile pensare idee che non siano dettate dalla propria mente a se stessa. La mente non è in grado di pensare se non fornendo essa stessa idee a se stessa." Ma come potrebbe dettare idee a se stessa? se prima non le conosce? o ritorniamo a Platone e ipotizziamo la teoria della reminiscenza o accettiamo che il mentale è "vicino" alla tavola rasa (perchè sappiamo già che il dna contiene informazioni trasmesse): proprio da zero no.
Credo che il processo di astrazione cognitiva e (ri)combinazione mentale, basato sulla matrice sensoriale, spiega adeguatamente la produzione delle idee...


Citazione di: green demetr il 14 Maggio 2017, 00:59:20 AM
cit angelo "Ceravolo sostiene che la realtà sia in grado di provocare idee. Ciò è ipotizzabile, ma non possiede alcuna ferrea inoppugnabilità, come egli sostiene." Per poter intendere la "ferrea inoppugnabilità" bisogna rifarsi al concetto di essere, che appunto non è un concetto. Non è una idea. (e che poi è il vero discrimine tra analitici e continentali).
Per "rifarsi al concetto di essere"(cit.) bisogna rifarsi alla metafisica in cui è incastonato, e per rifarsi alla metafisica bisogna indagare se essa sia "epos" (analitici) o "episteme" (continentali, con le dovute eccezioni)... lanciamo la moneta (falsa  ;D )?


Citazione di: green demetr il 14 Maggio 2017, 00:59:20 AM
Il cervello nella vasca....l'ho sempre odiato questo esempio. perchè non intende una cosa semplice semplice, che qualcuno sta narrando quell'esperimento. L'unica certezza è l'esistenza non il cervello.
Se ci poniamo dentro l'ipotesi dell'escamotage proposto, la possibilità di narrazione dall'interno della vasca non è affatto assurda (questione di auto-comprensione, anche se so che aborri tale prefisso  ;) ); se invece ci poniamo fuori dalla finzione (e fuori dalla vasca), allora l'idea di "cervello" e di "vasca" sono tutte da verificare...

Citazione di: green demetr il 14 Maggio 2017, 00:59:20 AML'unica certezza è il vissuto....se poi quel vissuto sia allucinazione o altro, questo è altro paio di maniche.
Tuttavia, se non infiliamo le braccia in quelle maniche, non possiamo andare oltre il cogito cartesiano per mettere mano a problemi epistemologici...

Citazione di: green demetr il 14 Maggio 2017, 00:59:20 AM
non si può usare la mediazione (mentale) di una mediazione (il cervello) per mediare se l'oggetto sia reale o meno.
Eppure, quale altra mediazione abbiamo a disposizione?


Citazione di: green demetr il 14 Maggio 2017, 00:59:20 AM
Il punto semplice è che sia se il vissuto sia allucinazione sia che sia "realtà", l'unica cosa certa è l'esistenza del soggetto. Senza attributo, non categoriale. E' il sapere immediato come dicono tutti i filosofi!! l'essere un ente. l'essenza, l'esistenza, chiamiamola un pò come vogliamo.
L'auto-evidenza del soggetto è un punto di partenza per cercare l'oggetto e/o l'altro soggetto (oltre il solipsismo), per quanto sia un indagare altamente problematizzante e problematico...


P.s.
Citazione di: green demetr il 14 Maggio 2017, 02:29:45 AM
Non ho paura alcuna dei labirinti filosofici.
Forse non è il labirinto che dovrebbe destare timore, se si segue il filo filosofico (altri preferiscono quello filologico), ma il Minotauro che lo abita (e se fosse un Minotauro con i baffi e l'accento tedesco?  ;D )
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 14 Maggio 2017, 15:09:56 PM
Citazione di: green demetr il 14 Maggio 2017, 00:59:20 AM
Per poter intendere la "ferrea inoppugnabilità" bisogna rifarsi al concetto di essere, che appunto non è un concetto.
Non è una idea. (e che poi è il vero discrimine tra analitici e continentali).

Prima dovete intendere quello, poi se volete possiamo ragionare sulle soluzioni formali. (La vedo dura, non credo proprio riusciate a fare nemmeno il primo salto qualitativo).

Comunque possiamo rimanere alle premesse. (chiedo solo che si capisca il soggetto! per questo Sgiombo non sarà mai un mio interlocutore!).

CitazioneBeh, sai, é l' inconveniente inevitabile (del presumere) dell' essere troppo intelligenti e colti: essendo tutti gli altri troppo stupidi e/o ignoranti si sarà sempre condannati a non poter discutere con nessuno

...Salvo, alquanto incoerentemente, partecipare al forum (ma per mia fortuna non interloquendo mai con me). 



Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: green demetr il 14 Maggio 2017, 21:33:54 PM
Citazione di: sgiombo il 14 Maggio 2017, 15:09:56 PM
Citazione di: green demetr il 14 Maggio 2017, 00:59:20 AM
Per poter intendere la "ferrea inoppugnabilità" bisogna rifarsi al concetto di essere, che appunto non è un concetto.
Non è una idea. (e che poi è il vero discrimine tra analitici e continentali).

Prima dovete intendere quello, poi se volete possiamo ragionare sulle soluzioni formali. (La vedo dura, non credo proprio riusciate a fare nemmeno il primo salto qualitativo).

Comunque possiamo rimanere alle premesse. (chiedo solo che si capisca il soggetto! per questo Sgiombo non sarà mai un mio interlocutore!).

CitazioneBeh, sai, é l' inconveniente inevitabile (del presumere) dell' essere troppo intelligenti e colti: essendo tutti gli altri troppo stupidi e/o ignoranti si sarà sempre condannati a non poter discutere con nessuno

...Salvo, alquanto incoerentemente, partecipare al forum (ma per mia fortuna non interloquendo mai con me).




Ti rinvio alla risposta che ho dato ad Angelo.  ;)

Secondo me possiamo interloquire, sul piano epistemologico.

Finora però a parte che sembra proprio che io non riesca mai a dire, con esattezza la tua proposta epistemologica. Tanto da dirmi (tu lo hai detto) che non ci intenderemo mai.

Ma poi la questione del soggetto, sta vedendo te e Maral in discussione da anni.
Siccome io sono praticamente della stessa idea di Maral, posso o non posso dire che la vedo dura il nostro discorso?
Ma io non mi sono mai tirato indietro a risponderti, mi sembra.
Però in questo 3d almeno il soggetto, con chi lo intende, con chi si schiera con questa idea,
deve essere presente....non perchè in altri 3d non se ne possa parlare, ma perchè sarebbe bello intendere la proposta di Ceravolo.E un minimo di abbrivio ci vuole.
Ma poi questa è una mia opinione, finora Ceravolo ha sempre risposto a tutti.

A me sembra che tu ti scaldi per veramente poco.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: green demetr il 14 Maggio 2017, 21:45:56 PM
cit phil
"Indagherei ancora su tale necessità del "ci deve essere un oggetto esterno"(cit., corsivo mio): e se fosse un "si deve porre" (da lato del soggetto) piuttosto che un "si deve imporre" (dal lato dell'oggetto)? L'oggetto non è forse solo il simulacro gnoseologico della suddetta fantomatica cosa-in-sé?"

Hai perfettamente ragione, se lo intendiamo nel mentale, ma nel formale lo poniamo come necessario.
Se no, non possiamo determinare che il nostro mentale, coincida con un reale, che è poi la tesi di fondo, a cui vogliamo arrivare.
Comunque è una distinzione molto corretta.

cit phil

"Tutto dipende dallo statuto ontologico che ci aspettiamo di trovare nell'oggetto (non si esce facilmente dalla precomprensione, dal circolo ermeneutico...)."

Benissimo Phil! infatti la filosofia contemporanea depone l'ontologico a favore del formale.

Intendo dire che nel formale ci dive essere il concetto di essere e non di ente.

Il concetto di ente, sarà verificato dalla correttezza formale delle modalità dell'essere (vedi sopratutto Spinoza) e non degli attributi!

Le modalità dell'essere sono quelle che l'uomo media nella sua costruzione filosofica del suo rapportarsi ad esso.

Solo In quel caso rientra l'ontologico, e il categoriale. (cioè a valle)

Non so se si capische Phil. Mi faccio prendere la mano perchè mi sembra che qualcosa comune del problema lo intendiamo.  :D  ;)

cit phil
"Credo che il processo di astrazione cognitiva e (ri)combinazione mentale, basato sulla matrice sensoriale, spiega adeguatamente la produzione delle idee..."

Qui ci separiamo nettamente. Non credo in questo ramo della filosofia che accetta il cognitivo.
Per me è un riduzionismo.
Torneremmo a parlare del problema del soggetto etc... dico io.

Per questo il discorso (foss'anco formale) sull'essere va inteso prima cosa è l'essere !

cit phil
"Per "rifarsi al concetto di essere"(cit.) bisogna rifarsi alla metafisica in cui è incastonato, e per rifarsi alla metafisica bisogna indagare se essa sia "epos" (analitici) o "episteme" (continentali, con le dovute eccezioni)... lanciamo la moneta (falsa  ;D )?"

Quale metafisica? L'essere è una analitica. ( non stiamo parlando dell'essere heidegerriano, non vorri facessimo confusione!  :) ).
Una analitica dell'indagante e non dell'indagato. (l'essere sarebbe trasposto nella metafisica heideggeriana, il domandante. Dovrebbe suonare così dubito dunque sono)
Visto la tua specificazione sopra, credevo ti fosse chiaro.

cit phil
"Se ci poniamo dentro l'ipotesi dell'escamotage proposto, la possibilità di narrazione dall'interno della vasca non è affatto assurda (questione di auto-comprensione, anche se so che aborri tale prefisso  ;) ); se invece ci poniamo fuori dalla finzione (e fuori dalla vasca), allora l'idea di "cervello" e di "vasca" sono tutte da verificare..."

Ma la realtà non è un escamotage.
Di sti stupidi esperimenti mentali l'analitica americana è piena, anzi direi proprio che è la loro attività principale.
Il massimo dell'insipienza.  >:(
Hanno completamente perso il senso con la realtà chiusi come sono nel mondo accademico.
(sta vena polemica lasciatemela avere suvvia!  ;) )

cit phil
"Tuttavia, se non infiliamo le braccia in quelle maniche, non possiamo andare oltre il cogito cartesiano per mettere mano a problemi epistemologici..."

Si ma questo è perchè tu credi che il problema sia epistemologico.
Ma non lo è affatto.
Il problema è metafisico.

cit phil
"Eppure, quale altra mediazione abbiamo a disposizione?"

Quella mentale, non trovi che basti e avanzi ?  ;)
Perchè incasinarsi con un altra mediazione.   8)

Anche perchè sebbene si può fare. Per lo più la mediazione si intende a livello cerebrale dimenticando sempre il mentale. (neuroscienze)

Ma ti ricordo che abbiamo detto che il mentale c'è sempre. Eri d'accordo no?

cit phil
"L'auto-evidenza del soggetto è un punto di partenza per cercare l'oggetto e/o l'altro soggetto (oltre il solipsismo), per quanto sia un indagare altamente problematizzante e problematico..."

Esatto, è quello che cerchiamo di assodare, per intendere il passaggio successivo di cui parla Ceravolo.

Piccolo inciso.  :-[  ;)
Però di nuovo, il soggetto...il soggetto esistente. L'ente soggetto. Non il soggetto stesso. 
E quindi non c'è alcuna auto-evidenza.
Il soggetto (stesso) insisto è un processo storico. (Heidegger)
L'ente soggetto è invece l'originario, l'esistente. (da indagare, Heidegger)

cit phil
"Forse non è il labirinto che dovrebbe destare timore, se si segue il filo filosofico (altri preferiscono quello filologico), ma il Minotauro che lo abita (e se fosse un Minotauro con i baffi e l'accento tedesco?  ;D )"

ah ah ah ah....ecchillosà!!!  ;D  ;D  ;D  ;D  ;D  :D  :D  :D  :D

Complimenti Phil! Molto Bene!
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 15 Maggio 2017, 08:52:50 AM
Citazione di: green demetr il 14 Maggio 2017, 21:33:54 PM
Citazione di: sgiombo il 14 Maggio 2017, 15:09:56 PM
Citazione di: green demetr il 14 Maggio 2017, 00:59:20 AM
Per poter intendere la "ferrea inoppugnabilità" bisogna rifarsi al concetto di essere, che appunto non è un concetto.
Non è una idea. (e che poi è il vero discrimine tra analitici e continentali).

Prima dovete intendere quello, poi se volete possiamo ragionare sulle soluzioni formali. (La vedo dura, non credo proprio riusciate a fare nemmeno il primo salto qualitativo).

Comunque possiamo rimanere alle premesse. (chiedo solo che si capisca il soggetto! per questo Sgiombo non sarà mai un mio interlocutore!).

CitazioneBeh, sai, é l' inconveniente inevitabile (del presumere) dell' essere troppo intelligenti e colti: essendo tutti gli altri troppo stupidi e/o ignoranti si sarà sempre condannati a non poter discutere con nessuno

...Salvo, alquanto incoerentemente, partecipare al forum (ma per mia fortuna non interloquendo mai con me).




Ti rinvio alla risposta che ho dato ad Angelo.  ;)

Secondo me possiamo interloquire, sul piano epistemologico.

Finora però a parte che sembra proprio che io non riesca mai a dire, con esattezza la tua proposta epistemologica. Tanto da dirmi (tu lo hai detto) che non ci intenderemo mai.

Ma poi la questione del soggetto, sta vedendo te e Maral in discussione da anni.
Siccome io sono praticamente della stessa idea di Maral, posso o non posso dire che la vedo dura il nostro discorso?
Ma io non mi sono mai tirato indietro a risponderti, mi sembra.
Però in questo 3d almeno il soggetto, con chi lo intende, con chi si schiera con questa idea,
deve essere presente....non perchè in altri 3d non se ne possa parlare, ma perchè sarebbe bello intendere la proposta di Ceravolo.E un minimo di abbrivio ci vuole.
Ma poi questa è una mia opinione, finora Ceravolo ha sempre risposto a tutti.

A me sembra che tu ti scaldi per veramente poco.
CitazioneE dove e come mai mi sarei "scaldato" ?


Cerchiamo di non fare come quei politicanti da quattro soldi che nei dibattiti televisivi attribuiscono inesistìnti incazzature agli avversari per far credere ai gonzi di averli messi in difficoltà con le loro (di solito penose) argomentazioni!
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Phil il 15 Maggio 2017, 15:42:04 PM
Citazione di: green demetr il 14 Maggio 2017, 21:45:56 PMHai perfettamente ragione, se lo intendiamo nel mentale, ma nel formale lo poniamo come necessario. Se no, non possiamo determinare che il nostro mentale, coincida con un reale, che è poi la tesi di fondo, a cui vogliamo arrivare. 
Mi asterrei da questo "(noi) vogliamo arrivare": se si mira ad un punto di arrivo predefinito, la ricerca è già impostata sulla chiusura ad altre possibilità, latenti e/o emergenti (come capita sempre nella chiusura formale autoreferenziale della logica, e qui la decostruzione trova terreno fertilissimo); preferisco le ricerche più aperte, anche a rischio di avere meno paletti entro cui muoversi (si diceva di non temere i labirinti  ;) , ma forse è più difficile non temere gli spazi troppo aperti...).
Nella fattispecie, la coincidenza fra "reale" e "mentale" mi sembra non il punto di arrivo, ma piuttosto il punto di partenza del problema (che forse è un'aporia invalicabile...).

Non mi è chiaro il ruolo che ascrivi alla metafisica (e come intendi quest'ultima):
Citazione di: green demetr il 14 Maggio 2017, 21:45:56 PMcit phil "Per "rifarsi al concetto di essere"(cit.) bisogna rifarsi alla metafisica in cui è incastonato, e per rifarsi alla metafisica bisogna indagare se essa sia "epos" (analitici) o "episteme" (continentali, con le dovute eccezioni)... lanciamo la moneta (falsa ;D )?" Quale metafisica? L'essere è una analitica. [...] Una analitica dell'indagante e non dell'indagato.
"indagante", quindi soggetto... soggetto non trascendentale, ma ente:
Citazione di: green demetr il 14 Maggio 2017, 21:45:56 PM
il soggetto esistente. L'ente soggetto. Non il soggetto stesso.
dunque, il problema verte sull'ente conoscitore, quindi, per definizione, problema epistemologico... eppure poi mi spiazzi con:
Citazione di: green demetr il 14 Maggio 2017, 21:45:56 PMtu credi che il problema sia epistemologico. Ma non lo è affatto. Il problema è metafisico.
problema "metafisico"? Si parlava di un' "analitica del soggetto in quanto ente conoscitore", quindi il piano è squisitamente attualmente epistemologico, non più metafisico... perché (e parlo più da analitico che da continentale  ;D ) trastullarsi con i meccanismi metafisici, cigolanti e poco efficienti nonostante il loro innegabile fascino di filosofia/estetica vintage? O meglio, come tu stesso suggerisci (pur parlando d'altro):
Citazione di: green demetr il 14 Maggio 2017, 21:45:56 PM
Perchè incasinarsi con un altra mediazione. 8) 
?
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: green demetr il 15 Maggio 2017, 18:37:33 PM
cit phil
"Se no, non possiamo determinare che il nostro mentale, coincida con un reale, che è poi la tesi di fondo, a cui vogliamo arrivare. 
Mi asterrei da questo "(noi) vogliamo arrivare": se si mira ad un punto di arrivo predefinito, la ricerca è già impostata sulla chiusura ad altre possibilità, latenti e/o emergenti (come capita sempre nella chiusura formale autoreferenziale della logica, e qui la decostruzione trova terreno fertilissimo); "

Se vuoi possiamo farlo, fai benissimo a sottolineare i limiti della operazione.
Io ci sto, ma intanto non possiamo stare al gioco di Ceravolo, e intanto vedere a quali risultati porta, il suo tentativo?
Tutti i tentativi accademici sono auto-referenziali, sta poi alla comunità discutere su essi.
Sennò rimaniamo in un immobilismo sterile.

Comunque se tu vuoi possiamo fermarci anche alla critica di metodo. (riferiamolo a PUNTO 1 della controargomentazione.)

cit phil
"referisco le ricerche più aperte, anche a rischio di avere meno paletti entro cui muoversi (si diceva di non temere i labirinti  ;) , ma forse è più difficile non temere gli spazi troppo aperti...)."

Caro phil parlare della paura degli spazi aperti è parlare della paura dei filosofi vs matematici. Sono pronto a correggere tutto quello da correggere. e anche a lasciare, nel caso, qualsiasi progetto.
Non ho paura degli spazi aperti anzi mi affascinano.

cit phil
"Nella fattispecie, la coincidenza fra "reale" e "mentale" mi sembra non il punto di arrivo, ma piuttosto il punto di partenza del problema (che forse è un'aporia invalicabile...)."

ma è proprio questo il punto! che non si deve argomentare come se fosse già il punto di partenza, in quel caso saremmo nella "petitio principii"  8)

Se si risolve in un aporia...non sarebbe scienza, ma il libro ha vinto il secondo premio. e anche per me, Ceravolo è stato bravo a non cadere nella trappola.
non c'è aporia nella sua tesi dimostrata.  8)

non ti rimane che andare a leggere come se la cava. (accettando il metodo che si dà dei paletti, altrimenti torniamo al tuo primo punto).  ;)

controargomentazione di phil   (riferiamoci a questa come controargomentazione punto 2)

soggetto epistemologico o metafisico?

cit editata phil
"1. il soggetto esistente. L'ente soggetto. Non il soggetto stesso.

2. dunque, il problema verte sull'ente conoscitore, quindi, per definizione, problema epistemologico... eppure poi mi spiazzi con:

3. problema "metafisico"? Si parlava di un' "analitica del soggetto in quanto ente conoscitore", quindi il piano è squisitamente attualmente epistemologico, non più metafisico... "

Phil ho capito che per te è epistemologico, ma io parlo del soggetto esistente, quindi dell'ente (in sè, senza determinazione, o meglio la cui unica determinazione è quello della esistenza).  ;)

cit phil eidtata nel finale
"trastullarsi con i meccanismi metafisici, cigolanti e poco efficienti nonostante il loro innegabile fascino di filosofia/estetica vintage?  (non serve)"

Si ho capito Phil, non sei un metafisico!   ;)
Ci ero arrivato.


Rimarrebbe da vedere a cosa conduce un soggetto epistemico.
A mio parere ad un altra metafisica. (insipiente, che non sa)

Se il reale è del soggetto epistemico non può che essere a mio avviso, che del suo reale.
Un reale che ha per denominatore un numero più piccolo del numeratore, una meravigliosa reductio ad unum.

Ma il reale del soggetto epistemico non è il reale.  >:(

Questo è il mio pregiudizio, in attesa che però poi mi indichi (sempre che l'hai pensato, o lo stai pensando, o lo penserai) il tuo percorso, che volontieri leggerò.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Phil il 15 Maggio 2017, 21:38:05 PM
Citazione di: green demetr il 15 Maggio 2017, 18:37:33 PM
cit phil
"Nella fattispecie, la coincidenza fra "reale" e "mentale" mi sembra non il punto di arrivo, ma piuttosto il punto di partenza del problema (che forse è un'aporia invalicabile...)."

ma è proprio questo il punto! che non si deve argomentare come se fosse già il punto di partenza, in quel caso saremmo nella "petitio principii"  8)
Da qualche parte bisogna pur cominciare  ;) , l'importante è che il viaggio non riporti esattamente al punto di partenza (questa sarebbe "petitio principii"), o almeno, se riporta lì, accorgersene  ;D
A scanso di equivoci, per "punto di partenza" non intendevo "assioma fondante", ma semplicemente indizio, spunto, convocazione alla riflessione...

Citazione di: green demetr il 15 Maggio 2017, 18:37:33 PM
Se si risolve in un aporia...non sarebbe scienza, ma il libro ha vinto il secondo premio. e anche per me, Ceravolo è stato bravo a non cadere nella trappola.
non c'è aporia nella sua tesi dimostrata.  8)

non ti rimane che andare a leggere come se la cava.
Direi di si; il mio discorso non era infatti riferito al testo di Ceravolo (con cui mi congratulo per l'ottimo risultato), ma piuttosto una "risposta aperta" alle considerazioni che avevi posto rispondendo ad Angelo... il testo di Ceravolo che ti ha fatto una buona impressione, e a cui ti riferisci, è "Verità. Unione fra realismo e costruttivismo"? Se "si", cercherò di leggerlo on-line (anche se temo che i tempi saranno, come sempre, lunghi...).

Citazione di: green demetr il 15 Maggio 2017, 18:37:33 PM
Se il reale è del soggetto epistemico non può che essere a mio avviso, che del suo reale.
[...] Ma il reale del soggetto epistemico non è il reale.  >:(
Eppure quale altro reale possiamo affrontare, vivendo, se non quello nostro (della nostra cultura, dei nostri tempi, etc.)?
Postulare una Realtà assoluta che attenda di essere scoperta, come "terra promessa" della conoscenza perfetta, in cui il prospettivismo venga lasciato alle spalle automaticamente, è un gesto mistico, più poetico che filosofico, sovra-umano... quindi forse fuori dalla nostra portata umana (fino a prova contraria...).


Citazione di: green demetr il 15 Maggio 2017, 18:37:33 PM
Questo è il mio pregiudizio, in attesa che però poi mi indichi (sempre che l'hai pensato, o lo stai pensando, o lo penserai) il tuo percorso, che volontieri leggerò.
Grazie per la fiducia  :) , ma il mio umile percorso (ancora in corso) non riesco a (de)scriverlo (non avendo modo di farlo), anche perché rischierei di sottrarre tempo all'ascolto e alla lettura (per quanto so bene che la scrittura agevola molto l'autocomprensione). Comunque, attualmente, la mia posizione è piuttosto "debole", in tutti i sensi del termine  ;)
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: green demetr il 16 Maggio 2017, 01:45:58 AM
Citazione di: Phil il 15 Maggio 2017, 21:38:05 PM
Citazione di: green demetr il 15 Maggio 2017, 18:37:33 PM
cit phil
"Nella fattispecie, la coincidenza fra "reale" e "mentale" mi sembra non il punto di arrivo, ma piuttosto il punto di partenza del problema (che forse è un'aporia invalicabile...)."

ma è proprio questo il punto! che non si deve argomentare come se fosse già il punto di partenza, in quel caso saremmo nella "petitio principii"  8)
Da qualche parte bisogna pur cominciare  ;) , l'importante è che il viaggio non riporti esattamente al punto di partenza (questa sarebbe "petitio principii"), o almeno, se riporta lì, accorgersene  ;D
A scanso di equivoci, per "punto di partenza" non intendevo "assioma fondante", ma semplicemente indizio, spunto, convocazione alla riflessione...

Citazione di: green demetr il 15 Maggio 2017, 18:37:33 PM
Se si risolve in un aporia...non sarebbe scienza, ma il libro ha vinto il secondo premio. e anche per me, Ceravolo è stato bravo a non cadere nella trappola.
non c'è aporia nella sua tesi dimostrata.  8)

non ti rimane che andare a leggere come se la cava.
Direi di si; il mio discorso non era infatti riferito al testo di Ceravolo (con cui mi congratulo per l'ottimo risultato), ma piuttosto una "risposta aperta" alle considerazioni che avevi posto rispondendo ad Angelo... il testo di Ceravolo che ti ha fatto una buona impressione, e a cui ti riferisci, è "Verità. Unione fra realismo e costruttivismo"? Se "si", cercherò di leggerlo on-line (anche se temo che i tempi saranno, come sempre, lunghi...).

Citazione di: green demetr il 15 Maggio 2017, 18:37:33 PM
Se il reale è del soggetto epistemico non può che essere a mio avviso, che del suo reale.
[...] Ma il reale del soggetto epistemico non è il reale.  >:(
Eppure quale altro reale possiamo affrontare, vivendo, se non quello nostro (della nostra cultura, dei nostri tempi, etc.)?
Postulare una Realtà assoluta che attenda di essere scoperta, come "terra promessa" della conoscenza perfetta, in cui il prospettivismo venga lasciato alle spalle automaticamente, è un gesto mistico, più poetico che filosofico, sovra-umano... quindi forse fuori dalla nostra portata umana (fino a prova contraria...).


Citazione di: green demetr il 15 Maggio 2017, 18:37:33 PM
Questo è il mio pregiudizio, in attesa che però poi mi indichi (sempre che l'hai pensato, o lo stai pensando, o lo penserai) il tuo percorso, che volontieri leggerò.
Grazie per la fiducia  :) , ma il mio umile percorso (ancora in corso) non riesco a (de)scriverlo (non avendo modo di farlo), anche perché rischierei di sottrarre tempo all'ascolto e alla lettura (per quanto so bene che la scrittura agevola molto l'autocomprensione). Comunque, attualmente, la mia posizione è piuttosto "debole", in tutti i sensi del termine  ;)

Ah ah tranquillo Phil  :D  l'ho detto subito che era una questione piuttosto accademica.
(forse mi sono espresso con troppa supponenza e qualcuno si è offeso)
Ci tenevo a intrattenere un dialogo con Ceravolo, ma mi ha fatto molto piacere che tu hai inteso il carattere generale delle premesse.

Sì il testo è quello on line "Verità. Unione fra realismo e costruttivismo"
Una 20ina di pagine. ;)

ciao!



Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Phil il 16 Maggio 2017, 22:23:52 PM
Citazione di: green demetr il 16 Maggio 2017, 01:45:58 AM
Sì il testo è quello on line "Verità. Unione fra realismo e costruttivismo"
Una 20ina di pagine. ;)
Contro ogni pronostico, sono riuscito a leggere il saggio e, considerato che ha già avuto un riconoscimento ufficiale per la sua qualità, non mi dilungo negli elogi. Propongo invece (soprattutto a @Vito J. Ceravolo) qualche osservazione (anche per accertarmi di aver ben capito il testo ;D ):

Cap 3
"l'accadere dell'oggetto conferisce un valore di realtà all'oggetto stesso"(cit.)
Secondo me, occorre forse differenziare l'oggetto dall'accadere, ovvero il mondo-degli-oggetti nella sua auto-nomia, dall'empirico-soggettivo (l'accadimento di cui si può parlare ha sempre uno "spettatore"  ;) ).
L'accadere è il "lato oggettivo" dell'esperienza del vissuto, ma né l'accadere (né tantomeno il vissuto) sono pacificamente l'"oggetto" (inteso come ente, non credo venga inteso come sinonimo di evento/fatto) di cui si possa predicare valore di verità (o non-valore di verità). La tensione dialettica fra accadere(a/per qualcuno) ed essere("oggettivamente") resta ancora in gioco: come insegnano in India (se non ricordo male), il vissuto mi parla di un serpente, ma poi scopro che non è un serpente, bensì è un bastone; eppure il primo vissuto reale era "vero" per me, prima che accadesse il secondo a falsificarlo, svelando la verità... il problema dell'identificazione reale dell'oggetto (ma non del vissuto, che è lampante), prima ancora della "verità redarguens" (cit.) che gli compete, è la verifica della "testimonianza di verità"(cit.): il nodo da sciogliere è una verità di secondo grado, ovvero decidere della verità che sta nel dire "la verità è che la neve è bianca" o "quello è un serpente vero!" (altrimenti restiamo ancora aldiqua dell'intenzionalità di Husserl...).

L'attribuzione del valore di realtà (psicofisico, come si ricorda nell'articolo) parte dal presupposto che "è la realtà dell'oggetto a garantire la verità della descrizione del soggetto"(cit.), ma se l'oggetto è già postulato come reale (reale è certamente il vissuto, non l'ente), allora la verità assume valore meramente "compilativo" (e un bastone può essere per qualcuno veramente un serpente...). Se, invece (parafrasando), "è la realtà dell'evento-vissuto a garantire la verità della descrizione del soggetto" resta aperto l'annoso problema di andare oltre la semplice rettificazione e sistematizzazione formale dell'esperienza individuale (ovvero andare oltre il serpente, per scorgere il vero bastone che il reale serpente era...).

Cap 4
"in vero, l'oggetto è l'inemendabile luogo in cui può esercitarsi la descrizione del soggetto".
Concordo, ma è un luogo decisamente inospitale, polimorfo e caleidoscopico... lo storico dibattito epistemologico sull'oggettività, sul "mito del dato", etc. è eloquente.

Cap 5
"La verità oggettiva (dell'oggetto) è sostanziale alla realtà in sé dell'oggetto descritto" (cit)
Qui direi che si attivano tutti i problemi riguardanti il noumeno, l'oggettivismo, il relativismo cognitivo, etc. se con un colpo d'occhio si può arrivare alla verità oggettiva, allora la gnoseologia è pomposo "flatus vocis" ;D

"realismo compartecipato dal soggetto un real-costrutto. Dove, per "compartecipazione" si deve accettare che ognuno, oggetto e soggetto, partecipa alla costruzione della verità, cioè della realtà, entro quei limiti in cui la verità non si contraddice per non essere falsa."(cit.)
La partecipazione mi pare significativamente sbilanciata: la necessità del formalismo (logico) approccia e (s)piega l'oggetto alle nostre esigenze cognitive, al punto che la reale modalità d'esistenza dell'oggetto (la differenza fra oggetto "vero-reale" e oggetto "falso-immaginario" o fantastico/mentale) diventa persino irrilevante, poiché conta solo come ce ne appropriamo logicamente (conta di più il rimbalzo della "verità lucens" che invece il luogo su cui tale luce rimbalza...).
Per verificare che accada davvero "il decadimento dell'uomo quale osservatore privilegiato rispetto agli altri esseri, il decadimento della sua abbagliante illusione d'esser "[l'unica] misura di tutte le cose""(cit.) dovremmo disporre di un punto di vista non umano che osservi la questione e tragga la suddetta conclusione, ma temo non sia possibile, per cui siamo costretti a guardare la (nostra) realtà in modo inaggirabilmente umano/(inter)soggettivo...

Cap. 6
"la realtà è il senso del rapporto inscindibile e inesauribile tra l'umano e la verità"(cit.)
Eppure la verità appartiene già all'umano, è una delle sue declinazioni formali, non è qualcosa di esterno all'umano (salvo postulare una Verità mistica), per cui il rapporto implode nell'autoreferenza del pensiero umano (basti pensare alle verità astratte formali...).
Inoltre, direi che la realtà, essendo (plausibilmente) eccedente l'umano, non può detenere il senso di un rapporto intimamente umano (dell'uomo con una sua stessa produzione/interpretazione mentale), ma può solo fornire il suddetto rimbalzo che innesca l'astrazione formale... ma tale rimbalzo è "semantico" solo per l'uomo, non per la realtà (vedi suddetta asimmetria). Lo stesso concetto di "fenomeno-in sé"(cit.) come sintesi, non è l'ipostasi della diade umana originaria dello psico-fisico? Il vero problema non sta dunque tutto in quei trattini che uniscono due dimensioni problematiche, e nel capire come funzionino tali trattini?
Forse le risposte a queste domande sono nel libro "Mondo strutture portanti"  :)

Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 18 Maggio 2017, 03:22:36 AM
Ciao a tutti,
 finalmente il mio articolo è stato pubblicato. Questa volta il tema non è più la VERITA' https://www.academia.edu/31272058/VERIT%C3%80._UNIONE_FRA_REALISMO_E_COSTRUTTIVISMO bensì la coerenza
 
Articolo sulla COERENZA:
Pubblicato per la prima volta presso la rivista "Filosofia e nuovi sentieri" il 14 maggio:
https://filosofiaenuovisentieri.it/2017/05/14/teoremi-di-coerenza-e-completezza-epimenide-godel-hofstadter/
https://www.academia.edu/33025670/TEOREMI_DI_COERENZA_E_COMPLETEZZA._Epimenide_G%C3%B6del1_Hofstadter
 
Questi due articoli (verità e coerenza) stanno a premessa della portata filosofica del mio libro Mondo. Strutture portanti. Dio, conoscenza ed essere (ed. Il Prato, 2016), da cui la citazione di apertura (perché c'è qualcosa anziché il nulla?)
 
Quest'ultimo articolo sulla COERENZA sembra essere importante. Anche per la discussione che è nata in questo forum.  Ma veniamo a noi:
 
Anzitutto grazie a tutti, e scusate se rispondo a tratti in forma molto ristretta e se qualcosa forse mi è sfuggito.
 
Garbino, permetti ora a me di ringraziare te per le tematiche portate:
Ammetto che questo tuo passaggio <la matematica all' infinito non ha più un prima e un dopo e perciò finisce per definire tutto statico> è vero. Ma credo che qui ci si stia spingendo oltre agli intenti del mio Libro, che invece vuole essere la descrizione del mondo sotto il suo aspetto finitario... Mentre la sopraderiva da te prospettata (a mio avviso inoppugnabile) ci porta dritti al conflitto finito-infinito del principio primo (cosa che nel libro affronto solo per via indiretta).
Ora, al di là delle argomentazioni che ci potremmo fare su quella teoria kantiana (intuizione matematica), credo che dovremmo anzitutto partire con la definizione originaria del divenire: "Cosa è il divenire?"
Da me ritengo il divenire come il "passaggio da uno stato all'altro". Da me si necessita che il divenire, quanto il fluire, sia un passaggio, una trasformazione; argomenti tutti che necessitano i vari stati di trasformazione; perché se lo stato fosse sempre lo stesso non sarebbe un divenire, così che il divenire necessiti di fluire sui vari stadi per dirsi divenire.
Quando si dice "fluire"... fluire di che? Sempre divenire è, anche il fluire. Non è che ci sono alternative: o si nega il divenire che accade (dogmaticamente come i neo-parmenidei), oppure si accetta l'accadere del divenire, e quindi il suo passaggio fra i vari stati (per definizione statici). E qui torniamo al discorso che ti facevo sopra: la determinazione, finita per definizione, non può definire il divenire per non fissarlo, può però definire gli stati di passaggio fra un divenire è l'altro.  
Dovresti piuttosto spiegare come fa a fluire se non attraverso stati (luoghi o tempi o definizioni o momenti ecc)... Questa non riesco proprio a immaginarla.
Tutte le determinazione definiscono in forma statica, anche la matematica. Questo lo dico da tempo: qualunque determinazione è finita, quindi statica, per definizione. Ciò non toglie, grazie alla ivi "definizione" di "divenire",  che ci siano scienze che si occupano di successioni, altre di forme, altre di vita ecc.
Sì: il principio primo, che è nel contempo inizio (immensamente piccolo) e fine (immensamente grande), è immobile. Ma ripeto: da me l'immobilità è ciò da cui si dà e verso sui tende il divenire.
 
Sciompo. Il tuo commento a cui ho risposto era in forma lapidaria. Non mi sembrava corretto usarti un linguaggio non adeguato.  Per altro tu continui ad affermare che sei in grado di predicare e pensare il nulla; e io non so come fai, perché io non ci sono mai riuscito. Ma allora tagliamo la testa al toro: perché non presenti una predicazione del nulla diversa dall'affermazione che il nulla non-è, visto che il non essere assoluto è per definizione l'impossibilità di predicazione? Vedi? In qualunque forma lo dico, l'unica cosa che riesco a dire del nulla è che non lo posso dire. (rif. articolo sulla COERENZA, capitolo 5)
Da me si dà solo ciò che accade.
Dire " il nulla non è" non è una contraddizione, altrimenti non sarebbe una verità. Dunque se è vero che il nulla non è in assoluto, allora non può accadere. Ma ho l'impressione che tu stia parlando di una statistica fuori dagli studi della probabilità: una cosa che non ha possibilità di accadere in quanto nulla assoluto, non accade all'infinito, neanche nei tuoi pensieri. (derivazione dal calcolo della probabilità infinita)..
 
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Salve Green Demetr, e "tu" sia, senza scuse.
Condividendo il punto uno, la mia metafisica, che ben si avvicina alla tua di secondo livello, è lo studio della ragione in sé. E la formalità è un modo di tale ragione.
Assolutamente: l'inadeguatezza delle metafisiche di primo livello è di portata formale.
 
Più propriamente direi che la ragione non inventa l'in sé delle cose, ma è l'in sé: l'in sé delle cose è la ragione.
 
Sulla validità dei predicati solo se non applicati a se stessi, non è la mia soluzione. La mia è chiarità al cap.8 (dedicato proprio agli autoreferenziali) di questo nuovo articolo sulla Coerenza;. Noterai una leggera differenza.
https://www.academia.edu/33025670/TEOREMI_DI_COERENZA_E_COMPLETEZZA._Epimenide_G%C3%B6del_Hofstadter
https://filosofiaenuovisentieri.it/2017/05/14/teoremi-di-coerenza-e-completezza-epimenide-godel-hofstadter/
 Però in generale siamo d'accordo sul paradosso del mentitore.
Al di fuori della "funzione d'oggetto" obbligatoria al soggetto pensante,  la regola di "coerenza a sé" è una questione formale, quella di cui parlavano con le metafisiche...
 
Per "dialelle degli scettici antichi" ... intendo quelli che dubitavano della verità perché non vedevano che la verità si definisce con la realtà e la realtà si definisce con ciò che accade ^_^ senza alcun petitio principii
 
L'unità finale, da me, è l'incontro all'infinito fra oggetto-soggetto. Questa unità non è solo uno o l'altro, ma assieme senza distinzione, morendo la dualità.
Poi certo che si parla di dualità invece fra ragione in sé e sensibile fenomeno. Il secondo derivato dal primo, ma dove il primo, la <verità di ragione>, è uguali per ogni, quindi uguali per ogni osservatore e osservato, quindi indipendenti dalla relazione osservatrice. Il fenomeno che da esso si dà ha invece carattere di relazione.
 
Trovo più comodo definire la ragione come medianità fra oggetto e soggetto. Mentre il sistema come il prodotto fra oggetto e soggetto (cfr. capitolo 7 articolo Coerenza).
 
Non solo la medianità ma tutto è una proprietà dell'essere, dacché solo il non essere (assoluto) non ha proprietà. Poi naturalmente la ragione può essere "compresa" solo da coloro dotati di strumenti atti alla sua lettura, come la razionalità umana o qualunque altro essere dotato di un mezzo in grado di interagire in forma intelleggibile (cioè leggere la ragione) e non solo tramite percezioni (meccaniche o istintive).   
 
Ecco Green, qui trovi buone formalità:
https://www.academia.edu/33025670/TEOREMI_DI_COERENZA_E_COMPLETEZZA._Epimenide_G%C3%B6del_Hofstadter
 
Da me la formalità, un modo della ragione in sé,   è quella per cui si parla di "coerenza a sé" della verità. Quella che poi è vera solo se ha delle conseguenze adeguate nel mondo.
 
Non intendo aprire uno scontro qui su platone, ma "idea" e "reale" da me sono elementi diversi e complementari. L'idea è "vicino" alla ragione in sé quindi studio metafisico. Il reale è "vicino" al valore delle cose quindi studio ontologico.
Non voglio neanche aprire uno scontro qui su Nietzche, ma da me la cosa ha il suo proprio valore, oltre a quello che interpretiamo da lei (cosa) più o meno adeguatamente, più o meno soggettivamente, interssoggettivame e oggettivamente.
 
Ci sono tanti modi per dimostrare la oggettività, argomentazioni di coerenza a sé e alle cose descritte o argomenti sull'influenza che gli oggetti hanno su di noi ecc ecc ecc. Cose di cui anche non si può pensare il contrario senza contraddirsi ecc. Ampie argomentazioni, purtroppo sul libro.
 
Da me anche una pietra ha la propria ragione in sé, senza essere necessariamente un soggetto idealista. Vi è uno scarto fra la ragione in sé delle cose e la razionalità con cui si legge la ragione in sé delle cose. La razionalità può parlare di ragione che non sono vere (pseudo ragioni), la ragione in sé è la verità sovrasensibile delle cose.
Naturalmente, nel concetto di "sistema" sopra espresso, come di qualunque metafisica al principio primo, la ratio è di tale principio; e gli esseri relativi la "vivono" in propria misura: ritagliandola e incollando ecc a seconda di ciò che sono ma sempre in rispetto di essa.
 
Per comprende che tipo di strumento è la formalità, il mio articolo sulla COERENZA può chiarire la mia posizione.
 
Da me il linguaggio è uno strumento, non è la ragione in sé. E come strumento "non decide", bensì spiega o pratica quella cosa a suo modo; ma lo fa su quella cosa!
 
La razionalità è il fenomeno culturale della ragione in sé, la vita è il fenomeno biologico della ragione in sé, la fisica è il fenomeno meccanico della ragione in sé.
 
Qui però Green, non si tratta di sfumature di cambiamento, ma di un radicale diverso modo di fare filosofia. Cosa che nel libro viene chiarito.
Con piacere Green Demetr
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Canneto, dico che è impossibile pensare a qualcosa senza il pensiero, ma questo logicamente (logica formale)  non mi permette dire che sia impossibile che esistano cose fuori dalla mia mente. Dire diversamente da così non ha alcuna derivazione necessaria, solo ipotetica.
 
Phil
Da me l'accadere non è solo l'empirico soggettivo, in quanto accade anche ciò che è oggetto. Da me tutto ciò che è essere accade.
Da me si parla di due verità differenti ma non contraddittorie: quella fenomenica, sensibile sino all'individuale; quella in sé, sovrasensibile sino al generale. In tal senso posso predicare la verità sia del "vissuto" (cit, phil) che della "vita" (in sé).
Quando passi dal serpente al bastone parli comunque di "vissuti" e quindi di verità sensibili (relazionali) che possono variare relativamente all'osservatore e osservato. Altra cosa è invece la ragione in sé, che è il motivo anche di questa variazione.
Quando parli di errori di verità, parli di razionalità non traenti correttamente la ragione dell'oggetto in esame; sia esso un oggetto inteso in sé, o come fenomeno.
Quando invece parlo di accadere, parlo di un accadere che può essere solo immaginario (accadente solo nella mente) o reale (mente+fisico), ma mai irreale.
La verità diviene così meramente "compilativa" (cit. phil), con la capacità di esprimere correttamente sia l'oggetto in sé che la relazione fenomenica derivante dal rapporto fra i vari esseri.
Ma non è con un colpo d'occhio che si può arrivare alla verità oggettiva, in quanto all'osservazione è accessibile solo ciò che appare. La ragione in sé è invece accessibile solo per via astratta e sovrasensibile, nel nostro caso tramite lo strumento della razionalità.
Poi non penso che la partecipazione fra oggetto-soggetto sia così sbilanciata come dici tu Phil, credo invece che ogni descrizione dell'oggetto (in sé o fenomenico) abbia un punto oltre cui dirsi una descrizione errata di quell'oggetto. Già, anche ciò permette di dire che "è proprio una presunzione umana quella di credersi capace di manipolare il mondo senza che il mondo non lo manipoli a sua volta". Sì, questa cosa la descrivo molto nel libro.
Il punto di vista non umano che osservi la questione fra oggetto e soggetto è la "ragione". L'ho anche scritto nell'articolo sulla VERITA' in riferimento a Sini. Parafraso: la ragione non è una questione umana, ma dell'ordine in sé delle cose. Di umano noi abbiamo la razionalità, capacità di leggere la ragione, cioè capace di leggere anche le cose che non sono umane ma del mondo.
Certo! La verità è una declinazione dell'umano, e di tutti gli esseri razionalizzanti, ma una declinazione verso la realtà. Non leggo alcun implosione.
 
Finisco così:
Certo che nel libro trovate risposte più ampie e accurate. Comunque potete incominciare ad approcciarvi alla sua possibilità leggendo gli articoli gratuiti:
 
- sulla VERITA
https://www.academia.edu/31272058/VERIT%C3%80._UNIONE_FRA_REALISMO_E_COSTRUTTIVISMO
 
- sulla COERENZA
https://www.academia.edu/33025670/TEOREMI_DI_COERENZA_E_COMPLETEZZA._Epimenide_G%C3%B6del_Hofstadter
https://filosofiaenuovisentieri.it/2017/05/14/teoremi-di-coerenza-e-completezza-epimenide-godel-hofstadter/
 
 
Per adesso a presto.
Credo mi immergerò in un nuovo articolo
Vito J.C.
 

https://independent.academia.edu/VitoCeravolo
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 18 Maggio 2017, 12:14:27 PM
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 18 Maggio 2017, 03:22:36 AM
Sciompo. Il tuo commento a cui ho risposto era in forma lapidaria. Non mi sembrava corretto usarti un linguaggio non adeguato.  Per altro tu continui ad affermare che sei in grado di predicare e pensare il nulla; e io non so come fai, perché io non ci sono mai riuscito. Ma allora tagliamo la testa al toro: perché non presenti una predicazione del nulla diversa dall'affermazione che il nulla non-è, visto che il non essere assoluto è per definizione l'impossibilità di predicazione? Vedi? In qualunque forma lo dico, l'unica cosa che riesco a dire del nulla è che non lo posso dire. (rif. articolo sulla COERENZA, capitolo 5)
Da me si dà solo ciò che accade.
Dire " il nulla non è" non è una contraddizione, altrimenti non sarebbe una verità. Dunque se è vero che il nulla non è in assoluto, allora non può accadere. Ma ho l'impressione che tu stia parlando di una statistica fuori dagli studi della probabilità: una cosa che non ha possibilità di accadere in quanto nulla assoluto, non accade all'infinito, neanche nei tuoi pensieri. (derivazione dal calcolo della probabilità infinita)..

CitazioneUna predicazione circa il nulla alternativa a quella (vera) "il nulla non é" (= "c' é qualcosa") potrebbe essere quella (falsa; ma non affatto insensata) "il nulla é" (= non c' é alcunché").
Ma tu stesso in un altro passo di questo stesso intervento in cui ti rivolgi a GreenDemetr predichi "il non essere (assoluto) non ha proprietà" (qui ho fatto un semplice copia-incolla e l' ho messo tra virgolette).

Il non essere assoluto é per definizione il non esistere/accadere realmente di alcunché e non affatto l' impossibilità di predicazione.

Continui a ignorare la distinzione "fondamentalissima" (licenza poetica) fra "predicare "ed "essere/accadere realmente": anche gli ippogrifi non esistono realmente, eppure se ne può predicare sensatissimamente  un numero indefinito di attributi (per esempio: "gli ippogrifi sono cavalli alati", "di ippogrifi si tratta nella letteratura fantastica, ad esempio nell' Orlando furioso"; oppure: "gli ippogrifi esistono" -predicazione falsa- o invece "gli ippogrifi non esistono", predicazione vera).
Non esistono/accadono realmente ma possono benissimo essere (può benissimo essere/accadere realmente che siano) oggetto di predicazione o giudizio (vero oppure falso), esattamente  come il nulla assoluto.

Anche da me, ovviamente, si dà solo ciò che accade; ma fra ciò che si dà ovvero accade vi é anche (l' essere/accadere de-) -la predicazione del nulla. (N.B.: ben diversa cosa dall' essere/accadere del nulla).

Dire "il nulla non é" non é una contraddizione esattamente come dire "il nulla é".
Casomai contraddizioni sarebbero il dire "il nulla non é e contemporaneamente é" o "il nulla é e contemporaneamente non é".
Ma "non contraddizione" (coerenza logica) non significa necessariamente verità: per esempio l' affermazione "gli ippogrifi esistono realmente" é del tutto non contraddittoria (coerentissima, logicamente correttissima), ma non per questo é anche vera; al contrario, é proprio falsa.

Essere (realmente) pensabile (e/o pensato) essere/accadere =/= da essere/accadere realmente (di fatto).

Dunque dal fatto che é vero che il nulla assoluto non é non si può dedurre che necessariamente il nulla assoluto non si possa pensare (non può accadere realmente dal momento che realmente non accade, ma si può benissimo pensare, ovvero può benissimo accadere realmente che sia pensato).

Una cosa che non accade e dunque non può accadere nella realtà non per questo necessariamente non può accadere nel pensiero (come mero oggetto di pensiero; ad esempio nel mio pensiero): può invece accadervi benissimo (=può darsi benissimo che accada il pensarla; in particolare il mio personale pensarla).

(Non riesco francamente a vedere alcun nesso fra queste questioni logiche e l' infinito nonché il calcolo delle probabilità).
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Apeiron il 19 Maggio 2017, 09:23:53 AM
Il problema di questa discussione secondo me è che ci si perde in una sorta di confusione linguistica.

Ora io posso distinguere una "sedia" da tutto il resto perchè riesco a distinguere le cose. Una sedia per esempio la posso distinguere da un tavolo, da un albero, da una scarpa ecc. Il problema che il fatto che io possa distinguere la sedia, ossia che io possa farmi un concetto di sedia, è dovuto al fatto che posso distinguere la "questa sedia" da ciò che "non è questa sedia", ossia la "non-questa sedia". Io posso formulare un concetto di "io" fintantoché riesco a distinguere l'"io" dal "non-io". Per questo motivo ritengo il solipsismo falso: se non c'è nient'altro che l'io non ci sono distinzioni e se non ci sono distinzioni non c'è linguaggio.

Ora nel caso dell'Essere (inteso come lo si intende nella filosofia greca e moderna) il suo opposto è il Nulla. Il problema è che il "Nulla" non è una "cosa" che si distingue dall'Essere come la "non-sedia" si distingue dalla "sedia" e l'"io" dal "non-io". Il ragionamento per "opposizioni" vale solo quando si può davvero distinguere una cosa dall'altra e nel caso dell'Essere il "Nulla" non è una cosa che si distingue. Ergo la domanda "perchè esiste qualcosa anziché il Nulla?" non è ben posta.

La cosa interessante è che nelle filosofie "non-duali" (o simili) quello che si fa è "trascendere" le distinzioni tra le quali quelle di "io" e "non-io", arrivando ad uno stato al quale non può essere opposto nulla. Secondo me la domanda inziale da proprio questa idea: ossia punta verso i limiti del linguaggio e della conoscenza.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 19 Maggio 2017, 12:09:33 PM
Citazione di: Apeiron il 19 Maggio 2017, 09:23:53 AM
Il problema di questa discussione secondo me è che ci si perde in una sorta di confusione linguistica.

Ora io posso distinguere una "sedia" da tutto il resto perchè riesco a distinguere le cose. Una sedia per esempio la posso distinguere da un tavolo, da un albero, da una scarpa ecc. Il problema che il fatto che io possa distinguere la sedia, ossia che io possa farmi un concetto di sedia, è dovuto al fatto che posso distinguere la "questa sedia" da ciò che "non è questa sedia", ossia la "non-questa sedia". Io posso formulare un concetto di "io" fintantoché riesco a distinguere l'"io" dal "non-io". Per questo motivo ritengo il solipsismo falso: se non c'è nient'altro che l'io non ci sono distinzioni e se non ci sono distinzioni non c'è linguaggio.

Ora nel caso dell'Essere (inteso come lo si intende nella filosofia greca e moderna) il suo opposto è il Nulla. Il problema è che il "Nulla" non è una "cosa" che si distingue dall'Essere come la "non-sedia" si distingue dalla "sedia" e l'"io" dal "non-io". Il ragionamento per "opposizioni" vale solo quando si può davvero distinguere una cosa dall'altra e nel caso dell'Essere il "Nulla" non è una cosa che si distingue. Ergo la domanda "perchè esiste qualcosa anziché il Nulla?" non è ben posta.

La cosa interessante è che nelle filosofie "non-duali" (o simili) quello che si fa è "trascendere" le distinzioni tra le quali quelle di "io" e "non-io", arrivando ad uno stato al quale non può essere opposto nulla. Secondo me la domanda inziale da proprio questa idea: ossia punta verso i limiti del linguaggio e della conoscenza.

Citazione
Concordo che pensare concettualmente é inevitabilmente "distinguere" diversi concetti mettendoli (considerandoli) nelle appropriate relazioni reciproche: "Omnis deternìminatio est negatio" (Spinoza).
 
Tuttavia credo che anche il concetto di  "non essere" (ovvero di "nulla assoluto") sia sensato, in quanto determinato (per lo meno) dalla relazione di negazione rispetto a quello di "essere": si tratta della "relazione minima" possibile fra concetti, che perciò risultano (per l' appunto quello di "essere" e di "non essere") i più vaghi o generici, i meno determinati possibili; e tuttavia presentano quel minimo di determinazione che consente di intenderli sensatamente in quanto concetti.
 
 
 
Secondo me la domanda "perchè esiste qualcosa anziché il nulla (ovvero: anziché darsi il non esistere di alcunché)?" è mal posta per un altro motivo.
Cioè per il fatto che soltanto di ciò che é intenzionalmente realizzato (di fatto unicamente da parte dell' uomo e in qualche misura di altri animali) può chiedersi sensatamente il "perché?" (lo scopo), mentre del resto della realtà, che non è realizzazione intenzionale finalizzata da parte di un agente cosciente, magari dotato di libero arbitrio (e comunque se anche lo fosse resterebbe comunque irrisolta in quanto a sua volta mal posta la domanda "perché?" circa l' esistenza di tale agente intenzionale, in un regresso all' infinito; e dunque si tratterebbe comunque di uno "spostamento" o "rinvio" e non di una autentica soluzione del problema, essendo impossibile risolvere un problema mal posto, ovvero "senza senso"), circa il resto non intenzionalmente realizzato della realtà -dicevo- una simile domanda non ha invece alcun senso (ha senso casomai chiedersi il "come" essa è, cioè quali cause efficienti e non quali scopi ne determinano i vari enti ed eventi).
Il fatto è che per definizione ("analiticamente a priori") ciò che é/accade realmente (qualsiasi cosa sia/accada realmente) non può non essere/non accadere, ovvero necessariamente è/accade: la possibilità (il fatto che potrebbe darsi oppure non darsi) é invece una caratteristica solo e unicamente di ciò che si pensa, dei concetti, dei "contenuti del pensiero"; e dunque ha senso chiedersi "perché si pensa qualcosa piuttosto che qualcos' altro?", potendo benissimo darsi che si pensi, potendo benissimo pensarsi sensatamente, "in reale alternativa" qualsiasi altra "cosa" (purché caratterizzata da coerenza o correttezza logica: non contraddizioni!); ma invece non ha alcun senso chiedersi "perché é/accade realmente qualcosa di diverso da ciò che effettivamente é/accade realmente?", non potendo affatto darsi che sia/accada realmente alcunché d' altro (ma solamente che lo si pensi accadere) e dunque non ponendosi il problema di una spiegazione della (infatti inesistente, non realmente accadente) realizzazione di un alternativa (reale) fra altre (altrettanto) realmente possibili (ma casomai solo altrettanto realmente pensabili, eventualmente di fatto pensate).
 
 
 
Circa le nelle filosofie "non-duali" (o simili) nelle quali quello che si fa è "trascendere" le distinzioni, proprio per il fatto che "omnis determinatio est negatio", che non si può sensatamente intendere (pensare in alcun modo) un concetto se non in quanto determinato dalle relazioni con altri concetti da esso diversi, non riesco a immaginare di cosa potrebbe trattarsi, che cosa potrebbero pensare, affermare.
 
 
 
Ultimo punto di divergenza, la questione del solipsismo.
Secondo me è falso, anche se credo non lo si possa dimostrare logicamente né mostrare empiricamente (lo credo irrazionalmente, per fede), ma non assurdo, non senza senso, in quanto per dargli un senso, per poterlo pensare (N.B.: perché sia pensabile, e non perché sia reale, cioè non perché sia vero l' affermare che sia reale) basta determinarlo come negazione della realtà di alcunché d' altro (di altri enti/eventi reali): basta che queste altre "cose" (enti e/o eventi oltre all' "io") siano pensabili e pensati, ma non è affatto necessario che (contraddittoriamente!) siano anche reali.
 
Ancora una volta emerge il carattere "fondamentalissimo" in filosofia della distinzione o non confusione fra "essere reale (in generale)" e "(eventuale realtà dell') essere pensato".
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Apeiron il 19 Maggio 2017, 20:45:51 PM
Ah ok sgiombo sono d'accordo anche se il tuo concetto di "essere" è più vicino a ciò che intendo io per "esistenza", visto che per "essere" si è sempre fatto confusione. Nel senso l'essere è divenuto equivalente a "qualsiasi cosa che si può pensare" e non ad "esistenza effettiva/realtà". Ora siccome la non-esistenza è appunto pensabile e ben definita ne segue che non è "il nulla" e quindi ha senso parlare.

Detto questo concordo con te che "perchè esiste...?" presuppone una teleologia.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 20 Maggio 2017, 10:20:38 AM
Citazione di: Apeiron il 19 Maggio 2017, 20:45:51 PM
Ah ok sgiombo sono d'accordo anche se il tuo concetto di "essere" è più vicino a ciò che intendo io per "esistenza", visto che per "essere" si è sempre fatto confusione. Nel senso l'essere è divenuto equivalente a "qualsiasi cosa che si può pensare" e non ad "esistenza effettiva/realtà". Ora siccome la non-esistenza è appunto pensabile e ben definita ne segue che non è "il nulla" e quindi ha senso parlare.

Detto questo concordo con te che "perchè esiste...?" presuppone una teleologia.
CitazioneE' davvero difficile intendersi per il fatto che alle parole possono  venire assegnati significati diversi.
Occorre un paziente lavoro di "traduzione" in senso quasi letterale.

Effettivamente se per "essere" si intende "qualsiasi cosa si possa pensare" e per "nulla" si intende il suo contrario, ovvero "ciò che non si può pensare", l' "impensabile", allora evidentemente (anzi: tautologicamente!) del "nulla" non si può parlare (il nulla non si può pensare) sensatamente.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 21 Maggio 2017, 11:34:41 AM
vabbuò Sciombo la tua logica non è formale, ma prettamente dialettica. Frasi come queste sono prettamente dialettiche "Il non essere assoluto é per definizione il non esistere/accadere realmente di alcunché e non affatto l' impossibilità di predicazione." Frasi come questa tua hanno una sintattica pari ad A=non-A
Siccome questo non è opinabile, ma c'è una scienza in merito (logica formale), direi che non c'è altro da aggiungere. Se 
Tuttavia non sei in cattiva compagnia, visto che il 80% delle persone (nichilismo in generale) basano la propria filosofia su passaggi logicamente contraddittori (in senso formale), solo che tu sei almeno così sincero che evidenzi la tua contraddizione formale fin dall'inizio.
La cosa sembra un po' il confronto di Hobbes con un matematico sulla quadratura del cerchio.  La logica formale è una cosa, la tua (vostra) è un'altra. Ma ripeto: non sei il primo né l'ultimo che argomenta in aperto contrasto con la formalità logica.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 21 Maggio 2017, 12:00:56 PM
Volevo comunque concludere le risposte ringraziando sia Green denetr e Phill per l'esamina dell'articolo sulla Verità. Certamente la maggior parte delle problematiche da loro sollevate esulano dal mero concetto di verità in esame sul quel articolo (problematiche di tipo conoscitivo ed altro); e non nego che io, rispondendoli, possa aver involontariamente non risposto a qualcosa che mi è sfuggito. Mentre volontariamente non ho risposto a due cose:
- il discorso su Kant, i quale trova risposte complete nel libro
- il discorso sulla cardinalità e gerarchie, ove le gerarchie invece esulano dalla mia filosofia che le abbatte fra gli esseri.
 
Concludo ricordando che
- Il libro da cui la citazione di apertura (Mondo. Strutture portanti. Dio, conoscenza ed essere), è arrivato secondo al premio nazionale di filosofia 2017 (Certaldo)
 
Per approssimarsi al nuovo paradigma contenuto nel libro, potete leggere questi articoli (gratuiti)
- Verità https://www.azioniparallele.it/30-eventi/atti,-contributi/174-verita-realismo-costruttivismo.html
- Coerenza https://filosofiaenuovisentieri.it/2017/05/14/teoremi-di-coerenza-e-completezza-epimenide-godel-hofstadter/
 
Se poi qualcuno vuole "osare" una disamina dell'articolo sulla Coerenza, vedrà da sé che la presunzione è il superamento logico-filosofico-linguistico e matematico dei teoremi di incompletezza di  K.G.
 
A presto
Vito

https://independent.academia.edu/VitoCeravolo
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 21 Maggio 2017, 12:13:34 PM
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 21 Maggio 2017, 11:34:41 AM
non sei il primo né l'ultimo che argomenta in aperto contrasto con la formalità logica.
Resto non persuaso.

Come fa la logica formale a giustificare se stessa, a dimostrare di non essere contraddittoria, a dimostrare che A=A non è una contraddizione?
Immagino che mi si risponderà che si basa sulle definizioni: la definizione di contraddizione comprende proprio A=non A, quindi mettere in discussione la logica formale significa mettere in discussione le definizioni di partenza dei termini del discutere.
Questo conduce ad interrogarsi sulle definizioni: chi è che ha stabilito le definizioni? Certamente non sono nate da sole, siamo stati noi esseri umani ad averle create, quindi rispondono ad un criterio di convenzionalismo. Se è convenzionale, allora è opinabile. 

Tutto ciò che è scientifico non è opinabile da un punto di vista scientifico, poiché la scienza si basa su prove e per mettere in questione un'affermazione scientifica bisogna fornire prove scientifiche. Ma la scienza può anche essere presa in considerazione da un punto di vista filosofico e allora è opinabilissima. Che senso può avere stabilire la non opinabilità di un'affermazione filosofica fondandola su giustificazioni scientifiche, quando proprio la scienza può essere in ogni suo aspetto messa in dubbio proprio dalla filosofia?

È come fabbricarsi un Dio, per poi dire che quel Dio è infallibile perché lui stesso si è dichiarato tale, dimenticando che siamo stati noi a crearlo.

A questo punto ci può essere chi dica che la logica formale risponde a criteri indipendenti dall'uomo, perché si dimostra in grado di funzionare anche senza intervento umano, per esempio quando si tratta di far funzionare un computer o un'altra macchina qualsiasi. A ciò si può obiettare che un computer che si blocchi perché ha ricevuto comandi contraddittori non è un computer che non funziona, ma un computer che funziona diversamente. Se, per esempio, si scoprisse che un computer, ricevendo certi comandi contraddittori, si trasforma in una bomba che esplode dopo un certo tempo, si potrebbe utilizzare questa scoperta per demolire certi palazzi, la cui distruzione richiederebbe altrimenti un lavoro ben più costoso.

Dunque, se un computer bloccato, una volta che venga interpretato come risorsa piuttosto che come problema, può condurre a scoperte impensate, chi ci dice che il non attenersi alla logica formale non possa condurre ad esperienze utili e interessanti? Ciò che fa la differenza è la capacità umana di modificare le proprie strutture mentali, aprendo la possibilità di vedere un evento come risorsa da sfruttare positivamente, piuttosto che come problema da cui prendere le distanze, argomento tabù su cui astenersi dal riflettere.

Proprio questo è ciò che fanno il nichilismo, il relativismo e simili.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 21 Maggio 2017, 12:27:49 PM
Aggiungo: proprio questo mi sembra che abbia dimostrato di saper fare l'uomo da sempre, dal sospetto di poter utilizzare il fuoco a proprio vantaggio, piuttosto che trattarlo solo con paura, alla scoperta della ruota, fino ad oggi: capacità della fantasia umana di uscire fuori da quasiasi schema e soprattutto accorgersi sempre di più e sempre meglio degli schemi entro cui si stava chiudendo.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Garbino il 21 Maggio 2017, 13:33:33 PM
Perché c' è qualcosa anziché il nulla?

X Angelo Cannata.

In effetti è proprio quello che vado sostenendo da non so quanto tempo. E la mia critica alla logica parte da una conoscenza della matematica non indifferente. Il fatto è che l' uomo, che a te sembra essere uscito sempre dalla gabbia in cui si era imprigionato da Sé, non ha fatto altro che fare ilo contrario. E cioè crescere a livello culturale creando la civiltà, ma senza mai accorgersi della falsità rappresentata di volta in volta dallo schema che aveva trovato. 

X Vito J Ceravolo.

Scusa per il ritardo ma pensavo che il discorso potesse chiudersi dove l' avevamo lasciato. Mentre invece, Angelo Cannata mi ha dato il la per riprenderlo e sostenerlo di nuovo.
Ti ringrazio per la stima accordatami e ci tengo a che tu rifletta attentamente alla frase seguente e che è tratta dal precedente post:
Questa è la matematica ( e la logica di riflesso ). E' lei a costruire la conoscenza e non noi ( l' uomo ) a costruirla grazie ad essa.

Garbino Vento di Tempesta.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Phil il 21 Maggio 2017, 13:40:37 PM
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 21 Maggio 2017, 11:34:41 AM
Frasi come queste sono prettamente dialettiche "Il non essere assoluto é per definizione il non esistere/accadere realmente di alcunché e non affatto l' impossibilità di predicazione." Frasi come questa tua hanno una sintattica pari ad A=non-A
Non ne sono convintissimo, quindi chiedo chiarimenti (e mi scuso per eventuali errori formali  ;) ): la suddetta frase mi pare suoni piuttosto come "A = A", ovvero "insieme vuoto = insieme vuoto" ("Ø = Ø"), oppure "non esiste alcuna x che appartiene a A", cioè "∄x : x ∈ A" (dove "x"= "ente" e "A" = "insieme degli enti esistenti"), oppure "∄ x : F(x)", dove "F" è "funzione di esistenza"... insomma, il "non esistere" è un concetto definibile formalmente (tautologicamente), proprio come l'esistere... oppure no?

P.s.
Per essere "A = ¬A" la frase dovrebbe affermare: "Il non essere assoluto è per definizione il non l'esistere/accadere realmente di alcunché di qualcosa", giusto?
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 21 Maggio 2017, 14:57:57 PM
Citazione di: Phil il 21 Maggio 2017, 13:40:37 PM
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 21 Maggio 2017, 11:34:41 AM
Frasi come queste sono prettamente dialettiche "Il non essere assoluto é per definizione il non esistere/accadere realmente di alcunché e non affatto l' impossibilità di predicazione." Frasi come questa tua hanno una sintattica pari ad A=non-A
Non ne sono convintissimo, quindi chiedo chiarimenti (e mi scuso per eventuali errori formali  ;) ): la suddetta frase mi pare suoni piuttosto come "A = A", ovvero "insieme vuoto = insieme vuoto" ("Ø = Ø"), oppure "non esiste alcuna x che appartiene a A", cioè "∄x : x ∈ A" (dove "x"= "ente" e "A" = "insieme degli enti esistenti"), oppure "∄ x : F(x)", dove "F" è "funzione di esistenza"... insomma, il "non esistere" è un concetto definibile formalmente (tautologicamente), proprio come l'esistere... oppure no?

P.s.
Per essere "A = ¬A" la frase dovrebbe affermare: "Il non essere assoluto è per definizione il non l'esistere/accadere realmente di alcunché di qualcosa", giusto?
CitazionePerfettamente d' accordo (non ho altro da aggiungere da parte mia. Grazie per avermi risparmiato la risposta).
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 21 Maggio 2017, 19:50:40 PM
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 21 Maggio 2017, 11:34:41 AM
vabbuò Sciombo la tua logica non è formale, ma prettamente dialettica. Frasi come queste sono prettamente dialettiche "Il non essere assoluto é per definizione il non esistere/accadere realmente di alcunché e non affatto l' impossibilità di predicazione." Frasi come questa tua hanno una sintattica pari ad A=non-A
Siccome questo non è opinabile, ma c'è una scienza in merito (logica formale), direi che non c'è altro da aggiungere. Se
Tuttavia non sei in cattiva compagnia, visto che il 80% delle persone (nichilismo in generale) basano la propria filosofia su passaggi logicamente contraddittori (in senso formale), solo che tu sei almeno così sincero che evidenzi la tua contraddizione formale fin dall'inizio.
La cosa sembra un po' il confronto di Hobbes con un matematico sulla quadratura del cerchio.  La logica formale è una cosa, la tua (vostra) è un'altra. Ma ripeto: non sei il primo né l'ultimo che argomenta in aperto contrasto con la formalità logica.
CitazioneHa già risposto Phil, con cui in proposito concordo.

Aggiungo solo per parte mia che:
 
- (In tutta sincerità) Non ho affatto mai ammesso e non ammetto affatto di essermi contraddetto in alcun modo (in questa discussione, su questo argomento della pensabilità -non autocontraddittoria- del "nulla").

- Respingo inoltre, decisamente e con sdegno, la taccia di nichilismo (per quanto "in generale" ed essendo per parte mia "sincero" ...ammesso e non concesso che si possa essere "nichilisti" e anche contemporaneamente "sinceri").

- Non sono né il primo né l' ultimo che argomenta correttamente secondo la logica formale.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Apeiron il 22 Maggio 2017, 00:03:21 AM
Ritenere che la logica sia infallibile è un vero "atto di fede". Niente può dimostrarlo.
Per quanto riguarda il rapporto di essa con la realtà. Beh nuovamente la logica è uno strumento. Le verità scientifiche sono prima di tutto "pratiche" e ritenere che le "verità scientifiche" siano "la realtà" è a mio giudizio una megalomania. Non a caso la maggior parte dei mistici e dei pensatori seri dicono che la comprensione della realtà la si ha quando si va oltre i concetti.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: epicurus il 16 Giugno 2017, 18:11:17 PM
(D) Perché c'è qualcosa anziché il nulla?
 
Ciao a tutti. Avrei preferito rispondere puntualmente ad ogni post, o almeno ad ogni partecipante, ma 22 pagine da 15 post ognuna rendono la cosa troppo faticosa.  :)
 
Noto purtroppo però che ci si sia focalizzati principalmente sulla questione del nulla, del non-essere e dell'essere. Dico purtroppo per due motivi. Primo, perché credo che quando si affronta la questione ontologica fondamentale dell'essere e del non-essere in realtà i discorsi si basino su fraintendimenti linguistici causati da un uso non regolamentato dei termini, o comunque da un modo di esprimersi più metaforico. Capisco che questo discorso ci porterebbe troppo off-topic, per fortuna ho il secondo motivo più pertinente alla discussione: fingiamo che io non abbia detto il primo.  ;)
 
Secondo, perché affrontare questa domanda in tali termini significa non centrare ciò che la domanda ci chiede. La domanda (D) potrebbe essere riformulata in questi modi:
 
Perché c'è l'Universo invece di non esserci?
Perché esistono degli oggetti?
Perché l'Universo non è l'insieme vuoto?
Perché l'Universo ha un'estensione in diverse dimensioni invece di essere un punto monodimensionale?
 
La questione centrale qui non è il non-essere, ma perché esiste qualcosa. Si potrebbe generalizzare la domanda in questa:
 
Perché l'Universo attualizzato è proprio questo invece di un altro qualsiasi tra gli infiniti universi possibili (e tra tutti quelli possibili c'è pure l'insieme vuoto)?
 
Per capire quale direzione prendere per iniziare a rispondere a (D) potremmo analizzare una domanda dalla forma similare:
 
Perché in casa mia c'è un divano invece che non esserci?
 
Stiamo cercando ragioni del perché c'è un divano nella mia casa. Io so che vi è un divano perché io volevo averlo, per avere a disposizione le comodità che un divano fornisce.
Quello che ho fatto, per rispondere, è stato quello di cercare ragioni al di fuori dal fatto da spiegare, naturalmente. Ecco il problema allora di (D)!
 
Spiegare un fatto presuppone necessariamente il rimando ad altri fatti esterni. Più precisamente: spiegare un fatto presuppone un modello più generale di tale fatto (che comprenda tale fatto assieme ad altri fatti). "Perché X invece che Y?" richiama un fatto esterno a X ed Y, chiamiamolo Z. Necessitiamo di altri fatti che servono per creare un modello esplicativo di X. Ma quando ci poniamo la domanda (D), in realtà noi vogliamo avere un modello esplicativo di tutto ciò che esiste! Ma a quali altri fatti potremmo appellarci per spiegare l'insieme di tutti i fatti? Ovviamente nessuno! Non può esistere alcun fatto Z indipendente da X proprio perché X per definizione comprende ogni fatto.
 
Questo ci porta a riconoscere che malgrado le domanda dalla forma "Perché X (anziché Y)?" possano in generale aver senso, la domanda D nello specifico non è concettualmente sensata. Non è che non abbia una risposta o che la risposta sia a noi ignota, la questione è che in realtà non ci siamo neppure posti una vera domanda dotata di significato compiuto.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 17 Giugno 2017, 00:58:15 AM
Citazione di: epicurus il 16 Giugno 2017, 18:11:17 PMMa a quali altri fatti potremmo appellarci per spiegare l'insieme di tutti i fatti? Ovviamente nessuno! Non può esistere alcun fatto Z indipendente da X proprio perché X per definizione comprende ogni fatto.

Questo ci porta a riconoscere che malgrado le domanda dalla forma "Perché X (anziché Y)?" possano in generale aver senso, la domanda D nello specifico non è concettualmente sensata. Non è che non abbia una risposta o che la risposta sia a noi ignota, la questione è che in realtà non ci siamo neppure posti una vera domanda dotata di significato compiuto.
Già il semplice concetto di "tutto" non ha senso, poiché, per essere davvero concetto di tutto, dovrebbe necessariamente comprendere anche se stesso, quindi, oltre che essere concetto di tutto, dovrebbe anche essere necessariamente concetto del concetto di tutto. In questo modo, però, s'innescherebbe un processo infinito di contenitori di se stessi: il concetto di tutto dovrebbe anche includere il concetto del concetto del concetto...(e così via all'infinito) di tutto. A me non sembra che la mente umana sia in grando di ospitare il concetto di quest'autocontenersi infinito. Mi sembra che ne consegua che il concetto di tutto sia un concetto illusorio, falso: pensiamo di aver pensato tutto, ma non è vero: non abbiamo pensato davvero tutto, né il concetto in sé contiene davvero il concetto di tutto, perché in tal caso dovrebbe essere un concetto infinito. Può la nostra mente ospitare, non dico il concetto di infinito, ma un concetto infinito? Che senso avrebbe l'idea di concetto infinito? Cosa sarebbe un concetto infinito?
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 17 Giugno 2017, 01:04:27 AM
In altre parole, "concetto di tutto", una volta che già il concetto stesso verrebbe ad essere parte del tutto di cui vuol essere concetto, darebbe luogo al fenomeno di una parte che voglia essere contenitrice del tutto di cui essa stessa fa parte. Ciò può avere un senso?
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 17 Giugno 2017, 09:21:32 AM
X AngeloCannata
 
Il concetto di infinito é certamente problematico.
 
Già Aristotele ne era ben consapevole, con la sua distinzione fra infinito in potenza e infinito in atto.
 
Ciò non toglie che se ne possa parlare in maniera sensata (credo che tutti comprendano che significa "non avente fine" o cosa sia un regresso all' infinito: tu stesso ne fai uso nella tua argomentazione della risposta # 327 di questa discussione; e dunque credo che sappia di cosa stai parlando, che abbia in mente qualcosa di almeno "in qualche limitata misura" sensato; anche se comprensibile non integralmente o esaurientemente in tutti i suoi -inesauribili- aspetti, anche se non senza qualche elemento di insuperabile "oscurità" o di limitata, relativa incomprensione).
 
Anche il concetto di "tutto" o di totalità" mi sembra sensato e comprensibile: credo che non ne parliamo a vanvera ma sappiamo che cosa stiamo dicendo quando l' adoperiamo.
E inoltre non credo che in quanto tale (cioé per lo meno in quanto concetto, "contenuto di pensiero"; non necessariamente in quanto realtà, non se si intende "la totalità di ciò che realmente é/accade" ma invece "ciò che può essere pensato -veracemente o meno- come totalità di ciò che realmente accade") non necessariamente debba essere inteso come essere infinito.
Mi sembra cioè del tutto sensatamente possibile pensare l' ipotesi che la totalità di ciò che é/accade sia finita e non si estenda oltre certi limiti.
Può realmente accadere che si pensi il concetto di "tutto" e "ci si fermi lì", senza necessariamente proseguire di fatto -realmente- al' infinito a pensare inoltre che esso implica pure il pensiero stesso del concetto di "tutto", e il pensiero del pensiero stesso di "tutto" e così via senza fine.
Lasciando per così dire "sottinteso" questo regresso all' infinito si può comunque pensare sensatamente a un' ipotetica totalità del reale; a un reale che ipoteticamente, in quanto oggetto di pensiero, in quanto oggetto di immaginazione o di ipotesi non necessariamente in quanto effettivamente tale, sia finito.
Per esempio trovo sensata (non: vera!) l' ipotesi che la realtà in toto contenga un numero finito di pianeti non abitati da animali dotati di coscienza e di pensiero (e dunque senza alcun pensiero -nella realtà ipotizzata, contrariamente alla realtà reale- del tutto, compreso il pensiero stesso del tutto, il pensiero del pensiero stesso del tutto e così via... Sostengo infatti la pensabilità sensata e non necessariamente la realtà di un tutto finito).

Quanto al' infinità o meno della totalità del reale, con Kant credo si tratti di un' antinomia insolubile
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: epicurus il 19 Giugno 2017, 09:58:20 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 17 Giugno 2017, 00:58:15 AM
Citazione di: epicurus il 16 Giugno 2017, 18:11:17 PMMa a quali altri fatti potremmo appellarci per spiegare l'insieme di tutti i fatti? Ovviamente nessuno! Non può esistere alcun fatto Z indipendente da X proprio perché X per definizione comprende ogni fatto.

Questo ci porta a riconoscere che malgrado le domanda dalla forma "Perché X (anziché Y)?" possano in generale aver senso, la domanda D nello specifico non è concettualmente sensata. Non è che non abbia una risposta o che la risposta sia a noi ignota, la questione è che in realtà non ci siamo neppure posti una vera domanda dotata di significato compiuto.
Già il semplice concetto di "tutto" non ha senso, poiché, per essere davvero concetto di tutto, dovrebbe necessariamente comprendere anche se stesso [...]. [...] Può la nostra mente ospitare, non dico il concetto di infinito, ma un concetto infinito? Che senso avrebbe l'idea di concetto infinito? Cosa sarebbe un concetto infinito?
In Matematica tale problema è quello dell'insieme universo U, un insieme che contiene tutti gli insiemi, quindi anche se stesso. Ci sono però svariati formalismi che permetto di parlare di U in modo sensato e coerente. D'accordo che il termine "concetto infinito" non ha senso, ma non necessitiamo di fantomatici concetti infiniti per riferirci all'insieme U.

Ma tali questioni non sono necessarie per affrontare l'oggetto di questo topic. Infatti con "tutto", in questo caso, possiamo limitarci a considerare l'insieme di tutti gli oggetti concreti. Quando ci si chiede "perché esiste qualcosa anziche nulla?", infatti, ci interessa spiegare perché ci sono gli oggetti concreti che ci sono, non siamo interessati agli oggetti astratti (dei quali, tra l'altro, non diciamo che "esistono" comunemente). Così non ricadiamo nel regresso infinito di cui parlavi tu: l'insieme degli oggetti concreti non contiene se stesso.

Rimane però il problema di cui parlavo io sopra. Chiedere la spiegazione di qualcosa è ovviamene sensato, chiedere la spiegazione di ogni cosa no perché per definizione non vi possono essere elementi da addurre per spiegare "ogni cosa".
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 19 Giugno 2017, 10:33:00 AM
Citazione di: epicurus il 19 Giugno 2017, 09:58:20 AMCosì non ricadiamo nel regresso infinito di cui parlavi tu: l'insieme degli oggetti concreti non contiene se stesso.

Rimane però il problema di cui parlavo io sopra. Chiedere la spiegazione di qualcosa è ovviamene sensato, chiedere la spiegazione di ogni cosa no perché per definizione non vi possono essere elementi da addurre per spiegare "ogni cosa".
Mi sembra che così derivi una conclusione interessante o curiosa.

Attribuire al termine "tutto" il significato di "insieme degli oggetti concreti che non contengono se stessi" significa escludere "io". Infatti era l'inclusione di se stessi a provocare la regressione infinita.

Dunque veniamo ad avere due oggetti: "tutto tranne io" e "io".

Sopra avevi detto che non ha senso cercare la spiegazione di tutto, poiché ciò significherebbe cercare qualcosa di esterno al tutto, il che sarebbe contraddittorio.

Ma ora il qualcosa di esterno al tutto l'abbiamo: è l' "io", che abbiamo tirato fuori per evitare la regressione infinita.

Ne consegue che, riguardo al tutto, abbiamo solo due alternative: la prima è fare silenzio, astenerci dal parlarne, dal tentare di darne spiegazioni. La seconda è che, qualunque spiegazione ne daremo, essa non potrà essere altro che un riferirsi, più o meno consapevole, all' "io" come spiegazione del tutto. Infatti la mente, nel tentativo di spiegare tutto, andrà in cerca di qualcosa di esterno. Se penserà di averlo trovato, in realtà non avrà trovato altro che se stessa, e quindi avrà fatto di se stessa la spiegazione del tutto. I termini di tale spiegazione potrebbero essere architettati in modo da nascondere che in realtà si tratta della mente che sta facendo riferimento a se stessa.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: epicurus il 19 Giugno 2017, 11:10:28 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 19 Giugno 2017, 10:33:00 AM
Citazione di: epicurus il 19 Giugno 2017, 09:58:20 AMCosì non ricadiamo nel regresso infinito di cui parlavi tu: l'insieme degli oggetti concreti non contiene se stesso.

Rimane però il problema di cui parlavo io sopra. Chiedere la spiegazione di qualcosa è ovviamene sensato, chiedere la spiegazione di ogni cosa no perché per definizione non vi possono essere elementi da addurre per spiegare "ogni cosa".
Attribuire al termine "tutto" il significato di "insieme degli oggetti concreti che non contengono se stessi" significa escludere "io". Infatti era l'inclusione di se stessi a provocare la regressione infinita.

Dunque veniamo ad avere due oggetti: "tutto tranne io" e "io".

Sopra avevi detto che non ha senso cercare la spiegazione di tutto, poiché ciò significherebbe cercare qualcosa di esterno al tutto, il che sarebbe contraddittorio.

Ma ora il qualcosa di esterno al tutto l'abbiamo: è l' "io", che abbiamo tirato fuori per evitare la regressione infinita.

Ne consegue che, riguardo al tutto, abbiamo solo due alternative: la prima è fare silenzio, astenerci dal parlarne, dal tentare di darne spiegazioni. La seconda è che, qualunque spiegazione ne daremo, essa non potrà essere altro che un riferirsi, più o meno consapevole, all' "io" come spiegazione del tutto. Infatti la mente, nel tentativo di spiegare tutto, andrà in cerca di qualcosa di esterno. Se penserà di averlo trovato, in realtà non avrà trovato altro che se stessa, e quindi avrà fatto di se stessa la spiegazione del tutto. I termini di tale spiegazione potrebbero essere architettati in modo da nascondere che in realtà si tratta della mente che sta facendo riferimento a se stessa.

Quello che proponevo, ai soli fini della domanda di Leibniz, era di intendere "tutto" come "insieme di oggetti concreti". E dato che gli insiemi non sono oggetti concreti, si esclude il problema di regressione all'infinito dell'insieme di tutti gli insiemi e che quindi contiene anche se stesso. Dove per "concreto" intendo qualcosa che non è astratto (come numeri, insiemi e altre costruzioni matematiche ma non solo).

Non avevo capito che il tuo problema fosse l'io. Naturalmente il concetto di identità personale, o di punto di vista soggettivo dell'individuo, è una cosa concreta (nella mia accezione di concretezza), quindi rientra nel dominio universale della domanda di Leibniz. Io non ci vedo nulla di illogico o linguisticamente insensato in un modello esplicativo dell'identità personale, tuttavia uno potrebbe evitare interamente questa questione e chiedersi:

Perché è nato l'universo?

(Intendendo con "universo" l'insieme di tutti gli oggetti concreti.) A questo punto, si eviterebbe la questione della comprensione dell'io (che per complessità e ampiezza potrebbe richiedere un altro topic) e si continuerebbe a cogliere lo spirito della domanda leibniziana. Spirito, come dicevo più sopra, insensato per l'uso e abuso di un perché senza limiti.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 20 Giugno 2017, 10:10:24 AM
Citazione di: epicurus il 19 Giugno 2017, 11:10:28 AM
(Risposta ad AngeloCannata)

Non avevo capito che il tuo problema fosse l'io. Naturalmente il concetto di identità personale, o di punto di vista soggettivo dell'individuo, è una cosa concreta (nella mia accezione di concretezza), quindi rientra nel dominio universale della domanda di Leibniz. Io non ci vedo nulla di illogico o linguisticamente insensato in un modello esplicativo dell'identità personale, tuttavia uno potrebbe evitare interamente questa questione e chiedersi:

Perché è nato l'universo?

(Intendendo con "universo" l'insieme di tutti gli oggetti concreti.) A questo punto, si eviterebbe la questione della comprensione dell'io (che per complessità e ampiezza potrebbe richiedere un altro topic) e si continuerebbe a cogliere lo spirito della domanda leibniziana. Spirito, come dicevo più sopra, insensato per l'uso e abuso di un perché senza limiti.
Citazione
Concordo che il concetto di identità personale, o di punto di vista soggettivo dell'individuo, è una cosa concreta (anche nella mia accezione di concretezza; e comunque reale), quindi rientra nel dominio universale della domanda di Leibniz.

 

Però se ci si chiede:

 

Perché è nato l'universo? (Intendendo con "universo" l'insieme di tutti gli oggetti concreti, e comunque reali, propria persona -se stessi- compresa)

 

Allora non si evita la questione della comprensione del' io (ovvero di se stessi, della propria persona, essendo essa inclusa nell' ambito dell' universo come sua parte).


E d' altra parte, se invece eventualmente -ma comunque in qualche altro modo- si evitasse di considerare anche l' io fra i componenti o le parti dell' universo di cui ci si chiedesse il perché, allora secondo me non si coglierebbe più "lo spirito" della domanda di Leibniz (ma ovviamente per esserne certi bisognerebbe chiederlo a lui).

 

Domanda "perché?" che continuo peraltro anch' io a considerare insensata per i seguenti motivi:

 

1) Se per "perché" si intende "a quale scopo" allora ha senso chiederselo unicamente di ciò che é intenzionalmente realizzato (a quanto risulta di fatto unicamente da parte dell' uomo e in qualche limitata misura di altri animali), e non del resto della realtà, che non è realizzazione intenzionale finalizzata da parte di un agente cosciente, magari dotato di libero arbitrio (e di questo "resto non intenzionalmente realizzato" facciamo parte noi persone-soggetti- umani, i nostri io, le nostre persone).

 

2) Perché oltre al "tutto", per definizione, non può esistere altro che ne costituisca la spiegazione.

Se l' universo diviene secondo modalità o regole universali e costanti, allora di eventi parziali nel suo ambito si può dare una spiegazione in termini di "applicazione" o concreta occorrenza delle leggi generali astratte del divenire nelle circostanze particolari concrete che determina tali eventi parziali stessi.

Ma dell' universo (tutto) e delle sue leggi del divenire non si può che constatare la realtà senza poterla spiegare con altro, non essendoci nulla d' altro di reale con cui spiegarla (se invece l' universo mutasse in modo assoluto, integrale, caotico, senza alcunché di costante in alcun modo astraibile dal resto cangiante, allora non avrebbe senso cercare spiegazioni nemmeno di alcunché di parziale nel suo ambito: ammesso e non concesso che di fatto ci potesse essere qualcuno a farle, vi si potrebbero fare unicamente inspiegate "constatazioni di fatto").

E comunque, anche se per "tutto da spiegare" (o anche per "universo") si intendesse in realtà tutto tranne la spiegazione di tale "quasi tutto" (alquanto scorrettamente o comunque in maniera "semanticamente originale o meglio personale", attribuendo alla parola "tutto" un significato in realtà diverso da quello comunemente inteso, e piuttosto simile a quello che si intende per "quasi tutto";o rispettivamente "quasi tutto l' universo"), ritenendo che ciò che é/accade realmente necessiti di spiegazione, allora non si sarebbe risolto il problema, ma semplicemente lo si sarebbe "spostato", dal momento che anche la pretesa spiegazione di "quasi tutto" sarebbe/accadrebbe realmente e dunque a sua volta necessiterebbe di una spiegazione in un regresso all' infinito (o in alternativa in un circolo vizioso più o meno ampio, qualora lungo la catena di "spiegazioni delle spiegazioni" si riprendesse l' iniziale "quasi tutto l' universo" o "quasi tutto da spiegare" o qualcosa che ne sia parte).

 

D' altra parte cercare una spiegazione -un "perché?"- ha senso (a proposito di) qualcosa (ente o evento) che è/accade realmente mentre potrebbe anche non essere/non accadere realmente (essendo per l' appunto tale spiegazione il necessario motivo del suo essere/accadere realmente anziché non essere/non accadere realmente, motivo senza il quale resterebbe per così dire "sospeso nella possibilità di realizzarsi o meno", motivo necessario allo sciogliersi di questa "sospensione ontologica").

Ma per definizione per l' "essere/accadere realmente" di qualsiasi "cosa" (ente o evento) si intende il fatto che tale "cosa non può anche (allo stesso tempo, nelle stesse circostanze, nello stesso senso) "non essere/non accadere realmente"; ma casomai può solo -per quanto falsamente- "essere pensata non essere/non accadere realmente".

E dunque di ciò che é/accade realmente non ha senso porsi il problema di una spiegazione -di un "perché?- per il fatto che il suo essere/accadere realmente non si dà in alternativa reale da "sciogliersi" in qualche modo (ma casomai solo in alternativa teorica, "di pensabilità") a possibili altri, diversi enti o eventi.
Sensato sarebbe casomai porsi il problema del perché si pensa ciò che si pensa essere/accadere realmente (che può anche  pensarsi non essere/ non accadere realmente). 
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Vito J. Ceravolo il 17 Luglio 2017, 22:26:16 PM
Ciao, anzitutto le mie scuse per la lunga assenza. In tutta sincerità ho avuto un grave lutto ed è stato un lungo momento difficile; è ancora. 

Qui di seguito vi allego l'ultimo mio articolo. 
academia edu: https://www.academia.edu/33908679/DIECI_ARGOMENTI_DI_FILOSOFIA
Rivista filosofica: https://filosofiaenuovisentieri.it/2017/07/16/dieci-argomenti-di-filosofia/#more-6387

Questo articolo risponde a molte delle obiezioni da voi avanzate, e spero vi faccia piacere ritrovarci dentro qualcosa anche di questa discussione.

In quest'ultimo articolo toccate con mano (anche se non avete libro)  la rivoluzione paradigmatica della mia filosofia. E io con questo articolo ho concluso la serie dei tre articoli di presentazione del mio libro: Mondo. Strutture portanti. Dio, conoscenza ed essere, editore il Prato, 2016 (arrivato secondo la Premio Nazionale di Filosofia 2017, Certaldo)

Un piccolo sunto: esattamente i tre articoli sono: 
- https://www.academia.edu/33908679/DIECI_ARGOMENTI_DI_FILOSOFIA
(mostra la rivoluzione paradigmatica del libro)
- https://www.academia.edu/33025670/TEOREMI_DI_COERENZA_E_COMPLETEZZA._Epimenide_Gödel_Hofstadter
(sulla coerenza: superamento dei teoremi di incompletezza di K.G.)
- https://www.academia.edu/31272058/VERITÀ._UNIONE_FRA_REALISMO_E_COSTRUTTIVISMO
(concetto di verità possibile dalla filosofia del libro)

Questi tre articoli vi permettono di entrare in maniera viva nell'idea di questa nuova filosofia. 

Veniamo a noi: 

--- @Cannata: 
(1) «chi è che ha stabilito le definizioni? Certamente non sono nate da sole, siamo stati noi esseri umani ad averle create, quindi rispondono ad un criterio di convenzionalismo. Se è convenzionale, allora è opinabile.»
(2) «la logica formale risponde a criteri indipendenti dall'uomo, 
A ciò si può obiettare che un computer che si blocchi perché ha ricevuto comandi contraddittori non è un computer che non funziona, ma un computer che funziona diversamente.»

Mi spiace non risponderti direttamente, ma trovi le soluzioni complete, per entrambi i due sopra citati quesiti, presso il ultimo mio articolo: https://filosofiaenuovisentieri.it/2017/07/16/dieci-argomenti-di-filosofia/
Sarebbe inutile risponderti immediatamente quando poi seguirebbero giustamente altre domande. Meglio darti tutte le risposte tramite un solo testo.


--- @Garbino : 
Allora a presto


--- @Phil : «insomma, il "non esistere" è un concetto definibile formalmente (tautologicamente), proprio come l'esistere... oppure no?»

Più o meno Phil: io posso predicare l'impredicabilità di una cosa, e in tale "predicare" ne definisco l'impossibilità predicativa in senso formale tautologico. Ma è l'unica cosa che si può predicare del nulla: la sua inesistenza. Mentre qualunque altra predicazione (come quelle che Sgiombo fa sul nulla) hanno una forma sintattica contraddittoria; appunto perché l'impredicabilità del nulla è l'unica cosa che si può predicare. 
Credo che tutte le risposte su questo tema le possiate leggere su questo articolo https://filosofiaenuovisentieri.it/2017/05/14/teoremi-di-coerenza-e-completezza-epimenide-godel-hofstadter/


--- @Sciombo
Se ti ho fatto arrabbiare non era mia intenzione.


--- @Apeiron
Anche sul tuo concetto di fede devo rimandarti a questo nuovo articolo: https://filosofiaenuovisentieri.it/2017/07/16/dieci-argomenti-di-filosofia/
Ripeto: sarebbe inutile risponderti immediatamente quando poi seguirebbero giustamente altre domande. Meglio darti tutte le risposte tramite un solo testo.


--- @Epicurus.
Mi piacciono tutte le tue prime domande in neretto. Credo sia una specificazione e approfondimento. Non farei però la distinzione concreto formale che fai tu. Io distinguo diversamente: https://filosofiaenuovisentieri.it/2017/07/16/dieci-argomenti-di-filosofia/


Da qui in poi i vostri commenti si muovono su risposte frutto di evoluzioni non idonee a rappresentare il tipo di soluzione da me definite. 


Io vi ringrazio tanto della piacevole discussione e della pazienza con cui abbiamo portato avanti il discorso.
Il mio compito di presentazione del libro è finito. Adesso devo recuperare un po' di energie.

Per ora
A presto a tutti
Vito J. Ceravolo
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 18 Luglio 2017, 08:10:24 AM
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 17 Luglio 2017, 22:26:16 PMMa è l'unica cosa che si può predicare del nulla: la sua inesistenza. Mentre qualunque altra predicazione (come quelle che Sgiombo fa sul nulla) hanno una forma sintattica contraddittoria; appunto perché l'impredicabilità del nulla è l'unica cosa che si può predicare.

(evienziazioni in grassetto mie).

CitazioneEvidente contraddizione:

Prima si afferma che del nulla si può predicare unicamente l' inesistenza.

Poi contraddittoriamente si afferma che se ne può predicare unicamente l' impredicabilità.

Poiché impredicabilità e inesistenza sono due ben diversi concetti (non sono affatto sinonimi), allora:

-o del nulla si possono predicare più attributi (e non uno solo);

-o se ne può predicare unicamente il primo (l' inesistenza);

-o se ne può predicare unicamente il secondo (l' impredicabilità; col che fra peraltro si cade in un paradosso che ha almeno qualche analogia con  quello del mentitore: se il predicato fosse vero, allora non potrebbe accadere, se accade allora é falso: è un predicato che non può non essere falso, se accade).

Invece io affermo in maniera del tutto logicamente corretta, non contraddittoria che sul nulla (assoluto) può predicarsi in generale (sensatamente); e in particolare che può predicarsene falsamente l' accadere reale e veracemente il non accadere reale.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: epicurus il 18 Luglio 2017, 16:15:52 PM
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 17 Luglio 2017, 22:26:16 PM--- @Epicurus.
Mi piacciono tutte le tue prime domande in neretto. Credo sia una specificazione e approfondimento. Non farei però la distinzione concreto formale che fai tu. Io distinguo diversamente: https://filosofiaenuovisentieri.it/2017/07/16/dieci-argomenti-di-filosofia/
Mi dispiace per il tuo lutto e ti faccio i complimenti per la tua produzione filosofica.

In merito alla questione centrale del topic e al link che hai postato, non ho capito quale sia la tua tesi e che rapporto ci sia con quella da me sostenuta poco sopra.

Ciao
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Angelo Cannata il 18 Luglio 2017, 22:20:07 PM
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 17 Luglio 2017, 22:26:16 PM
--- @Cannata:
(1) «chi è che ha stabilito le definizioni? Certamente non sono nate da sole, siamo stati noi esseri umani ad averle create, quindi rispondono ad un criterio di convenzionalismo. Se è convenzionale, allora è opinabile.»
(2) «la logica formale risponde a criteri indipendenti dall'uomo,
A ciò si può obiettare che un computer che si blocchi perché ha ricevuto comandi contraddittori non è un computer che non funziona, ma un computer che funziona diversamente.»

Mi spiace non risponderti direttamente, ma trovi le soluzioni complete, per entrambi i due sopra citati quesiti, presso il ultimo mio articolo: https://filosofiaenuovisentieri.it/2017/07/16/dieci-argomenti-di-filosofia/
Sarebbe inutile risponderti immediatamente quando poi seguirebbero giustamente altre domande. Meglio darti tutte le risposte tramite un solo testo.
Mi dispiace per il lutto.
Nell'articolo indicato trovo un problema di fondo: esso si esprime in un linguaggio che trascura del tutto la storicità del fare filosofia. Se un filosofo decide di occuparsi dell'essere, se vuole occuparsene in maniera davvero completa non potrà fare a meno, ad un certo punto, di constatare di trovarsi all'interno di un divenire storico, uno scorrere del tempo, che mette un irrimediabile "forse" in ogni sua affermazione astratta. Ciò è il presupposto della mia citata affermazione "Certamente non sono nate da sole, siamo stati noi esseri umani ad averle create": noi esseri umani siamo storici. È la storia la critica radicale di ogni filosofia dell'essere, è la storia il dubitare di tutto. Con ciò la storia, la nostra storicità, non si trasforma in dogma, perché essa si pone come narrazione, non come affermazione astratta. In altre parole: il filosofo che pensa di poter dire "l'essere è" non può fare a meno di ricordarsi anche di "io sono nato x anni fa, in una certa data, a una certa ora". Quest'ultima affermazione non è una definizione astratta, ma un racconto, che in quanto tale mette in forse ogni definizione astratta e non può ricevere risposta sufficiente da linguaggi che non facciano i conti con il narrare, in alternativa all'affermare astratto, al definire.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: viator il 06 Ottobre 2017, 20:46:31 PM
Buongiono. Freschissimo iscritto.
Non sono un provocatore per vocazione, solo un cinico dissacratore.
Non voglio certo offendere nessuno ma................leggendo il titolo di questa discussione mi è scappato da ridere.
Ho poi rapidamente visionato (NON letto!) l'imponente corpo degli interventi.

Il nulla non può esserci (altrimenti si chiamerebbe quacosa).
Questa è la ragione per cui c'è qualcosa.

Tanta affettuosa cordialità a tutti.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: viator il 07 Ottobre 2017, 10:51:59 AM
Buongiorno anche per oggi.
Ho letto qua e là qualcosa di questa discussione.
Certamente un esterno che incappi casualmente in questo sito, che non abbia una grande apertura mentale e che abbia una vita piena di preoccupazioni non potrebbe che considerar tutti noi dei dementi nullafacenti.

Gli aspetti che rendono intrinsecamente sterile il filosofeggiare sono due :

1) l'uso del linguaggio il quale, essendo uno strumento autoreferenziale, una volta che venga utilizzato eccessivamente per cercare di chiarire ciò che non sia già chiaro ai nostri sensi, produrrà - all'inverso - della confusione. (più un concetto è essenziale maggiore il numero di parole occorrenti per descriverlo). Questa è tra l'altro la ragione per la quale i miei interventi saranno sempre abbastanza lapidari.
2) il fatto che il soggetto-interprete-osservatore ovvero l'uomo non può sfuggire all'irresolvibile dualismo tra il sè e l'oggettività.

Per comprendere il tutto occorrerebbe essere il tutto.

Notare il verbo "comprendere" nel suo doppio ma comunque coincidente ignificato di "capire" e di "includere".
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 07 Ottobre 2017, 13:14:30 PM
Innanzitutto benvenuto!

Nessun problema per il fatto di aver riso per molti nostri interventi (o per lo meno per i miei).
Innanzitutto chi si prende troppo sul serio tende a risultare antipatico; inoltre credo che, salvo l' uso di espressioni decisamente offensive, la franchezza nelle nostre discussioni sia decisamente preferibile alla reticenza nell' esprimere il proprio dissenso; e da ultimo, come si sul dire, il riso fa sempre buon sangue.

Secondo me in teoria (prescindendo da come di fatto stanno le cose in realtà, che richiederebbe qualche non scontata precisazione per evitare malintesi) il nulla potrebbe benissimo essere; infatti, "nulla" significa qualcosa, come tutti i concetti sensati (aggettivo pleonastico; contrariamente a te tendo purtroppo ad essere tutt' altro che lapidario nelle mie considerazioni), nel senso che ha una connotazione o intensione teorica, nell' ambito del pensiero (del pensiero circa la realtà o meno, poiché non é detto che si debba pensare solo ciò che é reale).
Ma il suo significato, inteso come intensione, é "il non esserci (realmente) di alcunché".
Dunque nell' ipotesi, a mio parere sensatissima in quanto tale, che ci sia il nulla, si darebbe il caso del non esserci qualcosa (del non esserci alcuna cosa, che implica il non esserci di alcun "qualcosa" di determinato, né di alcun "qualcos' altro" di determinato).

Ritengo infatti che il linguaggio sia convenzionale (dispone, ovvero mette reciprocamente in relazione, concetti il cui significato é stabilito per definizione arbitraria convenzionalmente accettata dai parlanti, secondo regole sintattiche stabilite altrettanto convenzionalmente e arbitrariamente), ma non autoreferenziale (per lo meno non necessariamente, non inevitabilmente).
Infatti non parla unicamente, necessariamente di se stesso (in funzione di "metalinguaggio"), ma anche di altro: in generale i significati dei concetti si riferiscono non a se stessi, bensì a diverse "cose" dai concetti stessi simboleggiate, presentando necessariamente (per essere tali: concetti; per definizione) per lo meno intensioni o connotazioni reali in quanto oggetti di pensiero, di considerazione teorica (comunque dai simboli verbali stessi diverse, altre); ed inoltre, seppur non sempre necessariamente, possono presentare anche estensioni o denotazioni reali (indipendentemente dall' eventuale essere pure eventualmente significate dai concetti stessi, pensate, o meno).
Può ovviamente essere usato male e generare confusioni e malintesi, ma può anche essere usato correttamente, riferirsi ad altro da sé e consentire al soggetto-interprete-osservatore ovvero l'uomo di comprendere (nel senso di capire, spiegarsi, conoscere; ovviamente in misura limitata, parziale, relativa, e inoltre fallibile, non essendo divino), non certo il tutto, ma comunque (anche) qualcosa di diverso da sé, che va oltre la sua soggettività (questo almeno come possibilità teorica; tenendo conto d quella che personalmente ritengo l' insuperabilità razionale dello scetticismo, cioè dell' incertezza circa la verità dei predicati; che non significa certezza della falsità dei predicati stessi, tesi paradossale in quanto espressione del venerando paradosso "del mentitore": dubitare di tutti i predicati =/= credere tutti i predicati necessariamente falsi).

Per questo ritengo che il filosofare non sia sterile ai fini della conoscenza (per quanto inevitabilmente relativa, limitata, ed inoltre incerta); oltre ad essere per me personalmente interessantissimo (e non "cosa da parassiti nullafacenti", ma da persone attive che si procurano i mezzi per vivere col loro lavoro, ma pensano che si lavora per vivere, ossia per godersi la vita, e non si vive per lavorare).
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: Il_Dubbio il 19 Ottobre 2017, 11:25:49 AM
Cari filosofi vi parlo dall'altra parte del muro. Non essendo filosofo (almeno no di professione, ma una qualche propensione alla filosofia dovremmo avercela tutti) faccio fatica alle volte a stare dietro agli innumerevoli concetti astratti proposti per dare senso alla propria filosofia.

Intervengo su questo particolare quesito perchè lo ritengo il quesito dei quesiti. Il principale tra tutti. Un vero e proprio rompicapo.

Il quesito proposto però sembra (in qualche modo) essere paragonabile ad un quesito piu specifico. Che ora tenterò di spiegare

Noi immaginiamo i filosofi come gente che si interroga su questioni di natura generale. La cosa è sospettabile di imprecisione. Un filosofo non può parlare di un sistema generale se poi esclude se stesso. Non sarà piu generale.

Per cui immaginaimo un filosofo che si chieda: perche esiste qualcosa invece che nulla?
Probabilmente sta chiedendo a se stesso perchè esiste invece di non esistere. La domanda da generale diventa personale.
Quindi la prima considerazione è che non si può pensare che un filosofo possa farsi domande generali pensando che possa escludere se stesso.
Per cui secondo me la domanda come è stata posta è monca. Non è precisa.

Ora faccio finta di essere io il filosofo in questione. Mi chiedo, perche ora esisto ed invece non esisto piu nel mio passato?
La domanda (forse per qualcuno potrebbe non essere pertinente) è identica secondo me alla domanda piu generale: perche esiste qualcosa invece di non esistere? Infatti la risposta dovrebbe piu o meno essere: esisto ora in questo istante e con me esiste tutto il resto, mentre al di la di questo istante c'è il nulla.

In un certo senso il significato di nulla non perde la proprietà di esistenza, altrimenti la storia o il fatto che io esista non sarebbe possibile, ed io non starei qui a scrivere.
In realtà si potrebbe anche peggiorare la situazione sostenendo che io ci sono (sono qualcosa ora) ma io ci sono e sono qualcosa anche nel mio passato ed anche il nel mio futuro. Questo potrebbe essere possibile se consideriamo che l'esistenza di noi stessi non dipende solo da noi ma anche da possibili viaggiatori nello spazio che potrebbero incontrare me nel passato e o nel mio futuro e non concordare con il mio stato esistenza di filosofo che si chiede perche ora esisto e fuori ci sia il nulla.
In un certo senso pare che si possa affermare che il nulla e l'esistenza coestistano, mentre è proprio la domanda del filosofo che tende a considerare solo una parte del tutto...quando invece lui crede che si stia facendo una domanda di senso generale.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: viator il 19 Ottobre 2017, 13:14:30 PM
per Il_Dubbio : molto ragionevole. Naturalmente è facile dimostrare che il tempo non esiste. Anzi, non è proprio. (Devo trascurare la distinzione - pur fondamentale) tra i termini essere-esistere-insistere).

Il passato? Non è (più).
Il futuro? Non è (ancora).
Il presente? Non è semplicemente poiché non si tratta di una dimensione temporale, ma di un limite, di un confine privo di dimensione tra il passato ed il futuro.

Ed è giusto e comprensibile perché sia così: il tempo, al di fuori della nostra personale sensibilità, non esiste.
Esso è semplicemente la dimensione e la modalità psichica con la quale percepiamo gli effetti dell'esistenza dell'energia.
Così come lo spazio (anch'esso non esiste !) il quale è la dimensione psichica con cui percepiamo gli effetti dell'esistenza della materia.

Naturalmente i fisici non saranno d'accordo. Essi utilizzano continuamente i parametri spazio-temporali per illustrare il funzionamento del mondo. Senza tali parametri crollerebbe tutto.

Giusto anche questo. La fisica prevede la presenza di un fisico da una parte e del mondo dall'altra. Tali ingredienti sono rigorosamente indispensabili (NO mondo, no fisica - NO fisici, no fisica). Inoltre essa è basata sulle quattro classiche dimensioni sopra accennate: materia, energia, spazio, tempo.

In ciò che viene osservato (il mondo esterno al fisico) troviamo la materia e l'energia.
Nell'osservatore troviamo la percezione spazio-temporale, strumento interpretativo degli incessanti flussi di espansione e reciproca trasformazione di materia ed energia.

Quindi il mondo fisico privo di osservatori avrà solo due dimensioni. La propria sostanza(corpo), cioè la materia.....e la propria forma (anima), cioè l'energia.

Naturalmente materia ed energia (sostanza e forma per il mondo, corpo ed anima per l'uomo spiritualista), inestricabilmente connesse, rappresentano infine l'unicità, il monismo, il Tutto, l'Assoluto, Dio.............ma tale dimensione unica ed originaria del Mondo non è indagabile da noi poiché siamo appunto ingabbiati nella prigione bipolare costituita dal DENTRO DI NOI opposto al FUORI DI NOI.

Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: viator il 27 Ottobre 2017, 21:28:44 PM
Saluti a tutti: per Sgiombo: non ho certo riso per gli interventi di qualcuno e men che meno per i tuoi, visto che affermo di non aver praticamente letto il corpo degli argomenti. La mia ilarità (peraltro moderata) è stata generata unicamente dal titolo il quale, al di fuori della sua interpretazione filosofica, è privo di senso corrente..

Secondo la mia personale definizione del verbo essere (la condizione per la quale le cause generano i propri effetti) il nulla non può essere poichè è privo sia di cause che di effetti.

Buona serata.
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: sgiombo il 28 Ottobre 2017, 09:26:23 AM
Comunque non ci sarebbe stato bisogno di scusarsi per avere riso di me (e credo di altri): penso che non si debba eccedere nel prendersi sul serio.

Ma la tua definizione di "essere" mi sembra piuttosto confacente al concetto di "divenire ordinato secondo modalità o leggi universali e costanti".
Titolo: Re:Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Inserito da: viator il 29 Ottobre 2017, 23:18:49 PM
Bravo Sgiombo. Ecco affrontato il QUID di qualsiasi discussione: essa diventa inutile, anzi nociva quando animata da troppe persone che si prendono troppo sul serio.