Paul mi scuserà se prendo in prestito la sua domanda, rivolta a tutti noi in un altra discussione. Paul si riferiva al fatto che l'uomo è così raffinato, complesso, unico, da apparire difficile che sia venuto sulla terra "per caso" o tramite l'evoluzionismo. Nessun altra specie vivente effettivamente oggi ha le sue caratteristiche, non necessariamente ben armonizzate con la finalità della sopravvivenza. Ma fino a 40.000 anni fa vi erano almeno altre tre specie viventi molto simili ad homo sapiens, al punto che di due abbiamo tracce anche nel nostro dna, prova che all'epoca vi furono scambi di materiale genetico. Si trattava di specie diverse che potevano però generare insieme una progenie. Sto parlando di homo neanderthalensis e homo denisoviana. All'epoca e ancor di più nel passato sono esistiti tantissime specie homo, riassunte oggi nel termine "ominini", ma solo alcune di loro hanno realizzato una cultura ed una tecnologia avanzata. Dire pertanto che "solo" l'uomo è arrivato a questo non è esatto. Nel Borneo è stata scoperta una nostra famiglia di ominini, chiamata homo florensiensis, alto circa un metro, che sapeva manipolare il fuoco e andava a caccia con arco e frecce. Le scaglie di selce per cacciare sono state trovate in nostri progenitori, lontani nel tempo di circa un milione di anni e non erano homo sapiens.
Sul fatto che i virus sono ancora virus ci sarebbe molto da dire, visto che i virus sono una delle prove più evidenti della teoria evoluzionistica, dato che mutano il loro profilo genetico ogni anno (quello dell'influenza). Il fatto che noi siamo noi, le scimmie sono le scimmie e le balene, balene dipende da una distorsione temporale. Alcuni milioni di anni fa le balene erano diverse ed anche le scimmie. Dai dinosauri si sono evoluti tutti gli uccelli che ci volano intorno, ma le differenze morfologiche sono notevoli.
Il fatto che nessuno ci abbia copiato, dipende proprio dalla natura dell'uomo combinata con una regola evoluzionistica, studiata da Lorenz, relativa all'aggressività intra ed extraspecifica. Alcune teorie propongono come causa dell'estinzione di homo neanderthalensis proprio homo sapiens, visto che eravamo competitori e ormai entrambi all'apice della catena alimentare. Homo sapiens ha sicuramente fatto estinguere molti animali, che ha cacciato senza pietà e riuscendo a sopraffarli grazie alla tecnologia e alla cooperazione altamente specializzata.
I famosi fringuelli delle Galapagos, dai quali Darwin trasse la sua teoria, sono la prova più chiara possibile della efficacia della teoria evoluzionistica nello spiegare le dinamiche biologiche nel corso del tempo. E' ovvio che si tratta di una teoria che non ci descrive più come i padroni del mondo, destinati a questo ruolo da un progetto metafisico superiore. Siamo qui, così come siamo, abbastanza per caso. Perchè la natura sperimenta con quello che ha e ha tanto, tanto tempo a disposizione. Per qualche miliardo di anni (per l'esattezza 3) sulla terra sono esistiti solo batteri, inizialmente addirittura batteri per i quali l'ossigeno era un veleno, visto che allora l'atmosfera era molto diversa. Mezzo miliardo di anni fa, vi fu l'esplosione del cambriano, con la generazione di tantissimi diverse specie animali (phyla). Nulla sappiamo dei virus, che non lasciano alcuna impronta fossile a differenza dei batteri, e infatti vi è ancora la disputa se sono precedenti temporalemente i virus o i batteri.
Sul come è nato il cervello, devo sottolineare che è nato proprio in concomitanza con l'esplosione del cambriano. Tutti gli esseri viventi, infatti, ad eccezione di quelli più arcaici e delle piante, hanno un cervello ed un sistema nervoso centrale, che ricalca nelle sue funzioni quello umano, anche se in modo ovviamente più semplice. La natura con gli ominini ha provato ad espandere quelle funzioni, il che non è detto che sia stata una mossa intelligente ed in ogni caso ogni specie animale (compreso l'uomo) è destinata ad estinguersi. Lasceremo un'eredità genetica a chi verrà dopo di noi, così come noi condividiamo parte del nostro dna, adirittura con l'albero delle banane.
La lezione più affascinante dell'evoluzionismo è proprio in questo nostro essere tutti collegati ed uniti dalle stesse leggi biologiche, da una elica di istruzioni per il montaggio degli organi che si modifica casualmente e per necessità attraverso l'interazione con l'ambiente (presente in tutte, proprio tutte, le forme di vita, vegetali ed animali che siano e perfino nei virus, che non sono neppure esseri viventi, visto che non hanno un proprio metabolismo)
Salve alexander. La ragione per la quale alcune specie biologiche sembra non si evolvano ed altre (oppure una sola altra ?) invece lo facciano...................è banalissima.
L'ordine naturale prevede che - qualsiasi cosa succeda in futuro - per garantire la sopravvivenza della vita è sufficiente stabilire due pricipi :
- Innovare, modificare, generare novità casuali.............in modo da fornire un "senso" (umanamente non penetrabile) all'esistenza della vita e dello stesso mondo fisico. Questo aspetto si chiama appunto evoluzione e (falsamente, visto che non possiamo conoscerne la destinazione.....anzi, chela destinazione manca) progresso.
- Contemporaneamente però, custodire una specie di "copia di riserva" degli originali, conservando ciò da cui - in caso di scomparsa di quello che si è evoluto - si possa in ogni caso ripartire nel costruire la variegatezza della natura. Queste sono le specie che non mutano o che mutano assai lentamente (andate avanti voi, che a noi scappa da ridere !) e tutti gli altri aspetti che noi, nella ridicola limitatezza della nostra prospettiva temporale, troviamo immobili o conservativi.
La natura quindi è libera di sbizzarrirsi in modo prodigioso poichè mantiene sempre il controllo sulle basi di tanta variegatezza. In caso di catastrofi non ci sarà bisogno di scomodare Dio per una seconda Creazione !. Saluti.
Solo l'uomo è arrivato a questo perché ha raggiunto l'apice della piramide alimentare, soggiogando le altre specie più evolute in termini di sopravvivenza e dominio del territorio.
Non ha ottenuto tale risultato grazie a massa, muscoli, zanne e artigli, ma alla tecnica che divenne elemento fondativo del suo destino immanente. E tale rimane anche oggi di fronte ad ogni sfida per la sopravvivenza che sopraggiunga.
L'artificio tecnico a sua volta presuppone un sistema biologico raffinato, sia dal punto di vista cognitivo (snc) che strumentale (arti, posizione eretta, fonazione). Un sistema capace di evolversi in relativa autonomia rispetto alla regolamentazione genetica (dna) che lo ha generato. Tale autonomia abbiamo denominato cultura e si colloca come una seconda direttrice del processo evolutivo generale.
La cultura a sua volta trasforma continuamente l'etologia umana, alimentando i processi etici (comune radice semantica e ontologica: ethos) che rispondono alle variazioni ambientali, intese tanto in senso naturalistico che sociale, le quali sono di stimolo continuo ai processi cognitivi.
In conclusione, siamo un sistema biologico che si alimenta ben oltre il tratran naturalistico, ipotecando processi di entropia negativa che travalicano quelli già in essere nella formazione di organismi biologici, nella costituzione della cellula, ovvero in quella scommessa cosmica "contronatura", entropicamente negazionista, che fu la comparsa della vita.
E se Anassimandro ci rammenta che quel filo dovremo alfine pagarlo - fatte salve varie ed eventuali galattiche e terrestri - continueremo a tesserlo a pegno finchè non lo annichiliremo con le nostre mani, bocche e organi riproduttivi.
Io una volta ho letto una teoria molto interessante e convincente sulla causa dell'intelligenza umana. La riassumo brevemente, no ricordo la fonte, ma è qualcuno di illustre, non una roba presa così da internet.
La specie umana, confrontata con quella di molti altri grandi mammiferi (cavallo, gorilla, elefante eccetera) ha una gestazione più breve, di prole indifesa che non può sopravvivere autonomamente per un lungo tempo e dipende dalle cure genitoriali e del groppo etnico di riferimento per poter sopravvivere, la prole umana viene gettata nel mondo oggettivamente "non ancora formata" se con "essere formati" si intende camminare autonomamente, comprendere e usare il linguaggio della propria specie e imparare a procurarsi il cibo ed essere autonomi in un tempo relativamente breve, come fanno tutti gli altri animali, il cui lo svezzamento dei cuccioli tramite il gioco e le simulazioni di caccia dura molto di meno di quello dei bambini umani o è del tutto inesistente.
Quindi la nostra grande intelligenza connessa a linguaggio e tecnologia, deriverebbe dal poter applicare, nei primi momenti di vita, al mondo esterno una percezione e una elaborazione dei dati di coscienza di tipo sostanzialmente fetale ed embrionale, rivolta però ad un ambiente extrauterino, e quindi estremamente più variabile, ricco di stimoli e pericoloso di come sarebbe quello uterino, insomma con l'uomo abbiamo un embrione "mancato", che fa esperienze da embrione, ossia altamente plasmanti le sinapsi e gli altri aspetti micro-fisici dell'organismo, in un ambiente niente affatto tipico di un embrione o di un feto perché tale ambiente è già, in relativo "anticipo", l'ambiente terrestre esterno; insomma la grande intelligenza umana è una conseguenza dell'incontro "felice" tra la plasmabilità di un essere ancora in formazione e la ricchezza infinita dell'ambiente terrestre e culturale relativo ad altri umani amichevoli che un tale essere in formazione può trovare.
Tale teoria mette insieme l'intelligenza logica con quella emotiva e la cosiddetta empatia, perché essere precoci e poter applicare un'intelligenza plasmabile al mondo esterno, è adattivo solo se la famiglia o il branco si prendono cura del piccolo, dato che la precocità, pur essendo prerequisito di intelligenza si paga con l'alto costo essere indifesi e restarvi per anni, quindi perché il rapporto costo beneficio resti valido, il branco umano deve continuare ad occuparsi con abnegazione di cuccioli che si svezzano in un tempo di anni, lunghissimo rispetto a quello di altri mammiferi, quindi a riflettere un po' su questo si vede benissimo come intelligenza "fredda", logica, quella che a volte può portare a scoprire ed applicare armi e mezzi di sfruttamento micidiali, ed intelligenza empatica volta ad amare l'altro o quanto meno a solidarizzare, siano due aspetti del medesimo processo: l'uomo è intelligente perché precoce, ma i precoci in generale in natura, sopravvivono solo in un contesto dove i loro simili sono in grado di amare e solidarizzare, altrimenti essere precoci per quanto chiave dell'intelligenza, resterebbe sempre comunque svantaggio e la natura continuerebbe a selezionare i più autonomi e i più rapidi nello svezzamento: la strana inversione di tendenza per cui ad essere selezionati sono viceversa i più precoci, ci può essere solo quando le cure parentali e l'amore delle seconde generazioni verso le prime si sono affermati come obbligo morale stabile e universale in tutta la specie.
Quindi non è solo l'intelligenza che ci porta a sopperire a non avere armi naturali, grande resistenza eccetera, e quindi costruiamo armi, riparo, artifici vari e conquistiamo il vertice della catena alimentare, l'intelligenza selezione gli intelligenti tramite le cure parentali, è come dire che un ipotetico feto umano di dieci mesi, e non di nove, terminerebbe la sua conformazione fisica, e quindi anche psichica, in un modo rigidamente deterministico, viceversa il nostro reale feto di nove, si struttura in un modo almeno in parte manchevole di qualche tratto di sviluppo necessario e dunque in un modo indeterminato rispetto alla maggior determinazione che potrebbe avere essendo gestato più a lungo, ad esempio se fossimo cavalli, o elefanti, e questa indeterminazione è la chiave della straordinaria intelligenza umana, poiché quei tratti che non si sviluppano come determinati, si sviluppano come correlati alle mutevoli condizioni ambientali e rispondenti ad esse nella loro varietà e complessità.
Intelligenza è non essere determinati dall'istinto, e in noi l'istinto si sviluppa meno per il trauma di una separazione connessa alla nascita anticipata, e questo vuoto di istinto, questo quanto indeterminato di istinto che viene meno, lo ricolmiamo con la nostra intelligenza, che altro non è che indeterminazione rispetto all'istinto, gestazione in compiuta in senso lato.
@ Niko.
Condivido in gran parte, anche se la plasmabilita' del cervello, che fino a ieri si riteneva sparisse di fatto nell'uomo dopo i sei mesi di vita , si è dimostrato recentemente non sparisca mai.
Il nostro cervello continua a modificarsi con una capacità che diminuisce con l'età, ma senza che vi sia un salto significativo nella sua variazione nel corso della vita.
Ma non credo che questa capacità in se' ci distingua in modo diretto, ma indiretto , come dirò,dagli animali e non credo neanche che la chiave per comprendere la nostra specificità sia quella di una maggiore intelligenza a spese dell'istinto, perché non tutte le parti del nostro cervello sono ugualmente plasmabili, e quella dove è codificato l'istinto di fatto non lo è , per noi , come per gli animali.
Non è neanche in assoluto una questione di dimensioni del cervello, ma questione di quanta parte di questo possa modificarsi in modo vantaggioso senza compromettere la funzionalità dei sensi, nella misura in cui questi sono indispensabili alla sopravvivenza nella nicchia di appartenenza.
La plasmabilita' dei cervelli comporta che parti di esso riservati a certe funzioni essenziali, possono si utilmente avere diversa destinazione, ma a patto di non perdere quelle funzioni, che devono quindi essere delegati ad altro che sia fuori dal cervello.
Così ad esempio uno scimpanzé non può rinunciare nella giungla ad una capacità visiva enormemente superiore alla nostra, mentre noi possiamo portare quella funzione fuori di noi grazie alla tecnica, e convertire ad altro uso la parte del cervello destinata alla vista, altro uso a cui siamo soliti associare appunto l'intelligenza.
Per il,resto continuiamo a vivere in una giungla, anche se urbana, dove in parte i vecchi istinti continuano a salvarci la vita, seppur dimostrandosi più o meno utili al nuovo contesto.
Se abbiamo potuto sviluppare una bassa opinione degli istintii il motivo è che quasi mai ci rendiamo conto del lavoro che fanno. Cioè non ne abbiamo molta coscienza...e se no che istinti starebbero?
Senza di essi la probabilità di finire arrotati al primo attraverso stradale della mattina recandosi al lavoro porterebbe l'INPS immediatamente in positivo nell'arco di un giorno..
Nello specifico esempio il senso che ci salva è l'udito, un vero senso salvavita di raffinatezza "inaudita" laddove per quello che risulta alla coscienza la vista sarebbe il nostro miglior senso.
Sentiamo, senza aver coscienza di sentire, e facciamo un salto indietro che ci salva.
Siamo soliti dire che abbiamo evitato la macchina avendola vista, ma non è così. È semmai che del senso della vista possediamo maggior coscienza e questo ci inganna, perché la coscienza si limita all'aver visto la macchina.
Infatti con le macchine elettriche silenziose sono aumentati gli investimenti, ma è stato calcolato essere sufficiente reintrodurre artificiosamente un decimo del rumore del vecchio motore per riportare il tasso di mortalità per investimenti a quello precedente all'introduzione della macchine elettriche.
Anch'io ho fatto riferimento mnemonico ad un testo letto tempo fa'.
Se siete interessati provo a recuperare titolo e autore.
Il nostro cervello ,e anche quello degli animali , può essere considerato certamente in parte come un attrezzo.
Noi ci distinguiamo quantitativamente dagli animali, per il fatto che abbiamo sostituito in maggior parte rispetto ad essi il cervello visto come attrezzo, con attrezzi della tecnica.
C'è quindi effettivamente un salto notevole fra noi e gli animali, ma non è di tipo qualitativo ma lo interpretiamo così nella misura in non conosciamo la natura del salto.
La nostra conoscenza è piena di questi salti erroneamente interpretati, tanto che ormai avremmo dovuto farci furbi, se davvero intelligenti siamo, chiedendoci ogni volta che ci troviamo in presenza di apparenti sostanze diverse, quale sia la natura del salto che diverse ce le fa' apparire.
Tante volte abbiamo affermato di essere noi i più furbi , che ormai avremmo dovuto farci davvero furbi, riplasmando parte del nostro cervello e rivedendo in parallelo la nostra cultura di conseguenza.
Il mio invito è che non si lasci che la innocente alienazione fisica decisa dalla nostra evoluzione specifica ( l'essere individui diffusi e non racchiusi dentro una superficie chiusa) non diventi una disastrosa alienazione psichica. Non c'è nessun buon motivo perché ciò avvenga.
Può non essere facile accettarsi per quel che si è, figurandosi altro da se', ma non esistono alternative ad essere se stessi, se non nella illusione alimentata dall'ignoranza, che la coscienza rende possibile mostrando i suoi contro.
Nulla agisce a senso unico in natura.
Lawrence D. Rosenblum- lo straordinario potere dei sensi.
Questo il libro cui ho fatto riferimento.
In esso si afferma che la plasmabilita' del cervello non solo risulta sostanzialmente immutata con l'età, ma che la sua risposta è immediata.
Sperimentalmente si è visto che basta ticchettare un po' con un dito per avere riscontro di una modifica, ma la reversibilità delle modifiche è inversamente proporzionale all'entità delle cause che l'hanno generata.
In questa ottica si possono vedere gli istinti come modifiche del cervello sedimentate da lungo tempo, difficilmente modificabili quindi nel breve tempo seppur il cervello risponde subito agli stimoli che lo modificano.
A me pare di vedere nell'evoluzione culturale agire meccanismi simili, laddove non basta una dimostrazione logica , non basta l'evidenza contraria , a modificare convinzioni sedimentatesi nel tempo.
È l'eterno gioco fra progresso e conservazione , dove questa ultima a volte appare irrazionale, ma che ha il suo buon motivo di essere giungendo le sue ragioni da molto lontano.
Così si contrappongono giovane scienza e vecchia saggezza , in una partita arbitrata dal tempo.
Vincono sempre i giovani , come ha da essere,ma la partita è sempre più dura del previsto, e lo spettacolo quindi sempre garantito.
Vorrei darvi come riferimento un altro libro, ma questo davvero non lo ricordo.
L'autrice è una scienziata, che senza volere è diventata ta oggetto di un suo esperimento.
Essa si riteneva una persona priva di difetti sensoriali.
Paradossalmente infatti, ad esempio, credeva di vedere il mondo in tre dimensioni, quando scopri occasionalmente di vederlo in due dimensioni.
Ma neanche tanto occasionalmente perché il suo difetto , prima di apparire tale, rientrava nel campo dei suoi studi.
L'esperimento è consistito quindi nel verificare se , grazie alla plasmabilita' del cervello, mettendo in pratica le nozioni della sua specializzazione scientifica, non potesse rimodellare la sua percezione da 2d a 3d, e se ve lo racconto il motivo è che ci è riuscita.
Ci sono casi eccezionali in cui i ciechi dalla nascita acquistano la vista, ma questo è l'unico caso in cui, chi gia' vedeva , inizia a rivedere presentandosi alla sua vista un mondo che non poteva immaginare così meraviglioso.
Infatti tutto quel che ricordo del titolo del libro è che contiene il termine "rivedere".
Non si può dire un testo rigorosamente scientifico, ma il racconto di una esperienza personale incredibile.
Tornando al potere dei sensi, finora da noi ignorato nella sua entità, esso non si esplica in una classifica funzionale di importanza fra i diversi sensi, ma nel fatto che nessuna sensazione può attribuirsi in modo esclusivo ad un solo senso, collaborando sempre essi fra loro nel produrre qualunque sensazione.
Così ad esempio sentiamo con gli occhi, e ciò si traduce anche nella cosciente abilità del saper leggere il labiale.
Ma come è stato dimostrato non si tratta di una abilità prettamente cosciente, anche se può diventarlo.
Cioè non interpretiamo il labiale traducendolo in parole, ma sentiamo quelle parole.
Per cui in questo tempo di mascherine , non potendo sentire con gli occhi, molti sordi si saranno scoperti ancora più sordi, e quelli che ci sentono bene ci sentono un po' meno bene, al netto della diminuita diffusione del suono attraverso la mascherina.
Il motivo per cui oggi siamo in grado di ovviare con relativa abilità ad ogni accidentale sopravvenuta cecità risiede nel fatto che non è difficile convincere la parte di cervello restata orfana del relativo a senso a riconvertirsi a supporto dei rimanenti sensi, in quanto è un lavoro che in parte faceva già.
Un cieco totale in un buio totale ci " vede" molto meglio di un vedente.
Mi piace che l'hai definito "questo", senza dargli un valore positivo o negativo, neanche nell'esposizione. In ogni caso, mi sembra chiaro che tutta la famiglia homo fosse in grado di manipolare la materia inorganica per via della postura eretta e il pollice opponibile, "sapiens" aggiunge un livello metafisico, probabilmente coadiuvato dalle capacità di linguaggio dovute alla completa postura eretta e l'angolo tracheale che permetteva una migliore vocalizzazione, e sviluppa la capacità di manipolare geneticamente il contesto una volta appreso come chiamarlo per nome, il resto segue semplicemente a cascata, compreso i razzi sulla luna. Segue a cascata perchè siamo assolutamente convinti della nostra abilità di fare pezze, anche quando noi stessi siamo gli autori del buco, è uno strano meccanismo di autoconvincimento.
Per esempio oggi stiamo magnificando la nostra abilità di aver trovato un vaccino al Covid nel giro di pochi anni (la pezza), poco importa se si tratta di un virus che sarebbe stato complemente irrilevante per i nostri antenati e siamo noi stessi ad esserci resi vulnerabili ad esso (il buco). Se continuiamo così, non ci fermeremo mai, e la nostra abilità di manipolare geneticamente la natura ci incatenerà in un infinito circolo vizioso di pezze e buchi.. Ma fra mille anni, vedremo se a bullarsi saremo noi, o gli "stupidi" tardigradi, e chi sarà effettivamente sopravvissuto su questa terra.
Provo a sbrogliare due questioni filologiche:
Citazione di: niko il 25 Aprile 2021, 16:51:18 PM
Io una volta ho letto una teoria molto interessante e convincente sulla causa dell'intelligenza umana. La riassumo brevemente, no ricordo la fonte, ma è qualcuno di illustre, non una roba presa così da internet.
[...]
Quindi la nostra grande intelligenza connessa a linguaggio e tecnologia, deriverebbe dal poter applicare, nei primi momenti di vita, al mondo esterno una percezione e una elaborazione dei dati di coscienza di tipo sostanzialmente fetale ed embrionale, rivolta però ad un ambiente extrauterino, e quindi estremamente più variabile, ricco di stimoli e pericoloso di come sarebbe quello uterino, insomma con l'uomo abbiamo un embrione "mancato", che fa esperienze da embrione, ossia altamente plasmanti le sinapsi e gli altri aspetti micro-fisici dell'organismo, in un ambiente niente affatto tipico di un embrione o di un feto perché tale ambiente è già, in relativo "anticipo", l'ambiente terrestre esterno; insomma la grande intelligenza umana è una conseguenza dell'incontro "felice" tra la plasmabilità di un essere ancora in formazione e la ricchezza infinita dell'ambiente terrestre e culturale relativo ad altri umani amichevoli che un tale essere in formazione può trovare.
Alludi alla «prematurità fisiologica» (intesa come "gestazione extrauterina passata nell'incubatrice della società") di Adolf Portmann?
Citazione di: iano il 25 Aprile 2021, 21:36:48 PM
Vorrei darvi come riferimento un altro libro, ma questo davvero non lo ricordo.
L'autrice è una scienziata, che senza volere è diventata ta oggetto di un suo esperimento.
Essa si riteneva una persona priva di difetti sensoriali.
Paradossalmente infatti, ad esempio, credeva di vedere il mondo in tre dimensioni, quando scopri occasionalmente di vederlo in due dimensioni.
Ma neanche tanto occasionalmente perché il suo difetto , prima di apparire tale, rientrava nel campo dei suoi studi.
Il libro è forse «Vedere e rivedere» di Susan Barry?
Esatto. Grazie.
Credo Niko intendesse prematuri in confronto agli altri animali, ai quali occorre aggiungere "culturalmente" poco altro all'istinto ereditato..
Ogni generazione è responsabile del suo "questo", della sua pezza e del compito ingrato di tappare i buchi ricevuti in eredità dalle generazioni precedenti. Non è escluso che si impari a fare pezze migliori con meno buchi. Di certo non sarà bigpharma a tappare i buchi. Un ritorno alla natura, alla sua corporeità e selezione, è auspicabile se non vogliamo diventare una razza di cariatidi farmacodipendenti.
Citazione di: Ipazia il 25 Aprile 2021, 23:16:08 PM
Ogni generazione è responsabile del suo "questo", della sua pezza e del compito ingrato di tappare i buchi ricevuti in eredità dalle generazioni precedenti. Non è escluso che si impari a fare pezze migliori con meno buchi. Di certo non sarà bigpharma a tappare i buchi. Un ritorno alla natura, alla sua corporeità e selezione, è auspicabile se non vogliamo diventare una razza di cariatidi farmacodipendenti.
Se mi alleno per la corsa aumento le probabilità di vincerla ma anche di non correrla per infortunio in allenamento.
Se prima della corsa abbiamo tempo libero come lo impieghiamo?
Somiglia questo ad uno dei problemi che ama porci Eutidemo. 😅
L'unica certezza è che i buchi la natura prima o poi c'è li propone autonomamente , anche senza che noi là si provochi per sport.
In un modo o nell'altro un giorno ci svegliamo insieme al leone e alla gazzella, e ci tocca correre tutti insieme su un accidentato percorso naturale, e vince chi arriva per ultimo al traguardo segnato dell'estinzione.😄
Magari però è solo una staffetta e dobbiamo essere abili solo a passare il testimone che abbiamo ricevuto.
Citazione di: Phil il 25 Aprile 2021, 22:59:01 PM
Provo a sbrogliare due questioni filologiche:
Citazione di: niko il 25 Aprile 2021, 16:51:18 PM
Io una volta ho letto una teoria molto interessante e convincente sulla causa dell'intelligenza umana. La riassumo brevemente, no ricordo la fonte, ma è qualcuno di illustre, non una roba presa così da internet.
[...]
Quindi la nostra grande intelligenza connessa a linguaggio e tecnologia, deriverebbe dal poter applicare, nei primi momenti di vita, al mondo esterno una percezione e una elaborazione dei dati di coscienza di tipo sostanzialmente fetale ed embrionale, rivolta però ad un ambiente extrauterino, e quindi estremamente più variabile, ricco di stimoli e pericoloso di come sarebbe quello uterino, insomma con l'uomo abbiamo un embrione "mancato", che fa esperienze da embrione, ossia altamente plasmanti le sinapsi e gli altri aspetti micro-fisici dell'organismo, in un ambiente niente affatto tipico di un embrione o di un feto perché tale ambiente è già, in relativo "anticipo", l'ambiente terrestre esterno; insomma la grande intelligenza umana è una conseguenza dell'incontro "felice" tra la plasmabilità di un essere ancora in formazione e la ricchezza infinita dell'ambiente terrestre e culturale relativo ad altri umani amichevoli che un tale essere in formazione può trovare.
Alludi alla «prematurità fisiologica» (intesa come "gestazione extrauterina passata nell'incubatrice della società") di Adolf Portmann?
Citazione di: iano il 25 Aprile 2021, 21:36:48 PM
Vorrei darvi come riferimento un altro libro, ma questo davvero non lo ricordo.
L'autrice è una scienziata, che senza volere è diventata ta oggetto di un suo esperimento.
Essa si riteneva una persona priva di difetti sensoriali.
Paradossalmente infatti, ad esempio, credeva di vedere il mondo in tre dimensioni, quando scopri occasionalmente di vederlo in due dimensioni.
Ma neanche tanto occasionalmente perché il suo difetto , prima di apparire tale, rientrava nel campo dei suoi studi.
Il libro è forse «Vedere e rivedere» di Susan Barry?
Sì esatto, hai ricordato l'autore che spiega l'intelligenza umana in questo modo, con l'idea di un essere prematuro che continua a svilupparsi in un ambiente terrestre e sociale, laddove il suo sviluppo "ideale" sarebbe uterino, ed è ovvio che ad uno sviluppo uterino corrisponde un quanto di istinto determinato, legato alle modalità corporee ormai definite a seguito dello sviluppo, ad uno sviluppo extrauterino invece corrisponde un quanto di istinto "libero", indeterminato, non legato alle modificazioni corporee, che potrebbe spiegare l'intelligenza.
Quindi è sempre un grado di istinto "libero", slegato dalla sua funzione originaria che genera l'intelligenza nell'uomo, che sia istinto libero grazie alla tecnologia, che soddisfa i bisogni basilari per cui prima erano indispensabili la sensorialità acuta e l'istinto, o che sia istinto libero in conseguenza dell'essere prematuri.
Ma in realtà in molte illustri teorie in cui c'è un sovrano a-morale e molto più potente dei suoi sudditi, un padre padrone interiorizzato o esteriore, penso a Freud, Hobbes, in parte anche Hegel e Nietzche, propongono una situazione in cui solo il sovrano si comporta per istinto, mentre tutti gli altri, proprio in quanto sudditi, sono legati a un destino intelligente e tecnologico perché viceversa l'essere, o il tentare di essere, altrettanto istintuali del sovrano corrisponderebbe alla sfida diretta al sovrano e dunque alla morte o destino di morte, è dunque il terrore per il dominio e per la realtà del dominio, che nega o introietta un quanto di istinto tale in ogni suddito da cui può poi sorgere l'intelligenza o la tecnologia; l'ultimo grado della gerarchia umana è sempre il corpo, e anche i servi, quelli che non possiedono nulla in termini di potere e di prestigio, possono, una volta acquisito lo stile di vita disciplinare e ascetico della loro stessa società, possedere e dominare il loro corpo.
Se il sovrano è e resta istintivo, unico radicalmente diverso, e quindi unico istintivo, tra un gregge che egli stesso plasma, nel suddito il terrore dell'istintivo in generale è il terrore per la figura del sovrano in particolare, che li porta ad essere legalitari e tecnologici, quindi in senso lato intelligenti, mentre la mente del sovrano è e resta inattingibile, si manifesta solo tramite ordini che in quanto "ordinati" la società stessa, pur potendo essere istintivi, conseguenza di istinto, agli occhi del sovrano, non lo sono mai agli occhi dei servi e dei sudditi, che devono reprimere il loro stesso istinto per accoglierli e obbedire ad essi.
In linea generale, potrei dire che fin dai tempi della Genesi come racconto biblico, l'imposizione di un comando è una repressione dell'istinto che si attua e viene vissuta come tale nel comandato, perché l'istinto è determinazione univoca, hai istinto di far una cosa x, e la fai, hai istinto di mangiare, mangi, di dormire, dormi, mentre ogni ordine o domanda proveniente dall'altro è, anche nella sua forma minima, un aut aut, o fai x o fai y, o mi obbedisci, o non mi obbedisci, o mangi il frutto proibito, o non lo mangi, quindi l'istinto si distoglie dalla sua forma "normale", ordinaria, di portare a un risultato univoco, secondo la forma elementare del bisogno, e si libera nella nuova condizione del dover portar a un risultato molteplice, almeno duale, a seguito della conoscenza del comando e dell'accesso a una dimensione di desiderio, e quindi cessa di essere istinto proprio cessando di avere destinazione univoca, e diventa spazio vuoto nell'interiorità, in cui può, almeno potenzialmente nascere l'intelligenza o comunque l'altro dall'stinto, il suo almeno parziale trascendimento.
Indico alcune perplessità sulla natura umana che ritengo solo di impronta naturale come corpo, ma non come mente.
1) L'uomo è l'essere per natura mancante di armi di difesa e di attacco , non è abbastanza veloce, non ha zanne o artigli , non ha pelle, "scudi" esterni, ecc. Gli insetti ad esempio sono molto più specialistici di noi , è appunto lo specialismo che la natura non ha dato all'uomo
2) l'intelligenza è ciò che caratterizza l'uomo, il suo specialismo con le due aree linguistiche : broca e werniche e una muscolatura e innervazione della laringe che modula la fonazione , la voce. Quindi capisce e risponde con la voce
Il punto è: è la natura che spinge una specie naturale, l'unica , a non avere armi naturali, bensì attraverso il linguaggio lo sviluppo della cognizione, del mentale?
Tassonomicamente l'uomo con la sua mente è fuori da ogni classificazione per quanto si voglia classificarlo nel regno animale, poiché l'intelligenza animale non è classificabile (quanto è intelligente un panda, una formica, un cane.....?), non è il parametro della classificazione.
Il problema ,detto altrimenti, è se la natura nella sua regola interna, contempla l'intelligenza come forma di difesa e attacco e se si accetta questa tesi non capisco allora perché non si derivi che:
a) la natura ha un finalismo e quindi la natura è intelligente e tende ad animali più intelligenti;
b) perché se la natura dota di un'intelligenza , e intendo la possibilità di un linguaggio ,quindi un cervello atto evolutivamente , che sviluppa il mentale, solo all'uomo è accaduto? La storia naturale se si ritiene ominidi quei "pitecantropi" viene da milioni di anni , in tutto questo tempo solo una specie ha avuto in dotazione il linguaggio complesso?
Concludo dicendo che ritengo ancora scientismo ( la teoria evolutiva è stata strumentalizzata ideologicamente dal positivismo facendo pensare che la storia è "progresso", progressione temporale) e non scienza il tentativo di dare senso a questa storia perché manca una unica teoria "forte" e non ingenua che colleghi :
1) osservazione morfologica, fisiologica
2) genetica e le sue regole (es. i piselli di Mendel), cioè la trasmissione dei caratteri
3) la biologia molecolare DNA e RNA
Perchè considerazioni sulle mutazioni ,come ho scritto altrove, non ammettono facilmente che un organismo si trasformi . Le cellule tumorali, la difficoltà di gestire le cellule staminali , lo stesso sistema immunitario, dimostrano che un organismo tende a conservarsi piuttosto che a trasformarsi e tutto ciò che non rientra nella "normalità", come una cattiva registrazione dei ribosomi che duplicano la sequenza elicoidale delle quattro basi azotate del DNA.
Figuriamoci pensare che un pesce diventa rettile e un rettile uccello. E le fasi intermedie come verrebbero gestite da quell'organismo? Sappiamo che le metamorfosi ad esempio dell'insetto, in larva, pupa e insetto adulto, sono soprattutto il secondo stadio come in "letargia" ed inerme ad attacchi.
Figuriamoci come si potrebbero nascondere animali di grossa mole.
Insomma ho mille perplessità sulla coerenza della storia naturale degli organismi , figuriamoci poi sulle teorie sull'uomo.
L'Rna o Dna di un virus, fa poco testo rispetto a qualunque essere complesso. Il coronavirus è un organismo che è "fra la vita e la morte" . Non è nemmeno unicellulare, perché non è una vera e propria cellula , mancano i costituenti interni di una cellula come un batterio. E' incapace di di duplicarsi da solo, per vivere deve entrare in cellule di organismi ospiti, vincere il loro sistema immunitario difensivo, rubare il ribosoma che è il "registratore" del DNA della cellula ospite, duplicarsi e scappare velocemente da quell'organismo per infettare altri. Se considerate una cellula come un castello ,lui deve superare le mura di cinta , vale a dire la membrana cellulare , infatti le mutazioni spike del covid sono sulla proteina che si "attacca" alla membrana e crea il varco per passare internamente.
Lui è costretto a rimanere un essere semplice e non trasformarsi in cellula , la natura perderebbe la specificità di un essere che seleziona , quindi la sua estrema semplicità di codificazione delle sue sequenze del DNA o RNA è atto e specializzato per mutarsi, ma proprio per adattamento agli ospiti da infettare. Per questo passano spesso da volatili (uccelli e pipistrelli) a mammiferi e poi magari l'uomo e lo fanno ricodificandosi come DNA o RNA.Come scrissi a suo tempo, non è affatto vero che gli organismi viventi tendano a trasformarsi tassonomicamente in classi, ordini diversi saltando la specie e il genere. Se fosse stato così anche il coronavirus si sarebbe spinto a diventare umano e la vita naturale muore se si perdono le specificità per cui batteri trasformano e decompongono il materiale organico mineralizzandolo o costruendo simbiosi come il lichene (simbiosi fra alga e fungo) che è un organismo pioniere. Ognuno ha un ruolo specifico di generazione di vita e morte e rigenerazione del ciclo di vita naturale dell'intero ecosistema.
Quindi queste trasformazioni da pesce a rettile a uccello, eccetera.....non le capisco come scienza ,ma come semplici ipotesi.
La natura come la intende Paul11 semplicemente non esiste. Non vi è alcun progetto, intenzionalità, dietro l'homo sapiens ma solo biechissima, inconsapevole, evoluzione che ha selezionato caratteristiche che si sono rivelate vincenti in ambito evolutivo. La selezione è puramente di tipo darwiniano. Vi fosse stato un animale supersapiens avremmo fatto la fine dei neanderthal.
Nel corso di centinaia di migliaia di anni abbiamo perso pure quegli elementi somatici di difesa e offesa, incluso il pelo, divenuti inutili per la nostra sopravvivenza, ancora pronunciati negli altri primati superiori. I quali pure loro hanno perso gli artigli che sarebbero stati di intralcio all'uso ottimale delle mani.
L'intelligenza in sè non garantisce alcun successo evolutivo. Lo garantisce solo quando impara ad usare la mano come nella prima scena di 2001 odissea nello spazio.
CitazioneQuindi queste trasformazioni da pesce a rettile a uccello, eccetera.....non le capisco come scienza ,ma come semplici ipotesi.
Libero di pensare come vuoi, ci mancherebbe ma le dimostrazioni a favore della teoria evoluzionistica sono ormai tantissime. La genetica è stata la conferma definitiva, tanto che si usa il termine di neo-evoluzionismo, per distinguerlo da quello darwiniano (che comunque aveva intuito molte delle scoperte confermate solo di recente). Tanto per fare un esempio vi è un pesce ancora vivo e vegeto, che è un chiaro testimone del passaggio della vita vertebrata dal mare alla terraferma. Si chiamano dipnoi e hanno avuto un successo di specie rispetto al quale dobbiamo solo inchinarci, visto che loro sono qua da 400 milioni di anni, mentre noi da appena 200 mila anni (lo 0,05 per cento del loro tempo di vita filogenetico). Questo pesce oltre alle branchie ha anche i polmoni. Non molto evoluti ma che gli permettono un doppio metodo di respirazione. Un chiaro esempio di passaggio, di sperimentazione genetica, fatta non nei laboratori ma da Madre Natura.
https://it.wikipedia.org/wiki/DipnoiAltro esempio, ma potrei continuare ancora a lungo. I cinodonti sono una specie di dinosauro appartenente all'ordine dei Terapsidi, che sono un possibile anello di congiunzione con i mammiferi. Infatti sono i primi animali che allattano al seno la loro prole. Pur continuando a deporre le uova. Stessa particolare situazione che caratterizza gli ornitorinchi, anche se dubito che siano imparentati con i cinodonti. La natura, a volte, ripercorre la stessa strada, se ciò è conveniente allo sviluppo della vita.
https://it.wikipedia.org/wiki/CynodontiaDirei che la teoria evoluzionistica, allo stato attuale, è scienza, ed anche piuttosto "dura". Chi si oppone a questa semplice constatazione lo fa per motivi suoi, forse perchè questa teoria è collegata all'idea che cancelli "Dio". Da questo punto di vista direi invece che l'idea di Dio non ne resta intaccata, poichè rimane insoluto e misterioso il passaggio dalla materia inorganica a quella organica. Sono stati fatti molti esperimenti e avanzate molte teorie, che però restano fragili. Chi o cosa ha attivato lo sviluppo dei primi batteri anaerobi e aerobi che hanno popolato la terra, da indiscussi signori, per tre miliardi di anni e che sono i nostri primordiali antenati, non è dato sapere.
Sembra paradossale che noi si pretenda di affermare verità su ciò che è una astrazione, l'umanità.
Pure la scienza lo fa', ma con molti se e molti ma, sapendo che il valore di ciò che afferma eredità i limiti delle necessarie ipotesi poste a premessa.
Parliamo in genere di esseri viventi che possono farsi rientrare dentro a diverse categorie in base a criteri arbitrari.
Possiamo allargare e restringere queste categorie a piacere variando i criteri di inclusione, e queste sono le premesse su cui si basa la teoria dell'evoluzione, con tutti i limiti che ne conseguono.
Basterebbe osservare ciò per destituire di fondamento l'ipotesi creazionista dell'umanità , perché essa si basa su una umanità che viene data per ovvia, che non necessità cioe' di criteri che la delimitino definendola.
Se usiamo criteri più liberali ci allarghiamo ai mammiferi, fino a giungere alla categoria che racchiude i viventi.
Potremmo allora spostare l'ipotesi creaziomista ai viventi, chiedendoci come è nata la vita.
Ma a rigore , anche così , non stiamo uscendo dal gioco delle arbitrarie categorizzazioni..
Se va' bene, ammesso e non concesso, ci ritroviamo di fronte a una variegata moltitudine di viventi , individui che dovremmo poter tutti nominare se pretendiamo di conoscerli.
Ciò ovviamente è impossibile se non raggruppandoli secondo possibili criteri, dando nome ad ogni gruppo.
Quindi l'umanità la creiamo noi. O meglio noi creiamo il criterio, e da quello poi discende l'umanità , e ben sappiamo come questi criteri siano cambiati nel tempo, di modo che chi oggi rientra nella categoria umana, ieri non vi rientrava.
Con l'aumentare delle conoscenze la scelta dei possibili criteri si è allargata, aggiungendo alle somiglianza fisiche l'analisi del DNA, e così via, così che al mutare delle conoscenze possiamo "creare" sempre nuove specie cui dare nuovi nomi.
Così la creazione continua ad "agire".
Da un punto di vista filosofico abbiamo a che fare con un vecchio vizio.
Prima ci inventiamo le cose e poi ci convinciamo che esistano davvero , fino a giungere al paradosso di chiederci come sono nate.
Come se davvero non lo sapessimo.
Nella misura in cui l'uomo esiste ha senso chiedersi come sia nato.
Nella misura in cui sia una astrazione ha senso chiedersi solo come sia nata l'astrazione.
La nostra conoscenza procede per astrazioni, ma non di tutte le astrazioni abbiamo coscienza.
Le conoscenze cui giunse Euclide nei suoi elementi di geometria erano vere perché evidenti erano le sue premesse.
Ma oggi nessun matematico qualifica come evidenti le premesse da cui parte.
Gli uomini continuano però ancora a farlo nel loro procedere non rigoroso.
Poco male, tutto ciò continua ad avere un senso, ma solo finché non pretendono di affermare verità assolute.
Si può continuare a credere quel che si vuole per fede, ma questa è tutta un altra storia.
Non posso non chiedermi se chi si ostina a portare prove alla propria fede sia un vero credente.
La risposta è che ciò' è possibile perché non esistono veri credenti, e veri non credenti, dato che dividere gli uomini in cedenti e non credenti è una astrazione a sua volta, dove però il criterio di inclusione rimane libero e soggettivo, non dovendosi da esso trarre conoscenza condivisibile alcuna..
Ognuno è libero di aderire.
Da ciò non trarremo conoscenza alcuna , come dal saper come si dividono i milanesi fra interisti e milanisti, che, se specie fossero, sarebbero ben strane.😅
Milanisti e interisti non sono specie diverse perché nulla di significativo li distingue, e le specie nascono appunto dall'esigenza di distinguere fra loro, a fini conoscitivi , i viventi,, dandogli così un nome , nei limiti in cui ci è possibile farlo, , cosa che Dio stesso , a quanto pare, ci ha lasciato come compito. Poteva farlo lui, ma non lo ha fatto.
L'analisi del dna e le opposte tifoserie allo stadio non sono astrazioni. Sono fatti secondo la definizione che ne diede L.Wittgenstein. Fatti che costituiscono il mondo nella sua immanenza e materialità.
L'aporia idealistica la risolse già Cartesio con l'indubitabilità del cogito, posta la quale rimangono criteri di qualità del pensiero, verificabili nell'adaequatio rei ut intelligam. Con la quale adaequatio si chiude il cerchio semantico del significato (referente, significato, significante) tornando ai fatti e al mondo di LW.
Ciao Ipazia.
Perdonami se non riesco a seguirti per mancata comprensione dei tuoi termini tecnici, ma certamente io non do' all'astrazione una connotazione negativa.
Semplicemente affermo che non può esistere conoscenza senza astrazione, per cui in essa va' cercata l'origine di ogni cosa che conosciamo.
Attraverso essa effettivamente ci inventiamo cose che non esistono, ma che hanno una corrispondenza funzionale con la realtà.
Non sempre però ciò ci appare evidente, come appare evidente quando decidiamo i criteri che definiscono una specie.
Il fatto che le inventiamo le cose non significa che sono gratuite, ma che possono essere determinate con relativi gradi di libertà.
Possiamo chiederci quale sia l'origine di ogni cosa, ma avendo la coscienza che la risposta dipende dalle libertà definitorie che ci siamo presi, almeno quando ne abbiamo coscienza, e questa coscienza col tempo mi pare in genere si sia accresciuta, e non mi è chiaro da cosa nasca la ritrosia ad usarla.
Ma con un tale punto di vista , se lo si abbraccia, l'ipotesi creazionista è incompatibile.
Mi sarei aspettato una convergenza fra le tue e le mie idee, ma probabilmente non ho ben capito cosa intendi, per miei limiti.
Posso non avere coscienza dell'astrazione che porta all'uomo perché essa non nasce dalla necessità di chiedere ad ogni individuo vivente se tifa per l'uomo, mentre non posso non avere coscienza del fatto che i milanisti sono una astrazione.
Infatti per costruire quel gruppo di tifosi devo intervistare tutti i viventi, e quindi non posso non sapere quello che faccio.
Per fortuna siamo in grado di dividere i viventi in specie con criteri più praticabili.
Da dove viene l'uomo?
La domanda ha senso completo se il concetto di uomo viene "da se'" , se cioè non è una costruzione arbitraria.
Siccome per me lo è, allora la domanda in assoluto non ha senso per me.
Nell'ambito della teoria evoluzionistica ha invece il senso preciso che deriva dalla precisa definizione data della specie uomo.
Salve Iano. Citandoti : "Sembra paradossale che noi si pretenda di affermare verità su ciò che è una astrazione, l'umanità".
L'umanità è una categoria fondata su di una molteplicità di concretezze Ciò che è astratto è il CONCETTO DI CATEGORIA, non la umanità in sè nel suo complesso, la quale è semplicemente un concretissimo insieme di concretezze particolari (i suoi componenti). Auguri.
Citazione di: iano il 27 Aprile 2021, 11:25:40 AM
Possiamo chiederci quale sia l'origine di ogni cosa, ma avendo la coscienza che la risposta dipende dalle libertà definitorie che ci siamo presi, almeno quando ne abbiamo coscienza, e questa coscienza col tempo mi pare in genere si sia accresciuta, e non mi è chiaro da cosa nasca la ritrosia ad usarla.
Nasce dal rischio della notte in cui tutti i gatti, o le vacche, sono neri. La libertà definitoria trova il limite in un sapere trasversale definito
semantica, il quale ha il merito di non sprofondarci in quella sindrome nota fin dagli antichissimi tempi denominata "torre di babele", la quale ci priva dello strumento più importante del nostro successo evolutivo.
CitazioneMa con un tale punto di vista , se lo si abbraccia, l'ipotesi creazionista è incompatibile.
Ni, perchè se sdoganiamo tutto restituiamo ai numi una legittimità che oltrepassa i loro meriti, obiettivamente asseverabili.
CitazioneMi sarei aspettato una convergenza fra le tue e le mie idee, ma probabilmente non ho ben capito cosa intendi, per miei limiti.
Intendo che non si possono forzare i livelli semantici del discorso oltre un certo limite. Se il "tutto" culturale può essere ridotto ad una rappresentazione della psiche umana, che chiamiamo astrazione, non ogni astrazione ha lo stesso peso di fronte alla realtà, la quale costituisce uno zoccolo duro a prescindere dalla nostra modalità astrattiva.
CitazionePosso non avere coscienza dell'astrazione che porta all'uomo perché essa non nasce dalla necessità di chiedere ad ogni individuo vivente se tifa per l'uomo, mentre non posso non avere coscienza del fatto che i milanisti sono una astrazione. Infatti per costruire quel gruppo di tifosi devo intervistare tutti i viventi, e quindi non posso non sapere quello che faccio.
Ma anche no. "uomo" e "milanista" sono realtà oggettivamente riscontrabili nel livello di realtà in cui hanno senso. Ed infatti entrambe le definizioni sono perfettamente comprensibili a chi in quel livello di realtà si collochi. Il nonsenso inizia se io postulo un cane milanista. E tutto ciò senza dover intervistare nessuno, ma semplicemente descrivendo situazioni reali in natura e allo stadio.
CitazionePer fortuna siamo in grado di dividere i viventi in specie con criteri più praticabili.
Appunto
CitazioneDa dove viene l'uomo?
La domanda ha senso completo se il concetto di uomo viene "da se'" , se cioè non è una costruzione arbitraria.
Siccome per me lo è, allora la domanda in assoluto non ha senso per me.
Arbitraria, ma con gradi diversi di arbitrio; e probabilità: sulla base dei riscontri forniti dal mondo reale.
CitazioneNell'ambito della teoria evoluzionistica ha invece il senso preciso che deriva dalla precisa definizione data della specie uomo.
Confermata pure dalla biologia genetica la quale risponde in maniera persuasiva anche alla domanda da te posta. Almeno fino all'avvento della vita nell'universo. Rimane il mistero solo sul salto dall'inanimato all'animato. Dubbio sul quale fingere ipotesi senza riscontro sperimentale è hybris insensata. Come insegna il venerabile Newton quando, lasciato l'abito mentale del credente, indossava quello dello scienziato.
Citazione di: viator il 27 Aprile 2021, 13:00:03 PM
Salve Iano. Citandoti : "Sembra paradossale che noi si pretenda di affermare verità su ciò che è una astrazione, l'umanità".
L'umanità è una categoria fondata su di una molteplicità di concretezze Ciò che è astratto è il CONCETTO DI CATEGORIA, non la umanità in sè nel suo complesso, la quale è semplicemente un concretissimo insieme di concretezze particolari (i suoi componenti). Auguri.
Io concordo sia con te che con Ipazia.
Forse non mi sono espresso felicemente, ma non trovò un modo migliore di dirlo.
L'umanità è una astrazione , relativamente alla conoscenza che ne abbiamo, è una astrazione, che ha un concreto corrispondente reale.
Forse il tenere distinto, ma collegato, ciò che è da ciò che conosciamo è un concetto filosofico nuovo?
In effetti nella mia ignoranza non saprei rispondere.
Fatto sta che quando ci chiediamo quale sia l'origine dell'uomo inevitabilmente ci riferiamo a ciò che conosciamo, che non coincide con ciò che è.
Non sempre ciò ci appare evidente, ma non dovrebbe essere questo il nostro caso.
Insomma, mi sembra evidente che esistono diversi modi di definire una specie, quindi al di fuori della sua definizione non esiste alcuna specie.
Più che ignoranza parlerei di atavico feticismo dell'essere. Presente tanto nei grandi della filosofia (il noumeno, ovvero cosa in sè, nella sintesi kantiana) che nelle domande fondamentali che tutti gli umani si pongono appena riescono a mettere in funzione le loro genetiche funzioni logiche.
Eppure i greci avevano già risolto la questione, sia a livello ontologico che epistemologico, nella coincidenza tra ciò che esiste (ta panta) e l'essere, postulata da Parmenide e corretta epistemologicamente, per il residuo cono d'ombra metafisico, da Protagora, col metron.
Alla fine della licenza metafisica tocchiamo la realtà nella sua corporeità materiale che il nostro sapere ci consegna, qui ed ora, sapendo che un sapere superiore è non solo possibile, ma inevitabile. Mentre nel frattempo quello che abbiamo basta e avanza per vivere ed incrementare la nostra sapienza attraverso il passaggio stretto e inesorabile della conoscenza. Dea mutevole ed errante, come Eraclito insegna. Ma non al punto da non offrirci le sue grazie se la sappiamo accompagnare nell'impegnativo viaggio verso l'ignoto.
Rimosso il fantasma della cosa in sè, ogni cosa è illuminata dall'unico sole disponibile nell'arco del nostro limitatissimo, ma intenso, presente di mortali.
@ Ipazia.
Mi limito a sottolineare il riferimento che fai ai diversi gradi di astrazione , come causa che con diverso grado di evidenza fa' apparire le cose, quando evidenza appare, in vece di coscienza, dal che nasce il senso delle cose in se'.
Penso che il fatto di fare uso smodato di coscienza fra tutti i viventi ci faccia dimenticare che non tutto ciò che facciamo ed elaboriamo passa per la coscienza, che in se' comporta solo un modo diverso di fare le cose.
Così diversa ci appare la natura delle cose, passando dal materiale all'etereo.
Infine, se le buone teorie trovano conferma da fatti ignoti quando le si è elaborate, ciò dovrebbe rassicurarci che viviamo in una realtà concreta , se relativamente pochi fatti noti bastano ad agganciarla,facendoci sentire coerenti ed aderenti ad essa.
Il senso delle cose in sè è innato, ma sophia va oltre l'apparenza e la percezione fino al punto di scoprire l'insostenibilità fisica e metafisica di tale sensazione, quando essa cerchi di porsi come paradigma assoluto della ricerca. Per salvare capra (realtà) e cavoli (teoria) non resta che contestualizzare i livelli di reale in sistemi chiusi in cui possiamo trattare le cose e i fatti come (se fossero) in sè. Tale esercizio non è meramente intellettualistico, ma ci permette di agire efficacemente sulla realtà quanto più abbiamo azzeccato le relazioni causa effetto che costituiscono i fatti, rendendoli riproducibili.
Riproducibili induttivamente se desunti dai processi naturali e deduttivamente se programmati in eventi artificiali di nostro interesse fondati sulle induzioni riconfermate. Il resto del discorso è la lezione di Popper sulla falsificazione. Altra bella picconata alla cosa in sè metafisica, che non ci impedisce di conoscere e agire efficacemente sul mondo circostante, così come abbiamo imparato a navigare anche prima di conoscere la legge di Archimede. La quale aggiunge nuove possibilità progettuali alla nostra navigazione. Ovvero: progresso. E tutto ciò senza l'ipotesi cosa in sè.