CitazioneQui vi mostro un embrione che spero di dare alla vita con questo topic:
"la razionalità è un linguaggio umano che verosimilmente,, ma non certamente, corrisponde ad una realtà., non è natura.Ovvero è un linguaggio simulativo umano per costruire modelli di rappresentazione del mondo e le sue relazioni."
Diceva paul11 impregnato dall'astrattismo kantiano.
Mia tesi: "Il reale è razionale: la razionalità è propria della natura, non è solo un linguaggio simulativo dell'uomo"
Il concetto di causa effetto è dato dal tempo, dal cambiamento di un oggetto nel tempo dopo aver subito un azione. Dalla differenza del suo stadio iniziale rispetto a quello finale subendo un azione.
Diciamo che una cosa è causa di un altra perché è agente che ha modificato lo stadio iniziale di quella cosa.
Senza il concetto del tempo non potrebbe esserci quello della causalità.
Nell'universo tetradimensionale che sperimentiamo la causalità non è funzione, ma è conseguenza del tempo.
Perché la razionalità è un linguaggio umano?
"Il termine razionalità, dal latino"ratio"indica l'essere in una logica sequenziale stabilita. " Da wikipedia
Perché la razionalità è comune agli esseri che percepiscono il tempo
Perché la razionalità appartiene anche agli enti inanimati, che non possono percepire la dimensione del tempo?
Perché non si possono percepire meno delle dimensioni che noi percepiamo, queste infatti non hanno riscontro nella realtà. Nella realtà sperimentiamo le 4 dimensioni (convenzioni con riscontro nel reale), ma ciò non è imputabile alla struttura della nostra mente ma a quella della realtà.
Il fatto che noi percepiamo 4 dimensioni è indicatore che la realtà sia formata da queste 4 dimensioni, non solo per gli esseri razionali (o animali) ma anche per gli enti inanimati.
Detto in modo sintetico: Non siamo noi fatti in modo strano, è il mondo ad esserlo.
La razionalità è comune agli esseri che sono "immersi" nel tempo
Kant parla di cose astratte che non hanno riscontro nel reale
Immagino che tu abbia scritto questo post usando il tuo cervello.
Anche questa mia risposta è stata scritta usando il mio cervello.
Come facciamo a sapere se tu o io siamo stati ingannati dai nostri cervelli? Per verificare ciò non c'è modo di farlo che non sia a sua volta inquinato dall'uso del nostro cervello. Anche se ci serviremo di strumenti scientifici, tutto ciò che tali strumenti diranno dovrà comunque passare alla fine attraverso il filtro del nostro cervello. È impossibile per l'uomo controllare alcunché senza usare il proprio cervello. Perciò è impossibile stabilire se, in che cosa e in che misura il nostro cervello ci inganna. Di conseguenza è umanamente impossibile parlare di realtà, meccanismi, rapporti indipendenti dal nostro modo di immaginarli.
Per quanto riguarda, per esempio, il rapporto di causa ed effetto, qualunque sia il modo in cui lo comprendiamo, tale modo sarà sempre filtrato dal nostro cervello, quindi ultimamente incontrollabile, ultimamente non verificabile riguardo alla sua eventuale falsità, al suo essere nient'altro che un inganno. Anche su tutte le cose che ti sto scrivendo adesso non ho alcuna possibilità di controllo, poiché me le sta dettando il mio cervello e non ho alcun modo di controllare il mio cervello senza usare esso stesso, il quale però è proprio l'indagato, il sospettato.
Io, te e tutti quanti nel mondo potremmo essere nient'altro che dei pazzi che pensano e dicono follie in continuazione; non ci sarebbe alcun modo di verificare ciò.
Citazione di: Angelo Cannata il 13 Dicembre 2016, 02:03:43 AM
Io, te e tutti quanti nel mondo potremmo essere nient'altro che dei pazzi che pensano e dicono follie in continuazione; non ci sarebbe alcun modo di verificare ciò.
Diciamo pure che anche se è vero che i "pazzi" si sentono completamente a loro agio nella loro forma mentis che considerano LA Realtà, ci sono alcune caratteristiche che ce li fanno considerare come "pazzi".
- vivono attraverso piani di realtà incomunicabili ad altri esseri viventi
- non riescono a sfruttare la realtà a sufficienza nemmeno per sopravvivere (se non aiutati)
Insomma, relativizzare è un conto, ma l'idea che potremmo essere tutti pazzi è assurda. Siamo arrivati sulla luna, questo significa che per quanta distanza possa esserci tra noi e la realtà, la nostra comprensione del mondo è sufficientemete accurata dal poterci permettere di sfruttarla come nessun altro essere senziente a noi conosciuto. Non puoi impugnare un bastone se ti mancano le mani. E questo a mio avviso è dato proprio dalla nostra capacità di interagire con la dimensione temporale della realtà. Che non è detto che sia "l'ultima", ma con queste 4 si combina qualcosina.
Ciò che si confonde a mio avviso, è il linguaggio, l'espressione della razionalità, con la razionalità stessa che è insita nelle cose.
Sono quindi d'accordo con Voltaire per la maggior parte, e anche molto interessato allo sviluppo del thread visto che proprio ultimamente mi sto interessando di linguaggio e tetradimensionalità. In particolare le posizioni sul linguaggio di Wittgenstein, Cioran e Chomsky che magari sarebbe utile far entrare nel thread al momento opportuno.
Citazione di: Angelo Cannata il 13 Dicembre 2016, 02:03:43 AM
Immagino che tu abbia scritto questo post usando il tuo cervello.
Anche questa mia risposta è stata scritta usando il mio cervello.
Come facciamo a sapere se tu o io siamo stati ingannati dai nostri cervelli? Per verificare ciò non c'è modo di farlo che non sia a sua volta inquinato dall'uso del nostro cervello. Anche se ci serviremo di strumenti scientifici, tutto ciò che tali strumenti diranno dovrà comunque passare alla fine attraverso il filtro del nostro cervello. È impossibile per l'uomo controllare alcunché senza usare il proprio cervello. Perciò è impossibile stabilire se, in che cosa e in che misura il nostro cervello ci inganna. Di conseguenza è umanamente impossibile parlare di realtà, meccanismi, rapporti indipendenti dal nostro modo di immaginarli.
Per quanto riguarda, per esempio, il rapporto di causa ed effetto, qualunque sia il modo in cui lo comprendiamo, tale modo sarà sempre filtrato dal nostro cervello, quindi ultimamente incontrollabile, ultimamente non verificabile riguardo alla sua eventuale falsità, al suo essere nient'altro che un inganno. Anche su tutte le cose che ti sto scrivendo adesso non ho alcuna possibilità di controllo, poiché me le sta dettando il mio cervello e non ho alcun modo di controllare il mio cervello senza usare esso stesso, il quale però è proprio l'indagato, il sospettato.
Io, te e tutti quanti nel mondo potremmo essere nient'altro che dei pazzi che pensano e dicono follie in continuazione; non ci sarebbe alcun modo di verificare ciò.
CitazioneIn che senso "si usa" il cervello?
In che senso i cervelli possono "ingannare"?
I cervelli sono organi che ricevono impulsi elettrici, tramite i nervi sensitivi, dagli organi si senso, in seguito a sollecitazioni (fisiche) di questi ultimi da parte di enti ed eventi materiali - naturali, li "elaborano " ed emettono impulsi elettrici lungo i nervi motori, i quali provaocano contrazioni muscolari.
Di più non fanno.
In particolare non pensano.
I pensieri (le sensazioni interiori o mentali dei pensieri, le quali costituiscono i pensieri), esattamente come gli oggetti materiali (le sensazioni materiali o esteriori che costituiscono le "cose materiali" sentite o percepite, esperite) fanno parte della coscienza (l' esperienza cosciente) e non sono propriamente prodotti o causati dai cervelli, i quali (nell' ambito della parte materiale-naturale delle esperienze fenomeniche coscienti) producono o causano propriamente soltanto contrazioni muscolari; o al limite secrezioni ghiandolari).
E' vero che non ci possono essere pensieri senza cervelli vivi e funzionanti (ma nemmeno viceversa). Però si tratta di cose diverse, semplicemente coesistenti necessariamente e biunivovìcamente corrispondenti (ogni certo, deternìminato stato di coscienza corrisponde a un certo, determinato stato funzionale cerebrale e a nessun altro, e ogni certo, determinato stato funzionale cerbrale di un certo tipo -non quelli di quando si dorme senza sognare- corrisponde a un certo, determinato stato di coscienza e a nessun ad altro. Ma ciò non significa affatto che cervelli ed esperienze fenomeniche coscienti siano la stessa cosa (non più del fatto che polo positivo e polo negativo di un magnete siano la stessa cosa per il fatto che necessariamente non si dà l' uno senza l' aìtro).
Nè tantomeno significa che la coscienza (e in particolare i pensieri) siano nel cervello (ove ci sono solo neuroni, assoni, potenziali d' azione, ecc.: tutt' atre cose!).
Sono invece i cervelli ad essere nelle esperienze coscienti (di chi li osserva; e solitamemte non di quelle a ciascun cervello vivo e funzionante necessariamente biunivocamente corrispondenti.
MI scuso per il mio continuare a battere su queste questioni nonappena me se ne offre l' occasione, anche in discussioni che vertono su altri argomenti (e mi appello alla pazienza dei frequentatori del forum, che mi rendo conto di mettere a dura prova), ma questo é uno dei probemi filosofici che più mi interessano.
Per quanto riguarda il rapporto causa-effetto vale la crirtica humeiana per la quale non é mai dimostrabile induttivamente in quanto nesso universale necessario fra eventi (la prossima volta le cose potrebbero andare altrimenti -sempre, quante che siano le volte che il nesso é stato finora puntualmente e immancabilmente osservato- dal momento che l' ipotizzarlo non é autocontraddittorio).
Rispondo a tutti e 3 con una frecciatiana per Angelo.
Anzitutto ritengo utile distinguere il dualismo analitico da quello kantiano.
In Kant non vi è alcun astrattismo.
Nessun idea di un mondo rappresentativo.
O meglio la rappresentazione sarebbe il giudizio sul trascendentale.
Laddove ripeto il trascendentale, non è il trascendente.
Il trascendentale è il luogo dell'incontro tra il REALE che Kant chiama la cosa in sè (DAS DING) e le apercezioni, che si risolvono esattamente nella categoria spazio-temporale.
Per Kant è la ratio dello spazio a determinare quella del tempo. Esattamente che come per Hegel.
(quindi viene a cadere già sin dal suo sorgere l'argomentazione del 3d riguardo un presunto astrattismo kantiano).
Dunque la razionalità per Kant è la categoria, ossia la DIVISIONE delle sensazioni a seconda del GIUDIZIO.
Ora nel nostro specifico caso però potremmo bypassare il fatto squisitamente teorico secondo una sana storia della filosofia, e invece cercare di intendere quale sia la reale contrapposizione che vige nella mente di Voltaire.
Ossia le posizioni di rappresentazione idealiste, che considerano l'oggetto essenzialmente come mentale.(sono le posizioni dualiste della filosofia americana, anche se da noi per lo più sconosciute).
A mio parere però sarebbe utile distinguerle da quella kantiana, cosa che purtroppo sempre avviene in Italia, con grossolane approsimazioni.
Il punto delle filosofie analitiche è come sappiamo che esse si soffermano sui principi linguistici che informano le nostre azioni mentali.
In che misura vengono determinate o determinao la genealogia del mentale? E in fin dei conti penso sia la vera domanda sottesa al 3d.
E quindia andiamo ad analizzare le posizioni finora emerse.
cit .Voltaire
"Mia tesi: "Il reale è razionale: la razionalità è propria della natura, non è solo un linguaggio simulativo dell'uomo"
A una prima vista sembrerebbe una posizione Hegeliana, però e questo sarebbe interessante saperlo, bisogna vedere se Voltaire intenda la natura come carattere positivo, e in quel caso la domanda sarebbe chi pone il concetto di Natura: è una Auto-poiesi? una supposizione? il risultato dialettico di una sintesi che superi la negatività?
La mia posizione che piano piano si sta delineando è che invece la Natura nel contesto Hegeliano sia esattamente il NEGATIVO, è perciò pura forma, se proprio vogliamo appiattire il discorso, è una supposizione.
Qundi anche per me la Natura non sarebbe un prodotto del linguaggio simulativo, posto e non concesso che non si intende bene che diavolo sia il linguaggio simulativo.
Io direi molto più semplicemente il LINGUAGGIO tout-court.
cit .Voltaire
"Nell'universo tetradimensionale che sperimentiamo la causalità non è funzione, ma è conseguenza del tempo."
Esattamente come per Kant. La categoria temporale viene prima di ogni altra.
cit .Voltaire
Perché non si possono percepire meno delle dimensioni che noi percepiamo, queste infatti non hanno riscontro nella realtà. Nella realtà sperimentiamo le 4 dimensioni (convenzioni con riscontro nel reale), ma ciò non è imputabile alla struttura della nostra mente ma a quella della realtà.
Questa frase non è molto intellegibile, e mi aspetto ulteriori spiegazioni.
Certo a me pongono una serie virtualmente infinta di domande. In che senso non possiamo percepire meno delle dimensini del reale??????
Meno vorrebbe dire che non posso percepire una figura in 2 dimensioni????? Eppure io un quadro pittorico per esempio lo riesco sempre a percepire.
E sopratutto cosa sarebbe questo reale???? a unire le argomentazioni iniziali sembrerebbe la NATURA. Ma anche in questo caso cosa sarebbe la Natura?????
Al di là della problematicità delle definizioni, certamente noi percepiamo esattamente quelle che percepiamo, ma questo non vuol dire che non possiamo esplorare, anzi direi proprio sperimentare, con un esperimento scientifico, la realtà di dimensioni superiori alla quarta, se non proprio fuori dal paradigma tetradimensionale, come nel caso dell'intera fisica nucleara o quantistica.
cit .Voltaire
Il fatto che noi percepiamo 4 dimensioni è indicatore che la realtà sia formata da queste 4 dimensioni, non solo per gli esseri razionali (o animali) ma anche per gli enti inanimati.
Ma non è affatto vero, basti pensare alla doppia natura della luce che è un onda ed è un corpuscolo. Ed è evidentemente un ente.
Come può un corpo essere 2 cose se fosse solo tetragramma, e quindi suppongo doverebbe essere solo corpuscolo????
La dimensione spazio-temporale come diceva sempre il mio prof di fisica, quella meccanica, è sì ancora quella che bene o male, è quella esperita da tutti e rimane la più importante per le nostre vite quotidiane, ma questo non vuol dire affatto che sia l'unica "realtà".
cit .Voltaire
Detto in modo sintetico: Non siamo noi fatti in modo strano, è il mondo ad esserlo.
Posizioni paranoide che si avvicina allo schizoidismo...attenzione amico mio! Noi non siamo DIO!
cit. Angelo Cannata
Di conseguenza è umanamente impossibile parlare di realtà, meccanismi, rapporti indipendenti dal nostro modo di immaginarli.
Salvo poi andare al panettiere e ogni mattina ordinare la propria michetta. Certo la michetta è solo una immaginazione, che sazia però.
cit InVerno
Ciò che si confonde a mio avviso, è il linguaggio, l'espressione della razionalità, con la razionalità stessa che è insita nelle cose.
Sono ASSAI d'accordo ma allora poi come puoi essere d'accordo con Voltaire, che dice l'esatto opposto?
E sopratutto come fai a essere d'accordo con le posizioni linguistiche di Witgenstein e Chomosky che credono la realtà sia esattamente una funzione linguistica?
Quindi o ti contraddici o forse devi ripensare la tua prima parte del discorso (con cui tanto eravamo d'accordo!).
cit Sgiombo
pensieri (le sensazioni interiori o mentali dei pensieri, le quali costituiscono i pensieri), esattamente come gli oggetti materiali (le sensazioni materiali o esteriori che costituiscono le "cose materiali" sentite o percepite, esperite) fanno parte della coscienza (l' esperienza cosciente) e non sono propriamente prodotti o causati dai cervelli, i quali (nell' ambito della parte materiale-naturale delle esperienze fenomeniche coscienti) producono o causano propriamente soltanto contrazioni muscolari; o al limite secrezioni ghiandolari).
Beh almeno si comincia a capire meglio la tua posizione (repetita iuvant), e su questo sono ovviamente d'accordo.
cit Sgiombo
e biunivovìcamente corrispondenti (ogni certo, deternìminato stato di coscienza corrisponde a un certo, determinato stato funzionale cerebrale e a nessun altro, e ogni certo, determinato stato funzionale cerbrale di un certo tipo -non quelli di quando si dorme senza sognare- corrisponde a un certo, determinato stato di coscienza e a nessun ad altro. Ma ciò non significa affatto che cervelli ed esperienze fenomeniche coscienti siano la stessa cosa (non più del fatto che polo positivo e polo negativo di un magnete siano la stessa cosa per il fatto che necessariamente non si dà l' uno senza l' aìtro).
Ripeto non sono d'accordo sull'esistenza tout-court di questa bio-univocità.(se no non crederei nel metafisico)
Di certo però una tale semplificazione darebbe adito a future argomentazioni a favore del controllo degli stati mentali.
Cosa caro Sgiombo che è già possibile nel caso della detrazione delle funzionalità-totali umane.
Come nel caso degli apparecchi che si muovono a comando mentale. Oppure i tristi celebri esperimenti di amputazione del cervello fatti da Cartesio in poi (per citarne uno famoso), fino ai moderni farmaci che bloccano alcune reazioni chimice nel cervello, che va bene nel caso di dolore fisico o psichico, ma che ugualmente dà l'idea di una disponibilità del controllo dell'individuo futura (siamo agli albori di tali scienze, almeno a livello pubblico) che apre aspetti etici mica da ridere.
Quindi in un certo senso la teoria della bio-univocità sarebbe abbastanza avvallata. Ma non dà ancora spiegazione alla creazione della "DIVINA COMMEDIA", argomento principale dei filosofi anti-riduttivisti.
cit. Sgiombo
Nè tantomeno significa che la coscienza (e in particolare i pensieri) siano nel cervello (ove ci sono solo neuroni, assoni, potenziali d' azione, ecc.: tutt' atre cose!).
Sono invece i cervelli ad essere nelle esperienze coscienti (di chi li osserva; e solitamemte non di quelle a ciascun cervello vivo e funzionante necessariamente biunivocamente corrispondenti.
Quindi questo ammetterebbe che esistano enti di pensiero o coscienza al di là della specularità del cervello. Che se ho capito bene sarebbe solo un "mirror" all'interno di un insieme di pensieri e coscienza più ampio.
Tra l'altro ti sei dimenticato di dire che quella del mirroring del cervello che esperisce di farlo (il mirroring) è del tutto indimostrabile.
Ma dicendo esperienza secondo me dai adito ai miei dubbi che in realtà la tua sia una posizione monista. Ossia che in effetti questa coscienza altro non sarebbe o è facilmente sostituibile con l'idea che esista solo un mentale. (le posizioni moniste)
A mio modo di vedere invece l'esperito (coscienziale, e non dell'autocoscienza come spesso sento dire) come ben dici tu, si realizza solo e sempre come negativo. Se noi assolutizziamo il negativo come condizione metafisica del cosciente, arriviamo dritti alle posizioni di un Hegel o di un Heideger, posizioni formali sia chiaro, perchè poi loro dalla forma estraggono il senso religioso, e mi sembre di capire a te di queste cose non interessa.(e lo rispetto).
Se proviamo a pensare anche solo al paradigma scinetifico di Kuhn o alle serie peirciane che pensano a fondo l'errore induttivo, abbiamo uno slittamento continuo delle capacità rappresentative umane.(e in fin dei conti la coscienza, il co-scienza, l'essere accompagnati con, con la scienza, con ciò che determino come esperito, entificato e memorizzato, ciò che so, alias, è in fin dei conti ciò che accompagna anche il materialismo storico, la capacità di cambiare anche il modello interpretativo anche sulle base delle nuove informazioni avute.
Solo così e cioè implementando un modello anti-monista in nome della negatività, dell'impossibilità di determinare una biunivocità assoluta, astorica, che possiamo meglio dare possibilità al modello biunivoco che stai costruendo, una capacità di slittare per il meglio.
Come dire che questa biunivocità sia messa costantemente sotto accusa. Il metodo humiano secondo me è un arma potentissima, se indirizzata a capire le serie infinite induttive di Peirce, se perciò il cigno che era sempre bianco all'improvviso nasce nero, NON BISOGNA cadere nel relativismo bieco quello che in nome della non decidibilità NON FA NIENTE, MA BISOGNA invece rimboccarsi le maniche e cercare una nuovo induzione che spieghi il cigno nero.
E in fin dei conti la scienza quando è seria fa esattamente così (salvo applicare un modello deduttivo a partire da presupposti ASSIOMI, ma se la deduzione è gisuta vi sarà sempre una induttività che emergerà da quelle rappresentazione, apparizione, credenza che tu voglia nominare.)
Insomma la bio-univocità che cerchi di descrivermi e che cerco di capire, per superare il mio dubbio, che diventi assoluta, impasse, e in fin dei conti allora monismo, DEVE essere mobile, spostabile all'infinito (fin che siamo vivi) verso una idea di BIUNIVOCITA' esperita come STORICAMENTE determinantesi.
(e quindi per inciso con la possibilità annessa di protestare eticamente alle scelte di detrazione o aggiunta degli stati mentali, cosa che non sarebbe possibile se ci fosse un pensiro unico che invece decida che le posizioni bio-univoche sono SOLO QUELLE che decidono di illustrarci),
In fin dei conti la nostra non amicalità sta solo nel fatto che per me la questione metafisica-religiosa è ancora importante, a livello formale invece forse qualcosoa possiamo fare per intenderci. Forse....perchè mi aspetto il solito...."caro Green non si capisce quello che hai scritto"....e forse hai ragione! saluti!
Da green demetr:
CitazioneA una prima vista sembrerebbe una posizione Hegeliana, però e questo sarebbe interessante saperlo, bisogna vedere se Voltaire intenda la natura come carattere positivo, e in quel caso la domanda sarebbe chi pone il concetto di Natura: è una Auto-poiesi? una supposizione? il risultato dialettico di una sintesi che superi la negatività?
La mia posizione che piano piano si sta delineando è che invece la Natura nel contesto Hegeliano sia esattamente il NEGATIVO, è perciò pura forma, se proprio vogliamo appiattire il discorso, è una supposizione.
Per natura io intendo il reale, senza particolari considerazioni sul suo carattere positivo o negativo
Citazione Perché non si possono percepire meno delle dimensioni che noi percepiamo, queste infatti non hanno riscontro nella realtà. Nella realtà sperimentiamo le 4 dimensioni (convenzioni con riscontro nel reale), ma ciò non è imputabile alla struttura della nostra mente ma a quella della realtà.
Questa frase non è molto intellegibile, e mi aspetto ulteriori spiegazioni.
In che senso non possiamo percepire meno delle dimensioni del reale?(http://www.riflessioni.it.cloud.seeweb.it/logos/Smileys/default/huh.gif)??
Meno vorrebbe dire che non posso percepire una figura in 2 dimensioni?(http://www.riflessioni.it.cloud.seeweb.it/logos/Smileys/default/huh.gif)? Eppure io un quadro pittorico per esempio lo riesco sempre a percepire.
Spiego meglio e correggo la frase "
Perché non si possono percepire meno delle dimensioni che noi percepiamo" in " Perché non ci sono meno delle dimensioni che noi percepiamo" Nella vita di tutti i giorni noi sperimentiamo le dimensioni della profondità, lunghezza, larghezza, e tempo.Un oggetto in 2 dimensioni (lunghezza, larghezza) non esiste se immaginato in un mondo spazialmente tridimensionale, e non può esistere se non si fanno retrocedere le dimensioni del sistema di riferimento. Converrai con me che un rettangolo bidimensionale non esiste nel reale, questo perché il reale è formato da almeno 4 dimensioni.Tu percepisci un dipinto, (e questo stesso dipinto esiste nel nostro mondo) su un quadro perché stai abbassando le dimensioni del tuo sistema di riferimento (il quadro), che viene approssimato ad un piano bidimensionale anche se di fatto non lo è. In questo modo il dipinto può esistere.Non può esistere invece un dipinto senza quadro, ovvero un immagine bidimensionale, in un mondo tridimensionale.
Inoltre se si considera la cosa a livello atomico la bidimensionalità non esiste, un dipinto su un quadro ha uno, seppur minimo e trascurabile, spessore. Ma è assurdo immaginare degli atomi bidimensionali, anche perché tantissime strutture molecolari e particelle si sviluppano in tre dimensioni.
CitazioneE sopratutto cosa sarebbe questo reale?(http://www.riflessioni.it.cloud.seeweb.it/logos/Smileys/default/huh.gif) a unire le argomentazioni iniziali sembrerebbe la NATURA. Ma anche in questo caso cosa sarebbe la Natura?(http://www.riflessioni.it.cloud.seeweb.it/logos/Smileys/default/huh.gif)?
La natura corrisponde al reale.
Poi se ti interessa posso ampliare il discorso del reale ma non lo faccio ora sennò la risposta viene troppo lunga e poco digeribile
CitazioneAl di là della problematicità delle definizioni, certamente noi percepiamo esattamente quelle che percepiamo, ma questo non vuol dire che non possiamo esplorare, anzi direi proprio sperimentare, con un esperimento scientifico, la realtà di dimensioni superiori alla quarta, se non proprio fuori dal paradigma tetradimensionale, come nel caso dell'intera fisica nucleare o quantistica.
Noi possiamo esplorare realtà superiori o inferiori alla quarta ma di fatto ne deriva che:
-
nel reale non esistono certamente dimensioni inferiori alla 4a, ma solo come sistemi referenziali astratti (astratti perché non hanno riscontro nel reale)-
nel reale possono esistere dimensioni superiori alla 4a, ma noi non lo possiamo sapere perché ne rileviamo solo 4CitazioneIl fatto che noi percepiamo 4 dimensioni è indicatore che la realtà sia formata da queste 4 dimensioni, non solo per gli esseri razionali (o animali) ma anche per gli enti inanimati.
Ma non è affatto vero, basti pensare alla doppia natura della luce che è un onda ed è un corpuscolo. Ed è evidentemente un ente.
Come può un corpo essere 2 cose se fosse solo tetragramma, e quindi suppongo doverebbe essere solo corpuscolo?(http://www.riflessioni.it.cloud.seeweb.it/logos/Smileys/default/huh.gif)
Certo, però di certo la luce non è né bidimensionale né monodimensionale né adimensionale.CitazionePosizioni paranoide che si avvicina allo schizoidismo...attenzione amico mio! Noi non siamo DIO!
"Non siamo noi fatti in modo strano, è il mondo ad esserlo." è una delle frasi che usavo per sintetizzare al massimo il pensiero di hegel.Questa frase vuol dire che:
Non percepisco la realtà perché la mia mente è limitata con concetti a priori che mi filtrano il reale
Ma percepisco la realtà perché essa è limitata nelle sue dimensioni (
≥4)Detto in altre parole:Io rilevo le dimensioni del reale, non rilevo il reale tramite le "dimensioni della mia testa"Se io guardo un cubo che cade io percepisco quel cubo poiché rilevo le 4 dimensioni della realtà, non lo percepisco perché l'essenza di quel cubo è altro ma viene filtrata dalla struttura della mia mente in cubo.Poi se è un cubo emette delle radiazioni che non posso percepire direttamente, le potrò percepire innalzando lo spettro/campo d'azione del mio sistema di riferimento, usando un apparecchio o chessò io.L'azione della mente è rilevatrice non "filtratrice" del reale.
Citazione di: green demetr il 13 Dicembre 2016, 17:34:58 PM
cit Sgiombo
e biunivovìcamente corrispondenti (ogni certo, deternìminato stato di coscienza corrisponde a un certo, determinato stato funzionale cerebrale e a nessun altro, e ogni certo, determinato stato funzionale cerbrale di un certo tipo -non quelli di quando si dorme senza sognare- corrisponde a un certo, determinato stato di coscienza e a nessun ad altro. Ma ciò non significa affatto che cervelli ed esperienze fenomeniche coscienti siano la stessa cosa (non più del fatto che polo positivo e polo negativo di un magnete siano la stessa cosa per il fatto che necessariamente non si dà l' uno senza l' aìtro).
GreenDemetr:
Ripeto non sono d'accordo sull'esistenza tout-court di questa bio-univocità.(se no non crederei nel metafisico)
Di certo però una tale semplificazione darebbe adito a future argomentazioni a favore del controllo degli stati mentali.
Cosa caro Sgiombo che è già possibile nel caso della detrazione delle funzionalità-totali umane.
Come nel caso degli apparecchi che si muovono a comando mentale. Oppure i tristi celebri esperimenti di amputazione del cervello fatti da Cartesio in poi (per citarne uno famoso), fino ai moderni farmaci che bloccano alcune reazioni chimice nel cervello, che va bene nel caso di dolore fisico o psichico, ma che ugualmente dà l'idea di una disponibilità del controllo dell'individuo futura (siamo agli albori di tali scienze, almeno a livello pubblico) che apre aspetti etici mica da ridere.
Quindi in un certo senso la teoria della bio-univocità sarebbe abbastanza avvallata. Ma non dà ancora spiegazione alla creazione della "DIVINA COMMEDIA", argomento principale dei filosofi anti-riduttivisti.
CitazioneSgiombo:
Francamente non capisco in cosa consisterebbe la mia "biounivocità": per me la biologia é univocamente materiale, il pensiero univocamente mentale, essendo sia la materialità che la mentalità puramente fenomeniche (e se, come credo non potendolo dimostrare né a maggior ragione mostrare, esiste una realtà in sé o noumeno, questa per un' elementare esigenza di coerenza logica non può essere é né materiale né mentale).
Le considerazioni sul "controllo degli stati mentali" (?) non riesco a capirle per nulla.
A meno che non si tratti del fatto evidentissimo (che sta sotto gli occhi di tutti) che con la chimica e la chirurgia si può alterare un cervello e conseguentemente, essendo necessariamente ogni stato mentale biunivocamente corrispondente a uno stato funzionale cerebrale, ottenere una corrispondente alterazione della coscienza biunivocamente corrispondente a tale cervello..
cit. Sgiombo
Nè tantomeno significa che la coscienza (e in particolare i pensieri) siano nel cervello (ove ci sono solo neuroni, assoni, potenziali d' azione, ecc.: tutt' atre cose!).
Sono invece i cervelli ad essere nelle esperienze coscienti (di chi li osserva; e solitamemte non di quelle a ciascun cervello vivo e funzionante necessariamente biunivocamente corrispondenti.
GreenDemetr:
Quindi questo ammetterebbe che esistano enti di pensiero o coscienza al di là della specularità del cervello. Che se ho capito bene sarebbe solo un "mirror" all'interno di un insieme di pensieri e coscienza più ampio.
Tra l'altro ti sei dimenticato di dire che quella del mirroring del cervello che esperisce di farlo (il mirroring) è del tutto indimostrabile.
CitazioneSgiombo:
Mi sembra che qui tu mi abbia completamente frainteso.Per me esistono enti/eventi di pensiero che non sono riducibili a enti/eventi cerebrali ma ad essi necessariamente coesistono e biunivocamente corrispondono e viceversa.
Che ciò sia del tutto indimostrabile é una vita che lo ripeto fino alla noia.
GreenDemetr:
Ma dicendo esperienza secondo me dai adito ai miei dubbi che in realtà la tua sia una posizione monista. Ossia che in effetti questa coscienza altro non sarebbe o è facilmente sostituibile con l'idea che esista solo un mentale. (le posizioni moniste)
CitazioneSgiombo:
Sono dualista riguardo ai fenomeni: materiali e mentali; monista circa il noumeno.
GreenDemetr:
A mio modo di vedere invece l'esperito (coscienziale, e non dell'autocoscienza come spesso sento dire) come ben dici tu, si realizza solo e sempre come negativo. Se noi assolutizziamo il negativo come condizione metafisica del cosciente, arriviamo dritti alle posizioni di un Hegel o di un Heideger, posizioni formali sia chiaro, perchè poi loro dalla forma estraggono il senso religioso, e mi sembre di capire a te di queste cose non interessa.(e lo rispetto).
CitazioneSgiombo:
Non vedo proprio dove possa aver colto simili affermazioni, che non comprendo (e dunque non possono interessarmi), nelle mie considerazioni.
GreenDemetr:
Come dire che questa biunivocità sia messa costantemente sotto accusa. Il metodo humiano secondo me è un arma potentissima, se indirizzata a capire le serie infinite induttive di Peirce, se perciò il cigno che era sempre bianco all'improvviso nasce nero, NON BISOGNA cadere nel relativismo bieco quello che in nome della non decidibilità NON FA NIENTE, MA BISOGNA invece rimboccarsi le maniche e cercare una nuovo induzione che spieghi il cigno nero.
E in fin dei conti la scienza quando è seria fa esattamente così (salvo applicare un modello deduttivo a partire da presupposti ASSIOMI, ma se la deduzione è gisuta vi sarà sempre una induttività che emergerà da quelle rappresentazione, apparizione, credenza che tu voglia nominare.)
In fin dei conti la nostra non amicalità sta solo nel fatto che per me la questione metafisica-religiosa è ancora importante, a livello formale invece forse qualcosoa possiamo fare per intenderci. Forse....perchè mi aspetto il solito...."caro Green non si capisce quello che hai scritto"....e forse hai ragione! saluti!
CitazioneInnanzitutto complimenti: é accaduto proprio quanto ti aspettavi...
La consapevolezza humeiana dell' indimostrabilità dell' induzione non porta necessariamente (e non porta me di fatto) all' inerzia pratica: agisco, solo che (applicando a me stesso la critica razionale) semplicemente mi rendo conto che il mio agire si basa su convinzioni in larga misura indimostrabili né mostrabili ma credute arbitrariamente, letteralmente "per fede".
Kant è tutt'altro che astratto, se proprio dovrei definirlo è un empirista non riduttivista che capisce che c'è qualcosa oltre la ragione pura, ma si ferma prima di astrarlo chiamandolo noumeno.Quindi non va dentro la metafisca.Quindi intuisce una trascendenza(non in senso spirituale) fra la realtà e il pensiero.
Hegel elogerà da una parte Kant per aver descritto la ragion pura e la ragion pratica, ma dalla'latra lo criticherà per non essere andato oltre ,di non averli uniti.
L'invenzione di Hegel è la dialettica che se così si può dire, mentalmente come idea unisce il concreto (la realtà emprica) e l'astratto (il trascendente) uniti nel concetto.
Quindi potremmo dire oggi che è la mente che unisce una realtà percettiva del cervello e il pensiero che linguisticamente lo descrive. Il linguaggio mentale quindi trascende quella realtà.
Altro ancora, ed è importante, è definire le giustificazioni e la veridicità della realtà e dello stesso pensiero che linguisticamente lo definisce.Ma potrebbe essere solo il linguaggio una forma di comunicazione autoreferenziale di un essere il cui cervello media analogicamente il mondo,Quindi ne esce che noi rappresentiamo interpretando verosimilmente un mondo e lo comunichiamo ai nostri simili costruendo una cultura nel momento in cui è condivisa.
Citazione di: green demetr il 13 Dicembre 2016, 17:34:58 PM
cit InVerno
Ciò che si confonde a mio avviso, è il linguaggio, l'espressione della razionalità, con la razionalità stessa che è insita nelle cose.
Sono ASSAI d'accordo ma allora poi come puoi essere d'accordo con Voltaire, che dice l'esatto opposto?
E sopratutto come fai a essere d'accordo con le posizioni linguistiche di Witgenstein e Chomosky che credono la realtà sia esattamente una funzione linguistica?
Quindi o ti contraddici o forse devi ripensare la tua prima parte del discorso (con cui tanto eravamo d'accordo!).
Non ho scritto che sono d'accordo con Witgenstein e Chomsky (non ho fretta di trovare grandi alleati) ho detto che a momento debito mi piacerebbe inserirli nel discorso.
La mia opinione è che quando si parla di linguaggio bisorebbe anche suddividerlo per soggetto, nel senso di linguaggio figurativo, astratto, analitico, etc. Mi sembra grossolano parlare di linguaggio in generale. C'è un linguaggio rappresentativo, e un linguaggio creativo e a loro volta si compenetrano l'un l'altro. La fretta di trovare gli assoluti non mi appartiene e se non fosse appartenuta a Wittgeinstein forse non avremmo avuto un primo e un secondo w. Cioran è passato in secondo piano, eppure lui addirittura si sentiva deprivato della sua nazionalità una volta depredato della sua madrelingua. Interessante?
Citazione di: Voltaire il 12 Dicembre 2016, 20:10:41 PM
CitazioneQui vi mostro un embrione che spero di dare alla vita con questo topic: "la razionalità è un linguaggio umano che verosimilmente,, ma non certamente, corrisponde ad una realtà., non è natura.Ovvero è un linguaggio simulativo umano per costruire modelli di rappresentazione del mondo e le sue relazioni." Diceva paul11 impregnato dall'astrattismo kantiano. Mia tesi: "Il reale è razionale: la razionalità è propria della natura, non è solo un linguaggio simulativo dell'uomo" Il concetto di causa effetto è dato dal tempo, dal cambiamento di un oggetto nel tempo dopo aver subito un azione. Dalla differenza del suo stadio iniziale rispetto a quello finale subendo un azione. Diciamo che una cosa è causa di un altra perché è agente che ha modificato lo stadio iniziale di quella cosa. Senza il concetto del tempo non potrebbe esserci quello della causalità. Nell'universo tetradimensionale che sperimentiamo la causalità non è funzione, ma è conseguenza del tempo. Perché la razionalità è un linguaggio umano? "Il termine razionalità, dal latino"ratio"indica l'essere in una logica sequenziale stabilita. " Da wikipedia Perché la razionalità è comune agli esseri che percepiscono il tempo Perché la razionalità appartiene anche agli enti inanimati, che non possono percepire la dimensione del tempo? Perché non si possono percepire meno delle dimensioni che noi percepiamo, queste infatti non hanno riscontro nella realtà. Nella realtà sperimentiamo le 4 dimensioni (convenzioni con riscontro nel reale), ma ciò non è imputabile alla struttura della nostra mente ma a quella della realtà. Il fatto che noi percepiamo 4 dimensioni è indicatore che la realtà sia formata da queste 4 dimensioni, non solo per gli esseri razionali (o animali) ma anche per gli enti inanimati. Detto in modo sintetico: Non siamo noi fatti in modo strano, è il mondo ad esserlo. La razionalità è comune agli esseri che sono "immersi" nel tempo Kant parla di cose astratte che non hanno riscontro nel reale
Dissento dall'idea di considerare la causalità come completamente interna al piano temporale-diacronico. Il passaggio dalla causa all'effetto a mio avviso non si dà necessariamente come una scansione cronologica prima-dopo, ma come passaggio logico. In particolare, il rapporto causa-effetto si identifica con il rapporto attività-passività o soggetto-oggetto. Una volta allargato in questo modo il valore semantico delle nozioni di "causa"ed "effetto" allora la diacronia non è più necessaria. L'equivoco forse è dato dal fatto che nel linguaggio comune si riduce l'idea di causalità a quello di causa efficiente, la causa che rende ragione dell'esistenza di una cosa. Tale equivoco nasce dall'inganno di giudicare la realtà intesa nel complesso dei suoi aspetti, con la legge che sottintentende solo un aspetto particolare di essa, la legge della temporalità che sottintende la componente contingente, ma che è inadeguata alla conoscenza del livello dei principi primi, fondanti e assoluti. Facendoci guidare dalla scansione diacronica dell'esperienza pensiamo di rilevare i nessi causali tra le cose facendo coincidere la successione temporale dei fenomeni con il passaggio della causa (il prima") con l'effetto (il dopo), lasciandoci sfuggire in questo il modo l'aspetto prevalentemente logico della causalità, comprendente anche la condizione in cui causa ed effetto convivono sincronicamente, ma si distinguono in quanto la causa produce una forza che fà sì che accada un certo effetto. Il punto è che la causa efficiente non è l'unico tipo di causa possibile, perchè il rendere ragione del perchè una cosa esiste non è l'unico modo del "rendere ragione" di qualcosa. In nessun caso la natura di ente è totalmente compresa limitandosi a spiegare perchè esiste. Aristotele insegna che ci sono ben 4 cause, tra cui ad esempio quella formale. Il modo in cui la causa rende ragione della forma di una cosa non ha nulla a che fare con la successione diacronica. Assurdo pensare che esista un tempo in cui esisteva in atto la forma della pietra slegata dall'effetto finale, la pietra reale formata, che avrebbe cominciato ad esistere a partire da un momento temporale successivo. In realtà la forma, la causa formale della pietra è in atto convivendo sincronicamente con l'effetto della pietra, compresa la connotazione di materialità, passività. Causa ed effetto coincidono ontologicamente e si distinguono solo logicamente. Del resto anche la stessa causa efficiente non implica sempre, necessariamente, che il suo suo effetto sia posizionato in un tempo successivo a quello in cui comincia a sussistere l'azione casuale... questa successione c'è solo nel caso di identificare l'effetto con una realtà contingente, non eterna. Dio infatti sarebbe causa di se stesso, senza che il suo essere causa debba porsi in un momento temporale precedente al suo essere considerato effetto, cosicchè in Lui tra causa ed effetto c'è solo distinzione concettuale ma non ontologica. E non è neanche detto che una distinzione ontologica e non solo concettuale tra causa ed effetto presupponga sempre la diacronia. Mi pare, non vorrei sbagliarmi, che lo stesso Tommaso d'Aquino, dicesse nella Summa che anche accettando l'idea greca dell'eternità del mondo Dio resterebbe comunque come Causa prima necessaria creatrice, mentre il mondo resterebbe contingente. L'eternità non coincide necessariamente con la necessità, dato che l'esistenza del mondo sarebbe data comunque dalla libera volontà di Dio. Insomma, tutto ciò che contribuisce in qualche modo a rendere ragione della molteplicità dei "perchè" della realtà è causalità, e ridurre la causalità nell'orizzonte della temporalità, vorrebbe dire fermare la nostra conoscenza del reale agli aspetti solo contingenti e non sufficienti ad autoesplicarsi, condannandoci ad un infinito rimando alla catena delle cause senza poter cogliere i principi sovratemporali e necessari delle cose, fermandoci ad un'inconcludente aporetica, e rassegnandoci al fallimento di ogni ricerca filosofica della verità...
La distinzione tra causalità e temporalità dovrebbe anche portare anche alla distinzione tra due diverse accezioni dellidea di "razionalità". Il complesso di relazioni causali che lega le cose fra loro comprende anche nessi causa-effetto non scanditi temporalmente (come appunto nel caso delle cause formali degli enti come detto sopra). Se intendiamo la razionalità come ciò per cui le cose hanno una loro causa, allora dobbiamo ammettere una razionalità oggettiva, che non si esaurisce in processi temporali diacronici. Esiste poi l'accezione soggettiva, umana, mentale della razionalità, che va inteso come il processo di elaborare una rappresentazione di tale sistema di cause in modo scientifico mirando all'adeguazione di tale rappresentazione soggettive con il complesso dei nessi causali delle cose oggettive. Per quanto riguarda quest'accezione soggettiva il nesso con la temporalità è evidente. La razionalità umana è mediazione, dialettica, operare differenti passaggi logici che implicano una durata temporale, ma ciò è solo la conseguenza della nostra finitezza ontologica che pone la mente umana di fronte ad una molteplicità di oggetti divisi spazialmente, e l'elaborazione di relazioni logiche per ordinare e rendere ragione di tale molteplicità presuppone la diacronia, la costante necessità di superare in ogni momento i limiti della nostra coscienza, che sono i limiti dovuti alla sua umanità, mentre una mente divina non avrebbe necessità di mediare temporalmente la conoscenza razionale, ma avrebbe un visione totalizzante ed immediata del reale attraverso un'intuizione intellettiva immediata. Non avremmo la ragione, ma solo l'intelletto. In termini grezzi possiamo dire che la razionalità è la nostra forza e la nostra debolezza, forza perchè è strumento conoscitivo e ordinativo dell'esperienza del mondo (non solo in senso teoretico ma anche pratico), debolezza perchè avere la ragione invece che l'intelletto è conseguenza dei nostri limiti, che ci costringono a dispiegare la nostra coscienza all'interno di una frammentazione temporale, dovuta però alla nostra spazialità. I limiti della conoscenza razionale non riguardano la razionalità oggettiva, non solo temporale, ma solo quella soggettiva nostra
CitazioneLa razionalità umana è mediazione, dialettica, operare differenti passaggi logici che implicano una durata temporale, ma ciò è solo la conseguenza della nostra finitezza ontologica che pone la mente umana di fronte ad una molteplicità di oggetti divisi spazialmente, e l'elaborazione di relazioni logiche per ordinare e rendere ragione di tale molteplicità presuppone la diacronia, la costante necessità di superare in ogni momento i limiti della nostra coscienza, che sono i limiti dovuti alla sua umanità, mentre una mente divina non avrebbe necessità di mediare temporalmente la conoscenza razionale, ma avrebbe un visione totalizzante ed immediata del reale attraverso un'intuizione intellettiva immediata.
Davintro, a fronte di quello che hai scritto mi chiedo che razza di mente di avere se riesci a spiegare non solo com'è la mente umana, ma pure come è necessario che sia quella divina. Su quale punto di vista ti sei collocato per godere di un così esteso panorama?
Citazione di: maral il 03 Gennaio 2017, 23:04:21 PM
CitazioneLa razionalità umana è mediazione, dialettica, operare differenti passaggi logici che implicano una durata temporale, ma ciò è solo la conseguenza della nostra finitezza ontologica che pone la mente umana di fronte ad una molteplicità di oggetti divisi spazialmente, e l'elaborazione di relazioni logiche per ordinare e rendere ragione di tale molteplicità presuppone la diacronia, la costante necessità di superare in ogni momento i limiti della nostra coscienza, che sono i limiti dovuti alla sua umanità, mentre una mente divina non avrebbe necessità di mediare temporalmente la conoscenza razionale, ma avrebbe un visione totalizzante ed immediata del reale attraverso un'intuizione intellettiva immediata.
Davintro, a fronte di quello che hai scritto mi chiedo che razza di mente di avere se riesci a spiegare non solo com'è la mente umana, ma pure come è necessario che sia quella divina. Su quale punto di vista ti sei collocato per godere di un così esteso panorama?
Non si tratta di avere una grande mente o godere di vasti panorami, tutte cose che non credo di avere a disposizione, semplicemente di provare a infererire in modo deduttivo da una certa possibile definizione del concetto di Dio (inteso come "assoluto") delle implicazioni conseguenti. La razionalità filosofica si caratterizza proprio per il suo essere deduttiva e aprioristica, perso tale carattere smarrirebbe la sua peculiarità nei confronti delle scienze sperimentali, che invece usano una metodologia prevalentemente empirica e induttiva. Presunzione sarebbe quella di una mente umana che pretende, disconoscendo i propri limiti, di condividere il contenuto di una mente divina. Ma la distanza ontologica tra Dio e l'uomo non impedisce che si possa convenire sull'individuazione di elementi considerati in modo generico e formale della mente divina, senza per questo pretendere di poter conoscere lo specifico contenuto di tale mente (semmai, in una certa misura, questo potrebbe essere appannaggio dei mistici, non dei filosofi). Non ho alcun bisogno di pensare di essere onnipotente od onniscente per riflettere speculativamente sull''onnipotenza e l'onniscenza divina, esattamente come non ho bisogno di pensare di essere un medico per comprendere il senso generale dell' "essere medico". Si tratta solo di ragionare a partire dal significato di alcune categorie che resta tale indipendentemente dal fatto che esse possano predicarsi di un ente o di un altro
Resta il fatto che pretendi di inquadrare il funzionamento di una mente divina che si suppone illimitata e trascendente a partire da una visione comunque umana e pertanto, come tu stesso riconosci limitata. Limitata anche nella sua logica, a meno di non ritenere che la logica detti pure la natura della divinità e quindi le stia al di sopra. Beninteso, in passato questo si faceva abbastanza normalmente in filosofia (con polemiche a non finire ovviamente), ma ormai mi sembra le ontoteologie siano da lasciarsi da parte. Poi per carità, se lo si prende come un esercizio logico ipotetico va benissimo.
Citazione di: maral il 04 Gennaio 2017, 22:17:07 PMResta il fatto che pretendi di inquadrare il funzionamento di una mente divina che si suppone illimitata e trascendente a partire da una visione comunque umana e pertanto, come tu stesso riconosci limitata. Limitata anche nella sua logica, a meno di non ritenere che la logica detti pure la natura della divinità e quindi le stia al di sopra. Beninteso, in passato questo si faceva abbastanza normalmente in filosofia (con polemiche a non finire ovviamente), ma ormai mi sembra le ontoteologie siano da lasciarsi da parte. Poi per carità, se lo si prende come un esercizio logico ipotetico va benissimo.
In ciò trovo diversi punti di dissenso. I limiti della mente umana, come scritto prima, impediscono certamente di giungere allo stesso livello del sapere di una mente divina e assoluta, ma non impediscono di giungere a una visione parziale ed imperfetta di tale mente. Certamente, affermare che "la mente divina è sovratemporale e sovraspaziale" non esaurisce in sè tutto ciò che si potrebbe dire di Dio, chi afferma ciò non per questo si mette alla pari con Dio, resta appunto una visione parziale. Il punto è che accanto alla constatazione dei limiti, si potrebbe anche riconoscere un legame analogico tra l'uomo e Dio,che permette all'uomo di poter speculare sulla natura divina pur restando in una posizione inferiore e subordinata. Questa analogia è data dal fatto che ciò che si può predicare dell'uomo lo si può predicare anche di Dio, ma in misura, nell'uomo, depotenziata rispetto a Dio. Il concetto di "potenza" ha un senso che qualitativamente resta identico sia ci si riferisca all'uomo o a Dio, ciò che cambia è l'intensità quantitativa, infinita in Dio, finita nell'uomo. Pensare che una differenza quantitativa determini anche differenti significati qualitativi delle categorie è un'operazione logicamente scorretta, perchè confonde due piani del discorso, la questione del "quanto?" e quella del "quale", che vanno distinte. La quantità non fà la qualità. Altro punto scorretto, a mio avviso, è l'idea secondo cui applicando la logica alla teologia si porrebbe la logica assurdamente sopra Dio. Questa obiezione avrebbe un senso se la "logica" fosse una realtà a sè stante, una sostanza che potrebbe entrare in conflitto con Dio, limitarlo, come fosse una "seconda divinità" più potente della prima. Ovviamente tutto ciò è ridicolo, tra Dio e logica non ci può essere contrapposizione, perchè la logica è solo, per così dire, un concetto, un insieme di regole formali con cui il pensiero considera la realtà non una realtà che potrebbe entrare in concorrenza con Dio. Ciò che invece si può dire è che Dio, considerato come principio primo dell'essere, è la realizzazione somma della ragione, della logica, Logos, appunto,come recita Giovanni nel suo prologo. Occorre tenere distinti il piano della logica formale e quello dell'ontologia materiale. Infine, in che modo il cammino della razionalità filosofica avrebbe superato le ontoteologie? A me pare che, certamente, nella nostra epoca il discorso razionale sulla metafisica classica non va certo di moda, saremo 4 gatti a pensare che molti assunti dei sistemi metafisici della classicità o del medioevo siano tuttora validi. L'egemonia intellettuale oggi è di natura ben diversa. Ma tutto questo interessa lo storico della filosofia. Il filosofoche opera in sede teoretica e non filologica non deve tener conto delle mode intellettuali della sua epoca, pena la caduta nel conformismo,deve solo ragionare con la sua testa e sostenere i risultati che raggiunge con la sua libertà intellettuale e critica, anche se si tratta di sostenere idee da secoli, millenni caduti nel dimenticatoio, e contrapporsi agli orientamenti prevalenti nella contemporaneità, anche finendo con il rischio sentirsi spiacevolmente isolati culturalmente. La verità non è filia ma mater temporis, e se le ontoteologie di S. Agostino o S.Tommaso d'Aquino hanno colto per alcuni aspetti delle verità, queste rimangono tali anche oggi e fra i prossimi secoli.
Citazione di: davintro il 04 Gennaio 2017, 23:22:07 PM
In ciò trovo diversi punti di dissenso. I limiti della mente umana, come scritto prima, impediscono certamente di giungere allo stesso livello del sapere di una mente divina e assoluta, ma non impediscono di giungere a una visione parziale ed imperfetta di tale mente.
E pertanto errata, ma sempre con la pretesa di essere quella giusta.
Chi dice che tale mente è sovraspaziale e sovratemporale si trova comunque nel tempo e nello spazio, altrimenti non potrebbe dire assolutamente nulla, dunque la mente sovraspaziale e sovratemporle è comunque stabilita dalle dimensioni spaziali e temporali dalle quali (temporalmente e spazialmente) ci si immagina la loro assenza
CitazioneIl punto è che accanto alla constatazione dei limiti, si potrebbe anche riconoscere un legame analogico tra l'uomo e Dio,che permette all'uomo di poter speculare sulla natura divina pur restando in una posizione inferiore e subordinata. Questa analogia è data dal fatto che ciò che si può predicare dell'uomo lo si può predicare anche di Dio, ma in misura, nell'uomo, depotenziata rispetto a Dio.
Ma anche questa è una concezione posta a priori dall'uomo: c'è analogia tra me, uomo, e Dio; e chi lo dice? Io, uomo che sono certo finito, ma grazie a questa analogia con differenze solo quantitative posso parlare a proposito dell'infinito! L'infinito non ha solo una differenza solo quantitativa rispetto al finito, non è che tanto finito, faccia l'infinito.
Citazionetra Dio e logica non ci può essere contrapposizione, perchè la logica è solo, per così dire, un concetto, un insieme di regole formali con cui il pensiero considera la realtà non una realtà che potrebbe entrare in concorrenza con Dio.
E chi lo dice: l'uomo, Dio? La logica stessa? "La logica è solo un insieme di regole formali", e dici poco! le regole formali sono quelle che danno forma, che ci permettono di vedere, concepire e definire le cose, Dio compreso quando pretendiamo di rappresentarcelo! Già Aristotele aveva capito che nella forma c'è la sostanza. Questo Dio, principio primo dell'essere, che è la realizzazione somma della ragione, è creato dalla ragione, dunque è la ragione (ovviamente umana, dato che non ne conosciamo altre) che diventa così il principio primo dell'essere, Dio compreso. Ma lo fa di nascosto, perché ovviamente la ragione sa del suo limite e dunque non può presentarsi per quello che è, ma con una maschera divina sì, proprio come il ventriloquo che fa parlare il pupazzo.
Citazionesaremo 4 gatti a pensare che molti assunti dei sistemi metafisici della classicità o del medioevo siano tuttora validi.
Ma per forza che sono cambiati! E' cambiato il mondo che li concepisce, sono cambiati i modi di pensare, di sentire, di vivere! Forse che quei 4 gatti riescono a sentire e pensare come si sentiva e si pensava nel mondo classico e medioevale? Forse che si trovano fuori dal tempo così da vedere le cose come stanno e senza tempo,
sub specie aeternitatis? Se tutti noi siamo figli del passato è ancor più vero che il passato è figlio del presente, è figlio del nostro modo di pensare e sentire che adesso e solo adesso così lo concepisce e se lo immagina. Quei "quattro gatti" non sostengono idee di secoli e millenni passati, ma idee di adesso che si agganciano con tanta nostalgia a un passato immaginato adesso per raffigurarsele eterne. E questo è inevitabile, perché nessuno sta fuori dal mondo in cui vive, non c'è specula o eremo che possa isolarlo, anche se vivendoci può immaginarsi di godere di uno sguardo che tutto sovrasta. E questa pretesa ce l'ha sia lo scientismo moderno, che chi si fissa sulle eterne verità teologiche di Agostino e Tommaso, perché questo pretendere di essere nella verità oggettiva è comunque un pretendere "umano, troppo umano", a testimonianza del suo umano non poter esserci mai. La differenza solo è che, dati i tempi e i contesti, il primo, nonostante si appoggi sulla stessa superstizione della verità in oggetto, appare ora ben più credibile dei secondi, a eccezione forse, che per quei quattro gatti.
Maral, Davintro.......e chi vuole intervenire.
Dipende se si vuole fare scienza contemporanea o filosofia e per me rimangono ancora due distinzioni fondamentali, anche se molti filosofi contemporanei sono più scienza che filosofia ormai.
Se esistono leggi scientifiche universali, enunciate in equazioni e quindi calcolabili, un procedimento logico gnoseologico è stato compiuto. Se lì'osservazioni di particolari è stato riassunto in un calcolo dove vi sono, variabili e costanti, ma il procedimento logico/matematico rimane indipendentemente dallo spazio/tempo, significa che quella legge spiega in qualche modo una parte di un dominio e se quella legge vale ieri, oggi e domani e in qualunque latitudine geografica, allora si presuppone che esista un ordine all'interno di un dominio.
Se la scienza compie un processo induttivo dei particolari e li riassume in un calcolo di equazioni, signiifca che la mente umana nel dominio fisico naturale ha comunque compiuto un processo logico.
L'errore è sostenere che poichè il dominio è fisico e naturale allora la legge e il procedimento logico è esatto non solo come forma procedurale ,ma come risultato "empirico". Non è vero: perchè la logica e la matematica non sono prodotti dal mondo empirico ,ma dalla mente umana..E' quindi la mente umana che proietta una forma gnoseologica/epistemica nel mondo empirico della fisica naturale. Adatto, quindi che è applicazione del mondo fisco, vale a dire l' equazione è un procedimento logico/matematico con significati del mondo empirico, se le percezioni sensoriali danno risposta affermativa con il procedimento logico /matematico applicativo, allora è giusto(teniamo presente che anche le strumentazioni automatiche sono analogiche rispetto alla percezione sensoriale/cervello, affinchè siano leggibili.
Se questo processo è vero ,non capisco se scrivo ad esempio la sequenza 3-5-7-........ quale sarà il prossimo numero?
Non c'è il numero da trovare nel mondo "fisco/naturale", lo troverà però il processo logico/matematico.Se così non fosse non si capirebbe nemmeno perchè procede la conoscenza scientifica, si arresterebbe .
E' così difficile pensare che se la mente umana conosce con procedimenti logico/matematici il mondo fisico naturale perchè non può applicare lo stesso procedimento in quello' stesso ordine che permette al dominio naturale di essere conosciuto?
Ma non più in maniera induttiva, ma deduttiva
I problemi diventano altri. Il procedimento razionale logico/matematico ha necessità di una verifica formale tanto più "esce" dal mondo empirico fisico/naturale affinchè l'illusione non diventi realtà e viceversa.
Citazione di: maral il 05 Gennaio 2017, 09:55:48 AM
Citazione di: davintro il 04 Gennaio 2017, 23:22:07 PMIn ciò trovo diversi punti di dissenso. I limiti della mente umana, come scritto prima, impediscono certamente di giungere allo stesso livello del sapere di una mente divina e assoluta, ma non impediscono di giungere a una visione parziale ed imperfetta di tale mente.
E pertanto errata, ma sempre con la pretesa di essere quella giusta. Chi dice che tale mente è sovraspaziale e sovratemporale si trova comunque nel tempo e nello spazio, altrimenti non potrebbe dire assolutamente nulla, dunque la mente sovraspaziale e sovratemporle è comunque stabilita dalle dimensioni spaziali e temporali dalle quali (temporalmente e spazialmente) ci si immagina la loro assenza
CitazioneIl punto è che accanto alla constatazione dei limiti, si potrebbe anche riconoscere un legame analogico tra l'uomo e Dio,che permette all'uomo di poter speculare sulla natura divina pur restando in una posizione inferiore e subordinata. Questa analogia è data dal fatto che ciò che si può predicare dell'uomo lo si può predicare anche di Dio, ma in misura, nell'uomo, depotenziata rispetto a Dio.
Ma anche questa è una concezione posta a priori dall'uomo: c'è analogia tra me, uomo, e Dio; e chi lo dice? Io, uomo che sono certo finito, ma grazie a questa analogia con differenze solo quantitative posso parlare a proposito dell'infinito! L'infinito non ha solo una differenza solo quantitativa rispetto al finito, non è che tanto finito, faccia l'infinito.
Citazionetra Dio e logica non ci può essere contrapposizione, perchè la logica è solo, per così dire, un concetto, un insieme di regole formali con cui il pensiero considera la realtà non una realtà che potrebbe entrare in concorrenza con Dio.
E chi lo dice: l'uomo, Dio? La logica stessa? "La logica è solo un insieme di regole formali", e dici poco! le regole formali sono quelle che danno forma, che ci permettono di vedere, concepire e definire le cose, Dio compreso quando pretendiamo di rappresentarcelo! Già Aristotele aveva capito che nella forma c'è la sostanza. Questo Dio, principio primo dell'essere, che è la realizzazione somma della ragione, è creato dalla ragione, dunque è la ragione (ovviamente umana, dato che non ne conosciamo altre) che diventa così il principio primo dell'essere, Dio compreso. Ma lo fa di nascosto, perché ovviamente la ragione sa del suo limite e dunque non può presentarsi per quello che è, ma con una maschera divina sì, proprio come il ventriloquo che fa parlare il pupazzo.
Citazionesaremo 4 gatti a pensare che molti assunti dei sistemi metafisici della classicità o del medioevo siano tuttora validi.
Ma per forza che sono cambiati! E' cambiato il mondo che li concepisce, sono cambiati i modi di pensare, di sentire, di vivere! Forse che quei 4 gatti riescono a sentire e pensare come si sentiva e si pensava nel mondo classico e medioevale? Forse che si trovano fuori dal tempo così da vedere le cose come stanno e senza tempo, sub specie aeternitatis? Se tutti noi siamo figli del passato è ancor più vero che il passato è figlio del presente, è figlio del nostro modo di pensare e sentire che adesso e solo adesso così lo concepisce e se lo immagina. Quei "quattro gatti" non sostengono idee di secoli e millenni passati, ma idee di adesso che si agganciano con tanta nostalgia a un passato immaginato adesso per raffigurarsele eterne. E questo è inevitabile, perché nessuno sta fuori dal mondo in cui vive, non c'è specula o eremo che possa isolarlo, anche se vivendoci può immaginarsi di godere di uno sguardo che tutto sovrasta. E questa pretesa ce l'ha sia lo scientismo moderno, che chi si fissa sulle eterne verità teologiche di Agostino e Tommaso, perché questo pretendere di essere nella verità oggettiva è comunque un pretendere "umano, troppo umano", a testimonianza del suo umano non poter esserci mai. La differenza solo è che, dati i tempi e i contesti, il primo, nonostante si appoggi sulla stessa superstizione della verità in oggetto, appare ora ben più credibile dei secondi, a eccezione forse, che per quei quattro gatti.
Perchè una visione parziale dovrebbe essere in quanto tale errata? Se una persona conosce il mio nome e la mia città di provenienza, ma non conosce la mia famiglia, i miei amici, le mie idee, il mio stato d'animo, si può dire che certamente ha una visione parziale ed imperfetta del mio essere complessivo, ma non per questo, entro i limiti di tale parzialità non potrebbe formulare giudizi veri su ciò che di me conosce, il mio nome, la mia città. I limiti spaziotemporali sono costitutivi dell'uomo, ma l'uomo non si identifica del tutto con essi,altrimenti sarebbe solo un nulla, negatività. Invece l'uomo ha una sua positività, un insieme di potenzialità conoscitive, pratiche che lo rende partecipe dell' Essere e in quel modo simile, non identico, all'Essere nel senso pieno e perfetto del termine, Dio. I limiti spaziotemporali impediscono alla mente umana di accedere alla visione "sub specie aetarnitatis", quella dove in un solo istante si coglierebbero tutti gli eventi della storia, passato, presente, futuro, ma in virtù delle potenzialità positive possiamo comunque sapere qualcosa di Dio. Tommaso mi pare chiaro e inceppibile su questo punto all'inizio della Summa: ci sono degli aspetti della natura di Dio che la ragione può conoscere e dimostrare autonomamente (teologia naturale) e altri che restano misteriosi e che possiamo solo accettare per fede nella rivelazione (teologia rivelata) Questo paradigma del "o tutto o niente", tipico della teologia negativa, non lo condivido...
Tanti finiti non fanno l'infinito, ma la totalità dei finiti invece lo fa. E perciò la distinzione finito-infinito resta meramente quantitativa, la visione infinita, comprendente la totalità dei finiti, si distingue dalla visione di un singolo soggetto finito per essere (infinitamente appunto), più ampia, "più", dunque una superiorità quantitativa che non produce differenze qualitative, non muta l'univocità semantica della categoria (potenza, conoscenza, amore...) a cui applichiamo questi predicati, finitezza o infinità. Il pennello di Van Gogh non cessa di essere un pennello se mi metto ad usarlo io, resta inalterato il suo senso, la sua funzionalità, la sua capacità di imprimere colori su una tela. Cambia certamente la modalità di utilizzo, abissalmente più raffinata, efficace, abile se usata da Van Gogh che da me...ma resta pur sempre un pennello. Vero che la totalità dei finiti segna un confine discreto, ben preciso, tra stadio della finitezza e dell'infinito, che non si tratta di un semplice "più o meno" ma non tutte le distinzioni discrete corrispondono a distinzioni qualitative. Dunque finita, o infinita, divina o umana,la potenza, la conoscenza restano qualitativamente tali, e tale costanza qualitativa, semantica permette di impostare il discorso analogico, per il quale possiamo emettere giudizi su alcuni aspetti, non tutti, di Dio, in virtù del fatto che le categorie del giudizio mentengono lo stesso significato, sia in Dio che nell'uomo. Pensare che tali categorie siano unicamente appannaggio dell'uomo, sì che sarebbe un discorso antropocentrico, "umano troppo umano"...
Certamente il mondo cambia, ma bisogna chiarire il rapporto tra la mutevolezza del mondo e il tipo di verità a cui ci si riferisce. I giudizi sulla teologia si riferiscono a dei concetti che (a prescindere dal giudicare gli enti esistenti o meno) corrispondono a degli enti il cui significato rimanda a un piano di trascendenza rispetto alla contingenza spaziotemporale. La sfera dei principi fondamentali dell'essere, a prescindere dall'effettiva esistenza degli oggetti con cui possiamo"riempire" questo piano, Dio, l'anima ecc. attiene a un piano sovratemporale (altrimenti non sarebbero principi) e dunque non può mutare col mutare con i tempi. Un conto è l'ovvia constatazione di quanto il contesto storico-culturale influenza le nostre opinioni un conto la pretesa che esistano tante verità quante siano i contesti. La verità non è adeguazione alle opinioni, alla doxa, ma alle cose stesse oggettive, e segue la natura di tali cose, la verità riguardo i principi fondamentali del reale ne condivide i caratteri di necessità ed eternità, mentre la verità sulle cose relative e mutevoli saràessa stessa soggetta a contestualizzazione e mutamento. Proprio in questo consiste il compito della razionalità filosofica: rendere la conoscenza sempre meno vincolata ai pregiudizi storici soggettivi, che legano l'uomo alla contingenza per lasciar essere con meno filtri possibile il darsi fenomenico delle "cose stesse" nella loro oggettività. Il legame storicamente impossibile da spezzare con la contingenza fa sì che la visione delle cose stesse nella loro essenza non pervenga mai al massimo livello, alla visione "sub specie aeternitatis", fa sì che tale sforzo di aderenza all'oggettività sia una spinta inesausta, uno "streben" direbbero i romantici tedeschi, ma la verità così intesa, il sapere assoluto resta l'ideale regolativo della ricerca, l'orizzonte teleologico, mai adeguabile, ma meta ideale verso cui la conoscenza cerca di essere più possibile adeguata. C'è una differenza abissale tra la posizione della verità assoluta come ideale regolativo della ricerca filosofica e la presunzione dell'effetivo possesso nella storia di tale verità. E se la verità assoluta coincide con lo stadio della conoscenza divina, bene dice Edith Stein che "chi cerca la verità cerca Dio senza saperlo"
Paul, anche la mente umana è un prodotto del mondo empirico, non è qualcosa che sta fuori di esso, quindi anche la logica e la matematica fanno parte del mondo empirico e le leggi universali sono rese vere (concretamente vere) dai contesti empirici in cui possono apparire vere, quindi non sono entità eterne, nel senso che possono apparire e valere in ogni tempo e in ogni luogo o occasione, ma sono specificate da un dove, da un quando e soprattutto dai modi di pensare, di fare, di dire.
Il problema è che si tende a confondere sempre i modelli che il linguaggio produce con la fenomenologia del mondo (come rilevi anche tu), la tentazione è irresistibile, la mappa con il territorio. La mappa è nel territorio, ma il territorio non è mai davvero nella mappa ed è per questo che le mappe sono tante (mentre il territorio è uno solo) e più sono meglio è, ogni mappa reca il suo errore e la sua verità, il territorio no, è quello che è, né vero né falso, il territorio è sempre quello che è, ma solo nelle mappe lo si può vedere. Le mappe non nascono a caso, nascono dal territorio e lo rappresentano in parte, ma proprio poiché lo rappresentano non si possono rappresentare come quegli elementi del territorio che sono, si immaginano nel momento in cui pongono in atto la loro funzione rappresentativa (la loro "performance") al di sopra di esso. Ed è per questo che ogni mappa ha un inevitabile errore, non può vedersi nel territorio per vedere in sé il territorio.
Anch'io, ora che parlo in questo modo sto tracciando una mappa, usando gli strumenti di conoscenza e di pratica che so usare e che il mondo mi dà come disponili e mi ha insegnato a usare. E questa mappa mi convince, erroneamente di essere nel giusto. Erroneamente, perché nel momento in cui parla del mondo, di come è, non può che immaginarsi fuori dal mondo per parlarne. L'unico modo di rimediare forse all'errore è rimettere idealmente la mappa nel territorio, considerandone l'inevitabile parzialità e fallacia, fallacia che non è sintattica (cioè una mancanza rispetto alla regola logico deduttiva che mi è stata insegnata per costruire la mappa coerentemente), ma fondamentalmente semantica.
Ma come posso fare a ricollocare la mia mappa nel mondo se pretendo che essa sia la "mappa del mondo intero"? come posso fare a rimettere la mappa nel mondo se pretendo che mi dia addirittura ragione di Dio, l'essere infinito? Che me lo rappresenti per come "deve" essere (e non può non essere) secondo le regole della mappa? Non è allora una totalità panoramica ed eterna che vado a rappresentare in queste super mappe, ma è solo un mio sogno, per come il mondo (non io) adesso lo produce, il sogno che mi trovo ad abitare e ad esistere.
Citazione di: maral il 05 Gennaio 2017, 20:45:50 PMPaul, anche la mente umana è un prodotto del mondo empirico, non è qualcosa che sta fuori di esso, quindi anche la logica e la matematica fanno parte del mondo empirico e le leggi universali sono rese vere (concretamente vere) dai contesti empirici in cui possono apparire vere, quindi non sono entità eterne, nel senso che possono apparire e valere in ogni tempo e in ogni luogo o occasione, ma sono specificate da un dove, da un quando e soprattutto dai modi di pensare, di fare, di dire. Il problema è che si tende a confondere sempre i modelli che il linguaggio produce con la fenomenologia del mondo (come rilevi anche tu), la tentazione è irresistibile, la mappa con il territorio. La mappa è nel territorio, ma il territorio non è mai davvero nella mappa ed è per questo che le mappe sono tante (mentre il territorio è uno solo) e più sono meglio è, ogni mappa reca il suo errore e la sua verità, il territorio no, è quello che è, né vero né falso, il territorio è sempre quello che è, ma solo nelle mappe lo si può vedere. Le mappe non nascono a caso, nascono dal territorio e lo rappresentano in parte, ma proprio poiché lo rappresentano non si possono rappresentare come quegli elementi del territorio che sono, si immaginano nel momento in cui pongono in atto la loro funzione rappresentativa (la loro "performance") al di sopra di esso. Ed è per questo che ogni mappa ha un inevitabile errore, non può vedersi nel territorio per vedere in sé il territorio. Anch'io, ora che parlo in questo modo sto tracciando una mappa, usando gli strumenti di conoscenza e di pratica che so usare e che il mondo mi dà come disponili e mi ha insegnato a usare. E questa mappa mi convince, erroneamente di essere nel giusto. Erroneamente, perché nel momento in cui parla del mondo, di come è, non può che immaginarsi fuori dal mondo per parlarne. L'unico modo di rimediare forse all'errore è rimettere idealmente la mappa nel territorio, considerandone l'inevitabile parzialità e fallacia, fallacia che non è sintattica (cioè una mancanza rispetto alla regola logico deduttiva che mi è stata insegnata per costruire la mappa coerentemente), ma fondamentalmente semantica. Ma come posso fare a ricollocare la mia mappa nel mondo se pretendo che essa sia la "mappa del mondo intero"? come posso fare a rimettere la mappa nel mondo se pretendo che mi dia addirittura ragione di Dio, l'essere infinito? Che me lo rappresenti per come "deve" essere (e non può non essere) secondo le regole della mappa? Non è allora una totalità panoramica ed eterna che vado a rappresentare in queste super mappe, ma è solo un mio sogno, per come il mondo (non io) adesso lo produce, il sogno che mi trovo ad abitare e ad esistere.
La mente umana è correlata al mondo fisico naturale dal cervello analogico con le sue proprietà innate al mondo in cui ad esempio si possono analizzare fisicamente neuroni, attività, ecc, ma la mente i non si "vede" sperimentalmente e nemmeno i pensieri.Trovo che sia proprio il rapporto fra mente e cervello il trascendente, il luogo in cui i linguaggi prendono forma e costruiscono le sintassi e le semantiche.La mente, come la logica, la matematica, i linguaggi, non sono il prodotto del dominio fisico/naturale, ma li trascende e li correla come nel rapporto cervello-mente.
E' proprio in questo sta la qualità umana, la possiblità di vivere fisicamente nel mondo fisico ,ma di trascenderlo linguisticamente.
La logica non è ontologicamente del dominio fisico, ma lo "legge", lo interpreta, lo modella sintatticamente.
la contraddizione, ripeto è sostenere che essendo l'uomo costruito e costituito nel mondo fisico, tutte le sue qualità appartengano ontologicamente al mondo fisico per cui l'episteme è da ricercare nel mondo fisico.
D'altra parte quale animale potrebbe sostenere il concreto e l'astratto, la realtà e la fantasia?
Se linguisticamente sono descrivibili è la prova che esiste comunque l'astrazione e la fantasia.
L'uomo è quindi il "ponte" fra dominio fisico/naturale e domino trascendente/metafisico.
Il problema quindi non è tanto nell'accettare i due domini in cui l'uomo mentalmente è parte, ma linguisticamente come individuare la verificabilità della forma sintattica e semantica che descriva il dominio trascendente, così come l'uomo lo compie con le scienze fisico/naturali
In altre parole, più mi allontano trascendendo linguisticamente dal dominio fisico/naturale e mi inoltro nel trascendente/metafisico e più entro nelle nebbie del contrasto realtà/illusione.
Kant, per rimanere nel topic, dichiara il noumeno.Non nega la possibilità umana del trascendere, ma vivendo nel tempo del razionalismo cartesiano, dell'empirismo e illuminismo, non si inoltra nelle nebbie metafisiche e arrestando il pensiero della ragion pura dichiara appunto il noumeno.
Infine, è proprio l'uomo fisicamente vivente nel dominio fisco/naturale a rappresentare, a incarnare la contraddizione esistenziale dei due modelli : fisica e metafisica, ma accomunati dal linguaggio logico formale,anche se non so se questo sia da solo idoneo.
Citazione di: davintro il 05 Gennaio 2017, 20:14:48 PM
Perchè una visione parziale dovrebbe essere in quanto tale errata?
Perché esclude il contesto di cui è parte e che la determina per come si manifesta vera, ossia esclude proprio la ragione della sua verità, ponendosi nella sua parzialità fuori e sopra il contesto che ne costituisce la radice per immaginare di poter vedere la verità in oggetto. E qui è proprio la verità di una totalità la questione, ma la verità della totalità ovviamente non può essere colta da alcuna versione parziale, non è qualcosa che si costruisce pezzo per pezzo spostandosi da una parte all'altra e poi sommando il tutto, non è una questione additiva proprio perché il rapporto tra parti e tutto non è semplicemente quantitativo, ma è dato da una qualità radicalmente diversa. Proprio il concetto di "totalità dei finiti" è qualitativamente diverso da un numero espresso per sommatoria contabile.
Per questo l'infinito non è solo qualcosa di quantitativamente diverso da finito, ha una qualità e un significato diverso anche se riferito allo stesso tipo di cose, esprime una qualità diversa che si riferisce a quell' "oggetto" qualitativamente diverso che è appunto la totalità di quelle cose.
E non trovo nemmeno vero che il pennello di Van Gogh resti lo stesso se lo usi tu o Van Gogh, resta lo stesso solo nei termini di una pura astrazione, ossia prendendo l'idea-significato di quel pennello come del tutto separabile dal modo di usarlo e da chi in un determinato momento della giornata, del tempo e dello spazio (fisico e culturale) lo usa. Beninteso, questo di considerare le cose come oggetti perfettamente separabili, anziché come modi di accadere, è quello che facciamo sempre, automaticamente ogni volta che le concepiamo, ma proprio per tale motivo restiamo, pur partecipandovi, estranei alla reale totalità che in esse si presenta.
I confini discreti sono fondamentali per poter pensare, ma fanno parte delle mappe, della lettura e utilizzo della realtà (ovvero del sogno di poterla utilizzare in questo o quel modo), non della realtà.
Ed è proprio questa realtà che si colloca sopra il piano spazio temporale che è il piano della mappa perché solo su questo piano ogni mappa può essere e viene tracciata, ma ciò che in essa è tracciato non è la realtà, ma appunto le sue infinite rappresentazioni di significato e queste variano continuamente per poter dare ragione della realtà che è la loro eterna, immutabile, sempre presente (un presente che non è semplicemente il presente che sta all'incrocio tra passato e futuro), totale e unica (che non è l'unicità contrapposta ai molti, ma l'unicità che è i molti, plurale) entità.
Per questo il mondo cambia e nulla in esso è definitivo e ogni definizione presa in sé, per quanto utile, lo falsifica arbitrariamente, per questo non vi è altro mondo al di fuori di questo: immutabile nel suo essere, ma sempre mutevole nel suo venire a rappresentarsi nella forma dei suoi tanti significati e dei suoi tanti simboli (divinità comprese).
Citazione di: paul11 il 05 Gennaio 2017, 22:46:01 PM
La mente umana è correlata al mondo fisico naturale dal cervello analogico con le sue proprietà innate al mondo in cui ad esempio si possono analizzare fisicamente neuroni, attività, ecc, ma la mente i non si "vede" sperimentalmente e nemmeno i pensieri. Trovo che sia proprio il rapporto fra mente e cervello il trascendente, il luogo in cui i linguaggi prendono forma e costruiscono le sintassi e le semantiche.La mente, come la logica, la matematica, i linguaggi, non sono il prodotto del dominio fisico/naturale, ma li trascende e li correla come nel rapporto cervello-mente.
E' proprio in questo sta la qualità umana, la possiblità di vivere fisicamente nel mondo fisico ,ma di trascenderlo linguisticamente.
La logica non è ontologicamente del dominio fisico, ma lo "legge", lo interpreta, lo modella sintatticamente.
la contraddizione, ripeto è sostenere che essendo l'uomo costruito e costituito nel mondo fisico, tutte le sue qualità appartengano ontologicamente al mondo fisico per cui l'episteme è da ricercare nel mondo fisico.
D'altra parte quale animale potrebbe sostenere il concreto e l'astratto, la realtà e la fantasia?
Se linguisticamente sono descrivibili è la prova che esiste comunque l'astrazione e la fantasia.
In realtà mi pare che anche quello che intendiamo come mondo fisico naturale sia solo una mappa. I cervelli e i neuroni non sono cose, ma parole che esprimono significati che il linguaggio scientifico attuale presenta e indica nelle modalità con cui si esprime. Dire cervello o dire mente, o anima è questione di mappature linguistiche che indicano ciò a cui si riferiscono in ambiti di riferimento delimitati in cui si manifestano delle evidenze secondo una consequenzialità che quel linguaggio presenta e verifica seguendo le proprie regole esplicite o implicite, affinché la mappa si mantenga utilmente affidabile. La realtà primaria possiamo anche chiamarla "noumeno", ma anche noumeno è solo una parola, un modo con cui la si vuole dire, mantenendola nell'indeterminatezza inaccessibile al pensiero, così da esserne la matrice, oppure in un senso del tutto tautologico, come l'ente di Severino, che è definito solo dalla perfetta tautologia del suo essere per cui, qualsiasi cosa sia, è sempre quello che è e dunque non potrà mai diventare altro, per logica eternamente fedele a se stesso. Qualsiasi cosa sia, ma cosa è se non una dialettica infinita che può concludersi solo nell'astratto formale del principio logico?
Il mondo empirico a cui mi riferivo non è quindi tanto quello descritto dalla fisica o dalla fisiologia, quanto il primo segno di qualcosa che accade o forse l'ultimo segno che lascia l'interpretazione chiudendo il suo cerchio, è come un urlo o un respiro che ripetendosi in una primitiva modulazione performativa lascia tracce venendo a significare, ma ancora non sa dire cos'è o non lo sa più e non c'è ancora e non c'è più parola che possa dirlo, perché per dirlo occorre che la parola e la cosa si separino pur restando sempre tra loro legate, come desiderandosi. In questo modo si determinano continuamente delle polarità entro la quale il linguaggio può disegnare delle mappe e interpretare e trattenere dei segni che si presentano come simboli, creare significati per delle cose, distinguere sogni e fantasie dal reale accadere e illudersi di poter afferrare ciò che in sé è reale e ha effetto da ciò che è irreale e non ha effetto, salvo poi scoprire ogni volta che ciò che ora appare irreale, il sogno, ha avuto ben più effetto di ogni reale, che solo i sogni hanno effetti reali.
C'è un punto di rottura su cui l'uomo resta in bilico, ma questa rottura non è precedente all'uomo, non vi sono domini fisico/naturali e trascendenti/metafisici che siano prima di una forma di coscienza, è piuttosto la forma di coscienza stessa che sentiamo appartenere alla nostra forma, a essere nell'unità del tutto il punto di rottura, ma anche questo è solo una metafore, solo un modo di dire che tenta di cogliere quello che è impossibile cogliere. Prima non c'è nulla pur essendoci tutto e la prima parola separa il nulla dal tutto per poter dire qualcosa e dargli forma, quella forma che è, contrapposta alle altre che non è e in quella sua forma trattenerlo per goderne, afferrarlo o per respingerlo esorcizzandolo. La prima parola è una sorta di atto puro che si esprime in una negazione, un "non" che separa (A non è B, la fame non è la sazietà, io non sono tu e perciò sono io). L'uomo in questo senso è colui che può dire "non" e dirlo sempre meglio per trattenere dei segni ed evocare delle cose allontanandone altre, evocare anche quello che è prima del "non" e che sarà dopo il "non", perché anche il "non" che distingue e separa non è e quindi si cerca di trattenerlo.
E' in virtù delle modulazioni del "non" che dei domini con i loro significati pertinenti possono apparire ed essere verificati secondo regole sintattiche e semantiche che appartengono a quei domini stessi e operano ulteriori distinzioni facendo emergere nuovi significati e quindi nuove distinzioni e così avanti all'infinito, finché non resta che la prima parola che è appunto solo una parola, primo e ultimo atto di una coscienza che divide. oltre il quale non c'è nulla perché c'è tutto, quello che c'è, è sempre stato e sempre sarà, né sogno né realtà, né parola né cosa.
Citazione di: maral il 06 Gennaio 2017, 18:19:03 PM
Citazione di: paul11 il 05 Gennaio 2017, 22:46:01 PM
La mente umana è correlata al mondo fisico naturale dal cervello analogico con le sue proprietà innate al mondo in cui ad esempio si possono analizzare fisicamente neuroni, attività, ecc, ma la mente i non si "vede" sperimentalmente e nemmeno i pensieri. Trovo che sia proprio il rapporto fra mente e cervello il trascendente, il luogo in cui i linguaggi prendono forma e costruiscono le sintassi e le semantiche.La mente, come la logica, la matematica, i linguaggi, non sono il prodotto del dominio fisico/naturale, ma li trascende e li correla come nel rapporto cervello-mente.
E' proprio in questo sta la qualità umana, la possiblità di vivere fisicamente nel mondo fisico ,ma di trascenderlo linguisticamente.
La logica non è ontologicamente del dominio fisico, ma lo "legge", lo interpreta, lo modella sintatticamente.
la contraddizione, ripeto è sostenere che essendo l'uomo costruito e costituito nel mondo fisico, tutte le sue qualità appartengano ontologicamente al mondo fisico per cui l'episteme è da ricercare nel mondo fisico.
D'altra parte quale animale potrebbe sostenere il concreto e l'astratto, la realtà e la fantasia?
Se linguisticamente sono descrivibili è la prova che esiste comunque l'astrazione e la fantasia.
In realtà mi pare che anche quello che intendiamo come mondo fisico naturale sia solo una mappa. I cervelli e i neuroni non sono cose, ma parole che esprimono significati che il linguaggio scientifico attuale presenta e indica nelle modalità con cui si esprime. Dire cervello o dire mente, o anima è questione di mappature linguistiche che indicano ciò a cui si riferiscono in ambiti di riferimento delimitati in cui si manifestano delle evidenze secondo una consequenzialità che quel linguaggio presenta e verifica seguendo le proprie regole esplicite o implicite, affinché la mappa si mantenga utilmente affidabile. La realtà primaria possiamo anche chiamarla "noumeno", ma anche noumeno è solo una parola, un modo con cui la si vuole dire, mantenendola nell'indeterminatezza inaccessibile al pensiero, così da esserne la matrice, oppure in un senso del tutto tautologico, come l'ente di Severino, che è definito solo dalla perfetta tautologia del suo essere per cui, qualsiasi cosa sia, è sempre quello che è e dunque non potrà mai diventare altro, per logica eternamente fedele a se stesso. Qualsiasi cosa sia, ma cosa è se non una dialettica infinita che può concludersi solo nell'astratto formale del principio logico?
Il mondo empirico a cui mi riferivo non è quindi tanto quello descritto dalla fisica o dalla fisiologia, quanto il primo segno di qualcosa che accade o forse l'ultimo segno che lascia l'interpretazione chiudendo il suo cerchio, è come un urlo o un respiro che ripetendosi in una primitiva modulazione performativa lascia tracce venendo a significare, ma ancora non sa dire cos'è o non lo sa più e non c'è ancora e non c'è più parola che possa dirlo, perché per dirlo occorre che la parola e la cosa si separino pur restando sempre tra loro legate, come desiderandosi. In questo modo si determinano continuamente delle polarità entro la quale il linguaggio può disegnare delle mappe e interpretare e trattenere dei segni che si presentano come simboli, creare significati per delle cose, distinguere sogni e fantasie dal reale accadere e illudersi di poter afferrare ciò che in sé è reale e ha effetto da ciò che è irreale e non ha effetto, salvo poi scoprire ogni volta che ciò che ora appare irreale, il sogno, ha avuto ben più effetto di ogni reale, che solo i sogni hanno effetti reali.
C'è un punto di rottura su cui l'uomo resta in bilico, ma questa rottura non è precedente all'uomo, non vi sono domini fisico/naturali e trascendenti/metafisici che siano prima di una forma di coscienza, è piuttosto la forma di coscienza stessa che sentiamo appartenere alla nostra forma, a essere nell'unità del tutto il punto di rottura, ma anche questo è solo una metafore, solo un modo di dire che tenta di cogliere quello che è impossibile cogliere. Prima non c'è nulla pur essendoci tutto e la prima parola separa il nulla dal tutto per poter dire qualcosa e dargli forma, quella forma che è, contrapposta alle altre che non è e in quella sua forma trattenerlo per goderne, afferrarlo o per respingerlo esorcizzandolo. La prima parola è una sorta di atto puro che si esprime in una negazione, un "non" che separa (A non è B, la fame non è la sazietà, io non sono tu e perciò sono io). L'uomo in questo senso è colui che può dire "non" e dirlo sempre meglio per trattenere dei segni ed evocare delle cose allontanandone altre, evocare anche quello che è prima del "non" e che sarà dopo il "non", perché anche il "non" che distingue e separa non è e quindi si cerca di trattenerlo.
E' in virtù delle modulazioni del "non" che dei domini con i loro significati pertinenti possono apparire ed essere verificati secondo regole sintattiche e semantiche che appartengono a quei domini stessi e operano ulteriori distinzioni facendo emergere nuovi significati e quindi nuove distinzioni e così avanti all'infinito, finché non resta che la prima parola che è appunto solo una parola, primo e ultimo atto di una coscienza che divide. oltre il quale non c'è nulla perché c'è tutto, quello che c'è, è sempre stato e sempre sarà, né sogno né realtà, né parola né cosa.
Maral,
...cosa dire, hai scritto il post che indica il movimento gnoseologico/epistemologico a cui facevo riferimento.
Ed è in questo che Kant è precursore e ritenuto fra i "grandi".
Sono sostanzialmente d'accordo con te.
Personalmente ritengo l'uomo centrale nel processo gnoseologico in quanto capace di confrontare negativamente e positivamente il processo relazionare fra esistenza e trascendenza espresso nei linguaggi, e sono per fare degli esempi limitati , l'analisi-sintesi -enumerazione della razionalità cartesiana, la dialettica hegeliana,
Quindi è il confronto fra i domini che spezza i limiti con il pensare induttivamente che deduttivamente
Citazione di: maral il 06 Gennaio 2017, 10:35:54 AM
Citazione di: davintro il 05 Gennaio 2017, 20:14:48 PMPerchè una visione parziale dovrebbe essere in quanto tale errata?
Perché esclude il contesto di cui è parte e che la determina per come si manifesta vera, ossia esclude proprio la ragione della sua verità, ponendosi nella sua parzialità fuori e sopra il contesto che ne costituisce la radice per immaginare di poter vedere la verità in oggetto. E qui è proprio la verità di una totalità la questione, ma la verità della totalità ovviamente non può essere colta da alcuna versione parziale, non è qualcosa che si costruisce pezzo per pezzo spostandosi da una parte all'altra e poi sommando il tutto, non è una questione additiva proprio perché il rapporto tra parti e tutto non è semplicemente quantitativo, ma è dato da una qualità radicalmente diversa. Proprio il concetto di "totalità dei finiti" è qualitativamente diverso da un numero espresso per sommatoria contabile. Per questo l'infinito non è solo qualcosa di quantitativamente diverso da finito, ha una qualità e un significato diverso anche se riferito allo stesso tipo di cose, esprime una qualità diversa che si riferisce a quell' "oggetto" qualitativamente diverso che è appunto la totalità di quelle cose. E non trovo nemmeno vero che il pennello di Van Gogh resti lo stesso se lo usi tu o Van Gogh, resta lo stesso solo nei termini di una pura astrazione, ossia prendendo l'idea-significato di quel pennello come del tutto separabile dal modo di usarlo e da chi in un determinato momento della giornata, del tempo e dello spazio (fisico e culturale) lo usa. Beninteso, questo di considerare le cose come oggetti perfettamente separabili, anziché come modi di accadere, è quello che facciamo sempre, automaticamente ogni volta che le concepiamo, ma proprio per tale motivo restiamo, pur partecipandovi, estranei alla reale totalità che in esse si presenta. I confini discreti sono fondamentali per poter pensare, ma fanno parte delle mappe, della lettura e utilizzo della realtà (ovvero del sogno di poterla utilizzare in questo o quel modo), non della realtà. Ed è proprio questa realtà che si colloca sopra il piano spazio temporale che è il piano della mappa perché solo su questo piano ogni mappa può essere e viene tracciata, ma ciò che in essa è tracciato non è la realtà, ma appunto le sue infinite rappresentazioni di significato e queste variano continuamente per poter dare ragione della realtà che è la loro eterna, immutabile, sempre presente (un presente che non è semplicemente il presente che sta all'incrocio tra passato e futuro), totale e unica (che non è l'unicità contrapposta ai molti, ma l'unicità che è i molti, plurale) entità. Per questo il mondo cambia e nulla in esso è definitivo e ogni definizione presa in sé, per quanto utile, lo falsifica arbitrariamente, per questo non vi è altro mondo al di fuori di questo: immutabile nel suo essere, ma sempre mutevole nel suo venire a rappresentarsi nella forma dei suoi tanti significati e dei suoi tanti simboli (divinità comprese).
Sono il primo ad ammettere che ogni realtà complessa, non solo Dio, non sia riducibile a "somma delle parti", ma si costituisca olisticamente come un organismo fatto di un insieme di relazioni, rapporti logici che legano i singoli elementi (a questo punto continuare a parlare di "parti", di una ripartizione spaziale è fuorviante) tra loro. Comprendere le relazioni che legano un singolo elemento all'intero approfondisce la conoscenza della sua natura, tuttavia non si dovrebbe cadere nell'errore di dedurre dalla necessità di considerare le relazioni come necessario fattore costitutivo del reale l'idea che la visione globale di un fenomeno debba tradursi nell'indifferenziato, nella "notte in cui tutte le vacche sono nere" nella quale non è possibile cogliere le distizioni semantiche tra un singolo aspetto e un altro. Questo perchè non tutte le relazioni hanno lo stesso significato, e non tutte contribuiscono a determinare l'essere di tutti i termini che collegano allo stesso modo. Cioè ogni relazione approfondisce il senso dei loro termini solo per alcuni aspetti e non per tutti. Perciò non è necessario che io conosca tutte le possibili relazioni che legano un ente alla totalità del reale per poter emettere particolari giudizi di verità su quell'ente. Per sapere quale corso di studi sta frequentando una certa persona devo conoscere la relazione che la lega alla struttura universitaria mentre mi è indifferente conoscere le sue relazioni familiari, i suoi genitori. Nel caso di cui stavamo parlando, ciò a cui la ragione può arrivare, il riconoscimento dell'onniscienza di Dio e ciò che in virtù dei nostri limiti storici è precluso al nostro sapere, l'effettivo contenuto della mente divina, non si pongono come termini di una relazione causale, non è che l'effettivo contenuto della mente divina "causi" la sua onnipotenza, o viceversa(qua utilizzo il concetto di "causa" nel senso più comune, quello di causa efficiente). Si tratta di una relazione di specificazione, ciò che concretamente Dio conosce specifica, "riempie" di un determinato contenuto la categoria di per sè formale e generale di "onniscenza" che però, proprio in quanto formale è riconoscibile a prescindere dai contenuti Quindi io non ho bisogno di condividere lo stesso contenuto del sapere divino per poter emettere giudizi sulla categoria formale a cui quel contenuto si riferisce, perchè categoria generale e specifico contenuto attengono a due livelli ontologici distinti, ontologia formale e ontologia materiale a cui corrispondono distinte metodologie, distinti ordini di verità, distinte "regioni dell'essere". Ogni relazione arricchisce di significato gli enti che li collegano, ma ciascuna per differenti aspetti. Certamente, a livello esistenziale tali aspetti interagiscono fra loro ma a livello logico-gnoseologico la molteplicità degli aspetti è correlata a una molteplicità di questioni nei cui confronti possiamo emettere giudizi di verità, senza che un certo giudizio di verità sia necessitato dalla conoscenza della verità circa altre questioni. Tornando all'esempio di prima: può essere che quel ragazzo segua quel corso di studi universitario in quanto convinto dai propri genitori (interazione esistenziale degli aspetti che entrano in relazione), ma io posso comunque emettere un giudizio di verità sul fatto che egli frequenta un certo corso di laurea senza che tale presunzione di verità sia compromessa dall'ingoranza delle cause familiari che lo hanno portato a scegliere in quel modo (isolamento logico delle singole questioni riguardo la natura delle cose e dei singoli valori di verità dei vari aspetti). L'analisi logica, pur coi suoi limiti, resta cioè lo strumento valido di conoscenza indipendentemente dal carattere olistico,organico e globalistico dei fenomeni: la conoscenza di un singola verità rivolta ad una singola questione non è necessitata dalla conoscenza della verità di tutte le questioni circostanti. La non contrapposizione di analisi logica e olismo ontologico riflette proprio la distinzione mappa-territorio. Il suo non essere "territorio" non inficia il valore interpretativo-teoretico della mappa proprio perchè la ragion d'essere della mappa non si identifica con il senso d'essere del territorio, e non può essere da questo contraddetto, attenendo i due sensi a distinti piani dell'essere non tra loro sovrapponibili e dunque non confliggenti
Citazione di: davintro il 09 Gennaio 2017, 16:17:07 PM
Sono il primo ad ammettere che ogni realtà complessa, non solo Dio, non sia riducibile a "somma delle parti", ma si costituisca olisticamente come un organismo fatto di un insieme di relazioni, rapporti logici che legano i singoli elementi (a questo punto continuare a parlare di "parti", di una ripartizione spaziale è fuorviante) tra loro. Comprendere le relazioni che legano un singolo elemento all'intero approfondisce la conoscenza della sua natura,
Approfondisce solo se tu intendi il singolo elemento come precedente alle relazioni, in realtà si può considerare ogni singolo elemento come prodotto dall'intero relazionale, nei diversi modi in cui queste relazioni si verificano (e in questo senso, l'elemento è parte, ossia uno degli infiniti modi possibili, della totalità relazionale)
Citazionetuttavia non si dovrebbe cadere nell'errore di dedurre dalla necessità di considerare le relazioni come necessario fattore costitutivo del reale l'idea che la visione globale di un fenomeno debba tradursi nell'indifferenziato, nella "notte in cui tutte le vacche sono nere" nella quale non è possibile cogliere le distizioni semantiche tra un singolo aspetto e un altro.
Ma nella realtà in sé è proprio così: tutte le vacche sono nere, anzi non appare proprio nessuna vacca e nessun colore. Le vacche con gli infiniti loro colori appaiono solo assumendo un punto di prospettiva, nella parzialità di questo punto di prospettiva. La frase che hai citato è di Hegel e non per niente, Hegel riteneva di aver raggiunto con la sua filosofia la prospettiva di ogni prospettiva, di aver compiuto il cammino filosofico. Ora. la filosofia hegeliana è certo un capolavoro, ma povero Hegel anche lui aveva preso un immenso abbaglio e non tutti i torti aveva Schopenhauer.
Le relazioni appaiono combinarsi in modo diverso in ogni ente, ma noi non abbiamo la visione della totalità relazionale di ogni ente e quindi non possiamo dire nulla con certezza su di esso, qualsiasi cosa la diciamo dal nostro punto di vista che istituisce con quell'ente delle relazioni. Ma figuriamoci addirittura se è possibile con quell'Ente supremo che è Dio!
Non possiamo, se non da un punto di vista particolare che è quello che assumiamo (o meglio, da cui veniamo assunti) stabilire oggettivamente i significati, i significati sono relazioni che coinvolgono soggetto e oggetto, sono il risultato del loro modo relazionale di porsi.
CitazioneNel caso di cui stavamo parlando, ciò a cui la ragione può arrivare, il riconoscimento dell'onniscienza di Dio e ciò che in virtù dei nostri limiti storici è precluso al nostro sapere, l'effettivo contenuto della mente divina, non si pongono come termini di una relazione causale, non è che l'effettivo contenuto della mente divina "causi" la sua onnipotenza, o viceversa(qua utilizzo il concetto di "causa" nel senso più comune, quello di causa efficiente).
La posizione dell'onniscienza divina è accettabile solo come tautologia. Ossia avendo assunto Dio come essere supremo, come già diceva il buon Anselmo d'Aosta in merito all'esistenza, Egli non può che essere onnisciente riguardo alla conoscenza. Ma questo non dice nulla in merito alla sua onniscienza (e men che meno sulla validità del presupposto assunto come fece poi notare Kant).
CitazioneL'analisi logica, pur coi suoi limiti, resta cioè lo strumento valido di conoscenza indipendentemente dal carattere olistico,organico e globalistico dei fenomeni
Ma no, l'analisi fenomenologica è fondamentale almeno quanto ogni pretesa metafisico ontologica. Da dove discende l'ontologia se non da una fenomenologia? Non puoi pensare che basti un'analisi solo formale, a meno che non si tratti di una pura tautologia che essendo sempre vera è del tutto indifferente a ciò che dice e quindi qualsiasi cosa dica (qualunque sia il suo contenuto), se sintatticamente corretta, di per sé è sempre vera. Se Dio è fenomenologicamente irraggiungibile, a meno che non si tratti di una pura tautologia, la sua verità resta irraggiungibile e la sua onniscienza può essere solo arbitrariamente spiegata come formalità senza contenuto. Mappa e territorio viaggiano sempre insieme, come il segno e la cosa che esso indica, la verità del segno non può prescindere da quello che con quel segno, secondo una certa grammatica, si indica altrimenti non è verità, ma pura correttezza sintattica senza alcuna valenza semantica.