Secondo la filosofia fenomenologica di Husserl, è necessario sospendere il giudizio sull'esistenza di tutti gli enti che presumiamo esistenti: una volta sospeso questo giudizio l'unico fondamento certo che rimane è il fatto che noi percepiamo le cose, indipendentemente dalla loro esistenza.
La coscienza, che è sempre coscienza di qualcosa, è quindi chiamata residuo fenomenologico. Sin qui i concetti mi sono chiari. Tuttavia le cose si complicano quando Husserl afferma che la coscienza si può ulteriormente scremare e ridurre, sino ad arrivare all'Io puro che supererebbe le coscienze empiriche dei soggetti e da cui deriverebbero le essenze di tutti gli enti. Ma allora con che cosa sarebbe identificabile questo Io puro?
Io, in quanto soggetto pensante, posso infatti fare esperienza solo della MIA coscienza, ma non posso superare questa percezione per accedere ad un'ipotetica coscienza pura, perché dovrei superare me stesso. Di conseguenza qual è il procedimento per superare la mia coscienza particolare e vedere gli enti in questa maniera pura?
Credo che Tu , Edmund ed altri vi riferiate all'IO regista ,allo sceneggiatore del mondo conoscibile e che quel mondo trascende insieme alla finta oggettività del suo copione, ma che non può trascendere dall'effettiva e insondabile oggettività degli attori e degli oggetti di scena, che consistono in padri, madri e figli irriconoscibili sul set e di pistole giocattolo che non possono uccidere nessuno.
Secondo me, occorre indagare proprio questo "io, in quanto soggetto pensante".
Perché in effetti sembrerebbe che l'io sia ciò che pensa...
Ma non potrebbe essere invece proprio il contrario?
Ossia che è il pensiero che genera l'io?
Non sarebbe più logico e coerente considerare il pensiero e la stessa volontà manifestazioni che non sono espressione dell'io, ma che ne sono piuttosto l'origine?
Io sono il prodotto del pensiero...
D'altronde questo corpo necessita di decidere cosa fare, come muoversi, come sopravvivere.
Di modo che pensa.
Ma il pensiero deve avere una sua unità, una sua coerenza, una pur minima razionalità. Per poter essere utile. Deve cioè essere tenuto "fermo" almeno un po' in modo da essere efficace.
Così il pensiero genera l'io.
Lo genera perché ne ha bisogno il corpo.
Una verifica può essere fatta cercando di smettere di pensare, vi è ancora l'io?
Rimane ogni cosa, ma non l'io.
Smettere di pensare può essere conseguito disinteressandosi di ogni pensiero. Se vi si riesce, il pensiero perde di vitalità, si affievolisce e magari anche solo per un momento svanisce. Tutto il resto permane, ma non l'io...
Questa azione, il disinteressarsi, è anch'essa come d'altronde ogni nostra scelta a prescindere dall'io.
Nota:
Smettere di pensare può essere raggiunto anche con un'azione di forza. Ma lo sconsiglio vivamente. L'orrore che ne consegue non lo auguro a nessuno.
Salve bobmax. Citandoti : "Perché in effetti sembrerebbe che l'io sia ciò che pensa...
Ma non potrebbe essere invece proprio il contrario?
Ossia che è il pensiero che genera l'io?".
Certo che potrebbe essere RIDUTTIVAMENTE il contrario. Esattamente come potrebbe essere RIDUTTIVAMENTE che sia l'uovo a generare la gallina invece che la gallina a fare l'uovo.
Hai voglia quante considerazioni RIDUTTIVE di questo genere possiamo fare !
Andando oltre, vedo poi che capovolgi non riduttivamente, bensì geometricamente il rapporto tra l'io ed il corpo.
Infatti è una grande stupidaggine affermare che il corpo abbia bisogno di un io per esistere e fungere. Lasciando perdere l'intero mondo animale puramente istintuale, è proprio privandoci del nostro "io" che il nostro corpo realizza la funzione sovrana per la quale è stato costruito : la riproduzione.
Infatti per riprodursi occorre eiaculare, aspetto che si realizza fisiologicamente attraverso un orgasmo, orgasmo il quale consiste - psichicamente - nella temporanea perdita di controllo del sè. Tra l'altro ed infatti quella dell'orgasmo secondo me è l'UNICA CIRCOSTANZA POSSIBILE in cui si possa SMETTERE DI PENSARE.
Io in tutti gli altri momenti della mia esistenza non sono mai stato capace di non pensare. Sono meravigliato che tu invece lo dia per possibile ! Saluti.
Viator, sei sempre stato capace di non pensare.
Magari ti rammenti solo i momenti a cui ti senti più affezionato...
Ma il non pensare è senz'altro lo stato in cui più spesso ci troviamo.
Solo che, lì non vi è l'io.
Perché appunto non c'è pensiero.
Quando poi si torna a pensare ci si immagina di averlo sempre fatto. Di esserci sempre stati, come "io".
Ma non è così.
L'io e quindi il pensiero ci sono, quando ci sono, solo per merito della coscienza.
È la coscienza, con il suo essere nulla, a permettere il pensiero.
Che può esserci come non esserci.
Il suono, per esempio, c'è solo perché c'è il silenzio.
È il silenzio che permette l'esserci del suono.
Non viceversa.
Citazione di: bobmax il 08 Dicembre 2020, 21:05:58 PM
Il suono, per esempio, c'è solo perché c'è il silenzio.
È il silenzio che permette l'esserci del suono.
Non viceversa.
Tutte le sfumature della causalità: il suono c'è perchè c'è qualcosa che vibra e un mezzo che trasporta queste vibrazioni. Mettiamoci pure, per completezza biofisica, un recettore passivo capace di vibrare "simpaticamente" ricevendo quella vibrazione, ed un conduttore che trasferisce la vibrazione ad un convertitore neurologico che inoltra il tutto alla coscienza dell'organismo recettore.
L'assenza di vibrazioni non ha alcun merito rispetto al suono. Così come l'assenza dei numi è insignificante per l'esistenza del mondo.
Tutto ciò senza negare l'importanza del rapporto suono/silenzio in ambito sensoriale ed artistico 8)
Il silenzio, anche mentale, è lo sfondo indispensabile perché qualcosa vi appaia.
Al di là di tutte le cose, il Nulla è la condizione per l'esserci.
Finché non afferriamo questo... il nostro destino è la morte.
L'Io regista, quindi , conclusa la scena, ripone il megafono , chiama a sé gli attori attraverso i quali e grazie ai quali provò a vedere il mondo che voleva costruire, e li ringrazia ;attende pazientemente che tornino cambiati dai loro camerini e organizza insieme ad essi una pura spaghettata fra amici veri ,utilizzando il finto sangue di scena ,che altro non era che ottima passata di pomodoro , perché nulla va sprecato. Ecco , quindi, che fuori dal set non è l'IO del "cogito ergo sum" , ma quello allo stato puro che , sospesa momentaneamente la faticosa produzione del mondo ,dismette i propri abiti da regista per un poco di meritato riposo.
L'Io puro husserliano supera la particolarità delle esperienze individuali nel senso che, mentre queste ultime sono riferite a modi di valutare la soggettività la cui pretesa di verità può essere contestata o lasciata in sospeso (epochè) senza che la coscienza, intesa genericamente, scompaia, l'Io puro resta il residuo incancellabile necessario al darsi di tale coscienza, in quanto, recuperando in parte Cartesio, esso consiste nel soggetto cosciente inteso unicamente come "soggetto" degli atti di esperienza vissuta, che restano tali, indipendentemente dalla corrispondenza del loro contenuto immanente con la realtà oggettiva. L'Io empirico riguarda il nome che porto, il luogo dove sono nato, dove vivo, il tempo in cui sono collocato, il complesso delle opinioni circa me stesso e il mondo circostante, le cui pretesa di verità posso mettere in discussione, cioè le componenti accidentali del soggetto, di cui l'Io puro costituisce il livello essenziale. Essenziale, non esistenziale. Per questo il fatto che anche il livello di soggettività che l'Io puro indica non potrebbe mettersi in atto senza che esista in concreto un Io empirico che in un certo tempo e spazio lo produce, non contesta l'autonomia dell'Io puro nel suo senso corretto: questa autonomia non consiste in un'autonomia di una realtà che esisterebbe senza quella dell'Io empirico (genere di rapporto in cui invece rischia di cadere il Cogito cartesiano, sostanzializzato come "Res"), la sua autonomia è di tipo concettuale, consiste nell'indipendenza della verità dell'autocoscienza rispetto all'accidentale valore di verità che riferiamo alla nostra realtà empirica: perché si dia un Io puro è necessario che esista un Io empirico in generale che lo esistenzi, non è necessario che ciò che si afferma specificatamente circa tale Io empirico coinvolga la verità dell'Io puro. L'Io puro non è Io reale, è una dimensione concettuale, non nel senso di inutile astrazione, ma che assume un'importanza fondamentale metodologicamente, in quanto il suo riconoscimento è la premessa a partire da cui la fenomenologia muove ogni sua analisi sulla coscienza soggettiva, e, correlativamente, alle varie tipologie di Essere, di campi dal sapere, a cui le diverse specie di esperienze coscienti corrispondono, all'interno dei rapporti soggetto-oggetto, coscienza-mondo.
Ringrazio Davintro per la "chiara e distinta" lezione in favore dell'Io puro husserliano. Rispetto al quale colgo l'ingiusta acredine verso la fenomenologia accusata di materialismo, che egli invece inventò e indagò per andare oltre. Ad esempio, nella purezza di un io essenziale, sorretto da qualcosa che mi appare vacillante, al pari del noumeno che il fenomeno dovrebbe contenere, e al pari della "natura umana" che resta ancora troppo avvolta in un eccesso di idealistica indeterminatezza. Tutta questa purezza, dopo Auschwitz, si è un po' appannata, ma la nostalgia è grande e la memoria fallace, per cui si assiste ad un grande recupero, complice pure la pochezza dell'io empirico contemporaneo.
Dopo la dottrina cristiana, Kant e Husserl, tanta acqua è passata sotto i ponti della psicologia e la purezza, complice pure l'empiria tecnoscientifica inquinante, si è persa del tutto in un mondo dove anche le terre più remote hanno perso la verginità.
Citazione di: Socrate78 il 08 Dicembre 2020, 12:00:32 PM
Secondo la filosofia fenomenologica di Husserl, è necessario sospendere il giudizio sull'esistenza di tutti gli enti che presumiamo esistenti: una volta sospeso questo giudizio l'unico fondamento certo che rimane è il fatto che noi percepiamo le cose, indipendentemente dalla loro esistenza.
Non voglio dare interpretazioni del pensiero di Husserl, ma per conto mio posso dire che l'idea di sospendere il giudizio è senz'altro una condizione essenziale per poter andare più a fondo nell'esplorazione del mondo psichico (e non solo). E meno si concettualizza e si schematizza, almeno in una prima fase, meglio è.
Citazione
...sino ad arrivare all'Io puro che supererebbe le coscienze empiriche dei soggetti e da cui deriverebbero le essenze di tutti gli enti. Ma allora con che cosa sarebbe identificabile questo Io puro?
La purezza non può essere raggiunta che per sottrazione di impurità, e le idee sul mondo e su noi stessi che ci sono state infilate in testa in maniera più o meno coercitiva sono le impurità con cui abbiamo a che fare. A cominciare dal modo di vedere e considerare l'"io", che da centro di coscienza diventa il nucleo di ogni sorta di manie e disturbi mentali. Tutto comincia dall'idea di avere un'entità psichica definita da nutrire e difendere, un'entità mitica generalmente chiamata ego, che si nutre e trae la sua peculiare forma di esistenza da questo stesso mito: il racconto incessante di noi stessi che facciamo a noi stessi.Anche se ci sono delle radici biologiche della cristallizzazione e della bulimia dell'ego, identificabili nei cosiddetti istinti di conservazione della vita individuale e della specie (che si possono ritrovare oltre che nell'autodifesa fisica e nella caccia, anche nelle pulsioni di supremazia di certi animali maschi che combattono per il diritto alla riproduzione, o nella difesa del territorio), credo che siano soprattutto le istanze sociali ad averle amplificate e "materializzate", ad aver e conferito loro una sorta di oggettività psichica autonoma.
Citazione
Di conseguenza qual è il procedimento per superare la mia coscienza particolare e vedere gli enti in questa maniera pura?
Posso parlare della mia esperienza: non mi sento "proprietario" di nessuna coscienza e di nessun pensiero, il centro di coscienza da cui nasce e persiste la mia esperienza è solo un punto di osservazione della coscienza. Non avverto questa coscienza come qualcosa che mi appartiene o appartiene al mio corpo, ma come puro principio soggettivo, un "fenomeno" (qui mancano proprio le parole) universale a cui questo "mio" centro partecipa, di cui è parte. Da questa posizione, che non è semplicemente un'idea ma un modo di vedere e sentire, anche il mio ego diventa un oggetto percepito dalla coscienza e mostra tutta la sua inconsistenza e la sua natura composita, contradditoria, conflittuale. E i bisogni di identità e di autostima di cui l'ego chiede costante soddisfazione si rivelano per quello che sono: formazioni parassitarie indotte prevalentemente da istanze sociali e culturali. Il bisogno di identità, in particolare, la domanda "chi sono io veramente?", destinata in partenza a restare senza una risposta attendibile, è talmente pressante che se non riceve una risposta qualsiasi (come si fa con certe domande imbarazzanti dei bambini) può portare a serie instabilità psichiche. E la mancanza di "autostima" può portare alle condizioni psichiche più misere e dolorose. Ma se si raggiunge quella posizione di "distacco da sé" (dove quel "sé" sta in effetti per il proprio ego) tutto appare sotto un'altra luce e molti problemi si ridimensionano drasticamente.
Ma non c'è un "procedimento". Ci possono essere tecniche che ne facilitano in qualche modo il raggiungimento (quelle che vengono chiamate tecniche di meditazione) o anche l'assunzione di sostanze psicoattive può agire da facilitazione. Ma è un po' come qualunque azione fisica, ad esempio sollevare un braccio: come si fa a sollevare un braccio? Sapresti dare a qualcuno le istruzioni per farlo? L'unica cosa che si può fare è cercare di farlo, indirizzare l'attenzione e la volontà verso un obiettivo predeterminato. Con l'accortezza, nel caso della "purificazione" (o demistificazione, direi) dell'io, di lasciare questa "determinazione" il più possibile indeterminata. Ossia cercare qualcosa, ma non qualcosa di definito, ma qualcosa di sconosciuto, di nuovo. Restare aperti all'ignoto che si nasconde anche nelle pieghe delle esperienze più comuni.
La chiave è sempre in quella "sospensione del giudizio" che consente di evadere dal conosciuto per avventurarsi, da soli, in territori inesplorati.
Salve Socrate78 e donalduck. Citando : "l'unico fondamento certo che rimane è il fatto che noi percepiamo le cose, indipendentemente dalla loro esistenza".
Piacevole ma irragionevole conclusione. Peccato che la percezione sia un meccanismo biologico-sensoriale ben solidamente esistente il quale non solo esiste, ma funge da tramite tra gli esistenti cause della percezione e gli esistenti effetti della percezione. Il tutto anche al di fuori della nostra craniopsicofilosofica capacità di concepire l'inesistente.
Infatti temo proprio proprio che, all'interno della citazione sopra richiamata, sia stata fatta confusione tra il percepire (attribuendogli un significato psichico del tutto inappropriato) ed il concepire. Saluti.
Citazione di: viator il 13 Dicembre 2020, 19:14:38 PMSalve Socrate78 e donalduck. Citando : "l'unico fondamento certo che rimane è il fatto che noi percepiamo le cose, indipendentemente dalla loro esistenza".
L'esistenza/l'inesistenza é un predicato che non aggiunge nulla al concetto della cosa, mettiamola così che è più semplice, alla kantiana.
Husserl si inserisce in questa prospettiva: un tavolo sognato, immaginato, percepito, ricordato, non sono che modalità differenti in cui mi appare la cosa, e pure queste modalità, come l'esistenza, non aggiungono nulla al concetto della cosa, il quale "eidos" non varia mai al variare dele differenze modali dell'apparire cui prima.
A me appare che nella citazione che fa viator, il quale integra alcune distinzioni, sia espressa questa dinamica, tuttavia il problema esplicitato è ancora diverso e trovo non sia di facile risoluzione, almeno per me, e stando alla prospettiva Husserliana.
Ciao Socrate 78 :)
Per quel che può valere, ti do la mia "personale" interpretazione di quel particolare assunto di Husserl.
Ed invero è fuori di dubbio il fatto che noi percepiamo le cose, indipendentemente dalla loro esistenza; il che è anche sperimentalmente documentato dai miraggi e dalle allucinazioni.
Quanto al fatto che la coscienza si possa ulteriormente scremare e ridurre, sino ad arrivare all'"Io puro" che supererebbe le coscienze empiriche dei soggetti e da cui deriverebbero le essenze di tutti gli enti, sebbene con una terminologia un po' diversa, condivido pienamente l'assunto di Husserl.
***
Ma allora con che cosa sarebbe identificabile questo "Io puro"?
Secondo me, è identificabile con l'ESSERE che è il minimo comun denominatore di tutte le cose, coscienze individuali comprese; cioè, DIO, il quale appunto, secondo San Paolo, "est Omnia in omnibus!" (Cor.15).
***
Facciamo un esempio, il quale, ovviamente, ha fini meramente esplicativi; nessun esempio, infatti, può mai coincidere -e nemmeno spiegare completamente- la realtà ultima.
Nei nostri sogni, oltre al nostro "io personale", agiscono anche gli "io personali" e le "coscienze empiriche" degli altri soggetti del nostro sogno; con i quali interagiamo in modo analogo di quanto accade nella veglia.
Rammento che, più di una volta, ho sognato di discutere animatamente con alcuni di tali soggetti, per convincerli che, sia io che loro, eravamo tutti manifestazioni di un "unico io" sognante; e che, quindi, le nostre individualità oniriche erano sì "reali" (in quanto, comunque, in qualche modo si manifestavano nella nostra discussione), ma, nel contempo, erano anche "illusorie", poichè, in fondo, erano tutte manifestazioni di un "UNICO IO"...quello del Sognatore! Il quale, a volte, si impersonava in uno dei soggetti del sogno, mentre altre volte in un soggetto diverso.
A volte mi svegliavo subito, non appena presa coscienza di come stavano le cose; altre volte, invece, il sogno proseguiva, ed ogni personaggio insisteva a ribadire la sua "realtà individuale", differente da quella degli altri.
***
Nella veglia, secondo alcune "Weltanschauungen" come quella Vedanta, e, in un certo senso anche quella di Husserl e di molti altri, accade più o meno la stessa cosa.
Vale a dire:
- "io", in quanto "soggetto pensante individuale", posso fare esperienza diretta solo della MIA "specifica" "coscienza individuale";
- però, così come i personaggi onirici, finchè dura il sogno, non possono capire di essere tutti manifestazioni di un unico soggetto, allo stesso modo il mio "io" di veglia, così come quello di tutti gli altri, non possiamo superare questa percezione per accedere ad un'ipotetica coscienza dell'"IO" assoluto.
***
Quale possa essere il procedimento per superare la nostra coscienza particolare e vedere l'ESSERE in maniera pura, sinceramente, non te lo saprei proprio dire.
Da vivi, salvo casi eccezionali, forse non è proprio possibile, perchè, così come non ci si può svegliare finchè si continua a dormire, allo stesso modo "non si può vedere Dio (cioè l'ESSERE) e continuare a vivere"; ed infatti Gesù disse: "io non sono più nel mondo, ma essi sono nel mondo, e io vengo a te...conservali nel tuo nome, quelli che tu mi hai dati, affinché siano UNO, così come noi siamo UNO." "Io prego perché tutti siano UNA SOLA COSA; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi." (Vangelo secondo Giovanni, 17).
E San Paolo, ancora più esplicitamente, disse che siamo tutti destinati a diventare con Dio "UN SOLO SPIRITO" (1Cor 6,13c-15a.17-20)
***
Un saluto. :)
***
Salve Eutidemo. Citandoti : "Ed invero è fuori di dubbio il fatto che noi percepiamo le cose, indipendentemente dalla loro esistenza; il che è anche sperimentalmente documentato dai miraggi e dalle allucinazioni".
Mi dispiace parermi constatare che anche tu fai confusione tra il percepire ed il concepire.
Mentre i miraggi sono da noi PERCEPITI SENSORIALMENTE (l'occhio vede ciò che la realtà fisica genera sulla base delle leggi della fisica atmosferica e dell'ottica (riflessione-rifrazione))..........tale percezione esteriore viene poi interpretata dal nostro cervello il quale è portato a scambiare il reale fisico percepito dai sensi (la percezione di una lontana immagine tremolante e lucente) con l'irreale simbolico noto alla nostra psiche o memoria (il CONCETTO PSICHICO di acqua o di figure umane tremolanti).
Le allucinazioni invece appartengono invece solamente al regno del CONCEPITO PSICHICAMENTE poichè sono interamente prodotte all'interno del nostro sistema nervoso anche in mancanza di stimoli esterni.Con "mancanza distimoli esterni" non intendo "mancanza di origine o cause esterne (esogene)".......infatti alcool, droghe ed altro sono consuete cause allucinatorie.Intendo il fatto che le immagini e gli stimoli sensorialmente sperimentabili durante gli stati allucinatori vengono generati tutti al nostro interno (dalla nostra memoria cosciente od onirica, da nostre fisiologie o patologie). Saluti.
Citazione di: viator il 15 Dicembre 2020, 13:29:16 PM
Salve Eutidemo. Citandoti : "Ed invero è fuori di dubbio il fatto che noi percepiamo le cose, indipendentemente dalla loro esistenza; il che è anche sperimentalmente documentato dai miraggi e dalle allucinazioni".
....
Le allucinazioni invece appartengono invece solamente al regno del CONCEPITO PSICHICAMENTE poichè sono interamente prodotte all'interno del nostro sistema nervoso anche in mancanza di stimoli esterni.Con "mancanza distimoli esterni" non intendo "mancanza di origine o cause esterne (esogene)".......infatti alcool, droghe ed altro sono consuete cause allucinatorie.Intendo il fatto che le immagini e gli stimoli sensorialmente sperimentabili durante gli stati allucinatori vengono generati tutti al nostro interno (dalla nostra memoria cosciente od onirica, da nostre fisiologie o patologie). Saluti.
Una allucinazione, in Husserl ( ma non solo ) è un fenomeno mentale: una
percezione illusoria priva di riferimento oggettuale esterno
esistente attualmente, ciò che non cambia è l'atto mentale e la sua intenzionalità diretta all'oggetto, oggetto che può essere caratterizzato da
gradi di realtà differenti. A me pare sia questo il punto fenomenologico in questione, che si concentra sull'intenzionalità.
Ciao Viator.
Hai perfettamente ragione, in quanto, nel caso dei miraggi, l'occhio "percepisce" ciò che la realtà fisica genera sulla base delle leggi della fisica atmosferica e dell'ottica (riflessione-rifrazione); tale percezione esteriore, poi, come tu molto correttamente spieghi, viene erroneamente "interpretata" dal nostro cervello come se la lontana immagine tremolante e lucente fosse "acqua", invece della semplice "sabbia" del deserto.
La "sabbia" c'è, ma l'"acqua" no!
Non ho mai inteso mettere in dubbio tale fenomeno naturale, però non c'è dubbio alcuno che, anche in tal caso, come io avevo scritto, noi percepiamo le cose -in questo caso l'"acqua"- indipendentemente dalla loro effettiva esistenza; ed infatti, in conseguenza di ciò che la realtà fisica genera sulla base delle leggi della fisica atmosferica e dell'ottica, noi "crediamo" di "percepire" davanti a noi qualcosa che, invece, "non esiste" affatto...cioè l'acqua!
Quanto alle "allucinazioni", allo stesso modo noi "crediamo" di "percepire" davanti a noi qualcosa che, invece, "non esiste"; l'unica differenza è che, a differenza dei "miraggi", si tratta di illusioni interamente prodotte all'interno del nostro sistema nervoso anche in mancanza di stimoli esterni.
***
Per cui, lungi da me il voler "omologare" i "miraggi" con le "allucinazioni", essendo pacifica la differenza "fenomenologica" tra gli uni e le altre; a nessuno verrebbe mai in mente di confondere le due cose!
Io volevo solo dire che, in entrambi i casi, noi crediamo di "percepire" qualcosa che, in realtà, non c'è (l'acqua); del tutto a prescindere da ciò che ha provocato l'illusione (cioè che esso sia esterno o interno)!
***
In ogni caso, sotto una prospettiva Husserliana, per non voler tornare indietro fino a Berkeley, a livello strettamente teorico noi non siamo in grado di dimostrare che esistono effettivamente oggetti esterni che sono la causa delle nostre percezioni (corrette o distorte), giacchè tutto l'universo potrebbe essere frutto della nostra mente; ma questo è un discorso molto più complesso, che esorbita dalla specifica -peraltro correttissima- eccezione di mero carattere "fenomenologico" da te sollevata.
***
Un saluto!
***
Salve Eutidemo. Ma non era questa l'ottica in cui criticavo l'utilizzo improprio dei verbi "percepire" piuttosto che "concepire". Il punto di vista mia era fondamentalmente e semplicemente lessicale.
Percepire : "ricevere o sperimentare "per-....."", cioè "attraverso" cioè "per mezzo di qualcosa che separa il fuori di noi dal dentro di noi". QUINDI LA PERCEZIONE CONSISTE UNICAMENTE NEI MESSAGGI TRASMESSICI DA QUALCUNO DEI SENSI CORPORALI.
Concepire : "produrre o generare" ciò che è "con-......", cioè che risulta connesso unicamente alla nostra capacità di pensare, intesa come elaborazione autonoma di concetti i cui ingredienti avranno pure una indiretta origine a noi esterna (senza un qualche genere di memoria ed esperienza nessuno mai concepirà alcunchè), ma vengono da noi individualmente "assemblati" in modo da potersi integrare con quanto è già ospitato dalla nostra mente-psiche.QUINDI LA CONCEZIONE CONSISTERA' UNICAMENTE NEI NOSTRI ELABORATI MENTALI.
Così secondo me è, e sono certo che a questo punto - condividendolo o meno - la tua vivida intelligenza avrà afferrato il mio "distinguo". Stammi bene.
Citazione di: viator il 13 Dicembre 2020, 19:14:38 PM
Salve Socrate78 e donalduck. Citando : "l'unico fondamento certo che rimane è il fatto che noi percepiamo le cose, indipendentemente dalla loro esistenza".
Piacevole ma irragionevole conclusione. Peccato che la percezione sia un meccanismo biologico-sensoriale ben solidamente esistente il quale non solo esiste, ma funge da tramite tra gli esistenti cause della percezione e gli esistenti effetti della percezione. Il tutto anche al di fuori della nostra craniopsicofilosofica capacità di concepire l'inesistente.
Infatti temo proprio proprio che, all'interno della citazione sopra richiamata, sia stata fatta confusione tra il percepire (attribuendogli un significato psichico del tutto inappropriato) ed il concepire. Saluti.
A mio parere, la percezione equivale alla presa di coscienza.
Sono cosciente di qualcosa = percepisco quel qualcosa.
Questo "qualcosa" è la forma intelligibile con cui viene interpretata la percezione. Ma è la percezione che compare nella coscienza, non quel qualcosa a cui si attribuisce la causa della percezione stessa.
Perciò la percezione è a prescindere da ogni possibile successiva considerazione.
Perché la percezione viene "prima" del qualcosa che pare originarla e quindi dell'attribuzione dell'ambito di esistenza di quello stesso qualcosa.
Cioè prescinde se quel qualcosa sia materiale, oppure mentale, o se sia un'allucinazione, un miraggio...
Non importa l'ambito di esistenza del qualcosa, e nemmeno cosa quel qualcosa sia. Perché ciò che esiste nella coscienza è la percezione di per sé.
Di modo che, pure le possibili "cause" del qualcosa che si percepisce, sono solo considerazioni successive, che non riguardano la percezione in sé, ma quel qualcosa che si ritiene ci sia "dietro" la percezione stessa.
La percezione non sottostà perciò alla legge di causa-effetto.
Questa legge scaturisce solo a valle della coscienza, e quindi delle sue percezioni. E nasce per dare un senso a ciò che si percepisce.
Che questa legge non sia originaria, lo possiamo verificare constatando come non vi sia alcuna "prova" definitiva della sua effettiva esistenza.
La legge di causa effetto potrebbe essere soltanto la manifestazione di un bisogno di senso. Un bisogno che agisce su ciò che si percepisce. E quindi a cascata sui qualcosa che dovrebbero stare "dietro" a quelle percezioni. Un bisogno di senso che agisce generando ciò che noi, convinti dell'esistenza dei qualcosa, riteniamo sia la realtà.
In un sogno, per esempio, non possiamo certo dire che vi sia una legge di causa-effetto che agisce dall'esterno sugli eventi... Eppure, se il sogno ha un minimo di senso, dovrebbe rispettarla.
Quello che mi frena nel considerare l'allucinazione come "concezione", è che il concetto di concezione attiene all'ambito dei giudizi, delle opinioni, che però è un livello di relazione coscienza-mondo distinto da quello a cui la possibilità dell'allucinazione è riferita. L'allucinazione non implica di per sé un giudizio di esistenza attribuito al suo contenuto: posso giudicare l'oggetto dell'allucinazione come reale (errando, in questo caso), ma anche negarne l'esistenza, cioè riconoscere l'allucinazione come tale, oppure sospendere provvisoriamente tale giudizio di esistenza (per l'appunto, la riduzione fenomenologica). Si può dire che l'allucinazione inneschi una tendenza a far credere alla realtà del suo oggetto, in quanto in essa, a differenza che in una fantasia scientemente prodotta, il contenuto si presenta reale proprio come in un'autentica percezione, ma questa tendenza non determina necessariamente il giudizio di esistenza: l'Io resta libero di rielaborare il contenuto allucinatorio, valutando l'inerenza del predicato di esistenza al soggetto, cioè il contenuto allucinatorio. Nell'allucinazione questa rielaborazione non c'è, il contenuto si presenta nella sua pura datità fisica (anche se in realtà non è fisicità in carne e ossa) senza la categoria, intelligibile, di esistenza che la ragione giudicante valuterà poi se attribuire o meno al contenuto nella sua unità, in quanto l'Io recepisce il contenuto dell'allucinazione ad un livello di passività che è lo stesso di ogni percezione di oggetto reale (anche se un certo margine di attività già qui comincia, e ciò distingue la percezione della sensazione). Il giudizio "ciò che sto vedendo esiste davvero oggettivamente" attiene a un livello successivo (non "successivo" nel senso cronologico, ma logicamente distinto, nel senso che da A "l'allucinazione" non discende necessariamente B "il giudizio di esistenza", cosicché perché si dia B è necessario introdurre una nuova specie di atti di coscienza, gli atti della ragione), un livello in cui l'Io acquisisce una maggiore autonomia nei confronti dell'oggetto al punto da rielaborarne le visione, valutando se attribuire la categoria intelligibile di esistenza al contenuto manifestatosi come complesso di proprietà sensibili. Il giudizio implica una superiore libertà dell'Io che mette in relazione predicato e soggetto, mentre nell'allucinazione, come nella percezione, l'Io lascia che sia l'oggetto a presentarsi immediatamente con tutte le sue proprietà sensibili, essendo il concetto di esistenza intelligibile e non sensibile, la categoria di esistenza non viene valutata né nella percezione né nell'allucinazione: l'oggetto ci si presenta come fosse reale, ma non al punto da determinare necessariamente l'attribuzione dell'esistenza in un giudizio vero e proprio, la ragione giudicante segna un incremento qualitativo della libertà interpretativa della coscienza rispetto ai suoi oggetti.
In questo senso trovo molto illuminante e chiarificatore il messaggio 15 di Lou, al di là di voler definire la percezione come apprensione di una cosa reale e l'allucinazione come prodotto della fantasia, dal punto di vista dell'intenzionalità, che è quello che in fenomenologia interessa, la coscienza si rapporta in entrambi i casi allo stesso modo: si limita a visualizzare un contenuto sensibile, che nella percezione corrisponde a un oggetto realmente esterno che impatta sui campi sensoriali del corpo e nell'allucinazione no, ma che nell'intenzionalità, cioè nel modo in cui il fenomeno è vissuto nella coscienza dell'Io, è recepito allo stesso modo, un dato sensibile ancora privo di attribuzione di categorie intelligibili come l'esistenza, attribuzione che segna il sorgere del giudizio. In quest'ultimo senso l'allucinazione ha molto più a che fare con la percezione che con il giudizio o "concezione".
Tra l'altro, anche la possibilità di stimolare allucinazioni tramite semplice infusione di sostanze tossiche, mentre la manipolazione del giudizio implicherebbe tecniche di controllo mentale molto più sofisticate e complesse, conferma quanto l'allucinazione presenti una componente di passività della coscienza ben maggiore di quello dell'Io giudicante: le tecniche di manipolazione del giudizio, delle opinioni son più sofisticate perché debbono superare una resistenza soggettiva ben maggiore rispetto al puro provocare allucinazioni, senza che l'Io modifichi i suoi parametri consueti di valutazione.
Sul tema della «manipolazione del giudizio» e della «resistenza soggettiva», segnalo
en passant (e molto
border topic) un
esperimento un po' datato (2015) ma interessante, sul rapporto fra ideologie e "manipolazione" neuroscientifica (
qui un più recente approfondimento).
Sempre sul filo del border-topic, rispondendo a Phil. Gli esperimenti in questione se fatti bene, non dimostrano nulla, come giustamente viene sottolineato nell'articolo in inglese, visto che si tratta di un gruppo limitato di soggetti (24) e che i risultati sono tratti da questionari di auto-valutazione. Molto più ridondante il testo in italiano, che fa presumere che si sia trovato addirittura il centro di controllo delle ideologie, come se nel nostro cervello ci fosse un omino che ha il controllo della Computer Centrale. Un approccio che ha l'unico risultato di far odiare le neuroscienze e che non rende loro giustizia. E' evidente che nella cultura di massa è inconcepibile tenere insieme più cose, apparentemente confliggenti: quindi o il cervello è fatto di cellule e basta bombardarle con qualche scossa elettrica e lo possiamo far diventare quello che vogliamo, oppure "IO" sono il mio cervello e del mio cervello me ne posso anche disinteressare perchè il mio "IO" è altrove (magari nell'anima o nella ghiandola pineale o nel grande albero della vita). Le due dinamiche, in realtà coesistono, e l'importanza delle neuroscienze è dato dall'aver evidenziato il condizionamento del nostro comportamento a partire dalla struttura fisica del sistema nervoso centrale e periferico. Ma noi siamo quello che siamo, a causa dell'impatto di un complesso sistema neurale, con una storia culturale che dura decine di migliaia di anni e con una storia personale che retroagisce sulla stessa struttura del Sistema nervoso centrale. C'è un ontogenesi e una filogenesi culturale (comprensiva anche della credenza nell'anima e della credenza nelle neuroscienze) che si intreccia ad una ontogenesi e a una filogenesi biologica. Questi titoli ad effetto mi fanno pensare che davvero l'uomo abbia sempre bisogno di una entità superiore, prima la chiamava Dio/anima/coscienza religiosa, ora Sistema Nervoso Centrale/soggetto biologico/comportamenti automatizzati. Ma forse, molto meno romanticamente, si tratta solo di "sparare la notizia in prima pagina".
Citazione di: davintro il 15 Dicembre 2020, 20:53:00 PM
[...]dal punto di vista dell'intenzionalità, che è quello che in fenomenologia interessa, la coscienza si rapporta in entrambi i casi allo stesso modo: si limita a visualizzare un contenuto sensibile, che nella percezione corrisponde a un oggetto realmente esterno che impatta sui campi sensoriali del corpo e nell'allucinazione no, ma che nell'intenzionalità, cioè nel modo in cui il fenomeno è vissuto nella coscienza dell'Io, è recepito allo stesso modo, un dato sensibile ancora privo di attribuzione di categorie intelligibili come l'esistenza, attribuzione che segna il sorgere del giudizio. In quest'ultimo senso l'allucinazione ha molto più a che fare con la percezione che con il giudizio o "concezione"[...]
Esattamente:la percezione allucinatoria è vissuta internamente (a parte soggetto che la vive ) e realmente in modo indistinguibile da una percezione non allucinatoria, indipendentemente dalla esistenza dell'oggetto, oggetto che si manifesta in una datità attuale. Posizione di esistenza che non può essere verificata dalla percezione, perchè è un grado di valutazione che non appartiene all'essenza del percepire,
ma necessita di un'ulteriorità, come correttamente descrivi, nell'entrata in scena del giudizio, a parer mio.
@JacopusConsiderando come il sensazionalismo del titolo del primo link fosse fuorviante, e il testo seguente povero di spiegazioni dettagliate, mi son sentito in dovere di postare anche il link all'articolo in inglese, meno digeribile, ma decisamente più calibrato ed intellettualmente onesto (non ho postato solo il secondo link perché non do per scontato che tutti siano in grado di capire l'inglese; almeno uno spunto sommario in italiano volevo darlo).
Gli snodi da considerare, pertinenti con il topic (seppur non strettamente con Husserl), potrebbero essere molteplici (li accenno solo perché comunque non voglio "spoilerare" le questioni husserliane
d'antan):
- esperimenti come quello citato, pur con tutti i limiti ed incognite del caso, dimostrano la (possibilità della) manipolabilità del "io indifeso", non solo per via chimica (come alcuni psicofarmaci) o per via linguistica (come l'intramontabile retorica), ma direttamente per via locale-cerebrale, ad ulteriore conferma di come anche apparenti astrazioni e concettualizzazioni (come la tolleranza o la fede) abbiano comunque una radice fisiologica (manipolata la quale, cambia il vissuto connesso a tali "idee", il che aiuta a demistificare il "valore ontologico" di un vissuto, di un'ideologia, etc.)
- la "purezza" dell'Io meta-fisico parrebbe da pensare in bilico fra tali possibili condizionamenti fisiologici ed una "soggettività" ad essi superiore, eppure tale gerarchia superiore potrebbe essere a sua volta solo una risposta ideologica, o meglio "iodeologica" (magari di quelle condizionabili neurologicamente?); diventa quindi ancor più rilevante chiedersi che cosa ci consente di parlare di "io" (potremmo non parlarne?): la tradizione culturale, il vocabolario o un referente "reale" con cui non si può non fare i conti?
- il limite di queste ricerche (sostenere che «non dimostrano nulla» mi pare un po' troppo refrattario ai dati) è, come hai osservato, quello che non potendo fare misurazioni oggettive delle credenze (ma solo dei comportamenti), non resta che affidarsi a parametri tutt'altro che impeccabili e risposte di cui ci si deve fidare; nondimeno se emergono delle tendenze coerenti, potrebbe non essere una coincidenza (dovuta ad esempio alla cultura comune dei partecipanti, ad un gruppo non abbastanza eterogeneo o numeroso, etc.) e, a parer mio, tali esperimenti suggeriscono almeno che influenzando la "
res" si influenza il suo "cogitare"
anche concettuale, non solo l'
output comportamentale (e magari persino l'identità del "
sum"?). Se ciò significa che il cervello si rivela essere la "sedia elettrica" in cui vengono giustiziate credenze animiste e meta-fisiche, è arduo a dirsi, ma credo vada almeno rispettata l'asimmetria epistemologica fra ricerca scientifica ed inerzia culturale, teorie infalsificaibli, etc.
P.s.
La circolarità interpretativa, o forse semplicemente la dialettica, fra ontogenesi e filogenesi sovraindividuale, mi pare ben sintetizzata nella domanda aperta nella Conclusione dell'articolo: «
Whether co-optation of the brain's alarm system for ideological shifts reflects functional evolutionary adaptation in Homo sapiens (e.g., to spur cooperation related to shared ideology in the face of threat), or a by—product of the deployment of alarm systems in a mind capable of abstract ideological cognition, remains an open question» (
tradotto).
P.p.s.
Concordo con
davintro e
Lou sulla constatazione che la percezione, essendo un fenomeno di ricettività soggettiva, non implica il giudizio di esistenza oggettiva del suo contenuto (apparente) per come viene identificato dalla coscienza (posso dubitare dell'oggettiva identità di ciò che vedo, ma non di vederlo).
Posso dubitare anche di COME vedo l'oggetto.Una persona miope e rimasta senza occhiali dubiterà che l'ombra in lontananza sia una persona oppure qualcosa d'altro. Allo stesso modo il pensiero può dubitare della natura di ciò che vede sfuocato (l'io). Potrebbe essere qualcosa d'altro alla fine, oppure avere caratteristiche diverse da quelle che suppone il pensiero.
Certo, ma il dubitare del come vedo ipostatizza la nettezza percettiva del vedere e la sua modalità per poterli mettere in dubbio e il dubitare un atto del giudizio, non della percezione: il giudizio ne verificherà la veridicità o meno, e della modalità e dell'oggetto visto, rinnovando eventualmente il senso di come il percepire si è presentato e di ció che ha presentato.
Salve jacopus. Citandoti : ".............quindi o il cervello è fatto di cellule e basta bombardarle con qualche scossa elettrica e lo possiamo far diventare quello che vogliamo, oppure "IO" sono il mio cervello e del mio cervello me ne posso anche disinteressare perchè il mio "IO" è altrove (magari nell'anima o nella ghiandola pineale o nel grande albero della vita). Le due dinamiche, in realtà coesistono, e l'importanza delle neuroscienze è dato dall'aver evidenziato il condizionamento del nostro comportamento a partire dalla struttura fisica del sistema nervoso centrale e periferico."
Ribadisco : nè tu nè io siamo il nostro cervello materialmente fondato e costituito: siamo ciò che resta di noi dopo che noi ci sia separati da tutto ciò che è separabile da noi.
Ciò che resta di noi - una volta eliminato e gettato in spazzatura (oppure trapiantato da altri corpi oppure anche impiantato e fatto rigenerare geneticamente (il tutto, fin qui, anche futuribilmente), oppure anche frutto del rinnovamento cellulare fisiologico del nostro corpo)...................ciò che resta di NOI, dicevo, è semplicemente LA FORMA DEI CONTENUTI DEL NOSTRO CERVELLO.
Ed essa forma altro non è che l'insieme delle relazioni neurologiche (cioè elettroneurali, cioè energetiche) che risultano presenti ed agenti encefalicamente, cioè l'insieme dei flussi neuroelettrici il cui generarsi, modularsi, variegarsi e concatenarsi nel tempo e nello spazio endocranico consiste appunto nella incessante mutevolezza della nostra FORMA NEUROLOGICA che da sempre viene chiamata usando pronomi personali (io, tu, noi, loro........) o, più genericamente, IDENTITA'. Saluti.
Anch'io tenderei a identificare l'Io puro" con l'Essere (ma non primigenio).
Sarebbe un io irriducibile interiore e immutabile, che inerisce ad un io empirico, esperienza nel mondo. La dialogia fra l'IO interiore "puro", ed esterno "empirico" costituisce il nucleo della consapevolezza di sé.
L'ousia, la sostanza, "dialoga", si confronta con l' eidos (immagine), intesa come idea:forma e sostanza. E' la ricerca del proprio Essere che dà senso (modalità di essere e fare) all'esistenza.
...così mi parrebbe nel dialogo fra " io e io".
Sulla struttura fisica dell' IO: arriverà qualcuno a dire che siamo DNA, che l'IO risiede in una concatenazione di acidi nucleici, proteici, in un ribosoma o mitocondrio, magari in un retrovirus, .....nel covid-19
Salve paul11. Citandoti: "Sulla struttura fisica dell' IO: arriverà qualcuno a dire che siamo DNA, che l'IO risiede in una concatenazione di acidi nucleici, proteici, in un ribosoma o mitocondrio, magari in un retrovirus, .....nel covid-19"
Certamente c'è già chi lo pensa e lo dice e si appresta a ripeterlo. Secondo me sbagliandosi di grosso poichè l'ipotesi materialistica (e qui sta il colossale equivoco tra materialismo (riduzione del mondo all'aspetto esclusivamente materico-massivo) e fisicismo (riduzione del mondo alla dualità fisica fondamentale costituita dall'aspetto materico e da quello energetico))..............l'ipotesi materialistica nel senso corrente confonde il substrato (tessuti, cellule, nervi) con la funzione che esso consente (la funzione psichica e cogitativa) e quindi poi trascura del tutto l'essenza di tale funzione (la FORMA della funzione psichica e cogitativa, consistente appunto nei flussi energetici neuroelettrici di cui ho parlato nel mio ultimo intervento).
LO SPIRITO DEL MONDO E' L'ENERGIA (il divenire), MENTRE IL CORPO DI ESSO E' LA MATERIA (lo stare). Questa è per me l'evidenza che riguarda, tra i contenuti del mondo, anche noi stessi. Saluti.
Citazione di: Eutidemo il 15 Dicembre 2020, 11:59:02 AM
Ma allora con che cosa sarebbe identificabile questo "Io puro"?
Secondo me, è identificabile con l'ESSERE che è il minimo comun denominatore di tutte le cose, coscienze individuali comprese; cioè, DIO, il quale appunto, secondo San Paolo, "est Omnia in omnibus!" (Cor.15).
Anche senza arrivare ai numi, penso anch'io che si tratti del solito tormentone dell'
ontologia metafisica, tra le cui spire si sono avvinghiati tutti, compresi i più grandi pensatori.
L'
io metafisico si trova schiacciato tra filosofia e psicologia e non c'è nessun Salomone che abbia il coraggio di segarlo in due per vedere alfine a chi appartiene veramente. Cosa che si potrebbe pure fare, visto che il pargolo è morto.
L'io individuale reale è un aggregato di tutte le impurezze genetiche, etologiche, culturali e ideologiche che si siano presentate alla ribalta del mondo antropologico. Già Freud aveva spazzato via l'illusione husserliana di un "io puro". Il prosieguo dell'indagine neuropsicologica ed etologica umana ne ha ancor più disintegrato ogni fondamento epistemico.
Certo rimane l'
io impuro, con tutta la sua impudica bellezza.
Salve Ipazia : Citandoti : "Già Freud aveva spazzato via l'illusione husserliana di un "io puro". Il prosieguo dell'indagine neuropsicologica ed etologica umana ne ha ancor più disintegrato ogni fondamento epistemico".
Attenzione ti prego, ai concetti di "purezza" ed "impurità". I quali non si prestano certo alla trattazione del presente argomento in chiave di filosiofia materialistico-fisicistica.
Qui stiamo facendo finta di star cercando l'essenza di qualcosa (quindi della sua raffinazione alla massima purezza), perciò dovrà darsi per scontato che la versione "impura" di quella stessa cosa (quella "full optionals") risulta solo scontata ed ostacolante. Saluti.
Citazione di: viator il 17 Dicembre 2020, 13:54:03 PM
siamo ciò che resta di noi dopo che noi ci sia separati da tutto ciò che è separabile da noi
Se ho bene inteso la questione è dunque: cos'è separabile da viator senza che viator smetta di essere viator?
Se, ad esempio, a viator togliamo il cervello, resta ancora viator? Probabilmente otterremmo un viator-morto, che è, in un certo senso, pur sempre viator, ma non un viator che plausibilmente possa
essere cosciente di essere "un qualcosa" (salvo ipotizzare che un corpo senza cervello possa comunque avere coscienza del proprio essere).
Citazione di: viator il 17 Dicembre 2020, 13:54:03 PM
ciò che resta di NOI, dicevo, è semplicemente LA FORMA DEI CONTENUTI DEL NOSTRO CERVELLO
Se ciò che resta (del viator reale, suppongo) è «la forma dei contenuti del cervello» viene da chiedersi se esista, nella realtà (non come mera astrazione), una forma senza materia che la "incarni" (anche l'impronta di ciò che non c'è più, presuppone almeno un qualcosa su cui essere impressa). Se ciò che resta è solo una forma (che pur rende viator tale) in cosa
consiste tale forma, se viator ha ancora una qualche "consistenza"?
La risposta, se non sbaglio, è:
Citazione di: viator il 17 Dicembre 2020, 13:54:03 PM
essa forma altro non è che l'insieme delle relazioni neurologiche (cioè elettroneurali, cioè energetiche) che risultano presenti ed agenti encefalicamente, cioè l'insieme dei flussi neuroelettrici il cui generarsi, modularsi, variegarsi e concatenarsi nel tempo e nello spazio endocranico consiste appunto nella incessante mutevolezza della nostra FORMA NEUROLOGICA
La sussistenza di tale forma mi pare presupporre che essa non sia stata
separata (v. sopra) dal cervello, senza il quale essa non potrebbe essere, come la descrivi/definisci, «l'insieme delle relazioni neurologiche (cioè elettroneurali, cioè energetiche) che risultano presenti ed agenti encefalicamente»; l'elettro-neurale e il neuro-logico (di suddetta forma) non so se possano essere davvero separati dai rispettivi «-neurale» e «neuro-»; ugualmente non sono sicuro sia possibile avere tali «relazioni» e «flussi» senza ciò che li "sostanzia".
Se
separiamo tali "relazioni presenti ed agenti" dal cervello in questione, suppongo esse non possano che essere concettualizzazioni presenti magari in un altro cervello, ma non in quello da cui sono state separate (concorrendo ad identificare viator come tale); sarebbe come voler separare i cavi dalla corrente che vi scorre e pensare di poter avere ancora
quella corrente (identità) senza
quei cavi (se pure i cavi si "autorinnovano", mantenendo attivo il flusso della corrente, ciò dimostra che è l'esistenza di quella corrente a dipendere dall'esistenza di quei cavi, quindi non ne può essere separata).
Possiamo dunque togliere l'"io" di viator dal suo cervello (come forse avviene con la morte), senza che il cervello smetta di essere tale, ma dubito possiamo togliere il cervello a viator senza che il suo "io" smetta di essere tale (almeno se identifichiamo viator come persona viva e il cervello come organo separato dagli altri).
Se quindi prendiamo per buono che «siamo ciò che resta di noi dopo che noi ci siamo separati da tutto ciò che è separabile da noi»(cit.), credo che il cervello non rientri nel separabile da noi (anche se magari non è l'unico elemento a restare per poter avere ancora un "io"... in fondo, chi può dimostrare di non avere un'anima, un legame karmico o altre infalsificabili "identità essenziali"?).
P.s.
Sulla distinzione fra "materialismo" e "fisicalismo" (usandone la tua accezione), non so se esista davvero qualche materialista che sia "negazionista energetico", ovvero che non riconosca anche l'esistenza e il ruolo dell'energia (suggeriti dalle bollette elettriche), riducendo invece tutto l'esistente a materia ma senza energia (tale materialismo dubiterebbe anche della nota formula di Einstein?). Parimenti (richiamando anche il post di
paul11) non so se si possano avere ancora dei legittimi dubbi sul ruolo del dna nella strutturazione "formale", non dell'Io (che dubito qualcuno
identifichi con il dna), ma almeno del corpo umano (non sono minimamente competente di epigenetica o di
genetica del comportamento per potermi sbilanciare oltre quell'«almeno»).
Non so se il pargolo è morto. Io me lo sento ben vivo!
Penso che il concetto di purezza o impurità non possa essere applicato all'io, in quanto struttura complessa, che ha la sua base sulle sensazioni.
L'energia entra integralmente e con pieno diritto nel materialismo filosofico, in cui rientrano anche gli apparentemente immateriali rapporti materiali dell'universo etologico umano.
La purezza, insieme a tutti gli altri assoluti, è un concetto limite che la metafisica converte con eccessiva faciloneria in feticcio.
Salve phil. Rispondo al tuo recente intervento inserendo le mie controosservazioni in
grassetto :
Citazione di: Phil il 17 Dicembre 2020, 23:20:46 PM
Citazione di: viator il 17 Dicembre 2020, 13:54:03 PM
siamo ciò che resta di noi dopo che noi ci sia separati da tutto ciò che è separabile da noi
Se ho bene inteso la questione è dunque: cos'è separabile da viator senza che viator smetta di essere viator? (Hai inteso molto bene).
Se, ad esempio, a viator togliamo il cervello, resta ancora viator? (dipende da cosa intendiamo con "viator" : la persona e la sua identità svaniscono, il corpo resta mutilo, l'anagrafe lo libererà dalle sue responsabilità...........). Probabilmente otterremmo un viator-morto (=cadavere), che è, in un certo senso, pur sempre viator, (per alcuni ma non per altri, infatti per alcuni il cadavere di viator sarebbe assai vile, per altri assai sacro, per altri ancora (gli eventuali destinatari di trapianti) assai utile..........) per altri ma non un viator che plausibilmente possa essere cosciente di essere "un qualcosa" (salvo ipotizzare che un corpo senza cervello possa comunque avere coscienza del proprio essere) (un corpo privo di cervello sarebbe privo anche di memoria, di istinti, di sentimenti, di emozioni - ciò almeno a mio parere - ........figuriamoci quindi dove finirebbe la sia identità psichica. Poi, certo, resta in piedi l'ipotesi spiritualistica per chi vi crede........)
Citazione di: viator il 17 Dicembre 2020, 13:54:03 PM
ciò che resta di NOI, dicevo, è semplicemente LA FORMA DEI CONTENUTI DEL NOSTRO CERVELLO
Se ciò che resta (del viator reale, suppongo) è «la forma dei contenuti del cervello» viene da chiedersi se esista, nella realtà (non come mera astrazione), una forma senza materia che la "incarni" (anche l'impronta di ciò che non c'è più, presuppone almeno un qualcosa su cui essere impressa). ("Forma" è un concetto astratto, cioè il prodotto di una mente. Dicendo - come ho affermato in precedenza - che la "forma psichica" o "individualità" di un soggetto o "io" è l'insieme delle relazioni di ciò che succede all'interno del cranio (passami una descrizione così troppo rozza e semplificatoria), intendo dire che i componenti materiali (biologici) sono tra di loro relazionati in modo tale da generare ciò che in sè non è affatto materiale (le funzioni psichiche e mentali). Il "miracolo" avviene attraverso l'aspetto energetico (attività neuroelettrica) dal momento che l'energia è appunto quell'aspetto, quella dimensione contemporaneamente sia fisicissima che per nulla materiale (!!) che permette di far vivere ciò che di per sè sarebbe immobile, statico, immutabile (la materia)............cioè di trasformare lo "stare materiale" nel "divenire energetico" dando una forma (sempre provvisoria e mutevole perchè consistente appunto nel divenire) a ciò che ha appunto bisogno di una forma per poter esistere (nel senso dinamico che ho citato e resta tutto sommato l'unico modo possibile di esistere veramente per tutto ciò che ci circonda).
Se ciò che resta è solo una forma (che pur rende viator tale) in cosa consiste tale forma, se viator ha ancora una qualche "consistenza"? (Credo di aver risposto parzialmente qui sopra. Ma il dire che "io sono ciò che resterà di me dopo che mi sia separato da tutto ciò che è separabile da me".....non significa esattamente affermare che io consista unicamente nella mia forma astratta. Per la precisione occorre intendere "io sono la mia forma psicomentale resa e mantenuta funzionante dal proprio irrinunciabile supporto materiale (anche neurologicamente, io sono l'insieme che trascende le proprie parti).
La risposta, se non sbaglio, è:
Citazione di: viator il 17 Dicembre 2020, 13:54:03 PM
essa forma altro non è che l'insieme delle relazioni neurologiche (cioè elettroneurali, cioè energetiche) che risultano presenti ed agenti encefalicamente, cioè l'insieme dei flussi neuroelettrici il cui generarsi, modularsi, variegarsi e concatenarsi nel tempo e nello spazio endocranico consiste appunto nella incessante mutevolezza della nostra FORMA NEUROLOGICA
La sussistenza di tale forma mi pare presupporre che essa non sia stata separata (v. sopra) dal cervello, senza il quale essa non potrebbe essere, come la descrivi/definisci, «l'insieme delle relazioni neurologiche (cioè elettroneurali, cioè energetiche) che risultano presenti ed agenti encefalicamente»; l'elettro-neurale e il neuro-logico (di suddetta forma) non so se possano essere davvero separati dai rispettivi «-neurale» e «neuro-»; ugualmente non sono sicuro sia possibile avere tali «relazioni» e «flussi» senza ciò che li "sostanzia". (valga la precisazione che ho ora fornito qui sopra).
Se separiamo tali "relazioni presenti ed agenti" dal cervello in questione, suppongo esse non possano che essere concettualizzazioni presenti magari in un altro cervello, ma non in quello da cui sono state separate (concorrendo ad identificare viator come tale); sarebbe come voler separare i cavi dalla corrente che vi scorre e pensare di poter avere ancora quella corrente (identità) senza quei cavi (se pure i cavi si "autorinnovano", mantenendo attivo il flusso della corrente, ciò dimostra che è l'esistenza di quella corrente a dipendere dall'esistenza di quei cavi, quindi non ne può essere separata).
(La separazione tra la forma (astratta ed immateriale, come ho già detto) di qualcosa ed il suo supporto (concreto e materiale) inesorabilmente necessario alla generazione della forma stessa (ed in questo caso pure alla sua funzione) .....è possibile solamente concepirla, non renderla reale. Quel tal certo preciso flusso di corrente (o di coscienza) transitante in quel cavo (o nel sistema nervoso di Viator) non potrà mai risultare perfettamente identico se si cercasse di realizzarlo altrove. Il supporto sarà impercettibilmente diverso, la tensione e la frequenza della corrente pure.......tutto ciò che si concepisce di voler realizzare identicamente risulterà invece comunque differente.
Possiamo dunque togliere l'"io" di viator dal suo cervello (come forse avviene con la morte), senza che il cervello smetta di essere tale, ma dubito possiamo togliere il cervello a viator senza che il suo "io" smetta di essere tale (almeno se identifichiamo viator come persona viva e il cervello come organo separato dagli altri). (Infatti !!).
Se quindi prendiamo per buono che «siamo ciò che resta di noi dopo che noi ci siamo separati da tutto ciò che è separabile da noi»(cit.), credo che il cervello non rientri nel separabile da noi (infatti ciò non l'ho mai sostenuto in precedenza ed anzi qui sopra l'ho negato) anche se magari non è l'unico elemento a restare per poter avere ancora un "io"... in fondo, chi può dimostrare di non avere un'anima, un legame karmico o altre infalsificabili "identità essenziali"?).
P.s.
Sulla distinzione fra "materialismo" e "fisicalismo" (usandone la tua accezione), non so se esista davvero qualche materialista che sia "negazionista energetico", ovvero che non riconosca anche l'esistenza e il ruolo dell'energia (suggeriti dalle bollette elettriche), riducendo invece tutto l'esistente a materia ma senza energia (tale materialismo dubiterebbe anche della nota formula di Einstein?). (Certo, son d'accordo con te, ma ciò che io contesterei sarebbe il significato corrente (in vigore in ogni genere di ambiente culturale ufficiale) di "materialismo", termine che dovrebbe venir rimpiazzato da "fisicismo", incorporante quindi la fisica, scientifica e filosofica complementarietà tra materia ed energia.) Parimenti (richiamando anche il post di paul11) non so se si possano avere ancora dei legittimi dubbi sul ruolo del dna nella strutturazione "formale", non dell'Io (che dubito qualcuno identifichi con il dna), ma almeno del corpo umano (non sono minimamente competente di epigenetica o di genetica del comportamento per potermi sbilanciare oltre quell'«almeno»).
Saluti.