Realtà, cosa intendiamo?

Aperto da Il_Dubbio, 25 Aprile 2025, 00:29:15 AM

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Il_Dubbio

Il termine non è nuovo ed è stato abbondantemente discusso nei secoli. 
Il problema è che oggi, quando viene utilizzato, si dimentica di puntualizzarne i criteri di riconoscimento.
Cosa effettivamente intendiamo per realtà?

Illuminante è stato il modo di intendere il concetto da Kant. La cosa in sè!

Però poi la cosa in sè è diventata oggetto di studio, soprattutto scientifico. 
La scienza non parla di realtà, e nemmeno di cosa in sè. Non utilizza quei termini. Ma ovviamente parla di cose che non sono direttamente percepite dal soggetto, ma che assomigliano molto alla cosa in sè di Kant. 

La qualità della conoscenza della cosa in sè ovviamente non potrà essere perfetta. Kant qui non è superabile.
Per raggiungere la perfezione, la cosa in sè dovrebbe manifestarsi senza alcuna filtro. 
La conoscenza scientifica invece rappresenta un filtro senza il quale non potremmo guardare la cosa in sè.

Si tratta di un compromesso. E' chiaro però anche il ruolo attivo del filtro. Il filtro attraverso il quale guardiamo la realtà non è perfetto. Alle volte la sua imperfezione è chiara, alle volte meno. 

Mi sembra però superabile la tesi secondo la quale è impossibile guardare (seppur attraverso dei filtri) la realtà cosi com'è. Ammesso di accettare il compromesso secondo il quale non possiamo stabilire a priori che il filtro utilizzato sia perfetto. 

A questo punto la domanda che ci si pone è: il filosofo oggi cosa intende per Realtà? Accetta oppure no il compromesso scientifico? 

iano

#1
Citazione di: Il_Dubbio il 25 Aprile 2025, 00:29:15 AMPer raggiungere la perfezione, la cosa in sè dovrebbe manifestarsi senza alcuna filtro.
Però oggi sappiamo che un filtro c'è sempre, e l'idea della cosa in se immagino sia stata figlia della nostra ignoranza di esso.
Se la coscienza dell'esistenza di questo filtro non muta la percezione della cosa in se, può però mutare l'idea che ne abbiamo.
La stessa idea di realtà, nella misura in cui è figlia della nostra ''ignorante'' percezione, può essere rivista, perchè non possiamo più dire reale al modo che finora abbiamo inteso ciò che oggi sappiamo deriva dalla mediazione di un filtro.
La scienza semplicemente è la creazione di una nuova percezione i cui filtri sono costituiti dall'interpretazione dei dati scientifici, interpretazione che costituisce un filtro di cui abbiamo piena coscienza avendolo creato noi stessi, o meglio gli scienziati, per cui una certa ignoranza di esso per noi popolo permane, stanti i limiti che ha la divulgazione scientifica.
Non possiamo quindi condividere appieno i risultai scientifici, mentre continuiamo a condividere con Kant la percezione della cosa in sè nella realizzazione di una piena intersoggettività, che però abbiamo oggi prova che non possa essere intesa come sinonimo di realtà, ma come la condivisione di un filtro di cui la natura ci dotati.
Il sapere che esiste un filtro alla nostra percezione della realtà,  nella misura in cui lo abbiamo indagato, studiano in particolre i soggetti in cui questo naturale filtro era difettoso, ci consente oggi, anche grazie alla grande elasticità del cervello,  di correggerlo in certi casi, o di integrarlo con la cosiddetta ( termine da considerarsi infelice) ''realtà aumentata''.
Il termine corretto sarebbe realtà reinterpretata.



Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#2
E' interessante aggiungere che questi aggiustamenti del filtro, quando derivano da relativi difetti intervenuti per qualche patologia, in parte il cervello riesce ad attuarli da solo, ridefinendo le sue aree funzionali.
infine, ciò che noi abbiamo inteso fino a un certo punto come realtà, è in effetti una sua relativa interpretazione funzionale, relativa in quanto economicamente commisurata ad uno scopo preciso.
In tal senso la pretesa filosofica di conoscere la ''vera realtà'' equivale al minimo alla pretesa di sparare a una mosca con un cannone, cioè uno spreco di risorse che alla nostra recente acquisita coscienza ecologica appare inaccettabile.
Può la nuova filosofia continuare a non tenere conto di ciò?
Posto che sia possibile conoscere la ''vera realtà'', cosa che per me ormai ha perso di senso, non avremmo comunque sufficienti risorse da dedicarvi, nella misura in cui questa conoscenza necessiti di una ricerca.
Se si crede invece che basti una illuminazione che ci regali la realtà nella sua piena evidenza, allora il discorso cambia, essendo tutto ciò gratuito. Io però penso che di gratuito a questo mondo non vi sia nulla, e che la nostra percezione, che a noi per ignoranza pare cosi immediata, sia il frutto di un duro e lungo lavoro dell'evoluzione, il quale non solo non è ancora finito, ma che possiamo oggi in parte gestire in prima persona, cioè in modo cosciente, e questo in sostanza significa fare scienza, che altro non è che fare in diverso modo ciò che abbiamo sempre fatto, e che oggi siamo in grado di fare con cognizione.
Infine mi sembra interessante notare che la cognizione di ciò che facciamo non è necessaria al nostro fare, ne che essa sia da considerare  un valore aggiunto, ma è semplicemente un diverso modo appunto  di fare le cose che abbiamo sempre fatto anche senza averne cognizione.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

daniele22

Citazione di: Il_Dubbio il 25 Aprile 2025, 00:29:15 AMIl termine non è nuovo ed è stato abbondantemente discusso nei secoli.
Il problema è che oggi, quando viene utilizzato, si dimentica di puntualizzarne i criteri di riconoscimento.
Cosa effettivamente intendiamo per realtà?

Illuminante è stato il modo di intendere il concetto da Kant. La cosa in sè!

Però poi la cosa in sè è diventata oggetto di studio, soprattutto scientifico.
La scienza non parla di realtà, e nemmeno di cosa in sè. Non utilizza quei termini. Ma ovviamente parla di cose che non sono direttamente percepite dal soggetto, ma che assomigliano molto alla cosa in sè di Kant.

La qualità della conoscenza della cosa in sè ovviamente non potrà essere perfetta. Kant qui non è superabile.
Per raggiungere la perfezione, la cosa in sè dovrebbe manifestarsi senza alcuna filtro.
La conoscenza scientifica invece rappresenta un filtro senza il quale non potremmo guardare la cosa in sè.

Si tratta di un compromesso. E' chiaro però anche il ruolo attivo del filtro. Il filtro attraverso il quale guardiamo la realtà non è perfetto. Alle volte la sua imperfezione è chiara, alle volte meno.

Mi sembra però superabile la tesi secondo la quale è impossibile guardare (seppur attraverso dei filtri) la realtà cosi com'è. Ammesso di accettare il compromesso secondo il quale non possiamo stabilire a priori che il filtro utilizzato sia perfetto.

A questo punto la domanda che ci si pone è: il filosofo oggi cosa intende per Realtà? Accetta oppure no il compromesso scientifico?
La realtà è una sorta di work in progress. A livello individuale è sinonimo di conoscenza. Il filtro è posto dalla nostra conoscenza individuale che trova opposizione con la realtà-conoscenza di altre persone.
Citandoti:
"Mi sembra però superabile la tesi secondo la quale è impossibile guardare (seppur attraverso dei filtri) la realtà cosi com'è."
Direi che essendo che la realtà si presenta come problema se avessimo tutti lo stesso problema la realtà tenderebbe a divenire "così com'è" giacché il problema prenderebbe la forma di un fine. Essendoci quindi un fine si potrebbe così stimare un giusto o sbagliato nel perseguirlo

iano

#4
Citazione di: daniele22 il 25 Aprile 2025, 07:05:04 AMDirei che essendo che la realtà si presenta come problema se avessimo tutti lo stesso problema la realtà tenderebbe a divenire "così com'è" giacché il problema prenderebbe la forma di un fine. Essendoci quindi un fine si potrebbe così stimare un giusto o sbagliato nel perseguirlo
Non credo che sia superabile il problema del filtro per vedere la realtà così come è, se il filtro vale una interpretazione , ma il fine che tu ipotizzi si può a noi tutti presentare anche solo condividendo un filtro, come condividiamo in effetti il filtro della percezione naturale.
Non vedendo  la realtà cosi come è ciò equivale però alla facoltà di sbagliare tutti insieme al modo che sbaglierebbe un individuo, di modo che l'umanità nella sua interezza, come un individuo solo, sia destinata a procedere per tentativi ed errori.
Certo è che se scambiamo la nostra intersoggettività per la realtà, appariranno di noi in evidenza soltanto i disaccordi, acquisendo un risalto falsato  la nostra soggettività.
Il vero pericolo che noi come umanità stiamo correndo è che, siccome i filtri scientifici richiedono condivisione, nella misura in cui non riusciamo ad attuarla, l'umanità smetterà di procedere come un individuo solo.
Insomma , nella misura in cui ci sfugge questo procedere concorde, nel bene e nel male, rischiamo di perdere questa unità di intenti che finora si è presentata così naturale da passare inosservata, perchè è questo filtro nascosto che ci fa ''razza'', più che altre cose poste alla luce del sole, come il nostro colore, ed è su questo filtro che si basa la possibilità di un linguaggio di comunicazione che abbia un significato percepibile, laddove il linguaggio non fa altro che richiamare ciò che già in partenza condividiamo.
Il pericolo dunque sta nella moltiplicazione dei filtri in una nuova torre di babele.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
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Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Il_Dubbio

Citazione di: daniele22 il 25 Aprile 2025, 07:05:04 AMLa realtà è una sorta di work in progress. A livello individuale è sinonimo di conoscenza. Il filtro è posto dalla nostra conoscenza individuale che trova opposizione con la realtà-conoscenza di altre persone.

Credo tu intenda, per work in progress, la capacità che noi abbiamo di conoscere la realtà. 
E come detto, nel mentre conosciamo la realtà attraverso il filtro della conoscenza, progrediamo verso la sua versione migliore.

Ma andrebbe messo in chiaro anche una caratteristica, della realtà, indispensabile perchè essa possa essere conosciuta.
La realtà deve essere identica a se stessa e non può, senza alcun motivo, cambiare. 
Infatti uno dei punti di forza della scienza è la ripetibilità di un certo esperimento o di una certa osservazione. Se la reraltà sotto cambiasse, non sarebbe possibile ripetere un certo esperimento ricavando lo stesso risultato. 

iano

#6
Citazione di: Il_Dubbio il 25 Aprile 2025, 12:53:48 PMCredo tu intenda, per work in progress, la capacità che noi abbiamo di conoscere la realtà.
E come detto, nel mentre conosciamo la realtà attraverso il filtro della conoscenza, progrediamo verso la sua versione migliore.

Ma andrebbe messo in chiaro anche una caratteristica, della realtà, indispensabile perchè essa possa essere conosciuta.
La realtà deve essere identica a se stessa e non può, senza alcun motivo, cambiare.
Infatti uno dei punti di forza della scienza è la ripetibilità di un certo esperimento o di una certa osservazione. Se la realtà sotto cambiasse, non sarebbe possibile ripetere un certo esperimento ricavando lo stesso risultato.


Le interpretazioni della realtà sono relative in quanto riguardano noi, ma non gratuite in quanto relative alla realtà, e il fatto che si mostrino funzionali, fino ad essere state confuse con la stessa realtà, è la prova che non abbiamo a che fare con una realtà ballerina.
Vale la pena ricordare che noi di interpretazioni non funzionali abbiamo esperienza quando sogniamo.
Interpretazioni in questo caso fatte a vuoto, ma che potremmo pensare come un allenamento per affrontare la vera gara, quella con la realtà.
Forse dunque è fra il sogno e la realtà che si pone il nostro filosofare.
Tutto si può dire della scienza meno che non produca interpretazioni funzionali della realtà, per quanto essi abbiano sempre l'improbabile aspetto di un sogno, ma ciò si potrebbe spiegare col fatto che ''la solida realtà, quella che tocchiamo con mano'' è figlia dell'ignoranza del filtro che la produce.
Una concretezza che la scienza, che tutto è meno che ignoranza, non potrà quindi mai riprodurre.
Quindi dalla sorpresa di come qualcosa di così astratto possa realmente funzionare, potremmo adesso passare alla sorpresa di come possiamo essere stati capaci di riprodurre una realtà così concreta, che continuiamo a toccare ancora con mano.
Nessuno ovviamente è costretto a questo passaggio, se non come esperimento mentale od esercizio filosofico . :)
 
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

daniele22

Citazione di: Il_Dubbio il 25 Aprile 2025, 12:53:48 PMCredo tu intenda, per work in progress, la capacità che noi abbiamo di conoscere la realtà.
E come detto, nel mentre conosciamo la realtà attraverso il filtro della conoscenza, progrediamo verso la sua versione migliore.

Ma andrebbe messo in chiaro anche una caratteristica, della realtà, indispensabile perchè essa possa essere conosciuta.
La realtà deve essere identica a se stessa e non può, senza alcun motivo, cambiare.
Infatti uno dei punti di forza della scienza è la ripetibilità di un certo esperimento o di una certa osservazione. Se la reraltà sotto cambiasse, non sarebbe possibile ripetere un certo esperimento ricavando lo stesso risultato.

Con work in progress intendevo che l'ordine di attenzione che impone la realtà è in continuo movimento. La visione della realtà è mossa cioè da un problema. Il problema, per esempio, può successivamente dare luogo alla realtà della ricerca scientifica, oppure dare luogo a semplici visioni della realtà di un individuo. Nel problema che promuove la ricerca scientifica tutti gli individui sarebbero accomunati da uno stesso punto di partenza; e infatti si è sviluppato pure un metodo efficace. Nella visione del singolo individuo l'eventuale disamina della realtà non trova questa condivisione; probabilmente perché i problemi che muovono la critica sono diversi. Certo, a livello collettivo si è mossa la ricerca filosofica, ma ben vediamo quale distanza, in termini di risultati condivisi, abbia prodotto la filosofia

Il_Dubbio

Citazione di: daniele22 il 26 Aprile 2025, 07:53:07 AMCon work in progress intendevo che l'ordine di attenzione che impone la realtà è in continuo movimento. La visione della realtà è mossa cioè da un problema. Il problema, per esempio, può successivamente dare luogo alla realtà della ricerca scientifica, oppure dare luogo a semplici visioni della realtà di un individuo. Nel problema che promuove la ricerca scientifica tutti gli individui sarebbero accomunati da uno stesso punto di partenza; e infatti si è sviluppato pure un metodo efficace. Nella visione del singolo individuo l'eventuale disamina della realtà non trova questa condivisione; probabilmente perché i problemi che muovono la critica sono diversi. Certo, a livello collettivo si è mossa la ricerca filosofica, ma ben vediamo quale distanza, in termini di risultati condivisi, abbia prodotto la filosofia
Se parliamo di realtà non penso si possano mettere sullo stesso piano tutti i problemi del mondo, da quelli individuali a quelli di "massa". 
Dove fossero possibili mille ricostruzioni diverse dei fatti, non esisterebbe una realtà dei fatti. Ognuno potrebbe partire da assumere come fondamentale un fatto invece che un altro. La storia ci ha quindi unito attorno ad alcuni postulati ritenuti fondamentali (alle volte questi possono essere ricondotte ai valori, ai diritti universali, nonchè ai doveri). Ma spesso essi non sono altro che una ricostruzione dei fatti attorno a quei postulati. Ogni individuo però potrebbe scegliere altri postulati senza che vi sia una possibilità di stabilire questi postulati come falsi o veri. 
Come hai detto anche tu, il metodo scientifico diventa quindi efficace (rispetto ad altre forme di studio) in quanto la prova che il postulato è ancora valido viene dato da un esperimento o da tanti esperimenti condivisi  (per cui ripetibili).

Per realtà io intendo quella somma di regole e di leggi che stanno sotto l'operato della natura. Poi esiste una realtà di facciata, immediatamente  avvertita dall'individuo, con la quale o attraverso la quale ci interfacciamo alla realtà che la rende possibile. Quindi i sentimenti, il dolore fisico e dell'animo, e tutto ciò che avvertiamo in quanto esseri viventi. 
Noi viviamo in una realtà di facciata e tutte le attività umane propendono a regolare in qualche modo questa realtà. La politica, l'economia ecc. e in parte anche la filosofia, tentano di "regolare" queste attività.

Ma appunto la domanda è: cosa intendiamo per realtà? 
La nostra dimensione del reale (quella di facciata) non può ottenere gli stessi risultati di quelli che ottiene la scienza, soprattutto le scienze dure come la fisica. Sicuramente per noi è quella piu importante nel senso che è poi quella che avvertiamo sulla nostra pelle. Ma ritengo che per reale dovremmo intendere quella fondamentale che è perfino piu semplice da ricostruire e maneggiare. 


iano

#9
Citazione di: Il_Dubbio il 28 Aprile 2025, 09:12:38 AMMa appunto la domanda è: cosa intendiamo per realtà?
La nostra dimensione del reale (quella di facciata) non può ottenere gli stessi risultati di quelli che ottiene la scienza, soprattutto le scienze dure come la fisica. Sicuramente per noi è quella piu importante nel senso che è poi quella che avvertiamo sulla nostra pelle. Ma ritengo che per reale dovremmo intendere quella fondamentale che è perfino piu semplice da ricostruire e maneggiare.
Finché l'obiettivo rimane possedere la verità sulla realtà, ognuno potrà con buone ragioni schierarsi dalla parte della concreta realtà , quella che tocchiamo con mano, o con quella che  con le teorie della fisica si fa sempre più astratta.
Possedere questa verità, oltre alla soddisfazione intellettuale di averla ottenuta, significa potersi rapportare in un modo ottimale con la realtà, un modo definitivo, non essendoci più nulla da sapere e da scoprire.
Se invece più umilmente rinunciamo alla ricerca di verità, avremo diversi modi di approcciarsi alla realtà non necessariamente conflittuali, ma anzi collaborativi.
Certo, ognuno a proprio sentimento, o per l'attività che svolge, potrà privilegiare una modalità di rapportarsi, piuttosto che l'altra, ma senza perciò sentire di dover negare l'altra come inaccettabile,  assurda, o al minimo  ingenua, il che, nella misura in cui non potrà comunque negarne l'efficacia, risulterebbe comunque filosoficamente problematico.
Diversamente il problema filosofico si riduce a cercare la sostanza comune dei diversi approcci.
In tal senso a me sembra più facile ipotizzare una natura astratta per entrambe, dove però il termine astratto assume un nuovo significato, non potendosi più intendere come una teorizzazione della concreta realtà, ma come ciò che  derivando da un rapporto con la realtà si traduce in un rapporto  con essa che si rinnova in continuazione, ma senza una meta precisa, in accordo con la teoria dell'evoluzione, e senza un fine da raggiungere che non sia la sopravvivenza, e in particolare senza una verità da raggiungere che ci renderebbe onnipotenti, e sopratutto senza dover rinunciare perciò alla nostra spiritualità.
Nella misura in cui il nostro rapporto con la realtà è l'unica realtà a cui possiamo avere accesso direttamente, noi solo di essa possiamo parlare, restando la vera realtà solo una condizione che tale rapporto rende possibile, e questo fatto, che un rapporto sia  possibile, ci dice indirettamente comunque qualcosa sulla vera realtà, che essa cioè, anche solo in prima approssimazione, cioè al livello locale, cioè nei limiti delle nostre possibilità, cioè entro i nostri relativi confini vitali, non sia un capriccio della natura.

Fatto ciò, io confido nel fatto che la divisione apparentemente insanabile venutasi a creare fra fra scienza e filosofia possa ricucirsi, laddove non saranno più i soli fatti o il puro pensiero a comandare, ma quel pensiero che nascendo dai fatti li produce a sua volta.
La ciliegina sulla torta sarà poi non vedere un problema nella diversità soggettiva di posizioni, ma una ricchezza che dia un valore alla condivisione sempre raggiungibile, ma non raggiungibile mai in modo definitivo stante la produzione continua di questa ricchezza.
Questo è il vero senso da dare all'individuo, come colui che questa diversità che ci fa ricchi produce, smettendo di vedere ciò come un problema, ma come la soluzione ai nostri problemi.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Phil

Citazione di: Il_Dubbio il 25 Aprile 2025, 00:29:15 AMil filosofo oggi cosa intende per Realtà? Accetta oppure no il compromesso scientifico?
In generale tutta l'epistemologia contemporanea ha per croce e delizia il rapporto con la realtà, con un ventaglio di approcci che spazia dall'"ottimismo metafisico" ereditato dall'umanesimo (per cui siamo sempre più vicini ad una "conoscenza perfetta") fino al fallibilismo di alcune posizioni più "travagliate" (per cui la conoscenza è costitutivamente imperfetta a causa dei nostri limiti, nonostante i risultati ottenuti).
Per mettere altra carne al fuoco, possiamo ad esempio citare i 3 mondi di Popper o la riconciliazione di realismo e relativismo proposta da Margolis in un "pragmatismo senza fondamenta" (parafrasando il titolo di un suo libro).

daniele22

Citazione di: Il_Dubbio il 28 Aprile 2025, 09:12:38 AMPer realtà io intendo quella somma di regole e di leggi che stanno sotto l'operato della natura.
Questo tuo pensiero sembra, più che una definizione di realtà, il presupposto per definirne la giustezza. Intendo con questo che io so ben, come te del resto, che nel dominio del reale cadono pure tutti quei stravaganti discorsi umani che sono ben lontani dall'esprimere "cose reali". La realtà sarebbe pertanto tutto ciò che è, o è stato, sensibile. In relazione a ciò che ho evidenziato del tuo pensiero penso allora che se la fisica descrive il moto dei corpi, la filosofia dovrebbe descrivere il moto degli esseri umani. Sembra però che manchino dei postulati chiari per definire le leggi di questo moto e i parametri per definirne la giustezza

daniele22

Dominato dal mio personale "ordine di attenzione":
il quarto potere parla molto del narcisismo di Trump o di Putin, ma non si capacita del proprio o di quello di coloro ai quali dà la voce; questo essere pieni di sé stessi evidentemente non appare perché avvolto in una patina di presunto dialogo con cui si manifesta. Pensano cioè e sommessamente tutti costoro che il fatto di essere persone colte dia loro autorità in tema di etica e morale (elitismo?) ... non etilismo!! ... Siamo dominati dal narcisismo, naturalmente, ma non si dimentichi che la giustizia è il destino del pensiero filosofico una volta acclarata la legge di natura che ci muove. Legge ignota forse a causa del narcisismo/elitismo ... beviamoci sopra

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