Cosi' pero' "volate troppo alto" per le mie possibilita' ........ peccato , stavo imparando qualcosa ma mi sono perso ( ovviamente mia carenza)
Citazione di: atomista non pentito il 12 Settembre 2020, 21:53:49 PM
Cosi' pero' "volate troppo alto" per le mie possibilita' ........ peccato , stavo imparando qualcosa ma mi sono perso ( ovviamente mia carenza)
L'eventuale differenza "altimetrica" è colmabile partendo dallo stabilire un glossario comune; per fortuna la ricerca di autori e concetti è oggi facilitata dalle varie enciclopedie
online e dai motori di ricerca. Ad esempio, riferendomi al mio ultimo post, i riferimenti della "mappa concettuale" per non perdersi sono: Kierkegaard (Johannes Climacus e Johannes de Silentio), Wittgenstein («scala», «indicibile»), Heidegger (esistenza/insistenza, «nullo fondamento», «gettatezza»),
chronos/aion/kairos (basta wikipedia), neopositivismo (Carnap e altri), decostruzione (Derrida), ermeneutica filosofica.
Salve Phil. Vedi ad esempio quanto io sia contradditorio ? Dichiaro di "non amare" il citare l'altrui (in realtà perchè la mia ignoranza mi impedisce di conoscere e quindi citare il già detto.....? Mah, potrebbe essere anche così !)...................poi mi ritrovo spessissimo a citare parte degli interventi di altri utenti. Comunque appunto, citandoti : "L'eventuale differenza "altimetrica" è colmabile partendo dallo stabilire un glossario comune;.............".................in pratica, stai suggerendo all'ottimo Atomista (io stesso poi potrei trarre giovamento sommo dal fare lo stesso) di dedicare qualche minuto (facciamo alcune decine di migliaia) al proprio acculturamento lessical-filosofico.
Consiglio il tuo - secondo me - saggio ma non disinteressato poichè di lessici ne esistono più di uno, e l'apprendere il più specifico è assai faticoso per coloro che conoscono lessici più volgari ma più universali.
L'altra soluzione (non so se tu ed Ipazia ci avete mai pensato) potrebbe essere non quella di invitare i profani a raggiungere elevate altezze lessicali, bensì quella di decidere (per i detentori dei lessici superiori) di scendere a facili anche se mortificanti bassezze comprensibili ai lessicalmente "sventurati". Saluti.
@viatorCredo concorderai che per una comunicazione efficace sia imprescindibile adeguare il linguaggio all'interlocutore e al contesto. Il post #52 in risposta ad
Atomista ha infatti uno stile comunicativo (densità concettuale, linguaggio specifico, riferimenti, etc.) piuttosto differente rispetto al #58 in risposta a
johannes; due interlocutori che si presentano differenti per familiarità con l'argomento, pur nel medesimo contesto, richiedono risposte con stili differenti. Quando una risposta non è rivolta direttamente ad un interlocutore in particolare, credo sia spontaneo e ragionevole usare il proprio "stile automatico".
La questione del contesto non è tuttavia meno influente: se fossimo in una sezione intitolata «filosofia per tutti» («
for dummies» se mi passi il riferimento ad una nota serie divulgativa) o «filosofia semplificata», chiaramente sarebbe opportuno usare un linguaggio non troppo specialistico e mantenere una "quota" adeguata. Logos, se non erro, non si (pro)pone con chiari limiti qualitativi (per fortuna?), quindi, di tanto in tanto, concedersi la licenza di (provare a) alzare un po' la quota credo sia uno dei
divertissement (Pascal; almeno un autore dovevo citarlo, no?) concessi dalla partecipazione al forum (con la connivenza del regolamento).
Se qualcuno fosse qui per insegnare, sarebbe lieto di dedicare «qualche minuto (facciamo alcune decine di migliaia)»(cit.) a semplificare e/o spiegare teorie ed autori; se qualcuno fosse qui per imparare si augurerebbe di poter avere indicazioni su teorie ed autori a cui dedicare tali minuti; se qualcuno è qui né per insegnare né per imparare, ma solo per riflettere e/o parlare con/su ciò che non richiede troppi minuti, allora temo non potrà aspettarsi di poter capire tutti i post presenti in questa sezione. Come dire: se nel fai-da-te si vogliono usare solo strumenti che non richiedono la lettura delle istruzioni per l'uso (lettura che può durare appunto alcuni minuti), allora sarà meglio prediligere l'uso di martelli e pinze (solitamente sprovvisti di tali letture introduttive), ma stare alla larga da stampanti 3d o
software di progettazione, che richiedono i famigerati minuti di (pre)
comprensione per essere utilizzati adeguatamente.
Riguardo la "soluzione alternativa" che proponi, non entro nel merito se sia più "utile"
imparare qualcosa di nuovo-ignoto (il suddetto glossario
con annessi concetti; qui non è solo una questione di "paroloni", ma semmai di "concettoni") oppure
semplificare il vecchio-noto (per renderlo più digeribile ai passanti), né con quale delle due aspettative (ce ne sono anche altre, ovviamente) sia più avvincente accostarsi alla sezione «Tematiche filosofiche» di un forum di un sito che si chiama «Riflessioni». D'altronde, «stretta la soglia, larga la via...».
Citazione di: Dante il Pedante il 12 Settembre 2020, 00:58:19 AM
L'assoluto è quella cosa che non dipende da altre cose,cioè incondizionato.Ma il suo contrario non è RELATiVO,ma condizionato,perché l'assoluto non esclude la possibilità di entrare in relazione.Come la relazione tra DIO=Assoluto e uomo=relativo. ::)
Salve Dante. Osservazione interessante sulla quale io non sono d'accordo. L'assoluto è concepibile nell'insieme di tutti i relativi (cioè di tutti gli enti che risultano relativi l'uno all'altro!) pur (tale insieme non matematico) senza risultare in relazione con (o condizionato, come tu dici) con nessuno di tali enti relativi e neppure con la stessa totalità dei relativi. Esso resta estraneo, non condizionato, non generabile da ciò in cui consiste.
Infatti l'Assoluto (sinonimo di Tutto) resta tale anche aggiungendovi o togliendovi tutti i relativi che si vogliono, fino a potersi ridurre, sempre se lo si voglia, a coincidere con l'UNO (infatti l'UNO è uno dei nomi filosofici di Dio).
E la presunta dimostrazione della relatività tra Dio ed uomo è ingannevole, dal momento che appunto sarà l'uomo (il relativo) a risultare in relazione (condizionato) con Dio, ma non certo il reciproco. E' quindi solamente l'uomo a credersi in relazione con il proprio Dio.
Come secondo me dimostrato dall'ostinato silenzio divino. Infatti, se Dio prendesse a mettersi in relazione con noi, diventerebbe appunto relativo, perdendo la sua irrinunciabile, intrinseca (sia filosoficamente che teologicamente) connotazione ASSOLUTA. Riducendosi ad una specie di Dio di cartapesta non diverso dai tanti totem che hanno sempre costellato le umane credenze. Saluti.
Citazione di: atomista non pentito il 12 Settembre 2020, 21:53:49 PM
Cosi' pero' "volate troppo alto" per le mie possibilita' ........ peccato , stavo imparando qualcosa ma mi sono perso ( ovviamente mia carenza)
Ottimi i consigli di Phil: WP, con le varie declinazioni del tempo in greco antico (poste da Johannes), e le vessate questioni sull'etica (conoscenza o no ? episteme o convenzione ?) ... e su quali fondamenti si regge con qualche pretesa di oggettività ? O meglio intersoggettività, che é tutta l'oggettività postulabile sub specie humana.
Basta volare bassi e si arriva dovunque. E se si cade ci si fa pure meno male.
Quello che mi chiedo e' se questo argomentare utilizzando continui riferimenti "specialistici" ( ostici ai meno preparati )sia necessario alla completezza ed esaustivita' per l'esposizione del proprio pensiero in modo compiuto o nasconda un minimo di compiacimento nella considerazione della propria esclusivita'. Colmare il divario culturale , per persone come me , non sara' possibile. Non certamente per gli anni che probabilisticamente mi rimangono da vivere , percio' una "volgarizzazione" delle risposte( almeno di quelle dirette ai commenti che mi riguardano) sarebbe un gradito segno del Vs desiderio di condividere realmente il Vs. pensiero.
Salve atomista. Purtroppo (o fortunatamente) qui dentro si entra gratis, perciò non ci si può lamentare se non si trova ciò che si cerca. D'altra parte esiste un significativo archivio di discussioni tra le quali certo potrai trovare argomenti di tuo interesse con numerosissimi interventi di utenti (ce ne sono abbastanza, ma questi dovresti imparare tu a "conoscerli" e "riconoscerli") che si esprimano in modo comprensibile.
Logos non è una scuola, bensì una (piccola) tribuna. Prova a vedere in Wikipedia o in Google per "angolo degli oratori" (in lingua originale = "speaker's corner").
Non so comunque quale esperienza tu possieda con Internet, ma devi tener ben presente che il prezzo della mostruosa quantità di informazione in esso contenuta è costituito semplicemente dalla mostruosa DIFFICOLTA' di trovarvi delle trattaziono ORGANICHE o COMPLETE circa gli argomenti che interessano. Saluti.
@atomista non pentito
Hai certamente toccato un tema importante: come detto, l'identificazione dell'interlocutore è fondamentale affinché il dialogo funzioni. Spesso qui si commenta un po' a ruota libera, senza un interlocutore specifico, quindi non si autocensurano le conoscenze che si ritengono utili alla propria argomentazione; tuttavia quando un interlocutore si espone e fa domande precise, cercare la chiarezza nel rispondere (se si decide di farlo) fa parte dell'"etica del discorso".
Se si usano toni un po' più settoriali è dunque tutta una questione di ostentare citazioni e nozioni, di complicare il semplice e di infarcire l'essenziale? Purtroppo o per fortuna, non sempre. Augurandomi sinceramente che il post #52, rivolto a te, sia risultato limpido e "commestibile", riprendo come esempio il messaggio #58 a johannes: se avessi dovuto spiegare e semplificare tutti i riferimenti usati (vedi argomenti che ti ho elencato), probabilmente avrei scritto un raffazzonato saggio di maldestra filosofia, non un post da una quindicina di righe in un forum. Sono qui per dare indegnamente lezioni divulgative su quegli autori e quelle correnti? Sicuramente no. Resta possibile comprendere il mio post senza quelle conoscenze e quei richiami? Principalmente no: l'indicibile di Wittgenstein, la decostruzione di Derrida, il contrasto fra esistenzialismo e neopositivismo, sono (oltre ad essere temi dalla sterminata bibliografia) prerequisiti fondamentali per accedere al senso di ciò che ho scritto (altrimenti è solo un post in cui parlo confusamente del tacere e del dire, fra un doppio genitivo, una scala e qualche parola in greco). Mi aspetto che chiunque capisca esattamente cosa ho scritto? Certamente no; forse l'interlocutore, forse nessuno; quella è solo la mia opinione espressa in un compromesso fra sintesi spaziale e profondità concettuale.
In fondo il primo lettore (si spera non l'unico) per cui scriviamo siamo noi stessi quando rileggiamo ciò che abbiamo scritto, perché scrivere, se anche non riesce a comunicare esaustivamente con gli altri, spesso aiuta almeno a chiarirsi le idee.
Citazione di: atomista non pentito il 13 Settembre 2020, 21:07:47 PM
Quello che mi chiedo e' se questo argomentare utilizzando continui riferimenti "specialistici" ( ostici ai meno preparati )sia necessario alla completezza ed esaustivita' per l'esposizione del proprio pensiero in modo compiuto o nasconda un minimo di compiacimento nella considerazione della propria esclusivita'. Colmare il divario culturale , per persone come me , non sara' possibile. Non certamente per gli anni che probabilisticamente mi rimangono da vivere , percio' una "volgarizzazione" delle risposte( almeno di quelle dirette ai commenti che mi riguardano) sarebbe un gradito segno del Vs desiderio di condividere realmente il Vs. pensiero.
Mi sembra evidente che il più delle volte non vi sia qui alcun desiderio di condivisione di pensieri.
Intendendo con "condivisione" un'apertura verso l'altro nella ricerca della Verità.
Semmai vi è desiderio di esserci. Di manifestarsi per uscire dal silenzio, dalla solitudine.
Un desiderio legittimo, ma non dissimile da quello che anima gli "esperti" che discutono di calcio al bar.
Non vanno da nessuna parte.
Chicchiericcio per riempire il vuoto.
Magari erudito, sovente neppure quello.
Grazie a Tutti dei chiarimenti.
Ritengo comunque un peccato che la possibilita' di "allargare" l'utenza sia cosi' difficile.
Conoscenze , esposizioni , idee originali come le Vs meriterebbero maggior diffusione ed , a mio parere , impongono anche una qualche responsabilita' nell' utilizzo delle medesime per un generale "miglioramento" in opposizione alla barbarie imperante a livello di sub cultura diffusa che conseguentemente tende a generare sempre piu' sub umani ( intellettualmente parlando) Insomma un granellino di culturale sabbia nell'ingranaggio del sistema ci starebbe bene. Se tutto resta " fra Voi" il granellino certamente avra' altra funzione , ma non questa.
Citazione di: bobmax il 13 Settembre 2020, 23:03:00 PM
Mi sembra evidente che il più delle volte non vi sia qui alcun desiderio di condivisione di pensieri.
Intendendo con "condivisione" un'apertura verso l'altro nella ricerca della Verità.
Intendiamoci, anche questo uso malandrino delle maiuscole non è un esercizio a favore di chiarezza, magari sono fortunato nel avere nozione di una parte delle citazioni di Phil, ma se non ne ho posso (se ne ho interesse) facilmente derivarne uno studio. Che cosa diversi autori di post indichino attraverso l'uso arbitrario delle maiuscole e che cosa queste evidenzino rimane implicito nelle intenzioni dell'autore senza fornire percorsi di approfondimento che possano portare ad una chiarificazione dei concetti, c'è chi le usa per enteizzare, chi per antromorfizzare, chi per assolutizzare, chi si dimentica il caps acceso, e a chi pare che siano esteticamente piacevoli lungo la monotona riga di testo, quale di queste rimane implicito. Abbiamo tutti diversi lessici, e spesso a trarci in inganno sono proprio i più familiari perchè illudono che non sia necessaria una precompresione del lessico altrui per arrivare ad una comunicazione efficiente.
Vediamo di granellare anche a costo di costruire un "raffazzonato saggio di maldestra filosofia" utile ai naviganti per navigare, seppur affetto dai perigliosi bias metafisici della sua sirena compilatrice.
I due pilastri fondativi della metafisica occidentale, ma pure orientale scavandoci sotto un pochino, sono l'Essere e il Divenire. I loro postulatori primi, seguiti da un codazzo interminabile di postulanti fino ai giorni nostri, furono Parmenide (essere) ed Eraclito (divenire). Con una considerevole predilezione per il primo, fondamentale fu l'apporto di Platone che ispirerà tutta la metafisica occidentale, passando per il cristianesimo di cui costituì l'ossatura spirituale (teologia) innestata nel più materico testamento ebraico, e dilagando fino ai giorni nostri nelle varie diramazioni del pensiero metafisico.
Il successo di Platone deriva dalla sua postulazione dell'Assoluto, che bypassando il doloroso Divenire, delizia vivente e croce mortale dell'Essere, prometteva un luogo, l'iperuranico mondo perfetto delle Idee, in cui l'Assoluto poteva celebrare i suoi banchetti infiniti ed eterni, onnipotenti ed onniscienti. I banchetti del Bene, a cui i postulanti accorsero a miriadi e tuttora lo fanno, rendendo il percorso sempre più mirabolante attraverso le complicate invenzioni del Logos, Verbo, Parola che fecero dire ad un pustulante dell'Assoluto, davvero illuminato e totalmente ellenico: En arché en o logos, in principio era la Parola (Giovanni 1,1-4).
Non va dimenticato l'apporto e l'attualità di un teologo dell'Assoluto geometrico come il biscomunicato e stramaledetto Benedetto Spinoza, che chiamò "Etica" il suo opus maior, perchè sempre di Bene (Assoluto) si tratta.
Diverso il cammino della filosofia orientale che trova nel Gautama Buddha l'equivalente, pressochè coevo, del nostro Platone. Più smagati e meno pindarici degli occidentali, gli illuminati partono dal Male (il dolore, samsara) per arrivare al Bene (illuminazione, nirvana). Le quattro verità e l'ottuplice cammino. Ma se cambiano postulati, postulatori e postulanti, il risultato non cambia. Perchè siamo umani, irrimediabilmente e mortalmente umani...
... entificatori inguaribili di concetti. Insaziabili macchine desideranti. Di qui le maiuscole (che i teutoni utilizzano per ogni sostantivo, sul che ci sarebbe da confabulare assai).
Citazione di: atomista non pentito il 13 Settembre 2020, 21:07:47 PM
Quello che mi chiedo e' se questo argomentare utilizzando continui riferimenti "specialistici" ( ostici ai meno preparati )sia necessario alla completezza ed esaustivita' per l'esposizione del proprio pensiero in modo compiuto o nasconda un minimo di compiacimento nella considerazione della propria esclusivita'. Colmare il divario culturale , per persone come me , non sara' possibile. Non certamente per gli anni che probabilisticamente mi rimangono da vivere , percio' una "volgarizzazione" delle risposte( almeno di quelle dirette ai commenti che mi riguardano) sarebbe un gradito segno del Vs desiderio di condividere realmente il Vs. pensiero.
Sollevi una problematicità imponente, a cui andrebbe aperto un topic dedicato.
No, non è necessario, a mio a parere, ma da ció non deriva che vi sia in forza una intenzione di autocompiacimento.
Al di là dei processi alle intenzioni, semplicemente trovo sia del tutto naturale attingere alla costellazione concettuale che fa della filosofia, filosofia e non altro.
Certo, più si riesce a spiegare un concetto e mostrare un ragionamento in modo comprensibile, o, più modestamente descrivere in modo esaustivo una penna blu, senza ricorsi a specialisticità e autorevolezze del campo, più penso si sia di fronte a un filosofo/a.
È il mio sogno.
Eppure anche i filosofi non nascono dal nulla.
Mi trovo abbastanza d'accordo con atomista, in quanto come e forse più di lui costretto a volar basso, per mancanza di conoscenza. Certo, cimentarsi nella sezione Tematiche Filosofiche non può essere cosa facile, se non si è esperti. O si lascia perdere, o si prova a seguire andando a cercare i vocaboli che mancano. Come in un qualsiasi forum tecnico. Probabilmente, se io frequentassi un forum di motori e mi mettessi a chiedere cosa si intende per intercooler, nessuno mi risponderebbe, sarei abbandonato alla mia ignoranza. Giusto che accada anche qui, senza per forza dover passare per elitari. Ahimè, atomista, o ci si ri-mette a studiare, o si è costretti a non frequentare questa sezione.
Salve sapa. Son d'accordissimo con atomista e solo parzialmente con te in quanto d'accordo con atomista !Infatti, citandoti : "Come in un qualsiasi forum tecnico. Probabilmente, se io frequentassi un forum di motori e mi mettessi a chiedere cosa si intende per intercooler, nessuno mi risponderebbe, sarei abbandonato alla mia ignoranza. Giusto che accada anche qui, senza per forza dover passare per elitari. Ahimè, atomista, o ci si ri-mette a studiare, o si è costretti a non frequentare questa sezione".
Il fatto è che la filosofia NON E' AFFATTO UN ARGOMENTO TECNICO. Ovvero il fatto che all'interno della filosofia possano IPOTIZZARSI degli SPECIALISTI di questa o quella branca di essa (ed infatti a livello accademico avviene proprio cosi ! Pazzesco!)..............rappresenta solo una perversione di quella che dovrebbe essere speculazione mentale allo stato puro. Di questa mia visione della filosofia, che sarà pure (anzi, certamente!) dilettantistica fa parte la mia avversione per le CITAZIONI che dovrebbero supportare un punto di vista mentre invece a mio parere sono ciò che viene usato da chi difetta di ARGOMENTAZIONI.Certo il citare è facile e poco rischioso, a differenza dell'argomentare.
La filosofia secondo me non deve essere altro che la volontà di argomentare la propria visione del mondo, e l'efficacia di tale volontà deve poggiare su di una augurabile chiarezza ed universalità - non certo sulla specializzazione o la gergalizzazione - del linguaggio in cui ci si esprime. Saluti.
Per Viator.
Prima obiezione. In realtà una delle effigi di maggior rilievo della modernità è proprio la moltiplicazione dei saperi e la loro iperspecializzazione. Grazie a questo processo siamo riusciti ad ottenere i successi e il benessere materiale dei nostri tempi. La filosofia non fa eccezione. Sperare in una filosofia universale è tipico di chi guarda il mondo con il volto rivolto al passato. Nessun Aristotele, oggi, sarebbe preso sul serio, nessun Leonardo da Vinci. Per capire la modernità basterebbe leggere il volumetto di U. Eco: "come si fa una tesi di laurea", nel quale si suggerisce ai laureandi di non fare una tesi sulla "filosofia scolastica" bensì su un argomento ristretto, dove si possa affermare la propria competenza, ad esempio il carteggio epistolare fra Bernardo di Chartres e Giovanni di Salisbury. Pensare di costruire un sistema filosofico totale è fuori dalla portata di ogni essere umano del XXI secolo, proprio a causa della moltiplicazione delle fonti e delle specializzazioni. Nonostante questo vi sono stati dei tentativi anche recenti di costituire delle filosofie universali, basti pensare alla teoria comunicativa di Habermas o a quella sul principio responsabilità di Jonas, ma questi autori hanno affinato le loro teorie studiando e faticando su testi altrui in un modo straordinario ed enciclopedico.
Seconda obiezione. Chi voglia fare in questo forum esercizi di sistemistica filosofica è libero di farlo. È un ottimo esercizio per mantenere attiva la mente, ma lo faccia appunto come esercizio fine a sé stesso, senza alcuna velleità. Poiché anche i più grandi filosofi non si svegliavano al mattino e iniziavano a pontificare. Si narra, ad esempio che Anders lesse un libro al giorno per più di 50 anni, per la somma di 18000 libri complessivi. È quasi naturale che sia riuscito a scrivere un grande libro come "l'uomo è antiquato?".
La filosofia è in questo simile ad ogni arte, che si deve confrontare con la dura fatica (leggere, studiare invece che scolpire o trovare gli attori o mescolare i colori) per mettere a segno le intuizioni di una mente brillante. Una mente brillante senza preparazione non sarà mai l'artefice di una grande filosofia, così come una mente erudita ma poco brillante.
Il testo è "Platone tutti gli scritti" a cura di Giovanni Reale ed. Bompiani del 2000.
Dal Timeo.
Preludio metafisico del grande discorso cosmologico di Timeo.
Che cos'è ciò che è sempre e non ha generazione? E che cos'è ciò che si genera perennemente e non è mai essere? Il primo è ciò che è concepibile con l'intelligenza mediante il ragionamento.perchè e sempre nelle medesime condizioni. Il secondo, al contrario, è ciò che è opinabile mediante la percezione sensoriale, irrazionale, perché si genera e perisce e non è mai pienamente essere. Inoltre, ogni cosa che si genera, di necessità viene generata da qualche causa.
Infatti è impossibile che ogni cosa abbia generazione,senza avere una causa....
Ora, per quanto concerne tutto il cielo e il mondo,bisogna considerare ciò che fin da principio si deve esaminare riguardo ad ogni cosa, ossia se fu sempre, non avendo mai alcun principio di generazione,oppure se fu generato, incominciando da un qualche principio. Esso fu generato.
Infatti è visibile e tangibile ed ha un corpo; ma tutte le cose di questo tipo sono sensibili, e le cose sensibili si apprendono con l'opinione mediante la sensazione, ed è risultato che sono generate e in divenire. E ciò che è generato abbiamo detto che è necessario che sia generato da una causa.
........e così via......
Senza questo ragionamento iniziale, che non è da prendere per oro colato, discutere di assoluto o quant'altro è impossibile. L'assoluto, l'Artefice, il Demiurgo, nel Timeo si evince da un ragionamento sul principio primo. Poi ovviamente nel Timeo, nella metafisica di Aristotele e in tutta la storia della filosofia, ognuno prende una posizione critica.
Ma un vero filosofo non può eludere le domande prime e i ragionamenti attinenti.
Timeo evince che l'Artefice non può essere generato , in quanto è il principio primo, la prima causa.
Tutti i corpi fisici hanno una causa, l'Artefice no. Tutto ciò che rientra nella causazione è in divenire, per cui perisce e tutto ciò è in divenire. L'Artefice invece è eterno, privo di causazione non essendo a sua volta stato generato.
Quindi l'assoluto è necessario e ineludibile, qualunque appellattivo, nome, attributo lo si voglia connotare e predicare. Che sia Artefice o Demiurgo, che sia Dio, che sia l'archè, che sia la causa prima, da qualcosa, da qualcuno tutto ha un inizio e se ha un inizio ha uno scopo.
Il secondo aspetto è la divulgazione della filosofia. Problema che ricorre periodicamente nel forum.
Oggi tutti possono parlare,ragionare di tutto. Vi sono miriadi di divulgatori, è persino una professione molto mediatica e per alcuni parecchio remunerativa.
Io diffido.
Ho imparato in 45 anni da autodidatta, che si fa parecchio più fatica studiare i testi originali, mentre i divulgatori spessissimo non danno mai la vera verità di un astronomo, astrofisico, quantistica, fisico, filosofo, sociologo, politico. Un conto è leggere i giornali di politica ad esempio e un conto è studiare storia del pensiero politico, delle dottrine politiche, gli autori di filosofia politica e scienze politiche.
In filosofia addirittura filosofi contemporanei, non semplici divulgatori, non leggono nemmeno i testi originali, e scrivono imprecisioni madornali .
Ciao viator
Sono Dante il Pedante :)
Un insieme di relativi non può essere l'assoluto perché un insieme di cose relative è relativo anch'esso. Mentre l'assoluto è incondizionato,cioè privo di condizioni relative. per esempio un insieme di bistecche,di banco,di coltello e di macellaio non è più assoluto delle sole bistecche.Nemmeno un gradino più assoluto,ma solo soggetto a più condizioni.Quindi il "Tutto" è più soggetto a condizioni che non il singolo.Sembra strano,ma è proprio così.L'assoluo invece non deve essere soggetto ad alcuna condizione,ma può entrare in relazione con il relativo proprio perché non soggetto a condizioni relative.Se non potesse fare questa relazione vorrebbe dire che è soggetto a qualcosa (l'impossibilità di entrare in una relazione) e quindi non sarebbe più assoluto,ma ancora relativo.Nespà?Dio infatti fa quel che gli pare perché non soggetto a condizioni,mentre io e te non possiamo fare quel che ci pare, purtroppo,perché relativi,in divenire come dice Paul Ciao :)
Devo nel mio piccolo notare come , da una parte preponderante dei commenti emerga la presenza di certezze consolidate su molti argomenti. Certezze che , personalmente , mi mancano.
Checchè ne pensino postulatori e postulanti dell'Assoluto, inclusi i più grandi come Platone e Spinoza, la filo-sophia non nasce con idee già confezionate, presupponenti un qualche assoluto (motore immoto, principio primo, tutto, dio,...), ma come ricerca della verità per amore (filo) della conoscenza (sophia).
La verità, tanto nella filosofia occidentale che orientale, non può essere pre-postulata perchè è nascosta e pertanto la ricerca della verità assume da subito un carattere negativo, piuttosto che affermativo. La verità va disvelata, è a-letheia. Va rimosso il velo che la ricopre laddove viene chiamata maya. Bisogna togliere, scavare, indagare, prima di dire. Che cosa ci sia una volta rimosso il velo nessuno lo sa a priori, eccetto i fideisti, che non possono essere considerati filosofi.
Il compito di tutte le filosofie è la ricerca della verità e nel corso dell'evoluzione filosofica esse si sono diversificate affidando alla filosofia naturale, come veniva chiamata l'attuale scienza, la ricerca delle verità naturali. Le verità umane restano nel campo tradizionale della filosofia come etica. Le verità di fede sono state relegate nel campo dell'opinione, doxa, ed espunte dalla filosofia se non come storia della medesima, a cui hanno regalato preziose metodologie di analisi e argomentazioni che hanno avuto il merito di falsificarne i presupposti, separando il grano dei filosofi dal loglio dei sanfedisti.
La ricerca della verità, naturale (physis) ed antropologica (ethos) ha demolito nel corso dei secoli tutte le lettere maiuscole, tutti gli Assoluti, lasciandoci col cerino in mano alla ricerca di verità relative, storicamente (e naturalmente) determinate, come dicevano i profeti del marxismo, contestualizzate ad ambiti di esistenza rigorosamente delimitati all'interno dei quali soltanto acquistano un carattere assoluto. Fatti veri sui quali si può fare una tesi veritiera, come ad esempio sulla corrispondenza tra due intellettuali della filosofia scolastica o sulla riproduzione della drosophila melanogaster.
Accanirsi sugli ultimi veli di maya è sempre legittimo, ma l'argomento Principio Primo non mi pare dei più fecondi e il marchio doxa non è la migliore garanzia di a-letheia.
P.S. Il principio di causalità non può essere taroccato fingendo di conoscere la causa e assegnandole persino un Nome: anche un figlio di padre ignoto ha bisogno della prova del dna per stabilirne la paternità. In assenza di tale prova si resta nel campo della supposizione e della fede, non della conoscenza e filosofia correttamente intesa.
.
Citazione di: atomista non pentito il 15 Settembre 2020, 09:59:16 AM
Devo nel mio piccolo notare come , da una parte preponderante dei commenti emerga la presenza di certezze consolidate su molti argomenti. Certezze che , personalmente , mi mancano.
Se ti mancano sei sulla buona strada.
Qualsiasi certezza è una sconfitta. Un alibi, per smettere di cercare afferrando una "verità" rendendola assoluta.
Senza nessun appiglio a cui aggrapparti devi restare.
Nell'esserci mondano la Verità assoluta è Nulla.
Solo tu, in perfetta solitudine, puoi far sì che il Bene sia.
Ciao Ipazia
Sono Dante :)
Nessuno può stabilire cosa è superato e cosa no.Neanche la maggioranza dei pensatori.E' come quelli che dicono "l'orso si è estinto in queste zone" e poi ti ricompare.L'assoluto è una necessità del pensiero e una tensione dell'anima.Il marxismo, e i suoi profeti, è MOLTO più superato del concetto di assoluto.Io diffido sempre quando si dice "E' stato stabilito" o "La maggioranza pensa".Inizia la fregatura.Poi tu ti adegui e finisce la tua libertà d'intuizione.Il pensiero è libero.Non può decidere un altro quello che è giusto pensare o quello che è moderno pensare.
Ciao BobbmaxSono dante il Pedante :) Secondo me non è sbagliato dire che il Bene sia, ma penso che il Bene E' sia più giusto.Perché il "Bene sia" mi pare lo mette come in divenire e così lo rende relativo, mentre il "Bene E'" significa che ès empre presente anche se le cose e gli uomini divengono.Ciao
Nella mia peraltro non eccessiva carriera studentesca , della matematica ho apprezzato esclusivamente 2 situazioni : "due rette parallele si incontrano all'infinito" alle mie orecchie suonava come " la fantasia al potere , tutto quello che avete imparato fino ad adesso non vale un .........soldo bucato" e l'altra i numeri periodici .......... tendere ad un "qualcosa" senza mai raggiungerlo.
Ecco come penso all'Assoluto ...... sostanzialmente aleatorieta' pura.
Citazione di: atomista non pentito il 15 Settembre 2020, 11:49:20 AM
Nella mia peraltro non eccessiva carriera studentesca , della matematica ho apprezzato esclusivamente 2 situazioni : "due rette parallele si incontrano all'infinito" alle mie orecchie suonava come " la fantasia al potere , tutto quello che avete imparato fino ad adesso non vale un .........soldo bucato" e l'altra i numeri periodici .......... tendere ad un "qualcosa" senza mai raggiungerlo.
Ecco come penso all'Assoluto ...... sostanzialmente aleatorieta' pura.
Ma se gli dai un NOme e una qualità ecco che diventa concreto e presente.
Non penso sia sufficiente attribuire un nome ed una qualita' ( sia pure onnicomprensiva) ad un qualcosa per aver trovato l'Assoluto come non e' sufficiente dare un nome ed una o piu' qualita' per far apparire un "raprillicotolososupa" dal nulla
Citazione di: atomista non pentito il 15 Settembre 2020, 13:23:22 PM
Non penso sia sufficiente attribuire un nome ed una qualita' ( sia pure onnicomprensiva) ad un qualcosa per aver trovato l'Assoluto come non e' sufficiente dare un nome ed una o piu' qualita' per far apparire un "raprillicotolososupa" dal nulla
Se si è rivelato a noi è sufficiente. Il rarilli.ecc. non penso si sia mai rivelato,che io sappia ;)
Citazione di: Dante il Pedante il 15 Settembre 2020, 11:39:26 AM
Secondo me non è sbagliato dire che il Bene sia, ma penso che il Bene E' sia più giusto.Perché il "Bene sia" mi pare lo mette come in divenire e così lo rende relativo, mentre il "Bene E'" significa che ès empre presente anche se le cose e gli uomini divengono.Ciao
Sì Dante, il Bene È.
Bene = Essere = Verità.
Non può esservi dubbio alcuno.
Eppure... dubitiamo.
Quel "sia", come ben osservi, esprime il nostro stato relativo, soggetto al divenire.
Nel relativo, nel nostro esserci mondano, è come se l'Assoluto dipendesse da noi. Da una nostra scelta!
Questa scelta è l'occasione per eternare.
Nel senso che seppure per un istante possiamo superare il relativo.
Ti auguro ogni bene, figlio unigenito.
Carissimo Dante il Pedante ..... sara' una mia lacuna sensoriale o cerebrale , ma personalmente non "vedo" rivelazioni dell'Assoluto.
Citazione di: atomista non pentito il 15 Settembre 2020, 14:52:59 PM
Carissimo Dante il Pedante ..... sara' una mia lacuna sensoriale o cerebrale , ma personalmente non "vedo" rivelazioni dell'Assoluto.
Io invece ne vedo dappertutto.In ogni volto che incontro,anche in quelli brutti e che fanno caxxre.In ogni dove risplende.Ieri sera per es. l'ho visto che correva lungo il fiume :)
Sulla questione del rapporto fra filosofia citata e filosofia fatta, in aggiunta a quanto già osservato in
altro topic, mi piace ricordare ciò che un filosofo scrisse in una prefazione di un suo famoso testo:
«
In che misura i miei sforzi coincidano con quelli d'altri filosofi non voglio giudicare. Ciò che qui ho scritto non pretende già d'essere nuovo, nei particolari; né perciò cito fonti, poiché m'è indifferente se già altri, prima di me, abbia pensato ciò che io ho pensato» e continua: «
Solo questo voglio menzionare, che io devo alle grandiose opere di Frege ed ai lavori del mio amico Bertrand Russell gran parte dello stimolo ai miei pensieri».
Il breve ma denso testo che segue queste frasi è una fulgida dimostrazione di come la filosofia "professionale" non consista nel guardare la volta stellata, grattarsi la barba e formulare un'opinione ben argomentata preceduta da uno schietto «secondo me...» (stereotipo già smentito dai dialoghi socratici, ben prima delle enciclopedie
online). Tale attività può ben essere definita ragionare, riflettere, etc. ma fare filosofia, il filosofare,
oggi, secondo me
1 presuppone
in primis farsi carico dell'eredità culturale sedimentata in pensieri e concetti già espressi, perché filosofare è attività
sociale, ma prima di esserlo con i contemporanei lo è con chi ci ha preceduto.
Ciò ovviamente non significa che sia necessario leggere e comprendere tutta la filosofia scritta in precedenza, prima di poterne produrre altra; tuttavia conoscerne almeno le basi o solo una parte, fosse anche la più recente e/o settoriale, garantisce quel minimo confronto concettuale che evita al pensatore di implodere nel soliloquio autoprodotto e autoreferenziale, come invece accade ad esempio in poesia; disciplina che non a caso rientra nelle arti e non nelle scienze umane (per quel che vale, attualmente il corso di laurea in filosofia è stato ribattezzato talvolta «scienze filosofiche»).
Ciò è solo una mia opinione? Lascio la risposta a chi ha un po' di dimestichezza di come funzioni la filosofia come
disciplina (e il fare filosofia come il
praticare una disciplina), da non confondere con il ragionare come
attività trasversale e interdisciplinare.
Esemplificando: sarebbe come se, digiuno di filosofia, affermassi di aver il fondato sospetto che, al di là di tutti punti di vista, ogni oggetto abbia una sua dimensione di esistenza che fonda tutte le percezioni, ma che tale dimensione non sia a sua volta esaurientemente percepibile sincronicamente, ma solo postulabile seppur necessaria. Per quanto tale concezione della realtà possa essermi venuta genuinamente senza influssi esterni, ma solo riflettendo, osservando, speculando, argomentando, etc. se la propongo in un forum (lasciamo stare ad altre "altitudini") come
mia riflessione filosofica, non credo che la suddetta citazione basterebbe a tutelarmi da (nella migliore delle ipotesi) prevedibili "consigli di lettura kantiana o fenomenologica" che potrei ricevere all'unisono da
imberbi liceali (che magari non
fanno filosofia, me ne
sanno riconoscere gli "strumenti del
mestiere"). Nel mio "vocabolario", resterò ottimisticamente convinto d'aver comunque "fatto filosofia", quando probabilmente, detto con un altro vocabolario, ho solo riflettuto (o sono solo nato troppo tardi).
1Affermare che secondo me la filosofia non si basa sui "secondo me" nati da riflessione extradisciplinare, sarebbe contraddittorio se tale giudizio fosse proposto come filosofico o se non si specificasse il tipo di «secondo me» in questione; tuttavia il contenuto dell'affermazione è la demarcazione della disciplina, demarcazione in apparenza non avvenuta filosoficamente, quindi (pur avendo per oggetto la filosofia) non è un'affermazione in sé filosofica (e dunque non è incompatibile con un estemporaneo «secondo me»).
Se anche la intendiamo come un'affermazione filosofica (con buona fede verso il ragionamento che potrebbe avere alle spalle), è un'affermazione di filosofia-sulla-filosofia, quindi un'affermazione
metafilosofica, in cui la distinzione in "livelli" rende possibile distinguere un piano opinabile (quello del «secondo me la filosofia...») da quello dell'oggetto dell'opinione (il piano del «la filosofia del "secondo me"...»), senza alcuna antinomia. E "grazie per aver scelto la nostra
compagnia aerea".
Citazione di: Dante il Pedante il 15 Settembre 2020, 11:39:26 AM
Non può decidere un altro quello che è giusto pensare o quello che è moderno pensare.
Quello che è giusto pensare lo decide la realtà: se mi butto fuori dalla finestra precipito e non pare che i numi siano molto disposti a negare la forza di gravità.
Quello che è moderno pensare dipende dal livello della conoscenza: oggi è moderno pensare che vaccini e igiene funzionano meglio di processioni e preghiere per evitare le pestilenze.
In entrambi i casi i libero pensiero individuale vale una fava e il risultato della sua imposizione è uno sputo controvento.
Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2020, 16:18:40 PM
Citazione di: Dante il Pedante il 15 Settembre 2020, 11:39:26 AM
Non può decidere un altro quello che è giusto pensare o quello che è moderno pensare.
Quello che è giusto pensare lo decide la realtà: se mi butto fuori dalla finestra precipito e non pare che i numi siano molto disposti a negare la forza di gravità.
Quello che è moderno pensare dipende dal livello della conoscenza: oggi è moderno pensare che vaccini e igiene funzionano meglio di processioni e preghiere per evitare le pestilenze.
In entrambi i casi i libero pensiero individuale vale una fava e il risultato della sua imposizione è uno sputo controvento.
Ci si può vaccinare e allo stesso tempo anche pregare.Una cosa non esclude l'altra. ;D Anzi doppia protezioneAh non sapevo che il libero pensiero non conta un caxxo e conta solo il pensiero collettivo imposto dagli altri.
Conta la sperimentazione. Pare che la macumba, compresa quella cristiana, non funzioni. Quindi aletheia nol consente. A meno che non vogliamo sprofondare nella cialtroneria piuttosto che approfondire filosoficamente. Pare che anche i numi, come da storiella narrata in altra discussione da Eutidemo (una analoga l'avevo sentita in salsa ebraica da Moni Ovadia), consiglino la via scientifica piuttosto che la macumba.
Non capisco come questa diatriba sulle citazioni sia potuta scaturire da quel intervento di Phil, che di queste citazioni tutto ne ha fatto fuorchè un appello all'autorità. Detto questo la filosofia mica deve essere un inedito, a meno che il forum non cominci a comportarsi come un editore, la scelta tra il rimandare ad autore del passato o esplicare il ragionamento a parole proprie può essere di convenienza, di stile, o qualsiasi altra ragione, ma v'è davvero una regola unica, se non quella di buon senso in una comunicazione? Testimonianza ne è l'argomento cosmologico di Platone inserito da Paul, che è stato ripresentato decine di volte in forme, allegorie, e fraseggi diversi da decine di autori diversi (ben dotti solitamente) che non hanno semplicemente messo una postilla "vedi Platone", ma hanno voluto decostruire e ricostruire lo stesso ragionamento ad libitum (sfortunatamente una tautologia era, ed è rimasta). Che poi la disciplina filosofica si sia storicizzata e sia entrata nell'olimpo delle scienze umane è tutto un altro discorso, bisorrebbe inanzitutto capire se se di questa evoluzione ne abbia guadagnato e in quale senso. Quando Hawkings scriveva che la filosofia era morta e non doveva più essere insegnata perchè la cosmologia la facevano meglio i cosmologi, tirava le giuste somme di quel percorso di "specializzazione" e che gli "specialisti" si rifiutano di tirare.
Non capisco perché il mio post sia stato bannato anche stavolta.Le offese dell'utente Ipazia, che sfotte sempre le persone che credono,passano sempre.Io ho cercato di difendermi e vengo bannato. Non ha senso! Se siete tutti contro le persone religiose scrivetelo subito bello chiaro,così non perdo tempo a scrivere su questo forum.Grazie! >:(
<<di lagnarsi anche basta. E non va bene questo e non va bene quello, e le citazioni e manca questo e c'è troppo di quello, e sfotte e provoca e il Perdincibacco, così sì, così no, senso, nonsenso. Stop. Non è difficile, c'è un topic, attenetevi al tema. Per nuovi temi se ne apre uno nuovo di topic, spazio ce ne sta, o cercate e arricchite quelli già esistenti che lo trattano. Grazie. >>
Salve phil. Ottimo intervento, il tuo nr.30. Per quanto mi riguarda il "secondo me" (notazione sciocca nella sua ovvietà) rappresenta solamente un intercalare destinato ad allontanare malintesi circa qualche mia apparente apoditticità Saluti.
Citazione di: InVerno il 15 Settembre 2020, 19:49:01 PM
Che poi la disciplina filosofica si sia storicizzata e sia entrata nell'olimpo delle scienze umane è tutto un altro discorso, bisorrebbe inanzitutto capire se se di questa evoluzione ne abbia guadagnato e in quale senso. Quando Hawkings scriveva che la filosofia era morta e non doveva più essere insegnata perchè la cosmologia la facevano meglio i cosmologi, tirava le giuste somme di quel percorso di "specializzazione" e che gli "specialisti" si rifiutano di tirare.
Che la cosmologia non si intenda di etica é forse un particolare che sfugge ad Hawking, così come il fatto, ben noto a LW, che non si vive di sola scienza.
Ho cercato di seguire le 3 pagine, più le 6 dell'argomento di partenza, ma di sicuro mi sono perso molto, però vorrei chiedere: se il problema iniziale si può riassumere con "l'Assoluto è solo un concetto e per di più inutile", si dovrebbe concludere che il relativo è l'unica realtà?
Se è così, stiamo assolutizzando il relativo.
Come si fa ad abbandonare un concetto, tenendo come valido il suo opposto?
Salve Aumkaara. Si può, si può......! Basta convincersi che che gli opposti non esistono ma esistono solo i complementari.
Bene e male : Se Esistessero Entrambi si Annichilirebbero (=SEEsA) mentre invece esiste solo il Bene o la RELATIVA assenza, scarsità di Bene.
Buio e luce = SEEsA, poi come sopra. ------ Materia ed antimateria.......... ------ Soggetto ed oggetto ------ Fisica e metafisica.......
Tutto è rigorosamente complementare poichè siamo noi stessi a risultare inesorabilmente complementari a ciò a cui pensiamo, in cui crediamo, a ciò che crediamo a noi estraneo.......
Tutto è relativo, e l'insieme di tutti i relativi altro non sarebbe che l'Assoluto. Spiegami tu se tali due concetti ti risultano contradditori o complementari.
Citando, più in particolare i tuoi interrogativi "se il problema iniziale si può riassumere con "l'Assoluto è solo un concetto e per di più inutile", si dovrebbe concludere che il relativo è l'unica realtà?
Se è così, stiamo assolutizzando il relativo"
Certo che l'Assoluto è solo un concetto, e non una realtà ! Quindi esso è l'immaterialità complementare alla materialità del relativo. Lascia stare il concetto (anch'esso appunto immateriale, visto che si tratta di un concetto) di "utilità", il quale individua una banale tendenza umana alla ricerca di ciò che soddisfi i propri bisogni o desideri.
Ovvio quindi che, se l'Assoluto è concetto - come espresso sopra - "irreale immateriale", il relativo sarà realtà "reale materiale".
Circa infine la "assolutizzazione del relativo".............et voilà...........se ti piace chiamare in questo modo la dimostrabile complementarietà di Assoluto e relativo...................puoi anche farlo, ma avrai le tue difficoltà nello spiegarlo a chi ti legga o ti ascolti.
Ti consiglio una definizione di Assoluto che spero ti faccia riflettere un poco : "L'assoluto è ciò che contiene senza essere contenuto da altro più grande di esso". Saluti.
Citazione di: Aumkaara il 27 Settembre 2020, 16:36:50 PM
Ho cercato di seguire le 3 pagine, più le 6 dell'argomento di partenza, ma di sicuro mi sono perso molto, però vorrei chiedere: se il problema iniziale si può riassumere con "l'Assoluto è solo un concetto e per di più inutile", si dovrebbe concludere che il relativo è l'unica realtà?
Se è così, stiamo assolutizzando il relativo.
Come si fa ad abbandonare un concetto, tenendo come valido il suo opposto?
I postulanti dell'Assoluto lo postulano in quanto ente, non come concetto logico. O meglio: amano fare slalom tra i due livelli, concreto e astratto, del reale (come stai facendo tu :D ) per sottrarsi alle contraddizioni connesse all'entificazione (reificazione) del concetto di assoluto.
Il relativo non contrappone se stesso, ma la realtà così com'è, alle pretese assolutistiche sulla realtà.
Il pensiero relativista non è relativista in modo assoluto. Questa è una obiezione tipica, ma priva di senso. Altrimenti se fosse tale non potrebbe esserci azione umana dotata di senso, potendo essere vero, degno, logico, razionale, giusto, tutto e il contrario di tutto.
Il relativismo in realtà, in campo sociale e non solo, espone il superamento della concezione alienata di ogni principio. Nessun principio può essere "sciolto" (ab-solutus), ma deve raggiungere in qualche modo la propria legittimazione. E pertanto le leggi, i costumi, le regole vanno contrattate e inevitabilmente mutano nel corso dei secoli, lasciandoci privi di ogni sicurezza di stampo religioso o ideologico.
È faticoso, spesso ci conduce verso direzioni errate, ma è l'unico modo da me conosciuto per affermare la maggiore età dell'uomo.
Vi ringrazio. La risposta di Jacopus l'ho trovata più chiara, anche se il percorso proposto, da solo, credo non sia solo difficile (il che andrebbe bene) ma proprio inpraticabile: sperare di poter eliminare qualunque elaborazione o tendenza ad un Assoluto, per affidarci alla sola mutevolezza, significa solo favorire una adorazione più o meno consapevole della mutevolezza fine a sé stessa (in cui si possono nascondere assolutizzazioni di altro tipo, nascoste nel tumulto dell'eccessivo cambiamento). In pratica era questo che volevo dire: non mi stavo rammaricando del fatto che si volesse ignorare un qualche assoluto, ma volevo far notare che volerlo fare uscire dalla porta, lo farà rientrare dalla finestra. Proprio perché anche la nostra mente è complementare, non si può sperare di sminuire uno solo degli elementi di una dualità (o complementarietà, come diceva viator). Purtroppo (o per fortuna) non possiamo stare a sorvegliare tutte le finestre della nostra coscienza (individuale, sociale, ecc.): prima o poi, l'aver sminuito l'Assoluto senza aver preso la giusta distanza dal tumulto della relatività (e come potrebbe essere fatto, se tale mutevolezza è l'unica cosa alla quale ci affidiamo?), ci porterà ad assolutizzare qualcosa d'altro, consapevolmente o meno; forse proprio la mutevolezza stessa. Oppure, come vorrebbero alcuni, di nuovo un qualche ente astratto, più o meno umanizzato, come nelle religioni.
Per Viator: proponi una complementarietà, e lo fai proponendo, cito: "l'insieme di tutti i relativi altro non sarebbe che l'Assoluto". Il problema è che un assoluto che esiste come insieme di elementi, dipende da essi, è un semplice costrutto, quindi non è certo "libero da legami": perché chiamare questo collage con un nome che significa il contrario di quello a cui lo hai applicato?
Per Ipazia: sono d'accordissimo che ci siano contraddizioni nell'indicare un Assoluto, se esso viene inteso come ente, più o meno astratto o più o meno personalizzato. Il problema è che ci sono anche nell'indicare un relativo che possa esistere pur mostrandosi appunto come relativo: un insieme di enti che esistono, si definiscono e quindi si conoscono solo se sono in relazione, mutando di conseguenza (ogni rapporto modifica) senza avere nessun punto fermo. Nessuno. Ma così è come sperare che delle persone possano arrampicarsi tra loro senza nessun punto di appoggio. Anzi, già postulare degli "enti arrampicanti" significa affermare che ci sono delle costanti in un mondo solo relativo, costanti che non potrebbero esserci. Dire che tutto scorre, alla Eraclito, significa che vi deve essere almeno ciò che scorre. Gli enti relativi (che quindi non sono enti) che percepiamo possono essere anche solo impressioni date dallo scorrere, cioè da una relatività mutevole (come le onde e i gorghi sono solo forme date dallo scorrere dell'acqua), ma per avere uno scorrere devo avere un ente, devo avere "l'acqua". Anche se non potrò mai conoscerla, non potrò mai "entificarla" come faccio con le forme che essa assume e che posso più o meno approssimativamente percepire e definire (a volte molto poco approssimativamente, come con il pensiero scientifico, che è pur sempre un'appromassimaziome ma talmente estrema e funzionale da sembrare fonte di precisione e certezze).
Forse non comprendo cosa intendi tu con relativo, o forse non ho capito quale soluzioni proponi per spiegare come faccia ad esserci un esistenza ed una conoscibilità senza NESSUN sostrato, "sostanza" o punto di vista stabile.
Come risulta dal mio
post di apertura di questa discussione, poi sdoppiatasi, non sono una assolutista del relativo, ma piuttosto una relativista dell'assoluto, da isolarsi nel contesto limitato in cui l'assoluto relativo può dispiegare tutta la sua assolutezza. Tipo il codice della strada, nelle situazioni in cui è vigente, sul cui opportuno fondamento e prescrittività penso nessuno abbia alcunchè da contestare. Fatto salva qualche limatina sempre necessaria nel divenire della realtà in cui esso esercita la sua giurisdizione.
Non è un po' poco? Non a caso una delle tragedie nazionali peggiori, anche se sui giornali preferiscono dire che è il coronavirus, è in realtà data dagli incidenti stradali. Altro che "non avere alcunché da obiettare". 😊
Questo è dovuto proprio dal fatto che, non essendoci assoluti, ma solo codici che credono di poter stare in piedi da sé adattandosi al massimo tra loro alla meglio, ognuno si sente libero di seguirli come e quanto crede meglio sul momento.
Allo stesso modo, se ho capito bene, proponi che un qualunque Assoluto proposto (individualmente? Socialmente?) debba essere visto come (anzi, non possa che essere) limitato e provvisorio, come minimo da limare ogni tanto, come appunto dici.
Non c'è altro di meglio? La mente umana ha postulato l'Assoluto apofatico ad esempio, anche se per postularlo ha usato come minimo tante parole tanto quanto sono quelle usate per gli assoluti definibili e concettuabili. Le filosofie che lo propongono hanno relativizzato opportunamente il relativo, come dici che va bene anche a te che sia, e non hanno assolutizzato niente che potesse essere indicabile o entificabile, niente di concreto o astratto. Pur ammettendo la necessità di un Assoluto senza mezzi termini (non relativizzabile in nessun modo), si sono concentrati sul percorso di relativizzazione del relativo. A quel punto qualunque "codice" avrà come fondamento l'Assoluto visto come necessario, ma nessun codice e nessun principio sarà assolutizzabile di per sé, o viceversa relativizzabile eccessivamente, in entrambi i casi con il rischio della superficialità o dell'anarchia, ben rappresentata proprio da come è vissuto quello stradale...
Nessun principio assoluto è in grado di sostenere coi suoi mezzi l'universo, il tutto, o qualsiasi altra metafora di assoluto. Qualsiasi presunzione di assoluto funziona solo sulla base della persuasione, che non a caso Parmenide pose al vertice delle virtù filosofiche. Il fallimento di tutti gli assoluti, cominciando da quelli altisonanti partoriti dal fantastico religioso (fallimento ben più devastante dei pirati della strada), ne dimostra la debolezza ontologica e la necessità di una radicale autocritica.
Le leggi naturali, coi loro inderogabili must, sono l'unico fondamento solido degli assoluti possibili, sempre limitati al contesto (etologico) in cui sono produttivi di esistenza e valore, come l'ossigeno per gli esseri viventi aerobici, simili a noi.
Ti darei pienamente ragione, se io non conoscessi quelle filosofie che postulato l'Assoluto senza qualificarlo, come base per sostenere tutte quelle argomentazioni che portano avanti una costante relativizzazione di ogni relativo, in modo che non si cada mai in una assolutizzazione di uno qualunque di essi, e neanche della relatività nel suo insieme. In questo modo, il volo alto di queste filosofie sarebbe utile per poterle formulare, ma senza rischiare di pretendere di poter restare sempre ad alta quota (un Assoluto inqualificabile non sarebbe raggiungibile a nessuna quota, sarebbe visto solo come la "sostanza" di ogni coordinata e di ogni relativo, e in questo modo relativizza tutto senza però assolutizzare implicitamente o meno la relatività stessa).
Ma può essere che tali filosofie non potrebbero mai soddisfare né chi propende per assolutizzare un qualche oggetto o concetto, né chi propende per assolutizzare il relativo nel suo insieme (o, se si preferisce, a chi propende nel negare la necessità di un Assoluto, rischiando così di ritrovarselo spuntare inconsapevolmente in qualche atteggiamento o convinzione inconsciamente radicata).
Però, assolutizzate o meno, le leggi di natura, scientificamente intese o in qualunque altro modo si intendano, le vedo tra le meno adatte a fare da fondamento: quando intese in senso scientifico, sono troppo rigide per essere applicate sia alla generalità (ed infatti si ripartiscono in tante branche scientifiche che quando inevitabilmente collimano in qualche modo, anche poco appariscente, le vedo generare assurdità pericolose, più insidiose di quanto siano le assurdità delle religioni), sia agli individui singoli (e infatti se un individuo dovesse basare tutta la vita sulle leggi scientifico-matematiche, ne verrebbe fuori una pochezza che in confronto Alexa di Amazon - e ancor di più Enza della pubblicità della Motta - apparirebbe con sfaccettature più interessanti); tra l'altro, che le regolarità riscontrate dalla scienza siano davvero leggi, oppure semplici "abitudini", tendenze che a noi paiono infrangibili e durature, è il sospetto di alcuni scienziati, e se così fosse esse sarebbero ancor meno adatte a soddisfare la sete di assolutezza che l'essere umano ha, e che in qualche modo gli spunta sempre fuori.
Se invece per leggi di natura si intende un più o meno generico accostamento al mondo naturalistico o tutt'al più un tentativo di riequilibrio degli stati psicologici interni dell'individuo, ne verrebbe un lodevole tentativo di rendere coerente la nostra relazione tra individui e tra società e natura, ma sarebbe un volo troppo basso per poter durare a lungo.
Il volo basso lo hai elogiato in un post precedente, e concordo che sia da elogiare (e da vivere in molte forme), ma a meno che non si voli in un deserto senza dune, prima o poi dobbiamo saper andare almeno ogni tanto anche in alto (senza pretendere di... assolutizzare neanche tale prodezza).
Il volo, alto o basso che sia, è posto dalla natura nei termini più assoluti - della fisica e della metafisica - nello spazio che separa la nascita dalla morte di ogni (assoluto) vivente. Quello spazio è il fondamento di assoluto più solido, a prova di illusioni e fantasticherie, che ci sia. Una filosofia che abbia il conatus di volare sempre alto finisce come Icaro. Io preferisco Dedalo, che sa attrezzarsi per volare, conosce i pericoli del volo e alla fine sa pure atterrare.
È esattamente quello che spero anche io: volare alto ma solo dove e quando serve. Non ho capito però perché definire assoluti i viventi e lo spazio tra nascita e morte.
Perchè l'assoluto di ogni vivente è lo spazio tra la sua nascita e la sua morte. Lo spazio della sua esistenza. Che, metafisicamente, diviene anche il luogo in cui si possono fondare sostrati, "sostanze" e punti di vista stabili. Comunicabili e scambiabili intersoggettivamente.
Salve Aumkaara. A proposito delle tue osservazioni : "Per Viator: proponi una complementarietà, e lo fai proponendo, cito: "l'insieme di tutti i relativi altro non sarebbe che l'Assoluto". Il problema è che un assoluto che esiste come insieme di elementi, dipende da essi, è un semplice costrutto, quindi non è certo "libero da legami": perché chiamare questo collage con un nome che significa il contrario di quello a cui lo hai applicato".
Quello che secondo me è il SOLO APPARENTE rapporto tra Assoluto e relativo l'ho già accennato diverse volte, all'interno del Forum. Provo a ripeterlo.
"Avere dei legami" significa "essere in relazione con.....", "dipendere, venir influenzati, oppure condizionare, influenzare" etc. etc.
L'Assoluto si limita a "consistere" nell'insieme di tutti i relativi in quanto esso Assoluto resta comunque un concetto completamente intangibile ed immodificabile indipendentemente dal numero e tipologia dei relativi nel quali può trovarsi a consistere (es. da un minimo di due ad un max. indeterminato di "cose" identiche o diverse, esso resta sempre l'Assoluto. Inoltre l'Assoluto non genera nè viene generato da ciò in cui consiste, quindi sarà privo di legami, relazioni, influenze, condizionamenti.
In pratica l'Assoluto non è altro che l'aspetto concettuale (perciò puramente immateriale - in ciò quindi sarei d'accordo con Ipazia) del Tutto, cioè dell'insieme reale e materiale di ciò che ci circonda e ci include.Il Tutto quindi risulta certamente relativo ai propri contenuti, l'Assoluto no. Saluti.
Vi ringrazio di nuovo per le risposte. Non vi disturbo più sull'argomento, almeno per quanto riguarda ipazia e viator che hanno risposto fin'ora, perché mi sembra di aver intuito una cosa: quel che principalmente dite, in modo diverso e con l'aggiunta di altre idee con cui posso essere più o meno in sintonia o in disaccordo, sembra essere non diverso da quello che ho "concluso" anche io: l'Assoluto può presentarsi solo come concetto, non è un ente, non è un qualcosa che può infuenzarci o rapportarsi a noi, se non appunto come concetto, poco importa quanto astratto.
Ho però l'impressione (che lascia il tempo che trova perché basata sui pochi messaggi che abbiamo fatto qui, e su una lettura di altri vostri scritti in altri argomenti) che la differenza stia nel modo in cui ci siamo arrivati, e che questo influisca sul modo con cui questo ci fa vivere con tale conclusione: forse per voi è stata una questione di elaborazione di pensieri, rigorosi, "asettici" (in senso positivo, cioè fatti senza distrazioni e contaminazioni), obiettivi. Senza dubitare che ciò possa essere stato fatto con fatica e con l'apporto di esperienze più concrete, il vostro è un pensiero più puro.
Nel mio caso la questione la presi in modo più "religioso". Pur non avendo avuto fedi specifiche, pur avendo avuto un modo di procedere principalmente mentale, tanto da apparire "ateo e materialista" agli occhi degli appartenenti ad una qualunque religione (a parte alla maggior parte dei buddisti e degli "induisti più vedantici", ma a volte neanche a loro), quello che volevo "ottenere" non voleva prescindere dai "sentimenti" (in senso lato), non voleva scartare a priori l'emotiva ricerca umana dei principi più alti, la "sete di assoluto", che, come ho detto spesso, credo sia un auto-inganno credere di poter sradicare persino dall'inconsio, da cui influenzerà o già ha influenzato i pensieri anche dei pensatori più razionali.
Partendo da ciò mi sono immerso in tutto quello che potesse non solo farmi capire intellettualmente, ma anche cambiare coscienzialmente. Il risultato è stato comunque che, nonostante tutte le comprensioni e tutti i riorientamenti del propri punti di vista più profondi che avevo e che avrei potuto attuare, non avrei potuto approdare a niente di assoluto, né qualcosa di assoluto avrebbe potuto sostituire una qualunque condizione relativa. Non però perché l'Assoluto "non c'è", ma perché non può esserci più di quanto già non ci sia, in quanto "sostanza di cui sono fatti" tutti quei rapporti che chiamiamo oggetti ed eventi, sia fisici che mentali; e che l'unica cosa che può cambiare, diminuendo e riaumentando di volta in volta sempre diversamente, sono solo tali impressioni relative, che in quanto tali quindi non sono davvero eterogenee (per quanto alienanti rispetto al normale quotidiano possano talvolta apparire certe esperienze ad alcuni: basta pensare come ci appaiono le vite di alcune persone più religiose o più sregolate, o basta pensare a certi stati fisici e mentali, dal sonno alla morte).
Un commento che andava più in Tematiche Spirituali forse, ma che voleva mostrare come per alcuni come me non ci sia troppa differenza tra ricerche diverse (anche se questo è fonte di "accuse" divertenti nella loro incompatibilità: come dicevo, appaio ateo-materialista ai religiosi, ma appaio anche teista-spirituale ai meno religiosi...).
Se vuoi ti offro un ulteriore elemento di riflessione. L'assoluto, in psicoanalisi, è interpretabile come la nostalgia per l'età della prima infanzia, quando ogni richiesta minima del neonato è un ordine imperioso di intervenire, che sia fame, che sia sonno, che sia mal di pancia o voglia di coccole. Il cervello sperimenta in quei primi due anni di vita una condizione irripetibile di sentirsi al centro del mondo, una visione assoluta, anche per mancanza di conoscenza dell'altro. Da questo stesso modello interpretativo è riconducibile il mito dell'età dell'oro, replicantesi in molti miti, religioni e semplici credenze quotidiane (quando c'era lui...).
Già, la conoscevo questa teoria, sia in riferimento allo stato infantile sia in riferimento a presunte (per me non esattamente impossibili) ere passate (e future) socialmente, scientificamente e filosoficamente più elevate.
È una teoria che vedo come vedo ogni altra teoria psicologica: molto probabilmente vera, ma comunque solo un caso specifico a cui non ridurre ogni spiegazione. Anzi, forse è vero il contrario, forse sono i meccanismi organici e sociali alla base dei suddetti comportamenti psicologici ad essere il riflesso di meccanismi più "ampi ed elevati" (non vedo molto probabile che i meccanismi più particolari, al massimo collettivi, sorgano e si mantengano casualmente ed indipendentemente, senza avere una controparte più universale e coordinatrice, senza per questo antropomirfizzare o personalizzare quest'ultima). Ma in ogni caso la sete di assolutezza non è esattamente la nostalgia di onnipotenza, che è più propriamente quella a cui si riferisce la teoria suddetta.
In ogni caso forse è proprio grazie a questo semplice meccanismo psicologico che l'essere umano mette in atto quello che probabilmente gli è più proprio: il cercare di andare sempre oltre, in tutti i campi, poco importa se poi scopre che l'oltre era il punto di partenza perché il percorso era ciclico: gli era comunque inevitabile procedere.
Salve Aumkaara. Citandoti : "In ogni caso forse è proprio grazie a questo semplice meccanismo psicologico che l'essere umano mette in atto quello che probabilmente gli è più proprio: il cercare di andare sempre oltre, in tutti i campi, poco importa se poi scopre che l'oltre era il punto di partenza perché il percorso era ciclico: gli era comunque inevitabile procedere".
Infatti la curiosità umana è basata non sullo sviluppo dell'intelletto (non è il possesso di funzioni "superiori" a rendere curiosi, bensì l'essere "fondamentalmente" curiosi è ciò che ha permesso l'evoluzione cerebrale, mentale, culturale.
La curiosità, la soluzione definitiva dei problemi, in effetti sono atteggiamenti che dovrebbero infatti ripugnare alla razionalità, la quale razionalità - appunto in quanto tale - ci fa benissimo comprendere che il raggiungimento di un fine conclusivo non potrebbe che coincidere con la morte.
Alla base della umana curiosità, irrequietezza, dal mio punto di vista c'è l'avvenuta acquisizione della coscienza (e la genesi infantilistica citata da jacopus ne rappresenta appunto il versante filogenetico, riflesso di quello biologicamente ontogenetico) la quale apre il dilemma della "alterità" e della consapevolezza della morte (la quale è l'inaccettabile incomprensibile fine di un percorso (la vita) intrapreso il quale.......non si può avere una meta, un termine.
Di qui il nostro consapevole od inconsapevole aggrapparci all'unico comportamente che ci impedisca di "arrivare a destinazione" : la forzata circolarità dell'esistenza. Essa concilia l'eterna curiosità umana con l'unico tipo di percorso che ci evita accuratamente qualsiasi vero punto di arrivo. Saluti.
Concordo, ma, a rischio di sembrare amante della controbattuta, e in questo caso anche dell'autocontraddizione, ci possono essere condizioni, diciamo intellettive, anche se i più spiritualisti direbbero coscienziali e forse direbbero meglio, in cui le circolarità possono essere "contemplate" quasi tutte di un colpo. "Quasi", perché anche in questo caso non voglio cadere in assolutismi di qualche tipo (magari perché in tali momenti di "visione dall'alto del circolo della vita" non ti sei astratto davvero dalla circolarità, ma sei solo in un tornante superiore di quella che si rivela essere una spirale, di cui mai avrai una visione completa), ma comunque non nego che possano esserci comprensioni "meno divenienti", meno relative quindi. E forse l'unica vera morte (lasciamo stare se in senso lato e non specificamente biologico, lasciamo l'argomento alla sezione scientifica, anche se un certo punto di vista filosofico può aiutare anche su quel fronte) potrebbe essere sinonimo di questi presunti momenti di visione più ampia e meno dipendente dalla temporalità, una morte sperimentata in modo ben diverso rispetto a quelle "interruzioni di percorso" che ci angosciano e che ci attendono di tanto in tanto quando percorriamo i percorsi circolari, e che forse mai incontriamo, sperimentandone solo l'angoscia, proprio perché sono solo curve di cui non vediamo il proseguio mentre percorriamo il circolo.
Citazione di: Aumkaara il 29 Settembre 2020, 10:05:46 AM
come dicevo, appaio ateo-materialista ai religiosi, ma appaio anche teista-spirituale ai meno religiosi...
Questo è ciò che capita a chi ricerca la Verità.
Perché occorre aver fede nella Verità.
E ciò viene equivocato dall'ateo-materialista che lo interpreta come la conferma di una credenza religiosa.
Mentre allo stesso tempo questa fede è fede nel Nulla. E questo suscita orrore nei religiosi che la scambiano per ateismo.
Ma la fede nella Verità, che appare come Nulla, è l'unica autentica fede.
Ogni altra è solo superstizione.
Io e te ci siamo capiti, perché probabilmente il percorso che abbiamo fatto era simile.
Però non so se siamo d'accordo se dico che oggi credo che il nostro percorso, che ha (o ha avuto) come meta la Verità (che non chiamo quasi mai così e ancora meno la chiamo Nulla, anche se sono comunque d'accordo su cosa vuoi intendere), in realtà sia altrettanto religioso, anche se in un modo che non è compreso dalla maggior parte dei religiosi. Credo così oggi perché non ho più come obiettivo tale Verità-Nulla, non nel senso che ho smesso di credere che essa sia il fondamento, ma perché credo che non si possa trovare, né realizzare, né svelare, più di quanto non lo sia già ora, che è esattamente come già lo era prima. Ora tutto quello che posso fare è cercare di relativizzare tutto ciò che a volte spontaneamente rischio di assolutizzare troppo, e cerco di farlo meglio di quanto riescono a farlo di solito gli "atei-matetialisti".
Citazione di: Aumkaara il 29 Settembre 2020, 18:04:31 PM
Credo così oggi perché non ho più come obiettivo tale Verità-Nulla, non nel senso che ho smesso di credere che essa sia il fondamento, ma perché credo che non si possa trovare, né realizzare, né svelare, più di quanto non lo sia già ora, che è esattamente come già lo era prima. Ora tutto quello che posso fare è cercare di relativizzare tutto ciò che a volte spontaneamente rischio di assolutizzare troppo, e cerco di farlo meglio di quanto riescono a farlo di solito gli "atei-matetialisti".
Pure per me la Verità
non è un "obbiettivo".Infatti la ricerca non riguarda qualcosa da raggiungere, perché la Verità non può essere "qualcosa".
Il qualcosa è tale solo in quanto negazione di qualcos'altro.
Mentre la Verità non ha alcun "altro".
Sono convinto che il relativismo sia indispensabile.
Perché è l'esito inevitabile a cui giunge la mente razionale che brama il vero.
Tuttavia il relativismo è solo un passaggio necessario, non la meta finale.
Perché una volta accettatolo per davvero (e come ben dici non è affatto facile, in particolare per chi se ne proclama alfiere...) ci ritroviamo senza alcun appiglio a cui aggrapparci.
Solo su noi stessi possiamo contare.
E poiché la Verità è questione essenzialmente etica...
Solo noi, in perfetta solitudine, possiamo affermare che il Bene è!
Di modo che la ricerca della Verità conduce inevitabilmente, almeno per quel che mi riguarda, all'inferno.
Non credo di aver capito quando dici che la Verità è una questione etica, né quando concludi che la sua ricerca porta all'inferno. Puoi spiegare cosa intendi?
Il mondo fisico, le sue leggi, la logica, i suoi principi, sono tutte cose importanti. Indispensabili per il cosmo in cui viviamo. Senza di esse saremmo perduti, sarebbe il Caos.
Tuttavia, di per se stesse non hanno alcun valore, se non di dare senso ad ogni nostra situazione di vita.
Ciò che vale, per davvero, è solo il Bene.
Ma nel mondo e nel pensiero razionale non vi è nulla che fondi il Bene assoluto.
Il Bene ha bisogno di te.
Solo tu, in perfetta solitudine, puoi far sì che il Bene sia.
È l'unica libera scelta che davvero abbiamo: affermare che il Bene è!
Tuttavia, finché c'è un io, l'affermazione del Bene, la certezza dell'Assoluto, implica la nostra discesa all'inferno.
Perché più Dio è certo e più io non ne sono degno.
All'inferno ci si autocondanna, inevitabilmente.
Finché c'è un io, figlio unigenito.
Forse sono sempre stato talmente poco affine alle religioni (anche se sempre senza denigrarle se viste come simboli, e anzi cercando di conoscerle il più possibile in questo senso), che il modo in cui hai espresso i concetti sull'io mi stonano leggermente: un io visto come indegno di Dio è una visione che trovo adatta solo per un certo tipo di fedeli. Anche se non ho difficoltà a leggerlo in un modo simbolico attinente alle mie esperienze: l'io non è degno nel senso che è solo un'impressione, un oggetto mentale "facilmente" attenuabile con la sola osservazione, con la sola attenzione: cercalo, e non lo troverai. Da questo punto di vista, il Dio di cui non è degno è proprio l'attenzione. In fondo, cos'altro "crea" un mondo (sempre accompagnato da un io, più o meno elaborato e affinato) se non una certa dose di attenzione? Abbassala, e il mondo, insieme all'io, muta (si restringe, o si colora di sogni, o sfuma nel sonno più profondo), alzala, e il mondo-io diventa più trasparente, fino a sembrare sempre meno autonomo, e alla fine quasi inesistente.
Per curiosità, posso sapere che formazione, chiamiamola così, hai avuto negli argomenti filosofici o spirituali? Solo per non rischiare di confondere linguaggi con significati per te diversi rispetto ai miei.
Il bisogno di porre delle etichette, di fissare delle appartenenze è molto diffuso. Così come la rigidità nell'interpretare i termini.
In questo modo si fissa ostinatamente il dito senza rendersi conto della Luna.
Pensare che il tema qui sarebbe l'Assoluto... ma tant'è.
D'altronde è emblematico come sfugga ai più l'assurdità di considerare l'Assoluto a prescindere dall'Etica.
La non dualità è più facile trovarla negli umili che negli eruditi.
Sebbene la non dualità sia nel cuore pulsante dell'autentica filosofia di ogni epoca.
Buona continuazione.
Non so se conosci Shankara: molti si lamentavano del fatto che parlasse poco o nulla di etica. Lui (o i suoi epigoni) rispondeva che quella deve essere già assodata, per poter affrontare argomenti sulla non dualità. Infatti anche alcuni insegnanti che pongono la non dualità come il massimo dell'insegnamento filosofico, danno l'etica per scontata in coloro che li ascoltano (se si tratta di un gruppo ristretto) oppure, se insegnano a platee nutrite o al mondo in generale, insegnano soprattutto etica, persino moralità (nei limiti del contesto sociale in cui hanno rispettivamente senso le varie forme di quest'ultima). Quindi concordo che l'etica sia essenziale, anche perché la non dualità si esprime meglio in un atto (che è il modo in cui si può concentrare l'attenzione di cui parlavo nel messaggio precedente), e proprio in un atto disinteressato, ovvero etico, compiuto da qualcuno che magari non sa neanche che cosa siano le filosofie sulla non dualità. È molto più efficace, rispetto a quanto si possa esprimere in una spiegazione logica e razionale. Questa rimane comunque uno strumento molto usato; persino i maestri zen che hanno per principio la non dualità e la repulsione verso gli argomenti dialettici, alla fine sono costretti a parlare in termini eruditi, in certi contesti.
Mentre il voler fissare appartenenze ed etichette è utile, come chiedevo nel messaggio precedente, solo per sapere quale linguaggio usare, mentre è ovviamente fuorviante per classificare persone o insegnamenti.
Citazione di: bobmax il 30 Settembre 2020, 08:14:15 AM
Pensare che il tema qui sarebbe l'Assoluto... ma tant'è.
D'altronde è emblematico come sfugga ai più l'assurdità di considerare l'Assoluto a prescindere dall'Etica.
La non dualità è più facile trovarla negli umili che negli eruditi.
Sebbene la non dualità sia nel cuore pulsante dell'autentica filosofia di ogni epoca.
Buona continuazione.
Grazie. Qui il tema è la postulazione aporetica dell'Assoluto, rispetto al quale la non dualità orientale e il monismo teologico occidentale sono varianti locali di una comunemente diffusa aspirazione ad un Tutto non meglio identificato, ridondante di lettere maiuscole la cui efficacia apotropaica e taumaturgica nel contrastare il dualismo etico pare piuttosto inconsistente.
Invece a me sembra che il fato degli umani sia irreducibilmente duale. Lo è archetipicamente nel doppio canale dell'ereditarieta specista per via genetica e culturale. Lo è nella condizione et(olog)ica della via culturale, immersa - solo lei - nel bene e nel male. Il dualismo etico è inesistente nella via genetico-naturalistica totalmente
aldiqua del bene e del male. L'
aldilà (del bene e del male) è una scommessa tutta da verificare.
Il prosieguo del discorso in altra discussione che si occupa di questioni etiche, maligne, e per necessario contrappunto, benigne.
La dialettica (dia) non a caso ha un pò a che fare con il diavolo (dia), ma è la dialettica a salvarci da ogni pensiero autoritario e distruttivo, solo credendo nel dialogo (dia) e non nel monologo, possiamo costruire il bene comune. Una dialettica che deve essere esercitata anche nei nostri confronti, nella nostra stessa mente. In fondo non è altro che riscoprire Socrate, cioè il fondamento di ogni conoscenza. E' l'unus ego et multi in me, che la Yourcenair mette in bocca ad Adriano, e che è uno degli atti creativi fondanti dell'Occidente.
La non dualità sarebbe una scommessa se fosse soltanto un'etichetta, applicata al fondamento del mondo o ad un Dio, su cui fondare la speranza di una migliore comprensione e quindi un migliore rapporto con esso.
Invece è, anche se secondariamente, una teoria ben delineata da certe filosofie, per noi problematiche da studiare in tutti i loro dettagli logici perché inestricabilmente legate alle forme dei linguaggi delle religiosità d'oriente; non è comunque confinata ad esse, a differenza delle teologie, a cui appartiene buona parte del monismo; che non è la stessa cosa della non dualità, anche perché, come la teologia in generale o come le filosofie che prendono le mosse dalla teologia (anche solo per distaccarsene), rimane maggiormente nel teorico e scende tutt'al più nel sentimento. La non dualità ha invece una controparte pratica più evidente (a differenza di molta filosofia moderna, che spesso si accontenta di fornire teoremi da usare per dare un significato umanistico ai risultati della scienza), e questo aspetto pratico è molto semplice da capire, anche se non da attuare: è quando l'azione è spontanea ma rimane consapevole e quindi indipendente dagli strumenti dicotomici della razionalità e dell'emotività, che potevano essere usati (e di solito vengono usati, adeguati o meno che siano) per espletare l'azione, ma che, proprio perché sono duali e difficili da usare con equilibrio, si finisce per compiere azioni non equilibrate, che lasciano solchi, e quindi cicatrici, anche nell'interiorità, che ce se ne renda conto o meno.
L'azione non duale è "gerarchicamente superiore" (ma in modo più diretto perché più simile rispetto a quanto lo sia nei confronti della dualità ragione-emozione) anche nei confronti dell'azione istintiva (che è il citato "aldiquà" degli opposti), che è altrettanto spontanea, ma mentre viene compiuta non rende consapevoli degli strumenti emotivi e razionali che potrebbero essere usati per compiere l'azione.
Filosoficamente (con tutte le dimostrazioni logiche del caso), questa azione non duale è stata posta come sintomo di una naturale non dualità dell'esistenza, perché è stata paragonata alla condizione duale che di solito sperimentiamo, vedendo come quest'ultima a confronto sia non spontanea, non completa, formata da elementi tra loro dipendenti che, se non hanno ragione sufficiente singolarmente, non possono trovarla neanche reciprocamente (non si può dare ciò che non si ha); risulta in definitiva relativa, manchevole e quindi apparente.
Di conseguenza, la condizione non duale è stata considerata come l'unica reale, quindi come Assoluto (la maiuscola accontenta i religiosi, ma si comprende come, essendo assimilabile ad una condizione, non sia un ente). Questa resa filosofica non è solo per fare teoria, ma viene usata come esercizio per saturare la fame di concetti razionali, così come gli aspetti emotivi vengono saturati dalla religiosità di cui questa filosofia usa i simboli, a sua volta usati nelle ritualità con cui si cerca di saturare gli istinti; tutte saturazioni atte a spezzare i circoli in cui questi aspetti duali (nel caso di razionalità ed emotività) o comunque subordinati ad essi (nel caso dell'istintualità) ci imprigionano nei loro limiti, così da far compiere il "salto" verso l'azione non duale. Accompagnata spontaneamente da una cognizione altrettanto non duale, perché, mancando il nostro usuale fondarci sui due aspetti dicotomici, si attenua anche la dualità azione-percezione.
L'aspetto etico è altrettanto conseguente: non essendoci azione e valutazione duale, non può esserci azione sbagliata, per quanto alcune, nel loro apparire, possano sembrare non adeguate alle idee di certe moralità.
L'insegnamento etico invece non è direttamente necessario per l'azione non duale più di un qualunque altro ausilio razionale, emotivo-sentimentale e rituale. Ha invece particolare importanza per il vivere sociale, per il fatto che non solo noi concepiamo a mala pena l'azione non duale, e non ci fondiamo più sulla "sorella minore" di quest'ultima, l'istinto, incanalato nelle società tradizionali antiche, specialmente orientali, nel rito (non a caso il latino ritus è affine al greco ritmos e al sanscrito rta, ordine - ho fatto anche il dotto, così...), ma non riusciamo neanche ad attuare un serio tentativo di equilibrio, di per sé comunque precario, tra ragione ed emozione, su cui siamo fondati, schizofreneticamente e conflittualmente, oggi.
Il dialogo stesso ha poco senso, di per sé, per far attenuare il conflitto, al massimo è uno degli ausili suddetti, quindi uno strumento che parte dall'ignoranza, non un sintomo di conoscenza (era appunto il citato Socrate che saggiamente sapeva soltanto di non sapere, se non sbaglio): parte da un senso di dualità, come ci ricorda appunto l'etimologia della parola stessa, quindi parte dalla manchevolezza, dalla dipendenza, dalla smania di compensazione. Ha più senso l'esprimersi di un proprio monologo e l'ascolto di quello altrui, da cui far emerge un altrettanto monologo proprio e così via. Parlando, così, non per contrapporsi ma per affinarsi in base a quello che si è sentito. Ma questo è più che altro il risultato di "spiragli" di non dualità, più che il presupposto.
L'unità psicosomatica, tanto del corpo individuale che sociale, è una splendida utopia, che va però calibrata a teorie più terra terra in attesa che l'era del paradiso-nirvana si realizzi (dentro di noi e intorno a noi nell'agognato Tutto). Il modello di riferimento è quello delle funzioni matematiche trascendentali, che puntano impudicamente all'infinito, dalla quali dobbiamo, a malincuore ma anche no, sezionare la parte che ci è utile per far funzionare le nostre applicazioni tecnoscientifiche nella loro area di esistenza che resta assai lontana da quel teorico, virtuale, infinito (succede sempre qualcosa prima che nol consente).
Persino i non-duali hanno dovuto modellarsi sulla coppia dualistica samsara-nirvana per teorizzare la non-dualità.
Ogni presunzione di Tutto decade di fronte alla pluralità delle coscienze individuali nel cui confronto nessuna può pretendere una superiorità epistemica a priori, ma anche si giungesse ad una coerente mente collettiva essa si dovrebbe confrontare dialetticamente con "leggi" naturali che non conoscono l'amnistia e scorciatoie azzeccagarbuglie.
La condizione umana è dialettica a prescindere da tutte le pillole afrodisiache che l'intelletto umano possa escogitare. Mentre le stelle stanno a guardare.
Nei momenti in cui un'azione non duale (intesa nei termini con cui l'ho meramente definita) si attua, non c'è né rammarico, né freddezza, né rassegnazione, né stoica sopportazione, né razionalizzazione, nei confronti delle "stelle che stanno a guardare", né nei confronti di quella pluralità di coscienze scalcianti per cercare una superiorità epistemica in quelle razionalizzazioni teoriche da cui di per sé non c'è uscita, scadendo così nell'abuso delle compensazioni tecnoscientifiche con tutti i danni che esso comporta, come tutti gli abusi; e non c'è neanche soggezione, e quindi neanche bisogno di dialettica, verso le leggi di natura che non acconsentono "scorciatoie e amnistie".
Anche perché, in quei momenti, non c'è neanche modo o necessità di definire o di distinguere questi enti "brutti e cattivi" (che giustamente ci appaiono così, nell'ordinaria condizione in cui siamo presi costantemente da emozioni non diverse da quelle con cui siamo nati, e che abbiamo tutt'al più intessuto con razionalizzazioni e sopportazioni da persona adulta).
In quei momenti "non duali" (rari per chi non vi si dedica abbastanza ma comunque raramente ininfluenti una volta sperimentati, e quasi impossibili da sperimentare per chi li nega a priori e non li affronta come fa un qualunque scienziato obiettivo e non dogmatico di fronte a qualunque teoria non provata), in quei momenti in cui la coscienza semplicemente arretra senza offuscarsi né distaccarsi, chiedergli di avere paura o accettazione sarebbe come andare da un leone che caccia, pieno di sangue non suo e immerso in interiora altrui, e chiedergli se ha comprensione, rimorso o sadismo, oppure sarebbe come andare da una gazzella morsa al collo, ancora viva e sana ma che non esita comunque ad accasciarsi e a non fare più resistenza, e chiedergli se ha stoicismo, rimpianto o masochismo. No, non hanno sentimenti o razionalizzazioni del genere, o comunque non si fanno sopraffare da quel poco che potrebbero avere di essi. A meno che non gli si voglia attribuire quell'antropomorfismo che hanno al massimo, un poco, gli animali domestici.
La non dualità non è niente di trascendentale quindi, ci riescono anche gli animali "selvaggi", la differenza è che loro hanno questo "stato" senza mai aver sufficientemente avuto, e quindi senza mai aver superato, gli strumenti razionali ed emotivi; strumenti attraverso cui noi sperimentiamo quelle condizioni e quelle valutazioni che hai descritto, in modo stilisticamente perfetto tra l'altro. L'altra differenza con la modalità "non duale" animale è che per un essere umano il non dipendere da sentimenti o razionalità non è sinonimo o scusa per cedere agli istinti e alle pulsioni; anzi, queste sono incredibilmente integrate in quei momenti, in un modo che non so spiegare se non come "utili servi del momento" (che solo a posteriori torna ad essere diviso in "te e me", questo e quello", ecc.), invece che "utili servi" della sola sopravvivenza fisica e delle dinamiche intra e iterspecie, come nel caso degli animali, o "utili servi" delle frustrazioni, come nel caso di quegli umani che abbandonano emozioni e ragioni solo per scendere nelle pulsioni (ed è inevitabile prima o poi, se non si cerca altro, perché restare tra emozioni e razionalità ne crea molte, di frustrazioni anche solo inconscie).
È talmente una condizione non "trascendentale", che persino alcune delle religioni meno sentimentalistiche (e per questo forse a volte poco ascoltate o capite dai fedeli, su questo aspetto) hanno compreso la relatività e l'inesattezza della citata modellizzazione duale tra samsara e nirvana; il Mahayana fa quasi un vanto di questa comprensione, nei confronti del (per lo meno apparentemente) più religioso e duale Theravada.
@Aumkaara
Per come la "vedo", fra i dualismi logico-concettuali che danno forma sia all'empirico che alla teoresi, c'è una «via di mezzo», che è perlopiù una via di fond(ament)o, che ha nel vuoto (sunyata) il suo alveo. "Sotto" il linguaggio, sotto la convenzionalità, sotto "i mezzi-abili"(upaya), sotto il chatuskoti, sotto il soggetto che afferma "io" (affermando così l'alterità dell'Altro in quanto non-io), c'è l'assenza (non l'essenza) del "comune vivere", visione della vita che esige tutto ciò che sovrasta tale assenza-vuoto. Pensare il/al comune vivere può significare sospendere/accantonare il pensare tale assenza-vuoto, ma non viceversa (ovvero ciò è dualistico solo se lo si pensa a partire dal pensiero convenzionale, mentre pensando a partire dall'assenza-vuoto, non c'è dualità; come samsara-nirvana suppongo siano dualistici solo guardati dal samsara, ma non viceversa, narrazioni "popolareggianti" a parte).
Cercare di stabilire un ponte fra tale assenza e la necessità pragmatica della convivenza (sociale, culturale, etc.) è il gesto che, "demagogicamente", giustifica l'antico appello alla valenza soteriologica della non-dualità (compromesso teorico eccessivamente sbilanciato verso le esigenze psicologico-mondane). Dopo duemila anni di lento disincanto, oggi è possibile guardare a tale vuoto (dove semplicemente ed essenzialmente, non c'è appunto nulla da "vedere") senza intravvederci il segnaposto della "salvezza" o dell'"illuminazione" o il fondamento di un'etica (che invece è molto più sovrastrutturale di tale vuoto). Data un'occhiata al vuoto di fondo, non resta che, memori di quanto sia (s)fondata la pienezza che ci circonda, tornare a "coltivare il nostro giardino" (come constatava candidamente il noto personaggio di un libro).
Non credo tu abbia detto una sola parola su cui io potrei essere in disaccordo, Phil. Sono riuscito a comprendere anche il modo buddista con cui hai parlato, anche se è un linguaggio che conosco leggermente meno di altri, comunque simili.
Io però sto evitando i termini "specialistici", perché essi "dall'esterno" sembrano frutto solo di costruzioni teoriche, che postulerebbero paradisi artificiali differenti da altri solo per una maggiore sottigliezza intellettuale. Il punto era proprio quello di sottolineare con espressioni "normali" (anche se purtoppo, nel mio caso, non sintetiche) che non si tratta di niente di elevato in senso utopistico (se dei momenti del genere li ha avuti uno qualunque come me, e, pur se saltuari, hanno influenzato la vita spontaneamente, senza più molti sforzi, come non potrebbe fare una costruzione mentale troppo artificiosa, allora vuol dire che sono alla portata di tutti, potenzialmente), né in senso soprannaturale.
Anzi, chi vuole, li veda come un qualunque "prodotto" mentale al pari di altri (se proprio volete vedere la connessione mente-neuroni come se la prima fosse l'escrezione dei secondi). Ma che non per questo debbano essere considerati inattuabili o inutili, come se la visione conflittuale fosse la più universalmente vera (se fosse così, non ci sarebbero equilibri fisici ed ecologici, che invece avvengono persino da soli, anzi, per "aiutarli" quando noi li alterniamo, basta non intromettersi ulteriormente in essi), o come se l'unica alternativa fosse l'istintualità, in cui l'unico modo per non trovarvi stordimento o follia è quello di soffocare (invece di integrare) razionalità ed emozioni in favore di una società rituale arcaica.
Citazione di: Phil il 02 Ottobre 2020, 12:51:33 PM
Pensare il/al comune vivere può significare sospendere/accantonare il pensare tale assenza-vuoto, ma non viceversa (ovvero ciò è dualistico solo se lo si pensa a partire dal pensiero convenzionale, mentre pensando a partire dall'assenza-vuoto, non c'è dualità; come samsara-nirvana suppongo siano dualistici solo guardati dal samsara, ma non viceversa, narrazioni "popolareggianti" a parte)
Suppongo siano dualistici anche visti dalla parte degli illuminati quando li teorizzano. Quando li vivono non fanno storia universale, aldilà dello stato estatico racchiuso nella loro mente. Maieutico certamente come ogni farmaco mentale che si rispetti. Un farmaco più elitario che popolareggiante. Potendoselo permettere.
Viene da chiedere: cosa c'entra la storia con l'universale, o il fatto che essa sia influenzata o meno da ciò che di universale colgono solo alcuni? Si mette in dubbio che uno stato "estatico" possa riflettere l'universale, e sia invece solo un farmaco, un costrutto senza connessioni con altro, però dovremmo aspettarci che sia la storia, la collettività, a cogliere qualcosa di più stabile e integrale? O che comunque niente abbia valore se non è essa a coglierlo? O forse il suggerimento è che ci sia una scissura assoluta sempre e comunque tra ciò che cogliamo (individualmente o collettivamente) e una qualche universalità?
Citazione di: Ipazia il 02 Ottobre 2020, 13:48:48 PM
Suppongo siano dualistici anche visti dalla parte degli illuminati quando li teorizzano. Quando li vivono non fanno storia universale
Il dualismo è infatti teorico, ovvero deriva dalla teorizzazione, non dallo sguardo sul/dal vuoto; nel momento in cui vengono
teorizzati «
samsara» e «
nirvana» si parla il linguaggio
convenzionale (Nagarjuna), che è quello che appunto «sospende/accantona»(autocit.) il punto di vista dal/del vuoto.
Il primo passo per "fare storia universale" è infatti parlare il linguaggio convenzionale-dualistico, quello più diffuso sulla Terra, grazie al quale siamo qui a
parlare e dare un (non?)senso a teorie di tremila anni fa (il che, storicamente, non sarà "universale", ma non è nemmeno insignificante, fosse anche solo per motivi psico-antropologici più che gnoseologici).
Come dire: per me-utente, l'Ipazia-utente è dualisticamente differente da Ipazia-persona, o meglio, da X (vero nome dell'utente Ipazia), ma per Ipazia-persona/X non c'è differenza "ontologica" fra il suo esser-persona e il suo esser-utente, lei è quindi fuori del dualismo Ipazia/X. Quando X sta nel piano
convenzionale del forum, lo fa in quanto Ipazia-utente ma senza scissione dal suo essere Ipazia-persona (non c'è per lei dualismo), invece per gli altri utenti il dualismo delle due Ipazie è un dualismo inevitabile: non sanno nemmeno se "Ipazia" siano in realtà più persone, o un
bot, o la vera Ipazia che scrive dall'al di là (come potrebbe ironizzare Jean...).
Restando in questo parallelismo (parziale, non perfettamente simmetrico al tema, ma spero renda l'idea) l'Ipazia-persona è "illuminata" (circa il suo essere X non-duale), tuttavia quando parla con i non-illuminati usa come «abile mezzo» (espediente funzionale) il dualismo Ipazia-utente/Ipazia-persona (che per lei non sussiste) per spiegare loro che tale dualismo può essere risolto/dissolto, perché convenzionale ma non "reale" (e l'obiettore di turno potrebbe rimproverarle che lei stessa si sta basando su tale dualismo, parlandone... al che lei potrebbe rispondere con questo stesso messaggio).
Ammesso ciò non vedo perché ostinarsi a cercare una realtà assoluta monistica/non-duale o duale quando il primo Pirandello che passa ti dice: e i centomila dove li mettiamo ?
La realtà è, a seconda del contesto, monistica, duale o plurale. Illuminazione é contare correttamente.
Risposta (con domanda) zen: quante realtà c'erano prima che tu o chiunque le contasse?
Se rispondi «una», meriti una bastonata zen; se dici «due», due bastonate zen, etc. se rispondi «nessuna», coma fai a saperlo?
Risposta "convenzionale": il problema dell'assolutezza (o meno) e/o del numero delle realtà è un problema nel/del "samsara" (per come lo intendo da "eretico"), della visione razionalizzata e convenzionale, che ha tutta la sua "sacrosanta" ragion d'essere e la sua utilità pragmatica nel vivere quotidiano e sociale. Tuttavia, per una prospettiva (che, per dirla con il chatuskoti, è: non-duale, non-monistica, né duale e monistica, né non-duale e non-monistica) che non sa contare, il problema dei "centomila" è fittizio tanto quanto quello del contare "correttamente" (ovvero convenzionalmente).
A suo modo è un punto di vista in cui, per così dire, forse c'è solo lo zero (o, riprendendo il traballante parallelismo, c'è solo l'Ipazia-X a prescindere dalle centomila Ipazie che possano proliferare nei vari forum). Certamente, per poter scrivere in un forum, per fare la spesa, etc. questo punto di vista vuoto richiede di essere riempito convenzionalmente; nondimeno, se mi sono espresso almeno un po' chiaramente, ciò non comporta necessariamente dualismo o pluralismo (dipende fino a che punto si resta «memori di quanto sia (s)fondata la pienezza che ci circonda», ovvero, con altro esempio banale, quando gioco a carte non creo necessariamente una seconda realtà dualistica rispetto a quella in cui le carte sono solo pezzetti di cartone colorato e non hanno valore intrinseco, se non, appunto, nel gioco convenzionale; posso giocare anche restando memore della convenzionalità del gioco, che quindi non produce dualismo).
Il Diavolo conta.
Caratteristica del maligno è infatti il contare.
Vive di separazione.
Vive/vivo di una illusione.
Citazione di: Phil il 02 Ottobre 2020, 23:35:50 PM
Risposta (con domanda) zen: quante realtà c'erano prima che tu o chiunque le contasse?
Nessuna (così completiamo la triade pirandelliana). Nessuna, perchè allora non esisteva il concetto di realtà, nato con l'universo antropologico (
En arché en o logos) che la realtà, convenzionalmente, le enumera sulla base dei propri presupposti metafisici, corretti nella misura in cui (Protagora) azzeccano il contesto della loro enumerazione.
Nel contesto delle scienze naturali la realtà è una, dominata da leggi naturali che una metodologia enumerante sofisticata si sforza di scoprire e rappresentare.
Una realtà ineffabile e beffarda, che non si arrende neppure di fronte ai numeri immaginari, ma tant'è: questo è quello che passa il convento physis.
In etica lo sai anche tu quante realtà ci sono 8) E nelle prospettive individuali sono ben più di centomila.
Tra i tanti assoluti farlocchi c'è pure quello dei numeri. La realtà, qualunque cosa essa sia, ha un assetto numerico variabile. Cosa di cui si accorse il venerabile Eraclito, (diabolico) maestro di tutti coloro che vennero dopo di lui. Ipazia compresa. Quella vera - uccisa perchè non voleva chinare la testa di fronte all'Uno - e questa virtuale, che se la passa meglio, dopo che l'Uno è passato a miglior vita.
Citazione di: Ipazia il 03 Ottobre 2020, 11:08:56 AM
Citazione di: Phil il 02 Ottobre 2020, 23:35:50 PM
Risposta (con domanda) zen: quante realtà c'erano prima che tu o chiunque le contasse?
Nessuna (così completiamo la triade pirandelliana). Nessuna, perchè allora non esisteva il concetto di realtà, nato con l'universo antropologico (En arché en o logos) che la realtà, convenzionalmente, le enumera sulla base dei propri presupposti metafisici, corretti nella misura in cui (Protagora) azzeccano il contesto della loro enumerazione.
Se
prima non c'era «nessuna»(cit.) realtà, significa che anche la realtà è nata con l'universo antropologico? La realtà non va forse distinta dal concetto-di-realtà, ovvero non hanno due "esistenze" differenti il concetto e il suo referente? Se è così, la domanda resta, riferendosi essa alla realtà, non al concetto-di-realtà.
Nella riga sotto la mia domanda che hai citato, avevo già anticipato: «se rispondi «nessuna», come fai a saperlo?»; esempio di paradossalità zen che indica quel vuoto di (s)fondo, seppellito da tutte le convenzioni e le necessità del vivere.
Concordo ovviamente sul fatto che
dopo (la domanda era infatti sul «prima») il consolidarsi di convenzioni, più o meno razionali, la realtà si declina al singolare o al plurale a seconda della disciplina che se ne occupa.
Salve. La realtà è sempre preesistita in quanto la sua corretta definizione fisicistica secondo me sarebbe "la concatenazione delle cause con gli effetti" (cioè semplicemente il divenire filosofico).
Se l'essere - sempre come secondo me più volte ribadito - è la condizione per la quale le cause producono i loro effetti (quindi l'essere, come condizione-ponte tra causa ed effetto, sarebbe semplicemente lo "spostarsi" dell'energia), l'insieme causa-effetto (inglobante la dimensione, l'evento concatenante) risulterebbe, congruamente, appunto nella realtà.
Naturalmente la mia visione del concetto di realtà - come sopra brevemente descritto, non implica quindi affatto una necessaria partecipazione antropica (l'esistenza di un soggetto percepente-osservante) perchè sono perfettamente convinto che la realtà preesistente consisteva semplicemente nello svolgersi dei meccanismi naturali in un mondo privo appunto di osservatori. Saluti.
Mi sembra di aver letto che Ipazia era neoplatonica, quindi in qualche modo non era comunque "inchinata all'Uno"? Il problema per chi la uccise era solo il modo (da "pagana") in cui si poneva a questo uno. Ma in ogni caso la stessa matematica di Ipazia era dedita a tale unità fondamentale, e presumibilmente non alla matematica fine a se stessa o usata per spiegare i "fenomeni naturali", visti come meccaniche indipendenti sorrette da leggi fisiche. Leggi che anche oggi... non sono leggi. Per quanto ne so infatti, sono viste come formulazioni nostre per descrivere le regolarità riscontrate. Ma da cosa sono sorrette tali regolarità, come fanno a mantenersi, non ha ancora spiegazione, né forse la scienza ritiene di poter far rientrare una spiegazione del genere nei propri ambiti.
Comunque è interessante come Ipazia (qualla nostra, che preferiamo ☺️ perché ne vediamo la cultura e la compostezza senza doverla ipotizzare da pochi frammenti storici) abbia definito la realtà come "una", ineffabile e beffarda, visto che non si lascia afferrare neanche dal rigore numerico delle scienze. Non so se quel "beffarda" è visto come un problema: non dovrebbe esserlo, perché, in quanto "una", essa è anche noi; e quindi, non può che essere una beffa, il volersi cogliere artificiosamente con misurazioni, calcoli e conti (o con qualunque altro strumento, anche opposto, come le emozioni); è sempre una beffa, cercare di cogliere se stessi, sarebbe come volersi alzare da terra afferrandosi per il proprio collo.
Citazione di: Phil il 03 Ottobre 2020, 11:47:39 AM
Se prima non c'era «nessuna»(cit.) realtà, significa che anche la realtà è nata con l'universo antropologico? La realtà non va forse distinta dal concetto-di-realtà, ovvero non hanno due "esistenze" differenti il concetto e il suo referente? Se è così, la domanda resta, riferendosi essa alla realtà, non al concetto-di-realtà.
Nella riga sotto la mia domanda che hai citato, avevo già anticipato: «se rispondi «nessuna», come fai a saperlo?»; esempio di paradossalità zen che indica quel vuoto di (s)fondo, seppellito da tutte le convenzioni e le necessità del vivere.
Concordo ovviamente sul fatto che dopo (la domanda era infatti sul «prima») il consolidarsi di convenzioni, più o meno razionali, la realtà si declina al singolare o al plurale a seconda della disciplina che se ne occupa.
Se usciamo dal concetto non resta che una realtà postulata, subdolamente noumenica: la toppa che è peggio del buco. Dovrà mica la relativista debole Ipazia dare lezione di relatività ad un relativista forte del tuo calibro :P
Rispondendo pure a viator, perfino la scienza, monistica per definizione, comincia ad interrogarsi sui soggetti della realtà e, ad onor del vero, non ha mai smesso di farlo cambiando continuamente i suoi parametri fondamentali fin dagli atomi di Democrito. Da Heisenberg in poi anche la relazione causa-effetto è entrata in crisi e le
singolarità hanno popolato le aree epistemiche di deludente indeterminazione. Non resta, alla
T.Kuhn, che rassegnarsi ad accettare le migliori convenzioni possibili per dire
che cosa è la realtà. Più facile intervenire sul suo funzionamento, per la qual cosa è sufficiente il dna e una rudimentale esperienza empirica. Riconoscere il funzionamento della realtà è una implicita ammissione della sua natura ontologica, un atto di fede sulla sua riproducibilità futura, ma, come raccomanda Hume, evitando la maleducazione di metterci sopra il cappello, perchè potrebbe aversene a male e ricambiare il gesto con qualche cigno nero assai bellicoso.
Giustificando la risposta "nessuna" (avevo colto l'assist di Phil ma volevo
allungare il brodo, approfondire il dibattito), dalle nostre osservazioni risulta plausibile una realtà indipendentemente dalla presenza dell'osservatore. Ma, metafisicamente, è un gatto che si morde la coda. Invece, fisicamente, è la migliore ipotesi possibile e pertanto, concordo, teniamocela stretta, inseguendo, come instancabili segugi, il filo di Arianna della causalità. Verificata nei fatti, non nelle definizioni, in modo da poter rilanciare in avanti la palla della provvisoria conoscenza.
Citazione di: Aumkaara il 03 Ottobre 2020, 14:29:28 PM
Mi sembra di aver letto che Ipazia era neoplatonica, quindi in qualche modo non era comunque "inchinata all'Uno"? Il problema per chi la uccise era solo il modo (da "pagana") in cui si poneva a questo uno. Ma in ogni caso la stessa matematica di Ipazia era dedita a tale unità fondamentale, e presumibilmente non alla matematica fine a se stessa o usata per spiegare i "fenomeni naturali", visti come meccaniche indipendenti sorrette da leggi fisiche.
La differenza tra l'Uno neoplatonico e l'Uno cristiano è etica, non metafisica (laddove il secondo deve molto al primo). E' la differenza tra la tradizione ellenica del libero pensiero vigente da Socrate in poi e quella dogmatica dell'integralismo religioso cristiano, inaccettabile per una intellettuale di scuola ellenistica.
Citazione di: Ipazia il 03 Ottobre 2020, 14:33:48 PM
Se usciamo dal concetto non resta che una realtà postulata, subdolamente noumenica: la toppa che è peggio del buco.
Se usciamo dal concetto per andare ancor più "avanti" nell'analisi convenzional-razionale, dove la ragione si solleva dal reale e si fa postulante (come da topic), allora rischiamo di incappare nei miraggi del noumeno, delle idee platoniche, etc., tuttavia, se invece usciamo dai concetti per andare in un'altra direzione, non-convenzionale e, soprattutto, non postulante (v. il rifiuto della razionalizzazione indicato-ma-non-detto dai
koan zen, come quello famoso del suono dell'albero che cade con nessuno che lo ascolta, indegnamente parodiato da me), allora abbiamo un "illuminante" antidoto proprio alla postulazione e ai noumeni, sotto forma di esperienza/intuizione della non-dualità di (s)fondo. Prospettiva di cui il (mio) relativismo è appunto un "promemoria
convenzionale", e che, importante ribadirlo, va accantonata dietro le quinte quando si tratta di fare la spesa o scrivere su un forum, quindi ancor più quando si fa scienza.
Citazione di: Phil il 03 Ottobre 2020, 16:12:07 PMSe usciamo dal concetto per andare ancor più "avanti" nell'analisi convenzional-razionale, dove la ragione si solleva dal reale e si fa postulante (come da topic), allora rischiamo di incappare nei miraggi del noumeno, delle idee platoniche, etc., tuttavia, se invece usciamo dai concetti per andare in un'altra direzione, non-convenzionale e, soprattutto, non postulante (v. il rifiuto della razionalizzazione indicato-ma-non-detto dai koan zen, come quello famoso del suono dell'albero che cade con nessuno che lo ascolta, indegnamente parodiato da me), allora abbiamo un "illuminante" antidoto proprio alla postulazione e ai noumeni, sotto forma di esperienza/intuizione della non-dualità di (s)fondo. Prospettiva di cui il (mio) relativismo è appunto un "promemoria convenzionale", e che, importante ribadirlo, va accantonata dietro le quinte quando si tratta di fare la spesa o scrivere su un forum, quindi ancor più quando si fa scienza.
Promemoria convenzionale è pure la tecnica meditativa che usa espedienti come i koan zen per isolarci dal rumore di fondo del samsara e avvicinarci alla condizione estatica della dissoluzione del proprio io nella "chiara luce del vuoto" nirvanico.
Convenzione, perchè il tutto accade all'interno della mia, non della tua, volta cranica. Così come sei tu, non io, a fare la spesa e scrivere su un forum.
La scienza fa bene ad istituire un
Universo non duale di (s)fondo come referente di tutto ciò, ma è un referente con livelli di postulazione ben superiori a quelli degli enti della prassi quotidiana, tant'è che deve postulare oggetti particolari correlati da formule per agire la sua rappresentazione.
Se dovessimo limitarci all'immediatezza percettiva, propria degli animali chiamati in causa da Aumkaara, dovremmo piuttosto parlare di una
pluralità di (s)fondo che solo la nostra elaborazione razionale riconduce ad un pseudoreferente universale. Il quale funziona benissimo nella costituzione della realtà propria dell'universo antropologico e del suo strumentario epistemico che chiamiamo scienza. La quale non si fissa in cabale metafisiche ma, realisticamente, gestisce la relazione uno-molti e circoscrive insiemisticamente i molti contesti della realtà su cui soltanto può agire con
rigore scientifico unitario (di misura).
Il che può anche essere interpretato come fanatismo dai postulanti dell'assoluto, ma i demonizzatori sono poi i primi a dovercisi inchinare nel momento in cui il loro stomaco individuale, e non quello di altri, e neppure lo stomaco dell'Uno, reclama la sua parte del Tutto.
Più esplicativo nel contesto antropologico mi pare l'elaborazione marxiana di un
monismo dialettico postulante un
Universo in cui i molti si interfacciano dialetticamente ciascuno pro
domo vita sua, superabile
sinteticamente attraverso soluzioni di tipo contrattualistico piuttosto che, secondo ferinità naturale, antagonistico. Il tutto assai lontano da una metafisica dell'assoluto e da un'idea,
tutta da dimostrare, di uno Spirito universale, di un'anima mundi. Bellissima metafora orientale-occidentale che metafora rimane.
Citazionedovremmo piuttosto parlare di una pluralità di (s)fondo
Come può una pluralità fare da sfondo? Può esserci una pluralità IN uno sfondo, ma lo sfondo è lo "spazio" che per sua natura non è divisibile se non a parole.
Persino da un punto di vista fisico, quelle scienze che ipotizzano "granuli di spazio", devono farlo immaginando anche solo implicitamente uno sfondo in cui sono contenuti tali granuli, un "iperspazio" in cui i granuli sono un "momento" di esso che danno l'apparenza dello spazio. Ma la scienza, quando rinuncia ad un qualunque "oltre" e assolutizza ciò che indaga (che per sua natura però è un qualcosa che appare e scompare), è costretta a farlo emergere da un nulla, cadendo così in un involontario creazionismo.
Al massimo si può ipotizzare che la suddetta pluralità NELLO sfondo sia assolutamente (non si esce comunque dal presupporre un qualche assoluto, lo si dichiari o meno...) distinta da esso: ma avremmo così una serie di atomi di Democrito. Ha senso? Pezzetti di qualcosa (non importa se concepiti come fisici o meno) in uno spazio di per sé inqualificabile se non come estensione. Venuti ad esserci come? Dal nulla, creazionisticamente? Oppure sono un fatto bruto da accettare "perché è così"? Da non indagare oltre solo perché dobbiamo (?) limitarci alla scienza che deve per sua natura fermarsi ad indagare su COME si muovono e interagiscono?
Citazione di: Aumkaara il 04 Ottobre 2020, 10:52:11 AM
Citazionedovremmo piuttosto parlare di una pluralità di (s)fondo
Come può una pluralità fare da sfondo?
Sfondando la metafisica dello sfondo.
CitazionePuò esserci una pluralità IN uno sfondo, ma lo sfondo è lo "spazio" che per sua natura non è divisibile se non a parole.
Persino da un punto di vista fisico, quelle scienze che ipotizzano "granuli di spazio", devono farlo immaginando anche solo implicitamente uno sfondo in cui sono contenuti tali granuli, un "iperspazio" in cui i granuli sono un "momento" di esso che danno l'apparenza dello spazio. Ma la scienza, quando rinuncia ad un qualunque "oltre" e assolutizza ciò che indaga (che per sua natura però è un qualcosa che appare e scompare), è costretta a farlo emergere da un nulla, cadendo così in un involontario creazionismo.
Lo spazio è un luogo geometrico platonico, la pluralità degli enti è una dato di fatto esperibile. La scienza, parafrasando Socrate, è sapere di sapere quello che si sa e sapere di non sapere quello che non si sa. Il nulla da cui emergono
ta onta è il luogo della nostra ignoranza, non della loro creazione.
CitazioneAl massimo si può ipotizzare che la suddetta pluralità NELLO sfondo sia assolutamente (non si esce comunque dal presupporre un qualche assoluto, lo si dichiari o meno...) distinta da esso: ma avremmo così una serie di atomi di Democrito. Ha senso? Pezzetti di qualcosa (non importa se concepiti come fisici o meno) in uno spazio di per sé inqualificabile se non come estensione. Venuti ad esserci come? Dal nulla, creazionisticamente? Oppure sono un fatto bruto da accettare "perché è così"? Da non indagare oltre solo perché dobbiamo (?) limitarci alla scienza che deve per sua natura fermarsi ad indagare su COME si muovono e interagiscono?
Concordo che Democrito si stia prendendo delle belle soddisfazioni nella ricerca fisica fondamentale a distanza di due millenni e mezzo. Se qualche mago riesce a
dimostrare cosmogonie più credibili di quelle scientifiche accreditate si faccia avanti. Nella scienza c'è posto per tutte le idee e non vale il principio di auctoritas. Vale solo la dimostrazione. E dove non vi è, come insegnano i latini, ci si mette un bel: hic sunt leones. Fino a quando qualche esploratore non ne disegnerà la mappa. Oggetto assai poco metafisico.
.
Citazione di: Ipazia il 04 Ottobre 2020, 10:02:33 AM
Promemoria convenzionale è pure la tecnica meditativa che usa espedienti come i koan zen per isolarci dal rumore di fondo del samsara e avvicinarci alla condizione estatica della dissoluzione del proprio io nella "chiara luce del vuoto" nirvanico.
I koan o la meditazione sono promemoria convenzionali quando se ne parla, non quando li si pratica (come per ogni pratica, il vissuto del praticante è differente dalla narrazione del praticante riguardo suo vissuto; ciò vale anche per un giro in bici o una corsetta). Eviterei il riferimento all'estasi, sia per la sua deformazione culturale in occidente (si rischia di scivolare sul "piano inclinato" verso santità, anima mundi, Spirito Universale e altri non pertinenti dintorni), sia perché più che uno star-fuori (ek-stasi), si tratta semplicemente di uno stare, ovvero essere incentrati nel proprio centro vuoto; dimenticando per un attimo il proprio io ci si può ricordare della vacuità di (s)fondo (quindi senza proiezioni, ascesi o simili, ma, attenzione, nemmeno riducendosi alla vita attiva di un animale puramente istintivo, condizione che il nostro cervello biologico ci pre-clude, aprendo invece lo spazio della suddetta intuizione del vuoto di (s)fondo).
Nel (mio?) zen non c'è (popolarizzazioni a parte) postulazione, non c'è trascendenza, non c'è, consentimelo, meta-fisica; e non c'è nemmeno scienza, perché abbiamo detto che si tratta di una consapevolezza che non vuole avversare o falsificare la conoscenza razionale e convenzionale, ma solo essere un "introverso" promemoria del vuoto aconcettuale su cui la scienza, egregiamente, si (s)fonda dando tangibili lezioni, risolvendo problemi e costruendo meraviglie. In (s)fondo lo zen indica una consapevolezza che non serve (nonostante la sua versione clerical-popolare sia stata impacchettata con luminosa, e talvolta numinosa, soteriologia; non di sola consapevolezza vive il meditante...). Infatti, la differenza di tale prospettiva rispetto al fare la spesa e lo scrivere sul forum è evidentemente, come detto, che tale vuoto è chiamato a riempirsi di contenuti convenzionali per poter comunicare con il cassiere o per interagire con altri presunti utenti (mentre l'Altro viene meno nel non-dualismo, venendo meno l'Io solido e razionalizzato).
Citazione di: Ipazia il 04 Ottobre 2020, 10:02:33 AM
La scienza fa bene ad istituire un Universo non duale di (s)fondo come referente di tutto ciò, ma è un referente con livelli di postulazione ben superiori a quelli degli enti della prassi quotidiana, tant'è che deve postulare oggetti particolari correlati da formule per agire la sua rappresentazione.
La scienza, dimensione convenzionale e razionale per eccellenza, più che «istituire un Universo non duale di (s)fondo»(cit.) può,
come osservi, postularlo (v. topic), più meta-fisicamente e
convenzionalmente di qualunque "sbirciata zen" sul mondo (che è non metafisica, non meta-fisica e non convenzionale).
La scienza concepisce solo il
fondo, da scavare con analitica
arché-ologia alla ricerca di principi e leggi universali. Non a caso, la scienza "vede" lo
sfondo inteso come superficie-di-fondo, ma non può intravvedere lo
(s)fondo inteso come sfondare (ovvero il contrario del mero essere-sullo-sfondo), se non in ciò che essa rifugge: il regresso all'infinito e le impudenze di Zenone (suo malgrado più simili,
tartaruga a parte, a
koan che a "provocazioni gnoseologiche").
Restiamo certamente concordi sul fatto che la scienza, proprio guardando
si dallo (s)fondo per andare invece al "fondo" della materia e del suo funzionamento, sia ben più utile alla vita quotidiana dell'intera specie, rispetto ad un vuoto spiraglio di consapevolezza zen, che non sazia, non cura, non dà riparo, etc. dunque, parafrasando un'espressione che hai usato in precedenza: mettere una toppa è più utile ed urgente che guardare nel (vuoto del) buco.
In questa era di Facebook, mi mancavano le suddivisioni in vari "quote" di uno stesso post, proprie dei forum.
Ma non "cado nel tranello", che è proprio quello della scienza, di dividere per capire (fin qui va bene, nel proprio ambito va benissimo) ma estrapolando da ciò anche una conclusione universale, nel suo caso che "tutto è realmente diviso", non rendendosi conto che la visione plurale era solo un passo artificiale utile per i propri propositi, e proponendo così comunque una sintesi (gli è inevitabile sintetizzare in qualche modo, la mente stessa ha entrambe le possibilità, dividere e sintetizzare, nessuna delle quali si lascia silenziare a lungo, al massimo ripiega nell'inconscio - o nel "meno conscio", se si preferisce, in ogni caso nella disattenzione, nel rifiuto, nello sminuimento, nell'apparente rimosso - e da lì influenza le direzioni e le conclusioni dei pensieri consci, che però saranno così sottilmente paradossali).
In realtà questa sintesi incongruente non è della scienza in sé, ma dei... postulanti della Divisibilità.
Quindi, rimettendo insieme le risposte: sfondiamo la metafisica dello sfondo, per avere comunque uno sfondo, solo che è uno sfondo paradossale e incongruente (una "pluralità che fa da sfondo", da contenitore), che deriva da una divisione fatta per produrre certi vantaggi pratici, ma che non può cogliere la natura di ciò che indaga. Tale natura è infatti inconoscibile, è ignoranza.
Ma lo stiamo dicendo tutti, qua dentro! Non è proprio l'ignoranza ad essere indivisa, una, ineffabile? Ci possiamo mettere la maiuscola, Ignoranza, come la mettiamo quando la chiamiamo Assoluto, non per idolatrarla (beh, non nel caso mio, che non idolatrizzo più di tanto l'ignoranza, se non quel che serve per metterla "al suo giusto posto di sfondo immutabile", dopodiché vivo volentieri e quindi un po' idolatrizzo la pluralità senza però crederla padrona... assoluta), ma per ricordarci che essa non è solo un concetto, non è solo uno stato momentaneo che la conoscenza, cioè la divisione artificiale fatta per avere un orientamento (artificiale anch'esso ma comunque variamente inevitabile) potrà un giorno sfondare per porsi come sfondo essa stessa. L'ignoranza non può essere toccata dalle divisioni conoscibili fatte modellando forme con la sua "sostanza". L'ignoranza è lo sfondo. Accettato pienamente (da qui la maiuscola da "postulanti") non si cade più nell'idolatrare (anzi assolutizzare! Pur riconoscendola relativa!) la divisibilità. Con cui si pone l'incongruenza che proponi: l'ignoranza sarebbe lo sfondo da cui emerge tutto, ma lo sfondo sarebbe anche la pluralità.
PS: Democrito è stato smentito con quella fisica grazie alla quale abbiamo il cellulare con cui stiamo presumibilmente tutti scrivendo. Le "sferette indivisibili in uno spazio indeterminabile se non come estensione" sono utili per calcolare la traiettoria di un pallone e il moto dell'aria che sposta, ma nulla più (ehi, a meno che non si torni ad una fisica fondamentale dei fluidi, l'eterica! 😊 Allora si possono usare le formule di Newton anche per la "sostanza indeterminabile" da cui si forma tutto, e Newton in fondo è democritiano: ma ne risulterebbe comunque uno sfondo unitario in cui gli oggetti che vi appaiono sono conformazioni solo apparentemente divise. Proprio come i corpuscolo-onde per i campi della quantistica, che però hanno così relegato Newton ad un altro ambito fisico, non riuscendo più a sintetizzare neanche le varie "fisiche", tra cui quella di Einstein, e ritrovandosi così un universo con punti di incongruenza, con equazioni dal risultato infinito, ecc.
In ogni caso, nella fisica moderna niente Democrito, sullo sfondo. Ma questo è solo un post scriptum rafforzativo, non certo una conclusione sulla fisica).
La scienza è fondata sulla fede nella Verità.
Il che significa accettazione di non possedere la Verità e allo stesso tempo fiducia in essa.
Solo questa rinuncia al possesso dell'assolutamente vero, congiuntamente allo slancio di fede, ha permesso lo sviluppo scientifico.
Libero dai legacci, di una pretesa verità conosciuta una volta per sempre, l'uomo ha iniziato a inoltrarsi nel mondo.
Motivato da che?
Dalla propria fede nella Verità!
Ogni autentico scienziato deve perciò rifuggire la pretesa di conoscere il Vero e, allo stesso tempo, deve aver fede nella Verità.
Occorre pertanto che abbia sempre presente i limiti che la sua ricerca inevitabilmente incontra. Consapevole che questi limiti potranno in qualsiasi momento rimettere in discussione ogni conoscenza acquisita!
L'autentico scienziato dovrà perciò evitare di sistematizzare il mondo, in particolare laddove il non sapere lo richiede.
Al giorno d'oggi pare che la serietà sia spesso considerata un inutile orpello.
E così si finisce con il considerare "scienziati" dei semplici divulgatori.
Mari pure ottimi divulgatori, ma non certo degli scienziati.
Un esempio può essere Carlo Rovelli. Buon divulgatore, che ha il merito di avvicinare alla fisica chi ne è stato sempre lontano.
Solo divulgatore però.
Può essere considerato scienziato un convinto democriteo? Ora che il concetto stesso di particella è diventato un mistero?
Uno che relativamente alla teoria del Big bang si chiede cosa c'era prima, può essere uno scienziato?
Visto che questa teoria prevede la nascita del tempo?
Eppure questa è la situazione. Divulgatori, mentre gli autentici scienziati tacciono. Forse per non essere derisi dalla plebe...
Non si può pretendere che un greco di 2500 anni fa risolvesse tutte le questioni della fisica moderna ma la sua intuizione corpuscolare sta investendo tutti i parametri della realtà (fisica) compresi insospettabili quali lo spazio e il tempo laddove la costante di Plank diviene la nuova protagorica unità di misura di tutte le cose, corpuscolarmente intese.
L'ignoranza, come insegna Socrate, è stimolo alla conoscenza e per quanto siano pessimi i risultati dell'educazione scolastica un'ignoranza assoluta è difficile da trovare. Da Socrate a Newton a Wittgenstein è lezione epistemologica ed etica non fingere ipotesi spacciandole per sapere. Ma quello che si sa, si sa, senza fondamentalismo alcuno o sfondi autoritari.
Se per quote intendi lo spacchettamento dei post rispondendo punto per punto trovo che sia una ottima trovata colloquiale, rispettosa del filo logico seguito dall'interlocutore e non ci trovo nulla di "postulante della Divisibilità". (mi sono astenuta dallo spacchettare - che è sempre una complicazione in più - ed ho seguito il criterio del
canone inverso il quale mi auguro non sottenda altre sintetiche diavolerie). Solo mi sia permesso questo quote:
Citazionel'ignoranza sarebbe lo sfondo da cui emerge tutto, ma lo sfondo sarebbe anche la pluralità.
L'ignoranza è lo sfondo epistemico, la pluralità è lo sfondo ontologico, già diviso di suo senza alcuna postulazione o feticismo. Semmai si pone il problema della sintesi. Qui sì si corrono i rischi di superfetazione idolatrica e le grandi sintesi Assolute ne hanno un repertorio sterminato.
Sulla diatriba
scienza sì-scienza no lascio che se la vedano veda e zen. Sicuramente il dibattito sarà più interessante che quello trito sulla fede tra abramiti e atei. Poi dirò la mia se avrò qualcosa da dire.
Ringrazio phil per l'approfondimento fornito sulla sfondante
visione-nonvisione del mondo zen.
Riguardo alla nascita del tempo essa riguarda questo universo del quale abbiamo pure calcolato il tempo zero. Ma quel tempo zero potrebbe essere stato sputato fuori da un buco nero in un "tempo" diverso da quello di questo universo. Chi mai potrebbe escludere ciò o ipotesi ancora più impensabili ? Riguardo alla singolarità della nascita dell'universo penso che nessuno abbia la verità in tasca e i
credits di Carlo Rovelli sono eloquenti del suo status di ricercatore.
Chiedersi cosa c'era prima della nascita del tempo, vuol dire cercare di creare un nuova metafisica!
Ipotizzare cioè un esserci superiore che includa questo nostro esserci.
Questo avviene per l'incapacità di riconoscere il limite.
Un riconoscimento che causa disagio. Perché si perde il sostegno che dona implicitamente questo nostro esserci mondano. E allora ce se ne inventa un altro per auto rassicurarci.
Un po' come l'al di là per i credenti.
Ma poiché l'unica metafisica può essere solo metafisica del Nulla, questi tentativi, che altro non sono che fughe nell'immaginario, non sono che cattiva scienza e pessima filosofia.
Lo stesso vale per il bisogno di una concretezza corpuscolare.
Troppo impegnativo accettare la possibilità del Nulla...
I quote sono fantastici, ho solo un po' perso l'abitudine. Così come è stato fantastico Democrito, per quanto, tra i greci, preferisco (senza idolatrare) un Parmenide. Direi che è ovvio che anche le intuizioni di Democrito sono ben adattabili ad una qualche teoria o risultato sperimentale: il concetto di discreto, come quello di continuo, sorgono inevitabilmente in ogni ambito di pensiero, variamente applicabili ad ogni ambito di ricerca, perché ogni ambito presenta sia caratteristiche discrete che continue (senza fine: prima o poi sfonderanno in qualche modo "l'assoluta piccolezza di Plank", e poi troveranno un nuovo "ultimo pezzetto", e così via, anche se in modalità e concettualità molto diverse tra loro).
Il punto è che, se non si vuole cadere in assurdità della logica (che la letteratura Vedica continuamente si adopera per confutare, mentre quella zen le sfrutta, ma questa è solo una questione di metodo), con tutti i sentimentalismi o le preferenze poco equilibrate che comportano, questa dualità di discreto e continuo (caso particolare della dualità in generale) va ordinata: il discreto è davvero ontologico? Se lo fosse, l'esistenza sarebbe essenzialmente frammentata, quindi qualunque pretesa di conoscenza non potrebbe mantenersi neanche in un individuo, figuriamoci collettivamente, e la stessa universalità, di cui vediamo le regolarità naturalistiche, non potrebbe ragionevolmente mantenersi per più di un istante, già per due istanti sarebbe un miracolo, anzi, la stessa possibilità di mantenere una suddivisione conoscitiva che riconosce degli "istanti" sarebbe un miracolo. È il motivo per cui sorgono le fedi: in un universo intelligente e con una propria volontà, o in un controllore esterno altrettanto intelligente e con una altrettanta volontà precisa.
Chi ha abbastanza intuito da non dare troppo credito a queste ipotesi, che personalizzano l'universo o pongono una persona come suo controllore, dovrebbero anche intuire che rimane il problema di come fa l'universo, nella sua impersonalità, a mantenere una QUALUNQUE regolarità. Il problema è passato inosservato quando si è cominciato con una scienza che presupponeva comunque un Dio, per cui non era un problema che ci fossero leggi applicate alla natura, e si è passati ad un ateismo senza rendersi conto che a quel punto non era sufficiente definire tali leggi come "formulazione linguistica, spesso matematica, per descrivere le regolarità riscontrate": ci siamo dimenticati di spiegare come si mantenessero tali regolarità, senza più una volontà esterna, a meno che non si cadesse in un panteismo, che comunque personalizza e divinizza al pari di prima.
L'unico modo con cui è possibile che delle regolarità si mantengano senza ricadere nei suddetti fideismi è comprendere che la soluzione sta nell'invertire la dualità di cui parlavamo: il discreto, cioè la conoscenza, è epistemico, soggettivo, utile ma fittizio (per quanto momentaneamente condivisibile in certi ambiti: scientifici, che in fondo è la condivisione di un metodo, sociali, che in fondo è la condivisione di un'etica, ecc.): il che implica che non c'è nessun elemento davvero disgiunto da un altro che quindi abbisogna di regolarità per avere una qualunque interazione efficace, sensata... e continua.
Ad essere ontologico è il continuo, l'ignoranza, l'inconiscibile, l'ineffabile, l'indivisibile e l'intramontabile: niente infatti scalfisce ciò che non possiamo sapere: come possiamo dire che l'ignoranza è diminuita grazie ad una qualche nostra nuova conoscenza, se è la stessa ignoranza a non permetterci di dire se ha un confine?
Se quindi l'esistenza è intrinsecamente continua, anche se può apparire discreta, essa non ha bisogno di controllori esterni, o di una coscienza interna: è una unità che rimane sempre tale, le suddivisioni sono "solo" modi di conformarsi, che niente possono determinare, creare, dividere o distruggere, se non a parole, se non da punti di vista limitati e quindi incapaci di mettere una parola definitiva su come stanno le cose, su come è l'ontologia: hanno solo l'episteme per stabilire qualcosa, hanno cioè solo la propria soggettiva conformazione, momentanea ma non impossibile da mantenere per un po' su di uno sfondo continuo.
Non c'è niente di fideistico nell'attribuire quei non-nomi altisonanti (in-effabile, in-tramontabile, ecc.) all'inconoscibile ontologica ignoranza, è semplicemente inevitabile che l'ignoranza non si lasci veramente diminuire con un qualunque nostro atto. Né è una valutazione pessimista, quella di invertire l'attribuzione di ontologico ed epistemico all'ignoranza e alla conoscenza, perché in ogni caso non perderemo comunque mai l'episteme della conoscenza, per quanto fittizia: come ogni dualità o meglio polarità, anche in quella tra conoscenza ed ignoranza c'è inscindibilità.
PS: angolino di psicologia da strapazzo molto molto arrogante ed antipatica:
è evidente che alla fine sono io quello che ha rinunciato all'assoluto? Quando infatti dico che esso è l'ignoranza, vuol dire che "non ho speranza": non posso indicare qualcosa e dire "questa è ignoranza" (al massimo, di qualcosa, come questi miei post, posso dire che è sbagliato, inappropriato, incompleto, ecc.).
Mentre sei tu che lo cerchi, magari nell'insondabilità ribollente del segmento di Plank? In fondo è il discreto che cerca il punto fermo, la costante, l'invariante.
Prego di ignorare totalmente questo post scriptum, più che antipatico è odioso, nel voler valutare i comportamenti consci ed inconsci, di entrambi. 🤫
Salve Aumkaara. Il continuo è l'onda elettromagnetica (il flusso), il discreto la materia (le particelle). Saluti.
Appunto. La scienza ha sfondato il discreto degli "oggetti macroscopici" separati e il continuo dello spazio indefinito ed indipendente, per trovare un nuovo ambito in cui si ripresenta di nuovo la dualità discreto-continuo.
È solo uno degli indefiniti esempi, scientifici o meno.
Carissimo Aumkaara non puoi fare tutta una pippa inverecondamente duale su discreto e continuo, appiopparla ai tuoi avversari, e pensare di aver cosí chiuso la partita con la vittoria del non duale.
La scienza non si fa di questa pippe patametafisiche, ma valuta i fenomeni per quello che essi mostrano. Il fiume é, Giove pluvio permettendo, continuo, il salto di roccia di una gola é discreto. Natura facit ut non facit saltus. In barba alle nostre gabbie metafisiche che la vogliono strattonare dalla loro parte.
La "Pippa" (il correttore automatico me la mette maiuscola... sarà il suo Assoluto preferito?) sulla dualità te l'ho "appioppata" perché te avevi dichiarato (alla fine faccio un quote anche io):Citazione L'ignoranza è lo sfondo epistemico, la pluralità è lo sfondo ontologico
Dando tu statuto ontologico alla pluralità, ho dovuto mostrare come questa non fornisca mai una conoscenza stabile. Qualcosa di instabile può essere utile, ma di sicuro non è ontologico. E se mi avessi "ontologizzato" l'ignoranza, avrei fatto il discorso opposto, per mostrare come non si può assolutizzare neanche quella, non se la si definisce in qualche modo, con concetti "positivamente" qualificanti.
Dimostrazione di "ipoontologia" di una qualunque delle due polarità in esame, prendendo un esempio che hai fatto: il fiume appare continuo ma a guardarlo meglio è fatto di "qualcosa" con proprietà interagenti ("chimiche") precise, che lo rende quindi costituito di parti discrete. Guardando ancora meglio, queste parti discrete si comportano anche in modo continuo, da qui tutte le teorie dei campi (o, per quelli più buontemponi, dei fluidi eterici), che mostrano come le parti precedentemente considerate discrete potrebbero essere in realtà delle semplici conformazioni momentanee del campo, quindi di un continuo. Non contenti per tutta una serie di incongruenze in certi ambiti, si ipotizzano discreti filiformi, non più piccoli di una ipotetica misura limite. È così in ogni ambito, non finisce mai: finché credi che l'esistenza sia davvero divisa in una dualità, o polarità che dir si voglia, i suoi poli si alternano, e a quel punto se ti fermi o comunque consideri più vero uno solo dei due, è solo per il momento, perché non si sa ancora guardare oltre o per pregiudizio (concettuale o "sentimentale"). È vero, la scienza non si pone il problema del fatto che non c'è fine a questa altalena, non è il suo compito, non ne è neanche capace, funziona solo come ariete per sfondare (leggasi "guardare meglio", più nitidamente) i discreti che si riveleranno continui che si riveleranno discreti che si riveleranno dei continui.
Non è adatta per "tirare delle somme" ontologiche.
Salve Aumkaara. La Pippa era un personaggio fumettistico nostrano (Mi sembra di Staino su "l'Unità"). A proposito di personaggi, va benissimo lo stile colloquiale, informale, botta-e-risposta. Ma dal testo dei tuoi interventi non si capisce mai (non sei certo il solo a coltivare tale "approccio") a chi stai replicando o magari talvolta neppure se stai replicando o solmente esternando (c'è una coppia di miei amici che approfitto per salutare caramente : lei si chiama Ester e lui Nando).
Ciò costringe talvola il lettore estraneo ai tuoi personali "dialoghi bipolari" a correr su tra gli interventi precedenti per per poterli "cucire" tra di loro e quindi ricostruirne l'andamento. Aspetto questo che secondo me nuoce ad una dialettica immediatamente condivisibile da ciascuno di noi.
Comunque, vedendo te ed Ipazia assai infervorati attorno ai deliziosi particolari di questo argomento, io rifletto : "Guarda tu a cosa porta l'amore per la dialettica (il quale certo coinvolge anche me in numerose - anche se meno autorevoli - circostanze) !!. Ma non basta conoscere il principio di indeterminazione per comprendere la inutilità (sempre interessante, però) di certe trattazioni ?. Salutoni.
@Aumkaara
Infervoratamente proseguo. Che l'ignoranza appartenga allo spettro semantico dell'episteme mi pare evidente, così come che la pluralità sia una evidenza ontologica a cui si interessa la scienza. Se Aum diventa positivo la cosa riguarda la sua salute e non la mia.
L'ignoranza non è l'archè metafisicamente reificata di nulla (o Nulla), ma solo uno stato epistemico negativo che si supera man mano che le cose si vengono a sapere. E così via. Questo è il metodo scientifico basato sull'evidenza.
Aumentando le strumentazioni d'indagine aumenta anche la risoluzione del reale: enti che sembravano singolari ("non duali") si scoprono formati da una pluralità di altri enti più piccoli. Una materia apparentemente omogenea (continua) si rivela discontinua ed eterogenea. In tale processo conoscitivo non c'è nulla di metafisico, ma avviene tutto per via fisico-chimica-biologica.
Anche la definizione di continuo e discreto è contestuale (e non convenzionale) al fenomeno considerato. Lo scambio di calore è considerato un processo continuo nella termodinamica classica, mentre a livello molecolare si considerano le interazioni tra parti discrete. Qual'è il problema ? Entrambe le metodologie funzionano nel contesto applicativo che è loro proprio.
E' proprio per questa pluralità di prospettive fenomenologiche che la scienza, pur possedendo i maggiori crediti in campo ontologico, non ci fa sopra castelli di fumo noumenico e crociate come spesso accade metafisicizzando il tutto e tirando "somme ontologiche" su cui mi taccio per carità di forum e netichetta.
Viator: capisco la difficoltà che hai sottolineato. Perché me l'hai spiegata, non perché la sperimento (neanche con chi la fa a me): non ho bisogno di correre qua e là per la risposta che mi è stata data, per rintracciare le cose a cui mi riferisco. Quando mi vedo esposto qualcosa, è "nuovo" a prescindere, non c'è neanche bisogno che sia più di tanto legato a quello che è stato detto precedentemente. In pratica, il filo dei pensieri o dei principi su cui si basa quello che scrivo riconosce i "propri simili" (ovvero ciò che gli è più attinente) in ogni ambito, non c'è bisogno di ritrovare punto per punto ogni risposta. Non scrivo infatti con il principio della "botta e risposta": come avevo già accennato, più che un dialogo contrapposto, prendo ciò che mi viene detto per affinare o viceversa rovesciare quello che dico, affinché non sia mai granitico, affinché non si basi mai su concetti fissi, assolutizzati.
Ipazia: prendo spunto dal fatto che Viator mi ha fatto notare che è di poco aiuto far perdere in un mare di spiegazioni (anche se servono proprio per non assolutizzare nessun punto, che è proprio quello che "rimprovero agli altri", soprattutto quando pensano di fare altrettanto), e prendo un piccolissimo punto soltanto, come se fosse una chiave di volta di tutto l'ultimo discorso:
CitazioneQual'è il problema ? Entrambe le metodologie funzionano nel contesto applicativo che è loro proprio.[/size]
Appunto: separazione, incongruenza, incapacità di sintesi, da parte della scienza. Che è bene! Non deve avere più di tanto una visione d'insieme.
Proprio per questo però non può permettersi di essere la prima a poter dire cosa è ontologico o no, cosa è vero o no. Il suo fine è favorire la tecnica, con cui piegare le apparenze percettive che sperimentiamo. Lei non fornisce la visione della realtà (usiamo questa espressione al di là che la realtà sia sottoponibile a visione o meno), perché la sua conoscenza è data da delle metodologie (parole tue!), e i metodi partono da (anzi, sono) una selezione della realtà, quindi sono un artificio ("fare con arte", appunto un fare, prima che un conoscere). Basta infatti focalizzare l'attenzione in modo più o meno nitido (guardando sempre lo stesso fiume, e non cambiando luogo di ricerca!) e ci ritroviamo con "verità" incongrienti tra loro, che sembrano riguardare cose diverse - e invece hai sempre e solo il fiume! Anche se non è un nome che gli daresti, a certi gradi di nitidezza di osservazione.
Va benissimo così, dici bene, ma da questo non possiamo trarre nessuna visione di insieme. Che è qualcosa che non possiamo non fare. Se crediamo di potervi rinunciare, ce la ritroviamo in qualche forma come pregiudizio inconscio. Meglio trovare consapevolmente e volontariamente una strada per essa, anche se dovesse venir fuori che anche la visione d'insieme non è esattamente la realtà. Ma la scienza, quindi la visione plurale, discreta, presa come guida principale e come meta per sapere cosa è reale o meno, non è adatta a prescindere (proprio perché... scinde a priori).
Chi può dare una "visione d'insieme ontologica" migliore di quella acquisita per via scientifica ? Chi può vedere virus e astri remoti in assenza degli strumenti della tecnoscienza ?
Anche nell'universo antropologico, nella sua trascendentalità, quale supporto etico è migliore di quello fornito dal metodo scientifico ?
Come potremmo dire qualcosa di sensato, anche in senso etico, su ivg, malattie, rischi lavorativi, ecologia, eutanasia, ... in assenza delle conoscenze fornite dalla ricerca scientifica ?
La quale non promette, come altre favolistiche dell'Assoluto, paradisi e nirvana, ma quel poco che promette lo mantiene e, soprattutto, lo fa senza ricorrere ai misteri della fede o al carisma di un guru.
Le scissioni operate dal metodo scientifico sono funzionali alla sezione della realtà considerata: per far viaggiare i treni è sufficiente il tempo galileiano, per spedire una sonda su Marte è necessaria una correzione relativistica del tempo. Non sono due "verità" diverse, ma due modi, ontologicamente corretti entrambi, di adeguamento della tecnoscienza alla realtà, usando i mezzi adeguati ai differenti scopi.
Se aspettavamo la Verità dai postulanti dell'Assoluto saremmo ancora al paleolitico. E in attesa della Verità saremmo sommersi da maionesi metafisiche tuttologiche che sproloquiano di Tutto e non spiegano nulla. Realizzando alfine soltanto una cosa: il Nulla metafisico. No, grazie. Mi tengo l'immanenza con tutte le sue approssimazioni e semplificazioni e uso la mia intelligenza per individuare le contraddizioni dei postulanti dell'Assoluto, che anche a ricettario metafisico zoppicano assai.
Hai fatto una descrizione degli aspetti positivi della scienza, praticamente una apologia. Ero già d'accordo che la scienza era utile. Mancano però gli aspetti negativi, i conflitti che alimenta, le commistioni con fascinazioni poco rigorose, come quelle economiche, i protocolli a cui spesso si riduce e che sono dannosi quando non ben adattabili a tutti i contesti, il fatto che l'etica e l'elecologia di cui accenni siano descrittive ed oggettivistiche e quindi non sufficientemente motivanti.
Ma siamo anche d'accordo che essa è (estrapolo letteralmente le seguenti parole) scissa, funzionale, e portatrice di adattamento, non di verità. Basterebbe questo per vedere che non si adatta neanche alla totalità del singolo umano o della sua società, figuriamoci a tutto quello che può esistere.
Non ho cercato di compensare questa mancanza con aspetti ancora più manchevoli, come religioni e metafisiche esclusivamente teoretiche, fini a se stesse. Non si tratta neanche di cercare la verità.
Sì tratta di avere una visione d'insieme che la descrizione di osservazioni parziali etichettate come "virus" e "astri", o strumenti assemblati per avere certe funzioni come il treno e le sonde, non ci daranno mai. Una visione d'insieme che, in quanto non frammentata (quindi non conflittuale), non si oppone alla scienza, ma attenuerebbe i conflitti dei suoi eccessi. Potrebbe valerne la pena, perlomeno iniziare ad interessarsi alla possibilità che almeno esista, anche se dandogli attenzione potrebbero rallentare altre attività? Anche perché parli di contraddizioni dei postulanti dell'Assoluto, ma se anche ci fossero non sono evidenziabili con una apologia scientifica, né qui vedo postulanti che propongono assoluti divinizzati o beatitudini nullificanti.
Ma quel che ho appena detto verso la fine rischia di diventare anch'esso una apologia, stavolta senza neanche prodotti da mostrare, né positivi né negativi (come nel caso invece della scienza).
Partiamo da un punto più basilare, già posto ma non risolto se si nega una visione non pluralista ontologica. Una domanda che è in linea con quanto detto finora ma che potrebbe stare bene in apertura di un altro argomento: come si spiegano, in assenza di divinità esterne o di un panteismo (presumendo che non crediamo ad entrambi), le regolarità riscontrate nei rapporti tra elementi di un'esistenza realmente frammentaria (e non frammentata artificiosamente per finalità di approssimazione conoscitiva)?
Salve Aumkaara. Citandoti : "come si spiegano, in assenza di divinità esterne o di un panteismo (presumendo che non crediamo ad entrambi), le regolarità riscontrate nei rapporti tra elementi di un'esistenza realmente frammentaria (e non frammentata artificiosamente per finalità di approssimazione conoscitiva)?".
Io le spiego sulla base di un andamento natural-naturalistico il quale prevede - all'interno della inesorabile continua diversificazione (senza meta (umana)) del mondo - che ogni "novità" (ad esempio il sorgere di nuova vita, sia essa individuale o specifica) possa instaurarsi solamente solo dopo aver ripercorso all'indietro - più o meno totalmente - il cammino che ha portato il mondo ad essere quello che è, preparandondo a quello che sarà attraverso quello che è stato.
Si tratta della palingenesi (semplice parente dell'entropia), il cui più mirabile esempio è a parer mio contenuto nella descrizione freudiana dell'orgasmo, il quale appunto consiste in una "palingenetica obliterazione dell'io coscente il quale, tendendo ad infuturarsi in un archetipo prototipo, matura nella sinderesi".
In paroline povere, per passare l'esame bisogna farsi prima un bel ripasso del programma scolastico.
Il nuovo lo si può fare solo spogliandosi (in tutti i sensi, abbandonando indumenti, ruoli sociali, conoscenze culturali, sentimenti umani, consapevolezza di sè......abbandonandosi alla primigenia istintualità di un orgasmo il quale, se fecondante, darà l'avvio alla risalita - in un altro - dalle origini biologiche sino al perfezionamento di un nuovo "noi stessi".
Quindi quelle che tu chiami non impropriamente "regolarità", io le chiamo "reiterazioni"e rappresentano - sempre secondo me - l'aspetto "palingenetico" dell'andamento dell'entropia.
Ora tiro un piccolo sospiro di sollievo poichè - in una discussione svoltasi nel confronto tra una tesi antropo-scientistica ed la tua visione a sfondo metafisicheggiante, ho inserito - sotto forma di sassolino - la mia personale variante- Saluti.
Viator:
Citazioneun andamento natural-naturalistico il quale prevede
Ti fermo subito. Un andamento naturale che prevede, dici. È quindi una natura intelligente e consapevole. È una forma di panteismo. È oggetto di fede, non di logica, come era richiesto dalla domanda. Scartato. Il prossimo, prego.
PS: spiegazione meno brutale: precedentemente ho parlato con tono "metafisicheggiante" (senza comunque termini specifici) poche volte: se guardi bene (qualche punto a caso, non certo rileggendo tutta la marea di parole) più spesso evidenziavo le contraddizioni e le mancanze di una filosofia materialista che non riesce a fare altrettanto con quelle filosofie che non sono né materialistiche né antimaterialistiche (infatti le scambia per queste ultime; ma anche solo lo studio della logica ha trovato logiche non binarie), può solo pubblicizzare i biscotti che producono le tecniche su cui si basa interamente. Saporiti, ma evitando di pubblicizzare anche che c'è l'olio di palma.
Infatti (mi rifaccio al primo post dell'argomento originario, prima di questo lungo approfondimento), la filosofia materialista pubblicizza se stessa (che è una filosofia del fare) con un'etica del fare del bene (alla società, all'ambiente), dimenticandosi di notare che questi problemi... li crea essa stessa.
Neanche la religione (che pubblicizza se stessa con la pappa d'avena, a volte anche avariata, promettendo un banchetto dopo, sempre dopo) era arrivata a tanto: al massimo ha creato problemi sociali, e a macchia di leopardo, che non erano come ora tutti concentrati contemporaneamente nella maggior parte del globo (quello sfruttato), sempre che prima o poi non arrivi un contraccolpo anche nella zona più piccola, quella sfruttatrice. Nel frattempo, fa un danno ambientale dappertutto.
Problematiche risapute. Se non c'è via d'uscita, allora va bene così. Facciamo i botti, sempre di più e sempre più forti, alla fine almeno ne usciremo appunto col botto.
Se c'è un'altra uscita... Vediamo quale può essere. Partiamo dalle contraddizioni logiche delle filosofie più gettonate. Perché se partiamo solo per rimanere a vedere quanto siamo bravi a produrre cose sempre più belle, senza mettersi in dubbio (né nei risultati pratici, né nei presupposti logici), facciamo un'autoreferenzialità. Quindi basta con le autoreferenzialità, non voglio più neanche parlare di cose metafisiche autoreferenzialmente, ipotizzando azioni non duali che posso dimostrare solo a me stesso e che possono essere seguite da altri solo sulla fiducia, per lo meno se non hanno voglia di notare le contraddizioni delle proprie filosofie (ci sono anche nella metafisica, ma vengono integrate di colpo nell'azione, azione che la stessa logica tendente alla non dualità - ma anche altre pratiche volendo - alla fine fa scaturire di colpo: proprio come nelle filosofie materialiste, che agiscono bypassando le proprie contraddizioni: con ripercussioni di ben altra portata però. Accidenti, ho fatto di nuovo pubblicità autoreferenziale indimostrata 🙃). Servono solo le contraddizioni ora, di qualunque punto di vista, dimostrate logicamente.
Salve Aumkaara. Citandoti : "Ti fermo subito. Un andamento naturale che prevede, dici. È quindi una natura intelligente e consapevole. È una forma di panteismo. È oggetto di fede, non di logica, come era richiesto dalla domanda. Scartato. Il prossimo, prego".
Ehm.........qui purtroppo, per via dell'argomento e dei nostri modi (purtroppo ma inevitabilmente) troppo cerebrali del trattarne.................gli infortuni son dietro l'angolo.
Non si può precisare tutto ciò che intendiamo, quando scriviamo. Troppe parole, confondono tanto quanto troppo poche impediscono di capire.
"prevede" viene da me usato non per sottintendere la capacità o volontà di qualcosa o di qualcuno di "vedere prima od oltre", bensi nel senso di "generare necessariamente un effetto". Tutto qui. Saluti.
Non mi pare che storicamente i filosofi cosiddetti metafisici fossero contro la fisica e la scienza in generale, basta studiarsi Platone (i testi originali e non le chiaccihere da bar da parte di disseminati e dissennati blog filosofici). E' invece accaduto l'opposto nella modernità con una crociata anti-cristiana e anti-metafisica ovviamente.
I filosofi ,almeno decenti, sanno benissimo che senza filosofia non sarebbero mai arrivati nemmeno allo sperimentalismo Galileo e poi Newton, ecc.
Semplicemente perché per entrare nella scuola di Platone, l'Accademia , bisognava saper di geometria.
Significa che gli assiomi euclidei e i teoremi pitagorici erano risaputi dai filosofi , la logica predicativa aristotelica e la primordiale logica proposizionale degli stoici, le categorie aristoteliche...ecc. Senza questi nessuna scienza avrebbe avuto propulsione in Occidente.
In Cina infatti, benchè come inventiva non fossero secondi a nessuno, non avevano la "strutturazione" del pensiero , ovvero quegli strumenti (logica, matematica, geometria...) senza le quali è impossibile strutturare la conoscenza, categorizzare ,creare tassonomie. A loro è mancato un Galileo, ma proprio perché Galileo aveva il retroterra della strutturazione del pensiero .
Si trattava di osservare i fenomeni e ordinarli, classificarli, renderli logici in segni matematici e geometrici.
Gli "strumenti", logica, matematica, ecc. stanno fra la teoretica e la pratica, per questo sono potenti .
Costruiscono razionalmente il pensiero , costruiscono teoremi, costruiscono teorie e allo stesso tempo sanno interpretare i fenomeni fisici e naturali dentro il "segno" geometrico, matematico, logico .
Questo lo fecero i metafisici, piaccia o no. Ma i metafisici non sono quegli astratti umani che veleggiavano nelle nuvole, la filosofia greca nasce dall'osservazione della natura, da Talete fino alle cosmologie di Anassagora e del Timeo di Platone.
Furono le domande che nascevano dalle osservazioni a chiedersi il rapporto fra universo, natura e umanità e quale fosse la "struttura originaria".
E fin qui, ribadisco qualunque decente filosofo postmoderno non può che accettare.
Dove nasce la separazione fra metafisica e fisica moderna? Nel "focus" del significativo.
Per i metafisici è più importante capire l'origine del "tutto", dell'universo.
Poiché da esso dipende la natura e l'uomo.
Adatto che ciò è possibile solo per via del pensiero razionale e non dei sensi corporei, allora la metafisica a discendere razionalmente, cercò di capire ad es. in Platone cosa fosse il Bene e la Giustizia, in rapporto alla creazione del Demiurgo.
La modernità sconfessò la metafisica, focalizzandosi sui fenomeni naturali e sull'uomo, quindi esalta il cosiddetto "sensibile" . Ma qui nasce la contraddizione moderna. Perché per ogni umano, che si ritenga metafisico o fisico, il giudizio è posto dal pensiero. Non è il fenomeno che parla all'uomo, è l'uomo che ancora interpreta il fenomeno nel segno matematico attraverso le leggi fisiche.
Il pensiero rimane il discriminante come accertatovi, non un "demiurgo" e neppure i fenomeni fisici.
Il passo successivo è lo studio dell'agente conoscitivo, l'uomo, con tutti i suoi limiti naturali fisici.
Ma ritornando al problema originario, ha mai saputo dare risposte la filosofia o le scienze attuali sulle domande fondamentali? Da dove veniamo? Dove andiamo? A cosa serve vivere, quale è il suo significato La risposta è no: la filosofia moderna ha addirittura inabissato queste domande ,le ha
affondate con una supponente ignoranza : "E 'inutile porsi queste domande".
Qui falliscono tutte le filosofie moderne dal noumeno kantiano allo psicologismo fenomenico husserliano, alle fantomatiche analitiche anglosassoni, al panteismo spinoziano, all'aletheia heideggeriano, alla logica dialettica severiniana autogiustificativa.
Nessuna di queste filosofie ha più il coraggio di porsi "cosa viviamo a fare"?
Perché se il giudizio moderno filosofico è che i metafisici sono ingenui e illusi, c'è da chiedere ai filosofi del "niente" da dove vengono ,che ci stanno a fare al mondo e dove andranno a finire.
Se la filosofia perde le domande fondamentali : è morta. Piaccia o non piaccia.
La filosofia moderna non ha affatto superato la metafisica, lo ha "dimenticata volutamente", perché ha pensato e voluto che la filosofia abbracciasse le scienze,divenendo naturali e fisiche, esaltando quindi l'evoluzionismo darwiniano, il materialismo . Forte delle scoperte scientifiche, di un enorme progresso tecnico e tecnologico, ha sposato le prassi, senza avere più una "testa", quella stessa "testa" che consentì alle scienze di volteggiare potenti.
Oggi siamo prassi, siamo uomini che camminano....ma non chiedete a quest'uomo quale è il senso del cammino ,se sarà concime per le piante.......E' un uomo che va senza una meta, senza testa.
Felice come un beota nel luna park dei ricchi premi e cotillon...........
E quì manca del tutto la filosofia, che sia metafisica o postmoderna
Viator: ovviamente scherzavo sulla gravità dell'avere introdotto un concetto non dimostrato (o per lo meno non è grave in un forum), come spero fosse chiaro dal PS.
Però ora stiamo proseguendo comunque su di una strada migliore:
Citazionegenerare necessariamente un effetto
Questo è un motivo regolatore possibile: la necessità. Dobbiamo solo scoprire che necessità è, da cosa è dovuta.
Ma vedila da un punto di vista filosofico ontologicamente pluralista, in cui la visione unitaria è solo epistemica, soggettiva, una formalità propria di un certo modo di conoscere, una forma di insiemistica matematica, utile ma senza radici reali: in un quadro del genere, da dove spunta quel "necessariamente"? Due enti essenzialmente separati, che al massimo cozzano per caso, "alla Democrito", che possibilità hanno di proseguire per più di un istante nel loro rapporto? Ricordiamolo: non ci sono davvero delle leggi, perché queste presuppongono un piano-ente-intelletto regolatore (infatti, se per i primi scienziati le leggi erano "ovviamente" date da Dio, oggi le "leggi" naturali sono formulazioni. Con cui descrivere le regolarità osservate. Non sono la causa di tali regolarità, ne sono solo il "racconto" che ne facciamo noi).
Paul11: niente da aggiungere. Ma la filosofia materialista, come dici anche tu, avrà molto da togliere. E non sarebbe un problema, è nel suo diritto non porsi certe domande: se non ci fosse almeno un po' di tale filosofia, non avremmo la forza neanche di cercare il cibo. Ora però si è appena appena ecceduto nel lato opposto. E, come dicevi, ciò trasforma la tecnica in prassi, nel muoversi tanto per muoversi, sempre più efficientemente e sempre meno con un motivo che non sia la gratificazione per l'efficienza stessa, in ogni ambito sociale, per le masse; relegando la ricerca (persino quella scientifica) a poche oasi.
Citazione di: Aumkaara il 06 Ottobre 2020, 02:30:05 AM
Partiamo da un punto più basilare, già posto ma non risolto se si nega una visione non pluralista ontologica. Una domanda che è in linea con quanto detto finora ma che potrebbe stare bene in apertura di un altro argomento: come si spiegano, in assenza di divinità esterne o di un panteismo (presumendo che non crediamo ad entrambi), le regolarità riscontrate nei rapporti tra elementi di un'esistenza realmente frammentaria (e non frammentata artificiosamente per finalità di approssimazione conoscitiva)?
Le regolarità si spiegano con le interazioni fisico-chimico-biologiche tra la pluralità degli enti in gioco racchiusi in un tutto (universo) che la scienza da sempre indaga. Tali relazioni non sono ipostasi metafisiche ma eventi reali e non autorizzano ad alcun volo pindarico al di fuori di ciò che si può dire (Wittgenstein).
Citazione di: paul11 il 06 Ottobre 2020, 14:45:32 PMMa ritornando al problema originario, ha mai saputo dare risposte la filosofia o le scienze attuali sulle domande fondamentali? Da dove veniamo? Dove andiamo? A cosa serve vivere, quale è il suo significato La risposta è no: la filosofia moderna ha addirittura inabissato queste domande ,le ha
affondate con una supponente ignoranza : "E 'inutile porsi queste domande".
Ma anche no. E' inutile porsele in ambito di scienze della natura, ma sono assolutamente pertinenti nell'ambito del trascendentale umano che è compito squisitamente filosofico. Peccato mortale metafisico è attribuire alla natura delle intenzioni, mentre è legittimo interrogarsi sulle intenzioni di quel prodotto naturale la cui evoluzione ha generato organi e funzioni intenzionali. Non è colpa della natura se tali intenzionalità sono limitate e contraddittorie, ma, tra tanti limiti e contraddizioni, anteporre il carro ai buoi proprio del pensiero storico metafisico, reificante fantasie in entità e forze aliene, è quanto di peggio si può ottenere dall'intelligenza umana.
Il trascendentale meta-fisico umano funziona solo se è saldamento ancorato alla terra che lo ha generato e opera tanto meglio quanto più si avvale della conoscenza della sua generatrice e dei suoi processi. A questo serve la scienza: non a fornire risposte esistenziali, ma gli elementi solidi e fondati di tali risposte. Le quali sono in carico esclusivo al trascendentale umano che completa la sua episteme e prassi (etica) attraverso il ragionamento filosofico.
Non stupisce l'interazione biunivoca tra filosofia e scienza. Anche oggi, come nell'antica Grecia, la comprensione più piena della realtà è appannaggio di scienziati-filosofi. Vaccinati dalla malattia mortale metafisica che consiste nell'anteporre i postulati ai fatti. Cosa dalla quale anche il grande Newton aveva messo in guardia (
hypotheses non fingo). E vaccinati pure dalla malattia mortale scientista che consiste nell'identificazioni ingenua dei fatti coi valori. Parafrasando un saggio: dai alla natura quello che è della natura e all'uomo quello che è dell'uomo.
Premetto un profondo plauso alle argomentazioni di Paul11. Dopodichè cito Aumkaraa : ".......(infatti, se per i primi scienziati le leggi erano "ovviamente" date da Dio, oggi le "leggi" naturali sono formulazioni. Con cui descrivere le regolarità osservate. Non sono la causa di tali regolarità, ne sono solo il "racconto" che ne facciamo noi)".
Ma le leggi, escogitazioni appunto nostre, non hanno carattere di assolutezza e le "necessità" che esse dettano sono sempre relative al sistema di previsione degli eventi che noi umani abbiamo deciso di adottare.
Il fatto che il sole sorga anche domani resta una nostra previsione probabilistica, non una certezza od una "necessità" immortale. Ci crediamo, ci contiamo, regoliamo la nostra vita su ciò...........ne facciamo, tutto sommato, un articolo di fede. Cerchiamo di vincere una scommessa e sempre - finora - l'abbiamo vinta.
I materialisti "duri e puri" (non faccio nomi) anch'essi scelgono "per fede". Tutti noi nasciamo privi di certezze e non troveremo mai nessuno che possa spiegare alle fedi che ci diamo via facendo (quella in Dio per alcuni, quella nella ragione o logica o scienza per altri) in qual modo si possa passare - durante la vita - da una condizione di incertezza ad una di certezza. Per farlo occorrerebbe incontrar per strada la Verità. Come molti affermano sia loro successo ma nessuno mai riuscirà a dimostrare. Saluti.
Citazione di: Ipazia
Le regolarità si spiegano con le interazioni fisico-chimico-biologiche tra la pluralità degli enti in gioco racchiusi in un tutto (universo) che la scienza da sempre indaga. Tali relazioni non sono ipostasi metafisiche ma eventi reali e non autorizzano ad alcun volo pindarico al di fuori di ciò che si può dire (Wittgenstein).
Concordo con Wittgenstein: niente ipostasi, sono abolite dal discorso.
Mentre è in gioco solo ciò che è osservabile o descrivibile, fin quanto è possibile. E l'interazione è possibile: due enti interagiscono. Lasciamo stare la natura di tali enti. Per ora.
Interagiscono, niente lo impedisce. Ma cosa fa proseguire l'interazione per più di un istante o proprio nello stesso modo ogni volta?
Citazione di: viatorle "necessità" che esse dettano sono sempre relative al sistema di previsione degli eventi [...] I materialisti "duri e puri" (non faccio nomi) anch'essi scelgono "per fede".
Ah. La necessità non era esattamente tale, allora. Quindi si ritorna alla fede, per spiegare la causa di qualcosa: quello che si studia dipende dalla propria visione, non dalla sua natura. Se anche il materialismo filosofico si rivelasse per questo motivo una fede, cadrebbe qualunque logica che voglia arrivare fino alle proprie estreme conseguenze. Se fosse così, se la logica dovesse arrestarsi per un dogma qualunque, non potremmo proseguire.
Citazione di: Aumkaara il 06 Ottobre 2020, 18:03:20 PMCitazione di: Ipazia
............................................................................... .........
Citazione di: viator le "necessità" che esse dettano sono sempre relative al sistema di previsione degli eventi [...] I materialisti "duri e puri" (non faccio nomi) anch'essi scelgono "per fede".
Ah. La necessità non era esattamente tale, allora. Quindi si ritorna alla fede, per spiegare la causa di qualcosa: quello che si studia dipende dalla propria visione, non dalla sua natura. Se anche il materialismo filosofico si rivelasse per questo motivo una fede, cadrebbe qualunque logica che voglia arrivare fino alle proprie estreme conseguenze. Se fosse così, se la logica dovesse arrestarsi per un dogma qualunque, non potremmo proseguire.
La necessità puramente materiale, non fideistica, è quella che esiste nel mondo, nelle cose, nei rapporto causa-effetto. La necessità materiale, che sta fuori delle nostre zucche, per entrarvi è costretta a venir trasformata in concetto cerebrale, cioè immateriale. Concetto nel quale decidiamo di voler credere. O no ?.Quindi ci sarà un fuori di noi materialmente necessario (e che se ne frega se noi esistiamo e cosa ne pensiamo e crediamo) poi ci sarà - dentro di noi - il concetto di essa necessità il quale nascerà dopo essere stato assai variamente elaborato ANCHE (figuriamoci !) dai nostri sensi, poi quindi dalla nostra psiche, esperienza, coscienza, mente.E secondo me ciò che dimostra (pardon, chi ci fa credere) all'esistenza di una necessità materiale oggettiva.........sarebbe proprio il fatto che senza di essa non sarebbe mai risultata NECESSARIA la nostra apparizione a questo mondo.Per favore non obiettare nulla (scherzo !) perchè a questo punto troverei troppo faticoso il replicarti. Saluti.
Citazione di: Aumkaara il 06 Ottobre 2020, 18:03:20 PM
Concordo con Wittgenstein: niente ipostasi, sono abolite dal discorso.
Mentre è in gioco solo ciò che è osservabile o descrivibile, fin quanto è possibile. E l'interazione è possibile: due enti interagiscono. Lasciamo stare la natura di tali enti. Per ora.
Interagiscono, niente lo impedisce. Ma cosa fa proseguire l'interazione per più di un istante o proprio nello stesso modo ogni volta?
Le abbiamo chiamate forze nella natura inanimata; pulsioni, istinto, nei viventi (compulsioni nelle degenerazioni patologiche). Le riscontriamo oggettivamente e abbiamo imparato a misurarle anche se non ne conosciamo la causa, non fingendo ipotesi in assenza di dimostrazioni, secondo il magistero di Newton. E non moltiplicando inverosimilmente gli enti, secondo il magistero di Ockham.
La scienza non ricerca l'utilità, bensì la verità.
L'utilità è viceversa obiettivo della tecnica.
La scienza è lo stesso pensiero razionale che si inoltra nel mondo alla ricerca della verità.
Non dovrebbe stupire come la matematica sia in grado di descrivere come il mondo funziona.
Difatti la matematica è espressione del pensiero razionale, generato da questo stesso mondo.
Ma il pensiero razionale è in grado, almeno in linea di principio, di comprendere il fondamento del mondo?
Direi proprio di no.
Perché nessun sistema è in grado di mostrare ciò che lo fonda.
Di modo che nella ricerca della Verità occorre andare oltre lo stesso pensiero razionale.
Mettendo cioè in discussione gli stessi principi su cui si regge.
Il principio d'identità, indispensabile per ogni pensiero razionale, deve perciò essere messo in discussione.
D'altronde non è proprio quel A=A ciò su cui si basa ogni separazione?
E non è proprio questa separazione la condizione perché il Bene non sia?
Citazione di: bobmax il 06 Ottobre 2020, 20:11:40 PM
Ma il pensiero razionale è in grado, almeno in linea di principio, di comprendere il fondamento del mondo?
Direi proprio di no.
Perché nessun sistema è in grado di mostrare ciò che lo fonda.
Quale mondo ? Quale fondamento ? Quale sistema ?
Citazione di: IpaziaLe abbiamo chiamate forze nella natura [...] Le riscontriamo oggettivamente e abbiamo imparato a misurarle anche se non ne conosciamo la causa
Facciamo finta che non importi (e forse non importa davvero) la nostra ignoranza su di una eventuale causa e sulla necessità che ce ne debba essere una, perché altrimenti forse basterebbe questo per non poter stabilire se la pluralità è davvero ontologica, che invece affermavi come se fosse già stato accertato. Forse si può stabilire con informazioni che già abbiamo. Ad esempio la possibilità a cui accenni di poter effettuare misurazioni sulle interazioni dando loro anche un nome.
Possiamo misurare anche di quanto si muove il sole nel cielo, e dargli anche un nome, "moto del sole nella volta celeste", ciononostante questo non ci garantisce che tale movimento appartenga al sole. Poter misurare qualcosa e dargli persino un nome quindi non ci garantisce di sapere quale è la natura di ciò che misuriamo. Non ci interessa quindi il fatto di poter fare misurazioni sulle interazioni, per stabilire come fanno due enti ad interagire regolarmente, che è ciò che può accertare se la pluralità è davvero ontologica. Quindi, torniamo alla domanda: possiamo sapere, in qualche altro modo, come fanno due enti essenzialmente separati ad interagire per più di un istante o comunque sempre nello stesso modo?
Citazione di: Ipazia il 06 Ottobre 2020, 20:49:41 PM
Citazione di: bobmax il 06 Ottobre 2020, 20:11:40 PM
Ma il pensiero razionale è in grado, almeno in linea di principio, di comprendere il fondamento del mondo?
Direi proprio di no.
Perché nessun sistema è in grado di mostrare ciò che lo fonda.
Quale mondo ? Quale fondamento ? Quale sistema ?
La provocazione potrebbe essere un invito all'analisi.
Anche se probabilmente è solo una provocazione fine a se stessa, essendo l'analisi la grande assente nel forum.
Sperando nella prima ipotesi rispondo:
Il mondo è tutto quello che c'è.
Il fondamento la sua causa, che evidentemente non c'è.
Sistema, insieme di elementi che interagiscono attraverso proprie leggi.
Il mondo è perciò un sistema.
A questo punto l'analisi può proseguire.
Se però si replica, per esempio: Quale causa? Quale tutto? Quale che c'è? E così via...
Altro non si fa che confermare che la seconda ipotesi era corretta.
@Aum
L'ontologia assoluta la possiede meno che mai il postulante dell'Assoluto. La migliore ontologia a cui possiamo attingere é quella induttiva-deduttiva del metodo scientifico i cui esiti sperimentali, realizzazioni tecniche, e procedure di asseverazione e falsificazione ne confermano quotidianamente la validità funzionale e sincerità epistemologica; fatta la tara dei truffatori che, con molta più libertà che nell'ambito scientifico, allignano ovunque.
Per l'analisi, a presto.
.
Citazione di: Ipazia
L'ontologia assoluta la possiede meno che mai il postulante dell'Assoluto. La migliore ontologia a cui possiamo attingere é quella induttiva-deduttiva del metodo scientifico
L'ontologia non riguarda l'assoluto, ma più semplicemente la causa o la radice dei fenomeni relativi: non è la stessa cosa, perché se una causa esiste, è anch'essa relativa. Quindi, se la pluralità è ontologica, è anch'essa un relativo (che venga poi assolutizzata da alcune filosofie o punti di vista, è un altro discorso). Ma per ora ci stavamo accontentando di scoprire se la pluralità lo è davvero, ontologica.
Il fatto però che il metodo migliore (solo per certi propositi, e con tutti i rovesci della medaglia) sia quello induttivo-deduttivo che postula una esistenza plurale, non garantisce lo status ontologico a quest'ultima.
Lo hai appena detto: è solo un metodo.
Solo un'analisi filosofica può stabilire se tale metodo ha basi solide, per ora esso di solido ci ha dato solo prodotti comodi (alcuni anche umanamente quasi essenziali per non cadere in alcuni eccessi del passato) o nozionisticamente interessanti a prezzi non sempre convenienti, soprattutto per la maggioranza degli esseri (vedere la lista dei problemi, di portata più grande dei precedenti, e scatenati o ingigantiti solo dopo l'uso massiccio di questo metodo).
Finché non concludiamo questa analisi filosofica che avevamo iniziato, la dichiarazione che la pluralità esplorata dal metodo scientifico sia ontologica, rimane articolo di fede o al massimo di convenienza intellettuale e fisiologica (due aspetti importanti, ma non ontologica).
L'analisi può comunque continuare riprendendo la ricerca: cosa rende possibile, se davvero è possibile, che due enti essenzialmente distinti possano interagire con una qualunque regolarità?
Citazione di: Aumkaara il 06 Ottobre 2020, 02:30:05 AMcome si spiegano, in assenza di divinità esterne o di un panteismo (presumendo che non crediamo ad entrambi), le regolarità riscontrate nei rapporti tra elementi di un'esistenza realmente frammentaria (e non frammentata artificiosamente per finalità di approssimazione conoscitiva)?
Se una certa filosofia ci suggerisce che ogni domanda non è mai singola, perché ha un "doppio fondo" che contiene una seconda domanda implicita (una "protodomanda") sulle
condizioni di possibilità della riposta, in questo caso nel "doppio fondo" c'è il rapporto fra «spiegare», «regolarità» e «elem
enti». La scienza, e più in generale la ragione umana, ha una visione meccanicistica e causale della realtà: circoscrive un'identità, un elemento, e ne studia l'interazione con altri, spiegandone la regolarità (se pertinente), tramite il concetto di sistema chiuso, o almeno stabile. Il fulcro implicito del discorso è l'«elemento» inteso come
identità (non a caso, primo principio della logica);
ontologicamente circoscritta oppure questo è solo il modo (e il solo modo) in cui viene percepita/elaborata dalla nostra ragione?
Qui il linguaggio
convenzionale traballa un po': cos'è che allora viene identificato-circoscritto, percepito ed elaborato (in modo da risultare elemento che interagisce con regolarità)? Basta riscontrarne la strumentale funzionalità
a posteriori per avere controprova della sua isolata e discreta identità
ontologica?
La risposta può arrivare dal mondo non umano: quando un computer acquisisce
un quadro l'
immagine di un quadro con uno
scanner, la vede e la elabora sotto forma di
bytes,
pixels, etc. per il computer queste "unità di percezione" sono il suo modo di
conoscere la realtà fuori da lui. Tuttavia, il computer ci direbbe che la sua ontologia di
bytes e
pixels è ben radicata e reale, perché
funziona: l'immagine acquisita può essere con successo modificata e alterata (da braccia artificiali guidate dallo
scanner), riprodotta, condivisa con altri pc (tutte caratteristiche del sapere scientifico: alterazione controllata, riproducibilità, intersoggettività). Se
bytes e
pixels non avessero un fondamento ontologico, tutte queste operazioni non potrebbero avvenire (quindi,
a posteriori, il computer trova conferma che il suo paradigma ontologico è reale).
Eppure, noi che non siamo computer, sappiamo che tradurre un'immagine in
bytes e
pixels è un'operazione certamente funzionale, ma sappiamo anche che quell'immagine dipinta non è fatta ontologicamente da
pixels e
bytes (bensì da carta, colpi di pennello, luce, etc.); nondimeno la modalità percettiva del computer (e del suo
software) rende inevitabile al computer percepire la realtà con i suoi mezzi (lo
scanner) e i rispettivi vincoli gnoseologici, tramite
convenzionali, non ontologiche, "unità (identità) di misura"; ciò non gli impedisce
di fatto l'utilizzo di tali
input per fondarci un'ontologia che funziona, interagendo ed alterando il mondo circostante.
CitazioneQui il linguaggio convenzionale traballa un po': cos'è che allora viene identificato-circoscritto, percepito ed elaborato (in modo da risultare elemento che interagisce con regolarità)?
Ma siamo d'accordissimo, infatti al primo tentativo di risposta, in cui era stato citato Wittgenstein, avevo sottolineato che PER ORA avremmo tralasciato la natura degli enti interagenti.
Questo infatti pone un serio problema alla ipotetica pluralità ontologica: fin'ora, cercando con il proprio metodo scientifico, la tecnica ha a che fare in ogni ambito sia con una pluralità che con una singolarità: i discreti degli "enti concreti" e il continuo spaziale con Newton, l'onda e il corpuscolo nella quantistica, le molteplici specie e la continuità delle trasformazioni evolutive, ecc. Ogni volta che si crede di aver sfondato (in realtà è solo un'osservazione più precisa e nitida) questa dualità compresente, la si ritrova di nuovo. Come si può quindi stabilire che solo uno di questi due poli è ontologico mentre l'altro solo epistemico, come era appunto stato affermato con sicurezza da Ipazia? Il fatto che dal porre come ontologica la pluralità noi si ottenga un metodo funzionale, con tutti i rischi comunque da non dimenticare, non garantisce niente di effettivamente ontologico: è solo un'azione valida esclusivamente nel proprio ambito, vera solo grazie alle premesse che poniamo e ai risultati che ci attendiamo. Quale sia il motivo della concordanza tra premesse e risultati, non lo si può stabilire dal metodo usato: è appunto soprattutto un metodo, non soprattutto un sapere.
Salve phil. Citandoti : "Eppure, noi che non siamo computer, sappiamo che tradurre un'immagine in bytes e pixels è un'operazione certamente funzionale, ma sappiamo anche che quell'immagine dipinta non è fatta ontologicamente da pixels e bytes (bensì da carta, colpi di pennello, luce, etc.);.............................".
E certo che lo sappiamo che è così ! Semplicemente perchè qui vanno introdotte le nozioni - della quali il computer è privo - di forma (i pixels ed i bytes i quali sono informazione in sè astratta pur se materialmente basata - equivalente della informazione contenuta da un computer a chips cervello umano pensante a neuroni)) da una parte e di sostanza (i supporti, la carta, l'energia luminosa) dall'altra, la quale sostanza (chips o neuroni) pur essendo materialissima è in grado di ospitare - appunto - l'immateriale informativo.
Nella ciclicità costituita da computer (sostanza-supporto a base di chips che genera forma a base di pixel e bytes) a informazioni (forma trasmessa quale immagine) a cervello (sostanza-supporto organico a base di neuroni) a concettualizzazione delle informazioni (forma del pensiero) a sostanza (gli strumenti corporali attraverso i quali comunichiamo ad altri o reimmettiamo nel computer le informazioni)...............e via andando..........................dove si nasconde l'ontologia ? Dentro la binarietà ! (intesa come inevitabile continua permutazione reciproca della dualità di forma e sostanza). Saluti.
Citazione di: bobmax il 07 Ottobre 2020, 04:08:35 AM
Anche se probabilmente è solo una provocazione fine a se stessa, essendo l'analisi la grande assente nel forum.
Sperando nella prima ipotesi rispondo:
Il mondo è tutto quello che c'è.
Il fondamento la sua causa, che evidentemente non c'è.
Sistema, insieme di elementi che interagiscono attraverso proprie leggi.
Il mondo è perciò un sistema.
A questo punto l'analisi può proseguire.
Uomo di poco fede. Penserai mica che una che è morta per delle idee si trastulli con delle provocazioni ?!?
Proseguiamo con l'analisi che chiama subito in causa la vessata ontologia:
Il mondo è tutto quello che c'è. Caspita che azzardo ! Una affermazione di questa portata presuppone che si sappia tutto quello che c'è. Neppure un demiurgo pare saperlo dopo tutti i pasticci che ha combinato, figurarsi un umano. Potremmo anche chiudere il salmo in gloria dicendo che tutto quello che c'è (ta onta), c'è a prescindere dal fatto che si sappia che cosa c'è.
Ma questo escamotage sa più di sintesi che di analisi ed è ben lontano da una fondata ontologia anche per il postulante dell'Assoluto, per il quale vale altrettanto la seconda risposta epistemologicamente negativa:
Il fondamento la sua causa, che evidentemente non c'è.
Anche qui andiamo per le spicce. Giustificate dal fatto che al postulante dell'Assoluto non bastano le cause seconde, ma la sua reverenziale attenzione ontologica si riduce alle Cause Prime che egli non possiede al pari del fanatico materialista, il quale si limita ad assimilare "tutto quello che c'è" all'universo, cercando analiticamente le cause in ciò che il suo sapere evidenzia con
chiarezza e
distinzione (cit.) nell'immanenza del creato a lui accessibile. Ivi incluse le ricorrenze e regolarità che si danno anche senza scomodare taumaturgie trascendenti, restando nell'immanenza del
sistema universo e nella sua conoscibilità.
Che il sistema possa essere studiato e conosciuto solo da fuori è una superstizione dell'assolutismo ontologico. La sfericità del sistema terra venne verificata dall'interno prima che una sonda spaziale la confermasse dall'esterno. Questione di materia grigia più che di metafisica.
@Aum
La pluralità del reale non intende (s)fondare nulla e non ha alcuna pretesa metafisica. Essa rappresenta soltanto l'opposizione "pirandelliana" (i centomila) "chiara & distinta" alle pretese dell'ontologia metafisica agganciata infecondamente a cabale numerologiche tra monisti e manichei.
.
Citazione di: Ipazia
La pluralità del reale non intende (s)fondare nulla e non ha alcuna pretesa metafisica. Essa rappresenta soltanto l'opposizione "pirandelliana" (i centomila) "chiara & distinta" alle pretese dell'ontologia metafisica agganciata infecondamente a cabale numerologiche tra monisti e manichei.
Questa è di nuovo una apologia, una pubblicità. Ha una certa corrispondenza con il prodotto che pubblicizza, come tutti gli spot. Ma, proprio come tutte le pubblicità, non ci dice se le motivazioni alla base dello sviluppo del prodotto sono legittime. Il prodotto è vendibile, funziona, ma la sua produzione potrebbe comunque violare norme o essere di dolo ad ambiti al di fuori della sua vendibilità ed efficienza.
Perché non è possibile risolvere la domanda, che è di ambito filosofico e non pubblicitario, su quale può essere, se c'è, il nesso regolare tra enti per natura plurali? È una domanda precisa, ripetuta più volte, se è mal posta può essere corretta indicandone sistematicamente la costruzione fallace, oppure se non c'è soluzione può essere ammorbidita la posizione rigida (l'ontologia o realtà della pluralità) che ha portato a formularla (senza per questo dover abbracciare cabale, numerologia o religioni istituzionalizzate), ma eludendola ogni volta relega la pretesa ontologia o realtà del plurale a réclame o ad articolo di fede.
La realtà oggettiva è, esemplificando, singolare (universo), duale (dimorfismo sessuale), plurale (7 miliardi di umani). A ciascuna di queste sezioni del reale corrispondono sistemi con le loro ciclicità (e retroazioni che si diffondono nell'universo) sufficientemente coerenti, con al loro interno processi causali con le caratteristiche elencate da phil, per poterli definire e studiare in quanto sistemi isolati. Sistemi fisici, biologici, sociali,... Questo è quanto.
Ho letto in maniera random gli ultimi post, quest'anno sono tornato tardi dalle vacanze. E per riprendermi dalla città ci sono volute settimane.
Vedo con piacere nuovi utenti.E poi vecchi amici di penna (pixel).
Non ho ben capito quale sia la tematica di questo 3d, vado random di conseguenza su alcuni spunti.
Sul rapporto fra utente esperto e utente alle prime armi.
Direi che un forum è un strumento che dia la possibilità al dialogo, poco importa la padronanza dello strumento se si è sorretti da un sincero interesse.
Ecco sulla questione dell'oggetto, di indagine, di ricerca, di verità, se ne potrebbe dire tanto. Il punto mio è che è comunque un oggetto. Non vedo cosa c'entri l'assoluto. Ma evidentemente non ho l'argomento nella sua pienezza.
cit Aumkaara
"Questo infatti pone un serio problema alla ipotetica pluralità ontologica: fin'ora, cercando con il proprio metodo scientifico, la tecnica ha a che fare in ogni ambito sia con una pluralità che con una singolarità: i discreti degli "enti concreti" e il continuo spaziale con Newton, l'onda e il corpuscolo nella quantistica, le molteplici specie e la continuità delle trasformazioni evolutive"
Ciao Aumkaara, benvenuto nel forum, se prendiamo come problematica la pluralità, vorrebbe dire che siamo alla ricerca di un monismo.
E' corretto?
cit Bobmax
"Il mondo è tutto quello che c'è.
Il fondamento la sua causa, che evidentemente non c'è.
Sistema, insieme di elementi che interagiscono attraverso proprie leggi.
Il mondo è perciò un sistema.
A questo punto l'analisi può proseguire."
L'analisi delle relazioni richiede la premessa delle sue causazioni.
Dunque se il mondo è un sistema, il mondo è un principio delle sue causazioni.
E' corretto?
cit Ipazia
"La realtà oggettiva è, esemplificando, singolare (universo), duale (dimorfismo sessuale), plurale (7 miliardi di umani). A ciascuna di queste sezioni del reale corrispondono sistemi con le loro ciclicità (e retroazioni che si diffondono nell'universo) sufficientemente coerenti, con al loro interno processi causali con le caratteristiche elencate da phil, per poterli definire e studiare in quanto sistemi isolati. Sistemi fisici, biologici, sociali,... Questo è quanto."
Se la realtà oggettiva è un sistema isolato, dunque la realtà oggettiva è un attributo della teoria matematica.
E' corretto?
cit Phil
"tramite convenzionali, non ontologiche, "unità (identità) di misura"; ciò non gli impedisce di fatto l'utilizzo di tali input per fondarci un'ontologia che funziona, interagendo ed alterando il mondo circostante."
Intendi dire che la funzionalità è irrelata all'ontologia?
Dunque è la funzionalità ad essere un attributo dell'ontologia?
Citazione di: Aumkaara il 07 Ottobre 2020, 13:37:07 PM
Ogni volta che si crede di aver sfondato (in realtà è solo un'osservazione più precisa e nitida) questa dualità compresente, la si ritrova di nuovo. Come si può quindi stabilire che solo uno di questi due poli è ontologico mentre l'altro solo epistemico, come era appunto stato affermato con sicurezza da Ipazia?
La mia risposta (lasciando ad Ipazia la sua) è che la dualità più che «compresente» è onnipresente (nella mente-che-legge-il-mondo, non nel mondo), perché l'unita di misura logica fondamentale umana è l'
identità concettuale-convenzionale (non ontologica) che quindi pone l'
alterità, ovvero almeno un dualismo (se non un pluralismo).
Il discorso ontologico presuppone quello epistemico, la cui versione più grezza, e al contempo inaggirabile, è la percezione/sensazione. La stessa ontologia, nonostante la sua velleità di essere asintoticamente veritativa, è discorso umano, quindi inevitabilmente "viziato" dalle categorie umane (leggi logiche, spettro delle percezioni, uso della tecnica, etc.) per cui ogni verità/dimostrabilità è tale
per l'uomo (che ragiona appunto con le categorie di «dimostrabilità», «verità», etc.). Concordo dunque, anche sulla scia dell'esempio precedente dello
scanner, sul primato dell'epistemico umano sull'ontologico assoluto (quest'ultimo inteso come meta-umano, Verità, etc.), essendo il secondo solo un ideale percepito sempre sotto forma di analitiche "ipotesi di lavoro" (detto in altri termini, è l'episteme, più o meno raffinata, a
individuare ciò che c'è, astraendolo dalla realtà indistinta e dinamica). Tuttavia riguardo all'osservazione che
Citazione di: Aumkaara il 07 Ottobre 2020, 13:37:07 PM
è solo un'azione valida esclusivamente nel proprio ambito, vera solo grazie alle premesse che poniamo e ai risultati che ci attendiamo. Quale sia il motivo della concordanza tra premesse e risultati, non lo si può stabilire dal metodo usato: è appunto soprattutto un metodo, non soprattutto un sapere.
pur concordando sull'autoreferenziale circolarità fra premesse/risultati(/verifica/correzione), che interpreta il reale almeno quanto lo descrive, osserverei che il sapere è il risultato del metodo, quindi sono strettamente connessi (se parliamo di un sapere immanente e non assoluto) e trovo rischiosa la domanda implicita su «quale sia il motivo della concordanza tra premesse e risultati», poiché finché parliamo di «motivo» restiamo ancora dentro la logica, la scienza e le categorie umane (il che non è certo un difetto, ma un vincolo di cui essere consapevoli). Cercando il motivo-causa ci riferiamo ed affidiamo all meccanicismo, al causalismo, etc. per cui tale motivo-causa, anche se trovato e verificato, sarà sempre "antropocentricamente" prospettico, ovvero epistemico, ovvero (
@green demetr) non "realmente" ontologico, salvo intendere per ontologia il suddetto sapere
fatto dall'uomo e dalle sue categorie per
funzionare nella
sua realtà, non qualcosa di assoluto.
@viatorIl senso del mio parallelismo è che pare non esserci
una ontologia (assolutamente vera) a cui tendere, ma che tanto il computer (antropomorfizzato per amor di parallelismo) che l'uomo hanno ognuno la propria prospettiva ontologica: il primo a base di
bytes,
pixels e sintassi/semantica di programmazione, mentre il secondo a base di concetti quali sostanza, forma, causa/effetto, etc. e, nocciolo di senso del parallelismo, entrambi i "soggetti", l'uomo e il computer-che-gioca-a-fare-l'-uomo, possono interagire con successo, studiare, comprendere e modificare il mondo esterno usando le rispettive, ben differenti, ontologie (quindi ciascuno dei due potrebbe affermare che la sua ontologia è quella reale, perché funziona; tuttavia nel momento in cui capisce che funziona anche quella dell'altro... illuminante relativismo?).
cit phil
"tale motivo-causa, anche se trovato e verificato, sarà sempre "antropocentricamente" prospettico, ovvero epistemico, ovvero @green demetr non "realmente" ontologico, salvo intendere per ontologia il suddetto saper fatto dall'uomo e dalle sue categorie per funzionare nella sua realtà, non qualcosa di assoluto."
Ciò però contraddirebbe quello che affermavi qui:
"per fondarci un'ontologia che funziona, interagendo ed alterando il mondo circostante."
[/size]
In cui stai parlando dell'oggetto (i pixel in particolare).[/size]
Tu stesso cioè ammetti che il pixel oggetto alteri il mondo che circonda, ossia quello saputo.[/size]
Ma tale conoscenza avviene solo dopo che hai riconosciuto quell'oggetto.
Dunque l'oggetto viene prima del sapere. Naturalmente la conoscenza dell'oggetto stesso è funzionale alla fondazione dell'episteme da cui partire.
Ora dire che l'episteme è fuori dal discorso sull'assoluto, è corretto, ma rimane da chiarire il rapporto fra questo oggetto particolare e l'assoluto.
Di certo non è la funzionalità, se intendi che quello oggetto sia reale.
La funzionalità arriva sempre dopo no? Viene prima l'episteme che gli dà il vocabolario.
Se ammetti che l'oggetto pixel cambi il mondo, dunque reale in questo senso, l'oggetto non può essere l'attributo della funzionalità, che invece, se ho capito bene è la posizione di Ipazia, e in certo qual modo è anche la tua, se consideriamo il linguaggio come funzionalità (e dunque come pluralità).
Ecco questa pluaralità epistemica è l'evidente negazione dell'assoluto.
Ma allora in fin dei conti ha ragione Aumkaara, l'episteme è un attributo anch'esso della funzione matematica.
Che dunque sarebbe il vero assoluto, che ne pensi?
La mia opinione è invece che tra oggetto e assoluto vi sia un soggetto.
E' dunque il soggetto che è investito dall'oggetto reale, a formare una episteme salvifica.
L'episteme è un attributo del discorso del soggetto cioè. Perciò stante è anche una posizione pluralista.
Se invece isoliamo l'oggetto come oggetto dell'assoluto, allora è necessario pensare un monismo.
Ma ogni monismo deve fare i conti con la funzione della episteme, in senso cioè pluralista.
In questo senso l'assoluto è una necessità per il monismo, che non può accettare un pluralismo delle forme.
Ossia il monista è costretto ad affermare che esista un assoluto.
E nello stesso tempo è costretto a negarlo, in quanto l'episteme da cui parte è una episteme pluralista.
Mi sembra un cane che si morde la coda, ma aspettiamo ulteriori delucidazioni da Ankaara.
Citazione di: green demetr il 07 Ottobre 2020, 21:38:39 PM
Tu stesso cioè ammetti che il pixel oggetto alteri il mondo che circonda, ossia quello saputo.
Ma tale conoscenza avviene solo dopo che hai riconosciuto quell'oggetto.
Dunque l'oggetto viene prima del sapere. Naturalmente la conoscenza dell'oggetto stesso è funzionale alla fondazione dell'episteme da cui partire.
Il «sapere
fatto dall'uomo» (episteme) che «funziona nella realtà» non è in contraddizione con un'«ontologia che funziona», ne è anzi il fondamento; per questo affermavo la priorità dell'episteme (su un'ontologia postulata come assolutistica), poiché «è l'episteme, più o meno raffinata, a individuare ciò che
c'è, astraendolo dalla realtà indistinta e dinamica» (tutte autocit.). Non è il
pixel o qualunque altra identità concettualizzata ad "alterare il mondo" ontologico: essi sono l'unità di misura che
usa il soggetto (o il computer) per relazionarsi con il mondo, conoscendo, agendo, e quindi producendo cambiamenti (ovvero, «
pixel» e «identità» sono categorie epistemiche che
raffigurano la realtà, circoscrivendola, non sono enti ontologici che costituiscono o alterano la realtà).
Una volta che i miei sensi, episteme allo stato brado, individuano il
pixel, l'identità dell'ente, etc. allora può iniziare il discorso ontologico sull'ente, sull'essere dell'ente, etc. Se l'ontologia si basa sull'individuazione di un'
identità (dell'ente, dell'Essere, etc.), è l'episteme a fornirgliela; per dirla parafrasando
Aumkaara (forse oltre le sue intenzioni): è il metodo a fondare il sapere, come è l'individuazione a fondare l'ente. Ogni ontologia regionale ha infatti i suoi enti e i suoi metodi.
Direi quindi che è piuttosto il sapere, strutturato in un'episteme (che spazia dalla mera percezione ai calcoli quantistici) a circoscrivere (prima di descrivere) l'oggetto; prima di (ri)conoscere l'oggetto lo si identifica, e ciò dipende dal paradigma, dal metodo, dall'episteme con cui si guarda alla realtà.
Affermare che l'oggetto venga
prima del sapere che lo individua è una postulazione legittima, ma che
poi si smentisce nella scomposizione analitica dell'oggetto in sotto-oggetti, sovra-oggetti, differenti percezioni/ontologie dell'oggetto (come nel caso dell'immagine scansionata), etc. pluralità di messa a fuoco che rivela la convenzionalità dell'identità dell'ente (e dell'ontologia che essa imposta, per quanto possa risultare di fatto funzionale).
Citazione di: Ipazia
La realtà oggettiva è, esemplificando, singolare (universo), duale (dimorfismo sessuale), plurale (7 miliardi di umani). A ciascuna di queste sezioni del reale corrispondono sistemi con le loro ciclicità (e retroazioni che si diffondono nell'universo) sufficientemente coerenti, con al loro interno processi causali con le caratteristiche elencate da phil, per poterli definire e studiare in quanto sistemi isolati. Sistemi fisici, biologici, sociali,... Questo è quanto.
Quindi, se seguiamo questa suddivisione, la sezione 1, quella ad esempio "dell'universo", di per sé è intrinsecamente singolare, continua, ontologicamente "uno", e non ha pluralità intrinseca, al massimo epistemica, perché questa appartiene ontologicamente solo alla sezione 3, quella dei sette miliardi di persone, o dei fantastilioni di fotoni, ecc., che è intrinsecamente plurale, discreta, ontologicamente "molti", e che non ha unità intrinseca, ma solo epistemica.
Cosa permette che le "retroazioni" tra gli eventi della sezione 3 e la sezione 1 siano regolari, e cosa permette che le "retroazioni" tra gli elementi intrinsecamente plurali della sezione 3 siano altrettanto regolari? Regolari o causali, se si preferisce. Cosa permette di far proseguire la causalità, tra sezioni ed elementi realmente separati? (E senza interventi teologici, esterni o connaturati: non sto cercando di arrivare ad essi, questi NON devono essere introdotti.)
(E senza neanche parlare di forze: questa parola, che è stata introdotta nei contesti scientifici in epoche meno illuminate in cui ancora si ipotizzavano influenze misteriose tra gli elementi naturali, si è rivelata essere il nome dato ad ulteriori enti interagenti: ad esempio la "forza" elettromagnetica altro non è che un'interazione tra i sopracitati fotoni con altri enti discreti, entrambi appartenenti a questa ipotetica "sezione 3".)
Citazione di: green demetr
Ciao Aumkaara, benvenuto nel forum, se prendiamo come problematica la pluralità, vorrebbe dire che siamo alla ricerca di un monismo.
E' corretto?
Ciao! Ti ringrazio!
Sintetizzo in una frase, che è di Ipazia (la nostra, molto più gradita di quella storica, che possiamo conoscere molto meno): la pluralità è ontologica, la singolarità è epistemica.
Personalmente non sto cercando un monismo, sto, quasi alla Nagarjuna, solo cercando di vedere se una tesi del genere regge. Visto che, a sua volta, regge una certa "apologia", o assolutezza, o comunque estrema importanza, data alla scienza; anche se non regge la scienza in sé, perché a mio parere quest'ultima, pur guardando soprattutto alla molteplicità, non ha bisogno (né ha la possibilità, nel suo essere principalmente un metodo) di formulazioni filosofiche per continuare a fare quello che fa (il che non vuol dire che il suo operato non cambi a seconda della filosofia di vita, più o meno consapevole, di coloro che esercitano scienza).
Citazione di: Phil
La stessa ontologia, nonostante la sua velleità di essere asintoticamente veritativa, è discorso umano [...] essendo [...] solo un ideale percepito sempre sotto forma di analitiche "ipotesi di lavoro"
Sì, alla fine possiamo dire che anche l'ontologia di per sé è episteme, un episteme che si occupa della causa invece che degli effetti. D
a questo punto di vista, possiamo dire che causa ed effetto si rivelano entrambi relativi. Però questo non implica dover cadere in un relativismo assolutistico. Ma questo ora non è il caso di approfondirlo, anche se lo avevamo già affrontato in queste stesse pagine.
Per correttezza di citazione:
Citazione di: Ipazia il 04 Ottobre 2020, 16:49:54 PM
Citazione di: Aumkaaral'ignoranza sarebbe lo sfondo da cui emerge tutto, ma lo sfondo sarebbe anche la pluralità.
L'ignoranza è lo sfondo epistemico, la pluralità è lo sfondo ontologico, già diviso di suo senza alcuna postulazione o feticismo.
Citazione di: Aumkaara il 08 Ottobre 2020, 00:06:52 AM
Citazione di: Ipazia
La realtà oggettiva è, esemplificando, singolare (universo), duale (dimorfismo sessuale), plurale (7 miliardi di umani). A ciascuna di queste sezioni del reale corrispondono sistemi con le loro ciclicità (e retroazioni che si diffondono nell'universo) sufficientemente coerenti, con al loro interno processi causali con le caratteristiche elencate da phil, per poterli definire e studiare in quanto sistemi isolati. Sistemi fisici, biologici, sociali,... Questo è quanto.
Quindi, se seguiamo questa suddivisione, la sezione 1, quella ad esempio "dell'universo", di per sé è intrinsecamente singolare, continua, ontologicamente "uno", e non ha pluralità intrinseca, al massimo epistemica, perché questa appartiene ontologicamente solo alla sezione 3, quella dei sette miliardi di persone, o dei fantastilioni di fotoni, ecc., che è intrinsecamente plurale, discreta, ontologicamente "molti", e che non ha unità intrinseca, ma solo epistemica.
Cosa permette alla sezione 1 di avere una "retroazione" regolare con gli eventi della sezione 3, e cosa permette che ci siano "retroazioni" regolari tra gli elementi intrinsecamente plurali della sezione 3? (Senza parlare di forze: questa parola, che viene da epoche meno illuminate, si è rivelata essere il nome dato ad ulteriori enti interagenti: ad esempio la "forza" elettromagnetica altro non è che un'interazione tra i sopracitati fotoni con altri enti discreti, entrambi appartenenti a questa ipotetica "sezione 3".)
L'universo è singolare perchè è il sistema che contiene tutti gli altri sottosistemi. Poichè le forze e particelle elementari in gioco interessano tutti i sistemi vi è tra essi correlazione e retroazione. Ma se un tizio ne uccide altri due perchè sono troppo felici, andare a cercare nei quark (e nelle loro interazioni) di cui essi sono composti la catena causale di tale fatto dovrebbe apparire ridicolo anche al cultore più integralista della realtà non duale. O no ?
.
Citazione di: ipaziaL'universo è singolare perchè è il sistema che contiene tutti gli altri sottosistemi. Poichè le forze e particelle elementari in gioco interessano tutti i sistemi vi è tra essi correlazione e retroazione. Ma se un tizio ne uccide altri due perchè sono troppo felici, andare a cercare nei quark (e nelle loro interazioni) di cui essi sono composti la catena causale di tale fatto dovrebbe apparire ridicolo anche al cultore più integralista della realtà non duale. O no ?
(Nel frattempo avevo modificato il messaggio precedente, ma sostanzialmente è uguale a quello che hai citato.)Per un cultore della realtà non duale, soprattutto se non integralista, NON ci sono i quark (insieme agli elettroni, i fotoni, i gluoni, ecc.) E, CONTEMPORANEAMENTE, i due tizi che "fanno qualcosa" (nel mio esempio si abbracciano 😉). I "due tizi" non sono i "contenitori" dei quark (ecc.). Né i due tizi stanno "in un'altra sezione" rispetto ai quark. Ci sono solo i quark (ecc.) che, visti in modo "sfocato", sensorialmente approssimato, sembrano due corpi compatti e definiti.Se poi guardiamo ancora meglio la molteplicità dei quark (ecc.), vediamo che sono (ipotesi) "tensioni" o "increspature" di un unico "campo". E così via. Discreto e continuo si alternano costantemente, nei diversi gradi di "messa a fuoco".Messa a fuoco di cosa? Come è veramente, quello che appare in tanti modi diversi solo a causa della nitidezza con cui viene visto?
Secondo la tua frase ("la pluralità è ontologica"), sarebbe un qualcosa di plurale. Contenuto però in qualcosa di singolo, come hai cominciato ad affermare da un paio di messaggi. Bene: se questa singolarità è il contenitore della pluralità, in teoria potremmo separare il contenitore dal contenuto. Come sarebbe fatto a quel punto questo contenitore? Da che cosa è costituito? Nell'insiemistica matematica è solo una linea curva che racchiude enti considerati plurali, ma questa linea curva rappresenta solo un'idea (così come sono un'idea gli enti matematici plurali al suo interno). Qui hai invece posto la "sezione 1", la "singolarità", l'universo, come qualche cosa di reale che contiene la pluralità, a quanto pare. O era solo un modo per considerare idealmente tutti in una volta i vari elementi plurali? Spero sia così.
In ogni caso, hai detto, parafrasando, che "poiché gli enti in gioco interessano tutti i sistemi, vi è tra essi correlazione e retroazione": vero, ma non è in esame il fatto che interagiscono, ad essere in esame è: come fanno ad interagire causalmente, con regolarità, visto che sono enti separati
(senza esserci un "contenitore" se non idealmente, spero), che cioè non hanno altro legame se non l'istante in cui interagiscono
: cozzano tra loro una volta e poi via, non hanno niente che faccia proseguire il loro rapporto, e se mai cozzassero di nuovo chissà quando (che lo facciano più volte consecutivamente sarebbe un miracolo) lo farebbero in modo diverso, perché non hanno altro che se stessi e il vuoto in cui si muovono: perché invece riscontriamo regolarità, tra cui la causalità, tra queste interazioni?
Per rispondere a queste domande bisogna fare un viaggio ermenautico a ritroso nella storia evolutiva dell'universo utilizzando la nave migliore di cui disponiamo: la (cono)scienza.
La nube originaria di particelle subatomiche si è consolidata in strutture inedite, "singolari" in senso fisico, governate da forze e tenute insieme da legami che hanno caratteristiche diverse da quelle che riscontriamo nei quark. La prima singolarità evolutiva capace di (s)fondare il muro della realtà è l'atomo che diviene perno di un sistema plurale basato su 92 elementi che si sposano e bisticciano tra loro rimanendo sempre "all'interno del sistema" molecolare che diventa pertanto il luogo di una specifica episteme: la chimica.
Il secondo grande salto che facit Natura, (s)fondando nuovamente il muro della realtà, è l'aggregazione di atomi e molecole in macromolecole particolari, denominate proteine, la cui ulteriore aggregazione secondo modalità ignote a quark e atomi genera la cellula che si aggrega in organismi biologici dotati di una singolarità a sua volta inedita: la vita. Pure tale salto richieda una, o meglio più, epistemi specifiche perchè...
... il terzo grande salto è la presa di autocoscienza degli organismi biologici, la psiche che genererà il quarto, denominato recentemente antropocene, in cui una specifica forma di vita influenza in maniera significativa l'evoluzione del microuniverso laddove riesce ad interagire coi suoi arte-fatti.
Questi salti "quantistici" dell'evoluzione naturale, che una metafisica un po' demodè definì: "conversione della quantità in qualità", non sono convenzioni epistemiche sorrette da metafisiche numerologiche ma eventi reali che hanno inciso profondamente i ta onta generando isole di significato ontologico con proprie peculiari forze e materie agenti, cui razionalmente si accoppiano epistemi specifiche che vanno dalla fisica alla chimica, biologia e psico-logia che possiamo sussumere al complesso delle scienze umane tra le quali spicca anche la filosofia che nell'evoluzione epistemica generale ha dovuto evolversi, con alterne fortune, pure lei.
Come noi tutti, inclusi i vedici, non andiamo da un fisico delle particelle per curarci i denti, altrettanto non possiamo pretendere che una episteme monistica dia ragione di questa complessità plurale del reale il cui sezionamento ha un carattere incontrovertibilmente ontologico.
.
Citazione di: Ipazialegami che hanno caratteristiche diverse da quelle che riscontriamo nei quark
Questo punto è sufficiente. Non potevamo non arrivarci, approfondendo finalmente la domanda: ci sono enti con caratteristiche diverse. Perché? Cosa li rende diversi? (Non importa in che modo specifico sono diversi, le modalità interessano ai metodi scientifici.)
1) è un "fatto bruto": "sono così e basta".
2) è dovuto al fatto che hanno una struttura complessa che è stata modificata tramite interazioni precedenti, ma che originariamente era uguale per tutti.
3) (suggerimenti.)
PS: cito: "
non andiamo da un fisico delle particelle per curarci i denti".Questo è vero solo perché tale fisico non si è ancora occupato di affinare tecniche adeguate; perché, diciamo, ha "la mano troppo pesante", non perché in teoria non possa curare i denti guardandoli per come sono "in realtà" (non proprio, è solo un'osservazione più nitida), cioè come configurazione dinamica di particelle invece che come presunti oggetti compatti e bianchi. Se affinasse i propri metodi, potrebbe comunque curare i denti anche guardandoli nella loro natura più dinamica e meno compatta di come appaiono ai dentisti, e potrebbe fare anche un lavoro molto, molto, molto, molto migliore....usando le nanotecnologie invece del trapano, ad esempio? Non sognano proprio gli scienziati appunto di riparare i corpi con strumenti nanotecnologici che "sistemano" direttamente le particelle (magari non direttamente quark ed elettroni, ma almeno gli atomi sì), in modi che la medicina non potrebbe mai fare?Il fisico poi non deve fare nessun "grande salto" affinché la sua azione sulle particelle "si trasferisca" ai denti. Gli basta affinare gli strumenti, visto che ha già affinato la nitidezza delle sue osservazioni.
Citazione di: Aumkaara il 08 Ottobre 2020, 10:21:52 AM
... ci sono enti con caratteristiche diverse. Perché? Cosa li rende diversi? (Non importa in che modo specifico sono diversi, le modalità interessano ai metodi scientifici.)
Le condizioni di stato del sistema. Ovvero i parametri fisico-chimico-biologico-psichici che rendono possibile l'esistenza del sistema. Non basta mettere in un barattolo C,H,O,N,P,... per produrre un sistema biologico, così come non bastano tutti i quark di Ginevra per produrre un assassino.
Salve Ipazia.
Citazione di: Ipazia il 08 Ottobre 2020, 11:02:40 AMCitazione di: Aumkaara il 08 Ottobre 2020, 10:21:52 AM
... ci sono enti con caratteristiche diverse. Perché? Cosa li rende diversi? (Non importa in che modo specifico sono diversi, le modalità interessano ai metodi scientifici.)
Le condizioni di stato del sistema. Ovvero i parametri fisico-chimico-biologico-psichici che rendono possibile l'esistenza del sistema. Non basta mettere in un barattolo C,H,O,N,P,... per produrre un sistema biologico, così come non bastano tutti i quark di Ginevra per produrre un assassino.
Come voli basso ! Talmente basso che ti invito a stare attenta a non restare impigliata nella recinzione della Tavola degli Elementi.Io la penso esattamente come te ma, dal mio diverso punto di vista (annebbiato perchè ho sempre la testa tra le nuvole), preferisco
formulare come : "la diversa forma del sistema momento per momento, cioè la magari uguale quantità di ingredienti del sistema disposto però in modi (forme, e quindi insieme di relazioni) sempre diverse".
E la forma non è la sostanza. Saluti.
Citazione di: IpaziaLe condizioni di stato del sistema. Ovvero i parametri fisico-chimico-biologico-psichici
Spiegata così, è la risposta di un informatico. Invece che col nome di "programmi" o "softwares", i parametri vengono chiamati "fisica", "biologia", ecc., ma messa così si interrompe la ricerca ponendo delle influenze "a priori" che ordinano il modo in cui sono fatti gli enti. Il che non solo rende superfluo che gli enti siano essenzialmente plurali o meno, ma pone l'intervento di principi ordinatori: un software, quindi un programmatore. È una parafrasi del concetto di divinità. Non va bene.
Forse potremmo togliere l'impressione che l'argomento sia andato ad ipotizzare "programmi pre-impostati", spiegando più approfonditamente (un po' come avevi fatto nel messaggio precedente, ma senza introdurre il concetto di ambiti, o di "sezioni" di esistenza), ipotizzando cioè che questi fattori dipendano comunque dalla forma degli enti, e non viceversa: le interazioni trasformano gli enti in un certo modo, che è quella forma che da quel momento in poi gli farà avere interazioni di tipo nuovo (a cui noi diamo nomi diversi: interazione fisica, biologica, ecc.).
Avremmo risolto la prima domanda (come fanno le interazioni ad essere regolari: grazie alla struttura specifica degli enti interagenti), e avremmo risolto anche la seconda domanda emersa: come è la struttura degli enti interagenti? La struttura degli enti interagenti è complessa, quindi modificabile. C'è però così un problema di fatto bruto anche in questo caso: cosa fornisce una struttura complessa agli enti? Sono "così e basta"? Non potrebbero essere ulteriormente dei costrutti di "mattoni ultimi senza struttura"? (Molteplici, ovviamente, visto che siamo partiti dalle tue premesse.)
Nell'analisi di un qualsiasi sistema, due sono i possibili approcci:
* Analisi entità-relazioni
* Analisi funzionale
Se ne sceglie uno, demandando l'altro a verifica dei risultati man mano ottenuti.
Personalmente preferisco impostare l'analisi attraverso lo studio delle entità e delle loro relazioni.
Si definiscono le entità e i loro attribuiti, descrivendo le relazioni che ne fanno un sistema.
Poi, attraverso l'analisi funzionale, si verifica il modello che verrà rifinito nelle sue entità-relazioni e così via...
Sino a che la modellazione raggiunta risulti sufficientemente attendibile.
Ciò che è implicito in ogni modello, e un sistema è tale solo in quanto modello, è che esso si regge su ciò che è dato per scontato.
Queste "verità" scontate sono necessariamente presenti nel modello ma non ne sono in alcun modo confermate. Sono dei postulati.
La geometria euclidea, per esempio, è un sistema che si regge su 5 postulati.
È una costruzione complessa e armonica che tuttavia non dimostra alcuno dei propri postulati.
Di più... la geometria euclidea è tutta racchiusa in questi suoi postulati! Nessuna autentica verità vi è aggiunta.
Chi conduce un'analisi dovrebbe sempre tenere presente i postulati che la permettono.
E che questi postulati necessariamente sono nel sistema in esame e pure non ci sono. Nel senso che non fanno parte di alcuna sua entità o relazione. Non sono perciò "spiegati" dal sistema stesso.
Se si scambia per postulati, ciò che è invece mera entità o relazione all'interno del sistema in esame, si fa cattiva analisi. Ci si immagina un modello inconsistente, slegato dalla realtà.
Per esempio, la sfericità della Terra non fonda il sistema terra, ma è solo una relazione tra entità in esso incluse.
Perché il sistema terra comprende anche il cielo.
Non è forse evidente?
È invece la tridimensionalità dello spazio ad essere fondamento del sistema terra. Ed è questo infatti a permettere di dedurre la sfericità della Terra.
L'analisi richiede ben altro approccio.
Chiedersi per esempio cosa significhi "che c'è", cosa significa esserci? Quale la differenza con essere?
Che c'entra il sapere che qualcosa c'è con il suo stesso esserci?
Per anche solo abbozzare un'analisi è indispensabile la fede nella Verità.
Chi rifiuta questa fede non può fare neppure un passo nell'analisi di alcunché.
Citazione di: Aumkaara il 08 Ottobre 2020, 11:57:55 AM
Citazione di: IpaziaLe condizioni di stato del sistema. Ovvero i parametri fisico-chimico-biologico-psichici
Spiegata così, è la risposta di un informatico. Invece che col nome di "programmi" o "softwares", i parametri vengono chiamati "fisica", "biologia", ecc., ma messa così si interrompe la ricerca ponendo delle influenze "a priori" che ordinano il modo in cui sono fatti gli enti. Il che non solo rende superfluo che gli enti siano essenzialmente plurali o meno, ma pone l'intervento di principi ordinatori: un software, quindi un programmatore. È una parafrasi del concetto di divinità. Non va bene.
Certo che non va bene perchè è una caricatura del mio pensiero, spinto lungo un piano inclinato arbitrario a partire da una risposta improntata alla sintesi. Vi sono due limiti a questa caricatura. Il primo è la nostra limitata conoscenza dei processi deterministici che obbliga ad un costante perfezionamento delle conoscenze e il secondo è che aumentando i gradi di libertà degli enti nel passaggio dal fisico-chimico al biologico al biologico autocosciente aumenta anche il grado di indeterminazione del sistema e la sua resistenza a calcoli e previsioni.
CitazioneForse potremmo togliere l'impressione che l'argomento sia andato ad ipotizzare "programmi pre-impostati", spiegando più approfonditamente (un po' come avevi fatto nel messaggio precedente, ma senza introdurre il concetto di ambiti, o di "sezioni" di esistenza), ipotizzando cioè che questi fattori dipendano comunque dalla forma degli enti, e non viceversa: le interazioni trasformano gli enti in un certo modo, che è quella forma che da quel momento in poi gli farà avere interazioni di tipo nuovo (a cui noi diamo nomi diversi: interazione fisica, biologica, ecc.).
Avremmo risolto la prima domanda (come fanno le interazioni ad essere regolari: grazie alla struttura specifica degli enti interagenti), e avremmo risolto anche la seconda domanda emersa: come è la struttura degli enti interagenti? La struttura degli enti interagenti è complessa, quindi modificabile. C'è però così un problema di fatto bruto anche in questo caso: cosa fornisce una struttura complessa agli enti? Sono "così e basta"? Non potrebbero essere ulteriormente dei costrutti di "mattoni ultimi senza struttura"? (Molteplici, ovviamente, visto che siamo partiti dalle tue premesse.)
Qui il discorso è abbastanza confuso. I "mattoni ultimi senza struttura" restano mattoni in assenza di una struttura. Un ente si costituisce con le materie prime (i mattoni) + la struttura + i processi funzionali che permettono l'esistenza e sopravvivenza dell'ente.
Citazione di: Ipaziadue limiti a questa caricatura. Il primo è la nostra limitata conoscenza dei processi deterministici che obbliga ad un costante perfezionamento delle conoscenze e il secondo è che aumentando i gradi di libertà degli enti nel passaggio dal fisico-chimico al biologico al biologico autocosciente aumenta anche il grado di indeterminazione del sistema e la sua resistenza a calcoli e previsioni.
Quindi è la nostra ignoranza a portarci alla conclusione che c'è un passaggio da un ambito-sezione con certe regole ad un altro ambito-sezione con regole diverse?
CitazioneQui il discorso è abbastanza confuso. I "mattoni ultimi senza struttura" restano mattoni in assenza di una struttura. Un ente si costituisce con le materie prime (i mattoni) + la struttura + i processi funzionali che permettono l'esistenza e sopravvivenza dell'ente.
A me risulta che i mattoni abbiano una struttura: parallelepipeda, più o meno solida, ecc. Quelli della materia, quelli più fondamentali, hanno struttura?
Ciao Green Demetr,
"L'analisi delle relazioni richiede la premessa delle sue causazioni.
Dunque se il mondo è un sistema, il mondo è un principio delle sue causazioni.
E' corretto?"
Da quanto riesco a comprendere, con "sue causazioni" intendi le cause dell'analisi.
Ossia il motivo per cui avviene un'analisi.
Perché si fa una analisi?
Il perché non può che essere etico.
Il mondo è sistema per il soggetto.
In quanto sistema onnicomprensivo, può essere considerato il principio di ogni possibile analisi.
Tuttavia questo principio non è sufficiente a far avviare la ricerca.
Perché in se stesso è vuoto di senso.
Il mondo è solo il gioco da giocare, con i suoi giocatori e le sue regole.
Ma il senso, la motivazione per l'analisi la può dare solo il soggetto.
Soggetto, che è a tutti gli effetti assolutamente solo.
È infatti il figlio unigenito.
Citazione di: Aumkaara il 08 Ottobre 2020, 14:59:55 PM
Citazione di: Ipaziadue limiti a questa caricatura. Il primo è la nostra limitata conoscenza dei processi deterministici che obbliga ad un costante perfezionamento delle conoscenze e il secondo è che aumentando i gradi di libertà degli enti nel passaggio dal fisico-chimico al biologico al biologico autocosciente aumenta anche il grado di indeterminazione del sistema e la sua resistenza a calcoli e previsioni.
Quindi è la nostra ignoranza a portarci alla conclusione che c'è un passaggio da un ambito-sezione con certe regole ad un altro ambito-sezione con regole diverse?
No, è la nostra conoscenza della specificità dei processi. L'angolo buio riguarda semmai il momento del passaggio, ad esempio tra la materia inanimata e quella animata, ma la differenza "sistematica", una volta avvenuto il salto, è chiara&distinta.
CitazioneCitazioneQui il discorso è abbastanza confuso. I "mattoni ultimi senza struttura" restano mattoni in assenza di una struttura. Un ente si costituisce con le materie prime (i mattoni) + la struttura + i processi funzionali che permettono l'esistenza e sopravvivenza dell'ente.
A me risulta che i mattoni abbiano una struttura: parallelepipeda, più o meno solida, ecc. Quelli della materia, quelli più fondamentali, hanno struttura?
Chiedilo ai fisici. Io sono chimica. Gli atomi hanno una struttura formata dal nucleo (protoni, neutroni) e dagli elettroni negli orbitali di valenza. Le particelle subatomiche non sembrano strutturate, anche se l'entanglement evidenzia una correlazione tra particelle subatomiche fino alla magnitudo fotonica, la cui episteme è in progress.
Citazione di: IpaziaNo, è la nostra conoscenza della specificità dei processi. L'angolo buio riguarda semmai il momento del passaggio, ad esempio tra la materia inanimata e quella animata, ma la differenza "sistematica", una volta avvenuto il salto, è chiara&distinta.
Non stavamo parlando della specificità dei processi, quella riguarda il fatto che esistono delle interazioni, e di vario tipo. Esistenza mai stata qui messa in discussione.
Era invece in discussione quale fosse il motivo della regolarità di tali interazioni; ma, se questo motivo era deducibile dalla connessione tra presunti ambiti o sezioni di esistenza, non possiamo indagare perché tale connessione tra tali sezioni non ha spiegazione (e, tra l'altro, senza una spiegazione l'esistenza di ambiti-sezioni veramente diversi rimane molto ipotetica, al di là dell'evidenza sensoriale). Dobbiamo tornare all'altro percorso d'indagine:
CitazioneChiedilo ai fisici. Io sono chimica. Gli atomi hanno una struttura formata dal nucleo (protoni, neutroni) e dagli elettroni negli orbitali di valenza. Le particelle subatomiche non sembrano strutturate, anche se l'entanglement evidenzia una correlazione tra particelle subatomiche fino alla magnitudo fotonica, la cui episteme è in progress.
Se un chimico non può completare e quindi dimostrare un discorso filosofico, allora perché ha enunciato conclusioni filosofiche come "la pluralità è ontologica, la singolarità epistemica"? Al massimo può enunciarlo come ipotesi scientifica su cui lavorare con strumenti tecnoscientifici, ma qui, in ambito filosofico, da proporre come sostituzione di altre filosofie, non ha valore senza dimostrazione filosofica, è solo un enunciato di fede basato su esperienze sensoriali e scientifiche in progress, incomplete.
Il motivo ontologico della regolarità di certi processi è: perchè è così. Il motivo epistemico di tale regolarità è che un ente razionale le ha scoperte e misurate. Ipazia enuncia proposizioni filosofiche perchè si occupa anche di filosofia e coi ta onta (plurali anche in greco) ci vive quotidianamente. Non risponde a domande sulla struttura delle particelle subatomiche perchè è una questione specialistica di cui ha solo una idea generale, ma non molto lontana dal vero ed infatti ho accennato ad una risposta anche in quel caso. Per maggiori ragguagli chiedi ad un fisico.
L'ignoranza è epistemica, non la singolarità (fisica) che è ontologica mentre la singolarità dell'universo ha entrambi i caratteri. E' postulata e insieme definisce un ente particolare nella sua unitarietà. Tutte le esperienze scientifiche sono in progress, con gradi diversi di maturità e certezza. Un enunciato scientifico non postula l'Assoluto e se postula l'Assoluto non è scientifico. E, a mio vedere, neppure filo-sophico, col senno di ora.
.
Citazione di: IpaziaIl motivo ontologico della regolarità di certi processi è: perchè è così
Un fatto bruto. Un mistero insondabile. Sia fatta la sua volontà...
CitazioneIpazia enuncia proposizioni filosofiche perchè si occupa anche di filosofia
Che va approfondita fino a trovare spiegazioni definitive (spiegazioni, non enunciati basati su "è così"), almeno nella cornice dei propri presupposti (altrettanto filosofici, anche se deducibili da altri contesti). Altrimenti, è teologia, o un'evidenza su cui basare un'ipotesi per un lavoro scientifico (che potrebbe anche confutarla).
All'interno della sua sistematicità il mistero è stato sondato alla grande, senza postulare verità assolute che si lasciano alla patametafisica. I miei presupposti filosofici sono sufficientemente consistenti da cogliere le aporie scientifiche e filosofiche della non dualità a gradi diversi di definizione di ammassi indifferenziati di quark.
Se non sa spiegarsi attraverso un'inchiesta ma si deve fermare proponendo fatti bruti, una filosofia non è sufficiente a cogliere niente in altre filosofie, ma solo a porsi ad esse come lo farebbero dichiarazioni quali "la verità è nel vangelo, lo dice il vangelo!".
I "fatti bruti" sono lo spazio dei dati di fatto (Tatsachenraum *) che costituiscono il mondo a partire dai quali soltanto si può produrre un sapere, di qualsivoglia genere, fondato e dicibile.
*(1.13 I fatti nello spazio logico sono il mondo. Tractatus log.phil. L.Wittg.)
Se così fosse, dovremmo prendere come dato di fatto tutte le evidenze: "è evidente che il sole si muove e noi siamo fermi"...
Mettendolo in dubbio, si è potuto sperimentare ben altra esperienza.
È la filosofia che mette in dubbio i presunti dati di fatto (e la sperimentazione fornisce l'esperienza delle teorie alternative formulate, esperienza sensoriale o coscienziale che sia), ma non è possibile fare una filosofia adeguata a ciò, se i fatti bruti non si tolgono prima di tutto da essa. Ne risulterebbe una filosofia distorta e parziale che condurrebbe a sperimentazioni altrettanto distorte e falsate (ma comunque esperibili, in un rafforzamento ciclico di verità distorte): una "verità" di fede ("questo è così") conduce a sperimentare "prove" di fede...
I fatti bruti sono in ogni caso la base fondativa del nostro sapere. Vanno "abbelliti" attraverso l'analisi che li liberi dagli aspetti ingannevoli, i quali sono comunque dati di fatto nella loro virtualità. L'approfondimento della conoscenza e lo scarto dei "falsi positivi" genera una datità epistemica variabile che dovrebbe mettere in guardia chiunque si avventuri nella postulazione dell'Assoluto.
Chi si avventura a cercare davvero un assoluto, a prescindere che sia trovabile oppure no, affronta filosofie atte proprio a cancellare ogni fatto bruto, ogni pretesa evidenza. Quando invece non si hanno dubbi, quando si prende qualcosa per dato di fatto, vuol dire che si ha fede in ciò che si vede: se è questa la conoscenza, o per lo meno la base della conoscenza, allora si è uguali ad un religioso, anche se non nell'apparenza.
Per me non è un problema.
È invece un problema pensare di non esserlo: porta a pensare che gli altri siano gli unici illusi.
Tu puoi appiccicare le etichette che vuoi, ma su cos'altro che sui fatti può essere fondata una conoscenza non teologica ?
Evita il giochetto spiritista della realtà apparente, perchè qui stiamo parlando di fatti che sono stati analizzati e accreditati, per giunta fino a falsificazione e non aprioristicamente, allo stadio epistemico storicamente dato. Ed hanno funzionato persino, con complicati calcoli, anche su presupposti teoretici che poi si sono rivelati sbagliati, come insegna la storia della teoria geocentrica.
Ma quella che hai proposto tu È una conoscenza teologica, oppure un presupposto su cui basare tutte le esperienze e le misurazioni che si vuole, non per questo vere (se bastasse misurare per avere delle verità definitive, ci saremmo potuti fermare a misurare il "moto del sole nella cupola del cielo": è misurabile anche se apparente). Ma non è filosofia. In caso contrario, avresti potuto continuare ad indagare, senza nessun "è così". Tutto è ulteriormente indagabile. Lo fa anche la filosofia che anima la scienza. Non ci sono dati assoluti (non lo è neanche l'affermazione "tutto è apparenza" dei non dualisti religiosi). Non ci sono dati inconfutabili.
Ripeto la domanda:
Su cos'altro che sui dati (episteme) di fatto (ta onta) può essere fondata una conoscenza non teologica, non fideistica, epistemologicamente fondata ?
La filosofia è conoscenza ? Se sì, che tipo di conoscenza è ?
Ho già risposto: una conoscenza non teologica è fondata proprio sul mettere in dubbio i dati.
(La filosofia è solo un metodo che aiuta a fare ciò.)
Mi pare poco. Niente sintesi, Bildung, etica ?
Tizio uccide Caio al di là di ogni dubbio fattuale e la filosofia se ne sta muta perchè non ha nulla da dire ? Riduzione della filosofia alla pars destruens critica (peraltro cosa indubbiamente meritevole) ?
A te pare poco? È anche troppo. L'ideale sarebbe non aver bisogno neanche della filosofia, che è un metodo lungo, complesso e rischioso, molto più di quello scientifico, per non parlare di quello fideista. Ma prima di rinunciarvi, va considerato che ci muoviamo in quello che ci viene spontaneo interpretare come un mare di dati senza fine, portandoci dietro anche l'innata tendenza a dogmatizzarli, anche solo inconsciamente.
Citazione di: Aumkaara il 08 Ottobre 2020, 20:01:52 PM
A te pare poco? È anche troppo. L'ideale sarebbe non aver bisogno neanche della filosofia, che è un metodo lungo, complesso e rischioso, molto più di quello scientifico, per non parlare di quello fideista. Ma prima di rinunciarvi, va considerato che ci muoviamo in quello che ci viene spontaneo interpretare come un mare di dati senza fine, portandoci dietro anche l'innata tendenza a dogmatizzarli, anche solo inconsciamente.
Sì, é poco. E prima di rinunciarvi dobbiamo tenere conto che
non ci muoviamo solo in un mare di dati, ma pure di
domande senza fine, alle quali se non risponde la filosofia rispondono le bandiere nere dell'ISIS. Com'è avvenuto per millenni dalla condanna a morte di Socrate, Ipazia, Bruno,... in poi.
Citazione di: Ipazia il 08 Ottobre 2020, 19:14:49 PM
Ripeto la domanda:
Su cos'altro che sui dati (episteme) di fatto (ta onta) può essere fondata una conoscenza non teologica, non fideistica, epistemologicamente fondata ?
La filosofia è conoscenza ? Se sì, che tipo di conoscenza è ?
Citazione di: Aumkaara il 08 Ottobre 2020, 19:21:24 PMHo già risposto: una conoscenza non teologica è fondata proprio sul mettere in dubbio i dati.(La filosofia è solo un metodo che aiuta a fare ciò.)
Scasate se mi intrometto, ma una conoscenza può essere fondata sui principi, come nel caso della filosofia. Un tipo di conoscenza razionale.
Citazione di: Ipazia
Sì, é poco. E prima di rinunciarvi dobbiamo tenere conto che non ci muoviamo solo in un mare di dati, ma pure di domande senza fine, alle quali se non risponde la filosofia rispondono le bandiere nere dell'ISIS. Com'è avvenuto per millenni dalla condanna a morte di Socrate, Ipazia, Bruno,... in poi.
Allora non rinunciamoci. Usiamola contro ogni dato di fatto o evidenza.
Citazione di: LouScasate se mi intrometto, ma una conoscenza può essere fondata sui principi, come nel caso della filosofia. Un tipo di conoscenza razionale.
Sì, anche la filosofia può basarsi su dei principi, ma solo per porsi domande, persino sugli stessi principi posti alla base delle domande, persino sullo stesso filosofare. E se queste domande conducono a mettere in dubbio sia i principi razionali che abbiamo posto, sia la filosofia stessa, non ci si deve comunque fermare, si devono porre domande comunque, si deve dubitare su qualunque pretesa di granitica conoscenza, su qualunque risultato che appaia certo, su qualsiasi metodo si sia rivelato datore di certezze. Dubbi su tutto, senza che lo scetticismo intacchi le emozioni, e senza che queste rallentino o facciano deviare la pratica del dubitare. Qualunque altra pratica che sembri filosofia ma non dubiti in questo modo, non è filosofia, è costruzione di metodologie o di credi.
Ciao a Tutti! ;D
Sono Dante il Pedante :)
Sono ritornato perché so perdonare. Fino a settante volte sette. E così,anche se sono stato censurato ingiustamente ritorno perché ho visto che vi manco ;)
Questo ho scritto sul tema:
E' un circolo vizioso.Perché si stabilisce a priori l'unico metodo accettabile (quello scientifico).E' un cane che si morde la coda. Sarebbe come se un pescatore stesse pescando in un corso d'acqua dove ci sono trote e altre specie di pesci d'acqua dolce.Arriva qualcuno che, vedendolo pescare, gli dice:"Potrebbe darsi che, in questo corso d'acqua, ci siano anche altri tipi di pesci, oltre alle trote.Che ne dici?". Ma il pescatore usasse per pescare solamente canna e piombi adatti alla pesca della trota e così, piccato, rispondesse:"Amico, prova tu a pescare con questa canna, e vedrai che esistono solo trote in questo corso d'acqua". Giustamente,però.l'altro obietterebbe:"Forse, però, bisogna usare un'altra canna e altri piombi per vedere se ci sono altre specie di pesci.Con questa,è evidente che potrai pescare sempre e solo trote".
Il pescatore, con la mente costruita da sempre per pescare solo trote, seccato per l'interruzione direbbe: "Allora, fammi vedere questa nuova canna".
" Ma tu sei disposto a usarla, se te la faccio vedere?" risponderebbe il passante.
"NO! E' una cosa ridicola.lasciami in pace ora, che devo continuare a pescare le trote!" :blank:
Dante il Pedante, io ti adoro, con quell'esempio.
Comunque, anche la filosofia si morde la coda. Solo che poi non si accontenta, a differenza degli altri automorsicatori: si divora pian piano tutta, e divora anche (i principi e le conclusioni su cui si basano) gli altri metodi.
Salve Dante. A me mancavi. Effettivamente siamo nel regno degli equivoci. Il pescatore di cui parli si trova lungo un fiume circondato da un bosco al cui interno si aggira un certo Merletti, armato di fucile. Incontrato il pescatore, il cacciatore si sente chiedere : "che caccia ?".........al che questi risponde : "merluzzi".
Naturalmente il pescatore pensa che il cacciatore sia completamente pazzo, visto che i merluzzi sono pesci di mare e comunque non si pescano col fucile.
Non sa che il cacciatore sta cercando solamente dei merli molto giovani.
Comunque, dal tono della presente discussione, mi sembra di notare che la verità circa gli argomenti trattati si stia avvicinando a grandi passi. Speriamo di non sbagliarci.
Nota per Aumkaara : "Se così fosse, dovremmo prendere come dato di fatto tutte le evidenze: "è evidente che il sole si muove e noi siamo fermi"...
Mettendolo in dubbio, si è potuto sperimentare ben altra esperienza"
Non abbiamo sperimentato nulla. abbiamo solo deciso di cambiare il riferimento relativo agli osservabili spostamenti. Quindi di evidente non c'era nulla prima e non c'è stato nulla dopo. Saluti.
Sì Viator, ma questo è quello che si comprende con la filosofia (e che va a sua volta messo in dubbio, anche solo per non farlo diventare formulazione granitica*, magari proprio parlando con chi ha certezze): che, tutto quello che crediamo sia conoscenza certa, dipende dal punto di vista, e non da una presa effettiva di pezzi di realtà. Ma stavo parlando ad Ipazia che mi diceva che i risultati scientifici sono dati di fatto, quindi cercavo di spiegarmi uscendo dalla sua cornice passo passo, in quel caso (avendo già visto che non vengo compreso se dichiaro che tramite la scienza non ci sono scoperte di parti di una realtà frammentaria; ma solo formulazioni, variabili a seconda del punto di osservazione, di una realtà non definibile né come frammentaria né come unitaria, né come un insieme delle due possibilità, con buona pace sia del principio del terzo escluso, sia di qualunque altro principio escludente o includente. I principi e le conclusioni possono essere guide in certi ambiti, non possono incorniciare il reale, non possono esserne superiori).
*PS: quindi è bene mettere in dubbio ogni tanto persino quello che dici nella firma dei tuoi post.
Citazione di: Lou il 09 Ottobre 2020, 09:32:01 AM
una conoscenza può essere fondata sui principi, come nel caso della filosofia. Un tipo di conoscenza razionale.
Andrei anche oltre fino ad affermare che tanto la filosofia quanto la scienza (quanto la filosofia della scienza e le scienze filosofiche) si fondano più sui principi (del metodo, del paradigma, etc.) che sui dati, poiché ogni dato è (in)formato dai principi metodologici (e prospettici) di chi se ne occupa. Come si suol dire, la realtà viene fatta a fette a seconda del coltello che si usa, dalla mano che lo stringe e dalla mente che la guida.
Ciò non significa certo che la realtà in sé sia "creata" da principi o idee umani, ma solo che nel rapportarci al mondo vediamo categorie se siamo uomini, vediamo
pixel se siamo computer, vediamo altro se siamo altro; il metodo condiziona il risultato (come ben rappresentato dalle scene di pesca e caccia di
Dante e
Viator); senza che ciò comprometta una fruizione funzionale e
funzionante del mondo (funzionalità pragmatica che ci conferma che un paradigma non vale l'altro, ma ce ne possono essere molteplici).
Il famigerato "mito del dato" (Sellars) appartiene ad una "mitologia (non teologia)" umanistica e corrispondentista che è quanto di più ontologicamente spontaneo e legittimo possa esserci per un pensatore umano: la ragione intersoggettiva non può che produrre convenzionalità euristica, con il rischio di confondere la sintesi passiva (Husserl) con la neutralità cognitiva (confondere il darsi degli oggetti con il riceverli senza de
formazioni dovute al proprio esser-uomo). Tuttavia, nella consapevolezza di tale mitologia esplicativa (prima che produttiva/performativa), l'ontologia diventa, secondo me, una questione di conoscenza fruibile, non di conoscenza assoluta e perfetta (come anelato dalla cultura antropocentrico-umanista, ancora ben pulsante, nata prima dell'autocomprensione analitica e "meta-umanista" del tardo novecento).
Non può essere certo accusata di feticismo del dato una filosofia che rifiuta le postulazione dell'assoluto e non ha bisogno nemmeno dei maestri con la matita rossa e blu. Una visione del mondo relativista conosce bene la relatività del dato e le interferenze della mediazione tra osservatore e osservato.
I puntini sulle i, e la ricerca di fondamenti più solidi, sono derivati dalla contingenza di chi confonde un assassino con una aggregazione di quark, generando quella famosa notte in cui tutte le vacche sono nere.
Anche i mandriani notturni di vacche nere alla fine necessitano di punti di gravità (semi)permanenti e li vanno a cercare nella cultura antropocentrica al netto di tutte le raffinatezze filosofiche pre e post qualcosa.
Lo spazio dei dati di fatto non ha bisogno di maestrini scettici che segnano il passo sul post(o) rimasticando se stessi e la loro assolutistica scepsi, ma di critica epistemologica che cessa laddove il dato impone euristicamente se stesso e può riprendere ad operare solo dopo che un altro dato ha falsificato il primo. La realtà epistemica opera così a prescindere da tutti i metadiscorsi che ci si possano fare sopra. I quali pure dipendono dal dato, pur nel travestimento di principi, paradigmi, metodi, ecc. che si guadagnano la pagnotta solo nella loro quotidiana dimostrazione di funzionare, fosse pure per tirare la carretta sgangherata di una superstizione fuori corso.
Tornando al significato del fare filosofia, rimando alla considerazione finale del pensatore che, all'inizio della sua riflessione, ha chiamato mondo
lo spazio dei dati fatto:
Citazione6.52 Noi sentiamo che anche qualora tutte le possibili domande scientifiche avessero avuto risposta, i problemi della vita non sarebbero stati ancora neppure toccati. Certo, allora non resta più domanda alcuna, e questa appunto è la risposta.
Se non resta più alcuna domanda, in cosa consiste la risposta ?
.
Sono Dante :)
Secondo me se ogni visione è preordinata dal metodo non significa affatto che non c'è un Assoluto ma semplicemente che non c'è un Assoluto rinchiudibile(identificabile) in un metodo umano.L'Assoluto può solo rivelarsi all'uomo in questo casoE infatti è ciò che avviene.
Citazione di: IpaziaSe non resta più alcuna domanda, in cosa consiste la risposta?
Lo ha già detto quel pensatore citato: la risposta è l'assenza di domande. O meglio, visto che non ci sarà mai un arresto delle domande: la risposta è nel fatto che le domande, anche se inevitabili, sono inutili per cogliere la realtà, essendo senza fine.
Sui differenti modi di intendere la filosofia, usando immagini dal (defunto) sito projectcartoon.com (che lasciava personalizzare le didascalie), propongo questo poster (cliccarci per ingrandirlo):
(https://i.postimg.cc/2yXchf66/PhilTree.jpg)
Manca solo questo,
(https://www.ilmattino.it/photos/HIGH/70/76/1417076_20151205_bandiera_internet.jpg)
che all'assenza di domande e di filosofi che sappiano rispondere a tale assenza, dà comunque una risposta.
Citazione di: Phil il 09 Ottobre 2020, 12:35:32 PM
Citazione di: Lou il 09 Ottobre 2020, 09:32:01 AM
una conoscenza può essere fondata sui principi, come nel caso della filosofia. Un tipo di conoscenza razionale.
Andrei anche oltre fino ad affermare che tanto la filosofia quanto la scienza (quanto la filosofia della scienza e le scienze filosofiche) si fondano più sui principi (del metodo, del paradigma, etc.) che sui dati, poiché ogni dato è (in)formato dai principi metodologici (e prospettici) di chi se ne occupa. Come si suol dire, la realtà viene fatta a fette a seconda del coltello che si usa, dalla mano che lo stringe e dalla mente che la guida.
[...]
Infatti l'oggetto di indagine della filosofia è per l'appunto determinabile secondo prospettiva e non è "ovviamente dato" come per la scienza. Per quest'ultima, e in ciò si differenzia dalla prima sotto questo aspetto, l'oggetto d'indagine è determinato e ritenuto valido, è il mondo reale
Citazionel'assenza di domande e di filosofi che sappiano rispondere a tale assenza[/size]
Abbiamo già detto che le domande non finiscono mai, al massimo vengono interrotte dagli "è così", oltre che dalle bandiere di appartenenza. 😉
Phil: secondo te perché i metafisici (prima andrebbe però spiegato a chi e a cosa ci si riferisce con questo termine) hanno un'altalena con tre sedili?
Fra le righe, o meglio, fra i sedili, c'è il motto del celebre rasoio «gli elementi non sono da moltiplicare oltre il necessario»; la metafisica (chiaramente generalizzo, almeno tanto quanto ironizzo) ha una tendenza a moltiplicare i "piani" (e le entità); ad esempio: mondo materiale, mondo delle idee e mondo della Trascendenza, Divinità, Assoluto, etc.
La domanda di Aumkaara mi ha fatto notare che forse le immagini del poster (che non vuole certo essere un paper filosofico) risultano più sensate con una spiegazione; quindi, nell'ordine:
dogmatici: l'altalena non oscilla liberamente, c'è un punto (il dogma-tronco) che non può essere superato e da cui si deve partire
poeti: l'altalena è appesa su una struttura insolita, il tronco sembra sospeso e la fruizione non è facile; è affascinante, ma non invitante per tutti (qualcuno direbbe che è troppo complicata e non ce n'era bisogno)
nichilisti: una prospettiva con il sedile per terra, senza slanci verso il cielo, il moto è annichilito dalla mancanza di sollevamento-sollievo
pessimisti: piuttosto eloquente il tema della morte e della sofferenza
docenti: ci si trovano a loro agio, nulla di più comodo e illuminante
buddisti: c'è solo un'ombra, un'apparenza, quasi un'illusione, ma essenzialmente la visuale è vuota (il pluricitato sunyata, lo enso, etc.)
asceti: ardua ascesa di sacrificio fino al ramo su cui appollaiarsi (come facevano i dendriti)
storici: un lungo percorso fra alti e bassi
teologi: l'importante sono le radici, cioè il pensiero antico e medievale; nessuna frivola altalena con cui trastullarsi
tecnofili: l'altalena ha il suo momento di tendenza (emerge candida in contrasto all'albero scuro), un nome moderno e anglofono: iSwing («swing» significa oscillare, preceduto dalla «i», sulla scia di iPod, iPhone, etc.)
esistenzialisti: nell'aria un po' malinconica, sotto un cielo di grigie nubi, sullo sfondo c'è l'Altro, distante ma presente, sebbene possa sciogliersi (solipsismo latente)
antropologi: l'uomo inventa la ruota e le trova anche un uso alternativo, elogio della "plasticità" dei sapiens
inquisitori: le radici (v. sopra) non gradiscono il tronco e i rami; chi ha detto «altalena»?
transumanisti: il meglio deve venire, per ora l'albero è ancora troppo giovane, ma già è "connesso" all'altalena
divulgatori: albero con frutti, altalena comoda e gratis; tutto troppo facile?
panteisti: una delicata farfalla spezza l'altalena, per la natura (sive Deus) il fare umano è caduco e a malapena d'intralcio
postmoderni: delimitata la "scena del (dis)crimine", le altalene (plurale d'obbligo) non sono più fruibili
Salve Phil. Ottimo. Una boccata d'aria fresca che si fa largo tra le fumosità delle troppe dottrine, Salutoni.
A conferma del postulato che un sistema non può vedere se stesso dall'esterno noto che in questo succulento poster mancano i relativisti, che disegnerei con l'altalena appesa sotto un fungo.
.
Giusta osservazione (non ci crederai, ma me l'aspettavo), seppur dovuta ad una mia mancanza esplicativa: ho usato tutte le immagini fornite da quel sito, cercando di trovare gli abbinamenti per ognuna; non ho scelto le immagini in base a chi volessi stigmatizzare, bensì il contrario: sono partito dalle immagini date e ho provato a fare gli abbinamenti senza escluderne nessuna (come dimostra il caso degli inquisitori; non ho trovato di meglio da abbinare al fuoco... forse Eraclito?).
Fra le immagini disponibili non so quale si presterebbe a raffigurare il relativismo; in mia rappresentanza ce ne sono comunque già due (e, detto fra noi, al di là delle etichette altrui, sono quelle in cui mi riconosco di più).
Che poi,guardando con aria serena e distaccata,senza leggere la definizione per non farsi condizionare la testa,credo che un bambino innocente che non sa nulla di filosofia sceglierebbe la seconda immagine,quella dei dommatici perchè di tutte è l'unica che gli permetterebbe veramente di giocare a dondolarsi(anche quella degli antropofaghi ma è scomodissima :D ).Con un incredibile rovesciamento la più odiata dai filosofi diventa la più bella per un bimbo innocente (lasciate che i bimbi vengano a me...meditate gente ,meditate ;) )
Oggetto della scienza è ciò che può essere falsificato.
Mentre l'obiettivo della filosofia è ciò che non può essere falsificato.
Poiché la verità, nell'esserci mondano, è tale solo in quanto negazione di ogni possibile falsità, la scienza si occupa di tutto quello che appare "vero" nell'esserci.
Che poi è tutto quello che c'è.
Esserci è A = A, negazione di ogni possibile non A.
Viceversa la filosofia ambisce alla Negazione della negazione.
Cioè all'Assoluto.
Verità che non necessita di negare alcunché.
Secondo me il compito della filosofia è sopra tutto quello della critica. Infatti notavo che tra i vari alberi mancava quello importantissimo dei criticisti, che non sono relativisti perché sottopongonoa critica ogni pensiero compreso quello relativista :)
Chiedo venia ma manca pure l'albero dei materialisti che, andando al sodo della sua altalenante ma concreta ontologia, sono un'altalena singola appesa ad un ramo; perfettamente fruibile da chiunque entro certi limiti gravimetrici.
Tornando alla filosofia, il suo compito è dare risposta alle domande fondamentali, postate da Paul qualche pagine fa, ad alcune delle quali risponde bene la filosofia naturale (scienza) mentre altre restano esclusivamente nell'ambito della filosofia (morale).
Portando una torcia platonica nella notte in cui tutte le vacche, e le domande, sono nere, si scopre che alcune lo sono meno di altre: 1) da dove veniamo (archè) ? 2) Chi siamo ? (essere) 3) Dove andiamo ? (divenire). Compito di Sophia è rispondere a queste domande in ogni epoca; e in ogni epoca le risposte variano, ma non così risolutamente come le risposte a domande di interesse antropologico inferiore.
Il mio modesto parere è che alla domanda 1 e alla parte materiale della 2 oggi la risposta migliore viene dalla scienza. Mentre la restante parte della 2 e la 3 (escluse le previsioni di tipo deterministico proprie delle metodologie scientifiche) sono di competenza del trascendentale umano, della meta-fisica antropologica. La quale 3 andrebbe rideclinata in: dove vogliamo andare ?, perchè il carattere esistenziale (esserci) della domanda 3 è il nucleo della risposta che ci si attende.
Che nella filosofia il negativo pesi molto, è assodato fin dall'illuminata intuizione: omnis determinatio est negatio. Sulla dialettica della negazione e sul suo doppio salto mortale hegeliano si è detto di tutto da Spinoza ad Adorno, ma vincolarla all'Assoluto mi pare hybris assoluta.
Citazione di: Dante il Pedante il 10 Ottobre 2020, 11:51:58 AM
credo che un bambino innocente che non sa nulla di filosofia sceglierebbe la seconda immagine,quella dei dommatici perchè di tutte è l'unica che gli permetterebbe veramente di giocare a dondolarsi(anche quella degli antropofaghi ma è scomodissima :D ).Con un incredibile rovesciamento la più odiata dai filosofi diventa la più bella per un bimbo innocente (lasciate che i bimbi vengano a me...meditate gente ,meditate ;) )
Eppure mi sembra che quella dei tecnofili prometta bene; ancor meglio quella dei divulgatori... concordo che quella degli "antropofaghi" sia piuttosto scomoda, ai limiti dell'indigesto; quella dei dogmatici è comunque pericolosa per il rischio di schiantarsi sull'albero quando l'altalena torna giù; quella degli asceti potrebbe prestarsi al gioco, ma richiede di saper tenere una solida presa abbastanza a lungo (non è per bambini); quella dei postmoderni è confinata (e sappiamo quanto i bambini amino trasgredire); in alternativa c'è quella dei buddisti che è un prato verde dove scorrazzare. Mi unisco comunque all'invito alla (pre)meditazione.
Sui molti alberi mancanti, non mi resta che ribadire la limitatezza del materiale a disposizione (dichiarando la mia sottintesa incapacità a produrne di nuovo):
Citazione di: Phil il 10 Ottobre 2020, 11:01:56 AM
ho usato tutte le immagini fornite da quel sito, cercando di trovare gli abbinamenti per ognuna [...] senza escluderne nessuna
@IpaziaConcordo sulla generale difficoltà che hanno i sistemi a (auto)valutarsi dall'esterno (perciò un confronto in disaccordo è spesso utile); quando ci provano, talvolta sembra che gli altri sistemi perseverino nell'"andar per funghi", mentre il proprio sistema, ovviamente, è «perfettamente fruibile da chiunque» (con le dovute postille del caso). Ci sarebbe almeno un (meta)sistema che non si pone come migliore degli altri, proprio perché li presuppone (è su un altro piano), rilasciando le sue spore dalla antropologia culturale alla logica formale passando per l'ermeneutica; che sia il sistema dell'accademia dei Puffi?
Compito della filosofia non è dare risposte.
Le risposte le dà la scienza. E sempre e soltanto relativamente ai come.
I perché hanno invece tutto il loro valore nelle domande.
Ed è proprio questo domandare lo scopo della filosofia.
Un domandare senza sosta, analitico, che va in profondità senza mai giungere al fondo.
L'autentica filosofia, essendo ricerca della Verità, conduce alla perdita di ogni certezza. Una perdita ragionata però, risultato di una continua e attenta analisi.
E l'analisi è sofferenza.
In questo modo ci si ritrova là, dov'è il limite.
E dove tocca solo a me decidere, in perfetta solitudine, cosa è Vero.
Ma per svolgere l'analisi occorre aver fede, fede nella Verità.
Dipende che filosofia. Le domande della filosofia richiedono risposte condivise, attraverso la persuasione che per essere sincera deve basarsi sui dati di fatto di cui si occupa pure la scienza. Esaurite (provvisoriamente ) le domande della scienza e ottenute le risposte rimangono inevase le domande sul senso dell'esserci, laddove soltanto la filosofia può dire qualcosa. Preferibilmente di sensato. Per cui si torna alla necessità di chiarezza&distinzione dell'evidenza scientifica. Con una variante mica da poco: la dialettica delle relazioni umane, sovente conflittuale sulla base di interessi ugualmente fondati. Sui quali, ancora una volta, solo la filosofia morale può dare risposte. Giammai assolute, ma le migliori possibili in quel contesto reale.
Salve Ipazia: Citandoti con qualche mia integrazione grassettata: "Portando una torcia platonica nella notte in cui tutte le vacche, e le domande, sono nere, si scopre che alcune lo sono meno di altre: 1) da dove veniamo (archè) ? 2) Chi siamo ? (essere) 3) Dove andiamo ? (divenire) 3A) Dove finiremo ? (arrivare) 3B) Dove vorremmo finire ? (nostro arbitrio ?). Compito di Sophia è rispondere a queste domande in ogni epoca; e in ogni epoca le risposte variano, ma non così risolutamente come le risposte a domande di interesse antropologico inferiore.
Il mio modesto parere è che alla domanda 1 manchi sia la risposta di Sophia che di Gnosi (veniamo dalla nebbia in Val Padana) e alla parte materiale della 2 oggi la risposta migliore viene dalla scienza. Mentre la restante parte della 2 e la 3 (escluse le previsioni di tipo deterministico proprie delle metodologie scientifiche) sono di competenza del trascendentale umano, della meta-fisica antropologica. Per la 3A vale sempre la meteorologia della Val Padana ed infine la eventuale 3B: (dove vogliamo andare dove vorremmo finire ?) sarebbe la versione esistenziale della domanda 3 solo nel caso in cui si supponga l'esistenza del libero arbitrio.
Saluti.
Parlando di domande fondamentali, è manualistico ricordare che, a suo tempo, Kant ne individuò quattro: cosa posso conoscere (ontologia, gnoseologia)? Cosa devo fare (etica, politica)? Cosa è lecito sperare (sentimento estetico e te(le)ologia)? Cos'è l'uomo (antropologia)?
L'ultima mi sembra essere la più "retroattiva", condizionante e fondante.
Concordo, l'ultima é in condominio tra filosofia naturale e morale, scienza ed etica, physis ed ethos.
Gnoseologicamente essa é la domanda fondativa dell'universo antropologico.
La cui risposta é misura di civiltà nell'agire la variabile dipendente (ethos) rispetto a quella indipendente (physis).
cit Phil del 8 ottobre
"Il «sapere fatto dall'uomo» (episteme) che «funziona nella realtà» non è in contraddizione con un'«ontologia che funziona», ne è anzi il fondamento;"
Si se ne facciamo una questione del funzionamento, ma allora appunto ribadisco, dunque l'oggetto è un attributo della matematica.
A questo punto entriamo nel solipsismo però.
Direi che invece ci sarebbero Locke, Kant, e infine Husserl, a prevenire un simile abuso del pensiero.
Naturalmente se invece la questione è legata al mero funzionalismo, e non all'oggetto, allora saremmo in un ambito dove il concetto di assoluto è un assoluto relativo.
Ma senza assoluto nessun pensiero della morte e dunque della vita.
In ultima analisi questo pensare è anche un invito a non pensare, in assoluto.
Citazione di: bobmax il 08 Ottobre 2020, 15:21:11 PM
Perché si fa una analisi?
Il perché non può che essere etico.
Il mondo è sistema per il soggetto.
In quanto sistema onnicomprensivo, può essere considerato il principio di ogni possibile analisi.
Tuttavia questo principio non è sufficiente a far avviare la ricerca.
Perché in se stesso è vuoto di senso.
Il mondo è solo il gioco da giocare, con i suoi giocatori e le sue regole.
Ma il senso, la motivazione per l'analisi la può dare solo il soggetto.
Soggetto, che è a tutti gli effetti assolutamente solo.
È infatti il figlio unigenito.
L'insieme delle causazioni come principio etico del soggetto.
Non potrei essere più d'accordo.
Come mai invece secondo te, la filosofia contemporanea, si sta spostando sempre più in ambiti cross-over con la scienza?
A mio parere è il principio della topologia della violenza come intitola molto bene Byun Chul, ossia è proprio per via del decadimento non tanto del soggetto che crea il principio etico. quanto dello spazio in cui agisce il soggetto, spazio sociale, ormai imploso sotto i colpi della scienza.
Citazione di: Dante il Pedante il 09 Ottobre 2020, 11:23:34 AM
Ciao a Tutti! ;D
Sono Dante il Pedante :)
Sono ritornato perché so perdonare. Fino a settante volte sette. E così,anche se sono stato censurato ingiustamente ritorno perché ho visto che vi manco ;)
Questo ho scritto sul tema:
E' un circolo vizioso.Perché si stabilisce a priori l'unico metodo accettabile (quello scientifico).E' un cane che si morde la coda. Sarebbe come se un pescatore stesse pescando in un corso d'acqua dove ci sono trote e altre specie di pesci d'acqua dolce.Arriva qualcuno che, vedendolo pescare, gli dice:"Potrebbe darsi che, in questo corso d'acqua, ci siano anche altri tipi di pesci, oltre alle trote.Che ne dici?". Ma il pescatore usasse per pescare solamente canna e piombi adatti alla pesca della trota e così, piccato, rispondesse:"Amico, prova tu a pescare con questa canna, e vedrai che esistono solo trote in questo corso d'acqua". Giustamente,però.l'altro obietterebbe:"Forse, però, bisogna usare un'altra canna e altri piombi per vedere se ci sono altre specie di pesci.Con questa,è evidente che potrai pescare sempre e solo trote".
Il pescatore, con la mente costruita da sempre per pescare solo trote, seccato per l'interruzione direbbe: "Allora, fammi vedere questa nuova canna".
" Ma tu sei disposto a usarla, se te la faccio vedere?" risponderebbe il passante.
"NO! E' una cosa ridicola.lasciami in pace ora, che devo continuare a pescare le trote!" :blank:
Ciao Dante il pedante.
Intendi dire che il circolo vizioso più che essere, come penso io, la pretesa di eliminare il soggetto in assoluto, sia invece un soggetto vivente che vive pragmaticamente la vita.
Certamente essendoci in ballo la questione del soggetto, il soggetto vivente è come un sottoinsieme.
Lo scienziato ha bisogno di frazionare la realtà in continuazione, in quanto è la sua prassi quello di farlo.
Lungi dal fare della scienza un mero errore, è la sua prassi, ossia la prassi politica dei suoi autori, a renderla catastrofica.
Citazione di: Aumkaara il 09 Ottobre 2020, 11:46:08 AM
Dante il Pedante, io ti adoro, con quell'esempio.
Comunque, anche la filosofia si morde la coda. Solo che poi non si accontenta, a differenza degli altri automorsicatori: si divora pian piano tutta, e divora anche (i principi e le conclusioni su cui si basano) gli altri metodi.
Direi che invece è il contrario, la filosofia ricerca un assoluto proprio per evitare la nullificazione di tutti gli altri metodi che pretendono di trovare finalità, lontante dalle cose naturali. E perciò artificiose e false, non possono che diventare scienze dell'olocausto.
D'altronde gli autori che stanno aprendo gli occhi sono sempre di più, e sempre di più sono i mitomani della scienza del domani.
Chi divora chi? E' questa la vera domanda che dovresti porti, non chi divora cosa.
Ciao green demetr
Sono Dante :)
Io non sono colto come voi, ma ho paura del pragmatismo.Quando sento parlare di pragmatismo ho come l'impressione di sentire lo schiocco di una frusta dietro le spalle, come se qualcuno di potente volesse costringermi a correre sempre più veloce.Ma mentre corro non ne capisco il senso, e continuo a sentire schioccare implacabile la frusta.E allora mi chiedo:"Che caxxo vuole questo da me?" :(
Citazione di: Dante il Pedante il 10 Ottobre 2020, 23:46:30 PM
Ciao green demetr
Sono Dante :)
Io non sono colto come voi, ma ho paura del pragmatismo.Quando sento parlare di pragmatismo ho come l'impressione di sentire lo schiocco di una frusta dietro le spalle, come se qualcuno di potente volesse costringermi a correre sempre più veloce.Ma mentre corro non ne capisco il senso, e continuo a sentire schioccare implacabile la frusta.E allora mi chiedo:"Che caxxo vuole questo da me?" :(
Si tratta di processi psicologici, sostanzialmente la perdita del pensiero, rende lo spazio del soggetto claustrofobico, a questo punto meccanicamente il soggetto diventa violento.
Ossia diventa sadico, distruggendo lo spazio vitale degli altri.
Fino all'autodistruzione sistematica (sua oltre che nostra)
Certo ce ne sarebbe da parlare per anni.
Purtroppo l'intellighenzia sta rispondendo molto tardi, e contemporaneamente stanno nascendo filosofie ancora più stupide.
Citazione di: green demetr il 10 Ottobre 2020, 23:14:03 PM
se invece la questione è legata al mero funzionalismo, e non all'oggetto, allora saremmo in un ambito dove il concetto di assoluto è un assoluto relativo.
Ma senza assoluto nessun pensiero della morte e dunque della vita.
In ultima analisi questo pensare è anche un invito a non pensare, in assoluto.
Il funzionalismo, a cui alludo come "surrogato
a misura d'uomo" dell'Ontologia (pensata anticamente "a misura d'Essere"), può fare a meno del concetto di assoluto, nel senso che può impostare, più che un'ontologia
in fieri, un pragmatismo (
@Dante: senza frusta, almeno finché focalizziamo la conoscenza fuori dall'uso "politico" della conoscenza) che sappia distinguere la "meccanica" dell'evento dalla sua (sovra)interpretazione umanistica. Non perché quest'ultima vada avversata o evitata, ma solo per verificare se il valore attribuito all'evento abbia preso il sopravvento su ciò che l'evento è, almeno secondo il metodo delle discipline che lo studiano (e, al di sotto di aneliti assolutistici, tale studio è tutto ciò che, umanamente, l'evento è). Verifica, metodo di studio e identità dell'evento basati su criteri assoluti? La domanda è ormai così retorica (e controfattuale) da perdere quasi di senso.
Quindi non è, secondo me, «un invito a non pensare», piuttosto è un invito a pensare senza il tono epocale e grandioso delle ontologie assolutistiche (rivelatesi tanto poetanti quanto impotenti di fronte all'epistemologia laboriosa della scienza), forse dissimulatamente inconsapevoli di come lo sguardo umano dipenda da come è fatto l'occhio più che da ciò a cui esso si rivolge (v. implicazioni della quarta domanda kantiana).
In un pensare umile ed aperto, la vita è lo sfondo di ogni funzionare e di ogni pensare, perché ne è la condizione di possibilità, mentre la morte è l'arresto di tale funzionamento; rimangono nondimeno in gioco tutte le onto-elegie e narrazioni culturali sul valore della vita, valore che (come detto sopra), se si vuol parlare di ontologia (o ciò che ne resta), va a mio avviso pertinentemente distinto, seppur
non cancellato, dalla "meccanica" del "ciò che è".
Citazione di: green demetr il 10 Ottobre 2020, 23:21:15 PM
Come mai invece secondo te, la filosofia contemporanea, si sta spostando sempre più in ambiti cross-over con la scienza?
A mio parere è il principio della topologia della violenza come intitola molto bene Byun Chul, ossia è proprio per via del decadimento non tanto del soggetto che crea il principio etico. quanto dello spazio in cui agisce il soggetto, spazio sociale, ormai imploso sotto i colpi della scienza.
Il gioco si sta facendo duro.
La scienza nel suo inoltrarsi nel mondo sta facendo svanire ogni illusione.
È la razionalità che avanza portando chiarezza.
Ma con essa pure il deserto di senso diventa ineludibile.
Ogni rimedio all'angoscia esistenziale si rivela illusorio.
E così gran parte dei cosiddetti filosofi non san più cosa inventarsi. La scienza, con le sue "verità", appare a molti l'ultima spiaggia per una filosofia morente.
E invece è proprio la caduta di ogni dio, la fine di ogni superstizione, l'occasione per l'autentica filosofia!
Spesso sono infatti proprio gli scienziati i migliori filosofi.
Perché gli autentici scienziati sono sospinti, dalla propria fede nella Verità, fino al limite del razionale.
Dove non vi è più nulla a cui aggrapparsi.
E tocca al soggetto, in perfetta solitudine, affermare il Vero.
Secondo me la scienza non sta facendo svanire le illusioni ma invece ne crea una nuova,potentissima:quella che la scienza stessa sia onnipotente e risolve/risolverà ogni problema.Il covid intanto ha dimostrato che la scienza è lontanissima dall'essere onnipotente ed anzi brancola spesso nel buio e nell'improvvisazione,ma c'è un problemadi più complesso che non sa rispondere:la domanda di senso e allora tenta di bypassarla facendo credere che la domanda stessa di senso sia illusoria.Il problema è che la domanda non si riesce a sopprimerla perché c'è la morte.Al massimo si può drogare il cervello con tanti illusioni tecnologiche che servono appunto per cercare di NON domandarsi il senso della vita e delle cose.
Il ragionamento di Phil mi sembra tipo un pensiero circolare.Il cane che si morde la coda che ho scritto.Ifatti domanfarsi il senso della vita è umile o arrogante?E' una domanda relativa o assoluta per l'individuo incarognito dalla vita?Non l'occidentale giovane medio scopatore in piene salute con buon impegno e carriera di sales manager,ma per tutti gli altri che ricevono bombe in testa o muoiono di orribili malattie,ecc.ecc.
Citazione di: Dante il Pedante il 11 Ottobre 2020, 16:36:00 PM
domanfarsi il senso della vita è umile o arrogante?E' una domanda relativa o assoluta per l'individuo incarognito dalla vita?Non l'occidentale giovane medio scopatore in piene salute con buon impegno e carriera di sales manager,ma per tutti gli altri che ricevono bombe in testa o muoiono di orribili malattie,ecc.ecc.
Come già accennato qualche giorno fa, ogni domanda filosofica è sempre doppia e quella sul senso della vita non fa eccezione: la domanda sul senso contiene anche quella sul senso della domanda. Detto meno in sintesi: prima di partire alla ricerca del senso della vita, prima di chiedersi se è assoluto/relativo oppure atto umile o arrogante, prima di interrogare chi in fondo si occupa d'altro (le scienze), per me bisognerebbe interrogarsi sulla domanda stessa: che significa «senso della vita»?
Prima di chiedermi
qual è, dovrei chiedermi
se c'è, come faccio a saperlo e quali
indizi ho a disposizione per l'indagine. Rispondere con un dogmatico «
deve esserci perché in molti se ne sono interrogati» o «perché la vita
deve avere un senso» (perché?), è la morte del pensiero critico e del fare filosofia.
La domanda va secondo me affrontata prima nel suo significato, che eventualmente agevolerà (o rivelerà
insensata) la ricerca della riposta.
Il senso della vita è la vita.
Averne cura è il senso più sensato dell'esser/e/ci. Sarà strettamente tautologico ma i sensi hanno il vezzo di essere aderenti, come la nostra pelle, e appiccicosi e caldi come il nostro sangue.
Per Philip
Allora,visto che il mio prec.è stato censurato,la metto così.SE inizi a domandarti il perché della domanda,poi devi chiederti il perché del perché della domanda,poi il perché del perchè del perchè,e non c'è fine.Questo a casa mia si chiama "on.....ment..." o, con più classè:oltrepassare il senso della domanda.Il pensiero così non trova alcun sbocco e piombi nella stasi del pensiero,nell'impasse,che è quella della filosofia moderna,nespà?Il pensiero migliore è quello diretto,senza barriere,diritto come una freccia.E' il pensiero intuitivo che colpisce non quello circolare che fai tu, che è sterile.Infatti l'eccesso di circolarità ingarbuglia il pensiero che non trova più nemmeno la sua premessa da cui è partito.Ingarbugliare porta apparentemente solo in profondità ma non avvicina di più alla risposta.Se ingarbugliare fosse un sistema valido glia vvocati sarebbero le persone più vicine al vero ;D ;D
Citazione di: Dante il Pedante il 11 Ottobre 2020, 20:21:21 PM
SE inizi a domandarti il perché della domanda,poi devi chiederti il perché del perché della domanda,poi il perché del perchè del perchè,e non c'è fine.Questo a casa mia si chiama [...] oltrepassare il senso della domanda.[...] l'eccesso di circolarità ingarbuglia il pensiero che non trova più nemmeno la sua premessa da cui è partito.
Correggimi se sbaglio, ma non ho proposto un'infinita catena di domande, ho parlato solo di doppia domanda: la domanda principale e quella sul senso
specifico di tale domandare. La seconda può comportare ulteriori sotto-domande, ma non certo infinite: si tratta di chiarire il significato delle parole usate nella domanda («senso» in relazione a «vita», «quale» piuttosto che «se») e non vedo come riflettere su ciò che compone la domanda possa ingarbugliare la questione, essere circolare o oltrepassare il senso della domanda stessa.
Il pensiero che va «diritto come una freccia», se vuole centrare il bersaglio, non deve forse essere accompagnato dal pensiero che si chiede dov'è (e se c'è) il bersaglio?
@IpaziaIl senso è anzitutto
convenzione (tanto per la linguistica quanto per lo zen), non è una qualità o un attributo intrinseco della materia o della realtà; altrimenti il senso-della-vita sarebbe oggetto di studio di una scienza empirica (da non confondere con il fatto che la vita sia fenomeno empirico; vedi precedente distinzione fra funzionalismo "ontologico" e valori umanistici). Per cui, come da topic, il senso può essere assolutamente postulato dal soggetto, che dovrà poi riscontrarne la compatibilità con ciò che lo circonda e con le sue scelte di vita.
Il bersaglio lo "vedi" philip ;)
Ciao Ipazia
Sono Dante :)
"il senso della vita è la vita" non ha senso.perché sensoè significato cioè il valore della cosa edire che il senso della vita è la vita non stabilisce e definisce nessun valore mi pare
Citazione di: Dante il Pedante il 11 Ottobre 2020, 21:20:38 PM
Ciao Ipazia
Sono Dante :)
"il senso della vita è la vita" non ha senso.perché sensoè significato cioè il valore della cosa edire che il senso della vita è la vita non stabilisce e definisce nessun valore mi pare
E' un corto circuito tra la vita e se stessa. Anche in termini valoriali, identificare il senso della vita con la vita stessa significa darle un valore infinito. Che poi è per ciascuno il valore della sua vita individuale.
Ha ragione phil a dire che così si finisce nell'assoluto, ma è un assoluto esistenziale in tutta la sua fisicità, non un assoluto metafisico. E' un assoluto a tempo determinato contenuto nella vita reale di ogni vivente. Vaccinato da illusioni assolute dalla consapevolezza della propria limitatezza nel tempo e nello spazio: della sua vita.
Il "senso" della vita non è solo verso/direzione, ma pure sensazione pulsante gettata nel mondo. Sensazione condivisa e pertanto fondativa nella modalità di cui al paragrafo precedente. Contenitore di una spiritualità immanente che si concretizza nella cura. Laddove approda pure la filosofia in quanto scienza incontrastabile dell'ethos.
Non vedo nessun problema a finire nell'assoluto.E' uno spazio GRANDE, appunto uno spazio assoluto e quindi maggiore è lo spazio maggiore è la libertà,nespà? ;) ci si muove meglio,più cretaivamente, in uno spazio grande invece che in uno di ristretto e definito a priori da un metodo.Se la vita fosse un granchè il tuo ragionamento filerebbe,ma siccome non è un granchè ,ma invece molto piena di ingiustizia,male fisico e morale,ecc. la domanda sul senso sorge fda sè spontanea,umana al 100%.Se la reprime reprimi la tua stessa umanità per me.
La vita (umana) è l'assoluto che passa il convento evolutivo. Coi suoi acciacchi e limitazioni. Ma poichè la stragrande maggioranza degli umani, e la totalità degli altri viventi, si tiene ben stretto il suo, direi che il senso/valore, anche in termini fattuali, è asseverato e ben lungi dalla falsificazione. E riesce a rispondere anche alla domanda di solidità empirica.
Salve. Al di fuori del linguaggio umano il concetto di "senso" non ha – spero sarete d'accordo – alcun significato.
Su tale base il senso (di qualcosa, e quindi, complessivamente, della vita) altro non è che il più lontano degli effetti POSITIVI umanamente prevedibili di quella certa cosa di cui si sta cercando appunto il senso.
Per chi creda, ad esempio, nella religione, il senso del credere nella religione consiste nel più lontano e conclusivo dei suoi effetti benefici, cioè l'eterna beatitudine o eterna sopravvivenza.
Per i non credenti che credano nella logica impersonale invece, il significante dell'espressione "senso della vita", rispettando sempre il principio del "più lontano degli effetti benefici", consisterà nella prospettiva di riuscire ad evitare la maggior quantità possibile di circostanze avverse o dolorose
Per i non credenti gaudenti, invece il senso della vita sarà il piacere, il godimento, in quanto esso verrà considerato come ciò in cui sempre, in ogni istante e circostanza, la vita DEVE consistere, mentre ogni altro aspetto di essa (morte inclusa) verrà da essi considerato come un indesiderato e sgradito intermezzo (o negativa indesiderata conclusione) di ciò il cui rinnovarsi (il piacere) costituisce appunto scopo e senso di vita.
Quindi avremo tutta una varietà soggettiva di "sensi" delle vita umana rigorosamente relativi.
A seconda quindi della diversa maturazione dei soggetti, il senso della vita di ciascuno potrà discrezionalmente e incontestabilmente spaziare dal riempirsi lo stomaco il più spesso possibile al cercare di immolarsi come martiri tra le più atroci torture, poichè solo il singolo è in grado di stabilire quale sia – per sè - il più lontano degli effetti POSITIVI umanamente prevedibili da porre quale senso esistenziale del proprio vivere. Saluti.
E beh Viator ,certo.Il somaro pensa che le carrube sono migliori dell'erba dei campi che calpesta libero il cavallo.Non tutti hanno la stessa natura/maturità spirituale. :) Ipazia tu affermi ma non dimostri.Io dico che è meglio l'assoluto perché è così e devi fartene una ragione.Tu parli sempre in questo modo così.
Citazione di: Dante il Pedante il 11 Ottobre 2020, 23:15:14 PM
Ipazia tu affermi ma non dimostri.Io dico che è meglio l'assoluto perché è così e devi fartene una ragione.Tu parli sempre in questo modo così
Ci vuole poco a dimostrare. Esiste una relazione ontologica e genetica tra vita e senso della vita, qualunque sia la sovrastruttura ideologica ed esistenziale che ci si appiccica sopra: no life, no party.
(Vale anche per il postulante dell'Assoluto il cui motore mentale é la
vita eterna)
Ciao sono Dante il pedante :)
No vita no assoluto ;D va bene anche.Infatti la vita è un aspetto/manifestazione dell'assoluto-Poi non è vero che assoluto=voglia di vita eterna.Ci sono tanti che pensano agli assoluti senza aspettarsi la vita eterna o hanno un'idea di vita che non è quella che s'intende comunemente come aldilà,paradiso,ecc. Ci sono tante varietà nell'orto ;D
Sì, i nichilisti. Aporetici pure loro visto come la vita, salvo rare eccezioni, se la tengono bene stretta.
Citazione di: Dante il Pedante il 12 Ottobre 2020, 08:14:36 AM
Ciao sono Dante il pedante :)
No vita no assoluto ;D va bene anche.Infatti la vita è un aspetto/manifestazione dell'assoluto-Poi non è vero che assoluto=voglia di vita eterna.Ci sono tanti che pensano agli assoluti senza aspettarsi la vita eterna o hanno un'idea di vita che non è quella che s'intende comunemente come aldilà,paradiso,ecc. Ci sono tante varietà nell'orto ;D
E dici di non essere colto? Hai spiegato benissimo. Per alcuni la vita rimane spontaneamente e relativamente importante ma senza che i suoi contenuti (dalle sensazioni fisiche agli ideali più sottili) siano messi in primo piano, non li proiettano cioè in un Assoluto paradisiaco, né li scambiano per una realtà assoluta, ma li vivono per come vengono, al massimo adattandoli alle circostanze. Per quanto strano appaia, questo non è possibile senza aver ben chiara la distinzione tra assoluto e relativo, comprendendo che l'assolutezza della totalità dell'esistenza non è definibile o sperimentabile, e che le esperienze e le conoscenze relative dipendono, nel modo in cui ci appaiono, solo dal nostro punto di vista. Senza avere ben chiare queste distinzioni, continueremo a negare o idealizzare un Assoluto con caratteristiche relative, e assoluizzeremo il relativo, sia che lo si viva volentieri sia che lo si disprezzi.
Ciao Aumkaara
Sono Dante :)
Sono d'accordo che alla fine si assolutizza quello che si ritiene più importante e così l'assoluto si impone nuovamente.Per es. seguendo il dibattito si vede che Ipazia assolutizza la natura,Philip assolutizza la logica e Io prob."assolutizzo" l'assoluto :( perché ritengo mi dia uno spazio maggiore di libertà
Già, e direi che, per quanto comprensibile in certi casi o comunque per certe mentalità, è effettivamente un errore assolutizzare anche l'assoluto: sia perché, parlando filosoficamente, un Assoluto per essere tale non può essere che l'unica realtà, e quindi non avrebbe niente di altrettanto reale con cui paragonarsi e potersi definire (neanche come assoluto quindi), sia perché, parlando più in pratica, l'Assoluto è la totalità indivisa dell'esistenza (divisa solo nelle nostre rappresentazioni e nei nostri approcci conoscitivi) e quindi non può essere oggettivata in nessun modo, non può essere racchiusa in un insieme fruibile che può essere indicato come "ecco, questo è l'Assoluto!". Quindi qualunque assolutizzazione dell'Assoluto rimane una semplice idea. Ma, come molte altre idee, può essere utile, può fare da segnale indicatore per qualunque direzione porti ad un qualche equilibrio (purtoppo può portare anche all'opposto, ma questo non è colpa dell'idea in sé, ma di come la si usa, vale per qualunque strumento ideale o concreto).
Con l'ultimo post di Aum trovo finalmente buone assonanze. Non era mia intenzione mettermi in competizione con un mio Assoluto preconfezionato.
L'Assoluto è una protrusione metafisica che asseconda la natura trascendentale del pensiero umano, sempre rivolto col naso all'insù, affascinato da ogni parabola lo proietti verso l'infinito e l'eterno.
E' il confronto con questa natura umana che mi ha portato a cercare, in un ambito totalmente immanente, un assoluto che abbia una fondatezza adeguata a costruirci sopra una filosofia condivisibile. Ma per essere credibile tale fondamento deve essere a priori di ogni ideologia e filosofema e funzionare realmente da denominatore comune capace di agire una dialettica forte, importante.
Ho individuato ciò nella vita umana, senza inventare nulla di nuovo visto che fin da Epicuro la filosofia immanentista ha trovato in essa il suo fondamento filosofico, con un carattere di generalità capace di soddisfare la ratio e il conato trascendentale umano, senza derive metafisiche verso l'Assoluto. Al massimo una meta-fisica a misura umana, un umanesimo. Lasciando alle stelle il loro imperscrutabile corso che ci ha visti nascere e ci seppellirà tutti.
Non si può infatti vivere senza assoluti.Ognuno ha i suoi ,ma molti ne condividiamo.Sia che ci proclamiano assolutisti o relativisti.Li chiamano "gli Universali" che è molto meglio che assoluti.Un universale è la morte, l'altro è il passare di tutto e un altro l'Ignoranza.Conoscete una morte "relativa"? Un passare delle cose "relativo"? Un'ignoranza fondamentale "relativa"? No,infatti :(
Citazione di: IpaziaHo individuato ciò nella vita umana, senza inventare nulla di nuovo visto che fin da Epicuro la filosofia immanentista ha trovato in essa il suo fondamento filosofico, con un carattere di generalità capace di soddisfare la ratio e il conato trascendentale umano, senza derive metafisiche verso l'Assoluto.
Purtroppo e per fortuna una filosofia immanentista non acconterà mai tutti. Sia perché il pensiero immanentista mette in primo piano la quantità, "il contare", la tecnica, che fanno parte soltanto di uno dei due aspetti della mente ordinaria e non tutti gli umani ordinari sono polarizzati proprio in tale aspetto; e sia perché il fatto che le "stelle" siano imperscrutabili ed indifferenti è un pensiero che, per quanto sia nato dalla nostra attuale esperienza e non certo da mero pessimismo, se non viene indagato, se non è messo in dubbio, non può essere accertato, ma solo preso per "ovvio" dalle mentalità dal pensiero meno qualitativo, meno comprensivo, meno intuitivo. Potrebbe dipendere solo dalla nostra attuale posizione il vederci completamente piccoli, in balia del destino, completamente distruttibili. Ma è proprio il pensiero immanentista a non voler indagare "in alto", e quindi a non farci mai scoprire se l'alto è accessibile. Sembra un pensiero religioso, ma se ne differenzia per il fatto che non parte da una certezza, ma da una domanda, da una possibilità. Che non è avvertita da tutti, quindi neanche un pensiero trascendentalista potrebbe andare bene per tutti, senza contare che spesso, più che possibilista, è rigidamente certo dell'alto tanto da dimenticare di vivere il basso. Sì può solo lasciare che entrambe le strade siano accessibili e, se fosse possibile influenzare la società, non permettere mai che solo una delle due ecceda o si diffonda più dell'altra, anche solo perché non esiste eccesso che non crea problemi e che non si trasformi nel suo opposto da cui cercava di distanziarsi. Andrebbe fatto questo anche nella propria singolarità individuale, ma non posso sperare che un trascendentalista atterri troppo (potrei allettarlo con i giocattoli della quantità e della tecnica, ma, invece di dargli così un minimo di interesse per le "scienze naturali", rischierei solo di farlo diventare un consumatore bulimico - con cui a quel punto compensare il vuoto lasciato dalle sue certezze su di un alto che magari non aveva raggiunto e che forse non tentava di raggiungere proprio perché più attratto dalle sue certezze che dalla salita effettiva), né posso sperare che un immanentista alzi la testa se vede solo due dimensioni (potrei attirarlo con un po' di discorsi logici sulla possibilità di una terza dimensione, ma non potendogli dare i giocattoli di tale dimensione - a differenza di quelli della tecnica, sono fruibili solo se la testa la alza di persona - rischierei di fargli credere che io stia facendo solo chiacchiere, facendolo così disinteressare ancora di più). In entrambi i casi l'unica speranza è che entrambi distolgano almeno un po' la troppa attenzione verso le loro "ideologie e filosofemi" (di certezza di una nostra piena partecipazione dell'alto, in un caso; e di soddisfazione per i prodotti ideali e concreti frutto della precisione e del rigore come se tale soddisfazione fosse garanzia di realtà concreta, nell'altro caso); si può sperare che lo facciano almeno per amore di comprensione reciproca e per amore di esplorazione di tutte le possibilità, e per farlo si deve appunto allentare almeno un po' la presa alle proprie ideologie alimentate dai prodotti del sentimento in un caso e dai prodotti del rigore nell'altro caso; in entrambi i casi si tratta di conferme date dal fatto che si vede solo ciò che si cerca, e questo non garantisce niente in un'esistenza che potrebbe contenere tutte le possibilità (l'esempio della pesca delle sole carpe in un fiume ricco di tutto, ottenute solo perché si è impostata la pesca proprio per prendere carpe, è più che adatto ai pregiudizi di tutte e due le mentalità):CitazioneMa per essere credibile tale fondamento deve essere a priori di ogni ideologia e filosofema e funzionare realmente da denominatore comune capace di agire una dialettica forte, importante.
Non si possono sradicare le ideologie e i filosofemi, si possono solo attenuare andando verso l'alto (solo attenuare, perché tanto prima o poi, a differenza di quello che pensano i trascendentalisti, si ridiscende, per quanto cambiati dalla salita); oppure si possono soffocare andando verso il basso (magari con un bell'impianto transumanista che ci renda "finalmente" homo faber senza farcelo pesare, a differenza di come ci ha forzato ad esserlo la società industriale), ricordiamo solo che ciò che soffochiamo rispunta più violentemente di prima. Rimanendo invece al livello attuale, belli vari (e belli perché vari, dicono) solo nelle tendenze ma senza che la maggioranza faccia effettivi sforzi in nessuna direzione, né su né giù, dovremo necessariamente accettare lo scontro individuale e l'alternanza sociale tra le due tendenze.
Citazione di: Dante il Pedante il 13 Ottobre 2020, 00:47:00 AM
Non si può infatti vivere senza assoluti.Ognuno ha i suoi ,ma molti ne condividiamo.Sia che ci proclamiano assolutisti o relativisti.Li chiamano "gli Universali" che è molto meglio che assoluti.Un universale è la morte, l'altro è il passare di tutto e un altro l'Ignoranza.Conoscete una morte "relativa"? Un passare delle cose "relativo"? Un'ignoranza fondamentale "relativa"? No,infatti :(
Beh... Sì. Dall'ignoranza appare la conoscenza. Sottolineo "appare", ma è almeno divertente il gioco dell'apparente e quindi relativa conoscenza (anche pericoloso, se preso troppo sul serio).
Il passare delle cose ripropone molte similitudini, segno per lo meno di una qualche costante, per quanto relativa, che permette ciò.
E la morte... è solo un altro "passare delle cose" come sopra, quindi avrà le stesse caratteristiche appena dette. Se fosse un arresto assoluto, sarebbe il primo assoluto dimostrato. 🙃
E comunque si può vivere, se non senza assoluti, attenuando almeno la nostra dipendenza da essi.
Citazione di: Dante il Pedante il 13 Ottobre 2020, 00:47:00 AM
Non si può infatti vivere senza assoluti.Ognuno ha i suoi ,ma molti ne condividiamo.
Fondamentale è allora distinguere fra i tipi di assoluto: la morte, il cambiamento, etc. sono dati di fatto (umanamente/umanisticamente parlando), non sono
postulazioni o assolutizzazioni indimostrabili; non rientrano in «ognuno ha i suoi», per fede, per scelta o altro. Qualcuno può anche vivere senza "assoluti personalizzati", ma non può "assolutamente" esimersi dal (generalizziamo) fare i conti con la morte, il cambiamento, etc.
Il rischio è invece quello di ragionare con assoluti personali e
presupporre che quindi anche gli altri
debbano averne (assolutizzando l'ipotetica
necessità dell'assolutizzazione). Quando ad esempio affermi che, per te, assolutizzo la logica (grazie per il
feedback), forse fraintendi l'
utilizzo di uno strumento con la sua assolutizzazione: se mi vedi pescare trote con l'apposita canna, non significa che non ne abbia altre (vedi le sviolinate che ho fatto in passato allo zen e al postmoderno, entrambi quasi anti-logica), o che abbia scelto di mangiare solo trote, che la trota sia il mio animale-totem o che sia adepto del "culto della Trota".
Ti segnalo inoltre che se, come dici, "si vede il bersaglio" della domanda (sul senso della vita), allora la domanda sul «qual è» è già diventata risposta (e quindi concordo che possano non servire ulteriori riflessioni sul domandare); tuttavia, sei davvero sicuro che sia così nitidamente visibile? Non sarà una questione di "visione/vista" individuale?
@AumkaaraLa diplomazia del mediare fra posizioni divergenti rischia di suggerirci anche una mediazione fra astrologia e astronomia, fra poesia e scienza, etc. generando ibridi e contaminazioni non sempre coerenti e percorribili (talvolta schizofrenicamente bipolari); ben venga la comprensione della prospettiva altrui, ma non sempre si può vivere di compromessi e "vie di mezzo" (senza offesa per Nagarjuna e Chandrakirti).
Salve Dante. Vedi che si dimostra quanto ti dicevo poco fa circa le diversità tra gli introversi e gli estroversi ? L'introverso parla di meno ma riflette di più mentre tu, (citandoti)................... :"Non si può infatti vivere senza assoluti.Ognuno ha i suoi ,ma molti ne condividiamo.Sia che ci proclamiano assolutisti o relativisti.Li chiamano "gli Universali" che è molto meglio che assoluti.Un universale è la morte, l'altro è il passare di tutto e un altro l'Ignoranza.Conoscete una morte "relativa"? Un passare delle cose "relativo"? Un'ignoranza fondamentale "relativa"? No,infatti".........................non rifletti abbastanza.
Lasciando perdere la ormai nauseabonda distinzione tra Assoluto (sostantivo rigorosamente singolare) ed assoluti (aggettivo pluralizzabile e perciò assurdamente deassolutizzabile secondo alcuni tra cui forse te)........circa la perfetta relatività della morte sarà sufficiente ricordarsi che la riproduzione delle cellule e dei batteri (e scusa se sto parlando di forme "marginali" di vita e di morte) avviene per mitosi, cioè la cellula ad un certo punto si allunga sino a scindersi in due metà identiche. Non sto a farla lunga. Secondo te, se assistiamo a tale fenomeno, staremo osservando la morte di una cellula oppure il sopravvivere della cellula attraverso una sua geniale autoduplicazione, oppure ancora stiamo osservando la nascita di due nuove cellule ?
Secondo me in biologia il concetto di morte andrebbe proprio cancellato e sostituito con riproduzione, moltiplicazione, divisione, dissolvimento, marcescenza, trasformazione, decadimento etc.etc..........dato che "morte" è termine esclusivamente umano di radice psichica che identifica il nostro atavico terrore di perdere la nostra egoistica individualità.
Comunque tutto ciò che hai citato e tutto ciò che citerai al di fuori del termine "Assoluto" non potrà che consistere in contenuti parziali (dato che li collochi all'interno di una loro pluralità) e quindi relativi. Saluti.
Phil: parlando in generale: c'è una mediazione mediana, che si colloca tra i due estremi, non comprendendo quindi nessuno dei due, ma anzi traendo appunto schizofreneticamente ed incoerentemente pezzi dall'uno e dall'altro; e c'è una mediazione stabilizzante, posta al di fuori della loro linea, che li comprende entrambi e li vede come estremi di un unico segmento (a meno che non si intrometta stupidamente lo sdegno da parte sua verso gli estremi e non guardi verso di essi), senza però essere coinvolta con le loro contraddizioni reciproche: è coinvolta solo con ciò che li unisce.
Ovviamente può nascere uno sdegno da parte degli estremi verso questo "porsi fuori", come se fosse un "porsi sopra". Ma in realtà non ci sono veri punti di riferimento che possano generare il senso di queste direzioni: non si tratta quindi di una vera superiorità, ma si tratta più che altro di una collocazione non lineare con gli estremi (che magari, comprendendo almeno questo, a quel punto la tacceranno di "non schieramento", come se la linearità fosse l'unica strada su cui schierarsi).
Ciao a tutti
Sono Dante :)
Io ho parlato di "universali" non di Assoluto con la maiusc.che è un termine filosofico ambiguo perché usato in teologia per indicare Dio (pochissomo in realtà,viene più usata dai filosofi) come in filosofia.Quindi assoluto o universale come condizione comune a tutti.La morte,non importa se le cellule poi subiscono un altro processo perché stiamo parlando di un ben preciso evento (vedere def.scient.di morte corporale)è un FATTO che capita universalmente, persino i protoni decadono.quindi è un assoluto.E' un assoluto della conoscenza. Il divenire è un altyro assoluto perchè non è possibile trovare niente che resta in eterno se non facendo ipotesi indimostrabili.Pertanto è un altro assoluto.L'ignoranza?C'è qualcuno che pensa di essere forse onnusciente'Vediamo onniscienza da qualche parte? Pertanto è un altro assoluto.
Il maestro di relativismo non dubita di se stesso come maestro di realtivismo.Suo malgrado è afferrato da qualcosa di assoluto che abbraccia sia l'assolutezza delle impressioni sia l'assolutezza della forma logica ( come nell'es.di Philip).Questo dimostra che il concetto stesso di conoscenza implica una struttura assoluta dentro il flusso della conoscenza relativa.Unod eglia ssoluti più rivelatori dell'attività di pensare è la capacità di fare delle domande.Quando fai una domanda quello che interroga ha già qualcosa dell'oggetto su cui si interroga,altrimente come fa a porre la domanda?Resta però Separato dall'oggetto del suo pensiero e "lotta" per unirsi a esso.Questa lotta è per raggiungere la verità.Questa interdipendenza di soggetto-oggetto è un altro degli assoluti per gli uomini in quanto uomini.
Molta gente di adesso è affascinata dal relativismo perché sognano questa visione dell'incontro dell'essere e del divenire.L'essere come divenire,si dice.Però, se guardo bene, e analizzo alla Philip quiel fascino,scopro che esso è possibile solo perché noi non siamo proprio nel movimento dell'essere come divenire,ma al di sopra di esso.Possiamo contemplarlo,ne sentiamo parlare, cipiace o ci fa paura e questa facoltà di CONOSCERE è un assoluto che ci rende possibile riconoscere il relativo e rimanerne affascinati o impauriti.Nespà?
Ciao
Cia Viator
Sono Dante :)
Viator parlare di relativismo assoluto per la cose dell'uomo è una contraddizione in termini,una impossibile combinazione di patrole.Se si evita questa il relativismo stesso diventa "relativo". Un elemento dia ssolutezza che io ho chiamato come un"universale" non è una possibilità ma una necessità,se no nessuna affermazione sensata può essere fatta.E' impossibile anche pratuicamente
Ciao Philip
Sono Dante :)
E' abbastanza semplice vedere se usi altre canne oltre a quella per le trote.Ma lo puoi vedere solo tu, non gli altri. Infatti dovresti porti la domanda: Sono disposto ad accettare o per lo meno contemplare l'idea che qualcosa sia illogico e non dichiararlo subito falso per questo? Se in cuor tuo rispondi di no, se senti che ti è in fondo impossibile, vuol dire che per te la forma logica è un assoluto ( o convinzione assoluta se preferisci).Nespà? ;)
Secondo me la forma logica non può essere un assoluto, perché di logiche ne esistono tante (senza scendere nei dettagli) e perché una buona parte della dimensione tipicamente umana non è compatibile né riducibile alla logica formale (arte, emozioni, relazioni interpersonali, etc.). Come notato altrove, l'uso inflazionato e vago di «assoluto», soprattutto inteso come sostantivo, può creare confusione e/o ridondanza.
A seconda del fiume e di ciò che si intende pescare, l'utilizzo di una canna piuttosto che un'altra, fa la differenza; avere una sola canna comporta una dieta monotona (e il rischio di non pescare nulla, se si è di fronte al fiume "sbagliato").
Citazione di: Dante il PedanteLa morte,non importa se le cellule poi subiscono un altro processo perché stiamo parlando di un ben preciso evento (vedere def.scient.di morte corporale)è un FATTO
Sostituisco un paio di parole:
"il tramonto
, non importa se il cielo poi subisce un altro processo perché stiamo parlando di un ben preciso evento (vedere def.scient. di sparizione della luce) è un FATTO".Ora, esci dall'orbita terrestre (difficile, ma non impossibile come veniva pensato un tempo) e mettiti ad aspettare il tramonto, mi farai sapere se era davvero un fatto o solo un punto di vista parziale. 🙃
Citazione di: Phil il 13 Ottobre 2020, 16:34:02 PM
Secondo me la forma logica non può essere un assoluto, perché di logiche ne esistono tante (senza scendere nei dettagli) e perché una buona parte della dimensione tipicamente umana non è compatibile né riducibile alla logica formale (arte, emozioni, relazioni interpersonali, etc.). Come notato altrove, l'uso inflazionato e vago di «assoluto», soprattutto inteso come sostantivo, può creare confusione e/o ridondanza.
A seconda del fiume e di ciò che si intende pescare, l'utilizzo di una canna piuttosto che un'altra, fa la differenza; avere una sola canna comporta una dieta monotona (e il rischio di non pescare nulla, se si è di fronte al fiume "sbagliato").
Infatti usi la logica per affermare che logicamente per pescare diversi tipi di pesci servono diversi tipi di canne ;D
Citazione di: Aumkaara il 13 Ottobre 2020, 16:42:10 PM
Citazione di: Dante il PedanteLa morte,non importa se le cellule poi subiscono un altro processo perché stiamo parlando di un ben preciso evento (vedere def.scient.di morte corporale)è un FATTO
Sostituisco un paio di parole:
"il tramonto, non importa se il cielo poi subisce un altro processo perché stiamo parlando di un ben preciso evento (vedere def.scient. di sparizione della luce) è un FATTO".
Ora, esci dall'orbita terrestre (difficile, ma non impossibile come veniva pensato un tempo) e mettiti ad aspettare il tramonto, mi farai sapere se era davvero un fatto o solo un punto di vista parziale. 🙃
Io sto sempre parlando di universali "dell'uomo" non so voi... :)
Citazione di: Dante il Pedante il 13 Ottobre 2020, 16:49:34 PM
Infatti usi la logica per affermare che logicamente per pescare diversi tipi di pesci servono diversi tipi di canne ;D
Intendi che avrei fatto meglio ad usare una risposta meno logica o illogica?
Il fiume del discorso era pertinente alla logica (infatti ho pescato una risposta); quale canna avrei dovuto usare, secondo te? E per pescare cosa?
P.s.
Come suggerito prima:
Citazione di: Phil il 13 Ottobre 2020, 11:51:26 AM
forse fraintendi l'utilizzo di uno strumento con la sua assolutizzazione
Citazione di: Phil il 13 Ottobre 2020, 17:05:47 PM
Citazione di: Dante il Pedante il 13 Ottobre 2020, 16:49:34 PM
Infatti usi la logica per affermare che logicamente per pescare diversi tipi di pesci servono diversi tipi di canne ;D
Intendi che avrei fatto meglio ad usare una risposta meno logica o illogica?
Il fiume del discorso era pertinente alla logica (infatti ho pescato una risposta); quale canna avrei dovuto usare, secondo te? E per pescare cosa?
P.s.
Come suggerito prima:
Citazione di: Phil il 13 Ottobre 2020, 11:51:26 AM
forse fraintendi l'utilizzo di uno strumento con la sua assolutizzazione
Quello della pesca era un esempio.Non so se si era capito.Avresti potuto dare una risposta illogica come saltare dentro il fiume e guardare da te se c'erano altri pesci ;) Inve ce hai cercato la risposta più logica. Non ci scappi sei un assolutista della logica ;D Ti sei fatto la domanda a proposito?Non c'è niente di male eh!Anch'io ho le mie.
Se invece volete parlare dell'Assoluto con la "A" perdiamo tutti solo del tempo perché è al di là di ogni linguaggio.Se lo potessi esprimere non sarebbe l'Assoluto, ma se non ci fosse come potrei esprimermi visto che ne sono una manifestazione? ::) Come può per es.una patata sottoterra concepire l'immensità del cielo? Ma se dal cielo non piove adieau patata sottoterra ;)
Stavolta concordo con Aum e non con Phil. Non vorrei dover iniziare anche una discussione sui postulanti del Relativo. Anche gli universali di Platone Pedante mi sembrano una buona mossa, finchè li teniamo sul piano della logica di cui sono aggregatori che ben si sposano con i dati di fatto più rilevanti e generalizzati: tutti i viventi nascono e muoiono.
Tali universali immanenti sono una buona base per costruire (Bildung) trascendentalità (in senso kantiano ed evolutivo) condivise forti (etica) bypassando le proprie ideologie (immanenti o trascendenti) che restano nella parte non condivisa della propria intimità psichica o spirituale.
Ha ragione il non duale Aum a puntare su questa mediazione che va a nozze con l'assoluto relativo dell'immanentista plurale Ipazia, anche se comprendo non soddisfi i postulantitori dell'Assoluto e del Relativo.
Citazione di: Phil il 13 Ottobre 2020, 16:34:02 PM
Secondo me la forma logica non può essere un assoluto, perché di logiche ne esistono tante (senza scendere nei dettagli) e perché una buona parte della dimensione tipicamente umana non è compatibile né riducibile alla logica formale (arte, emozioni, relazioni interpersonali, etc.). Come notato altrove, l'uso inflazionato e vago di «assoluto», soprattutto inteso come sostantivo, può creare confusione e/o ridondanza.
A seconda del fiume e di ciò che si intende pescare, l'utilizzo di una canna piuttosto che un'altra, fa la differenza; avere una sola canna comporta una dieta monotona (e il rischio di non pescare nulla, se si è di fronte al fiume "sbagliato").
Non mi occupo di lettere maiuscole, di assoluti e altre nuvole aristofanee, ma possiamo terminare questo meme delle "ragioni del cuore"? Che arte sarebbe illogica? Ognuna ha una sua logica, molte logiche, ma una musica senza spartito, una poesia senza metrica, un emozione senza una causa, un relazione senza un fine, sono tutte cose che vorrei proprio vedere chi vi trae giovamento..o se esistono, se è per quello. Che poi siano difficili da afferrare o da comunicare, quello che si vuole, però..
Citazione di: Dante il Pedante
Io sto sempre parlando di universali "dell'uomo" non so voi... :)
Io... sì e no. Nel senso che, come ha appena detto anche Ipazia, gli universali (più o meno umani od elevati che siano, aggiungo io) sono utili, finché li consideriamo comunque relativi (ma a differenza di Ipazia io opterei per non metterli in secondo piano rispetto ai dati di fatto sensibili, essendo questi ancora più relativi e provvisori, anche se quest'ultimi non vanno comunque dimenticati, altrimenti si faranno sentire prima o poi da sé).
Però persino gli universali più umani non sono poi... molto umani, o comunque fanno presto a cercare di andare oltre sé stessi: l'essere umano non riesce a lungo a restare dov'è, tende sempre ad "altro", e, se non ci riesce in verticale (uscendo dall'orbita, come suggerivo, per vedere se l'universale morte-tramonto vale per ogni coordinata), ci prova in orizzontale (sognando reviviscenti risvegli futuri dopo una morte criogenica, o download perpetui della memoria in supporti artificiali - e magari ci riuscirà, ma non credo che sarà quello che pensava di ottenere... ma questa è un'altra storia, per la sezione Scienza e Tecnologia forse).
Citazione di: IpaziaStavolta concordo con Aum
Comincio a preoccuparmi sul serio.
[Scherzo.]Citazione di: IpaziaHa ragione il non duale Aum a puntare su questa mediazione che va a nozze con l'assoluto relativo dell'immanentista plurale Ipazia, anche se comprendo non soddisfi i postulantitori dell'Assoluto e del Relativo.
Non mi è chiara la differenza tra un assoluto relativo immanentista e un relativo postulato, ma la poca soddisfazione che dei postulanti opposti tra loro (uno dell'assoluto e l'altro del relativo) possono trovare nella mediazione non lineare, come l'ho chiamata io, é inevitabile ma anche abbastanza utile: mostra come non abbiano via d'uscita dallo scontrarsi o dal cedere posizione, se non tendendo verso l'alto (poco importa se visto come una costruzione o come una realtà superiore, anche perché sono vere entrambe le cose, a mio parere: tutta l'esistenza, alta o bassa, interiore o esteriore, condivisibile o privata, è una costruzione, un punto di vista, una conoscenza provvisoria e parziale, di una totalità reale mai percepibile e mai conoscibile, né con la sperimentazione più riproducibile, il dato più preciso o la tecnica più rigorosa, né con la più elevata delle altezze filosofiche, estatiche o metafisiche; non ce n'è bisogno, è quello che già siamo di base).
Citazione di: Aumkaara il 13 Ottobre 2020, 23:31:57 PM
(... tutta l'esistenza, alta o bassa, interiore o esteriore, condivisibile o privata, è una costruzione, un punto di vista, una conoscenza provvisoria e parziale, di una totalità reale mai percepibile e mai conoscibile, né con la sperimentazione più riproducibile, il dato più preciso o la tecnica più rigorosa, né con la più elevata delle altezze filosofiche, estatiche o metafisiche; non ce n'è bisogno, è quello che già siamo di base).
Perchè ? Sa tanto di noumeno kantiano ovvero di metafisica hard, abituata a mettere il carro davanti ai buoi.
Che l'universo reale sia complesso, e la nostra ignoranza grande, è evidente, ma per la parte concernente i nostri sensi lo percepiamo, e lo rendiamo percepibile pure laddove i nostri sensi non arrivano con qualche arteficio tecnoscientifico. E facendo ciò e ragionandoci sopra (induzione-deduzione) impariamo anche a conoscerlo.
Anche "quello che siamo di base" è alquanto ambiguo e andrebbe più rigorosamente definito perchè di base ho impressione che siamo niente più che delle scimmie parlanti.
Citazione di: InVerno il 13 Ottobre 2020, 23:29:06 PM
Non mi occupo di lettere maiuscole, di assoluti e altre nuvole aristofanee, ma possiamo terminare questo meme delle "ragioni del cuore"? Che arte sarebbe illogica? Ognuna ha una sua logica, molte logiche,
Il mio post che citi è in risposta a Dante che mi legge come "assolutista della logica", intendendo con questo, se non l'ho frainteso, l'esser fautore di un approccio esclusivamente analitico-razionale alla realtà. Quando affermo che «una buona parte della dimensione tipicamente umana non è compatibile né riducibile alla logica formale (arte, emozioni, relazioni interpersonali, etc.)» non parlo tuttavia di «ragioni del cuore», ma piuttosto di componenti della vita umana, sociale e individuale, che non sono compatibili (emozioni) e riducibili (arte, relazioni interpersonali) alla «logica
formale» (ovvero sillogismi, fallacie, proposizioni, etc.), il che non significa che tali componenti non abbiano una loro "logica", se intesa genericamente come struttura o regolarità o causalità o intelligibilità; non a caso poco prima ho anche scritto:
Citazione di: Phil il 13 Ottobre 2020, 16:34:02 PM
Secondo me la forma logica non può essere un assoluto, perché di logiche ne esistono tante (senza scendere nei dettagli)
Ciao ragazzi
Sono Dante :)
Quando scrivo di nostri assoluti con la minus. intendo anche quelle cose relative della vita che per noi però hanno un valore assoluto e che non siamo disposti a mettere in discussione se non in modo apparente,per non sembrare dei fanatici o degli integralisti di quella cosa relativa.Se ci guardiamo con onestà vediamo che,volenti o no,rel. o assolutisti ,mistici,ecc. abbiamo queste deformazioni mentali,chiammiamole così,che ci impediscono una visione più completa 8che completa al 100% è impossibile ovvio).Un pò è anche dovuto per me alla forma dell'educazione moderna che non ti fa spaziare molto mettendo insieme le varie discipline di studio, ma invece ti "spezzetta" la conoscenza in tanti parti e così la nostra testa è uno spezzatino anch'essa.Questo è molto buono per quelli che fanno girare il circo del profitto.Ma non per la nostra vision dell'insieme,come si dice oggi.Così capita che non riusciamo a vedere altre possibilità e non capiamo quello che succede (anche nel mondo) perché siamo impauriti dal lasciare la/le nostre convinzioni assolute.Questo non c'entra con l'Assoluto filosofico ma è questo relativo che per noi diventa un assoluto che ci condiziona tanto.Sono gli occhiali che mettiamo per guardare.Infatti sempre tornando nell'es.del pescatore di trote per saltare dentro il torrente e guardare se ci sono anche altri tipi di pesci da prendere con le mani bisogna proprio lasciare andare la convinzione assoluta che per pescare serva la canna per le trote :) Quanti lo farebbero? Pochi per me
Citazione di: Phil il 14 Ottobre 2020, 00:19:51 AM
Il mio post che citi è in risposta a Dante che mi legge come "assolutista della logica", intendendo con questo, se non l'ho frainteso, l'esser fautore di un approccio esclusivamente analitico-razionale alla realtà.
Ahhh...Pensa, l'idea del contrario (ovvero che la logica formale potesse essere applicata ai campi che descrivi) mi era così aliena che per esclusione ho pensato stessi parlando dell'altro distinguo.. non aveva senso lo stesso, ma forse un pò ci speravo di vederti difendere le ragioni del Cuore, sarà per la prossima =)
Citazione di: IpaziaPerchè ? Sa tanto di noumeno kantiano ovvero di metafisica hard, abituata a mettere il carro davanti ai buoi. Che l'universo reale sia complesso, e la nostra ignoranza grande, è evidente
Perché... ci abbiamo già provato ad arrivare al perché, ma ci siamo fermati ad un "evidente dato di fatto" empirico, nonostante persino la scienza non postuli dati di fatto di questo genere. TUTTO il percepibile e il conoscibile indagabile con il metodo scientifico è confutabile, anche secondo la scienza, figuriamoci per la filosofia. Se vogliamo riprendere da dove ci siamo fermati, vedremo se quello che ho detto è filosoficamente sensato e scientificamente possibile (anche solo nel senso che la scienza non può arrivare a smentirlo perché non rientra nel suo ambito, e non perché sia meno vero o reale di ciò che può indagare la scienza).
Tutto ciò che abbiamo scoperto lo dobbiamo alla scienza, non certo alla metafisica. Per cui rimando la critica "filosofica" al mittente. Compito della filosofia in effetti non è scoprire ma inventare il modo di vivere bene. Mi pare che anche in questo campo arranchi ben più della scienza, vivendo, al contrario di quest'ultima che continuamente si rinnova, dei lasciti di qualche millennio fa.
...come a dire che i metafisici greci, non mangiavano e guardavano il cielo senza calpestare la terra?
C'è parecchia ignoranza sulla filosofia metafisica, grazie al pregiudizio del mainstream culturale attuale.
La metafisica nacque proprio sull'indagine della natura. Non esiste nessuna filosofia che postula aprioristicamente e pregiudizialmente un assoluto: arrivarci per deduzione del pensiero è ben altra cosa. Parmenide scrisse il suo famoso poema "Sulla natura" per dedurre l'Essere.
Platone scrive moltissimo sulle organizzazioni umane, come in "Repubblica" come in "Leggi".
Discussero più sulla natura e sull'uomo di quanto oggi facciano gli scientisti contemporanei.
Il problema quindi non è il postulato sull'assoluto che più propriamente significa che vi è un qualcosa , un qualcuno che ha generato, creato l'universo ,la natura, l'uomo, bensì che la natura veniva già allora indagata dalla scienza, come il medico indagava sulle malattie, e l'agronomo sulle coltivazioni; più propriamente il filosofo si pose delle domande e spesso fu comune il concetto che il dominio del sensibile era apparente, sfuggevole e mutevole, per cui di queste apparenze si poteva fare opinione, non verità. Cercavano la verità i metafisici .
In Platone è illustrato chiaramente, soprattutto nel Timeo, che il divenire delle apparenze, poteva sussistere, grazie ai contrari, alle differenze. L'acqua scorre se c'è un dislivello, l'atomo oggi sappiamo che funziona per cariche opposte e quindi le diverse polarità elettromagnetiche. Il voltaggio viene definito differenza di potenziale. Insomma il mondo in cui vivano, si movimenta grazie alle differenze e questo lo capirono benissimo già quei metafisici, e non solo, greci.
Una postulazione dell'assoluto, con relative argomentazioni , si trova semmai nella teologia.
Perchè vi è una sacra scrittura con una rivelazione: è diverso dalla filosofia, anche se ne applica i metodi.
Ad esempio per quanto il demiurgo in Platone sia presente, è il Bene il concetto a fondamento nella sua metafisica. E' il bene, perché universo e natura sono bene : più naturalista di così?Come dire che cio chè è bene, perché imprescindibile, perché natura e universo sono così nonostante i nostri pensieri con i relativi criteri di giudizio.
Nietzsche, che scrive fesserie antimetafisiche è cosciente della forza del pensiero metafisico, quando nella prima parte di "Umano troppo Umano" in "Delle prime e ultime cose" scrive:
<l'intelletto umano ha fatto apparire le apparenze e le sue errate concezioni fondamentali ha trasportato nelle cose.>
Al di là del criterio se siano errate o giuste, e filosoficamente Nietzsche mostra i suoi limiti, ha ragione comunque che la metafisica comporta un'interpretazione a "ridiscendere", vale a dire che determina come viene interpretata la vita, la società, la natura e le cose in generale.
Ecco in questo si dovrebbe trovare le relazioni fra metafisica e natura fisica, fra pensiero e parassi , per capire i limiti filosofici del pensiero metafisico e della filosofia attuale. Ma senza contrapposizioni sterili che non portano a nulla. Per far questo bisogna essere prima di tutto autocritici.
Il pensiero attuale "è debole" e sorretto ancora dalle mimesi del pensiero metafisico .
Un esempio è un testo di Walter Benjamin " Il capitalismo come religione", di come il capitalismo si è appropriato di termini religiosi tanto da porsi come un fenomeno "trascendentale", come culto.
Un esempio: " ....rimetti a noi inostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori...",
il concetto di promessa, di fiducia, di patto, sono termini potenti che l'economia ha saputo autogiustificarsi nelle prassi mediandole dai termini religiosi . E questo dovrebbe far capire che il materialismo è un pensiero debole contro un trascendente capitalismo inafferrabile da presunte analisi sul solo scambio economico.
La scienza, e da sempre l'uomo, se vuole inventare e scoprire e non rimanere al tempo del pietrone, deve sempre andare al di là delle proprie assiomatizzazioni, postulazioni, enunciati.
Un Einstein fa "metafisica" prima che vengano dimostrati i suoi capisaldi.
Il bosone di Higgs, e lo dico per l'ennesima volta, doveva solo essere scoperto perchè il pensiero teorizzante sapeva già che nel modello atomico avrebbe dovuto esserci , oppure saltava l'intera teoria atomica. La cosmologia è fantascienza? I sincrotroni che costano una paccata di denaro , sono sempre più potenti per avvicinarsi sempre più al fatidico punto "zero", in cui ci fu il big bang ed è in quello del Cern di Ginevra che è stato scoperto il bosone di Higgs.
L'onda gravitazionale fossile era solo da scoprire ,perchè era già teorizzata.
Il pensiero precede la scoperta e l'invenzione, basterebbe guardare schizzi e scritti di L.Da Vinci.
Il pensiero è più forte dei sensi ,se così non fosse saremmo animali stantii, il luogo inerte in cui ci avrebbe collocato la tassonomia naturale.
La scienza é meta-fisica naturale, la metafisica é il tentativo (fallito) di postulare un assoluto a priori che l'antimetafisico FN definì efficacemente: mondo dietro il mondo.
La metafisica vive ancora di rendita sui lasciti meta-fisici di una sapienza (reale) antica, che per la parte gnoseologica naturale ha lasciato, finiti i roghi, l'ontologia al dominio della scienza. Salvo patetici tentativi di riappropriazione con scorciatoie epistemiche variamente retrò condite con patafisiche New Age.
Altro discorso (logos) é sull'ontologico fattuale che risale all'arché dell'universo antropologico, ritrovando a tutt'oggi riscontri etici importanti nella lezione degli antichi maestri occidentali e orientali. Ben venga il Socrate di Platone, ma ancora meglio Eraclito, Democrito ed Epicuro che aprono prospettive diverse all'autoriflessione etologica umana e alla pluralità dialettica delle invenzioni esistenziali, eternamente ritornanti. Le quali, nelle versioni moderne, non sono esenti da ingenue e truffaldine fallacie metafisiche anche nel campo secolare, costellato di grossolani vitelli d'oro buoni per culti immanenti da osteria post illuministica, resi ancora più potenti dall'intossicazione mediatica. Laddove l'ultimo uomo incombe greve.
Citazione di: Ipazia il 14 Ottobre 2020, 22:37:40 PM
Tutto ciò che abbiamo scoperto lo dobbiamo alla scienza, non certo alla metafisica. Per cui rimando la critica "filosofica" al mittente. Compito della filosofia in effetti non è scoprire ma inventare il modo di vivere bene. Mi pare che anche in questo campo arranchi ben più della scienza, vivendo, al contrario di quest'ultima che continuamente si rinnova, dei lasciti di qualche millennio fa.
Io la riprendo volentieri una critica filosofica, se è quel tipo di filosofia che pone domande, come avevamo fatto e poi interrotto, e che possiamo riprendere appena verrà messo in dubbio qualunque dato considerato come fatto, che è ciò che interrompe questo tipo di filosofia.
Quelle filosofie che invece vivono dei propri lasciti sono quelle che fanno da supporto ad altre discipline, ad esempio alla scienza, fornendogli quei parametri, non scientifici, da cui parte per le sue continue innovazioni (ottima definizione, molto più appropriata di "scoperte", nel caso della scienza).
Salve Ipazia.Citandoti (e facendoti i miei ennesimi complimenti per la tua dialettica, purtroppo sempre elitaria e mai proletaria) : "La scienza é meta-fisica naturale, la metafisica é il tentativo (fallito) di postulare un assoluto a priori che l'antimetafisico FN definì efficacemente: mondo dietro il mondo".
Condivido quasi assolutamente. Solo che, essendo la metafisica creazione umana, secondo me essa consiste in un tentativo "a posteriori" di postulare un contenitore unico per i troppi e disorientanti contenuti del mondo. Che dici ?.
Infine scusami se faccio il pagliaccio come al solito : a proposito di FN, che non so bene chi sia, mi viene il burlesco "Federico, Federico........il tuo cognome so ma non lo dico !!". Saluti.
@viator dico che la complessità dell'universo antropologico è tale da rendere fragile e meramente descrittiva qualsiasi sintesi assoluta. Il monismo o non dualismo funziona bene in una sola situazione: dentro la psiche di una monade umana. Ne basta un'altra per rovesciare il tavolo metafisico dell'Uno.
Citazione di: Aumkaara il 15 Ottobre 2020, 18:09:04 PM
Io la riprendo volentieri una critica filosofica, se è quel tipo di filosofia che pone domande, come avevamo fatto e poi interrotto, e che possiamo riprendere appena verrà messo in dubbio qualunque dato considerato come fatto, che è ciò che interrompe questo tipo di filosofia.
Anche Socrate, non certo l'ultimo arrivato, filosofeggiava interrogando gli ateniesi nell'agorà sui fatti che li riguardavano, cosa che lo portò a bere cicuta. Una filosofia che non tragga il proprio nutrimento dai dati di fatto (ad es: ivg) che valore può avere ? Che risposte - perchè è questo il suo compito, anche avessimo esaurito (LW :P ) le risposte della scienza - può dare, che soluzioni o dubbi può prefigurare ? Lode al dubbio, ma alla fine bisogna pur agire (BB) direbbe l'homo faber da te citato come campione di "buona tecnica" esistenziale antropologica.
CitazioneQuelle filosofie che invece vivono dei propri lasciti sono quelle che fanno da supporto ad altre discipline, ad esempio alla scienza, fornendogli quei parametri, non scientifici, da cui parte per le sue continue innovazioni (ottima definizione, molto più appropriata di "scoperte", nel caso della scienza).
Ci sono lasciti e lasciti. Alcuni immortali, ma molti più sono Holzwege, sentieri interrotti che hanno smarrito la strada, impiccandosi ad un ramo con su scritto: "ipse dixit" (non solo altalene offre la foresta filosofica...). Il filosofo muore un po' come il pesce: muto. Ma è una morte reale anche la sua, soffocato dal suo stesso logos divenuto afono e incapace, come il protomedico Filemazio (FG), di decifrare e presagire il mondo (umano) che lo attornia. Al filosofo si chiede anche di essere mago, oltre che
forse saggio, dopo che i numi hanno abbandonato la scena. E si torna agli antichi lasciti che hanno ancora il carisma - venerabile - dell'attualità logica, epistemologica e soprattutto etica.
Citazione di: Ipazia il 15 Ottobre 2020, 23:08:27 PM
Una filosofia che non tragga il proprio nutrimento dai dati di fatto (ad es: ivg) che valore può avere ?
A non trasformare in dogmi non solo le opinioni, ma neanche i dati elaborati con metodi e tecniche, ad esempio? Per riflettere senza dover per forza contare e misurare? Per agire c'è già altro: appunto la scienza, le emozioni, gli istinti, le necessità fisiche.
Citazione di: Ipazia il 15 Ottobre 2020, 23:08:27 PMCi sono lasciti e lasciti. Alcuni immortali, ma molti più sono Holzwege, sentieri interrotti che hanno smarrito la strada, impiccandosi ad un ramo con su scritto: "ipse dixit"
Lasciamoli stare gli Immortali, non crediamo alle favole, e lasciamo stare i morti, impiccati agli ipse dixit. O magari ai "dati di fatto". Perché invece non riprendiamo, o ricominciamo sistematicamente, stavolta senza deviazioni nel mezzo, una catena logica che possa dimostrare la fondatezza della molteplicità, visto che le dimostrazioni delle percezioni ingannano, e quelle della scienza sono, secondo le basi della scienza stessa, perennemente rivedibili e non definitive?
Citazione di: Aumkaara il 16 Ottobre 2020, 00:01:00 AM
Citazione di: Ipazia il 15 Ottobre 2020, 23:08:27 PM
Una filosofia che non tragga il proprio nutrimento dai dati di fatto (ad es: ivg) che valore può avere ?
A non trasformare in dogmi non solo le opinioni, ma neanche i dati elaborati con metodi e tecniche, ad esempio? Per riflettere senza dover per forza contare e misurare? Per agire c'è già altro: appunto la scienza, le emozioni, gli istinti, le necessità fisiche.
Citazione di: Ipazia il 15 Ottobre 2020, 23:08:27 PMCi sono lasciti e lasciti. Alcuni immortali, ma molti più sono Holzwege, sentieri interrotti che hanno smarrito la strada, impiccandosi ad un ramo con su scritto: "ipse dixit"
Lasciamoli stare gli Immortali, non crediamo alle favole, e lasciamo stare i morti, impiccati agli ipse dixit. O magari ai "dati di fatto". Perché invece non riprendiamo, o ricominciamo sistematicamente, stavolta senza deviazioni nel mezzo, una catena logica che possa dimostrare la fondatezza della molteplicità, visto che le dimostrazioni delle percezioni ingannano, e quelle della scienza sono, secondo le basi della scienza stessa, perennemente rivedibili e non definitive?
La molteplicità é autoevidente: . . le emozioni, gli istinti, le necessità fisiche. Cervelli e stomaci distinti che pensano e si cibano distintamente.
Averne di dogmatismo, se fosse sempre dipendente dai dati di fatto ! Ci saremmo risparmiati almeno le guerre di religione !
Citazione di: Ipazia il 16 Ottobre 2020, 21:05:10 PM
La molteplicità é autoevidente: . . le emozioni, gli istinti, le necessità fisiche. Cervelli e stomaci distinti che pensano e si cibano distintamente.
Averne di dogmatismo, se fosse sempre dipendente dai dati di fatto ! Ci saremmo risparmiati almeno le guerre di religione !
Di
guerre ce ne sono di più oggi, e più gravi e pericolose di prima (grazie alla scienza e alla tecnica, ma senza averne colpa), la maggior parte promosse da motivazioni per niente religiose, per quanto in alcuni casi la religione venga usata per mascherare altri fini. E anche il sole che si muove nel cielo mentre la Terra è ferma è autoevidente, se non si indaga.
Proviamo a seguire il buon esempio della scienza, quando non si ferma ai dogmi, e riprendiamo o ricominciamo ad analizzare la coerenza logica e filosofica di una molteplicità fondamentale?
Che la religione stessa sia nata per altri fini (potere, affrancamento dal duro lavoro) sono la prima a sostenerlo. Ció non toglie che essa funzioni come valore aggiunto satanico (S.Weinberg) nel processo di civilizzazione e perciò ne vada analizzata rigorosamente la "coerenza logica e filosofica" nell'ethos.
Altrettanto, spostandosi verso la metafisica, va fatto per le numerologie fondative della realtà e per la metafisica dell'apparenza. Assumendosi "virilmente" il rischio di scoprire che di maya esistono solo i veli. Da curare, abbellire e migliorare.
Citazione di: Ipazia il 17 Ottobre 2020, 08:24:03 AM
Che la religione stessa sia nata per altri fini (potere, affrancamento dal duro lavoro) sono la prima a sostenerlo. Ció non toglie che essa funzioni come valore aggiunto satanico (S.Weinberg) nel processo di civilizzazione e perciò ne vada analizzata rigorosamente la "coerenza logica e filosofica" nell'ethos.
Altrettanto, spostandosi verso la metafisica, va fatto per le numerologie fondative della realtà e per la metafisica dell'apparenza. Assumendosi "virilmente" il rischio di scoprire che di maya esistono solo i veli. Da curare, abbellire e migliorare.
Valutare la religione solo da un punto di vista di coerenza e logica, sempre e comunque (tra l'altro considerandola solo "satanica", come se qualcosa potesse avere solo un aspetto: il che è paradossalmente una considerazione molto religiosa e poco logico-razionale), rischia di snaturarla e renderla inservibile nei momenti in cui può essere utile, e, visto che un certo grado di religiosità esiste in tutti, per quanto non convenzionale o irriconoscibile possa essere, è bene lasciarle un minimo di spazio sia collettivamente che personalmente: sarebbe come voler analizzare la sessualità (visto che è stata accennata la virilità nella seconda parte del discorso, e anche su quella torneremo) fino a ridurla a dei componenti oggettivati e spersonalizzati inutilizzabili (nonostante essa, come tutto il resto, non sia formata da componenti, per quanto essi siano formulabili e utilizzabili come concetto per rendere fruibile la sessualità - e qualunque altra cosa - anche dalla ragione): se anche un individuo non la utilizzasse più nella sua vita (perché è un eremita, troppo anziano, troppo debilitato, ecc.), sarebbe bene che ne conservasse l'organicità e l'interezza per lo meno nella sua psiche, riducendola solo quantitativamente, integrandola o incanalandola eventualmente in qualche aspetto più ampio o perlomeno alternativo. Analizzare fino a distruggere, invece che analizzare solo per favorirne un certo utilizzo o una qualche integrazione o trasformazione, non porterebbe a niente di equilibrato, al massimo a qualcosa di freddo e asettico le cui conseguenze prima o poi porterebbero a risvegliare la propria sensibilità (sessuale o, fuor di esempio, religiosa) in modi più traumatici e a volte poco riconoscibili, tanto da rendere poi anche difficile un recupero della funzione "asetticamente smembrata".
Tornando invece alla citata metafisica: strano che la conclusione descritta sia anche la mia: di Maya abbiamo solo i veli, la "sostanza" dei veli non possiamo averla e neanche possiamo manipolarla, perché è quello che siamo (la creta può solo cambiare forma scontrandosi con altra creta, non può cambiare di natura solo mutando forma). Il problema è che per fare "virilmente" questo (senza dimenticare l'aspetto più "femminile", o incorriamo nei problemi descritti prima) dobbiamo prima penetrare, appunto virilmente (aiutandosi con tutta la sensibilità necessaria sia verso se stessi sia verso l'argomento), tutto quello che ci dimostra che maya è un velo, una forma, e non una realtà fondamentale, una sostanza. Altrimenti sarebbe come piegarsi di fronte ad una resistenza, ad un dogma considerato impenetrabile, ad una posizione frigida per partito preso, e non per incapacità o insensibilità connaturata.
La religione non è solo satanica, ma l'inferno l'ha inventato lei e alcune religioni hanno fatto, e fanno, di tutto per realizzarlo in terra. Nietzsche e Weinberg, ma pure Rushdie hanno detto cose importanti e meritevoli di riflessione su questo argomento.
Non capisco cosa significa "un certo grado di religiosità esiste in tutti" ? Affermazione impegnativa che esige una dimostrazione. Nel mio caso ho chiuso con la religione nella prima adolescenza, trovandola incompatibile non solo con la razionalità, ma pure, visto che ne parli, con una gioiosa sessualità.
Il richiamo alla virilità è una ironica chiamata in causa del coraggio per accettare il fatto che non esiste nessuna cosa in sè, nessuna maya, nessuna quintessenza e nessuna divinità. Esiste solo ciò che appare e su questo bisogna lavorare per renderlo sempre più, come insegnarono gli antichi greci, a misura d'uomo (ma pure di donna e bambino). Ci vuole molto coraggio per costruire sul nulla, inventandosi giorno per giorno, epoca per epoca, i propri fondamenti di valore. Senza Ricettari Unici e caramelle finali.
Citazione di: Ipazia il 17 Ottobre 2020, 22:17:58 PM
La religione non è solo satanica, ma l'inferno l'ha inventato lei e alcune religioni hanno fatto, e fanno, di tutto per realizzarlo in terra. Nietzsche e Weinberg, ma pure Rushdie hanno detto cose importanti e meritevoli di riflessione su questo argomento.
Non capisco cosa significa "un certo grado di religiosità esiste in tutti" ? Affermazione impegnativa che esige una dimostrazione. Nel mio caso ho chiuso con la religione nella prima adolescenza, trovandola incompatibile non solo con la razionalità, ma pure, visto che ne parli, con una gioiosa sessualità.
Il richiamo alla virilità è una ironica chiamata in causa del coraggio per accettare il fatto che non esiste nessuna cosa in sè, nessuna maya, nessuna quintessenza e nessuna divinità. Esiste solo ciò che appare e su questo bisogna lavorare per renderlo sempre più, come insegnarono gli antichi greci, a misura d'uomo (ma pure di donna e bambino). Ci vuole molto coraggio per costruire sul nulla, inventandosi giorno per giorno, epoca per epoca, i propri fondamenti di valore. Senza Ricettari Unici e caramelle finali.
La religione ha postulato un inferno e lo ha anche realizzato. Le società che lo hanno negato e hanno abbracciato scienza e tecnologia pensando che bastassero o che comunque rivelassero l'essenziale, lo hanno realizzato molto meglio. Solo in parte, per ora, per una piccola fetta di mondo (che può appena trovarsi contenta di lavorare quasi solo per acquistare), e quasi totalmente per il resto dei popoli, quelli colonizzati militarmente prima ed economicamente ora.
Io non ho mai iniziato una religione, ma so che ho un aspetto che vede il mondo con la stessa qualità di sensazioni, emozioni e sentimenti che animano i religiosi. E ho visto che tutti quelli che negano tale aspetto lo vivono comunque, scambiandolo per qualcos'altro: non hanno senso le analisi psicologiche su internet, ma hai insistito abbastanza su di una visione di un mondo in cui sono reali solo le apparenze (?!), per vedere che si può arrivare a credere all'incredibile, quindi a credere ideologicamente. Come con le religioni, ma senza saperlo.
Capirne l'assurdità, anche solo linguistica, capire che una cosa che appare è appunto apparenza di altro, e che se invece è l'unica realtà allora non è un'apparenza, non significa aspettarsi una caramella finale: significa continuare a costruire il mondo, perché è inevitabile, perché, in quanto apparenza, appare necessariamente, per sua natura, ma non per questo è qualcosa di fondamentale. E ciò che non è fondamentale non ha bisogno di grande coraggio. E quindi neanche di grande paura, con tutto quello che consegue l'averla, soprattutto se non si sa di averla, e in ogni caso dovendola costantemente compensare con il coraggio e le ideologie (o con le appropriazioni "infernali" di spazi altrui di cui sopra).
Citazione di: Aumkaara il 17 Ottobre 2020, 23:09:55 PM
La religione ha postulato un inferno e lo ha anche realizzato. Le società che lo hanno negato e hanno abbracciato scienza e tecnologia pensando che bastassero o che comunque rivelassero l'essenziale, lo hanno realizzato molto meglio. Solo in parte, per ora, per una piccola fetta di mondo (che può appena trovarsi contenta di lavorare quasi solo per acquistare), e quasi totalmente per il resto dei popoli, quelli colonizzati militarmente prima ed economicamente ora.
Homo sapiens è animale assai immaginifico. Di fronte alle difficoltà della sua condizione reale si inventa una dualità tra bene e male, paradiso e inferno, nirvana e samsara. Gli è difficile accettare il mondo così com'è, come appare nella sua assoluta evidenza di vita e morte... Vi è una differenza sostanziale tra gli inferni/paradisi dell'immaginario e della pratica religiosa rispetto alle figure omologhe generate dalla tecnoscienza: l'immaginario che anima la religione, postulando l'assoluto, non ha limiti, ed ogni crimine in nome di Dio, viene legittimato. Cosa che nessun despota o regime dispotico immanente si può concedere: i dittatori passano, inquisitori e tagliagole restano.
CitazioneIo non ho mai iniziato una religione, ma so che ho un aspetto che vede il mondo con la stessa qualità di sensazioni, emozioni e sentimenti che animano i religiosi. E ho visto che tutti quelli che negano tale aspetto lo vivono comunque, scambiandolo per qualcos'altro: non hanno senso le analisi psicologiche su internet,
Spannometria fenomenologica, non degna di chi disdegna le apparenze. Per giunta farlocche come in questo bias.
Citazionema hai insistito abbastanza su di una visione di un mondo in cui sono reali solo le apparenze (?!), per vedere che si può arrivare a credere all'incredibile, quindi a credere ideologicamente. Come con le religioni, ma senza saperlo.
Altro non sequitur. Ciò che appare ha una sua legittima, anche quando è ingannevole, dignità ontologica. Ci voleva una ideologia specifica, appunto religiosa, per trasformare il moto apparente del sole in una guerra di religione. Le ideologie immanenti sono un tantino più razionali anche nella cattiveria.
CitazioneCapirne l'assurdità, anche solo linguistica, capire che una cosa che appare è appunto apparenza di altro, e che se invece è l'unica realtà allora non è un'apparenza, non significa aspettarsi una caramella finale: significa continuare a costruire il mondo, perché è inevitabile, perché, in quanto apparenza, appare necessariamente, per sua natura, ma non per questo è qualcosa di fondamentale. E ciò che non è fondamentale non ha bisogno di grande coraggio. E quindi neanche di grande paura, con tutto quello che consegue l'averla, soprattutto se non si sa di averla, e in ogni caso dovendola costantemente compensare con il coraggio e le ideologie (o con le appropriazioni "infernali" di spazi altrui di cui sopra).
E' vero: non si tratta di coraggio, ma del suo precursore, l'innocenza:
Citazione di: F.Nietzsche - La gaia scienza 1886«Oh questi Greci! Loro sì sapevano vivere; per vivere occorre arrestarsi animosamente alla superficie, all'increspatura, alla pelle, adorare la parvenza, credere a forme, suoni, parole, all'intero Olimpo della parvenza! Questi Greci erano superficiali – per profondità!»
Profondità limpida come una superficie, non mostro abissale che brama le, indubbiamente solide, fondamenta di una prigione. O di una caserma, dove si allevano shahid educati a
perinde ac cadaver secondo l'insegnamento del loro primo generale che recitava: "Datemi un bambino nei primi sette anni di vita e io vi mostrerò l'uomo". Da cui hanno tratto insegnamento anche le madrase islamiste, sempre a rimorchio dei primi della classe in fatto di inumanità...postulante l'Assoluto.
Oltre la religione e più in profondità di essa, l'assoluto è il primo vagito della cultura.
Citazione di: Ipazia il 19 Ottobre 2020, 23:04:09 PMHomo sapiens è animale assai immaginifico. Di fronte alle difficoltà della sua condizione reale si inventa una dualità tra bene e male, paradiso e inferno, nirvana e samsara. Gli è difficile accettare il mondo così com'è, come appare nella sua assoluta evidenza di vita e morte... Vi è una differenza sostanziale tra gli inferni/paradisi dell'immaginario e della pratica religiosa rispetto alle figure omologhe generate dalla tecnoscienza: l'immaginario che anima la religione, postulando l'assoluto, non ha limiti, ed ogni crimine in nome di Dio, viene legittimato. Cosa che nessun despota o regime dispotico immanente si può concedere: i dittatori passano, inquisitori e tagliagole restano.
Sì, tagliagole e inquisitori restano, e si adattano alla situazione: se trovano laicità e tecnoscenza, proseguono la loro opera in esse. Magari più sottilmente, o meno direttamente (gli schiavi in città non sono più accettabili? Schiavizzano altri paesi. Non sarà poi sufficiente che siano lontani? Li deportano qui chiamandoli immigrati e "risorsa umana". Ecc.).
Strano però come bene-male, paradiso-inferno, ecc. siano considerate immaginifiche, mentre vita-morte no. Se la dualità è un'invenzione umana, anche questa non può essere definita evidenza o dato di fatto, non importa quanto i sensi si lascino convincere quando hanno un neonato o un cadavere davanti a sé: se dovessimo basarci sulle evidenze dei sensi, il sole girerebbe ancora intorno a noi.
CitazioneSpannometria fenomenologica, non degna di chi disdegna le apparenze. Per giunta farlocche come in questo bias.
Cioè non è vero che c'è in tutti una propensione agli stessi sentimenti dei religiosi? Al contrario, è dimostrato continuamente, da me quando ad esempio cercavo in qualche modo un Assoluto, da te ogni volta che ti fermi ad un dato di fatto ontologizzandolo.
Citazione
Altro non sequitur. Ciò che appare ha una sua legittima, anche quando è ingannevole, dignità ontologica. Ci voleva una ideologia specifica, appunto religiosa, per trasformare il moto apparente del sole in una guerra di religione. Le ideologie immanenti sono un tantino più razionali anche nella cattiveria.
È la giustifizione degli inquisitori: "la nostra visione è più giusta di quella delle altre regioni, giustifica anche la nostra violenza". Stavolta invece di essere posto come degno un trascendente più o meno costruito a tavolino, è posto come degno un immanente illogico, perché pone come ontologica l'apparenza del sole che gira intorno a noi. Di nuovo viene proposto un universo a scaglioni tutti reali: la sezione in cui la Terra gira intorno al Sole e la sezione del Sole che gira in torno alla Terra. Una pluralità tutta reale, invece che una serie di punti di vista. È molto platonico: tutti i nostri punti di vista avrebbero un fondamento ontologico, sarebbero simulacri di Idee con un loro essere reale.
CitazioneE' vero: non si tratta di coraggio, ma del suo precursore, l'innocenza:
Citazione di: F.Nietzsche - La gaia scienza 1886«Oh questi Greci! Loro sì sapevano vivere; per vivere occorre arrestarsi animosamente alla superficie, all'increspatura, alla pelle, adorare la parvenza, credere a forme, suoni, parole, all'intero Olimpo della parvenza! Questi Greci erano superficiali – per profondità!»
Profondità limpida come una superficie, non mostro abissale che brama le, indubbiamente solide, fondamenta di una prigione. O di una caserma, dove si allevano shahid educati a perinde ac cadaver secondo l'insegnamento del loro primo generale che recitava: "Datemi un bambino nei primi sette anni di vita e io vi mostrerò l'uomo". Da cui hanno tratto insegnamento anche le madrase islamiste, sempre a rimorchio dei primi della classe in fatto di inumanità...postulante l'Assoluto.
Non è ancora chiaro che neanche io cerco un Assoluto? E che quindi sono molto più lontano di te da un integralista (di una qualunque religione), anche se riesco a parlare il suo linguaggio, visto che non credo assurdamente che la base dei sentimenti che anima lui/lei sia diversa da quella che animava il mio cercare una condizione assoluta, e che anima il tuo credere a punti di vista considerati come dati di fatto ontologici, che neanche la scienza considera tali (per essa sono dati elaborati e sempre confutabili). Infatti riesco a parlare anche con te all'infinito cercando di evitare di contrapporti un qualche punto di vista mio: cerco solo di seguire la tua logica, che mi porta sempre ad analisi di un realismo pluralistico (con una ontologia criptoplatonica, abbiamo appena visto), analisi interrotta da un "fatto bruto" (dogma, quindi) e mai più ripresa (possiamo riprenderla o ricominciarla quando vuoi).
Sono forse più simile io a questi greci descritti da Nietzsche, anche se non mi sono mai molto considerato greco o nietzschiano: per avere l'innocenza di non trincerarsi in una posizione ma sapersi muovere in ogni ambito della superficie, si deve prima (come lui ha detto fecero i greci) essere profondi. Superficiali per profondità di veduta. E l'unica profondità che non sia mera seriosità o sdegno (verso le religioni, ad esempio) è data dal non ontologizzare (o meglio, non assolutizzare, che sono due cose un po' diverse) nessun punto di vista: non quello della propria cultura etnica, ché altrimenti si diviene fondamentalisti, e non quello delle esperienze sensoriali e scientifiche, perché altrimenti si cade in un platonismo mascherato (sbaglio o il platonismo è uno dei fondamenti, dichiarati o meno, del cristianesimo? Non ci sarebbe da stupirsi: si vive in altra forma le proprie radici culturali, quando le si disprezzano invece di integrarle senza per questo aderirvi). Che non è neanche male, l'ontologia platonica, solo che, oltre a stare attenti a non assolutizzarla, andrebbe applicata ad ogni idea (anche alle più opposte), non solo alla propria.
Come dicevano i vecchi compagni comunisti: non gettiamo via il bambino con l'acqua sporca. In quel caso il bambino era il socialismo reale e l'acqua sporca le sue malefatte. Nel nostro caso il bambino è l'universale platonico e dell'acqua sporca parliamo dopo.
Il bambino ontologizza. Lo fa fin dai tempi delle caverne per distinguere la mamma dalla capra. Ontologizzare è specifica antropologica irrinunciabile, come afferma il più ispirato degli evangelisti che, fatta la tara dell'acqua sporca, proclama: en archè en o logos. L'acqua sporca non è ontologizzare, ma reificare, ovvero imporre ontologie fantastiche come reali. Finchè ontologizzo la mamma, capra, gatto, clava, non falsifico la realtà ma mi limito a darle un nome. Ed anche su questo il testamento ebraico ha le idee chiare. "Qualcosa" fa le cose e l'uomo dà loro un nome.
Il problema nasce quando a quel Qualcosa, senza averne capacità dimostrativa alcuna, si attribuisce uno status di realtà nota, declinandone genealogie, poteri, intenzioni, costringendo alfine altri umani a sottomettersi a questo parto sonnolento della (s)ragione. Questo per me è la religiosità e me ne sono, insieme a qualche altro miliardo di umani, tirata felicemente fuori.
Platone no. Vi era così immerso da avere inventato l'armamentario strumentale e retorico saccheggiato poi dalle religioni occidentali ancora attive. Ma se lo confrontiamo con la spiritualità e l'intelletto della sua epoca, gli si possono perdonare molte cose che oggi sarebbero imperdonabili e prendere atto al contempo che la sua intuizione degli universali è la prima approfondita elaborazione del modo sintetico in cui opera la razionalità umana, innocentemente al di qua del bene e del male.
L'accortezza d'uso è conservare l'universale nelle condizioni onto-epistemologiche corrette, atte ad evitare che si adulteri in tossico feticcio reificato.
Citazione di: Ipazia il 20 Ottobre 2020, 23:03:03 PM
Come dicevano i vecchi compagni comunisti: non gettiamo via il bambino con l'acqua sporca. In quel caso il bambino era il socialismo reale e l'acqua sporca le sue malefatte. Nel nostro caso il bambino è l'universale platonico e dell'acqua sporca parliamo dopo.
Il bambino ontologizza. Lo fa fin dai tempi delle caverne per distinguere la mamma dalla capra. Ontologizzare è specifica antropologica irrinunciabile, come afferma il più ispirato degli evangelisti che, fatta la tara dell'acqua sporca, proclama: en archè en o logos. L'acqua sporca non è ontologizzare, ma reificare, ovvero imporre ontologie fantastiche come reali. Finchè ontologizzo la mamma, capra, gatto, clava, non falsifico la realtà ma mi limito a darle un nome. Ed anche su questo il testamento ebraico ha le idee chiare. "Qualcosa" fa le cose e l'uomo dà loro un nome.
Il problema nasce quando a quel Qualcosa, senza averne capacità dimostrativa alcuna, si attribuisce uno status di realtà nota, declinandone genealogie, poteri, intenzioni, costringendo alfine altri umani a sottomettersi a questo parto sonnolento della (s)ragione. Questo per me è la religiosità e me ne sono, insieme a qualche altro miliardo di umani, tirata felicemente fuori.
Platone no. Vi era così immerso da avere inventato l'armamentario strumentale e retorico saccheggiato poi dalle religioni occidentali ancora attive. Ma se lo confrontiamo con la spiritualità e l'intelletto della sua epoca, gli si possono perdonare molte cose che oggi sarebbero imperdonabili e prendere atto al contempo che la sua intuizione degli universali è la prima approfondita elaborazione del modo sintetico in cui opera la razionalità umana, innocentemente al di qua del bene e del male.
L'accortezza d'uso è conservare l'universale nelle condizioni onto-epistemologiche corrette, atte ad evitare che si adulteri in tossico feticcio reificato.
Io non ci sono neanche mai entrato in una religione, e mi sono liberato anche dalla ricerca filosofica di un qualcosa di non duale, eppure non si può sradicare la tendenza a trasformare in realtà ontologica (anzi, assoluta) ciò che per noi è sempre epistemico, e a volerla imporre agli altri (oggi tramite politica, economia e guerre, un tempo con evangelizzazione e guerre, ma è lo stesso, anzi, sono appunto aumentati i mezzi, anche come quantità di impatto; ma si ridurranno inevitabilmente, cambieranno, dopo aver fatto altri danni magari con l'aggiunta di ulteriori mezzi). Si può solo tenere questa tendenza sotto controllo, o persino incanalarla in altre "distrazioni". I più fortunati possono al massimo renderla quasi subliminale, ma solo se non la dimenticano (altrimenti cade nel cosiddetto inconscio, che è semplicemente una minore attenzione, e da lì fa più danni). In ogni caso, prima si deve sapere che non è sradicabile, altrimenti significa che nell'inconscio c'è già andata.
Una (pedante) postilla sulla religione partendo da questi due spunti:
Citazione di: Aumkaara il 17 Ottobre 2020, 23:09:55 PM
Io non ho mai iniziato una religione, ma so che ho un aspetto che vede il mondo con la stessa qualità di sensazioni, emozioni e sentimenti che animano i religiosi. E ho visto che tutti quelli che negano tale aspetto lo vivono comunque, scambiandolo per qualcos'altro
Citazione di: Ipazia il 20 Ottobre 2020, 23:03:03 PM
Il problema nasce quando a quel Qualcosa, senza averne capacità dimostrativa alcuna, si attribuisce uno status di realtà nota, declinandone genealogie, poteri, intenzioni, costringendo alfine altri umani a sottomettersi a questo parto sonnolento della (s)ragione. Questo per me è la religiosità e me ne sono, insieme a qualche altro miliardo di umani, tirata felicemente fuori.
Come per la metafisica, si corre spesso il rischio di ignorare le coordinate temporali, confondendo il valore e il ruolo che aveva secoli fa con quello che ha/può avere oggi. Parlare di religioni in termini di martiri, crociate e inferni oppure, peggio ancora, guardare a tutte le religioni dalla serratura di uno specifico terrorismo di spunto religioso, non è a mio avviso un gesto metodologico pertinente, perché non coglie cos'è oggi una religione in generale (e si limita a fare
cherry picking per veder così confermate le proprie critiche, come se l'aderire ad una religione fosse una questione di essere nostalgici dei massacri in Terra Santa, apprezzare
i "vizietti" dei ministri del culto, schierarsi a favore di chi non paga le tasse sugli immobili, accettare una libresca alternativa creazionistica alla visione scientifica, etc. se fosse solo questo, il cristianesimo si sarebbe probabilmente già estinto, almeno in occidente).
Per centrare il bersaglio del fascino religioso che tutela la diffusione dei vari culti nel mondo, bisogna guardare al piano esistenziale/sociale, non a quello storico o filologico (o, ancor meno, terroristico); come invece fanno,
quasi inevitabilmente, quegli atei che non hanno mai creduto e quindi riducono la religione alla
storia delle istituzioni religiose, non conoscendo il sapore esistenziale che può avere la fede, stupendosi dunque di come tanta gente non consideri rilevanti le nefandezze delle (istituzioni che amministrano le) religioni.
Proprio come per chi ha ancora oggi un approccio metafisico classicheggiante (non solo etimologico), nel postulare un assoluto religioso si tratta di rispondere ad una certa istanza di senso; la medesima che anima le grandi ideologie politiche (e anche qui siamo comunque nell'anacronismo). Quando
Aumkaara parla di «un aspetto che vede il mondo con la stessa qualità di sensazioni, emozioni e sentimenti che animano i religiosi»(cit.) probabilmente si riferisce alla suddetta istanza. Contrapporre a questa "interrogazione semantica" della vita (con "taglio" metafisico), il curriculum delle istituzioni religiose (o politiche, o altro) evidenziando la loro cruda umanità e incoerenza, secondo me non aiuta una riflessione filosofica sull'
attualità del tema dell'assoluto (religioso e non), ma fomenta sterilmente la protervia narcisistica della
schadenfreude antireligiosa (che talvolta si appella puerilmente ad un vendicativo contrappasso, appunto,
storico).
Concordo con l'osservazione di
Jacopus e la interpreto con la constatazione che ogni cultura si è (auto)elaborata facendosi carico delle (e al contempo condizionandole) esigenze collettive, esistenziali e organizzative, proponendo degli "assoluti" (di volta in volta tali) come (co)stella(zione) polare, come fondamenti affidabili (fino al successivo mutamento culturale), secondo un concetto di assoluto che, sintetizzando molto, si presenta tanto più potente quanto più gioca sulla contiguità platonica fra universalità e astrazione, ponendo l'accento sul primo termine (anche se, dopo le dovute riflessioni sul ruolo del linguaggio, attualmente e neuroscientificamente l'accento si sta "secolarmente" spostando sul secondo, distinguendo postulazione da conoscenza).
Citazione di: Phil il 21 Ottobre 2020, 12:20:26 PM
Proprio come per chi ha ancora oggi un approccio metafisico classicheggiante (non solo etimologico), nel postulare un assoluto religioso si tratta di rispondere ad una certa istanza di senso; la medesima che anima le grandi ideologie politiche (e anche qui siamo comunque nell'anacronismo). Quando Aumkaara parla di «un aspetto che vede il mondo con la stessa qualità di sensazioni, emozioni e sentimenti che animano i religiosi»(cit.) probabilmente si riferisce alla suddetta istanza.
Direi di sì. In forme anche più semplici, quotidiane, o, viceversa, in forme che aiutano ad avere visioni d'insieme anche in ambiti frazionato per principio, come la scienza, che, se lasciata completamente orfana della visione d'insieme, dell'istanza di senso, va alla deriva per poi svilupparne una con logiche particolarmente erratiche (e non semplicemente poco lineari, come in tutte le visioni d'insieme).
Mi stupisce che Phil, così puntiglioso nella richiesta di precisione e focalizzazione semantica, lasci tanto sbrodolante spaziotempo alla religiosità e così poco alla metafisica, che preferisce rinchiudere in un recinto classico per pochi eletti.
Possiamo pure accettare che vi siano analogie tra feticismi religiosi, ideologici, economici e variamente esistenziali; ma perché sussumere il tutto sotto la categoria della religiosità piuttosto che dell'illusionalità sublimante che effettivamente tutti li contiene.
Rimane certo, sul versante più nobile dello spirito umano, la domanda di senso *. Ma se rispondi religiosità, la risposta é sbajata. Mica perché lo afferma Ipazia, ma perché lo dimostrano gli Holzwege di un'esperienza storica plurimillenaria.
Evidentemente anch'io, come Phil, ho le mie idiosincrasie verso certe estensioni semantiche.
* la domanda di senso é domanda archetipica metafisica par excellence, ma la risposta parziale "religiosità" la lascerei ai preti.
.
Salve Phil. Citandoti : "Come per la metafisica, si corre spesso il rischio di ignorare le coordinate temporali, confondendo il valore e il ruolo che aveva secoli fa con quello che ha/può avere oggi".
Scusa, ma non capisco cosa c'entri la storia della metafisica (o della filosofia) con i contenuti, i dettami di tali due branche della conoscenza.
Sarebbe come se la cronistoria delle battaglie di Napoleone potesse essere d'aiuto nel comprendere il perchè ideologico della visione del mondo di Napoleone. O sono io che - appunto - non capisco ?. Saluti.
@Ipazia
Non dovrebbe stupire la (mia) disparità di "trattamento" fra metafisica e religione (intesa popolarmente, non come teologia) perché la religiosità è un fenomeno di massa, mentre il pensare metafisico, filosoficamente inteso, richiede (come lo studio dei complotti di cui si parla altrove) un minimo di dedizione e accuratezza. La risposta religiosa è preconfezionata quindi pronta all'uso e ben adatta alle masse indaffarate ma non sorde alla richiesta di un senso (semantico o direzionale o "sesto" che sia); la risposta metafisica richiede una fruizione differente.
Sull'illusionalità, con riferimento a quanto dissi tempo fa su vuoto, convenzioni, (s)fondamento zen, funzionalità della scienza, etc. già sai che "sfondi un velo aperto" (ricordi la vignetta vuota, senza albero?), tuttavia dipende comunque a che livello di linguaggio, appunto convenzionale, decidiamo di parlare.
Per la domanda di senso esistenziale, la risposta «religione» è spesso quella giusta; lo conferma la giuria popolare di alcuni miliardi di persone (circa l'80% della popolazione mondiale pare creda a qualche religione). Si può certamente non essere concordi (e sai che non sono di nessuna parrocchia), ricordando che la quantità non è la qualità, ma essendo nel campo di valori e credenze (senza entrare nel merito del "senso" in questione), il concordare o meno è una questione molto relativa e personale (non c'è Holzwege storicizzato che possa dimostrare nulla in merito; o meglio, l'unico che potrebbe termina al cimitero e per ora non pare fornirci feedback attendibili).
@viator
Contestualizzando storicamente la metafisica possiamo comprenderne meglio il senso (e i rispettivi mutamenti): il valore e il ruolo che aveva la metafisica ai tempi di Aristotele è decisamente differente da quello che può avere oggi; non considerare questa differenza è il rischio a cui mi riferivo. Esemplificando con un contenuto: Aristotele poteva, ai suoi tempi, ragionevolmente speculare ed argomentare su un "motore immobile"; oggi suonerebbe più anomalo e meno attendibile.
Salve Phil e grazie. Citandoti : "Esemplificando con un contenuto: Aristotele poteva, ai suoi tempi, ragionevolmente speculare ed argomentare su un "motore immobile"; oggi suonerebbe più anomalo e meno attendibile.".
Sì, allora è infatti ciò che ho creduto di aver capito delle tue parole. Ma allora il fatto diventa che io "contesto" la minore attuale attendibilità (la modernità e l'attualità secondo me non hanno alcuna relazione con la ragionevolezza).
Anzi, l'esistenza di un "motore immobile" potrebbe risultare avvalorabile della "moderna" considerazione per la quale la pura e semplice massa di un corpo funge - attraverso l'attrazione gravitazionale che esso esercita - da motore immobile. (nessun corpo è immobile, ma il fatto che esso risulti in movimento relativo non dovrebbe inficiare il principio fisico della gravità). Saluti.
@viator
Al di là di assonanze linguistiche e metaforiche, la teoria fisica che assegna ad ogni corpo un campo gravitazionale non ha molto da condividere, o al massimo falsifica, quella metafisica aristotelica dell'unico motore immobile: le due argomentazioni, le due verificabilità (o meno), i due piani del discorso, le due catene di conseguenze, etc. dimostrano che alcune teorie, se trasportate in un altro periodo storico, perdono di ragionevolezza. Più in generale, è proprio il confronto con le altre discipline che muta il contesto e la "verità" di molte speculazioni filosofiche, che solitamente possono essere "attualizzate" o per via metaforica (facendo slittare, più o meno forzatamente, i significati originari, come nel caso precedente) o per via dogmatica (disconoscendo e sospettando delle alternative più recentemente proposte).
La ragionevolezza ha anch'essa un legame con l'attualità poiché non è asetticamente indipendente dal contesto: una volta era ragionevole e forse persino etico risolvere diverbi con un duello all'ultimo sangue o appellandosi ad oracoli; oggi, cambiato il contesto, è decisamente meno ragionevole (il che non significa che non accada più, ma che tali eventi vengono letti con meno ovvietà e paiono, appunto, meno ragionevoli che in passato). Tanto per non addentrarsi nei soliti esempi della "passata ragionevolezza" del geocentrismo, o della superiorità dei "visi pallidi", o dell'esistenza di dei, o del possesso di schiavi, etc.
Salve phil. Accetto le tue osservazioni, trovandole ragionevoli. Tuttavia anche in passato, credo proprio che le persone ragionevoli si rendessero conto che certe soluzioni richieste da etiche, morali od addirittura prassi (duelli, pena di morte, oracoli, prodigi assurdi) rappresentassero unicamente il "far di necessità virtù" imposto dalla (im)maturazione delle epoche e non certo una risposta razionale alle istanze dell'esistenza. Insomma, la maturazione-evoluzione cerebrale che porta un qualsiasi cervello individuale al poter esercitare una adulta ragionevolezza.........non credo si sia sviluppata all'interno delle epoche storiche.Saluti.
@viatorNon credo esista una ragionevolezza comportamentale assoluta (non parlo di
problem solving di tipo pratico), ovvero che prescinda dalla sua situazione culturale e storica, così come non esiste un cervello che ragioni senza essere condizionato dalla sua storia (educazione, esperienze, contesto sociale, etc.). L'«adulta ragionevolezza» è mutata con il mutare delle culture nella storia, anche se è spontaneo non riuscire ad essere obiettivi in merito, proprio perché la nostra ragionevolezza non è quella degli altri, siano essi nostri contemporanei o antichi.
Se non molte generazioni fa era ragionevole (ma non obbligatorio) iniziare alla sessualità i ragazzi (minorenni?) tramite esperienza a pagamento (o simili), oggi un episodio del genere, oltre ad essere ritenuto irragionevole nella nostra cultura (ma
non ovunque), comporterebbe probabilmente ripercussioni legali sui genitori. Possiamo davvero dire che quel "momento pedagogico" fosse "oggettivamente" irragionevole e immaturo, a prescindere dal contesto da cui formuliamo tale giudizio (la nostra prospettiva contemporanea)?
Se lo giudichiamo "oggettivamente" irragionevole, da quali indizi concludiamo nondimeno che «le persone ragionevoli si rendessero conto che certe soluzioni richieste [...] rappresentassero unicamente il "far di necessità virtù" imposto dalla (im)maturazione delle epoche e non certo una risposta razionale alle istanze dell'esistenza»(cit.)? Secondo quali criteri "oggettivi" il ragazzo che lo trovava ragionevole aveva torto, mentre chi lo trovava irragionevole era più ragionevole?
Non intendo dire che le culture cambino storicamente per costante maturazione-evoluzione, che ci sia un "oggettivo" miglioramento (sorgerebbe l'aporia dei criteri), quanto piuttosto suggerire che per molte questioni la ragionevolezza sociale è sempre figlia delle sua epoca storica e non c'è una «adulta ragionevolezza» assolutamente metastorica.
Citazione di: Phil il 21 Ottobre 2020, 23:01:33 PM
@Ipazia
Non dovrebbe stupire la (mia) disparità di "trattamento" fra metafisica e religione (intesa popolarmente, non come teologia) perché la religiosità è un fenomeno di massa, mentre il pensare metafisico, filosoficamente inteso, richiede (come lo studio dei complotti di cui si parla altrove) un minimo di dedizione e accuratezza. La risposta religiosa è preconfezionata quindi pronta all'uso e ben adatta alle masse indaffarate ma non sorde alla richiesta di un senso (semantico o direzionale o "sesto" che sia); la risposta metafisica richiede una fruizione differente.
Non mi pare che Aum intendesse "religiosità" in senso così convenzionale e preconfezionato.
CitazioneSull'illusionalità, con riferimento a quanto dissi tempo fa su vuoto, convenzioni, (s)fondamento zen, funzionalità della scienza, etc. già sai che "sfondi un velo aperto" (ricordi la vignetta vuota, senza albero?), tuttavia dipende comunque a che livello di linguaggio, appunto convenzionale, decidiamo di parlare.
Metafisico ? O meta-fisico se preferisci.
CitazionePer la domanda di senso esistenziale, la risposta «religione» è spesso quella giusta; lo conferma la giuria popolare di alcuni miliardi di persone (circa l'80% della popolazione mondiale pare creda a qualche religione).
Nel forum degli atei da me praticato fino alla sua estinzione c'era, in risposta a tale argomento, un topos ricorrente non proprio raffinatissimo, ma che rendeva bene l'idea. Si tratta anche qui "a che livello di linguaggio, appunto convenzionale, decidiamo di parlare". Io suggerirei a livello epistemico e ontologico visto che parliamo di Assoluto (e assoluti). A riprova di ciò ...
CitazioneSi può certamente non essere concordi (e sai che non sono di nessuna parrocchia), ricordando che la quantità non è la qualità, ma essendo nel campo di valori e credenze (senza entrare nel merito del "senso" in questione), il concordare o meno è una questione molto relativa e personale (non c'è Holzwege storicizzato che possa dimostrare nulla in merito; o meglio, l'unico che potrebbe termina al cimitero e per ora non pare fornirci feedback attendibili).
... osservo come sia fresca fresca la notizia che il capo di una delle religioni più sessuofobiche partorite dall'immaginario umano abbia aperto persino al matrimonio gay, suppongo con benedizione celeste annessa. Sa tanto di Maometto e montagna. Ma se al tempo di Galileo e Giordano Bruno era la CCAR la montagna, oggi deve rassegnarsi a fare la parte di Maometto. Il che consente anche di tenersi quei miliardi di fedeli di una religione sempre più faidatè e frendly, mentre i teologi se la cantano e se la suonano come canne nel deserto.
Se è il vertice della gerarchia (almeno di quella terrena) ad affermarlo e legiferarlo, allora non può essere percepito come un "faidatè"; in questo sta il "vantaggio fondazionale" delle religioni (agli occhi dei fedeli, ovviamente). Questa apertura di "target" rende la risposta di quella religione ancora più "user friendly" e "updated", con buona pace dei vari Galileo e Bruno, relegati sempre più a fare gli imbruttiti nei libri di storia e i patroni dei forum per atei (ormai socialmente non mi stupisco più di nulla...).
In fondo, come dicevamo, l'utilità sociale ed esistenziale della religione in questione non è compiacere i teologi o ingannare il tempo in attesa della parusia, ma dare un senso che, da quanto mi segnali, diventa ora percorribile anche per le coppie omosessuali (e qui ritorna pertinente il richiamo alla religiosità-come-istanza fatto da Aumkaara, da non confondere con il mio discriminare fra religione-come-risposta e metafisica-come-filosofia).
Mi inserisco (visto che sono stato citato un paio di volte) con note a caso, per metà neanche troppo serie: non so quanto le gerarchie religiose abbiano a che fare con il senso e i sentimenti che secondo me abbiamo tutti in comune con i religiosi. Le scelte dei gerarchi mi sanno ESCLUSIVAMENTE di politica, anche se non necessariamente negativa o egoisticamente conveniente.
...non necessariamente... ma il mio piccolo (seee, era meglio...) lato complottista, oggi messo sotto accusa da tutti come stupido ed eversivo, mi porta ad ascoltare, tra le altre cose, per passare il tempo mentre lavoro, i suggerimenti un po' più pessimisti alla Diego Fusaro, che vedono queste aperture clericlari come il segno di uno stravolgimento della Chiesa, preda dell'asservimento all'ultracapitalismo ipertecnologico e "gender fluid" di oggi e soprattutto dell'ipotetico vicinissimo domani. Magari è vero, in generale, anche se trovo ORRIBILE la fissazione di mescolare la possibilità che qualche folle potente voglia davvero diffondere e sfruttare la cosiddetta teoria gender (di per sé comunque una teoria come un'altra, magari con tracce di buone idee) per "sfaldare identità e famiglie", con una semplice spontanea varietà di orientamenti sentimentali, di ricerca di identità personali meno convenzionali e di rapporti interpersonali più diversificati di un tempo, tutte cose legittime e finalmente un po' più libere di esprimersi (io e la mia ragazza ne approfittiamo per proclamare un bel "viva il poliamore!"). Anche se comunque un po' mi insospettisco per le gerarchie politiche e ora anche religiose che favoriscono queste espressioni personali ma non dicono molto sugli aspetti più soffocanti della società di oggi. Ok, fine dei complotti per ora.
Tornando più in linea con l'argomento: la comprensione dei sentimenti dei religiosi porta a poter dialogare con loro senza denigrare i loro simboli e le loro assolutizzazioni, anzi, parlando con il loro linguaggio per mostrare come il loro assoluto non sia tale, e che l'assolutezza non è qualcosa da raggiungere, senza per questo negare ogni assoluto, e i loro stessi simboli possono essere usati proprio per capire tutto questo.
PS: concludo tornando al semiserio: il forum ateo ora chiuso accennato da Ipazia è... quello della famosa associazione di atei? L'ho visto ora che aveva chiuso! Lo è ancora? Dice che non c'è più da pochi anni a causa di troppa violenza. Ci scrissi pochi anni prima (ero sicuro che fosse la stessa Ipazia, con l'immagine dell'attrice del film: già parlammo della "riduzione ai quark", anche se non ero l'unico che ne parlò e anche se io non l'ho mai intesa letteralmente in questi termini), ed era un luogo da agnellini in confronto al giretto veloce che ci avevo fatto, diciamo, più di 10 anni fa, quando era un luogo da sociopatici (senza offesa, ma ho visto bar di Caracas migliori).
Sì, ero io. Il forum è andato chiuso a causa del motivo da te detto. Nessuna rientra in un bar in cui qualche avventore ti sputa addosso e il barista se lo coccola. Salvo cacciarlo quando ormai non entra più nessuno e il bar chiude. Fu lì che maturò in me la categoria antropologica dell'ateoscientismo, postulante un Assoluto meccanicistico abitato da macchine biologiche umane. Non troppo dissimile dalla reductio ad quark con cui polemizzai con te e da quell'altra riduzione all'Assoluto che è il disegno intelligente dei teisti, cui si correla il concetto di religiosità. Il quale concetto, mantenendo l'intenzione semantica, andrebbe meglio declinato come spiritualità. Concetto non ri-legato in libri sacri, preferibilmente unici, ma libero come il primigenio atman, nous, spirito vitale. Con tutta la sua i(n)spirata materialità e trascendentale vocazione.
Qualcosa del tipo dell'Infinito dell'ateo Leopardi, rispondente alle domande residue allorquando tutte le domande rivolte alla scienza abbiano avuto risposta. L.Wittg. lo chiamò: mistico, che si mostra nell'animo umano, ma, come un nuclide troppo carico di energia vitale, tende presto a degradarsi in mito, ipostatizzandosi in mitologie autoconservative, che rimandano al celebre aforisma attribuito al gerarca nazista Goebbels.
Assoluti illusionali buoni per le statistiche, ma non per la verità, seppur limitata allo spirito umano, che chiamiamo episteme, sapere.
.
Buon Giorno a tutti!!
Sono il vostro Dante :)
Ma veramente c'era un forum per soli atei? E cosa si doveva fare per entrarci? Dichiararsi atei se no non potevi scrvere? Ateo militante, tipo falce e martello? ;D
Come ci sono forum di cattolici romani, musulmani, apocalittici e integrati, ci sono pure forum di atei. Quelli anglofoni sono fatti molto bene, con
vignette efficacissime, che venivano riportati anche dal defunto forum UAAR. Aperto a tutti, come si conviene a chi ha buone ragioni da esibire. Finchè il
socialmente non si impose con la forza devastante vaticinata da U.Eco rispetto all'ancora incipiente, ma già fiammeggiante, agorà mediatica.
Citazione di: Ipazia il 23 Ottobre 2020, 09:01:39 AM
Come ci sono forum di cattolici romani, musulmani, apocalittici e integrati, ci sono pure forum di atei. Quelli anglofoni sono fatti molto bene, con vignette efficacissime, che venivano riportati anche dal defunto forum UAAR. Aperto a tutti, come si conviene a chi ha buone ragioni da esibire. Finchè il socialmente non si impose con la forza devastante vaticinata da U.Eco rispetto all'ancora incipiente, ma già fiammeggiante, agorà mediatica.
Quelli dei cattolici romani sono terrificanti! >:( Non li frequento per non acuire la mia depressione.Quelli dei musulmani sono vivaci, ma non ci si capisce un caxxo di quello che scrivono purtroppo ( e poi gli utenti mettono tanti filmati Horror, tipo decapitazioni ??? ). Logos, anche se mi pare frequentato prevalentemente da atei è più vario, anche se un pò ...un pò... :D Basta, andiamo OT!
Ipazia: praticamente, da quello che hai appena detto, basterebbe che tu non dividessi più il mondo in sezioni realmente divise, e la penseresti come me in tutto (soprattutto sui vari assoluti, anche se con una sfumatura di fondo ben diversa). 🙃
Dante: come minimo di forum atei ce n'è ancora almeno uno. Quello chiuso faceva parte di un'associazione ufficiale particolarmente famosa (non faccio nomi nel dubbio che sia contro il regolamento di questo, di forum, ma non ho voglia di andare a controllare). 🙃
Ma in generale, a parte che c'è sempre un'aria che vorrebbe essere goliardica (e ci potrebbe stare, anche a chi piace meno) ma che diventa sempre pesantemente ignorante (sia nel senso gergale usato nella mia città come sinonimo di "maleducato", sia nel senso che il 99% non sembra avere neanche nozioni di base a parte saper scrivere e trattenere le bestemmie), però non ci sono preferenze su chi può scrivere: vi ho visto presunti evangelizzatori convinti. Molto meglio accolti (quasi come carini animaletti semi-domestici sopportabili) rispetto a coloro che filosofeggiano, probabilmente perché, a differenza di quest'ultimi, non portavano domande potenzialmente destabilizzanti ma effettivamente non comprese dai più.
Citazione di: Aumkaara il 23 Ottobre 2020, 09:20:56 AM
Ipazia: praticamente, da quello che hai appena detto, basterebbe che tu non dividessi più il mondo in sezioni realmente divise, e la penseresti come me in tutto (soprattutto sui vari assoluti, anche se con una sfumatura di fondo ben diversa). 🙃
La verità, che si manifesta attraverso il logos, nol consente.
La verginità unitaria è andata perduta quando la nube originaria dell'universo fatta di particelle subatomiche, quark, ha cominciato ad aggregarsi in corpi atomici distinti, ciascuno con un proprio differenziato destino. Ci sono voluti miliardi di anni terrestri, perchè uno di questi corpi desse all'universo un barlume di autocoscienza e autoriflessione. E' accaduto qui e non altrove e dell'altrove in cui è accaduto nulla sappiamo.
La differenziazione incombe sovrana e ad essa epistemicamente dobbiamo inchinarci: la stella che ci dà la vita non sa nulla di noi e quando ce la toglierà non sarà per qualche malefica intenzione ma per un "banale" fenomeno astronomico, scritto fin dalla notte dei tempi, col senno di poi, inevitabile come un dio onnipotente, ma, a differenza di quella immaginifica invenzione, del tutto privo di
intenzione.
Perchè un corpo avesse intenzione sono stati necessari alcuni passaggi evolutivi, alcuni salti, che hanno sezionato il mondo dividendolo realmente: un quark, atomo, virus non hanno intenzione. Ci vuole un sistema nevoso centrale per rendere possibili atti intenzionali, un logos per renderli comunicabili, condizioni fisico-chimiche particolarissime per renderlo possibile.
A ritroso possiamo rappresentarci l'unità del tutto, l'universo, e studiarne le interazioni e dipendenze che emergono epistemicamente, ma tutto ciò conferma il differenziamento che ha reso possibile al nostro teoretico assoluto, l'universo, di arrivare ad avere/essere autocoscien/za/te attraverso l'unico ente di cui abbiamo conoscenza: noi.
Su questa specificità antropologica si gioca il tutto epistemico dell'universo. Abbiamone cura e meritiamocelo.
Ipazia: il discorso è molto poetico, anzi, saggio, da punto di vista della ricerca scientifica per come è concepita oggi, ma si basa sui principi di ipertrasformismo e criptocreazionismo che caratterizzano la visione di quasi tutti gli scienziati, e che allungano certe ricerche invece di favorirle.
Eppure sarebbe banale capire il punto: una nube (non importa definirla, non è neanche possibile) ha assunto una forma.
Non è nato niente.
Non si è trasformato niente, se non appunto la forma.
Quando faccio cambiare forma alla creta che ho qui vicino a me non nasce niente, non si aggiunge niente, non si perde niente. La creta ha la capacità di muoversi prima, durante e dopo la nuova forma, la creta è grigia prima, durante e dopo la nuova forma, la creta ha un particolare odore prima, durante e dopo la nuova forma, la creta ha la sua consistenza prima, durante e dopo la nuova forma. Al massimo la nuova forma può rendere più evidente, o viceversa meno praticabile, le sue qualità intrinseche (una forma rotonda favorirà la sua innata capacità di muoversi, ma questa capacità c'è anche quando è una massa "irregolare").
Il niente si crea niente si distrugge non vale solo in chimica.
Salve Aumkaara. Citandoti : "Non si è trasformato niente, se non appunto la forma" ( e concetti tuoi successivi).
Hai detto niente ! Infatti la sostanza (materia) tende a permanere, la forma di essa (la variabile disposizione delle relazioni intrinseche - cioè energetiche - tra gli ingredienti della sostanza (non importa a quale remoto e fondamentale livello di essenzialità).... diviene continuamente (guarda caso, si trasFORMA).
Infatti la sostanzialità della materia consiste solamente nel suo continuo trasformarsi, diversamente essa materia si limiterebbe a "stare" (essere immobilmente-invariabilmente) senza dar luogo ad alcun divenire.
E' la FORMA la chiave di volta dell'universo poichè è essa che - attraverso la diversificazione - produce le STRUTTURE, le quali ovviamente a loro volta generano le FUNZIONI-
Il problema è che molti vivono abbagliati da un concetto (bellissimo, profondissimo, veramente essenziale) che però è appunto solo un concetto astratto : il monismo.
E vorrebbero che tale concetto apparisse ai nostri sensi ed alla nostra ragione i quali, poverini, sono solo il tramite tra la dualità insormontabile di un mondo a noi esterno e di quello a noi interiore. Saluti.
Viator: è appunto il trasformismo e il creazionismo implicito che hai descritto anche tu che "combatto". Non per imporre un monismo assoluto (la pluralità in qualche modo ha la sua ragion d'essere), ma per impedire sia un pluralismo assoluto che un criptocreazionismo, come l'ho chiamato io.
Indicami quale funzione si genererebbe ("funzione" e "generare" sono parole tue) dal semplice modellare la creta in forme diverse, ad esempio passando da una struttura cubica ad una sferica (esempio semplice per facilitare quello che intendo, ma potremmo prenderne uno più complesso).
Prendiamone uno appena un po' più complesso: il gatto di Schrödinger - ma vale pure per il gatto di Aumkaara - da vivo é lo stesso che da morto ?
Salve Aumkaara. Citandoti : "Indicami quale funzione si genererebbe ("funzione" e "generare" sono parole tue) dal semplice modellare la creta in forme diverse, ad esempio passando da una struttura cubica ad una sferica".
Veramente trovi necessario che io indichi ? (Guarda che io non uso dizionari o wukipedie - mi diverto ad escogitare definizioni che ricerco in tempo reale mentre replico)
Funzione : "trasformazione che serve ad uno scopo oppure conseguenza necessaria (effetto) di una causa".
Fungere : "generare una trasformazione che serve ad uno scopo oppure conseguenza necessaria (effetto) di una causa".
Generare : "Produrre - da parte di qualcuno o di qualcosa - una o più nuove forme".
Onde evitare ulteriori sterili pedanterie, provvedo a precisare che il mio precedente inciso : ".......produce le STRUTTURE, le quali ovviamente a loro volta generano le FUNZIONI" andrebbe letto come :
".............produce le STRUTTURE, cioè le NUOVE FORME le quali ovviamente a loro volta generano le FUNZIONI".
A me pare che il blocco di creta, modificato (modellato) da forze esterne, modifichi la propria forma, la quale intrinsecamente implica una struttura (più o meno adatta a far sì che l'oggetto una volta solidificato, resista agli urti, ad esempio).........il tutto al servizio di una qualche utilizzazione (funzione) cui l'oggetto - così prodotto (generato) - venga destinato. Saluti.
Ipazia: il solito tipo di domanda che parte da concezioni inconsapevolmente creazioniste e che quindi conducono a conclusioni nichiliste, eh? 😉 (Non nichilista in senso emotivo, ma nel senso di cose che si credono possano essere frutto di creazione, con conseguente distruzione, invece di essere semplici cambiamenti di forma, come persino la scienza scopre essere tutto quanto). È una domanda che, nel suo criptocreazionismo e conseguente nichilismo, non mette a fuoco due punti importanti: evitare la confusione tra vita in quanto aggregazione-movimento e vita in quanto soggettività, ed evitare di intendere l'oggettività come il frutto dei movimenti di un qualche elemento ultimo concretamente identificabile che, cessati tali suoi movimenti, farebbe cessare ogni fenomeno esperibile (non che non ci sia un "elemento" ultimo alla base dei fenomeni oggettivi, ma esso non è identificabile, non è oggettivabile, non può essere fermato e localizzato, perché occorrono dei fenomeni per fare queste operazioni e questo significherebbe interrompere i mezzi con cui compiere la ricerca della causa dei mezzi stessi: quindi i fenomeni non possono mai fermarsi, neanche per autoindagarsi, e ancor meno possono fermarsi solo perché è cessata qualche loro aggregazione particolarmente grossolana e visibile).
Per cominciare a comprendere questi punti, la domanda dovremmo farla ai miei due gatti morti. Non alle spoglie, ma alla loro soggettività, allo spazio di coscienza che precedentemente era occupato da percezioni, impulsi e da una grezza forma di emozioni e persino di vaghi concetti, tutto dipendente (a parte lo spazio in cui i vari elementi elencati si muovevano) dalla forma-gatto, la cui disgregazione non implica la disgregazione dello spazio consapevole che l'accoglieva.
Qui sta il primo punto: tutto il conosciuto implica uno spazio conoscente. E lo spazio, interno o esterno, non puoi annichilirlo. Persino quando scientificamente si dice che lo spazio esterno è "einsteinianamente" deformabile e forse quantisticamente composito, granulare e forse un giorno annichilibile, la stessa scienza pone implicitamente (e a quanto pare inconsapevolmente) uno spazio ulteriore in cui tali deformazioni, composizione granulare e annichilazione sono possibili.
Persino quando c'era la loro forma-gatto potevo solo ipotizzare questo loro spazio soggettivo, che è l'unico ad essere degno del nome di vita (tutto il resto invece, trazione muscolare, impulsi elettrici, agitazioni emotive, collegamenti concettuali, era semplice movimento al pari di qualunque altro genere di moto e non merita il nome di vita), anche se lo desumevo proprio grazie agli elementi mobili simili ai miei (ovvero: "se tali elementi sono percepiti da uno spazio soggettivo nel mio caso, sarà lo stesso anche per i miei gatti").
Ora invece non posso vedere quale condizione esperisce tale spazio soggettivo perché ciò che si muoveva in esso non ha più una aggregazione visibile, e qui sta il secondo punto: le aggregazioni che possono avvenire nello spazio (esteriore ed interiore) possono avere gradi di sottigliezza indefiniti, ben oltre i grossolani legami chimici, elettromagnetici, nucleari: non a caso, ogni volta che cerchiamo "l'ultima, basilare sferetta democritiana", troviamo invece oceani sempre più inscindibili di movimenti sempre più indeterminabili.
Per quanto ne so non posso vedere le residue condizioni di aggregazione, esperite dai loro spazi soggettivi dopo la dissoluzione delle aggregazioni più grossolane, nello stesso modo in cui non potrò scaldarmi al sole stanotte. La funzione scaldante del sole stanotte non si sarà distrutta solo perché per me è notte: mi basterebbe cambiare le coordinate di osservazione e la ritroverei.
Viator: dici che la produzione di Strutture, cioè di NUOVE FORME, a loro volta generano le FUNZIONI. Sei d'accordo nel definire "sfera" la struttura, cioè la nuova forma della creta, e sei d'accordo nel definire "rotolare" una delle funzioni della sfera?
Per me la questione è molto più semplice da criptocreazionista votata al nichilismo quale mi consideri: La differenza tra il gatto vivo e il gatto morto è la funzione vitale. Mica una nocciolina quantistico-relativistica a base di quark, ma il più grande enigma dell'universo, forse più criptato dello stesso bigbang 8)
Gli enigmi grandi ed eterni li lascio a chi si diletta con i "misteri della fede" (da leggere cantato, come in chiesa). 😉
Comunque la vita come funzione è l'insieme delle cangianti strutturazioni (fisiche, percettive, emotive, concettuali) che di per sé non possono generare-creare il sentire e la soggettività, non importa quanto e come si conformano, deconfigurano e ristrutturano. Aggregazioni, formazioni, disgregazioni, deformazioni, non creano e non distruggono niente, possono solo esprimere in forme diverse ciò che è già presente. Il Das che ho qui non crea la sua rotolabilità e motilità solo quando è sferico, rotola ed è in movimento anche quando è cubico (magari impercettibilmente, magari solo grazie alla rotazione terrestre mentre sembra fermo su di un mobile), la forma determina semplicemente quanto e come lo fa, cioè più o meno efficacemente od esplicitamente.
Salve Aumkaara. Citandoti :
"Qui sta il primo punto: tutto il conosciuto implica uno spazio conoscente. E lo spazio, interno o esterno, non puoi annichilirlo. Persino quando scientificamente si dice che lo spazio esterno è "einsteinianamente" deformabile e forse quantisticamente composito, granulare e forse un giorno annichilibile, la stessa scienza pone implicitamente (e a quanto pare inconsapevolmente) uno spazio ulteriore in cui tali deformazioni, composizione granulare e annichilazione sono possibili". Purtroppo è una questione di dialettica filosofica sulla quale ritengo inutile insistere. Tu lo spazio lo consideri una realtà fisica, io una dimensione unicamente psichica (la dimensione psicopercettiva attraverso la quale noi "apprezziamo" (percepiamo, appunto) gli effetti dell'esistenza della materia).Che poi la percezione degli effetti dell'esistenza della materia, trasferita a livello mentale, diventi un concetto esprimibile, convenzionabile, manipolabile matematicamente etc. et. la trovo una conseguenza assai in sè ovvia e comoda la quale permette - appunto - la costruzione di certe strutture scientifiche aventi la funzione di.....(quel che ci piacerà credere).Quindi secondo me lo spazio non è annichilibile fisicamente per la semplice ragione che non esiste fisicamente.
Poi ancora :
"Viator: dici che la produzione di Strutture, cioè di NUOVE FORME, a loro volta generano le FUNZIONI. Sei d'accordo nel definire "sfera" la struttura, cioè la nuova forma della creta, e sei d'accordo nel definire "rotolare" una delle funzioni della sfera?".Son d'accordo nel definirla una sfera (in alternativa a qualsiasi altra conformazione geometrica ci piaccia attribuirgli) ma la funzione di qualcosa - a mio parere - non è uno qualsiasi degli utilizzi cui può venir destinato (per intenzione oppur per "caso") quel qualcosa (per la sfera, l'eventuale rotolamento), bensì LA FUNZIONE ELETTIVA la cui necessità od utilità ha generato :
- l'intenzione di produrre quel qualcosa, oppure, nel caso manchi l'intenzionalità .....
- il perfezionamento evolutivo che ha portato quella "cosa" a risultare adatta a svolgere una certa sua specifica funzione che "cose" diverse da quella non riescono a svolgere.
Nel caso della sfera trovo che la
funzione elettiva della forma sferica non consista nella possibilità di rotolare, bensì nella sua proprietà (veramente unica, direi) di riuscire a contenere, all'interno della propria superficie, il maggiore tra tutti i volumi contenibili da una forma geometrica.
Noto comunque una profondissima diversità di modi di esprimersi tra noi due : Io, ad esempio, privilegio la sintesi annoiandomi terribilmente nello scrivere o nel leggere trattazioni analitiche. Le quali, per inciso, trovo pure che tendano più a confondere che a chiarire (d'altra parte nelle sintesi si annida il grandissimo rischio della cripticità).Ciò è dovuto al fatto che, utilizzando le analisi un troppo grande numero di parole, esse sono esposte costantemente alla critica della loro significanza.Impossibile chiarire, definire troppi termin il cui significato si tende - errando - a dare come noto od incontrovertibile. Saluti.
Viator: per quanto riguarda la prima parte: ho fatto male a non approfondire il motivo per cui ho citato insieme spazio interiore ed esteriore, ma era per non appesantire ulteriormente. Credevo potesse risultare chiaro (accennando al fatto che lo spazio materiale studiato in vari modi dalla fisica non è un vero spazio) che quello "dietro" allo spazio materiale non è fisico. E di conseguenza è lo stesso di quello coscienziale. Spazio esteriore ed interiore è una divisione arbitraria, fatta quando si astrae l'uno dall'altro per studiare gli eventi più grossolani (fisici) o viceversa quelli più sottili (psichici).
Per quanto riguarda la seconda parte, quella sulla domanda che avevo posto: la diversità, anzi, l'unicità della sfera, sta nella quantità con cui esprime la capacità di contenere volumi. Ma la capacità di contenere volumi ce l'hanno tutte le forme che può assumere la creta. La capacità non nasce, non si genera, non si crea con una particolare forma, la capacità è propria della creta, qualunque forma abbia. La forma determina solo il grado di espressione di tale capacità.
Per quanto riguarda le considerazioni finali: ho notato nel tempo che la sintesi genera, appunto con la sua cripticità a cui hai accennato, talmente tanta varietà di interpretazioni che si perde molto più tempo dopo a cercare di comprendere, chiarire, ecc. È buona per degli aforismi che ispirano sentimenti o intuizioni molto particolari e mirate (che poi possono comunque portare, da parte di chi le recepisce, a repentine considerazioni più ampie), oppure per formulare concise e precise osservazioni (la scienza ne sa qualcosa, soprattutto tramite il linguaggio matematico), ma non è sufficiente per dettagliare le implicazioni e le conseguenze che porta un certo punto di vista rispetto ad un altro (in questo caso, il partire dal considerare l'unità come un monismo astratto, invece che una condizione effettiva anche se non assoluta con una sua particolare collocazione nei confronti della pluralità).
I grandi enigmi, non necessariamente eterni bensì disvelabili, riguardano chi si diletta di scienza.
Lascerei il pongo invece a chi modella umani di creta il quale sa benissimo che il difficile non è la forma, ma la sostanza: l'elan vital. Detto anche prana, passato il Bosforo.
Citazione di: Ipazia il 25 Ottobre 2020, 00:33:18 AM
I grandi enigmi, non necessariamente eterni bensì disvelabili, riguardano chi si diletta di scienza.
Lascerei il pongo invece a chi modella umani di creta il quale sa benissimo che il difficile non è la forma, ma la sostanza: l'elan vital. Detto anche prana, passato il Bosforo.
La scienza elabora, non disvela, infatti tutte le conoscenze che ottiene sono (e devono) essere provvisorie (senza che si renda conto che sono formulazioni diverse di principi sempre uguali, che si ripresentano di volta in volta). La filosofia invece sa che le proprie sono solo formulazioni provvisorie di costanti che ormai ha già identificato da sempre (difficile da dimostrare all'esterno della filosofia, proprio perché, per la natura stessa di tali principi, non può esserci una sola indicazione ed un solo linguaggio per farlo), e chi non sa questo crede che la filosofia possa solo essere un modo per rendere più poetiche o linguisticamente ed emotivamente più interessante le "conoscenze" (formulazioni provvisorie) della scienza.
E a proposito di formulazioni modificabili, userei esempi più complessi della plastilina, ma se parlo di quark ed elettroni sembra di proporre un riduzionismo, che è tutta un'altra cosa, perché un conto è prendere come esempio l'insieme di tutti i costituenti, che, appunto perché sono un insieme di tutti, non si tratta di fare riduzioni (sono costretto ad elencarne pochi, tipo quark, elettroni, ecc., perché il resto che non conosciamo sarebbe il 95% circa, ci dice la scienza), e un conto sarebbe credere che tutto sia spiegabile solo dalla manciata di "costituenti" che conosciamo, che sarebbe appunto un riduzionismo perché questi hanno poco più che carica, spin e massa. Ma a quanto pare non era chiaro, almeno senza averlo ora spiegato, che non tutti e due questi atteggiamenti sono riduzionisti, e che prendendo quello giusto si può evitare di cadere in creazionismi mascherati, in cui le proprietà che riscontriamo nelle aggregazioni e nelle forme visibili "nascerebbero" grazie alle mutazioni di forma e alle aggregazioni stesse.
PS: già, il prana. L'atteggiamento ipermaterialista, che a volte si sente persino nella divulgazione di conoscenze rigorose, dice che era una idea primitiva ora smentita, perché indagando con la biologia non è stato trovato nessun "fluido psichico" nei sistemi cosiddetti viventi ma solo oggetti inerti che interagiscono (se ne vantava tempo fa qualcuno in tv). Peccato che, indagando con la fisica, si è trovato (per ora, ma per la scienza è sempre un "per ora", che prima o poi ritorna in forme diverse) che tutto quello che SEMBRA inerte è fatto di costituenti non localizzabili, come le parti di un fluido, e descrivibili non come oggetti ma come eventi, come per la psiche.
Salve Aumkaara. Guarda che io ho affermato che la specificità elettiva della forma sferica consiste nel contenere il massimo volume a parità di superficie interna rispetto a qualsiasi altra conformazione geometrica. Saluti.
Citazione di: viator il 25 Ottobre 2020, 11:06:16 AM
Salve Aumkaara. Guarda che io ho affermato che la specificità elettiva della forma sferica consiste nel contenere il massimo volume a parità di superficie interna rispetto a qualsiasi altra conformazione geometrica. Saluti.
Eri già stato chiarissimo, e questo esempio che hai descritto è appunto una migliore applicazione di una proprietà presente in tutte le forme (la proprietà di "contenere volume in relazione alla propria superficie", proprietà che hanno tutte le forme, a prescindere da quale particolare rapporto abbiano tra il proprio volume e la propria superficie). È solo una applicazione quantitativamente maggiore di tale proprietà: l'aggettivazione "quantitativamente maggiore" è riferita all'applicazione della proprietà nel suo complesso (cioè di un rapporto più "conveniente" tra volume e superficie di una forma), non alla quantità del solo volume di questo caso in particolare.
Salve Aumkaara. Fuor da ogni metafora, quella che io chiamo "specificità elettiva" altro non sarebbe che la caratteristica, l'attributo che rende la famosa "cosa in sè" (in questo caso appunto la sfera) ciò che è.
L'essere "il più" in realtà non rappresenta aspetto quantitativo poichè tale qualificazione risulta del tutto indipendente dalla propria quantificazione. Infatti variando a piacere la quantità sottesa al "più", "il più'" (scusate il quasi pasticcio lessicale) resta appunto una qualificazione invariante posseduta - nel caso che stiamo trattando - solo da quella specifica categoria di "cose in sè" costituita dalle sfere.
Tutto ciò trascurando il fatto che ogni e qualsiasi quantità, una volta risolta fino ai suoi ingredienti essenziali , si rivelerà solamente consistere nella qualità (qualificazione - quindi appunto specificazione quali "cose in sè") di essi ingredienti. Saluti.
Ciao Viator: va benissimo quello che hai esposto, è un punto di vista diverso dal mio, e i punti di vista sono appunto molteplici: nel tuo mi sembra di capire che ogni differenza quantitativa è considerata come una specifica qualità, propria solo di una particolare forma.
Se è così, se ho compreso bene, in questo punto di vista è sufficiente che la forma muti affinché appaia o scompaia una proprietà.
Il punto sta nello stabilire cosa significa apparire e scomparire: queste qualità, uniche per ogni particolare forma, se ne stanno (e ritornano) in un empireo, in un mondo delle Idee, quando la forma a cui appartengono non c'è più o non c'è ancora?
Oppure, come dicevo, si tratta di una qualità creata e distrutta da e dal nulla, qualunque cosa significhi quest'ultima parola?
Può essere, forse, anche se le cose non mi appaiono così dal mio punto di vista, è possibile che l'esistenza sia divisa in un mondo totalmente ideale e in uno totalmente concreto, oppure la "magia" della creazione e della distruzione assoluta in qualche modo esiste.
Salve Aumkaara. Citandoti . "........................Se è così, se ho compreso bene, in questo punto di vista è sufficiente che la forma muti affinché appaia o scompaia una proprietà.
Il punto sta nello stabilire cosa significa apparire e scomparire: queste qualità, uniche per ogni particolare forma, se ne stanno (e ritornano) in un empireo, in un mondo delle Idee, quando la forma a cui appartengono non c'è più o non c'è ancora?".
No, non è così. Intendo dire che ogni diversità qualitativa è dovuta solo alla "insufficiente finezza" con la quale i nostri sensi possono funzionare. Qualsiasi cosa, materiale od immateriale una volta che le si possa esaminare, è composta da due soli ingredienti fondamentali : la materia (appunto) e l'energia. Ogni e qualsiasi qualità delle cose una volta che si usi un ingranditore sufficiente, si rivela consistere in variabili aggregazioni di particelle elementari (la materia) e di variabili livelli e flussi di energia radiante tra di essi.
La forma, poi, è ente immateriale, cioè puramente concettuale, cioè l'elaborazione - a livello cerebrale-neurologico e quindi poi mentale, delle immagini e delle percezioni sensoriali. La forma viene percepita dai sensi, quindi poi trasformata in concetto (pensiero) il quale sarà poi eventualmente ulterioremente codificabile, elaborabile, comunicabile, descrivibile, narrabile etc. attraverso le altre nostre FUNZIONI cerebrali.
Essendo il pensiero una FUNZIONE basata sul fluire di corrente elettrica all'interno dei circuiti neurali (così ipotizza la scienza sulla base di certe evidenze strumentali - e così credendo io che possa essere) è chiaro che la forma e qualsiasi altra contenuto cerebrale nè sorgono dal nulla nè svaniscono nel nulla, trattandosi di energia elettrica che si genera, si diffonde, migra in altre località corporali o cerebrali. A questo punto posso quindi affermare (anzi, più equilibratamente, ipotizzare) che la forma di ciò che troviamo fuori di noi altro non è - a livello percettivo - che il risultato della forma in cui è congegnato il nostro cervello. Saluti.
Ciao Viator (stavolta sono sicuro di riferirmi al nome giusto), se è come penso, è una descrizione molto, molto interessante, ma riassumo per chiedere se ho compreso bene:
ciò che vediamo, tutte le forme, sono modelli mentali elaborati da noi, in realtà lo sfondo, su cui immaginativamente crediamo di vedere tali forme, è un flusso di materia ed energia.
È possibile ulteriormente riassumere dicendo che c'è solo una dualità di base, e che la molteplicità di forme con le loro relative qualità è solo una immagine che ci facciano di tale base duale a causa della "bassa risoluzione" con cui riusciamo a comprenderla?
Citazione di: Aumkaara il 26 Ottobre 2020, 08:22:58 AM
Ciao Viator (stavolta sono sicuro di riferirmi al nome giusto), se è come penso, è una descrizione molto, molto interessante, ma riassumo per chiedere se ho compreso bene:
ciò che vediamo, tutte le forme, sono modelli mentali elaborati da noi, in realtà lo sfondo, su cui immaginativamente crediamo di vedere tali forme, è un flusso di materia ed energia.
È possibile ulteriormente riassumere dicendo che c'è solo una dualità di base, e che la molteplicità di forme con le loro relative qualità è solo una immagine che ci facciano di tale base duale a causa della "bassa risoluzione" con cui riusciamo a comprenderla?
Sono Dante :) B eh! E' logico.Vediamo la realtà sulla base della nostra forma mentis.Questo non vuol dire che sia falso, solo che è una prospettiva limitata.Se guardo un paesaggio non vedo tutti i singoli particolari, ma posso averne una visione limitata dai miei "occhi".Questo non significa che la visione del paesaggio sia falsa, solo particolare, limitata. :)
Ciao Dante: tale visione parziale non è falsa, ma è falso il credere vere le conclusioni e le visioni d'insieme che si traggono da essa! 🙃😉
Citazione di: Aumkaara il 26 Ottobre 2020, 09:44:59 AM
Ciao Dante: tale visione parziale non è falsa, ma è falso il credere vere le conclusioni e le visioni d'insieme che si traggono da essa! 🙃😉
Ciao Aumkaara :)
Infatti si possono avere solo visioni d'insieme limitate e parziali, ma non false necessariamente. Si possono credere come "vere" queste conclusioni parziali e limitate nel senso, come degli "universali" di cui parlavo, che riguardano tutti gli esser dotati di quella particolare forma mentale.E' vero che esiste la creta per modellare? Non in senso assoluto, perché è un composto di acqua , argilla,ecc.ma è vero perché "universalmente" tutti sanno che si può modellare :)
Dante: certo, non sono false neanch'esse, è falso solo il crederle veramente visioni d'insieme! 😉
Secondo me qui entriamo in un campo piuttosto complesso del linguaggio umano. E' vera una visione d'insieme umana? Può esserlo,basandosi su degli "universali" umani,ossia può non essere falsa, ma certo non può essere LA visione. :)
Citazione di: Aumkaara il 26 Ottobre 2020, 08:22:58 AM
Ciao Viator (stavolta sono sicuro di riferirmi al nome giusto), se è come penso, è una descrizione molto, molto interessante, ma riassumo per chiedere se ho compreso bene:
ciò che vediamo, tutte le forme, sono modelli mentali elaborati da noi, in realtà lo sfondo, su cui immaginativamente crediamo di vedere tali forme, è un flusso di materia ed energia.
È possibile ulteriormente riassumere dicendo che c'è solo una dualità di base, e che la molteplicità di forme con le loro relative qualità è solo una immagine che ci facciano di tale base duale a causa della "bassa risoluzione" con cui riusciamo a comprenderla?
Sì, Aum, stavolta secondo me ci siamo. La "troppo bassa risoluzione" dei nostri sensi ci impedisce di cogliere il fondamentale, universale, esclusivo dualismo materia-energia..............ma usando gli strumenti di ingrandimento (sia ottico che mentale, cioè anche attraverso lo sviluppo culturale) possiamo realmente renderci conto di tale dualismo.
Oltre (dal due all'Uno, dalla dualità alla monade, dal quanto al Tutto) non potremo mai andare per via del fatto che sia noi che i nostri strumenti sono "altro" rispetto all'"Unico" che vorremmo poter contemplare. Saluti.
Citazione di: Dante il Pedante il 26 Ottobre 2020, 10:49:21 AM
Secondo me qui entriamo in un campo piuttosto complesso del linguaggio umano. E' vera una visione d'insieme umana? Può esserlo,basandosi su degli "universali" umani,ossia può non essere falsa, ma certo non può essere LA visione. :)
Non è poi chissà quanto un problema linguistico: le visioni d'insieme non sono false di per sé, solo non sono... visioni d'insieme. 😅 Nel senso: sono visioni di un certo insieme, arbitrariamente ampio, ma, appunto come dici te, non essendo una visione d'insieme di tutto, non vanno scambiati con qualcosa di definitivo. Quindi neanche degli eventuali universali sono veramente definitivi (qui è proprio l'aspetto linguistico ad aiutarci a capirlo: univarsale, verso l'uno, quindi una tendenza all'intero, non l'intero vero e proprio.
Citazione di: viator il 26 Ottobre 2020, 13:55:51 PM
Citazione di: Aumkaara il 26 Ottobre 2020, 08:22:58 AM
Ciao Viator (stavolta sono sicuro di riferirmi al nome giusto), se è come penso, è una descrizione molto, molto interessante, ma riassumo per chiedere se ho compreso bene:
ciò che vediamo, tutte le forme, sono modelli mentali elaborati da noi, in realtà lo sfondo, su cui immaginativamente crediamo di vedere tali forme, è un flusso di materia ed energia.
È possibile ulteriormente riassumere dicendo che c'è solo una dualità di base, e che la molteplicità di forme con le loro relative qualità è solo una immagine che ci facciano di tale base duale a causa della "bassa risoluzione" con cui riusciamo a comprenderla?
Sì, Aum, stavolta secondo me ci siamo. La "troppo bassa risoluzione" dei nostri sensi ci impedisce di cogliere il fondamentale, universale, esclusivo dualismo materia-energia..............ma usando gli strumenti di ingrandimento (sia ottico che mentale, cioè anche attraverso lo sviluppo culturale) possiamo realmente renderci conto di tale dualismo.
Oltre (dal due all'Uno, dalla dualità alla monade, dal quanto al Tutto) non potremo mai andare per via del fatto che sia noi che i nostri strumenti sono "altro" rispetto all'"Unico" che vorremmo poter contemplare. Saluti.
Perfetto. Ma, almeno con una intuizione (da cui poi può scaturire un atto pratico spontaneamente conseguente), non si può almeno tendere anche all'uno e non solo al due? In fondo, gli esempi non mancano: la materia è energia meno libera; sia le cose che ci appaiono percepibili sia le immateriali forze che le animano e che le fanno interagire sono in realtà particelle con gli stessi tipi di comportamenti; il nero è semplicemente bianco trattenuto e non irradiato; ecc.
Salve Aumkaara. Certo. Tendere (provare tensione (che per caso sia un fenomeno elettroenergetico ?)) si può certamente. Anzi, tutti tendono a qualcosa............ e la maggior parte di essi - per sovramercato - tendono all'irraggiungibile (la monade, l'immortalità, il comunismo integrale, il far sesso con una grande irraggiungibile stangona, il patrimonio di G.Soros, la capigliatura di S.Berlusconi..........................). Stammi bene.
Citazione di: viator il 26 Ottobre 2020, 16:37:31 PM
Salve Aumkaara. Certo. Tendere (provare tensione (che per caso sia un fenomeno elettroenergetico ?)) si può certamente. Anzi, tutti tendono a qualcosa............ e la maggior parte di essi - per sovramercato - tendono all'irraggiungibile (la monade, l'immortalità, il comunismo integrale, il far sesso con una grande irraggiungibile stangona, il patrimonio di G.Soros, la capigliatura di S.Berlusconi..........................). Stammi bene.
O la tensione verso lo scetticismo assoluto? ;)
Citazione di: Aumkaara il 25 Ottobre 2020, 09:26:44 AM
Citazione di: Ipazia il 25 Ottobre 2020, 00:33:18 AM
I grandi enigmi, non necessariamente eterni bensì disvelabili, riguardano chi si diletta di scienza.
Lascerei il pongo invece a chi modella umani di creta il quale sa benissimo che il difficile non è la forma, ma la sostanza: l'elan vital. Detto anche prana, passato il Bosforo.
La scienza elabora, non disvela, infatti tutte le conoscenze che ottiene sono (e devono) essere provvisorie (senza che si renda conto che sono formulazioni diverse di principi sempre uguali, che si ripresentano di volta in volta). La filosofia invece sa che le proprie sono solo formulazioni provvisorie di costanti che ormai ha già identificato da sempre (difficile da dimostrare all'esterno della filosofia, proprio perché, per la natura stessa di tali principi, non può esserci una sola indicazione ed un solo linguaggio per farlo), e chi non sa questo crede che la filosofia possa solo essere un modo per rendere più poetiche o linguisticamente ed emotivamente più interessante le "conoscenze" (formulazioni provvisorie) della scienza.
Mi pare una teoresi troppo dualistica, incoerente con una visione non dualistica della realta. Scienza e filosofia sono apparati epistemici che perseguono congiuntamente il disvelamento della realtà attraverso comuni strumenti gnoseologici strutturati sulle facoltà cognitive umane. Giustamente gli antichi chiamavano la scienza:
filosofia naturale. E tale rimane anche oggi. La filosofia è invece
scienza umana, meta-fisica che indaga la fondatezza dei protocolli conoscitivi (epistemologia) e la congruità delle soluzioni etologiche (etica). Usando un vocabolario kantiano la scienza sta alla filosofia come la ragion pura sta alla ragion pratica, ma sempre di ratio si tratta.
CitazioneE a proposito di formulazioni modificabili, userei esempi più complessi della plastilina, ma se parlo di quark ed elettroni sembra di proporre un riduzionismo, che è tutta un'altra cosa, perché un conto è prendere come esempio l'insieme di tutti i costituenti, che, appunto perché sono un insieme di tutti, non si tratta di fare riduzioni (sono costretto ad elencarne pochi, tipo quark, elettroni, ecc., perché il resto che non conosciamo sarebbe il 95% circa, ci dice la scienza), e un conto sarebbe credere che tutto sia spiegabile solo dalla manciata di "costituenti" che conosciamo, che sarebbe appunto un riduzionismo perché questi hanno poco più che carica, spin e massa. Ma a quanto pare non era chiaro, almeno senza averlo ora spiegato, che non tutti e due questi atteggiamenti sono riduzionisti, e che prendendo quello giusto si può evitare di cadere in creazionismi mascherati, in cui le proprietà che riscontriamo nelle aggregazioni e nelle forme visibili "nascerebbero" grazie alle mutazioni di forma e alle aggregazioni stesse.
Il creazionismo non ha bisogno di mascherarsi perchè si dà in tutti i processi biologici quando cellule di viventi danno origine ad altre vite del tutto indipendenti dai progenitori. L'enigma biologico ha introdotto la creazione nella realtà. Una creazione di carne e sangue, non di fumo (a cui rimanda lo stigma veterometafisico). La biologia autocosciente ha prodotto pure una forma più evoluta di creazione, generata dalla creatività dell'ingegno umano, creatore instancabile di arte-fatti ignoti all'evoluzione naturale, inorganica od organica che sia. Già qui la dualità è grande e così incontrastabile da essere presente anche in questo momento laddove una unità biologica dualmente psico-somatica sta comunicando attraverso arte-fatti tecnologici.
CitazionePS: già, il prana. L'atteggiamento ipermaterialista, che a volte si sente persino nella divulgazione di conoscenze rigorose, dice che era una idea primitiva ora smentita, perché indagando con la biologia non è stato trovato nessun "fluido psichico" nei sistemi cosiddetti viventi ma solo oggetti inerti che interagiscono (se ne vantava tempo fa qualcuno in tv). Peccato che, indagando con la fisica, si è trovato (per ora, ma per la scienza è sempre un "per ora", che prima o poi ritorna in forme diverse) che tutto quello che SEMBRA inerte è fatto di costituenti non localizzabili, come le parti di un fluido, e descrivibili non come oggetti ma come eventi, come per la psiche.
Ragionamenti di questo tipo mi fanno pensare come l'atteggiamento antimaterialista, guardando ossessivamente i cieli spirituali, finisca sempre col cadere entro buche teoretiche che più materialiste non si può. Perchè non lasciare alla psiche il suo ambito di esistenza senza scomodare la fisica e i suoi accrocchi teoretici (energia, materia, entropia, quark, entenglement,...) come suggerisce davintro, sulla scia di Cartesio, Husserl (e Freud aggiungerei), in altra discussione ?
Citazione di: viator il 26 Ottobre 2020, 16:37:31 PM
Salve Aumkaara. Certo. Tendere (provare tensione (che per caso sia un fenomeno elettroenergetico ?)) si può certamente. Anzi, tutti tendono a qualcosa............ e la maggior parte di essi - per sovramercato - tendono all'irraggiungibile (la monade, l'immortalità, il comunismo integrale, il far sesso con una grande irraggiungibile stangona, il patrimonio di G.Soros, la capigliatura di S.Berlusconi..........................). Stammi bene.
Già, una semplice tensione verso il vertice, per equilibrare sia la tendenza a cadere in quello che ha appena suggerito Dante, sia la tendenza a trascinarci nel vortice della dualità. Anche sapendo che tale tensione non ci farà mai raggiungere il vertice, impossibile per i motivi che hai detto precedentemente (e anche perché non c'è n'è bisogno: il vertice è un punto, e il punto, nella sua adimensionalità, corrisponde a tutto lo spazio, anche quello in cui avvengono i rapporti di forza suddetti: quindi siamo già immersi nel vertice).
Citazione di: Ipazia il 26 Ottobre 2020, 17:15:18 PM
Citazione di: Aumkaara il 25 Ottobre 2020, 09:26:44 AMLa scienza elabora, non disvela, infatti tutte le conoscenze che ottiene sono (e devono) essere provvisorie (senza che si renda conto che sono formulazioni diverse di principi sempre uguali, che si ripresentano di volta in volta). La filosofia invece sa che le proprie sono solo formulazioni provvisorie di costanti che ormai ha già identificato da sempre (difficile da dimostrare all'esterno della filosofia, proprio perché, per la natura stessa di tali principi, non può esserci una sola indicazione ed un solo linguaggio per farlo), e chi non sa questo crede che la filosofia possa solo essere un modo per rendere più poetiche o linguisticamente ed emotivamente più interessante le "conoscenze" (formulazioni provvisorie) della scienza.
Mi pare una teoresi troppo dualistica, incoerente con una visione non dualistica della realta. Scienza e filosofia sono apparati epistemici che perseguono congiuntamente il disvelamento della realtà attraverso comuni strumenti gnoseologici strutturati sulle facoltà cognitive umane. Giustamente gli antichi chiamavano la scienza: filosofia naturale. E tale rimane anche oggi. La filosofia è invece scienza umana, meta-fisica che indaga la fondatezza dei protocolli conoscitivi (epistemologia) e la congruità delle soluzioni etologiche (etica). Usando un vocabolario kantiano la scienza sta alla filosofia come la ragion pura sta alla ragion pratica, ma sempre di ratio si tratta.
Non c'è nessuna dualità tra i due sistemi: entrambi elaborano costantemente ed inevitabilmente, trovando sempre gli stessi principi in forme diverse. E in ambiti diversi: nelle visioni d'insieme nella filosofia (comunque relative, come dicevamo con Dante) e nelle visioni particolari nella scienza (comunque applicabili ad ampi eventi). L'unica differenza essenziale sta nell'essere consapevoli di questo gioco (e l'essere consapevoli di una differenza annulla le dualità assolute e comprende in sé quelle relative): la filosofia, guardando più ai principi, rielabora le proprie formulazioni (con cui parla di essi) per adattarle alle situazioni ma senza l'illusione di poter trovare nuovi principi. La scienza invece, guardando più alle formulazioni, crede di trovare ogni volta principi diversi, solo perché sono diversi gli ambiti e le formulazioni.
CitazioneCitazioneE a proposito di formulazioni modificabili, userei esempi più complessi della plastilina, ma se parlo di quark ed elettroni sembra di proporre un riduzionismo, che è tutta un'altra cosa, perché un conto è prendere come esempio l'insieme di tutti i costituenti, che, appunto perché sono un insieme di tutti, non si tratta di fare riduzioni (sono costretto ad elencarne pochi, tipo quark, elettroni, ecc., perché il resto che non conosciamo sarebbe il 95% circa, ci dice la scienza), e un conto sarebbe credere che tutto sia spiegabile solo dalla manciata di "costituenti" che conosciamo, che sarebbe appunto un riduzionismo perché questi hanno poco più che carica, spin e massa. Ma a quanto pare non era chiaro, almeno senza averlo ora spiegato, che non tutti e due questi atteggiamenti sono riduzionisti, e che prendendo quello giusto si può evitare di cadere in creazionismi mascherati, in cui le proprietà che riscontriamo nelle aggregazioni e nelle forme visibili "nascerebbero" grazie alle mutazioni di forma e alle aggregazioni stesse.
Il creazionismo non ha bisogno di mascherarsi perchè si dà in tutti i processi biologici quando cellule di viventi danno origine ad altre vite del tutto indipendenti dai progenitori. L'enigma biologico ha introdotto la creazione nella realtà. Una creazione di carne e sangue, non di fumo (a cui rimanda lo stigma veterometafisico). La biologia autocosciente ha prodotto pure una forma più evoluta di creazione, generata dalla creatività dell'ingegno umano, creatore instancabile di arte-fatti ignoti all'evoluzione naturale, inorganica od organica che sia. Già qui la dualità è grande e così incontrastabile da essere presente anche in questo momento laddove una unità biologica dualmente psico-somatica sta comunicando attraverso arte-fatti tecnologici.
Va benissimo, se ci si vuole fermare ad un qualche tipo di creazionismo. Chi non si accontenta di esso può vedere invece che, quando c'è una cellula vivente (o collegamenti pensanti di cellule specializzate), non c'è niente di più che gli stessi costituenti fisici degli oggetti inorganici (costituenti fisici che per il 95%, ricordiamolo, sono sconosciuti, a quanto ci dicono), anche se organizzati in modo diverso. Non nasce niente da una riorganizzazione, si applicano semplicemente le stesse cose in modo diverso.
CitazioneCitazionePS: già, il prana. L'atteggiamento ipermaterialista, che a volte si sente persino nella divulgazione di conoscenze rigorose, dice che era una idea primitiva ora smentita, perché indagando con la biologia non è stato trovato nessun "fluido psichico" nei sistemi cosiddetti viventi ma solo oggetti inerti che interagiscono (se ne vantava tempo fa qualcuno in tv). Peccato che, indagando con la fisica, si è trovato (per ora, ma per la scienza è sempre un "per ora", che prima o poi ritorna in forme diverse) che tutto quello che SEMBRA inerte è fatto di costituenti non localizzabili, come le parti di un fluido, e descrivibili non come oggetti ma come eventi, come per la psiche.
Ragionamenti di questo tipo mi fanno pensare come l'atteggiamento antimaterialista, guardando ossessivamente i cieli spirituali, finisca sempre col cadere entro buche teoretiche che più materialiste non si può. Perchè non lasciare alla psiche il suo ambito di esistenza senza scomodare la fisica e i suoi accrocchi teoretici (energia, materia, entropia, quark, entenglement,...) come suggerisce davintro, sulla scia di Cartesio, Husserl (e Freud aggiungerei), in altra discussione ?
Non c'è nessun ragionamento antimateralista: la materia è sperimentata senza alcun dubbio anche dagli antimaterialisti, per quanto "materia" sia un nome dato all'organizzazione (già, anche in questo caso) di qualcosa di non determinato. Si può però vedere, nell'esempio del prana, come la scienza fugge da certe formulazioni antiquate per ritrovare comunque gli stessi principi: si allontana dall'indeterminatezza e dall'omogeneo per cercare il concreto e il discreto, e trova l'esatto opposto, in forme ancora più spinte (dal prana-etere è finita nell'incongruentemente "vuoto ribollente" del campo quantistico e nelle funzioni d'onda probabilistica, in cui solidità e misurabilità sono delineabili ma sono aleatori per natura, e non per momentanea incapacità né per un migliorabile errore strumentale); anche se poi può ripetere il gioco e cercare di nuovo una migliore forma di determinatezza e di rigore (e indovina cosa troverà, se non di nuovo una compresenza di opposti, in forme nuove, come la filosofia ci dice che è inevitabile trovare essendo tutto basato, anche se non primariamente, su di un principio di polarità complementari?).
Citazione di: Aumkaara il 26 Ottobre 2020, 18:33:19 PM
Citazione di: viator il 26 Ottobre 2020, 16:37:31 PM
Salve Aumkaara. Certo. Tendere (provare tensione (che per caso sia un fenomeno elettroenergetico ?)) si può certamente. Anzi, tutti tendono a qualcosa............ e la maggior parte di essi - per sovramercato - tendono all'irraggiungibile (la monade, l'immortalità, il comunismo integrale, il far sesso con una grande irraggiungibile stangona, il patrimonio di G.Soros, la capigliatura di S.Berlusconi..........................). Stammi bene.
Già, una semplice tensione verso il vertice, per equilibrare sia la tendenza a cadere in quello che ha appena suggerito Dante, sia la tendenza a trascinarci nel vortice della dualità. Anche sapendo che tale tensione non ci farà mai raggiungere il vertice, impossibile per i motivi che hai detto precedentemente (e anche perché non c'è n'è bisogno: il vertice è un punto, e il punto, nella sua adimensionalità, corrisponde a tutto lo spazio, anche quello in cui avvengono i rapporti di forza suddetti: quindi siamo già immersi nel vertice).
(il punto è la negazione dello spazio, non corrisponde ad esso, lo nega e in ciò ne afferma la possibilità. A voler essere dialettici.)
Citazione di: Lou il 26 Ottobre 2020, 19:07:20 PM
Citazione di: Aumkaara il 26 Ottobre 2020, 18:33:19 PM
Citazione di: viator il 26 Ottobre 2020, 16:37:31 PM
Salve Aumkaara. Certo. Tendere (provare tensione (che per caso sia un fenomeno elettroenergetico ?)) si può certamente. Anzi, tutti tendono a qualcosa............ e la maggior parte di essi - per sovramercato - tendono all'irraggiungibile (la monade, l'immortalità, il comunismo integrale, il far sesso con una grande irraggiungibile stangona, il patrimonio di G.Soros, la capigliatura di S.Berlusconi..........................). Stammi bene.
Già, una semplice tensione verso il vertice, per equilibrare sia la tendenza a cadere in quello che ha appena suggerito Dante, sia la tendenza a trascinarci nel vortice della dualità. Anche sapendo che tale tensione non ci farà mai raggiungere il vertice, impossibile per i motivi che hai detto precedentemente (e anche perché non c'è n'è bisogno: il vertice è un punto, e il punto, nella sua adimensionalità, corrisponde a tutto lo spazio, anche quello in cui avvengono i rapporti di forza suddetti: quindi siamo già immersi nel vertice).
(il punto è la negazione dello spazio, non corrisponde ad esso, lo nega e in ciò ne afferma la possibilità. A voler essere dialettici.)
Ottima formulazione, anche se io preferisco dire che il punto è adimensionale, e quindi corrisponde ad uno spazio adimensionale, presupposto di ogni spazio determinato solo dagli elementi delineati in esso (tridimensionale quando le delineazioni sono tridimensionali, ecc.).
Citazione di: Aumkaara il 26 Ottobre 2020, 19:04:41 PMVa benissimo, se ci si vuole fermare ad un qualche tipo di creazionismo. Chi non si accontenta di esso può vedere invece che, quando c'è una cellula vivente (o collegamenti pensanti di cellule specializzate), non c'è niente di più che gli stessi costituenti fisici degli oggetti inorganici (costituenti fisici che per il 95%, ricordiamolo, sono sconosciuti, a quanto ci dicono), anche se organizzati in modo diverso. Non nasce niente da una riorganizzazione, si applicano semplicemente le stesse cose in modo diverso.
Se non si vuole cogliere la complessità dell'evoluzione naturale - dalla materia inorganica all'autocoscienza - si finisce in un riduzionismo da materialismo volgare, imbellettato ("essendo tutto basato, anche se non primariamente, su di un principio di polarità complementari") con principi primi&ultimi dal carattere
religioso esoterico per iniziati.
Salve Aum. Citandoti : "Ottima formulazione, anche se io preferisco dire che il punto è adimensionale, e quindi corrisponde ad uno spazio adimensionale, presupposto di ogni spazio determinato solo dagli elementi delineati in esso (tridimensionale quando le delineazioni sono tridimensionali, ecc.).".
Io invece preferisco dire che il punto è un concetto, ovviamente immateriale ed ancora più ovviamente (data la mia convinzione circa lo spazio come "dimensione "interiore"" puramente psichica) privo di dimensioni "esteriori" e/o "geometriche". Saluti.
Citazione di: viator il 26 Ottobre 2020, 20:43:24 PM
Salve Aum. Citandoti : "Ottima formulazione, anche se io preferisco dire che il punto è adimensionale, e quindi corrisponde ad uno spazio adimensionale, presupposto di ogni spazio determinato solo dagli elementi delineati in esso (tridimensionale quando le delineazioni sono tridimensionali, ecc.).".
Io invece preferisco dire che il punto è un concetto, ovviamente immateriale ed ancora più ovviamente (data la mia convinzione circa lo spazio come "dimensione "interiore"" puramente psichica) privo di dimensioni "esteriori" e/o "geometriche". Saluti.
( la dimensione interiore "puramente" psichica è
luogo, non spazio, o quantomeno non meramente spaziale - luogo come
spazio proprio. Forse può starci come dizione, per ciò che intendi.
Oggi son particolarmente in vena di puntiglio espressivo, abbiate pazienza )
Salve Lou. Citandoti : "( la dimensione interiore "puramente" psichica è luogo, non spazio, o quantomeno non meramente spaziale - luogo come spazio proprio. Forse può starci come dizione, per ciò che intendi. Oggi son particolarmente in vena di puntiglio espressivo, abbiate pazienza )".
Puntiglio per puntiglio (stiamo giocando con le parole, non è vero ?) :Se lo "spazio" (e pure il tempo) sono, come io sostengo, dimensioni (cioè estensioni geometriche oppure interiori, cioè concettuali) puramente psichiche ed immateriali (quindi nel nostro caso, appunto puramente concettuali).............ne discenderà che un "luogo" (geografico oppure interiore) non sarà altro che una porzione di uno "spazio" (geografico oppure interiore). Saluti..
Citazione di: Ipazia il 26 Ottobre 2020, 20:00:20 PM
Citazione di: Aumkaara il 26 Ottobre 2020, 19:04:41 PMVa benissimo, se ci si vuole fermare ad un qualche tipo di creazionismo. Chi non si accontenta di esso può vedere invece che, quando c'è una cellula vivente (o collegamenti pensanti di cellule specializzate), non c'è niente di più che gli stessi costituenti fisici degli oggetti inorganici (costituenti fisici che per il 95%, ricordiamolo, sono sconosciuti, a quanto ci dicono), anche se organizzati in modo diverso. Non nasce niente da una riorganizzazione, si applicano semplicemente le stesse cose in modo diverso.
Se non si vuole cogliere la complessità dell'evoluzione naturale - dalla materia inorganica all'autocoscienza - si finisce in un riduzionismo da materialismo volgare, imbellettato ("essendo tutto basato, anche se non primariamente, su di un principio di polarità complementari") con principi primi&ultimi dal carattere religioso esoterico per iniziati.
Il fatto che ci sia chi voglia essere iniziato a formulazioni esoteriche ovvero tenute nascoste (o considerate per pochi), non ha niente a che vedere con il fatto, formulato in modi accessibili e comprensibili a tutti, che, in qualunque modo si formula o si indaga l'esistenza, si intravedono certe costanti (che non sono degli assoluti, la loro ragion d'essere dipende pur sempre dagli ambiti mutevoli in cui si affacciano).
Ho appena detto che l'intravedere questi principi in ogni formulazione ed indagine è "un fatto". Ovviamente non deve diventare un dogma. Visto che è inevitabile continuare a formulare ed indagare, si può constatare di persona se davvero si ripresentano sempre. Ovviamente questo non nega che abbiamo la possibilità di avere una visione maggiormente d'insieme (neanche questa assoluta, come dicevamo con Dante) che può permetterci di vedere quasi d'un colpo che tutti i contesti con cui abbiamo a che fare sono inevitabilmente basati sulle stesse costanti, ma in ogni caso dobbiamo almeno ogni tanto riprendere indagini più particolari e puntigliose, in cui l'evidenza delle costanti si presenta con più difficoltà da parte nostra.
E tutto questo non nega la "complessità dell'evoluzione dalla materia inorganica all'autocoscienza", la riconosce però come una variazione di organizzazione che mette in evidenza certe caratteristiche e attenua l'evidenza di altre, senza bisogno di autentiche creazioni, né natural-panteistiche né di altro genere.
Citazione di: Lou il 26 Ottobre 2020, 21:04:58 PM
Citazione di: viator il 26 Ottobre 2020, 20:43:24 PM
Salve Aum. Citandoti : "Ottima formulazione, anche se io preferisco dire che il punto è adimensionale, e quindi corrisponde ad uno spazio adimensionale, presupposto di ogni spazio determinato solo dagli elementi delineati in esso (tridimensionale quando le delineazioni sono tridimensionali, ecc.).".
Io invece preferisco dire che il punto è un concetto, ovviamente immateriale ed ancora più ovviamente (data la mia convinzione circa lo spazio come "dimensione "interiore"" puramente psichica) privo di dimensioni "esteriori" e/o "geometriche". Saluti.
( la dimensione interiore "puramente" psichica è luogo, non spazio, o quantomeno non meramente spaziale - luogo come spazio proprio. Forse può starci come dizione, per ciò che intendi. Oggi son particolarmente in vena di puntiglio espressivo, abbiate pazienza )
Va benissimo, se è utile. Luogo viene dal (o è comunque affine al) sanscrito loka, che significa mondo o condizione, anche intesa come condizione interiore. Quindi va benissimo anche puntualizzare che l'interiorità è ben definita dalla parola luogo.
Citazione di: Aumkaara il 26 Ottobre 2020, 22:13:53 PM
... Ovviamente questo non nega che abbiamo la possibilità di avere una visione maggiormente d'insieme (neanche questa assoluta, come dicevamo con Dante) che può permetterci di vedere quasi d'un colpo che tutti i contesti con cui abbiamo a che fare sono inevitabilmente basati sulle stesse costanti, ma in ogni caso dobbiamo almeno ogni tanto riprendere indagini più particolari e puntigliose, in cui l'evidenza delle costanti si presenta con più difficoltà da parte nostra.
Quali costanti ?
CitazioneE tutto questo non nega la "complessità dell'evoluzione dalla materia inorganica all'autocoscienza", la riconosce però come una variazione di organizzazione che mette in evidenza certe caratteristiche e attenua l'evidenza di altre, senza bisogno di autentiche creazioni, né natural-panteistiche né di altro genere.
Quale organizzazione (a priori e quindi postulante qualche assoluto non solo originario ma pure eterno visto che ammette solo una ridistribuzione dei mattoncini lego escludendo qualsiasi
autentica creazione in itinere) ?
.
Citazione di: Ipazia il 27 Ottobre 2020, 08:18:58 AM
Citazione di: Aumkaara il 26 Ottobre 2020, 22:13:53 PM
... Ovviamente questo non nega che abbiamo la possibilità di avere una visione maggiormente d'insieme (neanche questa assoluta, come dicevamo con Dante) che può permetterci di vedere quasi d'un colpo che tutti i contesti con cui abbiamo a che fare sono inevitabilmente basati sulle stesse costanti, ma in ogni caso dobbiamo almeno ogni tanto riprendere indagini più particolari e puntigliose, in cui l'evidenza delle costanti si presenta con più difficoltà da parte nostra.
Quali costanti ?
Che discreto e continuo si presentano sempre entrambi in ogni contesto, anche se in modalità diverse, ad esempio.
CitazioneCitazioneE tutto questo non nega la "complessità dell'evoluzione dalla materia inorganica all'autocoscienza", la riconosce però come una variazione di organizzazione che mette in evidenza certe caratteristiche e attenua l'evidenza di altre, senza bisogno di autentiche creazioni, né natural-panteistiche né di altro genere.
Quale organizzazione (a priori e quindi postulante qualche assoluto non solo originario ma pure eterno visto che ammette solo una ridistribuzione dei mattoncini lego escludendo qualsiasi autentica creazione in itinere) ?
.
Qualunque organizzazione. Se facciamo un esempio affine al tuo campo, una molecola inorganica, come l'O², non crea niente (interagisce semplicemente nei modi appropriati alla sua forma), e non è un oggetto creato, è solo una organizzazione diversa dei già esistenti O e O, che non smettono di essere O quando si legano; e che, da soli (lasciamo perdere che nei paraggi è difficile trovarli separati), interagiscono con altro in modo più libero, e quando invece mantengono più saldamente la loro vicinanza interagiscono con altro in modo più determinato, più particolare.
Questo giochino è solo una ripetizione di altri precedenti (O non è altro che 8 neutroni, salvo isotopi, e 8 protoni, cioè in tutto 48 quark che si scambiato vari gluoni, e in più 8 elettroni, salvo ioni, che scambiano vari fotoni con i quark; il tutto disposto in modi particolari, i quark vicini tra loro e gli elettroni più o meno d'intorno, senza contare il 95% di altro indeterminato che scorre nel mezzo e che non si sa quanto e come contribuisce). Cosa è che fa questi giochini a vari gradi di organizzazione spaziale non lo potremo mai sapere, perché noi, intesi come una organizzazione, possiamo solo interagire con altre organizzazioni. Nè possiamo sapere tutte le sue possibilità, nel frattempo abbiamo conosciuto solo quelle viste fin'ora: apparire a se stesso come variamente unitario e molteplice, a vari gradi di complessità. Quasto apparire a se stesso viene chiamato coscienza, è sempre presente, cambia solo il grado di complessità con cui appare, in relazione al grado di complessità delle forme. E alcuni gradi di complessità di organizzazione forniscono anche, in modo più evidente in alcune forme più che in altre, quella che viene chiamata autocoscienza, che è semplicemente l'apparire di forme che hanno in sé una immagine di sé stesse.
Molecole che creano grattacieli e automobili, per quanto la chimica sia materia prodigiosa, ne devo ancora incontrare. Le forme di creazione di cui abbiamo contezza sono quelle di nuova vita (non i mattoni lego/quark: NUOVA VITA) e le creazioni dell'ingegno. La creazione metafisica, che si impicca nella regressione infinita detta volgarmente uovo/gallina, la lascio volentieri ai protagonisti della discussione.
Le costanti sono dunque dei paradigmi logici più o meno sofistici. Io che pensavo fossero la velocità della luce nel vuoto, 0 K, la gravitazione terrestre a livello del mare, il numero di Avogadro, il punto di fusione e di ebollizione di una sostanza. In effetti con queste costanti non c'è trippa per metafisici e Zenone resta disoccupato. Peraltro la "costante" da te citata è pure sbagliata se facciamo il gioco duro della realtà: l'elettrone salta da un orbitale all'altro e non c'è continuum. Così è nata, in casa dei chimici, la tanto celebrata quantistica. Natura facit saltum. E la metafisica paga pegno.
PS E' noto che i fachiri dormono sui chiodi, ma anche loro hanno qualche difficoltà a respirare ruggine, almeno fino a quando non arriva il guru che li illumina sul contenuto di O del FeO.
.
Citazione di: Ipazia il 27 Ottobre 2020, 22:05:32 PM
Molecole che creano grattacieli e automobili, per quanto la chimica sia materia prodigiosa, ne devo ancora incontrare. Le forme di creazione di cui abbiamo contezza sono quelle di nuova vita (non i mattoni lego/quark: NUOVA VITA) e le creazioni dell'ingegno. La creazione metafisica, che si impicca nella regressione infinita detta volgarmente uovo/gallina, la lascio volentieri ai protagonisti della discussione.
Le costanti sono dunque dei paradigmi logici più o meno sofistici. Io che pensavo fossero la velocità della luce nel vuoto, 0 K, la gravitazione terrestre a livello del mare, il numero di Avogadro, il punto di fusione e di ebollizione di una sostanza. In effetti con queste costanti non c'è trippa per metafisici e Zenone resta disoccupato. Peraltro la "costante" da te citata è pure sbagliata se facciamo il gioco duro della realtà: l'elettrone salta da un orbitale all'altro e non c'è continuum. Così è nata, in casa dei chimici, la tanto celebrata quantistica. Natura facit saltum. E la metafisica paga pegno.
PS E' noto che i fachiri dormono sui chiodi, ma anche loro hanno qualche difficoltà a respirare ruggine, almeno fino a quando non arriva il guru che li illumina sul contenuto di O del FeO.
.
[Non sarò altrettanto sarcastico, ma almeno ironico sì. 🙃] Le molecole non costruiscono grattacieli ed automobili, costruiscono (e non creano) oggetti infinitamente più complessi: quelli cosiddetti viventi. Il concetto di nuova vita, come l'hai definita tu, va benissimo, è sufficiente essere filosoficamente creazionisti. Forse l'universo è davvero letteralmente magico.
Non c'è bisogno però che sia davvero così, guardando nel modo che ho descritto io, perché tale modo non è riduzionista: non ho ridotto gli oggetti visibili, li ho solo guardati meglio, e ho visto che sono tutti uguali nei componenti (almeno per quel 5% di componenti osservati...) e diversi solo nell'ordine in cui sono disposti. Ne deduco che le differenze che vedo tra gli oggetti, quando li guardo in modo meno nitido, siano dovute solo a tale ordine: infatti se io ordino la mia camera in modo diverso, mi aspetto solo di trovare più facilmente i già presenti libri e vestiti. Ma forse è vera la tua visione, quindi mi conviene sistemarla di nuovo subito: può darsi che dal semplice riordinarla venga QUALCOSA DI NUOVO, magari appaiono soldi, cibo, o per lo meno libri e vestiti mai comprati. Magari la prossima volta che ho sete riordino il cassetto dei calzini, magari si creerà l'acqua. Quale era la formula per creare l'acqua? Ah, Aguamenti (grazie, pontefice Rowling).
Una nota sulle costanti: il discreto elettrone (nel senso di corpuscolare, non nel senso che è riservato o che è un gran bel pezzo di ragazzo) si presenta anche come una continua onda (continua nel senso di oggetto non discreto). Hanno cercato Democrito sperando di allontanarsi dalle onde di sottili fluidi universali, e hanno trovato un campo che si modella in entrambi i modi: discreto e continuo.
Passi per l'elettrone, che è un'entità ancora abbastanza misteriosa, come la questione tra ondulatorio e corpuscolare, che lascerei ai fisici. A livello di rappresentazione della realtà della chimica, funzionale mica metafisico, il discreto si impone secondo necessità e tra un elemento e l'altro vi è un salto reale. Ciò vale anche a livello di fisica gravitazionale come ben sanno i candidati suicidi.
In ogni caso il continuo e il discreto non possono coesistere nella realtà, ma solo nella teoria (Heisenberg): tutti i mattoncini/quark dell'universo non possono colmare il salto tra un gatto vivo e un gatto morto. Se l'episteme non prende atto di questa "costante" il mondo, ovvero la teoria su di esso, cessa di funzionare. E si passa alla favolistica.
Citazione di: Ipazia il 28 Ottobre 2020, 09:28:51 AM
Passi per l'elettrone, che è un'entità ancora abbastanza misteriosa, come la questione tra ondulatorio e corpuscolare, che lascerei ai fisici. A livello di rappresentazione della realtà della chimica, funzionale mica metafisico, il discreto si impone secondo necessità e tra un elemento e l'altro vi è un salto reale. Ciò vale anche a livello di fisica gravitazionale come ben sanno i candidati suicidi.
In ogni caso il continuo e il discreto non possono coesistere nella realtà, ma solo nella teoria (Heisenberg): tutti i mattoncini/quark dell'universo non possono colmare il salto tra un gatto vivo e un gatto morto. Se l'episteme non prende atto di questa "costante" il mondo, ovvero la teoria su di esso, cessa di funzionare. E si passa alla favolistica.
La chimica è appunto, come hai appena detto, una rappresentazione, è quindi parziale ed artificiosa, e, nello specifico, è più parziale ed imprecisa della fisica fondamentale. Non può quindi imporre le proprie osservazioni come più o ugualmente effettive di quelle della fisica oggi più fondamentale (nell'esempio: i salti tra orbitali; o, nel caso della fisica classica che è anch'essa una rappresentazione più parziale ed imprecisa di quella della fisica fondamentale, i salti tra balcone ed asfalto): una spiegazione più approfondita è stata trovata appunto nella fisica fondamentale: che siano singole particelle oppure insiemi organizzati di singole particelle, si tratta sempre di oggetti parzialmente discreti su di uno sfondo continuo (presente comunque anche in chimica ed in fisica classica, ed è chiamato "spazio vuoto", ma è appunto una rappresentazione meno accurata del campo quantistico in cui le particelle mostrano anche una loro parziale continuità in forma d'onda, ovvero di semplice conformazione del campo): in ogni rappresentazione troviamo sempre discreto e continuo, tra l'altro sempre più intrinsecamente legati e sempre meno distinguibili. Come in un sogno, o in una favola: abbiamo sostituito la favola del creazionismo, in cui le cose sorgono dal nulla, con una favola più sottile in cui gli aggregati sono onde di una sostanza continua. Sono solo teorie, la realtà non l'avremo mai con nessuna teoria, men che meno con i soli sensi fisici, o con i risultati artificiali, ottenuti tramite le suddette teorie; risultati artificiali che diventano sempre più pericolosi tanto quanto esageriamo nel considerarli essenziali invece che semplicemente utili.
In una frase: il continuo e il discreto ci sono sempre, e le loro caratteristiche, che li distinguono, non devono essere considerate diverse a seconda di contesti realmente separati (di Lavoisier, di Newton, di Heisenberg) ma devono essere considerate come spiegazioni sempre più accurate a seconda dei contesti diversi che sono solo diversi approfondimenti di studio (anche se questo non impedisce di continuare ad operare nei contesti che forniscono spiegazioni meno dettagliate: posso giocare con la casa degli Acchiappafantasmi come se fosse un oggetto realmente compatto e diverso dal fantasma cattivo, ma ciò non toglie che entrambi siano solo una momentanea organizzazione di mattoncini Lego tutti della stessa natura). [Comunque vidi che la casa degli Acchiappafantasmi è della Playmobil, che ho sempre preferito alla Lego.] In caso contrario, vorrebbe dire che credo reale una divisione di contesto che invece è solo funzionale alla mia varia capacità di visione ed utilizzo.
Suggerimento dalla regia (esterna al forum): inutile spiegare, come sto facendo, usando una formulazione scientifica, se lo scopo di chi ascolta è dichiaratamente quello di usare la scienza per supportare ideologiche distinzioni credute fondamentali, come quelle tra vita e morte.
Credute fondamentali perché altrimenti, come hai detto, il mondo "non funzionerebbe".
Effettivamente funziona, con ciò che proponi: la vita è qualcosa da conservare a tutti costi, anche al prezzo di uccidere o uccidersi (se non sempre fisicamente, almeno in molti ambiti che rendono degna la vita), e quando la morte arriva, e arriva, è vissuta come una catastrofe nullificante di cui disperarsi, in modo più o meno evidente o mascherato, oppure facendone cadere il dolore in recessi mentali da cui piloterà indisturbatanente i pensieri e le azioni esteriori.
"Sfumare" le distinzioni, invece, in modo equilibrato rispetto al continuare a viverle (in modo da non cadere negli effetti dell'ideologia opposta, in cui vita e morte sono la stessa cosa e tutto è consentito), permette di ammorbidire gli eccessi. È sempre una questione di equilibri tra ideologie opposte (e l'equilibrio non è il porsi semplicemente a metà, ma è il muoversi tra gli opposti senza aderirvi).
Come si sospetta fin dai tempi di Schopenhauer tutta l'episteme, ovvero scienza, si basa su rappresentazioni. Coerenti con la cognitività umana, aggiungono le neuropsicoscienze, e con quella dei loro infinitamente più sensibili arte-fatti di laboratorio, aggiunge Phil; per cui non resta, per chi non ha feticismi assolutistici noumenici, scegliere tra le varie rappresentazioni quelle che si dimostrano più feconde e funzionali (nel contesto dato: e anche qui le metafisiche bramanti l'assoluto zoppicano). La chimica funziona perfettamente nel suo contesto come puoi verificare da tutte le tecnodiavolerie che ti circondano e che usi senza farci sopra tante paturnie metafisiche.
Consegnamoci armi e bagagli alla scienza e non pensiamoci più! :) La metafisica è inutile; la richiesta di senso un'anticaglia;per il disagio esistenziale ci sono le pillole, che altro ci serve? Nespà? Per la paura della morte basta rimuovere l'idea, nascondendola e siamo a posto.Se la medicina funziona poco, funzionerà un giorno.Se abbiamo domande c'è Wikipedia.E' un mondo perfetto direi ;D ;D
Citazione di: Ipazia il 28 Ottobre 2020, 14:07:11 PM
Come si sospetta fin dai tempi di Schopenhauer tutta l'episteme, ovvero scienza, si basa su rappresentazioni. Coerenti con la cognitività umana, aggiungono le neuropsicoscienze, e con quella dei loro infinitamente più sensibili arte-fatti di laboratorio, aggiunge Phil; per cui non resta, per chi non ha feticismi assolutistici noumenici, scegliere tra le varie rappresentazioni quelle che si dimostrano più feconde e funzionali (nel contesto dato: e anche qui le metafisiche bramanti l'assoluto zoppicano). La chimica funziona perfettamente nel suo contesto come puoi verificare da tutte le tecnodiavolerie che ti circondano e che usi senza farci sopra tante paturnie metafisiche.
Certo, la chimica funziona benissimo. Non è tra le rappresentazioni più accurate, non rispetto a tutte quelle che abbiamo, ma funziona per avere molti degli oggetti utili usati, da cui non posso trarre molto di più che utilità: l'ultima volta che ero sicuro di morire (non è un'esperienza frequente, nel mio caso, né un pensiero fisso), senza che conoscenze e oggetti potessero farci niente (hanno un limite nel procrastinarla), ero tranquillo non certo per indifferenza alla vita, né per la fede in un racconto mitologico, e neanche per le mie conoscenze nella differenza tra solfuri e solfati (o tra quark ed elettroni). Neanche per un assoluto metafisico filosoficamente ben elaborato. Ma solo per quel poco di equilibrio tra ideologie opposte, anzi, tra molti tipi di opposti.
La richiesta di senso oltrepassa l'ambito della scienza che fornisce però la base per una richiesta sensata di senso e una fondazione sensata di valori. Tutto l'armamentario del trascendentale umano, quindi meta-fisico. Ma pure patafisico spesso. Certe arrampicate numero-logiche su specchi geometrici dal nostalgico sapore platonico che non oltrepassano il V postulato di Euclide e amano contornarsi di lettere maiuscole. Inguaribilmente metafisiche.
Sì, ma qui ne troviamo poche, da parte mia e non solo, di numerologie maiuscolizzate. Destrutturo persino la scienza, quando vuole essere più che metodo. Al massimo, se vengono messe in campo, le leggiamo in modi "demaiuscolizzanti" (cerco di demaiuscolizzare persino le filosofie "laiche" e scientifiche che già hanno poche maiuscole di per sé), ben diversi dai modi in cui le usano coloro che, riuniti in cabale e logge, le considerano come dono o viceversa guida divina.
Almeno su questo siamo d'accordo. Rileggendo le tue riflessioni sulla morte noto un lieve accento metafisico, che poco si confà a questioni fisiche come la vita e la morte. Io preferisco chinarmi di fronte alle leggi naturali così come sono, dicendo il mio
gracias a la vida, vista dall'alto di un percorso evolutivo che mi ha dato gli strumenti per contemplarlo.
Citazione di: Ipazia il 28 Ottobre 2020, 22:21:28 PM
Almeno su questo siamo d'accordo. Rileggendo le tue riflessioni sulla morte noto un lieve accento metafisico, che poco si confà a questioni fisiche come la vita e la morte. Io preferisco chinarmi di fronte alle leggi naturali così come sono, dicendo il mio gracias a la vida, vista dall'alto di un percorso evolutivo che mi ha dato gli strumenti per contemplarlo.
L'equilibrio nei confronti (di una qualunque rappresentazione personale o collettiva, immaginava o scientifica, sensoriale o ideale, che, in quanto rappresentazioni, abbiamo detto non poterci dare che visioni parziali e non definitive) della morte (o di qualunque altro aspetto dell'esistenza), cosa può avere di metafisico? L'equilibrio, l'equanimità, è un atteggiamento, non uno spiritello o un assoluto.
Anche l'inchinarsi, l'insuperbirsi o il voltarsi indietro di fronte ad una rappresentazione, sono atteggiamenti, ma, per quanto mi riguarda, anche se sono molto diversi tra loro, sono tutti meno equanimi, e quindi tendenti a farci restare in qualche modo ancora succubi di mere immagini (fossero anche della morte), per quanto quest'ultime colpiscano duramente sensi e sentimenti: ma sono questi stessi atteggiamenti a rafforzare e a far perdurare la tendenza a rimanere colpiti. Fino, alla meglio (no, alla peggio) a desensibilizzarci, a volte (che non è sinonimo di equilibrio).
Sono Dante il Pedante :)
L'equanimità rispetto alle rappresentazioni è sempre difficile per me.Se guardo un paesaggio,per averne una vista generale e non particolare (di prospettiva individuale o collettiva)dovrei pormi su un piano superiore di visione,esterno al paesaggio stesso,come se lo guardassi,con una metafora, dal cielo.Non esserne dentro/parte insomma.Dato che non è umanamente possibile, posso percorrere la stada dell'"indifferenza" per cercare di raggiungere lo stesso obbiettivo,così che ogni visione particolare non mi rappresenti,ma è un pendio scivoloso,per me, perché quasi sempre si arriva al cinismo e allo scetticismo.In più è una posizione intellettuale, ma poco concreta,nels enso che poi dovendo compiere inevitabilmente delle scelte "dentro il paesaggio" il concetto di indifferenza o "sovravisione" è inapplicabile.Anche dire "faccio scelte relative" è un'illusione,cioè un'escamotage intellettuale e basta,perchéogni scelta comporta effetti che non possono essere annullati,e perciò assoluti in se stessi.
Salve Dante. Hai ragione circa la "equanimità" (io lo chiamo "distacco", cioè visione razionale piuttosto che emozionale) la quale è difficile da raggiungere, impossibile da mantene a lungo, paralizzante circa le conseguenti scelte che dovremo comunque fare, rende cinico chi la pratica........................
Anzitutto il distacco bisognerebbe esercitarlo (anzi, in realtà è possibile esercitarlo) sono verso ciò che non ci riguarda da vicino (comodo, vero ?). Poi, in ogni caso, dopo aver esaminato con distacco la questione, potremo prendere le decisioni del caso che risultino completamente estranee e diverse dalle conclusioni di "equanimità intellettuale" che magari abbiamo appena fatto, e che saranno servite comunque a "chiarirci le idee", affiancando e confrontando la visione emozional-psichico-sentimental dei problemi con quella appunto razional-mentale.
Poi, svolto tale atteggiamento, qualsiasi medico potrà anche passare al versante "psico-compassionevole" utilizzando la propria etica personale per celare, edulcorare etc. etc. le diagnosi magari fatali che il suo distacco dottrinale che ha permesso di raggiungere. Saluti.
Nella realtà dovrebbe succedere quello che deve succedere al buon medico : egli può fare il bene del paziente solamente "distaccandosi" dalle proprie emozioni e preoccupazioni ed utilizzando solamente le crude conoscenze fornitegli dalla sua scienza ed esperienza medica. Saluti.
Negli ultimi due messaggi si dice che l'equilibrio è umanamente impossibile, o che comunque è solo un distacco razionale dalle emozioni...
Cosa è umanamente impossibile direi che è poco facile da stabilire, e non lo dico per esaltare la condizione umana, ma solo perché adattarsi ed andare oltre i limiti è forse ciò che più caratterizza tale condizione.
Quanto al distacco, esso non è identificabile con l'equanimità, è solo una funzione di essa, per quanto essenziale: c'è bisogno sia di distacco che di aderenza, proprio come quando, per restare in equilibrio su di un asse mobile, si deve tendere in una direzione per poi abbandonarla quasi subito, e fare lo stesso con la direzione opposta. Gli estremi vanno compresi e trascesi continuamente: questo permette non solo di non perdersi in uno di essi, ma anche di comprendere meglio entrambi e quindi di comprendere meglio la totalità, visto che ne sono parte integrante entrambi.
E più questa altalena diventa spontanea e ben misurata, più l'equilibrio diventa lento e stabile, comprendendo così sempre meglio gli opposti, pur non fermandosi mai del tutto, o si crollerebbe da una parte o dall'altra. Che è la repentina fine che si fa anche quando si scambia l'equilibrio con il ritirarsi dagli estremi per starsene fermi nel mezzo: si dura poco, e nel frattempo non ci si può neanche muovere, non comprendendo quasi per niente nessuno degli opposti (non comprendendo quasi niente, per la precisione).
Anche la ragione è un'altra funzione che permette l'equilibrio ma che non è sinonimo di esso, ed è semplicemente l'atto di misurare la giusta quantità di aderenza e di distacco che di volta in volta occorre in entrambi gli estremi.
È tutto ESATTAMENTE come nell'esercizio fisico. Esercizi esteriori ed interiori seguono i medesimi principi. È il "così in basso così in alto" di cui parlano gli esoteristi, poi diventato "in cielo, in terra, in ogni luogo" nella religiosità (cambia poco che sia riferito ad un paterno spirito o ad una materna natura), aldilà che gli esoteristi o i religiosi sappiano applicare o meno frasi di questo genere, che di solito approcciano solo per l'aria da iniziati o da eletti che conferisce il conoscerle.
In ogni caso, l'equanimità è un risultato che può essere raggiunto in modi più indiretti, moltissimi modi, consapevoli o meno. Quelli inconsapevoli sono le così dette esperienze della vita con relative reazioni nostre ed ulteriori relative conseguenze (gli iniziati lo chiamano karma, i religiosi giustizia).
Non vorrei essere la guastafeste di turno, ma, questa condizione esistenziale che descrivi, Aumkaara, mi ha rimandato, per associazione, a chi ne ha data una metafora impeccabile, Nietzsche, nella figura del Funambolo. Figura che reca in se tanto la condizione tesa sul precipizio mortale teso sul vuoto, pure alla mercè del Pagliaccio e perciò limitata, tanto quella hybrys che questo limite lo sfida, in quel trascendere oltreumano, da leggersi in un senso di rinascita, teso a oltrepassare quei limiti (sebbene l'hybris sia non cara agli dei nè alla filosofia greca).
Distacco e aderenza, in cerca di quel terzo dato dalla sintesi dei due: un equilibrio precario, in cui, più che far rientrare una totalità , per lo meno tende a una prospettiva affine a gestire la condizione in cui siamo sospesi.
Non saprei, Lou, perché nell'equilibrio per come l'ho descritto ci va messo tutto sull'asse.
Non c'è tempo da perdere nel farsi vedere dal pubblico e dal mercato, tra cui c'è il pagliaccio, né per coltivare superbie oltreumane: paure e inorgoglimenti del senso dell'io sono tra i primi a dover essere messi sugli estremi dell'asse. Non devono essere tenuti al di fuori dell'esercizio in sé, in una posizione (rispettivamente) di ricerca di spettatori e di potenziamenti personali, come invece mi sembra che descriva Nietzsche.
Che, forse, tra i tanti contributi interessanti che può aver dato, cercava soprattutto un pubblico (e lo ha ottenuto, e in qualche modo resterà nei secoli forse) e cercava una forma di gloria (e l'ha ottenuta, anche con il credersi, alla fine, il successore del Dio di cui aveva decretato la morte).
Da non trascurare il fatto che il Funambolo muore, cadendo mentre viene scavalcato dal beniamino dell'ultimo uomo, il Pagliaccio. Va detto che dopo un secolo abbondante l'ultimo uomo comincerebbe pure a puzzare assai e la proliferazione di Pagliacci è diventata insopportabile. Parafrasando un altro grande: o oltreumanare o barbarie. Inclusa quella religiosa, assai attiva nello scontro medioevale di civiltà che si sta riesumando.
Citazione di: Ipazia il 29 Ottobre 2020, 23:53:27 PM
Da non trascurare il fatto che il Funambolo muore, cadendo mentre viene scavalcato dal beniamino dell'ultimo uomo, il Pagliaccio. Va detto che dopo un secolo abbondante l'ultimo uomo comincerebbe pure a puzzare assai e la proliferazione di Pagliacci è diventata insopportabile. Parafrasando un altro grande: o oltreumanare o barbarie. Inclusa quella religiosa, assai attiva nello scontro medioevale di civiltà che si sta riesumando.
Chi era "l'altro grande" che disse "o oltreuomo o barbaro"? (In ogni caso le scelte esclusivamente binarie sono solo per i computer, e forse sempre meno anche per loro, se è vero che arriveranno quelli quantistici.)
Parafrasi é sostituzione, non ripetizione, di testi e concetti. Il testo originale é: "socialismo o barbarie". Concordo che le dicotomie sono quasi sempre fallaci (bene/male, fedeli/infedeli, paradiso/inferno, nirvana/samsara,...) ma il lezzo e la meschinità dell'ultimo uomo sono talmente insopportabili da rendere preferibile qualsiasi fallacia a questo tardo impero capitalistico sempre più: nasci produci consuma crepa.
Citazione di: atomista non pentito il 13 Settembre 2020, 21:07:47 PM
Quello che mi chiedo e' se questo argomentare utilizzando continui riferimenti "specialistici" ( ostici ai meno preparati )sia necessario alla completezza ed esaustivita' per l'esposizione del proprio pensiero in modo compiuto o nasconda un minimo di compiacimento nella considerazione della propria esclusivita'. Colmare il divario culturale , per persone come me , non sara' possibile. Non certamente per gli anni che probabilisticamente mi rimangono da vivere , percio' una "volgarizzazione" delle risposte( almeno di quelle dirette ai commenti che mi riguardano) sarebbe un gradito segno del Vs desiderio di condividere realmente il Vs. pensiero.
Io chiederei semplicemente, di fronte a termini ostici o riferimenti vari: Cosa intendi TU con ..... ? A scanso di rimandi a voluminosi trattati o a definizioni wikipediche. Spesso i termini usati in questo tipo di discussioni hanno una rappresentazione approssimativa anche nella mente di chi li usa. E tutto ciò di cui non si riesce a trovare una descrizione semplice e sintetica spesso è solo spia di scarsa chiarezza mentale. Niente può mettere in crisi un filosofo quanto la domanda di un bambino.
Salve donaldduck. Citandoti : "E tutto ciò di cui non si riesce a trovare una descrizione semplice e sintetica spesso è solo spia di scarsa chiarezza mentale. Niente può mettere in crisi un filosofo quanto la domanda di un bambino".
Ottimo. Personalmente, per evitare che mi si domandi "cosa intendi tu con questa parola ?" io cerco spesso di prevenire attraverso una qualche definizione ultrasintetica dei concetti da me affrontati. Non ha la minima importanza se la definizione mia (la quale, per mia SISTEMATICA, non coincide quasi mai con le definizioni canoniche di dottrine e letterature) sia opinabile, ridicola, errata o che altro.
Se, dato un concetto, lo si definisce con parole ragionevolmente ragionevoli...........il discorso poi diventa semplicemente quello del "buon senso" popolaresco, riassumibile nel "chi ha orecchie per intendere, intenda", oppure nel "non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire".
Naturalmente, sintetizzando, ci si espone al rischio di venir accusati di ingenuità intellettuale, e questa è la ragione per la quale chi ambisca a venir annoverato tra gli "intellettuali"......si guarderà bene dal coltivare la sintesi (cioè la fecondità mentale) preferendogli le immersioni analitiche (cioè la sterilità masturbatoria) le quali immersioni (aspetto quest'ultimo dialetticamente essenziale ) permettono di aumentare a dismisura (infinitamente) la massa dei contenuti culturali che possano enfatizzare la propria intellettualità. Saluti.
Io più umilmente mi considero immersa in una rete di linguaggio e lingue dove le parole hanno in larga parte significati condivisi e ritengo che se per ogni parola presente sul vocabolario ognuno di noi avesse una "mia definizione" ci sarebbe una incomprensibilità allo stato brado e la comunicazione sarebbe quasi impossibile. Ciò non toglie che data la fluidità del linguaggio si possano rinnovare le definizioni e ampliarle o modificarle, questo sì.
Salve Lou. Ovvio e naturale che la oceanica maggioranza delle parole che usiamo abbia un significato codificato e condiviso.
I termini che possono venir "reinterpretati", "ridefiniti" sono solo quelli (abbastanza numerosi ma sempre del tutto minoritari, all'interno della lingua) che risultano i più concettuali, i meno materiali, i meno strumentali.
Cioè quelli che riguardano - dal mio punto di vista - soprattutto "l'essenziale immateriale".
Trovi che le definizioni "ufficiali, enciclopediche, libresche" di concetti come (a caso) : Essere -Amore - Assoluto - Dio - Intelligenza - Psiche - Tutto.............. e qualche altro centinaio..........risultino non controvertibili, certe, logicamente chiare ?.
Oppure che il loro significato corrente (non oso parlare di "definizione"), conversatorio, quotidiano...........al di fuori dell'arena culturale (leggi: tra le masse) sia minimamente noto a chi ne parla ?. Ti saluto con amicizia.